Anno XXXIV
n. 9-10 Settembre-Ottobre 2004
Ordine
Direzione e redazione
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Telefono: 02 63 61 171
Telefax: 02 65 54 307
dei
giornalisti
della
Lombardia
http://www.odg.mi.it
e-mail:[email protected]
Spedizione in a.p. (45%)
Comma 20 (lettera b)
dell’art. 2 della legge n. 662/96
Filiale di Milano
Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo
Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo
G 26
I/ PA
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DATI
I ministri dell’Economia Giugno 2p0ro0f4e:ssionisti,
.500 soccupati
4
1
e del Lavoro bocciano
di
1.500
l’accordo Fnsi-Fieg-Inpgi
SOMMARIO
su condono, sistema sanzionatorio,
cumulo pensione-redditi da lavoro
e riscatto dei periodi di studi universitari
Roma, 30 luglio 2004. I ministri dell’Economia e del Lavoro hanno bocciato l’accordo (5
maggio 2004) Fnsi-Fieg-Inpgi su condono,
sistema sanzionatorio, cumulo pensioneredditi da lavoro e riscatto dei periodi di studi
universitari.
Ne ha dato notizia il presidente dell’Inpgi,
Gabriele Cescutti, con questa lettera: “Cari
colleghi, mi spiace dovervi comunicare che
i ministeri del Lavoro e dell’Economia ci
hanno notificato la decisione di non dar
corso all’approvazione di quattro delibere
approvate dal Cda il 19 maggio scorso
(condono, sistema sanzionatorio, cumulo
pensione-redditi da lavoro e riscatto dei
periodi di studi universitari), che facevano
parte del gruppo di sei provvedimenti approvati dal Cda lo scorso 19 maggio. Come ben
ricorderete, invece, gli stessi ministeri il 13
luglio avevano espresso parere favorevole in
merito alle due delibere relative allo sconto
contributivo per il riassorbimento dei giornalisti disoccupati e all’una tantum in favore dei
titolari di trattamenti pensionistici anteriori al
1° gennaio 1999. La mancata approvazione
per la prima delibera è riferita soprattutto
all’esigenza di conoscere i motivi che sorreggono la proposta di applicazione del condono a “rapporti giuridici già definiti”.
Per la seconda e terza delibera (sistema
sanzionatorio e cumulo) sono richiesti precisi dettagli in merito agli equilibri gestionali
nel medio e lungo periodo, mentre per il
quarto provvedimento (riscatto di periodi
universitari) vengono sollecitati aggiustamenti che potranno essere inseriti senza
alcun problema. Abbiamo già preso contatto
con la Fnsi e con la Fieg (firmatarie dell’accordo sindacale successivamente fatto
proprio dal Cda dell’Inpgi) per valutare assieme le preoccupazioni espresse dai ministeri
vigilanti, al fine di poter individuare, alla ripresa dell’attività in settembre, la miglior soluzione che consenta di rendere operative le
quattro delibere.
Cordialmente. Gabriele Cescutti”.
L’accordo (tra Fnsi, Fieg
e Inpgi) sul cumulo in
particolare prevede:
a) che a decorrere
dal 1° gennaio 2001
le pensioni di vecchiaia
e le pensioni liquidate
con anzianità contributiva pari
o superiore a 40 anni sono
interamente cumulabili con
i redditi di lavoro autonomo
e dipendente; b) che in tutti
gli altri casi il limite di
cumulabilità viene elevato da
euro 7.747 (lire 15 milioni) ad
euro 13.000 (lire 25.171.510).
ALTRI SERVIZI SULL’INPGI
ALLE PAGINE 2, 3 e 4
Mobbing
Intervista allo psichiatra
Michele Piccione
pag. 5
Normativa
Giornalisti e residenza
anagrafica
pag. 6
Editoria
Più cultura, più futuro
pag. 8
Martiri del
giornalismo
Enzo Baldoni:
“Io viaggio per la pace” pag. 10
Garante
Al duopolio tv l’86,5%
comunicazioni della pubblicità
pag. 12
Freelance
Un successo il corso Ifg pag. 15
I nostri lutti
Tiziano Terzani.
“Il giornalismo,
la mia vita”
Elio Sparano,
simbolo Rai a Milano
pag. 16
pag. 17
Memoria
Gigi Ghirotti, il cronista
Leo Longanesi,
un “Borghese”
grande grande
pag. 20
Giornalismo
e cinema
Luigi Comencini
giornalista “politico”
pag. 22
La libreria
di Tabloid
I dossier
di Tabloid
pag. 18
pag. 24
Inserto speciale
sulla diffamazione
a mezzo stampa appello penale
Una nuova onorificenza per i giornalisti morti sui fronti di guerra
L’ente gestisce l’Istituto per la Formazione al Giornalismo
Primo sì del Senato all’“Ordine
al merito del giornalismo italiano”
Giuseppe A. Barranco di Valdivieso
presidente dell’Afg “Walter Tobagi”
Il capo dell’Ordine sarà il Presidente della Repubblica
Eletti vicepresidenti Andrea Biglia, David Messina e Damiano Nigro
Roma, 26 agosto 2004.
Una nuova onorificenza per
i giornalisti morti sui fronti di
guerra. È quanto prevede un
disegno di legge approvato
dala Commissione Affari
costituzionali del Senato, in
sede deliberante, in prima
lettura, il 30 giugno.
Quest’approvazione equivale a una deliberazione del
Senato. Il provvedimento
mira ad istituire “l’Ordine al
merito del giornalismo
italiano”, al fine di introdurre un riconoscimento da
parte dello Stato in favore di
tutti coloro che si sono
distinti – fino al sacrificio
della stessa vita – nello svolgimento di un servizio di
pubblica utilità ed interesse
generale. Il ddl passa ora
all’esame della Camera.
(da www.cittadinolex.it)
Milano, 20 luglio 2004. Il Consiglio di presidenza dell’Associazione “Walter Tobagi” per la
Formazione al Giornalismo ha eletto ieri sera
il suo presidente per il triennio 2004/2007: è
l’economista d’impresa e commercialista
Giuseppe Antonio Barranco di Valdivieso. I
vicepresidenti sono tre: i giornalisti professionisti Andrea Biglia e David Messina, il giornalista pubblicista Damiano Nigro (vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia).
Svolgeranno le funzioni di segretario e tesoriere Guido Re e Angelo Morandi. Presidente
del Collegio dei revisori dei conti è il giornalista professionista Luciano Micconi.
L’Afg “Walter Tobagi” è l’ente senza scopo di
lucro convenzionato con la Regione Lombardia, che gestisce l’Istituto “Carlo De Martino”
(meglio noto come “Scuola di giornalismo di
Milano”) di cui sono direttore e vicedirettore i
giornalisti professionisti Gigi Speroni e Alfredo Pallavisini.
Con l’elezione di Barranco di Valdivieso, su
proposta dal presidente del Consiglio dell’Ordine della Lombardia, si è impressa una svolta nella vita dell’Ifg, che ha bisogno di nuovi
ORDINE
9/10
2004
Ddl Senato 982 - Istituzione dell’«Ordine al merito
del giornalismo italiano»
Articolo 1
1. È istituito l’“Ordine al merito del giornalismo italiano”
destinato a dare una particolare attestazione agli inviati
speciali della stampa a diffusione nazionale morti, o che
abbiano subito comprovati e
gravi danni fisici o psicologici, che si siano comunque
distinti per particolari meriti,
nell’adempimento del proprio
dovere in zone di guerra o in
occasione di eventi calamitosi di grande rilevanza, su
proposta del Presidente del
consiglio dei ministri.
Articolo 2
1. Il capo dell’Ordine è il
Presidente della Repubblica
Articolo 3
1. Gli insigniti, o i loro con-
giunti, dopo la pubblicazione
sulla Gazzetta Ufficiale del
decreto di conferimento dell’onorificenza da parte del
Presidente della Repubblica, hanno il diritto di fregiarsene in occasione di festività
nazionali e di altri importanti
eventi.
Articolo 4
1. Le onorificenze, di cui alla
presente legge, non producono effetti economici su
pensioni, assegni o indennità di qualsiasi natura che
sono o saranno percepite
dagli aventi diritto.
Articolo 5
1. In attuazione della presente legge, il Presidente
del consiglio dei ministri - di
concerto con i ministri competenti - emana con proprio
decreto le norme occorrenti
per la sua attuazione.
mezzi economici per rafforzare la sua leadership tra le scuole riconosciute dall’Ordine
nazionale. Va ridisegnata anche la strategia
di alleanze nel campo universitario per preparare una figura di giornalista italiano, capace di lavorare in tutti i Paesi della Ue. L’Ifg,
quindi, investe e scommette sull’Europa.
Sarà rilanciata “l’Associazione degli ex-allievi
dell’Ifg”, forte dei 650 giornalisti professionisti “creati” dal 1977 ad oggi.
1
20/21
luglio
2004
Non è possibile, sotto
il profilo dell’articolo 3 della
Costituzione, che le gestioni
separate dell’Inps e dell’Inpgi
abbiano regole contrastanti
tali da creare disuguaglianze
tra i cittadini. Le circolari
non modificano le leggi
Cessione dei diritti
d’autore e Inpgi/2:
l’Inpgi conferma
la linea dura
analisi di Franco Abruzzo
presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia
Milano, 21 luglio 2004. Nello spazio di poche ore, tra il 20 e 21 luglio, il direttore dell’Inpgi,
Arsenio Tortora, ha ribadito con due note la linea dura dell’Istituto e la “condanna” dei pareri
resi pubblici da chi scrive in merito alla raccomandata 6 luglio 2004 della signora Giuseppina
Cappa (dirigente dell’Inpgi/2). Gli iscritti sono frastornati, mentre monta la rabbia contro una
gestione separata giudicata iniqua e vessatoria. I colleghi soprattutto non comprendono
perché l’Inpgi/2 riconosca la cessione dei diritti d’autore fino al 2000 e non più a partire
dall’anno d’imposta 2001. I colleghi non comprendono perché l’Inpgi/2 si ostini a non rispettare una legge che dichiara lavoro occasionale quello che coincide con l’introito annuale di
5mila euro. Soprattutto non capiscono perché i cittadini assicurati con l’Inps/2 hanno un trattamento più favorevole sia sul fronte del diritto d’autore sia sul fronte del lavoro occasionale.
Eppure il Consiglio di Stato – con il parere n. 881 (17 giugno 1998) emesso su richiesta del
ministro del Lavoro (“in linea con il ministero del Tesoro”) - ha stabilito che “non sussiste
obbligo di iscrizione alla Cassa di previdenza per i soggetti iscritti nell’Albo che esercitano
un’attività professionale in maniera occasionale”. Il pensiero della suprema magistratura
amministrativa della nazione dovrebbe avere un peso maggiore rispetto a una circolare ministeriale, tenuta ad interpretare le leggi o una legge avvicinandosi il più possibile ai valori
costituzionali di solidarietà, giustizia ed uguaglianza.
I cittadini italiani non giornalisti, che, avvalendosi del diritto sancito nell’articolo 21 della Costituzione, scrivono sistematicamente od occasionalmente articoli, servizi, analisi e commenti,
retribuiti con la cessione dei diritti d’autore, non versano alcunché alla gestione separata
dell’Inps (vedi circolare Inps n° 83 del 28 marzo 1997). Diverso è, invece, il destino dei cittadini italiani iscritti negli elenchi (professionisti e pubblicisti) dell’Albo dei giornalisti e che collaborano sistematicamente od occasionalmente con giornali e riviste. Eppure la Costituzione
(articolo 3) non consente discriminazioni e trattamenti economici diseguali. La vicenda assume i contorni della farsa ove si pensi che il presidente dell’Inpgi il 16 maggio 1996 ha scritto
I cittadini senza Albo
non versano alcunché
all’Inps/2, mentre
i giornalisti avrebbero
l’obbligo opposto rispetto
all’Inpgi/2 in base a una
circolare (illegittima)
di un ex ministro
del Lavoro
in una circolare indirizzata agli iscritti alla gestione separata, affermando categoricamente:
“Non è obbligato a iscriversi all’Inpgi/2 chi effettua cessioni di diritti d’autore”. Questo
il suo pensiero (di allora): “Non è obbligato all’iscrizione chi effettua cessioni di diritti d’autore.
Possono essere considerate tali esclusivamente quelle prestazioni che esplicitamente sono
regolate tra le parti (azienda editoriale e giornalista) come cessione del diritto d’autore, e che
come tali sono soggette all’imposizione Irpef. La cessione dei diritti d’autore, se effettuata
direttamente dall’autore stesso, è esente da Iva ed in sede di dichiarazione dei redditi deve
essere compilata nella sezione II del quadro E (in apposito rigo, differente da quello di cui
all’ipotesi di collaborazione coordinata e continuativa) con l’indicazione dei compensi lordi
effettivamente percepiti e dai quali viene detratta una percentuale forfetaria a titolo di riconoscimento delle spese sostenute. Anche in questo caso non è previsto obbligo (né possibilità)
di iscrizione ad alcuna forma di previdenza”. Nella stessa circolare Cescutti era stato perentorio sul fronte delle prestazioni occasionali giornalistiche: “Non è obbligato a iscriversi
all’Inpgi/2 chi svolge attività occasionale. In tal caso l’attività giornalistica è saltuaria e
sporadica. Non può sicuramente costituire la fonte principale di reddito e nemmeno una
fonte secondaria permanente, in quanto non sussiste un rapporto fisso con l’editore. I servizi
vengono resi in via eccezionale, anche se su specifica ordinazione, e non sussiste alcuna
situazione giuridica che garantisca la prosecuzione del rapporto, il conseguimento di ulteriori
compensi o la pretesa dell’editore di ricevere altri servizi. In senso tecnico specifico il soggetto non è nemmeno considerato ai fini fiscali come lavoratore autonomo tanto che, oltre a non
essere tenuto all’apertura di partita Iva, in sede di dichiarazione dei redditi non è neanche
tenuto alla compilazione del quadro E, ma del differente quadro L. Conseguentemente non
ha la possibilità di iscriversi ad alcuna forma di previdenza, né deve versare contributi, né
può pretendere prestazioni”.
Ai piani alti di via Nizza 35-00198 Roma non hanno ancora capito che un free-lance può
svolgere benissimo un’attività professionale non occasionale (500 articoli all’anno) ed essere
retribuito, soprattutto in provincia, in maniera occasionale (cioè con 4 euro ad articolo, cioè
con 2mila euro all’anno).
Dal 16 maggio 1996 la normativa in vigore è sempre quella, l’Inps non ha cambiato linea. Per
l’Inps, gli autori e gli occasionali non hanno alcun obbligo di iscrizione alla gestione separata.
La svolta (sbagliata) del 26 gennaio 2001
Il 26 gennaio 2001 il presidente dell’Inpgi,
facendo riferimento a una lettera del ministro
del Lavoro (il carteggio è… segreto di Stato!)
ha mutato idea sull’argomento, sia pure dopo
aver affermato che “la legge prevede che la
cessione del diritto d’autore non comporti
l’obbligo di iscrizione alla Gestione previdenziale separata”!
L’Inpgi nutre, questa l’amara verità, dubbi
sulla correttezza dei giornalisti e pertanto –
spiega il presidente dell’Istituto – ha chiesto
al ministero del Lavoro “regole le quali
consentano di distinguere senza equivoci
quando ci si trovi in presenza di autentica
cessione di diritto d’autore, e quando invece
tale formula sia illegittima, e non possa quindi costituire elemento per evitare l’obbligo di
iscrizione alla Gestione separata”.
Il ministero avrebbe condiviso le osservazioni dell’Inpgi “in merito alla possibilità che il
ricorso alla cessione del diritto d’autore
fosse, in determinati casi, illegittimo”, invitando quindi l’Istituto “ad individuare parametri
oggettivi attraverso i quali sia possibile determinare se la cessione del diritto d’autore sia
corrispondente alla norma, o mascheri invece una sia pur inconsapevole elusione
contributiva”.
I “parametri” dell’Inpgi, però, confliggono
con due articoli della Costituzione (4 e 41).
Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e di
scegliere il lavoro più confacente alla sua
personalità. Anche l’impresa gode di una sua
libertà e può pertanto stipulare contratti con i
cittadini professionisti regolati dalla legge sul
diritto d’autore sul presupposto che, in base
alla legge n. 633/1941, articoli, servizi giornalistici, servizi fotogiornalistici e progetti
grafico-giornalistici sono opere dell’ingegno.
I parametri dell’Inpgi, avallati a quanto
sembra dal ministero del Lavoro, non hanno
2
alcun raccordo con l’Inps e con le normative
fiscali. Il reddito derivante dall’utilizzazione
economica delle opere dell’ingegno (in particolare i compensi pagati da quotidiani e da
riviste agli autori di articoli) va dichiarato nel
rigo D4 del Quadro D (altri redditi) del Modello 730 oppure nel Modello unico (Quadro
RE). I compensi a titolo di cessione di diritti
d’autore costituiscono redditi di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 49 (comma 2,
lettera b) del Dpr n. 917/1986 e, come tali,
ridotti del 25% (art. 50, comma 8, del Dpr n.
917/986), sono soggetti a ritenuta d’acconto
del 20% (art. 25 del Dpr n. 600/1973). È
escluso, come d’altro lato riconobbe lo stesso presidente dell’Inpgi, che debbano iscriversi all’Inpgi/2 coloro che percepiscano
“redditi derivanti dalla utilizzazione economica di opere dell’ingegno (articoli, servizi giornalistici, progetti grafici e servizi fotografici
ndr)” in quanto gli stessi redditi sono compresi nel comma 2 (lettera b) dell’articolo 49 del
Dpr n. 917/1986. “Un articolo ricade nella
tutela della legge sul diritto d’autore quando
ha il requisito dell’originalità e della creatività
e reca l’impronta di una elaborazione personale del giornalista” (Cassazione civile, 19
luglio 1990, n. 7397). Anche la Sezione lavoro della Cassazione (sentenza n. 1° giugno
1998, n. 5370) ha ritenuto applicabile la tutela del diritto d’autore all’opera giornalistica.
La massima giurisprudenziale suona così:
“Può qualificarsi come giornalistica l’opera
svolta in favore di editori di quotidiani e periodici, di agenzie d’informazione o di emittenti
televisive, ove esplicata con energie prevalentemente intellettuali e consistente nella
raccolta, elaborazione o commento della
notizia destinata a formare oggetto di comunicazione di massa; tale opera si distingue
da quelle collaterali o ausiliarie per la creati-
vità, ossia per la presenza, nella manifestazione del pensiero finalizzata all’informazione, di un apporto soggettivo e inventivo,
secondo i criteri desumibili anche dall’art.
2575 c.c. e dall’art. 1 l. n. 633 del 1941 in
materia di protezione delle opere dell’ingegno, letterarie e artistiche”.
Si può, pertanto, ritenere che si possa configurare la cessione dei diritti d’autore tutte le
volte in cui oggetto della cessione sia un’opera originale e creativa (articoli, interviste e
servizi giornalistici, progetti grafici giornalistici, servizi fotogiornalistici). Tonino Morina su
Il Sole 24 Ore del 21 giugno 1999, rispondendo a un pubblicista che erroneamente
aveva aderito all’Inps/2, ha scritto: “Il conferimento dell’opera dell’ingegno da parte
dell’autore, sia esso a titolo di cessione o di
mera concessione (la differenza è esclusivamente civilistica, mentre ai fini fiscali è irrilevante), e indipendentemente dall’occasionalità della produzione stessa, è fonte generatrice di quella tipologia di redditi che trova il
suo regime impositivo nell’articolo 50,
comma 8 del Tuir, ed è tassato quindi in capo
al percettore per un importo corrispondente
all’ammontare dei proventi in denaro o in
natura percepiti nell’anno solare, ridotto del
25% a titolo di deduzione forfettaria delle
spese. Si noti infine che ai sensi della legge
8 agosto 1995, n. 335, articolo 2, comma 26,
nessun versamento è dovuto alla gestione
separata dell’Inps, la quale abbraccia solo i
redditi di lavoro autonomo prodotti in forma
abituale di cui al primo comma dell’articolo
49, e quelli derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa indicati alla
lettera a) del comma 2 dell’articolo 49”.
Il presidente dell’Inpgi e con lui l’ex ministro
del Lavoro dei governi D’Alema/Amato,
cercando di stabilire quando non si può appli-
care il diritto d’autore, teorizzano che tale
formula non vale per i giornalisti quando un’opera è “tesa ad esaurire la sua funzione con
la prima e tempestiva diffusione”; quindi, se
ne deduce, la formula vale invece in caso
contrario, cioè dove l’articolo non “muore”
affatto con la prima pubblicazione. Ebbene: di
norma i giornalisti che applicano il diritto d’autore, almeno nel caso di settimanali e soprattutto di mensili, cedono la proprietà dei loro
articoli non solo per la “prima e tempestiva
diffusione”, ma anche per le eventuali pubblicazioni successive, che di fatto non sono solo
“eventuali”, perché le riviste ripubblicano i
testi su siti web, cd, pubblicazioni distribuite
all’estero. Ergo: se gli stessi Salvi e Cescutti,
pur avendo come obiettivo la limitazione
dell’uso del diritto d’autore da parte dei giornalisti, ammettono di fatto che questo diritto
si può applicare nel caso di testi destinati alla
ripubblicazione, le pretese dell’Inpgi/2 appaiono deboli e con fondamenta di argilla.
I parametri dell’Inpgi svelano una impronta
dirigistica degna di altri regimi e non tengono conto dell’evoluzione delle tecnologie
informatiche e delle banche dati. Le aziende
editoriali in base alla legge n. 633/1941
hanno il diritto di sfruttamento delle opere
dell’ingegno acquisite attraverso liberi
contratti individuali e pubblicate nei loro giornali e periodici. I giornalisti hanno diritto, con
accordi scritti, di tutelare la loro produzione
intellettuale (utilizzando anche i principi
contenuti nell’articolo 14 del vigente Cnlg).
Anche i quotidiani e le agenzie di stampa –
come i periodici – immagazzinano articoli e
servizi giornalistici nelle banche dati e cedono a terzi, dietro pagamento, questi articoli e
questi servizi giornalistici. Sono pochissimi
gli articoli che “esauriscono la loro funzione
con la prima e tempestiva diffusione”.
ORDINE
9/10
2004
Nota
18 luglio
2004
CHIARIMENTO INPS
Lavoratori occasionali:
contributi dovuti
dopo i 5.000 euro
Roma, 7 luglio 2004. Con circolare n. 103 del 6 luglio 2004
l’Inps ha fornito alcuni chiarimenti in merito agli obblighi contributivi dei lavoratori occasionali e degli incaricati alle vendite a
domicilio come disciplinato dall’art. 44 della legge 24 novembre 2003, n. 326.
In particolare si precisa che l’esenzione contributiva opera
solo per la fascia dei 5.000 euro e, in caso di superamento di
questo limite di reddito i contributi sono dovuti solo per la
quota di reddito eccedente.
I versamenti vanno effettuati il mese successivo al superamento del limito reddituale entro il giorno 16 utilizzando i codici relativi alle collaborazioni coordinate e continuative.
L’errore dell’ex ministro Salvi
L’ex ministro del Lavoro Salvi non aveva il
potere di abrogare, cambiare, manipolare
o interpretare le leggi (potere che è del
Parlamento, della Corte costituzionale o
della Cassazione). Bisogna ribadire con
forza, invece, quello che Cescutti ha scritto
nella circolare 16 maggio 1996 e ripetuto
nella circolare 26 gennaio 2001: “La legge
prevede che la cessione del diritto d’autore
non comporti l’obbligo di iscrizione alla
Gestione previdenziale separata”! Conseguentemente “non è obbligato a iscriversi
all’Inpgi/2 chi effettua cessioni di diritti
d’autore”. La circolare di Cescutti richiama
una circolare, quella di Salvi, che è un
mostro giuridico!
Non è possibile, sotto il profilo dell’articolo
3 della Costituzione, che le gestioni separate dell’Inps e dell’Inpgi abbiano regole
contrastanti tali da creare disuguaglianze
tra i cittadini (si veda sul punto la sentenza
n. 437/2002 della Corte costituzionale).
Dopo la sentenza n. 5280/2003 del Tar
Lazio, l’Inpgi è maggiormente tenuto a
rispettare le regole che sono dell’Inps
(punto 4 dell’articolo 76 della legge n.
388/2000). Nella sentenza n. 15/1999 la
Corte costituzionale ha scritto: “La garanzia dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile degli enti
privatizzati, che costituisce un principio
direttivo della delega, non attiene tanto alla
struttura dell’ente quanto piuttosto all’esercizio delle sue funzioni. In tal senso il legislatore delegato ha recepito la formulazione della norma delegante inserendo tale
garanzia nella disposizione che disciplina
la gestione degli enti privatizzati (art. 2 del
decreto legislativo n. 509 del 1994). Ma
anche se, considerando isolatamente i
singoli segmenti della formula normativa
adottata dal legislatore, si intendesse l’autonomia organizzativa come elemento del
tutto distinto dalla organizzazione della
gestione amministrativa e contabile, riferita
quindi alla struttura dell’ente ed alla
composizione dei suoi organi, essa non
implicherebbe un’assoluta libertà di configurare le strutture dell’ente e non escluderebbe l’eventuale indicazione di limiti entro
i quali l’autonomia debba essere esercitata”. Il punto 4 dell’articolo 76 della legge n.
388/2000 in effetti fissa per l’Inpgi dei paletti: l’esercizio da parte dell’Inpgi della potestà di autonomia normativa, a decorrere
dalla entrata in vigore della legge n.
388/2000, “richiede il coordinamento
specifico con le norme generali che regolano il sistema contributivo e delle prestazioni previdenziali”.
L’articolo 1 (comma 2) della legge
335/1995 dice: “Le disposizioni della
presente legge costituiscono princìpi
fondamentali di riforma economico-sociale
della Repubblica. Le successive leggi della
Repubblica non possono introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge se non
mediante espresse modificazioni delle sue
disposizioni”. In sostanza ciò che decide
una legge non può essere “corretto” con un
atto amministrativo qual è una circolare
ministeriale. Questo piccolo/grande particolare è finora sfuggito ai vertici dell’Inpgi,
che vogliono “tassare” le opere dell’ingegno dei giornalisti in forza di una circolare
ministeriale.
Conclusioni
• I compensi a titolo di cessione di diritti d’autore costituiscono redditi di lavoro autonomo ai
sensi dell’articolo 49 (comma 2, lettera b) del Dpr n. 917/1986 e, come tali, ridotti del 25%
(art. 50, comma 8, del Dpr n. 917/986), sono soggetti a ritenuta d’acconto del 20 % (art. 25
del Dpr n. 600/1973). Gli stessi non sono tra quelli assoggettati alle gestioni separate come
“i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a),
dell’articolo 49 del medesimo testo unico”!!!
• la ritenuta d’acconto del 20% si applica in sostanza sul 75% del compenso a titolo di
cessione di diritti d’autore (art. 110 della legge 633/1941 e art. 2581 del Codice civile);
• i compensi collegati alla cessione di diritti d’autore vanno denunciati fiscalmente nel Modello unico (Quadro RE) o nel Modello 730 (Quadro D);
• chi cede i propri diritti sulle opere dell’ingegno (articoli, servizi giornalistici o fotografici,
progetti grafici) non paga il 12% all’Inpgi/2. La legge 335/1995, il Dlgs 103/1996, l’Inps, il
Regolamento dell’Inpgi/2, la Cassazione civile, il ministero delle Finanze e… la circolare 16
maggio 1996 dell’Inpgi escludono dalla gestione separata i “soggetti” che ricadono nel
campo della cessione dei diritti d’autore.
• “La trasmissione dei diritti di utilizzazione deve essere provata per iscritto” (articolo 110 della
legge 633/1941 sul diritto d’autore).
• Chi ha compiuto i 65 anni non ha obbligo di iscrizione all’Inpgi/2. Dice il comma 6 dell’articolo del Regolamento: “I giornalisti che hanno compiuto il 65° anno di età hanno facoltà di
iscriversi alla gestione di cui al comma 1. Gli iscritti che compiono il 65° anno di età senza
avere maturato il diritto a pensione hanno facoltà di continuare a versare all’Istituto i contributi di cui all’art. 3 e seguenti”.
• “La prescrizione dei contributi dovuti all’Istituto interviene con il decorso di 5 anni” (art. 7 del
Regolamento gestione separata Inpgi)
• Chi svolge prestazioni giornalistiche occasionali fino a 5mila euro (comma 2 dell’articolo 44
della legge n. 326/2003) non ha obbligo di iscrizione all’Inpgi/2;
• Le circolari ministeriali e le delibere dell’Inpgi in contrasto con le leggi sopra citate non
possono correggere o cambiare le leggi stesse.
ORDINE
9/10
2004
Non esistono cittadini
di serie A e di serie B:
la gestione separata dell’Inps
non chiede quattrini a chi realizza
proventi collegati alle opere
dell’ingegno.
Perché l’Inpgi/2
si comporta diversamente?
Come rispondere
all’Inpgi/2:
due possibili
repliche
L’Inpgi annuncia che non
riconoscerà il diritto d’autore
a partire dall’anno fiscale 2001,
ma tace sulla legge che avrebbe
assoggettato a contribuzione
i proventi derivanti
dalle opere dell’ingegno.
In verità quella legge non esiste
Eppure Gabriele Cescutti
(presidente Inpgi)
il 16 maggio 1996 ha scritto:
“Non è obbligato a iscriversi
all’Inpgi/2 chi effettua cessioni
di diritti d’autore”
Milano, 18 luglio 2004. Con una lettera
raccomandata 6 luglio 2004, il dirigente
(Giuseppina Cappa) della gestione separata
dell’Inpgi (o Inpgi/2) ha annunciato che l’Istituto riconosce la cessione dei diritti d’autore
fino all’anno fiscale 2000, ma non dal 2001
in poi. Bisogna chiedere all’Istituto di rivelare
quale legge a partire dal 2001 ha modificato
detto regime, assoggettando a contribuzione
i proventi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno. In verità quella
legge non esiste. La posizione dell’Inpgi è
contraddittoria e non rispetta le legislazione
dell’Inps alla quale è tenuta ad adeguarsi
(art. 76 della legge n. 388/200). L’articolo 76
della legge n. 388/2000 prevede infatti che
“le forme previdenziali gestite dall’inpgi devo-
no essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria sia generali che sostitutive”. Non
esistono cittadini di serie A e di serie B: la
gestione separata dell’Inps non chiede quattrini a chi realizza proventi collegati alle
opere dell’ingegno. Perché l’Inpgi/2 si
comporta diversamente?
Dall’archivio elettronico della gestione separata dell’Inpgi affiora una circolare 16 maggio
1996 firmata da Gabriele Cescutti la quale
dice esattamente il contrario rispetto a quanto ha scritto Giuseppina Cappa. Riportiamo
una parte di quella interessante circolare
(http://www.inpgi.it/inpgi/inpgi.nsf) allineata ai
criteri operativi dell’Inps:
CHI NON È TENUTO
ALL’ISCRIZIONE
In base alla legge le esclusioni sono due.
1) Non è obbligato chi svolge attività occasionale. In tal caso l’attività giornalistica è saltuaria
e sporadica. Non può sicuramente costituire la fonte principale di reddito e nemmeno una
fonte secondaria permanente, in quanto non sussiste un rapporto fisso con l’editore. I servizi
vengono resi in via eccezionale, anche se su specifica ordinazione, e non sussiste alcuna
situazione giuridica che garantisca la prosecuzione del rapporto, il conseguimento di ulteriori
compensi o la pretesa dell’editore di ricevere altri servizi.
In senso tecnico specifico il soggetto non è nemmeno considerato ai fini fiscali come lavoratore autonomo tanto che, oltre a non essere tenuto all’apertura di partita Iva, in sede di dichiarazione dei redditi non è neanche tenuto alla compilazione del quadro E, ma del differente
quadro L.
Conseguentemente non ha la possibilità di iscriversi ad alcuna forma di previdenza, né deve
versare contributi, né può pretendere prestazioni.
2) Non è obbligato all’iscrizione chi effettua cessioni di diritti d’autore. Possono essere considerate tali esclusivamente quelle prestazioni che esplicitamente sono regolate tra le parti
(azienda editoriale e giornalista) come cessione del diritto d’autore, e che come tali sono
soggette all’imposizione Irpef. La cessione dei diritti d’autore, se effettuata direttamente
dall’autore stesso, è esente da Iva ed in sede di dichiarazione dei redditi deve essere compilata nella sezione II del quadro E (in apposito rigo, differente da quello di cui all’ipotesi di
collaborazione coordinata e continuativa) con l’indicazione dei compensi lordi effettivamente
percepiti e dai quali viene detratta una percentuale forfetaria a titolo di riconoscimento delle
spese sostenute.
Anche in questo caso non è previsto obbligo (né possibilità) di iscrizione ad alcuna forma di
previdenza. Fto Gabriele Cescutti”.
segue
3
Segue - Inpgi/2
e diritto d’autore
http://www.odg.mi.it/autore02.htm
I giornalisti-autori non
sono “clienti” dell’Inpgi/2
Lo dicono Cassazione e
ministero delle Finanze
La Sezione lavoro della Cassazione (sentenza 1° giugno
1998, n. 5370) ha ritenuto applicabile la tutela del diritto d’autore all’opera giornalistica. La massima giurisprudenziale
suona così: “Può qualificarsi come giornalistica l’opera svolta in favore di editori di quotidiani e periodici, di agenzie
d’informazione o di emittenti televisive, ove esplicata con
energie prevalentemente intellettuali e consistente nella
raccolta, elaborazione o commento della notizia destinata a
formare oggetto di comunicazione di massa; tale opera si
distingue da quelle collaterali o ausiliarie per la creatività,
ossia per la presenza, nella manifestazione del pensiero
finalizzata all’informazione, di un apporto soggettivo e inventivo, secondo i criteri desumibili anche dall’art. 2575 c.c. e
dall’art. 1 l. n. 633 del 1941 in materia di protezione delle
opere dell’ingegno, letterarie e artistiche”.
Circolare 26 gennaio 2001 n. 7/E del ministero delle
Finanze: “L’articolo 34 della legge 21 novembre 2000, n.
342, tramite l’inserimento della lettera c-bis) nell’articolo 47
del Tuir. (Dpr. n. 917 del 1986) e la soppressione di alcune
disposizioni, ha modificato il regime fiscale delle collaborazioni coordinate e continuative in precedenza assimilate
dalla lettera a) dell’articolo 49, ai redditi di lavoro autonomo.
Tali modifiche non hanno interessato la lettera b) dell’articolo
49 del Tuir concernente i compensi derivanti dall’utilizzazione di opere e invenzioni tutelate dalle norme sul diritto d’autore. Tali compensi pertanto continuano a costituire redditi di
lavoro autonomo”.
Il ministero delle Finanze in data 30 gennaio 1996 aveva
precisato che “quando la collaborazione resa a giornali o riviste ha per oggetto la cessione di un’opera dell’ingegno tutelata dalle norme sul diritto d’autore, il corrispondente provento va qualificato, ai fini fiscali, come diritto d’autore. In sostanza la cessione dei diritti fa “zona franca”.
Parere della Direzione delle entrate per la Lombardia:
“Tutte le volte che si realizza la cessione di un’opera dell’ingegno di carattere creativo, tutelata e disciplinata dagli articoli 2575 e seguenti del Codice civile e dalla legge 22.4.1941
n. 633, il relativo compenso costituisce reddito rientrante
nella previsione dell’articolo 49, comma 2, lettera b, del Tuir”.
L’argomento è stato affrontato nel gennaio 1996 dall’Ordine
della Lombardia. Allora il rischio era quello di dover versare il
10% all’Inps. La legge sul diritto d’autore (n. 633/1941)
apparve l’ancora di salvezza. L’Ordine raccomandò: “La
cessione dei diritti d’autore (articolo, servizio giornalistico o
fotografico, progetto grafico) deve risultare da una contrattazione scritta tra le parti (articolo 2581 del Codice civile e articolo 110 della legge sul diritto d’autore n. 633/1941)”.
Il principio 137 approvato nel 1999 dalla Commissione
per le norme di comportamento in materia tributaria
dell’Associazione dottori commercialisti di Milano ritiene
che il diritto d’autore è tutelato quanto un’opera è caratterizzata da: creatività (è necessario apportare qualche novità,
anche modesta), originalità (si deve differenziare dalle consimili) e concretezza (deve essere in forma idonea a essere
resa pubblica e riprodotta). Non può essere tale anche un
articolo pubblicato su un giornale?
Come rispondere all’Inpgi/2:
due possibili repliche
REPLICA
1
Una risposta
possibile
alla raccomandata
della signora
Cappa
REPLICA
2
La possibile
risposta
suggerita
dal presidente
dell’Ogl Franco
Abruzzo
Appare opportuno
diffidare
e mettere
in mora l’Istituto
data ................
Raccomandata ar
Spett.le Servizio Contributi
Gestione separata Inpgi (o Inpgi/2)
Via Nizza 35 – 00198 Roma
Preciso che le mie collaborazioni degli anni 1998, 1999 e 2000 cadono tutte
sotto il regime della cessione dei diritti d’autore. Chiedo di conoscere la legge
che a partire dal 2001 ha modificato detto regime, assoggettando a contribuzione i proventi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno.
(firma) .....................................
indirizzo .....................................
data ................
Raccomandata ar
Spett.le Servizio Contributi
Gestione separata Inpgi (o Inpgi/2)
Via Nizza 35 – 00198 Roma
Oggetto: Cessione dei diritti d’autore. Diffida e messa in mora.
La legge n. 335/1995, alla base dell’istituzione della gestione separata Inps e
anche dell’Inpgi/2, ha escluso dall’imponibile contributivo i proventi da opere
dell’ingegno, ricomprendendo “soltanto” i redditi di lavoro autonomo e da
collaborazioni. L’articolo 2, comma 26, che detta queste regole, è riferito alla
gestione Inps. L’articolo 76 (punto 4) della legge n. 388/2000 stabilisce che
“le forme previdenziali gestite dall’Inpgi devono essere coordinate con le
norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di
previdenza sociale obbligatoria, sia generali, che sostitutive”. La legge, quindi, parla chiaro. L’Inpgi, ente sostituivo dell’Inps, si deve adeguare alla normativa dell’Inps. Il diritto d’autore non sconta i contributi all’Inps, quindi - quantomeno per coordinamento - nemmeno all’Inpgi. Il principio costituzionale
dell’uguaglianza di trattamento non lascia spazi di manovra. L’ordinamento
non tollera l’esistenza di cittadini di serie A (quelli iscritti all’Inps) e di cittadini
di serie B (quelli iscritti all’Inpgi). Anche il presidente dell’Istituto era dell’avviso di escludere la cessione dei diritti d’autore dall’imponibile contributivo,
quando ha scritto la circolare 16 maggio 1996 (http://www.inpgi.it/inpgi/
inpgi.nsf) fedelmente allineata ai principi dell’Inps.
L’articolo 1 (comma 2) della legge 335/1995 dice: “Le disposizioni della
presente legge costituiscono princìpi fondamentali di riforma economicosociale della Repubblica. Le successive leggi della Repubblica non possono
introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni”. In sostanza ciò che decide una legge
non può essere “corretto” con un atto amministrativo qual è una circolare
ministeriale. Questo piccolo/grande particolare è finora sfuggito ai vertici
dell’Inpgi, che vogliono “tassare” le opere dell’ingegno dei giornalisti in forza
di una circolare ministeriale.
Questa lettera vale come diffida e messa in mora dell’Istituto, che è tenuto
a rispettare gli articoli 76 (punto 4) della legge n. 388/2000 e 2 (comma 26)
della legge n. 335/1995 in relazione all’articolo 3 della Costituzione.
