Anno XXXIV n. 9-10 Settembre-Ottobre 2004 Ordine Direzione e redazione Via Appiani, 2 - 20121 Milano Telefono: 02 63 61 171 Telefax: 02 65 54 307 dei giornalisti della Lombardia http://www.odg.mi.it e-mail:[email protected] Spedizione in a.p. (45%) Comma 20 (lettera b) dell’art. 2 della legge n. 662/96 Filiale di Milano Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo G 26 I/ PA G P SI-IN G-FN E I F DATI I ministri dell’Economia Giugno 2p0ro0f4e:ssionisti, .500 soccupati 4 1 e del Lavoro bocciano di 1.500 l’accordo Fnsi-Fieg-Inpgi SOMMARIO su condono, sistema sanzionatorio, cumulo pensione-redditi da lavoro e riscatto dei periodi di studi universitari Roma, 30 luglio 2004. I ministri dell’Economia e del Lavoro hanno bocciato l’accordo (5 maggio 2004) Fnsi-Fieg-Inpgi su condono, sistema sanzionatorio, cumulo pensioneredditi da lavoro e riscatto dei periodi di studi universitari. Ne ha dato notizia il presidente dell’Inpgi, Gabriele Cescutti, con questa lettera: “Cari colleghi, mi spiace dovervi comunicare che i ministeri del Lavoro e dell’Economia ci hanno notificato la decisione di non dar corso all’approvazione di quattro delibere approvate dal Cda il 19 maggio scorso (condono, sistema sanzionatorio, cumulo pensione-redditi da lavoro e riscatto dei periodi di studi universitari), che facevano parte del gruppo di sei provvedimenti approvati dal Cda lo scorso 19 maggio. Come ben ricorderete, invece, gli stessi ministeri il 13 luglio avevano espresso parere favorevole in merito alle due delibere relative allo sconto contributivo per il riassorbimento dei giornalisti disoccupati e all’una tantum in favore dei titolari di trattamenti pensionistici anteriori al 1° gennaio 1999. La mancata approvazione per la prima delibera è riferita soprattutto all’esigenza di conoscere i motivi che sorreggono la proposta di applicazione del condono a “rapporti giuridici già definiti”. Per la seconda e terza delibera (sistema sanzionatorio e cumulo) sono richiesti precisi dettagli in merito agli equilibri gestionali nel medio e lungo periodo, mentre per il quarto provvedimento (riscatto di periodi universitari) vengono sollecitati aggiustamenti che potranno essere inseriti senza alcun problema. Abbiamo già preso contatto con la Fnsi e con la Fieg (firmatarie dell’accordo sindacale successivamente fatto proprio dal Cda dell’Inpgi) per valutare assieme le preoccupazioni espresse dai ministeri vigilanti, al fine di poter individuare, alla ripresa dell’attività in settembre, la miglior soluzione che consenta di rendere operative le quattro delibere. Cordialmente. Gabriele Cescutti”. L’accordo (tra Fnsi, Fieg e Inpgi) sul cumulo in particolare prevede: a) che a decorrere dal 1° gennaio 2001 le pensioni di vecchiaia e le pensioni liquidate con anzianità contributiva pari o superiore a 40 anni sono interamente cumulabili con i redditi di lavoro autonomo e dipendente; b) che in tutti gli altri casi il limite di cumulabilità viene elevato da euro 7.747 (lire 15 milioni) ad euro 13.000 (lire 25.171.510). ALTRI SERVIZI SULL’INPGI ALLE PAGINE 2, 3 e 4 Mobbing Intervista allo psichiatra Michele Piccione pag. 5 Normativa Giornalisti e residenza anagrafica pag. 6 Editoria Più cultura, più futuro pag. 8 Martiri del giornalismo Enzo Baldoni: “Io viaggio per la pace” pag. 10 Garante Al duopolio tv l’86,5% comunicazioni della pubblicità pag. 12 Freelance Un successo il corso Ifg pag. 15 I nostri lutti Tiziano Terzani. “Il giornalismo, la mia vita” Elio Sparano, simbolo Rai a Milano pag. 16 pag. 17 Memoria Gigi Ghirotti, il cronista Leo Longanesi, un “Borghese” grande grande pag. 20 Giornalismo e cinema Luigi Comencini giornalista “politico” pag. 22 La libreria di Tabloid I dossier di Tabloid pag. 18 pag. 24 Inserto speciale sulla diffamazione a mezzo stampa appello penale Una nuova onorificenza per i giornalisti morti sui fronti di guerra L’ente gestisce l’Istituto per la Formazione al Giornalismo Primo sì del Senato all’“Ordine al merito del giornalismo italiano” Giuseppe A. Barranco di Valdivieso presidente dell’Afg “Walter Tobagi” Il capo dell’Ordine sarà il Presidente della Repubblica Eletti vicepresidenti Andrea Biglia, David Messina e Damiano Nigro Roma, 26 agosto 2004. Una nuova onorificenza per i giornalisti morti sui fronti di guerra. È quanto prevede un disegno di legge approvato dala Commissione Affari costituzionali del Senato, in sede deliberante, in prima lettura, il 30 giugno. Quest’approvazione equivale a una deliberazione del Senato. Il provvedimento mira ad istituire “l’Ordine al merito del giornalismo italiano”, al fine di introdurre un riconoscimento da parte dello Stato in favore di tutti coloro che si sono distinti – fino al sacrificio della stessa vita – nello svolgimento di un servizio di pubblica utilità ed interesse generale. Il ddl passa ora all’esame della Camera. (da www.cittadinolex.it) Milano, 20 luglio 2004. Il Consiglio di presidenza dell’Associazione “Walter Tobagi” per la Formazione al Giornalismo ha eletto ieri sera il suo presidente per il triennio 2004/2007: è l’economista d’impresa e commercialista Giuseppe Antonio Barranco di Valdivieso. I vicepresidenti sono tre: i giornalisti professionisti Andrea Biglia e David Messina, il giornalista pubblicista Damiano Nigro (vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia). Svolgeranno le funzioni di segretario e tesoriere Guido Re e Angelo Morandi. Presidente del Collegio dei revisori dei conti è il giornalista professionista Luciano Micconi. L’Afg “Walter Tobagi” è l’ente senza scopo di lucro convenzionato con la Regione Lombardia, che gestisce l’Istituto “Carlo De Martino” (meglio noto come “Scuola di giornalismo di Milano”) di cui sono direttore e vicedirettore i giornalisti professionisti Gigi Speroni e Alfredo Pallavisini. Con l’elezione di Barranco di Valdivieso, su proposta dal presidente del Consiglio dell’Ordine della Lombardia, si è impressa una svolta nella vita dell’Ifg, che ha bisogno di nuovi ORDINE 9/10 2004 Ddl Senato 982 - Istituzione dell’«Ordine al merito del giornalismo italiano» Articolo 1 1. È istituito l’“Ordine al merito del giornalismo italiano” destinato a dare una particolare attestazione agli inviati speciali della stampa a diffusione nazionale morti, o che abbiano subito comprovati e gravi danni fisici o psicologici, che si siano comunque distinti per particolari meriti, nell’adempimento del proprio dovere in zone di guerra o in occasione di eventi calamitosi di grande rilevanza, su proposta del Presidente del consiglio dei ministri. Articolo 2 1. Il capo dell’Ordine è il Presidente della Repubblica Articolo 3 1. Gli insigniti, o i loro con- giunti, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del decreto di conferimento dell’onorificenza da parte del Presidente della Repubblica, hanno il diritto di fregiarsene in occasione di festività nazionali e di altri importanti eventi. Articolo 4 1. Le onorificenze, di cui alla presente legge, non producono effetti economici su pensioni, assegni o indennità di qualsiasi natura che sono o saranno percepite dagli aventi diritto. Articolo 5 1. In attuazione della presente legge, il Presidente del consiglio dei ministri - di concerto con i ministri competenti - emana con proprio decreto le norme occorrenti per la sua attuazione. mezzi economici per rafforzare la sua leadership tra le scuole riconosciute dall’Ordine nazionale. Va ridisegnata anche la strategia di alleanze nel campo universitario per preparare una figura di giornalista italiano, capace di lavorare in tutti i Paesi della Ue. L’Ifg, quindi, investe e scommette sull’Europa. Sarà rilanciata “l’Associazione degli ex-allievi dell’Ifg”, forte dei 650 giornalisti professionisti “creati” dal 1977 ad oggi. 1 20/21 luglio 2004 Non è possibile, sotto il profilo dell’articolo 3 della Costituzione, che le gestioni separate dell’Inps e dell’Inpgi abbiano regole contrastanti tali da creare disuguaglianze tra i cittadini. Le circolari non modificano le leggi Cessione dei diritti d’autore e Inpgi/2: l’Inpgi conferma la linea dura analisi di Franco Abruzzo presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Milano, 21 luglio 2004. Nello spazio di poche ore, tra il 20 e 21 luglio, il direttore dell’Inpgi, Arsenio Tortora, ha ribadito con due note la linea dura dell’Istituto e la “condanna” dei pareri resi pubblici da chi scrive in merito alla raccomandata 6 luglio 2004 della signora Giuseppina Cappa (dirigente dell’Inpgi/2). Gli iscritti sono frastornati, mentre monta la rabbia contro una gestione separata giudicata iniqua e vessatoria. I colleghi soprattutto non comprendono perché l’Inpgi/2 riconosca la cessione dei diritti d’autore fino al 2000 e non più a partire dall’anno d’imposta 2001. I colleghi non comprendono perché l’Inpgi/2 si ostini a non rispettare una legge che dichiara lavoro occasionale quello che coincide con l’introito annuale di 5mila euro. Soprattutto non capiscono perché i cittadini assicurati con l’Inps/2 hanno un trattamento più favorevole sia sul fronte del diritto d’autore sia sul fronte del lavoro occasionale. Eppure il Consiglio di Stato – con il parere n. 881 (17 giugno 1998) emesso su richiesta del ministro del Lavoro (“in linea con il ministero del Tesoro”) - ha stabilito che “non sussiste obbligo di iscrizione alla Cassa di previdenza per i soggetti iscritti nell’Albo che esercitano un’attività professionale in maniera occasionale”. Il pensiero della suprema magistratura amministrativa della nazione dovrebbe avere un peso maggiore rispetto a una circolare ministeriale, tenuta ad interpretare le leggi o una legge avvicinandosi il più possibile ai valori costituzionali di solidarietà, giustizia ed uguaglianza. I cittadini italiani non giornalisti, che, avvalendosi del diritto sancito nell’articolo 21 della Costituzione, scrivono sistematicamente od occasionalmente articoli, servizi, analisi e commenti, retribuiti con la cessione dei diritti d’autore, non versano alcunché alla gestione separata dell’Inps (vedi circolare Inps n° 83 del 28 marzo 1997). Diverso è, invece, il destino dei cittadini italiani iscritti negli elenchi (professionisti e pubblicisti) dell’Albo dei giornalisti e che collaborano sistematicamente od occasionalmente con giornali e riviste. Eppure la Costituzione (articolo 3) non consente discriminazioni e trattamenti economici diseguali. La vicenda assume i contorni della farsa ove si pensi che il presidente dell’Inpgi il 16 maggio 1996 ha scritto I cittadini senza Albo non versano alcunché all’Inps/2, mentre i giornalisti avrebbero l’obbligo opposto rispetto all’Inpgi/2 in base a una circolare (illegittima) di un ex ministro del Lavoro in una circolare indirizzata agli iscritti alla gestione separata, affermando categoricamente: “Non è obbligato a iscriversi all’Inpgi/2 chi effettua cessioni di diritti d’autore”. Questo il suo pensiero (di allora): “Non è obbligato all’iscrizione chi effettua cessioni di diritti d’autore. Possono essere considerate tali esclusivamente quelle prestazioni che esplicitamente sono regolate tra le parti (azienda editoriale e giornalista) come cessione del diritto d’autore, e che come tali sono soggette all’imposizione Irpef. La cessione dei diritti d’autore, se effettuata direttamente dall’autore stesso, è esente da Iva ed in sede di dichiarazione dei redditi deve essere compilata nella sezione II del quadro E (in apposito rigo, differente da quello di cui all’ipotesi di collaborazione coordinata e continuativa) con l’indicazione dei compensi lordi effettivamente percepiti e dai quali viene detratta una percentuale forfetaria a titolo di riconoscimento delle spese sostenute. Anche in questo caso non è previsto obbligo (né possibilità) di iscrizione ad alcuna forma di previdenza”. Nella stessa circolare Cescutti era stato perentorio sul fronte delle prestazioni occasionali giornalistiche: “Non è obbligato a iscriversi all’Inpgi/2 chi svolge attività occasionale. In tal caso l’attività giornalistica è saltuaria e sporadica. Non può sicuramente costituire la fonte principale di reddito e nemmeno una fonte secondaria permanente, in quanto non sussiste un rapporto fisso con l’editore. I servizi vengono resi in via eccezionale, anche se su specifica ordinazione, e non sussiste alcuna situazione giuridica che garantisca la prosecuzione del rapporto, il conseguimento di ulteriori compensi o la pretesa dell’editore di ricevere altri servizi. In senso tecnico specifico il soggetto non è nemmeno considerato ai fini fiscali come lavoratore autonomo tanto che, oltre a non essere tenuto all’apertura di partita Iva, in sede di dichiarazione dei redditi non è neanche tenuto alla compilazione del quadro E, ma del differente quadro L. Conseguentemente non ha la possibilità di iscriversi ad alcuna forma di previdenza, né deve versare contributi, né può pretendere prestazioni”. Ai piani alti di via Nizza 35-00198 Roma non hanno ancora capito che un free-lance può svolgere benissimo un’attività professionale non occasionale (500 articoli all’anno) ed essere retribuito, soprattutto in provincia, in maniera occasionale (cioè con 4 euro ad articolo, cioè con 2mila euro all’anno). Dal 16 maggio 1996 la normativa in vigore è sempre quella, l’Inps non ha cambiato linea. Per l’Inps, gli autori e gli occasionali non hanno alcun obbligo di iscrizione alla gestione separata. La svolta (sbagliata) del 26 gennaio 2001 Il 26 gennaio 2001 il presidente dell’Inpgi, facendo riferimento a una lettera del ministro del Lavoro (il carteggio è… segreto di Stato!) ha mutato idea sull’argomento, sia pure dopo aver affermato che “la legge prevede che la cessione del diritto d’autore non comporti l’obbligo di iscrizione alla Gestione previdenziale separata”! L’Inpgi nutre, questa l’amara verità, dubbi sulla correttezza dei giornalisti e pertanto – spiega il presidente dell’Istituto – ha chiesto al ministero del Lavoro “regole le quali consentano di distinguere senza equivoci quando ci si trovi in presenza di autentica cessione di diritto d’autore, e quando invece tale formula sia illegittima, e non possa quindi costituire elemento per evitare l’obbligo di iscrizione alla Gestione separata”. Il ministero avrebbe condiviso le osservazioni dell’Inpgi “in merito alla possibilità che il ricorso alla cessione del diritto d’autore fosse, in determinati casi, illegittimo”, invitando quindi l’Istituto “ad individuare parametri oggettivi attraverso i quali sia possibile determinare se la cessione del diritto d’autore sia corrispondente alla norma, o mascheri invece una sia pur inconsapevole elusione contributiva”. I “parametri” dell’Inpgi, però, confliggono con due articoli della Costituzione (4 e 41). Ogni cittadino ha il diritto al lavoro e di scegliere il lavoro più confacente alla sua personalità. Anche l’impresa gode di una sua libertà e può pertanto stipulare contratti con i cittadini professionisti regolati dalla legge sul diritto d’autore sul presupposto che, in base alla legge n. 633/1941, articoli, servizi giornalistici, servizi fotogiornalistici e progetti grafico-giornalistici sono opere dell’ingegno. I parametri dell’Inpgi, avallati a quanto sembra dal ministero del Lavoro, non hanno 2 alcun raccordo con l’Inps e con le normative fiscali. Il reddito derivante dall’utilizzazione economica delle opere dell’ingegno (in particolare i compensi pagati da quotidiani e da riviste agli autori di articoli) va dichiarato nel rigo D4 del Quadro D (altri redditi) del Modello 730 oppure nel Modello unico (Quadro RE). I compensi a titolo di cessione di diritti d’autore costituiscono redditi di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 49 (comma 2, lettera b) del Dpr n. 917/1986 e, come tali, ridotti del 25% (art. 50, comma 8, del Dpr n. 917/986), sono soggetti a ritenuta d’acconto del 20% (art. 25 del Dpr n. 600/1973). È escluso, come d’altro lato riconobbe lo stesso presidente dell’Inpgi, che debbano iscriversi all’Inpgi/2 coloro che percepiscano “redditi derivanti dalla utilizzazione economica di opere dell’ingegno (articoli, servizi giornalistici, progetti grafici e servizi fotografici ndr)” in quanto gli stessi redditi sono compresi nel comma 2 (lettera b) dell’articolo 49 del Dpr n. 917/1986. “Un articolo ricade nella tutela della legge sul diritto d’autore quando ha il requisito dell’originalità e della creatività e reca l’impronta di una elaborazione personale del giornalista” (Cassazione civile, 19 luglio 1990, n. 7397). Anche la Sezione lavoro della Cassazione (sentenza n. 1° giugno 1998, n. 5370) ha ritenuto applicabile la tutela del diritto d’autore all’opera giornalistica. La massima giurisprudenziale suona così: “Può qualificarsi come giornalistica l’opera svolta in favore di editori di quotidiani e periodici, di agenzie d’informazione o di emittenti televisive, ove esplicata con energie prevalentemente intellettuali e consistente nella raccolta, elaborazione o commento della notizia destinata a formare oggetto di comunicazione di massa; tale opera si distingue da quelle collaterali o ausiliarie per la creati- vità, ossia per la presenza, nella manifestazione del pensiero finalizzata all’informazione, di un apporto soggettivo e inventivo, secondo i criteri desumibili anche dall’art. 2575 c.c. e dall’art. 1 l. n. 633 del 1941 in materia di protezione delle opere dell’ingegno, letterarie e artistiche”. Si può, pertanto, ritenere che si possa configurare la cessione dei diritti d’autore tutte le volte in cui oggetto della cessione sia un’opera originale e creativa (articoli, interviste e servizi giornalistici, progetti grafici giornalistici, servizi fotogiornalistici). Tonino Morina su Il Sole 24 Ore del 21 giugno 1999, rispondendo a un pubblicista che erroneamente aveva aderito all’Inps/2, ha scritto: “Il conferimento dell’opera dell’ingegno da parte dell’autore, sia esso a titolo di cessione o di mera concessione (la differenza è esclusivamente civilistica, mentre ai fini fiscali è irrilevante), e indipendentemente dall’occasionalità della produzione stessa, è fonte generatrice di quella tipologia di redditi che trova il suo regime impositivo nell’articolo 50, comma 8 del Tuir, ed è tassato quindi in capo al percettore per un importo corrispondente all’ammontare dei proventi in denaro o in natura percepiti nell’anno solare, ridotto del 25% a titolo di deduzione forfettaria delle spese. Si noti infine che ai sensi della legge 8 agosto 1995, n. 335, articolo 2, comma 26, nessun versamento è dovuto alla gestione separata dell’Inps, la quale abbraccia solo i redditi di lavoro autonomo prodotti in forma abituale di cui al primo comma dell’articolo 49, e quelli derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa indicati alla lettera a) del comma 2 dell’articolo 49”. Il presidente dell’Inpgi e con lui l’ex ministro del Lavoro dei governi D’Alema/Amato, cercando di stabilire quando non si può appli- care il diritto d’autore, teorizzano che tale formula non vale per i giornalisti quando un’opera è “tesa ad esaurire la sua funzione con la prima e tempestiva diffusione”; quindi, se ne deduce, la formula vale invece in caso contrario, cioè dove l’articolo non “muore” affatto con la prima pubblicazione. Ebbene: di norma i giornalisti che applicano il diritto d’autore, almeno nel caso di settimanali e soprattutto di mensili, cedono la proprietà dei loro articoli non solo per la “prima e tempestiva diffusione”, ma anche per le eventuali pubblicazioni successive, che di fatto non sono solo “eventuali”, perché le riviste ripubblicano i testi su siti web, cd, pubblicazioni distribuite all’estero. Ergo: se gli stessi Salvi e Cescutti, pur avendo come obiettivo la limitazione dell’uso del diritto d’autore da parte dei giornalisti, ammettono di fatto che questo diritto si può applicare nel caso di testi destinati alla ripubblicazione, le pretese dell’Inpgi/2 appaiono deboli e con fondamenta di argilla. I parametri dell’Inpgi svelano una impronta dirigistica degna di altri regimi e non tengono conto dell’evoluzione delle tecnologie informatiche e delle banche dati. Le aziende editoriali in base alla legge n. 633/1941 hanno il diritto di sfruttamento delle opere dell’ingegno acquisite attraverso liberi contratti individuali e pubblicate nei loro giornali e periodici. I giornalisti hanno diritto, con accordi scritti, di tutelare la loro produzione intellettuale (utilizzando anche i principi contenuti nell’articolo 14 del vigente Cnlg). Anche i quotidiani e le agenzie di stampa – come i periodici – immagazzinano articoli e servizi giornalistici nelle banche dati e cedono a terzi, dietro pagamento, questi articoli e questi servizi giornalistici. Sono pochissimi gli articoli che “esauriscono la loro funzione con la prima e tempestiva diffusione”. ORDINE 9/10 2004 Nota 18 luglio 2004 CHIARIMENTO INPS Lavoratori occasionali: contributi dovuti dopo i 5.000 euro Roma, 7 luglio 2004. Con circolare n. 103 del 6 luglio 2004 l’Inps ha fornito alcuni chiarimenti in merito agli obblighi contributivi dei lavoratori occasionali e degli incaricati alle vendite a domicilio come disciplinato dall’art. 44 della legge 24 novembre 2003, n. 326. In particolare si precisa che l’esenzione contributiva opera solo per la fascia dei 5.000 euro e, in caso di superamento di questo limite di reddito i contributi sono dovuti solo per la quota di reddito eccedente. I versamenti vanno effettuati il mese successivo al superamento del limito reddituale entro il giorno 16 utilizzando i codici relativi alle collaborazioni coordinate e continuative. L’errore dell’ex ministro Salvi L’ex ministro del Lavoro Salvi non aveva il potere di abrogare, cambiare, manipolare o interpretare le leggi (potere che è del Parlamento, della Corte costituzionale o della Cassazione). Bisogna ribadire con forza, invece, quello che Cescutti ha scritto nella circolare 16 maggio 1996 e ripetuto nella circolare 26 gennaio 2001: “La legge prevede che la cessione del diritto d’autore non comporti l’obbligo di iscrizione alla Gestione previdenziale separata”! Conseguentemente “non è obbligato a iscriversi all’Inpgi/2 chi effettua cessioni di diritti d’autore”. La circolare di Cescutti richiama una circolare, quella di Salvi, che è un mostro giuridico! Non è possibile, sotto il profilo dell’articolo 3 della Costituzione, che le gestioni separate dell’Inps e dell’Inpgi abbiano regole contrastanti tali da creare disuguaglianze tra i cittadini (si veda sul punto la sentenza n. 437/2002 della Corte costituzionale). Dopo la sentenza n. 5280/2003 del Tar Lazio, l’Inpgi è maggiormente tenuto a rispettare le regole che sono dell’Inps (punto 4 dell’articolo 76 della legge n. 388/2000). Nella sentenza n. 15/1999 la Corte costituzionale ha scritto: “La garanzia dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile degli enti privatizzati, che costituisce un principio direttivo della delega, non attiene tanto alla struttura dell’ente quanto piuttosto all’esercizio delle sue funzioni. In tal senso il legislatore delegato ha recepito la formulazione della norma delegante inserendo tale garanzia nella disposizione che disciplina la gestione degli enti privatizzati (art. 2 del decreto legislativo n. 509 del 1994). Ma anche se, considerando isolatamente i singoli segmenti della formula normativa adottata dal legislatore, si intendesse l’autonomia organizzativa come elemento del tutto distinto dalla organizzazione della gestione amministrativa e contabile, riferita quindi alla struttura dell’ente ed alla composizione dei suoi organi, essa non implicherebbe un’assoluta libertà di configurare le strutture dell’ente e non escluderebbe l’eventuale indicazione di limiti entro i quali l’autonomia debba essere esercitata”. Il punto 4 dell’articolo 76 della legge n. 388/2000 in effetti fissa per l’Inpgi dei paletti: l’esercizio da parte dell’Inpgi della potestà di autonomia normativa, a decorrere dalla entrata in vigore della legge n. 388/2000, “richiede il coordinamento specifico con le norme generali che regolano il sistema contributivo e delle prestazioni previdenziali”. L’articolo 1 (comma 2) della legge 335/1995 dice: “Le disposizioni della presente legge costituiscono princìpi fondamentali di riforma economico-sociale della Repubblica. Le successive leggi della Repubblica non possono introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni”. In sostanza ciò che decide una legge non può essere “corretto” con un atto amministrativo qual è una circolare ministeriale. Questo piccolo/grande particolare è finora sfuggito ai vertici dell’Inpgi, che vogliono “tassare” le opere dell’ingegno dei giornalisti in forza di una circolare ministeriale. Conclusioni • I compensi a titolo di cessione di diritti d’autore costituiscono redditi di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 49 (comma 2, lettera b) del Dpr n. 917/1986 e, come tali, ridotti del 25% (art. 50, comma 8, del Dpr n. 917/986), sono soggetti a ritenuta d’acconto del 20 % (art. 25 del Dpr n. 600/1973). Gli stessi non sono tra quelli assoggettati alle gestioni separate come “i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell’articolo 49 del medesimo testo unico”!!! • la ritenuta d’acconto del 20% si applica in sostanza sul 75% del compenso a titolo di cessione di diritti d’autore (art. 110 della legge 633/1941 e art. 2581 del Codice civile); • i compensi collegati alla cessione di diritti d’autore vanno denunciati fiscalmente nel Modello unico (Quadro RE) o nel Modello 730 (Quadro D); • chi cede i propri diritti sulle opere dell’ingegno (articoli, servizi giornalistici o fotografici, progetti grafici) non paga il 12% all’Inpgi/2. La legge 335/1995, il Dlgs 103/1996, l’Inps, il Regolamento dell’Inpgi/2, la Cassazione civile, il ministero delle Finanze e… la circolare 16 maggio 1996 dell’Inpgi escludono dalla gestione separata i “soggetti” che ricadono nel campo della cessione dei diritti d’autore. • “La trasmissione dei diritti di utilizzazione deve essere provata per iscritto” (articolo 110 della legge 633/1941 sul diritto d’autore). • Chi ha compiuto i 65 anni non ha obbligo di iscrizione all’Inpgi/2. Dice il comma 6 dell’articolo del Regolamento: “I giornalisti che hanno compiuto il 65° anno di età hanno facoltà di iscriversi alla gestione di cui al comma 1. Gli iscritti che compiono il 65° anno di età senza avere maturato il diritto a pensione hanno facoltà di continuare a versare all’Istituto i contributi di cui all’art. 3 e seguenti”. • “La prescrizione dei contributi dovuti all’Istituto interviene con il decorso di 5 anni” (art. 7 del Regolamento gestione separata Inpgi) • Chi svolge prestazioni giornalistiche occasionali fino a 5mila euro (comma 2 dell’articolo 44 della legge n. 326/2003) non ha obbligo di iscrizione all’Inpgi/2; • Le circolari ministeriali e le delibere dell’Inpgi in contrasto con le leggi sopra citate non possono correggere o cambiare le leggi stesse. ORDINE 9/10 2004 Non esistono cittadini di serie A e di serie B: la gestione separata dell’Inps non chiede quattrini a chi realizza proventi collegati alle opere dell’ingegno. Perché l’Inpgi/2 si comporta diversamente? Come rispondere all’Inpgi/2: due possibili repliche L’Inpgi annuncia che non riconoscerà il diritto d’autore a partire dall’anno fiscale 2001, ma tace sulla legge che avrebbe assoggettato a contribuzione i proventi derivanti dalle opere dell’ingegno. In verità quella legge non esiste Eppure Gabriele Cescutti (presidente Inpgi) il 16 maggio 1996 ha scritto: “Non è obbligato a iscriversi all’Inpgi/2 chi effettua cessioni di diritti d’autore” Milano, 18 luglio 2004. Con una lettera raccomandata 6 luglio 2004, il dirigente (Giuseppina Cappa) della gestione separata dell’Inpgi (o Inpgi/2) ha annunciato che l’Istituto riconosce la cessione dei diritti d’autore fino all’anno fiscale 2000, ma non dal 2001 in poi. Bisogna chiedere all’Istituto di rivelare quale legge a partire dal 2001 ha modificato detto regime, assoggettando a contribuzione i proventi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno. In verità quella legge non esiste. La posizione dell’Inpgi è contraddittoria e non rispetta le legislazione dell’Inps alla quale è tenuta ad adeguarsi (art. 76 della legge n. 388/200). L’articolo 76 della legge n. 388/2000 prevede infatti che “le forme previdenziali gestite dall’inpgi devo- no essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria sia generali che sostitutive”. Non esistono cittadini di serie A e di serie B: la gestione separata dell’Inps non chiede quattrini a chi realizza proventi collegati alle opere dell’ingegno. Perché l’Inpgi/2 si comporta diversamente? Dall’archivio elettronico della gestione separata dell’Inpgi affiora una circolare 16 maggio 1996 firmata da Gabriele Cescutti la quale dice esattamente il contrario rispetto a quanto ha scritto Giuseppina Cappa. Riportiamo una parte di quella interessante circolare (http://www.inpgi.it/inpgi/inpgi.nsf) allineata ai criteri operativi dell’Inps: CHI NON È TENUTO ALL’ISCRIZIONE In base alla legge le esclusioni sono due. 1) Non è obbligato chi svolge attività occasionale. In tal caso l’attività giornalistica è saltuaria e sporadica. Non può sicuramente costituire la fonte principale di reddito e nemmeno una fonte secondaria permanente, in quanto non sussiste un rapporto fisso con l’editore. I servizi vengono resi in via eccezionale, anche se su specifica ordinazione, e non sussiste alcuna situazione giuridica che garantisca la prosecuzione del rapporto, il conseguimento di ulteriori compensi o la pretesa dell’editore di ricevere altri servizi. In senso tecnico specifico il soggetto non è nemmeno considerato ai fini fiscali come lavoratore autonomo tanto che, oltre a non essere tenuto all’apertura di partita Iva, in sede di dichiarazione dei redditi non è neanche tenuto alla compilazione del quadro E, ma del differente quadro L. Conseguentemente non ha la possibilità di iscriversi ad alcuna forma di previdenza, né deve versare contributi, né può pretendere prestazioni. 2) Non è obbligato all’iscrizione chi effettua cessioni di diritti d’autore. Possono essere considerate tali esclusivamente quelle prestazioni che esplicitamente sono regolate tra le parti (azienda editoriale e giornalista) come cessione del diritto d’autore, e che come tali sono soggette all’imposizione Irpef. La cessione dei diritti d’autore, se effettuata direttamente dall’autore stesso, è esente da Iva ed in sede di dichiarazione dei redditi deve essere compilata nella sezione II del quadro E (in apposito rigo, differente da quello di cui all’ipotesi di collaborazione coordinata e continuativa) con l’indicazione dei compensi lordi effettivamente percepiti e dai quali viene detratta una percentuale forfetaria a titolo di riconoscimento delle spese sostenute. Anche in questo caso non è previsto obbligo (né possibilità) di iscrizione ad alcuna forma di previdenza. Fto Gabriele Cescutti”. segue 3 Segue - Inpgi/2 e diritto d’autore http://www.odg.mi.it/autore02.htm I giornalisti-autori non sono “clienti” dell’Inpgi/2 Lo dicono Cassazione e ministero delle Finanze La Sezione lavoro della Cassazione (sentenza 1° giugno 1998, n. 5370) ha ritenuto applicabile la tutela del diritto d’autore all’opera giornalistica. La massima giurisprudenziale suona così: “Può qualificarsi come giornalistica l’opera svolta in favore di editori di quotidiani e periodici, di agenzie d’informazione o di emittenti televisive, ove esplicata con energie prevalentemente intellettuali e consistente nella raccolta, elaborazione o commento della notizia destinata a formare oggetto di comunicazione di massa; tale opera si distingue da quelle collaterali o ausiliarie per la creatività, ossia per la presenza, nella manifestazione del pensiero finalizzata all’informazione, di un apporto soggettivo e inventivo, secondo i criteri desumibili anche dall’art. 2575 c.c. e dall’art. 1 l. n. 633 del 1941 in materia di protezione delle opere dell’ingegno, letterarie e artistiche”. Circolare 26 gennaio 2001 n. 7/E del ministero delle Finanze: “L’articolo 34 della legge 21 novembre 2000, n. 342, tramite l’inserimento della lettera c-bis) nell’articolo 47 del Tuir. (Dpr. n. 917 del 1986) e la soppressione di alcune disposizioni, ha modificato il regime fiscale delle collaborazioni coordinate e continuative in precedenza assimilate dalla lettera a) dell’articolo 49, ai redditi di lavoro autonomo. Tali modifiche non hanno interessato la lettera b) dell’articolo 49 del Tuir concernente i compensi derivanti dall’utilizzazione di opere e invenzioni tutelate dalle norme sul diritto d’autore. Tali compensi pertanto continuano a costituire redditi di lavoro autonomo”. Il ministero delle Finanze in data 30 gennaio 1996 aveva precisato che “quando la collaborazione resa a giornali o riviste ha per oggetto la cessione di un’opera dell’ingegno tutelata dalle norme sul diritto d’autore, il corrispondente provento va qualificato, ai fini fiscali, come diritto d’autore. In sostanza la cessione dei diritti fa “zona franca”. Parere della Direzione delle entrate per la Lombardia: “Tutte le volte che si realizza la cessione di un’opera dell’ingegno di carattere creativo, tutelata e disciplinata dagli articoli 2575 e seguenti del Codice civile e dalla legge 22.4.1941 n. 633, il relativo compenso costituisce reddito rientrante nella previsione dell’articolo 49, comma 2, lettera b, del Tuir”. L’argomento è stato affrontato nel gennaio 1996 dall’Ordine della Lombardia. Allora il rischio era quello di dover versare il 10% all’Inps. La legge sul diritto d’autore (n. 633/1941) apparve l’ancora di salvezza. L’Ordine raccomandò: “La cessione dei diritti d’autore (articolo, servizio giornalistico o fotografico, progetto grafico) deve risultare da una contrattazione scritta tra le parti (articolo 2581 del Codice civile e articolo 110 della legge sul diritto d’autore n. 633/1941)”. Il principio 137 approvato nel 1999 dalla Commissione per le norme di comportamento in materia tributaria dell’Associazione dottori commercialisti di Milano ritiene che il diritto d’autore è tutelato quanto un’opera è caratterizzata da: creatività (è necessario apportare qualche novità, anche modesta), originalità (si deve differenziare dalle consimili) e concretezza (deve essere in forma idonea a essere resa pubblica e riprodotta). Non può essere tale anche un articolo pubblicato su un giornale? Come rispondere all’Inpgi/2: due possibili repliche REPLICA 1 Una risposta possibile alla raccomandata della signora Cappa REPLICA 2 La possibile risposta suggerita dal presidente dell’Ogl Franco Abruzzo Appare opportuno diffidare e mettere in mora l’Istituto data ................ Raccomandata ar Spett.le Servizio Contributi Gestione separata Inpgi (o Inpgi/2) Via Nizza 35 – 00198 Roma Preciso che le mie collaborazioni degli anni 1998, 1999 e 2000 cadono tutte sotto il regime della cessione dei diritti d’autore. Chiedo di conoscere la legge che a partire dal 2001 ha modificato detto regime, assoggettando a contribuzione i proventi derivanti dall’utilizzazione economica di opere dell’ingegno. (firma) ..................................... indirizzo ..................................... data ................ Raccomandata ar Spett.le Servizio Contributi Gestione separata Inpgi (o Inpgi/2) Via Nizza 35 – 00198 Roma Oggetto: Cessione dei diritti d’autore. Diffida e messa in mora. La legge n. 335/1995, alla base dell’istituzione della gestione separata Inps e anche dell’Inpgi/2, ha escluso dall’imponibile contributivo i proventi da opere dell’ingegno, ricomprendendo “soltanto” i redditi di lavoro autonomo e da collaborazioni. L’articolo 2, comma 26, che detta queste regole, è riferito alla gestione Inps. L’articolo 76 (punto 4) della legge n. 388/2000 stabilisce che “le forme previdenziali gestite dall’Inpgi devono essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali, che sostitutive”. La legge, quindi, parla chiaro. L’Inpgi, ente sostituivo dell’Inps, si deve adeguare alla normativa dell’Inps. Il diritto d’autore non sconta i contributi all’Inps, quindi - quantomeno per coordinamento - nemmeno all’Inpgi. Il principio costituzionale dell’uguaglianza di trattamento non lascia spazi di manovra. L’ordinamento non tollera l’esistenza di cittadini di serie A (quelli iscritti all’Inps) e di cittadini di serie B (quelli iscritti all’Inpgi). Anche il presidente dell’Istituto era dell’avviso di escludere la cessione dei diritti d’autore dall’imponibile contributivo, quando ha scritto la circolare 16 maggio 1996 (http://www.inpgi.it/inpgi/ inpgi.nsf) fedelmente allineata ai principi dell’Inps. L’articolo 1 (comma 2) della legge 335/1995 dice: “Le disposizioni della presente legge costituiscono princìpi fondamentali di riforma economicosociale della Repubblica. Le successive leggi della Repubblica non possono introdurre eccezioni o deroghe alla presente legge se non mediante espresse modificazioni delle sue disposizioni”. In sostanza ciò che decide una legge non può essere “corretto” con un atto amministrativo qual è una circolare ministeriale. Questo piccolo/grande particolare è finora sfuggito ai vertici dell’Inpgi, che vogliono “tassare” le opere dell’ingegno dei giornalisti in forza di una circolare ministeriale. Questa lettera vale come diffida e messa in mora dell’Istituto, che è tenuto a rispettare gli articoli 76 (punto 4) della legge n. 388/2000 e 2 (comma 26) della legge n. 335/1995 in relazione all’articolo 3 della Costituzione. (firma) ..................................... indirizzo ..................................... UN DATO INDISPENSABILE PER MOLTI ADEMPIMENTI Appello dell’Inpgi: “Aggiornate subito il vostro indirizzo” L’Inpgi ha la necessità di essere costantemente aggiornato sull’esatta residenza anagrafica di tutti gli iscritti. Questi ultimi, invece, spesso inviano all’Istituto comunicazioni generiche di variazione d’indirizzo, senza specificare se si tratti di residenza anagrafica o di domicilio. Tutto ciò, quando accade, comporta problemi non indifferenti, in quanto per l’Istituto è indispensabile avere informazioni precise, che aiutino a migliorare l’organizzazione e, quindi, la qualità del servizio reso a chi fa parte dell’Ente. In questa attività abbiamo riscontrato che molti iscritti preferiscono ricevere la corrispondenza ad un indirizzo diverso da quello di residenza anagrafica. Per far fronte a questa esigenza l’Inpgi ha modificato il proprio sistema anagrafico in modo tale da consentire una doppia registrazione. In questo modo l’Istituto dispone di due indirizzi, uno corrispondente alla residenza ana- 4 grafica, ed uno al quale spedire la semplice corrispondenza, le circolari postel e la nostra rivista “Inpgi Comunicazione”. Come è nell’interesse dell’iscritto ricevere tempestivamente presso il proprio domicilio tutta la corrispondenza che lo riguarda, così l’Istituto chiede ai giornalisti di comunicare all’Ente l’esatta residenza anagrafica, al fine di consentire agli uffici di adempiere in modo corretto agli obblighi imposti dalla legge. Questa esigenza non riguarda soltanto i pensionati, ma anche coloro che sono in attività di servizio che percepiscono prestazioni temporanee, quali trattamento di cassa integrazione, disoccupazione, mobilità, ovvero di assegno temporaneo di inabilità o trattamento TBC, per i quali l’Istituto è sostituto d’imposta. Negli anni scorsi, infatti, sono stati emanati due decreti legislativi (n. 446/97 e n. 360/98) con i quali sono state istituite nuove imposte, l’addizionale Irpef regionale e comunale. Tali imposte devono essere trattenute dall’Inpgi sui trattamenti economici erogati agli iscritti, e versati alle Regioni ed ai Comuni in relazione alla residenza anagrafica dei soggetti fiscali risultanti al 31 dicembre di ogni anno. È evidente che in questo contesto è assai rilevante avere a disposizione dati esatti, in mancanza dei quali l’Inpgi potrebbe compiere in modo inesatto gli adempimenti di legge. La misura dell’aliquota relativa all’addizionale Irpef comunale, ad esempio, viene determinata dai singoli Comuni. Di conseguenza, una residenza anagrafica inesatta potrebbe condurre l’Istituto a commettere errori, nel momento in cui opera la trattenuta, sia in riferimento all’individuazione del Comune destinatario dell’imposta, sia per quanto riguarda la misura dell’aliquota da applicare. A questo riguardo va anche sottolineato che eventuali responsabilità, da un punto di vista fiscale, non ricadrebbero sull’Inpgi che ha effettuato l’adempimento avvalendosi di dati forniti in modo non esatto dall’iscritto, ma sull’iscritto medesimo. Per questo motivo, non soltanto nell’interesse dell’Istituto ma anche e soprattutto nell’interesse dei giornalisti, tutti gli iscritti sono invitati a comunicare la propria residenza anagrafica ed un altro eventuale domicilio per la corrispondenza. A tal fine è stato predisposto un modulo reperibile presso il nostro Ufficio Pensioni di Roma (Via Nizza, 35) e presso tutti gli Uffici di corrispondenza regionali. Sarà possibile scaricare il facsimile di modulo anche dal nostro sito www.inpgi.it, nella sezione dedicata alla modulistica (sotto. il nome “variazione residenza- domicilio”). (Inpgi comunicazione n. 1-6/2004) ORDINE 9/10 2004 INTERVISTA ALLO PSICHIATRA MICHELE PICCIONE È la 626 a fare riferimento alle responsabilità del datore di lavoro, che è tenuto all’integrità psicofisica del lavoratore. Deve fare sì che nel luogo di lavoro non vi siano motivi di disagio né fisici né psichici Nel caso del lavoro giornalistico potremmo dire che deve permettere ai giornalisti di vivere in una realtà che consenta loro di espletare le funzioni, che immagino sono quelle di raccogliere notizie, di scrivere senza disagio. Né fisico né psichico Mobbing, le responsabilità dell’editore sono nella legge di Paola Pastacaldi Michele Piccione è il presidente della Commissione voluta dalla presidenza del Consiglio dei ministri, ed istituita dal ministro per la Funzione pubblica, Franco Frattini, con il compito di fornire una definizione del fenomeno “mobbing”, indicare come prevenirlo e fornire anche una bozza di carattere normativo. La Commissione ha assolto al proprio compito consegnando nel gennaio del 2003 una bozza di legge contro la “Violenza morale o psichica in occasione di lavoro (mobbing)”. Michele Piccione è titolare della cattedra di clinica psichiatrica dell’Università “La Sapienza” di Roma ed è direttore del “Centro per la valutazione, la diagnosi e la terapia contro il mobbing”. Che doveri ha il datore di lavoro verso il lavoratore come ambiente di lavoro? cosa dice la legge? È la 626 a fare riferimento alle responsabilità del datore di lavoro, che è tenuto all’integrità psicofisica del lavoratore. Deve fare sì che nel luogo di lavoro non vi siano motivi di disagio né fisici né psichici. Nel caso del lavoro giornalistico potremmo dire che deve permettere ai giornalisti di vivere in una realtà che consenta loro di espletare le funzioni, che immagino sono quelle di raccogliere notizie, di scrivere senza disagio. Né fisico né psichico. Cosa è allora il mobbing? Molti tendono a qualificarlo come gelosia e rivalità tra colleghi o superiori. La Commissione ne ha dato una definizione, dopo aver preso in esame la letteratura internazionale sull’argomento e valutato tutte le proposte e i disegni di legge giacenti alla Camera ed al Senato. L’articolo 1 della bozza di legge ha definito il mobbing in questo modo: “Atti, atteggiamenti o comportamenti di violenza morale o psichica in occasione di lavoro, ripetuti nel tempo in modo sistematico o abituale che portano ad un degrado delle condizioni di lavoro idoneo a compromettere la salute o la professionalità o la dignità del lavoratore”. La bozza dà anche indicazioni utili alla valutazione del nesso di causalità e fornisce criteri per la prevenzione. Perché oggi accade che i pochi centri che si occupano di tale problematica agiscano e funzionino in modo non omogeneo, sia per quanto riguarda i criteri ed i modelli valutativi, sia per quanto attiene i risvolti medico legali che inevitabilmente scaturiscono dal conflitto lavoratoredatore di lavoro. Appare indispensabile, quindi, uniformare a livello nazionale le attività dei vari centri. Che finalità ha il ricorso al mobbing? Il mobbing ha come finalità quella di escludere volutamente qualcuno dal lavoro, esercitando contro di lui una violenza morale o psichica. Nel caso di attività mobbizzanti esercitate dai colleghi è indispensabile differenziarle da quella che è invece la competizione e/o dal carrierismo. Competizione e carrierismo rispondono a comportamenti diversi, sempre più o meno eticamente corretti, in funzione della personalità, dell’educazione e di tante altre variabili. Perché queste azioni divengano atti di mobbing è indispensabile che ci sia la costruzione di una persecuzione che, come in altra occasione ho avuto l’opportunità di evidenziare (vedi Tabloid n. 4/2004), transita attraverso delle modalità definite. Il mobbing si verifica quando qualcuno decide che qualcun altro deve essere escluso dal lavoro e tale risultato deve essere raggiunto in modo non dichiarato, ma come espressione della distruzione psicofisica dell’altro. Il mobbing c’è quando l’attività è sottile, fatta nell’oscurità, quando la violenza morale è messa in atto in modo subdolo. Al giornalista si può fare mobbing non pubblicandogli un articolo, non facendolo scrivere, impedendo che gli arrivino le notizie, facendogliele riscrivere varie volte, dicendo ai colleghi di isolarlo, di non andare a pranzo con lui, andando a dire in giro che ha relazioni più o meno lecite con tizio o caio, che guadagna di più, mettendo in circolazione su di lui maldicenze e calunnie, creandogli così un isolamento reale. Il tutto in modo non chiaro. Racconto, per fare un esempio, un fatto realmente accaduto, terribilmente vero ed illuminante di cosa significa mobbizzare una persona. C’era un impiegato che lavorava in un enorme palazzo, dove tutti erano dipendenti della stessa azienda. Fu mobbizzato. Nessuno più gli parlava, viveva in una stanza da solo a non fare nulla. Un giorno scoppiò un incendio nel palazzo, tutti scapparono, quando arrivarono i pompieri e, aprirono anche la sua porta lo videro lì seduto. “Che fa?”, gli chiesero. “Perché non è scappato?”. L’impiegato con atteggiamento meravigliato disse che non sapeva nulla dell’incendio, perché nessuno si era ricordato di lui e lo aveva avvisato del pericolo: i colleghi se l’erano dimenticato. Quello non esisteva più. Era come se fosse morto. Ma perché fare tutto questo? È una perdita di tempo e denaro. Le persone si ammalano e l’azienda ci rimette, credo. Le azioni di mobbing sono finalizzate a creare un disagio psicofisico per espellere, far espellere una persona. O perché si espella da sola, per collassarla: l’obiettivo può anche essere quello di chiudergli la bocca, come nel caso dei giornalisti, rompergli metaforicamente la penna e il computer. A questo punto il mobbizzato potrebbe reagire, anche se le dinamiche che la violenza morale mette in atto sono pesanti. Non è così facile arrivare a parlarne, a denunciare l’aggressione. Ma dalla ricerche emerge che si tratta di un piano qualche volta programmato a tavolino. Abbiamo diviso il processo del mobbizzare in tre momenti. Nel primo, viene identificata la vittima e messa in atto la strategia. Il mobbizzato è totalmente ignaro, non capisce, non crede a ciò che gli accade, e lascia inevitabilmente trascorrere il tempo prima di reagire e quasi sempre anche troppo. Intanto il mobber mette in atto le sue azioni per non farlo lavorare e isolarlo. Nel secondo momento, il mobbizzato trova il coraggio di parlare con il mobber. E quest’ultimo nega ogni lamentela, gli dice che c’è un equivoco, che si tratta di coincidenze, di errori, e ribatte per lamentarsi a sua volta, accusandolo di aver lavorato male. E, comunque, dice che non è vero niente. Questo provoca l’identificazione con il persecutore, infatti, il mobbizzato crede che sia tutto chiarito, mentre in realtà è stato disarmato ancora di più. Il mobber gli ha tolto l’energia dell’accusa. Il terzo momento non può che essere quello legale. Il mobbizzato deve correre ai ripari con l’unica pratica che gli è rimasta, quando si accorge che le sue istanze non sono state raccolte da nessuna delle figure istituzionali responsabili che dovrebbero evitare questo disagio, intendo i capi, l’ufficio del personale, il direttore. Quando c’è la crisi di tutti questi moduli di comportamento si arriva al momento della legge. Chi è il mobber? È colui che decide di mobbizzare e che pensa di eliminare dal lavoro una persona, usando una strategia che non è il licenziamento. Crea dunque un clima di una paura, di tensione, di non libertà. Il sistema giuridico non consente licenziamenti facili.... Per questo si usa il mobbing. Perché i licenziamenti sono difficili. Ma chi mobbizza può anche usare un altro metodo, blandire le persone. Per esempio, dopo anni di isolamento, nei giornali capita che il direttore e i capiredattori si facciano vivi con espressioni di improvvisa considerazione e commissioni di pezzi interessanti, viaggi, parole di encomio mai avute prime.... Dopo anni di maltrattamenti, questo è un modo subdolo ed efficace per mistificare le cose. Difficile non cadere nel tranello. A volte viene usato come schermo contro le azioni legali o per far collassare la persona, per spomparla definitivamente. E magari si ripesca la vittima, trattandola meglio. È un falso ripescaggio, gli danno una falsa opportunità e dopo gli avanzano una richiesta di complicità. Per fare cosa? Per isolare altri colleghi, per esempio, per renderlo complice delle azioni di mobbing. E la fase tre, quella legale, a suo avviso, è inevitabile, perché? È l’unico momento in cui colui che fa mobbing soffre. Ma bisogna essere preparati ed in questo consiste anche la prevenzione che si dovrebbe mettere in atto nel periodo in cui si subiscono le violenze. Bisogna reagire appena ci si accorge che qualcosa non funziona, che accadono delle ingiustizie, dirlo, comunicarlo per iscritto, informarne il sindacato, l’ufficio del personale, i direttori. Non poche volte l’attività mobbizzante comincia con delle provocazioni ed è già in quel momento che bisogna capire che è in atto una aggressione. Come si diceva, è questo il momento utile per denunciare, creare documentazione di ciò che è accaduto, scrivere al direttore, al superiore, al direttore del personale, denunciare il maltrattamento, perché altrimenti il mobbizzato non ha in mano nulla, solo la sua parola contro quella dell’altro. Il mobber trema di fronte alle vicende legali, perché è l’unico momento in cui è allo scoperto perché ha sempre fatto attività subdola, oscura, una guerra non dichiarata. Ma è bene ricordare che legalmente l’onere della prova spetta al mobbizzato. Perciò il mobbizzato che si vuole difendere deve costruire delle prove, denunciando sempre tutto per iscritto di volta in volta. PROMOSSO E ORGANIZZATO DAL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEI GIORNALISTI DELLA LOMBARDIA Via al VII Concorso tesi di laurea sul giornalismo Sette sezioni: a ogni vincitore 2.500 euro I candidati dovranno consegnare le tesi entro dicembre Milano, 2 luglio 2004. Promosso dal Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, prende il via la settima edizione del “Concorso” destinato a valorizzare le tesi di laurea dedicate al giornalismo e alle istituzioni della professione. Giudice insindacabile del Premio è lo stesso Consiglio dell’Ordine. Le tesi (in unica copia e anche su dischetto in programma word oppure rtf) dovranno pervenire alla segreteria dell’Ordine (via Appiani 2 - 20121 Milano) entro il 31 dicembre 2004. Le tesi, comunque, non verranno restituite. Ogni candidato dovrà presentare la domanda in carta semplice corredata dai dati anagrafici comprensivi del codice fiscale, recapiti telefonici e residenza. Potranno concorrere le tesi discusse nelle Università italiane (pubbliche e private) nel periodo gennaio-dicembre 2004 a conclusione dei corsi quadriennali e quinquennali nonché dei corsi biennali specialistici post laurea triennale (laurea magistrale). Le sezioni del Premio (al quale ogni candidato dovrà far riferimento) sono sette e ogni vincitore di sezione riceverà 2.500 euro. L’impegno finanziario dell’Ordine è, pertanto, di 17.500 euro complessivi. La cerimonia della consegna avverrà ORDINE 9/10 2004 in occasione dell’assemblea degli iscritti all’Albo dell’Ordine della Lombardia. La cerimonia, quindi, è prevista per il marzo 2005 al Circolo della Stampa. Estratti (di 400 righe) delle tesi premiate (e segnalate) verranno pubblicati su Tabloid, organo mensile dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia. Per la valutazione delle tesi il Consiglio si avvarrà, come lo scorso anno, dell’opera di consulenti (giornalisti e professori universitari). Queste le sezioni: 1) Storia del giornalismo italiano, dei suoi interessi e dei suoi protagonisti, anche attraverso le vicende storiche e di costume che lo hanno impegnato. 2) Storia del giornalismo occidentale. 3) Istituzioni della professione giornalistica. La deontologia e l’inquadramento contrattuale dei giornalisti in Italia, in Europa e nel resto del mondo occidentale. 4) Giornalismo radiotelevisivo. 5) Giornalismo telematico. 6) Giornalismo economico e finanziario.. 7) Giornalismo culturale, sociale, scientifico, sportivo e di costume. 5 ANCHE PER FAR FRONTE AGLI OBBLIGHI FISCALI (ADDIZIONALE REGIONALE E ADDIZIONALE COMUNALE PREVISTE L’Inpgi recentemente ha chiesto ai propri iscritti di comunicare all’Ente “l’esatta residenza anagrafica, al fine di consentire agli uffici di adempiere in modo corretto agli obblighi imposti dalla legge” Negli anni scorsi, infatti, sono stati emanati – scrive l’Inpgi – due decreti legislativi (n. 446/97 e n. 360/98) con i quali sono state istituite nuove imposte, l’addizionale Irpef regionale comunale Tali imposte devono essere trattenute dall’Inpgi sui trattamenti economici erogati agli iscritti, e versati alle Regioni e ai Comuni in relazione alla residenza anagrafica dei soggetti fiscali risultanti al 31 dicembre di ogni anno A questo riguardo va anche sottolineato che eventuali responsabilità, da un punto di vista fiscale, non ricadrebbero sull’Inpgi, che ha effettuato l’adempimento avvalendosi di dati forniti in modo non esatto dall’iscritto, ma sull’iscritto medesimo Quanti hanno la dimora abituale in un dato centro hanno l’obbligo di fissarvi la residenza anagrafica (e di iscriversi al relativo Albo) di Franco Abruzzo L’Inpgi recentemente ha chiesto ai propri iscritti di comunicare all’Ente “l’esatta residenza anagrafica, al fine di consentire agli uffici di adempiere in modo corretto agli obblighi imposti dalla legge. Questa esigenza non riguarda soltanto i pensionati, ma anche coloro che sono in attività di servizio che percepiscono prestazioni temporanee, quali trattamento di cassa integrazione, disoccupazione, mobilità, ovvero di assegno temporaneo di inabilità o trattamento tbc, per i quali l’Istituto è sostituto d’imposta”. “Negli anni scorsi, infatti, sono stati emanati – scrive l’Inpgi – due decreti legislativi (n. 446/97 e n. 360/98) con i quali sono state istituite nuove imposte l’addizionale Irpef regionale e comunale. Tali imposte devono essere trattenute dall’Inpgi sui trattamenti economici erogati agli iscritti, e versati alle Regioni ed ai Comuni in relazione alla residenza anagrafica dei soggetti fiscali risultanti al 31 dicembre di ogni anno. È evidente che in questo contesto è assai rilevante avere a disposizione dati esatti, in mancanza dei quali 1’Inpgi potrebbe compiere in modo inesatto gli adempimenti di legge. La misura dell’aliquota relativa all’addizionale Irpef comunale, ad esempio, viene determinata dai singoli Comuni. Di conseguenza, una residenza anagrafica inesatta potrebbe condurre l’Istituto a commettere errori, nel momento in cui opera la trattenuta, sia in riferimento all’individuazione del Comune destinatario dell’imposta, sia per quanto riguarda la misura dell’aliquota da applicare. A questo riguardo va anche sottolineato che eventuali responsabilità, da un punto di vista fiscale, non ricadrebbero sull’Inpgi che ha effettuato l’adempimento avvalendosi di dati forniti in modo non esatto dall’iscritto, ma sull’iscritto medesimo. Per questo motivo, non soltanto nell’interesse dell’Istituto ma anche e soprattutto nell’interesse dei giornalisti, tutti gli iscritti sono invitati a comunicare la propria residenza anagrafica ed un altro eventuale domicilio per la corrispondenza”. Una delibera del Consiglio nazionale (5 luglio 2002) “dà la facoltà”, - in applicazione del principio di equiparazione tra residenza e domicilio professionale (l’art. 16 della legge 21 dicembre 1999 n. 526) ai fini dell’iscrizione negli albi professionali anche nei confronti dei giornalisti che abbiano fissato nel territorio italiano sia la residenza che il domicilio professionale -, “di opzione agli iscritti nell’Albo dei giornalisti circa l’utilizzo dell’uno o l’altro requisito ai fini dell’iscrizione medesima, ferma restando in ogni caso l’osservanza delle norme in tema di residenza, con i relativi obblighi derivanti dall’art. 3, primo comma, del Dpr n. 223/1989, che identifica la residenza anagrafica nel luogo dove si ha la dimora abituale”. Presso ogni Consiglio dell’Ordine regionale è istituito - dice l’articolo 26 della legge n. 69/1963 l’Albo dei giornalisti che hanno la residenza nel territorio compreso nella circoscrizione del Consiglio. La residenza, quindi, determina l’appartenenza a un determinato Albo. L’articolo 16 della legge n. 526/1999 equipara residenza e domicilio professionale. Chi, comunque, “ha la dimora abituale” (per ragioni di stabile occupazione lavorativa) in un dato centro ha l’obbligo giuridico di fissarvi la sua residenza anagrafica (articolo 3, prima comma, del Dpr n. 223/1989 in relazione all’articolo 43 del Codice Civile) anche per far fronte ai suoi obblighi fiscali (addizionale regionale e addizionale comunale previste dai decreti legislativi n. 446/1997 e n. 360/1998). In sostanza “l’imposta è dovuta alla regione o al Comune nel cui territorio il reddito è stato prodotto”. L’articolo 43 del Codice civile fissa il domicilio di una persona “nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi”, mentre “la residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. L’articolo 3 del Dpr n. 223/1989 (“popolazione residente”) afferma: “1. Per persone residenti nel comune s’intendono quelle aventi la propria dimora abituale nel comune. 2. Non cessano di appartenere alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti in altri comuni o all’estero per l’esercizio di occupazioni stagionali o per causa di durata limitata”. La RASSEGNA NORMATIVA Dlgs n. 446/1997 Articolo 3. Soggetti passivi 1. Soggetti passivi dell’imposta sono coloro che esercitano una o più delle attività di cui all’articolo 2. Pertanto sono soggetti all’imposta (2/a): c) le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell’articolo 5, comma 3, del predetto testo unico (Dpr 22 dicembre 1986, n. 917) esercenti arti e professioni di cui all’articolo 49, comma 1, del medesimo testo unico (3/cost); Articolo 21. Domicilio dei soggetti passivi 1. Ogni soggetto passivo si considera domiciliato nel comune nel quale ha il domicilio fiscale secondo le disposizioni previste dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Articolo 24. Poteri delle regioni 1. Le regioni a statuto ordinario possono disciplinare, con legge, nel rispetto dei princìpi in materia di imposte sul reddito e di quelli recati dal presente titolo, le procedure applicative dell’imposta, ferme restando le disposizioni degli articoli 19, da 21 a 23, e da 32 a 35. Articolo 27. Compartecipazione dei comuni e delle province al gettito dell’imposta 1. A decorrere dall’anno di entrata in vigore 6 del presente decreto le regioni devolvono ad ogni comune e ad ogni provincia del proprio territorio una quota del gettito della imposta regionale sulle attività produttive pari, per il comune, al gettito riscosso nel 1997 per tasse di concessione comunale e per imposta comunale per l’esercizio di impresa, arti e professioni, al netto della quota di spettanza della provincia, e, per la provincia, all’ammontare di questa quota al lordo di quella spettante allo Stato a norma dell’articolo 6 del decreto-legge 2 marzo 1989, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 aprile 1989, n. 144 (21). Articolo 50. Istituzione dell’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche 1. È istituita l’addizionale regionale all’imposta sul reddito delle persone fisiche. L’addizionale regionale non è deducibile ai fini di alcuna imposta, tassa o contributo. 2. L’addizionale regionale è determinata applicando l’aliquota, fissata dalla regione in cui il contribuente ha la residenza, al reddito complessivo determinato ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, al netto degli oneri deducibili riconosciuti ai fini di tale imposta. L’addizionale regionale è dovuta se per lo stesso anno l’imposta sul reddito delle persone fisiche, al netto delle detrazioni per essa riconosciute e dei crediti di cui agli arti- coli 14 e 15 del citato testo unico, risulta dovuta. 3. L’aliquota di compartecipazione dell’addizionale regionale di cui al comma 1 è fissata allo 0,9 per cento (42/a). Ciascuna regione, con proprio provvedimento, da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 30 novembre dell’anno precedente a quello cui l’addizionale si riferisce, può maggiorare l’aliquota suddetta fino all’1,4 per cento. Dlgs n. 360/1998 Articolo 6. L’addizionale è dovuta alla provincia ed al comune nel quale il contribuente ha il domicilio fiscale alla data del 31 dicembre dell’anno cui si riferisce l’addizionale stessa, per le parti spettanti, ovvero, relativamente ai redditi di lavoro dipendente e a quelli assimilati ai medesimi redditi, al comune in cui il sostituito ha il domicilio fiscale alla data di effettuazione delle operazioni di conguaglio relative a detti redditi, ed è versata, unitamente all’imposta sul reddito delle persone fisiche, con le modalità stabilite con decreto del ministro delle Finanze, di concerto con i ministri del Tesoro, del bilancio e della programmazione economica e dell’Interno. Dpr n. 917/1986 Articolo 2. Soggetti passivi. 1. Soggetti passivi dell’imposta sono le persone fisiche, residenti e non residenti nel territorio dello Stato. 2. Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. 2-bis. Si considerano altresì residenti, salvo prova contraria, i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente ed emigrati in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto del ministro delle Finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale (4). ———————————— (4) Comma aggiunto dall’art. 10, L. 23 dicembre 1998, n. 448, riportata alla voce Amministrazione del patrimonio e contabilità generale dello Stato. Gli Stati e i territori con un regime fiscale privilegiato sono stati individuati con D.M. 4 maggio 1999. ORDINE 9/10 2004 DAI DECRETI LEGISLATIVI N. 446/1997 E N. 360/1998) LE DISPOSIZIONI A PARTIRE DAL 1° GENNAIO 2004 Con provvedimento 23 ottobre 2003 l’Agenzia delle entrate ha indicato gli uffici competenti a stabilire il domicilio fiscale del contribuente in un comune diverso da quello della residenza anagrafica o della sede legale Se la modifica è nell’ambito della stessa regione, vi provvede il direttore regionale; se tra regioni diverse, il direttore centrale dell’Accertamento Domicilio fiscale, cambiano le competenze per i provvedimenti giurisprudenza sulla residenza è eloquente: “Ai sensi dell’art. 43 comma 2, c.c. e dell’art. 3 Dpr. 30 maggio 1989 n. 223, la residenza come dimora abituale, cioè stabile, è data dall’elemento oggettivo della permanenza in un dato luogo, la quale non è incompatibile con eventuali allontanamenti, mentre è irrilevante la mera intenzione, sganciata dal dato di fatto, di scegliere altro luogo di residenza (nella specie, mantenendo ivi consuetudini e rapporti sociali)” (Tar Valle d’Aosta, 20 novembre 1995, n. 172; Riviste: Foro Amm., 1996, 1312). La vicenda solleva, infine, questioni di grande profilo: A. Il nuovo articolo 119 della Costituzione stabilisce che “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome... stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri... dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio”. Pertanto Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni avranno compartecipazioni al gettito dei tributi erariali in rapporto al numero dei cittadini residenti nel loro territorio. Conseguentemente la mancata iscrizione nelle liste dei cittadini residenti comporterà un danno alle entrate di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, B. Chi, lavorando in Lombardia, mantiene la residenza (fittizia) altrove, elude non solo l’articolo 119 della Costituzione e l’articolo 43 del Codice Civile quant’anche l’articolo 25 (I comma) della Costituzione: il suo giudice disciplinare naturale è innegabilmente il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia. C. È da considerare anche l’opportunità che il rapporto del giornalista venga mantenuto con l’Ordine regionale o interregionale ove viene esercitata la professione, anche per stabilire comunque una relazione oggettiva tra il singolo giornalista e la sua attività; D. Tutti i cittadini “hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservare la Costituzione e le leggi” (articolo 54 Cost.). È evidente il significato della delibera 5 luglio 2002 del Cnog: ogni giornalista può ancorare l’appartenenza all’Albo sia in base alla residenza e sia in base al domicilio professionale, ma non può non collocare la sua residenza nella città dove abbia la dimora abituale. GIURISPRUDENZA Residenza fiscale: nozione e presupposti. 1. In tema d’imposte sui redditi, l’art. 2, secondo comma, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 individua, perché sussista la residenza fiscale nello Stato, tre presupposti, indicati in via alternativa: il primo, formale, rappresentato dall’iscrizione nelle anagrafi delle popolazioni residenti, gli altri due, di fatto, costituiti dalla residenza o dal domicilio nello Stato ai sensi del codice civile; ne consegue, pertanto, che l’iscrizione del cittadino nell’anagrafe dei residenti all’estero non è elemento determinante per escludere la residenza fiscale in Italia, allorché il soggetto abbia nel territorio dello Stato il proprio domicilio, inteso come sede principale degli affari ed interessi economici, nonché delle proprie relazioni personali. Né a diversa conclusione conduce la Convenzione tra l’Italia e la Gran Bretagna per evitare le doppie imposizioni (ratificata e resa esecutiva con legge 5 novembre 1990, n. 329), atteso che, ai sensi dell’art. 4 del testo dell’accordo, il concetto di residenza fiscale ben può essere ricollegato, ove non sia possibile l’utilizzazione di altri criteri, al centro degli interessi vitali, ossia al luogo con il quale il soggetto ha il più stretto collegamento sotto il profilo degli interessi personali e patrimoniali. (Sez. V, sent. n. 13803 del 07-11-2001, Dubini c. ministero delle Finanze). ORDINE 9/10 2004 Si deve presumere che la residenza effettiva coincida con quella anagrafica. L’iscrizione anagrafica relativa alla residenza di una persona, ossia all’elemento obiettivo della sua permanenza in tale luogo e all’elemento soggettivo dell’intenzione di abitarvi stabilmente, ha pur sempre valore di presunzione semplice circa la rispondenza della situazione di fatto a quella di diritto, sicché, fermo restando che, pur dovendosi presumere che la residenza effettiva coincida con quella anagrafica, l’efficacia presuntiva delle risultanze anagrafiche risulta superabile con ogni mezzo di prova purché idoneo a dimostrare la volontaria e abituale dimora di un soggetto in un luogo diverso. (Cons. Stato Sez.IV 18-10-2002, n. 5746; Pres. Cons. c. Arianna; FONTI Foro Amm. CDS, 2002, 2377) Il domicilio coincide con la sede principale dove una persona ha stabilito affari e interessi personali. La nozione di domicilio deve intendersi, ai sensi dell’art. 43 comma 1 c.c., come il luogo ove la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi e non vi è dubbio che il riferimento agli interessi della persona ricomprenda tanto gli interessi patrimoniali quanto quelli personali. (Commiss. Trib. Reg. Reggio Emilia Sez.XIX 27-03-2000, n. 16 -L.P. c. Uff. imp. dir. Modena; FONTI GT Riv. Giur. Trib., 2000, 60 nota di Tazzioli). on recente provvedimento (Agenzia delle entrate, Provv. 23/10/2003, G.U., 13/11/2003, n. 264) il direttore dell’Agenzia delle entrate ha attribuito la competenza a emanare i provvedimenti che stabiliscono il domicilio fiscale del contribuente in Comune diverso da quello della residenza anagrafica o della sede legale, al direttore regionale e al direttore centrale dell’Accertamento, a seconda che la variazione intervenga in ambito regionale o tra regioni diverse. La nuova suddivisione delle competenze (la circolare n. 77/1994 operava una distinzione tra le variazioni in ambito provinciale ed extra-provinciale, di competenza rispettivamente del direttore regionale e del direttore del dipartimento delle Entrate) risponde a esigenze di decentramento e di efficienza dell’azione amministrativa. Esaminiamo il procedimento che la legge prevede per dar luogo alla variazione di domicilio. In via preliminare, occorre richiamare l’articolo 58 del Dpr n. 600/1973, in base al quale il domicilio fiscale si intende normalmente fissato, per le persone fisiche, nel Comune nella cui Anagrafe civile sono iscritte, e, per le persone giuridiche, nel Comune in cui si trova la sede legale. C In deroga alla precedente disposizione avente carattere generale, il successivo articolo 59 prevede la possibilità per l’amministrazione finanziaria di stabilire d’ufficio il domicilio fiscale del soggetto nel Comune dove svolge in modo continuativo la principale attività ovvero, per i soggetti diversi dalle persone fisiche, nel Comune in cui è stabilita la sede amministrativa. a variazione può essere altresì disposta a seguito di istanza motivata del contribuente, in presenza di particolari circostanze giustificative, e, in tale ipotesi, l’Agenzia deve emanare i decreti di variazione del domicilio fiscale entro il termine massimo di 180 giorni dalla data di ricezione delle istanze. La ratio dell’articolo 59 risiede nella volontà del legislatore fiscale di agevolare il contribuente quanto più possibile nei vari adempimenti che la normativa tributaria impone, collegando la sua posizione fiscale con l’ufficio locale con il quale vi è effettivamente rapporto più diretto e immediato. È di tutta evidenza, infatti, che consentire al contribuente di avere quale interlocutore l’ufficio nella cui area territoriale di competenza svolge prevalentemente la sua attività sia espressione dell’impegno dell’amministrazione fiscale di rendere quanto meno gravoso il concreto adempimento degli oneri e degli adempimenti tributari. L ur tuttavia, l’utilizzo sempre più consistente da parte dell’Agenzia delle entrate dell’informatica e della telematica, cresciuto in maniera esponenziale in questi ultimi anni, ha fatto venir meno la necessità di una “vicinanza” tra il funzionario tributario e l’attività economica svolta dal contribuente. L’invio delle dichiarazioni e una serie di adempimenti, quali quelli legati all’inizio dell’attività e alle successive variazioni, vengono svolti in via telematica. Inoltre, il contribuente, per ricevere assistenza e consulenza, può rivolgersi al front-office di qualunque ufficio d’Italia o al call center. Ciò ha portato a restringere ulteriormente la nozione di “circostanze eccezionali”, per cui la richiesta dei contribuenti non potrà essere motivata da semplici disagi organizzativi, essendo questi ormai riferibili quasi esclusivamente a soggetti che risiedono all’estero. P nche il provvedimento di variazione del domicilio fiscale attivato d’ufficio, di cui al primo comma del citato articolo 59, deve essere adeguatamente motivato; l’esposizione delle ragioni su cui si fonda il provvedimento sono previste, infatti, nella generalità dei casi, a garanzia della correttezza e della trasparenza dell’azione amministrativa, che deve essere conoscibile, a maggior ragione, per quelle determinazioni che negano una facoltà o che non soddisfano le legittime aspettative del privato. È evidente che in questa ipotesi il motivo che induce l’Agenzia delle entrate a operare il trasferimento è di natura diversa, ed è conseguente a un palese comportamento elusivo del contribuente, senza alcun riferimento a esigenze organizzative. A Agenzia, infatti, è capillarmente presente sul territorio nazionale ed è in grado di operare con efficacia, a prescindere dalla localizzazione fiscale del contribuente. Inoltre le attività istruttorie finalizzate al controllo non necessariamente devono presupporre un collegamento territoriale tra contribuente controllato e ufficio controllante; a ciò si aggiunga che i nuclei operativi della Guardia di Finanza svolgono le proprie verifiche quasi esclusivamente in base alla localizzazione delle sedi amministrative. Pertanto l’Agenzia potrà legittimamente disporre la variazione del domicilio fiscale nei casi in cui rilevi che la fissazione del domicilio in località diversa rispetto all’attività economica esercitata sia strumentale all’ottenimento di particolari vantaggi. L’ Daniela D’Agostino (da www.fiscooggi.it) 7 di Patrizia Pedrazzini E D I T O R I A Si sono svolti a Roma il 14 e 15 settembre gli Stati generali dell’editoria “Più cultura, più lettura, più Paese”. Questo il tema degli Stati generali dell’editoria svoltisi a Roma il 14 e 15 settembre. Due giorni di confronto promossi dall’Aie, l’Associazione italiana editori, tra i rappresentanti dell’intero universo dei contenuti, quelli istituzionali e quelli delle altre forze imprenditoriali, con la partecipazione di politici, economisti, giornalisti, intellettuali. Al centro del dibattito, il libro e l’industria editoriale, quale punto di partenza per una riflessione ben più ampia e orientata a individuare le strategie capaci di far crescere la domanda e l’offerta di lettura e di cultura. Tre le sezioni: “Imparare a leggere, leggere per imparare”, focus sul ruolo della scuola e dell’università; “Promuovere cultura: i libri tra evento e mercato”; “Anche la concorrenza fa sinergia: il libri e gli altri media”. Un evento la cui filosofia ben si riassume nelle parole del presidente dell’Aie, Federico Motta: “Se è vero che il futuro del Paese dipende dalla qualità del suo capitale umano, dalla ricerca, dalla scuola, in una parola dalla sua cultura, allora proprio l’attenzione alla cultura, alla lettura, al libro è l’unico modo per guardare in modo consapevole al futuro”. Strumento di lavoro per lo sviluppo del confronto, il “Libro bianco dell’editoria libraria”, con tutti i dati aggiornati del settore, che qui trattiamo. Più cultura, più futuro. Il libro, Quanto leggono gli italiani? O, meglio, quanti italiani, di età superiore ai 6 anni, mettono mano almeno a un libro (non scolastico) nell’arco di dodici mesi? A voler essere ottimisti, uno su due. Per l’esattezza - secondo dati Istat riferiti al 2002 ed elaborati dall’Aie, l’Associazione italiana editori - il 52,9% della popolazione, con una crescita, rispetto all’anno precedente, dell’1,1%. Editori di libri Di fatto, e volendo guardare la situazione con occhio meno “morbido”, molti meno: il 41,4% (22.834.000 persone). Un valore più che modesto, che colloca l’Italia nelle ultime posizioni a livello europeo, e che viene rafforzato solo dall’aggiunta di quella fascia di lettori che l’Istat definisce appunto “morbidi”: connazionali che dichiarano di leggere esclusivamente gialli, fantascienza, romanzi rosa, fantasy, libri di cucina, manuali. Gli indici di lettura E per fortuna che il 2002 è l’anno nel quale il fenomeno delle vendite di libri allegati ai quotidiani si è manifestato, nel nostro Paese, in tutta la sua ampiezza (nel 2001, tranne che per alcune operazioni sporadiche, era completamente assente dal panorama editoriale), con oltre 44 milioni di copie vendute, pari al 47% delle vendite realizzate attraverso i canali tradizionali, e con un giro d’affari stimabile, a copertina, in 220 milioni di euro. Numeri di tutto rispetto, che tuttavia, raffrontati ai dati sulla lettura, e al loro poco incoraggiante +1,1%, sembrerebbero, come osserva l’Associazione italiana editori, “dare credito a quanti ritengono che, nel loro insieme, le operazioni dei quotidiani abbiano finito per far comprare, e forse leggere, libri a chi già era lettore, invece di allargare in misura significativa il perimetro del mercato”. I libri con il quotidiano Interessante potrà risultare, al proposito, il confronto con i dati Istat sulla lettura riferiti al 2003, ancora non disponibili. Lo scorso anno, infatti, il fenomeno delle vendite di libri allegati ai quotidiani ha subito un’ulteriore accelerazione: si contano non meno di 19 diverse iniziative, con più di 400 titoli e oltre 62 milioni di copie vendute (forse 64 milioni, se si considerano le operazioni condotte da quotidiani locali, di più difficile monitoraggio), con un incremento del 40% e per un valore complessivo di 328 milioni di euro (il 49,1% in più rispetto al 2002). Nel frattempo, il consumo di libri resta contraddistinto, nel nostro Paese, da decise note di povertà. Non può che far riflettere il sapere che sono poco più di 5 milioni le famiglie italiane che avrebbero, in casa, una biblioteca domestica con più di due metri lineari di scaffali. Mentre quelle che superano gli otto si aggirano intorno al 6,5%. Vendite a prezzo di copertina e per canale di libri, cd rom, servizi Valori in milioni di euro e in percentuale 2001 Euro Libreria e cartolibreria: - Scolastico di adozione - Varia, Stm, universitario - Metà prezzo - cd rom - Non book - Vendita a enti, biblioteche 1.702,2 Grande distribuzione: - Libri varia adulti e ragazzi - cd-rom 202,5 Edicola: - Libri varia adulti e ragazzi1 - Fascicoli con supporti allegati - cd rom 420,5 2002 Euro % Euro 48,5 18,2 25,2 2,0 0,8 0,5 1,7 1.720,6 640,7 885,4 68,8 28,3 19,0 60,0 5,6 5,1 0,5 201,4 185,5 17,0 12,0 1,1 9,7 1,1 422,1 39,0 342,0 39,5 Euro 48,3 18,0 25,4 2,0 0,8 0,6 1,6 1.759,0 642,0 901,3 70,2 30,0 19,8 57,3 5,7 5,2 0,4 205,0 186,3 15,1 11,9 1,0 9,8 1,1 408,7 36,7 347,1 38,3 Euro ∆% 652,0 925,0 73,0 31,0 23,0 55,0 +2,2 % +1,6 % +2,6 % +4,0 % +3,3% +16,2% -4,0 % +1,8 % 195,0 +4,7 % 10,0 -33,8% 34,7 -5,4% 339,0 -2,3% 35,0 -8,6 % 16,0 0,5 15,9 0,4 18,0 +13,2% Vendite in book shop e mostre 14,0 0,4 14,5 0,4 17,0 +17,2% Internet (vendita da siti italiani) - Libri - Cd rom (vendita a distanza) Cd rom in pv di elettronica Cd rom in negozi giocattoli, altro 29,0 0,8 0,2 0,6 4,0 0,1 36,5 1,0 0,3 0,7 4,2 0,01 46,5 7,0 22,0 140,0 4,0 Rateale: - Prodotti enciclopedici, Stm - Cd rom consumer - Cd rom e Dvd professionali 409,9 Vendite dirette al pubblico: - Vendite per corrispondenza - Book club 222,0 Vendite dirette a biblioteche, ecc. 12,3 24,2 148,5 0,5 11,7 8,8 0,6 2,2 408,3 310,0 22,5 77,4 6,3 4,1 2,3 224,5 143,0 79,0 152,0 0,5 20,5 +66,7% 26,0 +7,4% +2,4% 11,4 8,8 0,6 2,1 417,0 312,5 22,3 73,5 6,3 4,1 2,3 227,0 144,0 80,5 +1,1% 145,0 +0,7% 82,0 +1,9% +3,7% 315,5 +1,0% 22,0 -1,3% 80,0 +8,8% 65,0 1,9 67,5 1,9 70,0 Vendite per iniziative speciali 115,4 3,3 120,8 3,4 115,0 -4,8% Export 176,5 5,0 180,0 5,1 185,0 +2,8% Totale 3.517,5 100,0 3.555,0 100,0 3.620,7 +1,8% Gli esercizi commerciali Musei, teatri e concerti 8 % Vendite di libri fiere Per non parlare delle librerie, o comunque dei 1.935 esercizi commerciali che si possono in qualche modo definire tali: 820 non vanno oltre i 100 metri quadrati di superficie, il che significa meno titoli, meno autori, meno case editrici, meno scelta per il potenziale lettore. Sono solo 290, in Italia, le librerie che possono contare su una superficie di vendita superiore ai 300 metri quadrati. Quanto ai cosiddetti megastore, non rappresentano che l’1%. Il presidente Motta a colloquio con il collega de Bortoli. In alto, accanto al titolo, Roberto Gulli, Federico Motta, Ferruccio de Bortoli e Stefano Mauri. 