Psicologia della personalità S. Polenta A.A. 2011-2012 Contenuti del corso 1. I diversi approcci allo studio della personalità 2. La psicologia della personalità secondo l’approccio psicoanalitico 3. Analisi di singoli casi e valutazioni psicologicoeducative Obiettivi del corso 1. possedere un quadro generale della psicologia della personalità 2. maturare competenze applicative di base per valutare singoli casi STUDENTI FREQUENTANTI (PRESENZA/DISTANZA) Corso da 5 cfu (30 ore) 1. M. Waddell, Mondi interni. Psicoanalisi e sviluppo della personalità, Bruno Mondadori 2000 2. D. Winnicott, Dal luogo delle origini, Raffaello Cortina 1990, pp. 11-47 3. A. Lis, S. Stella, G.C. Zavattini, Manuale di psicologia dinamica, Il Mulino 1999, M. Klein (pp. 157-176); R. Fairbairn (pp. 177-191); D. Winnicott (pp. 191-208); W.R. Bion (pp. 273-290) Corso da 6 cfu (36 ore) • Aggiungere: L. Carli, C. Rodini (a cura di), Le forme di intersoggettività, Raffaello Cortina, Milano 2008, pp. XI-49 STUDENTI NON FREQUENTANTI (per entrambi i corsi da 5 o 6 cfu) Sono da aggiungere i seguenti testi: • Un testo introduttivo alla personalità (come L. Di Blas, Che cos’è la personalità, Carocci, Roma 2002 oppure J.B. Wagstaff (1998), La personalità, tr. it. Il Mulino 1999); • A. Nunziante Cesàro, V. Bousier, Psicoanalisi dello sviluppo, Armando, Roma 2004. N° lezione Argomenti Lezione 1 Introduzione al corso; concetti principali della psicologia della personalità; il concetto di intenzionalità e il ripensamento della diade natura/cultura Lezione 2 Approcci allo studio della personalità. Esercitazioni in aula Lezione 3 Lo sviluppo della personalità nel ciclo di vita: fra appartenenza e individuazione. Esercitazione in aula. Lezione 4 Il mondo interno. Esercitazione in aula Lezione 5 Prima appartenere, poi individuarsi: l’importanza delle relazioni. Il pensiero di D. Winnicott. Esercitazione in aula Lezione 6 M. Klein e R. Fairbairn. Esercitazione in aula Lezione 7 J. Bowlby e M. Mahler. Esercitazioni in aula. Lezione 8 Il bambino da 6 a 10 anni. Lezione 9 (per chi frequenta Le forme di intersoggettività secondo l’epistemologia della complessità il corso da 6 cfu) introduzione • Contrariamente a quanto potrebbe pensare chi non si occupa di psicologia a livello accademico, la psicologia della personalità rappresenta un ambito della psicologia generale non particolarmente frequentato. → Infatti la personalità rappresenta un costrutto complesso, che è difficile intendere come «somma delle parti», ovvero come un insieme dei diversi sotto-sistemi che costituiscono l’uomo. La persona va studiata nella sua totalità e non se ne può studiare un aspetto isolato da tutto il resto. La persona vivente può essere capita come un tutto unico e nella sua vitalità. E. Fromm → gli individui non sono un «insieme di parti», ma sono un tutt’uno, sono dotati di un’autoorganizzazione che fa sì che le varie parti sia integrate in un sistema vivente. Es. Louis Sander, Sistemi viventi Le persone formulano significati e a questi reagiscono. Aspirano a comprendere se stesse e il significato che gli eventi di cui sono testimoni rivestono per loro stesse. Non vi è certezza che le procedure scientifiche tradizionali di frammentare un sistema e ridurlo ai suoi componenti siano sufficienti per comprendere questi processi di costruzione del significato. Certo, molti studiosi non le ritengono sufficienti e hanno avvertito gli psicologi circa i pericoli insiti nell’importare i metodi delle scienze fisiche nello studio dei sistemi di significato umani […] Per tali studiosi, l’idea che le persone siano composte da «parti» è «nel migliore dei casi una metafora» (Harré 1998, p. 15). Il rischio di adottare questa metafora è che, per usare un cliché, «il tutto possa essere più grande della somma delle parti». Per analogia, prendiamo in esame un capolavoro artistico come la Monna Lisa di