Psicologia della personalità
S. Polenta
A.A. 2011-2012
Contenuti del corso
1. I diversi approcci allo studio della personalità
2. La psicologia della personalità secondo
l’approccio psicoanalitico
3. Analisi di singoli casi e valutazioni psicologicoeducative
Obiettivi del corso
1. possedere un quadro generale della
psicologia della personalità
2. maturare competenze applicative di base
per valutare singoli casi
STUDENTI FREQUENTANTI (PRESENZA/DISTANZA)
Corso da 5 cfu (30 ore)
1. M. Waddell, Mondi interni. Psicoanalisi e sviluppo della personalità, Bruno
Mondadori 2000
2. D. Winnicott, Dal luogo delle origini, Raffaello Cortina 1990, pp. 11-47
3. A. Lis, S. Stella, G.C. Zavattini, Manuale di psicologia dinamica, Il Mulino
1999, M. Klein (pp. 157-176); R. Fairbairn (pp. 177-191); D. Winnicott (pp.
191-208); W.R. Bion (pp. 273-290)
Corso da 6 cfu (36 ore)
• Aggiungere: L. Carli, C. Rodini (a cura di), Le forme di intersoggettività,
Raffaello Cortina, Milano 2008, pp. XI-49
STUDENTI NON FREQUENTANTI (per entrambi i corsi da 5 o 6 cfu)
Sono da aggiungere i seguenti testi:
• Un testo introduttivo alla personalità (come L. Di Blas, Che cos’è la
personalità, Carocci, Roma 2002 oppure J.B. Wagstaff (1998), La
personalità, tr. it. Il Mulino 1999);
• A. Nunziante Cesàro, V. Bousier, Psicoanalisi dello sviluppo, Armando,
Roma 2004.
N° lezione
Argomenti
Lezione 1
Introduzione al corso; concetti principali della psicologia
della personalità; il concetto di intenzionalità e il
ripensamento della diade natura/cultura
Lezione 2
Approcci allo studio della personalità. Esercitazioni in
aula
Lezione 3
Lo sviluppo della personalità nel ciclo di vita: fra
appartenenza e individuazione. Esercitazione in aula.
Lezione 4
Il mondo interno. Esercitazione in aula
Lezione 5
Prima appartenere, poi individuarsi: l’importanza delle
relazioni. Il pensiero di D. Winnicott. Esercitazione in aula
Lezione 6
M. Klein e R. Fairbairn. Esercitazione in aula
Lezione 7
J. Bowlby e M. Mahler. Esercitazioni in aula.
Lezione 8
Il bambino da 6 a 10 anni.
Lezione 9 (per chi frequenta
Le forme di intersoggettività secondo l’epistemologia della
complessità
il corso da 6 cfu)
introduzione
• Contrariamente a quanto potrebbe pensare chi non
si occupa di psicologia a livello accademico, la
psicologia della personalità rappresenta un ambito
della psicologia generale non particolarmente
frequentato.
→ Infatti la personalità rappresenta un costrutto
complesso, che è difficile intendere come
«somma delle parti», ovvero come un insieme
dei diversi sotto-sistemi che costituiscono l’uomo.
La persona va studiata nella sua totalità e non se ne
può studiare un aspetto isolato da tutto il resto. La
persona vivente può essere capita come un tutto unico
e nella sua vitalità.
E. Fromm
→ gli individui non sono un «insieme di parti», ma
sono un tutt’uno, sono dotati di un’autoorganizzazione che fa sì che le varie parti sia
integrate in un sistema vivente.
Es. Louis Sander, Sistemi viventi
Le persone formulano significati e a questi reagiscono. Aspirano a
comprendere se stesse e il significato che gli eventi di cui sono testimoni
rivestono per loro stesse. Non vi è certezza che le procedure scientifiche
tradizionali di frammentare un sistema e ridurlo ai suoi componenti siano
sufficienti per comprendere questi processi di costruzione del significato.
Certo, molti studiosi non le ritengono sufficienti e hanno avvertito gli psicologi
circa i pericoli insiti nell’importare i metodi delle scienze fisiche nello studio dei
sistemi di significato umani […] Per tali studiosi, l’idea che le persone siano
composte da «parti» è «nel migliore dei casi una metafora» (Harré 1998, p.