2003 Euro E magari fosse solo una questione di libri. Gli italiani non solo leggono poco libri e giornali (39% di lettori nel giorno medio), ma ancora meno frequentano musei, teatri, concerti. Sempre nel 2002 gli ingressi nei musei sono stati 15.820.000: il 39% a gallerie d’arte antica o contemporanea, il 33% a scavi archeologici, il 28% a circuiti museali. Complessivamente, meno di un italiano su tre (il 28%) ne ha varcato i cancelli in dodici mesi, vacanze e fine settimana inclusi. Mentre solo un esiguo 19% della popolazione si è accomodato sulla poltrona di un teatro, e un ancora più esiguo 9% ha ascoltato dal vivo un concerto di musica classica (la percentuale sale al 19% per i concerti di altri generi). Tutti al cinema? Macché: vi ha messo piede, almeno una volta, solo un italiano su due. E allora la domanda non è più e solo dove stia andando il mondo del libro, ma quale futuro attenda, più in generale, tutti i consumi culturali del Paese. Perché, come ha sottolineato lo scorso 20 luglio, presentando a Milano gli Stati generali dell’editoria (vedi riquadro), Federico Motta, presidente dell’Aie e amministratore delegato dell’omonima casa editrice, “i diversi consumi culturali sono tra loro fortemente intrecciati: uno non cresce se non cresce l’altro. Sono intrecciati lungo il percorso di crescita della persona: dalla scuola alla vita adulta. E sono intrecciati tra loro”. I ricavi dell’industria libraria Di qui l’obiettivo di allargare la domanda di cultura, e quindi di lettura, ma partendo dalla consapevolezza del peso che l’editoria libraria - la più antica e, probabilmente, la meno effimera tra le varie modalità di diffusione - ha nel più generale ambito dei contenuti culturali, dell’economia e dello sviluppo del Paese. Con i suoi 3.621 milioni di euro (fra libri, collezionabili, editoria elettronica, coedizioni, export) a prezzo di copertina (+1,8% a valore corrente sul 2002, escluse le vendite di libri allegati a quotidiani e periodici), l’editoria libraria si aggiudica infatti il 31% dei ricavi dell’industria dei contenuti (televisione escluse, per via dei forti introiti pubblicitari), collocandosi seconda solo al comparto della stampa quotidiana e periodiORDINE 9/10 2004 I principali settori dell’industria dei contenuti Valori in euro e in percentuale Valore % 2.362.000.000 22,4% Fieg, IeM, 2002 328.000.000 2.332.000.000 3,1% 22,1% Stima Aie su dati editori Fieg, IeM, 2002 - Stampa quotidiana e periodica (vendite al pubblico) - Libri allegati alla stampa quotidiana e periodica - Ricavi pubblicitari Totale stampa quotidiana e periodica 5.022.000.000 Home video Cinema Musica registrata Videogiochi Cd rom professionali Cd rom consumer e educational Libri 829.000.000 629.380.000 416.000.000 23.645.000 110.000.000 246.000.000 3.264.200.000 7,9% 6,0% 3,9% 0,2% 1,0% 2,3% 31,0% 10.540.225.000 100,0 Accordo Mediaset-Iulm: nasce “Consorzio campus multimedia in.formazione” Note Vhs, Dvd, vendita, noleggio, edicola normal trade IeM su dati Siae (2002) Musica & Dischi (2002) GfK agosto 2002-luglio 20031 IeM, Aie IeM, Aie Aie (esclusi prodotti editoria elettronica) vero digitale terrestre ca, che pure fa derivare dai ricavi pubblicitari circa il 50% del fatturato. Un panorama fatto di luci e di ombre. I numeri della produzione, per esempio. Secondo dati forniti dall’Aie, nel 2003 in Italia sono stati circa 53.000 i titoli pubblicati, e 254 milioni le copie stampate. Tanti? Siamo il terz’ultimo Paese europeo per titoli pubblicati ogni mille abitanti: 0,95. Davanti a noi, quasi tutti: la Francia, (0,97), la Germania (1,01), la Finlandia (1,26), la Svezia (1,45), la Spagna (1,60), il Regno Unito (1,85). Alle nostre spalle, solo il Portogallo, con 0,90 titoli, e la Grecia, con 0,62. Ripartizione della produzione per tipo di edizione Valori in numero di titoli e in percentuali Prime edizioni (novità) 60% Ristampe 35% Provenienza dei titoli In compenso, l’editoria nazionale sembra essere, fra le diverse europee, quella più attenta a proporre autori e titoli provenienti da altre letterature e da altre culture. Nel 2002 il 23% (un valore pressoché identico a quello dell’anno precedente) dei titoli pubblicati in Italia erano traduzioni da lingue straniere. Un’incidenza che, dagli anni Novanta a oggi, non è mai scesa sotto il 22%, con punte che in alcuni anni, come nel 1994, sono arrivate a superare il 25%. L’area dalla quale proviene la stragrande maggioranza dei testi tradotti è quella inglese - che con i suoi 7.906 titoli pubblicati nel 2002 copre da sola il 65% dell’offerta “straniera” -, seguita da quella francofona (1.814 opere) e da quella tedesca (1.126). Ma mentre la tiratura media, sempre nel 2002, di un libro tradotto era di 6.600 copie, quella di un libro di autore italiano continuava, con le sue 4.200 copie, a risultare inferiore del 30-35%. Interscambio con l’estero C’è tuttavia un fatto nuovo, emerso da una recente indagine condotta da Doxa per conto dell’Aie e dell’Istituto per il commercio estero: se fra il 2001 e il 2003 il numero dei titoli acquistati dalle case editrici italiane all’estero è cresciuto del 7%, quello dei titoli venduti è aumentato del 32,2%. Si vendono diritti soprattutto di libri per bambini, illustrati, manuali, di argomento religioso. Solo in un secondo momento vengono la narrativa e la saggistica di cultura. I dati di lettura Dopodiché, si legge più nelle regioni del nord (un italiano su due) che in quelle del sud e nelle isole (tre su dieci); più nelle aree metropolitane (47%) che nei comuni al di sotto dei duemila abitanti (41%), che in quelli fino ai 50 mila (38-39%). E ancora: leggono più le donne degli uomini (il 47% contro il 36%), più i figli dei genitori (nel 2003 il 65% dei bambini di età compresa fra i 5 e i 13 anni aveva letto, nei dodici mesi precedenti, almeno un libro non scolastico). Ma non a caso il 57% del mercato del libro per ragazzi è costituito da genitori laureati o diplomati. Di qui la naturale, e ormai tristemente annosa, chiamata in causa del ruolo della famiglia e di quello della scuola. Il libro nella scuola Quest’ultima, osserva l’Aie, “priva di una coerente politica di promozione del piacere di leggere, ma anche di utilizzo del libro come strumento di lavoro”, nonché incapace di “colmare i ritardi derivanti da contesti culturali meno favorevoli in famiglia”. “Il manuale scolastico, di sicuro, non è sufficiente”, ha detto, nell’incontro milanese, il vice presidente dell’Aie, e amministratore delegato PBM Editori, Roberto Gulli, auspicando che, nell’ambito della riforma scolastica, venga prevista, alle superiori, la lettura obbligatoria di testi di narrativa, come già avviene all’estero. Quanto alla famiglia, i piccoli italiani - come nota l’Aie, su dati Doxa Junior - abiteranno anche in case con pochi libri, ma certo non si fanno mancare niente quanto a tecnologie. Il 94% delle famiglie ha un videoregistratore, che oltre la metà dei bambini (il 53%) usa almeno una volta alla settimana; il 19% ha un lettore dvd; il 58% una consolle per videogiochi; il 63% un computer, cui accede il 48% dei figli. Soprattutto, naturalmente, per giocare (il 39%). La diffusione di Internet E Internet? Vi si collegano il 45% dei ragazzini di 10-11 anni (il 20% lo utilizza anche) e il 48% di quelli fra i 12 e i 13 (35% di utilizzatori). Mentre il 38% usa abitualmente un telefono ORDINE 9/10 2004 Edizioni successive 5% Ripartizione della produzione di titoli per fasce di prezzo Valori in numero di titoli e in percentuali 16,60% oltre 26 euro 23,60 da 15,50 a 26 euro 23,10% fino a 7,75 euro 36,60% da 7,75 a 15,50 euro cellulare e il 27% lo possiede personalmente, impiegandolo in massima parte (il 76%) per inviare e ricevere sms. Che cos’ha a che fare, tutto questo, con la lettura? Nulla, ovviamente. Il che tuttavia non significa, e non deve significare, una sorta di contrapposizione fra i buoni, vecchi libri da una parte e le insidiose, avverse tecnologie dall’altra. Perché, anzi, il corretto consumo di queste ultime - laddove per tecnologie non si intendano il ricorso permanente al telefonino o l’uso esasperato della posta elettronica - è, rileva l’Associazione italiana editori, “più alto e diffuso in quegli stessi Paesi europei in cui sono più alti, ancora una volta, gli indici di lettura dei libri e dei giornali”. I nuovi media Lo scenario, allora, si amplia, in una sorta di affresco globale nel quale forze diverse concorrano e facciano sinergia, crescendo anche attraverso la competizione. Senza paure e senza pregiudizi. “Siamo convinti - ha detto intervenendo alla presentazione milanese il vice presidente dell’Aie, e amministratore delegato RCS libri, Ferruccio de Bortoli - che l’arrivo di nuovi media non distragga dalla lettura, anzi la incoraggi, che la grandissima evoluzione tecnologica non rappresenti un rischio per la creatività, che l’affermarsi di nuovi linguaggi, come per esempio quello dei telefonini, finisca non per impoverire, ma per arricchire la nostra lingua, ovviamente modificandola”. Sì allora alle sinergie, con la dovuta attenzione. “Per essere - sono sempre parole di de Bortoli - cittadini globali senza perdere i contatti con le proprie radici e la propria appartenenza”. La vitalità del libro Che si chiama, anche e soprattutto, libro. “È il libro - ha osservato Stefano Mauri, consigliere dell’Aie e amministratore delegato Longanesi & C. - il vero digitale terrestre. Cinquecento anni dopo, sempre vivo e amato. Non ha bisogno di un decoder, ma di fiducia sì”. Patrizia Pedrazzini Milano, 29 giugno 2004. Dall’intesa tra il Gruppo Mediaset e Università Iulm prende il via il Consorzio Campus Multimedia in.Formazione, un polo di eccellenza per la formazione e la ricerca nel digitale, nei media e nella comunicazione. I primi Master di alta formazione realizzati dal Campus partiranno con l’anno accademico 2004-2005: il Master in Giornalismo, riconosciuto dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti, e il Master in Management multimediale che hanno l’obiettivo di formare rispettivamente giornalisti e manager in grado di operare nel mercato del lavoro del settore multimediale e dell’informazione. “In questo nuovo progetto si incontrano il sapere accademico e l’esperienza dell’imprenditoria multimediale di Mediaset” ha dichiarato il rettore dello Iulm Giovanni Puglisi durante la conferenza stampa di presentazione. “Prendendo spunto dal monito del presidente di Confindustria Montezemolo il sistema Paese, le imprese si incontrano col mondo dell’università”. “La nostra intesa con l’Università Iulm si è decisamenterafforzata quest’anno: l’idea è quella di mettere assieme per la prima volta un autorevole polo universitario milanese e una squadra multimediale di eccellenza” ha dichiarato il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, che ha voluto ancora una volta sottolineare l’importanza nelle attività di tutti i giorni delle tecnologie e del digitale terrestre in particolare. “Il digitale terrestre è la nuova frontiera, noi ci crediamo, lo faremo” ha detto Confalonieri. Tra le aziende che partecipano al progetto: Enterprise Digital Architects, Dmt, Medusa, Mondadori, Sole 24 Ore, Txt e Wind. (Apcom) Costa: “Mondadori investirà 20 milioni in 3 anni per lo sviluppo di Radio 101” Roma, 3 settembre 2004. Rilancio di Radio 101 per farla diventare un network nazionale e sviluppo dei periodici in Spagna e Centro Europa sono fra i progetti di espansione del gruppo Mondadori. Lo ha detto in un’intervista al Sole 24 Ore il vice presidente e a.d. del Gruppo editoriale, Maurizio Costa, sottolineando l’obiettivo di voler rafforzare Radio 101 con “investimenti di oltre 20 mln in 3 anni dedicati alla copertura sul territorio e al rilancio sia in termini di advertising che di nuovi progetti”. Il Gruppo editoriale di Segrate ha versato 42 milioni di euro per acquisire l’emittente, che era sottoposta a sequestro giudiziario. (Mf-Dj) Giovanni Sartori vince la XIV edizione del premio PEN Milano, 4 settembre 2004. Dopo lo scrutinio pubblico delle schede di voto dei soci PEN, è risultato in testa, con 436 voti, il nome di Giovanni Sartori, con il suo libro Mala tempora (Laterza), a cui andranno i 2.600 euro del premio. Mala Tempora: dieci anni di malaffare politico nelle analisi lucide e graffianti di uno dei massimi studiosi della politica del nostro tempo. Al Premio letterario PEN (noto anche come "Lo scrittore votato da scrittori") sono giunti in finale quest’anno anche Matteo Collura, con In Sicilia; Raffaele Crovi, con Appennino; Sergio Ferrero, con Il cancello nero, e Margherita Hack, con Dove nascono le stelle. Come sempre il premio PEN (presieduto da Lucio Lami) rivela le tendenze del momento e quest’anno ha visto per la prima volta in finale più titoli di saggistica che di narrativa. 9 IRAQ La strage dei reporter: i terroristi non vogliono testimoni scomodi Enzo Baldoni nella foto conservata nell’archivio personale dell’Ordine. Le altre immagini lo ritraggono nella sua ultima “missione”. Al centro (in basso) è fotografato con Muhammed, il mutilato iracheno curato e seguito dal freelance milanese. Enzo Baldoni, pubblicitario e giornalista “Io viaggio per la pace” vacanze ad alto rischio, Baldoni è diventato anche freelance per vocazione, pronto a raccontare su Linus, Specchio della Stampa, Venerdì di Repubblica le sue esperienze in giro per il mondo. Una vocazione nata per caso, nel 1996 in Chiapas, Messico. Baldoni conobbe il subcomandante Marcos, e da quel sodalizio nacque l’amore per il reportage. Un amore che lo portò nelle fogne di Bucarest e in Birmania a testimoniare lo sterminio dei Karen. Andò poi vedere i massacri di Timor Est, e le sofferenza nel lebbrosario di Kalaupapa. Baldoni mangiò riso e ranocchi con la portavoce dei ribelli Aye Aye Khing, si perse nella giungla thailandese alla ricerca dei fratelli Htoo, i gemellini di 12 anni che guidano l’Esercito di Dio vantando poteri miracolosi. In Colombia finì in un campo di guerriglieri delle Farc, conobbe una comandante sul cui capo pendeva una taglia di un milione di dollari, intervistò la cupola del movimento guerrigliero. Due anni più tardi, sempre in Colombia, venne sequestrato da un paio di ragazzini col mitra e riuscì a farsi liberare diventando amico del comandante che aveva ordinato la sua cattura. Per giustificare questa sua passione tardiva, una volta disse: “Qualcuno pensa che io sia un mezzo Rambo che ama provare emozioni forti, vedere la gente morire e respirare l’odore della guerra come Benjamin Willard l’odore del napalm la mattina in “Apocalypse now”, invece sono lontano mille miglia da questa mentalità, molto semplicemente sono curioso. Voglio capire cosa spinge persone normalissime a imbracciare un mitra per difendersi”. Già, Baldoni era anzitutto un uomo curioso. Eppure si descrive come un gran pigro, che viaggia per caso, quando proprio non può farne a meno, sull’onda delle coincidenze. In Iraq Baldoni era arrivato per la prima volta un paio di settimane fa, con un accredito di Diario. “Non ho una particolare paura della morte, l’ho conosciuta abbastanza bene. Alla mia sono andato vicino un paio di volte”. Fino a quando la sua passione non l’ha spinto tra le braccia dei suoi assassini. di Pietro Del Re (www.repubblica.it-27 agosto 2004) Un uomo di pace. Questo era Baldoni, come hanno cercato di spiegare i figli Guido e Gabriella, nell’appello lanciato ai suoi sequestratori. Ma era anche un uomo che la voglia di raccontare aveva spinto nei punti più caldi del pianeta, senza biglietti di prima classe né alberghi prenotati, senza scorte armate né giubbotti antiproiettile. Per capire chi fosse Baldoni basta leggere il suo autoritratto: “Non c’è niente da fare: quando uno è ficcanaso, è ficcanaso. È insopprimibilmente curioso, gli interessano i lebbrosi, quelli che vivono nelle fogne, i guerriglieri. E poi non gli basta fare il pubblicitario, deve occuparsi anche di critica di fumetti, di traduzioni, di temi civili e perfino di cose un sacco zen”. Nella sua vita precedente, prima che la passione del reportage lo inghiottisse, era uno dei più creativi pubblicitari d’Italia, fondatore dell’agenzia “Le Balene colpiscono ancora”. Era alto (1,86 metri) e robusto (un quintale di peso), Baldoni. E aveva il dono della simpatia. Chi l’ha conosciuto lo descrive come un idealista, un sognatore. Una persona generosa, cordiale e altruista: carica d’umanità. Era nato nel 1948 a Città di Castello. Sposato e padre di due figli di 21 e 24 anni (la famiglia vive in Sicilia), Baldoni lavorava da tempo a Milano. All’attività di pubblicitario è arrivato però dopo aver fatto, si legge nel suo sito, “il muratore in Belgio, lo scaricatore alle Halles, il fotografo di nera a Sesto San Giovanni, il professore di ginnastica, l’interprete e il tecnico di laboratorio chimico”. Fu Emanuele Pirella a fargli capire che “fare il copy è meglio che lavorare”. Tra le sue campagne televisive più note, quella del rasoio per uomini sensibili, in grado anche di “fare la barba” a un palloncino senza farlo scoppiare. Tra le sue trovate più famose c’è la rondine dell’acqua minerale San Benedetto. Traduttore di fumetti, appassionato di Zen, amante delle Delitti senza castigo Generosità e terrore di Igor Man (da La Stampa del 28 agosto 2004) L’assassinio di Enzo Baldoni, raro Don Chisciotte italico travolto dai feroci mulini mossi dal vento del fanatismo, trasforma in certezza un sospetto: sì, siamo pericolosamente prossimi al buco nero d’un medioevo postmoderno. Si annunciò in Vietnam sparigliando le regole antiche della guerra: non più duello di due nemici certi e visibili ma oscena partouse di delitto (senza castigo) e di ideologia bugiarda. Spaccò la partitura del concerto bellico in Somalia, per quindi invadere con una gigantesca flebo di orrori himmleriani la regione balcanica, nel contempo travasandosi nell’Algeria della galassia islamista, per infine tracimare l’Afghanistan pista di lancio degli stupratori delle Torri Gemelle. «È la Pearl Harbor del Tremila»: così classificammo l’incredibile attentato nella presunzione che, come gli Stati Uniti di Roosevelt, gli attuali, dopo essersi leccate le umilianti fe- 10 rite, sarebbero passati al contrattacco, consegnando all’Occidente gli apprendisti stregoni plagiatori dei piloti suicidi, nel segno della vittoria del Bene sul Male. Allora, l’America di Roosevelt sapeva esattamente chi fosse (e come fosse) lo sfidante e fu subito duello destinato a infinitamente durare se uno square di Kansas City non avesse avuto il barbaro coraggio di tirare lo zip atomico. Il fungo di Hiroshima voluto da Truman venne assolto da vinti e vincitori e ciò permise quell’equilibrio del terrore alla cui ombra cominciò la ricostruzione del mondo. Il vuoto aperto dal declino delle potenze colonialiste (Francia, Gran Bretagna) venne colmato, per la forza d’inerzia della Storia, dal potente Impero Nuovo: gli Stati Uniti. Ma nel Dna della Superpotenza c’è la lotta contro l’Impero britannico, contro il colonialismo sicché riesce difficile agli Usa esercitare il cini- smo ineludibile che fu degli Inglesi, per esempio nei Trenta quando la Mesopotamia era un inferno.Trasformato in purgatorio dagli inglesi dopo un lunghissimo tempo intriso di studiata repressione e di alta politica. L’incapacità genetica degli Usa, coniugata con la presunzione del primo della classe, sono all’origine della attuale crisi del Superimpero in Iraq. Nel caos attuale che tuttavia non vieta il «successo finale», volano fatalmente gli stracci. Quelli sporchi, quelli puliti: entrambi condannati alla rovina. Stracci: uomini mossi dall’odio e dall’ignoranza ovvero dalla volontà di dar testimonianza d’amore verso chi soffre. Come il nostro collega Baldoni, Don Chisciotte italico che non era un crapone né un esibizionista. Bensì un idealista. La sua estrema testimonianza non merita, dunque, sarcasmi né retromarce ipocrite. Pretende pietà, rispetto. di Sergio Romano (dal “Corriere della Sera” del 27 agosto 2004) Non è facile parlare della morte di un uomo che si è rivolto con grande compostezza ai suoi connazionali di fronte a una telecamera due giorni fa, e a cui i figli hanno inviato un coraggioso saluto nelle scorse ore. Fra i tanti orrori della guerra irachena, il massacro di Enzo Baldoni è per noi un tragico, incomprensibile lutto italiano. Baldoni non era né un soldato né il dipendente di una ditta straniera. Era un testimone compassionevole, in parte reporter, in parte operatore umanitario. Se non fosse stata troppo usata, soprattutto fra i musulmani, la parola martire è forse quella che potrebbe meglio figurare sulla sua tomba. A noi resta il compito di comprendere, per quanto possibile, la logica della sua uccisione. Sappiamo che nel campo della rivolta esiste, accanto ad alcuni gruppi meglio conosciuti, una ga- lassia di formazioni minori di cui è difficile analizzare composizione e ideologia. È probabile che alcune di esse siano politiche, decise a dimostrare la loro destrezza per meglio conquistare autorità. Ed è probabile che altre siano più semplicemente bande criminali, attratte soltanto dal prezzo del ricatto. Politici o predoni, tuttavia, i rapitori di ostaggi hanno obbedito sinora a una logica relativamente comprensibile. Hanno catturato personale delle società di sicurezza, come nel caso di Quattrocchi e dei suoi amici, perché potevano sostenere che i prigionieri erano complici degli americani. E si sono impadroniti di impiegati di società straniere per costringere i datori di lavoro a lasciare il Paese o pagare in denaro la loro libertà. Nel caso di Baldoni questa logica sembra completamente assente. Dopo le dichiarazioni del suo settima- nale era evidente che egli non era «negoziabile». Il governo non avrebbe mai potuto cedere e il settimanale avrebbe potuto semplicemente promettere ciò che Baldoni faceva da tempo con una straordinaria carica di ingenuità e di entusiasmo: un appassionato lavoro giornalistico e umanitario. Non basta. La morte è giunta mentre i due maggiori esponenti della comunità sciita sembrano avere concluso a Najaf una sorta di armistizio e aperto qualche tenue prospettiva di pace. A qualcuno sembrerà forse che Baldoni sia morto per nulla. A noi sembra che sia morto per restare fedele al proprio personaggio in un mondo in cui la generosità e la fantasia vengono ogni giorno disprezzate e calpestate. ORDINE 9/10 2004 D E O N T O L O G I A La fatica di piazzare notizie che gli altri non hanno, da posti in cui magari gli altri non vanno ce n a el Fre Una tribù nomade a caccia di scoop Francesco Battistini (dal Corriere della Sera del 22 agosto 2004) BAGDAD - I voli Milano-Londra a 10 euro sono roba da dilettanti. Nelle zone di guerra, esiste una tribù nomade che s’arrangia con meno: s’infila sugli aerei del World Food Programme, dorme in case d’amici per caso, mangia quando capita e si gioca la pelle per un pezzo, uno scatto, una ripresa. Antonio Russo, il reporter di Radio Radicale ucciso in Georgia, era uno capace d’alloggiare due settimane in un campo profughi kosovari, sotto le tende, o di partecipare alle imboscate militari dell’Uck o di stare nascosto, unico, nelle case albanesi di Pristina durante la pulizia etnica serba. Raffaele Ciriello, il fotoreporter ammazzato a Ramallah, spariva coi pastori sulle montagne dell’Afghanistan e correva dietro ai tanzim dell’intifada ed è morto per aver voluto guardare con l’obbiettivo nella bocca di fuoco d’un tank israeliano. Li ha dimenticati in fretta chi non li conosceva, perché Russo e Ciriello non erano della casta eletta che si premia a ogni trasferta: una conferenza stampa dei radicali per chiedersi chi abbia voluto la fine di Antonio, una lapide palestinese dove il nome di Raffaele è perfino scritto sbagliato.Pace e amen. Vita da freelance. Quelli pagati ad articolo o a collegamento, più ne fai più guadagni, le spese di solito escluse, la fatica di piazzare merce che gli altri non hanno da posti in cui gli altri magari non vanno. Da quando hanno decapitato Daniel Pearl, firma del Wall Street Journal, gli inviati mettono piede in Pakistan se proprio si deve: inglesi e americani, la stessa Cnn usano i locali, così come facevano i francesi nell’Algeria degli sgozzamenti o com’è nell’impossibile Mogadiscio.Tutti freelance, coi contatti giusti e la rapidità che serve, a volte one man band che in un giorno riscrivono lo stesso pezzo per quattro o cinque testate. Rischiano parecchio, i freelance. E vanno anche al di là del troppo. Ce n’è che cominciano a metà del cammino, vedi Enzo Baldoni che fino a 50 anni faceva solo il pubblicitario o Franco Pagetti, allievo del grande Natchwey, passato dai clic patinati alle morgue irachene. E ce n’è di più giovani, Barbara Schiavulli, una collega che da Gerusalemme a Haiti, da Kabul a Bagdad non si perde una crisi e riesce a «coprire» sul posto anche per un innegabile vantaggio: è di pelle creola e tratti orientaleggianti, l’ideale per passare inosservati nella caccia all’occidentale di Najaf o di Falluja. I freelance per eccellenza sono i fotografi, Mauro Sioli o Livio Senigallesi, obbligati alla corsa a ostacoli d’una tecnologia che fa arrivare in tempo reale le immagini di tutto: «Entrare in concorrenza con le grandi agenzie non ha senso - dice Pigi Cipelli, base a Milano e anni di reportage dai Balcani all’Iraq -. Più che puntare su immagini che mostrano l’avvenimento, meglio andare su quelle che lo spiegano». Come girare in pattuglia di notte, per le vie di Bagdad: gli occhi atterriti d’un arrestato, lo sguardo spaventato uguale d’un marine. Avere qualcosa di più. Per questo si può morire: capitò ad Almerigo Grilzz, 1987, Mozambico. O ci si può andare vicini, come Fausto Biloslavo e Gian Micalessin, «storici» freelance che sono stati colpiti (Fausto in Afghanistan) o hanno rischiato: partito in macchina da Bagdad per Nassiriya, poche settimane fa, Gian è incappato in un posto di blocco di sadristi e solo la prontezza del suo autista («sdraiati, fingi di dormire, dirò io che sei un giordano!») gli ha salvato la pelle. Qualche volta, con la tribù nomade, sbarcano anche i turisti della guerra: signore annoiate, esaltati, autentici psicopatici. A Sarajevo, ci fu un tale che s’inventò d’essere stato rapito. Tornò a casa, si prese due ceffoni dalla mamma e capì la lezione. Non s’è più visto. Giornalisti nella storia - I nostri martiri Una sezione del sito dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia viene riservata a 14 giornalisti ammazzati dallo squadrismo fascista, dal terrorismo rosso, dal terrorismo internazionale, dalla mafia e dalla camorra. Questa la galleria dei martiri: Giovanni Amendola Piero Gobetti Carlo Casalegno Walter Tobagi Guido Puletti Ilaria Alpi Maria Grazia Cutuli Antonio Russo Enzo Baldoni Mauro De Mauro Mario Francese Giuseppe "Pippo" Fava Giancarlo Siani Giuseppe "Beppe" Alfano Abruzzo: “Baldoni tra i martiri del giornalismo” ORDINE 9/10 2004 Tutti facevano giornalismo investigativo o d’inchiesta oppure esprimevano posizioni fortemente critiche, chi sul fascismo (Amendola e Gobetti), chi sul terrorismo (Casalegno e Tobagi) o sulle zone calde del pianeta (Guido Puletti in Bosnia, Ilaria Alpi in Somalia, Maria Grazia Cutuli in Afghanistan, Antonio Russo in Cecenia, Enzo Baldoni in Iraq) , altri sulla mafia o sulla camorra (De Mauro, Francese, Fava, Siani e Alfano). L’obiettivo dell’iniziativa è quello di preservare la memoria di questi 14 giornalisti, che hanno scritto ognuno una pagina importante nella storia della nostra nazione, e che sono un esempio di alta coscienza civile da additare ai giovani. Non bisogna dimenticare il loro sacrificio. I giornalisti italiani possono arricchire questa sezione del sito, spedendo saggi e articoli all’indirizzo e-mail [email protected]. Milano, 27 agosto 2004. - “L’Ordine piange un ottimo collega, simbolo di abnegazione e impegno civile. È un peccato averlo perso... l’Albo dei giornalisti oggi è più leggero”. Con queste parole Franco Abruzzo, presidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, commenta l’assassinio del pubblicista Enzo Baldoni, iscritto all’Albo dal 16 settembre del 1985. “L’Ordine lombardo - continua - ha inserito Enzo fra i martiri del giornalismo, ammazzati dallo squadrismo fascista, dal terrorismo rosso, dal terrorismo internazionale, dalla mafia e dalla camorra. Questo elenco, corredato dalle biografie, è nel sito web del nostro ente”. (Adnkronos) Le relazioni perverse tra i protagonisti dell’informazione la cassa integrazione. Ideale sarebbe essere inviati dalla testata a congressi indipendenti e almeno internazionali. E ricevere in ufficio i Mi occupo di divulgazione scientifica, e in testi delle cartelle stampa (non gli inviti, che particolare di medicina (gli altri argomenti, per lo più non aggiungono nulla a eventuali come psicologia e affini, non interessano cartelle stampa fatte bene) per poterle leggeeconomicamente nessuno), per una testata re con calma e in modo critico. Purtroppo ciò interessante per gli uffici stampa perché non avviene. Ma forse non sempre ci accorvende più di 700 mila copie al mese. giamo di quanto l’ospitalità munifica degli Gli inviti mi giungono prevalentemente da uffici stampa, la loro cortesia, la loro generoaziende farmaceutiche, ma anche da cliniche sità, influenza il nostro lavoro. Il Coordinaprivate e di produttori di tecnologie biomedimento per l’integrità della ricerca biomedica che. Gli inviti sono a congressi, convegni, ha inviato recentemente un questionario a simposi, inaugurazioni di filiali, presentazione 121 giornalisti medico-scientifici. Hanno di “grandi scoperte della medicina” che si risposto solo uno su tre (32%). svolgono a volte a Milano (dove è la sede del Di questi il 38% riconosce che l’essere ospiti giornale) altre a Roma, ma abbastanza spesha influenzato l’articolo scritto; il 13% che so, soprattutto in primavera e autunno, in esiste una relazione tra munificenza dell’olocalità amene, a volte addirittura esotiche, spitalità e orientamento dell’articolo; il 30% oppure grandi capitali europee o americane. che ha subito pressioni per la pubblicazione Le parti coinvolte nel della notizia al ritorno dal viaggio stampa sono congresso; il 13% di PER SAPERNE DI PIÙ quattro: l’ufficio stampa basarsi solo sulla docudell’azienda ospite; i relamentazione degli uffici Marco Bobbio: Giuro di esercitori, i giornalisti, la testata stampa. Questi non sono tare la medicina in libertà e indiche hanno interessi diverarticoli giornalistici, ma pendenza, Einaudi 2004 si. Ho provato ad analizpubblicità occulta. Maurizio Paganelli, Congressi o zarli. Quello che emerge è un vacanze (Salute di Repubblica giornalista che spesso si 20 febbraio 2003 p. 10). 1. L’ufficio stampa deve abbassa a fare il divulgaChi fa la regia della stampa di fare gli interessi dell’atore passivo, che fa da settore? (Il Sole 24 Ore sanità 4zienda che rappresenta, megafono degli interessi 11 novembre 2003 pp. 16-17). per la quale quel viaggio di chi lo ospita. è un’operazione di markeSiamo quindi noi che non ting pubblicitario. Lo scosappiamo fare il nostro po delle aziende farmaceutiche è avere bilanlavoro, non gli uffici stampa. Penso che il ci in attivo, non perdere quote di mercato e settore farmacologico, che può danneggiare pagare i dividendi agli azionisti. L’obbligo quinla salute dei lettori, sia il più critico, ma non di è di risultati, non di mezzi. Non hanno penso che un viaggio turistico, o la presentanessun obbligo di essere obiettivi sottolineanzione di un prodotto delle tecnologie come do masochisticamente gli effetti collaterali dei un telefonino o altro abbiano minore influenfarmaci. La loro informazione quindi deve za sulla deontologia. Se tutti fossimo più indiessere di parte: i relatori saranno scelti in pendenti e più critici, gli uffici stampa non questa ottica, e i giornalisti ospiti pure saranpotrebbero scegliere fra giornalisti più o no scelti fra coloro che in passato hanno meno influenzabili. Saremmo tutti altrettanto dimostrato di poter pubblicare la “notizia” indipendenti. Ma soprattutto solo così come è stata presentata, meglio senza agpotremmo dirci giornalisti. giunte critiche, su una testata interessante, tale da garantire ricadute. 