Leonardo da Vinci. In teoria, se ne possono analizzare le diverse parti: un colore utilizzato in una zona del dipinto, un altro impiegato poco lontano e così via. Ma questo genere di analisi non ci consente di comprendere la grandezza del dipinto. Allo stesso modo, un elenco delle parti psicologiche di un individuo può, in teoria, non essere in grado di ritrarre la persona e i processi evolutivi che hanno contribuito a crearne l’unicità. Un interrogativo essenziale […] è se i teorici della personalità hanno la stessa abilità di Leonardo da Vinci a fornire un ritratto psicologico olistico di individui complessi. (Cervone, Pervin, 2008, tr. it. 2009, p. 31) • La psicologia della personalità rappresenta una competenza importante per chi si relaziona, per professione, con altri esseri umani. → tutti abbiamo una nostra psicologia della personalità implicita e la utilizziamo per formulare giudizi e per capire chi ci sta di fronte e quali possano essere le sue motivazioni. • Questa psicologia implicita non va disprezzata, anzi: costituisce la base a partire dalla quale noi possiamo provare reazioni nei confronti dell’altro che ci permettono di sentirlo, di capirlo e, quindi, di aiutarlo. → In queste «reazioni» c’è il nostro modo di essere, di valutare e di sentire che dipende dalle nostre motivazioni e affetti… da ciò che siamo! → non possiamo prescindere dal nostro modo di essere: sarebbe inutile e ingiusto, perché dovremmo abdicare da noi stessi. → poiché, però, in ogni relazione, anche quelle di aiuto, «ci si mette in gioco» innanzitutto per quello che siamo è importante portare a «riflessività» la «psicologia implicita» che ciascuno possiede: senza «specchi» non ci si vede; senza formazione (iniziale e continua), senza supervisione e confronto non si avrebbe il controllo delle proprie intuizioni. L’intuizione non è qualcosa di dato. Io ho addestrato la mia intuizione ad accettare come ovvie delle forme che in principio venivano rifiutate come assurde, e trovai che chiunque altro può fare lo stesso B. Mandebrot • Quindi, da un lato occorre partire da se stessi; dall’altro occorre riflettere su se stessi per crescere e cambiare. • Tutte quelle attività che partono dal nostro essere e che, dopo il periodo di apprendimento e formazione, continuano a restare espressione spontanea del nostro modo di essere, pur educate, contengono una qualità artistica. – L’educatore è un artista quanto riesce a comportarsi in modo spontaneo, diretto e personale pur avendo riflettuto molto sulla sua pratica, pur essendosi molto «formato». • Come pensate che si formi la personalità? Se vuoi essere un vero psicoanalista… Se vuoi essere un vero psicoanalista, devi avere un grande amore per la verità, la verità scientifica come quella personale, e devi porre quest’apprezzamento della verità al di sopra di ogni difficoltà legata al mondo esterno e a te stesso. Inoltre, penso che uno psicoanalista dovrebbe nutrire [un interesse] per la sociologia, la religione, la letteratura e la storia […], altrimenti la sua visione del paziente rischia di essere troppo limitata. Dovresti leggere molto e interessarti alle letterature di molti paesi e culture. Tra le grandi figure letterarie troverai persone che conoscono la natura umana almeno quanto gli psicologi e gli psichiatri si sforzano di fare. (Stralcio di una lettera che A. Freud scrisse al figlio quattordicenne di Heinz Kohut che aveva manifestato il desiderio di diventare psicoanalista) 1. Amore per la verità 2. Avere una visione ampia, non limitata e solo «tecnicistica» dell’altra persona → lo psicologo dovrebbe essere un esperto di «umanità» → a tale scopo è utile la comprensione dell’uomo che i grandi letterati si sono sforzati di raggiungere • Affinché il nostro modo di essere si sviluppi con autenticità è necessario non mentire, con se stessi e con gli altri, pena la progressiva perdita di