15). Il rischio di adottare questa metafora è che, per usare un cliché, «il tutto
possa essere più grande della somma delle parti». Per analogia, prendiamo in
esame un capolavoro artistico come la Monna Lisa di Leonardo da Vinci. In
teoria, se ne possono analizzare le diverse parti: un colore utilizzato in una
zona del dipinto, un altro impiegato poco lontano e così via. Ma questo
genere di analisi non ci consente di comprendere la grandezza del dipinto.
Allo stesso modo, un elenco delle parti psicologiche di un individuo può, in
teoria, non essere in grado di ritrarre la persona e i processi evolutivi che
hanno contribuito a crearne l’unicità. Un interrogativo essenziale […] è se i
teorici della personalità hanno la stessa abilità di Leonardo da Vinci a
fornire un ritratto psicologico olistico di individui complessi. (Cervone,
Pervin, 2008, tr. it. 2009, p. 31)
• La psicologia della personalità rappresenta una
competenza importante per chi si relaziona, per
professione, con altri esseri umani.
→ tutti abbiamo una nostra psicologia della
personalità implicita e la utilizziamo per formulare
giudizi e per capire chi ci sta di fronte e quali possano
essere le sue motivazioni.
• Questa psicologia implicita non va disprezzata, anzi:
costituisce la base a partire dalla quale noi possiamo
provare reazioni nei confronti dell’altro che ci
permettono di sentirlo, di capirlo e, quindi, di aiutarlo.
→ In queste «reazioni» c’è il nostro modo di essere,
di valutare e di sentire che dipende dalle nostre
motivazioni e affetti… da ciò che siamo!
→ non possiamo prescindere dal nostro modo di
essere: sarebbe inutile e ingiusto, perché dovremmo
abdicare da noi stessi.
→ poiché, però, in ogni relazione, anche quelle di
aiuto, «ci si mette in gioco» innanzitutto per quello
che siamo è importante portare a «riflessività» la
«psicologia implicita» che ciascuno possiede:
senza «specchi» non ci si vede; senza formazione
(iniziale e continua), senza supervisione e confronto
non si avrebbe il controllo delle proprie intuizioni.
L’intuizione non è qualcosa di dato. Io ho addestrato la mia
intuizione ad accettare come ovvie delle forme che in
principio venivano rifiutate come assurde, e trovai che
chiunque altro può fare lo stesso
B. Mandebrot
• Quindi, da un lato occorre partire da se stessi;
dall’altro occorre riflettere su se stessi per crescere
e cambiare.
• Tutte quelle attività che partono dal nostro essere e
che, dopo il periodo di apprendimento e formazione,
continuano a restare espressione spontanea del nostro
modo di essere, pur educate, contengono una qualità
artistica.
– L’educatore è un artista quanto riesce a comportarsi in modo
spontaneo, diretto e personale pur avendo riflettuto molto
sulla sua pratica, pur essendosi molto «formato».
• Come pensate che si formi la personalità?
Se vuoi essere un vero psicoanalista…
Se vuoi essere un vero psicoanalista, devi avere un grande amore per
la verità, la verità scientifica come quella personale, e devi porre
quest’apprezzamento della verità al di sopra di ogni difficoltà
legata al mondo esterno e a te stesso.
Inoltre, penso che uno psicoanalista dovrebbe nutrire [un interesse] per
la sociologia, la religione, la letteratura e la storia […], altrimenti la
sua visione del paziente rischia di essere troppo limitata.
Dovresti leggere molto e interessarti alle letterature di molti paesi e
culture. Tra le grandi figure letterarie troverai persone che
conoscono la natura umana almeno quanto gli psicologi e gli
psichiatri si sforzano di fare.
(Stralcio di una lettera che A. Freud scrisse al figlio quattordicenne di
Heinz Kohut che aveva manifestato il desiderio di diventare psicoanalista)
1. Amore per la verità
2. Avere una visione ampia, non limitata e solo
«tecnicistica» dell’altra persona → lo psicologo
dovrebbe essere un esperto di «umanità» → a
tale scopo è utile la comprensione dell’uomo che
i grandi letterati si sono sforzati di raggiungere
• Affinché il nostro modo di essere si sviluppi con
autenticità è necessario non mentire, con se stessi e
con gli altri, pena la progressiva perdita di significato
dell’esperienza personale ed esistenziale e il
corrompersi delle relazioni.