(firma) .....................................
indirizzo .....................................
UN DATO INDISPENSABILE PER MOLTI ADEMPIMENTI
Appello dell’Inpgi: “Aggiornate subito
il vostro indirizzo”
L’Inpgi ha la necessità di essere costantemente aggiornato sull’esatta residenza
anagrafica di tutti gli iscritti. Questi ultimi,
invece, spesso inviano all’Istituto comunicazioni generiche di variazione d’indirizzo,
senza specificare se si tratti di residenza
anagrafica o di domicilio.
Tutto ciò, quando accade, comporta problemi non indifferenti, in quanto per l’Istituto è
indispensabile avere informazioni precise,
che aiutino a migliorare l’organizzazione e,
quindi, la qualità del servizio reso a chi fa
parte dell’Ente. In questa attività abbiamo
riscontrato che molti iscritti preferiscono ricevere la corrispondenza ad un indirizzo diverso da quello di residenza anagrafica. Per far
fronte a questa esigenza l’Inpgi ha modificato il proprio sistema anagrafico in modo tale
da consentire una doppia registrazione. In
questo modo l’Istituto dispone di due indirizzi, uno corrispondente alla residenza ana-
4
grafica, ed uno al quale spedire la semplice
corrispondenza, le circolari postel e la nostra
rivista “Inpgi Comunicazione”. Come è
nell’interesse dell’iscritto ricevere tempestivamente presso il proprio domicilio tutta la
corrispondenza che lo riguarda, così l’Istituto
chiede ai giornalisti di comunicare all’Ente
l’esatta residenza anagrafica, al fine di
consentire agli uffici di adempiere in modo
corretto agli obblighi imposti dalla legge.
Questa esigenza non riguarda soltanto i
pensionati, ma anche coloro che sono in attività di servizio che percepiscono prestazioni
temporanee, quali trattamento di cassa integrazione, disoccupazione, mobilità, ovvero di
assegno temporaneo di inabilità o trattamento TBC, per i quali l’Istituto è sostituto d’imposta.
Negli anni scorsi, infatti, sono stati emanati
due decreti legislativi (n. 446/97 e n. 360/98)
con i quali sono state istituite nuove imposte,
l’addizionale Irpef regionale e comunale. Tali
imposte devono essere trattenute dall’Inpgi
sui trattamenti economici erogati agli iscritti,
e versati alle Regioni ed ai Comuni in relazione alla residenza anagrafica dei soggetti
fiscali risultanti al 31 dicembre di ogni anno.
È evidente che in questo contesto è assai
rilevante avere a disposizione dati esatti, in
mancanza dei quali l’Inpgi potrebbe compiere in modo inesatto gli adempimenti di legge.
La misura dell’aliquota relativa all’addizionale Irpef comunale, ad esempio, viene determinata dai singoli Comuni.
Di conseguenza, una residenza anagrafica
inesatta potrebbe condurre l’Istituto a
commettere errori, nel momento in cui opera
la trattenuta, sia in riferimento all’individuazione del Comune destinatario dell’imposta,
sia per quanto riguarda la misura dell’aliquota da applicare. A questo riguardo va anche
sottolineato che eventuali responsabilità, da
un punto di vista fiscale, non ricadrebbero
sull’Inpgi che ha effettuato l’adempimento
avvalendosi di dati forniti in modo non esatto
dall’iscritto, ma sull’iscritto medesimo. Per
questo motivo, non soltanto nell’interesse
dell’Istituto ma anche e soprattutto nell’interesse dei giornalisti, tutti gli iscritti sono invitati a comunicare la propria residenza
anagrafica ed un altro eventuale domicilio
per la corrispondenza.
A tal fine è stato predisposto un modulo
reperibile presso il nostro Ufficio Pensioni di
Roma (Via Nizza, 35) e presso tutti gli Uffici
di corrispondenza regionali. Sarà possibile
scaricare il facsimile di modulo anche dal
nostro sito www.inpgi.it, nella sezione dedicata alla modulistica (sotto. il nome “variazione residenza- domicilio”).
(Inpgi comunicazione n. 1-6/2004)
ORDINE
9/10
2004
INTERVISTA ALLO PSICHIATRA MICHELE PICCIONE
È la 626 a fare riferimento
alle responsabilità del datore
di lavoro, che è tenuto
all’integrità psicofisica
del lavoratore.
Deve fare sì che nel luogo
di lavoro non vi siano motivi
di disagio né fisici né psichici
Nel caso del lavoro giornalistico
potremmo dire che deve
permettere ai giornalisti di vivere
in una realtà che consenta loro
di espletare le funzioni, che
immagino sono quelle di raccogliere
notizie, di scrivere senza disagio.
Né fisico né psichico
Mobbing, le responsabilità
dell’editore sono nella legge
di Paola Pastacaldi
Michele Piccione è il presidente della
Commissione voluta dalla presidenza del
Consiglio dei ministri, ed istituita dal ministro
per la Funzione pubblica, Franco Frattini, con
il compito di fornire una definizione del fenomeno “mobbing”, indicare come prevenirlo e
fornire anche una bozza di carattere normativo.
La Commissione ha assolto al proprio
compito consegnando nel gennaio del 2003
una bozza di legge contro la “Violenza morale o psichica in occasione di lavoro (mobbing)”. Michele Piccione è titolare della cattedra di clinica psichiatrica dell’Università “La
Sapienza” di Roma ed è direttore del “Centro
per la valutazione, la diagnosi e la terapia
contro il mobbing”.
Che doveri ha il datore di lavoro verso il
lavoratore come ambiente di lavoro?
cosa dice la legge?
È la 626 a fare riferimento alle responsabilità
del datore di lavoro, che è tenuto all’integrità
psicofisica del lavoratore. Deve fare sì che
nel luogo di lavoro non vi siano motivi di disagio né fisici né psichici.
Nel caso del lavoro giornalistico potremmo
dire che deve permettere ai giornalisti di
vivere in una realtà che consenta loro di
espletare le funzioni, che immagino sono
quelle di raccogliere notizie, di scrivere
senza disagio. Né fisico né psichico.
Cosa è allora il mobbing? Molti tendono
a qualificarlo come gelosia e rivalità tra
colleghi o superiori.
La Commissione ne ha dato una definizione,
dopo aver preso in esame la letteratura internazionale sull’argomento e valutato tutte le
proposte e i disegni di legge giacenti alla
Camera ed al Senato. L’articolo 1 della bozza
di legge ha definito il mobbing in questo
modo: “Atti, atteggiamenti o comportamenti
di violenza morale o psichica in occasione di
lavoro, ripetuti nel tempo in modo sistematico o abituale che portano ad un degrado
delle condizioni di lavoro idoneo a compromettere la salute o la professionalità o la
dignità del lavoratore”.
La bozza dà anche indicazioni utili alla valutazione del nesso di causalità e fornisce
criteri per la prevenzione. Perché oggi accade che i pochi centri che si occupano di tale
problematica agiscano e funzionino in modo
non omogeneo, sia per quanto riguarda i
criteri ed i modelli valutativi, sia per quanto
attiene i risvolti medico legali che inevitabilmente scaturiscono dal conflitto lavoratoredatore di lavoro. Appare indispensabile, quindi, uniformare a livello nazionale le attività
dei vari centri.
Che finalità ha il ricorso al mobbing?
Il mobbing ha come finalità quella di escludere volutamente qualcuno dal lavoro, esercitando contro di lui una violenza morale o
psichica.
Nel caso di attività mobbizzanti esercitate
dai colleghi è indispensabile differenziarle
da quella che è invece la competizione e/o
dal carrierismo. Competizione e carrierismo
rispondono a comportamenti diversi,
sempre più o meno eticamente corretti, in
funzione della personalità, dell’educazione
e di tante altre variabili. Perché queste azioni divengano atti di mobbing è indispensabile che ci sia la costruzione di una persecuzione che, come in altra occasione ho
avuto l’opportunità di evidenziare (vedi
Tabloid n. 4/2004), transita attraverso delle
modalità definite.
Il mobbing si verifica quando qualcuno decide che qualcun altro deve essere escluso dal
lavoro e tale risultato deve essere raggiunto
in modo non dichiarato, ma come espressione della distruzione psicofisica dell’altro. Il
mobbing c’è quando l’attività è sottile, fatta
nell’oscurità, quando la violenza morale è
messa in atto in modo subdolo. Al giornalista
si può fare mobbing non pubblicandogli un
articolo, non facendolo scrivere, impedendo
che gli arrivino le notizie, facendogliele riscrivere varie volte, dicendo ai colleghi di isolarlo, di non andare a pranzo con lui, andando
a dire in giro che ha relazioni più o meno lecite con tizio o caio, che guadagna di più,
mettendo in circolazione su di lui maldicenze
e calunnie, creandogli così un isolamento
reale.
Il tutto in modo non chiaro. Racconto, per
fare un esempio, un fatto realmente accaduto, terribilmente vero ed illuminante di cosa
significa mobbizzare una persona. C’era un
impiegato che lavorava in un enorme palazzo, dove tutti erano dipendenti della stessa
azienda. Fu mobbizzato. Nessuno più gli
parlava, viveva in una stanza da solo a non
fare nulla.
Un giorno scoppiò un incendio nel palazzo,
tutti scapparono, quando arrivarono i
pompieri e, aprirono anche la sua porta lo
videro lì seduto. “Che fa?”, gli chiesero.
“Perché non è scappato?”. L’impiegato con
atteggiamento meravigliato disse che non
sapeva nulla dell’incendio, perché nessuno
si era ricordato di lui e lo aveva avvisato del
pericolo: i colleghi se l’erano dimenticato.
Quello non esisteva più. Era come se fosse
morto.
Ma perché fare tutto questo? È una perdita di tempo e denaro. Le persone si
ammalano e l’azienda ci rimette, credo.
Le azioni di mobbing sono finalizzate a creare un disagio psicofisico per espellere, far
espellere una persona. O perché si espella
da sola, per collassarla: l’obiettivo può anche
essere quello di chiudergli la bocca, come
nel caso dei giornalisti, rompergli metaforicamente la penna e il computer.
A questo punto il mobbizzato potrebbe reagire, anche se le dinamiche che la violenza
morale mette in atto sono pesanti. Non è
così facile arrivare a parlarne, a denunciare
l’aggressione. Ma dalla ricerche emerge che
si tratta di un piano qualche volta programmato a tavolino.
Abbiamo diviso il processo del mobbizzare
in tre momenti. Nel primo, viene identificata
la vittima e messa in atto la strategia. Il
mobbizzato è totalmente ignaro, non capisce, non crede a ciò che gli accade, e lascia
inevitabilmente trascorrere il tempo prima di
reagire e quasi sempre anche troppo. Intanto il mobber mette in atto le sue azioni per
non farlo lavorare e isolarlo.
Nel secondo momento, il mobbizzato trova il
coraggio di parlare con il mobber. E quest’ultimo nega ogni lamentela, gli dice che c’è un
equivoco, che si tratta di coincidenze, di errori, e ribatte per lamentarsi a sua volta, accusandolo di aver lavorato male. E, comunque,
dice che non è vero niente.
Questo provoca l’identificazione con il persecutore, infatti, il mobbizzato crede che sia
tutto chiarito, mentre in realtà è stato disarmato ancora di più. Il mobber gli ha tolto
l’energia dell’accusa.
Il terzo momento non può che essere quello
legale. Il mobbizzato deve correre ai ripari
con l’unica pratica che gli è rimasta, quando
si accorge che le sue istanze non sono state
raccolte da nessuna delle figure istituzionali
responsabili che dovrebbero evitare questo
disagio, intendo i capi, l’ufficio del personale,
il direttore. Quando c’è la crisi di tutti questi
moduli di comportamento si arriva al
momento della legge.
Chi è il mobber?
È colui che decide di mobbizzare e che
pensa di eliminare dal lavoro una persona,
usando una strategia che non è il licenziamento. Crea dunque un clima di una paura,
di tensione, di non libertà.
Il sistema giuridico non consente licenziamenti facili....
Per questo si usa il mobbing. Perché i licenziamenti sono difficili. Ma chi mobbizza può
anche usare un altro metodo, blandire le
persone. Per esempio, dopo anni di isolamento, nei giornali capita che il direttore e i
capiredattori si facciano vivi con espressioni
di improvvisa considerazione e commissioni
di pezzi interessanti, viaggi, parole di encomio mai avute prime.... Dopo anni di maltrattamenti, questo è un modo subdolo ed efficace per mistificare le cose. Difficile non
cadere nel tranello. A volte viene usato come
schermo contro le azioni legali o per far
collassare la persona, per spomparla definitivamente.
E magari si ripesca la vittima, trattandola
meglio.
È un falso ripescaggio, gli danno una falsa
opportunità e dopo gli avanzano una richiesta di complicità.
Per fare cosa?
Per isolare altri colleghi, per esempio, per
renderlo complice delle azioni di mobbing.
E la fase tre, quella legale, a suo avviso, è
inevitabile, perché?
È l’unico momento in cui colui che fa
mobbing soffre. Ma bisogna essere preparati ed in questo consiste anche la prevenzione che si dovrebbe mettere in atto nel periodo in cui si subiscono le violenze.
Bisogna reagire appena ci si accorge che
qualcosa non funziona, che accadono delle
ingiustizie, dirlo, comunicarlo per iscritto,
informarne il sindacato, l’ufficio del personale, i direttori. Non poche volte l’attività
mobbizzante comincia con delle provocazioni ed è già in quel momento che bisogna
capire che è in atto una aggressione. Come
si diceva, è questo il momento utile per
denunciare, creare documentazione di ciò
che è accaduto, scrivere al direttore, al superiore, al direttore del personale, denunciare il
maltrattamento, perché altrimenti il mobbizzato non ha in mano nulla, solo la sua parola contro quella dell’altro.
Il mobber trema di fronte alle vicende legali,
perché è l’unico momento in cui è allo
scoperto perché ha sempre fatto attività
subdola, oscura, una guerra non dichiarata.
Ma è bene ricordare che legalmente l’onere
della prova spetta al mobbizzato. Perciò il
mobbizzato che si vuole difendere deve
costruire delle prove, denunciando sempre
tutto per iscritto di volta in volta.
PROMOSSO E ORGANIZZATO DAL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DELLA LOMBARDIA
Via al VII Concorso tesi di laurea sul giornalismo
Sette sezioni: a ogni vincitore 2.500 euro
I candidati dovranno consegnare le tesi entro dicembre
Milano, 2 luglio 2004. Promosso dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia,
prende il via la settima edizione del “Concorso” destinato a valorizzare le tesi di laurea dedicate al giornalismo e alle istituzioni della professione. Giudice insindacabile del Premio è lo
stesso Consiglio dell’Ordine. Le tesi (in unica copia e anche su dischetto in programma
word oppure rtf) dovranno pervenire alla segreteria dell’Ordine (via Appiani 2 - 20121 Milano) entro il 31 dicembre 2004. Le tesi, comunque, non verranno restituite. Ogni candidato
dovrà presentare la domanda in carta semplice corredata dai dati anagrafici comprensivi del
codice fiscale, recapiti telefonici e residenza. Potranno concorrere le tesi discusse nelle
Università italiane (pubbliche e private) nel periodo gennaio-dicembre 2004 a conclusione
dei corsi quadriennali e quinquennali nonché dei corsi biennali specialistici post
laurea triennale (laurea magistrale). Le sezioni del Premio (al quale ogni candidato dovrà
far riferimento) sono sette e ogni vincitore di sezione riceverà 2.500 euro. L’impegno finanziario dell’Ordine è, pertanto, di 17.500 euro complessivi. La cerimonia della consegna avverrà
ORDINE
9/10
2004
in occasione dell’assemblea degli iscritti all’Albo dell’Ordine della Lombardia. La cerimonia,
quindi, è prevista per il marzo 2005 al Circolo della Stampa. Estratti (di 400 righe) delle tesi
premiate (e segnalate) verranno pubblicati su Tabloid, organo mensile dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Per la valutazione delle tesi il Consiglio si avvarrà, come lo scorso
anno, dell’opera di consulenti (giornalisti e professori universitari).
Queste le sezioni:
1) Storia del giornalismo italiano, dei suoi interessi e dei suoi protagonisti, anche attraverso le vicende storiche e di costume che lo hanno impegnato.
2) Storia del giornalismo occidentale.
3) Istituzioni della professione giornalistica. La deontologia e l’inquadramento contrattuale
dei giornalisti in Italia, in Europa e nel resto del mondo occidentale.
4) Giornalismo radiotelevisivo.
5) Giornalismo telematico.
6) Giornalismo economico e finanziario..
7) Giornalismo culturale, sociale, scientifico, sportivo e di costume.
5
ANCHE PER FAR FRONTE AGLI OBBLIGHI FISCALI (ADDIZIONALE REGIONALE E ADDIZIONALE COMUNALE PREVISTE
L’Inpgi recentemente
ha chiesto ai propri iscritti
di comunicare all’Ente
“l’esatta residenza
anagrafica,
al fine di consentire
agli uffici di adempiere
in modo corretto
agli obblighi imposti
dalla legge”
Negli anni scorsi,
infatti,
sono stati emanati
– scrive l’Inpgi –
due decreti legislativi
(n. 446/97 e n. 360/98)
con i quali sono
state istituite nuove imposte,
l’addizionale Irpef
regionale comunale
Tali imposte devono essere
trattenute dall’Inpgi
sui trattamenti economici
erogati agli iscritti,
e versati alle Regioni
e ai Comuni in relazione
alla residenza anagrafica
dei soggetti fiscali risultanti
al 31 dicembre
di ogni anno
A questo riguardo va anche
sottolineato che eventuali
responsabilità,
da un punto di vista fiscale,
non ricadrebbero sull’Inpgi,
che ha effettuato
l’adempimento avvalendosi
di dati forniti in modo
non esatto dall’iscritto,
ma sull’iscritto medesimo
Quanti hanno la dimora abituale
in un dato centro hanno l’obbligo
di fissarvi la residenza anagrafica
(e di iscriversi al relativo Albo)
di Franco Abruzzo
L’Inpgi recentemente ha chiesto ai propri iscritti di comunicare all’Ente “l’esatta residenza
anagrafica, al fine di consentire agli uffici di adempiere in modo corretto agli obblighi imposti
dalla legge. Questa esigenza non riguarda soltanto i pensionati, ma anche coloro che sono in
attività di servizio che percepiscono prestazioni temporanee, quali trattamento di cassa integrazione, disoccupazione, mobilità, ovvero di assegno temporaneo di inabilità o trattamento
tbc, per i quali l’Istituto è sostituto d’imposta”.
“Negli anni scorsi, infatti, sono stati emanati – scrive l’Inpgi – due decreti legislativi (n. 446/97
e n. 360/98) con i quali sono state istituite nuove imposte l’addizionale Irpef regionale e comunale. Tali imposte devono essere trattenute dall’Inpgi sui trattamenti economici erogati agli
iscritti, e versati alle Regioni ed ai Comuni in relazione alla residenza anagrafica dei soggetti
fiscali risultanti al 31 dicembre di ogni anno. È evidente che in questo contesto è assai rilevante avere a disposizione dati esatti, in mancanza dei quali 1’Inpgi potrebbe compiere in
modo inesatto gli adempimenti di legge. La misura dell’aliquota relativa all’addizionale Irpef
comunale, ad esempio, viene determinata dai singoli Comuni.
Di conseguenza, una residenza anagrafica inesatta potrebbe condurre l’Istituto a commettere errori, nel momento in cui opera la trattenuta, sia in riferimento all’individuazione del
Comune destinatario dell’imposta, sia per quanto riguarda la misura dell’aliquota da applicare. A questo riguardo va anche sottolineato che eventuali responsabilità, da un punto di
vista fiscale, non ricadrebbero sull’Inpgi che ha effettuato l’adempimento avvalendosi di
dati forniti in modo non esatto dall’iscritto, ma sull’iscritto medesimo. Per questo motivo,
non soltanto nell’interesse dell’Istituto ma anche e soprattutto nell’interesse dei giornalisti,
tutti gli iscritti sono invitati a comunicare la propria residenza anagrafica ed un altro eventuale domicilio per la corrispondenza”.
Una delibera del Consiglio nazionale (5 luglio 2002) “dà la facoltà”, - in applicazione del principio di equiparazione tra residenza e domicilio professionale (l’art. 16 della legge 21 dicembre 1999 n. 526) ai fini dell’iscrizione negli albi professionali anche nei confronti dei giornalisti
che abbiano fissato nel territorio italiano sia la residenza che il domicilio professionale -, “di
opzione agli iscritti nell’Albo dei giornalisti circa l’utilizzo dell’uno o l’altro requisito ai
fini dell’iscrizione medesima, ferma restando in ogni caso l’osservanza delle norme in
tema di residenza, con i relativi obblighi derivanti dall’art. 3, primo comma, del Dpr n.
223/1989, che identifica la residenza anagrafica nel luogo dove si ha la dimora abituale”.
Presso ogni Consiglio dell’Ordine regionale è istituito - dice l’articolo 26 della legge n. 69/1963 l’Albo dei giornalisti che hanno la residenza nel territorio compreso nella circoscrizione del
Consiglio. La residenza, quindi, determina l’appartenenza a un determinato Albo. L’articolo 16
della legge n. 526/1999 equipara residenza e domicilio professionale.
Chi, comunque, “ha la dimora abituale” (per ragioni di stabile occupazione lavorativa) in un
dato centro ha l’obbligo giuridico di fissarvi la sua residenza anagrafica (articolo 3, prima
comma, del Dpr n. 223/1989 in relazione all’articolo 43 del Codice Civile) anche per far fronte
ai suoi obblighi fiscali (addizionale regionale e addizionale comunale previste dai decreti
legislativi n. 446/1997 e n. 360/1998). In sostanza “l’imposta è dovuta alla regione o al
Comune nel cui territorio il reddito è stato prodotto”.
L’articolo 43 del Codice civile fissa il domicilio di una persona “nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”, mentre “la residenza è nel luogo in cui la
persona ha la dimora abituale”.
L’articolo 3 del Dpr n. 223/1989 (“popolazione residente”) afferma: “1. Per persone residenti
nel comune s’intendono quelle aventi la propria dimora abituale nel comune. 2. Non cessano
di appartenere alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti in altri
comuni o all’estero per l’esercizio di occupazioni stagionali o per causa di durata limitata”. La
RASSEGNA NORMATIVA
Dlgs n. 446/1997
Articolo 3. Soggetti passivi
1. Soggetti passivi dell’imposta sono coloro
che esercitano una o più delle attività di cui
all’articolo 2. Pertanto sono soggetti all’imposta (2/a):
c) le persone fisiche, le società semplici e
quelle ad esse equiparate a norma dell’articolo 5, comma 3, del predetto testo unico
(Dpr 22 dicembre 1986, n. 917) esercenti arti
e professioni di cui all’articolo 49, comma 1,
del medesimo testo unico (3/cost);
Articolo 21. Domicilio dei soggetti passivi
1. Ogni soggetto passivo si considera domiciliato nel comune nel quale ha il domicilio
fiscale secondo le disposizioni previste dal
D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600.
Articolo 24. Poteri delle regioni
1. Le regioni a statuto ordinario possono
disciplinare, con legge, nel rispetto dei
princìpi in materia di imposte sul reddito e di
quelli recati dal presente titolo, le procedure
applicative dell’imposta, ferme restando le
disposizioni degli articoli 19, da 21 a 23, e
da 32 a 35.
Articolo 27. Compartecipazione dei comuni
e delle province al gettito dell’imposta
1. A decorrere dall’anno di entrata in vigore
6
del presente decreto le regioni devolvono ad
ogni comune e ad ogni provincia del proprio
territorio una quota del gettito della imposta
regionale sulle attività produttive pari, per il
comune, al gettito riscosso nel 1997 per
tasse di concessione comunale e per imposta comunale per l’esercizio di impresa,
arti e professioni, al netto della quota di
spettanza della provincia, e, per la provincia, all’ammontare di questa quota al lordo
di quella spettante allo Stato a norma
dell’articolo 6 del decreto-legge 2 marzo
1989, n. 66, convertito, con modificazioni,
dalla legge 24 aprile 1989, n. 144 (21).
Articolo 50. Istituzione dell’addizionale
regionale all’imposta sul reddito delle
persone fisiche
1. È istituita l’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche. L’addizionale regionale non è deducibile ai fini di
alcuna imposta, tassa o contributo.
2. L’addizionale regionale è determinata
applicando l’aliquota, fissata dalla regione in
cui il contribuente ha la residenza, al reddito
complessivo determinato ai fini dell’imposta
sul reddito delle persone fisiche, al netto
degli oneri deducibili riconosciuti ai fini di tale
imposta.
L’addizionale regionale è dovuta se per lo
stesso anno l’imposta sul reddito delle
persone fisiche, al netto delle detrazioni per
essa riconosciute e dei crediti di cui agli arti-
coli 14 e 15 del citato testo unico, risulta
dovuta.
3. L’aliquota di compartecipazione dell’addizionale regionale di cui al comma 1 è fissata allo 0,9 per cento (42/a). Ciascuna regione, con proprio provvedimento, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 30
novembre dell’anno precedente a quello cui
l’addizionale si riferisce, può maggiorare
l’aliquota suddetta fino all’1,4 per cento.
Dlgs n. 360/1998
Articolo 6. L’addizionale è dovuta alla
provincia ed al comune nel quale il
contribuente ha il domicilio fiscale alla data
del 31 dicembre dell’anno cui si riferisce l’addizionale stessa, per le parti spettanti,
ovvero, relativamente ai redditi di lavoro
dipendente e a quelli assimilati ai medesimi
redditi, al comune in cui il sostituito ha il
domicilio fiscale alla data di effettuazione
delle operazioni di conguaglio relative a detti
redditi, ed è versata, unitamente all’imposta
sul reddito delle persone fisiche, con le
modalità stabilite con decreto del ministro
delle Finanze, di concerto con i ministri del
Tesoro, del bilancio e della programmazione
economica e dell’Interno.
Dpr n. 917/1986
Articolo 2. Soggetti passivi.
1. Soggetti passivi dell’imposta sono le
persone fisiche, residenti e non residenti nel
territorio dello Stato.
2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior
parte del periodo di imposta sono iscritte
nelle anagrafi della popolazione residente o
hanno nel territorio dello Stato il domicilio o
la residenza ai sensi del codice civile.
2-bis. Si considerano altresì residenti, salvo
prova contraria, i cittadini italiani cancellati
dalle anagrafi della popolazione residente ed
emigrati in Stati o territori aventi un regime
fiscale privilegiato, individuati con decreto del
ministro delle Finanze da pubblicare nella
Gazzetta Ufficiale (4).
————————————
(4) Comma aggiunto dall’art. 10, L. 23
dicembre 1998, n. 448, riportata alla voce
Amministrazione del patrimonio e contabilità
generale dello Stato. Gli Stati e i territori con
un regime fiscale privilegiato sono stati
individuati con D.M. 4 maggio 1999.
ORDINE
9/10
2004
DAI DECRETI LEGISLATIVI N. 446/1997 E N. 360/1998)
LE DISPOSIZIONI A PARTIRE DAL 1° GENNAIO 2004
Con provvedimento
23 ottobre 2003
l’Agenzia delle entrate
ha indicato gli uffici
competenti a stabilire
il domicilio fiscale
del contribuente in un
comune diverso da quello
della residenza anagrafica
o della sede legale
Se la modifica
è nell’ambito
della stessa regione,
vi provvede
il direttore regionale;
se tra regioni diverse,
il direttore centrale
dell’Accertamento
Domicilio fiscale,
cambiano
le competenze per
i provvedimenti
giurisprudenza sulla residenza è eloquente: “Ai sensi dell’art. 43 comma 2, c.c. e dell’art. 3
Dpr. 30 maggio 1989 n. 223, la residenza come dimora abituale, cioè stabile, è data dall’elemento oggettivo della permanenza in un dato luogo, la quale non è incompatibile con eventuali allontanamenti, mentre è irrilevante la mera intenzione, sganciata dal dato di fatto, di
scegliere altro luogo di residenza (nella specie, mantenendo ivi consuetudini e rapporti sociali)”
(Tar Valle d’Aosta, 20 novembre 1995, n. 172; Riviste: Foro Amm., 1996, 1312).
La vicenda solleva, infine, questioni di grande profilo:
A. Il nuovo articolo 119 della Costituzione stabilisce che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome... stabiliscono e applicano tributi ed entrate
propri... dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio”.
Pertanto Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni avranno compartecipazioni al gettito
dei tributi erariali in rapporto al numero dei cittadini residenti nel loro territorio. Conseguentemente la mancata iscrizione nelle liste dei cittadini residenti comporterà un danno alle entrate di
Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni,
B. Chi, lavorando in Lombardia, mantiene la residenza (fittizia) altrove, elude non solo l’articolo 119 della Costituzione e l’articolo 43 del Codice Civile quant’anche l’articolo 25 (I
comma) della Costituzione: il suo giudice disciplinare naturale è innegabilmente il Consiglio
dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia.
C. È da considerare anche l’opportunità che il rapporto del giornalista venga mantenuto con
l’Ordine regionale o interregionale ove viene esercitata la professione, anche per stabilire
comunque una relazione oggettiva tra il singolo giornalista e la sua attività;
D. Tutti i cittadini “hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi” (articolo 54 Cost.).
È evidente il significato della delibera 5 luglio 2002 del Cnog: ogni giornalista può ancorare
l’appartenenza all’Albo sia in base alla residenza e sia in base al domicilio professionale, ma
non può non collocare la sua residenza nella città dove abbia la dimora abituale.
GIURISPRUDENZA
Residenza fiscale: nozione e presupposti.
1. In tema d’imposte sui redditi, l’art. 2,
secondo comma, del D.P.R. 22 dicembre
1986, n. 917 individua, perché sussista la
residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via alternativa: il primo,
formale, rappresentato dall’iscrizione nelle
anagrafi delle popolazioni residenti, gli altri
due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal
domicilio nello Stato ai sensi del codice
civile; ne consegue, pertanto, che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in
Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio
dello Stato il proprio domicilio, inteso come
sede principale degli affari ed interessi
economici, nonché delle proprie relazioni
personali.
Né a diversa conclusione conduce la
Convenzione tra l’Italia e la Gran Bretagna
per evitare le doppie imposizioni (ratificata
e resa esecutiva con legge 5 novembre
1990, n. 329), atteso che, ai sensi dell’art. 4
del testo dell’accordo, il concetto di residenza fiscale ben può essere ricollegato, ove
non sia possibile l’utilizzazione di altri
criteri, al centro degli interessi vitali, ossia
al luogo con il quale il soggetto ha il più
stretto collegamento sotto il profilo degli
interessi personali e patrimoniali. (Sez. V,
sent. n. 13803 del 07-11-2001, Dubini c.
ministero delle Finanze).
ORDINE
9/10
2004
Si deve presumere che la residenza effettiva coincida con quella anagrafica. L’iscrizione anagrafica relativa alla residenza di
una persona, ossia all’elemento obiettivo
della sua permanenza in tale luogo e all’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi
stabilmente, ha pur sempre valore di presunzione semplice circa la rispondenza della
situazione di fatto a quella di diritto, sicché,
fermo restando che, pur dovendosi
presumere che la residenza effettiva coincida con quella anagrafica, l’efficacia presuntiva delle risultanze anagrafiche risulta superabile con ogni mezzo di prova purché
idoneo a dimostrare la volontaria e abituale
dimora di un soggetto in un luogo diverso.
(Cons. Stato Sez.IV 18-10-2002, n. 5746;
Pres. Cons. c. Arianna; FONTI Foro Amm.
CDS, 2002, 2377)
Il domicilio coincide con la sede principale dove una persona ha stabilito affari
e interessi personali. La nozione di domicilio deve intendersi, ai sensi dell’art. 43
comma 1 c.c., come il luogo ove la persona
ha stabilito la sede principale dei suoi affari
e interessi e non vi è dubbio che il riferimento agli interessi della persona ricomprenda
tanto gli interessi patrimoniali quanto quelli
personali. (Commiss. Trib. Reg. Reggio Emilia Sez.XIX 27-03-2000, n. 16 -L.P. c. Uff. imp.
dir. Modena; FONTI GT Riv. Giur. Trib., 2000,
60 nota di Tazzioli).
on recente provvedimento (Agenzia
delle entrate, Provv. 23/10/2003,
G.U., 13/11/2003, n. 264) il direttore
dell’Agenzia delle entrate ha attribuito la
competenza a emanare i provvedimenti
che stabiliscono il domicilio fiscale del
contribuente in Comune diverso da quello
della residenza anagrafica o della sede
legale, al direttore regionale e al direttore
centrale dell’Accertamento, a seconda che
la variazione intervenga in ambito regionale o tra regioni diverse.
La nuova suddivisione delle competenze
(la circolare n. 77/1994 operava una distinzione tra le variazioni in ambito provinciale
ed extra-provinciale, di competenza rispettivamente del direttore regionale e del
direttore del dipartimento delle Entrate)
risponde a esigenze di decentramento e di
efficienza dell’azione amministrativa.
Esaminiamo il procedimento che la legge
prevede per dar luogo alla variazione di
domicilio.
In via preliminare, occorre richiamare l’articolo 58 del Dpr n. 600/1973, in base al
quale il domicilio fiscale si intende normalmente fissato, per le persone fisiche, nel
Comune nella cui Anagrafe civile sono
iscritte, e, per le persone giuridiche, nel
Comune in cui si trova la sede legale.
C
In deroga alla precedente disposizione
avente carattere generale, il successivo
articolo 59 prevede la possibilità per
l’amministrazione finanziaria di stabilire
d’ufficio il domicilio fiscale del soggetto
nel Comune dove svolge in modo continuativo la principale attività ovvero, per
i soggetti diversi dalle persone fisiche,
nel Comune in cui è stabilita la sede
amministrativa.
a variazione può essere altresì disposta a seguito di istanza motivata del
contribuente, in presenza di particolari
circostanze giustificative, e, in tale ipotesi,
l’Agenzia deve emanare i decreti di variazione del domicilio fiscale entro il termine
massimo di 180 giorni dalla data di ricezione delle istanze.
La ratio dell’articolo 59 risiede nella volontà
del legislatore fiscale di agevolare il contribuente quanto più possibile nei vari adempimenti che la normativa tributaria impone,
collegando la sua posizione fiscale con l’ufficio locale con il quale vi è effettivamente
rapporto più diretto e immediato. È di tutta
evidenza, infatti, che consentire al contribuente di avere quale interlocutore l’ufficio
nella cui area territoriale di competenza
svolge prevalentemente la sua attività sia
espressione dell’impegno dell’amministrazione fiscale di rendere quanto meno
gravoso il concreto adempimento degli
oneri e degli adempimenti tributari.
L
ur tuttavia, l’utilizzo sempre più consistente da parte dell’Agenzia delle
entrate dell’informatica e della telematica, cresciuto in maniera esponenziale
in questi ultimi anni, ha fatto venir meno la
necessità di una “vicinanza” tra il funzionario tributario e l’attività economica svolta
dal contribuente. L’invio delle dichiarazioni
e una serie di adempimenti, quali quelli
legati all’inizio dell’attività e alle successive
variazioni, vengono svolti in via telematica.
Inoltre, il contribuente, per ricevere assistenza e consulenza, può rivolgersi al
front-office di qualunque ufficio d’Italia o al
call center.
Ciò ha portato a restringere ulteriormente
la nozione di “circostanze eccezionali”, per
cui la richiesta dei contribuenti non potrà
essere motivata da semplici disagi organizzativi, essendo questi ormai riferibili quasi
esclusivamente a soggetti che risiedono
all’estero.
P
nche il provvedimento di variazione
del domicilio fiscale attivato d’ufficio,
di cui al primo comma del citato articolo 59, deve essere adeguatamente motivato; l’esposizione delle ragioni su cui si
fonda il provvedimento sono previste, infatti, nella generalità dei casi, a garanzia della
correttezza e della trasparenza dell’azione
amministrativa, che deve essere conoscibile, a maggior ragione, per quelle determinazioni che negano una facoltà o che non
soddisfano le legittime aspettative del
privato.
È evidente che in questa ipotesi il motivo
che induce l’Agenzia delle entrate a operare il trasferimento è di natura diversa, ed è
conseguente a un palese comportamento
elusivo del contribuente, senza alcun riferimento a esigenze organizzative.
A
Agenzia, infatti, è capillarmente presente sul territorio nazionale ed è in
grado di operare con efficacia, a
prescindere dalla localizzazione fiscale del
contribuente. Inoltre le attività istruttorie
finalizzate al controllo non necessariamente devono presupporre un collegamento
territoriale tra contribuente controllato e
ufficio controllante; a ciò si aggiunga che i
nuclei operativi della Guardia di Finanza
svolgono le proprie verifiche quasi esclusivamente in base alla localizzazione delle
sedi amministrative.
Pertanto l’Agenzia potrà legittimamente
disporre la variazione del domicilio fiscale
nei casi in cui rilevi che la fissazione del
domicilio in località diversa rispetto all’attività economica esercitata sia strumentale
all’ottenimento di particolari vantaggi.
L’
Daniela D’Agostino
(da www.fiscooggi.it)
7
di Patrizia Pedrazzini
E
D
I
T
O
R
I
A
Si sono svolti a Roma
il 14 e 15 settembre
gli Stati generali dell’editoria
“Più cultura, più lettura, più Paese”. Questo il tema degli Stati generali dell’editoria svoltisi a
Roma il 14 e 15 settembre. Due giorni di confronto promossi dall’Aie, l’Associazione italiana
editori, tra i rappresentanti dell’intero universo dei contenuti, quelli istituzionali e quelli delle
altre forze imprenditoriali, con la partecipazione di politici, economisti, giornalisti, intellettuali.
Al centro del dibattito, il libro e l’industria editoriale, quale punto di partenza per una riflessione ben più ampia e orientata a individuare le strategie capaci di far crescere la domanda e
l’offerta di lettura e di cultura.
Tre le sezioni: “Imparare a leggere, leggere per imparare”, focus sul ruolo della scuola e
dell’università; “Promuovere cultura: i libri tra evento e mercato”; “Anche la concorrenza fa
sinergia: il libri e gli altri media”.
Un evento la cui filosofia ben si riassume nelle parole del presidente dell’Aie, Federico Motta:
“Se è vero che il futuro del Paese dipende dalla qualità del suo capitale umano, dalla ricerca,
dalla scuola, in una parola dalla sua cultura, allora proprio l’attenzione alla cultura, alla lettura, al libro è l’unico modo per guardare in modo consapevole al futuro”.
Strumento di lavoro per lo sviluppo del confronto, il “Libro bianco dell’editoria libraria”, con
tutti i dati aggiornati del settore, che qui trattiamo.
Più cultura, più futuro. Il libro,
Quanto leggono gli italiani? O, meglio, quanti italiani, di età
superiore ai 6 anni, mettono mano almeno a un libro (non
scolastico) nell’arco di dodici mesi? A voler essere ottimisti,
uno su due. Per l’esattezza - secondo dati Istat riferiti al 2002
ed elaborati dall’Aie, l’Associazione italiana editori - il 52,9%
della popolazione, con una crescita, rispetto all’anno precedente, dell’1,1%.
Editori di libri
Di fatto, e volendo guardare la situazione con occhio meno
“morbido”, molti meno: il 41,4% (22.834.000 persone). Un
valore più che modesto, che colloca l’Italia nelle ultime posizioni a livello europeo, e che viene rafforzato solo dall’aggiunta di quella fascia di lettori che l’Istat definisce appunto
“morbidi”: connazionali che dichiarano di leggere esclusivamente gialli, fantascienza, romanzi rosa, fantasy, libri di cucina, manuali.
