Wilfred Ruprecht Bion (Muttra, India 1897 - Oxford, UK 1979) Francesca Marone La situazione psicoanalitica stimola delle sensazioni molto primitive, incluse le sensazioni di dipendenza e di isolamento; sono entrambe delle sensazioni sgradevoli. Perciò non c'è davvero da meravigliarsi se un membro della coppia, e probabilmente tutti e due, sono consapevoli del fatto che la zattera psicoanalitica a cui si attaccano nella stanza d'analisi - naturalmente molto ben mascherata e con sedie confortevoli e ogni comodità moderna - nondimeno è una zattera precaria in un mare tumultuoso. (W. R. Bion, Seminari Italiani, 1983, p. 33) Wilfred Ruprecht Bion giunse tardi alla psicoanalisi come professione. Dopo una breve parte dell'infanzia passata in India, paese di cui ebbe poi sempre nostalgia, approdò in Inghilterrra all'età di otto anni per andare in collegio. Finita la scuola superiore, combatté nelle Fiandre durante l'ultimo anno della Grande Guerra e fu decorato al valore militare. Dopo la guerra, si laureò in storia all'Università di Oxford, insegnò per un breve periodo, poi intraprese studi di medicina all'Università di Londra. Conseguito l'esame di stato, iniziò ad interessarsi di psicoterapia e frequentò la Tavistock Clinic fin dal 1932. Intraprese un'analisi con John Rickman nel 1938, che fu interrotta dallo scoppio della seconda guerra mondiale. Bion e Rickman, in quanto psichiatri militari, si trovarono a lavorare insieme all'ospedale militare di Northfield, luogo in cui Bion cominciò a sviluppare la teorizzazione sui gruppi (cfr. "Esperienze sui gruppi“). Anche se dopo gli anni cinquanta Bion non lavorò più con gruppi terapeutici, la sua percezione del singolo come fermamente radicato nel gruppo permea tutto il suo lavoro di psicoanalista. Intraprese un'analisi con Melanie Klein nel 1945 e divenne rapidamente una figura di spicco nella Società Psicoanalitica Britannica (Direttore della Clinica Psicoanalitica londinese dal 1956 al 1962 e Presidente della Società dal 1962 al 1965). Si trasferì a Los Angeles nel 1968 e tornò in Inghilterra pochi mesi prima di morire nel novembre del 1979. Bion sarà, in seno al gruppo dei kleiniani, più un continuatore che un discepolo, conservando sempre la sua indipendenza e dando prova di una grande originalità. Il suo contributo più significativo risale agli anni ’60 allorchè mette a punto la sua teoria del pensiero e del funzionamento dell’apparato per pensare i pensieri. Gli interessi teorici e clinici di Bion si sono mossi lungo tre assi che si sono continuamente intersecati nel corso degli anni, essi sono stati: il funzionamento dei piccoli gruppi, i meccanismi della psicosi e la differenziazione tra il funzionamento psicotico e quello nevrotico, infine il processo della conoscenza. La ricerca sui gruppi che è storicamente la più antica si è associata a quella sui meccanismi psicotici attraverso la questione della mente primordiale il così detto funzionamento protomentale. Lo studio delle differenze tra il funzionamento psicotico e quello nevrotico e del passaggio dall’uno all’altro incrocia il problema del pensiero e del processo della conoscenza. Tutta l’opera di Bion deve essere intesa come uno sforzo ininterrotto di cogliere e di mettere in forma l’esperienza psichica che avviene nella stanza d’analisi. Si tratta di un’esperienza relazionale ovvero della relazione tra la psiche dell’analista e quella dell’analizzante . È quindi il controtransfert a venire in primissimo piano e la “griglia” e il suo uso sono strumenti per la formazione del controtransfert ovvero ingredienti atti alla formazione della pellicola di pensiero nella quale prendono forma le esperienze psichiche. Il pensiero di Bion si inserisce a pieno titolo all'interno della riflessione sui rapporti tra psicoanalisi scienze, filosofiche, matematiche ed epistemologiche, giacché lo stesso Bion ricorre a modelli geometrico-matematici per mettere a punto nuove modalità di interpretazione del funzionamento dell'apparato per pensare i pensieri: la mente, lasciando sovente il lettore un po’ smarrito. Nel così detto periodo “epistemologico” che va dal 1962 di Apprendere dall’esperienza al 1970 di Attenzione ed interpretazione Bion, come ha scritto Meltzer, non si occupa di teorie psicoanalitiche della personalità ma di teorie della osservazione psicoanalitica della personalità, attinenti al processo della conoscenza dei fenomeni psichici e, quindi, che implicano la necessità di pervenire ad una teoria della formazione e del funzionamento del pensiero ovvero alla conoscenza del processo della conoscenza. Bion ha riconosciuto il fatto che al di sotto di tutto c’era quello che egli ha chiamato l’oggetto analitico - O - le rappresentazioni del quale