– E. Fromm nel parlare di psicoanalisi si rifà al detto
evangelico «la verità vi renderà liberi» per sottolineare che la
verità ha una particolare qualità, che raggiunge direttamente
le persone e le fa sentire reali; senza verità si ripiomba in
un’atmosfera di irrealtà.
• Bion ha indagato il mentire «cattivo»* – nel senso
del mistificare, del misconoscere degli affetti e del
non fare autentica esperienza emotiva.
• Egli pensa che ci sia un mentire:
– nell’amore, che genera cinismo;
– nell’odio, che lo trasforma in bigottismo;
– nel conoscere, che genera ipocrisia.
* il mentire «buono» potrebbe invece essere quello legato alla paura
• Il «mentire» rappresenta un’impossibilità di fare
un’autentica esperienza emotiva e pertanto di crescere,
perché ci si sbarazza delle emozioni che rappresentano
la «base» del mio «essere».
→ Bion dice che l’esperienza emotiva autentica è
una forma di «legame», nel senso che permette di
legare ciò che è soggettivo (sentire) con l’oggetto*
→ crescere significa «legare» la mia emotività
con la realtà esterna; se il legame autentico è
frainteso, la crescita sarà «tutta sbagliata»,
all’insegna del fraintendimento e della
perversione
* «oggetto» è un termine tecnico in psicoanalisi, oltre che
intuitivo, che, in breve, allude a ciò che è altro da me, ciò verso
cui gli affetti sono diretti.
• Nella relazione educativa amore/odio/conoscenza (L,
H, K = Love/Hate/Knowledge) potrebbero essere
tradotti come segue:
– Amore → cura, premura, interesse acché l’altro
esista e cresca libero
– Odio → la ripulsa, il rigettare ciò che dell’altro mi
urta e infastidisce, il rimettere ciascuno al proprio
posto
– Conoscenza → interesse per come l’altro
«funziona» (a livello mentale, fisico, emotivo),
l’altro come «sistema vivente» avente una sua
propria dinamica
– Cinismo → mancanza della capacità di prendersi cura dell’altro
e disinteresse profondo per il suo destino, incapacità di
coinvolgimento emotivo, di commozione. Fromm dice che la
profonda incapacità di amare si trasforma in mancanza di
interesse per ciò che è vivo e quindi in necrofilia, attrazione per
ciò che è morto → mancanza di «calore»
– Bigottismo → provare amore mentre invece si disprezza,
fingere in amore (diverso dall’incapacità di amare), ammantare,
mistificare, non provare vergogna per il proprio odio, incapacità
di sentirsi creatura colpevole, onnipotenza → mancanza di
senso di colpa
– Ipocrisia → distorcere la verità, disinteresse verso la verità,
mancanza di devozione verso le cose, disprezzo per come le
cose sono ed evolvono, senso di trionfo sulle cose/persone,
attitudine «pornografica»; l’incapacità profonda di comprendere
si trasforma in distruttività e incapacità di cambiare. Fromm dice
che prevale la conoscenza come «avere» piuttosto che come
«essere» → mancanza di interesse autentico.
Es. Angelo Izzo: il «mostro del Circeo»
ROMA - Romano ed ex 'pariolino', estremista di destra, circa
50 anni, Angelo Izzo, arrestato oggi in Molise, è salito alla
ribalta della cronaca nel 1975, con Gianni Guido e Andrea
Ghira, per lo spaventoso episodio del 'massacro del Circeo'. I
tre 'ragazzi bene' invitarono Maria Rosaria Lopez e Donatella
Colasanti ad una 'festa' nella villa di Ghira, al Circeo, e lì le
seviziarono e massacrarono. La Lopez morì e la Colasanti si
salvò, in terribili condizioni, fingendosi morta.
I corpi delle due ragazze furono abbandonati dai tre nel
bagagliaio di un'auto, a Roma. Izzo e Guido furono arrestati il
giorno dopo. Ghira è ancora latitante.
