Prima appartenere,
poi individuarsi:
l’importanza delle relazioni
Sé nucleare
Altri
(poi: Realtà)
Rappresentazione di sé
Concetto di Sé
Sé riflesso = Sé
• William James: SÉ = IO + ME
• Luigi Pareyson: uomo come coincidenza
di autorelazione ed eterorelazione
Lo sviluppo psichico è profondamente
caratterizzato da una dimensione
relazionale
Affinché il Vero Sé del bambino giunga
a sentire “io sono” ha bisogno che la
«madre»* lo pensi.
Nota su «madre», «caregiver», «funzione» materna e «funzione»
paterna
Quando si parla di «madre» non ci si riferisce necessariamente alla madre
reale, ma al caregiver (la persona che si prende cura del bambino) o,
meglio, alla «funzione» materna. Si può anche parlare di «ambiente» o
«cure ambientali», ma poi occorre capire «chi» è presente in quell’ambiente
e in quale modo «personale» o meno ha trattato il bambino.
Quando si parla di Madre come funzione si fa riferimento maggiormente alla
dimensione dell’appartenenza, all’essere prima del fare; quando si fa
riferimento al Padre si allude maggiormente al processo di individuazione, al
contatto col mondo e con gli «oggetti», alla funzione «separante» che il
padre agisce sulla diade fusionale e potenzialmente claustrofobica madrefiglio (cfr. Complesso di Edipo).
Pare, tuttavia, che oggi sia politically correct non riferirsi più all’accudimento
«materno» del bambino come un compito che ricade in prevalenza sulla
madre, con le eventuali «colpe» che ne possono seguono (cfr. G. Pietropolli
Charmet, Non è colpa delle mamme).
Questo ha naturalmente a che fare con i cambiamenti sociologici e col fatto
che anche i padri stanno scoprendo le loro funzioni materne (si veda ad
esempio: I nuovi padri: per una pedagogia della tenerezza). Tuttavia c’è un
limite al distanziamento fra funzione materna e madre reale, soprattutto
quando questo dislocamento di funzione avviene al di fuori dell’ambito
familiare, investendo «educatori». Greenspan rileva che a partire dagli anni
Settanta fino agli anni Novanta del secolo scorso si è assistito a una
trasformazione dell’atteggiamento delle famiglie nei confronti
dell’accudimento dei propri figli. In quegli anni è aumentato enormemente il
numero di famiglie che hanno affidato ad altri i loro bambini in età prescolare
per trentacinque o più ore a settimana. In altre parole, tantissimi bambini da
zero a tre anni passano la parte migliore delle loro giornate affidate e
persone che non sono i genitori. Si sta scivolando verso modelli sempre più
«impersonali» di accudimento. Greenspan racconta di come i bambini di un
asilo, quando è entrata una mamma, le siano tutti andati attorno.
• Il Sè diventa “reale” solo se rispecchiato
dall’ “altro” nell’ambito di una buona
relazione empatica
• Per Fairbairn (1940) è fondamentale che il
bambino avverta di essere amato in quanto
persona.
– Anche Greenspan esprime lo stesso concetto
(Greenspan-Brazelton, 2000)
→ In assenza di un tale amore personalizzante
si assiste a una depersonalizzazione e a una
tendenza a rapportarsi agli altri e a se stessi in
termini di cose
 gli individui vanno trattati da persone
umane dotate di intenzionalità e
caratteristiche proprie sin dalla nascita
 centrale è la capacità di instaurare un
rapporto su base personale
• Noi abbiamo bisogno dell’altro per
pensare a noi stessi, per accedere alla
nostra intimità
Qualche esempio
• Perché è così difficile dipingere un autoritratto?
(Bachtin)
• Perché è così arduo vedersi nello specchio come
ci potrebbe vedere un qualunque estraneo?
(Pirandello)
• Perché le persone sono interessate a scrutare
come sono “venute” in una foto?
