Se vuoi essere un vero psicoanalista…
Se vuoi essere un vero psicoanalista, devi avere un grande amore per
la verità, la verità scientifica come quella personale, e devi porre
quest’apprezzamento della verità al di sopra di ogni difficoltà
legata al mondo esterno e a te stesso.
Inoltre, penso che uno psicoanalista dovrebbe nutrire [un interesse] per
la sociologia, la religione, la letteratura e la storia […], altrimenti la
sua visione del paziente rischia di essere troppo limitata.
Dovresti leggere molto e interessarti alle letterature di molti paesi e
culture. Tra le grandi figure letterarie troverai persone che
conoscono la natura umana almeno quanto gli psicologi e gli
psichiatri si sforzano di fare.
(Stralcio di una lettera che A. Freud scrisse al figlio quattordicenne di
Heinz Kohut che aveva manifestato il desiderio di diventare psicoanalista)
…avere una visione ampia, non limitata e solo
«tecnicistica» dell’altra persona → lo psicologo
dovrebbe essere un esperto di «umanità» → a tale
scopo è utile la comprensione dell’uomo che i grandi
letterati si sono sforzati di raggiungere
I poeti sono alleati preziosi, e la loro testimonianza deve
essere presa in attenta considerazione, giacché essi sono
soliti sapere una quantità di cose tra il cielo e la terra che la
nostra filosofia neppure sospetta. Particolarmente nelle
conoscenze dello spirito essi sorpassano di gran lunga noi
comuni mortali, poiché attingono a fonti che non sono state
scoperte dalla scienza
S. Freud
(Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di Wilhelm Jensen, 1907, in
Opere, vol. V, Boringhieri, Torino, p. 264).
– E. Fromm nel parlare di psicoanalisi si rifà al
detto evangelico «la verità vi renderà liberi» per
sottolineare che la verità ha una particolare qualità,
che raggiunge direttamente le persone e le fa
sentire reali; senza verità si ripiomba in
un’atmosfera di irrealtà.
• Affinché il nostro modo di essere si sviluppi con
autenticità è necessario non mentire, con se stessi e
con gli altri, pena la progressiva perdita di significato
dell’esperienza personale ed esistenziale e il
corrompersi delle relazioni.
Prima appartenere,
poi individuarsi:
l’importanza delle relazioni
Solo chi è stato illuso può essere disilluso
Sé «nucleare»
Altri
Realtà
Rappresentazione di sé
Concetto di Sé
Sé riflesso = Sé
• William James: SÉ = IO + ME
• Luigi Pareyson: uomo come coincidenza
di autorelazione ed eterorelazione
Lo sviluppo psichico è profondamente
caratterizzato da una dimensione
relazionale
Affinché il Vero Sé del bambino giunga
a sentire “io sono” ha bisogno che la
«madre»* lo pensi.
Io sento che tu senti che io sento
Nota su «madre», «caregiver», «funzione» materna e «funzione»
paterna
Quando si parla di «madre» non ci si riferisce necessariamente alla madre
reale, ma al caregiver (la persona che si prende cura del bambino) o,
meglio, alla «funzione» materna. La «funzione» materna si prende
primariamente cura della sintonizzazione affettiva col bambino, del suo
«contenimento», mentre la «funzione» paterna apre il bambino al mondo
esterno, alla società, alla dimensione «terza» rispetto alla «dualità» perfetta
madre-figlio. Il fatto che la funzione materna possa essere svolta anche da
maschi appartiene ai recenti cambiamenti sociologici.
Diverso è il caso in cui il bambino sia affidato per molte ore a settimana a
caregiver «professionali», quali gli educatori di nido. Greenspan rileva che a
partire dagli anni Settanta fino agli anni Novanta del secolo scorso si è
assistito a una trasformazione dell’atteggiamento delle famiglie nei confronti
dell’accudimento dei propri figli. È infatti aumentato enormemente il numero
di famiglie che hanno affidato i loro bambini da zero a tre anni a educatori di
nido per trentacinque o più ore a settimana. Tantissimi bambini passano la
parte migliore delle loro giornate affidate e persone che non sono i genitori.
Si sta scivolando verso modelli sempre più «impersonali» di accudimento.
• Il Sè diventa “reale” solo se rispecchiato
dall’ “altro” nell’ambito di una buona
relazione empatica
• Per Fairbairn (1940) è fondamentale che il
bambino avverta di essere amato in quanto
persona.
– Anche Greenspan esprime lo stesso concetto
(Greenspan-Brazelton, 2000)
→ In assenza di un tale amore personalizzante
si assiste a una depersonalizzazione e a una
tendenza a rapportarsi agli altri e a se stessi in
termini di cose
 gli individui vanno trattati da persone
umane dotate di intenzionalità e
caratteristiche proprie sin dalla nascita
 centrale è la capacità di instaurare un
rapporto su base personale
• Noi abbiamo bisogno dell’altro per
pensare a noi stessi, per accedere alla
nostra intimità
Qualche esempio
• Perché è così difficile dipingere un autoritratto?