Il processo, svoltosi nell' estate del 1976 davanti ai giudici
della corte di assise di Latina, si concluse con la condanna
degli imputati all'ergastolo, grazie alla ricostruzione fatta
dalla Colasanti. I difensori degli imputati tentarono
inutilmente di ottenere il riconoscimento di una totale o
parziale capacità di intendere e volere dei loro assistiti. In
appello (ottobre 1980) l'ergastolo fu confermato per Izzo e
Ghira mentre a Guido furono riconosciute le attenuanti
generiche e la pena fu tramutata in 30 anni di carcere.
Quest'ultima decisione suscitò molte polemiche anche
perchè motivata dal versamento di 100 milioni di lire, fatto, a
titolo di risarcimento, dai Guido ai familiari della Lopez. La
stessa cifra fu invece rifiutata dalla Colasanti. Nel settembre
del 1983 la Cassazione confermò la sentenza di appello.»
Durante la detenzione, Izzo comincia a collaborare con la giustizia, anche se spesso le
sue dichiarazioni non hanno trovato riscontri. E altrettanto spesso ha anche cercato di
evadere, con alterni risultati. Nel 1977 fallisce un tentativo di evadere dal carcere di
Latina, facendosi scudo del maresciallo delle guardie di custodia. Nel gennaio 1986, nel
supercarcere di Paliano, viene scoperto un altro piano di fuga attribuito a lui. Il 25
agosto 1993 riesce ad allontanarsi dal carcere di Alessandria, durante un permesso, ma
viene arrestato a Parigi a metà settembre, armato di una rivoltella con dieci milioni in
contanti ed estradato in Italia. Nel 1995, mentre era nel carcere di Prato, confessa un
omicidio, mai scoperto, che sarebbe avvenuto nel 1975. La vittima era un malavitoso che
si sarebbe impadronito del bottino di una rapina compiuta da un gruppetto di estremisti
di destra.
Tre le 'rivelazioni' di Izzo, un' accusa ad Andrea Ghira di aver sparato a Giorgiana Masi,
usando le armi che avevano in dotazione nel gruppo eversivo di cui faceva parte,
chiamato "Drago", e versioni (quasi tutte apprese in carcere) sulla strage di piazza
Fontana, quella della stazione di Bologna, quella di piazza della Loggia a Brescia,
l'uccisione di Mino Pecorelli, quella di Fausto e Iaio, quella di Piersanti Mattarella, e
diversi altri episodi di terrorismo e mafia.
Gianni Guido, nel 1981, riuscì ad evadere dal carcere di San Gimignano. Due anni dopo
fu arrestato in Argentina, ma anche da lì riuscì ad allontanarsi dall'ospedale dove era
ricoverato. Guido fu poi arrestato di nuovo a Panama, nel 1994, ed estradato in Italia.
Andrea Ghira non è mai stato arrestato e presunti suoi avvistamenti sono stati segnalati,
in diversi periodi, in Brasile, Kenya, Sudafrica.
(30 aprile 2005, http://www.repubblica.it/2005/d/sezioni/cronaca/izz/schedci/schedci.html)
• Anna Freud sostiene anche che occorre essere
interessati all’umano in tutte le sue espressioni:
artistica, religiosa, storica, sociologica.
I poeti sono alleati preziosi, e la loro testimonianza deve
essere presa in attenta considerazione, giacché essi sono
soliti sapere una quantità di cose tra il cielo e la terra che la
nostra filosofia neppure sospetta. Particolarmente nelle
conoscenze dello spirito essi sorpassano di gran lunga noi
comuni mortali, poiché attingono a fonti che non sono state
scoperte dalla scienza
S. Freud
(Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di Wilhelm Jensen, 1907, in
Opere, vol. V, Boringhieri, Torino, p. 264).
Concetti fondamentali della
psicologia della personalità
• «Tutti i teorici utilizzano il termine personalità per fare
riferimento a qualità psicologiche che contribuiscono a
creare le strutture persistenti e caratterizzanti del
singolo, come il sentire, il pensare e il comportarsi»
(Gervone, Pervin 2008, tr. it. 2009, p. 9)
• Con temperamento ci si riferisce alle tendenze innate
e biologicamente predisponenti della personalità*.