• Perché, quand’uno pensa d'uccidersi, s'immagina
morto, non più per sé, ma per gli altri? (Pirandello)
Un paradosso
• Il bambino diventa capace di sentirsi solo
in presenza di un’altra persona (Winnicott)
• Bachtin: extralocalità → vediamo noi
stessi nella nostra interezza quando il
volto di un altro ci guarda
In effetti quando l’uomo inizia a viversi dall’interno, subito
egli incontra atti altrui diretti verso di lui: […] dalla bocca
della madre e dei suoi cari […] nel tono emotivo-volitivo del
loro amore, il bambino sente e comincia a riconoscere il suo
nome e la denominazione di tutto ciò che si riferisce al suo
corpo,[…] le prime parole che dall’esterno definiscono la
sua personalità e che vengono incontro alla sua oscura
autosensazione interiore, conferendole forma e
denominazione, le parole in cui per la prima volta prende
coscienza di sé e trova se stesso come un qualcosa, sono
le parole della persona che l’ama.
Bachtin (1920-1925?, tr. it. 1979, pp. 45-46)
• L’identità si inizia a formare quando si
riesce “a dare un senso alle proprie
emozioni come conseguenza del fatto che
il pensiero di un altro ha trovato in esse un
senso” (Bion, 1962, cit. in Waddell, 1998,
tr. it. 2000, p. 32).
• Gli psicoanalisti hanno molto insistito sulla
capacità del caregiver di contattare il nucleo
originario del Sé, utilizzando termini come:
– empatia,
– rispecchiamento,
– contenimento, contenitore/contenuto
– sintonizzazione,
– rêverie (fantasticheria, Bion)
• Bion pensa che la capacità di pensare i propri
pensieri avvenga come funzione della rêverie
materna (rêverie è un termine francese che
allude al “fantasticare” della madre assieme al
bambino).
• Questo fa sì che i sentimenti e i pensieri
potenziali (che Bion chiama elementi beta)
entrino nello “spazio mentale” del bambino
come affetti e pensieri effettivamente
sperimentabili (elementi alfa). Altrimenti
rimangono come elementi estranei (oggetti
“bizzarri”)
• Nei termini dei teorici dell’Infant Research,
fondamentale è la “sintonizzazione” fra
caregiver e bambino.
• Questa sintonizzazione ha due poli:
– l’autoregolazione (che corrisponde grosso modo
al vissuto del Vero Sé di Winnicott, anche se il
concetto di autoregolazione allude a una
maggiore capacità di iniziativa) e quello di
– regolazione interattiva (che corrisponde alla
relazione in Winnicott)
 madre e bambino agiscono
contemporaneamente sul versante
dell’autoregolazione e su quello della
regolazione interattiva.
• Quando la regolazione interattiva fallisce (ad
esempio la madre non riesce a sintonizzarsi coi
bisogni del bambino), il bambino tenta di
“autoconsolarsi” aumentando l’autoregolazione.
– Ad esempio Tronick ha utilizzato l’esperimento del “viso
immobile”, notando che all’inizio il bambino tenta di
indurre la madre a ripristinare il suo comportamento
normale. Non riuscendovi, sperimentano un’emozione
negativa e mettono in atto comportamenti autoregolatori.
Questi eventi producono effetti duraturi nel bambino; si
può cioè affermare che essi vengono rappresentati
internamente. Infatti, al termine dell’esperimento il
bambino persiste nel suo umore negativo e riduce il suo
contatto visivo con la madre.
•
Fondamentale è la “musicalità”
dell’interazione, la «danza relazionale» fra
madre e bambino, dove ognuno agisce la
propria spontaneità soggettiva pur riuscendo
a mantenersi una sintonia.
