Concetti fondamentali della psicologia della personalità • «Tutti i teorici utilizzano il termine personalità per fare riferimento a qualità psicologiche che contribuiscono a creare le strutture persistenti e caratterizzanti del singolo, come il sentire, il pensare e il comportarsi» (Gervone, Pervin 2008, tr. it. 2009, p. 9) • Con temperamento ci si riferisce alle tendenze innate e biologicamente predisponenti della personalità*. *Quando si parla di costituzione si intende qualcosa di più vincolante della tendenza temperamentale, cioè a caratteristiche innate che si riverberano in maniera diretta sulla personalità • In ambito psicoanalitico, per Freud l’Io è quella parte della psiche che ha l’incarico di mediare fra le richieste della realtà esterna e quelle che provengono dall’interno della psiche, cioè le pulsioni inconsce dell’Es e norme morali introiettate (Super-Io). • I tratti caratteriali sono il risultato del modo in cui le pulsioni inconsce sono state plasmate dall’ambiente (in Freud: carattere orale/anale/genitale). Si usa il termine carattere quando questi tratti caratteriali caratterizzano tutta la personalità (in tal senso W. Reich aveva parlato di «corazza caratteriale») – Più in generale «carattere» è un termine che è stato spesso usato in alternativa a quello di «personalità» per riferirsi a quell’insieme di tendenze comportamentali che fanno sì che una persona agisca con coerenza rispetto a determinati costumi o valori (Caprara-Gennaro, 1999, p. 108). • Il concetto di Io è andato nel tempo assumendo dei connotati più ampi. In M. Klein e R. Fairbairn l’Io è presente sin dalla nascita. In autori come Kohut, Winnicott e Jacobson l’Io come prodotto dell’interazione fra pulsioni e realtà lascia via via posto al concetto di Sé, che rappresenta il nucleo centrale della persona ed è presente e attivo sin dalla nascita. • Dal Sé occorre distinguere la rappresentazione di sé: il Sé contiene una parte attiva (Sé nucleare) e una parte ricettiva (risposte ambientali/degli altri): facendo proprie tali risposte il Sé nucleare si forma un concetto di Sé. – James, in tal senso, usa il termine Sé intendendo l’insieme di queste due componenti, il Sé agente (che egli chiama Io) e il Sé riflesso (che egli chiama Me). • Il termine identità si può considerare meno specifico e meno usato in senso tecnico. Allude al senso di identità, alla capacità di sentirsi sé stessi, identici nel tempo. A seconda delle prospettive teoriche, tale senso di identità può essere percepito come continuità a un nucleo del Sé originario (come il Vero Sé di Winnicott o il Sé nucleare di Kohut) o come un prodotto che trae la sua consistenza da determinazioni ambientali (si veda ad esempio il concetto di maschera in Pirandello). Nel corso della mia vita ho compiuto le mie ricerche in una prospettiva psicoanalitica, cercando di rinvenire i principi di base che governano la vita come processo creativo permanente. Tali principi, sono operativi a ogni livello di complessità, dagli organismi unicellulari alla coscienza umana. Col passare del tempo mi sono reso conto che un nucleo integrativo fungeva da sfondo alle mie attività: il mio Sé. E le domande: “Chi sono io?”, “Cosa voglio diventare?”, “Che differenza fa?” sono servite da stimolo a proseguire lungo un percorso che non sapevo dove mi avrebbe portato. LOUIS SANDER ha insegnato alla Boston University e alla University of Colorado. Partendo dalla psicoanalisi, Sander vi ha introdotto il punto di vista dinamico-sistemico, riformulando in veste nuova il punto di vista psicoanalitico. …io non parto dal singolo individuo ma dai sistemi che si creano fra individuo e ambiente. Sono partito dal lavoro di Ludwig von Bertalanffy (1952) e dai suoi due basilari, quanto misteriosi, principi: organizzazione e attività primaria. Tali caratteristiche dei sistemi viventi spiegano: • come la complessità dei sistemi viventi si organizzi nell’unità, nella totalità integrata, dell’organismo, sia esso una creatura unicellulare o un essere umano; • come l’impeto che dà energia al processo organizzativo debba venire dall’interno dell’organismo (e non sia imposto da fuori) • Gli approcci sistemico-relazionali non-lineari assumono che: 1. il soggetto sia un «sistema aperto» in continua interazione con l’ambiente 2. gli aspetti di processo sia primari rispetto a