UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SALERNO
Dipartimento di Studi Umanistici (DipSUm)
Dottorato di Ricerca in Filologia Classica (XI Ciclo)
Tesi di Dottorato in Storia Greca
I frammenti di tradizione indiretta delle Politeiai
aristoteliche di Samo, Colofone e Cuma eolica.
Testo, traduzione e commento.
COORDINATORE DEL DOTTORATO
Chiar.mo Prof. Paolo Esposito
CANDIDATA
Angela Pezzullo
TUTOR
Chiar.ma Prof.ssa Marina Polito
Anno Accademico 2011-2012
SOMMARIO
Premessa
p. 1
Introduzione
p. 15
Costituzione dei tre corpora
p. 17
Contenuto dei frammenti e fonti tralatrici
p. 17
Struttura e contenuto degli opuscoli
p. 19
Politica e Politeiai
p. 22
Abbreviazioni
p. 27
Samion Politeia
La Politeia
p. 32
Fr. 1
p. 39
Fr. 2
p. 63
Fr. 3
p. 75
Fr. 4
p. 83
Fr. 5
p. 99
Fr. 6
p. 109
Fr. 7
p. 115
Frr. 8-9
p. 125
Fr. 10
p. 136
Kolophonion Politeia
La Politeia
p. 142
Fr. 1
p. 145
Fr. 2?
p. 172
Kymaion Politeia
La Politeia
p. 184
Fr. 1
p. 188
Frr. 2?-3?
p. 194
Fr. 4
p. 201
Bibliografia
p. 216
Concordanze
p. 242
PREMESSA
Il presente lavoro consiste nella ricostituzione del corpus dei frammenti di
tradizione indiretta di tre Politeiai aristoteliche d’Asia Minore — relative alle città
di Samo, Colofone e Cuma eolica —, con revisione del testo critico, traduzione e
commento storico e, all’occorrenza, filologico.
Delle Politeiai di Cuma e di Samo ci sono pervenuti, oltre ai frammenti di
tradizione indiretta studiati in questa sede, anche gli excerpta di Eraclide Lembo1:
questi ultimi riportano notizie in parte presenti anche nei frammenti di tradizione
indiretta, in parte in questi assenti, rispettando per lo più la successione in cui
esse erano disposte originariamente2, e costituiscono pertanto un utile strumento
per provare a ricostruire l’ipotetica scansione, all’interno degli opuscoli, di tutti i
contenuti preservati dalle fonti tralatrici. Nel presente studio gli estratti eraclidei
vengono dunque esaminati ai fini della costituzione del corpus, quale elemento di
supporto al riconoscimento e alla numerazione dei frammenti, e, più in generale,
ai fini della comprensione globale dei passi delle Politeiai in esame; essi tuttavia
non sono oggetto di un commento sistematico3.
Nel corso del lavoro ci si è avvalsi dell’ausilio delle edizioni e degli studi in cui i
frammenti delle Politeiai di Samo, Colofone e Cuma eolica, seppure all’interno di
raccolte più ampie, sono già stati pubblicati e/o commentati.
L’identificazione dell’autore del Peri; politeiw`n con Eraclide Lembo, dimostrata per la prima
volta da BLOCH 1940, pp. 31 e s., è attualmente invalsa tra gli studiosi.
2
Cfr. infra, p. 8 e nota 13.
3
Per il commento agli estratti eraclidei si rinvia a POLITO 2001.
1
1
Punto di riferimento per questo studio delle tre Politeiai sono state le edizioni dei
frammenti aristotelici di tradizione indiretta curate, dopo i FHG di Müller, da V.
Rose. La prima raccolta dei frammenti attribuiti dalle fonti ad opere aristoteliche
perdute a cura dello studioso tedesco fu pubblicata nel 1863 in un volume dal
titolo Aristoteles Pseudepigraphus: al suo interno i frammenti delle varie Politeiai
sono stampati in ordine alfabetico nella sezione Historica — con numerazione
indipendente rispetto ai frammenti delle altre opere perdute — e ciascuno di essi
è corredato da qualche parola (al più poche righe) di commento. L’edizione Rose
dei frammenti fu ripubblicata col titolo Aristotelis qui ferebantur librorum
fragmenta, nel quinto volume dell’Opera omnia dello Stagirita curata da Immanuel
Bekker per le stampe dell’Accademia Reale Prussiana, nel 1866; il medesimo
lavoro apparve, infine, a Lipsia nel 1886 per i tipi della Teubner, nella terza ed
ultima edizione (qui abbreviata semplicemente: Rose), destinata a divenire punto
di riferimento per tutti gli studi su frammenti aristotelici. In tale edizione
definitiva Rose modificò lievemente il corpus  escludendo alcuni frammenti
inclusi nelle precedenti raccolte (ad esempio il fr. 3 della Samion Politeia4) , ne
cambiò la numerazione, che divenne progressiva e del tutto svincolata
dall’appartenenza di ciascun frammento a una data opera, ed eliminò ogni traccia
di commento ai testi.
Dell’ormai “classica” opera di Rose, per lo studio svolto sulle tre Politeiai di Samo,
Colofone e Cuma, si è utilizzato in particolare l’Aristoteles Pseudepigraphus per
comprendere le scelte di classificazione operate dallo studioso e quale fonte di
spunti sempre acuti e stimolanti, ancorché talvolta di laconicità “sibillina”, per la
redazione del commento; ci si è avvalsi invece della edizione definitiva, quale
termine di confronto di acclarato rigore ai fini della costituzione del corpus, specie
4
Cfr. infra, pp. 75 e ss.
2
nei casi in cui gli elementi in base ai quali includere/escludere un dato frammento
dalla raccolta non apparissero di per sé sufficientemente probanti.
È su quest’ultimo fronte  criteri di inclusione/esclusione dei frammenti e, più in
generale, criteri di edizione di testi frammentari  che il lavoro di Rose, come è
inevitabile dato il tempo trascorso, appare per certi versi non più attuale. Il rigore
che impronta l’operazione di riconoscimento e inclusione dei testi nel corpus
(tendenzialmente basata sulla presenza nei frammenti del riferimento a una
Politeia aristotelica o, semplicemente, al nome di Aristotele in associazione a una
polis o a un ethnos5) sfocia in una selettività che appare talvolta eccessiva e di cui
l’assenza o l’eccessiva sintesi del commento non sempre consentono di
comprendere le ragioni: è questo il caso, che si riporta a titolo di esempio, del già
citato fr. 3 della Samion Politeia, incluso in Aristoteles Pseudepigraphus come fr. 185
e nella edizione berolinense del 1870 come fr. 531, ma escluso, per ragioni che
non si riesce a comprendere, dalla edizione definitiva del 1886. Altro aspetto 
anch’esso inevitabile ai nostri giorni  che rende l’edizione Rose non più
soddisfacente, alla luce dell’attuale approccio metodologico allo studio di testi
frammentari6, è l’eccessivo grado di decontestualizzazione dei frammenti dal
contesto in cui essi sono riportati dalla fonte tralatrice: nella raccolta di Rose
sono infatti pubblicati come frammenti solo le ristrette pericopi di testo che il
trasmissore attribuisce espressamente allo Stagirita7; è completamente tagliato il
contesto della citazione, il cui studio, affrontato per la redazione di questa tesi, si
Sui limiti di questo criterio di classificazione cfr. BERTELLI 2012, pp. 51-52, che reputa non
dimostrabile l’esistenza di alcune Politeiai, incluse nella raccolta di Rose, il cui titolo non è
attestato.
6
Cfr. infra, p. 5 e nota 10.
7
Tale tendenza a decontestualizzare la citazione aristotelica assume talvolta forme estreme, come
nel caso del fr. 1 della Samion Politeia (= 570 Rose): lo studioso classifica come frammento una
serie di passi traditi da varie fonti  non sempre con riferimento nominale ad Aristotele , che
attestano liste diverse di antichi nomi di Samo; all’interno di tali elenchi, però, Rose “taglia” i
singoli nomi che, secondo PLIN., Nat. Hist. V 37 135, non sarebbero stati ricordati dallo Stagirita
bensì da altri testimoni antichi (cfr. infra, pp. 39 e ss.).
5
3
è invece rivelato spesso determinante, in quanto ha consentito di illuminare
prospettiva e intenti della fonte tralatrice e, talvolta, di riconoscere ulteriori
nuclei di contenuto estrapolati dall’opuscolo aristotelico e variamente elaborati
dal trasmissore.
Più inclusiva8 e aggiornata, sotto questo profilo, appare l’edizione dei frammenti
aristotelici curata da Olof Gigon nel 1987, che costituisce il terzo volume della
seconda edizione della bekkeriana Opera omnia dello Stagirita: in tale raccolta i
frammenti di ciascuna opera perduta sono preceduti da una sintetica nota
introduttiva, che rende conto delle attestazioni nelle fonti antiche dell’opera
stessa e delle informazioni più rilevanti in essa contenute; ciascun frammento
viene inoltre riportato all’interno del più ampio contesto in cui è tramandato
dalla fonte tralatrice. Un simile criterio, che dia ampio spazio al contesto di
trasmissione, riportandone vaste sezioni in un’edizione non commentata e molto
inclusiva come quella di Gigon, presenta tuttavia un evidente inconveniente:
esso rende, cioè, piuttosto difficile al lettore “identificare” il frammento e
individuarne visivamente estensione e contenuto.
Altra opera costantemente utilizzata nel corso della ricerca qui presentata, è la
traduzione in lingua tedesca dei frammenti storici di Aristotele pubblicata da
Martin Hose nel 2002: si tratta di una traduzione basata sul testo dell’edizione
Rose  che dunque non entra nel merito dei problemi di riconoscimento,
delimitazione e numerazione dei frammenti , in cui ciascun testo è corredato da
sintetiche note esplicative.
Il carattere “inclusivo” della raccolta curata da Gigon ha dato adito talvolta a critiche e ad
accuse di scarso rigore nei criteri di selezione dei frammenti e delle attestazioni delle opere
perdute. Un giudizio di tal genere ha espresso, di recente, L. Bertelli (BERTELLI 2012, pp. 52-53)
circa l’infondatezza della identificazione di alcune delle 148 Politeiai riconosciute da Gigon. La
limitata esperienza occorsa per il presente lavoro non consente di esprimersi in merito a siffatte
critiche: i corpora costituiti da Gigon per le tre Politeiai esaminate, infatti, sono perfettamente
coincidenti con quelli riconosciuti da Rose e non mostrano, pertanto, segni di eccessiva
“inclusività”.
8
4
Rispetto alle edizioni passate in rassegna9, il lavoro confluito in questa tesi si
distingue per il tentativo di rispondere a una duplice esigenza: da un lato, rivedere
il testo critico dei frammenti, fornirne una traduzione italiana  tutt’oggi non
disponibile  e redigerne un commento sistematico ed approfondito, come solo
l’esame di un corpus limitato, quale è in questo caso, può consentire di fare;
dall’altro, affrontare tutti gli specifici problemi posti dalla edizione di questi testi
frammentari in una prospettiva metodologica aggiornata, in linea con gli
orientamenti più recenti.
Come sopra accennato, il punto nodale degli attuali criteri di edizione dei
frammenti è rappresentato dalla attenzione riservata al loro contesto di
trasmissione e alla natura della fonte che li tramanda: ripercorrere all’indietro il
processo della loro trasmissione, valutare caso per caso l’affidabilità/inaffidabilità
della fonte tralatrice, considerare le finalità e la funzione che la citazione riveste
nel contesto, osservare le modalità (discorso diretto/indiretto) e il grado di
rielaborazione (citazione “letterale”, parafrasi, sintesi, riuso, semplice allusione o
riecheggiamento) in cui essa viene riportata, rappresentano altrettante operazioni
essenziali per provare a cogliere le possibili distorsioni di forma e significato subite
dal testo nel processo di trasmissione e per tentare di risalire a una forma e a un
significato quanto più vicini possibile a quelli che esso doveva avere nel contesto
originario  contesto anch’esso ricostruibile, solo in via ipotetica e con estrema
cautela, al termine dell’intero processo10.
E ad altre pure disponibili: NEUMANN 1827; HEITZ 1869.
10
Sugli attuali criteri di studio ed edizione di testi frammentari si vedano, tra gli altri, BRUNT
1980; GRILLI 1982, p. 118; VATTUONE 1991, pp. 11-15; MOST 1997, p. VII; SCHEPENS 1997, p.
166 s.; LENFANT 1999; DARBO - PESCHANSKI 2004, pp. 291-293; LENFANT 2004, pp. CLXXVCLXXXII; AMBAGLIO 2009, pp. 541 ss.
9
5
Il principale criterio adottato per includere un frammento in uno dei tre corpora è
stato, naturalmente, il ritrovare al suo interno l’esplicita menzione del titolo della
specifica Politeia aristotelica (Sam. Pol., frr. 4, 5, 7; Koloph. Pol., fr. 1; Kym. Pol.,
fr. 4). Si sono poi accolti nei corpora, talvolta come frammenti certi, talaltra come
frammenti dubbi (Koloph. Pol., fr. 2?), tutti i frammenti che, pur non riportando il
titolo dell’opuscolo, contengono il riferimento nominale ad Aristotele in
associazione a:
- contenuti pertinenti le tre poleis, i loro cittadini e il loro territorio, per i quali
non sia ipotizzabile con maggior ragione una collocazione in altre opere dello
Stagirita (Sam. Pol., frr. 8, 9, 10; Koloph. Pol., fr. 2?; Kym. Pol., fr. 1);
- una forte similarità di contenuto con i relativi estratti eraclidei (Sam. Pol., frr. 1,
2, 3).
Si sono inoltre classificati come frammenti (frr. 6a e 6b) della Samion Politeia due
testi che, benché privi di esplicito riferimento ad Aristotele o all’opuscolo,
presentano una perfetta e peculiare identità di contenuto con il relativo estratto
eraclideo. Infine, si è scelto di includere nella raccolta, seppure come frammenti
dubbi (frr. 2?, 3? Kym. Pol.), anche due passi delle Quaestiones Graecae plutarchee
che non menzionano lo Stagirita né i suoi scritti, e neppure presentano analogia
di contenuto con l’estratto cumano, di cui tuttavia diversi studiosi, con validi
argomenti di cui si rende conto nel commento, hanno ipotizzato la possibile
dipendenza dalla Kymaion Politeia11.
Quanto alla numerazione dei frammenti, si è valutata a lungo l’opportunità di
conservare
la
numerazione
proposta
dall’edizione
Rose:
tale
criterio
“conservativo”, tendenzialmente preferibile nella edizione di testi frammentari12,
11
12
Cfr. infra, pp. 194 e ss.
Cfr. WEST 1973, p. 98; LENFANT 2004, pp. CLXXXI-CLXXXII.
6
avrebbe avuto l’indubbio vantaggio di non costringere il lettore al continuo
confronto tra la numerazione proposta in questa sede e quella ormai canonica di
Rose. È tuttavia sembrato che una rinuncia in tal senso non si sarebbe rivelata
pienamente risolutiva e avrebbe anzi sollevato nuovi problemi, soprattutto nei
casi in cui le scelte di classificazione e le ipotesi di ricostruzione proposte in
questa sede non coincidono con quelle dello studioso (Sam. Pol., frr. 3, 4, 8, 9, 10;
Koloph. Pol., fr. 2?; Kym. Pol., frr. 2?, 3?).
Non fornire una nuova numerazione dei frammenti avrebbe in primo luogo
significato rinunciare, di fatto, a proporre una ricostruzione della successione dei
contenuti nell’opuscolo  successione che peraltro, in più di un caso (Sam. Pol.,
frr. 4, 10), diverge dall’ordine ipotizzato da Rose. In secondo luogo, avrebbe posto
il problema di come numerare i frammenti inclusi nella presente edizione ma
assenti dai rispettivi corpora dell’edizione Rose o perché pubblicati solo in
apparato, quindi senza numerazione (Kym. Pol., frr. 2?, 3?, ovvero due passi dalle
Quaestiones Graecae plutarchee, citati da Rose in apparato, p. 327, nota l. 12,
come frammenti dubbi della Kymaion Politeia), oppure perché classificati in altri
opuscoli (Koloph. Pol., fr. 2?, classificato da Rose come fr. 584 della Sybariton
Politeia) o, ancora, perché non riconosciuti (Sam. Pol., fr. 3, tradito da AELIAN.,
Nat. An. XVII 20, assente dall’edizione Rose).
Considerato, infine, che le edizioni curate da Rose e da Gigon comprendono
l’intero corpus dei frammenti aristotelici, numerati in progressione, senza
interruzioni fra un’opera e l’altra, in questa sede è parso opportuno provare a
rinumerare il corpus di ogni Politeia — anche al fine di rendere immediatamente
leggibile la ricostruzione che si propone di ciascun opuscolo in termini di
successione dei contenuti superstiti —, pur nella consapevolezza delle difficoltà e
degli inevitabili rischi che tale scelta comporta.
7
Nella classificazione e numerazione dei frammenti si sono utilizzati:
•
lettere minuscole, a seguire il numero di frammento, per contrassegnare
1) le diverse versioni in cui un medesimo testo è tradito dalle fonti (ad
esempio, Sam. Pol., fr. 4a e 4b)
oppure
2) diversi nuclei di contenuto pertinenti lo stesso argomento e pertanto
presumibilmente costituenti due parti di una medesima trattazione (ad
esempio, Kym. Pol., fr. 4a e 4b);
•
punto interrogativo, a seguire il numero di frammento e l'eventuale
lettera, per evidenziare già a livello grafico il carattere dubitativo
dell’attribuzione del frammento alla raccolta (ad esempio, Koloph. Pol., fr.
2?).
Nell’operazione di numerazione dei frammenti è stato fondamentale l’apporto
fornito dallo studio degli excerpta eraclidei; due aspetti in particolare della
struttura degli estratti si sono rivelati determinanti:
1) la perfetta corrispondenza tra l’ordine dei contenuti dell’Athenaion Politeia e
quello del relativo estratto eraclideo;
2) il tendenziale rispetto della successione cronologica degli eventi, che viene
violata solo in due dei quarantaquattro excerpta (in uno dei due casi, peraltro, si
tratta dell’estratto cumano)13.
Alla luce di tali caratteristiche strutturali degli estratti è stato possibile definire
due criteri-guida per la numerazione dei frammenti:
1) seguire la “griglia” delle notizie conservate da Eraclide nei casi in cui i
frammenti riportano i medesimi contenuti degli estratti;
13
POLITO 2001, pp. 222-223.
8
2) collocare i frammenti in base alla successione diacronica degli eventi attestati,
qualora essa sia ricostruibile, nei casi in cui i testi tramandano notizie assenti
negli estratti. L’applicazione di tale criterio cronologico è risultata agevole per la
numerazione di frammenti di contenuto storico-antiquario o aneddotico in cui
vengono menzionati personaggi noti e storicamente collocabili; è questo, ad
esempio, il caso di alcuni frammenti della Samion Politeia: fr. 2 (aneddoto sul
mitico re Anceo), fr. 4 (battaglia della Quercia fra Samo e Priene e
partecipazione del saggio Biante alle trattative di pace), fr. 5 (vicende biografiche
di Esopo), fr. 6 (aneddoto relativo al re persiano Silosonte), frr. 8 e 9 (assedio
ateniese di Samo del 440).
Resta, invece, decisamente problematica, o quantomeno dubbia, la numerazione
di frammenti
- incentrati su episodi rientranti nella categoria dei mirabilia, di cui è possibile
ricostruire il referente storico solo in via dubitativa (cfr. il fr. 3 della Samion
Politeia, che ricorda la straordinaria presenza di una rondine bianca sull’isola);
- di contenuto aneddotico su personaggi altrimenti ignoti (è il caso del fr. 10 della
Samion Politeia, che narra un aneddoto sul non meglio noto Mandrobulo);
- pertinenti istituzioni e nomoi non documentati da altre fonti e comunque non
databili con sicurezza (come i frr. 2?, 3? e 4 della Kymaion Politeia, che attestano
l’esistenza a Cuma, in un momento storico imprecisato, rispettivamente di una
peculiare legislazione sulla moicheia, di un magistrato definito phylaktes e di un
archon chiamato aisymnetes).
La revisione del testo dei frammenti è stata effettuata sulla base delle più
aggiornate edizioni critiche delle rispettive fonti tralatrici: partendo da
un’edizione di riferimento, si è valutato di volta in volta  in seguito all’attenta
9
verifica delle edizioni precedenti e dei singoli studi relativi ai testi oggetto di
indagine  se fosse opportuno seguirne in toto le scelte o piuttosto si presentasse
la necessità di mettere a testo lezioni diverse. Gli apparati dei frammenti (misti)
sono stati pertanto redatti da chi scrive; testo ed apparati degli estratti di Eraclide
sono riprodotti dall’edizione Dilts del 1971.
Nelle traduzioni si è cercato di attenersi il più possibile al significato letterale dei
testi, al fine di non distorcerne o forzarne il senso, più di quanto non si rischi di
fare già a causa del loro stesso carattere frammentario.
Nel commento si è cercato di affrontare tutti i problemi, di ordine filologico,
storico e storiografico, sollevati dallo studio di ciascun testo.
In primo luogo si è inteso rendere conto delle scelte di attribuzione, delimitazione
e numerazione dei singoli frammenti: si è proceduto, a questo scopo, all’esame dei
diversi contesti di trasmissione e dello specifico modus operandi delle relative fonti
tralatrici, nel tentativo di ripercorrere il processo di trasmissione subito da ciascun
testo e ricostruirne, almeno in via ipotetica, la forma e il significato originari.
Nella stessa sede sono state illustrate, quando necessario ai fini della corretta
interpretazione del testo, questioni di natura più strettamente filologica,
pertinenti la tradizione testuale di un dato frammento e la costituzione del suo
testo critico.
Si è poi provveduto ad esaminare il contenuto di ciascun testo e a chiarirne il
significato storico e la prospettiva storiografica, provando ad individuare le
tradizioni confluite di volta in volta nella trattazione aristotelica e ad osservarne
l’orientamento nel panorama delle fonti antiche sui medesimi temi. Come passo
ulteriore, si è cercato di esaminare il modo di porsi dello Stagirita nei confronti
10
delle proprie fonti e degli stessi eventi narrati, di considerarne il modo di
selezionare ed esporre i dati e di riflettere, di conseguenza, sulla forma peculiare in
cui i fatti storici vengono esposti nelle Politeiai, all’occorrenza anche rispetto al
modo in cui essi sono allusi e compendiati nella Politica.
Nelle pagine premesse a ciascuna Politeia si è provato, inoltre, nei limiti imposti
dalla estrema lacunosità del materiale superstite, a ricomporre in un quadro
d’insieme i contenuti dell’opuscolo preservati dalle fonti e a ricostruirne
l’ipotetica struttura, “incrociando”, quando possibile, frammenti di tradizione
indiretta ed estratti eraclidei; nella Introduzione, infine, si è cercato di inquadrare
quanto emerso dallo studio di ciascun opuscolo nell’ambito del dibattito più
ampio su caratteristiche e struttura delle Politeiai aristoteliche in generale, con
particolare riferimento al presunto “modello” dell’Athenaion Politeia14.
Appendice filologica
Per la tradizione del testo di ciascuna fonte tralatrice si tenga conto delle seguenti
indicazioni.
Samion Politeia
Fr. 1
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti di PLIN., Nat. Hist. si rimanda a
MAYHOFF 1996, pp. V-XIV; per le prime edizioni cfr. anche pp. XIV-XVI.
Fr. 2a
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti degli Schol. in Ap. Rhod.si rimanda
all’edizione WENDEL 1935, pp. VII-XXVII.
14
Cfr. infra, pp. 19 e ss.
11
Fr. 2b
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti degli Schol. in Hom. Od. si rimanda
all’edizione DINDORF 1855, I, pp. III-LXXII.
Fr. 2c1
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti della Vulgata di Zenobio si rimanda a
BÜHLER 1982, pp. 13-43 e LELLI 2006, pp. 26-29.
Fr. 2c2
Per la redazione Athoa di Zenobio cfr. BÜHLER 1982, pp. 15-17, 20 e LELLI 2006,
pp. 26-29. Per il testo si rimanda a MILLER 1868.
Fr. 3
Per i sigla di AELIAN., Nat. An. si rimanda a SCHOLFIELD 1958, pp. XXV ss.
Fr. 4a
Per i manoscritti delle diverse redazioni dei proverbi di Zenobio si rimanda a
BÜHLER 1982, pp. 13-43 e LELLI 2006, pp. 26-29.
Fr. 4b
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti di PLUTARCH. , Quaest. Gr. si rimanda
all’edizione BOULOGNE 2002, pp. VII-XIV e bibliografia indicata ibidem, p. VII,
nota 1.
Fr. 5
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti degli Schol. in Aristoph. Aves si rimanda
all’edizione HOLWERDA 1991, pp. VIII-XXXVIII.
Fr. 6a
Per i manoscritti delle diverse redazioni dei proverbi di Zenobio si rimanda a
BÜHLER 1982, pp. 13-43 e LELLI 2006, pp. 26-29.
Fr. 6b
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti di Strabone si rimanda all’edizione
RADT 2002, I pp. VII-XV, XXIII-XXIV.
Fr. 7
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti di PHOTIUS, Lex. si rimanda alle
edizioni NABER 1864, pp. 4-8 e THEODORIDIS 1982, pp. XXX-XXXIV.
12
Frr. 8-9
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti di PLUTARCH., Per. si rimanda a
FLACELIÈRE 1957, pp. XXXII-LV, e ZIEGLER 1959, pp. V-VIII.
Fr. 10
Per i sigla di AELIAN., Nat. An. si rimanda a SCHOLFIELD 1958, pp. XXV ss.
Kolophonion Politeia
Fr. 1a
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti di Ateneo si rimanda a ARNOTT 2000,
pp. 41-52; sui problemi della tradizione di Ateneo status quaestionis ancora in
ARNOTT 2000, pp. 41-52; si veda anche LENFANT 2007, pp. 383-385.
Fr. 1b
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti di Polluce si rimanda a BETHE 1900, pp.
V-XX.
Fr. 2?
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti di Ateneo si rimanda a ARNOTT 2000,
pp. 41-52; sui problemi della tradizione di Ateneo ancora ARNOTT 2000, pp. 4152; si veda anche LENFANT 2007, pp. 383-385.
Kymaion Politeia
Fr. 1a
Per l’Etymologicum Genuinum si rimanda all’edizione LASSERRE - LIVADARAS
1976, pp. V-XXX.
Fr. 1b
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti di PHOTIUS, Lex. si rimanda alle
edizioni NABER 1864, pp. 4-8 e THEODORIDIS 1982, pp. XXX-XXXIV.
Fr. 1c
Per gli scolî platonici si rimanda a GREEN 1938, pp. V-XXVII
13
Frr. 2-3?
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti di PLUTARCH. , Quaest. Gr. si rimanda
all’edizione BOULOGNE 2002, pp. VII-XIV e bibliografia indicata ibidem, p. VII,
nota 1.
Fr. 4a
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti della Hypoth. II in Soph. Oed. Tyr. si
rimanda all’edizione PEARSON 1957, pp. III-XXIV; cfr. anche DINDORF 1852, pp.
III-XXII.