potevano venire descritte nella seduta attraverso i significati che si sviluppano dalla relazione. La convinzione di Bion è che l’unico modo di conoscere la realtà psichica è intuirla, e che conoscere O è possibile solo divenendo O, per questo motivo ha affermato che essere senza memoria e desiderio è lo stato mentale che prepara l’analista alla successiva seduta clinica. O L’introduzione di O è apparsa per la prima volta in Trasformazioni(1965) ed è stata elaborata successivamente in Attenzione ed interpretazione. Bion definisce O in questo modo: “Userò il segno O per indicare la realtà ultima rappresentata da termini come realtà ultima, verità assoluta, divinità, infinito, cosa in sé (1970, p.39). Il mezzo tramite cui l’indifferenziato diventa differenziato - ovvero come la verità viene resa manifesta- è rappresentato dalla “griglia” che costituisce un tentativo di descrivere lo sviluppo progressivo del pensiero dai livelli concreti a quelli altamente astratti. La griglia si occupa della forma delle affermazioni fatte sia dall’analista che dal paziente e dell’uso che se ne fa in seduta; quindi è un tentativo di rappresentare gli elementi del pensiero nel processo di sviluppo e nel loro uso. La funzione della psicoanalisi è quella di spiegare questo sviluppo. Essa è composta di due assi e i punti rilevati su questi ultimi derivano dalla natura delle affermazioni fatte nella seduta, le interpretazioni dell’analista o le associazioni del paziente o entrambe. È un tentativo di spiegare le nostre attività di pensiero focalizzando l’attenzione su ciò che sta accadendo nella seduta analitica. La "Griglia” L’asse d’uso/orizzontale rappresenta i possibili usi dei singoli elementi: - Ipotesi definitorie - La notazione - L’attenzione - L’indagine - L’azione - Legame -K L’asse genetico/verticale rappresenta la successione degli elementi psichici graduati per complessità evolutiva, dalla loro matrice primitiva alla loro forma più astratta. La "teoria del pensare" Secondo Bion il pensare risulterebbe dall'esito favorevole di due processi psichici distinti: la formazione dei pensieri e l'evoluzione di un apparato utile alla loro elaborazione (Pensieri+Funzione pensiero). Bion sottolinea come nel suo modello teorico il pensare sia un evento successivo alle “richieste imposte dalla esistenza di pensieri” e come la patologia possa interessare sia l'evoluzione dei pensieri in quanto tali, sia l'apparato per pensare i pensieri, sia entrambi gli aspetti. Lo schema genetico si articola per Bion come segue: -->Realizzazione --> Concezione / Preconcezione----> \ Concetto \ / -->Frustrazione --> Pensiero Preconcezione corrisponde al concetto kantiano di pensiero vuoto; ha un significato di precursore da saturare, di predisposizione. Concezione è il risultato dell'incontro di una preconcezione con un dato di realtà (realization). Le concezioni sono quindi obbligatoriamente connesse con una esperienza di soddisfacimento. In Bion l'interpretazione è sempre descritta come trasformativa in quanto tendente a transitare dal sistema della conoscenza kappa al sistema O, cioè "essere" all'unisono con la verità ultima, piuttosto che interagire con. Quando i contenuti mentali dell'analista e le scale del suo lavoro come contenitore analitico scorrono simultaneamente lungo le due coordinate della Griglia, lo stato mentale da cui l'interpretazione è generata è ancorato al sistema "senza memoria, senza desiderio, senza comprensione". Tale stato mentale ricerca le valenze con cui legarsi per sviluppare nuovo lavoro da immettere nel processo trasformativo e metabolico. Transitando per tale stato sognante e metabolico, la concezione che potrebbe presentarsi o formarsi per incontrare una preconcezione che non sapeva di essere lì (nella mente dell'analsta o nella relazione analitica) ma è pronta ad attivarsi per l'incontro con essa, non ha qualità di saturazione, bensì consente di fare una realizzazione che contiene nuovi processi trasformativi. Poi il sistema riparte. Solo se vi sono le condizioni per lo sviluppo di una sufficiente capacità di tollerare la frustrazione "il non-seno diventa pensiero: questo pensiero mette a sua volta in azione un processo - la facoltà di pensare", in altre parole l’assenza – pensata! – dell’oggetto stimola a formulare pensieri rivolti a ottenere la presenza dell’oggetto stesso. Si ricorda anche che con il termine concetto Bion intende, come nella logica classica, uno stadio di maggiore generalizzazione delle concezioni o dei pensieri, che possono così applicarsi non solo al caso particolare, ma ad una categoria ed essere contrassegnati da un nome. Nel caso il soggetto non tolleri la frustrazione, per ragioni endogene e/o ambientali, risulta