Gli indici di lettura
E per fortuna che il 2002 è l’anno nel quale il fenomeno delle
vendite di libri allegati ai quotidiani si è manifestato, nel nostro
Paese, in tutta la sua ampiezza (nel 2001, tranne che per
alcune operazioni sporadiche, era completamente assente
dal panorama editoriale), con oltre 44 milioni di copie vendute, pari al 47% delle vendite realizzate attraverso i canali
tradizionali, e con un giro d’affari stimabile, a copertina, in
220 milioni di euro. Numeri di tutto rispetto, che tuttavia,
raffrontati ai dati sulla lettura, e al loro poco incoraggiante
+1,1%, sembrerebbero, come osserva l’Associazione italiana editori, “dare credito a quanti ritengono che, nel loro insieme, le operazioni dei quotidiani abbiano finito per far comprare, e forse leggere, libri a chi già era lettore, invece di allargare in misura significativa il perimetro del mercato”.
I libri con il quotidiano
Interessante potrà risultare, al proposito, il confronto con i
dati Istat sulla lettura riferiti al 2003, ancora non disponibili.
Lo scorso anno, infatti, il fenomeno delle vendite di libri allegati ai quotidiani ha subito un’ulteriore accelerazione: si
contano non meno di 19 diverse iniziative, con più di 400 titoli e oltre 62 milioni di copie vendute (forse 64 milioni, se si
considerano le operazioni condotte da quotidiani locali, di più
difficile monitoraggio), con un incremento del 40% e per un
valore complessivo di 328 milioni di euro (il 49,1% in più
rispetto al 2002). Nel frattempo, il consumo di libri resta
contraddistinto, nel nostro Paese, da decise note di povertà.
Non può che far riflettere il sapere che sono poco più di 5
milioni le famiglie italiane che avrebbero, in casa, una biblioteca domestica con più di due metri lineari di scaffali. Mentre
quelle che superano gli otto si aggirano intorno al 6,5%.
Vendite a prezzo di copertina e per canale di libri, cd rom, servizi
Valori in milioni di euro e in percentuale
2001
Euro
Libreria e cartolibreria:
- Scolastico di adozione
- Varia, Stm, universitario
- Metà prezzo
- cd rom
- Non book
- Vendita a enti, biblioteche
1.702,2
Grande distribuzione:
- Libri varia adulti e ragazzi
- cd-rom
202,5
Edicola:
- Libri varia adulti e ragazzi1
- Fascicoli con supporti allegati
- cd rom
420,5
2002
Euro
%
Euro
48,5
18,2
25,2
2,0
0,8
0,5
1,7
1.720,6
640,7
885,4
68,8
28,3
19,0
60,0
5,6
5,1
0,5
201,4
185,5
17,0
12,0
1,1
9,7
1,1
422,1
39,0
342,0
39,5
Euro
48,3
18,0
25,4
2,0
0,8
0,6
1,6
1.759,0
642,0
901,3
70,2
30,0
19,8
57,3
5,7
5,2
0,4
205,0
186,3
15,1
11,9
1,0
9,8
1,1
408,7
36,7
347,1
38,3
Euro
∆%
652,0
925,0
73,0
31,0
23,0
55,0
+2,2 %
+1,6 %
+2,6 %
+4,0 %
+3,3%
+16,2%
-4,0 %
+1,8 %
195,0 +4,7 %
10,0 -33,8%
34,7 -5,4%
339,0 -2,3%
35,0 -8,6 %
16,0
0,5
15,9
0,4
18,0
+13,2%
Vendite in book shop e mostre
14,0
0,4
14,5
0,4
17,0
+17,2%
Internet (vendita da siti italiani)
- Libri
- Cd rom (vendita a distanza)
Cd rom in pv di elettronica
Cd rom in negozi giocattoli, altro
29,0
0,8
0,2
0,6
4,0
0,1
36,5
1,0
0,3
0,7
4,2
0,01
46,5
7,0
22,0
140,0
4,0
Rateale:
- Prodotti enciclopedici, Stm
- Cd rom consumer
- Cd rom e Dvd professionali
409,9
Vendite dirette al pubblico:
- Vendite per corrispondenza
- Book club
222,0
Vendite dirette a biblioteche, ecc.
12,3
24,2
148,5
0,5
11,7
8,8
0,6
2,2
408,3
310,0
22,5
77,4
6,3
4,1
2,3
224,5
143,0
79,0
152,0
0,5
20,5 +66,7%
26,0 +7,4%
+2,4%
11,4
8,8
0,6
2,1
417,0
312,5
22,3
73,5
6,3
4,1
2,3
227,0
144,0
80,5
+1,1%
145,0 +0,7%
82,0 +1,9%
+3,7%
315,5 +1,0%
22,0 -1,3%
80,0 +8,8%
65,0
1,9
67,5
1,9
70,0
Vendite per iniziative speciali
115,4
3,3
120,8
3,4
115,0
-4,8%
Export
176,5
5,0
180,0
5,1
185,0
+2,8%
Totale
3.517,5
100,0
3.555,0
100,0
3.620,7
+1,8%
Gli esercizi commerciali
Musei, teatri e concerti
8
%
Vendite di libri fiere
Per non parlare delle librerie, o comunque dei 1.935 esercizi commerciali che si possono in qualche modo definire tali:
820 non vanno oltre i 100 metri quadrati di superficie, il che
significa meno titoli, meno autori, meno case editrici, meno
scelta per il potenziale lettore. Sono solo 290, in Italia, le
librerie che possono contare su una superficie di vendita
superiore ai 300 metri quadrati. Quanto ai cosiddetti megastore, non rappresentano che l’1%.
Il presidente Motta a colloquio con il collega de Bortoli.
In alto, accanto al titolo, Roberto Gulli, Federico Motta,
Ferruccio de Bortoli e Stefano Mauri.
2003
Euro
E magari fosse solo una questione di libri. Gli italiani non
solo leggono poco libri e giornali (39% di lettori nel giorno
medio), ma ancora meno frequentano musei, teatri, concerti. Sempre nel 2002 gli ingressi nei musei sono stati
15.820.000: il 39% a gallerie d’arte antica o contemporanea, il 33% a scavi archeologici, il 28% a circuiti museali.
Complessivamente, meno di un italiano su tre (il 28%) ne
ha varcato i cancelli in dodici mesi, vacanze e fine settimana inclusi.
Mentre solo un esiguo 19% della popolazione si è accomodato sulla poltrona di un teatro, e un ancora più esiguo
9% ha ascoltato dal vivo un concerto di musica classica
(la percentuale sale al 19% per i concerti di altri generi).
Tutti al cinema? Macché: vi ha messo piede, almeno una
volta, solo un italiano su due. E allora la domanda non è
più e solo dove stia andando il mondo del libro, ma quale
futuro attenda, più in generale, tutti i consumi culturali del
Paese. Perché, come ha sottolineato lo scorso 20 luglio,
presentando a Milano gli Stati generali dell’editoria (vedi
riquadro), Federico Motta, presidente dell’Aie e amministratore delegato dell’omonima casa editrice, “i diversi consumi
culturali sono tra loro fortemente intrecciati: uno non cresce
se non cresce l’altro. Sono intrecciati lungo il percorso di
crescita della persona: dalla scuola alla vita adulta. E sono
intrecciati tra loro”.
I ricavi dell’industria libraria
Di qui l’obiettivo di allargare la domanda di cultura, e quindi
di lettura, ma partendo dalla consapevolezza del peso che
l’editoria libraria - la più antica e, probabilmente, la meno effimera tra le varie modalità di diffusione - ha nel più generale
ambito dei contenuti culturali, dell’economia e dello sviluppo
del Paese.
Con i suoi 3.621 milioni di euro (fra libri, collezionabili, editoria elettronica, coedizioni, export) a prezzo di copertina
(+1,8% a valore corrente sul 2002, escluse le vendite di libri
allegati a quotidiani e periodici), l’editoria libraria si aggiudica
infatti il 31% dei ricavi dell’industria dei contenuti (televisione
escluse, per via dei forti introiti pubblicitari), collocandosi
seconda solo al comparto della stampa quotidiana e periodiORDINE
9/10
2004
I principali settori dell’industria dei contenuti
Valori in euro e in percentuale
Valore
%
2.362.000.000
22,4%
Fieg, IeM, 2002
328.000.000
2.332.000.000
3,1%
22,1%
Stima Aie su dati editori
Fieg, IeM, 2002
- Stampa quotidiana e periodica
(vendite al pubblico)
- Libri allegati alla stampa
quotidiana e periodica
- Ricavi pubblicitari
Totale stampa quotidiana e periodica
5.022.000.000
Home video
Cinema
Musica registrata
Videogiochi
Cd rom professionali
Cd rom consumer e educational
Libri
829.000.000
629.380.000
416.000.000
23.645.000
110.000.000
246.000.000
3.264.200.000
7,9%
6,0%
3,9%
0,2%
1,0%
2,3%
31,0%
10.540.225.000
100,0
Accordo Mediaset-Iulm:
nasce “Consorzio campus
multimedia in.formazione”
Note
Vhs, Dvd, vendita, noleggio, edicola normal trade
IeM su dati Siae (2002)
Musica & Dischi (2002)
GfK agosto 2002-luglio 20031
IeM, Aie
IeM, Aie
Aie (esclusi prodotti editoria elettronica)
vero digitale terrestre
ca, che pure fa derivare dai ricavi pubblicitari circa il 50% del
fatturato.
Un panorama fatto di luci e di ombre. I numeri della produzione, per esempio. Secondo dati forniti dall’Aie, nel 2003 in
Italia sono stati circa 53.000 i titoli pubblicati, e 254 milioni le
copie stampate. Tanti? Siamo il terz’ultimo Paese europeo
per titoli pubblicati ogni mille abitanti: 0,95. Davanti a noi,
quasi tutti: la Francia, (0,97), la Germania (1,01), la Finlandia
(1,26), la Svezia (1,45), la Spagna (1,60), il Regno Unito
(1,85). Alle nostre spalle, solo il Portogallo, con 0,90 titoli, e
la Grecia, con 0,62.
Ripartizione della produzione
per tipo di edizione
Valori in numero di titoli e in percentuali
Prime edizioni
(novità)
60%
Ristampe
35%
Provenienza dei titoli
In compenso, l’editoria nazionale sembra essere, fra le diverse europee, quella più attenta a proporre autori e titoli provenienti da altre letterature e da altre culture. Nel 2002 il 23%
(un valore pressoché identico a quello dell’anno precedente)
dei titoli pubblicati in Italia erano traduzioni da lingue straniere. Un’incidenza che, dagli anni Novanta a oggi, non è mai
scesa sotto il 22%, con punte che in alcuni anni, come nel
1994, sono arrivate a superare il 25%. L’area dalla quale
proviene la stragrande maggioranza dei testi tradotti è quella
inglese - che con i suoi 7.906 titoli pubblicati nel 2002 copre
da sola il 65% dell’offerta “straniera” -, seguita da quella francofona (1.814 opere) e da quella tedesca (1.126). Ma mentre
la tiratura media, sempre nel 2002, di un libro tradotto era di
6.600 copie, quella di un libro di autore italiano continuava,
con le sue 4.200 copie, a risultare inferiore del 30-35%.
Interscambio con l’estero
C’è tuttavia un fatto nuovo, emerso da una recente indagine
condotta da Doxa per conto dell’Aie e dell’Istituto per il
commercio estero: se fra il 2001 e il 2003 il numero dei titoli
acquistati dalle case editrici italiane all’estero è cresciuto del
7%, quello dei titoli venduti è aumentato del 32,2%.
Si vendono diritti soprattutto di libri per bambini, illustrati,
manuali, di argomento religioso. Solo in un secondo momento vengono la narrativa e la saggistica di cultura.
I dati di lettura
Dopodiché, si legge più nelle regioni del nord (un italiano su
due) che in quelle del sud e nelle isole (tre su dieci); più nelle
aree metropolitane (47%) che nei comuni al di sotto dei
duemila abitanti (41%), che in quelli fino ai 50 mila (38-39%).
E ancora: leggono più le donne degli uomini (il 47% contro il
36%), più i figli dei genitori (nel 2003 il 65% dei bambini di
età compresa fra i 5 e i 13 anni aveva letto, nei dodici mesi
precedenti, almeno un libro non scolastico). Ma non a caso il
57% del mercato del libro per ragazzi è costituito da genitori
laureati o diplomati. Di qui la naturale, e ormai tristemente
annosa, chiamata in causa del ruolo della famiglia e di quello della scuola.
Il libro nella scuola
Quest’ultima, osserva l’Aie, “priva di una coerente politica di
promozione del piacere di leggere, ma anche di utilizzo del
libro come strumento di lavoro”, nonché incapace di “colmare i ritardi derivanti da contesti culturali meno favorevoli in
famiglia”. “Il manuale scolastico, di sicuro, non è sufficiente”,
ha detto, nell’incontro milanese, il vice presidente dell’Aie, e
amministratore delegato PBM Editori, Roberto Gulli, auspicando che, nell’ambito della riforma scolastica, venga prevista, alle superiori, la lettura obbligatoria di testi di narrativa,
come già avviene all’estero.
Quanto alla famiglia, i piccoli italiani - come nota l’Aie, su dati
Doxa Junior - abiteranno anche in case con pochi libri, ma
certo non si fanno mancare niente quanto a tecnologie. Il
94% delle famiglie ha un videoregistratore, che oltre la metà
dei bambini (il 53%) usa almeno una volta alla settimana; il
19% ha un lettore dvd; il 58% una consolle per videogiochi; il
63% un computer, cui accede il 48% dei figli. Soprattutto,
naturalmente, per giocare (il 39%).
La diffusione di Internet
E Internet? Vi si collegano il 45% dei ragazzini di 10-11 anni
(il 20% lo utilizza anche) e il 48% di quelli fra i 12 e i 13 (35%
di utilizzatori). Mentre il 38% usa abitualmente un telefono
ORDINE
9/10
2004
Edizioni
successive
5%
Ripartizione della produzione
di titoli per fasce di prezzo
Valori in numero di titoli e in percentuali
16,60%
oltre 26 euro
23,60
da 15,50 a 26 euro
23,10%
fino a 7,75 euro
36,60%
da 7,75 a 15,50 euro
cellulare e il 27% lo possiede personalmente, impiegandolo
in massima parte (il 76%) per inviare e ricevere sms.
Che cos’ha a che fare, tutto questo, con la lettura? Nulla,
ovviamente. Il che tuttavia non significa, e non deve significare, una sorta di contrapposizione fra i buoni, vecchi libri da
una parte e le insidiose, avverse tecnologie dall’altra. Perché,
anzi, il corretto consumo di queste ultime - laddove per tecnologie non si intendano il ricorso permanente al telefonino o
l’uso esasperato della posta elettronica - è, rileva l’Associazione italiana editori, “più alto e diffuso in quegli stessi Paesi
europei in cui sono più alti, ancora una volta, gli indici di lettura dei libri e dei giornali”.
I nuovi media
Lo scenario, allora, si amplia, in una sorta di affresco globale
nel quale forze diverse concorrano e facciano sinergia,
crescendo anche attraverso la competizione. Senza paure e
senza pregiudizi. “Siamo convinti - ha detto intervenendo alla
presentazione milanese il vice presidente dell’Aie, e amministratore delegato RCS libri, Ferruccio de Bortoli - che l’arrivo
di nuovi media non distragga dalla lettura, anzi la incoraggi,
che la grandissima evoluzione tecnologica non rappresenti
un rischio per la creatività, che l’affermarsi di nuovi linguaggi,
come per esempio quello dei telefonini, finisca non per impoverire, ma per arricchire la nostra lingua, ovviamente modificandola”. Sì allora alle sinergie, con la dovuta attenzione.
“Per essere - sono sempre parole di de Bortoli - cittadini
globali senza perdere i contatti con le proprie radici e la
propria appartenenza”.
La vitalità del libro
Che si chiama, anche e soprattutto, libro. “È il libro - ha osservato Stefano Mauri, consigliere dell’Aie e amministratore
delegato Longanesi & C. - il vero digitale terrestre. Cinquecento anni dopo, sempre vivo e amato. Non ha bisogno di un
decoder, ma di fiducia sì”.
Patrizia Pedrazzini
Milano, 29 giugno 2004. Dall’intesa tra il
Gruppo Mediaset e Università Iulm prende il
via il Consorzio Campus Multimedia
in.Formazione, un polo di eccellenza per la
formazione e la ricerca nel digitale, nei media
e nella comunicazione. I primi Master di alta
formazione realizzati dal Campus partiranno
con l’anno accademico 2004-2005: il Master
in Giornalismo, riconosciuto dal Consiglio
nazionale dell’Ordine dei giornalisti, e il
Master in Management multimediale che
hanno l’obiettivo di formare rispettivamente
giornalisti e manager in grado di operare nel
mercato del lavoro del settore multimediale e
dell’informazione.
“In questo nuovo progetto si incontrano il
sapere accademico e l’esperienza dell’imprenditoria multimediale di Mediaset” ha
dichiarato il rettore dello Iulm Giovanni Puglisi durante la conferenza stampa di presentazione. “Prendendo spunto dal monito del
presidente di Confindustria Montezemolo il
sistema Paese, le imprese si incontrano col
mondo dell’università”.
“La nostra intesa con l’Università Iulm si è
decisamenterafforzata quest’anno: l’idea è
quella di mettere assieme per la prima volta
un autorevole polo universitario milanese e
una squadra multimediale di eccellenza” ha
dichiarato il presidente di Mediaset Fedele
Confalonieri, che ha voluto ancora una volta
sottolineare l’importanza nelle attività di tutti i
giorni delle tecnologie e del digitale terrestre
in particolare. “Il digitale terrestre è la nuova
frontiera, noi ci crediamo, lo faremo” ha detto
Confalonieri.
Tra le aziende che partecipano al progetto:
Enterprise Digital Architects, Dmt, Medusa,
Mondadori, Sole 24 Ore, Txt e Wind.
(Apcom)
Costa: “Mondadori
investirà 20 milioni
in 3 anni per lo sviluppo
di Radio 101”
Roma, 3 settembre 2004. Rilancio di Radio
101 per farla diventare un network nazionale
e sviluppo dei periodici in Spagna e Centro
Europa sono fra i progetti di espansione del
gruppo Mondadori.
Lo ha detto in un’intervista al Sole 24 Ore il
vice presidente e a.d. del Gruppo editoriale,
Maurizio Costa, sottolineando l’obiettivo di
voler rafforzare Radio 101 con “investimenti
di oltre 20 mln in 3 anni dedicati alla copertura sul territorio e al rilancio sia in termini di
advertising che di nuovi progetti”.
Il Gruppo editoriale di Segrate ha versato 42
milioni di euro per acquisire l’emittente, che
era sottoposta a sequestro giudiziario.
(Mf-Dj)
Giovanni Sartori
vince la XIV edizione
del premio PEN
Milano, 4 settembre 2004. Dopo lo scrutinio
pubblico delle schede di voto dei soci PEN,
è risultato in testa, con 436 voti, il nome di
Giovanni Sartori, con il suo libro Mala tempora (Laterza), a cui andranno i 2.600 euro del
premio. Mala Tempora: dieci anni di malaffare politico nelle analisi lucide e graffianti di
uno dei massimi studiosi della politica del
nostro tempo.
Al Premio letterario PEN (noto anche come
"Lo scrittore votato da scrittori") sono giunti in
finale quest’anno anche Matteo Collura, con
In Sicilia; Raffaele Crovi, con Appennino;
Sergio Ferrero, con Il cancello nero, e Margherita Hack, con Dove nascono le stelle.
Come sempre il premio PEN (presieduto da
Lucio Lami) rivela le tendenze del momento
e quest’anno ha visto per la prima volta in
finale più titoli di saggistica che di narrativa.
9
IRAQ
La strage
dei reporter:
i terroristi
non vogliono
testimoni
scomodi
Enzo Baldoni nella foto conservata nell’archivio personale
dell’Ordine. Le altre immagini lo ritraggono nella sua ultima
“missione”. Al centro (in basso) è fotografato con Muhammed, il mutilato iracheno curato e seguito dal freelance
milanese.
Enzo Baldoni, pubblicitario e giornalista
“Io viaggio per la pace”
vacanze ad alto rischio, Baldoni è diventato anche freelance
per vocazione, pronto a raccontare su Linus, Specchio della
Stampa, Venerdì di Repubblica le sue esperienze in giro per
il mondo. Una vocazione nata per caso, nel 1996 in Chiapas,
Messico. Baldoni conobbe il subcomandante Marcos, e da
quel sodalizio nacque l’amore per il reportage. Un amore che
lo portò nelle fogne di Bucarest e in Birmania a testimoniare
lo sterminio dei Karen.
Andò poi vedere i massacri di Timor Est, e le sofferenza nel
lebbrosario di Kalaupapa. Baldoni mangiò riso e ranocchi
con la portavoce dei ribelli Aye Aye Khing, si perse nella giungla thailandese alla ricerca dei fratelli Htoo, i gemellini di 12
anni che guidano l’Esercito di Dio vantando poteri miracolosi. In Colombia finì in un campo di guerriglieri delle Farc,
conobbe una comandante sul cui capo pendeva una taglia di
un milione di dollari, intervistò la cupola del movimento guerrigliero. Due anni più tardi, sempre in Colombia, venne
sequestrato da un paio di ragazzini col mitra e riuscì a farsi
liberare diventando amico del comandante che aveva ordinato la sua cattura.
Per giustificare questa sua passione tardiva, una volta disse:
“Qualcuno pensa che io sia un mezzo Rambo che ama
provare emozioni forti, vedere la gente morire e respirare
l’odore della guerra come Benjamin Willard l’odore del
napalm la mattina in “Apocalypse now”, invece sono lontano
mille miglia da questa mentalità, molto semplicemente sono
curioso. Voglio capire cosa spinge persone normalissime a
imbracciare un mitra per difendersi”.
Già, Baldoni era anzitutto un uomo curioso. Eppure si descrive come un gran pigro, che viaggia per caso, quando proprio
non può farne a meno, sull’onda delle coincidenze.
In Iraq Baldoni era arrivato per la prima volta un paio di settimane fa, con un accredito di Diario. “Non ho una particolare
paura della morte, l’ho conosciuta abbastanza bene. Alla mia
sono andato vicino un paio di volte”. Fino a quando la sua
passione non l’ha spinto tra le braccia dei suoi assassini.
di Pietro Del Re (www.repubblica.it-27 agosto 2004)
Un uomo di pace. Questo era Baldoni, come hanno cercato
di spiegare i figli Guido e Gabriella, nell’appello lanciato ai
suoi sequestratori. Ma era anche un uomo che la voglia di
raccontare aveva spinto nei punti più caldi del pianeta, senza
biglietti di prima classe né alberghi prenotati, senza scorte
armate né giubbotti antiproiettile. Per capire chi fosse Baldoni
basta leggere il suo autoritratto: “Non c’è niente da fare:
quando uno è ficcanaso, è ficcanaso. È insopprimibilmente
curioso, gli interessano i lebbrosi, quelli che vivono nelle
fogne, i guerriglieri. E poi non gli basta fare il pubblicitario,
deve occuparsi anche di critica di fumetti, di traduzioni, di
temi civili e perfino di cose un sacco zen”.
Nella sua vita precedente, prima che la passione del
reportage lo inghiottisse, era uno dei più creativi pubblicitari
d’Italia, fondatore dell’agenzia “Le Balene colpiscono ancora”. Era alto (1,86 metri) e robusto (un quintale di peso),
Baldoni. E aveva il dono della simpatia. Chi l’ha conosciuto lo
descrive come un idealista, un sognatore. Una persona
generosa, cordiale e altruista: carica d’umanità.
Era nato nel 1948 a Città di Castello. Sposato e padre di due
figli di 21 e 24 anni (la famiglia vive in Sicilia), Baldoni lavorava da tempo a Milano. All’attività di pubblicitario è arrivato
però dopo aver fatto, si legge nel suo sito, “il muratore in
Belgio, lo scaricatore alle Halles, il fotografo di nera a Sesto
San Giovanni, il professore di ginnastica, l’interprete e il
tecnico di laboratorio chimico”.
Fu Emanuele Pirella a fargli capire che “fare il copy è meglio
che lavorare”. Tra le sue campagne televisive più note, quella
del rasoio per uomini sensibili, in grado anche di “fare la
barba” a un palloncino senza farlo scoppiare. Tra le sue
trovate più famose c’è la rondine dell’acqua minerale San
Benedetto.
Traduttore di fumetti, appassionato di Zen, amante delle
Delitti senza castigo
Generosità e terrore
di Igor Man (da La Stampa del 28 agosto 2004)
L’assassinio di Enzo Baldoni,
raro Don Chisciotte italico travolto dai feroci mulini mossi
dal vento del fanatismo, trasforma in certezza un sospetto: sì, siamo pericolosamente prossimi al buco nero
d’un medioevo postmoderno.
Si annunciò in Vietnam sparigliando le regole antiche
della guerra: non più duello di
due nemici certi e visibili ma
oscena partouse di delitto
(senza castigo) e di ideologia
bugiarda. Spaccò la partitura
del concerto bellico in Somalia, per quindi invadere
con una gigantesca flebo di
orrori himmleriani la regione
balcanica, nel contempo travasandosi nell’Algeria della
galassia islamista, per infine
tracimare l’Afghanistan pista
di lancio degli stupratori delle
Torri Gemelle. «È la Pearl
Harbor del Tremila»: così
classificammo l’incredibile attentato nella presunzione
che, come gli Stati Uniti di
Roosevelt, gli attuali, dopo
essersi leccate le umilianti fe-
10
rite, sarebbero passati al contrattacco, consegnando all’Occidente gli apprendisti
stregoni plagiatori dei piloti
suicidi, nel segno della vittoria del Bene sul Male. Allora,
l’America di Roosevelt sapeva esattamente chi fosse (e
come fosse) lo sfidante e fu
subito duello destinato a infinitamente durare se uno
square di Kansas City non
avesse avuto il barbaro coraggio di tirare lo zip atomico.
Il fungo di Hiroshima voluto
da Truman venne assolto da
vinti e vincitori e ciò permise
quell’equilibrio del terrore alla
cui ombra cominciò la ricostruzione del mondo. Il vuoto
aperto dal declino delle potenze colonialiste (Francia,
Gran Bretagna) venne colmato, per la forza d’inerzia
della Storia, dal potente
Impero Nuovo: gli Stati Uniti.
Ma nel Dna della Superpotenza c’è la lotta contro
l’Impero britannico, contro il
colonialismo sicché riesce difficile agli Usa esercitare il cini-
smo ineludibile che fu degli
Inglesi, per esempio nei Trenta
quando la Mesopotamia era
un inferno.Trasformato in purgatorio dagli inglesi dopo un
lunghissimo tempo intriso di
studiata repressione e di alta
politica. L’incapacità genetica
degli Usa, coniugata con la
presunzione del primo della
classe, sono all’origine della
attuale crisi del Superimpero
in Iraq.
Nel caos attuale che tuttavia
non vieta il «successo finale», volano fatalmente gli
stracci. Quelli sporchi, quelli
puliti: entrambi condannati alla rovina. Stracci: uomini
mossi dall’odio e dall’ignoranza ovvero dalla volontà di dar
testimonianza d’amore verso
chi soffre. Come il nostro collega Baldoni, Don Chisciotte
italico che non era un crapone né un esibizionista. Bensì
un idealista. La sua estrema
testimonianza non merita,
dunque, sarcasmi né retromarce ipocrite. Pretende
pietà, rispetto.
di Sergio Romano (dal “Corriere della Sera” del 27 agosto 2004)
Non è facile parlare della
morte di un uomo che si è rivolto con grande compostezza ai suoi connazionali
di fronte a una telecamera
due giorni fa, e a cui i figli
hanno inviato un coraggioso
saluto nelle scorse ore.
Fra i tanti orrori della guerra
irachena, il massacro di
Enzo Baldoni è per noi un
tragico, incomprensibile lutto
italiano. Baldoni non era né
un soldato né il dipendente
di una ditta straniera.
Era un testimone compassionevole, in parte reporter,
in parte operatore umanitario. Se non fosse stata troppo usata, soprattutto fra i
musulmani, la parola martire
è forse quella che potrebbe
meglio figurare sulla sua
tomba.
A noi resta il compito di comprendere, per quanto possibile, la logica della sua uccisione. Sappiamo che nel
campo della rivolta esiste,
accanto ad alcuni gruppi
meglio conosciuti, una ga-
lassia di formazioni minori di
cui è difficile analizzare composizione e ideologia. È probabile che alcune di esse
siano politiche, decise a dimostrare la loro destrezza
per meglio conquistare autorità. Ed è probabile che altre
siano più semplicemente
bande criminali, attratte soltanto dal prezzo del ricatto.
Politici o predoni, tuttavia, i
rapitori di ostaggi hanno obbedito sinora a una logica
relativamente comprensibile. Hanno catturato personale delle società di sicurezza,
come nel caso di Quattrocchi e dei suoi amici, perché potevano sostenere che
i prigionieri erano complici
degli americani. E si sono
impadroniti di impiegati di
società straniere per costringere i datori di lavoro a lasciare il Paese o pagare in
denaro la loro libertà.
Nel caso di Baldoni questa
logica sembra completamente assente. Dopo le dichiarazioni del suo settima-
nale era evidente che egli
non era «negoziabile». Il governo non avrebbe mai potuto cedere e il settimanale
avrebbe potuto semplicemente promettere ciò che
Baldoni faceva da tempo
con una straordinaria carica
di ingenuità e di entusiasmo:
un appassionato lavoro giornalistico e umanitario.
Non basta. La morte è giunta mentre i due maggiori
esponenti della comunità
sciita sembrano avere concluso a Najaf una sorta di armistizio e aperto qualche tenue prospettiva di pace. A
qualcuno sembrerà forse
che Baldoni sia morto per
nulla. A noi sembra che sia
morto per restare fedele al
proprio personaggio in un
mondo in cui la generosità e
la fantasia vengono ogni
giorno disprezzate e calpestate.
ORDINE
9/10
2004
D E O N T O L O G I A
La fatica
di piazzare
notizie che
gli altri
non hanno,
da posti in
cui magari
gli altri
non vanno
ce
n
a
el
Fre
Una tribù nomade
a caccia di scoop
Francesco Battistini (dal Corriere della Sera del 22 agosto 2004)
BAGDAD - I voli Milano-Londra
a 10 euro sono roba da dilettanti. Nelle zone di guerra, esiste una tribù nomade che
s’arrangia con meno: s’infila
sugli aerei del World Food Programme, dorme in case d’amici per caso, mangia quando
capita e si gioca la pelle per un
pezzo, uno scatto, una ripresa.
Antonio Russo, il reporter di
Radio Radicale ucciso in
Georgia, era uno capace d’alloggiare due settimane in un
campo profughi kosovari, sotto
le tende, o di partecipare alle
imboscate militari dell’Uck o di
stare nascosto, unico, nelle
case albanesi di Pristina durante la pulizia etnica serba.
Raffaele Ciriello, il fotoreporter
ammazzato a Ramallah, spariva coi pastori sulle montagne
dell’Afghanistan e correva dietro ai tanzim dell’intifada ed è
morto per aver voluto guardare
con l’obbiettivo nella bocca di
fuoco d’un tank israeliano.
Li ha dimenticati in fretta chi
non li conosceva, perché
Russo e Ciriello non erano della casta eletta che si premia a
ogni trasferta: una conferenza
stampa dei radicali per
chiedersi chi abbia voluto la
fine di Antonio, una lapide
palestinese dove il nome di
Raffaele è perfino scritto sbagliato.Pace e amen.
Vita da freelance. Quelli pagati
ad articolo o a collegamento,
più ne fai più guadagni, le
spese di solito escluse, la fatica
di piazzare merce che gli altri
non hanno da posti in cui gli altri magari non vanno. Da quando hanno decapitato Daniel
Pearl, firma del Wall Street
Journal, gli inviati mettono
piede in Pakistan se proprio si
deve: inglesi e americani, la
stessa Cnn usano i locali, così
come facevano i francesi
nell’Algeria degli sgozzamenti
o com’è nell’impossibile Mogadiscio.Tutti freelance, coi contatti giusti e la rapidità che
serve, a volte one man band
che in un giorno riscrivono lo
stesso pezzo per quattro o
cinque testate.
Rischiano parecchio, i freelance. E vanno anche al di là
del troppo. Ce n’è che cominciano a metà del cammino, vedi Enzo Baldoni che fino a 50
anni faceva solo il pubblicitario
o Franco Pagetti, allievo del
grande Natchwey, passato dai
clic patinati alle morgue irachene. E ce n’è di più giovani,
Barbara Schiavulli, una collega
che da Gerusalemme a Haiti,
da Kabul a Bagdad non si
perde una crisi e riesce a «coprire» sul posto anche per un
innegabile vantaggio: è di pelle
creola e tratti orientaleggianti,
l’ideale per passare inosservati
nella caccia all’occidentale di
Najaf o di Falluja. I freelance
per eccellenza sono i fotografi,
Mauro Sioli o Livio Senigallesi,
obbligati alla corsa a ostacoli
d’una tecnologia che fa arrivare in tempo reale le immagini di tutto: «Entrare in concorrenza con le grandi agenzie
non ha senso - dice Pigi Cipelli,
base a Milano e anni di reportage dai Balcani all’Iraq -.
Più che puntare su immagini
che mostrano l’avvenimento,
meglio andare su quelle che lo
spiegano». Come girare in pattuglia di notte, per le vie di
Bagdad: gli occhi atterriti d’un
arrestato, lo sguardo spaventato uguale d’un marine.
Avere qualcosa di più. Per
questo si può morire: capitò
ad Almerigo Grilzz, 1987,
Mozambico. O ci si può andare vicini, come Fausto
Biloslavo e Gian Micalessin,
«storici» freelance che sono
stati colpiti (Fausto in Afghanistan) o hanno rischiato: partito in macchina da Bagdad
per Nassiriya, poche settimane fa, Gian è incappato in
un posto di blocco di sadristi e
solo la prontezza del suo
autista («sdraiati, fingi di
dormire, dirò io che sei un
giordano!») gli ha salvato la
pelle. Qualche volta, con la
tribù nomade, sbarcano anche i turisti della guerra: signore annoiate, esaltati, autentici
psicopatici. A Sarajevo, ci fu
un tale che s’inventò d’essere
stato rapito. Tornò a casa, si
prese due ceffoni dalla mamma e capì la lezione. Non s’è
più visto.
Giornalisti nella storia - I nostri martiri
Una sezione del sito dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia viene riservata a 14 giornalisti ammazzati dallo squadrismo fascista, dal terrorismo rosso, dal terrorismo internazionale, dalla mafia e dalla camorra. Questa la galleria dei martiri:
Giovanni Amendola
Piero Gobetti
Carlo Casalegno
Walter Tobagi
Guido Puletti
Ilaria Alpi
Maria Grazia Cutuli
Antonio Russo
Enzo Baldoni
Mauro De Mauro
Mario Francese
Giuseppe "Pippo" Fava
Giancarlo Siani
Giuseppe "Beppe" Alfano
Abruzzo:
“Baldoni
tra i martiri
del
giornalismo”
ORDINE
9/10
2004
Tutti facevano giornalismo investigativo o d’inchiesta oppure esprimevano posizioni fortemente critiche, chi sul fascismo (Amendola e Gobetti), chi sul terrorismo (Casalegno e
Tobagi) o sulle zone calde del pianeta (Guido Puletti in
Bosnia, Ilaria Alpi in Somalia, Maria Grazia Cutuli in Afghanistan, Antonio Russo in Cecenia, Enzo Baldoni in Iraq) ,
altri sulla mafia o sulla camorra (De Mauro, Francese, Fava,
Siani e Alfano). L’obiettivo dell’iniziativa è quello di preservare la memoria di questi 14 giornalisti, che hanno scritto
ognuno una pagina importante nella storia della nostra
nazione, e che sono un esempio di alta coscienza civile da
additare ai giovani. Non bisogna dimenticare il loro sacrificio. I giornalisti italiani possono arricchire questa sezione
del sito, spedendo saggi e articoli all’indirizzo e-mail
[email protected].
Milano, 27 agosto 2004. - “L’Ordine piange un ottimo collega, simbolo di abnegazione e impegno civile. È un peccato
averlo perso... l’Albo dei giornalisti oggi è più leggero”. Con
queste parole Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei
giornalisti della Lombardia, commenta l’assassinio del
pubblicista Enzo Baldoni, iscritto all’Albo dal 16 settembre
del 1985. “L’Ordine lombardo - continua - ha inserito Enzo fra
i martiri del giornalismo, ammazzati dallo squadrismo
fascista, dal terrorismo rosso, dal terrorismo internazionale,
dalla mafia e dalla camorra. Questo elenco, corredato dalle
biografie, è nel sito web del nostro ente”.
(Adnkronos)
Le relazioni
perverse
tra i protagonisti
dell’informazione
la cassa integrazione. Ideale sarebbe essere
inviati dalla testata a congressi indipendenti
e almeno internazionali. E ricevere in ufficio i
Mi occupo di divulgazione scientifica, e in
testi delle cartelle stampa (non gli inviti, che
particolare di medicina (gli altri argomenti,
per lo più non aggiungono nulla a eventuali
come psicologia e affini, non interessano
cartelle stampa fatte bene) per poterle leggeeconomicamente nessuno), per una testata
re con calma e in modo critico. Purtroppo ciò
interessante per gli uffici stampa perché
non avviene. Ma forse non sempre ci accorvende più di 700 mila copie al mese.
giamo di quanto l’ospitalità munifica degli
Gli inviti mi giungono prevalentemente da
uffici stampa, la loro cortesia, la loro generoaziende farmaceutiche, ma anche da cliniche
sità, influenza il nostro lavoro. Il Coordinaprivate e di produttori di tecnologie biomedimento per l’integrità della ricerca biomedica
che. Gli inviti sono a congressi, convegni,
ha inviato recentemente un questionario a
simposi, inaugurazioni di filiali, presentazione
121 giornalisti medico-scientifici. Hanno
di “grandi scoperte della medicina” che si
risposto solo uno su tre (32%).
svolgono a volte a Milano (dove è la sede del
Di questi il 38% riconosce che l’essere ospiti
giornale) altre a Roma, ma abbastanza spesha influenzato l’articolo scritto; il 13% che
so, soprattutto in primavera e autunno, in
esiste una relazione tra munificenza dell’olocalità amene, a volte addirittura esotiche,
spitalità e orientamento dell’articolo; il 30%
oppure grandi capitali europee o americane.
che ha subito pressioni per la pubblicazione
Le parti coinvolte nel
della notizia al ritorno dal
viaggio stampa sono
congresso; il 13% di
PER SAPERNE DI PIÙ
quattro: l’ufficio stampa
basarsi solo sulla docudell’azienda ospite; i relamentazione degli uffici
Marco Bobbio: Giuro di esercitori, i giornalisti, la testata
stampa. Questi non sono
tare la medicina in libertà e indiche hanno interessi diverarticoli giornalistici, ma
pendenza, Einaudi 2004
si. Ho provato ad analizpubblicità occulta.
Maurizio Paganelli, Congressi o
zarli.
Quello che emerge è un
vacanze (Salute di Repubblica
giornalista che spesso si
20 febbraio 2003 p. 10).
1. L’ufficio stampa deve
abbassa a fare il divulgaChi fa la regia della stampa di
fare gli interessi dell’atore passivo, che fa da
settore? (Il Sole 24 Ore sanità 4zienda che rappresenta,
megafono degli interessi
11 novembre 2003 pp. 16-17).
per la quale quel viaggio
di chi lo ospita.