–
Solo 1/3 delle interazioni fra madre e bambino va
a buon fine
…il primo tempo
in cui, neonato, attraverso rapporti tattili
conversavo muto con il cuore di mia madre,
ho tentato di rivelare i modi in cui
la sensibilità infantile, grande diritto
per la nascita del nostro essere, fu in me
sostenuta e accresciuta
W. Wordsworth (cit. in Waddell, pp. 26, 31)
• Le relazioni disturbate possono essere
definite proprio come quelle caratterizzate
da una mancanza di questa sintonia:
1. perché il bambino privilegia l’autoregolazione
a scapito dell’interazione,
2. oppure perché la madre è poco sintonica,
depressa, intrusiva ecc.
• Fairbairn aveva affermato (anni ‘40) che se il
bambino non si sente sufficiente amato, avrà
paura a crescere e ad aprirsi al mondo esterno
perché sarà gravato da troppa ansia di
separazione, nutrirà il terrore di rimanere solo
senza nulla con cui essere in relazione.
• Per colmare la sua ansia di separazione, il
bambino tenderà a soddisfare i propri bisogni
emotivi non rivolgendosi al mondo esterno,
percepito come pauroso e insoddisfacente, ma
investendo affettivamente aspetti del
proprio mondo interiore.
 Questo investimento compensatorio di aspetti del
mondo interiore (Jung la definisce come
introversione) lega il bambino ad aspetti arcaici del
suo sviluppo, che verranno parossisticamente
ingigantiti perché mantenuti fuori luogo e fuori
tempo, al di fuori di ogni relazione e di ogni
contenimento emotivo.
• Vissuti come il sentirsi profondamente cattivi e in
colpa, alcune forme di sessualità precoce,
narcisismo, anafettività ecc. dipendono
dall’utilizzazione compensatoria di elementi del
proprio mondo interno per colmare il vuoto
relazionale
Sintetizzando:
– Possiamo, quindi, immaginare lo sviluppo emotivo
come un evolvere da un’emotività poco strutturata
ad un’emotività via via più adulta.
– A consentire tale passaggio è l’ “Ambiente”
(caregiver, famiglia).
– La sua funzione sarà proprio quella di rendere
pensabili e strutturate le esperienze emotive, in
modo che il soggetto, pur continuando a sentirsi se
stesso nella modalità spontanea originaria del “vero
sé”, possa prendere contatto con la propria
esperienza emotiva e farla crescere.
• L’aspetto fondamentale, per Winnicott, è
che la madre si riesca a mettere in
contatto col Vero Sé del bambino in modo
che gradualmente il bambino possa
arrivare a percepire IO SONO.
• Qualora il Vero Sé non avverta di essere
“compreso”, esso si nasconderà per non
sentirsi abbandonato e ferito.
• Il non essere riconosciuto del Vero Sé
nell’ambito di una relazione autentica genera
una sensazione di non poter essere toccati, di
non poter contattare il mondo; di qui una
sensazione di non esistere connessa ad un
vissuto di morte.
• Quando ciò accade a livelli molto profondi e
radicali, il Vero Sé teme che il contatto con la
realtà possa essere letale per il sentirsi se
stesso e pertanto si nasconde per non essere
ulteriormente ferito, lasciando agire nella
realtà una sorta di maschera, che Winnicott
chiama Falso Sé.
• Quando gli altri non hanno contattato il
nucleo profondo del Sé, diventano dei
“persecutori”.
“Io non posso più vedermi guardato dagli occhi
degli altri” (Pirandello, Uno, nessuno e
centomila)
• Viceversa, la relazione “buona” permette al
bambino di “pensarsi” e di incrementare la
struttura del proprio Sé.
 Quando si avverte che l’altro mi fornisce
una relazione buona, posso “introiettare”
(per usare un termine tipicamente kleiniani)
quegli aspetti buoni, farli miei, e così
arricchire e far crescere la mia personalità.
