Winnicott e il concetto di Vero Sé
• Utilizzando il concetto di Vero Sé a Winnicott
non interessa rifarsi ad una metafisica, ad
una concezione dell’anima; restando
nell’ambito di una psicologia scientifica, egli
intende evidenziare come ci sia bisogno di
rifarsi ad un’idea dell’individuo come centro
agente e dotato di una propria spontaneità
originaria.
• Il Vero Sé contiene il senso del Sé, la
certezza di esistere e di essere reali, di
poter essere se stessi, creativi e
spontanei; ad esso appartiene la
percezione di una continuità della propria
esistenza.
al centro di ciascuna persona, c’è un elemento
segregato, e questo è sacro ed estremamente
degno di essere preservato (Winnicott).
• Per Winnicott rappresenta quindi la creatività
originaria del soggetto.
 La creatività corrisponde al naturale senso di
espansione di sé che si sperimenta in quanto si
è vivi. Quando siamo creativi ogni cosa che
facciamo aumenta il senso di essere noi stessi
(Winnicott 1970). Senza questo piano, per W.,
non c’è nulla.
Felice è colui che è sempre creativo nella sua vita
personale come pure nei rapporti con i partner, con i
figli, con gli amici ecc. (1970, tr. it. 1986, p. 41)
• Essere creativi significa essere “soggetti” a pieno
titolo. Essere soggetti significa esistere anche
indipendentemente dallo stimolo esterno. Se il
nostro sentirci vivi dipendesse esclusivamente da
stimoli esterni, cessato lo stimolo cesserebbe
anche la sensazione di sentirsi vivi.
 L’essere creativi di cui parla Winnicott allude
proprio al sentirsi vivi anche quando non c’è lo
stimolo che proviene dal mondo esterno.
“Fuori dalla mia finestra c’è una pianta, e il sole, e
razionalmente so che deve essere uno spettacolo
piacevole, per chi lo può vedere. Ma questa
mattina per me tutto ciò non ha senso. Non riesco
ad esserne partecipe e ciò mi rende
profondamente conscio del fatto di non sentirmi
reale” (Winnicott 1970).
Il mondo... questo grosso essere assurdo. [...] Scoprire che il mondo non
ha senso, che è assurdo, provoca la nausea. [...] L'essenziale è la
contingenza [= la non necessità delle cose]. Voglio dire che, per
definizione, l'esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì,
semplicemente: gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si
può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto
ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere
necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che
può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza,
un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la
perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso.
E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si
mette a fluttuare... ecco la Nausea [...] La Nausea non è in me: io la sento
laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt'uno col
caffè, son io che sono in essa [...] Ed ora lo so: io esisto - il mondo esiste ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi é indifferente. E' strano
che tutto mi sia ugualmente indifferente: é una cosa che mi mette paura.
E' cominciato da quel famoso giorno in cui volevo giocare a far rimbalzare
i ciottoli sul mare. Stavo per lanciare quel sassolino, l'ho guardato, ed è
allora che è cominciato: ho sentito che esisteva. E dopo, ci sono state
altre Nausee; di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi
dentro la mano. (Sartre, La Nausea)
• La creatività riguarda l’ “essere” se
stessi, e viene prima del “fare”.
La creatività:
fra onnipotenza e principio di realtà
• La vita creativa che corrisponde alla
possibilità di non essere continuamente uccisi o annientati
dalla compiacenza verso o dalla reazione a un mondo che
fa violenza all’individuo; si tratta di riuscire a vedere ogni
cosa in modo sempre nuovo.
• L’esperienza dell’onnipotenza è qualcosa di più
di un controllo magico, ma include l’aspetto
creativo dell’esperienza (Winnicott 1963)
Le fotografie dei grandi cacciatori che, come H.