impossibile attuare una modificazione della frustrazione e non resta che utilizzare un sistema di evacuazione della non-cosa, vissuta come un oggetto concreto di cui bisogna sbarazzarsi al più presto attraverso una espulsione "fisica" dal Sé. In questo modo "si arresta anche lo sviluppo dell'apparato per pensare i pensieri e, al suo posto, si accresce in modo eccessivo quello dell'apparato per l'identificazione proiettiva" (I.P.). Una condizione intermedia fra tolleranza della frustrazione e fuga dalla stessa mediante evacuazione dell'intero apparato per pensare i pensieri, può essere considerata, per Bion, quella che comporta lo sviluppo di onnipotenza, un prodotto mentale utilizzato come sostituzione delle esperienze intollerabili connesse alla realizzazione negativa (assenza). W. R. BION • PRIMO MODELLO DI SVILUPPO DELLA PERSONALITA’ CRESCITA DELLA PERSONALITA’ [ APPRENDERE DALL’ESPERIENZA (1962) ] ELABORAZIONE DEL PENSIERO IN FORME PIU’ MATURE ELEMENTI ALFA PENSIERI ONIRICI PENSIERO QUALUNQUE AFFEZIONE INTERESSI LA MENTE PRECONCEZIONI CONCEZIONI CONCETTI SISTEMA SCIENTIFICO DEDUTTIVO CALCOLO ALGEBRICO W. R. BION • ELEMENTI BETA DA UNA PARTE DALL’ALTRA • FUNZIONE ALFA AFFERENZE SENSORIALI ED EMOTIVE GREZZE, << COSE IN SE’ >> MANIFESTANO LA VITALITA’ E L’ENERGIA DELL’ORGANISMO OCCORRE DARE AD ESSI UN SIGNIFICATO, UNA FORMA, ALTRIMENTI EROMPONO IN MANIERA DISTRUTTIVA CAPACITA’ DI METABOLIZZARE SENSAZIONI ED EMOZIONI GREZZE ELABORAZIONE DI PENSIERI ELEMENTI ALFA IMMAGINI VISIVE SCHEMI UDITIVI E OLFATTIVI MATERIALE UTILIZZABILE DAI PENSIERI ONIRICI, DAL PENSIERO INCONSCIO DI VEGLIA, DALLA BARRIERA DI CONTATTO, DALLA MEMORIA W. R. BION E’ ESPRESSIONE DI UN DINAMISMO BIOPSICOLOGICO DELL’ORGANISMO FINALIZZATO ALLA FORMA, ALL’ORDINE PERMETTE IL PASSAGGIO DALLA PRECONCEZIONE ALLA CONCEZIONE FORMA DI PENSIERO CONSISTENTE IN UN’ASPETTATIVA • PRECONCEZIONE SCHEMA CHE PREFIGURA L’OGGETTO SODDISFATORIO • CONCEZIONE INCONTRO DELLA PRECONCEZIONE CON IMPRESSIONI SENSORIALI A ESSA ADEGUATE SATURAZIONE DELLA PRECONCEZIONE PENSIERO (CONCEZIONE DELL’OGGETTO SODDISFACITORIO) W. R. BION • CAPACITA’ DEL BAMBINO DI SOPPORTARE LA FRUSTRAZIONE INCAPACITA’ IMPORTANTE PER L’ESERCIZIO DELLA FUNZIONE ALFA MANCANZA DELLA FUNZIONE ALFA FALSA PRESENZA DI UN OGGETTO IRREALE, CATTIVO, NONCOSA AIUTA LA FORMAZIONE DELLA FUNZIONE ALFA • MADRE FAVORISCE L’INTROIEZIONE DELL’OGGETTO BUONO E LA FORMAZIONE DELLE STRUTTURE E FUNZIONI MENTALI PONENDOSI COME CONTENITORE DEGLI ELEMENTI BETA CHE IL BAMBINO PROIETTA IL LEI BONIFICA I MOMENTI DI TERRORE DEL BAMBINO REVERIE DOTE DI IMMEDESIMARSI CON UN PENSIERO PRECONCETTUALE, EMPATICO, NEI VISSUTI DEL PICCOLO, RESTITUENDOGLIELI RIELABORATI COMUNICAZIONE VISCERALE TRA MADRE E BAMBINO W. R. BION • MITO FA PARTE DELL’APPARATO PRIMITIVO DEGLI STRUMENTI DI APPRENDIMENTO DI CUI DISPONE L’INDIVIDUO LE PARTI SONO TENUTE ASSIEME IN UN SISTEMA CONSENTE DI METTERE ORDINE NELLA CONOSCENZA DEL MONDO, ORGANIZZANDO LE TRAME DEI RAPPORTI TIPICI TRA GLI INDIVIDUI UN A PRIORI BIOLOGICO-CULTURALE DELLA CONOSCENZA E DEL COMPORTAMENTO SOCIALE UMANI • BARRIERA DI CONTATTO ZONA DI PASSAGGIO DOVE I PROCESSI MENTALI POSSONO TRANSITARE SENZA SOLUZIONE DI CONTINUITA’ DA UN’AREA ALL’ALTRA W. R. BION FATTORI INTRINSECI AL LEGAME, SUBORDINATI ALLA CONOSCENZA (K) • ODIO (H) E AMORE (L) OPPOSTO DISGREGAZIONE DELLA FUNZIONE DEL PENSIERO QUALITA’ DEL LEGAME CHE SI INSTAURA TRA DUE SOGGETTI COMPONENTI DEL LEGAME DINAMICO • K, L, H DINAMICA DELLO SVILUPPO INTERAZIONE DI CONTENITORE-CONTENUTO DUE TIPI DI OPERAZIONI PS D ( OSCILLAZIONE OTTENUTA GENERALIZZANDO LE DUE POSIZIONI KLEINIANE ) W. R. BION • SVILUPPO COME TRASFORMAZIONE [ TRASFORMAZIONI (1965) ] [ ATTENZIONE E INTERPRETAZIONE (1970) ] IN ESSO NON C’E’ ANCORA SOGGETTO E’ SEDE DI UNA PSICHICITA’ INDIFFERENZIATA O VERITA’ ASSOLUTA AREA CUI ATTINGE IL MISTICO, IL GRANDE ARTISTA, LO SCIENZIATO GENIALE, IL CAPO CARISMATICO, OGNI PERSONALITA’ FORTEMENTE INNOVATIVA ELABORA UN’IDEA NUOVA RIPARTENDO DALLE ORIGINI DIFFICOLTA’ DEL GRUPPO DI LAVORO A CONTENERE LO SCONVOLGIMENTO CHE VIENE DAL NOVATORE CHE E’ (STATO) IN CONTATTO CON O L'onnipotenza può esprimersi come onniscienza, che sostituisce la capacità di apprendere dall'esperienza attraverso il pensare: il risultato - dice Bion - sarà un difetto di attività psichica preposta alla discriminazione fra vero e falso. Questa funzione discriminante viene sostituita dalla produzione di "osservazioni dittatoriali" circa il giusto e lo sbagliato che non tengono conto della realtà e sono una emanazione della parte psicotica della personalità. La tolleranza del dolore e del dispiacere è una pre-condizione perché l'individuo mantenga vincoli K (di conoscenza). In "Una teoria del