4. Mi dicono che nelle redazioni i direttori e i Per esperienza, se le mie premesse sono vice direttori usano i viaggi stampa per corrette, gli uffici stampa sanno fare benissipremiare la fedeltà dei giornalisti alla linea del mo il loro lavoro. direttore. In questo caso chi si vende è non solo il direttore, ma anche il giornalista che 2. I relatori, cui viene offerta una munifica invece di andare a lavorare duramente in una ospitalità e pagata la prestazione professiotrasferta (altrimenti perché ricevere in busta nale, certo non saranno così ingrati da elenpaga il diritto di trasferta?) va a fare una care i lati negativi di un farmaco, o le lacune pubblicità occulta. Non si tratta di reati punibili di una tecnica. Inoltre sono costretti ad essedal codice penale e visto che tutti sono d’acre molto gentili nella speranza che sia financordo neppure con il codice civile. Ma sicuraziata una loro ricerca o la borsa di studio di mente l’Ordine dovrebbe vigilare di più i uno specializzando, manna viste le attuali rapporti fra uffici stampa e giornalisti, e mettecondizioni di asfissia della ricerca italiana. re delle regole sui viaggi stampa. Cominciamo ad essere sbeffeggiati su libri e giornali. Si 3. Noi giornalisti scriviamo (o dovremmo scrifavoleggia di viaggi di una settimana in locavere) per i nostri lettori. Se la testata è in attilità per pochi ricchi per decantare i supposti vo è il lettore che ci paga lo stipendio. Se vantaggi di farmaci già rivelatisi una bufala l’informazione non è fatta bene, nel suo intedalle pubblicazioni scientifiche accreditate. resse, cercherà sul mercato qualcosa di più *Coordinatrice del gruppo “Etica e Inforattendibile: la testata rischia la chiusura e noi mazione” di qp-Senza Bavaglio di Amelia Beltramini* 11 RELAZIONE DELL’AUTORITÀ GARANTE DELLE COMUNICAZIONI Roma, 9 luglio 2004. I ricavi della Rai sono in crescita marginale, quelli di Mediaset aumentano più alla media di mercato, mentre Sky fa segnare un significativo + 18%, Sono questi alcuni dei dati snocciolati da Enzo Cheli, presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, nel corso della presentazione della Relazione annuale sull’attività svolta dalla cosiddetta “Agcom”. Il Garante, però, ha avuto anche modo di sottolineare come la concessionaria pubblica continui ad essere l’impresa televisiva più rilevante sul mercato, mentre Mediaset segue con un leggero aumento rispetto all’anno precedente. Congiuntamente, però, le due emittenti assorbono il 74,3% dei ricavi complessivi, nonché l’86,5% delle risorse del mercato pubblicitario. Insomma, ci si trova di fronte ad un vero e proprio duopolio. Il bilancio del Garante, che sembra rispondere a distanza alle considerazioni di Tesauro dei giorni scorsi, è più positivo nel settore delle telecomunicazioni. L’Italia, sostiene Cheli, si colloca “da due anni a questa parte, in una delle posizioni più avanzate del contesto europeo, sia in termini di sviluppo che di concorrenzialità”, “dato questo che viene a trovare conferma, da un lato, nella costante riduzione delle quote di mercato dell’operatore dominante, dall’altro, nel fatto che nel nostro Paese, in pochi anni, si sono potuti affermare, nella telefonia fissa, il maggiore secondo operatore europeo, e, nella telefonia mobile, un terzo operatore che, nel panorama comunitario, tende a sopravanzare gli operatori terzi entranti dagli altri Paesi”. La relazione si conclude con una richiesta alle autorità politiche: “Se crediamo, infatti, nell’utilità del ruolo assegnato alle autorità amministrative di garanzia più direttamente impegnate sul fronte della difesa dei diritti connessi allo sviluppo dei processi economici, occorre mettere questi soggetti in condizione di funzionare, con mezzi adeguati alla delicatezza e al rilievo costituzionale delle funzioni esercitate, nonché al tasso di indipendenza richiesto a chi è chiamato ad esercitarle”. Al duopolio tv l’86,5 Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni. Relazione annuale sull’attività svolta e sui PREMESSA L’anno appena trascorso è stato per il mondo della comunicazione e dell’informazione un anno cruciale, che ha fatto registrare, sia a livello europeo che nazionale, un mutamento profondo nel tessuto delle regole destinate a guidare i vari settori di questo comparto. A livello europeo, le novità maggiori sono emerse con l’entrata in vigore, nel luglio dello scorso anno, delle cinque direttive sulla “comunicazione elettronica” approvate, a conclusione di un lungo processo di revisione della preesistente legislazione comunitaria, dal Parlamento e dal Consiglio europei, direttive completate da altri atti connessi, quali la direttiva sulla concorrenza nel mercato delle reti e dei servizi e la raccomandazione sui mercati rilevanti. Come avemmo già modo di accennare nella Relazione dello scorso anno, questo nuovo quadro regolamentare ha segnato, per molti aspetti, un vero punto di svolta rispetto al passato. Al livello nazionale, le novità più rilevanti sono derivate dal varo di due leggi organiche (o di sistema), quali il Codice delle comunicazioni elettroniche approvato con il D.lgs. 1° agosto 2003, n. 259 e la legge 3 maggio 2004, n. 112 [1], in tema di riassetto dell’intero sistema radiotelevisivo pubblico e privato. Attraverso il Codice delle comunicazioni elettroniche sono state recepite con puntualità le nuove direttive europee e sono state definite le sfere di competenza del ministero delle Comunicazioni e dell’Autorità. Attraverso la legge n. 112 del 2004 maturata dopo un lungo e contrastato percorso parlamentare si è cercato di dare basi nuove all’impianto del sistema radiotelevisivo, alla luce delle trasformazioni tecnologiche in atto, anche al fine di offrire una risposta alla giurisprudenza della Corte costituzionale e agli indirizzi espressi nel messaggio del Presidente della Repubblica del 22 luglio 2002, in tema di pluralismo. In virtù di questo nuovo quadro si può, dunque, dire che, tanto a livello europeo che nazionale, una stagione si è chiusa ed un’altra si è appena avviata, i cui sviluppi possibili restano ancora in gran parte indefiniti, data la varietà e la complessità dei fattori tecnologici, economici e sociali che le nuove discipline stanno ponendo in gioco. L’Autorità si trova, di conseguenza, oggi, impegnata, nell’ambito delle sue competenze, a dare attuazione a questo quadro e ad adeguare, alla luce delle novità introdotte, le proprie attività di regolazione e di controllo. 1 Ma al di là delle regole, mutamenti consistenti sono venuti a emergere, nel corso dell’anno, anche sul piano dei processi economici. Sviluppando un percorso già iniziato nel 2002, il mercato Ict è tornato, infatti, ad assumere il ruolo di driver della ripresa economica in quasi tutto il mondo. È vero che la crescita del mercato mondiale delle telecomunicazioni risulta ancora limitata, nel 2003, al 2,9% (con un volume pari a 915 miliardi di euro), ma le previsioni per il biennio 2004-2005 si presentano decisamente più incoraggianti, con un’attesa di crescita pari al 4,1% per il 2004 e al 4,8% per il 2005. Esistono, d’altro canto, a livello mondiale, chiari segnali che possono indurre ad un ragionevole ottimismo, quali quelli che si collegano agli sforzi di risanamento compiuti dai principali operatori telefonici, all’atteggiamento più favorevole dei mercati finanziari, alla dinamicità e innovatività del settore della telefonia mobile, alla crescita veloce e consistente della banda larga e delle nuove applicazioni ad essa legate. Dal canto suo, la Commissione europea ha previsto, per il 2004, un tasso di crescita del settore destinato a collocarsi tra il 3,7% ed il 4,7%, in ragione di un ulteriore sviluppo della telefonia mobile (anche attraverso l’avvio dell’Umts), di una crescente diffusione della banda larga, di un incremento delle linee d’accesso disaggregato alla rete locale. E questo nonostante talune difficoltà che tuttora permangono nella telefonia fissa, dove, peraltro, la quota di mercato degli operatori storici seguita ancora a decrescere a favore degli operatori alternativi. Tutto induce, dunque, a ritenere che i mercati in cui si articola il mondo della comunicazione abbiano ormai imboccato, in virtù delle spinte indotte dai processi di digitalizzazione in atto, l’uscita definitiva dal tunnel di quella crisi che, a livello mondiale, si era aperta, dopo la grande euforia degli anni ‘90, all’inizio del nuovo secolo. 2 12 LE AZIONI SVOLTE DALL’AUTORITÀ NEL CORSO DELL’ANNO Entro questo quadro, segnato da tanti fattori di mutamento, si collocano gli interventi che l’Autorità, nel corso dell’anno, ha sviluppato nei settori delle telecomunicazioni, della radiotelevisione, dell’editoria, delle nuove tecnologie della comunicazione. Mi limito, in questa sede, a richiamare soltanto alcune delle decisioni più rilevanti, rinviando per un quadro più completo al testo esteso della Relazione annuale. 3 4 Nel settore della telefonia fissa l’attività regolatoria dell’Autorità è intervenuta sia sul mercato wholesale (concernente l’interconnessione e l’accesso speciale alla rete), sia su quello retail (concernente i prezzi finali, la qualità dei servizi e il servizio universale). In particolare, in questo settore l’Autorità: a) ha introdotto un cap di salvaguardia per quanto concerne il paniere dei servizi a canone, volto specialmente a garantire la tutela dei clienti residenziali; b) ha stabilito una riduzione media dei prezzi dell’offerta retail per le linee affittate del 5,25%; c) ha approvato il listino di interconnessione per l’anno 2004, con una sensibile riduzione dei prezzi di interconnessione rispetto all’anno precedente; d) ha adeguato il Piano di numerazione nazionale, tenendo conto in particolare dello sviluppo dei servizi più innovativi. L’Autorità ha anche approvato una direttiva generale in materia di qualità e carte dei servizi di telecomunicazioni, che gli operatori sono tenuti ad adottare a tutela dell’utenza. Passando al settore della telefonia mobile, i principali interventi hanno riguardato: a) l’adozione della disciplina relativa alle procedure per l’assegnazione di frequenze per il servizio radiomobile professionale a gestione centralizzata (Public access mobile radio - Pamr); b) la consultazione pubblica per il riordino delle frequenze Gsm; c) la promozione della realizzazione da parte degli operatori di un database unico nazionale per la gestione di un codice dei terminali radiomobili (Imei), destinato a contenere i fenomeni criminali ai danni degli utenti. Ulteriori interventi regolamentari hanno investito la sfera di Internet, dove l’Autorità ha continuato a dedicare una specifica attenzione alla disciplina delle attività di sviluppo dei servizi di accesso disaggregato a livello di rete locale. Intensa è stata anche, in questo periodo, l’azione di vigilanza diretta a verificare le condizioni di offerta praticate dagli operatori e il rispetto delle normative di settore. Fra gennaio e dicembre 2003 sono pervenute all’Autorità alcune migliaia di istanze da parte degli utenti e delle imprese, con un consistente aumento rispetto agli anni precedenti. Nel settore dell’audiovisivo le principali azioni dell’Autorità hanno avuto ad oggetto: a) l’integrazione del Piano cd. di “primo livello” delle frequenze digitali terrestri ai fini dell’assegnazione di risorse in ambito provinciale (integrazione che, in aggiunta alle 12 reti nazionali e 126 regionali, ha individuato 71 bacini provinciali in grado di consentire la realizzazione di 1.272 reti in ambito locale); b) la rideterminazione dei canoni annui di concessione per le emittenti relativi al triennio 2003-2005; c) l’individuazione del limite temporale per i diritti di sfruttamento secondari delle opere televisive realizzate da produttori indipendenti, lasciando alla libera contrattazione delle parti la determinazione del corrispettivo; d) la definizione del regime autorizzativo per i trasferimenti di proprietà delle società radiotelevisive; e) l’indizione di una consultazione pubblica finalizzata a stabilire la disciplina dell’accesso alle reti da parte dei fornitori di contenuti, così da garantire, in presenza di risorse frequenziali insufficienti a soddisfare tutte le richieste, l’accesso alle radiofrequenze in condizioni di parità di trattamento. In questo quadro, particolare rilievo assume il recente completamento dell’analisi delle posizioni dominanti nel mercato radiotelevisivo, condotto in attuazione della delibera n. 226/03/Cons del 17 giugno 2003 (già richiamata in occasione della precedente Relazione), che aveva accertato, per il triennio 1998-2000, il superamento, da parte delle emittenti Rai e Rti e della concessionaria di pubblicità Publitalia ‘80, del tetto del 30% fissato per la raccolta delle risorse economiche dalla legge n. 249 del 1997. Con la delibera n. 117 del 30 aprile 2004, l’Autorità ha concluso tale analisi, 5 confermando anche per il triennio 2001-2003 l’avvenuto sforamento da parte degli stessi soggetti del limite antitrust indicato dalla stessa legge n. 249, con Rai e Rti che hanno raccolto, nel 2003, rispettivamente il 38,1% ed il 31,4% delle risorse. Essendo, peraltro, dopo tale delibera, mutati i parametri della disciplina antitrust in conseguenza dell’entrata in vigore della legge n. 112 del 2004 e degli accertamenti effettuati in ordine agli sviluppi della tecnologia digitale terrestre ai sensi della legge n. 43 del 2004, l’Autorità sta oggi valutando i provvedimenti da adottare alla luce delle innovazioni legislative introdotte e dei risultati raggiunti nel corso delle precedenti istruttorie. La decisione relativa a tali provvedimenti è prevista per la fine del corrente mese di luglio. Un altro settore che ha molto impegnato il lavoro dell’Autorità è stato quello relativo ai controlli sulla par condicio (come regolata dalla legge n. 28 del 2000), sul pluralismo dell’informazione (come previsto dalla legge n. 223 del 1990) e sui sondaggi (come disciplinati dai vari regolamenti dell’Autorità). Su questo terreno va segnalato che: a) in materia di par condicio durante le campagne elettorali, dal 1° aprile 2003 ad oggi sono stati aperti 116 procedimenti ed adottate 109 delibere, di cui 13 di riequilibrio (11 delle quali nel periodo maggio-giugno 2004, relativo all’ultima campagna elettorale); b) in materia di pluralismo dell’informazione, dopo i due casi-pilota relativi a trasmissioni della Rai (“Sciuscià edizione straordinaria”) e di Rti (“TG4” e “Studio Aperto”), già ricordati nella Relazione dello scorso anno, si è concluso un ulteriore procedimento relativo ad un esposto dell’Associazione Lista Pannella nei confronti della trasmissione “Primo Piano” della Rai. Anche in questo caso, in assenza di specifiche disposizioni sanzionatorie indicate dalla legge, l’Autorità ha disposto un richiamo verso l’emittente ai fini del rispetto dei principi di correttezza, completezza, imparzialità ed obiettività dell’informazione indicati nell’art. 1 della legge n. 223 del 1990; c) in materia di verifica del rispetto della normativa in tema di sondaggi, l’attività di vigilanza ha riguardato la pubblicazione sia di risultati di sondaggi demoscopici in materia politico/elettorale (con l’apertura di 59 procedimenti), sia di risultati attinenti ad altre tipologie di rilevazioni (con l’apertura di 64 procedimenti). Da segnalare, come novità significativa che - con i regolamenti varati, previa consultazione con la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, in occasione delle recenti campagne elettorali, è stato introdotto nei programmi di approfondimento informativo, pubblici e privati, l’obbligo di garantire la presenza equilibrata di tutti i soggetti politici che partecipano alle elezioni “assicurando sempre e comunque un equilibrato contraddittorio”. Infine, un ulteriore tema emerso per la prima volta nel corso dell’anno è stato quello della partecipazione di esponenti politici ai programmi di intrattenimento trasmessi dalla concessionaria pubblica, in violazione di un atto di indirizzo emanato dalla Commissione parlamentare di vigilanza nel marzo 2003, dove si è imposto di limitare tale partecipazione ai soli casi in cui la particolare competenza e responsabilità dei soggetti invitati sia idonea a giustificarne la presenza. La prima decisione relativa a tale questione - che ha comportato un’ampia indagine sulla generalità dei programmi di intrattenimento della Rai - verrà adottata nei prossimi giorni, con riferimento ai primi sei programmi esaminati. Nel complesso appare, dunque, confermata l’utilità di una disciplina posta a garanzia dell’accesso ai media dentro e fuori le campagne elettorali: disciplina ormai presente in tutte le democrazie più evolute, fatte salve le opportune modulazioni per adeguare la portata delle varie norme alle singole circostanze (così come è accaduto di recente in Italia con la legge n. 313 del 2003, che ha previsto per l’emittenza locale un’attenuazione della disciplina generale posta in tema di par condicio). 6 In materia di tutela dei minori, l’anno 2003 ha visto consolidarsi i rapporti con il “Comitato televisione e minori”, insediato presso il ministero delle Comunicazioni ai fini della verifica del rispetto del “Codice di autoregolamentazione TV e minori”, varato alla fine del 2002. L’entrata in vigore della legge n. 112 del 2004 ha, d’altro canto, rafforzato la tutela preesistente, prevedendo sia la diretta sanzionabilità delle disposizioni contenute in tale Codice sia l’aggravamento delle sanzioni che oggi, anche attraverso la loro necessaria pubblicità, hanno assunto un’ef- 7 ORDINE 9/10 2004 NEL SETTORE DELLE TELECOMUNICAZIONI C’È PIÙ CONCORRENZA % della pubblicità programmi di lavoro. Presentazione del presidente dell’Autorità del 9 luglio 2004 fettiva deterrenza. Nel periodo in esame il Comitato ha trasmesso all’Autorità 35 segnalazioni che hanno condotto all’approvazione di 8 ingiunzioni e 17 contestazioni, concernenti trasmissioni pornografiche o violente o nocive per lo sviluppo psichico e morale dei minori. Un altro settore da richiamare è quello della vigilanza sulla pubblicità, effettuata sia a campionamento che su segnalazione di soggetti terzi. Su questo piano, nel periodo aprile 2003 - marzo 2004, sono stati effettuati nei confronti delle emittenti nazionali 85 interventi, di cui 14 in materia di affollamenti pubblicitari. In 29 casi l’Autorità ha provveduto ad applicare le sanzioni previste dalla legge n. 223 del 1990, sanzioni che hanno riguardato, in particolare, l’inserimento di pubblicità nei cartoni animati, la mancata separazione della pubblicità dal resto dei programmi, le trasmissioni di spot isolati non eccezionali, il superamento del limite massimo di interruzioni pubblicitarie nei film, nonché il superamento del limite stabilito dalla legge per distanziare tra loro le varie interruzioni. Da segnalare, infine, che l’Autorità ha concorso, insieme con le forze di Polizia e della Guardia di Finanza, all’accresciuta azione di contrasto del fenomeno della pirateria audiovisiva, che ha condotto, nel corso del 2003, ad un numero rilevante di sequestri di musicassette, videocassette e apparecchi audiovisivi. 8 Nel settore radiofonico, l’approvazione del Piano nazionale di assegnazione delle frequenze per la radiodiffusione sonora in tecnica digitale nello standard DAB-T ha aperto nuove possibilità di sviluppo per molte emittenti radiofoniche che hanno deciso di investire sull’innovazione tecnologica. Non avendo il legislatore, peraltro, fissato, in questo settore, una data certa di turn off, il passaggio dalla tecnologia analogica a quella digitale resta, in gran parte, legato alle iniziative degli operatori più interessati alla prospettiva di uno sviluppo di questo mezzo come piattaforma interattiva. Su questo piano l’Autorità è chiamata ora ad adottare un regolamento diretto a garantire il principio del pluralismo attraverso un equilibrato rapporto tra diffusione nazionale e locale. 9 Da segnalare anche che, nel corso degli ultimi mesi, l’Autorità si è impegnata a promuovere, d’intesa con il ministero delle Comunicazioni e con il dipartimento della Protezione civile, la realizzazione di un circuito nazionale dell’informazione d’emergenza. Il progetto, ormai definito, coinvolge la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, le imprese televisive e radiofoniche private nazionali e locali e gli operatori della telefonia mobile. Obiettivo del progetto è l’attivazione di un nuovo strumento di informazione per i cittadini nell’ambito delle iniziative di prevenzione e contrasto delle situazioni d’emergenza. 10 Per quanto riguarda, infine, il settore dell’editoria, a tre anni di distanza dalla legge n. 62 del 2001, si manifesta, in generale, l’esigenza di un nuovo intervento organico diretto, in particolare, ad aggiornare la disciplina della rete distributiva, delle agevolazioni, dell’editoria elettronica. L’avvio di un mercato per la diffusione dei contenuti nella televisione digitale terrestre offre, d’altro canto, nuove opportunità agli editori che intendano utilizzare la propria posizione di detentori di contenuti, vera risorsa scarsa della nuova realtà multicanale. Su questo terreno risulta, dunque, ben giustificata la riserva temporale (fino al 2010) tracciata, dall’art. 15 della legge n. 112, a favore delle imprese editoriali. Sempre con riferimento all’editoria va anche richiamata l’attività svolta dall’Autorità ai fini del controllo sul rispetto delle norme che vincolano gli enti pubblici e le pubbliche amministrazioni a destinare a quotidiani e periodici una quota non inferiore al 50% delle spese relative alla pubblicità, comunicandone l’ammontare all’Autorità. Nel corso del 2003 è stata avviata, con la collaborazione del Nucleo speciale della Guardia di Finanza, un’ampia verifica sull’adempimento di questo obbligo. Al contempo, grazie alla disponibilità della Fieg e di molti editori ad essa associati, l’Autorità ha avviato una campagna di informazione intesa a promuovere la conoscenza di tale obbligo e le modalità per il suo assolvimento. 11 ORDINE 9/10 2004 SVILUPPI E TENDENZE DEI MERCATI ITALIANI Se queste sono state le principali linee di azione perseguite dall’Autorità, vediamo ora gli sviluppi e le tendenze che, nel corso dell’anno, si sono manifestate nei mercati italiani legati al mondo della comunicazione. Anche su questo terreno le novità emerse sono state numerose e rilevanti. Mi limito solo a ricordare alcuni dati. Nel settore delle telecomunicazioni il tasso di crescita del mercato italiano è stato nell’anno pari al 5,2%, molto superiore al tasso riguardante l’intera economia, che è risultato attestato al 3,2%. Siamo oggi in presenza di un mercato che vale ormai quasi 33 miliardi di euro, con la previsione di raggiungere i 35 miliardi di euro alla fine del 2004. Questo sviluppo ha tratto la sua spinta maggiore dal settore dei servizi mobili, che, l’anno scorso, ha sfiorato i 57 milioni di abbonamenti, superando, per la prima volta, i ricavi dei servizi di telefonia fissa (16,7 contro 16 miliardi di euro). Cresce, inoltre, sia nella rete fissa che in quella mobile, l’apporto della componente dati, che ormai costituisce oltre il 15% dei ricavi dei servizi di rete fissa ed il 13% dei ricavi dei servizi di rete mobile. Intanto gli utenti di Internet sfiorano la soglia dei 23 milioni. Ma altri indici non meno significativi continuano a collocare l’Italia nelle posizioni migliori del contesto europeo. Questi indici emergono in particolare: a) nella diffusione dei servizi in carrier preselection, che hanno raggiunto i 3,7 milioni di abbonati, conseguendo uno dei livelli più alti in Europa; b) nella utilizzazione della portabilità del numero che, in appena due anni dalla sua introduzione, registra già la presenza di 2,2 milioni di utenti; c) nello sviluppo dell’accesso disaggregato alla rete locale (unbundling del local loop), che, ancorché limitato, fa emergere un tasso di crescita più veloce di quello riscontrabile negli altri paesi europei; d) nell’avvio dei servizi di telefonia mobile di terza generazione (Umts), che, pur in presenza di un solo operatore già pienamente attivo (gli altri, in fase di avvio, porteranno a regime la loro attività entro la fine del corrente anno), ha ormai raggiunto i cinquecentomila abbonati. Ma sul piano dell’innovazione tecnologica il dato più significativo resta ancora quello della diffusione degli accessi a banda larga che, nel marzo 2004, hanno toccato in Italia la soglia di 3,4 milioni di utenze, segnando anche in questo caso il tasso di crescita più elevato in Europa. Intanto, sempre sul terreno dell’innovazione, prosegue la diffusione dei servizi wi-fi e comincia ad affermarsi la telefonia su protocollo Internet (cd. VoIP). In parallelo con la crescita nell’offerta servizi - e in particolare dei servizi legati alle nuove tecnologie - si è ulteriormente sviluppato un processo costante di discesa dei prezzi. Come già si segnalava lo scorso anno, il comparto delle telecomunicazioni resta il solo, tra quelli di pubblica utilità, che, in presenza di sensibili, diffusi aumenti nel prezzo dei servizi, ha seguitato a far registrare, dal 1998 ad oggi, un calo costante, complessivamente quantificabile in circa il 46% nei prezzi all’ingrosso e in circa il 10% nei prezzi al consumo, con una incidenza significativa sul contenimento dell’indice generale di inflazione. Questi risultati vengono a dimostrare il successo di una liberalizzazione in gran parte compiuta, così come è stato rilevato negli ultimi tre rapporti annuali della Commissione europea in tema di implementazione del quadro normativo attinente al settore delle comunicazioni elettroniche (di cui il più recente, il IX, risale al novembre scorso), nonché nel rapporto pubblicato poche settimane fa, con riferimento allo stesso settore, da un osservatore qualificato quale l’Ecta (European competitive telecommunications association), che colloca l’Italia ai primi posti nella graduatoria dei paesi dove più efficace è stata la regolamentazione. È indubbio, infatti, che la spiegazione di tali risultati - come gli stessi rapporti segnalano - vada in primo luogo cercata nella completezza, nella tempestività e nella buona qualità delle regole poste dal nostro Paese, specialmente in taluni settori essenziali ai fini della competizione, quali quelli dell’accesso disaggregato alla rete locale, dell’offerta wholesale per le linee affittate, della parità di trattamento internaesterna nella telefonia fissa, dei livelli delle tariffe di accesso 12 (che fanno registrare oggi sia per l’accesso disaggregato [full unbundling] che per l’accesso condiviso [shared access] le tariffe più basse su scala europea). Per questo insieme di fattori, il mercato italiano delle telecomunicazioni seguita a collocarsi, da due anni a questa parte, in una delle posizioni più avanzate del contesto europeo, sia in termini di sviluppo che di concorrenzialità. Dato questo che viene a trovare conferma, da un lato, nella costante riduzione delle quote di mercato dell’operatore dominante, dall’altro, nel fatto che nel nostro Paese, in pochi anni, si sono potuti affermare, nella telefonia fissa, il maggiore secondo operatore europeo, e, nella telefonia mobile, un terzo operatore che, nel panorama comunitario, tende a sopravanzare gli operatori terzi entranti dagli altri Paesi. Si può, quindi, ritenere che, pur con le lacune che tuttora sussistono e che vanno colmate, la liberalizzazione in Italia non è più “zoppa” (come è stato anche di recente affermato) [2], ma comincia ormai a camminare bene sulle sue gambe. Passando al settore televisivo, le dimensioni del mercato italiano hanno fatto registrare nell’anno una crescita del 5,9% raggiungendo quasi 5,9 miliardi di euro. In questa crescita, il ruolo della concessionaria pubblica è apparso marginale, quello di Rti superiore a quello medio di mercato, mentre i ricavi della televisione a pagamento hanno fatto registrare una decisa accelerazione, con un incremento superiore al 18%, anche se la pubblicità resta la componente prevalente tra le fonti di finanziamento del settore (57,3%). Il canone continua, invece, il suo declino, rappresentando ormai meno di un quarto delle risorse del sistema. Per quanto riguarda le quote del mercato televisivo, la concessionaria pubblica continua ad essere l’impresa più rilevante, mentre Mediaset segue con un leggero aumento rispetto all’anno precedente. Congiuntamente le due emittenti assorbono il 74,3% dei ricavi complessivi, nonché l’86,5% delle risorse del mercato pubblicitario. L’assetto del sistema radiotelevisivo appare, dunque, ancora fortemente concentrato, anche se tendono a manifestarsi, con sempre maggiore evidenza, segnali che rivelano l’avvio di un nuovo ciclo espansivo basato su tecnologie alternative alla televisione analogica. Negli ultimi dodici mesi si sono, infatti, moltiplicati in Italia (come, del resto, in gran parte d’Europa) i segni della rapida trasformazione che sta investendo il mercato televisivo quale si era consolidato dopo l’avvento delle emittenti commerciali. Il principale fattore di novità è dato, su questo piano, dalla nascita e dal rafforzamento di iniziative che utilizzano, nei diversi sistemi di trasmissione (terrestre, cavo, satellitare), la tecnologia digitale. In Italia questa tecnologia aveva fatto la sua comparsa nel 1996, con trasmissioni satellitari usate come complemento dell’offerta analogica terrestre di servizi pay, ma non aveva avuto mai uno sviluppo adeguato. Tale situazione è però mutata nell’estate del 2003, quando Sky, il più grande operatore pay del mondo, ha fatto il suo ingresso sul mercato italiano. Sky agisce oggi, come sappiamo, in condizioni di monopolio nell’ambito delle trasmissioni satellitari dopo aver acquisito gli impianti dei due operatori preesistenti e dopo aver ottenuto dalla Commissione UE una deroga alla disciplina antitrust sulla base dell’impegno a rispettare una serie di obblighi procompetitivi, sulla cui osservanza è ora chiamata a vigilare questa Autorità. Non solo. A partire dal dicembre 2003, sotto la spinta di una scelta legislativa diretta a superare il limite temporale fissato, per le risorse frequenziali della televisione analogica, dalla sentenza n. 466 del 2002 della Corte costituzionale, è iniziata anche la costruzione delle reti digitali terrestri, oggi distribuite fra quattro diversi operatori. Attualmente sono già in funzione cinque multiplex (di cui due gestiti dalla concessionaria pubblica), ciascuno dei quali è capace di un’offerta, non ancora satura, di cinque o sei programmi. Si aggiunga che dal 2001 sulla rete di Fastweb è disponibile un’offerta che assembla sia i programmi televisivi nazionali, sia una selezione di programmi dei pacchetti pay, sia, infine, programmi forniti su richiesta, mentre, a partire dal corrente anno, Telecom Italia ha, a sua volta, avviato, su una propria rete DSL, un’offerta sperimentale a richiesta individuale di programmi televisivi. Sulle reti mobili, infine, oltre alla possibilità di accedere a sequenze di immagini 13 13 RELAZIONE DELL’AUTORITÀ GARANTE DELLE COMUICAZIONI Al duopolio tv l’86,5% della pubblicità con standard Gsm, è già disponibile l’offerta di programmi completi mediante lo standard Umts. Questa è la situazione, in gran parte inedita, che l’Autorità si è trovata ad affrontare quando, in adempimento del mandato ricevuto con la legge n. 43 del 2004, ha dovuto valutare la complessiva offerta dei programmi televisivi digitali terrestri, allo scopo di accertare la quota di popolazione coperta dalle nuove reti, la presenza sul mercato nazionale di decoder a prezzi accessibili, l’effettiva offerta al pubblico su tali reti di programmi originali. L’accertamento compiuto dall’Autorità - che, come voluto dalla legge, ha tenuto conto anche delle tendenze in atto sul mercato - si è concluso positivamente rispetto alla presenza delle tre condizioni indicate, ma ha condotto anche a far emergere vari aspetti problematici relativi sia all’effettiva fruibilità della nuova tecnologia che all’attuale quadro di distribuzione delle risorse. Su questo piano, a conclusione del suo accertamento, l’Autorità ha dovuto notare che “se la strozzatura relativa all’utilizzo dei mezzi televisivi è superabile alla luce dei nuovi sviluppi nel campo della televisione digitale, ciò non implica automaticamente una più equilibrata distribuzione delle risorse nel settore dei mezzi di comunicazione di massa, e in particolare per quanto riguarda la disponibilità dei mezzi tecnici e delle piattaforme e la raccolta delle risorse economiche”. Da qui la conclusione che - nonostante lo sviluppo rapido e promettente delle tecnologie alternative all’analogico terrestre cui oggi assistiamo - restano “di piena attualità i problemi della garanzia dell’accesso alle reti e della distribuzione delle risorse economiche per consentire un equilibrato sviluppo del sistema anche con l’ingresso di nuovi soggetti”. Partendo dalla constatazione di questa realtà, l’Autorità è oggi sul punto di avviare le analisi richieste dall’art. 14, 2° comma, della legge n. 112 del 2004, con riferimento al complesso dei parametri da tali norme indicati (ricavi, livello di concorrenza, barriere all’ingresso, efficienza economica delle imprese, indici quantitativi di diffusione dei programmi), al fine di definire, anche alla luce dei risultati già raggiunti nelle precedenti istruttorie sulle posizioni dominanti, le misure da adottare, ai sensi dell’art. 2, 7° comma, della legge n. 249, nei singoli mercati che compongono il sistema integrato delle comunicazioni. Contestualmente altre istruttorie saranno avviate per le verifiche di cui all’art. 15, 2° comma, e all’art. 25, 8° comma, della legge n. 112, in ordine ai limiti di raccolta delle risorse nel sistema integrato delle comunicazioni e al numero di programmi consentiti ai singoli soggetti. Per quanto concerne, infine, il settore dell’editoria quotidiana, nell’anno 2003, secondo i primi dati a disposizione, il mercato italiano ha mostrato segnali incoraggianti di inversione di tendenza rispetto ai trend negativi degli anni passati. In particolare, si è arrestato il preoccupante calo della diffusione dei giornali, il cui dato registra, per la prima volta negli ultimi anni, un sia pur debole segnale di crescita. Resta, però, difficile la situazione sotto il profilo dei ricavi pubblicitari, la cui diminuzione è stata, peraltro, compensata attraverso l’aumento dei ricavi da vendita di copie e soprattutto dei ricavi derivanti da altre attività editoriali. Si conferma, quindi, la permanenza di un fenomeno di drenaggio di risorse pubblicitarie da parte del mezzo televisivo. 14 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE Concludo rilevando che questa è la sesta e ultima Relazione annuale che questo Consiglio viene a presentare al Parlamento e al Governo. Se volgiamo lo sguardo al passato, al percorso compiuto in questi sei anni di attività, non possiamo non constatare l’intensità e l’ampiezza del lavoro svolto, spesso in condizioni di vera emergenza. Diciamo questo con una punta di orgoglio - che, spero, ci verrà perdonata - senza dimenticare le critiche che spesso ci sono state rivolte e che abbiamo sempre accolto con molta umiltà, anche quando, ignorando i compiti naturali di un organo di garanzia, la nostra azione veniva descritta come gravata da un eccesso di prudenza e mediazioni, nel tentativo evidente di trascinarla dentro il vivo della contesa politica. In realtà, le attività che, in questi anni, abbiamo svolto e le decisioni che abbiamo adottato, in condizioni di assoluta indipendenza, riassumono la storia di un percorso che abbiamo sempre cercato di sviluppare con imparzialità in direzione del perseguimento di obiettivi che la legge ha indicato in funzione della garanzia dei diritti dei cittadini e non certo della supplenza del potere politico. Questa occasione è, dunque, propizia per rivolgere un pensiero grato a quanti, in questi anni, ci hanno accompagnato in questo percorso: al personale che, sotto la guida del Segretario generale, ha dato il meglio delle proprie energie; agli organi di supporto, quali il Nucleo speciale della Guardia di Finanza ed il Corpo di Polizia postale e delle comunicazioni, che non hanno mai fatto mancare il loro prezioso sostegno; agli organi funzionalmente connessi, quali il Consiglio nazionale degli utenti (che, di recente, dopo aver svolto un proficuo lavoro, si è rinnovato) ed i Comitati regionali per le comunicazioni (che, nell’ambito dell’accordo-quadro stipulato nel 2003, hanno completato il loro assetto strutturale ed avviato l’esercizio sperimentale delle prime cinque deleghe); agli organi interni di garanzia, quali il Comitato etico, la Commissione di garanzia ed il Servizio del controllo interno, che ci hanno assistito con grande autorevolezza. 