quelli di struttura 3. l’individuo sia dotato di agency, in grado di «autoorganizzarsi», «di auto-regolarsi», di «autogenerare» un proprio mondo interno, un proprio universo di senso. • Winnicott parla di «spontaneità» del Vero Sé → non c’è bisogno di spiegare la spontaneità in quanto è implicita nel concetto di esperienza emotiva autentica (Meltzer) • Si può parlare anche di «intenzionalità» Una delle caratteristiche più evidenti delle persone è che sono attive e manifestano un comportamento «intenzionale». • Il concetto di intenzionalità è più semplice da riconoscere che non da descrivere. – Il biologo S. Kauffman dice: quando chiamo il mio cane, mi guarda. È un comportamento intenzionale. • Per W. Freeman (neuroscienziato) l’intenzionalità e il produrre azioni dirette verso uno scopo è una caratteristica di base del nostro cervello. …la diade deterministica natura-cultura… non riesce a tenere conto della capacità degli esseri intenzionali di costruire e perseguire i propri obiettivi personali nell’ambito del contesto sociale (Freeman, 1999, Come pensa il cervello, tr. it. 2000). • L’idea che la personalità sia il frutto dell’interazione fra predisposizioni temperamentali/costituzionali (genetiche) e influenze ambientali non rende conto del fatto che gli individui sono «centri attivi» di interessi e motivazioni, che percepiscono le esperienze come «proprie»: …alla base del nostro senso di essere un centro indipendente di iniziativa e di percezione, integrato, con le nostre ambizioni e i nostri ideali più centrali, con la nostra esperienza che la mente e il corpo formano un’unità nello spazio e un continuo nel tempo. Questa configurazione psichica coesiva e permanente forma il settore centrale della personalità (Kohut, 1977). • La concezione del neonato come groviglio di impulsi e bisogni meramente fisici, come tabula rasa governata solo da impulsi, non tiene presente che… …la caratteristica più notevole dei bambini di ogni età è tuttavia la loro capacità di generare intenzioni o stati motivazionali coerenti: non sono in balia degli stimoli, né in costante conflitto di impulsi. (Trevarthen*, 1980, tr. it 1998, p. 34) * C. Trevarthen è neuroscienziato e psicologo dello sviluppo. • Sin dall’origine, l’essere umano può essere immaginato come un centro attivo dotato di intenzionalità, con caratteristiche proprie (anche se solo potenziali), impegnato a evolvere e a conoscere se stesso e il mondo che lo circonda. Per Trevarthen (1997) i neonati hanno un’innata capacità di autoriferimento. Per la Scuola della M. Klein un “Io” esiste già al momento della nascita. Anche per R. Fairbairn il bambino ha un Io unitario e in interazione col mondo già alla nascita. In Carl Rogers alla base dello sviluppo della personalità vi è il concetto di organismo inteso come un tutto-unico, non scindibile in parti separate, una «persona» dotata di una propria «tendenza attualizzante». Kohut parla di un Sé nucleare. Una delle difficoltà del lavorare con i neonati è che possiedono menti proprie. Talvolta, quando non fanno determinate cose, è perché non vogliono farle, mentre quando vogliono fare qualcosa, ce la mettono davvero tutta. Trevarthen (1997, p. 149). • Il neonato viene alla luce con un sé giocoso, espressivo e portato alla sperimentazione, pronto ad esplorare ed ad usare oggetti e a comunicare con le altre persone su come usarli Un bimbo di due mesi è una personalità complessa, capace di distinguere le persone da altri oggetti “fisici”, trattandole come una categoria di importanza primaria per il proprio sviluppo. Trevarthen (1974, tr. it. 1998, p. 43) • Un bambino ha una sua “voce” che non ha niente a che vedere con l’esigenza di essere nutrito, rimanere al sicuro e protetto: le protoconversazioni hanno inizio quando il bambino non si accontenta di rimanere al sicuro e si cimenta in “conversazioni” con i fratelli, i genitori, altri bambini della sua età. Questo comportamento rappresenta uno scambio reciproco. (Trevarthen 1997, p. 147) 4. L’individuo è auto-etero-regolato → si parla di regolazione interattiva/bidirezionale, coregolazione, regolazione armoniosa/disarmoniosa ecc. BAMBINO CAREGIVER • Il fattore a-specifico comune alle relazioni educativa, psicoterapica e, in generale, a ogni autentica relazione, risiede nella capacità di riconoscere, empatizzare, risuonare con