Hemingway, si fanno immortalare di fianco a un
leone massacrato, ci danno un’idea degli sforzi
estremi che un essere umano può compiere nel
tentativo di trionfare sull’oggetto percepito
oggettivamente (Winnicott)
• Essere creativi significa, afferma
Winnicott, “mantenere qualcosa che
appartiene all’esperienza infantile: la
capacità di creare il mondo”.
 in ogni atto creativo c’è sempre una
porzione di “onnipotenza”
• Ma l’essere creativi implica incontrare il
mondo, la realtà esterna.
• Inizialmente è la madre che si adatta ai bisogni
del bambino per consentire che egli compia
esperienze che sono coerenti con i suoi stati
mentali.
• La madre, con la sua capacità empatica è
capace di dare qualcosa di buono al bambino
che, al suo livello, può solo fantasticare e
“allucinare” degli oggetti: il bambino è solo con
le sue illusioni, la madre conosce la realtà e
può far sì che la fantasia del piccolo si
connetta con la realtà. Ella, infatti, basandosi
sulla sua intuizione, può fornire al bambino
quegli oggetti che egli sta allucinando.
• Winnicott parla a tale proposito di
“presentazione d’oggetto”.
– Dobbiamo supporre che il bambino abbia dei
guizzi creativi in base ai quali cerca il contatto con
la realtà; non essendo “organizzato” non riesce a
contattare il mondo. Allora la madre, intuendo le
volontà nascenti del piccolo, gli fornisce quegli
oggetti che il bambino sta “allucinando”. Il
bambino, cioè, è solo con le sue fantasie, la
madre conosce la realtà e può far sì che la
fantasia del piccolo si connetta con la realtà. Ella,
infatti, basandosi sulla sua intuizione, può fornire
al bambino quegli oggetti che egli sta allucinando.
• L’esperienza del piccolo risulterà arricchita di
elementi reali ed egli stesso inizierà a sentirsi
reale. Il suo essere e sentirsi reale, che sta
alla base della salute psichica, dipende
dunque dal fatto che le connaturali tendenze
alla crescita e all’espansione del suo Sé
hanno trovato un ambiente favorevole e degli
oggetti che corrispondevano alle sue
fantasie.
• Più in generale, la madre, insomma,
supporta l’Io del bambino: calandosi al suo
livello, gli consente di credere che le
esperienze che compie possano trovare
un corrispettivo nella realtà esterna,
protegge l’Io del bambino e supporta
l’evoluzione della sua identità
(”preoccupazione materna primaria”).
 L’ “essere” viene garantito al bambino
dalla madre.
La madre normalmente devota e la
progressiva disillusione dell’onnipotenza
• Quando la capacità allucinatoria si è consolidata spetta
allora alla madre una progressiva disillusione (madre
“normalmente devota”)
• Si procede ad una fase di separazione-individuazione
e, “se tutto va bene”, ad una diminuita funzione di
sostegno all’Io da parte della madre corrisponde
solitamente un aumento delle funzioni dell’Io del
bambino.
• Di lì in poi il bambino sarà capace di attacchi
aggressivi verso la madre.
• A partire da questa fase è possibile apprendere
dall’esperienza, ovvero da qualcosa che è fuori dal
controllo onnipotente del bambino.
L’oggetto transizionale
• L’oggetto transizionale consente di mantenere
interrelate due aree altrimenti separate, quella della
realtà interna e quella della realtà esterna.
• L’oggetto transizionale compare tra i quattro e i dodici
mesi.
• Il bambino ha bisogno di investire un oggetto del potere
transizionale, tali che rappresentino un ponte tra la
realtà interna e quella esterna. Si colloca tra la
“creatività primaria e la percezione obiettiva basata
sull’esame di realtà”.
• Anche se non tutti i bambini vi fanno ricorso, la
presenza dell’oggetto transizionale è un indice sicuro di
una potenziale capacità di elaborare l’onnipotenza e la
separazione.
• L’oggetto transizionale viene quindi
progressivamente dimenticato.
• Può rimanere nell’adulto nella consapevolezza
di mantenere un “luogo di riposo”, ove lasciar
fluttuare la mente e giocare con le proprie idee.