Fr. 4b
Per i sigla e la descrizione dei manoscritti degli Schol. in Eurip. Med. si rimanda
all’edizione SCHWARTZ 1887, pp. V-XIII; 1891, pp. III-VIII.
14
INTRODUZIONE
Le fonti sono concordi nell’attribuire ad Aristotele una raccolta di scritti, dal
titolo complessivo Politeiai, dedicati a popoli e città del mondo greco; non sono
concordi, viceversa, le testimonianze antiche in merito al numero di tali
opuscoli, che varia da un minimo di 158 a un massimo di 258 scritti15.
A dispetto della comune attestazione delle fonti, la paternità aristotelica delle
Politeiai  e della stessa Athenaion Politeia  è stata ampiamente discussa dagli
studiosi moderni ed è tuttora oggetto di dibattito16; vige un sostanziale accordo,
viceversa, nel riconoscere maggiore fondatezza, nel quadro delle fonti antiche,
agli elenchi delle opere aristoteliche redatti da Esichio di Alessandria e da
Diogene Laerzio (V 21), i quali, rispettivamente al numero 135 e al numero 143
della lista, menzionano 158 Politeiai17.
A una generica raccolta di Politeiai (ejk tw`n sunhgmevnwn politeiw`n) fa riferimento
anche Aristotele stesso nel capitolo conclusivo dell’Etica Nicomachea (1181 b
15)18, in cui egli esplicita il fine della loro stesura in relazione alla redazione della
Per l’elenco delle fonti che attribuiscono ad Aristotele una raccolta di Politeiai cfr. ROSE 1886,
pp. 258-260.
16
Cfr. tra gli altri CHAMBERS 1990, pp. 75-82; KEANEY 1992, pp. 3-19; LÉVY 1993, pp. 65-90;
RHODES 1981, pp. 58-63; WHITEHEAD 1993, pp. 25-38. In questa sede non si entrerà nel merito
della complessa problematica: ogni qualvolta si menzionerà Aristotele, lo si farà in modo
puramente convenzionale, per alludere più in generale all’ambiente del Peripato e al complesso di
interessi storici, antiquari, istituzionali, filologici e paremiografici che sembrano aver ispirato il
progetto Politeiai ed essersi riverberati in vari riflessi nelle attività dello Stagirita e dei suoi allievi.
17
Cfr. MORAUX 1951, p. 27. Per la raccolta commentata delle fonti relative al numero di Politeiai
aristoteliche, cfr. BERNAYS 1850, pp. 286 ss., ROSE 1863, pp. 393 ss.; ROSE 1886, pp. 258 ss.;
SANDYS 1912, pp. XXVI-XXXIX; GIGON 1987, pp. 561-564; RHODES 1981, pp. 1 ss..
18
Eth. Nic. 1181 b 15 ss.: Pρῶτον µὲν οὖν εἴ τι κατὰ µέρος εἴρηται καλῶς ὑπὸ τῶν προγενεστέρων
πειραθῶµεν ἐπελθεῖν, εἶτα ἐκ τῶν συνηγµένων πολιτειῶν θεωρῆσαι τὰ ποῖα σῴζει καὶ φθείρει τὰς
πόλεις καὶ τὰ ποῖα ἑκάστας τῶν πολιτειῶν, καὶ διὰ τίνας αἰτίας αἳ µὲν καλῶς αἳ δὲ τοὐναντίον
πολιτεύονται. In primo luogo, dunque, cerchiamo di esaminare se gli autori precedenti hanno detto
qualcosa di bello, quindi vogliamo vedere dalle politeiai raccolte (ejk tw`n sunhgmevnwn politeiw`n) cosa
salva e cosa rovina le singole costituzioni e per quale motivo le une delle poleis hanno una bella
costituzione, le altre invece il contrario.
15
15
Politica: la riflessione teorica lì svolta avrebbe preso le mosse, da un lato,
dall’analisi di quanto già teorizzato dai pensatori precedenti (ovvero dall’esame
delle Politeiai generali19 di Platone, Falea di Calcedone e Ippodamo da Mileto,
svolto in Pol. II), dall’altro, dallo studio delle costituzioni reali e dei loro
mutamenti condotto sulla base delle politeiai raccolte (ejk tw`n sunhgmevnwn
politeiw`n)20.
Di tale raccolta di Politeiai, com’è noto, conosciamo quasi per intero solo
l’Athenaion Politeia, grazie a due papiri emersi dalle sabbie del deserto egiziano alla
fine dell’ ’80021. Di 44 Politeiai ci sono giunti gli excerpta di Eraclide Lembo22,
erudito alessandrino attivo intorno alla metà del II sec. a.C.23. Delle restanti
Politeiai non restano che frammenti di tradizione indiretta, non sempre
tramandati con la menzione del titolo dell’opuscolo, il che rende particolarmente
ardua la identificazione di tutti gli ethne e le poleis cui era stata dedicata una
Politeia nel progetto originario del Peripato.
Nei paragrafi seguenti si illustrano i risultati dello studio svolto, in particolare il
contributo che l’esame dei tre corpora sembra poter fornire su alcuni temi, cruciali
nell’ambito del più generale dibattito sulle Politeiai aristoteliche.
Per la distinzione tra Politeiai generali e Politeiai speciali cfr. TREU 1967, col. 1928 ss. e MEISTER
1994, pp. 117-119.
20
Per il dibattito sul passo cfr. infra, pp. 22 e ss.
21
P. Berol. inv. 5009 (MP3 164; LDAB 398), edito per la prima volta da F. Blass nel 1880, pp.
366-382, e P. Lond. Lit. 108 (= P. Lond. 1 p. XIX no. 131), edito per la prima volta da F. G.
Kenyon nel 1891.
22
Per l’identificazione dell’autore del Peri; politeiw`n con Eraclide Lembo, cfr. supra, nota 1.
23
Sulla forma in cui gli estratti ci sono giunti (excerpta excerptorum o fragmenta excerptorum) e per
un esame del modus excerpendi, nonché dell’effetto di distorsione del testo originario da esso
causato, cfr. POLITO 2001, pp. 201-243.
19
16
Costituzione dei tre corpora
L’esistenza delle tre Politeiai di Samo, Colofone e Cuma eolica è documentata
dalla esplicita attestazione del titolo dei tre opuscoli da parte delle fonti24. Tanto
della Politeia di Cuma quanto di quella di Samo, inoltre, possediamo anche gli
estratti eraclidei.
I tre corpora, per i quali si rinvia alla introduzione a ciascuna Politeia25, constano
complessivamente di sedici frammenti, alcuni dei quali di attribuzione dubbia.
Precisamente, è sembrato di poter riconoscere:
- dieci frammenti della Samion Politeia, di cui uno di nuova attribuzione rispetto
alle edizioni Rose e Gigon (fr. 3);
- due frammenti della Kolophonion Politeia, di cui uno di nuova attribuzione
rispetto alle edizioni Rose e Gigon, il cui riconoscimento viene proposto qui in
via dubitativa (fr. 2?);
- quattro frammenti della Kymaion Politeia, di cui due di nuova attribuzione
rispetto alle edizioni Rose e Gigon, qui classificati come frammenti dubbi (fr. 2? e
fr. 3?) per ragioni esposte nella introduzione all’opuscolo e, più in dettaglio, nel
commento ai testi.
Contenuto dei frammenti e fonti tralatrici.
Il contenuto dei frammenti superstiti va considerato in relazione alle fonti che li
tramandano. È noto che gli argomenti dei frammenti riflettono gusti e interessi
delle fonti tralatrici26, le quali — nel caso dei frammenti qui esaminati —
consistono per la maggior parte in fonti scoliastiche, lessicografiche,
paremiografiche e più genericamente erudite (come nei casi di Plinio, Plutarco,
Rispettivamente nei frr. 4a, 5 e 7 della Sam. Pol., nel fr. 1a della Koloph. Pol. e nel fr. 4a della
Kym. Pol.
25
Cfr. infra, pp. 32-36 (Sam. Pol.), 142-143 (Koloph. Pol.), 184-187 (Kym. Pol.).
26
Sulle caratteristiche dei testi frammentari cfr. supra, p. 5, nota 10.
24
17
Ateneo e Claudio Eliano), e non consentono pertanto che ci si esprima in merito
alla globalità dei contenuti originari degli opuscoli. Nel complesso i frammenti
superstiti riportano notizie di tipo geografico (Sam. Pol., fr. 1; Kym. Pol., fr. 1),
miti-storico (Sam. Pol., fr. 2), storico (storia evenemenziale: Sam. Pol., frr. 6, 7;
Koloph. Pol., fr. 2?; storia militare: Sam. Pol., frr. 4, 8, 9; storia locale, legata a
personaggi di spicco: Koloph. Pol., fr. 1; Sam. Pol., fr. 5), istituzionale (Kym. Pol.,
frr. 2?, 3?, 4), aneddotico (Sam. Pol., fr. 10), talvolta quali interpretamenta di
espressioni proverbiali (Sam. Pol., frr. 2, 4, 6, 7, 10). Solo tre frammenti della
Kymaion Politeia (frr. 2?, 3?, 4)27, due dei quali peraltro di attribuzione dubbia,
contengono dunque informazioni di tipo istituzionale, su due figure magistratuali
— un phylaktes (fr. 3?) e un aisymnetes (fr. 4) — e sulla legislazione sulla moicheia
(fr. 2?), di cui è difficile stabilire con sicurezza l’orizzonte cronologico.
Osservazioni analoghe si possono fare a proposito degli excerpta eraclidei, sia per
quanto riguarda il grado di decontestualizzazione delle informazioni sia per quel
che concerne la natura dei contenuti traditi. Essi infatti, come recentemente è
stato evidenziato, si presentano come estratti di una epitome delle Politeiai,
strutturati «per nuclei» di contenuto «giustapposti» gli uni agli altri senza alcuna
attenzione ai nessi e ai rapporti che tra essi stabiliva la sua fonte: anche in questo
caso, dunque, le notizie attestate sono del tutto decontestualizzate e riflettono una
selezione basata solo sugli interessi e le curiosità del compilatore, priva di
qualunque pretesa di completezza o fedeltà alla fonte28.
Fatta questa premessa, la forte presenza di contenuti di tipo aneddotico è
caratteristica osservabile in maniera costante anche negli estratti eraclidei —
come del resto, in generale, in tutti i frammenti di tradizione indiretta — e appare
27
28
Cfr. infra, pp. 194 e ss.
POLITO 2001, pp. 201-227.
18
pertanto riconducibile anche in questo caso al processo di trasmissione del testo.
Anche dallo studio degli estratti delle Politeiai qui esaminate, inoltre, emerge la
presenza di informazioni di tipo politico-costituzionale solo nella Kymaion Politeia,
in particolare nei paragrafi conclusivi dell’excerptum: ampliamento del corpo
civico su basi censitarie ad opera di Fidone (par. 39 Dilts); limitazione del diritto
di cittadinanza a soli mille uomini ad opera di Prometeo (ancora par. 39 Dilts);
rovesciamento della costituzione e imposizione di un regime monarchico ad opera
di Ciro (par. 38 Dilts)29.
Nel complesso, tanto per gli estratti quanto per i frammenti di tradizione
indiretta, l’avvenuta decontestualizzazione e la condizione fortemente lacunosa
del materiale superstite non consentono di esprimersi con sicurezza in merito alla
globalità dei contenuti originariamente presenti negli opuscoli e inducono a
formulare osservazioni solo limitatamente ad alcuni aspetti specifici.
Struttura e contenuto degli opuscoli.
Quali fossero la struttura e la tipologia di contenuti originari delle Politeiai è
questione tuttora ampiamente dibattuta, che coinvolge anche il problema del
valore da attribuire all’Athenaion Politeia nella elaborazione di ipotetici modelli di
ricostruzione della struttura originaria degli altri opuscoli30. Ormai invalsa tra gli
studiosi è l’idea di una certa peculiarità dell’Athenaion Politeia rispetto alle altre
Politeiai aristoteliche tanto sotto il profilo delle caratteristiche strutturali quanto
Ibid.
Sul genere letterario della politeia, sulle diverse accezioni che il termine politeia assume nel
pensiero politico di età classica e più specificamente nel lessico aristotelico cfr. BORDES 1980 e
1982; sulle caratteristiche dell’Athenaion Politeia, anche nel quadro più ampio degli altri scritti
antichi noti col titolo di Politeia, cfr. ancora BORDES 1982, pp. 436-452 e i contributi raccolti in
MADDOLI 1991, in particolare MEISTER 1991, pp. 116-120; sulle scarse informazioni in merito alle
caratteristiche compositive delle Politeiai aristoteliche cfr. KEANEY 1992, pp.178-184. Sulla
presumibile peculiarità dell’Athenaion Politeia rispetto alle altre Politeiai, tanto sul piano dello
struttura quanto su quello della qualità e quantità delle fonti alla sua base, cfr. TOYE 1998-1999,
pp. 235 ss.
29
30
19
sul piano della quantità e qualità delle fonti alla base della sua redazione.
Ampiamente condivisa, in particolare, è la convinzione che la bipartizione
individuabile nell’opuscolo ateniese — in una prima sezione comprendente il
profilo storico dello sviluppo costituzionale della polis e in una seconda dedicata
alla descrizione sistematica dell’assetto istituzionale della città al tempo di
Aristotele — sia una specificità da non intendere quale rigido modello di
composizione di tutte le Politeiai, rintracciabile sì in altri opuscoli ma in modo
molto differenziato. Come parrebbe di poter ricavare anche alla luce delle ipotesi
di ricostruzione della Lakedaimonion Politeia recentemente formulate da Marcello
Lupi31, la struttura di ciascuna Politeia, lungi dal rispondere ad una organizzazione
standard della materia, rifletterebbe piuttosto la visione d’insieme che Aristotele
aveva della storia istituzionale della città. Il problema della struttura delle Politeiai
sembrerebbe dunque da affrontare in relazione a ciascun opuscolo nella sua
singolarità, alla luce della specifica documentazione preservata dalle fonti.
Nel caso specifico delle tre Politeiai oggetto della presente ricerca, la scarsità della
materia superstite, specie per le Politeiai di Colofone e di Cuma, non rende
possibile esprimersi neppure in via ipotetica sulla struttura d’insieme di ciascun
opuscolo. È possibile tuttavia formulare delle osservazioni su alcuni aspetti
specifici della stessa struttura.
In primo luogo appare certo, data la gran quantità di frammenti di argomento
storico-antiquario pervenutici, che almeno una parte dell’opera avesse uno
sviluppo di tipo storico-diacronico; resta invece incerta, perché non
LUPI 2012, pp. 76-83, individua anche nella Lakedaimonion Politeia una sorta di bipartizione, che
sembra però riflettere la specifica vicenda istituzionale spartana nonché la visione che lo Stagirita
doveva averne: nella prima sezione dell’opuscolo sarebbero state illustrate «le istituzioni in quanto
archai», in una trattazione nella quale l’ordinamento spartano appare tutt’altro che esente da
staseis e metabolai; nella seconda sarebbero state descritte «le istituzioni in quanto epitedeumata».
31
20
documentata, la presenza, nel piano dell’opera originario, di una sezione di
carattere descrittivo, relativa all’assetto politico e istituzionale di IV secolo.
Più in particolare, si può forse fare qualche riflessione in merito ai contenuti che è
ipotizzabile venissero affrontati nella sezione iniziale degli opuscoli.
È stata da più studiosi32 sottolineata la centralità che il motivo della ktisis doveva
rivestire all’interno delle Politeiai, come suggerito — oltre che dalla sua presenza
in alcuni frammenti ed estratti degli opuscoli — anche da un passo del plutarcheo
Non posse suaviter vivi secundum Epicurum (Mor. 1093c) in cui il Cheronese,
nell’ambito di un elenco di opere di tipo storiografico, geografico e biografico,
menziona le Ktivsei~ kai; Politeiva~ di Aristotele, utilizzando i due termini ktivsi~
e politeiva in endiadi per alludere alle sole Politeiai. In qualche caso33 è stato
ipotizzato che le vicende relative alla ktisis costituissero proprio il principio della
narrazione storica svolta nell’opera.
La possibilità che il motivo della fondazione sia da considerare elemento
strutturale in tutte le Politeiai, e primo nucleo di contenuto della sezione
diacronica di ciascun opuscolo in quanto atto di nascita della relativa polis, è stata
discussa in un interessante dibattito sorto in occasione di un incontro di studi tra
i collaboratori della Collana «I frammenti degli storici greci», tenutosi presso
l’Università di Roma “Tor Vergata” nei giorni 23 e 24 febbraio 201234. Che la
Cfr. SCHETTINO 1999, p. 644; TOYE 1999, p. 237; OTTONE 2002, pp. 74-75; BOLLANSÉE 2007;
ERDAS 2009, pp. 579-588.
33
Cfr. OTTONE 2002, p. 74, a proposito della Politeia di Cirene.
34
In quella sede, tale ipotesi fu formulata da D. Erdas alla luce della ricorrenza di miti e vicende
legati alla fondazione della polis in frammenti ed estratti di realtà coloniali, in special modo
magnogreche. M. Polito, pur concordando sulla possibile attendibilità di tale ricostruzione in
Politeiai di ambito apecistico, suggerì cautela nel generalizzarla a tutti gli opuscoli, pensando in
particolare a casi in cui la narrazione storica della Politeia sembra prendere le mosse da un
momento cronologicamente più basso rispetto alla fondazione. Un diverso contributo al dibattito
fu offerto da F. Ferraioli, che, ponendo il problema dell’inizio delle Politeiai di stati federali,
presentò il caso di un frammento della koinhv politeiva degli Arcadi trasmesso da Arpocrazione (fr.
483 Rose), stando al quale Aristotele avrebbe menzionato il consesso dei Diecimila — che,
sappiamo da Diodoro (XV 59, 1), fu istituito al momento della nascita del koinon — proprio
32
21
fondazione sia motivo costante nella struttura della Politeia è ipotesi verosimile,
sebbene non dimostrabile, che appare tanto più probabile in contesti di
colonizzazione, in cui la fondazione della polis rappresenta l’inizio della grecità.
Che tale motivo costituisca il nucleo iniziale della Politeia, dunque l’inizio della
storia della polis nella prospettiva aristotelica, alla luce di quel che sembra
emergere da due frammenti sami (frr. 1-2 Sam. Pol.) forse non è altrettanto
scontato. I frr. 1 e 2 della Samion Politeia infatti sembrerebbero attestare che la
narrazione aristotelica conservava anche il ricordo di un passato precedente
all’inizio della grecità sull’isola, pertinente all’epoca in cui essa era abitata da
popolazioni carie: il fr. 1 riporta un elenco di antichi nomi di Samo in cui la
prima posizione è occupata dal nome Parthenia, che sappiamo da Strabone essere
stato il nome dell’isola all’epoca in cui la abitavano i Cari; il fr. 2 riferisce un
aneddoto su Anceo, mitico re dei Lelegi, che nel racconto della Politeia appare
connotato come eroe civilizzatore legato alla diffusione della viticoltura35. La
versione del passato più remoto dell’isola che lo Stagirita accoglie nella Samion
Politeia sembra dunque porre il momento “originario” della storia samia in
rapporto con l’elemento cario. Tale visione della storia locale si riflette nella
struttura della Politeia, la cui narrazione sembrerebbe infatti avere inizio da un
momento precedente alla fondazione ionica36.
Politica e Politeiai
Un nesso tra Politica e Politeiai è direttamente implicato, come prima37 si
accennava, dal capitolo conclusivo dell’Etica Nicomachea (1181b15), in cui lo
all’inizio dell’opuscolo (FERRAIOLI 2013, cds), il che indurrebbe ad ipotizzare che la Politeia degli
Arcadi iniziasse proprio con la nascita del koinon e l’istituzione dell’assemblea dei Diecimila.
35
Per un esame più approfondito della complessa questione si veda il commento ai singoli testi,
cfr. infra, pp. 39 e ss.
36
Forse adombrata nel fr. 3, cfr. infra, pp. 75-82, in particolare p. 82.
37
Cfr. supra pp. 15-16 e nota 18.
22
Stagirita espone il progetto di una ricerca che individui fattori di salvezza e di
corruzione dei diversi ordinamenti costituzionali e, di conseguenza, definisca leggi
e costumi della costituzione migliore, a partire dallo studio delle teorie dei
pensatori precedenti e dall’esame delle politeiai raccolte (ejk tw`n sunhgmevnwn
politeiw`n).
Tale passo ha dato luogo a molteplici, controverse interpretazioni in merito al
rapporto che esso implicherebbe tra Politica e Politeiai tanto in termini cronologici
quanto in termini più propriamente “epistemologici”, ovvero rispetto al rapporto
che, nella costruzione aristotelica del sapere, intercorrerebbe tra il momento della
riflessione teorica e quello della raccolta dei dati.
Il dibattito recente sulla questione è ormai approdato ad una sostanziale
sospensione del giudizio circa il rapporto temporale tra i due scritti, poiché i
problemi di cronologia relativa tanto della Politica quanto delle diverse Politeiai
non consentono di giungere a proposte definitive in merito. Come chiarito da
contributi recenti, intendere la stesura delle Politeiai come una raccolta di
materiale per la Politica, sulla scorta di Et. Nic. 1181 b 15 ss., non implica il dover
considerare la redazione delle Politeiai lavoro precedente dal punto di vista
cronologico38: in alcuni casi, infatti, pare ipotizzabile la dipendenza di passi della
Politica da singole Politeiai, già redatte o in corso di redazione39; allo stesso tempo,
in altri casi, sembra di poter cogliere nelle Politeiai il riflesso di input provenienti
dalla teorizzazione della Politica40.
Più ampi margini di riflessione consente l’aspetto epistemologico del problema,
che vede gli studiosi concordi nel sottolineare la natura essenzialmente diversa
delle due tipologie di scritto — opera di compilazione le Politeiai, trattato di teoria
38
Già WEIL 1960, pp. 255-309; cfr., da ultimo, i contributi raccolti in POLITO - TALAMO 2012, in
particolare BERTELLI 2012, p. 50.
39
BERTELLI 2004, p. 21; BERTELLI 2012, p. 50; LUPI 2012, pp. 72-76.
40
POLITO 2012, pp. 240-242.
23
politica la Politica —, ma variamente orientati nel ragionare, a partire da tale
acquisizione, sulla funzione che l’elemento storico riveste al loro interno.
Per un verso, P. Accattino41 sostiene che nella Politica si realizzi una primazia
concettuale della riflessione filosofica sul dato storico, che, lungi dall’essere spunto
per la teorizzazione politica, sarebbe, al contrario, il frutto di una ricostruzione
storica funzionale alle riflessioni svolte. L. Bertelli42, d’altro canto, intende i dati
storici che Aristotele usa nel trattato come paradeigmata e martyria di una
fenomenologia politica, dipendenti in parte dalle Politeiai, in parte da fonti di
storiografia locale. Altri recenti contributi hanno affrontato il problema da una
prospettiva diversa, interpretandolo in termini di differente trattamento del dato
storico, funzionale da un lato al carattere narrativo delle Politeiai, dall’altro alle
specifiche finalità argomentative della Politica. La natura essenzialmente diversa
delle due tipologie di scritto — hanno evidenziato gli studiosi — implica che
forme radicalmente differenti assumano anche i dati storici, e le tradizioni ad essi
relative, che confluiscono al loro interno: se nelle Politeiai dati e tradizioni sono
riportati sotto forma di racconto, nella Politica, invece, essi compaiono come
«storia allusa (...) compendiata (...) una storia che spesso viene utilizzata sulla
base della sua funzionalità rispetto alla philosophia»43.
È sembrato di poter cogliere un riscontro di quest’ultimo aspetto del dibattito
nell’esame dei frr. 1 della Kolophonion Politeia e 4 della Kymaion Politeia.
Il fr. 1 della Kolophonion Politeia sembrerebbe infatti esprimere, nelle forme
narrative proprie del genere della Politeia, la medesima prospettiva alla base della
riflessione sulla tryphe che lo Stagirita svolge nella Politica. Nel trattato la tryphe
sembra configurarsi come potenziale fattore di stasis all’interno del corpo civico;
ACCATTINO 2012, pp. 189 ss.
BERTELLI 2012, p. 50; così pure ZIZZA 2012, pp. 132-136.
43
ZIZZA 2012, pp. 135-136. Sull’intera questione cfr. POLITO - TALAMO 2012, pp. XIII-XV.
41
42
24
nel fr. 1 della Kolophonion Politeia viene raccontata la morte violenta di un poeta
colofonio dedito alla tryphe, forse nel contesto di una serie di uccisioni che
potrebbero essere ricondotte ad un momento di tensione all’interno del corpo
civico, sorto nel periodo dell’affermazione del controllo lidio sulla polis tra una
fazione filolidia e un gruppo ostile ai Lidi. La riflessione sulla tryphe come fattore
di stasis svolta nella Politica e il racconto della morte violenta di un tryphon
narrato nella Kolophonion Politeia sembrerebbero pertanto espressione delle
diverse forme che il discorso aristotelico assume nelle due tipologie di scritti, in
funzione della diversità di fini, metodo, approccio e contenuti che le distingue.
Più complessa appare l’interpretazione del rapporto fra Politica e Politeiai implicato
dal fr. 4 della Kymaion Politeia. Il frammento riporta, all’interno di un unico passo
di cui non siamo in grado di definire l’estensione, due affermazioni diverse e
(nella lettura qui proposta) complementari in merito agli aisymnetai:
un’affermazione di carattere generale (fr. 4a), secondo la quale in un passato
indeterminato (to; provteron) e in un luogo imprecisato i tiranni sarebbero stati
definiti aisymnetai, e un’informazione più specifica (fr. 4b), secondo la quale
propriamente presso i Cumani sarebbe stato chiamato aisymnetes l’archon. Il
confronto è con Pol. 1285a29-b3, un passo della sezione della Politica dedicata
all’analisi dei diversi tipi di monarchia, in cui Aristotele teorizza l’aisymneteia: una
aijreth; turanniv~, diffusa presso i Greci in età arcaica (ejn toi`~ ajrcaivoi~ vJEllhsin),
fondata sulla legge (kata; novmon) e sul consenso dei cittadini (eJkovntwn)44.
Del rapporto tra il fr. 4a della Kym. Pol. e Pol. 1285a29-b3 si possono ipotizzare
diverse interpretazioni. È possibile che la Politeia banalizzi il contenuto teorico
elaborato nella Politica ed intenda il termine aisymnetes come lemma arcaico di
significato identico al recenziore tyrannos; è altresì ipotizzabile che la Politeia
44
Cfr. infra, pp. 201 e ss.
25
attesti il dato grezzo — ovvero l’uso antico di definire aisymnetai i tiranni — a
partire dal quale Aristotele potrebbe aver elaborato l’idea, esposta nel trattato,
della aisymneteia come forma peculiare di tirannide arcaica, caratterizzata da
elettività e da piena legittimità costituzionale; sembra, infine, degna di particolare
considerazione
l’ipotesi
che
la
Politeia
esprima
in
termini
sintetici,
apparentemente banalizzanti, la notizia di carattere generale presente nella Politica
— ovvero la diffusione dell’istituto dell’aisymneteia in Grecia in età arcaica — e la
riporti in modo solo cursorio in quanto essa non rientra nel focus dell’interesse
dell’opuscolo, rivolto piuttosto alla dimensione locale, strettamente cumana, cioè
all’esistenza nell’ordinamento cumano di un magistrato definito propriamente
aisymnetes. Quest’ultima chiave di lettura indurrebbe a riconoscere anche nel fr. 4
della Kymaion Politeia, come in certa misura già nel fr. 1 della Kolophonion Politeia,
un’incursione della prospettiva generale della Politica durante la stesura di una
Politeia e ad intendere il rapporto tra lavoro compilatorio e riflessione teorica
all’interno della scuola aristotelica nei termini di un’osmosi, che può talvolta
determinare il manifestarsi in varie forme negli opuscoli del riflesso di
osservazioni e teorie formulate nel trattato politico.