il vissuto dell’altro che dipende da quel nucleo di soggettività che ciascuno reca in sé – E. Fromm parlava a tale proposito dell’importanza che in terapia si stabilisca un center-to-center relatedness, piuttosto che una conoscenza «intorno al paziente» (cfr. a tale proposito anche Bion: L/H/K vs –L/-H/-K) – la psicoterapia, per Winnicott, è un «giocare assieme» o, meglio, un permette di giocare a chi non sa farlo • Quando l’interazione «funziona», c’è senso di: – – – – – – benessere essere in contatto con incontro (cfr. «momenti incontro», Sander, Stern) sentirsi riconosciuto e esistere in quanto persona (Fairbairn) sense of fulfillment (senso di appagamento) (Tronick, 1998) si sperimentano momenti affettivi intensi (Beebe, Lachmann, 1994; Kernberg, 2005) • Sander cita il gioco dello scarabocchio di Winnicott dove si raggiunge un «momento inviolabile» in cui il bambino sa di essere conosciuto → questa consapevolezza permette l’emergenza del Sé agente e di una coerenza fra dentro e fuori. – Tale interazione non è di tipo verbale, se non parzialmente, ma piuttosto è una «conoscenza relazionale implicita» (Lyons-Ruth, 1998) che opera «molto prima che sia disponibile il linguaggio e continua a operare implicitamente per tutto il resto della vita» e che non è mai completamente traducibile a livello linguistico. • Anche a livello psicoterapico, una grande quantità di interazioni di svolge a livello implicito, preverbale, di interazione sistemica. • Fogel parla della psicoterapia come di co-regolazione dei partner a partire da una concezione relazionale (non di inputoutput → cfr., in parte, processi di proiezioni/introiezione in M. Klein) Conoscenza relazionale implicita/procedurale ↔ conoscenza relazionale esplicita/semantica • Abbiamo quindi: 1. Una conoscenza relazionale implicita, presimbolica, pre-verbale, fatta di «modi di essere con» che, ripetuti, si organizzano in 2. «schemi di modi di essere con» (Stern, 1995), “modelli operativi interni” (Bowlby), “involucri protonarrativi”, “temi di organizzazione” (Sander, 1997), “script relazionali” (Trevarthen, 1993). 3. Questi schemi vengono generalizzati verso la fine del primo anno e danno vita, progressivamente, a dei prototipi di relazione semanticamente codificati, a delle rappresentazioni simboliche del Sé e dell’oggetto, che creano attese di come l’altro dovrebbe essere nell’interazione e di come il Sé è nell’interazione. → Occorre pensare a una comunicazione di tipo musicale, ritmico, fatta di «risonanze» (Sander) e sfumature, sguardi e intese, «accoppiamenti strutturali» (Maturana, Varela): è un giocare assieme, una capacità di stare in contatto empatico. • Patologia vista come incremento dell’autoregolazione come esito del fallimento della regolazione interattiva – Es. nell’esperimento del viso immobile di Tronick (vedi sopra) si assiste a un incremento nel bambino di comportamenti autoregolatori accompagnati da tristezza – rottura/riparazione (Tronick e Cohn, 1989) • nel gioco faccia a faccia, madre e bambino passano continuamente da stati coordinati a stati non coordinati. Gli stati non coordinati sono molto più pervasivi e sono presenti per circa i 2/3 del tempo. • attraverso ripetute esperienze di rottura e riparazione (normal stressful social engagement), il bambino diventa via via più capace di gestire rotture relazionali (Tronick, 2006) Per Tronick la riparazione è predittiva di un esito positivo dello sviluppo: l’esperienza di disgiunzione dalla madre e della successiva riparazione senza ritorsioni (cfr. anche Winnicott) porterebbe allo sviluppo dell’organizzazione del Sé e della sua capacità di resistere allo stress relazionale, accrescendo la fiducia nella possibilità di riparazione e nella solidità del legame. • l’esperienza cronica del fallimento relazionale, di momenti mancati (Sander, 1995), come nel caso di madri depresse, fa sì che il bambino adotti uno stile di regolazione auto-diretta: il bambino si focalizza sul contenimento delle proprie emozioni negative, ritirando l’interesse e il coinvolgimento nei confronti dell’ambiente di cura vissuto come inaffidabile. • Un esempio di fallimento ambientale che genera comportamenti autoregolati: la depressione anaclitica descritta da R. Spitz (1952) • Es. la concezione di Fairbairn è sistemica: quando vi sono interazioni «cattive» (in cui cioè