(Bachtin)
• Perché è così arduo vedersi nello specchio come
ci potrebbe vedere un qualunque estraneo?
(Pirandello)
• Perché le persone sono interessate a scrutare
come sono “venute” in una foto?
• Perché, quand’uno pensa d'uccidersi, s'immagina
morto, non più per sé, ma per gli altri? (Pirandello)
Un paradosso
• Il bambino diventa capace di sentirsi solo
in presenza di un’altra persona (Winnicott)
• Bachtin: extralocalità → vediamo noi
stessi nella nostra interezza quando il
volto di un altro ci guarda
In effetti quando l’uomo inizia a viversi dall’interno, subito
egli incontra atti altrui diretti verso di lui: […] dalla bocca
della madre e dei suoi cari […] nel tono emotivo-volitivo del
loro amore, il bambino sente e comincia a riconoscere il suo
nome e la denominazione di tutto ciò che si riferisce al suo
corpo,[…] le prime parole che dall’esterno definiscono la
sua personalità e che vengono incontro alla sua oscura
autosensazione interiore, conferendole forma e
denominazione, le parole in cui per la prima volta prende
coscienza di sé e trova se stesso come un qualcosa, sono
le parole della persona che l’ama.
Bachtin (1920-1925?, tr. it. 1979, pp. 45-46)
• L’identità si inizia a formare quando si
riesce “a dare un senso alle proprie
emozioni come conseguenza del fatto che
il pensiero di un altro ha trovato in esse un
senso” (Bion, 1962, cit. in Waddell, 1998,
tr. it. 2000, p. 32).
• Gli psicoanalisti hanno molto insistito sulla
capacità del caregiver di contattare il nucleo
originario del Sé, utilizzando termini come:
– empatia,
– rispecchiamento,
– contenimento, contenitore/contenuto
– Sintonizzazione (Daniel Stern, 1985),
– Riconoscimento (Louis Sander, 1975)
– rêverie (fantasticheria, Bion)
• Bion pensa che la capacità di pensare i propri
pensieri avvenga come funzione della rêverie
materna (rêverie è un termine francese che
allude al “fantasticare” della madre assieme al
bambino).
• Questo fa sì che i sentimenti e i pensieri
potenziali (che Bion chiama elementi beta)
entrino nello “spazio mentale” del bambino
come affetti e pensieri effettivamente
sperimentabili (elementi alfa). Altrimenti
rimangono come elementi estranei (oggetti
“bizzarri”)
• Nei termini dei teorici dell’Infant Research,
fondamentale è la “sintonizzazione” fra
caregiver e bambino.
• Questa sintonizzazione ha due poli:
– l’autoregolazione (che corrisponde grosso modo
al vissuto del Vero Sé di Winnicott, anche se il
concetto di autoregolazione allude a una
maggiore capacità di iniziativa) e quello di
– regolazione interattiva (che corrisponde alla
relazione in Winnicott)
 madre e bambino agiscono
contemporaneamente sul versante
dell’autoregolazione e su quello della
regolazione interattiva.
• Quando la regolazione interattiva fallisce (ad
esempio la madre non riesce a sintonizzarsi coi
bisogni del bambino), il bambino tenta di
“autoconsolarsi” aumentando l’autoregolazione.
– Ad esempio Tronick ha utilizzato l’esperimento del “viso
immobile”, notando che all’inizio il bambino tenta di
indurre la madre a ripristinare il suo comportamento
normale. Non riuscendovi, sperimentano un’emozione
negativa e mettono in atto comportamenti autoregolatori.
Questi eventi producono effetti duraturi nel bambino; si
può cioè affermare che essi vengono rappresentati
internamente. Infatti, al termine dell’esperimento il
bambino persiste nel suo umore negativo e riduce il suo
contatto visivo con la madre.
•
Fondamentale è la “musicalità”
dell’interazione, la «danza relazionale» fra
madre e bambino, dove ognuno agisce la
propria spontaneità soggettiva pur riuscendo
a mantenersi una sintonia.
–
Solo 1/3 delle interazioni fra madre e bambino va
a buon fine
…il primo tempo
in cui, neonato, attraverso rapporti tattili
conversavo muto con il cuore di mia madre,
ho tentato di rivelare i modi in cui
la sensibilità infantile, grande diritto
per la nascita del nostro essere, fu in me
sostenuta e accresciuta
W. Wordsworth (cit. in Waddell, pp. 26, 31)
• Le relazioni disturbate possono essere
definite proprio come quelle caratterizzate
da una mancanza di questa sintonia:
1. perché il bambino privilegia l’autoregolazione
a scapito dell’interazione,
2. oppure perché la madre è poco sintonica,
depressa, intrusiva ecc.
• Fairbairn aveva affermato (anni ‘40) che se il
bambino non si sente sufficiente amato, avrà
paura a crescere e ad aprirsi al mondo esterno
perché sarà gravato da troppa ansia di
separazione, nutrirà il terrore di rimanere solo
senza nulla con cui essere in relazione.