pensiero" (1962), W. Bion aggiunse una nuova dimensione al pensiero. Il pensiero ha la funzione di creare significati (meanings), oltre a quella di esaminare e risolvere conflitti emozionali. La mente non è più considerata solamente come un'entità di adattamento al mondo esterno, ma come un mondo significativo nel quale avviene la crescita della personalità. Il pensiero a partire dalle emozioni costituisce, pertanto, la materia prima della crescita personale. Bion non considerava sufficiente il concetto del conflitto amore/odio per sviluppare una teoria a proposito della sua pratica clinica, che gli rivelava problemi legati all'emozione e all'anti-emozione. Sviluppò una teoria degli affetti che distingue tre tipi di vincoli nei rapporti intimi: - vincolo di amore (L) e anti-amore (-L) - vincolo di odio (H) e anti-odio (-H) - vincolo di conoscenza (K) e anti-conoscenza (-K) Bion si soffermò, inoltre, sulla qualità del legame esistente tra la mente che offre contenimento (es. quella della madre) e i contenuti che in essa vengono introdotti, evidenziando che questo legame rispetto ai “contenuti” ha tre potenzialità: “L” -amore, “H” -odio, “K” -desiderio di conoscerli: cioè “la madre a seconda dei casi amerà il suo bambino, lo odierà o si scoprirà intenta a cercare di comprendere ciò che egli sta provando, sentendo e pensando. Ai fini dello sviluppo del pensiero, il legame K è il più importante”(Hinshelwood ,1989, p. 555). Bion ha una visione epistemologica della funzione parentale. La madre deve realizzare funzioni mentali, perché il bebè possa, con l'introiezione graduale di queste funzioni nei suoi oggetti interni, imparare a realizzare tali funzioni da solo. Secondo Bion, la mente si sviluppa attraverso l'acquisizione della conoscenza di se stessi e dei propri oggetti interni ed esterni. È il passaggio dall'ignoranza alla sapienza. È una crescita che va dalla dipendenza assoluta dalle funzioni parentali all'autonomia mentale, e che si serve del rapporto di conoscenza fra il Sé e gli oggetti interiorizzati. Secondo questa teoria, l'esperienza emozionale si trasforma in pensiero onirico ogni volta che il vincolo di conoscenza (K) é presente. Tale trasformazione avviene attraverso un misterioso processo di ciò che chiama funzione Alfa, e l'esperienza diventa inizialmente una immagine onirica. In questo modo l'immagine onirica è il primo pensiero, è la prima pietra simbolica del significato dell'esperienza emozionale, è la pietra fondamentale su cui si basano tutti gli altri livelli possibili di pensiero più elaborato (astrazioni e generalizzazioni). Le prime realizzazioni della funzione alfa nella vita dell'essere umano sono opera della madre. Con l'allattamento, il bebè è alimentato allo stesso tempo dal latte e dal funzionamento della mente della madre. Ella trasmette al bebè per mezzo degli occhi, della voce, del modo di tenerlo in braccio, un "qualcosa" che ha elaborato nella mente a partire da ciò che ha percepito nel bebè, un "qualcosa" in forma simbolizzata che gli offre la possibilità di avere un'immagine onirica, e capire e dare significato a ciò che prova, dando inizio a un pensiero. W. Bion sottolinea la matrice comune dei pensieri consci e inconsci nella funzione alfa, in quella funzione cioè che ci permette di 'sognare' gli oggetti e di vederli quindi rappresentabili o, per dirla con Bion, 'pensabili'. La funzione alfa crea sia i pensieri consci che quelli inconsci. Nel modello bioniano la tensione più forte non è quella creata tra conscio e inconscio, ma quella che si crea tra l'ambito del pensabile (conscio e inconscio) e l'ambito di ciò che non è pensabile, di ciò che rimane scarica adrenalinica o percezione corporea 'indigerita'. La mente si dà per Bion come un fenomeno interpersonale: il sorgere del pensiero si ha nell'assenza dell'oggetto, ma è solo mediante la rêverie della madre e l'azione della sua funzione, che vicaria quella non ancora in atto del bambino, che può strutturarsi quel "contenitore per pensare i pensieri" indispensabile alla vita psichica del soggetto. L'individualità si viene dunque a costituire a partire da un originario livello, del quale madre e bambino compartecipano, che Bion denota col termine di "protomentale", la cui azione non si esaurisce però esclusivamente nel delicato processo del costituirsi del pensiero: la sua tangibile presenza è constatabile mediante l'osservazione delle situazioni nelle quali il soggetto si trova in un gruppo, inserito in una complessa rete di comunicazioni che non si danno solo a livello cosciente e manifesto ma anche a livello inconscio, come testimonia il sorgere di quegli "assunti di base" su cui Bion ha saputo attrarre la nostra attenzione. La vita psichica individuale, secondo