*Quando si parla di costituzione si intende qualcosa di più
vincolante della tendenza temperamentale, cioè a caratteristiche
innate che si riverberano in maniera diretta sulla personalità
• In ambito psicoanalitico, per Freud l’Io è quella parte della
psiche che ha l’incarico di mediare fra le richieste della
realtà esterna e quelle che provengono dall’interno della
psiche, cioè le pulsioni inconsce dell’Es e norme morali
introiettate (Super-Io).
• I tratti caratteriali sono il risultato del modo in cui le
pulsioni inconsce sono state plasmate dall’ambiente (in
Freud: carattere orale/anale/genitale). Si usa il termine
carattere quando questi tratti caratteriali caratterizzano
tutta la personalità (in tal senso W. Reich aveva parlato di
«corazza caratteriale»)
• Più in generale «carattere» è un termine che è stato
spesso usato in alternativa a quello di «personalità» per
riferirsi a quell’insieme di tendenze comportamentali che
fanno sì che una persona agisca con coerenza rispetto a
determinati costumi o valori (Caprara-Gennaro, 1999, p. 108).
• Il concetto di Io è andato nel tempo assumendo dei
connotati più ampi. In M. Klein e R. Fairbairn l’Io è
presente sin dalla nascita. In autori come Kohut,
Winnicott e Jacobson l’Io come prodotto dell’interazione
fra pulsioni e realtà lascia via via posto al concetto di Sé,
che rappresenta il nucleo centrale della persona ed è
presente e attivo sin dalla nascita.
• Dal Sé occorre distinguere la rappresentazione di sé: il
Sé contiene una parte attiva (Sé nucleare) e una parte
ricettiva (risposte ambientali/degli altri): facendo proprie
tali risposte il Sé nucleare si forma un concetto di Sé.
– James, in tal senso, usa il termine Sé intendendo l’insieme di
queste due componenti, il Sé agente (che egli chiama Io) e il Sé
riflesso (che egli chiama Me).
• Il termine identità si può considerare meno specifico e
meno usato in senso tecnico. Allude al senso di
identità, alla capacità di sentirsi sé stessi, identici nel
tempo. A seconda delle prospettive teoriche, tale senso
di identità può essere percepito come continuità a un
nucleo del Sé originario (come il Vero Sé di Winnicott o
il Sé nucleare di Kohut) o come un prodotto che trae la
sua consistenza da determinazioni ambientali (si veda
ad esempio il concetto di maschera in Pirandello).
Il bambino «intenzionale»
• Una delle caratteristiche più evidenti delle
persone è che sono attive e manifestano un
comportamento «intenzionale».
• Il concetto di intenzionalità è più semplice da
riconoscere che non da descrivere.
– Il biologo S. Kauffman dice: quando chiamo il mio
cane, mi guarda. È un comportamento
intenzionale.
• L’idea che la personalità sia il frutto dell’interazione
fra predisposizioni temperamentali/costituzionali
(genetiche) e influenze ambientali non rende conto
del fatto che gli individui sono «centri attivi» di
interessi e motivazioni, che percepiscono le
esperienze come «proprie»:
…alla base del nostro senso di essere un centro
indipendente di iniziativa e di percezione, integrato, con
le nostre ambizioni e i nostri ideali più centrali, con la nostra
esperienza che la mente e il corpo formano un’unità nello
spazio e un continuo nel tempo. Questa configurazione
psichica coesiva e permanente forma il settore centrale
della personalità (Kohut, 1977).
La concezione del neonato come groviglio di
impulsi e bisogni meramente fisici, come tabula
rasa governata solo da impulsi, non tiene
presente che…
…la caratteristica più notevole dei bambini di ogni età è
tuttavia la loro capacità di generare intenzioni o stati
motivazionali coerenti: non sono in balia degli stimoli,
né in costante conflitto di impulsi. (Trevarthen*, 1980, tr.
it 1998, p. 34)
* C. Trevarthen è neuroscienziato e psicologo dello sviluppo.
• Per W. Freeman (neuroscienziato)
l’intenzionalità e il produrre azioni dirette
verso uno scopo è una caratteristica di base
del nostro cervello.
…la diade deterministica natura-cultura… non
riesce a tenere conto della capacità degli esseri
intenzionali di costruire e perseguire i propri
obiettivi personali nell’ambito del contesto
sociale (Freeman, 1999, Come pensa il cervello, tr.
it. 2000).