26
ABBREVIAZIONI
1. Abbreviazioni bibliografiche
1.1. Raccolte di frammenti
Diels - Kranz = Die Fragmente der Vorsokratiker, I-III. Griechisch und
Deutsch. von H. D IELS , hrsgg. von W. K RANZ , Zürich 1951 6
Dilts = M. R. Dilts, Heraclidis Lembi Excerpta Politiarum, Durham 1971
FGrHist = Die Fragmente der griechischen Historiker, I-III, Berlin Leiden 1923-1958, hrsgg. von F. J ACOBY
FGrHistCont = Die Fragmente der griechischen Historiker, IV, Leiden
1998-, ed. by G. S CHEPENS
FHG = C. et T H . M ÜLLER , Fragmenta Historicorum Graecorum, I-IV,
Parisiis 1841-1884
Gigon = O. GIGON, Aristotelis opera. Volumen tertium2. Librorum deperditorum
fragmenta, Berolini 1987
Kassel - Austin = Poetae Comici Graeci, ed. R. KASSEL et C. AUSTIN, I-VIII,
Berolini - Novi Eboraci 1983-2001
Kock = Comicorum Atticorum fragmenta, ed. T. KOCK, I-III, Leipzig 1880-1888
Page = D.L. PAGE, Poetae Melici Graeci, Oxford 1962
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storico, («Università degli Studi di Salerno – Quaderni del Dipartimento di
Scienze dell’Antichità», 26), Napoli 2001
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Kannicht = Tragicorum Graecorum Fragmenta: V 1-2 Euripides, ed. R. KANNICHT,
Göttingen 2004
27
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ROSE 1863 = V. ROSE, Aristoteles Pseudepigraphus, Leipzig 1863
West = M.L. WEST, Iambi et elegi graeci, I-II, Oxonii 1992-19982
1.2. Raccolte di epigrafi
ATL = B. D. MERITT - H.T. WADE-GERY - M. F. MACGREGOR, The Athenian
Tribute Lists, Cambridge 1939-1953
IG XII = Inscriptiones Graecae, XII, VI, pars I. Inscriptiones Sami insulae, I, hrsg. v.
K. HALLOF, Berlin 2000
I. v. Priene = F. HILLER VON GAERTRINGEN, Inschriften von Priene, Berlin 1906
I. v. Kalchedon = R. MERKELBACH, Die Inschriften von Kalchedon, Bonn 1980
I. v. Olympia = W. DITTENBERGER - K. PURGOLD, Die Inschriften von Olympia,
Berlin 1896
I. v. Milet = G. KAWERAU - A. REHM, Inschriften von Milet I.3, Berlin 1914
OMS = L. ROBERT, Opera Minora Selecta, I-VII, Amsterdam 1969-1990
SEG = Supplementum Epigraphicum Graecum, Leiden-Amsterdam 1923 SGDI = F. BECHTEL et al., Sammlung der Griechischen Dialekt-Inschriften (hsrg. von
H. COLLITZ), Göttingen, 1884-1915, I-IV
SIG3 = W. DITTENBERGER, Sylloge inscriptionum graecarum, Leipzig 1915-19243
1.3. Corpora di scolii ed opere grammaticali
An.Gr. = I. BEKKER, Anecdota graeca, I-III, Berlin 1814-1821
Gramm.Gr. = Grammatici Graeci: II 3 Apollonii Dyscoli quae supersunt, ed. R.
SCHNEIDER et G. UHLIG, Lipsiae 1910; III 1 Herodiani tecnici reliquiae, ed. A.
LENTZ, Lipsiae 1867; IV 1 Theodosii Alexandrini Canones, Georgii Choerobosci
scholia, Sophronii patriarchae alexandrini excerpta, ed. A. HILGARD, Lipsiae 1894
28
LGGA = F. MONTANARI (a cura di), Aristarchus. Lessico dei grammatici greci
antichi, on line al sito www.lgga.unige.it
1.4. Lessici e dizionari
CHANTRAINE, Dictionnaire = P. CHANTRAINE, Dictionnaire étimologique de la
langue grecque, I-II, Paris 1968-1984
F RISK , GEW = H. F RISK , Griechisches etymologisches Wörtenbuch, I-II,
Heidelberg 1960-1970
LSJ = H.G. LIDDEL - R. SCOTT, A Greek-English Lexicon, revised and augmented
by H.S. JONES. With a revised supplement, Oxford 1996
TLG = Thesaurus Linguae Grecae in versione on line, diretto da TH. BRUNNER,
Università di California (Irvine)
1.5. Enciclopedie ed opere di carattere generale
Der Kleine Pauly = Der Kleine Pauly. Lexikon der Antike auf der Grundlage von
Pauly’s Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, I-IV. Hrsg.
von K. ZIEGLER - W. SONTHEIMER, Stuttgart 1964-1975
Der Neue Pauly = Der Neue Pauly. Enzyklopädie der Antike. Hrsg. von H.
CANCIK - H. SCHNEIDER, Stuttgart - Weimar 1996 RE = Paulys Realencyclopädie der klassischen Altertumwissenschaft, Stuttgart München 1893 ROSCHER, Lexicon = H.W. ROSCHER (Hrsg.), Ausführliches Lexicon der griechischen
und römischen Mythologie, I-VII, Berlin 1884-1893
Le riviste sono abbreviate secondo l’Année Philologique; i nomi e le opere degli
autori antichi sono abbreviati in conformità al LSJ e al ThLL, sempre che tali
abbreviazioni risultino perspicue (in caso contrario si fa ricorso ad abbreviazioni
più leggibili o anche a citazioni per esteso).
29
2. Abbreviazioni degli apparati
add. = addidit / addiderunt
adiec. = adiecit / adiecerunt
adscrips. = adscripsit / adscripserunt
cett. codd.= ceteri codices
cod. / codd. = codex / codices
conc. codd. = concordia codicum
coni. = coniecit / coniecerunt
corr.= correxit / correxerunt
del. = delevit / deleverunt
edd. = editores
et cett. = et ceteri editores post eum
leg. = legit / legerunt
om. = omisit / omiserunt
pos. = posuit / posuerunt
suppl. = supplevit / suppleverunt
ss. = et quae sequuntur
Per i sigla dei manoscritti cfr. l’Appendice filologica alla Premessa.
30
Samion Politeia
31
La Politeia
L’esistenza della Samion Politeia è attestata dall’estratto eraclideo (HERACL., Exc.
Pol. 30-35 Dilts) nonché dalla sua esplicita menzione in tre frammenti di
tradizione indiretta: fr. 4 (= 576 Rose), fr. 5 (= 573 Rose) e fr. 7 (= 575 Rose).
Il corpus qui proposto consta di dieci frammenti, di cui uno, il fr. 3, di nuova
attribuzione rispetto alle edizioni Rose e Gigon. Delle ragioni di tale
riconoscimento si dà conto in dettaglio in sede di commento45; qui preme solo
osservare che i criteri di attribuzione applicati  riferimento nominale ad
Aristotele e perfetta identità di contenuto con un paragrafo dell’excerptum di
Eraclide (HERACL., Exc. Pol. 31 Dilts)  non sembrano lasciare adito a
perplessità tali da indurre a connotare il frammento come dubbio. L’attribuzione
dei restanti frammenti alla Samion Politeia poggia sugli stessi criteri, quando non
sulla esplicita menzione dell’opuscolo da parte della fonte tralatrice, ed è apparsa
pertanto sostanzialmente priva di particolari elementi di difficoltà.
La tabella seguente sintetizza fonti tralatrici, numerazione, criteri di attribuzione e
contenuti di ciascun frammento, e offre al contempo una tavola delle
corrispondenze con le edizioni Rose e Gigon.
Numerazione
ed. Rose e ed. Gigon e fonti
tralatrici
Fr. 1 (570 A Rose; 588,1
Gigon):
PLIN., Nat. Hist. V 37 135.
45
SAMION POLITEIA
Criteri di
Sintesi del contenuto
attribuzione
Riferimento
nominale ad
Aristotele e parallelo
in HERACL., Exc.
Pol. 30, ll. 11-13
Lista degli antichi nomi dell’isola.
[Fase pre-greca dell’isola?]
Cfr. infra, pp. 75 e ss.
32
Fr. 2a (571 A Rose; 589,1)
Gigon: Schol. in Ap. Rhod. I
185-188c.
Fr. 2b (571 D Rose; 589,3
Gigon): Schol. in Hom. Od.
XXII (c) 9-12.
Fr. 2c1 (571 C Rose; 589,4
Gigon): ZENOB. V 71.
Fr. 2c2 (571 B Rose; 589,2
Gigon): ZENOB. apud MILLER
1868, p. 368.
Fr. 3 (): AELIAN., Nat. An.
XVII 20.
Fr. 4a (576 A Rose; 593,1
Gigon): ZENOB. VI 12.
Fr. 4b (576 B Rose; 593,2
Gigon): PLUTARCH., Quaest.
Gr. 20 295F-296B.
Fr. 5 (573 A Rose; 591,1
Gigon): Schol. in Aristoph. Aves
471b.
Fr. 6a (574 B Rose; 591, 2
Gigon): ZENOB. III 90.
Fr. 6b (574 C Rose; 591, 3
Gigon): STRABO XIV,1,17.
Fr. 7 (575 Rose; 592 Gigon):
PHOTIUS s.v. Samivwn oJ dh'mo"
ejsti;n wJ" polugravmmato".
Dilts.
Riferimento
nominale ad
Aristotele (frr. 2a,
2b, 2c2) e parallelo
in HERACL., Exc.
Pol. 30, ll. 13-15
Dilts.
Riferimento
nominale ad
Aristotele e parallelo
in HERACL., Exc.
Pol. 31 Dilts.
Riferimento
nominale ad
Aristotele e alla
Sam. Pol. (fr. 4a).
Riferimento
nominale ad
Aristotele e alla
Sam. Pol. e parallelo
in HERACL., Exc.
Pol. 33, ll. 20-21
Dilts.
Parallelo in
HERACL., Exc. Pol.
34 ll. 22-23 Dilts
(assenza di
riferimento nominale
ad Aristotele o
all’opuscolo).
Riferimento
nominale ad
Aristotele e alla
Sam. Pol.
Aneddoto sulla morte del mitico re
Anceo e relativo proverbio.
[Fase pre-greca dell’isola?]
“Presenza” straordinaria di una
rondine bianca a Samo.
[Fondazione greca?]
Battaglia della Quercia, combattuta
da Samo (con l’alleanza dei Milesi)
contro Priene per il controllo di
Dryoussa.
[585 a.C. ca.]
Serie di notizie su Esopo:
- origini tracie;
- schiavitù a Samo;
- fama acquisita in seguito al
racconto di un mythos.
[VI sec. a.C.]
Spopolamento dell’isola causato dal
tiranno Silosonte II e relativo
proverbio.
[517-514 ca.]
Concessione della cittadinanza agli
schiavi in cambio di cinque stateri (a
causa della mancanza di cittadini
legata al regime oppressivo dei
33
tiranni).
Fr. 8 (577 Rose; 594 Gigon):
PLUTARCH., Per. 26.
Fr. 9 (578 Rose; 595 Gigon):
PLUTARCH., Per. 28
Fr. 10 (572 Rose; 590 Gigon):
AELIAN., Nat. An. XII 40.
Riferimento
nominale solo ad
Aristotele.
Riferimento
nominale solo ad
Aristotele.
Riferimento
nominale solo ad
Aristotele
[Fase successiva alla caduta di
Silosonte]
Sconfitta navale subita da Pericle
contro Melisso prima di quella subita
dagli Ateniesi in assenza di Pericle
contro lo stesso Melisso nel contesto
dell’assedio di Samo del 440.
[Guerra Atene-Samo 441-439]
Silenzio di Aristotele circa un
episodio della guerra tra Atene e
Samo raccontato da Duride:
massacro dei trierarchi sami ad opera
degli Ateniesi.
[Guerra Atene-Samo 441-439]
Offerta fatta da Mandrobulo ad Era
(e relativo proverbio?)
[Cronologia incerta]
La tabella seguente vuole offrire uno sguardo sinottico su frammenti ed estratto
eraclideo in modo da fornire il panorama completo dei contenuti dell’opuscolo
attestati dalla tradizione e della loro ipotetica scansione.
SAMION POLITEIA
Frammenti di tradizione indiretta
Excerptum
[30] Eremia - antichi nomi.
Fr. 1 Antichi nomi.
[30] Anceo (viticoltura).
Fr. 2 Anceo (viticoltura).
[31] Prodigio della rondine bianca.
Fr. 3 “Presenza” straordinaria di una rondine bianca
a Samo.
Fr. 4 Battaglia della Quercia (585 ca).
[32] Morte del sirio Ferecide, maestro di Pitagora,
che va a fargli visita (550-530 ca.).
[33] Eudokimekenai di Esopo.
Fr. 5 Eudokimekenai di Esopo.
34
[34] Silosonte (517 ca).
Fr. 6 Silosonte (517 ca).
Fr. 7 Concessione della cittadinanza agli schiavi in
cambio di cinque stateri (per la mancanza di
cittadini legata al regime oppressivo dei tiranni).
Frr. 8-9 Guerra Atene-Samo 441-439.
Fr. 10 Offerta di Mandrobulo.
[35] Invio di duemila ateniesi a Samo, che ne
scacciarono gli abitanti (cleruchia del 366/5).
Per la numerazione dei frammenti della Samion Politeia si è rivelato piuttosto
agevole applicare i due criteri-guida enucleati46: 1) seguire la griglia di Eraclide e
2) collocare i frammenti in base alla successione diacronica degli eventi attestati.
1) L’utilizzo dell’estratto eraclideo come griglia in cui “incastrare” i frammenti di
tradizione indiretta e ricavare un ipotetico quadro d’insieme dei contenuti
dell’opuscolo è stato possibile in virtù del fatto che frammenti ed estratto vertono
in larga parte sugli stessi temi e forniscono informazioni in diversi casi
coincidenti. Tale identità di contenuti tra frammenti ed estratto si verifica per i
frr. 1 (cfr. HERACL., Exc. Pol. 30, ll. 11-13 Dilts), 2 (cfr. HERACL., Exc. Pol. 30, ll.
13-15 Dilts), 3 (cfr. HERACL., Exc. Pol. 31 Dilts), 5 (cfr. HERACL., Exc. Pol. 33,
ll. 20-21 Dilts), 6 (cfr. HERACL., Exc. Pol. 34, ll. 22-23 Dilts). In tutti i detti casi
nella trattazione si è scelto di far seguire al testo del frammento quello del
rispettivo paragrafo dell’excerptum eraclideo, in modo da rendere immediatamente
visibile tale corrispondenza.
2) Il criterio di successione diacronica, d’altro canto, è risultato anch’esso
ampiamente applicabile in quanto numerosi frammenti della Samion Politeia
menzionano personaggi (Anceo, Biante, Esopo, Silosonte) e/o attestano eventi
(battaglia della Quercia fra Samo e Priene, assedio ateniese di Samo del 440) noti
e storicamente collocabili.
46
Cfr. supra pp. 8-9.
35
Per un solo testo la numerazione resta decisamente problematica: si tratta del fr.
10, un testo di carattere aneddotico, incentrato su una vicenda che vede
protagonista un non altrimenti noto Mandrobulo. L’impossibilità di ricostruire il
contesto, seppure ipotetico, in cui lo Stagirita potrebbe aver narrato tale
aneddoto  dunque l’impossibilità di procedere ad una numerazione del testo
dotata di senso, ovvero intesa a fornire una interpretazione della successione degli
argomenti nell’opuscolo  ha indotto a collocare il frammento in chiusura di
corpus, al fine di non interrompere la successione degli altri frammenti, che è
invece sembrato di poter ricostruire su più solide basi.
In merito ai contenuti traditi si può constatare come la totalità del materiale
superstite attesti informazioni di tipo miti-storico, storico e aneddotico, spesso
quali interpretamenta di espressioni proverbiali. La presenza di tali contenuti, di
cui qui si è proposta una possibile successione, induce a ipotizzare che
l’organizzazione della materia rispondesse a un criterio di tipo diacronico ed
evenemenziale; la sua estensione abbraccia l’intero arco di tempo che va dalla
“preistoria” di Samo  la fase originaria precedente all’inizio della grecità e alla
stessa presenza umana sull’isola  fino al pieno IV secolo (cleruchia del 366/5).
Quanto alle fonti alla base della Politeia, preponderante sembrerebbe essere stato
l’uso di opere di storiografia locale nonché di tradizioni, forse anche di tipo orale,
risalenti a poeti arcaici, mentre sembrerebbe minoritario il ricorso a scritti di
storiografia generale.
Nel fr. 647 Aristotele riporta una versione dei fatti che portarono alla presa del
potere da parte di Silosonte II che sembra dipendere da Euagon di Samo e che si
47
Cfr. infra, pp. 109 e ss.
36
si discosta da quanto attestato da Erodoto nel logos samio a proposito delle
medesime vicende; la tradizione confluita in Euagon e, dallo storico samio, nella
Politeia, si caratterizzava per una viva ostilità nei confronti del tiranno, cui veniva
ascritta la responsabilità di uno spopolamento dell’isola. Secondo alcune ipotesi,
tale traumatico spopolamento avrebbe ispirato al poeta Anacreonte di Teo il
verso, poi divenuto proverbiale, {Ekhti Sulosw`nto~ eujrucwrivh, citato proprio nel
fr. 6 della Samion Politeia.
Una fonte locale sembrerebbe pure alla base della notizia sull’apparizione48
prodigiosa di una rondine bianca a Samo, riportata dal fr. 3, che risulta attestata
anche da Antigono di Caristo49 ed è da questi attribuita ad un non meglio
identificato autore di Horoi sami.
Fonti locali, forse in relazione con ambienti filocari, sono inoltre alla base della
trattazione di cui resta traccia nei frr. 1 e 250. Il fr. 1 attesta una lista di antichi
nomi di Samo, precedenti al definitivo Samos, in cui la prima posizione è
occupata dal nome Parthenia, che  apprendiamo da Strabone  era il nome
dell’isola all’epoca in cui la abitavano i Cari; il fr. 2 narra un aneddoto di cui è
protagonista Anceo, che Aristotele presenta come mitico re di Samo, dotato delle
caratteristiche dell’eroe civilizzatore legato alla diffusione della viticoltura, la cui
genealogia (figlio di Poseidone e Astypalaia), stando a Pausania51, dipenderebbe
da una tradizione locale (che troviamo attestata già nel poeta arcaico Asio di
Samo) che farebbe dell’eroe samio il re dei Lelegi. La connotazione caria di
Anceo nella Samion Politeia risulta particolarmente interessante per il fatto che
essa non è unanimemente condivisa dalle fonti, che presentano invece un
panorama piuttosto complesso, in cui egli è connotato ora come eroe greco — re
Cfr. infra, pp. 75 e ss., in particolare p. 82.
ANTIG. CAR., Mir. 120.
50
Cfr. infra, pp. 39 e ss., in particolare pp. 59-61.
51
PAUS. VII 4, 1.
48
49
37
o addirittura fondatore di Samo — ora come re lelego; analogamente, non appare
univoca la tradizione sugli antichi nomi dell’isola, di cui sembra di poter
individuare nelle fonti almeno due liste “concorrenti”. La versione del passato più
remoto dell’isola che lo Stagirita accoglie nella Samion Politeia potrebbe tradirne
la dipendenza da una fonte locale di parte  in relazione con ambienti filocari
, che percepisce o propone il momento “originario” della storia samia in
rapporto con l’elemento cario52.
Va inoltre segnalato, a proposito del fr. 4, il possibile utilizzo di fonti milesie da
parte dello Stagirita per la narrazione della cosiddetta battaglia della Quercia53,
episodio bellico comune alla storia di Samo e di Mileto, che vide coinvolte le due
poleis in un fortunato scontro con Priene.
Solo per il racconto dell’assedio ateniese del 440, che occupa i frr. 8 e 954,
Aristotele sembrerebbe aver fatto invece ricorso alla storiografia generale: c’è
infatti qualche seppur debole elemento a favore dell’ipotesi che nella narrazione
di tali eventi lo Stagirita segua da vicino il racconto tucidideo.
Cfr. infra, pp. 39 e ss., in particolare pp. 59-61.
Cfr. infra, pp. 83 e ss., in particolare pp. 96-97.
54
Cfr. infra, pp. 125 e ss., in particolare p. 134.
52
53
38
Fr. 1 (570 Rose; 588,1 Gigon) — PLIN., Nat. Hist. V 37 135: Ioniae ora
Aegeas et Corseas habet et Icaron, de qua dictum est, Laden, quae prius Late
3
vocabatur, atque inter ignobiles aliquot duas Camelitas Mileto vicinas, Mycalae
Trogilias tres, Philion, Argennon, Sandalion, Samon liberam, circuitu LXXXVII
D
6
aut,
ut
Isidorus,
Aristoteles
C.
tradit,
Partheniam
postea
primum
appellatam
Dryusam,
deinde
A n t h e m u s a m ; Aristocritus adicit Melamphyllum, dein Cyparissiam, alii
Parthenoarrhusam, Stephanen. Amnes in ea Imbrasus, Chesius, Hibiethes, fontes
9
Gigartho, Leucothea, mons Cercetius. Adiacent insulae Rhypara, Nymphaea,
Achillea.a
Cfr. Strabo X 2, 17; XIV 1, 15; Schol. in Ap. Rhod. II 865-872e; Steph. Byz. s.v. Savmo"; Eustath.,
Comm. ad Dion. Per. 533
5 Isidor., FGrHist 781 F 15
Cfr. Schol. in Ap. Rhod. I 185-188b
6 Hesych. s.v. Dovrussa, Druou'sa
7 Aristocr., FGrHist 493 F 4
cfr. Hesych. s.v.
Iamblich., Pyth. II 3
Melavmfullo"
6 driusam a, drysam R, adryusam A, adriisan veteres editores ante Hermolai Barbari castigationes
plinianas, Romae 1492-1493
7 athemusa A, antemusam FR
melaphillum A, melamphylu
R, melamphilum Fa
cyparisiam ARFa, veteres editores ante Io. Caesarii editionem Coloniensem
1524, ciparisiam Fa
ali Fa, ab veteres editores ante Gelenii editionem Basileensem 1554
8
parthenoarusam D, Gelenii editio Basileensis 1554, parthemoarusam E3, parthenio Arrhusam veteres
editores, parthemoarupham Ea, parthenoarrusam FR, pharthenoarrhusam R, parthenoarrhusam
Detlefseni editionis Berolinesis vol. I 1866, parthenoarchusam Detlefseni Die geogr. Bücher d. Nat.
Hist. d. C. Plin. Sec. Berlin 1904, partenoarhusam A
Stephanen E(?), veteres editores,
sthephanem A, ut stepanem D, stephanes a, ut sthaephanen F
Le coste della Ionia hanno le (scil. isole) Egee, Corsee e Icaro, di cui si è già detto,
Lade, che prima era chiamata Late, e, fra le meno importanti, le due Camelite vicino a
Mileto, le tre Trogilie vicino a Micale, Filio, Argenno, Sandalio e la libera isola di
Samo, dal periplo di ottantasette miglia e mezzo o, secondo Isidoro, cento.
Aristotele tramanda che (Samo) dapprima era chiamata
P a r t e n i a , s u c c e s s i v a m e n t e D r i u s a , p o i A n t e m u s a ; Aristocrito
aggiunge Melanfillo, poi Ciparissia, altri Partenoarrusa e Stefane. Su di essa si trovano i
39
fiumi Imbraso, Chesio, Ibiete, le fonti Gigarto e Leucotea,il monte Cercezio. Le sono
vicine le isole Ripara, Ninfea, Achillea.
HERACL., Exc. Pol. 30 ll. 12-13 Dilts
(...) ejkalou`nto de; ta; qhriva nhvi>de~,
hJ de; nh`so~ (scil. Savmo~) Parqeniva, u{steron de; Druvousa.
13 de; (2°) dgab : om. V
Il fr. 1 della Samion Politeia, contenente una lista di antichi nomi di Samo, è
tradito da Plinio il Vecchio nel V libro della Naturalis Historia, nel contesto di
una sintetica descrizione del luogo svolta nell’ambito di un elenco delle isole
prospicienti le coste della Ionia. Plinio menziona il nome di Aristotele ma non
esplicita l’opera dello Stagirita da cui avrebbe estrapolato il dato toponomastico;
tuttavia, il tipo di informazione riportata e il confronto con HERACL., Exc. Pol.
30, ll. 12-13 Dilts (ejkalou`nto de; ta; qhriva nhvi>de~, hJ de; nh`so~ (scil. Savmo~)
Parqeniva, u{steron de; Druvousa) non lasciano dubbi sulla attribuzione del
frammento alla Politeia di Samo.
Stando al testo della Naturalis Historia, lo Stagirita avrebbe riferito, in successione
cronologica, tre nomi dell’isola antecedenti a Samos  Parthenia, Dryusa e
Anthemusa , Aristocrito55 avrebbe aggiunto alla lista onomastica Melamphyllus e
Aristocrito fu autore di un’opera Su Mileto, nota da soli cinque frammenti di tradizione indiretta
(FGrHist 493 FF 1-5), che Jacoby, in base alle fonti tralatrici (Partenio, Plinio, scolî ad Apollonio
Rodio e ad Aristofane), datava tendenzialmente alla piena età ellenistica; lo stesso Jacoby
sottolineava tuttavia come il solo termine cronologico certo fosse la anteriorità a Partenio (cfr.
JACOBY, FGrHist III b Kommentar, 1969, pp. 408-411). I rapporti cronologici e di dipendenza tra
Aristotele ed Aristocrito sono problematici per via delle incertezze sulla cronologia di Aristocrito.
Se il rapporto fra i due, implicato anche da fr. 556 Rose della Milesion Politeia e da Rhet. 1402b3,
fosse interpretabile in termini di dipendenza dello storico milesio dallo Stagirita  così
sembrerebbe dalla lettura dei testi, benché non ci siano elementi per dimostrarlo , si
disporrebbe di un ulteriore elemento per la sua datazione (su queste posizioni la nuova edizione
dei frammenti di Aristocrito, in corso di elaborazione a cura di M. Polito nel II vol. dei Milesiaka,
per la Collana FStGr diretta da E. Lanzillotta).
55
40
Cyparissia, ed altre fonti non meglio precisate avrebbero riportato anche56 i nomi
Parthenoarrhusa e Stephane.