è un’operazione di markeSiamo quindi noi che non
ting pubblicitario. Lo scosappiamo fare il nostro
po delle aziende farmaceutiche è avere bilanlavoro, non gli uffici stampa. Penso che il
ci in attivo, non perdere quote di mercato e
settore farmacologico, che può danneggiare
pagare i dividendi agli azionisti. L’obbligo quinla salute dei lettori, sia il più critico, ma non
di è di risultati, non di mezzi. Non hanno
penso che un viaggio turistico, o la presentanessun obbligo di essere obiettivi sottolineanzione di un prodotto delle tecnologie come
do masochisticamente gli effetti collaterali dei
un telefonino o altro abbiano minore influenfarmaci. La loro informazione quindi deve
za sulla deontologia. Se tutti fossimo più indiessere di parte: i relatori saranno scelti in
pendenti e più critici, gli uffici stampa non
questa ottica, e i giornalisti ospiti pure saranpotrebbero scegliere fra giornalisti più o
no scelti fra coloro che in passato hanno
meno influenzabili. Saremmo tutti altrettanto
dimostrato di poter pubblicare la “notizia”
indipendenti. Ma soprattutto solo così
come è stata presentata, meglio senza agpotremmo dirci giornalisti.
giunte critiche, su una testata interessante,
tale da garantire ricadute.
4. Mi dicono che nelle redazioni i direttori e i
Per esperienza, se le mie premesse sono
vice direttori usano i viaggi stampa per
corrette, gli uffici stampa sanno fare benissipremiare la fedeltà dei giornalisti alla linea del
mo il loro lavoro.
direttore. In questo caso chi si vende è non
solo il direttore, ma anche il giornalista che
2. I relatori, cui viene offerta una munifica
invece di andare a lavorare duramente in una
ospitalità e pagata la prestazione professiotrasferta (altrimenti perché ricevere in busta
nale, certo non saranno così ingrati da elenpaga il diritto di trasferta?) va a fare una
care i lati negativi di un farmaco, o le lacune
pubblicità occulta. Non si tratta di reati punibili
di una tecnica. Inoltre sono costretti ad essedal codice penale e visto che tutti sono d’acre molto gentili nella speranza che sia financordo neppure con il codice civile. Ma sicuraziata una loro ricerca o la borsa di studio di
mente l’Ordine dovrebbe vigilare di più i
uno specializzando, manna viste le attuali
rapporti fra uffici stampa e giornalisti, e mettecondizioni di asfissia della ricerca italiana.
re delle regole sui viaggi stampa. Cominciamo ad essere sbeffeggiati su libri e giornali. Si
3. Noi giornalisti scriviamo (o dovremmo scrifavoleggia di viaggi di una settimana in locavere) per i nostri lettori. Se la testata è in attilità per pochi ricchi per decantare i supposti
vo è il lettore che ci paga lo stipendio. Se
vantaggi di farmaci già rivelatisi una bufala
l’informazione non è fatta bene, nel suo intedalle pubblicazioni scientifiche accreditate.
resse, cercherà sul mercato qualcosa di più
*Coordinatrice del gruppo “Etica e Inforattendibile: la testata rischia la chiusura e noi
mazione” di qp-Senza Bavaglio
di Amelia Beltramini*
11
RELAZIONE DELL’AUTORITÀ GARANTE DELLE COMUNICAZIONI
Roma, 9 luglio 2004. I ricavi della Rai sono
in crescita marginale, quelli di Mediaset
aumentano più alla media di mercato, mentre
Sky fa segnare un significativo + 18%, Sono
questi alcuni dei dati snocciolati da Enzo Cheli,
presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle
Comunicazioni, nel corso della presentazione
della Relazione annuale sull’attività svolta dalla
cosiddetta “Agcom”. Il Garante, però, ha avuto
anche modo di sottolineare come la concessionaria pubblica continui ad essere l’impresa televisiva più rilevante sul mercato, mentre Mediaset segue con un leggero aumento rispetto
all’anno precedente. Congiuntamente, però, le
due emittenti assorbono il 74,3% dei ricavi
complessivi, nonché l’86,5% delle risorse del
mercato pubblicitario. Insomma, ci si trova di
fronte ad un vero e proprio duopolio.
Il bilancio del Garante, che sembra
rispondere a distanza alle considerazioni di Tesauro dei giorni scorsi, è più positivo
nel settore delle telecomunicazioni. L’Italia,
sostiene Cheli, si colloca “da due anni a
questa parte, in una delle posizioni più avanzate del contesto europeo, sia in termini di
sviluppo che di concorrenzialità”, “dato
questo che viene a trovare conferma, da un
lato, nella costante riduzione delle quote di
mercato dell’operatore dominante, dall’altro,
nel fatto che nel nostro Paese, in pochi anni,
si sono potuti affermare, nella telefonia fissa,
il maggiore secondo operatore europeo, e,
nella telefonia mobile, un terzo operatore
che, nel panorama comunitario, tende a
sopravanzare gli operatori terzi entranti dagli
altri Paesi”.
La relazione si conclude con una richiesta alle autorità politiche: “Se crediamo,
infatti, nell’utilità del ruolo assegnato alle
autorità amministrative di garanzia più direttamente impegnate sul fronte della difesa
dei diritti connessi allo sviluppo dei processi
economici, occorre mettere questi soggetti
in condizione di funzionare, con mezzi
adeguati alla delicatezza e al rilievo costituzionale delle funzioni esercitate, nonché al
tasso di indipendenza richiesto a chi è chiamato ad esercitarle”.
Al duopolio tv l’86,5
Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Relazione annuale sull’attività svolta e sui
PREMESSA
L’anno appena trascorso è stato per il mondo della
comunicazione e dell’informazione un anno cruciale,
che ha fatto registrare, sia a livello europeo che nazionale, un mutamento profondo nel tessuto delle regole
destinate a guidare i vari settori di questo comparto. A
livello europeo, le novità maggiori sono emerse con l’entrata in
vigore, nel luglio dello scorso anno, delle cinque direttive sulla
“comunicazione elettronica” approvate, a conclusione di un
lungo processo di revisione della preesistente legislazione
comunitaria, dal Parlamento e dal Consiglio europei, direttive
completate da altri atti connessi, quali la direttiva sulla concorrenza nel mercato delle reti e dei servizi e la raccomandazione sui mercati rilevanti. Come avemmo già modo di accennare
nella Relazione dello scorso anno, questo nuovo quadro regolamentare ha segnato, per molti aspetti, un vero punto di svolta rispetto al passato.
Al livello nazionale, le novità più rilevanti sono derivate dal varo
di due leggi organiche (o di sistema), quali il Codice delle
comunicazioni elettroniche approvato con il D.lgs. 1° agosto
2003, n. 259 e la legge 3 maggio 2004, n. 112 [1], in tema di
riassetto dell’intero sistema radiotelevisivo pubblico e privato.
Attraverso il Codice delle comunicazioni elettroniche sono
state recepite con puntualità le nuove direttive europee e sono
state definite le sfere di competenza del ministero delle Comunicazioni e dell’Autorità. Attraverso la legge n. 112 del 2004 maturata dopo un lungo e contrastato percorso parlamentare si è cercato di dare basi nuove all’impianto del sistema radiotelevisivo, alla luce delle trasformazioni tecnologiche in atto,
anche al fine di offrire una risposta alla giurisprudenza della
Corte costituzionale e agli indirizzi espressi nel messaggio del
Presidente della Repubblica del 22 luglio 2002, in tema di
pluralismo.
In virtù di questo nuovo quadro si può, dunque, dire che,
tanto a livello europeo che nazionale, una stagione si è chiusa ed un’altra si è appena avviata, i cui sviluppi possibili
restano ancora in gran parte indefiniti, data la varietà e la
complessità dei fattori tecnologici, economici e sociali che le
nuove discipline stanno ponendo in gioco. L’Autorità si trova,
di conseguenza, oggi, impegnata, nell’ambito delle sue
competenze, a dare attuazione a questo quadro e ad
adeguare, alla luce delle novità introdotte, le proprie attività
di regolazione e di controllo.
1
Ma al di là delle regole, mutamenti consistenti sono
venuti a emergere, nel corso dell’anno, anche sul
piano dei processi economici. Sviluppando un percorso già iniziato nel 2002, il mercato Ict è tornato, infatti, ad assumere il ruolo di driver della ripresa economica in quasi tutto il mondo. È vero che la crescita del mercato mondiale delle telecomunicazioni risulta ancora limitata, nel
2003, al 2,9% (con un volume pari a 915 miliardi di euro), ma
le previsioni per il biennio 2004-2005 si presentano decisamente più incoraggianti, con un’attesa di crescita pari al 4,1%
per il 2004 e al 4,8% per il 2005.
Esistono, d’altro canto, a livello mondiale, chiari segnali che
possono indurre ad un ragionevole ottimismo, quali quelli che
si collegano agli sforzi di risanamento compiuti dai principali
operatori telefonici, all’atteggiamento più favorevole dei mercati finanziari, alla dinamicità e innovatività del settore della telefonia mobile, alla crescita veloce e consistente della banda larga
e delle nuove applicazioni ad essa legate.
Dal canto suo, la Commissione europea ha previsto, per il
2004, un tasso di crescita del settore destinato a collocarsi
tra il 3,7% ed il 4,7%, in ragione di un ulteriore sviluppo della
telefonia mobile (anche attraverso l’avvio dell’Umts), di una
crescente diffusione della banda larga, di un incremento
delle linee d’accesso disaggregato alla rete locale. E questo
nonostante talune difficoltà che tuttora permangono nella
telefonia fissa, dove, peraltro, la quota di mercato degli
operatori storici seguita ancora a decrescere a favore degli
operatori alternativi.
Tutto induce, dunque, a ritenere che i mercati in cui si articola
il mondo della comunicazione abbiano ormai imboccato, in
virtù delle spinte indotte dai processi di digitalizzazione in atto,
l’uscita definitiva dal tunnel di quella crisi che, a livello mondiale, si era aperta, dopo la grande euforia degli anni ‘90, all’inizio
del nuovo secolo.
2
12
LE AZIONI SVOLTE DALL’AUTORITÀ
NEL CORSO DELL’ANNO
Entro questo quadro, segnato da tanti fattori di mutamento, si collocano gli interventi che l’Autorità, nel
corso dell’anno, ha sviluppato nei settori delle telecomunicazioni, della radiotelevisione, dell’editoria, delle
nuove tecnologie della comunicazione. Mi limito, in
questa sede, a richiamare soltanto alcune delle decisioni più
rilevanti, rinviando per un quadro più completo al testo esteso
della Relazione annuale.
3
4
Nel settore della telefonia fissa l’attività regolatoria
dell’Autorità è intervenuta sia sul mercato wholesale
(concernente l’interconnessione e l’accesso speciale
alla rete), sia su quello retail (concernente i prezzi
finali, la qualità dei servizi e il servizio universale). In
particolare, in questo settore l’Autorità: a) ha introdotto un cap
di salvaguardia per quanto concerne il paniere dei servizi a
canone, volto specialmente a garantire la tutela dei clienti residenziali; b) ha stabilito una riduzione media dei prezzi dell’offerta retail per le linee affittate del 5,25%; c) ha approvato il
listino di interconnessione per l’anno 2004, con una sensibile
riduzione dei prezzi di interconnessione rispetto all’anno
precedente; d) ha adeguato il Piano di numerazione nazionale, tenendo conto in particolare dello sviluppo dei servizi più
innovativi. L’Autorità ha anche approvato una direttiva generale
in materia di qualità e carte dei servizi di telecomunicazioni,
che gli operatori sono tenuti ad adottare a tutela dell’utenza.
Passando al settore della telefonia mobile, i principali interventi hanno riguardato: a) l’adozione della disciplina relativa
alle procedure per l’assegnazione di frequenze per il servizio
radiomobile professionale a gestione centralizzata (Public
access mobile radio - Pamr); b) la consultazione pubblica per
il riordino delle frequenze Gsm; c) la promozione della realizzazione da parte degli operatori di un database unico nazionale per la gestione di un codice dei terminali radiomobili
(Imei), destinato a contenere i fenomeni criminali ai danni
degli utenti.
Ulteriori interventi regolamentari hanno investito la sfera di
Internet, dove l’Autorità ha continuato a dedicare una specifica
attenzione alla disciplina delle attività di sviluppo dei servizi di
accesso disaggregato a livello di rete locale. Intensa è stata
anche, in questo periodo, l’azione di vigilanza diretta a verificare le condizioni di offerta praticate dagli operatori e il rispetto
delle normative di settore. Fra gennaio e dicembre 2003 sono
pervenute all’Autorità alcune migliaia di istanze da parte degli
utenti e delle imprese, con un consistente aumento rispetto
agli anni precedenti.
Nel settore dell’audiovisivo le principali azioni dell’Autorità hanno avuto ad oggetto: a) l’integrazione del
Piano cd. di “primo livello” delle frequenze digitali
terrestri ai fini dell’assegnazione di risorse in ambito
provinciale (integrazione che, in aggiunta alle 12 reti
nazionali e 126 regionali, ha individuato 71 bacini provinciali in
grado di consentire la realizzazione di 1.272 reti in ambito locale); b) la rideterminazione dei canoni annui di concessione per
le emittenti relativi al triennio 2003-2005; c) l’individuazione del
limite temporale per i diritti di sfruttamento secondari delle
opere televisive realizzate da produttori indipendenti, lasciando alla libera contrattazione delle parti la determinazione del
corrispettivo; d) la definizione del regime autorizzativo per i
trasferimenti di proprietà delle società radiotelevisive; e) l’indizione di una consultazione pubblica finalizzata a stabilire la
disciplina dell’accesso alle reti da parte dei fornitori di contenuti, così da garantire, in presenza di risorse frequenziali insufficienti a soddisfare tutte le richieste, l’accesso alle radiofrequenze in condizioni di parità di trattamento. In questo quadro,
particolare rilievo assume il recente completamento dell’analisi
delle posizioni dominanti nel mercato radiotelevisivo, condotto
in attuazione della delibera n. 226/03/Cons del 17 giugno 2003
(già richiamata in occasione della precedente Relazione), che
aveva accertato, per il triennio 1998-2000, il superamento, da
parte delle emittenti Rai e Rti e della concessionaria di pubblicità Publitalia ‘80, del tetto del 30% fissato per la raccolta delle
risorse economiche dalla legge n. 249 del 1997. Con la delibera n. 117 del 30 aprile 2004, l’Autorità ha concluso tale analisi,
5
confermando anche per il triennio 2001-2003 l’avvenuto sforamento da parte degli stessi soggetti del limite antitrust indicato
dalla stessa legge n. 249, con Rai e Rti che hanno raccolto,
nel 2003, rispettivamente il 38,1% ed il 31,4% delle risorse.
Essendo, peraltro, dopo tale delibera, mutati i parametri della
disciplina antitrust in conseguenza dell’entrata in vigore della
legge n. 112 del 2004 e degli accertamenti effettuati in ordine
agli sviluppi della tecnologia digitale terrestre ai sensi della
legge n. 43 del 2004, l’Autorità sta oggi valutando i provvedimenti da adottare alla luce delle innovazioni legislative introdotte e dei risultati raggiunti nel corso delle precedenti istruttorie. La decisione relativa a tali provvedimenti è prevista per la
fine del corrente mese di luglio.
Un altro settore che ha molto impegnato il lavoro
dell’Autorità è stato quello relativo ai controlli sulla par
condicio (come regolata dalla legge n. 28 del 2000), sul
pluralismo dell’informazione (come previsto dalla legge
n. 223 del 1990) e sui sondaggi (come disciplinati dai
vari regolamenti dell’Autorità). Su questo terreno va segnalato
che: a) in materia di par condicio durante le campagne elettorali, dal 1° aprile 2003 ad oggi sono stati aperti 116 procedimenti
ed adottate 109 delibere, di cui 13 di riequilibrio (11 delle quali
nel periodo maggio-giugno 2004, relativo all’ultima campagna
elettorale); b) in materia di pluralismo dell’informazione, dopo i
due casi-pilota relativi a trasmissioni della Rai (“Sciuscià
edizione straordinaria”) e di Rti (“TG4” e “Studio Aperto”), già
ricordati nella Relazione dello scorso anno, si è concluso un
ulteriore procedimento relativo ad un esposto dell’Associazione Lista Pannella nei confronti della trasmissione “Primo
Piano” della Rai. Anche in questo caso, in assenza di specifiche disposizioni sanzionatorie indicate dalla legge, l’Autorità
ha disposto un richiamo verso l’emittente ai fini del rispetto dei
principi di correttezza, completezza, imparzialità ed obiettività
dell’informazione indicati nell’art. 1 della legge n. 223 del 1990;
c) in materia di verifica del rispetto della normativa in tema di
sondaggi, l’attività di vigilanza ha riguardato la pubblicazione
sia di risultati di sondaggi demoscopici in materia politico/elettorale (con l’apertura di 59 procedimenti), sia di risultati attinenti ad altre tipologie di rilevazioni (con l’apertura di 64 procedimenti). Da segnalare, come novità significativa che - con i
regolamenti varati, previa consultazione con la Commissione
parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi
radiotelevisivi, in occasione delle recenti campagne elettorali, è stato introdotto nei programmi di approfondimento informativo, pubblici e privati, l’obbligo di garantire la presenza equilibrata di tutti i soggetti politici che partecipano alle elezioni
“assicurando sempre e comunque un equilibrato contraddittorio”. Infine, un ulteriore tema emerso per la prima volta nel
corso dell’anno è stato quello della partecipazione di esponenti politici ai programmi di intrattenimento trasmessi dalla
concessionaria pubblica, in violazione di un atto di indirizzo
emanato dalla Commissione parlamentare di vigilanza nel
marzo 2003, dove si è imposto di limitare tale partecipazione
ai soli casi in cui la particolare competenza e responsabilità
dei soggetti invitati sia idonea a giustificarne la presenza. La
prima decisione relativa a tale questione - che ha comportato
un’ampia indagine sulla generalità dei programmi di intrattenimento della Rai - verrà adottata nei prossimi giorni, con riferimento ai primi sei programmi esaminati. Nel complesso appare, dunque, confermata l’utilità di una disciplina posta a garanzia dell’accesso ai media dentro e fuori le campagne elettorali:
disciplina ormai presente in tutte le democrazie più evolute,
fatte salve le opportune modulazioni per adeguare la portata
delle varie norme alle singole circostanze (così come è accaduto di recente in Italia con la legge n. 313 del 2003, che ha
previsto per l’emittenza locale un’attenuazione della disciplina
generale posta in tema di par condicio).
6
In materia di tutela dei minori, l’anno 2003 ha visto
consolidarsi i rapporti con il “Comitato televisione e
minori”, insediato presso il ministero delle Comunicazioni ai fini della verifica del rispetto del “Codice di
autoregolamentazione TV e minori”, varato alla fine
del 2002. L’entrata in vigore della legge n. 112 del 2004 ha,
d’altro canto, rafforzato la tutela preesistente, prevedendo sia
la diretta sanzionabilità delle disposizioni contenute in tale
Codice sia l’aggravamento delle sanzioni che oggi, anche
attraverso la loro necessaria pubblicità, hanno assunto un’ef-
7
ORDINE
9/10
2004
NEL SETTORE DELLE TELECOMUNICAZIONI C’È PIÙ CONCORRENZA
% della pubblicità
programmi di lavoro. Presentazione del presidente dell’Autorità del 9 luglio 2004
fettiva deterrenza. Nel periodo in esame il Comitato ha
trasmesso all’Autorità 35 segnalazioni che hanno condotto
all’approvazione di 8 ingiunzioni e 17 contestazioni, concernenti trasmissioni pornografiche o violente o nocive per lo
sviluppo psichico e morale dei minori.
Un altro settore da richiamare è quello della vigilanza
sulla pubblicità, effettuata sia a campionamento che
su segnalazione di soggetti terzi. Su questo piano,
nel periodo aprile 2003 - marzo 2004, sono stati effettuati nei confronti delle emittenti nazionali 85 interventi, di cui 14 in materia di affollamenti pubblicitari. In 29 casi
l’Autorità ha provveduto ad applicare le sanzioni previste dalla
legge n. 223 del 1990, sanzioni che hanno riguardato, in particolare, l’inserimento di pubblicità nei cartoni animati, la mancata separazione della pubblicità dal resto dei programmi, le
trasmissioni di spot isolati non eccezionali, il superamento del
limite massimo di interruzioni pubblicitarie nei film, nonché il
superamento del limite stabilito dalla legge per distanziare tra
loro le varie interruzioni. Da segnalare, infine, che l’Autorità ha
concorso, insieme con le forze di Polizia e della Guardia di
Finanza, all’accresciuta azione di contrasto del fenomeno della
pirateria audiovisiva, che ha condotto, nel corso del 2003, ad
un numero rilevante di sequestri di musicassette, videocassette e apparecchi audiovisivi.
8
Nel settore radiofonico, l’approvazione del Piano
nazionale di assegnazione delle frequenze per la
radiodiffusione sonora in tecnica digitale nello standard DAB-T ha aperto nuove possibilità di sviluppo
per molte emittenti radiofoniche che hanno deciso di
investire sull’innovazione tecnologica. Non avendo il legislatore, peraltro, fissato, in questo settore, una data certa di turn off,
il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale resta,
in gran parte, legato alle iniziative degli operatori più interessati alla prospettiva di uno sviluppo di questo mezzo come piattaforma interattiva. Su questo piano l’Autorità è chiamata ora
ad adottare un regolamento diretto a garantire il principio del
pluralismo attraverso un equilibrato rapporto tra diffusione
nazionale e locale.
9
Da segnalare anche che, nel corso degli ultimi
mesi, l’Autorità si è impegnata a promuovere,
d’intesa con il ministero delle Comunicazioni e
con il dipartimento della Protezione civile, la
realizzazione di un circuito nazionale dell’informazione d’emergenza. Il progetto, ormai definito, coinvolge la
concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, le imprese
televisive e radiofoniche private nazionali e locali e gli operatori della telefonia mobile. Obiettivo del progetto è l’attivazione di
un nuovo strumento di informazione per i cittadini nell’ambito
delle iniziative di prevenzione e contrasto delle situazioni
d’emergenza.
10
Per quanto riguarda, infine, il settore dell’editoria, a tre anni di distanza dalla legge n. 62 del
2001, si manifesta, in generale, l’esigenza di un
nuovo intervento organico diretto, in particolare,
ad aggiornare la disciplina della rete distributiva,
delle agevolazioni, dell’editoria elettronica. L’avvio di un mercato per la diffusione dei contenuti nella televisione digitale terrestre offre, d’altro canto, nuove opportunità agli editori che intendano utilizzare la propria posizione di detentori di contenuti,
vera risorsa scarsa della nuova realtà multicanale. Su questo
terreno risulta, dunque, ben giustificata la riserva temporale
(fino al 2010) tracciata, dall’art. 15 della legge n. 112, a favore
delle imprese editoriali. Sempre con riferimento all’editoria va
anche richiamata l’attività svolta dall’Autorità ai fini del controllo sul rispetto delle norme che vincolano gli enti pubblici e le
pubbliche amministrazioni a destinare a quotidiani e periodici
una quota non inferiore al 50% delle spese relative alla pubblicità, comunicandone l’ammontare all’Autorità.
Nel corso del 2003 è stata avviata, con la collaborazione del
Nucleo speciale della Guardia di Finanza, un’ampia verifica
sull’adempimento di questo obbligo. Al contempo, grazie alla
disponibilità della Fieg e di molti editori ad essa associati, l’Autorità ha avviato una campagna di informazione intesa a
promuovere la conoscenza di tale obbligo e le modalità per il
suo assolvimento.
11
ORDINE
9/10
2004
SVILUPPI E TENDENZE
DEI MERCATI ITALIANI
Se queste sono state le principali linee di azione perseguite dall’Autorità, vediamo ora gli
sviluppi e le tendenze che, nel corso dell’anno, si sono manifestate nei mercati italiani
legati al mondo della comunicazione. Anche
su questo terreno le novità emerse sono state numerose e
rilevanti. Mi limito solo a ricordare alcuni dati. Nel settore delle
telecomunicazioni il tasso di crescita del mercato italiano è
stato nell’anno pari al 5,2%, molto superiore al tasso riguardante l’intera economia, che è risultato attestato al 3,2%.
Siamo oggi in presenza di un mercato che vale ormai quasi
33 miliardi di euro, con la previsione di raggiungere i 35
miliardi di euro alla fine del 2004.
Questo sviluppo ha tratto la sua spinta maggiore dal settore
dei servizi mobili, che, l’anno scorso, ha sfiorato i 57 milioni
di abbonamenti, superando, per la prima volta, i ricavi dei
servizi di telefonia fissa (16,7 contro 16 miliardi di euro).
Cresce, inoltre, sia nella rete fissa che in quella mobile, l’apporto della componente dati, che ormai costituisce oltre il
15% dei ricavi dei servizi di rete fissa ed il 13% dei ricavi dei
servizi di rete mobile. Intanto gli utenti di Internet sfiorano la
soglia dei 23 milioni.
Ma altri indici non meno significativi continuano a collocare
l’Italia nelle posizioni migliori del contesto europeo. Questi
indici emergono in particolare: a) nella diffusione dei servizi
in carrier preselection, che hanno raggiunto i 3,7 milioni di
abbonati, conseguendo uno dei livelli più alti in Europa; b)
nella utilizzazione della portabilità del numero che, in appena
due anni dalla sua introduzione, registra già la presenza di
2,2 milioni di utenti; c) nello sviluppo dell’accesso disaggregato alla rete locale (unbundling del local loop), che, ancorché limitato, fa emergere un tasso di crescita più veloce di
quello riscontrabile negli altri paesi europei; d) nell’avvio dei
servizi di telefonia mobile di terza generazione (Umts), che,
pur in presenza di un solo operatore già pienamente attivo
(gli altri, in fase di avvio, porteranno a regime la loro attività
entro la fine del corrente anno), ha ormai raggiunto i cinquecentomila abbonati.
Ma sul piano dell’innovazione tecnologica il dato più significativo resta ancora quello della diffusione degli accessi a
banda larga che, nel marzo 2004, hanno toccato in Italia la
soglia di 3,4 milioni di utenze, segnando anche in questo
caso il tasso di crescita più elevato in Europa. Intanto,
sempre sul terreno dell’innovazione, prosegue la diffusione
dei servizi wi-fi e comincia ad affermarsi la telefonia su protocollo Internet (cd. VoIP). In parallelo con la crescita nell’offerta servizi - e in particolare dei servizi legati alle nuove tecnologie - si è ulteriormente sviluppato un processo costante di
discesa dei prezzi. Come già si segnalava lo scorso anno, il
comparto delle telecomunicazioni resta il solo, tra quelli di
pubblica utilità, che, in presenza di sensibili, diffusi aumenti
nel prezzo dei servizi, ha seguitato a far registrare, dal 1998
ad oggi, un calo costante, complessivamente quantificabile
in circa il 46% nei prezzi all’ingrosso e in circa il 10% nei
prezzi al consumo, con una incidenza significativa sul contenimento dell’indice generale di inflazione. Questi risultati
vengono a dimostrare il successo di una liberalizzazione in
gran parte compiuta, così come è stato rilevato negli ultimi
tre rapporti annuali della Commissione europea in tema di
implementazione del quadro normativo attinente al settore
delle comunicazioni elettroniche (di cui il più recente, il IX,
risale al novembre scorso), nonché nel rapporto pubblicato
poche settimane fa, con riferimento allo stesso settore, da
un osservatore qualificato quale l’Ecta (European competitive telecommunications association), che colloca l’Italia ai
primi posti nella graduatoria dei paesi dove più efficace è
stata la regolamentazione.
È indubbio, infatti, che la spiegazione di tali risultati - come
gli stessi rapporti segnalano - vada in primo luogo cercata
nella completezza, nella tempestività e nella buona qualità
delle regole poste dal nostro Paese, specialmente in taluni
settori essenziali ai fini della competizione, quali quelli
dell’accesso disaggregato alla rete locale, dell’offerta wholesale per le linee affittate, della parità di trattamento internaesterna nella telefonia fissa, dei livelli delle tariffe di accesso
12
(che fanno registrare oggi sia per l’accesso disaggregato [full
unbundling] che per l’accesso condiviso [shared access] le
tariffe più basse su scala europea).
Per questo insieme di fattori, il mercato italiano delle telecomunicazioni seguita a collocarsi, da due anni a questa parte,
in una delle posizioni più avanzate del contesto europeo, sia
in termini di sviluppo che di concorrenzialità. Dato questo che
viene a trovare conferma, da un lato, nella costante riduzione delle quote di mercato dell’operatore dominante, dall’altro, nel fatto che nel nostro Paese, in pochi anni, si sono potuti affermare, nella telefonia fissa, il maggiore secondo operatore europeo, e, nella telefonia mobile, un terzo operatore
che, nel panorama comunitario, tende a sopravanzare gli
operatori terzi entranti dagli altri Paesi.
Si può, quindi, ritenere che, pur con le lacune che tuttora
sussistono e che vanno colmate, la liberalizzazione in Italia
non è più “zoppa” (come è stato anche di recente affermato)
[2], ma comincia ormai a camminare bene sulle sue gambe.
Passando al settore televisivo, le dimensioni
del mercato italiano hanno fatto registrare
nell’anno una crescita del 5,9% raggiungendo
quasi 5,9 miliardi di euro. In questa crescita, il
ruolo della concessionaria pubblica è apparso
marginale, quello di Rti superiore a quello medio di mercato,
mentre i ricavi della televisione a pagamento hanno fatto
registrare una decisa accelerazione, con un incremento
superiore al 18%, anche se la pubblicità resta la componente prevalente tra le fonti di finanziamento del settore (57,3%).
Il canone continua, invece, il suo declino, rappresentando
ormai meno di un quarto delle risorse del sistema.
Per quanto riguarda le quote del mercato televisivo, la
concessionaria pubblica continua ad essere l’impresa più
rilevante, mentre Mediaset segue con un leggero aumento
rispetto all’anno precedente. Congiuntamente le due emittenti assorbono il 74,3% dei ricavi complessivi, nonché
l’86,5% delle risorse del mercato pubblicitario. L’assetto del
sistema radiotelevisivo appare, dunque, ancora fortemente
concentrato, anche se tendono a manifestarsi, con sempre
maggiore evidenza, segnali che rivelano l’avvio di un nuovo
ciclo espansivo basato su tecnologie alternative alla televisione analogica.
Negli ultimi dodici mesi si sono, infatti, moltiplicati in Italia
(come, del resto, in gran parte d’Europa) i segni della rapida
trasformazione che sta investendo il mercato televisivo quale
si era consolidato dopo l’avvento delle emittenti commerciali.
Il principale fattore di novità è dato, su questo piano, dalla
nascita e dal rafforzamento di iniziative che utilizzano, nei
diversi sistemi di trasmissione (terrestre, cavo, satellitare), la
tecnologia digitale. In Italia questa tecnologia aveva fatto la
sua comparsa nel 1996, con trasmissioni satellitari usate
come complemento dell’offerta analogica terrestre di servizi
pay, ma non aveva avuto mai uno sviluppo adeguato. Tale
situazione è però mutata nell’estate del 2003, quando Sky, il
più grande operatore pay del mondo, ha fatto il suo ingresso
sul mercato italiano. Sky agisce oggi, come sappiamo, in
condizioni di monopolio nell’ambito delle trasmissioni satellitari dopo aver acquisito gli impianti dei due operatori preesistenti e dopo aver ottenuto dalla Commissione UE una deroga alla disciplina antitrust sulla base dell’impegno a rispettare una serie di obblighi procompetitivi, sulla cui osservanza è
ora chiamata a vigilare questa Autorità.
Non solo. A partire dal dicembre 2003, sotto la spinta di una
scelta legislativa diretta a superare il limite temporale fissato,
per le risorse frequenziali della televisione analogica, dalla
sentenza n. 466 del 2002 della Corte costituzionale, è iniziata anche la costruzione delle reti digitali terrestri, oggi distribuite fra quattro diversi operatori. Attualmente sono già in
funzione cinque multiplex (di cui due gestiti dalla concessionaria pubblica), ciascuno dei quali è capace di un’offerta, non
ancora satura, di cinque o sei programmi.
Si aggiunga che dal 2001 sulla rete di Fastweb è disponibile un’offerta che assembla sia i programmi televisivi nazionali, sia una selezione di programmi dei pacchetti pay, sia,
infine, programmi forniti su richiesta, mentre, a partire dal
corrente anno, Telecom Italia ha, a sua volta, avviato, su
una propria rete DSL, un’offerta sperimentale a richiesta
individuale di programmi televisivi. Sulle reti mobili, infine,
oltre alla possibilità di accedere a sequenze di immagini
13
13
RELAZIONE DELL’AUTORITÀ GARANTE DELLE COMUICAZIONI
Al duopolio tv
l’86,5%
della pubblicità
con standard Gsm, è già disponibile l’offerta di programmi
completi mediante lo standard Umts. Questa è la situazione, in gran parte inedita, che l’Autorità si è trovata ad affrontare quando, in adempimento del mandato ricevuto con la
legge n. 43 del 2004, ha dovuto valutare la complessiva
offerta dei programmi televisivi digitali terrestri, allo scopo
di accertare la quota di popolazione coperta dalle nuove
reti, la presenza sul mercato nazionale di decoder a prezzi
accessibili, l’effettiva offerta al pubblico su tali reti di
programmi originali.
L’accertamento compiuto dall’Autorità - che, come voluto
dalla legge, ha tenuto conto anche delle tendenze in atto sul
mercato - si è concluso positivamente rispetto alla presenza
delle tre condizioni indicate, ma ha condotto anche a far
emergere vari aspetti problematici relativi sia all’effettiva fruibilità della nuova tecnologia che all’attuale quadro di distribuzione delle risorse. Su questo piano, a conclusione del suo
accertamento, l’Autorità ha dovuto notare che “se la strozzatura relativa all’utilizzo dei mezzi televisivi è superabile alla
luce dei nuovi sviluppi nel campo della televisione digitale,
ciò non implica automaticamente una più equilibrata distribuzione delle risorse nel settore dei mezzi di comunicazione di
massa, e in particolare per quanto riguarda la disponibilità
dei mezzi tecnici e delle piattaforme e la raccolta delle risorse economiche”. Da qui la conclusione che - nonostante lo
sviluppo rapido e promettente delle tecnologie alternative
all’analogico terrestre cui oggi assistiamo - restano “di piena
attualità i problemi della garanzia dell’accesso alle reti e della
distribuzione delle risorse economiche per consentire un
equilibrato sviluppo del sistema anche con l’ingresso di nuovi
soggetti”.
Partendo dalla constatazione di questa realtà, l’Autorità è
oggi sul punto di avviare le analisi richieste dall’art. 14, 2°
comma, della legge n. 112 del 2004, con riferimento al
complesso dei parametri da tali norme indicati (ricavi, livello
di concorrenza, barriere all’ingresso, efficienza economica
delle imprese, indici quantitativi di diffusione dei programmi),
al fine di definire, anche alla luce dei risultati già raggiunti
nelle precedenti istruttorie sulle posizioni dominanti, le misure da adottare, ai sensi dell’art. 2, 7° comma, della legge n.
249, nei singoli mercati che compongono il sistema integrato
delle comunicazioni. Contestualmente altre istruttorie saranno avviate per le verifiche di cui all’art. 15, 2° comma, e
all’art. 25, 8° comma, della legge n. 112, in ordine ai limiti di
raccolta delle risorse nel sistema integrato delle comunicazioni e al numero di programmi consentiti ai singoli soggetti.
Per quanto concerne, infine, il settore dell’editoria quotidiana, nell’anno 2003, secondo i
primi dati a disposizione, il mercato italiano ha
mostrato segnali incoraggianti di inversione di
tendenza rispetto ai trend negativi degli anni
passati. In particolare, si è arrestato il preoccupante calo
della diffusione dei giornali, il cui dato registra, per la prima
volta negli ultimi anni, un sia pur debole segnale di crescita.
Resta, però, difficile la situazione sotto il profilo dei ricavi
pubblicitari, la cui diminuzione è stata, peraltro, compensata
attraverso l’aumento dei ricavi da vendita di copie e soprattutto dei ricavi derivanti da altre attività editoriali. Si conferma, quindi, la permanenza di un fenomeno di drenaggio di
risorse pubblicitarie da parte del mezzo televisivo.
14
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Concludo rilevando che questa è la sesta e
ultima Relazione annuale che questo Consiglio viene a presentare al Parlamento e al
Governo. Se volgiamo lo sguardo al passato,
al percorso compiuto in questi sei anni di attività, non possiamo non constatare l’intensità e l’ampiezza
del lavoro svolto, spesso in condizioni di vera emergenza.
Diciamo questo con una punta di orgoglio - che, spero, ci
verrà perdonata - senza dimenticare le critiche che spesso
ci sono state rivolte e che abbiamo sempre accolto con
molta umiltà, anche quando, ignorando i compiti naturali di
un organo di garanzia, la nostra azione veniva descritta
come gravata da un eccesso di prudenza e mediazioni, nel
tentativo evidente di trascinarla dentro il vivo della contesa
politica.
In realtà, le attività che, in questi anni, abbiamo svolto e le decisioni che abbiamo adottato, in condizioni di assoluta indipendenza, riassumono la storia di un percorso che abbiamo
sempre cercato di sviluppare con imparzialità in direzione del
perseguimento di obiettivi che la legge ha indicato in funzione
della garanzia dei diritti dei cittadini e non certo della supplenza del potere politico.
Questa occasione è, dunque, propizia per rivolgere un pensiero grato a quanti, in questi anni, ci hanno accompagnato in
questo percorso: al personale che, sotto la guida del Segretario generale, ha dato il meglio delle proprie energie; agli organi
di supporto, quali il Nucleo speciale della Guardia di Finanza
ed il Corpo di Polizia postale e delle comunicazioni, che non
hanno mai fatto mancare il loro prezioso sostegno; agli organi
funzionalmente connessi, quali il Consiglio nazionale degli
utenti (che, di recente, dopo aver svolto un proficuo lavoro, si è
rinnovato) ed i Comitati regionali per le comunicazioni (che,
nell’ambito dell’accordo-quadro stipulato nel 2003, hanno
completato il loro assetto strutturale ed avviato l’esercizio
sperimentale delle prime cinque deleghe); agli organi interni di
garanzia, quali il Comitato etico, la Commissione di garanzia
ed il Servizio del controllo interno, che ci hanno assistito con
grande autorevolezza.
16
14
Note
[1] Si tratta della cosiddetta “legge Gasparri” di riforma del
settore televisivo; [2] Il riferimento è al recente saggio dei
professori Frova e Pontarollo “La liberalizzazione zoppa”, nel
quale si criticano i risultati raggiunti in Italia in termini di concorrenzialità del mercato della telefonia fissa.
ALCUNI INDIRIZZI
PER LE AZIONI FUTURE
Con riferimento al sistema complessivo della
comunicazione e dell’informazione, siamo, quindi, in presenza, in Italia, di un quadro dove molti
sono i fattori di movimento e innovazione, ma
dove permangono anche forti squilibri e resistenti
zone d’ombra. Da qui l’esigenza di mettere a punto, sul piano
della regolazione e della vigilanza, una strategia di intervento
adeguata alla nuova realtà che, sul piano tecnologico ed economico, si va delineando, anche alla luce delle nuove regole, nel
contesto dei processi di digitalizzazione in atto. Questa strategia come già si accennava lo scorso anno - dovrebbe, a nostro avviso, poggiare almeno su due perni. Un primo perno orientato a
favorire al massimo - sulla scorta delle nuove direttive sulle comunicazioni elettroniche - l’“europeizzazione” delle regole e delle
procedure di controllo incidenti sul mondo delle telecomunicazioni e dell’audiovisivo, oltre che sulle nuove tecnologie convergenti.