16 14 Note [1] Si tratta della cosiddetta “legge Gasparri” di riforma del settore televisivo; [2] Il riferimento è al recente saggio dei professori Frova e Pontarollo “La liberalizzazione zoppa”, nel quale si criticano i risultati raggiunti in Italia in termini di concorrenzialità del mercato della telefonia fissa. ALCUNI INDIRIZZI PER LE AZIONI FUTURE Con riferimento al sistema complessivo della comunicazione e dell’informazione, siamo, quindi, in presenza, in Italia, di un quadro dove molti sono i fattori di movimento e innovazione, ma dove permangono anche forti squilibri e resistenti zone d’ombra. Da qui l’esigenza di mettere a punto, sul piano della regolazione e della vigilanza, una strategia di intervento adeguata alla nuova realtà che, sul piano tecnologico ed economico, si va delineando, anche alla luce delle nuove regole, nel contesto dei processi di digitalizzazione in atto. Questa strategia come già si accennava lo scorso anno - dovrebbe, a nostro avviso, poggiare almeno su due perni. Un primo perno orientato a favorire al massimo - sulla scorta delle nuove direttive sulle comunicazioni elettroniche - l’“europeizzazione” delle regole e delle procedure di controllo incidenti sul mondo delle telecomunicazioni e dell’audiovisivo, oltre che sulle nuove tecnologie convergenti. Attraverso l’“europeizzazione” delle regole si possono, infatti, contenere i differenziali nazionali ed estendere progressivamente quegli standard che già esistono nello spazio europeo non solo in tema di concorrenza, ma anche di pluralismo: obiettivo che potrebbe essere innanzitutto perseguito, tenendo anche conto del quadro tracciato dalla nuova Costituzione europea, attraverso un ampliamento dei contenuti della direttiva n. 89/552/CEE cd. “Televisione senza frontiere”. Un secondo perno andrebbe, invece, orientato ad incentivare al massimo i percorsi di sviluppo delle tecnologie della comunicazione legate alla convergenza. Questo sviluppo rappresenta, infatti, l’elemento che più può favorire la fusione tra le regole del mercato (proprie del settore delle telecomunicazioni) e quelle del servizio pubblico (proprie del settore dell’audiovisivo) stimolando, di conseguenza, uno scambio virtuoso tra i vari comparti della comunicazione e dell’informazione, così da rendere più agevole, nei diversi contesti, la ricerca del giusto punto di equilibrio tra concorrenza e pluralismo. Questa è la prospettiva entro cui l’Autorità si appresta ad affrontare gli appuntamenti che l’attendono nel futuro prossimo e che riguardano, in particolare, nel settore delle comunicazioni elettroniche, l’analisi dei diciotto mercati rilevanti indicati dalla Commissione europea ai fini della individuazione delle posizioni dominanti e dei possibili correttivi da apportare (cd. remedies); nel settore radiotelevisivo, l’attivazione delle nuove, numerose competenze che la legge n. 112 assegna all’Autorità e che investono, in particolare, il programma di attuazione del Piano di assegnazione delle frequenze in tecnica digitale; la verifica del cd. “sistema integrato delle comunicazioni”, ai fini del controllo delle posizioni dominanti nel nuovo ambiente digitale; la vigilanza sul rispetto degli obblighi del servizio pubblico, ivi compresa la separazione contabile tra le attività di servizio e quelle di natura commerciale; il concorso alla redazione, d’intesa con il ministero, del nuovo codice della radiotelevisione. Nella stessa prospettiva andranno anche ricercate le soluzioni relative a taluni problemi caratterizzati da particolare urgenza, quali quelli inerenti la regolazione dei rapporti tra proprietari di reti e fornitori di contenuti, cui si collega la decisione delle controversie promosse da e.BisMedia e Gioco Calcio contro Sky (e dove assume una particolare valenza la disciplina sul “diritto di accesso” alle reti e ai contenuti, che l’Autorità si appresta ad adottare). 15 Ma i risultati raggiunti in questi anni sono anche dovuti al clima di leale ed efficace collaborazione che l’Autorità ha potuto stabilire con i soggetti esterni più direttamente collegati al nostro lavoro: con il ministero delle Comunicazioni (con cui è stato da poco rinnovato l’originario accordo di collaborazione); con la Commissione parlamentare di vigilanza sul servizio pubblico radiotelevisivo; con il Comitato televisione e minori; con le altre autorità amministrative indipendenti e, in particolare, con l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (con cui è stato sottoscritto di recente un primo accordo di collaborazione) e con il Garante per la protezione dei dati personali; con gli uffici dell’Unione europea competenti per il settore delle comunicazioni e della concorrenza; con la Regione Campania ed il Comune di Napoli; con la Fondazione Ugo Bordoni; con le varie Università che hanno attivato, d’intesa con l’Autorità, programmi di ricerca e formazione. Anche a tutti questi soggetti va la nostra riconoscenza per il sostegno ricevuto. Resta un problema che abbiamo più volte segnalato al Parlamento e al Governo e che, avviandoci verso la conclusione del nostro mandato, sentiamo il dovere di richiamare. Il problema è quello del crescente divario tra funzioni e risorse, un divario che tende sempre più a condizionare la vita di questa Autorità. Il fatto è che, nel corso degli ultimi anni, in conseguenza di varie leggi che si sono succedute nel tempo (e, adesso, in particolare, in conseguenza dell’entrata in vigore del Codice delle comunicazioni elettroniche e della legge n. 112 del 2004), i compiti assegnati all’Autorità sono cresciuti fino, quasi, a raddoppiare; di contro, le risorse assegnate attraverso il contributo statale, anziché aumentare, sono progressivamente diminuite fino a toccare, con l’ultima legge finanziaria, una riduzione di circa il 12%. Siamo ben consapevoli delle ragioni che stanno alla base della politica di contenimento della spesa pubblica, ma la situazione che si va oggi creando rischia di alterare irreversibilmente l’assetto e il ruolo di questa Autorità, impedendo, da un lato, di portare a regime l’impianto organizzativo già definito dalla legge, dall’altro, di sviluppare funzioni essenziali, come quelle concernenti il monitoraggio televisivo e il decentramento delle attività attraverso i Corecom. Per avere un dato di riferimento su questo divario, che va crescendo, basti solo considerare Marziale: “Dal 10 settembre è legge Codice Tv e Minori” Milano, 2 settembre 2004. “È indispensabile che Fedele Confalonieri, presidente di Mediaset, e Flavio Cattaneo, direttore generale della Rai, consegnino ai partecipanti dei reality show una copia del Codice Gasparri per l’autoregolamentazione Tv e Minori, la cui lettura e comprensione si rende indispensabile visto e considerato che la vera novità dell’imminente stagione televisiva è costituita dal passaggio di osservanza del Codice per patto ad osservanza per legge, essendo stato lo strumento recepito dall’articolo 10 della legge per il riassetto del sistema radiotelevisivo”. A pronunciarsi è Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori, che alla vigilia della messa in onda di una vera e propria fiera del reality ritiene: “indispensabile la presa d’atto del Codice da parte di personaggi che entreranno nelle nostre case in piena fascia protetta”. “Il reality show - sottolinea Marziale - è il genere televisivo più sanzionato dal Comitato ministeriale Tv e Minori per violazione della privacy, voyeurismo, esibizione di cose intime, spettacolarizzazione e banalizzazione. Se i reality in divenire celano le solite sorpresine ad effetto, sul fronte del contenimento si registra un potenziamento delle misure di contrasto”. “Il combinato disposto della legislazione vigente in materia di tutela dei minori - spiega il presidente dell’Osservatorio - consente all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni, in caso di programmi che possano nuocere allo sviluppo psichico o morale dei minori o che contengano scene di violenza gratuita o pornografiche, di irrogare direttamente sanzioni pecuniarie che vanno da 5mila a 250mila euro con, in caso di grave e reiterata violazione, la sospensione o la revoca della licenza o dell’autorizzazione. Per molti reality show, già passati al vaglio del Comitato presieduto da Emilio Rossi, eventuali sanzioni costituirebbero una recidiva, dunque - conclude Marziale - la produzione potrebbe ritrovarsi a fare i conti con la revoca della licenza, misura per l’ottenimento della quale ci batteremo, se costretti, in ogni sede”. (ITALPRESS) che, nel Regno Unito, l’Ofcom (Office of communications) che ha assunto di recente le caratteristiche di autorità della convergenza con compiti largamente comparabili con quelli propri della nostra Autorità - può disporre di una dotazione di personale di ben quattro volte superiore alla nostra. La scelta operata dal legislatore inglese non pecca, d’altro canto, per eccesso, dal momento che viene a trovare la sua spiegazione nel fatto che l’equilibrata distribuzione delle risorse economiche e tecnologiche tra i vari operatori della comunicazione e i vari media rappresenta una delle chiavi di volta di quella competizione, sia economica che politica, su cui si fondano le democrazie moderne. Questa è la premessa che ha giustificato, non solo in Italia, la nascita di autorità indipendenti chiamate ad arbitrare i processi relativi alla distribuzione di tali risorse, destinate a condizionare gli assetti reali del mondo della comunicazione e dell’informazione. La posta in gioco è, dunque, alta e tale da richiedere una considerazione attenta da parte di tutti. Se crediamo, infatti, nell’utilità del ruolo assegnato alle autorità amministrative di garanzia più direttamente impegnate sul fronte della difesa dei diritti connessi allo sviluppo dei processi economici, occorre mettere questi soggetti in condizione di funzionare, con mezzi adeguati alla delicatezza e al rilievo costituzionale delle funzioni esercitate, nonché al tasso di indipendenza richiesto a chi è chiamato ad esercitarle. Questa è la riflessione che, verso la conclusione del nostro mandato, vorremmo affidare agli organi politici cui questa Relazione è diretta, anche nella prospettiva dell’annunciata riforma del sistema delle autorità indipendenti. Una riforma che, a nostro avviso, dovrebbe in ogni caso tener presente la buona riuscita ottenuta da questo inedito modello di “Autorità della convergenza” che, con una certa lungimiranza, fu introdotto in Italia dalla legge n. 249 del 1997: un modello che oggi molti paesi europei stanno già applicando o si accingono ad adottare sull’esempio italiano, nella convinzione che esso possa, più di altri, garantire e incentivare quel giusto bilanciamento tra concorrenza e pluralismo, cui il mondo della comunicazione e dell’informazione, per ben funzionare, dovrebbe costantemente ispirarsi. Roma, 9 luglio 2004 ORDINE 9/10 2004 Sono trascorse poche settimane dalla fine del primo corso di aggiornamento per freelance, voluto dall’Ordine nazionale dei giornalisti e tenutosi a Milano presso l’Istituto per la Formazione al Giornalismo “Carlo de Martino” Forse troppo poche per riflettere e riorganizzare le idee. Ma una cosa è certa: già sentiamo la mancanza dell’atmosfera cordiale che si era formata nella sede di via Filzi. Per chi non è più un ragazzino, ritornare sui banchi di scuola, sottomesso alla gentile pressione educativa dei docenti, è stato come un ritorno a casa, alle abitudine quotidiane. Un richiamo ad un momento di revisione di se stessi e delle proprie conoscenze, un atto libero di partecipazione alla propria formazione. E liberi siamo noi, i giornalisti freelance, ora più che in passato, chiamati a formare e difendere la nostra indipendenza al di fuori delle redazioni e, ancor più, al di fuori dei normali schemi di lavoro. In un contesto educativo nazionale, talvolta carente di strutture e mezzi specificamente dedicati, i freelance hanno percepito un significativo spirito d’interesse nei loro confronti da parte dell’Ordine nazionale. Siamo rimasti felicemente coinvolti dall’avventura scolastica all’Ifg “De Martino”, e siamo consapevoli di essere stati fortunati a poter respirare e vivere il clima di questa storica istituzione, che tanto si è prodigata, in prima linea e senza riserve, per fornirci tutti gli strumenti di cui avevamo bisogno. Prescindendo dal puro quadro formativo, a partire proprio dal direttore, Gigi Speroni, e a seguire dai docenti e da tutto l’organico, abbiamo avuto la sensazione di far parte di un progetto “tutto per noi”, e ogni sforzo è stato compiuto perché percepissimo la presenza di un impegno nel quale eravamo presenze attive. Questa lettera vuole testimoniare un sentito ringraziamento per tutto ciò che è stato e che non dimenticheremo mai. Il presidente Abruzzo attorniato dai partecipanti al corso organizzato dall’Ordine nazionale e svoltosi nella scuola di Milano. Un successo all’Ifg il corso di aggiornamento per freelance “Il nostro pensiero, la nostra voce”. Impressioni e suggerimenti Siamo noi i protagonisti del primo corso di aggiornamento professionale per freelance voluto dall’Ordine nazionale, e organizzato dall’Istituto per la Formazione al Giornalismo “Carlo De Martino” di Milano, e che si è concluso il 30 giugno scorso. Un progetto-pilota che ha coinvolto giornalisti provenienti da tutta Italia: in questo modo abbiamo colto l’occasione per approfondire la normativa che ci riguarda (il rapporto tra etica, informazione e deontologia e gli aspetti fiscali per l’attività autonoma), senza trascurare le tecniche pratiche più avanzate attraverso Internet, i pacchetti applicativi e, non ultimo, il programma di impaginazione Quark XPress. “Un utile confronto, così definirei in estrema sintesi questo corso per freelance, senza scindere dall’aspetto didattico quello umano. Trattandosi di un ‘numero zero’, ha naturalmente manifestato dei limiti, com’era prevedibile. Complessivamente per quanto mi riguarda ho tratto giovamento dalla frequentazione completa delle sette settimane. I freelance soffrono in qualche modo di un isolamento forzato, quindi il fatto stesso di poter vedere e conoscere le realtà in cui vivono ed operano i propri colleghi permette di acquisire apertura mentale e ricevere incoraggiamento, laddove se ne senta l’esigenza. Dal un punto di vista puramente didattico un’esigenza e un suggerimento: sarebbe opportuna qualche esercitazione in piú”. Roberta Barcella “Una panoramica chiara ed esaustiva sulla situazione dei giornalisti liberi professionisti: questo l’esito maggiormente condivisibile del corso. Ma, orari e giorni scelti sono stati, pur essendo corretti per una iniziativa nazionale, difficili da rispettare per chi vuole aggiornarsi svolgendo le varie collaborazioni professionali da cui non può, ovviamente, prescindere. Mai. Di fronte ai docenti del corso e alle lezioni ho ripensato alla mia ventennale attività professionale con tutte le tensioni e le problematiche retributive e contributive e mi sono ripromesso di fare delle scelte di campo. Mi ha incuriosito molto la proposizione di riflessioni su di un nuovo campo aperto della professione giornalistica, l'e-learning per essere precisi, perché gli informatori possono essere anche formatori o insegnanti veri e propri. Nella mia esperienza debbo confermare che in molti casi mi sono trovato a svolgere compiti diversi e non l'ho ritenuta cosa "altra" dal mio essere giornalista”. Claudio Consonni “L’entusiasmo, l’impegno , la costanza sono stati sempre alti nel corso delle 6 settimane di lezioni full-time, che mi hanno permesso di apprendere e approfondire in una nuova veste questa figura professionale. Essere freelance è un privilegio acquisito. Ci è stato trasmesso un ricco patrimonio di informazioni, un potenziale ORDINE 9/10 2004 Prezioso è il contributo che questa iniziativa dal carattere sperimentale offrirà alle future sessioni di lavoro, che auspichiamo l’Ordine nazionale intenderà riproporre, nell’ambito del progetto di formazione e aggiornamento imposti dalle nuove frontiere della professione. A nostra disposizione, esperienza e professionalità di “colleghi-docenti” (giornalisti dei quotidiani nazionali, elettronici e della carta stampata, foto-giornalisti, grafici, informatici, rappresentanti dell’Ordine, del sindacato, delle istituzioni comunitarie, insieme ad avvocati e commercialisti) che si sono avvicendati in quasi cento ore di lezione, offrendoci in alcuni casi assistenza e consulenza specializzata. professionale che sfrutteremo ognuno a seconda del proprio settore specialistico. Interessante è stato l’amichevole confronto con altri colleghi provenienti da tutta l’Italia”. Rosita Giulian “Molfetta-Milano con ritorno. In treno. Di notte. Ogni sabato e mercoledì. Per sei settimane. Centoventi ore di viaggio. “Traversate” dalla Puglia per riflettere. Arrivare a Milano, nell’Ifg, e magari capire.Tu che la scuola non l’hai mai fatta, perché il “duro lavoro” ce l’hai nel sangue, e l’hai imparato sul campo, in strada, in redazione. Dovunque fosse una notizia. O non ci fosse e andava trovata. A combattere sola contro tutti. Per otto anni. E, spesso, per quattro soldi. E, magari, ti rivedi alle prime armi nello sguardo incantato dell’allievo del biennio, che posa coi colleghi nella foto di fine anno. Ma quel corso di aggiornamento freelance andava fatto. Il corso è un tassello che ha caricato di significato la svolta che sta caratterizzando il tuo percorso professionale attuale, offrendoti gli spunti di riflessione che ti servono per orientare le tue scelte”. Giulia La Volpe “L’esperienza di un viaggio su un treno che all’alba di ogni mattina dalla stazione di Mestre mi porta a Milano all’Istituto “Carlo De Martino” per la Formazione al Giornalismo e che poi riprendo per tornare a casa, tre giorni per sei settimane, sei ore della mia vita vissute su una carrozza dell’Intercity 604, per capire qualcosa di più di questo lavoro. Un corso impegnativo, un’esperienza straordinaria, tanti sforzi e una dura lotta che significa: non mollare mai. Venti colleghi-allievi, e insegnanti professionisti a disposizione. Tante le materie interessanti. Docenti preparati, ma il tempo messo a nostra disposizione è tiranno e in poche ore non fai in tempo a elaborare ciò che ti spiegano, le cose importanti hanno bisogno di tempo. Tanta e tanta competizione tra di noi. Coraggio mi ha trasmesso Simona Fossati, presidente del Gruppo freelance della Lombardia, il coraggio di credere in questa professione, che le cose possono cambiare davvero, che bisogna lottare fino alla fine. La cornice di eccellenza fornita dall’Ifg di Milano “Carlo de Martino”, la scuola di giornalismo dell'Ordine della Lombardia, ci ha assicurato infine il giusto supporto tecnico-logistico per trasferire “in pagina” quanto appreso in classe. I giornalisti freelance si sono organizzati creando un sito internet di rappresentanza all’indirizzo: www.giornalistifreelance.it Le persone che ho incontrato, ogni singolo insegnante mi ha comunque trasmesso un valore. Un suggerimento, infine: la durata del corso è stata troppo breve per elaborare ed approfondire tutte le materie a livello teorico e pratico. Qualcosa”. Maria Teresa Mezzina “Il corso che ha permesso di conoscere e approfondire, in diversi ambiti, nozioni tecniche e pratiche utili per l’esercizio della nostra professione, una significativa opportunità per la categoria dei freelance sia per il livello di preparazione degli insegnanti, sia per il contenuto delle lezioni. Come per altro sottolineato dai nostri docenti la tecnologia ha un ruolo sempre più dominante sia nel settore della carta stampata che in quello radio televisivo, sia nel settore del telelavoro che in quello dei fotoreporter e inviati speciali. Non sono stati trascurati gli aspetti fiscali, legislativi e non ultimo quello previdenziale dell’attività giornalistica per permettere di conoscere e di conseguenza eventualmente adeguare le proprie posizioni. A livello personale data la mia specializzazione e il settore con cui collaboro ritengo questo corso estremamente positivo sia per gli aspetti che completano e aggiornano la mia professionalità sia per la mia cultura generale. Ho particolarmente apprezzato il corso di XPress che mi permetterà di svolgere collaborazioni all’interno delle redazioni in modo più agevole”. Giovanna Moldenhauer “L’esperimento ha un elevato e indubbio valore positivo perché è un segno dell’interesse e della cura per una categoria di giornalisti sempre più numerosa, ma, forse, trascurata. Come tutte le cose, il corso, anche per il fatto di essere il primo organizzato in Italia, può essere migliorato. Ad esempio, la selezione dovrebbe tendere all’omogeneità, dovrebbe tener conto cioè della specifica preparazione, delle conoscenze e degli ambiti di lavoro dei partecipanti. Inoltre la durata va aumentata. Per ciò che riguarda le materie, buona è stata al scelta di quelle del corso. Personalmente avrei aumentato le ore dedicate alle esercitazioni. Tra le cose che ancora avrei privilegiato sono le lezioni sull’etica, sulla deontologia, e sugli enti della categoria, di cui i freelance - a meno che non abbiano sostenuto l’esame da professionisti - di solito sono (molto) a digiuno. Quanto al (giusto) obbligo di frequenza, essendo i freelance occupati (almeno in teoria) sarebbe opportuno pensare ad un corso in periodi, ma soprattutto “orari”, non lavorativi, come quelli serali per esempio. Forse sarebbe utile e opportuno effettuare una specie di sondaggio tra i freelance per individuare le loro necessità e chissà, magari un giorno anche per organizzare più corsi paralleli, differenti per contenuti e finalità”. Matteo Negri “Mi occupo di tecnologia ed informatica ormai da diversi anni e il mio settore di competenza è la divulgazione scientifica. La mia partecipazione al corso è stata motivata dall’intenzione di trasportare alcune conoscenze personali allo spazio dei media, eventualmente ricavando dalle lezioni un confronto diretto con altri colleghi. Si presentava l’occasione di affinare l’uso di alcuni strumenti informatici che già conoscevo e di imparare da esperti l’utilizzo dei prodotti di editoria e pubblicazione elettronica. Quando all’inizio della sessione ho potuto osservare il programma mi sono accorto che i contenuti erano addirittura più ampi di quanto avessi immaginato. Il mio interesse verso gli argomenti trattati è cresciuto di giorno in giorno, motivandomi ad andare avanti e a non perdere nemmeno un appuntamento. Ritengo siano state fondamentali le lezioni sulle iniziative dell’Ordine nazionale, del sindacato e delle rappresentanze comunitarie perché hanno disegnato una cornice istituzionale di pregio intorno alla mia attività giornalistica, in un certo senso valorizzandola. Da freelance considero importanti gli approfondimenti economici, di consulenza commerciale e legale, sulla gestione della mia attività, perché ho scoperto diverse possibilità che prima non avevo valutato. Di notevole interesse per me è stato il confronto con i giornalisti dei quotidiani nazionali della carta stampata, grandi esperti di comunicazione, dai quali ho potuto ricavare alcune linee guida per la mia professione”. Massimiliano Riatti 15 (23) Tiziano Terzani “sulla cattedra” della scuola di giornalismo di Milano durante il suo incontro con gli allievi del XXIII biennio. I NOSTRI LUTTI Tiziano Terzani “Il giornalismo è stata la mia vita. Una vita dura, di sacrifici, ma di grande moralità” di Gigi Speroni Tiziano Terzani “ha lasciato il suo corpo” il 29 luglio scorso. E noi qui possiamo ricordarlo soltanto ora, sul primo numero raggiungibile di un mensile uscito dopo la pausa estiva. Ricordare, soprattutto, quel pomeriggio indimenticabile di due anni fa quando Terzani venne alla scuola per parlare del suo libro Lettere contro la guerra. Aveva lasciato l’eremo ai piedi dell’Himalaya per compiere, disse «un pellegrinaggio di pace». Non nei talk show televisivi, che invano lo corteggiavano, ma a diretto contatto con le persone, in particolare i giovani. Poche ore prima aveva incontrato Ferruccio de Bortoli al quale s’era presentato “in un completo bianco di maestosa bellezza, con i capelli raccolti dietro la nuca, la barba curatissima… L’abito doveva essere in armonia con il corpo e con l’ambiente. Un lampo di luce in un interno milanese”. Lo stesso lampo che illuminò l’Aula Magna quando Terzani apparve, è il caso di dirlo, ai nostri praticanti. Le immagini di quell’evento parlano da sole. Stralcio dalle cronache di due allievi, Stefano Caselli e Giovanni Pinna, uscite su Tabloid nell’aprile del 2002: «Se un pomeriggio di fine inverno un visitatore fosse passato all’Ifg, ignaro dell’appuntamento con Tiziano Terzani, avrebbe probabilmente girato i tacchi, credendo di esser finito in una scuola di meditazione yoga o di training autogeno. La sua figura si stagliava come Farinata degli Uberti “dalla cintola in su”; questo perché il giornalista-scrittore sedeva scalzo a gambe incrociate, a mo’ di fachiro indiano, sul tavolo dell’Aula Magna. Il colore bianco dominava assoluto: barba, capelli e abiti, candidi quasi come le vette dell’Himalaya che Terzani ha eletto sua dimora. In “Lettere contro la guerra”, ultimo dei suoi otto libri scritti, c’è la spiegazione della scelta che è anche un atto d’amore: «Le montagne, come il mare, ricordano una misura di grandezza dalla quale l’uomo si sente ispirato, sollevato. Quella stessa grandezza è anche in ognuno di noi, ma lì ci è difficile riconoscerla…» Quest’uomo, da autentico giornalista, si è raccontato agli aspiranti giornalisti con umiltà e rara finezza gestuale e verbale, e da questa linea non si è discostato neppure quando ha messo alla berlina, senza fare mai alcun nome, i vizi, le inadempienze e le slealtà riscontrate in più di trent’anni di “mestiere”. Terzani si è confessato, di fronte a noi quaranta e ad altri numerosi ospiti della scuola, sotto gli occhi di sua moglie Angela che, discreta, stava seduta accanto a una finestra della sala. In via Filzi 17 non è approdato per caso; l’Ifg era una tappa quasi obbligata del pellegrinaggio di pace intrapreso dopo la reazione americana all’attacco alle Twin Towers. Il nostro ospite ha visto gli effetti dei bombardamenti su Kabul e sui villaggi afghani, ha intervistato i testimoni, ha contato i morti civili, ha rivissuto a 63 anni le esperienze del fronte di guerra, come gli accadde in Cambogia, Laos e Vietnam quando era corrispondente di “Der Spiegel”. Anche del suo fortuito incontro col prestigioso settimanale tedesco, Terzani ci ha voluto rendere partecipi, con una storia che narra l’inizio della sua simbiosi con l’Asia. «Dopo aver scritto per vari quotidiani e con in tasca due lauree e sei lingue europee, sostenni l’esame di Stato e diventai giornalista professionista. Mi ero già appassionato allo studio del cinese perché desideravo ardentemente corrispondere per qualche testata dall’ex Celeste Impero, allora governato da Mao. Mi proposi senza successo a diversi giornali». Fu il finanziere Raffaele Mattioli ad aprire a Terzani le porte del continente asiatico nel 1968. Lo contattò per affidargli la stesura di alcune lettere commerciali in cinese e successivamente lo “inviò” a Singapore con uno stipendio di mille dollari al mese e il compito di scoprire le aree più adatte allo sbarco di nuove banche e aziende europee. Durante un soggior- Ordine/Tabloid ORDINE - TABLOID periodico ufficiale del Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Mensile / Spedizione in a. p. (45%) Comma 20 (lettera B) art. 2 legge n. 662/96 - Filiale di Milano Anno XXXIV Numero 9/10, Settembre/Ottobre 2004 Direttore responsabile FRANCO ABRUZZO Direzione, redazione, amministrazione Via Appiani, 2 - 20121 Milano Tel. 02/ 63.61.171 Telefax 02/ 65.54.307 Consiglio dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia Franco Abruzzo presidente; Cosma Damiano Nigro vicepresidente; Sergio D’Asnasch consigliere segretario; Alberto Comuzzi consigliere tesoriere. 16 (24) Consiglieri: Michele D’Elia, Letizia Gonzales, Laura Mulassano, Paola Pastacaldi, Brunello Tanzi Collegio dei revisori dei conti Giacinto Sarubbi (presidente), Ezio Chiodini e Marco Ventimiglia Direttore dell’OgL Elisabetta Graziani Segretaria di redazione Teresa Risé Realizzazione grafica: Grafica Torri Srl (coordinamento Franco Malaguti, Marco Micci) Copia omaggio Stampa Stem Editoriale S.p.A. Via Brescia, 22 20063 Cernusco sul Naviglio (Mi) Registrazione n. 213 del 26 maggio 1970 presso il Tribunale di Milano. Testata iscritta al n. 6197 del Registro degli Operatori di Comunicazione (ROC) Comunicazione e Pubblicità Comunicazioni giornalistiche Advercoop Via G.C.Venini, 46 20127 Milano Tel. 02/ 261.49.005 Fax 02/ 289.34.08 La tiratura di questo numero è di 23.777 copie Chiuso in redazione il 14 settembre 2004 no in Germania, ritagliato in un periodo di ferie, fu presentato da un amico al direttore di “Der Spiegel” che – mai metter limiti alla Provvidenza – cercava un corrispondente dal continente asiatico. «Tornai da Mattioli e rinunciai all’incarico e ai mille dollari mensili. Auguro a tutti voi di godere di un po’ di fortuna che, si intende, aiuta gli audaci. Guardate me: mi sono divertito e sono stato pagato per realizzare il mio sogno di sempre». Su una cosa Terzani ha insistito particolarmente, ha voluto trasmettercela: «Non ho mai accettato viaggi e soggiorni gratuiti dalle aziende, né lusinghe dai potenti. Sarebbe stato incompatibile con la mia libertà di giornalista, mi avrebbe impedito di scrivere la verità oggettiva di cui ero testimone»…. «Il giornalismo è stata la mia vita. Una vita dura, di sacrifici, ma di grande moralità». E dall’idea di moralità nasce lo spunto per una riflessione critica sul giornalismo italiano, che a Terzani – lui, “tedesco” per trent’anni – decisamente non piace. «Nel dicembre del 1931 Gandhi, di ritorno da Londra, si fermò a Roma. Mussolini (“il macellaio dagli occhi di gatto” come in seguito lo definì) volle incontrarlo. I due, come ovvio, non si piacquero e bastarono pochi minuti per capirlo. Tuttavia “Il Giornale del Popolo” parlò di “lungo e cordiale incontro” e due giorni dopo pubblicò un’intervista che Gandhi non aveva mai rilasciato». Un episodio lontano nel tempo ma non nello stile, un esempio di disonestà che ricorre tutt’oggi: «Qualche giorno fa ho letto su un quotidiano un appello nel quale si chiedeva al governo italiano di non modificare la legge sul commercio delle armi. Sotto ci ho trovato la mia firma, ma io non ne sapevo nulla. Nessuno, prima di pubblicare, si è preoccupato di verificare. Bastava una telefonata». Ma il problema del giornalismo italiano non è solo di moralità; c’è una carenza di inquisivitness, di curiosità: «È possibile che, con il mondo in guerra, i giornali italiani dedichino otto-nove pagine al delitto di Cogne? Questo non è giornalismo, è spettacolismo». L’accenno alla guerra riporta Terzani sui binari del suo pellegrinaggio di pace, per ribadire che l’attuale conflitto non è altro che «una guerra di bugie», a partire «dalla vendetta che l’ ha generata fino all’insufficiente, a volte complice, copertura da parte dei mezzi d’informazione.Gli americani in Afghanistan non hanno vinto nulla, ma in patria – e in tutto l’Occidente – hanno vinto la guerra psicologica sulla necessità e l’ineluttabilità di questo attacco. La stampa americana è stata per molti mesi totalmente supina ai briefing della Casa Bianca». «Non bastano – conclude Terzani – i fatti. A volte i fatti nascondono la verità, esattamente come sta accadendo per questa guerra. Il giornalista deve sentirsi in dovere di fare i conti in tasca al mondo, perché la verità in sé non esiste, ma se ne trova un pezzettino dovunque». Qualcuno, infine, gli chiede cosa farebbe oggi se dovesse ricominciare. Senza esitazioni, Terzani risponde che imparerebbe l’arabo e andrebbe a vivere in mezzo agli arabi”. Ci lasciò promettendoci di ritornare. Ma dentro si portava un tumore. Quando lo seppe, lui, dopo aver tanto viaggiato per vivere straordinarie esperienze umane in Vietnam, Cina, Cambogia, Russia, cercando di capire chi fossero gli altri, cominciò a intraprendere un viaggio dentro se stesso alla ricerca delle ragioni del male che l’aveva colpito e delle possibili cure. Per raccontarle ne “L’Ultimo giro di giostra”. Disse una volta «Se potessi rinascere vorrei essere rugiada». E allora penso alla rugiada per il Manzoni “refrigerio di una parola amica”. Quella che Tiziano Terzani ci ha lasciato con questo suo ultimo libro. Rileggo le prime pagine: “Viaggiare, era stato per me un modo di vivere, e ora avevo preso la malattia come un altro viaggio, involontario, non previsto, per il quale non avevo carte geografiche, per il quale non mi ero in alcun modo preparato, che di tutti i viaggi fatti fino ad allora era il più impegnativo, il più intenso.. Un viaggio nel bene e nel male del nostro tempo”. E le ultime: “La storia di questo viaggio non è la riprova che non c’è medicina contro certi malanni. E che tutto quello che ho fatto per cercarla non è servito a nulla. Al contrario: tutto, compreso il malanno stesso, è servito tantissimo. È così che sono stato spinto a rivedere le mie priorità. A riflettere, a cambiare prospettiva e, soprattutto, a cambiare vita. E questo è ciò che posso consigliare agli altri: cambiare vita per curarsi, cambiare vita per cambiare se stessi. Per il resto ognuno deve fare la strada da solo.…E io sono particolarmente fortunato perché, ora più che mai, ogni giorno è davvero un altro giro di giostra”. ORDINE 9/10 2004 I NOSTRI LUTTI Elio Sparano Per 40 anni inviato e caporedattore. Simbolo della Rai a Milano di Romano Bracalini Non c’è come la Televisione per dare il senso dell’effimero e del provvisorio; ma Elio Sparano era qualcosa di più di un volto diventato familiare a milioni di famiglie che ne apprezzavano il tono calmo e rassicurante. Sparano è stato il caporedattore “storico” ed ha legato il suo nome alla Rai di Milano, come dirigente e inventore di rubriche televisive, come Nord chiama Sud, in collaborazione con Baldo Fiorentino da Napoli, e come telecronista col genio della cronaca insignito del Premio Speciale Ischia nel 2003. Aveva ricevuto altri riconoscimenti, ma non amava parlarne come tutti quelli che li ricevono a giusto titolo. Aveva un debole per il profumo di violetta. Faceva parte del suo bagaglio di stile e di eleganza, come il fiocchino blu a pois, che portava con grande disinvoltura, e col quale appariva regolarmente nelle telecronache dalla Fiera di Milano, uno dei suoi appuntamenti fissi. All’apparenza dava l’impressione di una severità studiata: il tratto gentile da vecchio gentiluomo gli veniva dall’educazione ricevuta in famiglia. Suo padre era un alto ufficiale della Guardia di Finanza e so che ebbe una forte influenza su di lui; e non credo fosse soddisfatto quando Elio vinse il concorso per telecronista ed entrò in Rai. La tv era agli albori, Sparano contribuì a farla crescere con il suo grande mestiere e le sue doti di inventiva. Non aveva tessere. Restò sempre un uomo libero. Per portamento, naturale eleganza e con una bella voce calda e senza inflessioni dialettali, la Televisione sembrava fatta per lui. Divenne la sua casa e la sua ragione di vita.Veniva il mattino presto e se andava quand’era buio. Lo accompagnavo a mezzogiorno al relais con Roma dove ogni sede Rai collegata riferiva sugli avvenimenti della giornata; con il suo amico Biagio Agnes, allora direttore del Telegiornale, seguiva uno scambio vivacissimo di battute che riecheggiavano in tutte le sedi Rai in ascolto. Agnes lo provocava apposta e Sparano diventava irresistibile. La domenica mattina nel corridoio della redazione si esibivano i tipi più divertenti: Nino Vascon, caporedattore alla radio, Paolo Callegaris, il principe dei montatori, ed Elio se la rideva partecipando al teatrino; e in quei momenti diventava ciò che era veramente: un uomo spiritoso, un uomo semplice e di grande umanità, e in fondo un solitario. Mi dicono che in Rai il clima oggi sia cambiato. Credo di averlo visto la prima volta in Tv nel sequestro dei bambini d’una scuola di Tavazzano ad opera di un pazzo. Nella cronaca diretta e nel tumulto della giornata colpivano la calma, l’assenza di ogni enfasi, la precisione della ricostruzione. Il cronista della carta stampata raccoglie i dati, vede, poi racconta la storia con sufficiente calma, il telecronista non ha tutto questo tempo e deve raccontare l’avvenimento sul “tamburo”, in tempo reale, sceverare le notizie vere ORDINE 9/10 2004 da quelle di fantasia. Elio Sparano è stato un caposcuola. Fu il primo a stabilire il collegamento diretto nel telegiornale delle 13,30, che d’improvviso, abituati come eravamo all’ufficialità e al linguaggio castigatissimo (c’era un prontuario di parole che non si potevano usare, come per esempio “membri di governo”), parve ringiovanire e offrire una visione più autentica della realtà. Non fu un caso che l’esperimento prendesse il via col telegiornale delle 13,30, mentre quello della sera mantenne il carattere serioso e imbalsamato dell’ufficialità. Certe liberalità di lingua non erano consentite, la cronaca era limitata al traffico e alla nebbia in Val Padana; delitti di sangue se proprio non se ne poteva fare a meno. Sparano arricchì il telegiornale di notizie di cronaca e di attualità; mi consentì di occuparmi di avvenimenti storici. Nel 1976, per la rubrica Nord chiama Sud, nel trentesimo del referendum istituzionale, intervistai a Cascais l’ex re Umberto. Era la prima volta che appariva alla Tv italiana. A Milano montai il servizio e nell’introduzione all’intervista misi la marcia reale. L’avessi mai fatto. C’era l’ordine tassativo di non trasmettere musiche e marce del passato regime. Oggi è prassi normale ma allora non si poteva. Sparano chiese se per caso nell’intervista a un ex re dovevamo mettere la marsigliese. Di colpo un altro diaframma di ipocrisia cadde. Il servizio andò in onda come l’avevamo concepito. La malapianta della violenza nera e del terrorismo rosso ci abituò a ben altre tragedie e anche in quell’occasione Sparano fu all’altezza del compito. Nel pomeriggio del 12 dicembre 1969 mi spedì alla Banca dell’Agricoltura, in piazza Fontana, Elio Sparano, nella foto dell’archivio dell’Ordine, con l’immancabile “farfallino”. Nella fotografia “storica” qui accanto, la redazione del primo telegiornale a Milano negli anni ’50: alle scrivanie, da sinistra, Franco Fassetta, Elio Sparano, Luciano Serani, Avvento Montesano. In piedi, Bruno Ambrosi. A destra: Claudio Lavazza, Ilio De Giorgis, Emilio Sanna e la segretaria Giuliana Bagnasco. dove sembrava fosse scoppiata una caldaia. Quella sera stessa diede per primo la notizia dell’attentato. Memorabile la sua cronaca dei funerali. Fu un susseguirsi di eventi tragici: piazza della Loggia, e poi il terrore brigatista che colpiva a tradimento: così furono uccisi il Pm Alessandrini, il giudice Galli e il giornalista Walter Tobagi. Sparano veniva in moviola, controllava ma difficilmente faceva un rilievo. Non avrebbe mai corretto un testo senza suggerire all’autore la forma più adatta e corretta. Cerco di ordinare i ricordi, e mi sorprendo di farlo a ciglio asciutto. Anche questa è una lezione che ho imparato da lui. Una volta sola l’ho visto piangere. Fu quando morì l’operatore Carlo Rolly Cannara, l’amico di una vita, il collaboratore fedele di tante trasmissioni televisive. Quando andò in pensione qualcosa si ruppe.Viveva in un piccolo appartamento con la sua compagna, e quando lei morì e lui restò solo con la figlia Rita, gli telefonai. Non amava le frasi di circostanza e in questi casi non si sa mai cosa dire. La Televisione l’aveva abituato all’essenziale. A usare quattro parole invece di cinque quando queste possono bastare. Cambiò subito discorso, evitandomi di dire le solite cose. Anche questa sua ritrosia burbera era una maschera per non cedere alla commozione che a lui pareva debolezza. Quel che so di Televisione lo devo a lui. Ma non solo questo. La vita passa in fretta; ma se mi volto indietro, nel turbinare dei ricordi, ora nitidi ora sfocati, vedo non più di dieci persone generose e indimenticabili che mi hanno aiutato. Elio Sparano è tra i primi, ma so che non vorrebbe che glielo dicessi. 