La lista di nomi attribuita da Plinio ad Aristotele  si è detto  ha un riscontro,
seppure parziale, in HERACL., Exc. Pol. 30 Dilts ll. 11-13 (Savmon to; me;n ejx ajrch`~
ejrhvmhn ou\san levgetai katevscein plh`qo~ qhrivwn megavlhn fwnh;n ajfievntwn.
ejkalou`nto de; ta; qhriva nhivde~ hJ de; nh`so~ Parqeniva, u{steron Druvousa), in cui il
compilatore ricorda che in un tempo remoto l’isola, abitata da una moltitudine di
fiere dalla voce possente dette Neidi, sarebbe stata chiamata Parqeniva e poi
Druvousa. L’assenza dall’excerptum eraclideo del nome Anthemusa si spiega
facilmente, alla luce delle condizioni in cui ci sono giunti gli Excerpta Politiarum57,
come un caso di conservazione parziale del testo, dovuta al processo di riduzione
subito, riscontrabile anche in altri estratti. Il fatto che Plinio affermi che
Aristocrito aggiunge (in latino adicit, alla l. 7) Melamphyllus e Cyparissia implica
che la lista presente nel testo aristotelico a lui noto non doveva comprendere
questi ultimi due nomi; viceversa, sembrerebbe di poter ritenere che l’elenco di
Aristocrito includesse anche i primi tre nomi attestati dallo Stagirita, di fatto
inglobando e completando la lista della Samion Politeia58.
V. Rose e O. Gigon hanno classificato come frammento aristotelico, accanto al
passo della Naturalis Historia, anche altri testi, in lingua greca, che riportano
elenchi di antichi nomi di Samo (nell’ordine proposto da Rose: STEPH. BYZ. s.v.
Savmo"; STRABO XIV 1, 15; Schol. in Ap. Rhod. II 865-872e, HESYCH. s.v. Dovrussa
e s.v. Druou'sa)59. Nessuno di tali testi menziona Aristotele o i suoi scritti, il che
Il verbo sottinteso dal soggetto «alii» sembrerebbe l’«adicit» riferito ad Aristocrito nella frase
immediatamente precedente: secondo Plinio, altre fonti non meglio identificate avrebbero
aggiunto ai nomi della lista aristotelica — e a quelli attestati da Aristocrito? — anche
Parthenoarrhusa e Stephane.
57
Cfr. supra, p. 18.
58
Sui rapporti cronologici e di dipendenza tra Aristotele ed Aristocrito cfr. supra, nota 55.
59
Tali testi sono stati classificati da Rose come fr. 570 e da Gigon come 588, 2-6.
56
41
induce a ipotizzare che i due studiosi li abbiano classificati come frammento
aristotelico esclusivamente sulla base della analogia di contenuto con il passo
della Nat. Hist. in cui Plinio cita esplicitamente lo Stagirita. Il contenuto che essi
riportano, tuttavia, converge solo parzialmente con il passo pliniano: se è vero,
infatti, che tutte le fonti classificate da Rose e da Gigon come frammento
aristotelico accanto a PLIN., Nat. Hist. V 37 135 attestano antichi nomi di Samo,
è pur vero che nessuna di esse attesta esattamente la stessa lista che Plinio
attribuisce ad Aristotele (le liste riportate da ciascuna fonte si distinguono,
infatti, da quella aristotelica per la presenza ora di un nome in più, ora di un
nome in meno rispetto a quelli attestati dallo Stagirita). In particolare:
•
STEPH. BYZ. s.v. Savmo"60 attesta la lista Parqeniva - Druou'ssa ≠Anqemou'ssa - Melavmfullo", senza fornire indicazioni in merito ai diversi
momenti in cui l’isola avrebbe assunto le varie denominazioni ma, di
fatto, riportando i nomi nel medesimo ordine seguito da Aristotele (ll. 57: C. Partheniam primum appellatam Aristoteles tradit, postea Dryusam,
deinde Anthemusam) e aggiungendovi alla fine Melavmfullo";
•
STRABO XIV 1, 1561 riporta in sequenza cronologica i nomi Parqeniva ≠Anqemou'" - Melavmfullo" ed instaura una relazione tra il toponimo
60
STEPH. BYZ. s.v.Savmo" (ARISTOT., fr. 570 Rose = 588,2 Gigon): ejpifanh;" pro;" th/' Kariva/
nh'so". ejklhvqh de; provteron Parqeniva kai; Druou'ssa kai; ≠Anqemou'ssa kai; Melavmfullo". to;
ejqniko;n Samai'o" kai; Savmio" kai; Samiva. kai; Samiakov". Sulla base di questo passo di Stefano di
Bisanzio, A. Lentz ha integrato alcuni luoghi del De prosodia catholica e del Peri Orthographias di
Erodiano: HDN. GR., De pros. cath., GGr. III 1, p. 159, l. 3 (Melavmfullo": ou{tw" ejklhvqh
provteron hJ Savmo"); p. 269, l. 25 (Druvousa kaiv ≠Anqevmousa ejkalei'to provteron Savmo"); p. 297, l. 33
(kaiv Savmo" provteron ejklhvqh Parqeniva); Peri Orthogr., GGr. III 2, p. 494, l. 25: Druvousa h]
Druou'ssa:hJ Savmo" to; palaiovn. I criteri di ricostruzione applicati da Lentz, che integra
sistematicamente il testo di Erodiano con interi brani tratti dalle fonti che egli ritiene alla base
dell’opera del grammatico (cfr. De pros. cath. p. 69 e Peri Orthogr. p. 99), ha tuttavia sempre
suscitato numerosi dubbi negli studiosi (cfr. HILGARD 1887, p. 3; EGENOLFF 1900, pp. 238-255;
1902, pp. 77-132, 540-576; 1903, pp. 39-63; più recentemente, DYCK 1993, pp. 775-783).
61
STRABO XIV 1,15 (ARISTOT., fr. 570 Rose = 588,3 Gigon): Perivplou" d≠ ejsti; th'" Samivwn
nhvsou stadivwn eJxakosivwn. ejkalei'to de; Parqeniva provteron oijkouvntwn Karw'n, ei\ta ≠Anqemou'",
ei\ta Melavmfullo", ei\ta Savmo", ei[t≠ ajpov tino" ejpicwrivou h{rwo" ei[t≠ ejx ≠Iqavkh" kai; Kefallhniva"
42
Parqeniva e la fase di occupazione caria del sito, cui riconosce il primato
temporale62;
•
Schol. in Ap. Rhod. II 865-872e63 riferisce i nomi Melavnqemo"64 - Parqeniva
- ≠Anqemou'ssa ma non ne esplicita i rapporti temporali (né li colloca in
un ordine che sembri rispondere a un criterio cronologico);
•
Esichio glossa come nomi di Samo i lemmi Dovrussa65/Druou'sa66,
Melavmfullo"67 e Fulliv"68.
Tutti i testi, dunque, accanto a (tutti i o alcuni dei) nomi attestati dallo Stagirita,
registrano anche il toponimo Melavmfullo", che Plinio sembra escludere
dall’elenco aristotelico e attribuire esclusivamente a quello di Aristocrito. Più
precisamente:
•
tutte le fonti salvo Esichio69 attestano la sequenza minima Parqeniva ≠Anqemou'ssa/≠Anqevmousa/≠Anqemou'~ - Melavmfullo" (con la variante Melavnqemo"
di Schol. in Ap. Rhod. II 865-872);
ajpoikhvsanto". Cfr. anche X 2, 17: oujd j ejkalei`to tw/̀ aujtw/̀ ojnovmati provteron, ajlla; Melavmfullo",
ei\t j jAnqemi;~, ei\ta Parqeniva ajpo; tou` potamou tou`` Parqenivou, o}~ jvImbraso~ metwnomavsqh.
62
Da questo passo di Strabone dipende, con tutta probabilità, EUSTATH., Comm. ad Dion. Per.
533 (wjnomavsqh dev pote kai; Melavmfullo~ kai; jAnqemi;~ kai; Parqeniva de; ajpo; potamou`
Parqenivou), che attesta la serie di nomi Melavmfullo" - ≠Anqemiv" - Parqeniva, senza indicazioni
temporali in merito ai momenti in cui l’isola avrebbe assunto i diversi nomi (e apparentemente
alla rinfusa rispetto all’elenco aristotelico).
63
Schol. in Ap. Rhod. II 865-872e (ARISTOT., fr. 570 Rose = 588,4 Gigon): Parqeniva de; hJ Savmo"
ejkalei'to. ejkevcrhto ga;r polloi'" ojnovmasi kai; ga;r Melavnqemo" kai; Parqeniva kai; ≠Anqemou'ssa
ejkalei'to.
64
Melavnqemo" nasce probabilmente da un errore dello scoliaste o della sua fonte, che nel citare a
memoria potrebbe aver fuso i due toponimi Melavmfullo" e ≠Anqemou'ssa nell’hapax Melavnqemo".
65
HESYCH. s.v. Dovrussa (ARISTOT., fr.570 Rose = 588,5 Gigon): Dovrussa: ou{tw" ejkalei'to hJ
Savmo".
66
HESYCH. s.v. Druou'sa (ARISTOT., fr.570 Rose = 588,6 Gigon): Druou'sa: hJ Savmo" to; palaiovn.
67
HESYCH. s.v. Melavmfullo": Melavmfullo": hJ Savmo".
68
HESYCH. s.v. Fulli;": Fulli;": hJ Savmo" to; pavlai.
69
HESYCH. s.v. ≠Anqemou`~: ≠Anqemou`~: povli~. cwvra. potamov~. Ma s.v. ≠Anqemousiva: ≠Anqemousiva:
tavgma ti para; Makedovsin ejx jAnqemou`nto~, povlew~ Makedoniva~. Per ≠Anqemou`~ come nome di una
polis macedone cfr. anche HDN. GR., GGr. III 1, p. 242, l. 19; HARP. s.v.≠Anqemou`~; STEPH. BYZ.
s.v.≠Anqemou`~; Lex. Seg. s.v.≠Anqemou`~; Etym. Sym. s.v.≠Anqemou`~; Suda s.v.≠Anqemou`~.
43
•
Stefano di Bisanzio, oltre ai tre nomi noti alle altre fonti, conosce anche il nome
Druou'ssa, noto anche ad Esichio, e attesta una lista Parqeniva - Druou'ssa ≠Anqemou'ssa/≠Anqevmousa - Melavmfullo" diversa sia da quella aristotelica, che
(stando alla testimonianza pliniana) ignora Melavmfullo", sia da quella di
Aristocrito, che vi aggiunge l’altrimenti ignoto Cyparissia70.
Se si tiene conto che la non perfetta congruenza di contenuto tra diverse versioni
di un frammento, attestate da varie fonti tralatrici, è fenomeno molto comune,
legato al processo di selezione e di ri-orientamento semantico che le fonti
tralatrici operano sui testi che utilizzano (in linea con i propri interessi e in
conformità al contesto in cui inseriscono la citazione), si potrebbe pensare di
classificare come frammento aristotelico  con Rose71 e Gigon  tutti i testi
sopra elencati che, pur non nominando Aristotele, menzionino anche solo uno
degli antichi nomi di Samo che, stando alla testimonianza pliniana, lo Stagirita
avrebbe attestato (Parthenia, Dryusa, Anthemusa); una simile scelta di
classificazione si fonderebbe sull’ipotesi che la notizia di tali antichi nomi
dell’isola possa in qualche modo essere giunta loro da Aristotele. Una valutazione
di questo tipo è forse alla base della scelta di Rose e di Gigon di classificare come
frammenti della Samion Politeia tutti i testi, sopra elencati, che attestano antichi
nomi di Samo, trattando di fatto i singoli nomi dell’isola come “unità minime di
contenuto tradito”.
Ugualmente assenti dalle fonti come antiche denominazioni di Samo i toponimi
Parthenoarrhusa e Stephane, attestati, secondo Plinio, da non meglio identificati alii.
71
Si constata come il fr. 570 rappresenti un’eccezione rispetto al modus operandi di Rose, che,
tendenzialmente, classifica come frammenti solo: 1) testi che contengono esplicito riferimento
nominale ad Aristotele e 2) testi che, pur non citando l’autore per nome, riportano contenuti
identici a frammenti contenenti riferimento nominale allo Stagirita. In questo caso la presenza del
nome Melamphyllos  assente, secondo Plinio, dalla lista attestata da Aristotele e aggiunto da
Aristocrito  all’interno degli elenchi di nomi riportati dalle altre fonti costituirebbe un ostacolo
al loro riconoscimento come frammenti. Lo studioso aggira in parte il problema con un
espediente, ovvero “tagliando” il nome Melamphyllos da ciascun segmento di testo che riconosce
come frammento.
70
44
Quest’approccio appare senz’altro valido in linea generale, purché applicato con
la dovuta cautela. Nello specifico caso qui in esame, tuttavia, sembrerebbe
opportuno usare particolare prudenza, alla luce di quanto C. Talamo72 e M.
Polito73, in studi recenti su Mileto arcaica, hanno messo in luce in merito al
significato e alla funzione che le liste degli antichi nomi rivestono nel panorama
delle tradizioni sulla storia più antica di una polis. Nella Mileto di età arcaica 
hanno osservato le studiose  le liste degli antichi nomi attestati dalle fonti
appaiono come successioni codificate di più nomi che obbediscono a un ordine
cronologico e che «vanno esaminate in quanto tali»74. Esse esprimono una lettura
di parte del passato più remoto della polis stessa e, di conseguenza, sono soggette a
tante diverse elaborazioni  ovvero alla formulazione in tante diverse liste 
almeno quante sono le parti in causa e gli interessi che esse difendono; le liste,
inoltre, sembrano portatrici di senso proprio solo in quanto tali, ovvero in quanto
“pacchetti” di più nomi cronologicamente ordinati.
Provando a rileggere le fonti sugli antichi nomi di Samo nella medesima
prospettiva adottata dalle due studiose nei rispettivi studi su Mileto, sembrano
emergere degli elementi che inducono ad interpretare anche gli elenchi di antichi
nomi sami come “liste”, al pari di quelli milesi, cioè come pacchetti confezionati
in cui la presenza o l’assenza di ciascun nome non è casuale ma riveste un preciso
significato. Alla luce di tali elementi, esposti di seguito, si è portati a ritenere che
solo il passo pliniano possa essere considerato frammento aristotelico: tutti gli
altri testi raccolti da Rose e da Gigon, infatti, tramandano sì antichi nomi sami
ma organizzati in liste diverse da quella aristotelica.
TALAMO 2004, pp. 11-31.
POLITO 2011, pp. 66-79.
74
TALAMO 2004, p. 11.
72
73
45
Esaminiamo dunque le fonti su ciascuno degli antichi nomi dell’isola, seguendo
l’ordine in cui essi si sarebbero susseguiti nel tempo, secondo quanto viene detto
nei testi che ne conservano la successione cronologica (cioè ARISTOT., Sam. Pol.,
fr. 1, STRABO XIV 1,15 e, forse, STEPH. BYZ. s.v. Savmo").
Il nome Parqeniva occupa la prima
cronologicamente
ordinati:
esso,
posizione in tutti gli elenchi
pertanto,
sembrerebbe
unanimemente
riconosciuto dagli antichi come il nome che l’isola assunse alle origini della sua
storia. Strabone, in particolare, fornisce un’ulteriore, preziosa, indicazione
temporale in merito al nome Parqeniva, affermando che Samo era così chiamata
all’epoca in cui era abitata dai Cari: il passo straboniano, quindi, da un lato
conferisce al nome Parqeniva una precisa connotazione etnica, di matrice caria,
dall’altro testimonia che alle origini della storia samia c’erano per l’appunto i
Cari. Le fonti attestano due antiche eziologie del nome Parqeniva, entrambe
riportate da Schol. in Ap. Rhod. I 185-188b75: una, attestata anche da Strabone76,
lo metterebbe in relazione all’antico nome Parqevnio~, che in passato era stato
attribuito al fiume [Imbraso~77, come ricorda anche Callimaco (fr. 213 Schneider
= fr. 599 Pfeiffer), per il fatto che lungo le sue rive era stata allevata Era quando
era ancora vergine, ovvero prima dell’unione con Zeus; un’altra eziologia,
Schol. in Ap. Rhod. I 185-188b: Parqenivhn] th;n Savmon fhsivn. [Imbraso~ ga;r potamo;~ Savmou,
o}~ meteklhvqh Parqevnio~ dia; to; ejkei` parqevnon e[ti ou\san tetravfqai th;n {Hran. kai; Kallivmaco~
mevmnhtai. JO de; Tarrai`o~ ou{tw~: Parqeniva de; hJ Savmo~ ajpo; Parqeniva~ th`~ Savmou gunaiko;~
wjnomavsqh.
76
STRABO X 2, 17: oujd j ejkalei`to tw/̀ aujtw/̀ ojnovmati provteron, ajlla; Melavmfullo", ei\t j jAnqemi;~,
ei\ta Parqeniva ajpo; tou` potamou tou`` Parqenivou, o}~ jvImbraso~ metwnomavsqh.
77
Sulla denominazione Parqevnio~ assunta in passato dal fiume [Imbraso~ cfr. Schol. in Ap. Rhod. II
865-872a: [Imbraso~ potamo;~ Savmou oJ provteron Parqevnio~ legovmeno~, wJ~ kai; Kallivmaco~: ajnti;
ga;r ejklhvqh~, [Imbrase, Parqenivou; Schol. in Hesiod. Theog. 338 l. 13: oJ de; ejn Savmw/ Parqevnio~ kai;
[Imbraso~ kalei`tai. [Imbraso~ de; uJpo; Karw`n JErmh`~ levgetai; Schol. vet. in Pind. Olymp. VI 149f
1-3: kai; potamo;~ Parqevnio~, o}~ [Imbraso~ ejklhvqh. Kallivmaco~: ajnti; ga;r ejklhvqh~, [Imbrase,
Parqenivou.
75
46
attribuita dallo scoliaste a Lucillo di Tarra, faceva invece risalire il nome
Parqeniva a una donna di Samo non meglio precisata78.
I nomi Druvousa, ≠Anqevmousa e Melavmfullo"79 alludono chiaramente alla
ricchezza e alla densità della vegetazione che doveva ricoprire l’isola (Druvousa <
dru`~, con particolare riferimento alla presenza di querce; ≠Anqevmousa < a[nqo~,
con riferimento generico a piante floreali; Melavmfullo" < mevlan + fuvllon, con
allusione all’oscurità del luogo, dovuta alla presenza di fitta vegetazione).
Il nome Druou'ssa  noto come antico nome di Samo, oltre che ad Aristotele,
solo a Stefano di Bisanzio e ad Esichio  è menzionato, oltre che in tali testi,
anche in un frammento di Meandrio di Mileto (FStGr F7 = FGrHist 491 F1),
tradito in I. v. Priene 37 ll. 44-56, 135-142, 152-157 Magnetto80, in cui viene
utilizzato dallo storico per indicare una regione dell’ex chora meliaca che, secondo
la sua testimonianza, sarebbe stata attribuita a Samo81 (insieme a Karion) al tempo
della spartizione della chora di Melia82 tra le poleis ioniche responsabili della sua
distruzione.
78
CAVALLINI 2004, pp. 339-350, alla luce di tutte le fonti relative alla denominazione Parqeniva
dell’isola di Samo, ha osservato come tale appellativo risulti in realtà precedente alla introduzione
nell’isola dei culti di Era e di Artemide (anch’ella dea vergine venerata a Samo, stando a CALL.,
Dian. 228) e sia forse da mettere in relazione a un culto pregreco delle Ninfe: esse sarebbero state
venerate soprattutto in qualità di dee delle acque, responsabili di quella feracità del suolo garantita
dall’abbondanza di risorse idriche, più volte celebrata dalle fonti e rievocata, in particolare,
dall’epiteto uJdrhlhv attribuito all’isola in HOM., Hymn. Ap. 41.
79
In particolare, a proposito del nome Melavmfullo", IAMBLICH. Pyth. II 3 sottolinea che l’isola
era così chiamata a causa della buona qualità del suolo e della terra (nh`son th;n di jajreth;n tou`
ejdavfou~ kai; th`~ gh`~ Melavmfullon kaloumevnhn).
80
Per la numerazione qui seguita, l’edizione critica e il commento cfr. MAGNETTO 2008.
81
Le Storie di Meandrio sono l’unica fonte che attesti l’attribuzione a Samo di Karion e Dryoussa
nel contesto della spartizione della chora meliaca; non a caso la sua testimonianza è riportata dai
Sami, insieme ad altre fonti storiografiche, come prova documentaria dei diritti della polis sui
territori contesi a Priene al tempo dell’arbitrato rodio, di cui I. v. Priene 37 restituisce il testo. Gli
altri storici menzionati nell’iscrizione (ll. 69-72 e 152-156)  Ouliades, Olympichos, Duride ed
Euagon, di Samo; Kreophylos ed Eualkes di Efeso e Teopompo di Chio , stando a quanto
sostenuto dai Prienesi, avrebbero infatti attestato che dalla divisione della chora meliaca Samo
avrebbe ottenuto solo Phygela.
82
La guerra meliaca, esplicitamente menzionata come povlemo~ Meliakov~ nel testo dell’arbitrato
rodio (ll. 56, 142, 152) e brevemente ricordata da Vitruvio nell’ambito di un rapido excursus sulla
colonizzazione ionica (De archit. IV 1, 4), fu un conflitto, databile tra la fine dell’VIII e gli inizi
47
I. v. Priene 37 è un’iscrizione che riporta il verdetto dell’arbitrato dei Rodi tra
Samo e Priene (favorevole a quest’ultima), esposta dalla città vincitrice
nell’archivio cittadino, sulle pareti del tempio poliadico. I giudici rodi erano
chiamati ad esprimersi in merito a una contesa territoriale tra le due poleis,
relativa al possesso del forte chiamato Karion e della regione circostante, posti al
confine tra la perea samia e la chora prienese; l’evento, databile tra il 196 e il 192
a.C.83, costituiva solo un episodio di un contenzioso plurisecolare risalente all’età
arcaica e destinato a protrarsi  determinando la necessità di ulteriori interventi
arbitrali84  anche dopo il verdetto rodio. Nel testo dell’iscrizione il toponimo
Druou'ssa compare tre volte (alle ll. 73, 138 e 139 Magnetto), sempre nel
contesto della testimonianza di Meandrio di Mileto, riportata dai Sami insieme ad
altre fonti storiografiche come prova documentaria dei diritti della polis sui
territori contesi. Le Storie di Meandrio vengono richiamate in tutti e tre i casi a
proposito del medesimo episodio, di cui rappresentano l’unica fonte85:
l’attribuzione a Samo di Karion e Dryoussa, nel contesto della spartizione della
chora di Melia tra le poleis ioniche responsabili della sua distruzione. La versione
sulle spartizioni seguite al conflitto meliaco confluita nell’opera storica di
del VII sec., che, stando alle fonti, vide la distruzione della città di Melia (forse abitata in
prevalenza da genti carie, come sembrerebbe dal tipo di sepolture rinvenute nel sito e dallo stesso
toponimo Karion che l’area assunse in epoca successiva) ad opera di una coalizione di città ioniche
che se ne spartirono la estesa chora. Le ragioni del conflitto, non facilmente ricostruibili data la
penuria di fonti in proposito, potrebbero forse essere ricondotte a una matrice etnica e risalire a
tensioni con la popolazione ionica di Priene: così sembrerebbe suggerire il riferimento, ancorché
fortemente lacunoso, a una stasis scoppiata tra Prienesi e abitanti di Melia alle ll. 47-48
dell’arbitrato. Su cronologia, estensione, cause ed esiti della guerra meliaca cfr. SHIPLEY 1987, pp.
29-39; MAGNETTO 2008, pp. 81-97. Sul ruolo del povlemo~ Meliako;~ nella storia del koinon ionico
cfr. sintesi del dibattito e bibliografia in RAGONE 1986, pp. 173-180.
83
MAGNETTO 2008, pp. 75-77.
84
Sulle numerose contese territoriali tra Samo e Priene e sui relativi interventi arbitrali, cfr. infra,
nota 171 e bibliografia ivi citata.
85
Gli altri storici menzionati nel documento  Ouliades, Olympichos, Duride ed Euagon, di
Samo; Kreophylos ed Eualkes di Efeso e Teopompo di Chio  vengono utilizzati da Samo solo in
relazione agli esiti della battaglia della Quercia; in riferimento al conflitto meliaco la loro
testimonianza, di segno opposto a quella di Meandrio, è invece richiamata da Priene (cfr. supra,
nota 81).
48
Meandrio  discordante dalla tradizione attestata dagli altri sette storici utilizzati
dalle due parti, secondo i quali all’isola sarebbe stato assegnato solo il territorio di
Phygela  potrebbe risalire, secondo M. Polito86, a una tradizione filosamia
diffusasi in ambiente milesio nel contesto dello scontro delle due poleis contro
Priene al tempo della cosiddetta battaglia della Quercia (inizi VI sec.)87: essa
sarebbe stata funzionale a sancire il possesso originario della regione costiera da
parte di Samo88.
Dunque il verdetto dell’arbitrato rodio sembra attestare l’esistenza di versioni
diverse sul conflitto meliaco, l’una favorevole a Samo, l’altra a Priene; se
effettivamente la versione filosamia risalisse al contesto della battaglia della
Quercia, ciò significherebbe che le tensioni fra Samo e Priene nel VI sec.
avrebbero indotto l’elaborazione di tradizioni cittadine di parte sulla storia più
antica delle relazioni interstatali di area ionica, di cui la guerra meliaca era
l’episodio più rilevante. È possibile allora che tali tensioni abbiano agito sulla
rivisitazione del passato locale anche nella formazione di elenchi diversi degli
POLITO 2009, pp. 132-133. Un’ipotesi diversa è stata formulata da RAGONE 1996, p. 363 s., nota
153.11, il quale ritiene che il frammento di Meandrio esprima piuttosto una tradizione, elaborata
nella Mileto del IV sec., avversa alle pretese samie su Phygela (cui Mileto era legata da un
rapporto di isopoliteia) e interessata, pertanto, ad affermare che i territori dell’ex chora meliaca
attribuiti a Samo al termine della guerra fossero stati non Phygela ma Karion e Dryoussa.
87
L’episodio bellico, ricordato dai delegati di Samo  sulla base delle testimonianze degli storici
Euagon, Olympichos e Duride (ll. 139-143 Magnetto)  come uno scontro in seguito al quale il
possesso samio della regione contesa ai Prienesi sarebbe stato ufficialmente ratificato da trattati
che ne avrebbero stabilito il confine lungo il corso delle acque, è narrato da Plutarco in un passo
delle Questioni Greche (20 295F-296B) che sembrerebbe dipendere dalla Sam. Pol. (cfr. infra fr. 4b,
pp. 83 e ss.): nell’ambito di un conflitto di lunga durata tra le due poleis, caratterizzato da scontri di
lieve entità, Priene avrebbe avuto la meglio in una battaglia in cui sarebbero stati uccisi ben mille
Sami; sette anni più tardi questi ultimi, forti della occasionale alleanza dei Milesi, avrebbero a loro
volta ottenuto una importante vittoria in uno scontro presso la cosiddetta Quercia (para; th;n
kaloumevnhn dru`n), in cui avrebbero perso la vita tutti i cittadini prienesi più eminenti; la
datazione dell’episodio  forse riecheggiato anche nella lettera di Lisimaco a Samo circa il
controllo della Batinetis (IG XII 6. 155) alle ll. 13 e 22  agli inizi del VI sec. è basata sulla
notizia, anch’essa attestata da Plutarco, della partecipazione del saggio Biante di Priene alle
trattative di pace che posero fine alla guerra (cfr. HALLIDAY 1928, pp. 23-24, 106-108;
MAGNETTO 2008, pp. 99-101).