Attraverso l’“europeizzazione” delle regole si possono, infatti,
contenere i differenziali nazionali ed estendere progressivamente
quegli standard che già esistono nello spazio europeo non solo
in tema di concorrenza, ma anche di pluralismo: obiettivo che
potrebbe essere innanzitutto perseguito, tenendo anche conto
del quadro tracciato dalla nuova Costituzione europea, attraverso un ampliamento dei contenuti della direttiva n. 89/552/CEE
cd. “Televisione senza frontiere”.
Un secondo perno andrebbe, invece, orientato ad incentivare al
massimo i percorsi di sviluppo delle tecnologie della comunicazione legate alla convergenza. Questo sviluppo rappresenta,
infatti, l’elemento che più può favorire la fusione tra le regole del
mercato (proprie del settore delle telecomunicazioni) e quelle del
servizio pubblico (proprie del settore dell’audiovisivo) stimolando,
di conseguenza, uno scambio virtuoso tra i vari comparti della
comunicazione e dell’informazione, così da rendere più agevole,
nei diversi contesti, la ricerca del giusto punto di equilibrio tra
concorrenza e pluralismo.
Questa è la prospettiva entro cui l’Autorità si appresta ad affrontare gli appuntamenti che l’attendono nel futuro prossimo e che
riguardano, in particolare, nel settore delle comunicazioni elettroniche, l’analisi dei diciotto mercati rilevanti indicati dalla Commissione europea ai fini della individuazione delle posizioni dominanti e dei possibili correttivi da apportare (cd. remedies); nel
settore radiotelevisivo, l’attivazione delle nuove, numerose
competenze che la legge n. 112 assegna all’Autorità e che investono, in particolare, il programma di attuazione del Piano di
assegnazione delle frequenze in tecnica digitale; la verifica del
cd. “sistema integrato delle comunicazioni”, ai fini del controllo
delle posizioni dominanti nel nuovo ambiente digitale; la vigilanza
sul rispetto degli obblighi del servizio pubblico, ivi compresa la
separazione contabile tra le attività di servizio e quelle di natura
commerciale; il concorso alla redazione, d’intesa con il ministero,
del nuovo codice della radiotelevisione. Nella stessa prospettiva
andranno anche ricercate le soluzioni relative a taluni problemi
caratterizzati da particolare urgenza, quali quelli inerenti la regolazione dei rapporti tra proprietari di reti e fornitori di contenuti, cui
si collega la decisione delle controversie promosse da e.BisMedia e Gioco Calcio contro Sky (e dove assume una particolare
valenza la disciplina sul “diritto di accesso” alle reti e ai contenuti,
che l’Autorità si appresta ad adottare).
15
Ma i risultati raggiunti in questi anni sono anche dovuti al clima
di leale ed efficace collaborazione che l’Autorità ha potuto
stabilire con i soggetti esterni più direttamente collegati al
nostro lavoro: con il ministero delle Comunicazioni (con cui è
stato da poco rinnovato l’originario accordo di collaborazione);
con la Commissione parlamentare di vigilanza sul servizio
pubblico radiotelevisivo; con il Comitato televisione e minori;
con le altre autorità amministrative indipendenti e, in particolare, con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (con
cui è stato sottoscritto di recente un primo accordo di collaborazione) e con il Garante per la protezione dei dati personali;
con gli uffici dell’Unione europea competenti per il settore delle
comunicazioni e della concorrenza; con la Regione Campania
ed il Comune di Napoli; con la Fondazione Ugo Bordoni; con
le varie Università che hanno attivato, d’intesa con l’Autorità,
programmi di ricerca e formazione. Anche a tutti questi soggetti va la nostra riconoscenza per il sostegno ricevuto. Resta un
problema che abbiamo più volte segnalato al Parlamento e al
Governo e che, avviandoci verso la conclusione del nostro
mandato, sentiamo il dovere di richiamare. Il problema è quello del crescente divario tra funzioni e risorse, un divario che
tende sempre più a condizionare la vita di questa Autorità. Il
fatto è che, nel corso degli ultimi anni, in conseguenza di varie
leggi che si sono succedute nel tempo (e, adesso, in particolare, in conseguenza dell’entrata in vigore del Codice delle
comunicazioni elettroniche e della legge n. 112 del 2004), i
compiti assegnati all’Autorità sono cresciuti fino, quasi, a
raddoppiare; di contro, le risorse assegnate attraverso il contributo statale, anziché aumentare, sono progressivamente diminuite fino a toccare, con l’ultima legge finanziaria, una riduzione di circa il 12%.
Siamo ben consapevoli delle ragioni che stanno alla base della
politica di contenimento della spesa pubblica, ma la situazione
che si va oggi creando rischia di alterare irreversibilmente l’assetto e il ruolo di questa Autorità, impedendo, da un lato, di
portare a regime l’impianto organizzativo già definito dalla
legge, dall’altro, di sviluppare funzioni essenziali, come quelle
concernenti il monitoraggio televisivo e il decentramento delle
attività attraverso i Corecom. Per avere un dato di riferimento
su questo divario, che va crescendo, basti solo considerare
Marziale: “Dal 10 settembre
è legge Codice Tv e Minori”
Milano, 2 settembre 2004. “È indispensabile che Fedele Confalonieri, presidente di
Mediaset, e Flavio Cattaneo, direttore
generale della Rai, consegnino ai partecipanti dei reality show una copia del Codice Gasparri per l’autoregolamentazione Tv e Minori, la cui lettura e comprensione si rende indispensabile visto e
considerato che la vera novità dell’imminente stagione televisiva è costituita dal
passaggio di osservanza del Codice per
patto ad osservanza per legge, essendo
stato lo strumento recepito dall’articolo 10
della legge per il riassetto del sistema
radiotelevisivo”. A pronunciarsi è Antonio
Marziale, presidente dell’Osservatorio sui
Diritti dei Minori, che alla vigilia della
messa in onda di una vera e propria fiera
del reality ritiene: “indispensabile la presa
d’atto del Codice da parte di personaggi
che entreranno nelle nostre case in piena
fascia protetta”.
“Il reality show - sottolinea Marziale - è il
genere televisivo più sanzionato dal Comitato ministeriale Tv e Minori per violazione
della privacy, voyeurismo, esibizione di
cose intime, spettacolarizzazione e banalizzazione. Se i reality in divenire celano le
solite sorpresine ad effetto, sul fronte del
contenimento si registra un potenziamento
delle misure di contrasto”.
“Il combinato disposto della legislazione
vigente in materia di tutela dei minori - spiega il presidente dell’Osservatorio - consente all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in caso di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale
dei minori o che contengano scene di
violenza gratuita o pornografiche, di irrogare direttamente sanzioni pecuniarie che
vanno da 5mila a 250mila euro con, in caso
di grave e reiterata violazione, la sospensione o la revoca della licenza o dell’autorizzazione.
Per molti reality show, già passati al vaglio
del Comitato presieduto da Emilio Rossi,
eventuali sanzioni costituirebbero una recidiva, dunque - conclude Marziale - la
produzione potrebbe ritrovarsi a fare i conti
con la revoca della licenza, misura per l’ottenimento della quale ci batteremo, se
costretti, in ogni sede”.
(ITALPRESS)
che, nel Regno Unito, l’Ofcom (Office of communications) che ha assunto di recente le caratteristiche di autorità della
convergenza con compiti largamente comparabili con quelli
propri della nostra Autorità - può disporre di una dotazione di
personale di ben quattro volte superiore alla nostra. La scelta
operata dal legislatore inglese non pecca, d’altro canto, per
eccesso, dal momento che viene a trovare la sua spiegazione
nel fatto che l’equilibrata distribuzione delle risorse economiche e tecnologiche tra i vari operatori della comunicazione e i
vari media rappresenta una delle chiavi di volta di quella
competizione, sia economica che politica, su cui si fondano le
democrazie moderne.
Questa è la premessa che ha giustificato, non solo in Italia, la
nascita di autorità indipendenti chiamate ad arbitrare i processi relativi alla distribuzione di tali risorse, destinate a condizionare gli assetti reali del mondo della comunicazione e
dell’informazione. La posta in gioco è, dunque, alta e tale da
richiedere una considerazione attenta da parte di tutti. Se
crediamo, infatti, nell’utilità del ruolo assegnato alle autorità
amministrative di garanzia più direttamente impegnate sul fronte della difesa dei diritti connessi allo sviluppo dei processi
economici, occorre mettere questi soggetti in condizione di
funzionare, con mezzi adeguati alla delicatezza e al rilievo
costituzionale delle funzioni esercitate, nonché al tasso di indipendenza richiesto a chi è chiamato ad esercitarle. Questa è
la riflessione che, verso la conclusione del nostro mandato,
vorremmo affidare agli organi politici cui questa Relazione è
diretta, anche nella prospettiva dell’annunciata riforma del
sistema delle autorità indipendenti. Una riforma che, a nostro
avviso, dovrebbe in ogni caso tener presente la buona riuscita
ottenuta da questo inedito modello di “Autorità della convergenza” che, con una certa lungimiranza, fu introdotto in Italia
dalla legge n. 249 del 1997: un modello che oggi molti paesi
europei stanno già applicando o si accingono ad adottare
sull’esempio italiano, nella convinzione che esso possa, più di
altri, garantire e incentivare quel giusto bilanciamento tra
concorrenza e pluralismo, cui il mondo della comunicazione e
dell’informazione, per ben funzionare, dovrebbe costantemente ispirarsi.
Roma, 9 luglio 2004
ORDINE
9/10
2004
Sono trascorse
poche settimane
dalla fine
del primo corso
di aggiornamento
per freelance,
voluto dall’Ordine
nazionale
dei giornalisti
e tenutosi
a Milano presso
l’Istituto
per la Formazione
al Giornalismo
“Carlo de Martino”
Forse troppo poche per riflettere e riorganizzare le idee. Ma
una cosa è certa: già sentiamo la mancanza dell’atmosfera
cordiale che si era formata nella sede di via Filzi.
Per chi non è più un ragazzino, ritornare sui banchi di scuola,
sottomesso alla gentile pressione educativa dei docenti, è
stato come un ritorno a casa, alle abitudine quotidiane.
Un richiamo ad un momento di revisione di se stessi e delle
proprie conoscenze, un atto libero di partecipazione alla
propria formazione.
E liberi siamo noi, i giornalisti freelance, ora più che in
passato, chiamati a formare e difendere la nostra
indipendenza al di fuori delle redazioni e, ancor più, al di fuori
dei normali schemi di lavoro. In un contesto educativo
nazionale, talvolta carente di strutture e mezzi specificamente
dedicati, i freelance hanno percepito un significativo spirito
d’interesse nei loro confronti da parte dell’Ordine nazionale.
Siamo rimasti felicemente coinvolti dall’avventura scolastica
all’Ifg “De Martino”, e siamo consapevoli di essere stati
fortunati a poter respirare e vivere il clima di questa storica
istituzione, che tanto si è prodigata, in prima linea e senza
riserve, per fornirci tutti gli strumenti di cui avevamo bisogno.
Prescindendo dal puro quadro formativo, a partire proprio dal
direttore, Gigi Speroni, e a seguire dai docenti e da tutto
l’organico, abbiamo avuto la sensazione di far parte di un
progetto “tutto per noi”, e ogni sforzo è stato compiuto perché
percepissimo la presenza di un impegno nel quale eravamo
presenze attive.
Questa lettera vuole testimoniare un sentito ringraziamento
per tutto ciò che è stato e che non dimenticheremo mai.
Il presidente Abruzzo
attorniato dai partecipanti
al corso organizzato
dall’Ordine nazionale
e svoltosi nella scuola
di Milano.
Un successo all’Ifg il corso
di aggiornamento per freelance
“Il nostro pensiero, la nostra voce”. Impressioni e suggerimenti
Siamo noi i protagonisti del primo corso di aggiornamento
professionale per freelance voluto dall’Ordine nazionale, e
organizzato dall’Istituto per la Formazione al Giornalismo
“Carlo De Martino” di Milano, e che si è concluso il 30
giugno scorso.
Un progetto-pilota che ha coinvolto giornalisti provenienti
da tutta Italia: in questo modo abbiamo colto l’occasione
per approfondire la normativa che ci riguarda (il rapporto
tra etica, informazione e deontologia e gli aspetti fiscali per
l’attività autonoma), senza trascurare le tecniche pratiche
più avanzate attraverso Internet, i pacchetti applicativi e,
non ultimo, il programma di impaginazione Quark XPress.
“Un utile confronto, così definirei in estrema
sintesi questo corso per freelance, senza
scindere dall’aspetto didattico quello umano.
Trattandosi di un ‘numero zero’, ha naturalmente manifestato dei limiti, com’era prevedibile. Complessivamente per quanto mi riguarda ho tratto giovamento dalla frequentazione
completa delle sette settimane. I freelance
soffrono in qualche modo di un isolamento
forzato, quindi il fatto stesso di poter vedere e
conoscere le realtà in cui vivono ed operano i
propri colleghi permette di acquisire apertura
mentale e ricevere incoraggiamento, laddove
se ne senta l’esigenza. Dal un punto di vista
puramente didattico un’esigenza e un suggerimento: sarebbe opportuna qualche esercitazione in piú”.
Roberta Barcella
“Una panoramica chiara ed esaustiva sulla
situazione dei giornalisti liberi professionisti:
questo l’esito maggiormente condivisibile del
corso. Ma, orari e giorni scelti sono stati, pur
essendo corretti per una iniziativa nazionale,
difficili da rispettare per chi vuole aggiornarsi
svolgendo le varie collaborazioni professionali da cui non può, ovviamente, prescindere.
Mai. Di fronte ai docenti del corso e alle lezioni ho ripensato alla mia ventennale attività
professionale con tutte le tensioni e le problematiche retributive e contributive e mi sono
ripromesso di fare delle scelte di campo. Mi
ha incuriosito molto la proposizione di riflessioni su di un nuovo campo aperto della
professione giornalistica, l'e-learning per
essere precisi, perché gli informatori possono
essere anche formatori o insegnanti veri e
propri. Nella mia esperienza debbo confermare che in molti casi mi sono trovato a svolgere
compiti diversi e non l'ho ritenuta cosa "altra"
dal mio essere giornalista”.
Claudio Consonni
“L’entusiasmo, l’impegno , la costanza sono
stati sempre alti nel corso delle 6 settimane di
lezioni full-time, che mi hanno permesso di
apprendere e approfondire in una nuova veste
questa figura professionale. Essere freelance è
un privilegio acquisito. Ci è stato trasmesso un
ricco patrimonio di informazioni, un potenziale
ORDINE
9/10
2004
Prezioso è il contributo che questa iniziativa dal carattere
sperimentale offrirà alle future sessioni di lavoro, che auspichiamo l’Ordine nazionale intenderà riproporre, nell’ambito
del progetto di formazione e aggiornamento imposti dalle
nuove frontiere della professione.
A nostra disposizione, esperienza e professionalità di “colleghi-docenti” (giornalisti dei quotidiani nazionali, elettronici e
della carta stampata, foto-giornalisti, grafici, informatici,
rappresentanti dell’Ordine, del sindacato, delle istituzioni
comunitarie, insieme ad avvocati e commercialisti) che si
sono avvicendati in quasi cento ore di lezione, offrendoci in
alcuni casi assistenza e consulenza specializzata.
professionale che sfrutteremo ognuno a seconda del proprio settore specialistico. Interessante è stato l’amichevole confronto con altri colleghi provenienti da tutta l’Italia”.
Rosita Giulian
“Molfetta-Milano con ritorno. In treno. Di notte.
Ogni sabato e mercoledì. Per sei settimane.
Centoventi ore di viaggio. “Traversate” dalla
Puglia per riflettere. Arrivare a Milano, nell’Ifg,
e magari capire.Tu che la scuola non l’hai mai
fatta, perché il “duro lavoro” ce l’hai nel
sangue, e l’hai imparato sul campo, in strada,
in redazione. Dovunque fosse una notizia. O
non ci fosse e andava trovata. A combattere
sola contro tutti. Per otto anni. E, spesso, per
quattro soldi. E, magari, ti rivedi alle prime
armi nello sguardo incantato dell’allievo del
biennio, che posa coi colleghi nella foto di fine
anno. Ma quel corso di aggiornamento freelance andava fatto. Il corso è un tassello che
ha caricato di significato la svolta che sta
caratterizzando il tuo percorso professionale
attuale, offrendoti gli spunti di riflessione che
ti servono per orientare le tue scelte”.
Giulia La Volpe
“L’esperienza di un viaggio su un treno che
all’alba di ogni mattina dalla stazione di
Mestre mi porta a Milano all’Istituto “Carlo
De Martino” per la Formazione al Giornalismo e che poi riprendo per tornare a casa,
tre giorni per sei settimane, sei ore della mia
vita vissute su una carrozza dell’Intercity
604, per capire qualcosa di più di questo
lavoro. Un corso impegnativo, un’esperienza straordinaria, tanti sforzi e una dura lotta
che significa: non mollare mai. Venti colleghi-allievi, e insegnanti professionisti a
disposizione. Tante le materie interessanti.
Docenti preparati, ma il tempo messo a
nostra disposizione è tiranno e in poche ore
non fai in tempo a elaborare ciò che ti spiegano, le cose importanti hanno bisogno di
tempo. Tanta e tanta competizione tra di noi.
Coraggio mi ha trasmesso Simona Fossati,
presidente del Gruppo freelance della
Lombardia, il coraggio di credere in questa
professione, che le cose possono cambiare
davvero, che bisogna lottare fino alla fine.
La cornice di eccellenza fornita dall’Ifg di Milano “Carlo de
Martino”, la scuola di giornalismo dell'Ordine della Lombardia, ci ha assicurato infine il giusto supporto tecnico-logistico per trasferire “in pagina” quanto appreso in classe.
I giornalisti freelance si sono organizzati creando un sito
internet di rappresentanza all’indirizzo:
www.giornalistifreelance.it
Le persone che ho incontrato, ogni singolo
insegnante mi ha comunque trasmesso un
valore. Un suggerimento, infine: la durata
del corso è stata troppo breve per elaborare
ed approfondire tutte le materie a livello
teorico e pratico. Qualcosa”.
Maria Teresa Mezzina
“Il corso che ha permesso di conoscere e
approfondire, in diversi ambiti, nozioni tecniche e pratiche utili per l’esercizio della nostra
professione, una significativa opportunità per
la categoria dei freelance sia per il livello di
preparazione degli insegnanti, sia per il contenuto delle lezioni. Come per altro sottolineato
dai nostri docenti la tecnologia ha un ruolo
sempre più dominante sia nel settore della
carta stampata che in quello radio televisivo,
sia nel settore del telelavoro che in quello dei
fotoreporter e inviati speciali. Non sono stati
trascurati gli aspetti fiscali, legislativi e non ultimo quello previdenziale dell’attività giornalistica per permettere di conoscere e di conseguenza eventualmente adeguare le proprie
posizioni. A livello personale data la mia
specializzazione e il settore con cui collaboro
ritengo questo corso estremamente positivo
sia per gli aspetti che completano e aggiornano la mia professionalità sia per la mia cultura
generale. Ho particolarmente apprezzato il
corso di XPress che mi permetterà di svolgere collaborazioni all’interno delle redazioni in
modo più agevole”.
Giovanna Moldenhauer
“L’esperimento ha un elevato e indubbio valore positivo perché è un segno dell’interesse e
della cura per una categoria di giornalisti
sempre più numerosa, ma, forse, trascurata.
Come tutte le cose, il corso, anche per il fatto
di essere il primo organizzato in Italia, può
essere migliorato. Ad esempio, la selezione
dovrebbe tendere all’omogeneità, dovrebbe
tener conto cioè della specifica preparazione,
delle conoscenze e degli ambiti di lavoro dei
partecipanti. Inoltre la durata va aumentata.
Per ciò che riguarda le materie, buona è stata
al scelta di quelle del corso. Personalmente
avrei aumentato le ore dedicate alle esercitazioni. Tra le cose che ancora avrei privilegiato
sono le lezioni sull’etica, sulla deontologia, e
sugli enti della categoria, di cui i freelance - a
meno che non abbiano sostenuto l’esame da
professionisti - di solito sono (molto) a digiuno.
Quanto al (giusto) obbligo di frequenza,
essendo i freelance occupati (almeno in
teoria) sarebbe opportuno pensare ad un
corso in periodi, ma soprattutto “orari”, non
lavorativi, come quelli serali per esempio.
Forse sarebbe utile e opportuno effettuare
una specie di sondaggio tra i freelance per
individuare le loro necessità e chissà, magari
un giorno anche per organizzare più corsi
paralleli, differenti per contenuti e finalità”.
Matteo Negri
“Mi occupo di tecnologia ed informatica ormai
da diversi anni e il mio settore di competenza è
la divulgazione scientifica. La mia partecipazione al corso è stata motivata dall’intenzione di
trasportare alcune conoscenze personali allo
spazio dei media, eventualmente ricavando
dalle lezioni un confronto diretto con altri colleghi. Si presentava l’occasione di affinare l’uso
di alcuni strumenti informatici che già conoscevo e di imparare da esperti l’utilizzo dei prodotti di editoria e pubblicazione elettronica. Quando all’inizio della sessione ho potuto osservare
il programma mi sono accorto che i contenuti
erano addirittura più ampi di quanto avessi
immaginato. Il mio interesse verso gli argomenti trattati è cresciuto di giorno in giorno, motivandomi ad andare avanti e a non perdere
nemmeno un appuntamento. Ritengo siano
state fondamentali le lezioni sulle iniziative
dell’Ordine nazionale, del sindacato e delle
rappresentanze comunitarie perché hanno
disegnato una cornice istituzionale di pregio
intorno alla mia attività giornalistica, in un certo
senso valorizzandola. Da freelance considero
importanti gli approfondimenti economici, di
consulenza commerciale e legale, sulla gestione della mia attività, perché ho scoperto diverse possibilità che prima non avevo valutato. Di
notevole interesse per me è stato il confronto
con i giornalisti dei quotidiani nazionali della
carta stampata, grandi esperti di comunicazione, dai quali ho potuto ricavare alcune linee
guida per la mia professione”.
Massimiliano Riatti
15 (23)
Tiziano
Terzani
“sulla
cattedra”
della scuola
di
giornalismo
di Milano
durante
il suo
incontro
con gli
allievi
del XXIII
biennio.
I NOSTRI LUTTI
Tiziano Terzani
“Il giornalismo è stata la mia vita.
Una vita dura, di sacrifici,
ma di grande moralità”
di Gigi Speroni
Tiziano Terzani “ha lasciato il suo corpo” il 29 luglio scorso.
E noi qui possiamo ricordarlo soltanto ora, sul primo numero raggiungibile di un mensile uscito dopo la pausa estiva.
Ricordare, soprattutto, quel pomeriggio indimenticabile di
due anni fa quando Terzani venne alla scuola per parlare
del suo libro Lettere contro la guerra. Aveva lasciato l’eremo ai piedi dell’Himalaya per compiere, disse «un pellegrinaggio di pace». Non nei talk show televisivi, che invano lo
corteggiavano, ma a diretto contatto con le persone, in
particolare i giovani.
Poche ore prima aveva incontrato Ferruccio de Bortoli al
quale s’era presentato “in un completo bianco di maestosa
bellezza, con i capelli raccolti dietro la nuca, la barba curatissima… L’abito doveva essere in armonia con il corpo e
con l’ambiente. Un lampo di luce in un interno milanese”.
Lo stesso lampo che illuminò l’Aula Magna quando Terzani
apparve, è il caso di dirlo, ai nostri praticanti. Le immagini
di quell’evento parlano da sole.
Stralcio dalle cronache di due allievi, Stefano Caselli e
Giovanni Pinna, uscite su Tabloid nell’aprile del 2002: «Se
un pomeriggio di fine inverno un visitatore fosse passato
all’Ifg, ignaro dell’appuntamento con Tiziano Terzani, avrebbe probabilmente girato i tacchi, credendo di esser finito in
una scuola di meditazione yoga o di training autogeno. La
sua figura si stagliava come Farinata degli Uberti “dalla
cintola in su”; questo perché il giornalista-scrittore sedeva
scalzo a gambe incrociate, a mo’ di fachiro indiano, sul
tavolo dell’Aula Magna.
Il colore bianco dominava assoluto: barba, capelli e abiti,
candidi quasi come le vette dell’Himalaya che Terzani ha
eletto sua dimora. In “Lettere contro la guerra”, ultimo dei
suoi otto libri scritti, c’è la spiegazione della scelta che è
anche un atto d’amore: «Le montagne, come il mare, ricordano una misura di grandezza dalla quale l’uomo si sente
ispirato, sollevato. Quella stessa grandezza è anche in ognuno di noi, ma lì ci è difficile riconoscerla…»
Quest’uomo, da autentico giornalista, si è raccontato agli
aspiranti giornalisti con umiltà e rara finezza gestuale e
verbale, e da questa linea non si è discostato neppure quando ha messo alla berlina, senza fare mai alcun nome, i vizi,
le inadempienze e le slealtà riscontrate in più di trent’anni di
“mestiere”.
Terzani si è confessato, di fronte a noi quaranta e ad altri
numerosi ospiti della scuola, sotto gli occhi di sua moglie
Angela che, discreta, stava seduta accanto a una finestra
della sala. In via Filzi 17 non è approdato per caso; l’Ifg era
una tappa quasi obbligata del pellegrinaggio di pace intrapreso dopo la reazione americana all’attacco alle Twin
Towers.
Il nostro ospite ha visto gli effetti dei bombardamenti su
Kabul e sui villaggi afghani, ha intervistato i testimoni, ha
contato i morti civili, ha rivissuto a 63 anni le esperienze
del fronte di guerra, come gli accadde in Cambogia, Laos
e Vietnam quando era corrispondente di “Der Spiegel”.
Anche del suo fortuito incontro col prestigioso settimanale
tedesco, Terzani ci ha voluto rendere partecipi, con una
storia che narra l’inizio della sua simbiosi con l’Asia.
«Dopo aver scritto per vari quotidiani e con in tasca due
lauree e sei lingue europee, sostenni l’esame di Stato e
diventai giornalista professionista. Mi ero già appassionato
allo studio del cinese perché desideravo ardentemente
corrispondere per qualche testata dall’ex Celeste Impero,
allora governato da Mao. Mi proposi senza successo a
diversi giornali».
Fu il finanziere Raffaele Mattioli ad aprire a Terzani le porte
del continente asiatico nel 1968. Lo contattò per affidargli la
stesura di alcune lettere commerciali in cinese e successivamente lo “inviò” a Singapore con uno stipendio di mille dollari al mese e il compito di scoprire le aree più adatte allo sbarco di nuove banche e aziende europee. Durante un soggior-
Ordine/Tabloid
ORDINE - TABLOID
periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia
Mensile / Spedizione in a. p. (45%)
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Anno XXXIV Numero 9/10, Settembre/Ottobre 2004
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16 (24)
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Chiuso in redazione
il 14 settembre 2004
no in Germania, ritagliato in un periodo di ferie, fu presentato da un amico al direttore di “Der Spiegel” che – mai metter
limiti alla Provvidenza – cercava un corrispondente dal continente asiatico. «Tornai da Mattioli e rinunciai all’incarico e ai
mille dollari mensili. Auguro a tutti voi di godere di un po’ di
fortuna che, si intende, aiuta gli audaci. Guardate me: mi
sono divertito e sono stato pagato per realizzare il mio sogno
di sempre».
Su una cosa Terzani ha insistito particolarmente, ha voluto
trasmettercela: «Non ho mai accettato viaggi e soggiorni
gratuiti dalle aziende, né lusinghe dai potenti. Sarebbe
stato incompatibile con la mia libertà di giornalista, mi
avrebbe impedito di scrivere la verità oggettiva di cui ero
testimone»….
«Il giornalismo è stata la mia vita. Una vita dura, di sacrifici,
ma di grande moralità». E dall’idea di moralità nasce lo
spunto per una riflessione critica sul giornalismo italiano,
che a Terzani – lui, “tedesco” per trent’anni – decisamente
non piace. «Nel dicembre del 1931 Gandhi, di ritorno da
Londra, si fermò a Roma. Mussolini (“il macellaio dagli
occhi di gatto” come in seguito lo definì) volle incontrarlo. I
due, come ovvio, non si piacquero e bastarono pochi minuti per capirlo. Tuttavia “Il Giornale del Popolo” parlò di “lungo
e cordiale incontro” e due giorni dopo pubblicò un’intervista
che Gandhi non aveva mai rilasciato».
Un episodio lontano nel tempo ma non nello stile, un esempio di disonestà che ricorre tutt’oggi: «Qualche giorno fa ho
letto su un quotidiano un appello nel quale si chiedeva al
governo italiano di non modificare la legge sul commercio
delle armi. Sotto ci ho trovato la mia firma, ma io non ne
sapevo nulla. Nessuno, prima di pubblicare, si è preoccupato di verificare. Bastava una telefonata».
Ma il problema del giornalismo italiano non è solo di moralità; c’è una carenza di inquisivitness, di curiosità: «È
possibile che, con il mondo in guerra, i giornali italiani
dedichino otto-nove pagine al delitto di Cogne? Questo
non è giornalismo, è spettacolismo». L’accenno alla guerra
riporta Terzani sui binari del suo pellegrinaggio di pace,
per ribadire che l’attuale conflitto non è altro che «una
guerra di bugie», a partire «dalla vendetta che l’ ha generata fino all’insufficiente, a volte complice, copertura da
parte dei mezzi d’informazione.Gli americani in Afghanistan non hanno vinto nulla, ma in patria – e in tutto l’Occidente – hanno vinto la guerra psicologica sulla necessità
e l’ineluttabilità di questo attacco. La stampa americana è
stata per molti mesi totalmente supina ai briefing della
Casa Bianca».
«Non bastano – conclude Terzani – i fatti. A volte i fatti
nascondono la verità, esattamente come sta accadendo
per questa guerra. Il giornalista deve sentirsi in dovere di
fare i conti in tasca al mondo, perché la verità in sé non
esiste, ma se ne trova un pezzettino dovunque».
Qualcuno, infine, gli chiede cosa farebbe oggi se dovesse
ricominciare. Senza esitazioni, Terzani risponde che imparerebbe l’arabo e andrebbe a vivere in mezzo agli arabi”.
Ci lasciò promettendoci di ritornare. Ma dentro si portava
un tumore. Quando lo seppe, lui, dopo aver tanto viaggiato
per vivere straordinarie esperienze umane in Vietnam,
Cina, Cambogia, Russia, cercando di capire chi fossero gli
altri, cominciò a intraprendere un viaggio dentro se stesso
alla ricerca delle ragioni del male che l’aveva colpito e delle
possibili cure. Per raccontarle ne “L’Ultimo giro di giostra”.
Disse una volta «Se potessi rinascere vorrei essere rugiada». E allora penso alla rugiada per il Manzoni “refrigerio di
una parola amica”. Quella che Tiziano Terzani ci ha lasciato
con questo suo ultimo libro.
Rileggo le prime pagine: “Viaggiare, era stato per me un
modo di vivere, e ora avevo preso la malattia come un altro
viaggio, involontario, non previsto, per il quale non avevo
carte geografiche, per il quale non mi ero in alcun modo
preparato, che di tutti i viaggi fatti fino ad allora era il più
impegnativo, il più intenso.. Un viaggio nel bene e nel male
del nostro tempo”.
E le ultime:
“La storia di questo viaggio non è la riprova che non c’è
medicina contro certi malanni. E che tutto quello che ho
fatto per cercarla non è servito a nulla. Al contrario: tutto,
compreso il malanno stesso, è servito tantissimo. È così
che sono stato spinto a rivedere le mie priorità. A riflettere,
a cambiare prospettiva e, soprattutto, a cambiare vita. E
questo è ciò che posso consigliare agli altri: cambiare vita
per curarsi, cambiare vita per cambiare se stessi. Per il
resto ognuno deve fare la strada da solo.…E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno
è davvero un altro giro di giostra”.
ORDINE
9/10
2004
I NOSTRI LUTTI
Elio Sparano
Per 40 anni inviato
e caporedattore.
Simbolo della Rai a Milano
di Romano Bracalini
Non c’è come la Televisione per dare il senso dell’effimero e
del provvisorio; ma Elio Sparano era qualcosa di più di un
volto diventato familiare a milioni di famiglie che ne apprezzavano il tono calmo e rassicurante. Sparano è stato il caporedattore “storico” ed ha legato il suo nome alla Rai di Milano, come dirigente e inventore di rubriche televisive, come
Nord chiama Sud, in collaborazione con Baldo Fiorentino da
Napoli, e come telecronista col genio della cronaca insignito
del Premio Speciale Ischia nel 2003. Aveva ricevuto altri riconoscimenti, ma non amava parlarne come tutti quelli che li
ricevono a giusto titolo.
Aveva un debole per il profumo di violetta. Faceva parte del
suo bagaglio di stile e di eleganza, come il fiocchino blu a
pois, che portava con grande disinvoltura, e col quale appariva regolarmente nelle telecronache dalla Fiera di Milano, uno
dei suoi appuntamenti fissi.
All’apparenza dava l’impressione di una severità studiata: il
tratto gentile da vecchio gentiluomo gli veniva dall’educazione ricevuta in famiglia. Suo padre era un alto ufficiale della
Guardia di Finanza e so che ebbe una forte influenza su di
lui; e non credo fosse soddisfatto quando Elio vinse il concorso per telecronista ed entrò in Rai. La tv era agli albori,
Sparano contribuì a farla crescere con il suo grande mestiere e le sue doti di inventiva. Non aveva tessere. Restò sempre
un uomo libero.
Per portamento, naturale eleganza e con una bella voce calda
e senza inflessioni dialettali, la Televisione sembrava fatta per
lui. Divenne la sua casa e la sua ragione di vita.Veniva il mattino presto e se andava quand’era buio. Lo accompagnavo a
mezzogiorno al relais con Roma dove ogni sede Rai collegata
riferiva sugli avvenimenti della giornata; con il suo amico Biagio
Agnes, allora direttore del Telegiornale, seguiva uno scambio
vivacissimo di battute che riecheggiavano in tutte le sedi Rai in
ascolto. Agnes lo provocava apposta e Sparano diventava irresistibile. La domenica mattina nel corridoio della redazione si
esibivano i tipi più divertenti: Nino Vascon, caporedattore alla
radio, Paolo Callegaris, il principe dei montatori, ed Elio se la
rideva partecipando al teatrino; e in quei momenti diventava
ciò che era veramente: un uomo spiritoso, un uomo semplice
e di grande umanità, e in fondo un solitario. Mi dicono che in
Rai il clima oggi sia cambiato.
Credo di averlo visto la prima volta in Tv nel sequestro dei
bambini d’una scuola di Tavazzano ad opera di un pazzo.
Nella cronaca diretta e nel tumulto della giornata colpivano
la calma, l’assenza di ogni enfasi, la precisione della ricostruzione. Il cronista della carta stampata raccoglie i dati,
vede, poi racconta la storia con sufficiente calma, il telecronista non ha tutto questo tempo e deve raccontare l’avvenimento sul “tamburo”, in tempo reale, sceverare le notizie vere
ORDINE
9/10
2004
da quelle di fantasia. Elio Sparano è stato un caposcuola. Fu
il primo a stabilire il collegamento diretto nel telegiornale delle
13,30, che d’improvviso, abituati come eravamo all’ufficialità
e al linguaggio castigatissimo (c’era un prontuario di parole
che non si potevano usare, come per esempio “membri di
governo”), parve ringiovanire e offrire una visione più autentica della realtà. Non fu un caso che l’esperimento prendesse il via col telegiornale delle 13,30, mentre quello della sera
mantenne il carattere serioso e imbalsamato dell’ufficialità.
Certe liberalità di lingua non erano consentite, la cronaca era
limitata al traffico e alla nebbia in Val Padana; delitti di sangue
se proprio non se ne poteva fare a meno. Sparano arricchì il
telegiornale di notizie di cronaca e di attualità; mi consentì di
occuparmi di avvenimenti storici. Nel 1976, per la rubrica
Nord chiama Sud, nel trentesimo del referendum istituzionale, intervistai a Cascais l’ex re Umberto. Era la prima volta
che appariva alla Tv italiana. A Milano montai il servizio e
nell’introduzione all’intervista misi la marcia reale. L’avessi
mai fatto. C’era l’ordine tassativo di non trasmettere musiche
e marce del passato regime. Oggi è prassi normale ma allora non si poteva. Sparano chiese se per caso nell’intervista a
un ex re dovevamo mettere la marsigliese. Di colpo un altro
diaframma di ipocrisia cadde. Il servizio andò in onda come
l’avevamo concepito.
La malapianta della violenza nera e del terrorismo rosso ci
abituò a ben altre tragedie e anche in quell’occasione Sparano fu all’altezza del compito. Nel pomeriggio del 12 dicembre
1969 mi spedì alla Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana,
Elio Sparano,
nella foto
dell’archivio
dell’Ordine, con
l’immancabile
“farfallino”.
Nella fotografia
“storica”
qui accanto,
la redazione
del primo
telegiornale
a Milano
negli anni ’50:
alle scrivanie,
da sinistra,
Franco Fassetta,
Elio Sparano,
Luciano Serani,
Avvento
Montesano.
In piedi, Bruno
Ambrosi.
A destra:
Claudio Lavazza,
Ilio De Giorgis,
Emilio Sanna
e la segretaria
Giuliana
Bagnasco.
dove sembrava fosse scoppiata una caldaia. Quella sera
stessa diede per primo la notizia dell’attentato. Memorabile
la sua cronaca dei funerali. Fu un susseguirsi di eventi tragici: piazza della Loggia, e poi il terrore brigatista che colpiva a
tradimento: così furono uccisi il Pm Alessandrini, il giudice
Galli e il giornalista Walter Tobagi. Sparano veniva in moviola, controllava ma difficilmente faceva un rilievo. Non avrebbe
mai corretto un testo senza suggerire all’autore la forma più
adatta e corretta.
Cerco di ordinare i ricordi, e mi sorprendo di farlo a ciglio
asciutto. Anche questa è una lezione che ho imparato da lui.
Una volta sola l’ho visto piangere. Fu quando morì l’operatore Carlo Rolly Cannara, l’amico di una vita, il collaboratore
fedele di tante trasmissioni televisive. Quando andò in
pensione qualcosa si ruppe.Viveva in un piccolo appartamento con la sua compagna, e quando lei morì e lui restò
solo con la figlia Rita, gli telefonai. Non amava le frasi di circostanza e in questi casi non si sa mai cosa dire. La Televisione l’aveva abituato all’essenziale. A usare quattro parole
invece di cinque quando queste possono bastare. Cambiò
subito discorso, evitandomi di dire le solite cose. Anche
questa sua ritrosia burbera era una maschera per non cedere alla commozione che a lui pareva debolezza. Quel che so
di Televisione lo devo a lui. Ma non solo questo. La vita passa
in fretta; ma se mi volto indietro, nel turbinare dei ricordi, ora
nitidi ora sfocati, vedo non più di dieci persone generose e
indimenticabili che mi hanno aiutato. Elio Sparano è tra i
primi, ma so che non vorrebbe che glielo dicessi.
17 (25)
TRENT’ANNI FA MORIVA IL GIORNALISTA VICENTINO
M
E
M
O
R
I
A
Una Fondazione per aiutare chi soffre
Il 5 maggio 1975, nemmeno un anno dopo
la morte di Ghirotti, nasceva a Roma, su
iniziativa della moglie e di un gruppo di amici
e colleghi, il “Comitato nazionale Gigi Ghirotti”, con l’obiettivo di mantenere vivo il
messaggio del giornalista vicentino e di
portarne avanti, attraverso iniziative e attività
concrete, la testimonianza. Tra i fondatori,
anche l’amico e collega Giovanni Grazzini,
che del Comitato fu, per i primi undici anni, il
presidente.
