Nuovo Pignone, un pezzo d'Amerïca
Veda ' con Ge, miliardi dollari 'vesti ' su F' enze. Messerí: la forza è nell'eccellenza
Parlare di Nuovo Pignone, a Firenze, significa raccontare la storia del
territorio e provare a immaginare il
futuro. É una azienda addirittura
«profetica», se si pensa che per convincere Enrico Mattei a salvarla, l'allora sindaco Giorgio La Pira tirò in
ballo una visione mariana (che però
non convinse troppo Mattei, cattolico ma con i piedi per terra, che pare
abbia risposto: «Ma vi sarete capiti
male!»). Alla fine La Pira convinse il
padre-padrone dell'Eni, anche se in
realtà fu il peso dell'allora ministro
dell'Interno Amintore Fanfani, aretino, a giocare un ruolo fondamentale. Si salvarono duemila posti di lavoro e il Nuovo Pignone rimase una
eccellenza. Oggi per Alberto Alesina
e Francesco Giavazzi il Nuovo Pignone è un esempio di come non si debbano temere i capitali privati per sostenere il sistema manifatturiero italiano. Perché «alla General Electric
non verrebbe mai in mente di spostare altrove quell'azienda». Il Nuovo Pignone è della Ge dal 1993, e al
colosso americano non solo non è
venuto in mente di spostarla, ma ci
ha investito 11 miliardi di dollari solo dal 2007. Ha creato due centri ricerche e formazione, uno nel 2001 e
l'altro nel 2009, da cui passano complessivamente 12 mila persone l'anno di So nazionalità diverse. Dal
1993 (anno in cui l'Ad di Ge Paolo
Fresco gestì l'acquisizione) ad oggi,
è diventata un colosso «stand alone» dell'Oil&gas, un ramo della multinazionale, che rappresenta il 10
per cento del valore della produzione pari a 15,2 miliardi di dollari.
L'(ex) Nuovo Pignone è stato un affare, sicuramente per la Ge che l'ha
acquistata: «Ancora si leccano i baffi...»» commenta Massimo Messeri,
ai vertici dell'azienda quando Eni la
vendette, nel dicembre 1993. Ora è
il presidente. «Era un momento di
grossa crisi e di problemi finanziari
da parte del governo italiano - spiega - Una scelta nata più per ragioni
politiche, che per fare vera cassa, dovevano dare un segnale. Eravamo
un piccolo gioiellino dentro Eni:
non molto funzionale, però, alla sua
attività».
Ge la acquisì per circa 70o miliardi delle vecchie lire, a fronte di un
portafoglio di ordini (l'azienda aveva appena vinto una grande commessa in Russia) di quattro volte superiore. «Il target della vecchia Nuovo Pignone non era di massimizzare
utile, era soprattutto sociale. Tanto
margine (utili ndr) era tra le pieghe
della gestione finanziaria. Un piccolo scrigno, anche tecnologico».
Quando fu venduta, nel 1994, la cosa fece scalpore. Quando Ge annunciò 40o esuberi, nel 2001, fu un colpo: anche perché l'azienda macina-
Lavoro
Quando nel 2001 furono
annunciati 400 esuberi
fu un colpo. Ma oggi
i dipendenti sono cresciuti
va utili. Ne nacque uno scontro fortissimo, anche dentro al sindacato e
alle Rsu. Chi c'era, ed era contrario,
contesta ancora quella scelta: «Il germe della distruzione dell'impresa
italiana» sbotta Quintilio Cherubini,
allora leader dei cassintegrati, che
per dare forza alle sue opinioni ricorda i dubbi arrivati anche dalla Rivista di alti studi in geopolitica: con il
Nuovo Pignone «cominciava un
nuovo capitolo della storia italiana,
in altre parole quel processo di deindustrializzazione che ci accompagnerà fino ad oggi». Se le scelte di
politica industriale vedono in campo gli altri governi europei molto di
più di quanto si è visto in Italia, è
difficile però non vedere i lati positivi dell'arrivo di Ge nel Nuovo Pignone. A fronte degli esuberi del 2001,
ora Ge ha aumentato i dipendenti,
negli ultimi tre mesi ha lanciato 48
proposte di assunzioni. E di alta qualità: c'era «già una discreta presenza
di ingegneri prima, ma la gente che
parlava inglese era una piccola minoranza. Ora il 52 per cento dei dipendenti ha una laurea, il 78 un diploma. I meeting sono quasi tutti in
inglese» spiega Messeri. Il business
nel 1993 era meno di un miliardo di
dollari, «ora siamo oltre 7. In Toscana eravamo 3.8oo, ora siamo oltre 5
mila dipendenti», sono aperte altre
sedi a Talamona (Sondrio), Bari, Vibo Valentia. Ed anche se la casa madre è negli Usa e gli utili attraversano l'oceano, la ricaduta in termini di
Pil locale, tasse, qualità formativa e
di lavoro è un dato di fatto, per Fi-
renze e (con l'apertura della nuova
struttura a Massa) per la Toscana.
Ma Ge resterà a Firenze per sempre? È stato il ruolo delle istituzioni
a «incollare» Ge qua, spingendo allora verso la nascita del centro di formazione nella ex Hantarex, e ora
con gli incentivi della Regione allo
stabilimento a Massa? «No - risponde lapidario
Messeri - Hanno
tutti svolto un ruolo importante. Ma
per entrare nell'orbita di questi gruppi internazionali occorre essere eccellenti: loro vogliono
utili. Ge ha portato
qua cambio di ritmo e sprovincializzazione, è stato un innesto di adrenalina che ci ha trasformato. Se siamo qui è perché facciamo le cose bene. Se non le facessimo bene non ci
sarebbe nessuna remora da parte
della multinazionale a spostare altrove la produzione». La forza per restare quindi «è avere un valore: finché siamo interessanti, investono, e
molto di più di quanto avremmo fatto da soli. Vale per noi come per la
Gucci con Richard Ginori. Anche in
Ginori c'è un valore su cui costruire: ma la capacità strategica di trasformare un valore in una opportunità è maggiore in chi ha una cultura industriale più elevata. Dobbiamo continuare a costruire sui nostri
punti di forza. Creatività, ingegneria. Fino a che avremo questa forza,
continueremo ad attrarre investimenti, faremo più fatturato, faremo
lavorare più persone».
Marzio Fatucchi
niarzio.fatucc [email protected]
@marziofatucchi
illöardl l dollari A tanto
ammontano gli investimenti
dei Generai Electric
sullo stabilimento fiorentino
soltanto dal 2007 a oggi
Nuovo Pignone fu acquisito
per 700 miliardi di lire
Mila dipendenti t la forza
lavoro impiegata oggi
dal Nuovo Pignone. II 52%
degli assunti è laureato,
il 78% diplomato. Prima di Ge
i dipendenti erano 3.800
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