• Per colmare la sua ansia di separazione, il
bambino tenderà a soddisfare i propri bisogni
emotivi non rivolgendosi al mondo esterno,
percepito come pauroso e insoddisfacente, ma
investendo affettivamente aspetti del
proprio mondo interiore.
 Questo investimento compensatorio di aspetti del
mondo interiore (Jung la definisce come
introversione) lega il bambino ad aspetti arcaici del
suo sviluppo, che verranno parossisticamente
ingigantiti perché mantenuti fuori luogo e fuori
tempo, al di fuori di ogni relazione e di ogni
contenimento emotivo.
• Vissuti come il sentirsi profondamente cattivi e in
colpa, alcune forme di sessualità precoce,
narcisismo, anafettività ecc. dipendono
dall’utilizzazione compensatoria di elementi del
proprio mondo interno per colmare il vuoto
relazionale
Sintetizzando:
– Possiamo, quindi, immaginare lo sviluppo emotivo
come un evolvere da un’emotività poco strutturata
ad un’emotività via via più adulta.
– A consentire tale passaggio è l’ “Ambiente”
(caregiver, famiglia).
– La sua funzione sarà proprio quella di rendere
pensabili e strutturate le esperienze emotive, in
modo che il soggetto, pur continuando a sentirsi se
stesso nella modalità spontanea originaria del “vero
sé”, possa prendere contatto con la propria
esperienza emotiva e farla crescere.
• L’aspetto fondamentale, per Winnicott, è
che la madre si riesca a mettere in
contatto col Vero Sé del bambino in modo
che gradualmente il bambino possa
arrivare a percepire IO SONO.
• Qualora il Vero Sé non avverta di essere
“compreso”, esso si nasconderà per non
sentirsi abbandonato e ferito.
• Il non essere riconosciuto del Vero Sé
nell’ambito di una relazione autentica genera
una sensazione di non poter essere toccati, di
non poter contattare il mondo; di qui una
sensazione di non esistere connessa ad un
vissuto di morte.
• Quando ciò accade a livelli molto profondi e
radicali, il Vero Sé teme che il contatto con la
realtà possa essere letale per il sentirsi se
stesso e pertanto si nasconde per non essere
ulteriormente ferito, lasciando agire nella
realtà una sorta di maschera, che Winnicott
chiama Falso Sé.
• Quando gli altri non hanno contattato il
nucleo profondo del Sé, diventano dei
“persecutori”.
“Io non posso più vedermi guardato dagli occhi
degli altri” (Pirandello, Uno, nessuno e
centomila)
• Viceversa, la relazione “buona” permette al
bambino di “pensarsi” e di incrementare la
struttura del proprio Sé.
 Quando si avverte che l’altro mi fornisce
una relazione buona, posso “introiettare”
(per usare un termine tipicamente kleiniani)
quegli aspetti buoni, farli miei, e così
arricchire e far crescere la mia personalità.
In questa reciprocità di sensazioni vi è un senso di bellezza e di
sincerità. Il bambino vive una sensazione di integrazione delle
diverse parti di sé che ha origine nel suo ambiente più prossimo,
nel cuore e nella mente della madre, ma può arrivare, a mano a
mano, ad avvertirla come parte del suo Sé interno, della sua
stessa spina dorsale, il centro del suo essere. Si tratta
dell’esperienza di essere contenuto in una “pelle psichica”
emotiva primaria, equivalente alla pelle fisica che tiene insieme
le parti del corpo. Se le circostanze sono favorevoli, ovvero se il
bambino è sufficientemente contenuto – a livello psichico e fisico
- da una presenza in grado di farlo, lui stesso acquisisce, a
mano a mano, un’esperienza di integrazione che è un
presupposto necessario per continuare a crescere
Waddell (1998, tr. it. 2000, pp. 32-33)
• Il bambino sente di poter crescere “da
dentro”, di svilupparsi a partire dalla sua
intimità
“Dio mi guardi dai pensieri che gli uomini
pensano nella mente sola. Colui che canta la
canzone duratura pensa nel midollo osseo”
(Yeats, cit. in Waddell)
• Viene acquisita così un’esperienza di
integrazione che è un presupposto
necessario per continuare a crescere
• Le esperienze che va compiendo saranno
centrate sul Sé, sull’ “io sono” e andranno
ad arricchire la sua personalità
Donald
Winnicott
(Playmouth 1896 –
Londra 1971)
Vero Sé e
sviluppo
dell’individuo
• Winnicott utilizza il concetto di Vero Sé
non rifacendosi ad una concezione
metafisica o a una teoria dell’anima (pur
non essendo concetti che si escludono!)
→ il concetto di Vero Sé contiene un’idea
di per sé evidente, cioè che l’individuo è
agente, intenzionale: il Vero Sé è la
spontaneità originaria del soggetto.