Presentato ufficialmente in Campidoglio nel
1975, ottenuto il riconoscimento giuridico nel
1984, il Comitato ha, il 10 giugno 2002,
assunto la denominazione di “Fondazione
nazionale Gigi Ghirotti”, attualmente presieduta dal giornalista Bruno Vespa. Con la finalità, come si legge nello Statuto, di “realizzare servizi per la prevenzione, la terapia, lo
studio e le ricerche sulle malattie in campo
emato-oncologico e strutture operative per
l’assistenza sociale e sanitaria dei malati
affetti da sindromi altamente invalidanti o in
fase terminale e dei loro familiari”.
Oggi la Fondazione opera nell’ambito della
ricerca, dell’organizzazione di convegni, giornate di studio e tavole rotonde, dell’informazione (attraverso la “Collana di studi Gigi
Ghirotti” e il periodico trimestrale “Gigi Ghirotti Notizie”). Ma soprattutto offre, gratuitamente, a chiunque vi si rivolga, aiuto, orientamento e assistenza attraverso il Centro di
ascolto psicosociale. Attivo tutti i giorni,
comprese le domeniche, dalle ore 10 alle 20,
il Centro (numero verde 800.30.15.10) opera
sull’intero territorio nazionale, nell’ottica di
aiutare le persone malate di tumore e i loro
familiari ad affrontare la malattia. Solo nel
2003, ha avuto 6.230 contatti, quasi venti al
giorno.
Da due anni a questa parte, poi, l’ultima
domenica di maggio, la Fondazione dà vita,
insieme al ministero della Salute e alla
Conferenza dei presidenti delle Regioni e
delle Province autonome, alla “Giornata
nazionale del sollievo”: una grande campagna di sensibilizzazione sociale sul tema
della sofferenza.
Gigi Ghirotti,
di Patrizia Pedrazzini
Trent’anni fa, la mattina del 17 luglio 1974, moriva a Vicenza, sua città, Gigi Ghirotti. Stroncato da quello che allora,
quasi facesse paura anche solo il chiamarlo per nome, si
preferiva evocare come “il male del secolo”. Per lui, un linfogranuloma maligno, altrimenti detto morbo di Hodgkin. Una
malattia neoplastica che aggredisce il sistema linfatico. Un
cancro.
Quando morì, non aveva ancora compiuto 54 anni (era nato
il 10 dicembre 1920) e, per tutta la vita, non aveva fatto che
un mestiere: il giornalista.
Era l’ultimo di nove figli. Interrotti, per lo scoppio della guerra, gli studi classici, arruolatosi come volontario negli Alpini,
aggregatosi, nel settembre del ’43, alle formazioni partigiane, era entrato, nel 1945, a Il Giornale di Vicenza, per
passare a La Stampa (1950-1958), quindi a L’Europeo
(1958-1960), poi ancora a La Stampa (1960-1974).
Acuto osservatore della realtà italiana del dopoguerra,
soprattutto degli anni del cosiddetto boom economico,
aveva indagato, firmato servizi, scritto libri, su personaggi e
temi fra i più diversi. Dall’intervista, uscita su La Stampa il
24 maggio 1950, al generale Battisti, comandante della
Cuneense, appena rientrato dalla Russia dopo otto anni di
prigionia, ai pezzi spiritosi e brillanti che - erano gli anni di
Lascia o raddoppia? e dei primi Festival di Sanremo - confezionava in veste di inviato al seguito di Mike Bongiorno e di
Nilla Pizzi (e che non dovevano proprio essere il suo genere, se, come ricorda l’amico e collega Giorgio Calcagno,
“partiva mugugnando, con improperi che il direttore intuiva
ma fingeva di ignorare”). Dagli incontri con De Gasperi in
Valsugana e con Eisenhower a Udine, ai resoconti (La
Stampa, 1964) sul delitto del “bitter avvelenato”, con il dottor
Renzo Ferrari, veterinario di Barengo, inquisito di aver
avvelenato il signor Tino Allevi, marito della sua amante,
con un bitter fattogli recapitare a casa. Dall’incontro-scontro
con don Lorenzo Milani, fondatore della scuola di Barbiana,
nel Mugello, e ispiratore di una radicale critica alla tradizionale cultura scolastica e al suo classismo, che emarginava
il mondo popolare e contadino (Comunità, 1967), all’intervista, apparsa su La Stampa il 17 gennaio 1970, al “marxista” Gianni Morandi.
Fino alle inchieste sulla giustizia, sulla mafia, sul banditismo sardo, sui grandi fenomeni civili e sociali del tempo.
Che si tradussero in altrettanti libri: Il magistrato (1963, rifacimento di una prima edizione del ’59), sulla condizione del
giudice in Italia; Italia mia benché (1963), sugli anni del
miracolo economico e della corsa al benessere; Da Olimpia a casa mia. 3.000 anni di cronache sportive (1964),
originale raccolta di scritti sul tema dello sport, di autori
delle più svariate epoche: da Omero a Umberto Saba, da
Senofonte a Italo Calvino, da Ernest Hemingway a Oriana
Fallaci; Mitra e Sardegna. Guida documentata per continuare impuniti il sequestro di persona (1968), sul fenomeno del banditismo sardo; Rumor (1970), biografia del
concittadino e amico Mariano Rumor, allora presidente del
Consiglio.
Tutto questo, e altro ancora, era Gigi Ghirotti. “Uomo di
carta stampata - sono ancora parole di Giorgio Calcagno -,
e soprattutto di ricerca. Poteva firmare, non apparire,
secondo il miglior costume di allora. La sua natura lo portava a essere attento ai fatti della vita, a domandarsene il
perché. E frugare, frugare, finché non trovava il bandolo”.
Una vocazione al racconto e all’approfondimento, che
andava di pari passo con la caparbietà, l’ironia e il distacco
con i quali Ghirotti si poneva nei confronti della realtà uomini o fatti che fossero - della quale era chiamato a
rendere testimonianza. E che ha un solo nome: cronaca.
“Cronista attento, Ghirotti, preciso; e soprattutto libero.
Giulio De Benedetti, che dal 1948 dirigeva La Stampa, fiutò
presto in lui l’inviato giusto. Gli affidò vari servizi dal Veneto, e poi lo chiamò a Torino, per farlo girare in Italia. Ebbe
servizi e inchieste di prim’ordine, e qualche problema di
convivenza. Il giovane vicentino, tanto gentile nel tratto
quanto roccioso nel temperamento, intendeva difendere,
anche nei rapporti di lavoro, uno spirito di indipendenza
non sempre tollerabile dal Napoleone del giornalismo. Si
arrivò più volte alla rottura”. Così sempre Giorgio Calcagno, nell’introduzione a Gigi Ghirotti nel tunnel della malattia, del 1994. E ancora: “Di fronte alla notizia, non si accontentava mai della prima versione, voleva vedere dietro la
facciata, scoprire quel tanto di inconoscibile dimenticato
dai verbali, nel quale spesso consiste la realtà. Soprattutto
andava verso l’interlocutore con quella carica di simpatia
umana che costringeva l’altro a gettare la maschera e
mostrarsi com’era”.
Curiosità? Cocciutaggine? Coraggio? Forse, più semplicemente, fu per onestà che alle dieci di una domenica sera era il 27 maggio 1973 - quest’uomo forte e robusto, dagli
occhi chiari e ridenti da veneto autentico, decise di farsi
riprendere, in pigiama e vestaglia, dall’obbiettivo di una telecamera e di mostrarsi in televisione mentre, in un corridoio
d’ospedale, intervistava medici e compagni di malattia. E
raccontava dell’isolamento dei malati, dell’insufficienza
delle strutture sanitarie, delle carenze dell’assistenza
pubblica. Della paura e del dolore. Come se il malato fosse
un altro. Solo che questo “altro”, quello del quale era chiamato, ancora una volta, a rendere testimonianza, questa
volta era lui.
Il servizio, nato da un incontro di Ghirotti con il vecchio
amico Piero Dal Moro, divenuto regista televisivo, venne
trasmesso, sul secondo canale, sotto la testata Orizzonti.
L’uomo, la scienza, la tecnica, di Giulio Macchi. La sua collocazione, a quell’ora e in quel giorno, fu non solo, come ha
sottolineato Calcagno, “una scelta coraggiosa che la Rai in
quegli anni aveva ancora l’intelligenza di permettersi”, ma
Guido Gerosa: “Quel giorno che Ghirotti
non mi lasciò copiare”
All’indomani della prima trasmissione televisiva, che grande eco suscitò su tutti i giornali, Guido Gerosa, che di Ghirotti era stato
collega e “antagonista” in tanti servizi, scrisse, per Epoca, un lungo articolo su di lui, intitolato “Quel giorno Ghirotti non mi lasciò
copiare il compito”.
Ne proponiamo uno stralcio, quello nel quale
il giornalista vicentino viene ritratto alle prese
con il quotidiano lavoro di cronista.
Era stato arrestato a Milano un ingegnere,
certo Dalla Verde, accusato di aver ucciso
una mondana; e la storia aveva assai
impressionato, perché lasciava intravedere
risvolti impensabili dietro il fascino discreto
della borghesia ambrosiana. La vicenda
era precipitata nelle ultime ore e tutti noi
cronisti eravamo nello studio dell’avvocato
18 (26)
Bovio per le rivelazioni decisive.
Ghirotti sapeva più di noi perché, per il settimanale dove allora lavorava, era riuscito a
intervistare l’ingegnere poco prima che le
porte del carcere si chiudessero dietro di lui.
Eravamo tutti amici là dentro, ma eravamo
anche professionalmente concorrenti. E allora Ghirotti, che aveva il giornale “in chiusura”
[…], aspettando il fattorino che avrebbe ritirato il suo pezzo, scriveva con la sua portatile appartato su un tavolo dell’ufficio dell’avvocato, batteva sui tasti con le dita di una
mano e con l’altra mano teneva un po’ occultato il foglio, come si fa a scuola, perché non
“copiassimo”, soprattutto noi dei quotidiani
che avremmo avuto su di lui un vantaggio di
molte ore.
Però gli rincresceva e ci guardava con un
sorriso un po’ di
rimprovero come a
dire: “Ma guarda un
po’ cosa mi fai fare”. Il
giorno dopo mandai
a prendere il giornale
di Ghirotti: il pezzo
era bellissimo. Il fascino discreto dell’ingegnere ne usciva descritto con agghiacciante precisione. L’articolo
non diceva, né poteva dire, se quell’uomo si
fosse macchiato di quella gravissima colpa.
Ma diceva di più. Ne scaturiva un ritratto
dostoevskiano di un’anima divisa, ambigua,
smarrita. E alla fine cadeva nel deserto di
quella confessione una domanda dolorosa,
che rimaneva senza risposta: “Ingegnere, lei
crede in Dio?”.
Così lo ha
ricordato Vicenza
Nel trentennale della scomparsa di Gigi
Ghirotti, la Fondazione a lui dedicata ha
ricordato la figura del giornalista con un
incontro, svoltosi lo scorso 17 luglio nella
Sala degli Stucchi di Palazzo Trissino, a
Vicenza. Erano presenti il sindaco, Enrico
Hullweck, il nipote Franco Carlassare, il vice
presidente della Fondazione, Carlo Sampietro, il presidente della Biblioteca Bertoliana,
Mario Giulianati, il giornalista de La Stampa,
Alberto Sinigaglia.
L’indomani il convegno è proseguito nell’Aula Magna della Scuola per operatori sociosanitari (Ulss 6) di Vicenza, con interventi di
medici e dirigenti, che hanno affrontato le
diverse tematiche del sostegno psicologico,
dei progressi ottenuti in campo terapeutico,
delle nuove sfide dell’ematologia.
ORDINE
9/10
2004
DIVENUTO EMBLEMA DI IMPEGNO CIVILE
LETTERA IN REDAZIONE
Ulteriori approfondimenti nel sito
www.ghirotti.org
Per saperne di più
Gigi Ghirotti
Il lungo viaggio nel tunnel della malattia,
Franco Angeli editore per Comitato nazionale
Gigi Ghirotti, Milano 2002
Il volume, che si avvale della prefazione di
Umberto Veronesi e che ripropone l’introduzione all’edizione del 1994, firmata da Giovanni Giovannini e da Giorgio Calcagno, raccoglie i testi delle due inchieste televisive realizzate da Ghirotti e da Piero Dal Moro nel 1973
e nel 1974, e gli undici articoli che il giornalista vicentino scrisse per La Stampa fra il 26
aprile 1973 e il giugno 1974.
Mariangela Bacco
Gigi Ghirotti. Profilo di un giornalista
e del suo impegno civile,
Fondazione Gigi Ghirotti, Vicenza 2004
Il lavoro, dato alle stampe in occasione del
trentennale della morte del giornalista, è nato
come tesi di laurea dell’autrice presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Padova ed è stato premiato, nel marzo del 2002,
dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia.
il cronista
anche una sfida difficile: contemporaneamente, sull’altra
rete, c’era La domenica sportiva. La trasmissione fu seguita
da otto milioni di italiani.
Incominciava con lo stesso “attacco” con il quale il giornalista vicentino aveva iniziato, su La Stampa del 26 aprile, la
prima delle sue undici corrispondenze (l’ultima, Il malato
inerme, uscì quasi un mese dopo la sua morte) da “inviato,
suo malgrado, dentro il tunnel della malattia e della ospedalizzazione”, come lui stesso si definì. Un “attacco” esemplare per semplicità e stile: “Da un anno mi insegue un
odore di etere, di alcool, di antibiotici, di lisoformio e questo
cocktail olfattivo mi pizzica le narici, mi inzuppa le ossa, mi
si è attaccato alla pelle”.
Il programma era terminato da pochi minuti, che il telefono
di casa Ghirotti incominciò a squillare. Fu solo l’inizio. Il
primo telegramma arrivò dal Quirinale. Era di Giovanni
Leone, allora presidente della Repubblica, ammirato “per la
edificante testimonianza di coraggio e di serenità”.
Fu, per tutti, il toccare con mano la sofferenza, la solitudine, l’emarginazione del malato. Certo, in trent’anni, molto
è stato fatto, soprattutto sotto il profilo dell’approccio e del
sostegno psicologico al malato di cancro e ai suoi familiari. Oggi nessuno si stupisce se il ministro della Salute,
Girolamo Sirchia, afferma che “il malato deve essere
sempre al centro del sistema”, o che “l’attenzione per la
sofferenza e il sostegno psicologico nelle diversi fasi della
malattia costituiscono degli obiettivi irrinunciabili per una
società civile”. Oggi è normale discutere di diagnostica, di
cure palliative, di terapia del dolore. Trent’anni fa, molto
meno. Ma era esattamente questo l’obiettivo del giornalista vicentino. Che così, con il consueto disincanto, scriveva all’amico e collega Giovanni Giovannini: “Mi auguro che
gli amici mi siano amici fino in fondo, e che non facciano di
me l’Enrico Toti del carcinoma, ma sappiano esortare a
vedere oltre il caso personale: a vedere di prendersi a
cuore le faccende dei nostri ospedali, e a tener caldo il
problema sino a che non avremo ospedali, medici, infermieri dal volto umano”.
Ci riuscì? È ancora Giorgio Calcagno: “Molti giornalisti,
nella storia del nostro mestiere, hanno cercato di influire
sulle grandi scelte della politica e dell’economia, si sono
sentiti giudici e condottieri di crociate. Ghirotti, con la sua
umiltà di cronista, la concretezza montanara del suo lavoro,
è il solo che ha lasciato, in profondità, il segno del cambiamento. Ha inciso là dove si decide la vita del singolo: che è
la vita di tutti”.
Il secondo, e ultimo, servizio televisivo fu trasmesso la sera
del 4 giugno 1974. Stessa testata, stesso canale. Solo il
viso era più scavato, le rughe più profonde, la voce più affaticata: “Se gli capita di correre un’avventura tra vita e morte
in prima persona e poi non la racconta, direi che quel giornalista è uno che non ha capito nulla, né del proprio mestiere, né dei propri doveri di cittadino”.
Ma l’incontro volgeva al termine. “Mi trovo impegnato in una
partita difficile, su terreno fangoso, con un avversario questo oscuro signor Hodgkin - che è furbo e anche sleale.
Ma non sono solo. […] E poi, finché dura l’incontro, ogni
possibilità è sospesa: non ho vinto io, ma nemmeno lui,
siamo pari. È vero, il signor Hodgkin deve tirare il suo terribile calcio di rigore. È pauroso pensarci, ma in fin dei conti
anche i più famosi campioni talvolta sbagliano il rigore. E in
ogni caso è giusto che quel pallone mi trovi sulla porta,
quando arriverà”. Arrivò, di lì a poco. Puntuale, netto, preciso. Imparabile.
ORDINE
9/10
2004
“I giornalisti non sono membri
di una orwelliana consorteria
di uguali più degli altri”
Caro presidente Abruzzo, seguo sempre con attenzione e simpatia la tua
saggia conduzione dell’Ordine attraverso gli interventi che appaiono su
Tabloid scoprendomi generalmente in sintonia con le tue parole: almeno per
una volta, però, debbo esprimere dissenso. Mi riferisco alla condanna da
parte del Tribunale di Lodi al “cronista che si era finto clandestino”.
Tu argomenti che si tratta di errore e che andava assolto, e per sostenere
questa tesi fai riferimento ad un fantomatico “codice della privacy” e al fatto
che il giornalista possa “nascondere la propria identità in situazioni di pericolo”. Mi permetto di obiettare: 1) non esiste alcuna situazione di pericolo
quando un agente di polizia richiede il documento di identità; 2) un bravo e
consapevole giornalista sa svolgere un’inchiesta anche senza ricorrere a
spettacolari falsi, fingendosi rumeno e traendo deliberatamente in inganno
un funzionario pubblico del campo di via Corelli a Milano; 3) i giornalisti non
sono membri di una orwelliana consorteria di “uguali più degli altri” reclamando una deontologia professionale diversa da quella di altre categorie.
Difendiamo e pratichiamo il diritto alla cronaca ma con serietà, altrimenti
dovremmo giustificare anche i 37 clandestini della nave Cap Anamur che si
spacciavano per sudanesi allo scopo di ottenere un surrettizio stato di rifugiati politici.
Appartenere alla redazione di un Corriere non comporta l’automatico godimento di privilegi corporativi. Insegna il Vangelo: “Sforzatevi di entrare per la
porta stretta perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi ma non ci riusciranno” (Lc. 13,24). Mi auguro pertanto che la sentenza del Tribunale di Lodi
venga confermata anche in eventuali altre sedi successive per dimostrare
che tutti i cittadini, giornalisti o meno, sono uguali di fronte alla Legge. Con
amicizia e schiettezza.
Giacomo de Antonellis
RISPOSTA. Caro Giacomo, il codice, che
tu definisci fantomatico, è il “Codice di
deontologia della privacy nell’esercizio dell’attività giornalistica”, voluto
dall’articolo 25 della legge n. 675/1996 e
pubblicato il 3 agosto 1998 nella Gazzetta Ufficiale. Oggi quel Codice, inglobato
nel Dlgs n. 196/2003, ha il rango sostanziale di legge e non più di norma secondaria. L’articolo 2 afferma: “Il giornalista
che raccoglie notizie... rende note la
propria identità, la propria professione e
le finalità della raccolta, salvo che ciò
comporti rischi per la sua incolumità o
renda altrimenti impossibile l’esercizio
della funzione informativa; evita artifici e
pressioni indebite. Fatta palese tale attività, il giornalista non è tenuto a fornire gli
altri elementi...”. Non ho motivo, quindi, di
cambiare opinione, pur apprezzando la
sincerità a-giuridica di quanto hai scritto.
Con pari schiettezza e amicizia,
Franco Abruzzo
L’Ifj promuove una nuova campagna
contro la corruzione nel giornalismo,
per un’etica della professione e dei media
Lo studio dell’istituto
sulla corruzione
può essere visionato sul:
http://www.instituteforpr.com
/international.phtml?article_i
d=bribery_index
Full Press Statement on
Statement of Principles http://www.ifj.org/docs/Joint
%20statement%20on%20m
edia%20transparency%20pr
inciples.doc
Per ulteriori informazioni:
Aidan White, +32 2 235
2200, [email protected]
(da ww.fnsi.it)
Roma, 3 agosto 2004. La Federazione internazionale dei giornalisti ha, oggi, dato il suo
appoggio a una nuova iniziativa per eliminare la pratica della commercializzazione e la
corruzione nel giornalismo.
L’Ifj è una delle sei organizzazioni che
sostengono una serie di principi miranti a
promuovere una maggiore trasparenza nei
rapporti tra professionisti delle relazioni
pubbliche e media, e per mettere fine alla
corruzione dei media nel mondo.
“Il problema del ‘giornalismo in vendita’, o del
materiale pagato considerato come legittimi
reportage giornalistici, è una delle più grande sfide che i media devono affrontare oggi”,
ha detto Aidan White, segretario generale
dell’Ifj. “La pratica erode la fiducia pubblica,
mina la professionalità e si prende gioco dei
valori etici”. Il congresso dell’Ifj svoltosi ad
Atene in maggio ha incitato ad agire per
promuovere la qualità del giornalismo.
“Questo insieme di principi è un’ottima iniziativa del settore per rimettere in carreggiata la
missione del giornalismo ed eliminare ogni
forma di corruzione”, ha detto White.
Gli altri gruppi che sostengono la dichiarazione dei principi sono l’International press
institute, il Transparency international, la
Global alliance for public relations and
communications management, l’Institute for
public relations research and education, ed
l’International public relations association.
I principi, inseriti della Carta per la trasparenza dei media sviluppata dall’International public relations association, sono i
seguenti:
- Il nuovo materiale deve apparire dietro
giudizio dei giornalisti e degli editori, e non
dietro pagamento in contanti o con altri
metodi, o incentivi.
- Il materiale che presuppone un pagamento
deve essere chiaramente identificato come
pubblicità, sponsorizzazione o promozione.
- Nessun giornalista o rappresentante dei
media deve mai suggerire che la copertura
delle notizie debba avvenire per motivi differenti dal merito.
- Quando campioni o anticipazioni di prodotti
o servizi sono ritenuti necessari dalle aziende, i prodotti anticipati devono poi essere
restituiti.
- I media devono istituire delle polizze scritte
riguardanti la ricevuta per regali o prodotti e
servizi scontati, e ai giornalisti deve essere
richiesto di sottoscriverle.
“Questa iniziativa è la benvenuta”, ha detto
White. “Essa getta una luce positiva sugli
spesso oscuri rapporti tra il mondo degli affari e il giornalismo, e ci aiuta a concentrarci
sulla necessità di qualità nei media”.
Lo scorso anno, l’Institute for public relations
research and education e l’International
public relations association, hanno resa
pubblica una lista di 66 nazioni riguardante
la possibilità che i giornalisti della carta stampata cerchino o accettino denaro in cambio
della copertura di notizie. Frank Ovaitt, presidente dell’Istituto, ha detto: “Riteniamo che si
tratti di una questione critica, che giornalisti
seri ed esperti di pubbliche relazioni devono
affrontare insieme”.
Sentenza americana: e-mail senza privacy
La decisione
potrebbe
avere
conseguenze
sullo
sviluppo
dei nuovi
servizi
Roma, 6 luglio 2004. È un inquietante precedente mondiale quello sancito dalla Corte di
appello del primo Circuito a Boston: una
sentenza - molto contestata, che ha fatto scalpore ma che non tutti prendono sul serio - ha
stabilito che i messaggi e-mail non sono
protetti dalle leggi sulla privacy poiché transitano, anche solo per un millesimo di secondo,
sui computer di provider Internet che possono
farne quello che vogliono. Negli Stati Uniti, la
patria di Internet, si discute animatamente se
questo può costituire un precedente.
Alcuni sostengono che la sentenza potrebbe
avere effetti su tutto il prossimo sviluppo di
Internet; altri che la decisione di Boston non
avrà effetti pratici.
Il caso di cui parliamo nasce dalla vicenda di
un venditore di libri on-line di Boston : la
compagnia nel 1998 vendette indirizzi e-mail
a commercianti di libri e, in segreto, copiò i
messaggi che questi venditori avevano avuto
da Amazon.com. Nel 1999 la società e un
impiegato si dichiararono colpevoli di spionaggio telematico ma ora la sentenza che
pubblichiamo afferma che, in effetti, non
commisero alcun reato.
19 (27)
Il giornalista fondatore dell’ononima casa editrice
M E M O R I A
Fascista e frondista, coniava esaltanti slogan per il dittatore (Il duce
ha sempre ragione), che poi bollava con brucianti motti (Di Mussolini non mi fanno paura le idee ma le ghette). Inventò parecchi giornali tra cui Omnibus, un modello di rotocalco degli anni ‘30 e, nel
1950, Il Borghese.
Scoprì numerosi talenti letterari quali Buzzati, Berto, Brancati. La
casa editrice da lui fondata giunse a competere con le grandi del
settore: Mondadori e Rizzoli. Le sue contraddizioni continuarono
anche in tempi di democrazia; mentre attaccava lo statalismo, redigeva Il Garofano Rosso, un giornale aziendale dell’Eni di Enrico
Mattei di cui era amico e consulente.
I suoi aforismi e i suoi giudizi erano temuti tanto dai nemici quanto dagli amici che alla sua morte, pur rimpiangendolo, si confortarono al pensiero che da quel momento ciascuno di loro, scrivendo un articolo oppure un libro, non si sarebbe più chiesto
“chissà che cosa dirà Leo quando lo leggerà”. Morì a 52 anni
mentre stava per fondare un’altra Longanesi.
Un “Borghese”
Leo
Longanesi grande grande
di Enzo Magrì
Di statura non superava il metro e
sessanta. Mino Maccari, amico di
sempre, sosteneva che “era nato
nel secolo decimonano”. Vincenzo
Cardarelli, suo sodale degli anni
romani, ripeteva, ironizzando, che
di notte, quando s’arrabbiava,
“andava su e giù sotto il letto”. Tuttavia, nonostante l’altezza, o forse
proprio per questo, Leo Longanesi
non esitava, ancora ventiquattrenne, ad accapigliarsi con i grandi di
statura e di fama. Nel 1929 sfidò a
duello Guido Da Verona che aveva “offeso” Alessandro
Manzoni scrivendo una parodia dei Promessi sposi in cui
Lucia faceva la donna di vita in una casa chiusa di via Tadino, a Milano. Due anni più tardi, davanti al Comunale di Bologna, benché sommerso da una turba d’uomini vocianti, riuscì
a mollare uno schiaffo ad Arturo Toscanini (che definiva un
Gondrand della musica) il quale si rifiutava di aprire con
Giovinezza il concerto in onore del maestro Giuseppe
Martucci. Solitario e malinconico, instancabile inventore di
scritte, battute, calembour, sigle, emblemi, trovate, barzellette, aforismi e disegni satirici, Longanesi è stato un genio della
grafica, del giornalismo e dell’editoria tanto da potere essere
paragonato ad Aldo Manuzio, il
Gutemberg italiano, colui che nel
1550 creò il carattere italico, ispirandosi anche alla scrittura di Francesco Petrarca.
Irrimediabilmente borghese, Leo
era allo stesso tempo un anarchico
e un conformista dissacratore con
la vocazione a schierarsi controcorrente, forte della sua preparazione
culturale e del suo innegabile gusto
grafico. Le definizioni di conformista
e di anarchico potrebbero apparire
contraddittorie. Non lo sono se riferiti ad una persona la cui vita si è dipanata sotto il segno
dell’incoerenza. Fascista, ma contemporaneamente frondista, coniò esaltanti motti che osannavano il dittatore (“Mussolini ha sempre ragione”). Nel medesimo tempo inventò irridenti battute contro lo stesso tiranno (“Di Mussolini non mi
fanno paura le idee ma le ghette”).Tuttavia, dopo aver ironizzato sul duce, si recava a Palazzo Venezia per sottoporre al
tiranno la prima copia dell’Italiano oppure, più tardi, i numeri
zero di Omnibus. Anche per questa ragione Giovanni Comisso lo definì “piccolo nano di corte”.
Le sue incongruenze non sono confinate al solo periodo
fascista. Si estendono anche a quello della democrazia.
Bramoso d’essere liberato prima possibile dagli americani,
nella primavera del 1944 attraversò le linee (colto dal fuoco
dei due eserciti si riparò sotto un muro pericolante nel quale
campeggiava la sua frase Il duce ha sempre ragione) e si
presentò agli alleati a Napoli che lo impiegarono con Steno e
Mario Soldati nel Centro italiano di propaganda dove si distinse per la satira antifascista. Tentò anche d’iscriversi al partito
comunista, ma ne fu rifiutato dalla dirigenza. A democrazia
instaurata, cominciò a dolersi del nuovo regime, tanto da
indulgere nella nostalgia e d’essere preso per un passatista,
addirittura per un neofascista. Un
dialogo riportato in un suo volume,
e che risale al 1944, dà la misura
della sua insofferenza verso l’Italia
del dopo ventennio.
“Lei è democratico?”.
“Lo ero”.
“Lo sarà ancora?”
“Spero di no”.
“Perché?”. “
“Perché dovrebbe tornare il fascismo: soltanto sotto una dittatura
riesco a credere nella democrazia”.
20 (28)
I due volti della Romagna
e la passione per il fascismo
La sua travagliata, affascinante, avventura
nel mondo della carta stampata comincia
quand’egli ha ancora i pantaloni corti. Romagnolo (era nato il 30 agosto 1905, in una
famiglia borghese di Lugo) aveva avuto
un’infanzia solitaria “dominata dal contrasto
tra il cattolicesimo casalingo della nonna e il
socialismo irruente del nonno; due volti
inconciliati della Romagna”. Questo conflitto
accende probabilmente nel ragazzo la
passione per il fascismo nel quale s’imbranca nel 1920 partecipando ad un’azione
squadrista all’università di Bologna brandendo addirittura una pistola.
L’audacia che impronta il quindicenne, indurrebbe a inquadrarne lo spirito in un contesto
di grossolanità irriflessiva e volgare.
Sarebbe un errore. Patito del pittore-disegnatore-litografo Honeré Daumeir, Leo acquista
pacchi di ottocentesche riviste francesi con
le incisioni del suo modello ma anche collezioni dell’Asino con le vignette di Podrecca e
Galantara. Trasferitosi stabilmente a Bologna, inventa i mensili È permesso…?, Il Toro
e Dominio. Contemporaneamente inizia a
collaborare con il periodico di Anton Giulio
Bragaglia, L’Index rerum virorunque proibitorum, in cui si prendono in giro i vip del momento.
Nel 1924 scrive per L’Assalto e Il Selvaggio.
Ma è con la creazione de L’Italiano (14
gennaio 1926) che il suo nome si diffonde tra
l’Italia colta. Longanesi e l’Italiano combaciano con il movimento culturale “Strapaese”
che difende la tradizione nazionale contro la
tendenza della cultura aperta a influssi stranieri. Il giovane di Lugo entra in polemica con
“Stracittà”, la corrente opposta che propugna
l’impegno del sapere verso il modernismo, e
a favore degli influssi della civiltà industriale,
della Scienza e della Tecnica, indirizzo che
si richiama alla rivista 9OO. L’Italiano si
propone soprattutto “d’impedire l’imborghesimento del fascismo, di sostenerne le finalità
rivoluzionarie, di colpire a fondo gli avversari
di Mussolini, d’inventare un’arte e una letteratura fasciste”.
Approvata dal duce (“purché si polemizzi
soltanto con gli antifascisti”), la rivista ospita
scritti di Ungaretti, Rosai, Carrà, Bartoli,
Agnoletti. È in quegli anni che Longanesi,
posseduto dal mito mussoliniano, scrive “Il
Vademecum del perfetto fascista seguito da
dieci assiomi per il milite ovvero avvisi ideali”
(1926). Nonostante avesse avuto il merito
d’aver diffuso lo slogan “Mussolini ha sempre
ragione”, il settimanale (divenuto quindicinale) è chiuso il 31 ottobre dello stesso anno,
poco dopo l’attentato di Anteo Zamboni al
dittatore.
Privo del suo foglio, ed estromesso anche
dall’Assalto (per avere criticato il senatore
Tanari, finanziatore dello squadrismo bolognese), Leo si trasferisce a Roma dove, con
Maccari, Cardarelli, Bartoli, Barili, Talarico ed
altri, elegge il caffè Aragno a cenacolo. Qui,
nonostante le trepidazioni del poeta, il quale,
intabarrato estate e inverno nel suo cappotto, è convinto che uno dei camerieri sia una
spia dell’Ovra, nascono molti celebri calembour: “Sbagliando s’impera”, “Lardo ai giovani”, “Mi piacciono i giovani perché sbagliano
subito”. Frondista di sera, continua ad essere fascista di giorno. Ma valendosi dell’autoironia, si sottrae a servili prestazioni al regime come quando, nel 1932, chiede d’essere
dispensato dal fare la guardia d’onore con il
moschetto alla Mostra del decennale del
fascismo (dove egli aveva allestito una rassegna fotografica su Mussolini) con una battuta che strappò una risata al duce. Rilevò,
beffardo: “La gente vedrebbe solo il moschetto e penserebbe che la guardia è scappata.
Bella figura per la rivoluzione”.
Nel 1938 nasce “Omnibus”
con l’imprimatur del Duce
La cortigianeria che usa verso il fascismo,
è riscattata solo in parte della genialità con
la quale realizza alcune iniziative giornalistiche di notevole spessore culturale e
professionale. Nel 1933 chiede a Mussolini
il permesso di pubblicare un settimanale.
L’autorizzazione gli viene accordata nel ‘35,
alla vigilia della guerra contro l’Etiopia.
Omnibus, primo settimanale italiano a
lenzuolo, nasce il 28 marzo 1938 per i tipi
di Angelo Rizzoli che, con Arnoldo Mondadori, utilizza il rotocalco, un sistema di stampa nato in America e che ha fatto la fortuna
di Life.
Il servizio d’apertura del primo numero su
Leon Blum, corredato da una grande foto,
scritto da Carlo Scarfoglio, strappò una
bestemmia a Mussolini. Sul settimanale, che
resterà un modello di giornalismo d’avanguardia, scrivono oltre a Scarfoglio, Mario
Missiroli, Arrigo Benedetti, Mario Pannunzio,
Alberto Moravia, Giovanni Drogo (Dino
Buzzati), Mario Soldati, Tommasi di Lampedusa. E poi ancora Enrico Emanuelli, Curzio
Malaparte, Eugenio Montale, Vitaliano Brancati, Elio Vittorini, Riccardo Bacchelli oltre
naturalmente a Indro Montanelli che con
Giovanni Ansaldo saranno impegnati anche
nella “cucina”.
Per alcuni (e tra questi c’è Giuseppe Trevisani), “il settimanale rappresentò il tentativo di
rifare un giornalismo per pochi, un periodico
per una minoranza qualificata mentre l’indirizzo politico del tempo e lo sviluppo dei
nuovi mezzi tecnici designavano sempre di
più il giornalismo come prodotto destinato
alle masse”. Ma Arrigo Benedetti scriverà
che ne venne fuori “un giornale letterario
solo perché compilato in gran parte da scrittori e che improvvisamente innestò sul tronco del giornalismo italiano nuovo, motivi
provenienti da quello anglosassone”. Il giornalista di Lucca rilevò che si trattò “d’un’esperienza morale e d’un’esperienza tecnica”.
Riferendosi al suo maestro Longanesi, l’inventore dell’Europeo e dell’Espresso sottolineò che “la sua intransigenza artigiana
rappresentò per molti il migliore insegnamento che possa avere avuto un giornalista
nei tempi precedenti all’ultima guerra
mondiale”.
Omnibus riportava articoli di fondo fascisti e
“foto di ebrei per far rilevare che erano brutti
e antifascisti”. Tuttavia, primo in Italia,
pubblicò scrittori proibiti come Ernest
Hemingway, tradotto da Elio Vittorini. Attraverso quel giornale gli italiani colti conobbero D. H. Lawrence, Dashiell Hammett, James
Cain, Joseph Roth, John Steinbeck, Erskine
ORDINE
9/10
2004
Caldwell. Direttore e unico redattore, Longanesi (qualche volta aiutato da Indro Montanelli e da altri fedelissimi), mescola insieme
caratteri tipografici diversi e ordina immagini
indicando al fotografo oggetto e posa. Naturalmente interviene sui pezzi, tagliando,
aggiungendo, togliendo qua e là un aggettivo, rimaneggiando ove sia necessario.
E all’uscita di ogni numero
Mussolini si lamenta
Omnibus campò complessivamente un anno
e mezzo avendo vissuto una vita agitata e
precaria. Dopo l’uscita d’ogni numero,
Mussolini chiamava il ministro per la Cultura
popolare, per dolersi delle critiche che il giornale rivolgeva al regime. Dino Alfieri riusciva
a rabbonire il dittatore che concludeva
immancabilmente con una minaccia: “dal
prossimo numero il giornale va sospeso”. La
chiusura di Omnibus giunse con la copia del
29 gennaio 1939. Le versioni sulla sua fine
sono due.
Secondo la prima, il giornale venne chiuso
perché Alberto Savinio raccontò la morte di
Leopardi a Napoli per via d’un attacco di
“cacarella” causato dai troppi gelati ingollati.
Secondo altri perché, sempre il fratello di De
Chirico, attribuì la chiusura del caffè Gambrinus alla decisione d’un alto commissario per
il chiasso che proveniva dal locale e che
disturbava la moglie mentre giocava a bridge con le amiche nell’appartamento sovrastante. Savinio aveva scritto “che l’aria di
Napoli era fatale ai caffè come le rose sono
fatali agli asini”. “Duce, questo gazzettiere mi
dà del somaro” si lamentò il funzionario con
il dittatore che decretò la cessazione della
rivista. Rimasto “disoccupato”, Longanesi
resuscita l’Italiano e, allo scoppio della guerra, dopo una breve esperienza in Libia con
Italo Balbo, per ragioni di salute, si dedica a
Fronte, una rivista per i soldati preparata dal
ministero per la Cultura popolare. Nel frattempo dirige per Rizzoli la collana “Il sofà
delle Muse”.
La sua insofferenza di frondista verso il fascismo esplode il 25 luglio 1943. La caduta del
regime lo coglie esultante per le strade di
Roma al pari d’un inveterato antifascista.
Paolo Monelli ricorda che quel giorno i cittadini, “presi da bellicoso furore mossero
all’assalto dei circoli rionali e s’impadroniscono delle armi”. Annota: “Si vede Longanesi
che va fieramente per via con un fucile a
bracciarm”. In serata Leo si ritrova con
Pannunzio, Flaiano e Benedetti al Messaggero dove insieme scrivono un fondo inneggiante alla libertà.
L’esultanza del giornalista per la fine della
dittatura dura poco. A Napoli, dove si è recato agli inizi del 1944, oltre che con il Centro
italiano di propaganda radiofonica, Stella
Bianca, collabora con i giornali L’Astolfo e il
Partigiano, un foglio quest’ultimo che le
fortezze volanti lanciano sull’Italia non ancora liberata. Ben presto affiora la sua scontentezza verso il nuovo clima. Ad innescarla è la
presenza nel capoluogo campano di molti
fuorusciti che vi sono confluiti dai diversi esili
e che “turbano il senso estetico” del romagnolo. Cosicché tra se stesso e i gli antifascisti reduci da ventanni di lontananza dall’Italia, mette i cento e più chilometri che separano Napoli da Roma.
Ed è nella capitale, che il 25 aprile 1945
apprende da un giornale della fucilazione e
dello scempio del corpo di Mussolini e degli
altri gerarchi a piazzale Loreto. Mentre legge
il titolo, ricorda le parole che il duce gli aveva
rivolto sulla spiaggia di Cesenatico: “Voi siete
anarchico. Siatelo per molti anni finché lo
potete. È una ricetta per restar giovani”.