il pensiero di Bion (1962b) nasce nella relazione con la mente della madre o di un suo sostituto, che funge da contenitore , e trasforma, tramite la funzione alfa , le esperienze perturbanti in altre più digeribili per la mente nascente del piccolo. Tale funzione attiverebbe le innate tendenze estetiche , proprie dell'essere umano, che si esprimerebbero nel desiderio di conoscenza e di relazioni appassionate, alla base dello sviluppo del pensiero e del linguaggio. La madre rielabora le emozioni del bambino e gliele restituisce dotate di senso: cioè ha la funzione di elaborare i contenuti mentali (Bion la chiama funzione di reverie), in un primo momento come mente vicaria al posto di quella del bambino e, successivamente, trasmettendo a quest’ultimo la capacità di mentalizzare autonomamente i dati sensoriali e di donare di senso le emozioni che sembrano incomprensibili, fornendo loro uno "spazio mentale". Per diventare in grado di leggere, interpretare e utilizzare autonomamente il dolore e la frustrazione legate ad ogni situazione di apprendimento il bambino ha bisogno inizialmente di quella mente che pur “fuori” di lui possa essere “dentro” di lui e formare la sua mente (Bion, 19-62, pp. 83-92). Per Bion all’inizio della vita vi è da parte del nuovo essere umano solo un sentire senza capacità di rappresentare mentalmente. • E’ la madre che attraverso la funzione di reverie, accoglie nella propria mente le sensazioni non rappresentate del figlio così come si presentano (scomposte e prive di significato) e le elabora per lui. • La madre accoglie, contiene, elabora e soddisfa le richieste e i bisogni del figlio. • Non solo; li rende pensabili, li dota di significato, traducendo espressioni scomposte di disagio o di benessere. Quindi nella coppia madre - figlio come in quella paziente ed analista avviene uno scambio definito da Bion come rapporto fra contenitore e contenuto in cui elementi beta vengono proiettati nella madre- contenitore per poi essere reintroiettati una volta che abbiano perso gli aspetti angoscianti. Questa capacita materna di fornire amore e comprensione al bambino, collegata alla sua capacità contenitiva consente la strutturazione della funzione alfa nel bambino. Tale capacità materna viene definita da Bion Reverie. Per Bion la conoscenza costituisce il fatto psicologico che scaturisce da questo processo di mentalizzazione (da elemento beta ad elemento alfa) che passa per l’esperienza, connettendo lo sviluppo della mentalizzazione alle vicissitudini degli affetti nella relazione primaria (Bion, 1962, pp. 27-32). Apprendere dall'esperienza equivale, quindi, ad apprendere e pensare a partire dalle proprie emozioni con l’iniziale aiuto di un’altra mente (quella della madre) che funge da modello funzionale e trasmette al bambino la capacità di pensare, cioè di acquisire una crescente capacità di riflettere sull'esperienza, di rappresentarsela, di elaborare le percezioni e le emozioni in contenuti mentali. Nella pratica psicoanalitica, il terapeuta deve svolgere nei confronti del paziente la funzione che la madre svolge nei confronti del bambino, deve quindi essere il contenitore di tutte quelle emozioni o esperienze sensoriali che il paziente non riesce ad elaborare o digerire da solo, questo per poi restituirgliele prive di significati angoscianti solo così il paziente ristruttura la propria funzione alfa. Questa viene definita funzione alfa o Reverie del terapeuta Bion ha evidenziato la necessità di non porre il soggetto in analisi in una posizione passiva, ma di far sì che possa essere lui il principale attore del lavoro psicoanalitico: nella cura psicoanalitica è il soggetto sofferente, che si rivolge in cerca di aiuto al professionista, il vero depositario di un sapere utile a farlo uscire dalla situazione di disagio (in questo senso il ruolo dello psicoanalista all'interno della cura analitica è più simile a quello di un compagno di viaggio, di un testimone, che a quello di un insegnante, di una guida che già conosce il tragitto che si dovrà compiere). Bion mette in guardia gli psicoanalisti dall'adagiarsi nel dare per scontato il fatto che l'uso del controtransfert sia da intendersi quale modalità privilegiata nel lavoro psicoanalitico, ritenendone ingenuamente assodata l'adeguatezza e l'efficacia terapeutica. Bion infatti afferma che "Le nostre interpretazioni analitiche che sono stimolate dal controtransfert hanno molto a che fare con l'analista. Se l'analizzando è fortunato hanno qualcosa a che fare anche con lui. Prima o poi un'analisi basata sul controtransfert finisce in un disastro, o comunque fallisce perché tutte le interpretazioni hanno molto a che vedere con l'analista e poco a che vedere con il paziente". La