• Il Vero Sé contiene il senso del Sé, la
certezza di esistere e di essere reali, di
poter essere se stessi, creativi e
spontanei; ad esso appartiene la
percezione di una continuità della propria
esistenza.
al centro di ciascuna persona, c’è un elemento
segregato, e questo è sacro ed estremamente
degno di essere preservato (Winnicott).
• Per Winnicott rappresenta quindi la creatività
originaria del soggetto.
 La creatività corrisponde al naturale senso di
espansione di sé che si sperimenta in quanto si
è vivi. Quando siamo creativi ogni cosa che
facciamo aumenta il senso di essere noi stessi
(Winnicott 1970). Senza questo piano, per W.,
non c’è nulla.
Felice è colui che è sempre creativo nella sua vita
personale come pure nei rapporti con i partner, con i
figli, con gli amici ecc. (1970, tr. it. 1986, p. 41)
• Essere creativi significa essere “soggetti” a
pieno titolo. Essere soggetti significa esistere
anche indipendentemente dallo stimolo
esterno. Se il nostro sentirci vivi dipendesse
esclusivamente da stimoli esterni, cessato lo
stimolo cesserebbe anche la sensazione di
sentirsi vivi.
 L’essere creativi di cui parla Winnicott allude
proprio al sentirsi vivi anche quando non c’è lo
stimolo che proviene dal mondo esterno.
“Fuori dalla mia finestra c’è una pianta, e il sole, e
razionalmente so che deve essere uno spettacolo
piacevole, per chi lo può vedere. Ma questa
mattina per me tutto ciò non ha senso. Non riesco
ad esserne partecipe e ciò mi rende
profondamente conscio del fatto di non sentirmi
reale” (Winnicott 1970).
Il mondo... questo grosso essere assurdo. [...] Scoprire che il mondo non
ha senso, che è assurdo, provoca la nausea. [...] L'essenziale è la
contingenza [= la non necessità delle cose]. Voglio dire che, per
definizione, l'esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì,
semplicemente: gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si
può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto
ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere
necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che
può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza,
un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la
perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso.
E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si
mette a fluttuare... ecco la Nausea [...] La Nausea non è in me: io la sento
laggiù sul muro, sulle bretelle, dappertutto attorno a me. Fa tutt'uno col
caffè, son io che sono in essa [...] Ed ora lo so: io esisto - il mondo esiste ed io so che il mondo esiste. Ecco tutto. Ma mi é indifferente. E' strano
che tutto mi sia ugualmente indifferente: é una cosa che mi mette paura.
E' cominciato da quel famoso giorno in cui volevo giocare a far rimbalzare
i ciottoli sul mare. Stavo per lanciare quel sassolino, l'ho guardato, ed è
allora che è cominciato: ho sentito che esisteva. E dopo, ci sono state
altre Nausee; di quando in quando gli oggetti si mettono ad esistervi
dentro la mano. (Sartre, La Nausea)
• La creatività riguarda l’ “essere” sé
stessi, e viene prima del “fare”.
 Laddove il vero Sé sia stato traumatizzato, esso
non deve più essere ritrovato e ferito di nuovo.
Si sviluppa un falso Sé a difesa del vero Sé.
 Questo falso Sé può funzionare perfettamente,
eppure sta all’opposto della salute psichica
perché sorge dalla negazione del vero Sé.
Cos’è la salute mentale?
• La salute non è sinonimo di tranquillità. La
vita di un individuo sano è caratterizzata da
paure, sentimenti conflittuali, dubbi e
frustrazioni, come pure da elementi positivi.
La cosa fondamentale è che si senta di
stare vivendo la propria vita, assumendosi
le responsabilità di quanto si fa, il merito del
successo e la colpa del fallimento. In tal caso
si può dire che l’individuo è passato dalla
dipendenza all’autonomia.
• Essere e sentirsi reali sono le caratteristiche
della salute. Soltanto quando l’essere è
acquisito (cioè quando sentiamo di essere noi
stessi) possiamo procedere verso altre mete.
Senza dubbio la gente dà per scontato il sentirsi
reali. Ma a quale prezzo? In quale misura essi
negano la verità che di fatto esiste il pericolo di
sentirsi non reali, posseduti, di non essere se stessi,
di precipitare all’infinito, di non avere una direzione,
di essere separati dal proprio corpo, annientati, di
essere un nulla, di non avere un luogo in cui stare…
(D. Winnicott, Il concetto di individuo sano)
Lo sviluppo della creatività:
fra onnipotenza e principio di realtà
• La vita creativa che corrisponde alla
possibilità di non essere continuamente uccisi o annientati
dalla compiacenza verso o dalla reazione a un mondo che
fa violenza all’individuo; si tratta di riuscire a vedere ogni
cosa in modo sempre nuovo.
• L’esperienza dell’onnipotenza è qualcosa di più
di un controllo magico, ma include l’aspetto
creativo dell’esperienza (Winnicott 1963)
Le fotografie dei grandi cacciatori che, come H.