Sin dall’origine, l’essere umano può essere
immaginato come un centro attivo dotato di
intenzionalità, con caratteristiche proprie
(anche se solo potenziali), impegnato a
evolvere e a conoscere se stesso e il mondo
che lo circonda.
 Donald Winnicott ha utilizzato il termine di “vero Sé”
per alludere alla spontaneità originaria del
soggetto. Un individuo è «sano» quando riesce a
percepire di «star vivendo la propria vita»
 Per la Scuola della Melanie Klein un “Io” esiste già al
momento della nascita. Anche Ronald Fairbairn
pensava che il bambino avesse un Io unitario e in
interazione col mondo già alla nascita.
 Per Trevarthen (1997) è possibile parlare in modo
sensato di “intenzionalità” nei neonati. A suo parere i
neonati hanno un’innata capacità di autoriferimento.
 I ricercatori dell’Infant Research parlano di dello
sviluppo del Sé non solo quale esito di regolazioni
intersoggettive ma anche di “autoregolazioni”, cioè di
avere una propria «logica» interna di
funzionamento, di essere «autonomo» e non solo
«eteronomo».
 In Carl Rogers alla base dello sviluppo della personalità
vi è il concetto di organismo inteso come un tuttounico, non scindibile in parti separate, un tutto
irriducibile alla semplice somma delle parti, una
«persona».
 Kohut parla di un Sé nucleare.
Una delle difficoltà del lavorare
con i neonati è che possiedono
menti proprie. Talvolta, quando
non fanno determinate cose, è
perché non vogliono farle, mentre
quando vogliono fare qualcosa, ce
la mettono davvero tutta.
Trevarthen (1997, p. 149).
• Il neonato viene alla luce con un sé giocoso,
espressivo e portato alla sperimentazione, pronto
ad esplorare ed ad usare oggetti e a comunicare
con le altre persone su come usarli
Un bimbo di due mesi è una personalità complessa,
capace di distinguere le persone da altri oggetti “fisici”,
trattandole come una categoria di importanza primaria
per il proprio sviluppo.
Trevarthen (1974, tr. it. 1998, p. 43)
• Un bambino ha una sua “voce” che non ha
niente a che vedere con l’esigenza di essere
nutrito, rimanere al sicuro e protetto: le
protoconversazioni hanno inizio quando il
bambino non si accontenta di rimanere al sicuro
e si cimenta in “conversazioni” con i fratelli, i
genitori, altri bambini della sua età. Questo
comportamento rappresenta uno scambio
reciproco. (Trevarthen 1997, p. 147)
Sulla scorta di tali considerazioni, Trevarthen è
convinto che una visione più chiara di come il
cervello umano si sviluppa possa fornire un
contributo alle teorie dello sviluppo e ai connessi
metodi educativi (1980, tr. it 1998, pp. 1-2).
Ma…

… sottolinea che man mano che le nostre
conoscenze sul cervello aumentano, non
diminuisce la distanza fra la logica
materialistica della biologia e la
consapevolezza che abbiamo come esseri
umani di essere dotati di sentimenti
complessi e una vita consapevole.
Tutto ciò appare alquanto frustrante per lo scienziato moderno, che
probabilmente si risolverà ad accogliere una prospettiva di tipo
dualistico e a cercare spiegazioni diverse per gli eventi fisiologici da
una parte e per quelli mentali o spirituali dall’altra. A chi non è un
biologo, o non è impegnato a semplificare il comportamento umano, la
natura biologica ereditata dall’uomo appare irrilevante, uno strumento
subordinato alla mente, o una fonte di impulsi fastidiosi per la vita
personale del “Sé”. Io penso invece che, se vogliamo comprendere il
neonato in quanto essere umano, sia necessario affrontare il paradosso
che sorge fra mente e materia biologica, da che un bambino piccolo è
una giovane mente immersa in materia biologica. Ma ammetto che è facile
cadere in una spiegazione molto rozza della mente in termini di pezzettini
di strutture cerebrali. Condivido le preoccupazioni di chi si chiede se sarà
mai possibile conoscere abbastanza sui pallidi labirinti del cervello da
poter indicare il loro esatto contributo alla vita mentale e al
comportamento. In particolare, mi sembra lecito domandare che cosa
abbiano a che fare i discorsi che facciamo sul cervello con lo
sviluppo della coscienza, delle intenzioni e delle relazioni personali
nel bambino (Trevarthen).