significato dell’esperienza personale ed esistenziale e il corrompersi delle relazioni. – E. Fromm nel parlare di psicoanalisi si rifà al detto evangelico «la verità vi renderà liberi» per sottolineare che la verità ha una particolare qualità, che raggiunge direttamente le persone e le fa sentire reali; senza verità si ripiomba in un’atmosfera di irrealtà. • Bion ha indagato il mentire «cattivo»* – nel senso del mistificare, del misconoscere degli affetti e del non fare autentica esperienza emotiva. • Egli pensa che ci sia un mentire: – nell’amore, che genera cinismo; – nell’odio, che lo trasforma in bigottismo; – nel conoscere, che genera ipocrisia. * il mentire «buono» potrebbe invece essere quello legato alla paura • Il «mentire» rappresenta un’impossibilità di fare un’autentica esperienza emotiva e pertanto di crescere, perché ci si sbarazza delle emozioni che rappresentano la «base» del mio «essere». → Bion dice che l’esperienza emotiva autentica è una forma di «legame», nel senso che permette di legare ciò che è soggettivo (sentire) con l’oggetto* → crescere significa «legare» la mia emotività con la realtà esterna; se il legame autentico è frainteso, la crescita sarà «tutta sbagliata», all’insegna del fraintendimento e della perversione * «oggetto» è un termine tecnico in psicoanalisi, oltre che intuitivo, che, in breve, allude a ciò che è altro da me, ciò verso cui gli affetti sono diretti. • Nella relazione educativa amore/odio/conoscenza (L, H, K = Love/Hate/Knowledge) potrebbero essere tradotti come segue: – Amore → cura, premura, interesse acché l’altro esista e cresca libero – Odio → la ripulsa, il rigettare ciò che dell’altro mi urta e infastidisce, il rimettere ciascuno al proprio posto – Conoscenza → interesse per come l’altro «funziona» (a livello mentale, fisico, emotivo), l’altro come «sistema vivente» avente una sua propria dinamica – Cinismo → mancanza della capacità di prendersi cura dell’altro e disinteresse profondo per il suo destino, incapacità di coinvolgimento emotivo, di commozione. Fromm dice che la profonda incapacità di amare si trasforma in mancanza di interesse per ciò che è vivo e quindi in necrofilia, attrazione per ciò che è morto → mancanza di «calore» – Bigottismo → provare amore mentre invece si disprezza, fingere in amore (diverso dall’incapacità di amare), ammantare, mistificare, non provare vergogna per il proprio odio, incapacità di sentirsi creatura colpevole, onnipotenza → mancanza di senso di colpa – Ipocrisia → distorcere la verità, disinteresse verso la verità, mancanza di devozione verso le cose, disprezzo per come le cose sono ed evolvono, senso di trionfo sulle cose/persone, attitudine «pornografica»; l’incapacità profonda di comprendere si trasforma in distruttività e incapacità di cambiare. Fromm dice che prevale la conoscenza come «avere» piuttosto che come «essere» → mancanza di interesse autentico. Es. Angelo Izzo: il «mostro del Circeo» ROMA - Romano ed ex 'pariolino', estremista di destra, circa 50 anni, Angelo Izzo, arrestato oggi in Molise, è salito alla ribalta della cronaca nel 1975, con Gianni Guido e Andrea Ghira, per lo spaventoso episodio del 'massacro del Circeo'. I tre 'ragazzi bene' invitarono Maria Rosaria Lopez e Donatella Colasanti ad una 'festa' nella villa di Ghira, al Circeo, e lì le seviziarono e massacrarono. La Lopez morì e la Colasanti si salvò, in terribili condizioni, fingendosi morta. I corpi delle due ragazze furono abbandonati dai tre nel bagagliaio di un'auto, a Roma. Izzo e Guido furono arrestati il giorno dopo. Ghira è ancora latitante. Il processo, svoltosi nell' estate del 1976 davanti ai giudici della corte di assise di Latina, si concluse con la condanna degli imputati all'ergastolo, grazie alla ricostruzione fatta dalla Colasanti. I difensori degli imputati tentarono inutilmente di ottenere il riconoscimento di una totale