Oppure come spazio del gioco, della creatività,
del sentimento religioso, ma anche della perdita
del sentimento affettuoso, dell’assuefazione alla
droga, dei rituali ossessivi.
• W. distingue a tal proposito l’oggetto
transizionale dall’oggetto feticcio o oggetto
tossico. Quest’ultimo mantiene il soggetto in uno
stato di continua dipendenza, distoglie da sé e
dalla realtà esterna.
Lo sviluppo psichico può essere
immaginato dipanarsi lungo le
seguenti direttrici:
a. Dipendenza  autonomia
(a “spingere” verso l’autonomia è l’innata
tendenza a evolvere)
b. Inorganizzazione  organizzazione
c. Non integrazione  integrazione
• Tali percorsi evolutivi sono interconnessi e
nessuna delle esperienze primordiali viene
dimenticata.
• Anzi, potremmo dire che anche nella vita
adulta cerchiamo di sperimentare,
compatibilmente con la raggiunta
autonomia e strutturazione della
personalità, tali esperienze primordiali di:
a. totale dipendenza
b. funzionamento non organizzato e
non integrato
• Freud e il “sentimento oceanico”
Ma nei momenti di tranquillità non c’è confine tra il
mondo interno e il mondo esterno, solo una
quantità di cose separate: il cielo visto attraverso
gli alberi, qualcosa che ricorda gli occhi della
madre che vagano fuori e dentro di lui… Manca
ogni necessità di integrazione.
Questa è una cosa estremamente importante da
ricordare: senza di essa ci manca qualcosa. È un
concetto che ha a che fare con l’essere calmi,
rilassati, riposati, sentendosi tutt’uno con le altre
persone e le cose, quando non c’è eccitazione in
giro (Winnicott 1948).
• L’intero processo di sviluppo può essere
inteso come un movimento ciclico, a
spirale, dove si evolve pur mantenendo
le esperienze emotive primordiali:
queste permangono nella loro
pregnanza primaria, pur diventando via
via più strutturate, integrate e articolate,
in relazione all’esperienza della realtà.
Il tempo presente e il tempo passato
son forse presenti entrambi nel tempo futuro,
e il tempo passato è contenuto nel tempo passato
(T.S. Eliot, East Coker)
• Lo sviluppo si compie sul crinale Sé/realtà,
nella tensione fra il polo soggettivo e il
polo oggettivo, in quella che Winnicott
aveva definito “area transizionale”
• Come evolvere restando se stessi? Come
apprendere dalla realtà senza esserne
espropriati?
Comunicare o non comunicare? (Winnicott 1963)
Nell’ambito della salute esiste un nucleo della personalità che
corrisponde al vero Sé. Ritengo che tale nucleo non comunichi mai
direttamente con il mondo degli oggetti percepiti e che l’individuo
sappia che questo nucleo non deve entrare in comunicazione con la
realtà esterna né venirne influenzato. Sebbene le persone sane
comunichino e amino comunicare, è anche vero che ogni individuo è
un essere isolato che non comunica in modo permanente, in
permanenza sconosciuto e mai realmente scoperto. […] Al centro di
ogni persona c’è un elemento incomunicabile, inviolabile, che è sacro
e va preservato. Le esperienze traumatiche, che portano
all’organizzazione delle difese primitive, rappresentano una minaccia
al nucleo isolato, la minaccia che venga scoperto, modificato e che ci
si metta con esso in contatto. La difesa consiste in un ulteriore
occultamento del Sé nascosto… Essere stuprati o essere mangiati
dai cannibali sono cose di poco conto rispetto alla violazione del
nucleo del Sé mediante la comunicazione che si insinua attraverso le
difese. …possiamo capire l’odio che la gente ha verso la psicoanalisi,
la quale è penetrata assai nella personalità umana e costituisce una
minaccia per il bisogno che l’individuo ha di restare segreto e isolato.