In questa reciprocità di sensazioni vi è un senso di bellezza e di
sincerità. Il bambino vive una sensazione di integrazione delle
diverse parti di sé che ha origine nel suo ambiente più prossimo,
nel cuore e nella mente della madre, ma può arrivare, a mano a
mano, ad avvertirla come parte del suo Sé interno, della sua
stessa spina dorsale, il centro del suo essere. Si tratta
dell’esperienza di essere contenuto in una “pelle psichica”
emotiva primaria, equivalente alla pelle fisica che tiene insieme
le parti del corpo. Se le circostanze sono favorevoli, ovvero se il
bambino è sufficientemente contenuto – a livello psichico e fisico
- da una presenza in grado di farlo, lui stesso acquisisce, a
mano a mano, un’esperienza di integrazione che è un
presupposto necessario per continuare a crescere
Waddell (1998, tr. it. 2000, pp. 32-33)
• Il bambino sente di poter crescere “da
dentro”, di svilupparsi a partire dalla sua
intimità
“Dio mi guardi dai pensieri che gli uomini
pensano nella mente sola. Colui che canta la
canzone duratura pensa nel midollo osseo”
(Yeats, cit. in Waddell)
• Viene acquisita così un’esperienza di
integrazione che è un presupposto
necessario per continuare a crescere
• Le esperienze che va compiendo saranno
centrate sul Sé, sull’ “io sono” e andranno
ad arricchire la sua personalità
• La madre riceve e “contiene” i vissuti
“ingombranti” – non necessariamente in
senso negativo, ma anche in senso
positivo – del bambino.
• Questo “contenere” comporta un dar
forma, un ricevere/capire/restituire in
modo strutturato, un dare spazio e confini
a ciò che non ha confini e struttura.
L’uomo si fa Io nel Tu
Martin Buber
Martin Buber (1878 – 1965) è stato
un filosofo, teologo e pedagogista
austriaco naturalizzato israeliano
che ha approfondito la grande
importanza del dialogo e della
relazione concepita come
costitutiva dell’Io
• Buber ci sono due modalità,
completamente diverse, di rapportarsi
all’altro: come un Tu o come un Esso
• Quando mi pongo davanti all’altro da me
come un Esso, lo tratto come un oggetto
(per quanto io possa rendere nobile e puro
questo oggetto).
• Quando mi pongo davanti all’altro come un
Tu sto nella relazione.
“Chi dice ‘Tu’ non ha mai qualcosa per oggetto”
• Posso considerare, dice Buber, un albero
come un oggetto da classificare, come
qualcosa che suscita i miei sentimenti, i
miei stati d’animo; “ma può anche
accadere […] che nel considerare l’albero
io entri in relazione con lui; ed ecco che
non è più un Esso. Sono stato colto dalla
forza dell’esclusività” (p. 13)
L’albero non è un’impronta, un gioco della mia
fantasia; non è legato al mio stato d’animo; al
contrario esso vive di fronte a me e sta in rapporto
con me, come io con lui, solamente secondo modi
diversi. […]
Così, avrebbe dunque l’albero una coscienza, simile
alla nostra? Non me ne sono mai accorto, ma volete
voi di nuovo, poiché vi pare che siete riusciti a farlo
in rapporto a voi stessi, distruggere l’indistruttibile?
A me non viene incontro nessuna anima o alcuna
driade dell’albero, ma l’albero stesso. (p. 13)
• Se di un uomo considero il colore dei suoi
capelli, il suo buon carattere ecc. non vedo
il suo Tu.
• Non v’è modo di arrivare al Tu con
ricerche o strategie. La relazione col Tu è
immediata e mi viene incontro. Ogni
mezzo è un impedimento. Soltanto
quando ogni strumento è eliminato
avviene l’incontro.
• Anche Dio può essere sperimentato come
un Tu o come un Esso.
Certamente più d’uno, che vivendo nel mondo delle
cose si accontenta di sperimentarle e di utilizzarle, si
è costruito una sovrastruttura ideale, nella quale trova
rifugio e conforto davanti all’agghiacciante sensazione
di nullità che gli procura questo suo modo di vivere.