Fonda la casa editrice
con l’industriale Monti
Non c’è bisogno dell’esortazione del defunto
duce per stimolare Longanesi a continuare
pervicacemente, per la restante parte della
sua vita, nello stile libertario che ne ha caratterizzato fino a quel punto la condotta. Alla
fine dell’anno 1945, egli lascia Roma per
Milano.
Qui, agli inizi del 1946 fonda la casa editrice che porta il suo nome insieme con l’industriale Giovanni Monti. A competere con i
grandi dell’editoria, Rizzoli e Mondadori, lo
coadiuvano un redattore, Mario Monti, figlio
di Giovanni, comproprietario dell’azienda e
un collaboratore, Bruno Licitra. Danno una
mano anche Indro Montanelli, che all’occorrenza riscrive i libri e Giovanni Ansaldo che
si occupa della saggistica. Collaborano
intellettuali di diverse tendenze politiche:
Henry Furst, Emilio Cecchi e Alberto Moravia. Come per il giornalismo anche per l’editoria, Longanesi rivela un acume sbalorditiORDINE
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2004
vo nello scoprire talenti e genialità; dote che
ha sperimentato al tempo di Omnibus. Un
giorno, in quella fine di anni 30, Montanelli
e Pannunzio si stavano sganasciando dalla
risate in redazione mentre leggevano un
libretto intitolato Piave, scritto da uno
sconosciuto autore. Si trattava d’un’opera
retorica “che traboccava fesserie”. Leo chiese ai due quale fosse il motivo di quel divertimento. Montanelli gli mostrò il volume. Il
direttore vi gettò una rapida occhiata e
replicò: “Siete due cretini. Non capite un
accidente. Qui sotto c’è un talento”.
Fu lo stesso Montanelli a scovargli l’autore,Vitaliano Brancati che lavorava al Tevere.
Quando ebbe davanti il giovane siciliano,
Leo lo strapazzò: “Lei è un idiota. Crede di
essere un poeta epico. È invece sa cos’è? È
un Gogol, un gogolino di Catania. Mi scriva
un racconto sulla sua città. Deve raccontare
storie di corna e il dongiovannismo della Sicilia. Si dia da fare”.
“Il cielo è rosso” di Berto:
retroscena di un successo
Tra i primi libri pubblicati dalla Longanesi c’è
Il cielo è rosso di Giuseppe Berto. L’autore
rievocherà più tardi il retroscena di quel
successo dovuto ovviamente all’intuizione di
Longanesi. Il volume, scritto durante la
prigionia, era stato respinto da parecchi
editori, uno dei quali non l’aveva neppure
letto.
Leo, dopo avere percorso velocemente con
lo sguardo il manoscritto davanti a Berto,
ebbe un gesto di disgusto ma invitò il giovane scrittore a farsi vedere due giorni più tardi.
La diagnosi fu inesorabile: era necessario
eliminare il primo capitolo e bisognava
eseguire sapienti tagli perché “l’opera era
noiosa”. “Bisogna mettere le mani dappertutto” concluse l’editore. Berto accondiscese a
malincuore ad affidargli il romanzo. Riteneva
tuttavia che Longanesi lo avrebbe consultato
per concordare tagli e rifacimenti.
Per tre mesi non seppe nulla. Un giorno,
occhieggiando nella vetrina d’un libraio di
Venezia, lo scrittore notò il suo nome e
cognome sopra un libro che s’intitolava Il
cielo è rosso, intestazione che trovò tuttavia gradevole. Amareggiato per essere
stato escluso dall’editing (ma anche scarsamente disposto a protestare), l’autore
trovò conforto nel risvolto finanziario che
ebbe la sua vicenda. Non essendo riuscito
ad opporsi al disegno di Longanesi di
“aggiustare” il volume, Berto quasi involontariamente si era assicurato un piccolo
vantaggio.
Il romagnolo gli aveva proposto royalties
molto basse. Tuttavia aveva aderito alla
richiesta dello scrittore d’avere una percentuale del venti per cento qualora l’opera
avesse superato le novemila copie. Una
provvigione che l’editore aveva concesso
convinto che il libro non avrebbe toccato
quella punta di vendita. Longanesi dovette
pentirsi di quella scarsa estimazione. In poco
tempo Il cielo è rosso superò le novemila
copie di tiratura.
La “scoperta” di Berto si aggiungeva a quell’altra felice intuizione che lo aveva illuminato
su Dino Buzzati (suo collaboratore in Omnibus) al quale aveva suggerito Il deserto dei
tartari.
Montanelli nel ruolo
di revisore dei testi
Nell’immediato dopoguerra, per i tipi della
Longanesi (che si batte senza soggezione
contro Mondadori e Rizzoli) escono anche
Tempo d’uccidere di Ennio Flaiano, premio
Strega del 1947, La vera signora di Elena
Canino, Il vero signore di Giovanni Ansaldo
(oltre a Latinorum e al Ministro della buona
vita dello stesso autore), I pensieri di un
libertino di Arrigo Cajumi, Fuga in Italia di
Mario Soldati e decine di altri libri. Come
ricorderà Spadolini, il periodo che va dal
1945 al 1950, rappresenta un momento felice per l’ex direttore di Omnibus, unito in
sodalizio con Montanelli, che riscrive parecchi volumi.
Molte opere della casa editrice degli spadini
hanno carattere provocatorio come quelle di
Bertrand Russel (Storia della filosofia occidentale), Saverio Merlino (Utopia collettivista), Panfilo Gentile (Cinquantanni di Socialismo), Francesco Saverio Nitti (Eroi e briganti), John Reed (Dieci giorni che sconvolsero il mondo), Quinto Navarra (Le memorie
del cameriere di Mussolini).
Questo volume fu in effetti scritto da Montanelli e da Longanesi sotto la dettatura del
domestico del dittatore. Sempre legato al
giornalismo attivo, nel 1946 Leo inventa Il
Libraio, primo tabloid italiano; un mensile
distribuito nelle librerie e venduto in abbonamento. Benché avesse carattere eminentemente promozionale, la rivista rappresentò
un esempio di pubblicazione periodica tanto
da essere definita “un Omnibus in piccolo”.
L’impegno che obbliga il romagnolo a leggere i libri degli altri, non gli toglie la voglia di
scriverne di propri.
Nel 1948 manda alle stampe In piedi e seduti, un exursus di avvenimenti e personaggi
dal 1919 al 1943. Nel 1950, inventa Il Borghese, un settimanale politico in cui eccelle
sin dalla copertina la sua produzione grafica,
carica di sarcasmo e di ironia. Sulla nuova
pubblicazione scrivono Montanelli (anche
con gli pseudonimi di Adolfo Contano e Antonio Siberia) che in America “stimola” Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini, Alberto
Savinio, Ennio Flaiano, Colette Rosselli,
Henry Furst, Giovanni Ansaldo, Irene Brin,
Goffredo Parise, Giuseppe Compagnoni,
Elena Canino, Orsola Nemi, Piero Buscaroli.
Il giornale è in polemica con i governi centristi della repubblica: un contrasto carico di
elementi e di inflessioni tipici della destra
protestataria.
Le critiche, che da quella posizione politica
Leo rivolge ad alcuni intellettuali, accendono
una disputa tra il romagnolo ed un suo
vecchio discepolo che, professionalmente,
aveva fatto onore al maestro inventando
prima Oggi e successivamente Il Mondo. Mi
riferisco a Mario Pannunzio. “Ma come”
(scrisse questi rivolgendosi al suo ex direttore) “io quando arrivai a Roma ero un buon
fascista per il semplice motivo che conoscevo solo il fascismo. Ero vissuto in provincia,
a Lucca, e avevo poco più di vent’anni. Venni
a Omnibus. E fu lì, accanto a lei, e per sua
suggestione, che ho cominciato ad avere dei
dubbi e poi a passare addirittura all’altra
parte. Fu lei a spingerci tutti sulla strada
dell’antifascismo e ora ci rimprovera d’averla
battuta fino in fondo”.
“Il Borghese”, un giornale
che demonizza lo statalismo
È assolutamente inutile richiamare Leo alla
coerenza dei suoi gesti e dei suoi pensieri. Il
carattere contraddittorio del suo spirito si
manifesta anche nel dopoguerra. Mentre
pubblica Il Borghese, un giornale di destra
che demonizza lo statalismo il quale trova
sempre più spazio nella società italiana,
Longanesi insieme con Giovanni Ansaldo,
redige e stampa Il Garofano Rosso, un giornale aziendale di propaganda anticomunista
che però sostiene l’impresa di stato perché
appartiene all’Eni di Enrico Mattei di cui è
diventato amico e confidente, una sorta di
consigliere politico.
Poiché questi è in difficoltà con la componente di destra della Democrazia Cristiana,
il direttore del Borghese gli consiglia di
buttarsi a sinistra. “Vedrà” gli assicura “come
cambierà il vento”.Più tardi gli suggerirà pure
l’idea di stampare Il Giorno, il quotidiano che
verrà realizzato dal suo amico Gaetano
Baldacci.
A partire dall’inizio degli anni Cinquanta si
apre per Longanesi una fase (1950-1957)
difficile durante la quale manifesta rabbia e
livore contro tutti. È il periodo in cui litiga
persino con Indro. Ma la sua collera è rivolta
soprattutto contro la borghesia “populista
che scimmiotta gli operai”. Un atteggiamento
che uno dei suoi critici, Alberto Moravia bolla
come “un crepuscolarismo che gli impedisce
di prevedere la ripresa consumistica e
neocapitalista di quella borghesia nella quale
non gli era mai riuscito di credere anche per
via dei suoi insuperabili limiti di geniale artigiano che non gli consentirono di passare
dall’artigianato all’industria culturale come
fecero gli altri”.
Il pessimismo di Leo trasuda dalle battute
che sono trafiggenti anche in tempi di democrazia. “La nostra bandiera dovrebbe recare
una grande scritta: ho famiglia”; “L’ingiustizia
ha ancora un avvenire”; “Non è la libertà che
manca, mancano gli uomini liberi”; “Uno
stupido è uno stupido. Due stupidi sono due
stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica”; “Veterani si nasce”; “Non sono le idee
che mi spaventano ma le facce che rappresentano queste idee”; “È meglio assumere
un sottosegretario che una responsabilità”; “I
presenti non sono mai stati fascisti”; “Non c’è
posto per la fantasia che è figlia della libertà”;
“La libertà è morta perché si è troppo estesa”; “Sono fanatici ma non senza conservare
una qualche amicizia nel campo avversario”;
“Cercava la rivoluzione trovò l’agiatezza”;
“Una personalità complessa: si scrive lettere
anonime per guidare la propria coscienza”.
Longanesi dissemina di battute acide e ciniche i suoi libri.
All’esordio degli anni Cinquanta stampa Una
segue
21 (29)
Leo Longanesi / segue
vita (1950), Il destino à cambiato cavallo
(1951), Un morto fra noi (1952), Ci salveranno le vecchie zie (1953). Dopo una pausa di
quattro anni, riprende a scrivere opere nella
seconda metà dei Cinquanta: Lettera alla
figlia del tipografo di L.L. (1957), Me ne vado
(1957), La sua signora, taccuino di L.L.
(1957). Ai libri aggiunge la mai interrotta
produzione pittorica e grafica carica di scherno e derisione.
L’impegno nella politica
con la Lega Fratelli d’Italia
Un po’ perché la linea politica del Borghese
collide con gli interessi della casa editrice un
po’ perché la sua azione disturba l’intero
arco costituzionale, sta di fatto che la disinvolta indipendenza di Leo entra in conflitto
con il suo socio.
I due decidono di separarsi. Un primo
accordo che consente a Longanesi di
acquistare per cinque milioni la testata del
settimanale, comprese le riserve di carta,
non va in porto. Poi, un nuovo assetto societario della Longanesi e C e l’aumento di
capitale lo escludono dall’azienda. Mentre
tenta d’impegnarsi sul piano politico con la
costituzione della Lega Fratelli d’Italia, una
formazione di destra (da alcuni considerata
“impossibile”) insieme con Mario Tedeschi
e Gianna Preda, il romagnolo studia di dar
vita ad una nuova casa editrice. Inizia a
lavorare alla Rizzoli per preparare una
collana di volumi che s’intitola I libri di Leo
Longanesi.
Era il primo nucleo d’un’altra azienda editoriale per la quale ha preparato anche il
simbolo.
Mentre per la prima
Longanesi aveva
inventato l’emblema dei due spadini,
in omaggio alla
moglie, Maria Spadini, figlia del celebre pittore, Armando, per questa nuova ha ideato una
figurazione rappresentata due cannoni incrociati.
Nel pomeriggio di venerdì 17 settembre del
1957 il giornalista si sentì male nel suo
studio di via Bigli. “Meglio così tra i miei arnesi” sibilò prima di entrare in coma e di morire. Per trasportarlo in clinica, fu necessario
fare un lungo periplo cittadino perché il
centro di Milano era bloccato dai funerali del
conte Dino Branca di Romanico.
Cardarelli scrisse: “Caro Leo, il tuo trapasso
era l’estremo dispetto che hai voluto farci.
Siamo qui a pentirci d’essere ancora in vita.
Vorremmo scrutarci e siamo certi che sei in
un luogo adatto per intenderci”. Il devoto
commiato si chiudeva teneramente: “Sii
beato, sii felice, felice, caro Leo, nel regno
che certo ti ha destinato la tua guerriera
innocenza”.
Amici e nemici liberati
dalla sua “tirannia” culturale
Con la sua morte,
Longanesi liberò
amici e nemici dalla impietosa e crudele tirannia culturale per la quale
era temuto tanto
dagli uni quanto
dagli altri.
Di ritorno da Lugo
di Romagna, dove
lo avevano accompagnato all’ultima
dimora, Giorgio Cabella, Indro Montanelli e
Giovanni Ansaldo, durante il lungo viaggio in
macchina verso Milano, evocarono la figura
dell’amico. Abbandonati quasi subito le frasi
di circostanza, i ricordi dei tre sprigionarono
un fuoco d’artificio di battute, aneddoti, definizioni. Venne fuori pure il carattere sopraffattore del defunto. Ansaldo, pur riconoscendo la irreparabilità della dolorosa perdita, non
poté non annotare che da quel momento tutti
loro avrebbero potuto scrivere articoli “anche
nei momenti di fiacca e lardellarli di sbadigli
senza la solita maledetta paura che cadessero sotto l’occhio di Longanesi”.
“Potremmo pronunciare frasi inutili e stupide
senza il solito maledetto terrore che arrivino
all’orecchio di Longanesi”.
Pur nel rispetto del morto, con un sospiro di
sollievo l’autore del Ministro della buonavita,
libero da infingimenti, confessò: “L’incubo è
finito”.
Enzo Magrì
22 (30)
GIORNALISMO
E CINEMA
Regista di numerosi film di successo Pane amore e fantasia,
Pinocchio Incompreso ha collaborato a periodici e giornali.
Con la critica cinematografica
e la militanza civile e politica
Luigi
giornalista
Comencini “politico”
di Renata Broggini
Un profilo meno noto nella biografia di Luigi Comencini è
l’impegno quale giornalista negli anni Quaranta. In ruoli
diversi: critico cinematografico, poi inviato speciale del settimanale Tempo illustrato, di Mondadori, nel 1939-41. Di critica si occupa su Vita Giovanile e Corrente - portavoce del
movimento post-impressionista di Ernesto Treccani e di
Raffaele De Grada, fondato nel 1938 contro l’isolazionismo
fascista. Attività ripresa sulla pagina culturale dell’Avanti!
nel 1945-46.
Ma in quel periodo c’è una parentesi ancora meno conosciuta, l’antifascismo “militante” nel 1943-45, quando dall’Italia
occupata dai tedeschi trova rifugio in Svizzera. È il Comencini collaboratore e redattore di fogli politici degli esuli italiani di
orientamento socialista, che rivela un’apertura culturale non
comune per un giovane della borghesia italiana di allora. Una
formazione che riflette non solo gli studi, ma anche gli anni
giovanili vissuti all’estero e la nascita in una famiglia “internazionale”.
La madre Marie-Magdaleine Hefti è svizzera-tedesca originaria di Glarona, “valdese”, cresciuta nel Bresciano, dove i
suoi sono proprietari di una filatura di cotone: “poneva molta
cura nello sviluppare in me l’amore per le cose gentili e poetiche”, racconta Comencini stesso nel suo Infanzia, vocazione, esperienza di un regista (1999). Cerca di appassionarlo
invece alla tecnica e alla meccanica il padre Cesare, ingegnere civile, di una modesta famiglia cattolica di campagna
di Orzivecchi presso Brescia.
Oltre a questa dialettica familiare, incide sul suo carattere
l’adolescenza nel sud ovest francese, dove i Comencini si
trasferiscono in un’azienda agricola: vita isolata e solitaria,
fantasticando però viaggi da quando in casa entra un “orario
ferroviario europeo”, anche se poi si limitano a rientri in Italia
o alle vacanze dalla nonna in Svizzera. La passione per il
cinema nasce proprio negli anni in Francia tra inquietudini,
situazioni difficili, emarginazione dai compagni che lo chiamano “sporco italiano”, ma col cinematografo a portata di
mano con le sue “emozioni sconvolgenti”.
Della licenza liceale scrive: “non ricordo le facce dei professori ma il film che, per caso, avevo visto la sera prima: L’opera da tre soldi (in Francia “de quatr’sous”). Le canzoni dei
bassifondi, l’atmosfera di rabbia disperata, la sensualità torbida che mi aggredì, mi convinsero che il cinema era la grande arte totalizzante di questo secolo. Volevo farne parte”. La
famiglia rientra in Italia, non a Salò sul lago di Garda dov’è
nato, ma Milano. Iscritto al Politecnico, come desiderava il
padre, morto nel dicembre 1934, scopre le avanguardie
europee e in particolare l’opera di Le Corbusier.
Si diploma architetto. Ma la vera passione, condivisa con
Alberto Lattuada, è un’altra: collezionano vecchi film, il
nucleo della futura Cineteca italiana. Una delle figlie, Cristina
Comencini, regista di successo anche lei, ne ha raccolto le
confidenze su quel periodo:
L’idea di fare il cinema l’ho avuta da ragazzo, in Francia, ma
l’ho realizzato in Italia. In Francia, negli anni della mia giovinezza, c’era un grande fermento culturale. Il cinema era
molto avanti. C’erano riviste di cinema, dibattiti, associazioni. In Italia c’era il fascismo e il cinema dei telefoni bianchi.
Non era un grande cinema. Poi, dopo la guerra, il cinema
italiano è diventato grande. Perché si è tuffato nella realtà.
Aspirante regista, nel 1937 riesce a piazzare al Cineguf di
Milano la sua Novelletta, arrivato al quinto posto dei Littoriali,
“primo dei film non politici”: va perduto per le vicende belliche, sicché in realtà inizierà a dirigere nel 1946 con Bambini
in città, premonitore della “specializzazione” di regista di
bambini. Nel 1940 con Lattuada organizza la “Mostra del
cinema” alla Triennale di Milano, dove porta tra i registi celebri all’estero René Clair e Jean Renoir, la cui Grande illusion,
“disfattista” per i fascisti, provoca incidenti con fischi di una
parte del pubblico contro gli applausi dell’altra.
Alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940)
Comencini dirotta quindi verso il giornalismo e “in breve si
professionalizza, diventa critico del settimanale Tempo illustrato”, sottolinea Tullio Kezich, “quando decide di smettere,
definitivamente risucchiato dal set, è già una firma prestigiosa, una sorta di Minosse temutissimo da chi gli capita sotto”.
Intanto, arruolato, finisce a Udine dove vive in caserma “da
lavativo”, commenterà lui stesso, evitando di partire per il
fronte russo:
Mi salvai dal fronte. Fu un caso anche questo legato al
cinema. A Milano avevo conosciuto Carlo Ponti che spesso mi regalava i biglietti per andare al cinema. In caserma
c’era un maresciallo che si occupava dello spaccio. Per
ingraziarmelo, ogni tanto gli regalavo i biglietti del cinema.
Era contentissimo e mi domandava sempre: “Come posso
sdebitarmi?” E io: “Non si preoccupi, verrà il momento”.
Un giorni gli ordinarono di fare una lista di soldati per il
fronte russo. Mi chiese se volevo andarci. Gli risposi ovviamente di no e lui mi assegnò al reparto degli ammalati,
dei riformabili. Diventai specialista nello sturare i cessi.
Ogni tanto il maresciallo mi chiedeva se volevo andare al
fronte, come fosse un optional, e io gli dicevo di no. Come
De Laurentiis, che non ha mai fatto un giorno di guerra
perché era il produttore addetto al fronte. Andava avanti e
indietro fra Milano e Trieste.
L’8 settembre 1943, anche lui va incontro a quel Tutti a casa
che diventerà il soggetto di uno dei suoi film (1960) più celebri e riusciti. “Sono scappato, come Sordi, come tutti”, racconterà: “Mi sono nascosto prima a Milano e poi in Svizzera.
Aspettavo la fine della guerra e inviavo articoli per la stampa
socialista”. Il ricordo è un po’ sottotono, in realtà proprio
nell’esilio svizzero Comencini riprende l’attività di giornalista,
ora però con un esplicito intento “politico” su fogli di area
appunto socialista. Ma qui è utile un passo indietro per seguire la sua vicenda di rifugiato.
Comencini nel 1957
con Alberto Sordi
e Sergio Tofano:
si gira La bella di Roma
con Silvana Pampanini
e Paolo Stoppa.
Centro documentazione
“Corsera”.
In alto,
Comencini, 1960.
Archivio Giancolombo.
ORDINE
9/10
2004
La vicenda di rifugiato in Svizzera dal dicembre 1943 al maggio 1945
La scheda del Commissariato federale per
l’internamento dà: “Comencini Luigi, tenente
del genio, classe 1916, residente Milano,
entrato clandestino 7 dicembre 1943, rimpatriato maggio 1945”. È uno dei 30.000 militari fuggiti in Svizzera da settembre per evitare
il reclutamento nella repubblica di Salò o la
deportazione in Germania e internati in
campi della Svizzera tedesca. Dati i legami
familiari – madre svizzera e parenti nella
Confederazione - l’internamento di Comencini ha carattere speciale: sotto “controllo
militare” può risiedere presso una parente
nel Canton San Gallo, in seguito è “liberato”
a Lugano grazie a una “garanzia” per la sua
liberazione. In Svizzera c’è anche il fratello.
Nel dicembre 1944 entrerà clandestina
anche la madre, che dichiarerà alla polizia:
“J’ai eu deux enfants, Louis, 1916 et Gianni,
1921, refugiées en Suisse depuis l’anneé
dernière, car ils ne voulaient pas servir la
république sociale”.
Nella Svizzera italiana, e in particolare a
Lugano dove Luigi può risiedere, sono
numerosi i “politici” che una volta giunti nel
Ticino, trovano ambienti ospitali e, spesso,
vicini anche sotto il profilo ideologico. Ci sono
liberali, popolari e cellule comuniste che
danno soccorso ai rifugiati e appoggiano loro
scritti in giornali di partito. I tempisti sono i
socialisti che già nel settembre 1943 hanno
istituito una sezione del Centro svizzero di
soccorso operaio, patrocinata dal consigliere
di stato Guglielmo Canevascini e diretta
dall’esule Fernando Santi. Fra i mezzi più
diretti per tenere i contatti anche con i campi
di internamento è il foglio Libera Stampa, da
sempre sulle posizioni antifasciste di Canevascini. Il quale da uomo di governo ha
influenza nelle istituzioni: “I ringraziamenti
dovrebbero essere collettivi, o meglio, a
nome di tutti gl’italiani, qui e altrove, ché
quello che tu hai fatto per noi merita di essere conosciuto e giustamente apprezzato”,
come alla fine dell’esilio lo ringrazierà proprio
Comencini.
“Libera Stampa” accoglie
gli intellettuali italiani
Data la presenza a Lugano nel 1944 di tanti
“politici”, la redazione del giornale li accoglie
e, in contrasto con le norme federali di
neutralità della Confederazione, dà loro la
possibilità di scrivere. Su Libera Stampa un
drappello di rifugiati avvia la “Pagina dell’emigrazione italiana”, di contenuto più politico, diretta da Guglielmo Usellini con Riccardo Momigliano, Ugo Guido Mondolfo, Piero
Della Giusta, Marcello Cirenei, Antonio
Greppi, Ezio Vigorelli; e “Arte, letteratura e
lavoro”, diretta da Arturo Tofanelli. Poi all’arrivo di giovani letterati, tra i quali giornalisti del
Tempo di Mondadori, la redazione del foglio
socialista diventa quasi un “porto di mare”
che li raccoglie da diverse provenienze per il
comune destino di rifugiati: Fabio Carpi, Aldo
Borlenghi, Giorgio Strehler, Gianni Pavia,
Fernando Giolli, Giansiro Ferrata, Franco
Fortini.
Il titolo “Arte, letteratura e lavoro” intende
sottolineare la connessione stretta, “necessaria”, tra arte, vita, impegno civile; lo scrittore, l’artista, l’intellettuale si pongono al servizio di una causa, non in senso stretto socialista, ma in generale dell’antifascismo. Il
dibattito si fa vivace, caratterizzato da forte
tensione morale e dall’impegno per una
letteratura che cerchi in effetti “un dialogo col
popolo” per viverne “le sofferenze, le aspirazioni di libertà”. Il nuovo indirizzo è dato da
Gianfranco Contini, professore all’Università
svizzera di Friburgo, a contatto con l’ambiente italiano di Lugano. Nell’autunno 1944
un’altra svolta: gli Alleati avanzano lungo la
penisola, le incursioni della Resistenza si
moltiplicano, qua e là i Cln formano “repubbliche” partigiane, nel settembre-ottobre si
costituisce la Giunta provvisoria di governo a
Domodossola.
Con l’Ossola a due passi molti rifugiati,
specie i più giovani, durante i “40 giorni di
libertà” lasciano il Canton Ticino e accorrono
nella valle. Tra loro alcuni tra i collaboratori di
Libera Stampa. Così il compito di dirigere la
pagina sul foglio socialista svizzero tocca ad
Alberto Vigevani, scrittore, autore di un
“romanzo” Compagni di settembre, che parla
della fuga dall’Italia nel ‘43; e a Luigi Comencini, giornalista, che dirigerà il film Tutti a
casa… La sigla “L.C.” compare sotto gli articoli Cinema e socialismo, in sette puntate
(20-27 settembre 1944), Buio fino in fondo
(26 ottobre), Letteratura americana? (21
dicembre); ai racconti La moglie (28 settembre) e Lettera (14 dicembre 1944).
Il primo contributo, basato sulle ultime pubblicazioni e con dati della Mostra del cinema di
Basilea del 1943, è un’analisi approfondita e
documentata sulla storia e sulla situazione
ORDINE
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2004
del cinema nei rapporti con la società, dall’invenzione tecnica al suo riconoscimento ufficiale, dove si schiera per un’arte “cosciente
dei propri doveri civili” che sappia trovare in
autonomia una propria strada. All’epoca “un
telaio a mano”, ora è un’arte “sempre meno
libera”, nella quale la politica incide “notevolmente”. Il tema autobiografico della superiorità della cinematografia in Francia per la
libertà; e di quella americana, favorita dall’emigrazione provocata dagli sconvolgimenti
politici in Europa, fa da contrasto al cinema
“strumento di propaganda o di difesa” in
paesi e climi autoritari da Lenin a Goebbels
da Pio XI a Mussolini, a motivo del successo
popolare:
La difesa delle Avanguardie
e la polemica con il “Corriere”
Dal momento che il cinema affascinava le
masse, perché non farne uno strumento di
propaganda o di difesa, collegato a interessi
politici e sociali? Perché limitarsi a controllare i film prodotti da altri, e non produrre in
proprio, direttamente, con scopi precisi?
Promosso dal Centro estero del Psiup di
Zurigo, dal febbraio 1944 al settembre 1945
sotto il motto “liberare e federare” esce il
quindicinale L’Avvenire dei lavoratori, diretto
da Ignazio Silone. Nel febbraio 1945 apre
una redazione a Lugano diretta da Guglielmo Usellini e inizia a comparire la sigla di
Comenicini, con quelle del gruppo di “Libera Stampa”: Momigliano, Mondolfo, Fortini,
oltre a Luigi Preti, Edgardo Lami Starnuti,
Gigino Battisti, Alessandro Levi, Lucio
Luzzatto.
Il programma di Silone era volto “all’esame
sistematico dei problemi politici fondamentali del socialismo europeo” con appello “a
tutte le forze della coscienza”. Un tema che
si ritrova negli scritti di Comencini, Finirà la
guerra? E Perché si muore (24 febbraio e
15 marzo 1945). Nel primo affronta tra l’altro una questione, che “il concetto di nazione è un concetto assurdo, oggi, anche se
oggi l’internazionalismo è passato di
moda”:
“…un mondo diverso
che si ride delle frontiere”
Posso scegliermi i miei amici dove mi pare,
senza conoscerli, udendoli per radio,
leggendo i loro scritti, e lentamente formiamo un mondo diverso, un mondo clandestino, un mondo superiore, che si ride delle
frontiere e dei discorsi dei tribuni. Mentre i
giornali corrono febbrilmente a spolverare
vecchie feluche per darsi un’aria maestosa, mentre si proclamano dovunque rinati
patriottismi, nascono tra gli uomini strane
amicizie. Quanto tempo dovranno aspettare per trionfare? Non so. Forse pochi anni,
forse molti. Ma finché non trionferanno la
guerra non finirà. Finché si userà il linguaggio assurdo che ogni giorno udiamo, la
guerra non finirà.
A Venezia,
nel 1987,
Comencini
riceve
da Michel
Piccoli
il “Leone
d’oro alla
carriera”.
Centro
documentazione
“Corsera”.
A Roma
nel 1978.
Centro
documentazione
“Corsera”.
Altro tema legato alla sua formazione, ma
stavolta di architetto, è la difesa delle avanguardie artistiche. “Su Libera Stampa, foglio
socialista di Lugano, mi son trovato a dover
difendere opere come quelle di Le Corbusier e Guernica di Picasso dalla pubblica
‘incomprensione’”, mi raccontava anni fa.
Il tema di Buio fino in fondo, in polemica col
Corriere della Sera che attaccava l’ormai
famoso architetto perché “uno dei maggiori
rappresentanti dell’antitradizionalismo” il
quale “quando sale in cattedra ha sempre
bisogno dello stupefacente; è nato in Svizzera ma ancora giovane corse a scialacquare (sic) i panni nelle torbide acque della
Senna, quando la Francia era il ritrovo dei
metechi di tutto il mondo; le sue teorie sono
apprezzatissime nell’Urss”. Comencini contrattacca, precisa “come tutti sanno Le
Corbusier è architetto”:
… per chi non lo sapesse, dall’Urss fu
messo alla porta perché dichiarato “architetto borghese”. In quanto all’ateismo l’accusa non è nuova. Quando fu inaugurata la
sua Casa dello studente svizzera alla Città
universitaria di Parigi, i fogli protestanti
della Svizzera francese fecero un gran
chiasso, pretendendo che corrompeva la
sana gioventù elvetica, avendo osato decorare il refettorio della sua casa dello studente con vedute di ghiacciai, di monti e di fiori,
anziché con scene della Sacra Scrittura.
Tralasciamo poi il fatto che un marxista,
parlando incidentalmente, l’abbia definito “il
calvinista Le Corbusier”… La confusione,
l’oscurantismo per ora trionfano; la macabra danza dei predoni della natura e dell’arte non è ancora finita.
Aspettano anch’essi i patrioti che li mettano al muro. Ma intanto Le Corbusier, e non
solo Le Corbusier, bensì tanti altri, e forse i
migliori e i più geniali architetti, disegnano
in silenzio e preparano
le case per la pace di
domani.
Anche i racconti hanno
sfondo autobiografico, La
moglie per esempio vicenda politico-sentimentale - è l’occasione
per tratteggiare il profilo
di due compagni di studi
che il fascismo aveva
cambiato, e la guerra
civile portato a rivelare i
lati oscuri del loro carattere. Con questi scritti
“Arte, letteratura e lavoro”
entra nel vivo della critica
a una certa Italia, mentre
Comencini si orienta su
temi ancora più politici
che svolgerà su un altro
foglio.
Perché si muore nasce come riflessione alla
notizia dell’uccisione dell’antifascista socialista Eugenio Colorni alla vigilia della liberazione di Roma (maggio 1944). “Esiste un’immortalità terrena che i vivi si tramandano nel
ricordo dei morti che hanno conosciuto.
Eppure, anche se la morte non è sempre
uno sbaglio, ma diviene improvvisamente
necessaria come una virtù, qualcosa di noi
si ribella al peso di questa fatalità”, scrive, e
conclude:
… il sorriso dei defunti s’è fatto amaro; cinico il nostro giubilo di vivere e di vincere; triste
la vittoria ch’è costata troppi morti. Possiamo vivere in un mondo di uccisori? La vita
appartiene ai morti; i vivi l’hanno perduta.
Ecco perché ad ogni amico che cade si
stringe il cuore di paura, al pensiero che con
lui muore per noi l’uomo che l’ha ucciso. Si
muore perché si uccide, è il pensiero che mi
assilla, e soltanto quando non si ucciderà
più il mio pensiero potrà ritrovare un filo col
passato, un filo con l’avvenire, rivivranno le
idee, gli uomini, le cose, di vita propria e non
di ridicola parvenza di vita, velata da un
continuo interminabile lutto.
La Svizzera nei suoi film
dopo il rientro in Italia
Rientrato in Italia nel maggio 1945, nel dopoguerra Luigi Comencini avrà modo di riflettere anche sul ruolo della Svizzera neutrale
traducendo un testo dello scrittore espressionista tedesco Georg Kaiser, per la Collana Teatro Moderno, a cura di Paolo Grassi
(Milano 1947). Nell’introduzione a Il soldato
Tanaka, 1940, di Kaiser - vissuto per anni
sulle rive del lago di Zurigo morto ad Ascona, Canton Ticino, nel 1944 - Comencini
commenta:
Uno “scrittore rivoluzionario” ha vita breve:
quando la rivoluzione è fallita, oppure fatta
e – secondo lui – fallita, la Svizzera è l’unico porto, fuori del tempo e del mondo, che
possa accoglierlo, con tutte le rinunce che
l’accettazione di questo rifugio comporta.
Kaiser vi ha consentito, e da quell’osservatorio veramente neutrale, ha scritto per gli
uomini in preda al furore della guerra, un
candido messaggio di fratellanza e di
giustizia, nel quale esso molto difficilmente
di riconosceranno.
La Svizzera tornerà ancora, in toni sempre
autobiografici ma familiari, nel film Heidi o
Sono tornata per te, ambientato nelle montagne dell’Engadina: “l’unico modo per respirare un po’ d’aria buona in senso reale e in
senso metaforico”, è il giudizio di Comencini.
Erano gli anni ‘50.
Ranata Broggini
23 (31)
L A
L I B R E R I A
D I
TA B L O I D
Ainis, studioso del
linguaggio giuridico,
fa parte del
Comitato scientifico
del Nucleo per la
semplificazione
delle norme
e delle procedure,
costituito presso
la presidenza
del Consiglio
dei ministri.
Michele Ainis
Le libertà negate.
Come gli italiani
stanno perdendo i loro diritti
di Rosa Alba Bucceri
Aristotele aveva ben spiegato
che democrazia e libertà non
vanno a braccetto, che il rapporto tra demokratia ed
eleutheria è conflittuale. Noi
però ci ostiniamo a identificare
l’una con l’altra e a credere che
le democrazie occidentali siano
culla e patria del diritto e delle libertà. Ne siamo così convinti
da pretendere di esportare il
nostro modello.
Il prezzo di un così marchiano
errore è la svendita e perdita
progressiva delle libertà nel
mondo occidentale. Consumate tra l’illusione di vivere nell’età dell’oro dei diritti e il loro
sprezzo. A mettere il dito sulla
piaga che erode le nostre democrazie avanzate è il giurista
Michele Ainis, in un un saggio
brillante quanto documentato:
Le libertà negate. Come gli italiani stanno perdendo i loro diritti, edito da Rizzoli.Ordinario di
Istituzioni di diritto pubblico e
preside della facoltà di
Giurisprudenza a Teramo, Ainis
è autore e curatore di un centi-
naio di volumi e saggi accademici ed editorialista della
Stampa.
Le libertà negate è l’ultimo di
una serie di saggi divulgativi - il
più noto dei quali è La legge
oscura (Laterza 20022) - pubblicati a partire dagli anni ‘90.
L’autore parte da una mega-inchiesta che si snoda parallela
tra il dettato copioso di leggi e
leggine solenni e una realtà sociale misera. In 35 capitoli, disposti in ordine alfabetico e arricchiti da un sostanzioso apparato di note, sono descritte le
categorie colpite – bambini, detenuti, disabili, donne, immigrati, gay, ma anche anziani, consumatori, elettori, malati, cioè
tutti noi – e insieme i casi numerosi di diritti coartati o in perenne stand-by.
Compaiono i cittadini, iperspiati
alla faccia della valanga di leggi
a tutela della privacy; le donne,
pagate il 27% in meno dei colleghi maschi; gli elettori, illusi di
scegliere i loro rappresentanti; i
disinformati, bombardati da un
numero esagerato di informazioni, gestite e manipolate però
da pochi padroni. E le vittime
dell’accanimento legislativo da
parte di uno Stato che si veste
da poliziotto: fumatori, amanti e
automobilisti ne sanno qualcosa. Un mosaico colorato e dolente in cui – colpa nostra – ci ritroviamo un po’tutti.
Michele Ainis,
Le libertà negate.
Come gli italiani
stanno perdendo
i loro diritti, Rizzoli 2004,
pagine 396,euro 18,00
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Verso una
democrazia
senza libertà
Il volume Viva Vox Constitutionis è un’opera collettiva
(a cura di Valerio Onida), nata
dal proposito di effettuare una
rassegna annuale della giurisprudenza costituzionale, al
fine di individuare i vari indirizzi giurisprudenziali enucleati
dalla Corte Costituzionale e
dare così al lettore un panorama in progress del contributo
che la giustizia costituzionale
offre allo sviluppo del diritto
nel nostro Paese.
La Corte Costituzionale nel
corso dell’anno 2002 ha pubblicato in totale 536 decisioni
di cui 135 sentenze e 401 ordinanze, la grande varietà dei
temi trattati dalla Corte va dal
diritto penale (al quale sono
stati dedicati i primi tra capitoli della raccolta), al diritto e
giustizia minorili, alla sanità,
la scuola, l’ambiente, il lavoro
(sia quello subordinato che il
pubblico impiego). Altresì, vi
è anche un capitolo dedicato
alle “libertà civili” ed uno alle
“telecomunicazioni”.
24 (32)
Limitando questa recensione a tali ultimi due capitoli
che maggiormente interessano la professione giornalistica, vediamo che nell’ambito della libertà di manifestazione del pensiero, la
Corte Costituzionale nell’anno 2002 ha emesso cinque
decisioni: due attenenti alla
libertà di manifestazione a
mezzo stampa e tre concernenti la disciplina del mezzo
televisivo.
In particolare, la Corte è stata
chiamata a pronunciarsi in
ordine alla compatibilità costituzionale dell’art. 15 Legge
sulla stampa (L. 47/1948) che qualifica come reato la
pubblicazione di stampati
contenenti immagini e particolari impressionanti o raccapriccianti in grado di turbare il
comune sentimento della
morale - con l’art. 21 Cost.
che assume unicamente la
nozione di buon costume come limite alla libertà di pensiero. La Corte, tuttavia, ha ribadito l’infondatezza della
questione (già oggetto di pronuncia con la sentenza n.
di Marzio De Marchi
Cosa l’ha spinta a scrivere un libro così fuori dagli schemi accademici?