o parziale capacità di intendere e volere dei loro assistiti. In appello (ottobre 1980) l'ergastolo fu confermato per Izzo e Ghira mentre a Guido furono riconosciute le attenuanti generiche e la pena fu tramutata in 30 anni di carcere. Quest'ultima decisione suscitò molte polemiche anche perchè motivata dal versamento di 100 milioni di lire, fatto, a titolo di risarcimento, dai Guido ai familiari della Lopez. La stessa cifra fu invece rifiutata dalla Colasanti. Nel settembre del 1983 la Cassazione confermò la sentenza di appello.» Durante la detenzione, Izzo comincia a collaborare con la giustizia, anche se spesso le sue dichiarazioni non hanno trovato riscontri. E altrettanto spesso ha anche cercato di evadere, con alterni risultati. Nel 1977 fallisce un tentativo di evadere dal carcere di Latina, facendosi scudo del maresciallo delle guardie di custodia. Nel gennaio 1986, nel supercarcere di Paliano, viene scoperto un altro piano di fuga attribuito a lui. Il 25 agosto 1993 riesce ad allontanarsi dal carcere di Alessandria, durante un permesso, ma viene arrestato a Parigi a metà settembre, armato di una rivoltella con dieci milioni in contanti ed estradato in Italia. Nel 1995, mentre era nel carcere di Prato, confessa un omicidio, mai scoperto, che sarebbe avvenuto nel 1975. La vittima era un malavitoso che si sarebbe impadronito del bottino di una rapina compiuta da un gruppetto di estremisti di destra. Tre le 'rivelazioni' di Izzo, un' accusa ad Andrea Ghira di aver sparato a Giorgiana Masi, usando le armi che avevano in dotazione nel gruppo eversivo di cui faceva parte, chiamato "Drago", e versioni (quasi tutte apprese in carcere) sulla strage di piazza Fontana, quella della stazione di Bologna, quella di piazza della Loggia a Brescia, l'uccisione di Mino Pecorelli, quella di Fausto e Iaio, quella di Piersanti Mattarella, e diversi altri episodi di terrorismo e mafia. Gianni Guido, nel 1981, riuscì ad evadere dal carcere di San Gimignano. Due anni dopo fu arrestato in Argentina, ma anche da lì riuscì ad allontanarsi dall'ospedale dove era ricoverato. Guido fu poi arrestato di nuovo a Panama, nel 1994, ed estradato in Italia. Andrea Ghira non è mai stato arrestato e presunti suoi avvistamenti sono stati segnalati, in diversi periodi, in Brasile, Kenya, Sudafrica. (30 aprile 2005, http://www.repubblica.it/2005/d/sezioni/cronaca/izz/schedci/schedci.html) • Anna Freud sostiene anche che occorre essere interessati all’umano in tutte le sue espressioni: artistica, religiosa, storica, sociologica. I poeti sono alleati preziosi, e la loro testimonianza deve essere presa in attenta considerazione, giacché essi sono soliti sapere una quantità di cose tra il cielo e la terra che la nostra filosofia neppure sospetta. Particolarmente nelle conoscenze dello spirito essi sorpassano di gran lunga noi comuni mortali, poiché attingono a fonti che non sono state scoperte dalla scienza S. Freud (Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di Wilhelm Jensen, 1907, in Opere, vol. V, Boringhieri, Torino, p. 264). Concetti fondamentali della psicologia della personalità • «Tutti i teorici utilizzano il termine personalità per fare riferimento a qualità psicologiche che contribuiscono a creare le strutture persistenti e caratterizzanti del singolo, come il sentire, il pensare e il comportarsi» (Gervone, Pervin 2008, tr. it. 2009, p. 9) • Con temperamento ci si riferisce alle tendenze innate e biologicamente predisponenti della personalità*. *Quando si parla di costituzione si intende qualcosa di più vincolante della tendenza temperamentale, cioè a caratteristiche innate che si riverberano in maniera diretta sulla personalità • In ambito psicoanalitico, per Freud l’Io è quella parte della psiche che ha l’incarico di mediare fra le richieste della realtà esterna e quelle che provengono dall’interno della psiche, cioè le