Hemingway, si fanno immortalare di fianco a un
leone massacrato, ci danno un’idea degli sforzi
estremi che un essere umano può compiere nel
tentativo di trionfare sull’oggetto percepito
oggettivamente (Winnicott)
• Essere creativi significa, afferma
Winnicott, “mantenere qualcosa che
appartiene all’esperienza infantile: la
capacità di creare il mondo”.
 in ogni atto creativo c’è sempre una
porzione di “onnipotenza”
• Ma l’essere creativi implica incontrare il
mondo, la realtà esterna.
• Inizialmente è la madre che si adatta ai bisogni
del bambino per consentire che egli compia
esperienze che sono coerenti con i suoi stati
mentali.
• La madre, con la sua capacità empatica è
capace di dare qualcosa di buono al bambino
che, al suo livello, può solo fantasticare e
“allucinare” degli oggetti: il bambino è solo con
le sue illusioni, la madre conosce la realtà e
può far sì che la fantasia del piccolo si
connetta con la realtà. Ella, infatti, basandosi
sulla sua intuizione, può fornire al bambino
quegli oggetti che egli sta allucinando.
• Winnicott parla a tale proposito di
“presentazione d’oggetto”.
– Dobbiamo supporre che il bambino abbia dei
guizzi creativi in base ai quali cerca il contatto con
la realtà; non essendo “organizzato” non riesce a
contattare il mondo. Allora la madre, intuendo le
volontà nascenti del piccolo, gli fornisce quegli
oggetti che il bambino sta “allucinando”. Il
bambino, cioè, è solo con le sue fantasie, la
madre conosce la realtà e può far sì che la
fantasia del piccolo si connetta con la realtà. Ella,
infatti, basandosi sulla sua intuizione, può fornire
al bambino quegli oggetti che egli sta allucinando.
• L’esperienza del piccolo risulterà arricchita di
elementi reali ed egli stesso inizierà a sentirsi
reale. Il suo essere e sentirsi reale, che sta
alla base della salute psichica, dipende
dunque dal fatto che le connaturali tendenze
alla crescita e all’espansione del suo Sé
hanno trovato un ambiente favorevole e degli
oggetti che corrispondevano alle sue
fantasie.
• Più in generale, la madre, insomma,
supporta l’Io del bambino: calandosi al suo
livello, gli consente di credere che le
esperienze che compie possano trovare un
corrispettivo nella realtà esterna, protegge
l’Io del bambino e supporta l’evoluzione
della sua identità (”preoccupazione
materna primaria”).
 L’ “essere” viene garantito al bambino
dalla madre.
Lo sviluppo psichico può essere
immaginato dipanarsi lungo le
seguenti direttrici:
a. Dipendenza  autonomia
(a “spingere” verso l’autonomia è l’innata
tendenza a evolvere)
b. Inorganizzazione  organizzazione
c. Non integrazione  integrazione
Dipendenza  autonomia
• Dipendenza assoluta (primi 6 mesi)
• Dipendenza relativa (dai 6 mesi ai 2 anni)
• Indipendenza (viene raggiunta dai 2 anni fino
all’adolescenza in maniera «assistita» e durante
l’adolescenza come compito evolutivo specifico)
• Per Winnicott, all’inizio non abbiamo una cosa che si
chiama “un lattante”, ma solo un potenziale,
un’innata tendenza alla crescita.
Non esiste una cosa che si chiama “un lattante”, intendendo
con ciò che se ci mettessimo a descrivere un lattante ci
accorgeremmo che stiamo descrivendo un lattante con
qualcuno. Il bambino piccolo non può esistere da solo, ma è
fondamentalmente parte di una relazione. Quello che
abbiamo (all’inizio) è una manciata di anatomia e fisiologia e
a questa si aggiunge il potenziale di evolvere in una
personalità umana. C’è una tendenza generale verso la
crescita fisica e una tendenza allo sviluppo nella parte
psichica dell’unità psicosomatica (Winnicott, Sviluppo affettivo
e ambiente, 1965)
Inorganizzazione  organizzazione
• Il neonato è non organizzato → Pur avendo un
Vero Sé il bambino non ha un’organizzazione
mentale.  Deve imparare a pensare i suoi stessi
pensieri e sentimenti, deve imparare a conoscere
se stesso e il mondo esterno. Pur essendo se
stesso sin dall’origine, non è in grado di sentire e
pensare io sono.
• è necessario un ambiente che lo protegga dai
vissuti di vuoto. Il «pensiero» della madre contiene
il bambino entro una «pelle psichica» e lo
organizza.
• La madre è in grado di contattare e contenere il
bambino grazie alla preoccupazione materna
primaria, che permette alla madre di giungere a
una inorganizzazione simile a quella del bambino
per poter «funzionare» come lui e assieme a lui.
– Si tratta di una funzione spontanea, che non è scevra
da un carico emotivo, che può condurre alla
depressione. A tale proposito, come ricordava Bowlby,
in molte culture le donne sono accompagnate e a loro
volta sostenute da una figura femminile a loro vicina:
cugina, amica, confidente.