critica di Bion all'utilizzo del controtransfert è invece rivolta principalmente a chi lo intendeva quale modalità che, collocabile nel suo sorgere a livello preconscio, veniva vista come padroneggiabile dal terapeuta a livello cosciente, consapevole, per cui si potrebbe schematizzare in questo modo la situazione terapeutica così come la concepivano gli psicoanalisti che ne facevano il fulcro del loro lavoro di analisi: il contenuto comunicato dal paziente suscita nel terapeuta associazioni, ricordi, fantasie, ecc. che, elaborati mediante l'analisi del suo controtransfert, consentono al terapeuta di fornire al paziente un'interpretazione intesa come adeguata. Per Bion questo schema della relazione terapeutica è fallace per la ragione che non è tanto del paziente che parla l'interpretazione data, quanto dell'analista stesso: il rischio che sia proiettiva di vissuti, sensazioni, emozioni dell'analista è davvero troppo alto perché la si possa vedere come realmente attinente a ciò che il paziente stava comunicando. Il controtransfert si configura allora come un fenomeno inconscio, come quell'evidenza sensoriale di cui Bion parla, qualcosa di non facilmente verbalizzabile o trasformabile in pensiero cosciente, ma pur tuttavia estremamente vivido nel suo manifestarsi: la sua presenza è qualcosa che si sente, si avverte, è un sentirsi preso nel sentire dell'altro, un sentire-con, un unisono appunto, un vibrare insieme della stessa nota, seppur suonata su corde diverse. Il tipo di comunicazione che si stabilisce fra analista e analizzando è dunque tale per cui i due soggetti coinvolti non vanno intesi come due entità nettamente divise, quanto piuttosto come un'unica mente: terapeuta e paziente sono compartecipi della medesima area protopsichica, per il breve istante nel quale questo contatto, l'unisono con O, si verifica. Bion infatti sottolinea la necessità che l'interpretazione non debba mai essere saturante, nel senso che quando si presenta come troppo completa e precisa non è tale da poter produrre una trasformazione poiché in questo modo si offre al paziente qualcosa sul quale egli non ha più niente da aggiungere, e che non può che coinvolgere la sua conoscenza (K), senza metterlo in contatto con O, che è invece l'obiettivo cui l'analisi tende. L'interpretazione insatura, mancante, ha invece la possibilità di poter toccare nel vivo il soggetto aiutandolo a mettersi in un atteggiamento tale che favorisca la possibilità di essere "all'unisono con O", che è la situazione nella quale analista ed analizzante possono giungere a sfiorare un significante che accenna e rimanda a un qualcosa di estremamente pregnante per il soggetto, evento questo capace di mettere in moto la trasformazione la quale, a sua volta, può essere intesa come un indicatore della conquista, da parte del soggetto, di una maggiore libertà. A tale proposito è interessante ricordare l'utilizzo, che Bion introduce nel lavoro analitico, di trame narrative: l'analista non deve in questo caso svolgere una funzione di tipo ermeneutico, svelando al soggetto il significato profondo presente nelle sue parole (operazione che rischia troppo spesso di essere riduttiva o fraintendente) ma, sulla scorta del dire del soggetto e dei richiami che può generare, si propone di esprimere con altre parole ciò a cui rinvia quanto il soggetto esprime. Attraverso una narrazione per molti versi simile a quella dei miti (che non a caso Bion intende quali strutture della mente) o delle favole, cioè mediante una modalità capace di offrire all'analizzante una diversa conformazione nella quale possa trovare manifestazione il contenuto da lui comunicato, si consente che sia egli stesso a ritrovare il senso profondo di ciò che andava dicendo, grazie ad una "ristrutturazione ", cioè il vedere, organizzati in altro modo, elementi già precedentemente presenti, seppur non riconosciuti, nella forma originaria offerta al terapeuta. Si tratta cioè di un alludere, non di un interpretare, fornendo in tal modo un'occasione che renda possibile all'analizzando stesso di avvertire quanto di lui dicano le parole dell'analista, senza però porlo come mero fruitore passivo del sapere dello stesso, predisponendo una situazione atta a che divenga possibile rintracciare la presenza, all'interno di una diversa trama narrativa, di qualcosa che già si trovava nel contenuto della comunicazione ma che, pur possedendo caratteri di vitale importanza, nella strutturazione originaria non aveva modo di divenire direttamente fruibile per il soggetto. Si tratta in sostanza di predisporre le condizioni atte a far sì che il soggetto possa divenire in grado di cogliere o intuire elementi di ciò che ha a che fare con la sua verità, ma