pulsioni inconsce dell’Es e norme morali introiettate (Super-Io). • I tratti caratteriali sono il risultato del modo in cui le pulsioni inconsce sono state plasmate dall’ambiente (in Freud: carattere orale/anale/genitale). Si usa il termine carattere quando questi tratti caratteriali caratterizzano tutta la personalità (in tal senso W. Reich aveva parlato di «corazza caratteriale») • Più in generale «carattere» è un termine che è stato spesso usato in alternativa a quello di «personalità» per riferirsi a quell’insieme di tendenze comportamentali che fanno sì che una persona agisca con coerenza rispetto a determinati costumi o valori (Caprara-Gennaro, 1999, p. 108). • Il concetto di Io è andato nel tempo assumendo dei connotati più ampi. In M. Klein e R. Fairbairn l’Io è presente sin dalla nascita. In autori come Kohut, Winnicott e Jacobson l’Io come prodotto dell’interazione fra pulsioni e realtà lascia via via posto al concetto di Sé, che rappresenta il nucleo centrale della persona ed è presente e attivo sin dalla nascita. • Dal Sé occorre distinguere la rappresentazione di sé: il Sé contiene una parte attiva (Sé nucleare) e una parte ricettiva (risposte ambientali/degli altri): facendo proprie tali risposte il Sé nucleare si forma un concetto di Sé. – James, in tal senso, usa il termine Sé intendendo l’insieme di queste due componenti, il Sé agente (che egli chiama Io) e il Sé riflesso (che egli chiama Me). • Il termine identità si può considerare meno specifico e meno usato in senso tecnico. Allude al senso di identità, alla capacità di sentirsi sé stessi, identici nel tempo. A seconda delle prospettive teoriche, tale senso di identità può essere percepito come continuità a un nucleo del Sé originario (come il Vero Sé di Winnicott o il Sé nucleare di Kohut) o come un prodotto che trae la sua consistenza da determinazioni ambientali (si veda ad esempio il concetto di maschera in Pirandello). Il bambino «intenzionale» • Una delle caratteristiche più evidenti delle persone è che sono attive e manifestano un comportamento «intenzionale». • Il concetto di intenzionalità è più semplice da riconoscere che non da descrivere. – Il biologo S. Kauffman dice: quando chiamo il mio cane, mi guarda. È un comportamento intenzionale. • L’idea che la personalità sia il frutto dell’interazione fra predisposizioni temperamentali/costituzionali (genetiche) e influenze ambientali non rende conto del fatto che gli individui sono «centri attivi» di interessi e motivazioni, che percepiscono le esperienze come «proprie»: …alla base del nostro senso di essere un centro indipendente di iniziativa e di percezione, integrato, con le nostre ambizioni e i nostri ideali più centrali, con la nostra esperienza che la mente e il corpo formano un’unità nello spazio e un continuo nel tempo. Questa configurazione psichica coesiva e permanente forma il settore centrale della personalità (Kohut, 1977). La concezione del neonato come groviglio di impulsi e bisogni meramente fisici, come tabula rasa governata solo da impulsi, non tiene presente che… …la caratteristica più notevole dei bambini di ogni età è tuttavia la loro capacità di generare intenzioni o stati motivazionali coerenti: non sono in balia degli stimoli, né in costante conflitto di impulsi. (Trevarthen*, 1980, tr. it 1998, p. 34) * C. Trevarthen è neuroscienziato e psicologo dello sviluppo. • Per W. Freeman (neuroscienziato) l’intenzionalità e il produrre azioni dirette verso uno scopo è una caratteristica di base del nostro cervello. …la diade deterministica natura-cultura… non riesce a tenere conto della capacità degli esseri intenzionali di costruire e perseguire i propri obiettivi personali nell’ambito del contesto sociale (Freeman, 1999, Come pensa il cervello, tr. it. 2000). Sin dall’origine, l’essere umano può essere immaginato come un centro attivo dotato di intenzionalità, con