17 (25) TRENT’ANNI FA MORIVA IL GIORNALISTA VICENTINO M E M O R I A Una Fondazione per aiutare chi soffre Il 5 maggio 1975, nemmeno un anno dopo la morte di Ghirotti, nasceva a Roma, su iniziativa della moglie e di un gruppo di amici e colleghi, il “Comitato nazionale Gigi Ghirotti”, con l’obiettivo di mantenere vivo il messaggio del giornalista vicentino e di portarne avanti, attraverso iniziative e attività concrete, la testimonianza. Tra i fondatori, anche l’amico e collega Giovanni Grazzini, che del Comitato fu, per i primi undici anni, il presidente. Presentato ufficialmente in Campidoglio nel 1975, ottenuto il riconoscimento giuridico nel 1984, il Comitato ha, il 10 giugno 2002, assunto la denominazione di “Fondazione nazionale Gigi Ghirotti”, attualmente presieduta dal giornalista Bruno Vespa. Con la finalità, come si legge nello Statuto, di “realizzare servizi per la prevenzione, la terapia, lo studio e le ricerche sulle malattie in campo emato-oncologico e strutture operative per l’assistenza sociale e sanitaria dei malati affetti da sindromi altamente invalidanti o in fase terminale e dei loro familiari”. Oggi la Fondazione opera nell’ambito della ricerca, dell’organizzazione di convegni, giornate di studio e tavole rotonde, dell’informazione (attraverso la “Collana di studi Gigi Ghirotti” e il periodico trimestrale “Gigi Ghirotti Notizie”). Ma soprattutto offre, gratuitamente, a chiunque vi si rivolga, aiuto, orientamento e assistenza attraverso il Centro di ascolto psicosociale. Attivo tutti i giorni, comprese le domeniche, dalle ore 10 alle 20, il Centro (numero verde 800.30.15.10) opera sull’intero territorio nazionale, nell’ottica di aiutare le persone malate di tumore e i loro familiari ad affrontare la malattia. Solo nel 2003, ha avuto 6.230 contatti, quasi venti al giorno. Da due anni a questa parte, poi, l’ultima domenica di maggio, la Fondazione dà vita, insieme al ministero della Salute e alla Conferenza dei presidenti delle Regioni e delle Province autonome, alla “Giornata nazionale del sollievo”: una grande campagna di sensibilizzazione sociale sul tema della sofferenza. Gigi Ghirotti, di Patrizia Pedrazzini Trent’anni fa, la mattina del 17 luglio 1974, moriva a Vicenza, sua città, Gigi Ghirotti. Stroncato da quello che allora, quasi facesse paura anche solo il chiamarlo per nome, si preferiva evocare come “il male del secolo”. Per lui, un linfogranuloma maligno, altrimenti detto morbo di Hodgkin. Una malattia neoplastica che aggredisce il sistema linfatico. Un cancro. Quando morì, non aveva ancora compiuto 54 anni (era nato il 10 dicembre 1920) e, per tutta la vita, non aveva fatto che un mestiere: il giornalista. Era l’ultimo di nove figli. Interrotti, per lo scoppio della guerra, gli studi classici, arruolatosi come volontario negli Alpini, aggregatosi, nel settembre del ’43, alle formazioni partigiane, era entrato, nel 1945, a Il Giornale di Vicenza, per passare a La Stampa (1950-1958), quindi a L’Europeo (1958-1960), poi ancora a La Stampa (1960-1974). Acuto osservatore della realtà italiana del dopoguerra, soprattutto degli anni del cosiddetto boom economico, aveva indagato, firmato servizi, scritto libri, su personaggi e temi fra i più diversi. Dall’intervista, uscita su La Stampa il 24 maggio 1950, al generale Battisti, comandante della Cuneense, appena rientrato dalla Russia dopo otto anni di prigionia, ai pezzi spiritosi e brillanti che - erano gli anni di Lascia o raddoppia? e dei primi Festival di Sanremo - confezionava in veste di inviato al seguito di Mike Bongiorno e di Nilla Pizzi (e che non dovevano proprio essere il suo genere, se, come ricorda l’amico e collega Giorgio Calcagno, “partiva mugugnando, con improperi che il direttore intuiva ma fingeva di ignorare”). Dagli incontri con De Gasperi in Valsugana e con Eisenhower a Udine, ai resoconti (La Stampa, 1964) sul delitto del “bitter avvelenato”, con il dottor Renzo Ferrari, veterinario di Barengo, inquisito di aver avvelenato il signor Tino Allevi, marito della sua amante, con un bitter fattogli recapitare a casa. Dall’incontro-scontro con don Lorenzo Milani, fondatore della scuola di Barbiana, nel Mugello, e ispiratore di una radicale critica alla tradizionale cultura scolastica e al suo classismo, che emarginava il mondo popolare e contadino (Comunità, 1967), all’intervista, apparsa su La Stampa il 17 gennaio 1970, al “marxista” Gianni Morandi. Fino alle inchieste sulla giustizia, sulla mafia, sul banditismo sardo, sui grandi fenomeni civili e sociali del tempo. Che si tradussero in altrettanti libri: Il magistrato (1963, rifacimento di una prima edizione del ’59), sulla condizione del giudice in Italia; Italia mia benché (1963), sugli anni del miracolo economico e della corsa al benessere; Da Olimpia a casa mia. 3.000 anni di cronache sportive (1964), originale raccolta di scritti sul tema dello sport, di autori delle più svariate epoche: da Omero a Umberto Saba, da Senofonte a Italo Calvino, da Ernest Hemingway a Oriana Fallaci; Mitra e Sardegna. Guida documentata per continuare impuniti il sequestro di persona (1968), sul fenomeno del banditismo sardo; Rumor (1970), biografia del concittadino e amico Mariano Rumor, allora presidente del Consiglio. Tutto questo, e altro ancora, era Gigi Ghirotti. “Uomo di carta stampata - sono ancora parole di Giorgio Calcagno -, e soprattutto di ricerca. Poteva firmare, non apparire, secondo il miglior costume di allora. La sua natura lo portava a essere attento ai fatti della vita, a domandarsene il perché. E frugare, frugare, finché non trovava il bandolo”. Una vocazione al racconto e all’approfondimento, che andava di pari passo con la caparbietà, l’ironia e il distacco con i quali Ghirotti si poneva nei confronti della realtà uomini o fatti che fossero - della quale era chiamato a rendere testimonianza. E che ha un solo nome: cronaca. “Cronista attento, Ghirotti, preciso; e soprattutto libero. Giulio De Benedetti, che dal 1948 dirigeva La Stampa, fiutò presto in lui l’inviato giusto. Gli affidò vari servizi dal Veneto, e poi lo chiamò a Torino, per farlo girare in Italia. Ebbe servizi e inchieste di prim’ordine, e qualche problema di convivenza. Il giovane vicentino, tanto gentile nel tratto quanto roccioso nel temperamento, intendeva difendere, anche nei rapporti di lavoro, uno spirito di indipendenza non sempre tollerabile dal Napoleone del giornalismo. Si arrivò più volte alla rottura”. Così sempre Giorgio Calcagno, nell’introduzione a Gigi Ghirotti nel tunnel della malattia, del 1994. E ancora: “Di fronte alla notizia, non si accontentava mai della prima versione, voleva vedere dietro la facciata, scoprire quel tanto di inconoscibile dimenticato dai verbali, nel quale spesso consiste la realtà. Soprattutto andava verso l’interlocutore con quella carica di simpatia umana che costringeva l’altro a gettare la maschera e mostrarsi com’era”. Curiosità? Cocciutaggine? Coraggio? Forse, più semplicemente, fu per onestà che alle dieci di una domenica sera era il 27 maggio 1973 - quest’uomo forte e robusto, dagli occhi chiari e ridenti da veneto autentico, decise di farsi riprendere, in pigiama e vestaglia, dall’obbiettivo di una telecamera e di mostrarsi in televisione mentre, in un corridoio d’ospedale, intervistava medici e compagni di malattia. E raccontava dell’isolamento dei malati, dell’insufficienza delle strutture sanitarie, delle carenze dell’assistenza pubblica. Della paura e del dolore. Come se il malato fosse un altro. Solo che questo “altro”, quello del quale era chiamato, ancora una volta, a rendere testimonianza, questa volta era lui. Il servizio, nato da un incontro di Ghirotti con il vecchio amico Piero Dal Moro, divenuto regista televisivo, venne trasmesso, sul secondo canale, sotto la testata Orizzonti. L’uomo, la scienza, la tecnica, di Giulio Macchi. La sua collocazione, a quell’ora e in quel giorno, fu non solo, come ha sottolineato Calcagno, “una scelta coraggiosa che la Rai in quegli anni aveva ancora l’intelligenza di permettersi”, ma Guido Gerosa: “Quel giorno che Ghirotti non mi lasciò copiare” All’indomani della prima trasmissione televisiva, che grande eco suscitò su tutti i giornali, Guido Gerosa, che di Ghirotti era stato collega e “antagonista” in tanti servizi, scrisse, per Epoca, un lungo articolo su di lui, intitolato “Quel giorno Ghirotti non mi lasciò copiare il compito”. Ne proponiamo uno stralcio, quello nel quale il giornalista vicentino viene ritratto alle prese con il quotidiano lavoro di cronista. Era stato arrestato a Milano un ingegnere, certo Dalla Verde, accusato di aver ucciso una mondana; e la storia aveva assai impressionato, perché lasciava intravedere risvolti impensabili dietro il fascino discreto della borghesia ambrosiana. La vicenda era precipitata nelle ultime ore e tutti noi cronisti eravamo nello studio dell’avvocato 18 (26) Bovio per le rivelazioni decisive. Ghirotti sapeva più di noi perché, per il settimanale dove allora lavorava, era riuscito a intervistare l’ingegnere poco prima che le porte del carcere si chiudessero dietro di lui. Eravamo tutti amici là dentro, ma eravamo anche professionalmente concorrenti. E allora Ghirotti, che aveva il giornale “in chiusura” […], aspettando il fattorino che avrebbe ritirato il suo pezzo, scriveva con la sua portatile appartato su un tavolo dell’ufficio dell’avvocato, batteva sui tasti con le dita di una mano e con l’altra mano teneva un po’ occultato il foglio, come si fa a scuola, perché non “copiassimo”, soprattutto noi dei quotidiani che avremmo avuto su di lui un vantaggio di molte ore. Però gli rincresceva e ci guardava con un sorriso un po’ di rimprovero come a dire: “Ma guarda un po’ cosa mi fai fare”. Il giorno dopo mandai a prendere il giornale di Ghirotti: il pezzo era bellissimo. Il fascino discreto dell’ingegnere ne usciva descritto con agghiacciante precisione. L’articolo non diceva, né poteva dire, se quell’uomo si fosse macchiato di quella gravissima colpa. Ma diceva di più. Ne scaturiva un ritratto dostoevskiano di un’anima divisa, ambigua, smarrita. E alla fine cadeva nel deserto di quella confessione una domanda dolorosa, che rimaneva senza risposta: “Ingegnere, lei crede in Dio?”. Così lo ha ricordato Vicenza Nel trentennale della scomparsa di Gigi Ghirotti, la Fondazione a lui dedicata ha ricordato la figura del giornalista con un incontro, svoltosi lo scorso 17 luglio nella Sala degli Stucchi di Palazzo Trissino, a Vicenza. Erano presenti il sindaco, Enrico Hullweck, il nipote Franco Carlassare, il vice presidente della Fondazione, Carlo Sampietro, il presidente della Biblioteca Bertoliana, Mario Giulianati, il giornalista de La Stampa, Alberto Sinigaglia. L’indomani il convegno è proseguito nell’Aula Magna della Scuola per operatori sociosanitari (Ulss 6) di Vicenza, con interventi di medici e dirigenti, che hanno affrontato le diverse tematiche del sostegno psicologico, dei progressi ottenuti in campo terapeutico, delle nuove sfide dell’ematologia. ORDINE 9/10 2004 DIVENUTO EMBLEMA DI IMPEGNO CIVILE LETTERA IN REDAZIONE Ulteriori approfondimenti nel sito www.ghirotti.org Per saperne di più Gigi Ghirotti Il lungo viaggio nel tunnel della malattia, Franco Angeli editore per Comitato nazionale Gigi Ghirotti, Milano 2002 Il volume, che si avvale della prefazione di Umberto Veronesi e che ripropone l’introduzione all’edizione del 1994, firmata da Giovanni Giovannini e da Giorgio Calcagno, raccoglie i testi delle due inchieste televisive realizzate da Ghirotti e da Piero Dal Moro nel 1973 e nel 1974, e gli undici articoli che il giornalista vicentino scrisse per La Stampa fra il 26 aprile 1973 e il giugno 1974. Mariangela Bacco Gigi Ghirotti. Profilo di un giornalista e del suo impegno civile, Fondazione Gigi Ghirotti, Vicenza 2004 Il lavoro, dato alle stampe in occasione del trentennale della morte del giornalista, è nato come tesi di laurea dell’autrice presso il Dipartimento di Italianistica dell’Università di Padova ed è stato premiato, nel marzo del 2002, dall’Ordine dei giornalisti della Lombardia. il cronista anche una sfida difficile: contemporaneamente, sull’altra rete, c’era La domenica sportiva. La trasmissione fu seguita da otto milioni di italiani. Incominciava con lo stesso “attacco” con il quale il giornalista vicentino aveva iniziato, su La Stampa del 26 aprile, la prima delle sue undici corrispondenze (l’ultima, Il malato inerme, uscì quasi un mese dopo la sua morte) da “inviato, suo malgrado, dentro il tunnel della malattia e della ospedalizzazione”, come lui stesso si definì. Un “attacco” esemplare per semplicità e stile: “Da un anno mi insegue un odore di etere, di alcool, di antibiotici, di lisoformio e questo cocktail olfattivo mi pizzica le narici, mi inzuppa le ossa, mi si è attaccato alla pelle”. Il programma era terminato da pochi minuti, che il telefono di casa Ghirotti incominciò a squillare. Fu solo l’inizio. Il primo telegramma arrivò dal Quirinale. Era di Giovanni Leone, allora presidente della Repubblica, ammirato “per la edificante testimonianza di coraggio e di serenità”. Fu, per tutti, il toccare con mano la sofferenza, la solitudine, l’emarginazione del malato. Certo, in trent’anni, molto è stato fatto, soprattutto sotto il profilo dell’approccio e del sostegno psicologico al malato di cancro e ai suoi familiari. Oggi nessuno si stupisce se il ministro della Salute, Girolamo Sirchia, afferma che “il malato deve essere sempre al centro del sistema”, o che “l’attenzione per la sofferenza e il sostegno psicologico nelle diversi fasi della malattia costituiscono degli obiettivi irrinunciabili per una società civile”. Oggi è normale discutere di diagnostica, di cure palliative, di terapia del dolore. Trent’anni fa, molto meno. Ma era esattamente questo l’obiettivo del giornalista vicentino. Che così, con il consueto disincanto, scriveva all’amico e collega Giovanni Giovannini: “Mi auguro che gli amici mi siano amici fino in fondo, e che non facciano di me l’Enrico Toti del carcinoma, ma sappiano esortare a vedere oltre il caso personale: a vedere di prendersi a cuore le faccende dei nostri ospedali, e a tener caldo il problema sino a che non avremo ospedali, medici, infermieri dal volto umano”. Ci riuscì? È ancora Giorgio Calcagno: “Molti giornalisti, nella storia del nostro mestiere, hanno cercato di influire sulle grandi scelte della politica e dell’economia, si sono sentiti giudici e condottieri di crociate. Ghirotti, con la sua umiltà di cronista, la concretezza montanara del suo lavoro, è il solo che ha lasciato, in profondità, il segno del cambiamento. Ha inciso là dove si decide la vita del singolo: che è la vita di tutti”. Il secondo, e ultimo, servizio televisivo fu trasmesso la sera del 4 giugno 1974. Stessa testata, stesso canale. Solo il viso era più scavato, le rughe più profonde, la voce più affaticata: “Se gli capita di correre un’avventura tra vita e morte in prima persona e poi non la racconta, direi che quel giornalista è uno che non ha capito nulla, né del proprio mestiere, né dei propri doveri di cittadino”. Ma l’incontro volgeva al termine. “Mi trovo impegnato in una partita difficile, su terreno fangoso, con un avversario questo oscuro signor Hodgkin - che è furbo e anche sleale. Ma non sono solo. […] E poi, finché dura l’incontro, ogni possibilità è sospesa: non ho vinto io, ma nemmeno lui, siamo pari. È vero, il signor Hodgkin deve tirare il suo terribile calcio di rigore. È pauroso pensarci, ma in fin dei conti anche i più famosi campioni talvolta sbagliano il rigore. E in ogni caso è giusto che quel pallone mi trovi sulla porta, quando arriverà”. Arrivò, di lì a poco. Puntuale, netto, preciso. Imparabile. ORDINE 9/10 2004 “I giornalisti non sono membri di una orwelliana consorteria di uguali più degli altri” Caro presidente Abruzzo, seguo sempre con attenzione e simpatia la tua saggia conduzione dell’Ordine attraverso gli interventi che appaiono su Tabloid scoprendomi generalmente in sintonia con le tue parole: almeno per una volta, però, debbo esprimere dissenso. Mi riferisco alla condanna da parte del Tribunale di Lodi al “cronista che si era finto clandestino”. Tu argomenti che si tratta di errore e che andava assolto, e per sostenere questa tesi fai riferimento ad un fantomatico “codice della privacy” e al fatto che il giornalista possa “nascondere la propria identità in situazioni di pericolo”. Mi permetto di obiettare: 1) non esiste alcuna situazione di pericolo quando un agente di polizia richiede il documento di identità; 2) un bravo e consapevole giornalista sa svolgere un’inchiesta anche senza ricorrere a spettacolari falsi, fingendosi rumeno e traendo deliberatamente in inganno un funzionario pubblico del campo di via Corelli a Milano; 3) i giornalisti non sono membri di una orwelliana consorteria di “uguali più degli altri” reclamando una deontologia professionale diversa da quella di altre categorie. Difendiamo e pratichiamo il diritto alla cronaca ma con serietà, altrimenti dovremmo giustificare anche i 37 clandestini della nave Cap Anamur che si spacciavano per sudanesi allo scopo di ottenere un surrettizio stato di rifugiati politici. Appartenere alla redazione di un Corriere non comporta l’automatico godimento di privilegi corporativi. Insegna il Vangelo: “Sforzatevi di entrare per la porta stretta perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi ma non ci riusciranno” (Lc. 13,24). Mi auguro pertanto che la sentenza del Tribunale di Lodi venga confermata anche in eventuali altre sedi successive per dimostrare che tutti i cittadini, giornalisti o meno, sono uguali di fronte alla Legge. Con amicizia e schiettezza. Giacomo de Antonellis RISPOSTA. Caro Giacomo, il codice, che tu definisci fantomatico, è il “Codice di deontologia della privacy nell’esercizio dell’attività giornalistica”, voluto dall’articolo 25 della legge n. 675/1996 e pubblicato il 3 agosto 1998 nella Gazzetta Ufficiale. Oggi quel Codice, inglobato nel Dlgs n. 196/2003, ha il rango sostanziale di legge e non più di norma secondaria. L’articolo 2 afferma: “Il giornalista che raccoglie notizie... rende note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta, salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l’esercizio della funzione informativa; evita artifici e pressioni indebite. Fatta palese tale attività, il giornalista non è tenuto a fornire gli altri elementi...”. Non ho motivo, quindi, di cambiare opinione, pur apprezzando la sincerità a-giuridica di quanto hai scritto. Con pari schiettezza e amicizia, Franco Abruzzo L’Ifj promuove una nuova campagna contro la corruzione nel giornalismo, per un’etica della professione e dei media Lo studio dell’istituto sulla corruzione può essere visionato sul: http://www.instituteforpr.com /international.phtml?article_i d=bribery_index Full Press Statement on Statement of Principles http://www.ifj.org/docs/Joint %20statement%20on%20m edia%20transparency%20pr inciples.doc Per ulteriori informazioni: Aidan White, +32 2 235 2200, [email protected] (da ww.fnsi.it) Roma, 3 agosto 2004. La Federazione internazionale dei giornalisti ha, oggi, dato il suo appoggio a una nuova iniziativa per eliminare la pratica della commercializzazione e la corruzione nel giornalismo. L’Ifj è una delle sei organizzazioni che sostengono una serie di principi miranti a promuovere una maggiore trasparenza nei rapporti tra professionisti delle relazioni pubbliche e media, e per mettere fine alla corruzione dei media nel mondo. “Il problema del ‘giornalismo in vendita’, o del materiale pagato considerato come legittimi reportage giornalistici, è una delle più grande sfide che i media devono affrontare oggi”, ha detto Aidan White, segretario generale dell’Ifj. “La pratica erode la fiducia pubblica, mina la professionalità e si prende gioco dei valori etici”. Il congresso dell’Ifj svoltosi ad Atene in maggio ha incitato ad agire per promuovere la qualità del giornalismo. “Questo insieme di principi è un’ottima iniziativa del settore per rimettere in carreggiata la missione del giornalismo ed eliminare ogni forma di corruzione”, ha detto White. Gli altri gruppi che sostengono la dichiarazione dei principi sono l’International press institute, il Transparency international, la Global alliance for public relations and communications management, l’Institute for public relations research and education, ed l’International public relations association. I principi, inseriti della Carta per la trasparenza dei media sviluppata dall’International public relations association, sono i seguenti: - Il nuovo materiale deve apparire dietro giudizio dei giornalisti e degli editori, e non dietro pagamento in contanti o con altri metodi, o incentivi. - Il materiale che presuppone un pagamento deve essere chiaramente identificato come pubblicità, sponsorizzazione o promozione. - Nessun giornalista o rappresentante dei media deve mai suggerire che la copertura delle notizie debba avvenire per motivi differenti dal merito. - Quando campioni o anticipazioni di prodotti o servizi sono ritenuti necessari dalle aziende, i prodotti anticipati devono poi essere restituiti. - I media devono istituire delle polizze scritte riguardanti la ricevuta per regali o prodotti e servizi scontati, e ai giornalisti deve essere richiesto di sottoscriverle. “Questa iniziativa è la benvenuta”, ha detto White. “Essa getta una luce positiva sugli spesso oscuri rapporti tra il mondo degli affari e il giornalismo, e ci aiuta a concentrarci sulla necessità di qualità nei media”. Lo scorso anno, l’Institute for public relations research and education e l’International public relations association, hanno resa pubblica una lista di 66 nazioni riguardante la possibilità che i giornalisti della carta stampata cerchino o accettino denaro in cambio della copertura di notizie. Frank Ovaitt, presidente dell’Istituto, ha detto: “Riteniamo che si tratti di una questione critica, che giornalisti seri ed esperti di pubbliche relazioni devono affrontare insieme”. Sentenza americana: e-mail senza privacy La decisione potrebbe avere conseguenze sullo sviluppo dei nuovi servizi Roma, 6 luglio 2004. È un inquietante precedente mondiale quello sancito dalla Corte di appello del primo Circuito a Boston: una sentenza - molto contestata, che ha fatto scalpore ma che non tutti prendono sul serio - ha stabilito che i messaggi e-mail non sono protetti dalle leggi sulla privacy poiché transitano, anche solo per un millesimo di secondo, sui computer di provider Internet che possono farne quello che vogliono. Negli Stati Uniti, la patria di Internet, si discute animatamente se questo può costituire un precedente. Alcuni sostengono che la sentenza potrebbe avere effetti su tutto il prossimo sviluppo di Internet; altri che la decisione di Boston non avrà effetti pratici. Il caso di cui parliamo nasce dalla vicenda di un venditore di libri on-line di Boston : la compagnia nel 1998 vendette indirizzi e-mail a commercianti di libri e, in segreto, copiò i messaggi che questi venditori avevano avuto da Amazon.com. Nel 1999 la società e un impiegato si dichiararono colpevoli di spionaggio telematico ma ora la sentenza che pubblichiamo afferma che, in effetti, non commisero alcun reato. 19 (27) Il giornalista fondatore dell’ononima casa editrice M E M O R I A Fascista e frondista, coniava esaltanti slogan per il dittatore (Il duce ha sempre ragione), che poi bollava con brucianti motti (Di Mussolini non mi fanno paura le idee ma le ghette). Inventò parecchi giornali tra cui Omnibus, un modello di rotocalco degli anni ‘30 e, nel 1950, Il Borghese. Scoprì numerosi talenti letterari quali Buzzati, Berto, Brancati. La casa editrice da lui fondata giunse a competere con le grandi del settore: Mondadori e Rizzoli. Le sue contraddizioni continuarono anche in tempi di democrazia; mentre attaccava lo statalismo, redigeva Il Garofano Rosso, un giornale aziendale dell’Eni di Enrico Mattei di cui era amico e consulente. I suoi aforismi e i suoi giudizi erano temuti tanto dai nemici quanto dagli amici che alla sua morte, pur rimpiangendolo, si confortarono al pensiero che da quel momento ciascuno di loro, scrivendo un articolo oppure un libro, non si sarebbe più chiesto “chissà che cosa dirà Leo quando lo leggerà”. Morì a 52 anni mentre stava per fondare un’altra Longanesi. Un “Borghese” Leo Longanesi grande grande di Enzo Magrì Di statura non superava il metro e sessanta. Mino Maccari, amico di sempre, sosteneva che “era nato nel secolo decimonano”. Vincenzo Cardarelli, suo sodale degli anni romani, ripeteva, ironizzando, che di notte, quando s’arrabbiava, “andava su e giù sotto il letto”. Tuttavia, nonostante l’altezza, o forse proprio per questo, Leo Longanesi non esitava, ancora ventiquattrenne, ad accapigliarsi con i grandi di statura e di fama. Nel 1929 sfidò a duello Guido Da Verona che aveva “offeso” Alessandro Manzoni scrivendo una parodia dei Promessi sposi in cui Lucia faceva la donna di vita in una casa chiusa di via Tadino, a Milano. Due anni più tardi, davanti al Comunale di Bologna, benché sommerso da una turba d’uomini vocianti, riuscì a mollare uno schiaffo ad Arturo Toscanini (che definiva un Gondrand della musica) il quale si rifiutava di aprire con Giovinezza il concerto in onore del maestro Giuseppe Martucci. Solitario e malinconico, instancabile inventore di scritte, battute, calembour, sigle, emblemi, trovate, barzellette, aforismi e disegni satirici, Longanesi è stato un genio della grafica, del giornalismo e dell’editoria tanto da potere essere paragonato ad Aldo Manuzio, il Gutemberg italiano, colui che nel 1550 creò il carattere italico, ispirandosi anche alla scrittura di Francesco Petrarca. Irrimediabilmente borghese, Leo era allo stesso tempo un anarchico e un conformista dissacratore con la vocazione a schierarsi controcorrente, forte della sua preparazione culturale e del suo innegabile gusto grafico. Le definizioni di conformista e di anarchico potrebbero apparire contraddittorie. Non lo sono se riferiti ad una persona la cui vita si è dipanata sotto il segno dell’incoerenza. Fascista, ma contemporaneamente frondista, coniò esaltanti motti che osannavano il dittatore (“Mussolini ha sempre ragione”). Nel medesimo tempo inventò irridenti battute contro lo stesso tiranno (“Di Mussolini non mi fanno paura le idee ma le ghette”).Tuttavia, dopo aver ironizzato sul duce, si recava a Palazzo Venezia per sottoporre al tiranno la prima copia dell’Italiano oppure, più tardi, i numeri zero di Omnibus. Anche per questa ragione Giovanni Comisso lo definì “piccolo nano di corte”. Le sue incongruenze non sono confinate al solo periodo fascista. Si estendono anche a quello della democrazia. Bramoso d’essere liberato prima possibile dagli americani, nella primavera del 1944 attraversò le linee (colto dal fuoco dei due eserciti si riparò sotto un muro pericolante nel quale campeggiava la sua frase Il duce ha sempre ragione) e si presentò agli alleati a Napoli che lo impiegarono con Steno e Mario Soldati nel Centro italiano di propaganda dove si distinse per la satira antifascista. Tentò anche d’iscriversi al partito comunista, ma ne fu rifiutato dalla dirigenza. A democrazia instaurata, cominciò a dolersi del nuovo regime, tanto da indulgere nella nostalgia e d’essere preso per un passatista, addirittura per un neofascista. Un dialogo riportato in un suo volume, e che risale al 1944, dà la misura della sua insofferenza verso l’Italia del dopo ventennio. “Lei è democratico?”. “Lo ero”. “Lo sarà ancora?” “Spero di no”. “Perché?”. “ “Perché dovrebbe tornare il fascismo: soltanto sotto una dittatura riesco a credere nella democrazia”. 20 (28) I due volti della Romagna e la passione per il fascismo La sua travagliata, affascinante, avventura nel mondo della carta stampata comincia quand’egli ha ancora i pantaloni corti. Romagnolo (era nato il 30 agosto 1905, in una famiglia borghese di Lugo) aveva avuto un’infanzia solitaria “dominata dal contrasto tra il cattolicesimo casalingo della nonna e il socialismo irruente del nonno; due volti inconciliati della Romagna”. Questo conflitto accende probabilmente nel ragazzo la passione per il fascismo nel quale s’imbranca nel 1920 partecipando ad un’azione squadrista all’università di Bologna brandendo addirittura una pistola. L’audacia che impronta il quindicenne, indurrebbe a inquadrarne lo spirito in un contesto di grossolanità irriflessiva e volgare. Sarebbe un errore. Patito del pittore-disegnatore-litografo Honeré Daumeir, Leo acquista pacchi di ottocentesche riviste francesi con le incisioni del suo modello ma anche collezioni dell’Asino con le vignette di Podrecca e Galantara. Trasferitosi stabilmente a Bologna, inventa i mensili È permesso…?, Il Toro e Dominio. Contemporaneamente inizia a collaborare con il periodico di Anton Giulio Bragaglia, L’Index rerum virorunque proibitorum, in cui si prendono in giro i vip del momento. Nel 1924 scrive per L’Assalto e Il Selvaggio. Ma è con la creazione de L’Italiano (14 gennaio 1926) che il suo nome si diffonde tra l’Italia colta. Longanesi e l’Italiano combaciano con il movimento culturale “Strapaese” che difende la tradizione nazionale contro la tendenza della cultura aperta a influssi stranieri. Il giovane di Lugo entra in polemica con “Stracittà”, la corrente opposta che propugna l’impegno del sapere verso il modernismo, e a favore degli influssi della civiltà industriale, della Scienza e della Tecnica, indirizzo che si richiama alla rivista 9OO. L’Italiano si propone soprattutto “d’impedire l’imborghesimento del fascismo, di sostenerne le finalità rivoluzionarie, di colpire a fondo gli avversari di Mussolini, d’inventare un’arte e una letteratura fasciste”. Approvata dal duce (“purché si polemizzi soltanto con gli antifascisti”), la rivista ospita scritti di Ungaretti, Rosai, Carrà, Bartoli, Agnoletti. È in quegli anni che Longanesi, posseduto dal mito mussoliniano, scrive “Il Vademecum del perfetto fascista seguito da dieci assiomi per il milite ovvero avvisi ideali” (1926). Nonostante avesse avuto il merito d’aver diffuso lo slogan “Mussolini ha sempre ragione”, il settimanale (divenuto quindicinale) è chiuso il 31 ottobre dello stesso anno, poco dopo l’attentato di Anteo Zamboni al dittatore. Privo del suo foglio, ed estromesso anche dall’Assalto (per avere criticato il senatore Tanari, finanziatore dello squadrismo bolognese), Leo si trasferisce a Roma dove, con Maccari, Cardarelli, Bartoli, Barili, Talarico ed altri, elegge il caffè Aragno a cenacolo. Qui, nonostante le trepidazioni del poeta, il quale, intabarrato estate e inverno nel suo cappotto, è convinto che uno dei camerieri sia una spia dell’Ovra, nascono molti celebri calembour: “Sbagliando s’impera”, “Lardo ai giovani”, “Mi piacciono i giovani perché sbagliano subito”. Frondista di sera, continua ad essere fascista di giorno. Ma valendosi dell’autoironia, si sottrae a servili prestazioni al regime come quando, nel 1932, chiede d’essere dispensato dal fare la guardia d’onore con il moschetto alla Mostra del decennale del fascismo (dove egli aveva allestito una rassegna fotografica su Mussolini) con una battuta che strappò una risata al duce. Rilevò, beffardo: “La gente vedrebbe solo il moschetto e penserebbe che la guardia è scappata. Bella figura per la rivoluzione”. Nel 1938 nasce “Omnibus” con l’imprimatur del Duce La cortigianeria che usa verso il fascismo, è riscattata solo in parte della genialità con la quale realizza alcune iniziative giornalistiche di notevole spessore culturale e professionale. Nel 1933 chiede a Mussolini il permesso di pubblicare un settimanale. L’autorizzazione gli viene accordata nel ‘35, alla vigilia della guerra contro l’Etiopia. Omnibus, primo settimanale italiano a lenzuolo, nasce il 28 marzo 1938 per i tipi di Angelo Rizzoli che, con Arnoldo Mondadori, utilizza il rotocalco, un sistema di stampa nato in America e che ha fatto la fortuna di Life. Il servizio d’apertura del primo numero su Leon Blum, corredato da una grande foto, scritto da Carlo Scarfoglio, strappò una bestemmia a Mussolini. Sul settimanale, che resterà un modello di giornalismo d’avanguardia, scrivono oltre a Scarfoglio, Mario Missiroli, Arrigo Benedetti, Mario Pannunzio, Alberto Moravia, Giovanni Drogo (Dino Buzzati), Mario Soldati, Tommasi di Lampedusa. E poi ancora Enrico Emanuelli, Curzio Malaparte, Eugenio Montale, Vitaliano Brancati, Elio Vittorini, Riccardo Bacchelli oltre naturalmente a Indro Montanelli che con Giovanni Ansaldo saranno impegnati anche nella “cucina”. Per alcuni (e tra questi c’è Giuseppe Trevisani), “il settimanale rappresentò il tentativo di rifare un giornalismo per pochi, un periodico per una minoranza qualificata mentre l’indirizzo politico del tempo e lo sviluppo dei nuovi mezzi tecnici designavano sempre di più il giornalismo come prodotto destinato alle masse”. Ma Arrigo Benedetti scriverà che ne venne fuori “un giornale letterario solo perché compilato in gran parte da scrittori e che improvvisamente innestò sul tronco del giornalismo italiano nuovo, motivi provenienti da quello anglosassone”. Il giornalista di Lucca rilevò che si trattò “d’un’esperienza morale e d’un’esperienza tecnica”. Riferendosi al suo maestro Longanesi, l’inventore dell’Europeo e dell’Espresso sottolineò che “la sua intransigenza artigiana rappresentò per molti il migliore insegnamento che possa avere avuto un giornalista nei tempi precedenti all’ultima guerra mondiale”. Omnibus riportava articoli di fondo fascisti e “foto di ebrei per far rilevare che erano brutti e antifascisti”. Tuttavia, primo in Italia, pubblicò scrittori proibiti come Ernest Hemingway, tradotto da Elio Vittorini. Attraverso quel giornale gli italiani colti conobbero D. H. Lawrence, Dashiell Hammett, James Cain, Joseph Roth, John Steinbeck, Erskine ORDINE 9/10 2004 Caldwell. Direttore e unico redattore, Longanesi (qualche volta aiutato da Indro Montanelli e da altri fedelissimi), mescola insieme caratteri tipografici diversi e ordina immagini indicando al fotografo oggetto e posa. Naturalmente interviene sui pezzi, tagliando, aggiungendo, togliendo qua e là un aggettivo, rimaneggiando ove sia necessario. E all’uscita di ogni numero Mussolini si lamenta Omnibus campò complessivamente un anno e mezzo avendo vissuto una vita agitata e precaria. Dopo l’uscita d’ogni numero, Mussolini chiamava il ministro per la Cultura popolare, per dolersi delle critiche che il giornale rivolgeva al regime. Dino Alfieri riusciva a rabbonire il dittatore che concludeva immancabilmente con una minaccia: “dal prossimo numero il giornale va sospeso”. La chiusura di Omnibus giunse con la copia del 29 gennaio 1939. Le versioni sulla sua fine sono due. Secondo la prima, il giornale venne chiuso perché Alberto Savinio raccontò la morte di Leopardi a Napoli per via d’un attacco di “cacarella” causato dai troppi gelati ingollati. Secondo altri perché, sempre il fratello di De Chirico, attribuì la chiusura del caffè Gambrinus alla decisione d’un alto commissario per il chiasso che proveniva dal locale e che disturbava la moglie mentre giocava a bridge con le amiche nell’appartamento sovrastante. Savinio aveva scritto “che l’aria di Napoli era fatale ai caffè come le rose sono fatali agli asini”. “Duce, questo gazzettiere mi dà del somaro” si lamentò il funzionario con il dittatore che decretò la cessazione della rivista. Rimasto “disoccupato”, Longanesi resuscita l’Italiano e, allo scoppio della guerra, dopo una breve esperienza in Libia con Italo Balbo, per ragioni di salute, si