Il problema è: come isolarsi senza doversi circondare di barriere?
• Alla base dello sviluppo c’è, quindi, il
“centramento” nel Vero Sé.
• Pur avendo questo auto-riferimento
originario (Vero Sé), il bambino non ha
un’organizzazione mentale.
 Deve imparare a pensare i suoi stessi
pensieri e sentimenti, deve imparare a
conoscere se stesso e il mondo esterno. Pur
essendo se stesso sin dall’origine, non è in
grado di sentire e pensare IO SONO.
•
•
La salute mentale si basa su tale sensazione
di essere
a connotare la salute psichica è percezione
di “star vivendo la propria vita” più che
l’assenza di conflittualità
 infatti è difficile definire lo sviluppo
psichico come qualcosa che avviene in
modo “armonioso e coerente”: esso è anche
disarmonico, incoerente, ambivalente,
conflittuale…
La salute non è sinonimo di tranquillità. La vita di
un individuo sano è caratterizzata da paure,
sentimenti conflittuali, dubbi e frustrazioni, come
pure da elementi positivi. La cosa fondamentale è
che si senta di stare vivendo la propria vita,
assumendosi le responsabilità di quanto si fa, il
merito del successo e la colpa del fallimento. In tal
caso si può dire che l’individuo è passato dalla
dipendenza all’autonomia (Winnicott, Il concetto di
individuo sano, 1967, tr. it. 1990, pp.18-19).
Lo sviluppo psichico è profondamente
caratterizzato da una dimensione
relazionale
 Affinché il Vero Sé del bambino
giunga a sentire “io sono” ha bisogno
che la madre lo pensi.
• Il Sè diventa “reale” solo se rispecchiato
dall’ “altro” nell’ambito di una buona
relazione empatica
• Per Fairbairn è fondamentale che il
bambino avverta di essere amato in
quanto persona.
– Se ciò avviene, egli inizierà a sentirsi una
persona, altrimenti tenderà a pensare a se e
agli altri come a cose.
• Noi abbiamo bisogno dell’altro per
pensare a noi stessi, per accedere alla
nostra intimità
Qualche esempio
• Perché è così difficile dipingere un
autoritratto? (Bachtin)
• Perché è così arduo vedersi nello specchio
come ci potrebbe vedere un qualunque
estraneo? (Pirandello)
• Perché le persone sono interessate a
scrutare come sono “venute” in una foto?
• Perché, quand’uno pensa d'uccidersi,
s'immagina morto, non più per sé, ma per gli
altri? (Pirandello)
Un paradosso
• Il bambino diventa capace di sentirsi solo
in presenza di un’altra persona (Winnicott)
• Bachtin: extralocalità
• Vediamo noi stessi nella nostra interezza
quando il volto di un altro ci guarda
In effetti quando l’uomo inizia a viversi dall’interno,
subito egli incontra atti altrui diretti verso di lui: […]
dalla bocca della madre e dei suoi cari […] nel tono
emotivo-volitivo del loro amore, il bambino sente e
comincia a riconoscere il suo nome e la
denominazione di tutto ciò che si riferisce al suo
corpo,[…] le prime parole che dall’esterno
definiscono la sua personalità e che vengono
incontro alla sua oscura autosensazione interiore,
conferendole forma e denominazione, le parole in
cui per la prima volta prende coscienza di sé e trova
se stesso come un qualcosa, sono le parole della
persona che l’ama (Bachtin, 1920-1925?, tr. it. 1979,
pp. 45-46).
• L’identità si inizia a formare quando si
riesce “a dare un senso alle proprie
emozioni come conseguenza del fatto che
il pensiero di un altro ha trovato in esse un
senso” (Bion, 1962, cit. in Waddell, 1998,
tr. it. 2000, p. 32).
