NOI IERI Aristotele e la “condanna” della maternità L’origine della “questione femminile” di Marco Martorana Prof. Marco Martorana Docente Facoltà di Filosofia, Ateneo Pontificio Regina Apostolorum erché ancora oggi discutiamo di tutto ciò che viene etichettato come “questione femminile”? Avete presente l’espressione latina ipse dixit? Vuol dire, più o meno,“l’ha detto lui”, con un tono perentorio. La usiamo quando siamo di fronte a un parere indiscutibile, deriva dall’autorità di cui ha goduto per secoli il filosofo macedone Aristotele, maestro di Alessandro Magno e “maestro di color che sanno” anche per Dante. Aristotele sosteneva l’ineluttabilità della superiorità dei Greci su tutti gli altri popoli, l’esistenza di una schiavitù “naturale” e, nella Riproduzione degli animali, l’inferiorità della donna per motivi “scientifici”: il maschio è portatore del principio del mutamento e della generazione; la femmina di quello della materia. Il primo è “attivo” in quanto atto a generare nell’altro; la seconda è “passiva” in quanto è quella che genera in sé e nella quale si forma il generato. Poiché la forma è migliore “per natura” e più divina della materia, il maschio è migliore e più divino della femmina. Aristotele aveva pronunciato il verdetto, davanti all’ipse dixit si sarebbe sospesa ogni possibilità di critica. Non dobbiamo pensare che queste posizioni fossero frutto di misoginia. Per coloro la cui più alta aspirazione è la vita contemplativa e l’astrazione dalle necessità, l’inferiorità P della donna è paradossalmente giustificata, sulla base del fatto che la donna non è distaccabile dalla potenzialità di essere mamma. Essendo legata alla maternità, la donna è vista come inferiore, da chi concepisce la libertà umana solo come emancipazione dal corpo e dai bisogni della vita di tutti i giorni. [Per approfondire: Eva Cantarella, L’ambiguo malanno, Feltrinelli 2010]. Pensiamo anche a tutti quei riti di “passaggio” e di “iniziazione” che, presso tanti popoli antichi e moderni, intendono “separare” il bambino dal legame naturale con la madre, per farlo diventare membro della società. Come oggi, anche anticamente l’uomo di scienza non poteva certo vantare i “fan” dell’uomo di spettacolo, ma il grande pubblico a teatro non aveva certo modelli diversi: Eschilo, nella trilogia dell’Orestea – nella terza tragedia, le Eumenidi – fa pronunziare al Dio Apollo un discorso in difesa di Oreste. Oreste ha ucciso la madre per vendicare il padre Agamennone (il capo dei Greci alla guerra di Troia), è accusato perciò di matricidio e Apollo lo difende con queste parole: “colei che viene chiamata madre non è genitrice del figlio, bensì soltanto nutrice del germe appena in lei seminato. È il fecondatore che genera”. La diversità biologica non deve essere più un pregiudizio, ma un valore: Valore Mamma.