dedica a Fronte, una rivista per i soldati preparata dal ministero per la Cultura popolare. Nel frattempo dirige per Rizzoli la collana “Il sofà delle Muse”. La sua insofferenza di frondista verso il fascismo esplode il 25 luglio 1943. La caduta del regime lo coglie esultante per le strade di Roma al pari d’un inveterato antifascista. Paolo Monelli ricorda che quel giorno i cittadini, “presi da bellicoso furore mossero all’assalto dei circoli rionali e s’impadroniscono delle armi”. Annota: “Si vede Longanesi che va fieramente per via con un fucile a bracciarm”. In serata Leo si ritrova con Pannunzio, Flaiano e Benedetti al Messaggero dove insieme scrivono un fondo inneggiante alla libertà. L’esultanza del giornalista per la fine della dittatura dura poco. A Napoli, dove si è recato agli inizi del 1944, oltre che con il Centro italiano di propaganda radiofonica, Stella Bianca, collabora con i giornali L’Astolfo e il Partigiano, un foglio quest’ultimo che le fortezze volanti lanciano sull’Italia non ancora liberata. Ben presto affiora la sua scontentezza verso il nuovo clima. Ad innescarla è la presenza nel capoluogo campano di molti fuorusciti che vi sono confluiti dai diversi esili e che “turbano il senso estetico” del romagnolo. Cosicché tra se stesso e i gli antifascisti reduci da ventanni di lontananza dall’Italia, mette i cento e più chilometri che separano Napoli da Roma. Ed è nella capitale, che il 25 aprile 1945 apprende da un giornale della fucilazione e dello scempio del corpo di Mussolini e degli altri gerarchi a piazzale Loreto. Mentre legge il titolo, ricorda le parole che il duce gli aveva rivolto sulla spiaggia di Cesenatico: “Voi siete anarchico. Siatelo per molti anni finché lo potete. È una ricetta per restar giovani”. Fonda la casa editrice con l’industriale Monti Non c’è bisogno dell’esortazione del defunto duce per stimolare Longanesi a continuare pervicacemente, per la restante parte della sua vita, nello stile libertario che ne ha caratterizzato fino a quel punto la condotta. Alla fine dell’anno 1945, egli lascia Roma per Milano. Qui, agli inizi del 1946 fonda la casa editrice che porta il suo nome insieme con l’industriale Giovanni Monti. A competere con i grandi dell’editoria, Rizzoli e Mondadori, lo coadiuvano un redattore, Mario Monti, figlio di Giovanni, comproprietario dell’azienda e un collaboratore, Bruno Licitra. Danno una mano anche Indro Montanelli, che all’occorrenza riscrive i libri e Giovanni Ansaldo che si occupa della saggistica. Collaborano intellettuali di diverse tendenze politiche: Henry Furst, Emilio Cecchi e Alberto Moravia. Come per il giornalismo anche per l’editoria, Longanesi rivela un acume sbalorditiORDINE 9/10 2004 vo nello scoprire talenti e genialità; dote che ha sperimentato al tempo di Omnibus. Un giorno, in quella fine di anni 30, Montanelli e Pannunzio si stavano sganasciando dalla risate in redazione mentre leggevano un libretto intitolato Piave, scritto da uno sconosciuto autore. Si trattava d’un’opera retorica “che traboccava fesserie”. Leo chiese ai due quale fosse il motivo di quel divertimento. Montanelli gli mostrò il volume. Il direttore vi gettò una rapida occhiata e replicò: “Siete due cretini. Non capite un accidente. Qui sotto c’è un talento”. Fu lo stesso Montanelli a scovargli l’autore,Vitaliano Brancati che lavorava al Tevere. Quando ebbe davanti il giovane siciliano, Leo lo strapazzò: “Lei è un idiota. Crede di essere un poeta epico. È invece sa cos’è? È un Gogol, un gogolino di Catania. Mi scriva un racconto sulla sua città. Deve raccontare storie di corna e il dongiovannismo della Sicilia. Si dia da fare”. “Il cielo è rosso” di Berto: retroscena di un successo Tra i primi libri pubblicati dalla Longanesi c’è Il cielo è rosso di Giuseppe Berto. L’autore rievocherà più tardi il retroscena di quel successo dovuto ovviamente all’intuizione di Longanesi. Il volume, scritto durante la prigionia, era stato respinto da parecchi editori, uno dei quali non l’aveva neppure letto. Leo, dopo avere percorso velocemente con lo sguardo il manoscritto davanti a Berto, ebbe un gesto di disgusto ma invitò il giovane scrittore a farsi vedere due giorni più tardi. La diagnosi fu inesorabile: era necessario eliminare il primo capitolo e bisognava eseguire sapienti tagli perché “l’opera era noiosa”. “Bisogna mettere le mani dappertutto” concluse l’editore. Berto accondiscese a malincuore ad affidargli il romanzo. Riteneva tuttavia che Longanesi lo avrebbe consultato per concordare tagli e rifacimenti. Per tre mesi non seppe nulla. Un giorno, occhieggiando nella vetrina d’un libraio di Venezia, lo scrittore notò il suo nome e cognome sopra un libro che s’intitolava Il cielo è rosso, intestazione che trovò tuttavia gradevole. Amareggiato per essere stato escluso dall’editing (ma anche scarsamente disposto a protestare), l’autore trovò conforto nel risvolto finanziario che ebbe la sua vicenda. Non essendo riuscito ad opporsi al disegno di Longanesi di “aggiustare” il volume, Berto quasi involontariamente si era assicurato un piccolo vantaggio. Il romagnolo gli aveva proposto royalties molto basse. Tuttavia aveva aderito alla richiesta dello scrittore d’avere una percentuale del venti per cento qualora l’opera avesse superato le novemila copie. Una provvigione che l’editore aveva concesso convinto che il libro non avrebbe toccato quella punta di vendita. Longanesi dovette pentirsi di quella scarsa estimazione. In poco tempo Il cielo è rosso superò le novemila copie di tiratura. La “scoperta” di Berto si aggiungeva a quell’altra felice intuizione che lo aveva illuminato su Dino Buzzati (suo collaboratore in Omnibus) al quale aveva suggerito Il deserto dei tartari. Montanelli nel ruolo di revisore dei testi Nell’immediato dopoguerra, per i tipi della Longanesi (che si batte senza soggezione contro Mondadori e Rizzoli) escono anche Tempo d’uccidere di Ennio Flaiano, premio Strega del 1947, La vera signora di Elena Canino, Il vero signore di Giovanni Ansaldo (oltre a Latinorum e al Ministro della buona vita dello stesso autore), I pensieri di un libertino di Arrigo Cajumi, Fuga in Italia di Mario Soldati e decine di altri libri. Come ricorderà Spadolini, il periodo che va dal 1945 al 1950, rappresenta un momento felice per l’ex direttore di Omnibus, unito in sodalizio con Montanelli, che riscrive parecchi volumi. Molte opere della casa editrice degli spadini hanno carattere provocatorio come quelle di Bertrand Russel (Storia della filosofia occidentale), Saverio Merlino (Utopia collettivista), Panfilo Gentile (Cinquantanni di Socialismo), Francesco Saverio Nitti (Eroi e briganti), John Reed (Dieci giorni che sconvolsero il mondo), Quinto Navarra (Le memorie del cameriere di Mussolini). Questo volume fu in effetti scritto da Montanelli e da Longanesi sotto la dettatura del domestico del dittatore. Sempre legato al giornalismo attivo, nel 1946 Leo inventa Il Libraio, primo tabloid italiano; un mensile distribuito nelle librerie e venduto in abbonamento. Benché avesse carattere eminentemente promozionale, la rivista rappresentò un esempio di pubblicazione periodica tanto da essere definita “un Omnibus in piccolo”. L’impegno che obbliga il romagnolo a leggere i libri degli altri, non gli toglie la voglia di scriverne di propri. Nel 1948 manda alle stampe In piedi e seduti, un exursus di avvenimenti e personaggi dal 1919 al 1943. Nel 1950, inventa Il Borghese, un settimanale politico in cui eccelle sin dalla copertina la sua produzione grafica, carica di sarcasmo e di ironia. Sulla nuova pubblicazione scrivono Montanelli (anche con gli pseudonimi di Adolfo Contano e Antonio Siberia) che in America “stimola” Giuseppe Prezzolini, Giovanni Spadolini, Alberto Savinio, Ennio Flaiano, Colette Rosselli, Henry Furst, Giovanni Ansaldo, Irene Brin, Goffredo Parise, Giuseppe Compagnoni, Elena Canino, Orsola Nemi, Piero Buscaroli. Il giornale è in polemica con i governi centristi della repubblica: un contrasto carico di elementi e di inflessioni tipici della destra protestataria. Le critiche, che da quella posizione politica Leo rivolge ad alcuni intellettuali, accendono una disputa tra il romagnolo ed un suo vecchio discepolo che, professionalmente, aveva fatto onore al maestro inventando prima Oggi e successivamente Il Mondo. Mi riferisco a Mario Pannunzio. “Ma come” (scrisse questi rivolgendosi al suo ex direttore) “io quando arrivai a Roma ero un buon fascista per il semplice motivo che conoscevo solo il fascismo. Ero vissuto in provincia, a Lucca, e avevo poco più di vent’anni. Venni a Omnibus. E fu lì, accanto a lei, e per sua suggestione, che ho cominciato ad avere dei dubbi e poi a passare addirittura all’altra parte. Fu lei a spingerci tutti sulla strada dell’antifascismo e ora ci rimprovera d’averla battuta fino in fondo”. “Il Borghese”, un giornale che demonizza lo statalismo È assolutamente inutile richiamare Leo alla coerenza dei suoi gesti e dei suoi pensieri. Il carattere contraddittorio del suo spirito si manifesta anche nel dopoguerra. Mentre pubblica Il Borghese, un giornale di destra che demonizza lo statalismo il quale trova sempre più spazio nella società italiana, Longanesi insieme con Giovanni Ansaldo, redige e stampa Il Garofano Rosso, un giornale aziendale di propaganda anticomunista che però sostiene l’impresa di stato perché appartiene all’Eni di Enrico Mattei di cui è diventato amico e confidente, una sorta di consigliere politico. Poiché questi è in difficoltà con la componente di destra della Democrazia Cristiana, il direttore del Borghese gli consiglia di buttarsi a sinistra. “Vedrà” gli assicura “come cambierà il vento”.Più tardi gli suggerirà pure l’idea di stampare Il Giorno, il quotidiano che verrà realizzato dal suo amico Gaetano Baldacci. A partire dall’inizio degli anni Cinquanta si apre per Longanesi una fase (1950-1957) difficile durante la quale manifesta rabbia e livore contro tutti. È il periodo in cui litiga persino con Indro. Ma la sua collera è rivolta soprattutto contro la borghesia “populista che scimmiotta gli operai”. Un atteggiamento che uno dei suoi critici, Alberto Moravia bolla come “un crepuscolarismo che gli impedisce di prevedere la ripresa consumistica e neocapitalista di quella borghesia nella quale non gli era mai riuscito di credere anche per via dei suoi insuperabili limiti di geniale artigiano che non gli consentirono di passare dall’artigianato all’industria culturale come fecero gli altri”. Il pessimismo di Leo trasuda dalle battute che sono trafiggenti anche in tempi di democrazia. “La nostra bandiera dovrebbe recare una grande scritta: ho famiglia”; “L’ingiustizia ha ancora un avvenire”; “Non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi”; “Uno stupido è uno stupido. Due stupidi sono due stupidi. Diecimila stupidi sono una forza storica”; “Veterani si nasce”; “Non sono le idee che mi spaventano ma le facce che rappresentano queste idee”; “È meglio assumere un sottosegretario che una responsabilità”; “I presenti non sono mai stati fascisti”; “Non c’è posto per la fantasia che è figlia della libertà”; “La libertà è morta perché si è troppo estesa”; “Sono fanatici ma non senza conservare una qualche amicizia nel campo avversario”; “Cercava la rivoluzione trovò l’agiatezza”; “Una personalità complessa: si scrive lettere anonime per guidare la propria coscienza”. Longanesi dissemina di battute acide e ciniche i suoi libri. All’esordio degli anni Cinquanta stampa Una segue 21 (29) Leo Longanesi / segue vita (1950), Il destino à cambiato cavallo (1951), Un morto fra noi (1952), Ci salveranno le vecchie zie (1953). Dopo una pausa di quattro anni, riprende a scrivere opere nella seconda metà dei Cinquanta: Lettera alla figlia del tipografo di L.L. (1957), Me ne vado (1957), La sua signora, taccuino di L.L. (1957). Ai libri aggiunge la mai interrotta produzione pittorica e grafica carica di scherno e derisione. L’impegno nella politica con la Lega Fratelli d’Italia Un po’ perché la linea politica del Borghese collide con gli interessi della casa editrice un po’ perché la sua azione disturba l’intero arco costituzionale, sta di fatto che la disinvolta indipendenza di Leo entra in conflitto con il suo socio. I due decidono di separarsi. Un primo accordo che consente a Longanesi di acquistare per cinque milioni la testata del settimanale, comprese le riserve di carta, non va in porto. Poi, un nuovo assetto societario della Longanesi e C e l’aumento di capitale lo escludono dall’azienda. Mentre tenta d’impegnarsi sul piano politico con la costituzione della Lega Fratelli d’Italia, una formazione di destra (da alcuni considerata “impossibile”) insieme con Mario Tedeschi e Gianna Preda, il romagnolo studia di dar vita ad una nuova casa editrice. Inizia a lavorare alla Rizzoli per preparare una collana di volumi che s’intitola I libri di Leo Longanesi. Era il primo nucleo d’un’altra azienda editoriale per la quale ha preparato anche il simbolo. Mentre per la prima Longanesi aveva inventato l’emblema dei due spadini, in omaggio alla moglie, Maria Spadini, figlia del celebre pittore, Armando, per questa nuova ha ideato una figurazione rappresentata due cannoni incrociati. Nel pomeriggio di venerdì 17 settembre del 1957 il giornalista si sentì male nel suo studio di via Bigli. “Meglio così tra i miei arnesi” sibilò prima di entrare in coma e di morire. Per trasportarlo in clinica, fu necessario fare un lungo periplo cittadino perché il centro di Milano era bloccato dai funerali del conte Dino Branca di Romanico. Cardarelli scrisse: “Caro Leo, il tuo trapasso era l’estremo dispetto che hai voluto farci. Siamo qui a pentirci d’essere ancora in vita. Vorremmo scrutarci e siamo certi che sei in un luogo adatto per intenderci”. Il devoto commiato si chiudeva teneramente: “Sii beato, sii felice, felice, caro Leo, nel regno che certo ti ha destinato la tua guerriera innocenza”. Amici e nemici liberati dalla sua “tirannia” culturale Con la sua morte, Longanesi liberò amici e nemici dalla impietosa e crudele tirannia culturale per la quale era temuto tanto dagli uni quanto dagli altri. Di ritorno da Lugo di Romagna, dove lo avevano accompagnato all’ultima dimora, Giorgio Cabella, Indro Montanelli e Giovanni Ansaldo, durante il lungo viaggio in macchina verso Milano, evocarono la figura dell’amico. Abbandonati quasi subito le frasi di circostanza, i ricordi dei tre sprigionarono un fuoco d’artificio di battute, aneddoti, definizioni. Venne fuori pure il carattere sopraffattore del defunto. Ansaldo, pur riconoscendo la irreparabilità della dolorosa perdita, non poté non annotare che da quel momento tutti loro avrebbero potuto scrivere articoli “anche nei momenti di fiacca e lardellarli di sbadigli senza la solita maledetta paura che cadessero sotto l’occhio di Longanesi”. “Potremmo pronunciare frasi inutili e stupide senza il solito maledetto terrore che arrivino all’orecchio di Longanesi”. Pur nel rispetto del morto, con un sospiro di sollievo l’autore del Ministro della buonavita, libero da infingimenti, confessò: “L’incubo è finito”. Enzo Magrì 22 (30) GIORNALISMO E CINEMA Regista di numerosi film di successo Pane amore e fantasia, Pinocchio Incompreso ha collaborato a periodici e giornali. Con la critica cinematografica e la militanza civile e politica Luigi giornalista Comencini “politico” di Renata Broggini Un profilo meno noto nella biografia di Luigi Comencini è l’impegno quale giornalista negli anni Quaranta. In ruoli diversi: critico cinematografico, poi inviato speciale del settimanale Tempo illustrato, di Mondadori, nel 1939-41. Di critica si occupa su Vita Giovanile e Corrente - portavoce del movimento post-impressionista di Ernesto Treccani e di Raffaele De Grada, fondato nel 1938 contro l’isolazionismo fascista. Attività ripresa sulla pagina culturale dell’Avanti! nel 1945-46. Ma in quel periodo c’è una parentesi ancora meno conosciuta, l’antifascismo “militante” nel 1943-45, quando dall’Italia occupata dai tedeschi trova rifugio in Svizzera. È il Comencini collaboratore e redattore di fogli politici degli esuli italiani di orientamento socialista, che rivela un’apertura culturale non comune per un giovane della borghesia italiana di allora. Una formazione che riflette non solo gli studi, ma anche gli anni giovanili vissuti all’estero e la nascita in una famiglia “internazionale”. La madre Marie-Magdaleine Hefti è svizzera-tedesca originaria di Glarona, “valdese”, cresciuta nel Bresciano, dove i suoi sono proprietari di una filatura di cotone: “poneva molta cura nello sviluppare in me l’amore per le cose gentili e poetiche”, racconta Comencini stesso nel suo Infanzia, vocazione, esperienza di un regista (1999). Cerca di appassionarlo invece alla tecnica e alla meccanica il padre Cesare, ingegnere civile, di una modesta famiglia cattolica di campagna di Orzivecchi presso Brescia. Oltre a questa dialettica familiare, incide sul suo carattere l’adolescenza nel sud ovest francese, dove i Comencini si trasferiscono in un’azienda agricola: vita isolata e solitaria, fantasticando però viaggi da quando in casa entra un “orario ferroviario europeo”, anche se poi si limitano a rientri in Italia o alle vacanze dalla nonna in Svizzera. La passione per il cinema nasce proprio negli anni in Francia tra inquietudini, situazioni difficili, emarginazione dai compagni che lo chiamano “sporco italiano”, ma col cinematografo a portata di mano con le sue “emozioni sconvolgenti”. Della licenza liceale scrive: “non ricordo le facce dei professori ma il film che, per caso, avevo visto la sera prima: L’opera da tre soldi (in Francia “de quatr’sous”). Le canzoni dei bassifondi, l’atmosfera di rabbia disperata, la sensualità torbida che mi aggredì, mi convinsero che il cinema era la grande arte totalizzante di questo secolo. Volevo farne parte”. La famiglia rientra in Italia, non a Salò sul lago di Garda dov’è nato, ma Milano. Iscritto al Politecnico, come desiderava il padre, morto nel dicembre 1934, scopre le avanguardie europee e in particolare l’opera di Le Corbusier. Si diploma architetto. Ma la vera passione, condivisa con Alberto Lattuada, è un’altra: collezionano vecchi film, il nucleo della futura Cineteca italiana. Una delle figlie, Cristina Comencini, regista di successo anche lei, ne ha raccolto le confidenze su quel periodo: L’idea di fare il cinema l’ho avuta da ragazzo, in Francia, ma l’ho realizzato in Italia. In Francia, negli anni della mia giovinezza, c’era un grande fermento culturale. Il cinema era molto avanti. C’erano riviste di cinema, dibattiti, associazioni. In Italia c’era il fascismo e il cinema dei telefoni bianchi. Non era un grande cinema. Poi, dopo la guerra, il cinema italiano è diventato grande. Perché si è tuffato nella realtà. Aspirante regista, nel 1937 riesce a piazzare al Cineguf di Milano la sua Novelletta, arrivato al quinto posto dei Littoriali, “primo dei film non politici”: va perduto per le vicende belliche, sicché in realtà inizierà a dirigere nel 1946 con Bambini in città, premonitore della “specializzazione” di regista di bambini. Nel 1940 con Lattuada organizza la “Mostra del cinema” alla Triennale di Milano, dove porta tra i registi celebri all’estero René Clair e Jean Renoir, la cui Grande illusion, “disfattista” per i fascisti, provoca incidenti con fischi di una parte del pubblico contro gli applausi dell’altra. Alla vigilia dell’entrata in guerra dell’Italia (10 giugno 1940) Comencini dirotta quindi verso il giornalismo e “in breve si professionalizza, diventa critico del settimanale Tempo illustrato”, sottolinea Tullio Kezich, “quando decide di smettere, definitivamente risucchiato dal set, è già una firma prestigiosa, una sorta di Minosse temutissimo da chi gli capita sotto”. Intanto, arruolato, finisce a Udine dove vive in caserma “da lavativo”, commenterà lui stesso, evitando di partire per il fronte russo: Mi salvai dal fronte. Fu un caso anche questo legato al cinema. A Milano avevo conosciuto Carlo Ponti che spesso mi regalava i biglietti per andare al cinema. In caserma c’era un maresciallo che si occupava dello spaccio. Per ingraziarmelo, ogni tanto gli regalavo i biglietti del cinema. Era contentissimo e mi domandava sempre: “Come posso sdebitarmi?” E io: “Non si preoccupi, verrà il momento”. Un giorni gli ordinarono di fare una lista di soldati per il fronte russo. Mi chiese se volevo andarci. Gli risposi ovviamente di no e lui mi assegnò al reparto degli ammalati, dei riformabili. Diventai specialista nello sturare i cessi. Ogni tanto il maresciallo mi chiedeva se volevo andare al fronte, come fosse un optional, e io gli dicevo di no. Come De Laurentiis, che non ha mai fatto un giorno di guerra perché era il produttore addetto al fronte. Andava avanti e indietro fra Milano e Trieste. L’8 settembre 1943, anche lui va incontro a quel Tutti a casa che diventerà il soggetto di uno dei suoi film (1960) più celebri e riusciti. “Sono scappato, come Sordi, come tutti”, racconterà: “Mi sono nascosto prima a Milano e poi in Svizzera. Aspettavo la fine della guerra e inviavo articoli per la stampa socialista”. Il ricordo è un po’ sottotono, in realtà proprio nell’esilio svizzero Comencini riprende l’attività di giornalista, ora però con un esplicito intento “politico” su fogli di area appunto socialista. Ma qui è utile un passo indietro per seguire la sua vicenda di rifugiato. Comencini nel 1957 con Alberto Sordi e Sergio Tofano: si gira La bella di Roma con Silvana Pampanini e Paolo Stoppa. Centro documentazione “Corsera”. In alto, Comencini, 1960. Archivio Giancolombo. ORDINE 9/10 2004 La vicenda di rifugiato in Svizzera dal dicembre 1943 al maggio 1945 La scheda del Commissariato federale per l’internamento dà: “Comencini Luigi, tenente del genio, classe 1916, residente Milano, entrato clandestino 7 dicembre 1943, rimpatriato maggio 1945”. È uno dei 30.000 militari fuggiti in Svizzera da settembre per evitare il reclutamento nella repubblica di Salò o la deportazione in Germania e internati in campi della Svizzera tedesca. Dati i legami familiari – madre svizzera e parenti nella Confederazione - l’internamento di Comencini ha carattere speciale: sotto “controllo militare” può risiedere presso una parente nel Canton San Gallo, in seguito è “liberato” a Lugano grazie a una “garanzia” per la sua liberazione. In Svizzera c’è anche il fratello. Nel dicembre 1944 entrerà clandestina anche la madre, che dichiarerà alla polizia: “J’ai eu deux enfants, Louis, 1916 et Gianni, 1921, refugiées en Suisse depuis l’anneé dernière, car ils ne voulaient pas servir la république sociale”. Nella Svizzera italiana, e in particolare a Lugano dove Luigi può risiedere, sono numerosi i “politici” che una volta giunti nel Ticino, trovano ambienti ospitali e, spesso, vicini anche sotto il profilo ideologico. Ci sono liberali, popolari e cellule comuniste che danno soccorso ai rifugiati e appoggiano loro scritti in giornali di partito. I tempisti sono i socialisti che già nel settembre 1943 hanno istituito una sezione del Centro svizzero di soccorso operaio, patrocinata dal consigliere di stato Guglielmo Canevascini e diretta dall’esule Fernando Santi. Fra i mezzi più diretti per tenere i contatti anche con i campi di internamento è il foglio Libera Stampa, da sempre sulle posizioni antifasciste di Canevascini. Il quale da uomo di governo ha influenza nelle istituzioni: “I ringraziamenti dovrebbero essere collettivi, o meglio, a nome di tutti gl’italiani, qui e altrove, ché quello che tu hai fatto per noi merita di essere conosciuto e giustamente apprezzato”, come alla fine dell’esilio lo ringrazierà proprio Comencini. “Libera Stampa” accoglie gli intellettuali italiani Data la presenza a Lugano nel 1944 di tanti “politici”, la redazione del giornale li accoglie e, in contrasto con le norme federali di neutralità della Confederazione, dà loro la possibilità di scrivere. Su Libera Stampa un drappello di rifugiati avvia la “Pagina dell’emigrazione italiana”, di contenuto più politico, diretta da Guglielmo Usellini con Riccardo Momigliano, Ugo Guido Mondolfo, Piero Della Giusta, Marcello Cirenei, Antonio Greppi, Ezio Vigorelli; e “Arte, letteratura e lavoro”, diretta da Arturo Tofanelli. Poi all’arrivo di giovani letterati, tra i quali giornalisti del Tempo di Mondadori, la redazione del foglio socialista diventa quasi un “porto di mare” che li raccoglie da diverse provenienze per il comune destino di rifugiati: Fabio Carpi, Aldo Borlenghi, Giorgio Strehler, Gianni Pavia, Fernando Giolli, Giansiro Ferrata, Franco Fortini. Il titolo “Arte, letteratura e lavoro” intende sottolineare la connessione stretta, “necessaria”, tra arte, vita, impegno civile; lo scrittore, l’artista, l’intellettuale si pongono al servizio di una causa, non in senso stretto socialista, ma in generale dell’antifascismo. Il dibattito si fa vivace, caratterizzato da forte tensione morale e dall’impegno per una letteratura che cerchi in effetti “un dialogo col popolo” per viverne “le sofferenze, le aspirazioni di libertà”. Il nuovo indirizzo è dato da Gianfranco Contini, professore all’Università svizzera di Friburgo, a contatto con l’ambiente italiano di Lugano. Nell’autunno 1944 un’altra svolta: gli Alleati avanzano lungo la penisola, le incursioni della Resistenza si moltiplicano, qua e là i Cln formano “repubbliche” partigiane, nel settembre-ottobre si costituisce la Giunta provvisoria di governo a Domodossola. Con l’Ossola a due passi molti rifugiati, specie i più giovani, durante i “40 giorni di libertà” lasciano il Canton Ticino e accorrono nella valle. Tra loro alcuni tra i collaboratori di Libera Stampa. Così il compito di dirigere la pagina sul foglio socialista svizzero tocca ad Alberto Vigevani, scrittore, autore di un “romanzo” Compagni di settembre, che parla della fuga dall’Italia nel ‘43; e a Luigi Comencini, giornalista, che dirigerà il film Tutti a casa… La sigla “L.C.” compare sotto gli articoli Cinema e socialismo, in sette puntate (20-27 settembre 1944), Buio fino in fondo (26 ottobre), Letteratura americana? (21 dicembre); ai racconti La moglie (28 settembre) e Lettera (14 dicembre 1944). Il primo contributo, basato sulle ultime pubblicazioni e con dati della Mostra del cinema di Basilea del 1943, è un’analisi approfondita e documentata sulla storia e sulla situazione ORDINE 9/10 2004 del cinema nei rapporti con la società, dall’invenzione tecnica al suo riconoscimento ufficiale, dove si schiera per un’arte “cosciente dei propri doveri civili” che sappia trovare in autonomia una propria strada. All’epoca “un telaio a mano”, ora è un’arte “sempre meno libera”, nella quale la politica incide “notevolmente”. Il tema autobiografico della superiorità della cinematografia in Francia per la libertà; e di quella americana, favorita dall’emigrazione provocata dagli sconvolgimenti politici in Europa, fa da contrasto al cinema “strumento di propaganda o di difesa” in paesi e climi autoritari da Lenin a Goebbels da Pio XI a Mussolini, a motivo del successo popolare: La difesa delle Avanguardie e la polemica con il “Corriere” Dal momento che il cinema affascinava le masse, perché non farne uno strumento di propaganda o di difesa, collegato a interessi politici e sociali? Perché limitarsi a controllare i film prodotti da altri, e non produrre in proprio, direttamente, con scopi precisi? Promosso dal Centro estero del Psiup di Zurigo, dal febbraio 1944 al settembre 1945 sotto il motto “liberare e federare” esce il quindicinale L’Avvenire dei lavoratori, diretto da Ignazio Silone. Nel febbraio 1945 apre una redazione a Lugano diretta da Guglielmo Usellini e inizia a comparire la sigla di Comenicini, con quelle del gruppo di “Libera Stampa”: Momigliano, Mondolfo, Fortini, oltre a Luigi Preti, Edgardo Lami Starnuti, Gigino Battisti, Alessandro Levi, Lucio Luzzatto. Il programma di Silone era volto “all’esame sistematico dei problemi politici fondamentali del socialismo europeo” con appello “a tutte le forze della coscienza”. Un tema che si ritrova negli scritti di Comencini, Finirà la guerra? E Perché si muore (24 febbraio e 15 marzo 1945). Nel primo affronta tra l’altro una questione, che “il concetto di nazione è un concetto assurdo, oggi, anche se oggi l’internazionalismo è passato di moda”: “…un mondo diverso che si ride delle frontiere” Posso scegliermi i miei amici dove mi pare, senza conoscerli, udendoli per radio, leggendo i loro scritti, e lentamente formiamo un mondo diverso, un mondo clandestino, un mondo superiore, che si ride delle frontiere e dei discorsi dei tribuni. Mentre i giornali corrono febbrilmente a spolverare vecchie feluche per darsi un’aria maestosa, mentre si proclamano dovunque rinati patriottismi, nascono tra gli uomini strane amicizie. Quanto tempo dovranno aspettare per trionfare? Non so. Forse pochi anni, forse molti. Ma finché non trionferanno la guerra non finirà. Finché si userà il linguaggio assurdo che ogni giorno udiamo, la guerra non finirà. A Venezia, nel 1987, Comencini riceve da Michel Piccoli il “Leone d’oro alla carriera”. Centro documentazione “Corsera”. A Roma nel 1978. Centro documentazione “Corsera”. Altro tema legato alla sua formazione, ma stavolta di architetto, è la difesa delle avanguardie artistiche. “Su Libera Stampa, foglio socialista di Lugano, mi son trovato a dover difendere opere come quelle di Le Corbusier e Guernica di Picasso dalla pubblica ‘incomprensione’”, mi raccontava anni fa. Il tema di Buio fino in fondo, in polemica col Corriere della Sera che attaccava l’ormai famoso architetto perché “uno dei maggiori rappresentanti dell’antitradizionalismo” il quale “quando sale in cattedra ha sempre bisogno dello stupefacente; è nato in Svizzera ma ancora giovane corse a scialacquare (sic) i panni nelle torbide acque della Senna, quando la Francia era il ritrovo dei metechi di tutto il mondo; le sue teorie sono apprezzatissime nell’Urss”. Comencini contrattacca, precisa “come tutti sanno Le Corbusier è architetto”: … per chi non lo sapesse, dall’Urss fu messo alla porta perché dichiarato “architetto borghese”. In quanto all’ateismo l’accusa non è nuova. Quando fu inaugurata la sua Casa dello studente svizzera alla Città universitaria di Parigi, i fogli protestanti della Svizzera francese fecero un gran chiasso, pretendendo che corrompeva la sana gioventù elvetica, avendo osato decorare il refettorio della sua casa dello studente con vedute di ghiacciai, di monti e di fiori, anziché con scene della Sacra Scrittura. Tralasciamo poi il fatto che un marxista, parlando incidentalmente, l’abbia definito “il calvinista Le Corbusier”… La confusione, l’oscurantismo per ora trionfano; la macabra danza dei predoni della natura e dell’arte non è ancora finita. Aspettano anch’essi i patrioti che li mettano al muro. Ma intanto Le Corbusier, e non solo Le Corbusier, bensì tanti altri, e forse i migliori e i più geniali architetti, disegnano in silenzio e preparano le case per la pace di domani. Anche i racconti hanno sfondo autobiografico, La moglie per esempio vicenda politico-sentimentale - è l’occasione per tratteggiare il profilo di due compagni di studi che il fascismo aveva cambiato, e la guerra civile portato a rivelare i lati oscuri del loro carattere. Con questi scritti “Arte, letteratura e lavoro” entra nel vivo della critica a una certa Italia, mentre Comencini si orienta su temi ancora più politici che svolgerà su un altro foglio. Perché si muore nasce come riflessione alla notizia dell’uccisione dell’antifascista socialista Eugenio Colorni alla vigilia della liberazione di Roma (maggio 1944). “Esiste un’immortalità terrena che i vivi si tramandano nel ricordo dei morti che hanno conosciuto. Eppure, anche se la morte non è sempre uno sbaglio, ma diviene improvvisamente necessaria come una virtù, qualcosa di noi si ribella al peso di questa fatalità”, scrive, e conclude: … il sorriso dei defunti s’è fatto amaro; cinico il nostro giubilo di vivere e di vincere; triste la vittoria ch’è costata troppi morti. Possiamo vivere in un mondo di uccisori? La vita appartiene ai morti; i vivi l’hanno perduta. Ecco perché ad ogni amico che cade si stringe il cuore di paura, al pensiero che con lui muore per noi l’uomo che l’ha ucciso. Si muore perché si uccide, è il pensiero che mi assilla, e soltanto quando non si ucciderà più il mio pensiero potrà ritrovare un filo col passato, un filo con l’avvenire, rivivranno le idee, gli uomini, le cose, di vita propria e non di ridicola parvenza di vita, velata da un continuo interminabile lutto. La Svizzera nei suoi film dopo il rientro in Italia Rientrato in Italia nel maggio 1945, nel dopoguerra Luigi Comencini avrà modo di riflettere anche sul ruolo della Svizzera neutrale traducendo un testo dello scrittore espressionista tedesco Georg Kaiser, per la Collana Teatro Moderno, a cura di Paolo Grassi (Milano 1947). Nell’introduzione a Il soldato Tanaka, 1940, di Kaiser - vissuto per anni sulle rive del lago di Zurigo morto ad Ascona, Canton Ticino, nel 1944 - Comencini commenta: Uno “scrittore rivoluzionario” ha vita breve: quando la rivoluzione è fallita, oppure fatta e – secondo lui – fallita, la Svizzera è l’unico porto, fuori del tempo e del mondo, che possa accoglierlo, con tutte le rinunce che l’accettazione di questo rifugio comporta. Kaiser vi ha consentito, e da quell’osservatorio veramente neutrale, ha scritto per gli uomini in preda al furore della guerra, un candido messaggio di fratellanza e di giustizia, nel quale esso molto difficilmente di riconosceranno. La Svizzera tornerà ancora, in toni sempre autobiografici ma familiari, nel film Heidi o Sono tornata per te, ambientato nelle montagne dell’Engadina: “l’unico modo per respirare un po’ d’aria buona in senso reale e in senso metaforico”, è il giudizio di Comencini. Erano gli anni ‘50. Ranata Broggini 23 (31) L A L I B R E R I A D I TA B L O I D Ainis, studioso del linguaggio giuridico, fa parte del Comitato scientifico del Nucleo per la semplificazione delle norme e delle procedure, costituito presso la presidenza del Consiglio dei ministri. Michele Ainis Le libertà negate. Come gli italiani stanno perdendo i loro diritti di Rosa Alba Bucceri Aristotele aveva ben spiegato che democrazia e libertà non vanno a braccetto, che il rapporto tra demokratia ed eleutheria è conflittuale. Noi però ci ostiniamo a identificare l’una con l’altra e a credere che le democrazie occidentali siano culla e patria del diritto e delle libertà. Ne siamo così convinti da pretendere di esportare il nostro modello. Il prezzo di un così marchiano errore è la svendita e perdita progressiva delle libertà nel mondo occidentale. Consumate tra l’illusione di vivere nell’età dell’oro dei diritti e il loro sprezzo. A mettere il dito sulla piaga che erode le nostre democrazie avanzate è il giurista Michele Ainis, in un un saggio brillante quanto documentato: Le libertà negate. Come gli italiani stanno perdendo i loro diritti, edito da Rizzoli.Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico e preside della facoltà di Giurisprudenza a Teramo, Ainis è autore e curatore di un centi- naio di volumi e saggi accademici ed editorialista della Stampa. Le libertà negate è l’ultimo di una serie di saggi divulgativi - il più noto dei quali è La legge oscura (Laterza 20022) - pubblicati a partire dagli anni ‘90. L’autore parte da una mega-inchiesta che si snoda parallela tra il dettato copioso di leggi e leggine solenni e una realtà sociale misera. In 35 capitoli, disposti in ordine alfabetico e arricchiti da un sostanzioso apparato di note, sono descritte le categorie colpite – bambini, detenuti, disabili, donne, immigrati, gay, ma anche anziani, consumatori, elettori, malati, cioè tutti noi – e insieme i casi numerosi di diritti coartati o in perenne stand-by. Compaiono i cittadini, iperspiati alla faccia della valanga di leggi a tutela della privacy; le donne, pagate il 27% in meno dei colleghi maschi; gli elettori, illusi di scegliere i loro rappresentanti; i disinformati, bombardati da un numero esagerato di informazioni, gestite e manipolate però da pochi padroni. E le vittime dell’accanimento legislativo da parte di uno Stato che si veste da poliziotto: fumatori, amanti e automobilisti ne sanno qualcosa. Un mosaico colorato e dolente in cui – colpa nostra – ci ritroviamo un po’tutti. Michele Ainis, Le libertà negate. Come gli italiani stanno perdendo i loro diritti, Rizzoli 2004, pagine 396,euro 18,00 ista erv tore t n I ’au all Verso una democrazia senza libertà Il volume Viva Vox Constitutionis è un’opera collettiva (a cura di Valerio Onida), nata dal proposito di effettuare una rassegna annuale della giurisprudenza costituzionale, al fine di individuare i vari indirizzi giurisprudenziali enucleati dalla Corte Costituzionale e dare così al lettore un panorama in progress del contributo che la giustizia costituzionale offre allo sviluppo del diritto nel nostro Paese. La Corte Costituzionale nel corso dell’anno 2002 ha pubblicato in totale 536 decisioni di cui 135 sentenze e 401 ordinanze, la grande varietà dei temi trattati dalla Corte va dal diritto penale (al quale sono stati dedicati i primi tra capitoli della raccolta), al diritto e giustizia minorili, alla sanità, la scuola, l’ambiente, il lavoro (sia quello subordinato che il pubblico impiego). Altresì, vi è anche un capitolo dedicato alle “libertà civili” ed uno alle “telecomunicazioni”. 