caratteristiche proprie (anche se solo potenziali), impegnato a evolvere e a conoscere se stesso e il mondo che lo circonda. Donald Winnicott ha utilizzato il termine di “vero Sé” per alludere alla spontaneità originaria del soggetto. Un individuo è «sano» quando riesce a percepire di «star vivendo la propria vita» Per la Scuola della Melanie Klein un “Io” esiste già al momento della nascita. Anche Ronald Fairbairn pensava che il bambino avesse un Io unitario e in interazione col mondo già alla nascita. Per Trevarthen (1997) è possibile parlare in modo sensato di “intenzionalità” nei neonati. A suo parere i neonati hanno un’innata capacità di autoriferimento. I ricercatori dell’Infant Research parlano di dello sviluppo del Sé non solo quale esito di regolazioni intersoggettive ma anche di “autoregolazioni”, cioè di avere una propria «logica» interna di funzionamento, di essere «autonomo» e non solo «eteronomo». In Carl Rogers alla base dello sviluppo della personalità vi è il concetto di organismo inteso come un tuttounico, non scindibile in parti separate, un tutto irriducibile alla semplice somma delle parti, una «persona». Kohut parla di un Sé nucleare. Una delle difficoltà del lavorare con i neonati è che possiedono menti proprie. Talvolta, quando non fanno determinate cose, è perché non vogliono farle, mentre quando vogliono fare qualcosa, ce la mettono davvero tutta. Trevarthen (1997, p. 149). • Il neonato viene alla luce con un sé giocoso, espressivo e portato alla sperimentazione, pronto ad esplorare ed ad usare oggetti e a comunicare con le altre persone su come usarli Un bimbo di due mesi è una personalità complessa, capace di distinguere le persone da altri oggetti “fisici”, trattandole come una categoria di importanza primaria per il proprio sviluppo. Trevarthen (1974, tr. it. 1998, p. 43) • Un bambino ha una sua “voce” che non ha niente a che vedere con l’esigenza di essere nutrito, rimanere al sicuro e protetto: le protoconversazioni hanno inizio quando il bambino non si accontenta di rimanere al sicuro e si cimenta in “conversazioni” con i fratelli, i genitori, altri bambini della sua età. Questo comportamento rappresenta uno scambio reciproco. (Trevarthen 1997, p. 147) Sulla scorta di tali considerazioni, Trevarthen è convinto che una visione più chiara di come il cervello umano si sviluppa possa fornire un contributo alle teorie dello sviluppo e ai connessi metodi educativi (1980, tr. it 1998, pp. 1-2). Ma… … sottolinea che man mano che le nostre conoscenze sul cervello aumentano, non diminuisce la distanza fra la logica materialistica della biologia e la consapevolezza che abbiamo come esseri umani di essere dotati di sentimenti complessi e una vita consapevole. Tutto ciò appare alquanto frustrante per lo scienziato moderno, che probabilmente si risolverà ad accogliere una prospettiva di tipo dualistico e a cercare spiegazioni diverse per gli eventi fisiologici da una parte e per quelli mentali o spirituali dall’altra. A chi non è un biologo, o non è impegnato a semplificare il comportamento umano, la natura biologica ereditata dall’uomo appare irrilevante, uno strumento subordinato alla mente, o una fonte di impulsi fastidiosi per la vita personale del “Sé”. Io penso invece che, se vogliamo comprendere il neonato in quanto essere umano, sia necessario affrontare il paradosso che sorge fra mente e materia biologica, da che un bambino piccolo è una giovane mente immersa in materia biologica. Ma ammetto che è facile cadere in una spiegazione molto rozza della mente in termini di pezzettini di strutture cerebrali. Condivido le preoccupazioni di chi si chiede se sarà mai possibile conoscere abbastanza sui pallidi labirinti del cervello da poter indicare il loro esatto contributo alla vita mentale e al comportamento. In particolare, mi sembra lecito domandare che cosa abbiano a che fare i