Non integrazione  integrazione
• Il bambino vive in uno stato di non integrazione
in cui non possiede un unità corporea che gli
permetta di riconoscere le sensazioni come
proprie (non c’è differenza fra l’esperienza di sé
bambino e la fame: il bambino è la fame, il sonno,
il mondo).
• Per permettergli il passaggio a un funzionamento
integrato, la madre mette in atto le funzioni
materne di:
– holding: è il «tenere», nel senso del «contenere»,
fisicamente e mentalmente, il bambino; il contenere non è
qualcosa di «costrittivo»: il semplice fatto di empatizzare, di
capire intimamente il bambino fa sì che egli si senta
contenuto entro una «pelle psichica» (questo termine non è
winnicottiamo).
• Da un punto di vista sistemico (che Winnicott non
approfondisce) si potrebbe dire che c’è holding quando la
madre come sistema vivente è il grado di risuonare e
accordarsi col bambino in quanto sistema vivente. Si ha così
una «dinamica» in cui due sistemi viventi autonomi eppure in
relazione, si avvicinano e si allontanano. È stato visto che
solo 1/3 delle interazioni madre bambino esprime sintonia.
Ciò è normale. Ciò che è importante è la capacità di
reincontrarsi, di riparare, di riaggiustare.
– object presenting: il connettersi della madre
alle «fantasie d’oggetto» del bambino (si veda
sopra)
– handling: è la «manipolazione» del bambino,
che favorisce l’insediamento della psiche nel
corpo; di qui la certezza di riuscire ad abitare il
proprio corpo. Certamente, a tutti può capitare
di essere separati dal proprio corpo, di «non
avere un luogo in cui stare. (cfr. la sensazione
di straniamento dal proprio corpo di molti
personaggi di Pirandello – si veda dopo)
→ Ogni tanto il bambino deve sapersi rilassare e
tornare ad uno stato di non-integrazione.
→ Winnicott valorizza, come Balint, l’esperienza
transitoria della non-integrazione, resa possibile
dallo sfondo di una madre contenitiva. E, con
Balint, pensa che l’esperienza artistica permetta
di sperimentare momenti di non integrazione in un
contesto di sicurezza.
Rilassarsi per un infante significa non sentire il bisogno di
integrarsi, essendo data per scontata la funzione di
sostegno dell’Io svolta dalla madre
(Winnicott, L’integrazione dell’Io nello sviluppo del bambino, in Sviluppo
affettivo e ambiente, 1965, p. 74).
Ma nei momenti di tranquillità non c’è confine tra il mondo interno
e il mondo esterno, solo una quantità di cose separate: il cielo
visto attraverso gli alberi, qualcosa che ricorda gli occhi della
madre che vagano fuori e dentro di lui… Manca ogni necessità di
integrazione.
Questa è una cosa estremamente importante da ricordare: senza
di essa ci manca qualcosa. È un concetto che ha a che fare con
l’essere calmi, rilassati, riposati, sentendosi tutt’uno con le altre
persone e le cose, quando non c’è eccitazione in giro.
Perché il mondo possa fluttuare dentro e fuori, senza fame da
prendere e rabbia da dare, i bambini all’inizio hanno bisogno di
cure molto appaganti.
(Winnicott, L’introduzione primaria alla realtà esterna, 1948)
• Analogamente anche la capacità di stare solo si
instaura sullo sfondo della presenza della madre.
Dice W.:
la capacità di stare solo […] è l’esperienza di essere solo […]
in presenza della madre. La capacità di essere solo ha un
fondamento paradossale, cioè l’esperienza di essere solo in
presenza di un’altra persona (1958, trad. it, p. 31).
• L’esperienza della solitudine è possibile solo a patto
di aver sperimentato questa protezione dell’essere
immaturo costantemente sull’orlo di un’ “impensabile
angoscia” (1962, trad. it. 1965, p.69).
La madre normalmente devota e la
progressiva disillusione dell’onnipotenza
• Quando la capacità allucinatoria si è consolidata spetta
allora alla madre una progressiva disillusione (madre
“normalmente devota”)
• Si procede ad una fase di separazione-individuazione
e, “se tutto va bene”, ad una diminuita funzione di
sostegno all’Io da parte della madre corrisponde
solitamente un aumento delle funzioni dell’Io del
bambino.
• Di lì in poi il bambino sarà capace di attacchi
aggressivi verso la madre.
• A partire da questa fase è possibile apprendere
dall’esperienza, ovvero da qualcosa che è fuori dal
controllo onnipotente del bambino.
Approfondimento: l’aggressività e «l’uso di
un oggetto»
• L’aggressività è un modo per esteriorizzare l’altro troppo
intimo: per separarci dobbiamo aggredirlo!