• Gli psicoanalisti hanno molto insistito sulla
capacità del caregiver di contattare il nucleo
originario del Sé, utilizzando termini come:
– empatia,
– rispecchiamento,
– contenimento, contenitore/contenuto
– sintonizzazione,
– rêverie (fantasticheria, Bion)
• Bion pensa che la capacità di pensare i propri
pensieri avvenga come funzione della rêverie
materna (rêverie è un termine francese che
allude al “fantasticare” della madre assieme al
bambino).
• Questo fa sì che i sentimenti e i pensieri
potenziali (che Bion chiama elementi beta)
entrino nello “spazio mentale” del bambino
come affetti e pensieri effettivamente
sperimentabili (elementi alfa). Altrimenti
rimangono come elementi estranei (oggetti
“bizzarri”)
• Nei termini dei teorici dell’Infant Research,
fondamentale è la “sintonizzazione” fra
caregiver e bambino.
• Questa sintonizzazione ha due poli:
– l’autoregolazione (che corrisponde grosso modo
al vissuto del Vero Sé di Winnicott, anche se il
concetto di autoregolazione allude a una
maggiore capacità di iniziativa) e quello di
– regolazione interattiva (che corrisponde alla
relazione in Winnicott)
 madre e bambino agiscono
contemporaneamente sul versante
dell’autoregolazione e su quello della
regolazione interattiva.
• Quando la regolazione interattiva fallisce (ad
esempio la madre non riesce a sintonizzarsi coi
bisogni del bambino), il bambino tenta di
“autoconsolarsi” aumentando l’autoregolazione.
– Ad esempio Tronick ha utilizzato l’esperimento del
“viso immobile”, notando che all’inizio il bambino
tenta di indurre la madre a ripristinare il suo
comportamento normale. Non riuscendovi,
sperimentano un’emozione negativa e mettono in
atto comportamenti autoregolatori. Questi eventi
producono effetti duraturi nel bambino; si può cioè
affermare che essi vengono rappresentati
internamente. Infatti, al termine dell’esperimento il
bambino persiste nel suo umore negativo e riduce il
suo contatto visivo con la madre.
• Fondamentale è la “musicalità”
dell’interazione, dove ognuno agisce la
propria spontaneità soggettiva eppure si
riesce a mantenere una sintonia.
…il primo tempo
in cui, neonato, attraverso rapporti tattili
conversavo muto con il cuore di mia madre,
ho tentato di rivelare i modi in cui
la sensibilità infantile, grande diritto
per la nascita del nostro essere, fu in me
sostenuta e accresciuta
(W. Wordsworth, cit. in Waddell, pp. 26, 31)
• Le relazioni disturbate possono essere
definite proprio come quelle caratterizzate
da una mancanza di questa sintonia:
1.o perché il bambino privilegia
l’autoregolazione a scapito dell’interazione,
2.o perché la madre è poco sintonica,
depressa, intrusiva ecc.
• Anche Fairbairn aveva affermato (anni ‘40) che
se il bambino non si sente sufficiente amato,
avrà paura a crescere e ad aprirsi al mondo
esterno perché sarà gravato da troppa ansia di
separazione, nutrirà il terrore di rimanere solo
senza nulla con cui essere in relazione.
• Infatti, il timore più profondo di ciascuno è la
perdita di ogni relazione, “di essere lasciati
soli al buio” (Roheim), senza avere la
possibilità di condividere qualcosa e quindi,
in definitiva, senza la possibilità di essere
• Pur di salvarsi dall’isolamento si accetta una
relazioni negative: “meglio una relazione
cattiva che nessuna relazione” (Fairbairn)
• Per colmare la sua ansia di separazione, il
bambino tenderà a soddisfare i propri bisogni
emotivi non rivolgendosi al mondo esterno,
percepito come pauroso e insoddisfacente, ma
investendo affettivamente aspetti del proprio
mondo interiore.
 Questo investimento compensatorio di aspetti
del mondo interiore (introversione) lega il bambino
ad aspetti arcaici del suo sviluppo, che verranno
parossisticamente ingigantiti perché mantenuti fuori
luogo e fuori tempo, al di fuori di ogni relazione e di
ogni contenimento emotivo.