• Gli psicologi sembrano spesso credere che
le caratteristiche umane sia determinate alla
nascita geneticamente e che in seguito
vengano modificate dalle influenze
ambientali. Ma è davvero così?
(Trevarthen, 1997, tr. it. 1998, p. 3)
 Se osserviamo lo sviluppo di un essere umano, notiamo
che esso inizia sotto la forma di una cellula entro la quale
sono combinati i cromosomi di un uomo e quelli di uno
spermatozoo. Attraverso migliaia di cicli di divisione cellulare,
le molecole dei geni costruiscono immagini di se stesse e le
distribuiscono in maniera uguale a ciascuna cellula.
 Questa chimica eccezionale spiega come i cromosomi
riescano a trasmettere informazioni in maniera indistruttibile
per formare sempre la stessa specie di organismo (Crick
1962). Alcuni prodotti delle molecole dei geni agiscono
“all’indietro”, in modo da esercitare un controllo sul destino
dei geni stessi cosicché, poco tempo dopo l’inizio della
trascrizione del codice genetico, i processi significativi
dello sviluppo non interessano più solamente il livello
molecolare, ma quello sovraordinato in cui avviene
un’interazione fra membrane e fibre cellulari ripiegate o
fra raggruppamenti e strati di cellule, che agiscono come
complemento dei geni.
 Non vi è dubbio, cioè, che il codice genetico
agisca come la matrice che può generare infinite
copie identiche di giornali, cosicché la trasmissione
delle funzioni viventi viene assicurata in maniera
assai affidabile attraverso le molteplici replicazioni
cellulari.

Tuttavia questo non spiega interamente la
formazione dei complessi organismi pluricellulari.
Il fatto è che i geni, seppure essenziali, non possiedono, in se stessi,
alcuna funzione vivente; il loro “codice” deve essere interpretato
all’interno della chimica cellulare, della fisiologia e delle abitudini di vita
all’interno dell’intero organismo (Srb, Owen, Edgar 1965; Waddington
1966). I geni possiedono significati diversi in diverse forme di vita. Sono
come animali domestici in una fattoria di strutture cellulari e, man mano
che l’evoluzione procede, essi certamente mutano, adattandoli alle
modalità di “allevamento” intracellulare (Grant 1977). Si è ipotizzato che
l’evoluzione degli animali sociali operi attraverso geni per l’ “egoismo” o
per l’ “altruismo” (Dawkins 1976); ma questi sono concetti che si
applicano alla personalità umana, e qualsivoglia egoismo o altruismo il
gene possa avere gli viene attributo dalla persona nella quale si trova.
Da questo punto di vista è la persona a causare il tratto ereditario o
genetico (Trevarthen, 1997, tr. it. 1998, p. 4).
• Anche Gabbard (2000, tr. it 2002) evidenzia
“che vi sono nella vita periodi definiti durante i
quali l’espressione di un gene è dipendente da
un certo tipo di influenza ambientale”.
– L’impatto dei fattori ambientali spiega le differenze
fenotipiche e la discordanza di molte malattie tra
gemelli monozigoti.
Egli cita alcuni esprimenti:
– È stato osservato che in una colonia di scimmie il
20% che manifestava una vulnerabilità genetica alla
separazione dalla madre (rilevata in base alle
reazioni depressive sviluppate in seguito a brevi
separazione e al conseguente aumento del
cortisolo e di ACTH). Se queste scimmie venivano
affidate a madri particolarmente accuditive
riuscivano a integrarsi perfettamente nel gruppo
tanto da raggiungere i vertici della gerarchia
sociale.
– Rosenblum e Andrews (1994) assegnarono piccoli
di scimmia casualmente a madri normali e madri
rese ansiose da un programma di alimentazione
imprevedibile. Le scimmie che erano state accudite
da madri ansiose mostravano una diminuita
capacità di interazione gruppale ed erano
socialmente subordinati, che tuttavia si manifestava
quando stavano diventando adulte, confermando
l’ipotesi psicoanalitica che disturbi della prima fase
dello sviluppo si manifestano in periodi evolutivi
successivi.