L’aggressività, nel suo versante positivo, serve al Sé per
crescere, per separarsi, per sostenere gli impulsi, per
rompere l’armonia (salvo poi riconquistarla)
• Finché non acquisiamo la capacità di usare le persone
(«oggetti») restiamo loro legati nella maniera della
dipendenza totale. Siamo tutt’uno con loro, non sono
esterne, sono parte del Sé: il nostro Sé dipende ancora da
loro. Non abbiamo raggiunto la capacità di amare. Per amare
qualcuno, questo qualcuno deve essere altro da noi!
…non è possibile per me accettare come scontato il fatto che il primo
impulso, nel rapporto del soggetto con l’oggetto (percepito
oggettivamente, non come soggettivo), sia distruttivo ((Winnicott, 1971)
L’assioma fondamentale della relazione oggettuale è: ciò che
è buono viene costantemente distrutto. Ciò che gli uomini non
possono lasciare in pace è ciò che è buono. Essi devono poter
prendere ciò che è buono e distruggerlo. E perché? Perché le
cose buone possono sopravvivere. Solo dopo che è stata
distrutta la cosa buona può essere amata, valorizzata e quasi
adorata in un modo nuovo (Winnicott, 1970).
Gran parte della violenza che esiste nel mondo proviene dal
tentativo di compiere una distruzione che non è di per sé
distruttiva, eccetto quando l’oggetto sopravvive o quando viene
provocato fino alla ritorsione. La sopravvivenza delle cose
fondamentali è quindi un valore grande e profondo per
l’individuo, e la monarchia nel nostro paese è una di queste. La
realtà diventa più reale e l’impulso individuale meno pericoloso
(Winnicott, 1970)
L’oggetto transizionale
• L’oggetto transizionale consente di mantenere
interrelate due aree altrimenti separate, quella della
realtà interna e quella della realtà esterna.
• L’oggetto transizionale compare tra i quattro e i dodici
mesi.
• Il bambino ha bisogno di investire un oggetto del potere
transizionale, tali che rappresentino un ponte tra la
realtà interna e quella esterna. Si colloca tra la
“creatività primaria e la percezione obiettiva basata
sull’esame di realtà”.
• Anche se non tutti i bambini vi fanno ricorso, la
presenza dell’oggetto transizionale è un indice sicuro di
una potenziale capacità di elaborare l’onnipotenza e la
separazione.
• L’oggetto transizionale viene quindi
progressivamente dimenticato.
• Può rimanere nell’adulto nella consapevolezza
di mantenere un “luogo di riposo”, ove lasciar
fluttuare la mente e giocare con le proprie idee.
Oppure come spazio del gioco, della creatività,
del sentimento religioso, ma anche della perdita
del sentimento affettuoso, dell’assuefazione alla
droga, dei rituali ossessivi.
• W. distingue a tal proposito l’oggetto
transizionale dall’oggetto feticcio o oggetto
tossico. Quest’ultimo mantiene il soggetto in uno
stato di continua dipendenza, distoglie da sé e
dalla realtà esterna.
• La parte principale della vita degli adulti, degli
adolescenti, dei bambini e dei lattanti si svolge
all’interno di quest’area intermedia, a metà strada
fra soggettività e oggettività, sogno e realtà. La
stessa civiltà può essere descritta a partire da
questa visuale. Nei fenomeni transizionali
occorre accettare il paradosso che collega la
realtà interna a quella esterna. Non chiediamo
mai dell’orsacchiotto del bambino (che è un
simbolo della disponibilità materna) se è stato
creato o se era già lì.
• Negli adulti l’area transizionale è l’area degli
interessi culturali, lavorativi, religiosi, politici,
artistici ecc.
• Tutto è «transizionale» in quanto «abitiamo» la
realtà non passivamente, subendola, ma in modo
attivo, tentando di comprenderla da nostro punto
di vista: non ci sono «cose», ma le cose come
sono per noi, pur restando «cose» esterne,
«reali», non costruzioni soggettive.
– Chi crea utilizza la propria spontaneità originaria, il
proprio peculiare punto di vista, la propria prospettiva
ma si «connette» con la realtà: la creazione è, così,
un qualcosa di oggettivo-soggettivo
– Anche l’umorismo può essere visto come un
fenomeno transizionale in quanto chi ride si distacca
per un attimo dal dato oggettivo e lo rilegge secondo
la propria prospettiva; c’è un guizzo di onnipotenza
nell’umorismo, un qualcosa di «antidepressivo» in
quanto chi fa umorismo non accetta di essere
passivo: pur stando dentro la realtà, la assume in
modo soggettivo.
Comunicare o non comunicare? (Winnicott 1963)
Nell’ambito della salute esiste un nucleo della personalità che corrisponde
al vero Sé. Ritengo che tale nucleo non comunichi mai direttamente con il
mondo degli oggetti percepiti e che l’individuo sappia che questo nucleo
non deve entrare in comunicazione con la realtà esterna né venirne
influenzato. Sebbene le persone sane comunichino e amino comunicare,
è anche vero che ogni individuo è un essere isolato che non comunica in
modo permanente, in permanenza sconosciuto e mai realmente scoperto.