consentendogli di essere lui stesso a rintracciarli e riconoscerli. Tale autonomia è intesa, come la capacità dell'individuo di risolvere le proprie necessità e frustrazioni, attraverso un pensiero che parte dall'esperienza emozionale. L'essere umano desidera passare dall'ignoranza alla conoscenza, alla percezione e a alla comprensione del significato delle proprie esperienze emozionali. Freud è giunto a chiamarlo istinto epistemofilico. Allo stesso tempo, lo teme e lo evita a causa del dispiacere che comporta. Il paziente va in analisi perché ha "qualcosa di indigerito" (Bion, 1962) che deve essere trasformato in elementi a . Ciò nella migliore delle ipotesi, perché a questo si può aggiungere una insufficienza dell’"apparato per pensare i pensieri", o nei casi ancora più gravi una difettualità della sua funzione a. Come avvengano questi "lavori" viene rinarrato di continuo. Tale operazione consisterà nel primo caso (fatti indigeriti) nella trasformazione di tali elementi b (i "betalomi", Barale, Ferro, 1992) in elementi a , veri pittogrammi emotivi; nel secondo caso (insufficienza dell’apparato per pensare i pensieri) nello sviluppo di O O e PS-D; nel terzo, e più grave (difettualità della funzione a ), in una progressiva introiezione di una funzione a più adeguata. Il paziente naturalmente sceglie un suo genere narrativo, che riguarda "la cronaca", "il genere diaristico”, "il diario intimo", e così via. Dal momento in cui vi è il primo incontro, anzi già a monte di esso, vi è una decostruzione narrativa della Storia e delle fantasmatizzazioni del paziente La decostruzione narrativa è una funzione delle identificazioni proiettive che iniziano a circolare nel campo, delle turbolenze emotive che in esso si attivano, della disponibilità, dello "spazio mentale" dell’analista, delle capacità della sua revérie, della capacità di trasformazione di b in a Ciò che conta è la "trasformazione" che riusciamo a operare nel campo: possiamo pensare alle narrazioni del campo come un Rorschach della coppia, del quale è necessario cogliere le "G", cioè l’emozione presente in quel momento secondo, la qualità che l’interpretazione psicoanalitica non può non avere secondo Bion (1963): "estensione nel campo del senso, del mito, della passione". La psicoanalisi è un metodo di cura della sofferenza psichica, in cui l'opera di metabolizzazione di quanto era rimasto indigerito da esperienze relazionali insoddisfacenti o traumatiche, si completa, quando le cose funzionano, con l'introiezione del metodo per trattare protoemozioni e protopensieri. La sofferenza psichica, dunque, la possiamo considerare derivante da un eccesso di micro (o macro) situazioni traumatiche che hanno determinato più stimoli sensoriali e protoemotivi di quanti si potessero digerire. In casi più gravi, la sofferenza deriva da una difettualità dell'apparato per pensare i pensieri che è rimasto ipotrofico rispetto al compito di continua rielaborazione cui è costantemente chiamato; in casi ancora più gravi, la sofferenza deriva invece da una carenza dello stesso apparato (funzione alfa) deputato alla formazione dei pittogrammi emotivi, delle immagini di esperienze percettive. La psicoanalisi non è dunque una narratologia, ma un metodo di cura attraverso la conoscenza e le trasformazioni emotive. Incessante è dunque l'opera di tessitura e ritessitura narrativa che si sviluppa in analisi, e anche questa, a seconda dei modelli, fa prevalere interpretazioni più forti e di cesura, oppure interpretazioni insature, aperte, che si pongono come interventi polivalenti, che consentono lo sviluppo narrativo del tema che urge nel paziente, costruzioni o ricostruzioni di scenari infantili, fantasmatici, relazionali o del campo gruppale a due, che prende vita nella stanza d'analisi. Ancora più significativo è il modo in cui ciò che non è ancora pensato e/o pensabile attraverso le identificazioni proiettive (lo scambio e l'accoglimento di protoemozioni), comincia a urgere, per trovare una sua pittografatura (trasformazione in immagine) e quindi una sua dicibilità attraverso una narrazione. In altre parole, il non pensabile diventa racconto condiviso, attraverso una serie di transiti emotivi grazie ai quali è possibile dare un nome a ciò che prima non era rappresentabile. Nel dare il nome si sviluppa progressivamente, anche nel paziente, quella qualità narratrice della mente da svegli (o sognante nella veglia o nel sonno) che coincide con l'introiezione della funzione analitica (Ferro 1992). Alla narrazione condivisa, si sostituisce ad un certo momento l'attiva e stabilizzata funzione di un narratore interno capace di dare nome, senso, storia a quanto urgeva come grumi sensoriali emotivi. Nella narrazione