• Vissuti come il sentirsi profondamente cattivi e in
colpa, alcune forme di sessualità precoce,
narcisismo, anafettività ecc. dipendono
dall’utilizzazione compensatoria di elementi del
proprio mondo interno per colmare il vuoto
relazionale
– Possiamo, quindi, molto sinteticamente,
immaginare lo sviluppo emotivo come un
evolvere da un’emotività poco strutturata ad
un’emotività via via più adulta.
– A consentire tale passaggio è l’ “Ambiente”
(caregiver, famiglia).
– La sua funzione sarà proprio quella di rendere
pensabili e strutturate le esperienze emotive, in
modo che il soggetto, pur continuando a
sentirsi se stesso nella modalità spontanea
originaria del “vero sé”, possa prendere
contatto con la propria esperienza emotiva e
farla crescere.
• L’aspetto fondamentale, per Winnicott, è
che la madre si riesca a mettere in
contatto col Vero Sé del bambino in modo
che gradualmente il bambino possa
arrivare a percepire IO SONO.
• Qualora il Vero Sé non avverta di essere
“compreso”, esso si nasconderà per non
sentirsi abbandonato e ferito.
• Il non essere riconosciuto del Vero Sé
nell’ambito di una relazione autentica genera
una sensazione di non poter essere toccati, di
non poter contattare il mondo; di qui una
sensazione di non esistere connessa ad un
vissuto di morte.
• Quando ciò accade a livelli molto profondi e
radicali, il Vero Sé teme che il contatto con la
realtà possa essere letale per il sentirsi se
stesso e pertanto si nasconde per non essere
ulteriormente ferito, lasciando agire nella
realtà una sorta di maschera, che Winnicott
chiama Falso Sé.
• Quando gli altri non hanno contattato il
nucleo profondo del Sé, diventano dei
“persecutori”.
“Io non posso più vedermi guardato dagli occhi
degli altri” (Pirandello, Uno, nessuno e
centomila)
• Viceversa, la relazione “buona” permette al
bambino di “pensarsi” e di incrementare la
struttura del proprio Sé.
 Quando si avverte che l’altro mi fornisce
una relazione buona, posso “introiettare” e
“identificarmi” (per usare dei termini
tipicamente kleiniani) con quegli aspetti
buoni, farli miei, e così arricchire e far
crescere la mia personalità.
In questa reciprocità di sensazioni vi è un senso di bellezza
e di sincerità. Il bambino vive una sensazione di
integrazione delle diverse parti di sé che ha origine nel suo
ambiente più prossimo, nel cuore e nella mente della
madre, ma può arrivare, a mano a mano, ad avvertirla
come parte del suo Sé interno, della sua stessa spina
dorsale, il centro del suo essere. Si tratta dell’esperienza di
essere contenuto in una “pelle psichica” emotiva primaria,
equivalente alla pelle fisica che tiene insieme le parti del
corpo. Se le circostanze sono favorevoli, ovvero se il
bambino è sufficientemente contenuto – a livello psichico e
fisico- da una presenza in grado di farlo, lui stesso
acquisisce, a mano a mano, un’esperienza di integrazione
che è un presupposto necessario per continuare a crescere
(Waddell, 1998, tr. it. 2000, pp. 32-33).
• Il bambino sente di poter crescere “da
dentro”, di svilupparsi a partire dalla sua
intimità
“Dio mi guardi dai pensieri che gli uomini
pensano nella mente sola. Colui che canta la
canzone duratura pensa nel midollo osseo”
(Yeats, cit. in Waddell)
• Viene acquisita così un’esperienza di
integrazione che è un presupposto
necessario per continuare a crescere
• Le esperienze che va compiendo saranno
centrate sul Sé, sull’ “io sono” e andranno
ad arricchire la sua personalità
• La madre riceve e “contiene” i vissuti
“ingombranti” – non necessariamente in
senso negativo, ma anche in senso
positivo – del bambino.