Egli lascia cadere sulla soglia la veste quotidiana, si
avvolge nel candido lino e si allieta alla vista dell’ente
primo e necessario; ma la sua vita non ha alcuna
parte in esso, anche se in questo annunzio può
trovare la propria soddisfazione. (p. 18)
 Da compatire è colui che non riesce a
sperimentare la relazione Io-Tu, “ma è
miserabile colui che la sostituisce con un
concetto o con una formula, come se
fossero il suo nome”.
Anche la più nobile delle finzioni è un feticcio,
anche il più sublime dei sentimenti, se fittizio, è
vizioso.
• Non si può fingere in amore! Tuttavia…per
Buber non vi è mai un puro vivere nella
relazione, né un puro vivere nella
dimensione strumentale dell’Esso. La vera
storia si svolge nella zona intermedia fra
Tu e Esso.
Questa è la sublime tristezza della nostra sorte,
che nel nostro mondo ogni Tu deve mutarsi in
Esso. Così il Tu è presente esclusivamente nella
relazione immediata; come la relazione viene
elaborata e intorbidata con uno strumento, il Tu
diviene un oggetto tra gli oggetti; forse il più
insigne, ma pur sempre uno di essi, dalle
dimensioni e dai limiti fissati […] Ogni Tu che
esista al mondo è destinato per natura a divenire
cosa. (pp. 20-21)
• Quando gli incontri avvengono nella dimensione
del Tu, si incontrano sempre e soltanto “essenze”;
non v’è misura di confronto, solo accadimento nel
tempo presente. Solo per la dimensione dell’Esso,
infatti, vi è il tempo passato.
Gli incontri non si ordinano in funzione del mondo, ma
ognuno è per te un segno dell’ordine del mondo. Essi non
solo legati l’uno all’altro […] Il mondo che così ti appare è
poco sicuro, poiché ti appare sempre nuovo e tu non puoi
coglierlo con la parola; è privo di densità, poiché in esso
tutte le cose si compenetrano a vicenda, non ha durata,
perché tutto viene anche non chiamato e svanisce anche
se tenuto stretto. (p. 33)
• Rispetto al mondo dell’Esso, che è articolato nel tempo
e nello spazio, …
…i momenti del Tu appaiono in questa cronaca di fatti solidi e
vantaggiosi come episodi strani, dal carattere lirico e
drammatico, di una magia che seduce, ma pericolosamente
sviante […] sembra lascino dietro di sé più questioni insolute
che gioia, che scuotano la sicurezza; insomma sono momenti
poco sicuri, di cui faremmo a meno. Se, passati questi
momenti, dobbiamo pur sempre tornare nel ‘mondo’ perché
non rimanere in esso? Perché non richiamare all’ordine ciò
che ci sta di fronte, e inserirlo nel mondo degli oggetti? Perché
se proprio non si può fare a meno di rivolgersi con il Tu al
proprio padre, alla moglie, agli amici, perché non dire Tu e
intendere Esso? […] Non si può vivere nel puro presente. […]
Con tutto l’impegno della verità, ecco: senza l’Esso l’uomo
non può vivere; ma non è uomo chi se ne accontenta. (34-5)
• C’è pertanto il rischio dell’irrigidimento del
Tu nell’Esso, che il Tu diventi cosa fra le
cose.  Occorre mantenere la
consapevolezza che l’altro da sé non è
“cosa fra le cose, un processo tra i
processi, ma esclusivamente una
presenza” (p. 39)
• La risposta al Tu è sempre avvolta nel mistero
e non accetta sicurezze preconfezionate.
• Per essere colto nella sua interezza il Tu esige
silenzio.
Solo il silenzio verso il Tu, il silenzio di tutti i linguaggi,
l’attesa silente e ansiosa della parola eccelsa, indivisa,
che precede ogni forma, lascia libero il Tu e sta con esso
nella situazione in cui lo spirito non si manifesta, ma è.
Ogni risposta lega il Tu al mondo dell’Esso, e questa è la
tristezza della situazione umana, e la sua grandezza a un
tempo. Poiché così nascono la sua conoscenza, la sua
opera, le sue immagini e i suoi ideali tra i viventi. (p. 38)
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