discorsi che facciamo sul cervello con lo sviluppo della coscienza, delle intenzioni e delle relazioni personali nel bambino (Trevarthen). • Gli psicologi sembrano spesso credere che le caratteristiche umane sia determinate alla nascita geneticamente e che in seguito vengano modificate dalle influenze ambientali. Ma è davvero così? (Trevarthen, 1997, tr. it. 1998, p. 3) Se osserviamo lo sviluppo di un essere umano, notiamo che esso inizia sotto la forma di una cellula entro la quale sono combinati i cromosomi di un uomo e quelli di uno spermatozoo. Attraverso migliaia di cicli di divisione cellulare, le molecole dei geni costruiscono immagini di se stesse e le distribuiscono in maniera uguale a ciascuna cellula. Questa chimica eccezionale spiega come i cromosomi riescano a trasmettere informazioni in maniera indistruttibile per formare sempre la stessa specie di organismo (Crick 1962). Alcuni prodotti delle molecole dei geni agiscono “all’indietro”, in modo da esercitare un controllo sul destino dei geni stessi cosicché, poco tempo dopo l’inizio della trascrizione del codice genetico, i processi significativi dello sviluppo non interessano più solamente il livello molecolare, ma quello sovraordinato in cui avviene un’interazione fra membrane e fibre cellulari ripiegate o fra raggruppamenti e strati di cellule, che agiscono come complemento dei geni. Non vi è dubbio, cioè, che il codice genetico agisca come la matrice che può generare infinite copie identiche di giornali, cosicché la trasmissione delle funzioni viventi viene assicurata in maniera assai affidabile attraverso le molteplici replicazioni cellulari. Tuttavia questo non spiega interamente la formazione dei complessi organismi pluricellulari. Il fatto è che i geni, seppure essenziali, non possiedono, in se stessi, alcuna funzione vivente; il loro “codice” deve essere interpretato all’interno della chimica cellulare, della fisiologia e delle abitudini di vita all’interno dell’intero organismo (Srb, Owen, Edgar 1965; Waddington 1966). I geni possiedono significati diversi in diverse forme di vita. Sono come animali domestici in una fattoria di strutture cellulari e, man mano che l’evoluzione procede, essi certamente mutano, adattandoli alle modalità di “allevamento” intracellulare (Grant 1977). Si è ipotizzato che l’evoluzione degli animali sociali operi attraverso geni per l’ “egoismo” o per l’ “altruismo” (Dawkins 1976); ma questi sono concetti che si applicano alla personalità umana, e qualsivoglia egoismo o altruismo il gene possa avere gli viene attributo dalla persona nella quale si trova. Da questo punto di vista è la persona a causare il tratto ereditario o genetico (Trevarthen, 1997, tr. it. 1998, p. 4). • Anche Gabbard (2000, tr. it 2002) evidenzia “che vi sono nella vita periodi definiti durante i quali l’espressione di un gene è dipendente da un certo tipo di influenza ambientale”. – L’impatto dei fattori ambientali spiega le differenze fenotipiche e la discordanza di molte malattie tra gemelli monozigoti. Egli cita alcuni esprimenti: – È stato osservato che in una colonia di scimmie il 20% che manifestava una vulnerabilità genetica alla separazione dalla madre (rilevata in base alle reazioni depressive sviluppate in seguito a brevi separazione e al conseguente aumento del cortisolo e di ACTH). Se queste scimmie venivano affidate a madri particolarmente accuditive riuscivano a integrarsi perfettamente nel gruppo tanto da raggiungere i vertici della gerarchia sociale. – Rosenblum e Andrews (1994) assegnarono piccoli di scimmia casualmente a madri normali e madri rese ansiose da un programma di alimentazione imprevedibile. Le scimmie che erano state accudite da madri ansiose mostravano una diminuita capacità di interazione gruppale ed erano socialmente subordinati, che tuttavia si manifestava quando stavano diventando adulte, confermando l’ipotesi