88
Sull’uso di Meandrio da parte dei delegati sami come prova documentaria dei diritti della polis
sui territori contesi cfr. CURTY 1989, p. 22; MAGNETTO 2008, p. 173 ss.
86
49
antichi nomi di Samo? In particolare, è possibile che il toponimo Druou'ssa non
facesse parte della lista onomastica originaria ma vi fosse stato introdotto proprio
in concomitanza con l’inasprirsi della conflittualità con Priene, al fine di
rivendicare l’antichità del possesso samio di quell’area dell’ex chora di Melia, che
non a caso si sarebbe chiamata Druou'ssa proprio come l’isola che ne aveva il
controllo? L’inserimento del toponimo in seconda posizione nell’elenco, subito
dopo Parqeniva (che risulta il nome più antico in tutte le liste che forniscono
indicazioni in merito alla successione cronologica dei diversi nomi), poteva essere
funzionale a far risalire le pretese samie sulla regione costiera prospiciente alle fasi
più antiche della storia dell’isola89.
Ci si potrebbe chiedere per quale ragione i delegati sami, al cospetto degli arbitri rodi, non
avrebbero utilizzato come argomento per affermare i propri diritti di precedenza sui territori
contesi a Priene nel 196-192, accanto alla testimonianza di Meandrio sulle spartizioni della chora
meliaca e agli scritti di altri storici sugli esiti della battaglia della Quercia, anche il fatto che la
regione di Druou'ssa avesse lo stesso nome che un tempo aveva avuto Samo. In effetti l’oggetto
della disputa tra Samo e Priene viene indicato, alle ll. 7-10 Magnetto del verdetto rodio (I. v.
Priene 37, ll. 7-10: peri; ta`]~ cwvra~ uJpe;r a|~ ajm[fisbatou`nti Savmi]oi poti; Priane[i`~ k]ai;
Pri[ane........]ou~ kai; tou` frourivou o} kalei`[t]ai K[av]rion, uJpe;r ou| ajmfisbatou`nti Savmioi kai;
Prianei`~), nel forte chiamato Kavrion e nella relativa chora; la medesima informazione si evince
dalla lettura dell’intero testo dell’arbitrato a noi giunto, compresi i discorsi dei delegati di
entrambe le parti, in cui si rievocano i diversi momenti della contesa e le rispettive fasi di
occupazione dell’area in questione. Come sopra evidenziato, il toponimo Druou'ssa invece viene
menzionato solo nelle tre testimonianze di Meandrio, dove viene sempre citato in associazione a
Kavrion come bottino samio della guerra meliaca. Ciò ha generalmente indotto gli studiosi a
identificare la chora del Kavrion con la regione di Druou'ssa. Considerando l’incertezza che
permane nella esatta localizzazione delle diverse regioni da cui era formata la chora dell’antica
Melia e valutando il fatto che il fr. 7 di Meandrio costituisce la nostra unica fonte sul sito di
Druou'ssa nella perea samia, forse potrebbe non essere del tutto scontata la identificazione
Druou'ssa = chora del forte Kavrion: ovvero, è possibile che Druou'ssa e Kavrion, con la sua chora,
fossero due regioni distinte; la prima potrebbe essere stata definitivamente acquisita alla perea
samia fin da età arcaica in seguito alla battaglia della Quercia, mentre la seconda sarebbe stata
oggetto, nel tempo, di continue controversie con Priene. In questa prospettiva, i delegati sami
potrebbero non essersi serviti dell’argomento toponomastico nel loro discorso di accusa ai Prienesi
proprio perché Druou'ssa, forse, poteva non essere l’oggetto della richiesta di arbitrato; è possibile,
tuttavia, che nel richiamare la testimonianza di Meandrio sulla conclusione della guerra meliaca,
essi avessero volutamente associato al nome della regione contesa ai Prienesi all’epoca, ovvero
Kavrion e la sua chora, quello di un sito già da tempo controllato da Samo, Druou'ssa appunto: se
entrambe le regioni erano state attribuite a Samo in seguito alla distruzione di Melia e tale assetto
era stato poi ratificato nelle trattative conclusive della battaglia della Quercia, la legittimità del
controllo su Druou'ssa poteva implicare, di conseguenza, una legittimazione delle pretese samie
anche sul Kavrion. Queste osservazioni tuttavia, allo stato attuale della nostra documentazione,
non possono che essere proposte in via meramente ipotetica.
89
50
Se questa ipotesi, che attribuisce una valenza politica all’inserimento del
toponimo Druou'ssa nell’elenco degli antichi nomi di Samo, fosse corretta, la
presenza di tale nome nella lista aristotelica potrebbe riflettere la dipendenza
della Sam. Pol. da tradizioni locali interessate a valorizzare i diritti sami sulla
terraferma; viceversa, la sua assenza dagli elenchi di nomi tramandati da alcune
fonti (STRABO XIV 1,15, Schol. in Ap. Rhod. II 865-872 ed EUSTATH., Comm. ad
Dion. Per. 533) potrebbe non essere casuale ma indicare che queste ultime
risalgono a tradizioni ostili alla presenza samia sulla costa asiatica, elaborate nella
stessa Samo o, più probabilmente, all’interno di poleis rivali; in questa prospettiva,
le liste onomastiche prive del nome Druou'ssa, riportate da STRABO XIV 1,15,
Schol. in Ap. Rhod. II 865-872 ed EUSTATH., Comm. ad Dion. Per.533,
sembrerebbero dipendere da fonti almeno in parte diverse da quelle usate dallo
Stagirita nella Samion Politeia.
A questo proposito, si può aggiungere qualcosa in relazione al rapporto
ipotizzabile tra l’elenco onomastico aristotelico e quello tradito da Aristocrito.
Come abbiamo visto, Plinio attribuisce ad Aristotele i tre nomi Parthenia, Dryusa
e Anthemusa (ll. 5-7) e subito dopo afferma Aristocritus adicit Melamphyllum (l. 7),
apparentemente suggerendo che la lista dello storico milesio comprendesse tutti e
quattro i nomi elencati: Parthenia, Dryusa, Anthemusa e Melamphyllus. Premesso
che l’espressione pliniana Aristocritus adicit è troppo ambigua per trarne certezze di
sorta in merito agli antichi toponimi sami effettivamente menzionati dallo
storico, si può tuttavia osservare, alla luce della versione di Meandrio sulla
spartizione della chora meliaca, che la presenza del toponimo Druou'ssa nella lista
di un autore milesio, quale è appunto Aristocrito, se non fosse ascrivibile a un uso
diretto della Samion Politeia, potrebbe in qualche misura riflettere una dipendenza
dello storico dalla medesima tradizione filosamia, forse sorta a Mileto nel clima
51
della battaglia della Quercia, accolta anche da Meandrio circa un secolo prima90.
È dunque possibile formulare due ipotesi in merito al rapporto tra Aristocrito e
Aristotele (e relative fonti) in merito agli antichi nomi di Samo: 1) lo storico
milesio potrebbe aver letto la Samion Politeia e aver integrato la lista aristotelica
col nome Melamphyllus sulla base di altre fonti, oppure 2) egli potrebbe dipendere
da fonti milesie diverse da quelle alla base di Samion Politeia ma ugualmente
risalenti a tradizioni interessate a valorizzare il legame tra l’isola di Samo e la sua
perea.
Il nome ≠Anqevmousa, che allude chiaramente alla ricchezza della vegetazione, in
specie floreale (≠Anqevmousa < a[nqo~), del territorio samio, compare in tutte le
fonti sugli antichi nomi di Samo sopra elencate, salvo che in Esichio (ARISTOT.,
Sam. Pol., fr. 1; STEPH. BYZ. s.v. Savmo"; STRABO XIV 1,15; Schol. in Ap. Rhod. II
865-872e); esso tuttavia non ricorre altrove, in relazione all’isola, che in tali
contesti.
Il toponimo Melavmfullo", come abbiamo visto, compare in tutte le liste degli
antichi nomi di Samo tramandate dalle fonti (salvo che nel fr. 1 della Samion
Politeia); la sua assenza dall’elenco aristotelico (che parrebbe di poter ricavare sia
da Plinio che da Eraclide) sembrerebbe perciò ulteriormente inficiare l’ipotesi che
i testi che ne contengono la menzione possano dipendere direttamente dalla Sam.
Pol. Nei pochi casi (STEPH. BYZ. s.v. Savmo" e STRABO XIV 1,15) in cui le liste
tradite sembrano soddisfare un criterio cronologico nella successione dei nomi, la
denominazione Melavmfullo" appare collocata in ultima posizione, subito prima
di Savmo".
90
Sulle incertezze che tuttora gravano sulla cronologia di Aristocrito, cfr. supra, nota 55.
52
Oltre che nelle fonti sugli antichi nomi di Samo appena prese in esame, il nome
Melavmfullo" è attestato come denominazione dell’isola immediatamente
precedente a Savmo" anche in IAMBLICH., Pyth. II 3,1 - 4,491, passo incipitario
dell’ampia sezione dedicata alla biografia del filosofo samio a partire dai suoi
illustri antenati. Secondo la versione riportata da Giamblico, Anceo  qui
presentato come cittadino eminente di Same in Cefallenia, che aveva fama di
essere discendente di Zeus e antenato di Pitagora  avrebbe ricevuto dalla Pizia
l’ordine di radunare un contingente coloniale formato da Cefalleni, Arcadi,
Tessali, Ateniesi, Epidauri e Calcidesi, raggiungere l’isola chiamata Melavmfullo"
e fondarvi una città di nome Savmo" in onore della propria madrepatria Savmh. Il
racconto, che si conclude con la citazione testuale del responso delfico92, è stato
generalmente interpretato dagli studiosi come un prodotto della erudizione
tarda93, frutto della contaminazione di tradizioni stratificate94. Se è indiscutibile
IAMBLICH., Pyth. II 3,1 - 4,4: Λέγεται δὴ οὖν Ἀγκαῖον τὸν κατοικήσαντα Σάµην τὴν ἐν τῇ
Κεφαληνίᾳ γεγενῆσθαι µὲν ἀπὸ ∆ιός, εἴτε δι' ἀρετὴν εἴτε διὰ ψυχῆς τι µέγεθος ταύτην τὴν φήµην
αὐτοῦ ἀπενεγκαµένου, φρονήσει δὲ καὶ δόξῃ τῶν ἄλλων Κεφαλήνων διαφέρειν. τούτῳ δὲ γενέσθαι
χρησµὸν παρὰ τῆς Πυθίας συναγαγεῖν ἀποικίαν ἐκ τῆς Κεφαληνίας καὶ ἐκ τῆς Ἀρκαδίας καὶ ἐκ τῆς
Θετταλίας, καὶ προσλαβεῖν ἐποίκους παρά τε τῶν Ἀθηναίων καὶ παρὰ τῶν Ἐπιδαυρίων καὶ παρὰ τῶν
Χαλκιδέων, καὶ τούτων ἁπάντων ἡγούµενον οἰκίσαι νῆσον τὴν δι' ἀρετὴν τοῦ ἐδάφους καὶ τῆς γῆς
Μελάµφυλλον καλουµένην, προσαγορεῦσαί τε τὴν πόλιν Σάµον ἀντὶ τῆς Σάµης τῆς ἐν Κεφαληνίᾳ.
τὸν µὲν οὖν χρησµὸν συνέβη γενέσθαι τοιοῦτον· Ἀγκαῖ', εἰναλίαν νῆσον Σάµον ἀντὶ Σάµης σε
οἰκίζειν κέλοµαι· Φυλλὶς δ'ὀνοµάζεται αὕτη. ROSE 1863, pp. 517-518 accenna, invero in modo
assai cursorio, alla possibile attribuzione del passo della Vita di Pitagora alla Samion Politeia.
L’ipotesi tuttavia non viene più ripresa nella terza edizione dei frammenti, il che induce a credere
che lo studioso l’avesse definitivamente esclusa. È difficile individuare la fonte di Giamblico per
questo passo, che sembra una rielaborazione tarda di un complesso di materiali stratificati; la
tradizione della discendenza di Pitagora da Anceo, fondatore di Samo, è già attestata nella Vita di
Pitagora di Porfirio (II 10-12), che la attribuisce a sua volta all’opera omonima di Apollonio
(probabilmente identificabile con Apollonio di Tiana, cui la Suda attribuisce una Vita di Piatgora);
sembra pertanto verosimile che Giamblico qui possa aver attinto al lavoro di Apollonio, peraltro
esplicitamente citato al par. 254 (GIANGIULIO 1991, pp.50-54). D’altro canto nel fr. 2b della
stessa Samion Politeia si dice che Anceo era samio per stirpe, figlio di Poseidone e Astypalaia e, in
quanto tale, lo si connota come eroe autoctono: ciò indurrebbe ad escludere la possibilità che
IAMBLICH., Pyth. II 3,1 - 4,4 dipenda dalla Samion Politeia.
92
Elaborato dalla tradizione locale secondo PARKE – WORMELL 1956, I p. 66, II p. 95. Così pure
FONTENROSE 1978, p. 376.
93
SAKELLARIOU 1958, pp. 96-97, sottolinea come quasi tutte le componenti che Giamblico
elenca nel contingente coloniale guidato da Anceo (Cefalleni, Arcadi, Tessali, Ateniesi, Epidauri
e Calcidesi) siano riconducibili a tradizioni attestate in altre fonti o almeno ipotizzabili: Epidauro
91
53
che esso sia il risultato della rielaborazione di materiali di epoche diverse, forse,
però, non si può escludere che esso tramandi almeno in parte95 anche elementi di
un’elaborazione locale precedente, che presentava il mitico re Anceo come
l’ecista greco96 dell’isola. Il racconto di fondazione confluito in Giamblico doveva
rappresentare una versione minoritaria, nel contesto delle elaborazioni di parte
greca circa le origini della comunità a Samo: Pausania (VII 4, 2, 13-14), infatti,
nel suo excursus ionico indica il condottiero degli Ioni in Procle; lo stesso Procle
viene collocato a capo del contingente coloniale ionico, insieme a Tembrion,
anche da Temistagora (THEMISTAG.97 ap. Etym. M., s.v. jAstupalaiva98);
diversamente, Strabone (XIV 6 33) riconosce al solo Tembrion il ruolo di ecista
ionico, attribuendo a Procle un intervento posteriore alla fondazione della città99
(ma sono piccole varianti di questo stesso racconto). All’interno della sola
prospettiva greca, dunque, sembrano essersi generati due diversi racconti: tra
questi, la versione che riconosceva l’ecista greco in Anceo, attestata dal solo
Giamblico, appare decisamente minoritaria anche nel panorama delle fonti
è la madrepatria dei coloni ionici di Samo nel racconto di PAUS. VII 4, 2, 13-14 (hJgemw;n de; h\n
toi`~ [Iwsi Proklh`~ oJ Piturevw~, aujtov~ te jEpidauvrio~ kai; jEpidaurivou~ [h\n] to; polu; a[gwn, oi} uJpo;
Dhifovntou kai; jArgeivwn ejk th`~ jEpidauriva~ ejxepeptwvkesan.); Cefallenia (o Itaca) è il luogo
d’origine di Savmo", ecista eponimo dell’isola secondo una tradizione attestata da STRABO XIV 1,15
(= fr. 570 Rose3; 588,3 Gigon: ejkalei'to de; Parqeniva provteron oijkouvntwn Karw'n, ei\ta ≠Anqemou'",
ei\ta Melavmfullo", ei\ta Savmo", ei[t≠ ajpov tino" ejpicwrivou h{rwo" ei[t≠ ejx ≠Iqavkh" kai; Kefallhniva"
ajpoikhvsanto"); l’Arcadia è la regione cui appartiene l’altro Anceo noto dalle fonti, figlio di
Licurgo, anch’egli protagonista dell’impresa degli Argonauti e vittima del cinghiale calidonio
(HOM., Il. II 609; BACCHIL. V 217; LYCOPHR. 486-490; AP. RHOD. I 163-167, 186-187, 398, 531;
OVID., Met. VIII 314, 390 ss.; APOLLOD. I 8, 2 - 9, 16; III 9,2 - 10, 8; HYG. 14, 173; II 118; Schol.
in Paus. VIII 45, 2;); l’elemento ateniese potrebbe risalire a una tradizione d’ispirazione attica,
analoga a quelle elaborate in relazione ad altre poleis ioniche, nel tentativo di affermare la comune
origine ateniese di tutti gli Ioni d’Asia; resterebbe, invece, priva di riferimenti in altri testi la
menzione di Tessali e Calcidesi.
94
BÜRCHNER 1920, coll. 2209-2211.
95
Seppure nei limiti imposti dalla notevole distanza dell’autore dai fatti narrati, dunque dalla
distorsione inevitabilmente intercorsa in secoli di trasmissione.
96
Per un esame più completo delle fonti antiche su Anceo e sulle diverse posizioni degli studiosi
in merito al loro significato cfr. infra, commento al fr. 2, pp. 63 ss.
97
Su Temistagora cfr. infra, pp. 57-59 e note 119-120.
98
THEMISTAG. ap. Etym. M., s.v. jAstupalaiva: cfr. infra, nota 120.
99
MOGGI-OSANNA 2000, p.212.
54
sull’eroe. Solo in tre testi relativamente tardi, infatti, Anceo viene presentato
come eroe greco: le Argonautiche di Apollonio Rodio, in cui egli è annoverato, in
quanto re di Samo, tra gli eroi protagonisti della spedizione argonautica (I 186188), investito del compito di guidare la nave Argo dopo la morte del timoniere
Tifi (II 867 ss.; IV 210), e le due Vite di Pitagora — PORPH., Pyth. 2, 8-12100 e il
già citato IAMBLICH., Pyth. II 3,1 - 4,4101 —, che fanno di Anceo non
semplicemente un re greco ma addirittura il fondatore greco di Samo, progenitore
del filosofo. Di contro, più antica pare la tradizione che ne fa il re dei Lelegi,
attestata da PAUS. VII 4, 1102, che la attribuisce espressamente al poeta arcaico
Asio di Samo, e da STRABO XIV 1,3-5, che cita come propria fonte Ferecide
(FGrHist 3 F 155 = fr. 26 Dolcetti)103. A questo proposito è bene ricordare che
Strabone, nell’elenco degli antichi nomi di Samo compreso nello stesso capitolo
XIV, afferma che l’isola al tempo in cui la abitavano i Cari (= Lelegi104) era
chiamata Parthenia: ciò consente di ricavare che, nella tradizione confluita in
Strabone, Anceo, in quanto re dei Lelegi, era in relazione con la fase in cui Samo
portava ancora il nome Parthenia, ovvero con la fase più antica della storia
dell’isola.
PORPH., Pyth. 2, 8-12: jApollwvnio~ d jejn toi`~ peri; Puqagovrou kai; mhtevra ajnagravfei Puqai?da,
ajpovgonon jAgkaivou tou` oijkistou` th`~ Savmou.
101
Cfr. supra, nota 91.
102
PAUS. VII 4, 1: [Asio~ (fr. 7 Kinkel = 7 Bernabé = 7 Davies = FGrHist 545 F1) de; oJ
jAmfiptolevmou Savmio~ ejpoivhsen ejn toi`~ e[pesin wJ~ Foivniki ejk Perimhvdh~ th`~ Oijnevw~ gevnoito
jAstupavlaia kai; Eujrwvph, Poseidw`no~ de; kai; jAstupalaiva~ ei\nai pai`da jAgkai`on, basileuvein de;
aujto;n tw`n kaloumevnwn Lelevgwn (...).
103
STRABO XIV 1,3-5: Tauvth~ dev fhsi Ferekuvdh~ (FGrHist 3 F 155 = fr. 26 Dolcetti) Mivlhton
me;n kai; Muou`nta kai; ta; peri; Mukavlhn kai; [Efeson Ka`ra~ e[cein provteron, th;n d jeJxh`~ paralivan
mevcri Fwkaiva~ kai; Civon kai; Savmon, h|~ jAgkai`o~ h\rce, Levlega~: ejkblhqh`nai d jajmfotevrou~ uJpo;
tw`n jIwvnwn kai; eij~ ta; loipa; mevrh th`~ Kariva~ ejkpesei`n. Strabone, richiamando la testimonianza
di Ferecide, afferma che Anceo era re di Samo al tempo in cui l’isola era abitata dai Lelegi;
costoro, che tenevano anche Chio e la costa fino a Focea, furono scacciati dagli Ioni insieme ai
Cari che occupavano Mileto, Miunte, Efeso e la zona del Micale, e si trasferirono con questi
ultimi nelle restanti parti della Caria.
104
Per il problema di una identificazione o distinzione tra Lelegi e Cari cfr. bibliografia raccolta in
POLITO 2011, p. 74, nota 32.
100
55
Il panorama delle fonti su Anceo comprende anche il fr. 2 della Samion Politeia:
dal complesso delle versioni, per certi aspetti divergenti, in cui esso è tradito, si
ricava che Aristotele conosce Anceo come re di Samo (fr. 2c2105), dotato delle
caratteristiche dell’eroe civilizzatore legato alla diffusione della viticoltura (in
quanto amante dell’agricoltura e dedito alla coltivazione della vite: fr. 2a106),
figlio di Poseidone e Astypalaia (fr. 2b107). Tale genealogia, attestata anche da
altre fonti108, stando a PAUS. VII 4, 1109, dipenderebbe dalla medesima tradizione
locale che troviamo attestata già nel poeta arcaico Asio di Samo che farebbe
dell’eroe samio il re dei Lelegi.
Sull’identità etnica di Anceo e Astypalaia gli studiosi non si sono espressi in modo univoco. H.
Kiepert110, L. Bürchner111 e A. Fick112 avevano sostenuto che Astypalaia fosse una ninfa
rappresentante la popolazione pre-greca dell’isola, pronunciandosi anche a favore di un’origine
anellenica del toponimo: secondo Kiepert e Bürchner113, in particolare, Astypalaia sarebbe stata
una parola semitica che indicherebbe la depressione del suolo; per Fick, si sarebbe trattato di un
toponimo cario, al pari di Savmo~ e [Imbraso~. A parere di Bürchner114, peraltro, sarebbe stato
evidente che i Sami non possano aver riconosciuto in tempi tardi il proprio fondatore in un
ARISTOT., Sam. Pol., fr. 2c2: ZENOB. ap. MILLER 1868, p. 368, ll. 3-4: ≠Aristotevlh" dev fhsin
jAgkai`ovn, tina Samivwn basileva (...). Cfr. infra, pp. 66 e ss.
106
ARISTOT., Sam. Pol., fr. 2a: Schol. in Ap. Rhod. I 185-188c: ≠Aristotevlh" fhsi;...o{ti gevgone
filogevwrgo" ≠Agkai'o" kai; polla;~ ejfuvteusen ajmpevlou~; cfr. HERACL., Exc. Pol. 30, in cui l’isola,
ejx ajrch`~ ejrhvmh e abitata da fiere urlanti, viene “civilizzata” da Anceo, che vi impianta viti. Cfr.
infra, pp. 63 e ss.
107
ARISTOT., Sam. Pol., fr. 2b: Schol. in Hom. Od. XXII 9-12, ll. 3-4: Levgei de; ≠Aristotevlh" peri;
th'" paroimiva" ou{tw". ≠Agkai'o" oJ Poseidw'no" kai; ≠Astupalaiva" (...). Cfr. infra, pp. 64 e ss.
108
SIMONIDES CEUS, FGrHist 8 F 2 (= Schol. in Apoll. Rhod. II 866), PAUS. VII 4, 1, Schol. in Ap.
Rhod. I 185-188a, TZETZES, Lyc. Alex. 488, e, parzialmente, STEPH. BYZ. s.v. jAstupavlaia.
109
PAUS. VII 4, 1: [Asio~ (fr. 7 Kinkel = 7 Bernabé = 7 Davies = FGrHist 545 F1) de; oJ
jAmfiptolevmou Savmio~ ejpoivhsen ejn toi`~ e[pesin wJ~ Foivniki ejk Perimhvdh~ th`~ Oijnevw~ gevnoito
jAstupavlaia kai; Eujrwvph, Poseidw`no~ de; kai; jAstupalaiva~ ei\nai pai`da jAgkai`on, basileuvein de;
aujto;n tw`n kaloumevnwn Lelevgwn (...).
110
KIEPERT 1891, pp. 839-844.
111
BÜRCHNER 1896, I 2, p. 21 e 1920.
112
FICK 1905, p. 54-58.
113
BÜRCHNER 1896, I 2, p. 21.
114
BÜRCHNER 1920 coll. 2209-2211.
105
56
lelego, ragion per cui il mito di Anceo re dei Lelegi e il relativo culto dovrebbero necessariamente
essere più antichi della tradizione che ne faceva il fondatore greco dell’isola: il racconto di
Giamblico, nella prospettiva dello studioso, avrebbe “contaminato” la versione più popolare del
mito di Anceo con notizie, di epoca più tarda, sulle diverse fasi del popolamento di Samo.
U. v. Wilamowitz115 e F. Bilabel116, viceversa, avevano identificato Astypalaia con l’eponima
dell’antico insediamento greco sull’isola.
In tempi più recenti ha riesaminato il problema M.B. Sakellariou117, nell’ambito della sua
monografia sulla migrazione greca in Ionia. Lo studioso ritiene che all’associazione di Anceo ai
Lelegi attestata dalle fonti non si debba dare troppa importanza: a suo parere, infatti, essa si
spiegherebbe o alla luce della tendenza di alcune famiglie samie, che vantavano una discendenza
dal mitico re, a far risalire le proprie origini a un passato precedente all’arrivo dei coloni, oppure
come conseguenza del legame instaurato da poeti e genealogisti tra Anceo ed avvenimenti
precedenti alla migrazione ionica a Samo. Lo studioso sottolinea come, d’altro canto, tanto
jAgkai`o~ quanto jAstupavlaia siano termini chiaramente greci118 e accoglie l’ipotesi di Wilamowitz
e Bilabel, secondo cui Astypalaia sarebbe l’eponima dell’antico insediamento greco sull’isola.
Le fonti relative ad Astypalaia non concorrono a chiarire il quadro. THEMISTAG.119 ap. Etym. M.,
s.v. jAstupalaiva120 afferma che i coloni ionici, giunti a Samo, stabilirono una koinonia con i Cari
che la abitavano, si stanziarono presso il fiume Chesion e divisero la polis in due tribù (fulaiv): una
fu chiamata Chesia dal fiume che scorreva presso la polis, l’altra Astypalaia dall’antica asty che lì
sorgeva. Secondo Temistagora di Efeso, dunque, Astypalaia sarebbe stato il nome di una città
WILAMOWITZ 1906, p. 66, n. 2.
BILABEL 1920, p. 174.
117
SAKELLARIOU 1958, pp. 101-102.
118
Lo studioso propone per jAgkai`o~ due possibili etimologie: da ajgkaiv, come ipotizzato da PAPEBENSELER 1884, I, p. 11 s.v. jAgkai`o~, o da a[gko~, valle, secondo una sua ipotesi.
119
Di Temistagora non sappiamo praticamente nulla, se non che fu originario di Efeso e autore di
un Libro aureo, in un’epoca precedente ad Ateneo, che lo cita in Deipn. XV 27, l. 27-28.