il bambino non si sente riconosciuto) quelle «parti» dell’Io del bambino che sono in relazione con l’oggetto cattivo si separano dall’Io centrale e smettono di evolvere. • Ecco perché l’inconscio è fatto di «oggetti cattivi» e arcaici, ma anche di idealizzazioni e di desideri altrettanto arcaici (io libidico) che rappresentano pretese irrealistiche e primitive di soddisfacimento rivolte all’oggetto. • Ora la domanda è: sono i fallimenti del caregiver ad aver generato la sensazione che l’oggetto è insoddisfacente o è l’eccesso pulsionale e le caratteristiche di sensibilità del soggetto ad averlo percepito tale? Lo spostarsi più sul versante della «sensibilità»/fantasie del soggetto comporta un pensiero più di tipo psicoanalitico. • Le due dimensioni dell’intersoggettività: “insieme con” e “distinti da”, appartenere vs. individuarsi – Il bambino gioca e la madre rimane sullo sfondo (cfr. base sicura di Bowlby, casa madre di Mahler ecc.), come quando il bambino sta solo intento a esplorare le proprie mani in presenza della madre impegnata in altre attività (Sander) • Cfr. Winnicott/Balint: la madre permette al bambino di funzionare in maniera non integrata, permettendogli di esistere non in quanto in grado di attivare comportamenti «finalizzati», ma semplicemente, senza necessità di fare alcunché. – B. Beebe individua proprio nell’alternarsi di regolazione e adattamento il modo di formarsi del legame di attaccamento. Esso sarebbe il risultato di un processo co-costruito e non solo l’esito della generica sensibilità del partner nei confronti dell’altro o la riproduzione del modello proto tipico infantile del legame ai genitori come nei tradizionali studi bowlbiani. • Questa ipotesi spiegherebbe per Beebe la scarsa correlazione emersa fra la rappresentazione delle esperienze relazionali precoci, rilevate attraverso l’AAI, e i modelli di attaccamento al partner infatti, sebbene molti aspetti della relazione precoce sia ri-creati nel corso di nuove relazioni, su tale base i due partner co-costruiscono un loro specifico modello relazionale nel corso della relazione condivisa. • Beebe vede proprio nella coordinazione vocale ritmica uno dei meccanismi non verbale che contribuiscono alla co-creazione dell’attaccamento e dei modelli di intimità anche nell’età adulta. Aggancio-sgancio relazionale 1. Nei momenti di intesa relazionale c’è un funzionamento coordinato dei sue sistemi viventi autoregolati (bambino-caregiver) che genera a) senso di pienezza e b) un’ «espansione della coscienza», in quanto il sistema vivente del bambino è arricchito e conosce un’espansione dall’essere immesso nel sistema più comprensivo della diade bambino-caregiver 2. Nei momenti di «sgancio» relazionale, il bambino si stacca dall’interazione con la madre e ricomincia a «funzionare» da solo, ricreando una propria organizzazione interna. È il momento che Winnicott definisce col seguente paradosso: «Il bambino scopre di essere solo in presenza di un’altra persona». La cosa può anche essere detta in questa maniera: la relazione non è mai simbiosi, ma rapporto sempre vivo e dinamico fra due sistemi viventi che si possono relazionare in quanto diversi. • Siamo delle turbolenze (Meltzer), vortici intensamente dinamici, potenzialmente caotici, sempre a bordo fra ordine e caos, ma dotati di «centro», di sostanziale e inalienabile capacità di «ritorno a sé». – prospettiva dello sviluppo come di un processo non lineare, né armonico, né prevedibile – A livello educativo non è importante correggere e intervenire solamente sulle possibili deviazioni del vortice quanto di assicurare a esso una capacità di ri-centrarsi tramite comunicazioni e rispecchiamenti empatici • La teoria della mente. La teoria della mente è intesa come la capacità di riconoscere gli stati mentali propri e altrui nonché di prevedere il comportamento a questi connesso. La capacità di riflettere sui propri stati mentali si sviluppa attraverso l’esperienza di essere stato compreso a propria volta […] l’incontro con la mente dell’altro significativo, una mente disponibile e accogliente, in grado di tollerare e contenere sentimenti positivi e negativi, si pone come pietra miliare dell’attaccamento di tipo sicuro rendendo il bambino capace di avventurarsi con fiducia nell’esplorazione della propria e altrui soggettività (Liverta Sempio).