psicoanalitica, invece, la ricerca dei mondi possibili è effettiva, in quanto si è in presenza di un testo in fieri, costruito da due autori in base ad una dinamica creativa tanto stimolante quanto delicata, contemporaneamente ricca e precaria, e soprattutto libera dalla necessità di giungere a un traguardo narrativo definito. Sono mondi veramente possibili, aperti ad un futuro narrativo (lo svolgimento del racconto), ma anche ad un presente pragmatico (interazione dei due soggetti in seduta), e ad un passato personale da far emergere. I mondi possibili letterari devono fare i conti con i concetti di pertinenza, di coerenza, di legittimità; quelli psicoanalitici invece non hanno vincoli di questo tipo. paziente stesso non avrebbe mai voluto dire. La narrazione psicoanalitica va usata senza il necessario rispetto filologico, storico, estetico, ermeneutico che è invece richiesto dal testo letterario. Particolare attenzione merita, il modello di campo secondo cui i personaggi dell'analisi si possono considerare frutto dell'aggregazione di elementi eterogenei provenienti sia dal paziente sia dall'analista e sono correlati al funzionamento mentale della coppia. Il modello di campo, pur non trascurando i significati messi in luce dai modelli precedenti, valorizza la funzione espressiva che il personaggio può svolgere nel rappresentare ciò che dell'esperienza analitica non è ancora pensabile in termini più precisi (dinamici o storici che siano), ma soltanto - per così dire come fenomeno "di stanza", che riguarda Alla luce delle evoluzioni dei concetti della psicoanalisi contemporanea e del costituirsi di un paradigma relazionale al suo interno, l'attualità del pensiero bioniano, ritrova nuove potenzialità in quella “comunicazione emozionale” che nel setting analitico, così come nella vita ci conduce a formare rappresentazioni di sé con l'altro e ci consente di condividere, in una sensibilità comune, immagini, suoni, narrazioni, registri tonali, prodotti da due persone che “parlano in una stanza”. Le tonalità i suoni, sensazioni, gli odori, i rumori stabiliscono una continuità fisica materno-fetale che origina nella vita intrauterina, e che si ripropone, col suo carattere di proto-comunicabilità, nella stanza di analisi, contenitore di risonanze affettive ed emozionali. Nel modello bioniano, la tensione più forte non è quella creata tra conscio e inconscio, ma quella che si crea tra pensabile- che può essere sia conscio che inconscio- e non pensabile, ciò che resta percezione corporea 'indigerita'. Tensione insita nella teoria del pensiero che ha la funzione di restituire alla psiche la possibilità dell'esperienza del nuovo, la necessità di preservare la memoria del futuro. Tensione psichica verso l'esperienza del nuovo che risulta funzionale allo sviluppo della mente, dell'apparato psichico. Tensione conoscitiva tesa ad un “conoscenza emozionale” che scaturisce dallo strettissimo legame fra emozione e pensiero che modifica la visione dell'inconscio che va oltre l'inconscio dinamico pulsionale Sintonizzandosi sull'invito di Bion a interrogare i pensieri selvaggi, si prega di chiudere gli occhi , è una suggestiva sollecitazione a volgere gli occhi verso l'interno, a fare affidamento su di una sopravista L'analista nello stesso modo di un artista deve chiudere gli occhi al fine di neutralizzare memorie e desiderio aprendosi al pensiero dell'altro nella sua natura selvaggia. Tuttavia, lo sforzo ininterrotto per la costruzione ed il potenziamento di strumenti nati per fronteggiare l'ignoto, costituisce quella matematica emozionale che consente una misurazione infinita della complessa esperienza delle relazioni e comunicazioni umane. Il lessico matematico è come un ulteriore strumento per avvicinarsi all'ignoto, alla cosa in sé, a “O” realtà ultima ed inconoscibile. Questi poeti e artisti hanno i loro metodi per registrare la loro consapevolezza di qualche tipo di influenza, di stimoli che vengono dal di fuori, dell'ignoto che è così terrificante e che stimola sentimenti così potenti che non li si può descrivere con le parole comuni. Questi sentimenti vanno considerati come percepibili solo in quanto l'essere umano ha organi talamici ed esperienze talamiche:come se la stessa mente umana, descritta in termini fisici, fosse un sistema nervoso centrale che si è sviluppato soltanto fino al talamo, di modo che non è rimasta nessuna reale comunicazione sinaptica fra il talamo e lo sviluppo ulteriore della mente, il neopallium o qualunque sia il termine appropriato per essa. Abbiamo bisogno di inventare una qualche forma di discorso articolato che possa avvicinarsi alla descrizione di queste realtà, di questi fenomeni che io non riesco affatto a descrivere. Bion,W.R. 1992