[…] Al centro di ogni persona c’è un elemento incomunicabile, inviolabile,
che è sacro e va preservato. Le esperienze traumatiche, che portano
all’organizzazione delle difese primitive, rappresentano una minaccia al
nucleo isolato, la minaccia che venga scoperto, modificato e che ci si
metta con esso in contatto. La difesa consiste in un ulteriore
occultamento del Sé nascosto… Essere stuprati o essere mangiati dai
cannibali sono cose di poco conto rispetto alla violazione del nucleo del
Sé mediante la comunicazione che si insinua attraverso le difese.
…possiamo capire l’odio che la gente ha verso la psicoanalisi, la quale è
penetrata assai nella personalità umana e costituisce una minaccia per il
bisogno che l’individuo ha di restare segreto e isolato. Il problema è:
come isolarsi senza doversi circondare di barriere?
Credo che, inerente in ogni tipo di artista, si possa scoprire
un dilemma dovuto alla coesistenza di due tendenze: il
bisogno urgente di comunicare e il bisogno ancora più
urgente di non essere scoperto. Ciò potrebbe spiegare la
nostra impossibilità a concepire un artista che arrivi alla fine
del compito che impegna totalmente la sua natura.
(Winnicott 1963)
Forse non è stata data abbastanza attenzione al fatto che il
mistico si ritira in una posizione in cui può comunicare
segretamente con oggetti e fenomeni soggettivi, poiché la
perdita di contatto col mondo della realtà condivisa è
compensata da un vantaggio nel sentirsi reale (Winnicott
1963).
Tutto ciò che è profondo ama la maschera; le cose più profonde
provano perfino odio per l’immagine e il simbolo […]. Esistono
fatti così delicati che si fa bene a coprirli e a renderli
irriconoscibili sotto una grossolanità; esistono atti d’amore e di
traboccante generosità, in seguito ai quali non c’è nulla di più
consigliabile di prendere un bastone e picchiare di santa ragione
il testimone oculare: e con ciò offuscare la sua memoria […] il
pudore è ingegnoso. Non sono le cose peggiore quelle di cui ci si
vergogna di più (F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, 40).
Ogni profondo pensatore teme più l’essere compreso che
l’essere frainteso (F. Nietzsche, idem, 290).
PATOLOGIA: da quanto si è visto, le patologie, per Winnicott, sono
essenzialmente patologie del Sé
→ quando c’è un misconoscimento profondo del Sé si incorre nella
psicosi e si mobilitano difese profonde per evitare che il Sé possa
sperimentare angosce non sopportabili;
→ quando un senso del Sé c’è, allora si hanno disturbi del Sé, che possono
essere più o meno gravi a seconda del livello di profondità in cui si è
strutturato il falso sé (si veda dopo);
→ quando c’è deprivazione, ma c’è ancora la speranza di ritrovare la
«madre» (che si cerca fuori perché non la si ha dentro, come madre
«interna») allora ci possono essere tendenze antisociali, che hanno la
funzione di appello all’ambiente.
• Il rischio è che le tendenze antisociali diventino «egosintoniche» e che il
soggetto pensi di compensare con la «potenza» la sua fragilità. Ciò è
pericoloso in particolare in adolescenza quando si deve strutturare un sé
adulto. La «madre», può essere rappresentata anche da un’ideologia. Ma
dove ci sia l’inconscia certezza di non poterla ritrovare, allora
quell’ideologia diventa intoccabile, pena il riprovare angoscia.
– Ciò è da distinguere dal «trionfo sull’oggetto» - di cui aveva parlato la Klein e,
in termini diversi, anche Fromm – che nega la dipendenza dall’oggetto e rende
il soggetto onnipotente e insensibile.
Il falso sé
– stato patologico. Il falso sé domina la scena. Ci sono attori che sanno
solo recitare, perché quando non recitano non si riconoscono come
esistenti. Ma nei rapporti profondi?;
– stato di confine. Il falso sé schiaccia il vero sé. Però questo è
riconosciuto, gli viene consentita una vita segreta. Questo può avvenire
per difendere la persona da condizioni ambientali anormali. La malattia
può rappresentare un «discorso» del Vero Sé;
– stato della sofferenza. Il falso sé si struttura in modo tale da permettere
l’emergenza del vero sé fra le incrinature de falso sé. Se questo non
accade, l’esito fallimentare (disperazione) può portare al suicidio.
– stato di fragilità. Il falso sé si struttura sulla base di un comportamento
imitativo che non incide profondamente nella costruzione dell’Io. Questo
causa una mancanza di integrazione dell’Io che sarà impegnato in uno
sforzo continuo per «tenere dietro alla vita», con poche possibilità di
sperimentare lo star bene con sé stessi.
– stato di salute. Il falso sé corrisponde all’atteggiamento sociale, alla
maschera che tutti i giorni utilizziamo per interagire con gli altri senza
mostrarci loro «col cuore in mano».
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Psicologia della personalità AA 2012-13