120
THEMISTAG. ap. Etym. M., s.v. jAstupalaiva: moi`ra th`~ Savmou ou{tw kaloumevnh, o{ti Proklh`~
kai; Tembrivwn, ajpoikivan steivlante~ eij~ Savmon, pro;~ tou;~ ejnoikou`nta~ Ka`ra~ koinwnivan qevmenoi,
w[/khsan para; to;n Schvsion potamovn, kai; eij~ duvo fula;~ th;n povlin dievneiman: w|n th;n me;n Schsivan
wjnovmasan, ajpo; tou` Schsivou potamou` parakeimevnou th/̀ povlei: th;n de; jAstupalaivan, ajpo; tou`
palaiou` ejkei`se o[nto~ a[steo~. Ou{tw~ Qemistagovra~ ejn th/̀ Crush/̀ Bivblw/.
115
116
57
preesistente all’arrivo dei coloni greci. Schol. in Nicandr. Alexiph. 151121, tuttavia, riporta una
cronologia insediativa opposta a quella delineata dallo scrittore efesio, affermando che prima
abitarono l’isola gli abitanti di Chesion, poi quelli di Astypalaia.
La testimonianza di Temistagora su una bipartizione originaria della popolazione samia nelle tribù
di Chsiei`~ e jAstupalaei`~ ha generato un ampio dibattito tra gli studiosi in merito alla natura di
tali suddivisioni e alla data della loro effettiva introduzione, anche sulla base del resto della
documentazione disponibile al riguardo122. Se vi è generale accordo sull’ipotesi che la divisione
della popolazione nelle tribù dei Chsiei`~ e degli jAstupalaei`~ sia stata operata dopo la fondazione
samia di Perinto (602 a.C. circa), dove sono attestate le sei tribù ioniche123,  nell’ambito di un
processo di ristrutturazione dell’organizzazione civica dell’isola forse dovuto ai tiranni del VI sec.
o, comunque, avvenuto entro il IV sec. , più controversi sono i pareri circa la natura e le origini
di tali tribù. Per M. Moggi124 il racconto di Temistagora attesta il sinecismo che, nel corso del VI
sec., vide l’incorporazione dello stato di Chesion nella polis di Samo, a sua volta comprendente
Astypalaia, sua antica acropoli; le due comunità, prima distinte, sarebbero diventate le tribù
territoriali della nuova polis unitaria. Alcuni studiosi125, in precedenza, avevano ipotizzato che
Chesion fosse uno stato cario, il che porrebbe il problema di una possibile connotazione etnica
(oltre che territoriale) delle tribù dei Chsiei`~ e degli
jAstupalaei`~ o, quanto meno,
implicherebbe la necessità di riconoscere la presenza di cittadini cari a Samo al tempo della
fusione delle due entità politiche. Tale possibilità è stata del tutto esclusa da G. Shipley126, il quale
ritiene che le tribù in questione fossero suddivisioni di tipo essenzialmente territoriale, che
raggruppavano, l’una, gli abitanti della chora (i Chesieis), l’altra, i residenti nel centro urbano (gli
Astypaleis): l’assenza di nomi cari nell’onomastica samia, la mancanza di resti cari nell’isola e il
Schol. in Nicandr. Alexiph. 151: Chsiei`~ de; prw`ton w[/khsan ejn Savmw/, ei\ta jAstupalaei`~.
Cfr. MOGGI 1976, pp. 84-89, con la relativa bibliografia; SHIPLEY 1987, pp. 287-289; JONES
1987, p. 198.
123
SGDI 5723. Cfr. JONES 1987, p. 286 e LOUKOPOULOU 1989, pp. 129-131.
124
MOGGI 1976, pp. 84-89.
125
WIEGAND-WILAMOWITZ 1906, p. 931, n. 3; BILABEL 1921, p. 174, n. 1; SAKELLARIOU 1958, p.
377.
126
SHIPLEY 1987, p. 291.
121
122
58
fatto che tutti i Chesieis noti dalle fonti portano nomi greci, nella prospettiva dello studioso,
dimostrerebbe che, se mai in epoca storica dei Cari avessero ancora abitato a Samo, essi non
avrebbero comunque avuto diritti di cittadinanza. Per Shipley127, inoltre, il racconto di
Temistagora potrebbe risalire a un’invenzione propagandistica di Duride o di qualche altro storico
locale, interessato a giustificare il ripristino del sistema a due tribù  da quattro che forse erano
sotto gli Antigonidi  tramite l’affermazione della sua antichità.
Alla luce del complesso panorama offerto dalle fonti, appare tanto più
interessante il fatto che la tradizione attestata da Giamblico, che presentava il
mitico re Anceo come l’ecista greco dell’isola, di fatto 1) faceva risalire gli inizi
della presenza greca a Samo alle fasi più remote della sua storia (che Anceo
simboleggiava) e, nel far questo, al tempo stesso, 2) metteva le origini della
“storia” a Samo in relazione con l’elemento greco.
Il fatto che Anceo in alcuni testi venga presentato come eroe greco, in altri come
re lelego128, appare pertanto tutt’altro che privo di significato: ciò, anzi, induce a
SHIPLEY 1987, pp. 287-289 ha ipotizzato che nel periodo in cui l’isola fu sottoposta al controllo
degli Antigonidi (320-296 circa) potrebbero essere state introdotte, in aggiunta alle due tribù
storiche di Chsiei`~ e jAstupalaei`~ (create tra il VI e il IV sec.), in modo analogo a quanto
avvenuto ad Atene, la tribù dei Demetrieis e, forse, quella degli Antigoneis; entrambe potrebbero
essere state poi abolite da Duride, tiranno di Samo nel periodo lisimacheo, notoriamente ostile
agli Antigonidi (così pure JONES 1987, p. 198).
128
La stessa oscillazione, nelle fonti, connota anche la figura di Samos, l’eroe eponimo dell’isola.
Sulle origini del toponimo Savmo" e sulla relativa matrice etnica dovevano esistere infatti almeno
due versioni, sintetizzate da Strabone, con una parentetica, all’interno della lista di antichi nomi
di Samo (ejkalei'to de; Parqeniva provteron oijkouvntwn Karw'n, ei\ta ≠Anqemou'", ei\ta Melavmfullo",
ei\ta Savmo", ei[t≠ ajpov tino" ejpicwrivou h{rwo" ei[t≠ ejx ≠Iqavkh" kai; Kefallhniva" ajpoikhvsanto"): una
ne sosteneva la derivazione da un eroe locale  forse da identificare con il Samos figlio di Anceo
e di Samia, menzionato da Pausania (VII 4, 1) in un racconto genealogico che il Periegeta
attribuisce esplicitamente al poeta Asio di Samo (così SAKELLARIOU 1958, p. 94.) , l’altra ne
affermava il legame con un colono greco proveniente da Itaca o Cefallenia, evidentemente dando
credito alla ipotesi di una derivazione del nome Savmo" da Savmh. Le due tradizioni, che il geografo
di Amasea sembra intendere come alternative, connotavano in modo molto diverso l’eroe legato
all’attribuzione all’isola del nome Savmo": la prima, infatti, ne sottolineava l’autoctonia, l’essere
“locale”; la seconda, al contrario, ne affermava l’arrivo nell’isola dall’esterno e, più precisamente,
la provenienza da una madrepatria greca. Il fatto che Strabone consideri i due racconti alternativi,
dunque inconciliabili, implica che, almeno nella prospettiva straboniana, l’eroe epicorico della
prima versione (ei[t≠ ajpov tino" ejpicwrivou h{rwo") non avesse alcun legame (neppure di
127
59
chiedersi, almeno come ipotesi di lavoro, se non si possa essere in presenza di
racconti di parte, in qualche misura in concorrenza, interessati ad “accreditare”
Anceo  primo re dell’isola e suo eroe civilizzatore  alternativamente come
cario o come greco, al fine di descrivere la civilizzazione dell’isola come portato
della “colonizzazione” greca o piuttosto come acquisizione autonoma della
comunità indigena, precedente all’arrivo dei Greci. In questa prospettiva risulta
particolarmente interessante, rispetto al problema delle fonti aristoteliche, il fatto
che nella Samion Politeia venisse attribuita ad Anceo la medesima genealogia
attestata da quelle fonti, in parte di tradizione locale, che ne fanno il re dei
Lelegi: ciò infatti potrebbe suggerire una dipendenza dello Stagirita da fonti locali
vicine alla parte caria.
Tornando al nome Melavmfullo" alla luce delle osservazioni formulate, si sarebbe
indotti a ipotizzare che il mito di fondazione riportato da Giamblico e il relativo
oracolo della Pizia riflettano, seppure con tutti i limiti evidenziati, tradizioni
locali di matrice greca, in cui il nome Melavmfullo" indicava l’isola “ferace” 
perché “scura per la vegetazione”  e senza storia designata dalla Pizia come
oggetto dell’impresa coloniale (in modo conforme al topos della ejrhvmh cwvra,
presente nei racconti di fondazione relativi alla colonizzazione di VIII sec.),
dunque un momento originario, primordiale, precedente alla presenza umana.
Se queste ipotesi reggessero, sarebbe forse possibile pensare che la presenza o
l’assenza del toponimo Melavmfullo" nelle liste degli antichi nomi dell’isola
discendenza) con il mondo dei coloni greci cui invece sarebbe appartenuto l’eroe cefallenio
dell’altro ramo della tradizione attestato dal geografo (ei[t≠ ejx ≠Iqavkh" kai; Kefallhniva"
ajpoikhvsanto"). In questa prospettiva, la tradizione che vantava le origini locali del suo eroe
eponimo, risalente ad Asio di Samo, ne faceva di fatto un eroe non greco ovvero pre-greco,
dunque cario; viceversa, il racconto che ne faceva un Cefallenio (dettaglio comune all’Anceo di
Giamblico) poneva l’accento, come abbiamo visto, proprio sulla grecità dell’ecista. Ciò
indurrebbe a pensare che le due versioni sulle origini del nome Savmo", così come le diverse
tradizioni sull’identità etnica di Anceo, riflettano tradizioni risalenti a gruppi in competizione, gli
uni interessati ad affermare l’originarietà della grecità della comunità samia, gli altri a valorizzare il
passato storico cario dell’isola.
60
avessero un significato legato a dinamiche interne alla vita della comunità samia
in relazione alle sue componenti etniche, in certa misura come a Mileto. In
questa prospettiva, il fatto che la lista aristotelica non ne facesse menzione,
distinguendosi dalla intera tradizione a noi pervenuta, potrebbe non essere
casuale e tradire la dipendenza della lista che propone da una fonte di parte  in
relazione con ambienti filocari , che percepisce
o propone il momento
“originario” della storia samia in rapporto con l’elemento cario129.
Viceversa, i testi che tramandano elenchi degli antichi toponimi sami contenenti
anche Melavmfullo" (STRABO XIV 1,15; Schol. in Ap. Rhod. II 865-872; HESYCH.
s.v. Melavmfullo"; STEPH. BYZ. s.v. Savmo"; EUST. in Dion. Per. 533) potrebbero
risalire a una tradizione locale diversa da quella cui aveva attinto Aristotele,
interessata a sottolineare le origini greche della comunità samia, oppure a una
fonte più tarda, lontana dal contesto in cui le liste erano state originariamente
elaborate, che potrebbe aver assemblato tutti i nomi attestati dalla tradizione. In
particolare, almeno per Schol. in Ap. Rhod. II 865-872, è possibile prendere in
considerazione l’ipotesi di una dipendenza dallo stesso Aristocrito  cui Plinio
sembra attribuire una lista comprendente i tre toponimi noti anche ad Aristotele
più Melamphyllus e l’altrimenti ignoto Cyparissia , che lo scoliaste di Apollonio
usa nelle note ad Argon. I 185-188, nel contesto di una digressione sugli antichi
nomi di Mileto (FGrHist 493 F 3).
A questo proposito può forse essere interessante osservare come sia Pausania che Strabone, nei
passi in cui menzionano Anceo come re dei Lelegi, riportano tradizioni sull’arrivo degli Ioni a
Samo che descrivono i rapporti tra coloni e indigeni in termini traumatici: il Periegeta,
129
Sulla presenza di elementi cari a Samo in età storica e sulla possibilità che ad essi si deva
l’elaborazione di tradizioni locali di parte relative al passato più remoto dell’isola e, in particolare,
all’arrivo dei coloni greci, cfr. infra p. s.
61
verosimilmente sulla base della testimonianza di una fonte locale, sottolinea che quanti abitavano
allora l’isola accettarono di convivere con gli Ioni più per necessità che per benevolenza (VII
4,2,11-13: tovte de; oiJ th;n nh`son oijkou`nte~ ajjnavgkhó plevon ejdevxanto h] eujnoivaó sunoivkou~ [Iwna~);
Strabone, sempre citando Ferecide, afferma addirittura una sostituzione degli Ioni ai Lelegi, che,
insieme ai Cari, sarebbero stati costretti dai nuovi venuti ad abbandonare le loro sedi e a ritirarsi
in altre aree della Caria (XIV 1,5: ejkblhqh`nai d jajmfotevrou~ (scil. Ka`ra~, Levlega~) uJpo; tw`n
jIwvnwn kai; eij~ ta; loipa; mevrh th`~ Kariva~ ejkpesei`n). Tanto la tradizione confluita in Strabone
tramite Ferecide, quanto la tradizione locale risalente ad Asio, che “accreditavano” Anceo come
re dei Lelegi, leggevano cioè la migrazione ionica in termini di occupazione violenta dell’isola: se
la prima (Strabone), però, affermava la sostituzione degli Ioni ai Lelegi, la seconda (Pausania),
viceversa, rivendicava la sopravvivenza degli abitanti indigeni a tale occupazione ed esprimeva,
dunque, il punto di vista di elementi cari, di cui si sarebbe pertanto portati a riconoscere
l’esistenza (e un ruolo politico attivo) a Samo in età storica130.
L’ipotesi della presenza di elementi cari nella Samo di età arcaica e classica, sulla base di PAUS.
VII 4, 1, è già stata formulata da FERRAIOLI 2012, p. 89.
130
62
Fr. 2a (571 Rose; 589,1 Gigon) — Schol. in Ap. Rhod. I 185-188c:
Parqenivh" ≠Agkai'o": ≠ A r i s t o t e v l h " f h s i ; t i q e i ; " e j p i ; ≠ A g k a i v o u t h ; n
paroimivan,
3
o{ti
gevgone
filogevwrgo"
≠Agkai'o"
kai;
polla;~
ejfuvteusen ajmpevlou~. eijpovnto~ de; aujtw` tou' qeravponto" o{ti
qa'tton ajpoqanei'tai h] pivetai ejk tw'n karpw'n th'" ajmpevlou,
≠Agkai'o",
6
ejkavlese
wJrivmou
to;n
karpoforhvsh/
qeravponto"
9
genomevnou
qeravponta
hJ
kai;
a[mpelo"
eijpovnto"
tou'
ei\pen
kai;
«polla;
karpou',
wJ"
e[zhsen
e[melle
metaxu;
trivya"
pivnein.
pevlei
bovtrun
mevcri"
ou|
tou'
de;
kuvliko"
kai;
ceivleo" a[krou» dihggevlh aujtw/' ti" su'" dialumainovmeno" th;n
c w v r a n : e j f ≠ o } n e j k d r a m w ; n p r i ; n p i v h / , a j n h / r e v q h u J p ≠ a u j t o u ' . dio;
ej p ekrav t hsen hJ paroimiv a ej p i; tw' n para; prosdokiv a n ti pascov n twn.
12
kai; Ferekuvdh" ejn th/' hV fhsi; to;n ≠Agkai'on uJpo; tou' Kaludwnivou suo;" plhgevnta
to;n mhro;n ajpoqanei'n.
12-13 Pherec., FGrHist 3 F 36
1 Parqenivh" L, conc. codd. Apollonii : del. Wendel, Parqenivhn edd. in Apollonii textu
pascovntwn Wendel : prattovntwn
11
Anceo di Partenia: Aristotele, riportando in relazione ad Anceo il
proverbio, dice che Anceo era amante dell’agricoltura e che piantò
molte viti. Poiché un servo gli aveva detto che sarebbe morto
prima di bere il frutto della sua vite, Anceo, quando tale frutto fu
maturo, pigiata l’uva, chiamò il servo e gli disse che aveva vissuto
fino a che la vite aveva prodotto frutti e che stava per berne.
Mentre il servo diceva «Molte cose passano tra la coppa e la
punta delle labbra», gli fu annunciato che un cinghiale stava
devastando la chora; corso via contro di esso prima di bere, fu
ucciso da quello. Perciò il proverbio si applica a coloro che
63
s u b i s c o n o q u a l c o s a c o n t r o l e l o r o a s p e t t a t i v e . Ferecide nell’ottavo libro
dice che Anceo morì colpito alla coscia dal cinghiale calidonio.
Fr. 2b (571 Rose; 589,3 Gigon) — Schol. in Hom. Od. XXII 9-12:
Dionuvsio~ oJ Qraó̀x ejn tai`~ Melevtai~ fhsi; th;n paroimivan «polla; metaxu; pevlei
kuvliko" kai; ceivleo" a[krou» ajpo; touvtou diadedovsqai. Prostiqevmeno~ ga;r jAntivnoo~
3
to; e[kpwma bavlletai. L e v g e i d e ; ≠ A r i s t o t e v l h " p e r i ; t h ' " p a r o i m i v a "
ou{tw". ≠Agkai'o" oJ Poseidw'no" kai; ≠Astupalaiva" Savmio" w]n
to;
6
gevno"
e[cwn
prosfevrein
dunhvsetai
aujto;"
9
th;n
oJ
poto;n
piei'n
kai;
pevlei
ajpo;
pivnein.
o{qen
≠Agkai'o"
kuvlika
metaxu;
oijkevthn
Krhvth"
eijpovnto"
ejnteu'qen
aiJ
katakertomhvsa"
prosevqeto.
kuvliko"
kai;
de;
aujtou'
a[mpeloi
tou;"
levxanto"
ceivleo"
ejkevleusen
de;
wJ"
ouj
tugcavnousin,
qeravponta"
ejkeivnou
a[krou»
aujtw/'
a[fnw
e[labe
«polla;
sunevbh
crh'ma suo;" megavlou ejpizarh'sai toi'" tou' ≠Agkaivou cwrivoi".
12
ajkouvsanta de; aujto;n ajpo; tw'n ceilevwn th;n kuvlika kataqei'nai
kai; dramei'n wJ" to;n a[grion u|n, sumbalovnta de; tw/' kavprw/
teleuth'sai.
e[nqa
fhsi;
katanoh'sai
th;n
paroimivan.
1-3 Dionysius Thrax, fr. 36 Linke
5 oijkevthn corr. Dindorf ex Zenob. : iJkevthn V
9 polla; corr. Dindorf : poluv V
Dionisio Trace negli Studi afferma che il proverbio «Molte cose passano tra la coppa e
la punta delle labbra» si sia diffuso a partire da ciò. Infatti Antinoo fu colpito mentre
avvicinava la coppa. A r i s t o t e l e r i g u a r d o a l p r o v e r b i o s i e s p r i m e c o s ì .
Anceo, figlio di Poseidone e Astypalaia, Samio per stirpe, avendo
un servo di Creta gli ordinò di portargli da bere. Poiché questi gli
64
disse che non avrebbe potuto bere da ciò che le viti avrebbero dato
da allora in avanti, Anceo, coprendo di insulti i servi, prese la
coppa e se la avvicinò. Mentre quello gli diceva «Molte cose
passano tra la coppa e la punta delle labbra», all’improvviso
accadde che un cinghiale straordinariamente grande piombò sui
campi di Anceo. Questi, sentita la cosa, abbassò la coppa dalle
labbra e corse contro il cinghiale ma, avventatosi contro il
cinghiale, morì. In quel momento  dice  intese il proverbio.
Fr. 2c1 (571 Rose; 589,4 Gigon) — ZENOB. V 71: P o l l a ; m e t a x u ; p e v l e i
kuvliko"
3
kai;
toiauvth":
ceivleo"
≠Agkai'o"
a[krou:
pai'"
paroimiva
lecqei'sa
Poseidw'no"
futeuvwn
ejx
aijtiva"
ajmpelw'na
barevw" ejpevkeito toi'" oijkevtai". Ei|" de; tw'n oijketw'n e[fh mh;
metalhvyesqai
6
to;n
despovthn
tou'
karpou'.
ïO
de;
≠Agkai'o"
ejpeidh; oJ karpo;" ejfqavkei, caivrwn ejtruvfa kai; to;n oijkevthn
ejkevleuse keravsai aujtw/'. Mevllwn de; th;n kuvlika prosfevrein
tw/' stovmati, uJpemivmnhsken aujto;n tou' lovgou: oJ de; e[fh to;n
9
eijrhmevnon
stivcon.
Touvtwn
de;
legomevnwn
oijkevth"
h\lqen
ajpaggevllwn, wJ" uJpermegevqh" su'" to;n o[rcaton lumaivnetai.
ïO de; ≠Agkai'o" ajpobalw;n th;n povsin ejpi; to;n su'n w{rmhse
12
kai;
plhgei;"
uJp≠
aujtou'
ejteleuvthsen.
‹Oqen
hJ
paroimiva.
Dionuvsio~ dev fhsin eijrh`sqai aujth;n ajpo; th`~ jAntinovou mnhsteusamevnou th;n
Phnelovphn sumfora`~. Prosagovmeno~ ga;r to; e[kpwma ejteleuvthse toxeuqei;~ para;
15
tou` jOdussevw~.
65
12-14 Dionysius Thrax, fr. 36 Linke
1 pevtei Stephanus, pivtnei vel pitnei` Valckenaer
2-3 paroimiva - toiauvth": om. B
3
4 Ei|" de touvtwn B
5 jAggai`o~ B
6 ejpefqavkei B
jAggai`o~ B
a[mpelon B
caivrwn B,
Schol. in Ap. Rhod., edd. : kai; caivrwn cett. codd.
9 Touvtwn de; legomevnwn P, Gaisford : kai;
11
tou`ton levgonto~ B, touvtwn e[ti legomevnwn Schneidewin, Lelli
a[llo~ oijkevth~ B
12 plhsiavsa~ B
ajporrivya~ B
‹Oqen hJ paroimiva om. B
«Molte cose passano tra la coppa e la punta delle labbra»:
proverbio formulato per la seguente ragione. Anceo, figlio di
Poseidone, nel piantare un vigneto, pressava pesantemente i servi.
Uno dei servi disse che il padrone non ne avrebbe colto il frutto.
Quando il vino fu pronto, Anceo contento se ne fece vanto e
ordinò al servo di versarglielo. Quando stava per portare la coppa
alla bocca, ricordò al servo la sua affermazione e quello pronunciò
il verso suddetto. Mentre ancora venivano proferite tali parole,
sopraggiunse un servo, il quale annunciò che un enorme cinghiale
stava devastando il filare. Anceo allora, gettata via la coppa,si
avventò sul cinghiale e, colpito da esso, morì. Donde il proverbio.
Dionisio invece afferma che esso derivi dalla sventura capitata ad Antinoo nel
corteggiare Penelope. Mentre avvicinava la coppa, infatti, morì, colpito dall’arco di
Odisseo.
Fr. 2c2 (571 Rose; 589,2 Gigon) — ZENOB. ap. MILLER, p. 368: Polla;
metaxu; pevlei kuvliko" <--->. Tauvthn oJ Dionuvsio~ fhsin eijrh`sqai ajpo; th`~
3
jAntinovou mnhsteusamevnou th;n Phnelovphn sumfora`~: prosagovmeno~ ga;r to;
e[kpwma
Samivwn
6
ejteleuvthsen.
basileva,
≠Aristotevlh"
mevllonta
dev
pivnein
fhsin
ajkou`sai
jAgkai`ovn,
tina
kraugh;n
peri;
qhvran genomevnhn kai; ejxelqovnta sumplakh`nai tw`ó suiÖ kai;
66
ajpoqanei`n:
o{qen
eijrh`sqai
th;n
paroimivan
ou{tw~:
Polla;
metaxu; pevlei kuvliko" kai; ceivleo" a[krou.
1-3 Dionysius Thrax, fr. 36 Linke
«Molte cose passano tra la coppa <--->». Dionisio afferma che questo proverbio derivi
dalla sventura capitata ad Antinoo nel corteggiare Penelope: mentre avvicinava la
coppa, infatti, morì. A r i s t o t e l e i n v e c e d i c e c h e A n c e o , u n r e d i S a m o ,
mentre stava per bere, sentì che c’era clamore intorno a una fiera
e, messosi in cammino, si scontrò con il cinghiale e morì. Ragion
per cui il proverbio è stato formulato in tal modo «Molte cose
passano tra la coppa e la punta del labbro».
HERACL., Exc. Pol. 30 ll. 13-15 Dilts
ejbasivleuse d jaujtw`n jAgkai`o~,
peri; ou| ta;~ ajmpevlou~ oJ qeravpwn futeuvwn fhsiv: polla; metaxu; pevlei
kuvliko" kai; ceivleo" a[krou.
14 peri; V : ejf j dgab
a[krou V : ceivlou" a[krou
ta;~...fhsiv V : om. dgab
polla; V : hJ polla; dgab
15 ceivleo"
paroimiva ejrrevqh dgab
Il fr. 2 della Samion Politeia è tradito, in versioni diverse, da tre fonti tralatrici, che
ne riportano il contenuto  un celebre aneddoto relativo al re samio Anceo 
in relazione all’origine del noto proverbio «Molte cose passano tra la coppa e la
punta delle labbra», legato al motivo topico della imprevedibilità della sorte
umana. Tutte e tre le fonti attribuiscono espressamente aneddoto e proverbio ad
Aristotele; una relazione tra il proverbio e la figura di Anceo compare inoltre
anche nell’estratto samio di Eraclide (HERACL., Exc. Pol. 30 ll. 13-15 Dilts).
67
Il nucleo principale di tale racconto eziologico, comune a tutte le versioni del
frammento aristotelico, è la morte del mitico re samio in uno scontro con un
cinghiale, contro il quale egli avrebbe deciso di lanciarsi proprio mentre stava
avvicinando alle labbra una coppa di vino: nella prospettiva aristotelica, il
destino tragico incontrato nell’impresa avrebbe precluso all’eroe la possibilità di
compiere la bevuta interrotta, dimostrando come la sorte umana si realizzi in un
istante, in modo del tutto imprevedibile e nel contesto delle attività quotidiane
più comuni. Nelle diverse versioni del frammento aristotelico che riportano il
proverbiale aneddoto, tale nucleo narrativo  la morte di Anceo in uno scontro
con un cinghiale, verificatosi proprio nel frangente in cui il re stava per bere dalla
sua coppa  è di volta in volta corredato di ulteriori informazioni, più o meno
dettagliate, talora divergenti.
Le tre fonti tralatrici (Schol. in Ap. Rhod. I 185-188c; Schol. in Hom. Od. XXII 912; ZENOB. ap. MILLER 1868131, p. 368) attribuiscono ad Aristotele la paternità del
L’unica opera rimastaci di Zenobio, paremiografo e sofista vissuto al tempo dell’imperatore
Adriano, è l’epitome di due più antiche raccolte di proverbi greci ( jEpitomh; twó̀n Tarraivou kai;
Diduvmou paroimiw`n), compilate dal grammatico alessandrino Didimo (I sec. a.C. - I sec. d.C.) e
dallo storico ed erudito Lucillo di Tarra (I sec. d.C.), autore, tra le altre opere, di un Commentario
alle Argonautiche di Apollonio Rodio. Lo scritto ci è pervenuto in due redazioni: la “vulgata”,
conservata nel cod. Par. 3070 (P) del XII sec. e la redazione Athoa, contenuta nel cod. Par. suppl.