“L’idea mi frullava in testa da tempo. Ne avevo ragionato a
metà degli anni ‘90 con Giulio Salierno, sociologo e personaggio fuori dall’ordinario. In seguito ho cominciato a
pubblicare sulla Stampa un’inchiesta sulle libertà. E in quella sede è stato Gianni Riotta a suggerirmi di farne un libro.
Mi sono messo all’opera, coadiuvato da un pool di ricercatori e lavorando ho scoperto le tante gocce di cui non ci
accorgiamo ma che insieme formano il mare nostrum delle
libertà negate”.
Da una così aperta denuncia, fatta a suon di dati e di
nomi, ci si aspetta qualche suggerimento di ordine giuridico per combattere l’erosione dei diritti.
“Chi fa un lavoro intellettuale penso debba svolgere una
funzione critica, di denuncia. Se questa coglie nel segno, il
resto dovrebbe arrivare da sé.
Le leggi sono lo specchio del nostro tempo e sarebbe bene
facessero tre passi indietro. Che fossero meno invasive e
meno di numero. Credo però, e vorrei sottolinearlo, che la
soluzione dei nostri mali non sia tecnica ma che faccia capo
all’ethos, ai valori”.
Lei dice che la libertà in assenza di certi valori - sicurezza, tolleranza, solidarietà, giustizia, pluralismo - inaridisce. Quale mette al primo posto?
“La giustizia sociale, l’eguaglianza. Che giuridicamente si
traduce nella formulazione di un “diritto diseguale”, concepito
per ridurre il divario esistente tra Nord e Sud del mondo, tra
poveri e ricchi, tra donne e uomini, eccetera”.
Nel clima di perdita dei diritti che ha delineato, cosa ritiene più grave?
“Il fatto che nessuno sembra notare che siamo ridotti quasi
peggio che sotto la dittatura fascista. Che nessuno si accorga che l’uomo totalitario che si è delineato anticipa e precede un totalitarismo che a parole nessuno vuole ma di fatto
già profilato”.
Chi ama il noir non può fare a
meno di cercare e leggere
questo convulso libro del reporter e scrittore Barry
Chamish: avrà pane per i
suoi denti. Troverà, in definitiva, un altro caso JFK. Ecco la
tesi: il primo ministro israeliano Yitzhàk Rabìn non fu ucciso il 4 novembre 1995 dall’uomo che oggi è in carcere
per quell’omicidio, tale Yigàl
Amir. Rabìn fu vittima, al contrario, di un complotto ordito
dai servizi di sicurezza israeliani (Shabàk).
Questa, in breve, la vicenda.
Ad Amìr sarebbe stata fornita
una pistola a salve con la
quale avrebbe dovuto sparare a Rabìn; poi, sarebbe stato
arrestato perché colto in flagranza di reato e il governo
del primo ministro, a quel
punto, avrebbe avuto via libera per ordinare la repressione
contro gli oppositori del processo di pace. Ma c’era un’operazione incrociata. Rabìn,
secondo le testimonianze
portate dal nostro autore, sarebbe stato caricato - dopo la
sparatoria e ancora vivo e vegeto - sulla sua limousine,
dove il vero assassino stava
in agguato.
A testimonianza di tutto ciò,
Chamish sostiene di avere
un filmato amatoriale in cui
Rabìn appare in piena forma
dopo gli spari; esami di laboratorio sulla salma del primo
ministro che contraddicono i
fettivo sistema democratico),
con tutte le implicazioni che
ne conseguono quali, la parità di accesso di tutti i soggetti politici al sistema di informazione e la necessità di regolare il contraddittorio tra i
candidati che esprimono programmi politici diversi. Difatti
è solo in tal modo che si realizza un adeguato bilanciamento fra il diritto dei cittadini
ad avere un’informazione imparziale e la libertà di espressione delle singole emittenti.
La Corte altresì non ha mancato di sottolineare la circostanza che in questo caso
non può dirsi violato il principio di uguaglianza per il fatto
che analoghi correttivi non
siano stati previsti con riferimento alla stampa periodica:
ad avviso dell’organo costituzionale, difatti, la maggiore
pervasività del mezzo televisivo preclude qualsivoglia
comparazione con gli altri
strumenti di diffusione del
pensiero.
Proprio con riferimento alla
maggiore pervasività del
mezzo televisivo, il giudice
delle leggi, si è posto il problema di scongiurare la formazione di oligopoli privati
nazionali, all’interno dei quali
possa moltiplicarsi l’effetto
“diffusivo e pervasivo” peculiare del messaggio Tv. Per
tale ragione la Corte (chiamata a pronunciarsi dal Tar
Lazio circa la legittimità costituzionale della L. 249/1997
che, nell’introdurre nuovi e
più cogenti limiti alla concentrazione di reti televisive analogiche in ambito nazionale,
ha nel contempo consentito
la prosecuzione “in via transitoria” delle trasmissioni da
parte delle emittenti nazionali
già operanti in deroga ai predetti limiti), con sentenza n.
466/200, ha osservato come
la carenza di un termine assolutamente certo, definitivo
e non eludibile, entro cui far
cessare questo stato di cose,
espone la norma al vizio di inconstituzionalità, giacché in
tal modo si comprime indefinitivamente il principio del
pluralismo informativo, già in
passato stimato lesivo dell’art. 21 Cost. (sentenza n.
420/1994). In particolare, nella sentenza n. 466/2000, la
Corte ha duramente rimarcato, come «la formazione dell’esistente sistema televisivo
italiano privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica trae origine da situazioni di
mera occupazione di fatto
delle frequenze (esercizio di
impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al
di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e
di pianificazione effettiva dell’etere. Detta occupazione di
fatto è stata, peraltro, in varie
Valerio Onida (a cura di)
Viva vox Constitutionis
di Sabrina Peron
Barry Chamish
Chi ha ucciso
Yitzhàk Rabìn
293/2000), sul presupposto
che il “comune sentimento
della morale”, deve intendersi
come una sorta di minimo
comun denominatore delle
diverse concezioni etiche
presenti nella società e coincidente con il rispetto della
persona umana e della sua
dignità. In tal modo esso assume la funzione di limite alla
libertà di manifestazione del
pensiero e ragione giustificatrice della sua repressione.
Tra le sentenze emesse in
materia televisiva si segnala,
invece, la pronuncia che ha
sancito il principio il forza del
quale il fine cui deve essere
preordinato il sistema radiotelevisivo (sia esso pubblico o
privato), è il soddisfacimento
del diritto dei cittadini ad una
informazione completa ed
obiettiva. Ora quando si è in
ambito elettorale, tale fine
non si realizza attraverso la
mera garanzia della pari visibilità dei partiti, ma, bensì, attraverso il rispetto di un corretto svolgimento del confronto politico (unico presupposto per l’esistenza di un ef-
risultati della commissione
d’inchiesta; rapporti balistici
che lasciano parecchi dubbi
sulle versioni ufficiali; e poi,
racconti di testimoni oculari e
tanto altro materiale. Non
sveliamo il finale, lo lasciamo
ai cultori della «controinformazione». Che in queste pagine - confuse, graficamente
pasticciate, a volte più incomprensibili del racconto stesso
- troveranno materiale per le
loro interminabili discussioni
al bar.
Barry Chamish,
Chi ha ucciso
Yitzhàk Rabìn,
Editrice Nuovi Autori,
pagine 391, euro 18,00
occasioni per lunghi periodi
temporali, legittimata ex post
e sanata con il consentire la
prosecuzione delle attività
delle singole emittenti radiotelevisive private». In ogni caso, la Consulta - a parziale
accoglimento del ricorso - ha
ritenuto che il legislatore possa legittimamente affidare ad
un’autorità amministrativa indipendente (ossia l’Autorità
Garante per la concorrenza)
la concreta determinazione
del termine esatto di cessazione del periodo transitorio,
ritenendo, però, necessario
che le valutazioni dell’Autorità
siano ancorate a parametri
predeterminati per legge e
che tali parametri siano idonei ad impedire che la temporaneità si protragga indefinitamente, senza che esista un
termine certo. Tuttavia, la necessità di governare ordinatamente il passaggio dalla
comunicazione analogica al
satellite, ad avviso della
Corte rende ammissibile il ricorso ad una fase transitoria,
durante la quale tollerare l’eccedenza dei limiti concentrativi.
A cura di Valerio Onida,
Viva vox Constitutionis.
Temi e tendenze
nella giurisprudenza
costituzionale
dell’anno 2002,
Giuffrè 2003,
pagine 890, euro 70,00
ORDINE
9/10
2004
LIBRI IN REDAZIONE
Autori vari, Confraternite tra storia e futuro,
Edizioni Insieme, pagine 77, euro 5,00
Barbara Maio e Christian Uva, L’estetica dell’ibrido, Editore Bulzoni, pagine 153, euro 11,00
Massimiliano Parcaroli, La telenovela brasiliana, Editore Bulzoni, pagine 115, euro 10,00
Elisa Giomi, Il piacere di “Vivere”, Editore Bulzoni, pagine 199, euro 12,00
Cecilia Martino, Comunità medianiche, Editore Bulzoni, pagine 150, euro 10,00
Joseph L. Badaracco Jr., Momenti della verità, Il Sole 24 Ore, pagine 156, euro 9,00
Paolo Garonna e Gian Maria Gros-Pietro, Il modello italiano di competitività, Il Sole 24 Ore,
pagine 304, euro 35,00
Fabrizio Carotti, Giuseppe Schlitzer e Gustavo Vicentini, La governance dell’impresa tra
regole ed etica, Il Sole 24 Ore, pagine 256, euro 32,00
Marco Mariani, Decidere e negoziare, Il Sole 24 Ore, pagine 224, euro 22,00
Alberto Galgano, I sette strumenti della qualità totale, Il Sole 24 Ore,
pagine 302, euro 17,00
Ferdinando Azzariti, Diventa Leader, Il Sole 24 Ore, pagine 159, euro 18,00
Giulio de Caprariis e Luigi Guiso, Finanza legge e crescita delle imprese, Il Sole 24 Ore,
pagine 217, euro 29,00
Valerio Melandri e Alberto Masacci, Fund Raising per le organizzazioni non profit, Il Sole 24
Ore, pagine 305, euro 25,00
Barry Nalebuff e Ian Ayres, Perché no? Il Sole 24 Ore, pagine 241, euro 19,00
C.K.Prahalad e Venkat Ramaswamy, Il futuro della competizione, Il Sole 24 Ore, pagine
280, euro 24,00
Federico Merla, I fondi immobiliari, Il Sole 24 Ore, pagine 345, euro 29,00
Riccardo Colangelo, Supply Chain Management, Il Sole 24 Ore, pagine 251, euro 25,31
Giorgio Laganà, Frodi societarie e corporate governance, Il Sole 24 Ore, pagine 402, euro
45,00
Claudio F.Fava, Project Financing, Il Sole 24 Ore, pagine 246, euro 28,00
Mark J.Roe, La public company e i suoi nemici, Il Sole 24 Ore, pagine 309, euro 25,00
Sergio Veneziani, Organizzare l’ufficio stampa, Il Sole 24 Ore, pagine 217, euro 16,00
Roger Botole, Soldi dal nulla, Il Sole 24 Ore, pagine 344, euro 24,00
Donatella Depperu, Crescere all’estero, Il Sole 24 Ore, pagine 206, euro 48,00
Imerio Facchinetti, Guida al nuovo bilancio d’esercizio, Il Sole 24 Ore,
pagine 684, euro 55,00
Piero Meucci e Luca Paolazzi, Economia & Giornalismo, Il Sole 24 Ore,
pagine 232, euro 15,00
Mauro Pecchenino e Bartolomeo Corsini, Gestire le relazioni pubbliche per l’impresa,
Il Sole 24 Ore, pagine 141, euro 16,00
Autori vari, Gestione per processi e knowledge management, Il Sole 24 Ore,
pagine 328, euro 34,00
Autori vari, Project Management, Il Sole 24 Ore, pagine 230, euro 20,00
Autori vari, Organizzare le pmi per la crescita, Il Sole 24 Ore, pagine 382, euro 30,47
Autori vari, 150 domande e 150 risposte, «guida pratica per gestire un’attività sportiva»,
Il Sole 24 Ore, pagine 186, euro 19,00
Giorgio Bocca
Partigiani
della montagna
di Vincenzo Ceppellini
Cinquantotto anni dopo la fine della guerra Giorgio
Bocca ha riletto, riscritto e ripubblicato il saggio sui partigiani delle montagne col proposito di spiegare inequivocabilmente, a chi andava
spiegato, e in particolare ai
revisionisti dell’ultima era, come sono andate esattamente
le cose della Resistenza.
Quarantacinquemila partigiani caduti, ventimila feriti e mutilati, gli operai e i contadini
per la prima volta partecipi di
una guerra popolare senza
cartolina precetto, una formazione partigiana in ogni valle
alpina o appenninica, un comitato di liberazione in ogni
città o villaggio, l’appoggio
della popolazione, la cruenta,
sofferta gestazione di un
Italia diversa, la fatica paziente per armare e far vivere un
esercito senza generali. E alla fine tutti a casa senza ricompense e privilegi.
Questo il senso del saggio, la
sua attualità dopo oltre mezzo secolo, il discorso ai contemporanei, senza allontanare il passato, ma anche senza svuotare il presente. Il libro
– che giustamente andrebbe
divulgato di più, rivissuto più
attentamente, approfondito in
varie direzioni – si apre con
una dichiarazione fermamente ancorata al Duemila. “A ripensarci sessanta anni dopo
ci chiediamo come sia possibile quella guerra di liberazione, non tanto l’insurrezione
del 25 aprile, la discesa nella
pianura e nella città, ma la liberazione di ciascuno di noi
dal provincialismo, dal fascismo, dal perbenismo piccolo
borghese”. E Bocca rende
ancora più esplicito il suo
pensiero: “La prima e più importante cosa che i libri di
storia non spiegano, che i documenti non raccontano della
guerra partigiana è questo
stato d’animo di libertà totale
ritrovata proprio negli anni in
cui un giovane normale conosce il suo destino obbligato:
quale posto, quale lavoro,
quale ceto, quale donna sono
stati preparati e spesso imposti per lui; quale sarà la sua
prevedibile vita, quali vizi dovrà praticare per cavarsela,
dove troverà il denaro per
campare.
E invece d’improvviso, un
giorno del 1943 si ritrova totalmente libero, senza re,
senza duce, libero e ribelle,
con tutta la grande montagna
come rifugio. Libero anche
dal denaro e dalla famiglia…
È dunque un libro quanto mai
stimolante, di cronaca, ma
anche di pensiero, di atmosfere, ma anche di documentazione, di liberazione e di sacrifici, di morte, di protagonisti
e umili vittime.
La Resistenza si combatte in
montagna e Bocca compila
una base fitta e organizzata
di militanti di luoghi, distingue
guerriglia e guerra grossa,
spiega che cosa è stata la zona grigia, i personaggi indimenticati incontrati con i soldati di Salò, il frate che non ricordava il suo nome, l’assassinio di Matteotti, l’uccisione
del filosofo Gentile, la risiera
di San Sabba, sino alla Resistenza cancellata o archiviata dei nostri giorni, con il ritorno di ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri… Una cospicua parte del
saggio di Bocca è una rievocazione precisa di fatti, persone, interpretazioni, con un
paesaggio di fondo in montagna, sulla neve, di Natale, i bilanci dei periodi più significativi, la formazione organica
delle bande, i settori dislocati
su varie zone, in Piemonte e
altrove, i rastrellamenti, gli accordi con la Resistenza francese, le Repubbliche coraggiose e provvisorie, la stampa clandestina, la preghiera
del partigiano. In sintesi,
Bocca, dichiara che il libro
non vuol essere una semplice cronaca di fatti, ma soprattutto un ricordo dei motivi
ideali e delle trasformazioni
spirituali avvenute nell’anima
delle formazioni GL del
Cuneese. Un libro di straordinario vigore e di alta tensione.
Giorgio Bocca,
Partigiani della montagna,
Feltrinelli,
pagine 179, euro 12,00
Mariane Pearl. Un cuore grande.
La vita e la morte coraggiose di mio marito Daniel Pearl
di Margherita Lepini
Il 23 gennaio del 2002 il giornalista del Wall Street
Journal Daniel Pearl sale su
un’auto che dovrebbe portarlo a incontrare Mubarak Ali
Shah Gilani, capo di un gruppo islamico iscritto nella lista
dell’Fbi delle organizzazioni
terroristiche.
Pearl sta indagando sull’ispiratore di Richard Reid, l’uomo che voleva farsi saltare
sul volo di linea Parigi-Miami
con le scarpe imbottite di
esplosivo. L’autista, d’accordo
con una frangia di Al Qaeda,
lo condurrà invece in una casa colonica nei sobborghi di
Karachi, capitale del Pakistan. Il suo rapimento durerà
otto giorni, alla fine dei quali,
il 31 gennaio, verrà ucciso e
la sua barbara decapitazione
ripresa da una telecamera.
La morte di Pearl segna una
svolta nella campagna intimidatoria studiata dai terroristi
islamici per utilizzare i rappresentanti dei media come cassa di risonanza per le loro riORDINE
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vendicazioni. Dal 22 febbraio,
giorno in cui il video dell’esecuzione del giornalista viene
recapitato al consolato americano di Karachi, l’opinione
pubblica mondiale comincia
a fare i conti con le atrocità
dei fondamentalisti, filmate
con un macabro rituale in
molti dei rapimenti a seguire.
L’ultimo dei quali ha coinvolto
e ucciso il reporter italiano
Enzo Baldoni. Il corpo fatto in
pezzi di Daniel Pearl viene ritrovato il 17 maggio, sepolto
mezzo metro sotto terra.
L’esecutore materiale – si saprà più tardi – si chiama
Khalid Sheik Mohammed è lo
stesso che ideò l’attentato alle Torri Gemelle.
Le cinque settimane in cui si
concentrano le ricerche dell’inviato americano sono raccontate in prima persona da
sua moglie, Mariane Pearl,
nel libro Un cuore grande,
uscito in Italia lo scorso marzo e tradotto in diciotto lingue,
tra cui il giapponese.
Con un tono asciutto nelle
pagine, che ispireranno poi
anche un film prodotto da
Brad Pitt e Jennifer Aniston,
Mariane Pearl racconta i tentativi di portare in salvo il marito e ricordi di vita, a partire
dal primo incontro tra Danny,
38enne, e Mariane, di quattro
anni più giovane, a Parigi, dove lei viveva con la madre cubana e lavorava come giornalista free lance per la radio
e la televisione francese. Da lì
la decisione di seguire Daniel, nella vita e nel lavoro in
India, Qatar, Bangladesh,
Canada e Pakistan. La sera
del rapimento Mariane lo
aspetta per cena a casa di
un’amica. Invano. Solo due
giorni saprà di essere incinta.
“Si chiamerà Adam, come
fosse il primo uomo, capace
di portare la pace in un mondo sempre più carico di violenza”.
Il libro ha il pregio di raccontare, in una sorta di diario privato, i retroscena di una vicenda
di cronaca internazionale,
che ha tenuto con il fiato sospeso milioni di persone in
tutto il mondo. Racconta la difficoltà di capire chi sono i veri
interlocutori nel rapimento, in
una città con 12 milioni di abitanti, Karachi, che parla urdu
e che è diventata in pochi anni uno snodo del traffico di armi per la jihad. In tal modo offre uno spunto di riflessione
per comprendere più da vicino l’organizzazione di Al
Qaeda, le sue numerose cellule e il reticolo di complicità di
cui gode il terrorismo in molti
stati musulmani. Il libro è anche il racconto di come
Mariane sia riuscita, con una
lucidità fuori dal comune, a
coordinare una serie di al-
leanze tra gli agenti dei servizi
segreti pakistani (Isi) e i funzionari dell’Fbi che si sono occupati del caso superando le
diffidenze etniche e religiose.
È musulmano - il Capitano,
capo della polizia pakistana-,
la persona che più le è stata
vicina nei momenti dell’attesa. Un cuore grande è il racconto di una vicenda corale,
condivisa con l’amica Asra
che le da ospitalità a Karachi,
i vertici del Wall Street
Journal, le autorità pakistane,
il governo americano, e una
serie di dipartimenti di sicurezza sintetizzati in mille acronimi misteriosi. Alla fine della
sua biografia-inchiesta Mariane, che oggi vive a New
York, ha incluso alcuni dei
messaggi che le sono pervenuti dal momento della tragedia: gli auguri di George W e
Laura Bush per la nascita di
Adam, i saluti del presidente
del Pakistan, Musharraf, e
quelli del francese Chirac, ma
anche persone meno note,
come per esempio alcuni orchestrali di Tel Aviv che hanno
dedicato a Daniel (che d’origi-
ne era ebreo) il concerto del
giorno dopo la notizia della
sua uccisione, persone che
sono rimaste colpite dalla serenità con cui Mariane in tv si
era rivolta ai sequestratori, rifiutandosi di alimentare l’odio
nei confronti del mondo islamico. Nel libro trovano il giusto spazio gli ideali di pace
che Mariane condivideva con
il marito che, sebbene non
abbiano impedito a Daniel di
perdere la vita, hanno permesso di lanciare una sfida ai
terroristi, “nella consapevolezza– scrive l’autrice – che il tuo
coraggio e il tuo spirito possano essere d’ispirazione agli
altri”. E inoltre, sempre rivolgendosi a Daniel:“Scrivo questo libro per dimostrare che
avevi ragione: il compito di
cambiare un mondo pieno di
odio spetta a ciascuno di noi”.
Mariane Pearl,
Un cuore grande.
La vita e la morte
coraggiose di mio marito
Daniel Pearl,
Sonzogno editore,
Milano 2004,
pagine 319, euro 17,00
25 (33)
DATI FIEG-FNSI-INPGI - GIUGNO 2004
Appello ai colleghi distratti
14.500 professionisti,
1.500 disoccupati
Roma, 30 giugno 2004. A
giugno 2004, sono 14.500 i
giornalisti professionisti a
contratto pieno regolarmente iscritti all’Inpgi (13
mila in base agli articoli
1,2,12 e 36 del contratto
nazionale e gli altri impiegati presso periodici), più
400 contratti a termine.
Sono invece 1.500 i disoccupati solo nella carta
stampata e alla Rai e circa
60.000 i pubblicisti (di questi, circa 8.500 hanno vari
contratti di collaborazione e
versano i contributi all’Inpgi
2, mentre in 48.000 non
hanno posizione contributiva).
Sono alcuni dei dati FiegFnsi-Inpgi resi noti nel
corso del convegno su
comunicazione e giornalismo, in corso a Roma,
nella sede del Cnel. Quanto ai collaboratori e informatori senza titolo profes-
sionale, sono tra i 30 e i 40
mila e non godono di nessun tipo di contratto o tutela previdenziale e sindacale.
I precari Rai, che nel 1999
erano 270, attualmente,
secondo i dati del coordinamento precari e dell’Usigrai, ammontano a circa
500 (100 dei quali hanno
un’anzianità compresa tra i
6 e gli 8 anni); a questi
vanno aggiunti 600 programmisti registi, di cui solo
20 sono giornalisti professionisti e la metà pubblicisti
(con punte di anzianità
lavorativa di 15-16 anni).
Sempre in base ai dati
diffusi al Cnel, i praticanti
Fieg iscritti all’Inpgi erano
circa 400 alla fine del 2003.
I nuovi professionisti sono
invece tra i 700 e gli 800
l’anno: secondo recenti rilevazioni della Fieg, il 60%
non svolge attività giornali-
stica o di comunicazione e
solo il 3-4%, dopo un lungo
precariato, trova piena e
duratura occupazione in
aziende editoriali.
Sul fronte dei comunicatori,
secondo una recente indagine Istat, il 91,3% dei giovani che frequentano corsi
di laurea in scienze della
comunicazione
dichiara
che, dopo la laurea, non
intende svolgere la professione giornalistica.
Ma secondo stime Enn (Dimensione lavoro e comunicazione) e Cnel, il mercato
italiano è in grado di assorbire entro i prossimi dieci
anni non meno di 50-60
mila comunicatori professionisti in particolare nei
settori dei beni culturali,
delle infrastrutture e telecomunicazioni, dell’ambiente
e attività agricole, del commercio estero e del made
in Italy.
Sempre in base ai dati
statistici resi noti oggi al
Cnel, il 20% dei giornali
(meno di una trentina di
testate) vende il 95% del
totale delle copie acquistate (circa sei milioni).
Le nuove iniziative editoriali, compreso l’online, sono
svariate decine l’anno, ma
il tasso di mortalità delle
nuove pubblicazioni è oltre
il 70%.
E soprattutto, l’80% delle
testate giornalistiche (135
quotidiani e 70 agenzie di
informazione) non crea
nuova occupazione già da
diversi anni. In controtendenza, i grandi gruppi editoriali e l’informazione online che dal 2001 registrano
un incremento dell’occupazione del 2% circa l’anno
(dati Censis).
Quota 2005: è possibile
da subito aderire
al Rid e non pensarci più
anche negli anni successivi
Visto il gradimento che gli iscritti all’Ordine dei giornalisti
della Lombardia hanno dimostrato con la massiccia adesione al servizio di pagamento mediante addebito in via
continuativa sul conto corrente bancario (Rid), Esatri ha
riaperto (ovviamente a favore di chi non ha ancora
fatto ricorso al servizio) i canali di adesione per il
pagamento dell’avviso della quota annuale relativa
all’anno 2005 e agli anni successivi.
Per aderire al servizio Rid è sufficiente:
a) compilare il modello Rid ricevuto con l’avviso di pagamento del 2004 e trasmetterlo via fax ad Esatri al numero
0264166090
b) oppure compilare il modello Rid elettronico disponibile
su Internet al sito www.taxtel.it (selezionando nell’home
page del sito la voce ADESIONI RID)
c) oppure comunicare via telefono i dati richiesti nel modulo RID al n. 199 104 343 (dal lunedì al venerdì dalle ore
8.30 alle 17.00). Tale numero è disponibile per informazioni e variazioni relative al Rid.
Esatri provvederà ad ogni scadenza, a partire dalla quota
del 2005 e per gli anni successivi, salvo revoca, al pagamento in automatico con addebito dell’importo sul conto
corrente indicato. Con il Rid è possibile pagare gli avvisi di
pagamento, ma non le cartelle esattoriali.
Il termine ultimo di adesione al Rid verrà indicato sugli
avvisi di pagamento relativi alla quota annuale 2005 e
verrà pubblicato su Tabloid.
(ANSA)
Cancellati dall’Albo
200 colleghi
per morosità
Milano, 13 luglio 2004. Nella seduta di ieri il
Consiglio ha cancellato dagli elenchi
dell’Albo 200 giornalisti (70 professionisti)
per morosità. Si tratta di giornalisti, che per lo
più devono all’Ordine della Lombardia anche
cinque anni di quote. Il pagamento delle
somme fa cessare la materia del contendere
e spiana la strada all’annullamento immediato del provvedimento. L’Inpgi non può ricevere i contributi versati dalle aziende a
favore dei giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti non più iscritti negli
elenchi dell’Albo.
L’ECO
DELLA
STAMPA
ECO
STAMPA
MEDIA
MONITOR
S.R.L.
Via Compagnoni 28,
20129 Milano
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Fax. 02 76 11 03 46
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ORDINE
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RITRATTO DI UNO STRAORDINARIO “COMUNICATORE” DA 26 ANNI SULLA CATTEDRA DI PIETRO
16 ottobre 1978: Karol Wojtyla viene eletto Papa
La memoria esistenziale del Papa polacco è tratta in larga
misura dal volume di Bernard Lecomte, Giovanni Paolo II. La
biografia (ottima la traduzione di Clara Ghibellini ed Enzo Peru)
che è denso di analisi e documentazione. L’autore è parigino,
53 anni, prima redattore del quotidiano La Croix, in seguito di
testate laiche. Viene considerato tra i più preparati sui problemi
dell’Europa orientale tra i giornalisti d’oltre Alpe; in particolare
conosce benissimo la società polacca. Questo lavoro su Wojtyla gli è costato quattro anni di lavoro tra Cracovia e Roma per
mettere in luce l’immagine completa di un pontefice che spazia
da oltre un quarto di secolo tra giudizi contraddittori, da taluni
ritenuto un restauratore e da altri un innovatore.
Libro affascinante che propone questa storica figura in ogni
sua sfaccettatura: poeta, viaggiatore, professore, ma soprattutto sacerdote e pastore di anime. In un certo senso lo scrittore
francese ripercorre la stessa strada proposta in termini più
concisi dai nostri Luigi Accattoli (L’uomo di fine millennio, San
Paolo, 1998) e Domenico Del Rio (Karol il Grande, edizione
speciale di “Famiglia cristiana”, 2003) oltre ai ricordi dello stesso protagonista attraverso i best-sellers Varcare la soglia della
speranza (intervista di Vittorio Messori, Mondadori, 1994) e il
recentissimo Alzatevi, andiamo! (Mondadori, 2004).
Papa
Wojtyla
protagonista del nostro tempo
(secondo Bernard Lecomte)
di Giacomo de Antonellis
Ricordate quella puntata di “Porta a porta” del
13 ottobre 1998 dedicata a Karol Wojtyla in
occasione del suo ventesimo anno di pontificato? Ci fu un evento straordinario. Bruno
Vespa, che stava alternando le testimonianze
registrate alle opinioni degli invitati in studio,
venne interrotto dalla regia per una telefonata
in diretta: “Sono don Stanislao, segretario del
papa. Buonasera, il Santo Padre vi vuole salutare…” Imbarazzo del conduttore, incredulità
dei presenti, stupore persino sul volto di
Joaquin Navarro-Valls, portavoce del Vaticano. La voce, inconfondibile, non lasciava
spazio a scherzi o equivoci: “Signor Vespa, voglio ringraziare lei e tutti i partecipanti per quello che avete preparato e detto su questi
vent’anni di pontificato”. Un clamoroso scoop.
Il Papa polacco è fatto così, quando sente di
agire non bada alle forme, parla ed esprime il
proprio pensiero. È noto. Nessun tipo di suo
comportamento ormai desta meraviglia. Così,
alla vigilia della cadenza numero ventisei, rileviamo nell’Uomo venuto dall’Est un perfetto e
tempestivo “comunicatore”.
Il rapporto tra Giovanni Paolo II e la stampa, e
quindi con la pubblica opinione, è davvero perfetto. Si rivelò tale sin dal primo giorno del suo
pontificato in quel lontano 16 ottobre 1978.
Ricordate l’esordio sulla piazza San Pietro
quando offrì ai media il modo migliore per una
prima definizione? “I venerabili cardinali hanno
chiamato un nuovo vescovo di Roma…
L’hanno chiamato da un paese lontano…
Avevo paura di accettare la nomina… Mi capite bene? Non so se riuscirò a esprimermi nella vostra lingua… nella nostra lingua. Se sbaglio mi corrigerete!” Delizioso il finale che la
gente interpreta come errore senza capire che
è un latinismo, comprensibile in un sacerdote
che conosce grammatica e sintassi dell’antico
idioma assai meglio della moderna parlata.
Pochi giorni più tardi, durante la messa solenne di intronizzazione, il Papa polacco rivela in
pieno la formula che da carattere alla sua missione. Rivolgendosi ai fedeli di tutto il mondo,
più che un invito, pronuncia un proclama: “Non
abbiate paura di accogliere il Cristo. Spalancate le porte al Cristo! Non abbiate paura!”
Da allora in poi ogni suo messaggio appare
permeato di forza missionaria.
Un profondo conoscitore
dei mezzi di comunicazione
Non avere paura. Dando l’esempio in prima
persona, Wojtyla dimostra di non avere paura
dei giornalisti, anzi di comprenderne lo spirito e
di sostenerne il lavoro. Il contatto iniziale con la
stampa è perfetto. Uomo che conosce la realtà
dell’Est comunista, parla in italiano della libertà
di scrivere: “Consideratevi fortunati di poterne
disporre”. Poi, con un colpo da profondo conoscitore dei mezzi d’informazione, conclude con
una battuta in inglese ben sapendo che sarà
l’unica a fare il giro del mondo in televisione.
Quindi si distacca dal microfono e passeggia
tra i corrispondenti accreditati rispondendo per
un’ora ad ogni domanda, seducendo tutti per
la capacità di passare dal polacco al tedesco,
dal francese allo spagnolo, dall’inglese all’italiano. È il modello che si ripete in ogni viaggio all’estero, sull’aereo. Ne ho diverse personali
esperienze. La prima a conclusione di un lungo
giro in America centrale nel marzo 1983 tra
ORDINE
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Costa Rica, Nicaragua, Panama, El Salvador,
Guatemala, Honduras, Belize e Haiti. Nella
tratta di ritorno mi avvicinai con il microfono
aperto per chiedergli un’impressione sull’incontro con tante popolazioni afflitte da miseria
e dittature. Prima di rispondere levò su di me
uno sguardo di simpatia chiedendomi per chi
lavorassi. “Rai, per la precisione Giornaleradiotre”. “Ah, peccato, non riesco a sentirla
tra tante cose…” Riuscii appena a formulare la
domanda che mi ero preparato. In seguito – in
altri viaggi in Africa, Europa settentrionale, Asia
– il contatto poteva ripetersi ma con maggiore
disinvoltura.
“Anche l’Eurovisione
ha le sue esigenze”
Questo Papa si rende conto che anche la
stampa ha le sue esigenze. In Francia l’ho visto bloccarsi e dire: “Anche l’Eurovisione ha le
sue esigenze”. Un’altra volta, in San Pietro ha
riconosciuto: “Dovevo parlare per venticinque
minuti ed ho superato il limite”. Ancora, nel
1989 ricevendo in Vaticano il sindacalista polacco Lech Walesa lo invitava a ripetere la scena del suo inginocchiarsi e dell’abbraccio perché i fotografi non erano ancora presenti. Da
giovane egli ha fatto il giornalista, sia pure da
dilettante, e quindi conosce le strutture redazionali, le pressioni dei tempi, l’importanza
dell’impaginazione, le esigenze della televisione. E non perde occasione affinché la Chiesa,
attraverso la sua stessa immagine, sia sempre
visibile. Una volta a Malta (maggio 2001) egli
si trovò a passare davanti alla tribuna della
stampa per un errore del protocollo: accortosene, sorridendo, con la mano rivolse un cenno da vecchio amico. Osserva il biografo
Bernard Lecomte: “I due esempi più sensazionali dell’utilizzazione dei media sono forse la
visita al carcere di Rebibbia, dove Giovanni
Paolo II si intrattiene a lungo con l’uomo che
ha tentato di ucciderlo nel dicembre 1983, e
quella al muro del Pianto, in occasione del pellegrinaggio in Terra Santa nel marzo del 2000.
Quale immagine poteva esprimere meglio la
forza della riconciliazione di quella del papa
con l’uomo che aveva cercato di ucciderlo? E
quale condanna più definitiva di tutte le forme
di antisemitismo di quella in cui Giovanni
Paolo II infila, con mano tremante, la preghiera
in una crepa del muro sacro?”
Il Papa polacco tiene in gran conto la mondializzazione informatica. Il vangelo va proclamato attraverso ogni strumento moderno (non
soltanto dai pulpiti, ormai tanto poco usati)
perché occorre andare verso la gente senza
attendere che essa entri in chiesa. In un discorso del 16 febbraio 1996, il pontefice rilevava: “Al principio del secondo millennio la
Chiesa ha contribuito in modo decisivo alla diffusione del Vangelo e all’edificazione dei popoli grazie ai monasteri, che davano risonanza ai tesori della civiltà. In occasione del terzo
millennio, mentre è in corso una vera e propria
rivoluzione tecnologica e telematica, la comunità cristiana viene invitata a prendere coscienza delle nuove sfide e ad accettarle con
coraggio”. In volo verso l’America latina, nel
febbraio 1985, ad un giornalista che gli chiedeva se lo disturbassero le telecamere puntate sulla sua persona, rispondeva: “È scritto nel
Vangelo che la buona novella dev’essere predicata sui tetti. Che cosa vedremo noi dappertutto nelle città e nei villaggi che andremo a visitare se non le antenne della televisione sui
Giovanni Paolo II,
Baldini Castoldi
Dalai editore,
Milano 2004,
pp. 768, euro 24,60
tetti?” I media sono fatti per l’uomo, è la sua filosofia. E per ottenere raggiungere lo scopo il
Vaticano possiede un collaudato sistema
informativo per via telematica diffuso in tutto il
mondo su Internet (www.vatican.va, scritto in
inglese, spagnolo, francese) al quale si affianca il lavoro del Centro televisivo che dirama
notizie e servizi attraverso un satellite. Tre
computer con il nome degli arcangeli Raffaele,
Michele e Gabriele assicurano la presenza in
rete stimolando migliaia di iniziative in ogni angolo del mondo cattolico. In un messaggio del
23 gennaio 2002, il papa scriveva: “La Chiesa
si accosta a questo nuovo mezzo di comunicazione con realismo e con fiducia” non senza
rimarcare e deplorare i modi “degradanti e nocivi” con cui spesso viene utilizzato per finalità
speculative.
Come è cambiato il mondo
sotto il suo pontificato
In duemila anni di cristianesimo, soltanto tre
papi hanno superato la soglia del quarto di secoli: Pietro capo della Chiesa per presunti
trentaquattro anni, Pio IX per 32 dal 1846 al
1878, Leone XIII per 25 dal 1878 al 1903.
Giovanni Paolo II sta per superare il traguardo
dei 26 anni: nel corso del suo pontificato si sono succeduti cinque presidenti degli Stati Uniti
e sei capi dell’Urss-Russia mentre lo scenario
del mondo ha visto accadere eventi clamorosi
come il crollo del comunismo (pochi e antistorici i residui, Italia insegna), le trasformazioni
dell’Europa (allargamento politico, unità monetaria, dismissione dei valori morali), l’invasione islamica dell’Occidente, il dilagare del
terrorismo, la globalizzazione economica. Il
Papa polacco è stato testimone di questo e di
tanti altri segni dei tempi ma anche propugnatore di una ripresa etica e religiosa per l’intera
umanità. Quattordici encicliche, centinaia di
esortazioni e lettere, oltre quattromila discorsi
e omelie, su temi impegnativi di ogni genere:
dalla liturgia all’istituzione ecclesiastica, dalla
proclamazione di beati e santi alla difesa della
famiglia su ogni piano, dalla tutela dei diritti
umani alla denuncia della violenza e alla richiesta di perdono. Interventi e tematiche che
hanno scatenato grida di scandalo o di approvazione secondo i punti di vista, che hanno indotto taluni a definirlo conservatore e reazionario mentre per altri appare progressista e
profeta, che l’hanno talora esaltato e talvolta
depresso. Quando veniva eletto papa, Karol
Wojtyla aveva 58 anni che attualmente sono
divenuti 84. È sempre difficile dare giudizi ma,
raccogliendo la passione che anima ogni parola del pontefice e rifacendomi all’opinione
del settimanale Time di Nuova York che nel
1994 lo proclamava “uomo dell’anno”, occorre
ammettere che “le sue idee sono molto diverse da quelle della maggior parte dei mortali,
sono più grandi”. Giovanni Paolo II ha portato
per mano la Chiesa nel terzo millennio, puntando sui giovani e puntando sulla schiettezza
del linguaggio fino al limite della contraddizione. Perciò (lo sostiene convinto Lecomte) siamo di fronte ad un personaggio “eccezionale
soprattutto per quello che ha detto o fatto”. È
un uomo che possiede il fascino dell’origine
lontana e della gioventù vissuta come uno
qualsiasi tra i suoi simili, un uomo che si trova
a perfetto agio nel fare di conto alla storia, un
uomo che esprime idee grandiose ed originali
– ne deduceva il compianto Domenico Del Rio
– non può non essere un Grande.
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Settembre - Ottobre 2004