• Questo “contenere” comporta un dar
forma, un ricevere/capire/restituire in
modo strutturato, un dare spazio e confini
a ciò che non ha confini e struttura.
• Nulla di questo contenimento e delle
relazioni sperimentate viene dimenticato.
Anzi, le relazioni vengono costantemente
internalizzate, entrano cioè a far parte di
noi andando a costituire il nostro mondo
interno
– Il pensiero kleiniano preferisce parlare in
termini di introiezione di oggetti e di
funzioni mentali. Ma tale introiezione
avviene sempre in uno sfondo relazionale
Già in Freud era centrale il concetto di
identificazione:
…il carattere dell’Io è un sedimento degli
investimenti oggettuali abbandonati, contenente in
sé la storia di tali scelte d’oggetto […] Se e quando
esse prendono il sopravvento, o diventano troppo
numerose, soverchianti e fra loro incompatibili, si è
prossimi a un risultato patologico […] e forse il
segreto dei casi di cosiddetta “personalità multipla”
consiste nel fatto che le singole identificazioni si
accaparrano a turno la coscienza dell’individuo
(Freud, L’Io e l’Es, 1923).
Una relazione interna contiene:
– una rappresentazione del Sé (come mi
sono sentito in quella relazione).
– una rappresentazione dell’altro (come
ho sperimentato l’altro: comprensivo,
minaccioso, trascurante ecc.)
– un affetto che collega il Sé e l’altro
(che sentimenti caratterizzavano la
relazione: felicità, tristezza, confusione
ecc.)
Detto in altri termini, le modalità con cui
abbiamo vissuto le relazioni con altri
importanti nelle prime fasi della vita si fissa
all’interno della nostra psiche e va a
costituire il patrimonio di “prototipi di
relazione” che utilizziamo nell’interagire
con gli altri e con noi stessi.
• La strutturazione delle relazioni oggettuali
è strettamente connessa con il sistema
motivazionale del Sé, in quanto:
– Miriamo a mantenere o incrementare le
condizioni che producono stati affettivi positivi
intensi
– Puntiamo a diminuire, evitare e fuggire da
condizioni che determinano stati affettivi
negativi
• Le relazioni interne vengono
costantemente “esternalizzate”
 induzione di ruolo (Sandler)
• Questa esternalizzazione delle relazioni interne
avviene anche nei normali rapporti quotidiani.
Nei rapporti che abbiamo con le altre persone
tendiamo ad attribuire all’altro un certo ruolo
che corrisponde a determinate relazioni interne
desiderate.
• N.B. Per Sandler il principale motivo per cui si
fissa una certa relazione interna risiede nel suo
garantire sicurezza affettiva.
• La relazione oggettuale desiderata influenza il
modo in cui si percepisce il dato reale.
• Le relazioni oggettuali interne possono
essere considerate come tratti del
carattere, in quanto anch’essi sono da
intendere come manifestazioni
automatizzate di relazioni interne
inconsce.
• I conflitti intrapsichici non sono mai dei
semplici conflitti fra impulsi e difese: sia gli
impulsi che le difese sono relazioni
oggettuali:
– Ad esempio, negli ossessivi una sottomissione
caratterologica ossessiva, il sentirsi cronicamente
sottomesso a un’immagine genitoriale potente e
protettiva può difendere il paziente da una
rappresentazione rimossa del Sé, violentemente
ribelle nei confronti di un’immagine genitoriale
castrante e sadica. Dal punto di vista clinico, sia la
difesa caratteriale sia l’impulso rimosso coinvolgono
relazioni oggettuali interne reciprocamente opposte.