24 (32) Limitando questa recensione a tali ultimi due capitoli che maggiormente interessano la professione giornalistica, vediamo che nell’ambito della libertà di manifestazione del pensiero, la Corte Costituzionale nell’anno 2002 ha emesso cinque decisioni: due attenenti alla libertà di manifestazione a mezzo stampa e tre concernenti la disciplina del mezzo televisivo. In particolare, la Corte è stata chiamata a pronunciarsi in ordine alla compatibilità costituzionale dell’art. 15 Legge sulla stampa (L. 47/1948) che qualifica come reato la pubblicazione di stampati contenenti immagini e particolari impressionanti o raccapriccianti in grado di turbare il comune sentimento della morale - con l’art. 21 Cost. che assume unicamente la nozione di buon costume come limite alla libertà di pensiero. La Corte, tuttavia, ha ribadito l’infondatezza della questione (già oggetto di pronuncia con la sentenza n. di Marzio De Marchi Cosa l’ha spinta a scrivere un libro così fuori dagli schemi accademici? “L’idea mi frullava in testa da tempo. Ne avevo ragionato a metà degli anni ‘90 con Giulio Salierno, sociologo e personaggio fuori dall’ordinario. In seguito ho cominciato a pubblicare sulla Stampa un’inchiesta sulle libertà. E in quella sede è stato Gianni Riotta a suggerirmi di farne un libro. Mi sono messo all’opera, coadiuvato da un pool di ricercatori e lavorando ho scoperto le tante gocce di cui non ci accorgiamo ma che insieme formano il mare nostrum delle libertà negate”. Da una così aperta denuncia, fatta a suon di dati e di nomi, ci si aspetta qualche suggerimento di ordine giuridico per combattere l’erosione dei diritti. “Chi fa un lavoro intellettuale penso debba svolgere una funzione critica, di denuncia. Se questa coglie nel segno, il resto dovrebbe arrivare da sé. Le leggi sono lo specchio del nostro tempo e sarebbe bene facessero tre passi indietro. Che fossero meno invasive e meno di numero. Credo però, e vorrei sottolinearlo, che la soluzione dei nostri mali non sia tecnica ma che faccia capo all’ethos, ai valori”. Lei dice che la libertà in assenza di certi valori - sicurezza, tolleranza, solidarietà, giustizia, pluralismo - inaridisce. Quale mette al primo posto? “La giustizia sociale, l’eguaglianza. Che giuridicamente si traduce nella formulazione di un “diritto diseguale”, concepito per ridurre il divario esistente tra Nord e Sud del mondo, tra poveri e ricchi, tra donne e uomini, eccetera”. Nel clima di perdita dei diritti che ha delineato, cosa ritiene più grave? “Il fatto che nessuno sembra notare che siamo ridotti quasi peggio che sotto la dittatura fascista. Che nessuno si accorga che l’uomo totalitario che si è delineato anticipa e precede un totalitarismo che a parole nessuno vuole ma di fatto già profilato”. Chi ama il noir non può fare a meno di cercare e leggere questo convulso libro del reporter e scrittore Barry Chamish: avrà pane per i suoi denti. Troverà, in definitiva, un altro caso JFK. Ecco la tesi: il primo ministro israeliano Yitzhàk Rabìn non fu ucciso il 4 novembre 1995 dall’uomo che oggi è in carcere per quell’omicidio, tale Yigàl Amir. Rabìn fu vittima, al contrario, di un complotto ordito dai servizi di sicurezza israeliani (Shabàk). Questa, in breve, la vicenda. Ad Amìr sarebbe stata fornita una pistola a salve con la quale avrebbe dovuto sparare a Rabìn; poi, sarebbe stato arrestato perché colto in flagranza di reato e il governo del primo ministro, a quel punto, avrebbe avuto via libera per ordinare la repressione contro gli oppositori del processo di pace. Ma c’era un’operazione incrociata. Rabìn, secondo le testimonianze portate dal nostro autore, sarebbe stato caricato - dopo la sparatoria e ancora vivo e vegeto - sulla sua limousine, dove il vero assassino stava in agguato. A testimonianza di tutto ciò, Chamish sostiene di avere un filmato amatoriale in cui Rabìn appare in piena forma dopo gli spari; esami di laboratorio sulla salma del primo ministro che contraddicono i fettivo sistema democratico), con tutte le implicazioni che ne conseguono quali, la parità di accesso di tutti i soggetti politici al sistema di informazione e la necessità di regolare il contraddittorio tra i candidati che esprimono programmi politici diversi. Difatti è solo in tal modo che si realizza un adeguato bilanciamento fra il diritto dei cittadini ad avere un’informazione imparziale e la libertà di espressione delle singole emittenti. La Corte altresì non ha mancato di sottolineare la circostanza che in questo caso non può dirsi violato il principio di uguaglianza per il fatto che analoghi correttivi non siano stati previsti con riferimento alla stampa periodica: ad avviso dell’organo costituzionale, difatti, la maggiore pervasività del mezzo televisivo preclude qualsivoglia comparazione con gli altri strumenti di diffusione del pensiero. Proprio con riferimento alla maggiore pervasività del mezzo televisivo, il giudice delle leggi, si è posto il problema di scongiurare la formazione di oligopoli privati nazionali, all’interno dei quali possa moltiplicarsi l’effetto “diffusivo e pervasivo” peculiare del messaggio Tv. Per tale ragione la Corte (chiamata a pronunciarsi dal Tar Lazio circa la legittimità costituzionale della L. 249/1997 che, nell’introdurre nuovi e più cogenti limiti alla concentrazione di reti televisive analogiche in ambito nazionale, ha nel contempo consentito la prosecuzione “in via transitoria” delle trasmissioni da parte delle emittenti nazionali già operanti in deroga ai predetti limiti), con sentenza n. 466/200, ha osservato come la carenza di un termine assolutamente certo, definitivo e non eludibile, entro cui far cessare questo stato di cose, espone la norma al vizio di inconstituzionalità, giacché in tal modo si comprime indefinitivamente il principio del pluralismo informativo, già in passato stimato lesivo dell’art. 21 Cost. (sentenza n. 420/1994). In particolare, nella sentenza n. 466/2000, la Corte ha duramente rimarcato, come «la formazione dell’esistente sistema televisivo italiano privato in ambito nazionale ed in tecnica analogica trae origine da situazioni di mera occupazione di fatto delle frequenze (esercizio di impianti senza rilascio di concessioni e autorizzazioni), al di fuori di ogni logica di incremento del pluralismo nella distribuzione delle frequenze e di pianificazione effettiva dell’etere. Detta occupazione di fatto è stata, peraltro, in varie Valerio Onida (a cura di) Viva vox Constitutionis di Sabrina Peron Barry Chamish Chi ha ucciso Yitzhàk Rabìn 293/2000), sul presupposto che il “comune sentimento della morale”, deve intendersi come una sorta di minimo comun denominatore delle diverse concezioni etiche presenti nella società e coincidente con il rispetto della persona umana e della sua dignità. In tal modo esso assume la funzione di limite alla libertà di manifestazione del pensiero e ragione giustificatrice della sua repressione. Tra le sentenze emesse in materia televisiva si segnala, invece, la pronuncia che ha sancito il principio il forza del quale il fine cui deve essere preordinato il sistema radiotelevisivo (sia esso pubblico o privato), è il soddisfacimento del diritto dei cittadini ad una informazione completa ed obiettiva. Ora quando si è in ambito elettorale, tale fine non si realizza attraverso la mera garanzia della pari visibilità dei partiti, ma, bensì, attraverso il rispetto di un corretto svolgimento del confronto politico (unico presupposto per l’esistenza di un ef- risultati della commissione d’inchiesta; rapporti balistici che lasciano parecchi dubbi sulle versioni ufficiali; e poi, racconti di testimoni oculari e tanto altro materiale. Non sveliamo il finale, lo lasciamo ai cultori della «controinformazione». Che in queste pagine - confuse, graficamente pasticciate, a volte più incomprensibili del racconto stesso - troveranno materiale per le loro interminabili discussioni al bar. Barry Chamish, Chi ha ucciso Yitzhàk Rabìn, Editrice Nuovi Autori, pagine 391, euro 18,00 occasioni per lunghi periodi temporali, legittimata ex post e sanata con il consentire la prosecuzione delle attività delle singole emittenti radiotelevisive private». In ogni caso, la Consulta - a parziale accoglimento del ricorso - ha ritenuto che il legislatore possa legittimamente affidare ad un’autorità amministrativa indipendente (ossia l’Autorità Garante per la concorrenza) la concreta determinazione del termine esatto di cessazione del periodo transitorio, ritenendo, però, necessario che le valutazioni dell’Autorità siano ancorate a parametri predeterminati per legge e che tali parametri siano idonei ad impedire che la temporaneità si protragga indefinitamente, senza che esista un termine certo. Tuttavia, la necessità di governare ordinatamente il passaggio dalla comunicazione analogica al satellite, ad avviso della Corte rende ammissibile il ricorso ad una fase transitoria, durante la quale tollerare l’eccedenza dei limiti concentrativi. A cura di Valerio Onida, Viva vox Constitutionis. Temi e tendenze nella giurisprudenza costituzionale dell’anno 2002, Giuffrè 2003, pagine 890, euro 70,00 ORDINE 9/10 2004 LIBRI IN REDAZIONE Autori vari, Confraternite tra storia e futuro, Edizioni Insieme, pagine 77, euro 5,00 Barbara Maio e Christian Uva, L’estetica dell’ibrido, Editore Bulzoni, pagine 153, euro 11,00 Massimiliano Parcaroli, La telenovela brasiliana, Editore Bulzoni, pagine 115, euro 10,00 Elisa Giomi, Il piacere di “Vivere”, Editore Bulzoni, pagine 199, euro 12,00 Cecilia Martino, Comunità medianiche, Editore Bulzoni, pagine 150, euro 10,00 Joseph L. Badaracco Jr., Momenti della verità, Il Sole 24 Ore, pagine 156, euro 9,00 Paolo Garonna e Gian Maria Gros-Pietro, Il modello italiano di competitività, Il Sole 24 Ore, pagine 304, euro 35,00 Fabrizio Carotti, Giuseppe Schlitzer e Gustavo Vicentini, La governance dell’impresa tra regole ed etica, Il Sole 24 Ore, pagine 256, euro 32,00 Marco Mariani, Decidere e negoziare, Il Sole 24 Ore, pagine 224, euro 22,00 Alberto Galgano, I sette strumenti della qualità totale, Il Sole 24 Ore, pagine 302, euro 17,00 Ferdinando Azzariti, Diventa Leader, Il Sole 24 Ore, pagine 159, euro 18,00 Giulio de Caprariis e Luigi Guiso, Finanza legge e crescita delle imprese, Il Sole 24 Ore, pagine 217, euro 29,00 Valerio Melandri e Alberto Masacci, Fund Raising per le organizzazioni non profit, Il Sole 24 Ore, pagine 305, euro 25,00 Barry Nalebuff e Ian Ayres, Perché no? Il Sole 24 Ore, pagine 241, euro 19,00 C.K.Prahalad e Venkat Ramaswamy, Il futuro della competizione, Il Sole 24 Ore, pagine 280, euro 24,00 Federico Merla, I fondi immobiliari, Il Sole 24 Ore, pagine 345, euro 29,00 Riccardo Colangelo, Supply Chain Management, Il Sole 24 Ore, pagine 251, euro 25,31 Giorgio Laganà, Frodi societarie e corporate governance, Il Sole 24 Ore, pagine 402, euro 45,00 Claudio F.Fava, Project Financing, Il Sole 24 Ore, pagine 246, euro 28,00 Mark J.Roe, La public company e i suoi nemici, Il Sole 24 Ore, pagine 309, euro 25,00 Sergio Veneziani, Organizzare l’ufficio stampa, Il Sole 24 Ore, pagine 217, euro 16,00 Roger Botole, Soldi dal nulla, Il Sole 24 Ore, pagine 344, euro 24,00 Donatella Depperu, Crescere all’estero, Il Sole 24 Ore, pagine 206, euro 48,00 Imerio Facchinetti, Guida al nuovo bilancio d’esercizio, Il Sole 24 Ore, pagine 684, euro 55,00 Piero Meucci e Luca Paolazzi, Economia & Giornalismo, Il Sole 24 Ore, pagine 232, euro 15,00 Mauro Pecchenino e Bartolomeo Corsini, Gestire le relazioni pubbliche per l’impresa, Il Sole 24 Ore, pagine 141, euro 16,00 Autori vari, Gestione per processi e knowledge management, Il Sole 24 Ore, pagine 328, euro 34,00 Autori vari, Project Management, Il Sole 24 Ore, pagine 230, euro 20,00 Autori vari, Organizzare le pmi per la crescita, Il Sole 24 Ore, pagine 382, euro 30,47 Autori vari, 150 domande e 150 risposte, «guida pratica per gestire un’attività sportiva», Il Sole 24 Ore, pagine 186, euro 19,00 Giorgio Bocca Partigiani della montagna di Vincenzo Ceppellini Cinquantotto anni dopo la fine della guerra Giorgio Bocca ha riletto, riscritto e ripubblicato il saggio sui partigiani delle montagne col proposito di spiegare inequivocabilmente, a chi andava spiegato, e in particolare ai revisionisti dell’ultima era, come sono andate esattamente le cose della Resistenza. Quarantacinquemila partigiani caduti, ventimila feriti e mutilati, gli operai e i contadini per la prima volta partecipi di una guerra popolare senza cartolina precetto, una formazione partigiana in ogni valle alpina o appenninica, un comitato di liberazione in ogni città o villaggio, l’appoggio della popolazione, la cruenta, sofferta gestazione di un Italia diversa, la fatica paziente per armare e far vivere un esercito senza generali. E alla fine tutti a casa senza ricompense e privilegi. Questo il senso del saggio, la sua attualità dopo oltre mezzo secolo, il discorso ai contemporanei, senza allontanare il passato, ma anche senza svuotare il presente. Il libro – che giustamente andrebbe divulgato di più, rivissuto più attentamente, approfondito in varie direzioni – si apre con una dichiarazione fermamente ancorata al Duemila. “A ripensarci sessanta anni dopo ci chiediamo come sia possibile quella guerra di liberazione, non tanto l’insurrezione del 25 aprile, la discesa nella pianura e nella città, ma la liberazione di ciascuno di noi dal provincialismo, dal fascismo, dal perbenismo piccolo borghese”. E Bocca rende ancora più esplicito il suo pensiero: “La prima e più importante cosa che i libri di storia non spiegano, che i documenti non raccontano della guerra partigiana è questo stato d’animo di libertà totale ritrovata proprio negli anni in cui un giovane normale conosce il suo destino obbligato: quale posto, quale lavoro, quale ceto, quale donna sono stati preparati e spesso imposti per lui; quale sarà la sua prevedibile vita, quali vizi dovrà praticare per cavarsela, dove troverà il denaro per campare. E invece d’improvviso, un giorno del 1943 si ritrova totalmente libero, senza re, senza duce, libero e ribelle, con tutta la grande montagna come rifugio. Libero anche dal denaro e dalla famiglia… È dunque un libro quanto mai stimolante, di cronaca, ma anche di pensiero, di atmosfere, ma anche di documentazione, di liberazione e di sacrifici, di morte, di protagonisti e umili vittime. La Resistenza si combatte in montagna e Bocca compila una base fitta e organizzata di militanti di luoghi, distingue guerriglia e guerra grossa, spiega che cosa è stata la zona grigia, i personaggi indimenticati incontrati con i soldati di Salò, il frate che non ricordava il suo nome, l’assassinio di Matteotti, l’uccisione del filosofo Gentile, la risiera di San Sabba, sino alla Resistenza cancellata o archiviata dei nostri giorni, con il ritorno di ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri… Una cospicua parte del saggio di Bocca è una rievocazione precisa di fatti, persone, interpretazioni, con un paesaggio di fondo in montagna, sulla neve, di Natale, i bilanci dei periodi più significativi, la formazione organica delle bande, i settori dislocati su varie zone, in Piemonte e altrove, i rastrellamenti, gli accordi con la Resistenza francese, le Repubbliche coraggiose e provvisorie, la stampa clandestina, la preghiera del partigiano. In sintesi, Bocca, dichiara che il libro non vuol essere una semplice cronaca di fatti, ma soprattutto un ricordo dei motivi ideali e delle trasformazioni spirituali avvenute nell’anima delle formazioni GL del Cuneese. Un libro di straordinario vigore e di alta tensione. Giorgio Bocca, Partigiani della montagna, Feltrinelli, pagine 179, euro 12,00 Mariane Pearl. Un cuore grande. La vita e la morte coraggiose di mio marito Daniel Pearl di Margherita Lepini Il 23 gennaio del 2002 il giornalista del Wall Street Journal Daniel Pearl sale su un’auto che dovrebbe portarlo a incontrare Mubarak Ali Shah Gilani, capo di un gruppo islamico iscritto nella lista dell’Fbi delle organizzazioni terroristiche. Pearl sta indagando sull’ispiratore di Richard Reid, l’uomo che voleva farsi saltare sul volo di linea Parigi-Miami con le scarpe imbottite di esplosivo. L’autista, d’accordo con una frangia di Al Qaeda, lo condurrà invece in una casa colonica nei sobborghi di Karachi, capitale del Pakistan. Il suo rapimento durerà otto giorni, alla fine dei quali, il 31 gennaio, verrà ucciso e la sua barbara decapitazione ripresa da una telecamera. La morte di Pearl segna una svolta nella campagna intimidatoria studiata dai terroristi islamici per utilizzare i rappresentanti dei media come cassa di risonanza per le loro riORDINE 9/10 2004 vendicazioni. Dal 22 febbraio, giorno in cui il video dell’esecuzione del giornalista viene recapitato al consolato americano di Karachi, l’opinione pubblica mondiale comincia a fare i conti con le atrocità dei fondamentalisti, filmate con un macabro rituale in molti dei rapimenti a seguire. L’ultimo dei quali ha coinvolto e ucciso il reporter italiano Enzo Baldoni. Il corpo fatto in pezzi di Daniel Pearl viene ritrovato il 17 maggio, sepolto mezzo metro sotto terra. L’esecutore materiale – si saprà più tardi – si chiama Khalid Sheik Mohammed è lo stesso che ideò l’attentato alle Torri Gemelle. Le cinque settimane in cui si concentrano le ricerche dell’inviato americano sono raccontate in prima persona da sua moglie, Mariane Pearl, nel libro Un cuore grande, uscito in Italia lo scorso marzo e tradotto in diciotto lingue, tra cui il giapponese. Con un tono asciutto nelle pagine, che ispireranno poi anche un film prodotto da Brad Pitt e Jennifer Aniston, Mariane Pearl racconta i tentativi di portare in salvo il marito e ricordi di vita, a partire dal primo incontro tra Danny, 38enne, e Mariane, di quattro anni più giovane, a Parigi, dove lei viveva con la madre cubana e lavorava come giornalista free lance per la radio e la televisione francese. Da lì la decisione di seguire Daniel, nella vita e nel lavoro in India, Qatar, Bangladesh, Canada e Pakistan. La sera del rapimento Mariane lo aspetta per cena a casa di un’amica. Invano. Solo due giorni saprà di essere incinta. “Si chiamerà Adam, come fosse il primo uomo, capace di portare la pace in un mondo sempre più carico di violenza”. Il libro ha il pregio di raccontare, in una sorta di diario privato, i retroscena di una vicenda di cronaca internazionale, che ha tenuto con il fiato sospeso milioni di persone in tutto il mondo. Racconta la difficoltà di capire chi sono i veri interlocutori nel rapimento, in una città con 12 milioni di abitanti, Karachi, che parla urdu e che è diventata in pochi anni uno snodo del traffico di armi per la jihad. In tal modo offre uno spunto di riflessione per comprendere più da vicino l’organizzazione di Al Qaeda, le sue numerose cellule e il reticolo di complicità di cui gode il terrorismo in molti stati musulmani. Il libro è anche il racconto di come Mariane sia riuscita, con una lucidità fuori dal comune, a coordinare una serie di al- leanze tra gli agenti dei servizi segreti pakistani (Isi) e i funzionari dell’Fbi che si sono occupati del caso superando le diffidenze etniche e religiose. È musulmano - il Capitano, capo della polizia pakistana-, la persona che più le è stata vicina nei momenti dell’attesa. Un cuore grande è il racconto di una vicenda corale, condivisa con l’amica Asra che le da ospitalità a Karachi, i vertici del Wall Street Journal, le autorità pakistane, il governo americano, e una serie di dipartimenti di sicurezza sintetizzati in mille acronimi misteriosi. Alla fine della sua biografia-inchiesta Mariane, che oggi vive a New York, ha incluso alcuni dei messaggi che le sono pervenuti dal momento della tragedia: gli auguri di George W e Laura Bush per la nascita di Adam, i saluti del presidente del Pakistan, Musharraf, e quelli del francese Chirac, ma anche persone meno note, come per esempio alcuni orchestrali di Tel Aviv che hanno dedicato a Daniel (che d’origi- ne era ebreo) il concerto del giorno dopo la notizia della sua uccisione, persone che sono rimaste colpite dalla serenità con cui Mariane in tv si era rivolta ai sequestratori, rifiutandosi di alimentare l’odio nei confronti del mondo islamico. Nel libro trovano il giusto spazio gli ideali di pace che Mariane condivideva con il marito che, sebbene non abbiano impedito a Daniel di perdere la vita, hanno permesso di lanciare una sfida ai terroristi, “nella consapevolezza– scrive l’autrice – che il tuo coraggio e il tuo spirito possano essere d’ispirazione agli altri”. E inoltre, sempre rivolgendosi a Daniel:“Scrivo questo libro per dimostrare che avevi ragione: il compito di cambiare un mondo pieno di odio spetta a ciascuno di noi”. Mariane Pearl, Un cuore grande. La vita e la morte coraggiose di mio marito Daniel Pearl, Sonzogno editore, Milano 2004, pagine 319, euro 17,00 25 (33) DATI FIEG-FNSI-INPGI - GIUGNO 2004 Appello ai colleghi distratti 14.500 professionisti, 1.500 disoccupati Roma, 30 giugno 2004. A giugno 2004, sono 14.500 i giornalisti professionisti a contratto pieno regolarmente iscritti all’Inpgi (13 mila in base agli articoli 1,2,12 e 36 del contratto nazionale e gli altri impiegati presso periodici), più 400 contratti a termine. Sono invece 1.500 i disoccupati solo nella carta stampata e alla Rai e circa 60.000 i pubblicisti (di questi, circa 8.500 hanno vari contratti di collaborazione e versano i contributi all’Inpgi 2, mentre in 48.000 non hanno posizione contributiva). Sono alcuni dei dati FiegFnsi-Inpgi resi noti nel corso del convegno su comunicazione e giornalismo, in corso a Roma, nella sede del Cnel. Quanto ai collaboratori e informatori senza titolo profes- sionale, sono tra i 30 e i 40 mila e non godono di nessun tipo di contratto o tutela previdenziale e sindacale. I precari Rai, che nel 1999 erano 270, attualmente, secondo i dati del coordinamento precari e dell’Usigrai, ammontano a circa 500 (100 dei quali hanno un’anzianità compresa tra i 6 e gli 8 anni); a questi vanno aggiunti 600 programmisti registi, di cui solo 20 sono giornalisti professionisti e la metà pubblicisti (con punte di anzianità lavorativa di 15-16 anni). Sempre in base ai dati diffusi al Cnel, i praticanti Fieg iscritti all’Inpgi erano circa 400 alla fine del 2003. I nuovi professionisti sono invece tra i 700 e gli 800 l’anno: secondo recenti rilevazioni della Fieg, il 60% non svolge attività giornali- stica o di comunicazione e solo il 3-4%, dopo un lungo precariato, trova piena e duratura occupazione in aziende editoriali. Sul fronte dei comunicatori, secondo una recente indagine Istat, il 91,3% dei giovani che frequentano corsi di laurea in scienze della comunicazione dichiara che, dopo la laurea, non intende svolgere la professione giornalistica. Ma secondo stime Enn (Dimensione lavoro e comunicazione) e Cnel, il mercato italiano è in grado di assorbire entro i prossimi dieci anni non meno di 50-60 mila comunicatori professionisti in particolare nei settori dei beni culturali, delle infrastrutture e telecomunicazioni, dell’ambiente e attività agricole, del commercio estero e del made in Italy. Sempre in base ai dati statistici resi noti oggi al Cnel, il 20% dei giornali (meno di una trentina di testate) vende il 95% del totale delle copie acquistate (circa sei milioni). Le nuove iniziative editoriali, compreso l’online, sono svariate decine l’anno, ma il tasso di mortalità delle nuove pubblicazioni è oltre il 70%. E soprattutto, l’80% delle testate giornalistiche (135 quotidiani e 70 agenzie di informazione) non crea nuova occupazione già da diversi anni. In controtendenza, i grandi gruppi editoriali e l’informazione online che dal 2001 registrano un incremento dell’occupazione del 2% circa l’anno (dati Censis). Quota 2005: è possibile da subito aderire al Rid e non pensarci più anche negli anni successivi Visto il gradimento che gli iscritti all’Ordine dei giornalisti della Lombardia hanno dimostrato con la massiccia adesione al servizio di pagamento mediante addebito in via continuativa sul conto corrente bancario (Rid), Esatri ha riaperto (ovviamente a favore di chi non ha ancora fatto ricorso al servizio) i canali di adesione per il pagamento dell’avviso della quota annuale relativa all’anno 2005 e agli anni successivi. Per aderire al servizio Rid è sufficiente: a) compilare il modello Rid ricevuto con l’avviso di pagamento del 2004 e trasmetterlo via fax ad Esatri al numero 0264166090 b) oppure compilare il modello Rid elettronico disponibile su Internet al sito www.taxtel.it (selezionando nell’home page del sito la voce ADESIONI RID) c) oppure comunicare via telefono i dati richiesti nel modulo RID al n. 199 104 343 (dal lunedì al venerdì dalle ore 8.30 alle 17.00). Tale numero è disponibile per informazioni e variazioni relative al Rid. Esatri provvederà ad ogni scadenza, a partire dalla quota del 2005 e per gli anni successivi, salvo revoca, al pagamento in automatico con addebito dell’importo sul conto corrente indicato. Con il Rid è possibile pagare gli avvisi di pagamento, ma non le cartelle esattoriali. Il termine ultimo di adesione al Rid verrà indicato sugli avvisi di pagamento relativi alla quota annuale 2005 e verrà pubblicato su Tabloid. (ANSA) Cancellati dall’Albo 200 colleghi per morosità Milano, 13 luglio 2004. Nella seduta di ieri il Consiglio ha cancellato dagli elenchi dell’Albo 200 giornalisti (70 professionisti) per morosità. Si tratta di giornalisti, che per lo più devono all’Ordine della Lombardia anche cinque anni di quote. Il pagamento delle somme fa cessare la materia del contendere e spiana la strada all’annullamento immediato del provvedimento. L’Inpgi non può ricevere i contributi versati dalle aziende a favore dei giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti non più iscritti negli elenchi dell’Albo. L’ECO DELLA STAMPA ECO STAMPA MEDIA MONITOR S.R.L. Via Compagnoni 28, 20129 Milano Tel. 02 74 81 131 Fax. 02 76 11 03 46 26 (34) ORDINE 9/10 2004 RITRATTO DI UNO STRAORDINARIO “COMUNICATORE” DA 26 ANNI SULLA CATTEDRA DI PIETRO 16 ottobre 1978: Karol Wojtyla viene eletto Papa La memoria esistenziale del Papa polacco è tratta in larga misura dal volume di Bernard Lecomte, Giovanni Paolo II. La biografia (ottima la traduzione di Clara Ghibellini ed Enzo Peru) che è denso di analisi e documentazione. L’autore è parigino, 53 anni, prima redattore del quotidiano La Croix, in seguito di testate laiche. Viene considerato tra i più preparati sui problemi dell’Europa orientale tra i giornalisti d’oltre Alpe; in particolare conosce benissimo la società polacca. Questo lavoro su Wojtyla gli è costato quattro anni di lavoro tra Cracovia e Roma per mettere in luce l’immagine completa di un pontefice che spazia da oltre un quarto di secolo tra giudizi contraddittori, da taluni ritenuto un restauratore e da altri un innovatore. Libro affascinante che propone questa storica figura in ogni sua sfaccettatura: poeta, viaggiatore, professore, ma soprattutto sacerdote e pastore di anime. In un certo senso lo scrittore francese ripercorre la stessa strada proposta in termini più concisi dai nostri Luigi Accattoli (L’uomo di fine millennio, San Paolo, 1998) e Domenico Del Rio (Karol il Grande, edizione speciale di “Famiglia cristiana”, 2003) oltre ai ricordi dello stesso protagonista attraverso i best-sellers Varcare la soglia della speranza (intervista di Vittorio Messori, Mondadori, 1994) e il recentissimo Alzatevi, andiamo! (Mondadori, 2004). Papa Wojtyla protagonista del nostro tempo (secondo Bernard Lecomte) di Giacomo de Antonellis Ricordate quella puntata di “Porta a porta” del 13 ottobre 1998 dedicata a Karol Wojtyla in occasione del suo ventesimo anno di pontificato? Ci fu un evento straordinario. Bruno Vespa, che stava alternando le testimonianze registrate alle opinioni degli invitati in studio, venne interrotto dalla regia per una telefonata in diretta: “Sono don Stanislao, segretario del papa. Buonasera, il Santo Padre vi vuole salutare…” Imbarazzo del conduttore, incredulità dei presenti, stupore persino sul volto di Joaquin Navarro-Valls, portavoce del Vaticano. La voce, inconfondibile, non lasciava spazio a scherzi o equivoci: “Signor Vespa, voglio ringraziare lei e tutti i partecipanti per quello che avete preparato e detto su questi vent’anni di pontificato”. Un clamoroso scoop. Il Papa polacco è fatto così, quando sente di agire non bada alle forme, parla ed esprime il proprio pensiero. È noto. Nessun tipo di suo comportamento ormai desta meraviglia. Così, alla vigilia della cadenza numero ventisei, rileviamo nell’Uomo venuto dall’Est un perfetto e tempestivo “comunicatore”. Il rapporto tra Giovanni Paolo II e la stampa, e quindi con la pubblica opinione, è davvero perfetto. Si rivelò tale sin dal primo giorno del suo pontificato in quel lontano 16 ottobre 1978. Ricordate l’esordio sulla piazza San Pietro quando offrì ai media il modo migliore per una prima definizione? “I venerabili cardinali hanno chiamato un nuovo vescovo di Roma… L’hanno chiamato da un paese lontano… Avevo paura di accettare la nomina… Mi capite bene? Non so se riuscirò a esprimermi nella vostra lingua… nella nostra lingua. Se sbaglio mi corrigerete!” Delizioso il finale che la gente interpreta come errore senza capire che è un latinismo, comprensibile in un sacerdote che conosce grammatica e sintassi dell’antico idioma assai meglio della moderna parlata. Pochi giorni più tardi, durante la messa solenne di intronizzazione, il Papa polacco rivela in pieno la formula che da carattere alla sua missione. Rivolgendosi ai fedeli di tutto il mondo, più che un invito, pronuncia un proclama: “Non abbiate paura di accogliere il Cristo. Spalancate le porte al Cristo! Non abbiate paura!” Da allora in poi ogni suo messaggio appare permeato di forza missionaria. Un profondo conoscitore dei mezzi di comunicazione Non avere paura. Dando l’esempio in prima persona, Wojtyla dimostra di non avere paura dei giornalisti, anzi di comprenderne lo spirito e di sostenerne il lavoro. Il contatto iniziale con la stampa è perfetto. Uomo che conosce la realtà dell’Est comunista, parla in italiano della libertà di scrivere: “Consideratevi fortunati di poterne disporre”. Poi, con un colpo da profondo conoscitore dei mezzi d’informazione, conclude con una battuta in inglese ben sapendo che sarà l’unica a fare il giro del mondo in televisione. Quindi si distacca dal microfono e passeggia tra i corrispondenti accreditati rispondendo per un’ora ad ogni domanda, seducendo tutti per la capacità di passare dal polacco al tedesco, dal francese allo spagnolo, dall’inglese all’italiano. È il modello che si ripete in ogni viaggio all’estero, sull’aereo. Ne ho diverse personali esperienze. La prima a conclusione di un lungo giro in America centrale nel marzo 1983 tra ORDINE 9/10 2004 Costa Rica, Nicaragua, Panama, El Salvador, Guatemala, Honduras, Belize e Haiti. Nella tratta di ritorno mi avvicinai con il microfono aperto per chiedergli un’impressione sull’incontro con tante popolazioni afflitte da miseria e dittature. Prima di rispondere levò su di me uno sguardo di simpatia chiedendomi per chi lavorassi. “Rai, per la precisione Giornaleradiotre”. “Ah, peccato, non riesco a sentirla tra tante cose…” Riuscii appena a formulare la domanda che mi ero preparato. In seguito – in altri viaggi in Africa, Europa settentrionale, Asia – il contatto poteva ripetersi ma con maggiore disinvoltura. “Anche l’Eurovisione ha le sue esigenze” Questo Papa si rende conto che anche la stampa ha le sue esigenze. In Francia l’ho visto bloccarsi e dire: “Anche l’Eurovisione ha le sue esigenze”. Un’altra volta, in San Pietro ha riconosciuto: “Dovevo parlare per venticinque minuti ed ho superato il limite”. Ancora, nel 1989 ricevendo in Vaticano il sindacalista polacco Lech Walesa lo invitava a ripetere la scena del suo inginocchiarsi e dell’abbraccio perché i fotografi non erano ancora presenti. Da giovane egli ha fatto il giornalista, sia pure da dilettante, e quindi conosce le strutture redazionali, le pressioni dei tempi, l’importanza dell’impaginazione, le esigenze della televisione. E non perde occasione affinché la Chiesa, attraverso la sua stessa immagine, sia sempre visibile. Una volta a Malta (maggio 2001) egli si trovò a passare davanti alla tribuna della stampa per un errore del protocollo: accortosene, sorridendo, con la mano rivolse un cenno da vecchio amico. Osserva il biografo Bernard Lecomte: “I due esempi più sensazionali dell’utilizzazione dei media sono forse la visita al carcere di Rebibbia, dove Giovanni Paolo II si intrattiene a lungo con l’uomo che ha tentato di ucciderlo nel dicembre 1983, e quella al muro del Pianto, in occasione del pellegrinaggio in Terra Santa nel marzo del 2000. Quale immagine poteva esprimere meglio la forza della riconciliazione di quella del papa con l’uomo che aveva cercato di ucciderlo? E quale condanna più definitiva di tutte le forme di antisemitismo di quella in cui Giovanni Paolo II infila, con mano tremante, la preghiera in una crepa del muro sacro?” Il Papa polacco tiene in gran conto la mondializzazione informatica. Il vangelo va proclamato attraverso ogni strumento moderno (non soltanto dai pulpiti, ormai tanto poco usati) perché occorre andare verso la gente senza attendere che essa entri in chiesa. In un discorso del 16 febbraio 1996, il pontefice rilevava: “Al principio del secondo millennio la Chiesa ha contribuito in modo decisivo alla diffusione del Vangelo e all’edificazione dei popoli grazie ai monasteri, che davano risonanza ai tesori della civiltà. In occasione del terzo millennio, mentre è in corso una vera e propria rivoluzione tecnologica e telematica, la comunità cristiana viene invitata a prendere coscienza delle nuove sfide e ad accettarle con coraggio”. In volo verso l’America latina, nel febbraio 1985, ad un giornalista che gli chiedeva se lo disturbassero le telecamere puntate sulla sua persona, rispondeva: “È scritto nel Vangelo che la buona novella dev’essere predicata sui tetti. Che cosa vedremo noi dappertutto nelle città e nei villaggi che andremo a visitare se non le antenne della televisione sui Giovanni Paolo II, Baldini Castoldi Dalai editore, Milano 2004, pp. 768, euro 24,60 tetti?” I media sono fatti per l’uomo, è la sua filosofia. E per ottenere raggiungere lo scopo il Vaticano possiede un collaudato sistema informativo per via telematica diffuso in tutto il mondo su Internet (www.vatican.va, scritto in inglese, spagnolo, francese) al quale si affianca il lavoro del Centro televisivo che dirama notizie e servizi attraverso un satellite. Tre computer con il nome degli arcangeli Raffaele, Michele e Gabriele assicurano la presenza in rete stimolando migliaia di iniziative in ogni angolo del mondo cattolico. In un messaggio del 23 gennaio 2002, il papa scriveva: “La Chiesa si accosta a questo nuovo mezzo di comunicazione con realismo e con fiducia” non senza rimarcare e deplorare i modi “degradanti e nocivi” con cui spesso viene utilizzato per finalità speculative. Come è cambiato il mondo sotto il suo pontificato In duemila anni di cristianesimo, soltanto tre papi hanno superato la soglia del quarto di secoli: Pietro capo della Chiesa per presunti trentaquattro anni, Pio IX per 32 dal 1846 al 1878, Leone XIII per 25 dal 1878 al 1903. Giovanni Paolo II sta per superare il traguardo dei 26 anni: nel corso del suo pontificato si sono succeduti cinque presidenti degli Stati Uniti e sei capi dell’Urss-Russia mentre lo scenario del mondo ha visto accadere eventi clamorosi come il crollo del comunismo (pochi e antistorici i residui, Italia insegna), le trasformazioni dell’Europa (allargamento politico, unità monetaria, dismissione dei valori morali), l’invasione islamica dell’Occidente, il dilagare del terrorismo, la globalizzazione economica. Il Papa polacco è stato testimone di questo e di tanti altri segni dei tempi ma anche propugnatore di una ripresa etica e religiosa per l’intera umanità. Quattordici encicliche, centinaia di esortazioni e lettere, oltre quattromila discorsi e omelie, su temi impegnativi di ogni genere: dalla liturgia all’istituzione ecclesiastica, dalla proclamazione di beati e santi alla difesa della famiglia su ogni piano, dalla tutela dei diritti umani alla denuncia della violenza e alla richiesta di perdono. Interventi e tematiche che hanno scatenato grida di scandalo o di approvazione secondo i punti di vista, che hanno indotto taluni a definirlo conservatore e reazionario mentre per altri appare progressista e profeta, che l’hanno talora esaltato e talvolta depresso. Quando veniva eletto papa, Karol Wojtyla aveva 58 anni che attualmente sono divenuti 84. È sempre difficile dare giudizi ma, raccogliendo la passione che anima ogni parola del pontefice e rifacendomi all’opinione del settimanale Time di Nuova York che nel 1994 lo proclamava “uomo dell’anno”, occorre ammettere che “le sue idee sono molto diverse da quelle della maggior parte dei mortali, sono più grandi”. Giovanni Paolo II ha portato per mano la Chiesa nel terzo millennio, puntando sui giovani e puntando sulla schiettezza del linguaggio fino al limite della contraddizione. Perciò (lo sostiene convinto Lecomte) siamo di fronte ad un personaggio “eccezionale soprattutto per quello che ha detto o fatto”. È un uomo che possiede il fascino dell’origine lontana e della gioventù vissuta come uno qualsiasi tra i suoi simili, un uomo che si trova a perfetto agio nel fare di conto alla storia, un uomo che esprime idee grandiose ed originali – ne deduceva il compianto Domenico Del Rio – non può non essere un Grande. 27 (35)