– In Finlandia alcuni ricercatori hanno dimostrato che
la terapia psicoanalitica può avere un impatto
significativo sul metabolismo della serotonina. Un
paziente di 25 depresso e affetto da un disturbo
borderline di personalità dopo un anno di
psicoterapia presentava, pur senza aver assunto
farmaci, una captazione della serotonina normale.
Quindi, l’esperienza mentale può
influenzare la biologica e viceversa.
Se ne deduce che ogni tipo di intervento
(educativo, psicologico, psichiatrico,
medico) va considerato come
“biopsicosociale”.
- Ad esempio, i farmaci usati nella psichiatria
hanno anche un effetto “psicologico” e gli
interventi “psicoterapeutici” influenzano il
cervello al di là del loro impatto psicologico.
 ripensare il rapporto natura-cultura
– Il rapporto mente-cervello non è una
questione di aut-aut, ma di et-et.
– Gabbard parla di una “deplorevole
tendenza verso la dicotomizzazione” in cui
da un lato si mettono i disturbi di stampo
psicologico e dall’altro quelli di origine
biologica (da curare farmacologicamente).
Questa suddivisione in un approccio biologico e uno
psicologico non risponde più alle conoscenze che si
stanno acquisendo nell’ambito delle neuroscienze,
alla plasticità del cervello, al fatto che i modelli
mendeliani dell’ereditarietà non si applicano alle
malattie mentali. Pur dovendo preesistere un sostrato
genetico che predispone all’insorgenza di una certa
malattia mentale, gli studi sulla plasticità cerebrale
mostrano che le modalità di sviluppo cellulare non sia
regolato solo dai geni, ma ci sia una forte dipendenza
da segnali ambientali (Hyman 1999).
- Nell’ambito della medicina si assiste a una
grande rivalutazione degli aspetti
educativo-sociali (arte-terapia, sorrisoterapia, pet-terapia, musico-terapia ecc.),
perché si è visto che sono in grado di
migliorare assai il benessere del paziente,
non solo sul versante “psicologico”, ma
anche nella sua capacità di reagire
“fisicamente” alla malattia.
• Riassumendo, due sono i concetti da tener
presente nello sviluppo della personalità:
1. Che gli individui riescono a produrre stati
intenzionali, «autogenerati»;
2. Che occorre pensare il biologico e
l’ambientale come due poli di un continuum
e che non ha senso attribuire in modo rigido
un aspetto all’uno o all’altro polo.
Centralità dell’emotività
• Trevarthen sostiene anche che le emozioni
sono regolatrici delle attività psicologiche, non i
loro prodotti: «sono cause, non effetti, della
percezione e dell'azione».
Anche Greenspan e Brazelton, nel loro testo del 2000 (tr. it.
2001) I bisogni irrinunciabili dei bambini, affermano qualcosa
di simile a proposito delle emozioni e del Sé:
Greenspan: «L’organizzazione delle emozioni si sviluppa prima del
controllo motorio. A ogni stadio della crescita cognitiva corrisponde uno
stadio precedente nella sfera affettiva che anticipa le interazioni col mondo
fisico. Questa organizzazione delle emozioni rappresenta la prima modalità
che il bambino ha di acquisire una conoscenza del mondo, e dà avvio alla
costruzione del pensiero.
Allo stesso modo, è da qui che comincia a delinearsi il senso di Sé, che
necessita della consapevolezza di un confine tra le proprie emozioni e
quelle che provengono dall’esterno. Anche questa consapevolezza ha
le sue radici necessariamente nelle relazioni interpersonali. Non si può
fare un esame di realtà senza il senso di sé. Tutto questo comincia nel primo
anno, ma poi il bambino lo esplicita, simbolicamente, nel secondo e nel terzo
anno, utilizzando parole che hanno un significato affettivo: ‘dammelo’ e ‘no,
non puoi averlo’. Ogni interscambio del genere ha un ‘io’ e un ‘tu’ e crea un
confine simbolico».
Brazelton: «Credo che anche l’intenzionalità cominci nell’utero. I neonati
hanno un’intenzionalità» (p. 11)
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