(Kernberg 2005, tr. it. 2006, p. 109)
Vi è inoltre una separazione fra relazioni
interne “cattive” e relazioni interne “buone
I ricordi affettivi si segno positivo e negativo
sono costruiti separatamente nel corso delle
interiorizzazioni precoci (M. Klein) e
rimangono scissi e dissociati nel tentativo di:
– mantenere un dominio su esperienze di
relazione tra sé e gli altri di segno positivo,
– evitando di entrare in contatto con le
esperienze paurose di stati affettivi negativi.
In particolare:
– Gli stati affettivi negativi tendono ad
essere proiettati, trasformandosi in
paura nei confronti di oggetti esterni
“cattivi”
– gli stati affettivi positivi diventano ricordo
di una relazione con oggetti “ideali”
(Kernberg 2005).
Questa trasformazione evolve in due
principali modalità dell’esperienza psichica
precoce, scisse tra loro:
– idealizzata in quanto si tratta di un
segmento di rappresentazioni
esclusivamente positive di sé e degli altri;
– persecutoria o paranoide per quanto
riguarda la parte di rappresentazioni degli
altri soltanto negative e di una
rappresentazione di un sé minacciato.
(Kernberg 2005).
Questa originaria esperienza scissa protegge
le esperienze idealizzate da una
“contaminazione” con quelle cattive, fino a
quando non si sviluppa un più alto grado di
tolleranza al dolore e una valutazione più
realistica del mondo esterno in situazioni
dolorose (Kernberg 2005).
Immagine di sé accettata

Sé positivo/buono
↔
Altro soddisfacente
COSCIENZA
---------------------------------INCONSCIO
Sé negativo/cattivo
↔ Altro insoddisfacente

Immagine di sé non accettata (e proiettata)
La mamma più brava
• Winnicott chiedeva: “qual è la mamma più
brava?”.
“Andate in un parco e guardate il bambino
che gioca più lontano dalla sua mamma.
Quella è la mamma più brava!”
Il mondo interno
• Fra l’emotività così come viene vissuta dal
soggetto e il mondo esterno non c’è
coincidenza: ognuno di noi ha un proprio
“mondo interno” che è costituito dal modo in
cui sono state vissute le nostre emozioni in
relazione agli altri importanti che abbiamo
incontrato nella nostra vita e che hanno
segnato in vario modo il modo di
autopercepirci.
• Il mondo interno è pertanto costituito da
relazioni interne e oggetti interni.
– Quando ci riferiamo al mondo interno,
pertanto, alludiamo all’idea che le persone
non vivono solamente sul versante della
realtà esterna, ma hanno un loro proprio
mondo di vissuti che ha preso forma nel corso
del loro sviluppo, tenendo conto sia delle
inclinazioni e degli impulsi soggettivi che delle
esperienze relazionali sperimentate, delle
strategie di difesa, delle capacità di
eleborazione cognitiva ecc.
Sulla base del concetto di oggetti interni è stato sviluppato
anche il concetto di un mondo della realtà interna che implica
situazioni e relazioni cui l’Io partecipa insieme ai suoi oggetti
interni. Queste situazioni e relazioni sono paragonabili a quelle
che la personalità vive nel mondo della realtà interna; ma la
forma che assumono rimane quella conferita loro
dall’esperienza di situazioni e relazioni vissuta dal bambino nei
primissimi anni di vita. Si deve aggiungere che il mondo della
realtà interna è concepito come essenzialmente inconscio; ma
ciò non ne impedisce la manifestazione nella coscienza sotto
forma di sogni e fantasie. Questo mondo inconscio della realtà
interna è anche ritenuto la fonte di ogni tipo di angoscia
morbosa, paure irrazionali e sintomi psicopatologici. Ne
consegue che il comportamento umano in generale deve
essere influenzato profondamente dalle situazioni presenti nel
mondo interno. Il fatto è che, una volta accettato il concetto di
realtà interna, si deve ritenere che ciascun individuo viva
contemporaneamente nei due mondi, quello della realtà interna
e quello della realtà esterna. (Fairbairn, 1952, tr. it. 1992, p. 23)
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slide psicologia della personalità aa 2010-11