1164 (M) del XIV sec., rinvenuto da E. Miller sul monte Athos nel 1863 ed edito cinque anni
dopo. La redazione Athoa sembrerebbe risalire a un livello della tradizione più vicino all’opera
originale di Zenobio, come suggerirebbero la divisione in tre libri, che la Suda attribuisce
all’epitome zenobiana, e la disposizione tematica dei proverbi, caratteristica delle raccolte
alessandrine; essa appare tuttavia fortemente compromessa da rimaneggiamenti e progressive
riduzioni, avvenuti nel corso della trasmissione del testo. La “vulgata”, invece, risulta meno
corrotta ma più fortemente rielaborata dalla tradizione bizantina, cui sembra siano da attribuire
aggiunte di carattere mitografico, omissioni di particolari scabrosi per la morale cristiana e la
disposizione alfabetica di una parte dei proverbi (cfr. BÜHLER 1987, pp. 91-159; 277-279; LELLI
2006, pp. 26-29, e relativa bibliografia). Il fr. 571 Rose è contenuto in entrambe le recensioni del
testo zenobiano a noi note, sebbene in versioni notevolmente diverse: una delle differenze
principali, per quanto riguarda la trasmissione del frammento aristotelico, risiede nel fatto che la
recensione vulgata non dichiara la sua fonte mentre la recensione athoa contiene il riferimento
nominale allo Stagirita, che ne assicura la dipendenza dalla Samion Politeia. Già LEUTSCH SCHNEIDEWIN 1839, p. III., in verità, ben prima che E. Miller scoprisse il manoscritto athoo, alla
luce della forte affinità di contenuto di ZENOB. V 71 con Schol. in Ap. Rhod. I 185-188c e Schol. in
Hom. Od. XXII 9-12, certamente risalenti alla Sam. Pol., avevano sostenuto che
l’interpretamentum zenobiano risalisse alla medesima opera aristotelica, senza dubbio nota al
131
68
racconto su Anceo ma non esplicitano l’opera dello Stagirita da cui lo avrebbero
attinto; la corretta attribuzione del frammento alla Sam. Pol. è tuttavia garantita
dal confronto con HERACL., Exc. Pol. 30 ll. 13-15 Dilts, che, come sopra
evidenziato, contiene un riferimento, seppure estremamente cursorio, al
medesimo aneddoto.
Le fonti tralatrici tramandano versioni del frammento leggermente diverse.
Schol. in Ap. Rhod. I 185-188c (fr. 2a) riporta il testo aristotelico 
introducendolo con un fhsiv seguito da proposizione oggettiva (ll. 1-2:
≠Aristotevlh" fhsi; tiqei;" ejpi; ≠Agkaivou th;n paroimivan, o{ti gevgone filogevwrgo"
≠Agkai'o"...)  come nota di commento alla menzione di Anceo nel catalogo
degli eroi che presero parte all’impresa argonautica132. Nella versione del racconto
aristotelico tradita dallo scoliaste di Apollonio:
- l’eroe samio viene descritto come amante dell’agricoltura e dedito alla
coltivazione della vite (in modo conforme al tipo dell’eroe civilizzatore legato
alla diffusione della viticoltura) ma non vengono fornite informazioni relative
al suo statuto regale né alla sua genealogia, forse perché già esplicite nel testo
delle Argonautiche, dunque avvertite come superflue nell’economia dello
scolio;
- viene riportata la profezia rivolta ad Anceo da un servo  secondo la quale
l’eroe non avrebbe vissuto abbastanza da poter bere il vino prodotto dalle sue
viti  senza che venga addotta la motivazione che avrebbe spinto il servo a
formularla;
paremiografo, che la cita espressamente in VI 12 (to; peri; Dru'n skovto": ≠Aristotevlh" fhsi;n ejn th/'
Samivwn politeiva/... cfr. infra, fr. 4a, p. 83).
132
AP. RHOD. I 185-188: kai; d ja[llw duvo pai`de Poseidavvwno~ i{konto / h[toi oJ me;n ptoliveqron
ajgauou` Milhvtoio / nosfisqei;~ jErgi`no~ oJ d j jImbrasivh~ e{do~ {Hrh~ / Parqenivhn ( codd. Parqenivh~)
jAgkai`o~ uJpevrbio~.
69
- la bevuta di Anceo è interrotta dalla notizia, determinante per l’effettivo
compiersi della profezia, che un cinghiale sta devastando la chora: l’impresa di
Anceo sembrerebbe pertanto connotata in chiave pubblica, ovvero come
intervento del re in difesa del territorio che governa.
Lo scoliaste chiude la sua nota riferendo sinteticamente la testimonianza di
Ferecide133 (ll. 12-13), secondo la quale Anceo sarebbe morto per una ferita
inflittagli dal cinghiale calidonio: l’affermazione del genealogista ateniese si
riferisce chiaramente all’Anceo arcade figlio di Licurgo, protagonista e vittima
della caccia al mitico cinghiale, inviato da Artemide, a scopo punitivo, ad
infestare il territorio di Calidone (HOM., Il. II 609; BACCHIL. V 217; LYCOPHR.
486-490; AP. RHOD. I 163-167, 398, 531; II 118; OVID., Met. VIII 314, 390 ss.;
APOLLOD. I 8, 2 - 9, 16; III 9,2 - 10, 8; HYG. 14, 173; Schol. in Paus. VIII 45, 2;);
l’inserimento della testimonianza di Ferecide nel nostro scolio  riferito a versi
in cui Apollonio menziona l’Anceo samio, che il poeta ben distingue
dall’omonimo eroe arcade134  costituisce uno dei tanti esempi di interferenza fra
i due personaggi del mito135, accomunati dal nome, dalla partecipazione
all’impresa argonautica e dalla morte dovuta al morso di un cinghiale,
protagonisti di saghe forse formatesi in modo non del tutto indipendente136.
Schol. in Hom. Od. XXII 9-12 (fr. 2b) riporta il frammento aristotelico come
citazione testuale (introdotta dall’espressione levgei de; ≠Aristotevlh" peri; th'"
paroimiva" ou{tw", alle ll. 3-4), nel contesto di una nota ai versi dell’Odissea che
FGrHist 3 F 36.
Apollonio Rodio menziona due eroi omonimi, uno arcade (di cui parla a I 163-167), l’altro
samio (nei versi di cui al nostro scolio, ovvero I 185-188: cfr. supra, nota 132). Quest’ultimo nelle
Argonautiche viene presentato come re greco di Samo e diventa timoniere della nave Argo dopo
la morte di Tifi (cfr. II 867 ss., IV 210).
135
Lo stesso Ferecide altrove (FGrHist 3 F 155 = fr. 26 Dolcetti: STRABO XIV 1, 3) mostra di
conoscere anche un Anceo samio re dei Lelegi (cfr. infra nota 142). Alla luce di ciò, secondo
DOLCETTI 2004 è possibile che la confusione tra i due eroi nel contesto di Schol. in Ap. Rhod. I
185-8c sia opera tanto dello scoliaste quanto di Ferecide stesso.
136
TOEPPFER 1893, col. 2218.
133
134
70
descrivono Antinoo nell’atto di sollevare la coppa e accingersi a bere, ignaro del
destino di morte che lo attende in quanto bersaglio inconsapevole del dardo che
Odisseo è sul punto di sferrare137. Lo scoliaste espone dapprima l’opinione di
Dionisio Trace, secondo la quale tali versi omerici sarebbero stati all’origine del
proverbio «Molte cose passano tra la coppa e la punta delle labbra»; di seguito,
riferisce quanto Aristotele attesta in merito al medesimo proverbio, ovvero la sua
formulazione in riferimento all’episodio accaduto ad Anceo. In particolare, nella
versione del frammento aristotelico tradita dallo scoliaste di Od. XXII 9-12:
- Anceo viene presentato come figlio di Poseidone e Astypalaia, samio per
stirpe, anche in questo caso senza alcun riferimento al suo ruolo di re; la
medesima genealogia è attestata da Schol. in Ap. Rhod. I 185-188a138, II
866139, da STEPH. BYZ. s.v. jAstupavlaia140 e da PAUS. VII 4, 1141  qui
dipendente da Asio di Samo (FGrHist 545 F1) , che ne fa il re dei
Lelegi, ovvero delle genti carie che abitavano l’isola prima dell’arrivo degli
Ioni142.
HOM., Od. XXII 9-12: h\ toi oJ kalo;n a[leison ajnairhvsesqai e[melle / cruvseon a[mfwton, kai; dh;
meta; cersi;n ejnwvma / o[fra pivoi oi[noio: fovno~ dev oiJ oujk ejni; qumw/̀ / mevmbleto.
138
Schol. in Ap. Rhod. I 185-188b: cfr. supra, nota 75.
139
Schol. in Ap. Rhod. II 866: jAgkaivwi ... o}n jImbrasivoisi par ju{dasin jAstupavlaia tivkte
Poseidavwni] o{ti Poseidw`no~ kai; jAstupalaiva~ th`~ Foivniko~ oJ Savmio~ jAgkai`o~ h\n pai`~, o}~
ejkubevrna th;n nau`n meta; th;n Tivfuo~ teleuthvn, kai; Simwnivdh~ oJ genealovgo~ oJmoivw~ tw`i
jApollwnivwi genealogei`.
140
STEPH. BYZ. s.v. jAstupavlaia, rubrica piuttosto confusa, in cui il lessicografo elenca tutti i
luoghi a lui noti col nome Astypalaia, attesta che il toponimo derivava dal nome della madre di
Anceo.
141
ASIUS SAM. (fr. 7 Kinkel = 7 Bernabé = 7 Davies = FGrHist 545 F1: PAUS. VII 4, 1): [Asio~
de; oJ jAmfiptolevmou Savmio~ ejpoivhsen ejn toi`~ e[pesin wJ~ Foivniki ejk Perimhvdh~ th`~ Oijnevw~
gevnoito jAstupavlaia kai; Eujrwvph, Poseidw`no~ de; kai; jAstupalaiva~ ei\nai pai`da jAgkai`on,
basileuvein de; aujto;n tw`n kaloumevnwn Lelevgwn (...).
142
Strabone, richiamando la testimonianza di Ferecide (FGrHist 3 F 155 = fr. 26 Dolcetti:
STRABO XIV 1,3-5: Tauvth~ dev fhsi Ferekuvdh~ Mivlhton me;n kai; Muou`nta kai; ta; peri; Mukavlhn
kai; [Efeson Ka`ra~ e[cein provteron, th;n d jeJxh`~ paralivan mevcri Fwkaiva~ kai; Civon kai; Savmon, h|~
jAgkai`o~ h\rce, Levlega~: ejkblhqh`nai d jajmfotevrou~ uJpo; tw`n jIwvnwn kai; eij~ ta; loipa; mevrh th`~
Kariva~ ejkpesei`n), afferma che Anceo era re di Samo al tempo in cui l’isola era abitata dai Lelegi;
costoro, che tenevano anche Chio e la costa fino a Focea, sarebbero stati scacciati dagli Ioni
insieme ai Cari che occupavano Mileto, Miunte, Efeso e la zona del Micale, e si sarebbero
trasferiti con questi nelle restanti parti della Caria.
137
71
- alla profezia del servo, che anche in questo caso non viene ascritta ad alcuna
motivazione, Anceo reagisce in modo violento;
- la notizia che induce l’eroe a scagliarsi contro il cinghiale che gli darà la
morte è che la bestia sta devastando i suoi campi: l’intervento di Anceo
appare qui come un’impresa di tipo “privato”, che l’eroe conduce nel proprio
esclusivo interesse.
Il passo di Zenobio che conserva il fr. 2c ci è pervenuto in entrambe le redazioni
che tramandano l’epitome zenobiana (la “vulgata” e la “Athoa”)143, sebbene in
versioni notevolmente diverse.
La vulgata (ZENOB. V 71 = fr. 2c1) propone un interpretamentum del proverbio
polla; metaxu; pevlei kuvliko" kai; ceivleo" a[krou, che costituisce una rielaborazione
ampia ma in parte banalizzante della Samion Politeia, peraltro omettendo di
indicare nell’opera aristotelica la propria fonte. La redazione Athoa (ZENOB. ap.
MILLER 1868, p. 368 = fr. 2c2) offre invece un’estrema sintesi del frammento
aristotelico, eliminando anche particolari significativi dello sviluppo narrativo ma
conservando l’attribuzione esplicita del passo ad Aristotele.
ZENOB. V 71
ZENOB. ap. MILLER, p. 368
(fr. 2c1 Sam. Pol.)
(fr. 2c2 Sam. Pol.)
- Anceo viene presentato come figlio - Anceo è un re samio non meglio
di Poseidone e padrone dispotico connotato;
(barevw" ejpevkeito toi'" oijkevtai", l. 3),
senza che sul suo conto venga fornito
alcun dettaglio indicativo di una
possibile ambientazione samia della
vicenda nonché del suo status di re;
143
Cfr. supra, nota 131.
72
- l’atteggiamento arrogante attribuito - non c’è traccia della profezia di
all’eroe
dal
paremiografo,
nella morte rivolta dal servo all’eroe;
prospettiva del racconto, sembrerebbe
fungere da motivazione alla profezia
formulata dal servo, che parrebbe
mosso da rancore nei confronti del
proprio padrone;
- come in Schol. in Hom. Od. XXII 9- - lo scontro con il cinghiale appare in
12, lo scontro tra Anceo e il cinghiale qualche misura accidentale e sembra
è presentato come intervento di tipo rientrare
“privato”,
in
quanto
nella
categoria
delle
iniziativa manifestazioni di eroismo legate al
intrapresa dall’eroe in difesa del tema della caccia.
proprio filare.
Nella recensione vulgata Zenobio chiude la spiegazione del proverbio riferendo
anche l’interpretamentum di Dionisio Trace, che nella redazione Athoa (come in
Schol. in Hom. Od. XXII 9-12) è invece riportato prima dell’esegesi aristotelica.
La presenza, tanto nello scolio omerico quanto nell’epitome zenobiana, di
entrambi gli interpretamenta  l’uno di Aristotele, l’altro di Dionisio 
indurrebbe ad individuare la stessa fonte all’origine della voce paremiografica così
strutturata: sembrerebbe, cioè, probabile che in una raccolta paremiografica
precedente, utilizzata tanto dallo scoliaste dell’Odissea quanto da Zenobio, del
proverbio polla; metaxu; pevlei kuvliko" kai; ceivleo" a[krou venissero già dati i due
diversi interpretamenta aristotelico e dionisiano. L’identificazione della fonte
comune a Schol. in Hom. Od. XXII 9-12 e a ZENOB. polla; metaxu; pevlei kuvliko" kai;
ceivleo" a[krou potrebbe cadere su Didimo, originario compilatore della raccolta
73
epitomata da Zenobio e autore di commentari continui a libri dell’Iliade e
dell’Odissea, almeno in parte confluiti in forma anonima negli scolî a Omero.
Secondo J. P. Barron144 il racconto su Anceo potrebbe essere stato elaborato da
Asio o da Esopo allo scopo di ammonire uno dei tiranni di VI sec., a loro
contemporaneo. Anche Shipley145 prende in considerazione la possibilità che esso
costituisca un segnale di crisi della tirannide policratea (o comunque di scontento
nei suoi confronti).
144
145
BARRON 1961, p. 15 nota 1.
SHIPLEY 1987, p. 92 nota 81.
74
Fr. 3 — AELIAN., Nat. An. XVII 20: ≠Aristotevlh" levgei givnesqai ejn Savmw/
leukh;n celidovna: tauvth" ge mh;n ejavn ti" ejkkenthvsh/ tou;" ojfqalmouv", givnesqai
3
me;n aujth;n paracrh'ma tuflhvn, meta; tau'ta de; «ejxwmmavtwtai kai; lelavmpruntai
kovra"» kai; ejx uJparch'" oJra/', wJ" ejkei'nov" fhsi.
2-3 Aristoph., Plut. 635
Soph., fr. 710, 2 Radt
2 kenthvsh/ Valckenaer
3 ejxwmmavtwtai kai; lelavmpruntai kovra" Hercher ex Aristoph. :
ejxommatou`tai kai; ta;~ kovra~ lelavmpruntai codd.
Aristotele dice che a Samo c’era una rondine bianca; se qualcuno le
trafiggeva gli occhi, sul momento diventava cieca; in seguito, però, «riacquista la vista e
tornano a brillarle le pupille» e vede di nuovo, come dice qualcuno.
HERACL., Exc. Pol. 31 Dilts
o{ti ejn toi`~ Samivoi~ ejfavnh leukh; celidw;n oujk ejlavttwn pevrdiko~.
Il fr. 3 è tradito nel diciassettesimo libro del De natura animalium di Claudio
Eliano.
Eliano riporta esplicitamente il nome di Aristotele come fonte della notizia
dell’esistenza a Samo di una rondine bianca; al singolare animale il sofista
attribuisce poi la prodigiosa capacità di recuperare la vista, qualora venisse
accecato. Nel descrivere tale portentosa facoltà, Eliano utilizza il verso 635 del
Pluto aristofaneo (ejxwmmavtwtai kai; lelavmpruntai kovra"), che, a sua volta, è parte
di una più ampia citazione dal Fineo (fr. 710 Radt146) di Sofocle, come
apprendiamo da uno scolio antico alla commedia147.
SOPH. fr. 710: (ajnti; ga;r tuflou`?) ejxwmmavtwtai kai; lelavmpruntai kovra": jAsklhpiou` paiw`no~
eujmenou`~ tucwvn.
147
Schol. in Aristoph. Plut. 635, 1-2: ejxwmmavtwtai] ejk Finevw~ Sofoklevou~ oJ stivco~; 636, 11-12:
jAsklhpiou` paiw`n o~] ajnti; tou` eujmenestavtou. tau`ta de; ejk tou` Finevw~ Sofoklevou~ e[laben.
146
75
La medesima, eccezionale apparizione di una rondine bianca a Samo è riferita
anche in HERACL., Exc. Pol. 31, in cui si aggiunge il dettaglio delle dimensioni
straordinarie del volatile, non più piccolo di una pernice (o{ti ejn toi`~ Samivoi~ ejfavnh
leukh; celidw;n oujk ejlavttwn pevrdiko~). Il confronto con l’estratto eraclideo dalla
Samion Politeia suggerirebbe di riconoscere nella citazione aristotelica tradita in
AELIAN., Nat. An. XVII 20 (l. 1: ≠Aristotevlh" levgei givnesqai ejn Savmw/ leukh;n
celidovna) un frammento dell’opuscolo aristotelico148. In effetti i due testi  la
proposizione incipitaria di AELIAN., Nat. An. XVII 20 (≠Aristotevlh" levgei
givnesqai ejn Savmw/ leukh;n celidovna) e HERACL. Exc. 31  costituiscono il fr. 185
della Samion Politeia di Aristoteles Pseudepigraphus149; il medesimo passo del De
natura animalium, tuttavia, non compare nella terza ed ultima raccolta dei
frammenti aristotelici edita da V. Rose né nella più recente edizione pubblicata
da O. Gigon. Quale sia la ragione di tale scelta è difficile dire: l’estratto eraclideo
(o{ti ejn toi`~ Samivoi~ ejfavnh leukh; celidw;n oujk ejlavttwn pevrdiko~), infatti, attesta
chiaramente che nella Samion Politeia si facesse riferimento alla comparsa di una
rondine bianca a Samo. La posizione di Rose potrebbe essere stata indotta dalla
convinzione che il passo elianeo derivasse piuttosto da un’altra fonte: Alessandro
di Mindo150 o l’Historia animalium aristotelica. Lo studioso, infatti, già in
Aristoteles Pseudepigraphus151 ipotizzava che Eliano avesse potuto trarre la notizia
della comparsa di una rondine bianca a Samo da qualche opera dello scrittore
greco originario di Mindo: al medesimo autore, infatti, risale il dato più generale
Così intende anche POLITO 2001, pp. 116-117.
ROSE 1863, p. 520.
150
Sotto il nome di questo scrittore, proveniente dalla città caria di Mindo e vissuto, secondo
Jacoby (che lo classifica con il n. 25), nella prima età imperiale, ci sono pervenuti un frammento
di Muqikav, uno di una Qaumasivwn Sunagwghv, uno di un Perivplou~ th`~ jEruqra`~ qalavtth~ e tre
frammenti di attribuzione incerta, forse appartenenti a un Peri; zwvwn (cfr. FGrHist I a Text, p. 189
(FF 1-6), I a Kommentar, p. 499).
151
ROSE 1863, p. 520.
148
149
76
dell’avvistamento di rondini bianche, riportato in AELIAN., Nat. An. X 34152.
Nelle stesse note di commento al fr. 185, Rose metteva inoltre in luce la
dipendenza della seconda notizia riportata da Eliano (la facoltà della rondine di
riacquistare la vista, qualora accecata) dalla aristotelica Historia animalium; si
potrebbe pertanto ipotizzare che egli, nell’intervallo di tempo intercorso tra la
prima e la terza edizione dei frammenti aristotelici, abbia maturato la convinzione
che l’informazione sulla presenza di una rondine bianca a Samo risalisse ad uno
scritto di Alessandro di Mindo oppure all’opera zoologica dello Stagirita.
D’altronde, un ampio dibattito sulle fonti del De natura animalium di Eliano,
svoltosi attraverso una serie di contributi apparsi su Hermes tra il 1891 e il 1937,
ha dimostrato che fonte principale dell’opera elianea è proprio il decimo libro del
trattato aristotelico, noto al sofista attraverso una fonte intermedia153.
Forse proprio alla luce di tali risultati  dunque nella convinzione di una
dipendenza di AELIAN., Nat. An. XVII 20 da ARISTOT., Hist. an. III 12 , anche
Gigon potrebbe aver deciso di escludere il passo di Eliano dal corpus dei
frammenti della Samion Politeia.
In effetti l’Historia animalium fa cenno una sola volta all’esistenza di rondini
bianche (ARISTOT., Hist. an. 519a 3-6154), nell’ambito di un discorso sui possibili
cambiamenti di colore nel piumaggio dei volatili, che occupa il dodicesimo
capitolo del terzo libro dell’opera: dopo aver precisato che le piume degli uccelli
generalmente non cambiano colore per effetto dell’età (a differenza dei capelli e
della peluria degli uomini, oggetto del capitolo precedente), lo Stagirita aggiunge
152
AELIAN., Nat. an. X 34: [Wfqhsavn pote kai; celidovne~ leukaiv, wJ~ jAlevxandro~ oJ Muvndiov~
fhsin.
153
Status quaestionis in SCHOLFIELD 1958, pp. XV-XXV.
154
ARISTOT., Hist. an. 519a 3-6: dia; de; ta; pavqh ta; ginovmena kata; ta;~ w{ra~, oi|on o{tan yuvch
givnhtai ma`llon, ejnivote givnetai tw`n monocrovwn ejk melavnwn te kai; melantevrwn leukav, oi|on kovrax
te kai; strouqo;~ kai; celidovne~.
77
che un tal fenomeno può verificarsi piuttosto in conseguenza dei cambiamenti
climatici stagionali; in particolare, secondo Aristotele, uccelli monocromi di
colore scuro, come corvi, passeri e rondini potrebbero diventare bianchi per il
freddo pungente. In Hist. an. III 12, dunque, lo Stagirita descrive e spiega un
fenomeno di carattere generale, che non sembra reputare caratteristico di una
specifica area geografica.
Ora, ritornando al nostro testo, la completa assenza di riferimenti a Samo nel
brano in questione dell’Historia animalium, constatata, del resto, anche da P.
Louis155, indurrebbe a dubitare dell’ipotesi che la citazione aristotelica tradita da
Eliano, relativa alla presenza a Samo di una rondine bianca, possa dipendere
proprio da tale passo; le forti perplessità in merito alla questione risultano inoltre
accresciute dal fatto, evidenziato poco sopra, che la medesima notizia
sull’apparizione nell’isola dell’inconsueto volatile è attestata nell’estratto
eraclideo proprio della Samion Politeia: l’insieme dei due dati induce pertanto a
riconoscere AELIAN., Nat. An. XVII 20 come frammento aristotelico.
Più difficile risulta stabilire i limiti della citazione aristotelica nel passo di Claudio
Eliano. Se, infatti, appare pressoché certo che la proposizione incipitaria di
AELIAN., Nat. An. XVII 20 (ll. 1-2: ≠Aristotevlh" levgei givnesqai ejn Savmw/ leukh;n
celidovna) risalga in qualche modo alla Samion Politeia, resta invece decisamente
problematico esprimersi in merito alla possibile dipendenza dalla stessa fonte
anche del resto del capitolo elianeo sulle rondini.
Come sopra anticipato, in Aristoteles Pseudepigraphus Rose individuava alla base
della notizia, riportata da Eliano, della straordinaria facoltà di riacquistare la vista,
posseduta dalla rondine bianca di Samo, l’Historia animalium di Aristotele. In
effetti un cenno alla capacità delle rondini (di tutte le rondini) di recuperare la
155
LOUIS 2002, p. 349.
78
vista compare in due passi dell’Historia animalium156 e in uno del De generatione
animalium157; in tutti e tre i casi, però, lo Stagirita precisa che il fenomeno si
verifica solo nel caso in cui l’animale subisca l’accecamento quando ancora
pulcino.
Indubbiamente si constata una forte coincidenza, tematica e lessicale, tra
l’informazione che Eliano riferisce a proposito della rondine bianca di Samo e i
tre brani delle opere zoologiche dello Stagirita pertinenti i piccoli di rondine
(AELIAN., Nat. An. XVII 20: tauvth" ge mh;n ejavn ti" ejkkenthvsh/ tou;" ojfqalmouv"
...; ARISTOT., Hist. an. 508b 4-7: Levgousi dev tine~...eja;n gavr ti~ ejkkenthvsh/ ta;
o[mmata ...; ibid. 563a 14-16 : tw`n de; neottw`n (scil. tw`n celidovnwn) a[n ti~ e[ti
nevwn o[ntwn th`~ celidovno~ ta; o[mmata ejkkenthvsh ...; ARISTOT., Gen. an. 774b 3132: kai; dia; tou`to tw`n celidovnwn ejavn ti~ e[ti nevwn o[ntwn ejkkenthvsh/ ta; o[mmata
pavlin uJgiavzontai). Si possono tuttavia cogliere anche delle significative differenze
tra i passi in questione: se Eliano, infatti, attribuisce specificamente alla rondine
bianca di Samo (tauvth" ge mh;n ejavn ti" ejkkenthvsh/ tou;" ojfqalmouv") la capacità,
in qualche misura prodigiosa nella sua peculiarità, di recuperare la vista in seguito
ad accecamento, Aristotele, nei suoi trattati zoologici, sembra descrivere un
fenomeno assolutamente ordinario, comune a tutti i pulcini di rondine, dovunque
si trovino. Anche in questo caso cioè — come in quello precedente, in cui si è
osservata la distanza tra la notizia tradita da Eliano (e dall’estratto della Samion
Politeia) circa la presenza a Samo di una rondine bianca e quella dell’Historia
animalium relativa alla possibilità che il piumaggio di alcuni volatili scuri, tra cui
le rondini, diventi bianco per il troppo freddo  si constata che AELIAN., Nat.