psicoanalitica che disturbi della prima fase dello sviluppo si manifestano in periodi evolutivi successivi. – In Finlandia alcuni ricercatori hanno dimostrato che la terapia psicoanalitica può avere un impatto significativo sul metabolismo della serotonina. Un paziente di 25 depresso e affetto da un disturbo borderline di personalità dopo un anno di psicoterapia presentava, pur senza aver assunto farmaci, una captazione della serotonina normale. Quindi, l’esperienza mentale può influenzare la biologica e viceversa. Se ne deduce che ogni tipo di intervento (educativo, psicologico, psichiatrico, medico) va considerato come “biopsicosociale”. - Ad esempio, i farmaci usati nella psichiatria hanno anche un effetto “psicologico” e gli interventi “psicoterapeutici” influenzano il cervello al di là del loro impatto psicologico. ripensare il rapporto natura-cultura – Il rapporto mente-cervello non è una questione di aut-aut, ma di et-et. – Gabbard parla di una “deplorevole tendenza verso la dicotomizzazione” in cui da un lato si mettono i disturbi di stampo psicologico e dall’altro quelli di origine biologica (da curare farmacologicamente). Questa suddivisione in un approccio biologico e uno psicologico non risponde più alle conoscenze che si stanno acquisendo nell’ambito delle neuroscienze, alla plasticità del cervello, al fatto che i modelli mendeliani dell’ereditarietà non si applicano alle malattie mentali. Pur dovendo preesistere un sostrato genetico che predispone all’insorgenza di una certa malattia mentale, gli studi sulla plasticità cerebrale mostrano che le modalità di sviluppo cellulare non sia regolato solo dai geni, ma ci sia una forte dipendenza da segnali ambientali (Hyman 1999). - Nell’ambito della medicina si assiste a una grande rivalutazione degli aspetti educativo-sociali (arte-terapia, sorrisoterapia, pet-terapia, musico-terapia ecc.), perché si è visto che sono in grado di migliorare assai il benessere del paziente, non solo sul versante “psicologico”, ma anche nella sua capacità di reagire “fisicamente” alla malattia. • Riassumendo, due sono i concetti da tener presente nello sviluppo della personalità: 1. Che gli individui riescono a produrre stati intenzionali, «autogenerati»; 2. Che occorre pensare il biologico e l’ambientale come due poli di un continuum e che non ha senso attribuire in modo rigido un aspetto all’uno o all’altro polo. Centralità dell’emotività • Trevarthen sostiene anche che le emozioni sono regolatrici delle attività psicologiche, non i loro prodotti: «sono cause, non effetti, della percezione e dell'azione». Anche Greenspan e Brazelton, nel loro testo del 2000 (tr. it. 2001) I bisogni irrinunciabili dei bambini, affermano qualcosa di simile a proposito delle emozioni e del Sé: Greenspan: «L’organizzazione delle emozioni si sviluppa prima del controllo motorio. A ogni stadio della crescita cognitiva corrisponde uno stadio precedente nella sfera affettiva che anticipa le interazioni col mondo fisico. Questa organizzazione delle emozioni rappresenta la prima modalità che il bambino ha di acquisire una conoscenza del mondo, e dà avvio alla costruzione del pensiero. Allo stesso modo, è da qui che comincia a delinearsi il senso di Sé, che necessita della consapevolezza di un confine tra le proprie emozioni e quelle che provengono dall’esterno. Anche questa consapevolezza ha le sue radici necessariamente nelle relazioni interpersonali. Non si può fare un esame di realtà senza il senso di sé. Tutto questo comincia nel primo anno, ma poi il bambino lo esplicita, simbolicamente, nel secondo e nel terzo anno, utilizzando parole che hanno un significato affettivo: ‘dammelo’ e ‘no, non puoi averlo’. Ogni interscambio del genere ha un ‘io’ e un ‘tu’ e crea un confine simbolico». Brazelton: «Credo che anche l’intenzionalità cominci nell’utero. I neonati hanno un’intenzionalità» (p. 11)