ARISTOT., Hist. an. 508b 4-7: Levgousi dev tine~ sumbaivnein peri; tou;~ o[fei~ to; aujto; o{per kai;
peri; tou;~ neottou;~ tw`n celidovnwn: eja;n gavr ti~ ejkkenthvsh/ ta; o[mmata tw`n o[fewn, fasi; fuvesqai
pavlin; 563a 14-16 : tw`n de; neottw`n (scil. tw`n celidovnwn) a[n ti~ e[ti nevwn o[ntwn th`~ celidovno~
ta; o[mmata ejkkenthvsh, givnontai uJgiei`~ kai; blevpousin u{steron.
157
ARISTOT., Gen. an. 774b 31-32: kai; dia; tou`to tw`n celidovnwn ejavn ti~ e[ti nevwn o[ntwn
ejkkenthvsh/ ta; o[mmata pavlin uJgiavzontai.
156
79
An. XVII 20 e i passi di ARISTOT., Hist. an. e Gen. an. di contenuto affine
attestano informazioni in parte differenti e, soprattutto, esprimono prospettive
radicalmente divergenti: il testo elianeo, infatti, dà conto di un fenomeno
particolare e, in certo senso, straordinario; i brani delle opere zoologiche
aristoteliche, invece, descrivono caratteristiche generali di un’intera famiglia di
volatili.
Alla luce delle osservazioni formulate, si può giungere a conclusioni solo
ipotetiche in merito alla fonte della seconda parte di AELIAN., Nat. An. XVII 20
e, dunque, in merito alla delimitazione del frammento in esame. Il rapporto di
dipendenza dell’intera opera di Eliano dal X libro dell’Historia animalium
aristotelica158 potrebbe infatti indurre a credere che anche la notizia sulla capacità
di recupero della vista da parte della rondine bianca di Samo risalga in qualche
modo al trattato aristotelico. Tuttavia, in questo caso, sulla base delle discrepanze
evidenziate tra il passo elianeo e i brani dei due trattati zoologici considerati,
sembrerebbe che la fonte del De natura animalium elianeo sia proprio la Samion
Politeia, da cui, come abbiamo visto, dipende la prima informazione riportata nel
capitolo in esame, relativa alla comparsa a Samo di una rondine bianca
(≠Aristotevlh" levgei givnesqai ejn Savmw/ leukh;n celidovna).
Nell’ipotesi qui formulata che l’intero passo elianeo costituisca un frammento
della Samion Politeia, si potrebbero osservare interessanti differenze di prospettiva
tra il frammento della Samion Politeia e i trattati zoologici aristotelici:
caratteristiche fisiche o comportamentali inconsuete, osservate su esemplari di
animali comuni (come, nel caso specifico, il piumaggio bianco o la capacità di
riacquistare la vista delle rondini) nella Samion Politeia sono oggetto di attenzione
per la loro eccezionalità, mentre nell’Historia animalium e nel De generatione
158
Cfr. supra, p. 77 e nota 153.
80
animalium diventano oggetto di spiegazione razionale e vengono ricondotte a
manifestazioni di fenomeni naturali.
A questo proposito, si può aggiungere qualche ulteriore considerazione. Come
abbiamo visto, l’attribuzione della prima parte di Nat. an. XVII 20 alla Sam. Pol.
si fonda sull’analogia di contenuto con HERACL., Exc. 31 (o{ti ejn toi`~ Samivoi~
ejfavnh leukh; celidw;n oujk ejlavttwn pevrdiko~). Due elementi distinguono però
l’estratto eraclideo dal frammento tradito da Eliano, concorrendo a suggerire una
possibile interpretazione del testo:
1) Eraclide utilizza in relazione alla rondine l’aoristo del verbo faivnw (ejn toi`~
Samivoi~ ejfavnh leukh; celidw;n), laddove la versione del frammento tramandata
nel De natura animalium conserva il presente di givgnomai (≠Aristotevlh" levgei
givnesqai ejn Savmw/ leukh;n celidovna): l’espressione eraclidea allude dunque a
un’apparizione momentanea del volatile a Samo e non a una sua presenza stabile
sull’isola, diversamente da quanto sembrerebbe indicare il testo di Eliano.
2) L’estratto eraclideo aggiunge alla descrizione della rondine un dettaglio assente
dal racconto elianeo, ovvero la taglia eccezionale dell’animale, che sarebbe stato
grande non meno di una pernice (leukh; celidw;n oujk ejlavttwn pevrdiko~): il
particolare, unito al colore inconsueto del piumaggio, sembrerebbe funzionale a
conferire al volatile una connotazione prodigiosa.
Tanto l’immagine dell’“apparizione”, improvvisa e temporanea, quanto le
caratteristiche assolutamente peculiari attribuite alla rondine restituiscono,
quindi, il quadro di un evento prodigioso, che doveva essere verosimilmente
dotato, nella narrazione aristotelica, di una funzione profetica: a suggerirlo è il
confronto con il caso analogo di HERACL., Exc. 17 dalla Kyren. Pol. ( jArkesilavou
de; basileuvonto~ leuko;~ kovrax ejfavnh, peri; ou| lovgion h\n calepovn ...), in cui si
81
narra dell’apparizione a Cirene di un corvo bianco159 cui era legato un presagio
funesto, che probabilmente preannunciava la fine della dinastia battiade160.
Purtroppo la Samion Politeia non contiene attestazioni esplicite della natura
ominosa dell’apparizione del volatile né, tanto meno, possediamo elementi
esterni al testo che aiutino a chiarirne il contesto o ad intenderne il significato;
possiamo essere, però, piuttosto certi che nella narrazione l’evento fungesse da
segnale profetico. La natura prodigiosa dell’episodio verificatosi sull’isola è infatti
confermato dalla testimonianza di Antigono di Caristo (III a. C.), che annovera
l’apparizione di una rondine bianca a Samo nella sua raccolta di mirabilia (Mir.
120: JO de; tou;~ Samiakou;~ w{rou~ suggegrafw;~ ejpi; tw`n prwvtwn klhqevntwn
†maqhtw`n tw`n peri; JHrovstratovn † fhsin celidovna leukh;n fanh`nai); Antigono
individua la fonte della notizia in un autore, non meglio identificato, di Horoi
sami, dunque in un’opera di storiografia locale, cui con tutta probabilità dovette
attingere già Aristotele.
La difficoltà di identificare lo specifico episodio verosimilmente annunciato
dall’apparizione della rondine bianca non consente di contestualizzare con
sicurezza il frammento nell’opuscolo; è tuttavia ipotizzabile che l’episodio sia
riconducibile ad un momento di fondazione (la fondazione ionica?)161, il che
collimerebbe con la collocazione “alta” nell’opuscolo attestata dall’estratto
eraclideo — in cui l’episodio si colloca dopo l’aneddoto sul mitico re Anceo e
prima della morte del sirio Ferecide (VI sec.) —, donde la numerazione qui
proposta.
Si osserva che il corvo è tra gli uccelli menzionati da Aristotele in Hist. an. III 12, accanto alla
rondine e al passero, come esempio di volatile il cui piumaggio può passare dal nero-bruno al
bianco per effetto del freddo eccessivo.
160
POLITO 2001, pp. 82-84, 116-117; OTTONE 2002, pp. 171-173.
161
In questa direzione sembrerebbe condurre il confronto con l’esegesi data dai moderni alla
notizia dell’apparizione di un corvo bianco a Cirene contenuta nell’estratto eraclideo, nel senso di
una riapparizione del prodigioso volatile che aveva guidato il percorso dell’ecista. Cfr. POLITO
2001, p. 83 e nota 28 e OTTONE 2002, p. 172.
159
82
Fr. 4a (576 Rose; 593,1 Gigon) — ZENOB. VI 12: «to; peri; Dru'n skovto"»:
≠Aristotevlh" fhsi;n ejn th/' Samivwn politeiva/ Prihneva~ pollou;" uJpo; Milhsivwn
3
ajnaireqh'nai peri; th;n kaloumevnhn Dru'n: o{qen kai; ta;" Prihneiva" gunai'ka"
ojmnuvnai «to; peri; Dru'n skovto"».
1 peri; P, Schneidewin, Lelli : para; BV
Gaisford
3 Prihneiva" Schneidewin, Lelli : Prihneva" P,
«Le tenebre presso la Quercia»: Aristotele nella Politeia dei Sami dice che molti
Prienesi furono uccisi dai Milesi presso la cosiddetta “Quercia”: ragione per cui appunto
le donne prienesi prestano giuramento su «le tenebre presso la Quercia».
Fr. 4b (576 Rose; 593,2 Gigon) — PLUTARCH. , Quaest. Gr. 20 295F-296B:
Tiv" oJ legovmeno" ejn Prihvnh «para; DruiÖ skovto"»É Savmioi kai; Prihnei'"
polemou'nte" ajllhvloi" ta; me;n a[lla metrivw" ejblavptonto kai; e[blapton, mavch" de;
3
megavlh" genomevnh" cilivou" Samivwn oiJ Prihnei'" ajpevkteinan. eJbdovmw/ te u{steron
e[tei Milhsivoi" sumbalovnte" para; th;n kaloumevnhn Dru'n, tou;" ajrivstou" oJmou' ti
kai; prwvtou" ajpevbalon tw'n politw'n: o{te kai; Biva" oJ sofo;" eij" Savmon ejk Prihvnh"
6
presbeuvsa" eujdokivmhse. tai'" de; Prihnevwn gunaixivn wjmou' tou' pavqou" touvtou kai;
th'" sumfora'" ejleeinh'" genomevnh", ajra; katevsth kai; o{rko" oJ peri; tw'n megivstwn
«oJ para; th/' DruiÖ skovto"», dia; to; pai'da" aujtw'n kai; patevra" kai; a[ndra" ejkei'
9
foneuqh'nai.
3 te E : ti nvzx aAdn, edd.
6 wjmou' Madvig, Bernardakis, Halliday, Boulogne : oJmou' codd.,
Wyttenbach
7 peri; E, Bernardakis, Boulogne : oJ peri; cett. codd., Wyttenbach, Halliday
Cosa significa a Priene il detto «tenebre presso la Quercia»? Sami e Prienesi, in guerra
tra loro, fino ad un certo momento si erano arrecati danni a vicenda con moderazione;
in occasione di una grande battaglia, però, i Prienesi uccisero mille Sami. Sei anni dopo,
scontrandosi con i Milesi presso la cosiddetta Quercia, persero i migliori e insieme i più
83
illustri fra i cittadini; quando anche Biante il saggio si fece onore andando come
ambasciatore da Priene a Samo. Per le donne di Priene questa esperienza fu crudele e la
circostanza degna di compassione, perciò l’espressione «le tenebre162 presso la Quercia»
divenne imprecazione e formula di giuramento per le cose più gravi, perché i loro figli,
padri e mariti lì erano stati uccisi.
Il fr. 4 della Sam. Pol. è tradito, in versioni diverse, da due fonti tralatrici: la
redazione “vulgata”163 dell’epitome paremiografica di Zenobio (fr. 4a) e la
ventesima quaestio graeca di Plutarco (fr. 4b).
Zenobio cita Aristotele e la Politeia dei Sami nell’interpretamentum dell’espressione
proverbiale «to; peri; Dru'n skovto"» («le tenebre presso la Quercia»): il paremiografo
esordisce citando lo Stagirita come fonte della notizia che, in un tempo
imprecisato, molti Prienesi erano stati uccisi dai Milesi presso la cosiddetta
Quercia (ll. 2-3: ≠Aristotevlh" fhsi;n ejn th/' Samivwn politeiva/ Prihnevwn pollou;"
uJpo; Milhsivwn ajnaireqh'nai peri; th;n kaloumevnhn Dru'n); a tale episodio riconduce
poi l’origine dell’uso delle donne prienesi di prestare giuramento con la formula
«to; peri; Dru'n skovto"» (ll. 3-4: o{qen kai; ta;" Prihneiva" gunai'ka" ojmnuvnai «to;
peri; Dru'n skovto"»).
In linea teorica, si potrebbe esser certi dell’attribuzione alla Sam. Pol. solo
dell’informazione sull’episodio sanguinoso avvenuto nel luogo noto come Quercia
e considerare l’ipotesi che l’interpretazione dell’avvenimento in chiave eziologica,
come spiegazione della genesi dell’espressione «to; peri; Dru'n skovto"», sia opera di
un paremiografo164. Tuttavia, i noti interessi paremiografici di Aristotele e della
Si traduce qui skovto" con tenebre, attribuendo al termine il senso, comune già nell’Iliade e poi
anche nei tragici, di oscurità mortale, legata al Tartaro.
163
Cfr. supra, commento al fr. 2c1, p. 68, nota 131.
164
Zenobio stesso oppure Didimo o, ancora, Lucillo di Tarra, autori, questi ultimi, delle due
antiche raccolte paremiografiche di cui l’opera zenobiana è epitome ( jEpitomh; twó̀n Tarraivou kai;
Diduvmou paroimiw`n). Cfr. supra, commento al fr. 2c1, p. 68, nota 131.
162
84
sua scuola e il largo spazio effettivamente concesso ai proverbi nelle opere
aristoteliche165 a noi note, e più in particolare nelle Politeiai, inducono a
riconoscere come frammento della Sam. Pol. l’intero interpretamentum zenobiano.
Sembra confortare questa ipotesi anche il fatto che l’eziologia che fa risalire
l’origine della formula di giuramento «le tenebre presso la Quercia» alla strage di
notabili prienesi ad opera dei Milesi, nel corso dello scontro avvenuto nella
località denominata Dru`~, si ritrova anche in PLUTARCH. , Quaest. Gr. 20.
Plutarco,
infatti,
nella
ventesima
delle
Quaestiones
Graecae,
aperta
dall’interrogativo Cosa significa a Priene il detto «tenebre presso la Quercia»?, narra
il medesimo episodio bellico ricordato da Zenobio — riconducendo a tale
avvenimento, proprio come il paremiografo, l’origine dell’espressione tipica «para;
DruiÖ skovto"», su cui verte la quaestio — ma, in più, inquadra la vicenda in un
preciso contesto storico, di cui scandisce i successivi passaggi. Secondo il racconto
del Cheroneese, Samo e Priene sarebbero state impegnate in una guerra
caratterizzata in linea di massima da scontri di lieve entità (ll. 1-2: Savmioi kai;
Prihnei'" polemou'nte" ajllhvloi" ta; me;n a[lla metrivw" ejblavptonto kai; e[blapton),
nell’ambito dei quali, ad un certo punto, si sarebbe distinta una grande battaglia, in
cui i Prienesi avrebbero ucciso ben mille Sami (ll. 2-3: mavch" de; megavlh"
genomevnh" cilivou" Samivwn oiJ Prihnei'" ajpevkteinan); sei anni più tardi, però, i
Stando all’elenco delle opere aristoteliche tradito da Diogene Laerzio (V 21), Aristotele
avrebbe scritto un’opera in un libro dal titolo Paroimiai (n. 138 della lista diogeniana), di cui non
restano frammenti. Per restare nell’ambito degli scritti superstiti dello Stagirita, rivelano gli
interessi paremiografici del filosofo il fr. 13 Rose (= SYN. enc. calv. 22, 85 C: eij de; kai; hJ paroimiva
sofovn: pw`~ d joujci; sofo;n peri; w|n jAristotevlh~ fhsi;n o{ti palaia`~ eijsi filosofiva~ ejn tai`~
megivstai~ ajnqrwvpwn fqorai`~ ajpolomevnh~ ejgkataleivmmata periswqevnta dia; suntomivan kai;
dexiovthta), in cui i proverbi vengono intesi come eredità dell’antica filosofia perduta, Rhet.
1376a2-4 (e[ti kai; aiJ paroimivai, w{sper ei[rhtai, martuvriav eijsin, oi|on ei[ ti~ sumbouleuvei mh;
poiei`sqai fivlon gevronta, touvtw/ marturei` hJ paroimiva), in cui essi vengono annoverati tra i
martyria di cui ci si può servire nell’elaborazione di un discorso retorico o giudiziario, e ancora
Rhet. 1413a17 (kai; aiJ paroimivai de; metaforai; ajp jei[dou~ ejp jei\do~ eijsivn), in cui sono paragonati
a delle metafore e considerati strumento per elevare lo stile del discorso. Sul tema cfr. IERACI BIO
1978.
165
85
Prienesi avrebbero a loro volta subito una pesante sconfitta in uno scontro con i
Milesi166 presso la cosiddetta Quercia, in cui avrebbero perso la vita tutti i loro
cittadini più eminenti (ll. 3-5: eJbdovmw/ te u{steron e[tei Milhsivoi" sumbalovnte"
para; th;n kaloumevnhn Dru'n, tou;" ajrivstou" oJmou' ti kai; prwvtou" ajpevbalon tw'n
politw'n); tale episodio sarebbe avvenuto al tempo del saggio Biante di Priene,
che avrebbe partecipato ad una ambasceria a Samo (ll. 5-6: o{te kai; Biva" oJ sofo;"
eij" Savmon ejk Prihvnh" presbeuvsa" eujdokivmhse), verosimilmente167 per trattare le
condizioni di pace tra la propria città e la polis rivale.
PLUTARCH. , Quaest. Gr. 20 non menziona la sua fonte tuttavia sia C. Müller, sia
V. Rose, sia O. Gigon hanno classificato il testo come frammento della Samion
Politeia (fr. 576 Rose; 593,2 Gigon). La dipendenza della quaestio in esame
dall’opuscolo aristotelico è stata unanimemente sostenuta dagli studiosi168 che si
sono occupati delle Quaestiones Graecae, sia sulla base del più generale
riconoscimento delle Politeiai aristoteliche come fonte ricorrente dell’operetta
plutarchea sia alla luce della specifica analogia di contenuto tra Quaest. Gr. 20 e
Il fatto che la Samion Politeia attribuisca ai soli Milesi la vittoria contro i Prienesi  pur
riconoscendo un qualche coinvolgimento dei Sami, direttamente interessati al controllo della
regione e destinatari dell’ambasceria conclusiva condotta da Biante  ha indotto SHIPLEY 1987,
p. 53, a ritenere che i Sami non avessero preso effettivamente parte al combattimento («This was
not, however, a battle in which Samians fought») ma avessero rivestito un ruolo nelle trattative
di pace in quanto alleati di una delle due fazioni in lotta a Mileto (su contesto, causa e dinamiche
del conflitto cfr. BARRON 1961, pp. 185 ss.). D’altro canto, sottolinea Shipley, la battaglia della
Quercia rappresenta la sola occasione di collaborazione fra Samo e Mileto (oltre alla guerra
meliaca) in età arcaica. POLITO 2010, p. 125, ipotizza invece che il resoconto aristotelico della
vicenda tradisca la dipendenza dell’opuscolo da fonti milesie. Sulla questione, cfr. infra, pp. 96-97.
167
Che l’ambasceria di Biante a Samo menzionata da Plutarco costituisse un intervento
diplomatico legato alle contese territoriali tra Priene e la polis insulare, per il possesso dei territori
al confine tra perea samia e chora prienese, appare altamente probabile, sia alla luce del contesto
in cui l’evento si colloca nella narrazione plutarchea, sia sulla base di un’iscrizione, IG XII6 155
(cfr. infra, pp. ss.), in cui si ricorda il coinvolgimento di Biante nelle trattative tra Priene e Samo
per il controllo di una delle regioni che le due poleis si disputavano.
168
GIESEN 1901, pp. 453-454, ha esplicitamente affermato una dipendenza di PLUTARCH., Quaest.
Gr. 20 dalla Samion Politeia sulla base dell’analogia di contenuto con ZENOB. VI 12. Sulla sua
scorta, anche HALLIDAY 1928, pp. 14-15, 107; BOULOGNE 2002, p. 406.
166
86
ZENOB. VI 12, che, come abbiamo visto, cita espressamente lo Stagirita e la
Samion Politeia.
Il fatto che il racconto plutarcheo associ l’episodio della battaglia della Quercia
all’espressione «para; DruiÖ skovto"», proprio come l’interpretamentum zenobiano
del medesimo detto, fa ritenere che tale eziologia del proverbio doveva essere
presente nella fonte comune a Plutarco e a Zenobio, ovvero la Samion Politeia che
il paremiografo menziona esplicitamente. Entrambi i testi — ZENOB. VI 12 e
Quaest. Gr. 20 — sono dunque riconoscibili come frammenti della Politeia in
esame; la scelta di classificare ZENOB. VI 12 come fr. 4a risiede nel fatto che esso,
a differenza di Quaest. Gr. 20 (classificato come fr. 4b), contiene il riferimento
nominale ad Aristotele e al titolo del suo opuscolo.
Le due versioni del frammento aristotelico — si evidenziava già sopra — si
distinguono anche per un altro aspetto: se Zenobio si limita a riportare
nell’interpretamentum solo lo specifico episodio bellico all’origine della formula «le
tenebre presso la Quercia», Plutarco, viceversa, colloca la battaglia della Quercia
all’interno del più ampio contesto delle relazioni tra Samo e Priene al tempo di
Biante.
Tale contesto ci è noto anche da due iscrizioni, IG XII6 155169 e I. v. Priene 37170,
che testimoniano interventi arbitrali tesi a risolvere singoli episodi di un
contenzioso plurisecolare171 tra le due poleis, relativo al possesso dei territori posti
al confine tra la perea samia e la chora prienese.
Per l’edizione critica cfr. HALLOF 2000, pp. 115-119.
Per l’edizione critica e il commento cfr. MAGNETTO 2008.
171
Le contese territoriali tra Samo e Priene, risalenti all’età arcaica, come attesta proprio il fr. 4
della Sam. Pol., si sarebbero protratte anche dopo il verdetto di Lisimaco (contenuto appunto in
IG XII6 155) e, poi, quello rodio (registrato in I. v. Priene 37), determinando la necessità di
ulteriori interventi arbitrali. Già nel 188, Cn. Manlio Vulsone con una commissione di decem
legati riassegnò Karion e Dryoussa a Samo, che gli aveva richiesto di intervenire a suo favore
contro il verdetto degli arbitri rodî. Fasi successive del contenzioso fra Samo e Priene sono
169
170
87
IG XII6 155 è una lettera inoltrata da Lisimaco a Samo intorno al 283/282 a.C.172,
per comunicare il proprio verdetto, favorevole all’isola, in merito alla occupazione
samia della regione detta Batinetis, di cui Priene aveva contestato la legittimità
inviando un’ambasceria al sovrano; I. v. Priene 37 è un’iscrizione che riporta
l’esito di un arbitrato tra Samo e Priene, svolto da giudici rodî tra il 196 e il 192
a.C.173, in occasione di una contesa territoriale tra le due poleis relativa al possesso
del forte chiamato Karion e della regione circostante. Tale regione è stata
generalmente identificata dagli studiosi con Druou'ssa174, ovvero la medesima
località in cui sarebbe avvenuta la battaglia tra Milesi e Prienesi narrata nel fr. 4
della Samion Politeia, designata, nell’opuscolo aristotelico, come la cosiddetta
Quercia (fr. 4b, l. 4: para; th;n kaloumevnhn Dru'n). Il nome Druou'ssa,
chiaramente risalente a dru`~ (quercia), compare infatti in un frammento di
Meandrio di Mileto (FStGr 7 = FGrHist 491 F1), tradito proprio in I. v. Priene 37
ll. 44-56, 135-142, 152-157 Magnetto, e viene utilizzato dallo storico per indicare
una regione dell’ex chora meliaca175 che, secondo la sua testimonianza, sarebbe
testimoniate da due senatus consulta iscritti sulla parete del tempio poliadico prienese: il primo
intervento senatorio (I. v. Priene 40), antecedente al 135, stabilì il ripristino di quanto sancito
dall’arbitrato rodio (ovvero la restituzione a Priene di Karion e Dryoussa), come richiesto dai
Prienesi; il secondo (I. v. Priene 41), databile con sicurezza al 135, fu sollecitato dai Sami nel
tentativo  destinato a fallire  di riottenere i territori perduti, conformemente a quanto deciso
da Manlio insieme ai decem legati. Il verdetto rodio fu confermato anche dall’ultimo documento a
noi noto pertinente il contenzioso tra le due poleis: un’iscrizione frammentaria (I. v. Priene 42),
recante il testo di un arbitrato di una polis ignota, datato agli anni successivi al 133. Sui problemi
sollevati dai singoli documenti cfr. MAGNETTO 2008, pp. 75-78.
172
HALLOF 2000, p. 115; MAGNETTO 2008, p. 125.
173
MAGNETTO 2008, pp. 75-77.
174
Cfr. MAGNETTO 2008, che dà per assodata l’identificazione della chora circostante il forte
Karion con Dryoussa, sulla scorta di WILAMOWITZ 1906, p. 39 nota 2; CARUSI 2003, pp. 152-153;
HALLOF 2000; LOHMANN 2002 [2006], pp. 186-187, che suggerisce, tra l’altro, la localizzazione del
sito sulle pendici settentrionali del Mykale. Per un’ipotesi diversa, cfr. supra, p. 50, nota 89.
175
Il nome Druou'ssa compare anche in diverse fonti (tra cui la Samion Politeia: HERACL., Exc.
Pol. 30, ll. 12-13 Dilts, corrispondente a Sam. Pol., fr. 1) che riportano liste di antichi nomi di
Samo, come una delle denominazioni dell’isola precedenti a Savmo~. Per un esame delle occorrenze
del nome nelle fonti, con particolare riguardo ai passi della Samion Politeia, e per un’ipotesi sul
possibile significato dell’omonimia tra la Samo di epoca antica e la regione dell’ex chora meliaca
contesa da Samo e Priene, cfr. supra, commento al fr. 1, pp. 47-52.
88
stata attribuita a Samo176 (insieme a Karion) al tempo della spartizione della chora
di Melia177 tra le poleis ioniche responsabili della sua distruzione.
Entrambe le iscrizioni forniscono informazioni relative al contesto della battaglia
in località Quercia di cui parla la Samion Politeia.
I. v. Priene 37 ll. 139-143 Magnetto menziona espressamente la battaglia della
Quercia (ll. 139-140: metav te ta;n paravtıaıxıiını ta;n genomevnan aujtoi`~ poti;
Prianei`~ ejpi; Drui?): nel testo del documento l’episodio bellico viene ricordato dai
delegati di Samo — sulla base delle testimonianze degli storici Euagon,
Olympichos e Duride (ll. 139-143 Magnetto) — come uno scontro in seguito al
quale il possesso samio della regione contesa ai Prienesi sarebbe stato
ufficialmente ratificato da trattati che ne avrebbero stabilito il confine lungo il
corso delle acque (ll. 139-143 Magnetto: metav te ta;n paravtıaıxıiını ta;n genomevnan
aujtoi`~ poti; Prianei`~ ejpi; DruiÖ kai; nivka~ krivsin e[ıcıein, [kai;] tauvtan taı;nı cwvran
ejn tai`~ suınqhvkai~ aujtw`n genevsqai: oJrivsasqai ga;r po;t aujtou;~ wJ~ uJdavtwn rJoaiv:
kai; parı[eivc]onto iJstoriogravfou~ tou;~ marturou`nta~ aujı[toi`~], oı{ti me;n to; Kavrion
e[lacon meta; to;m Meliako;n povlemon Maiavndrion, o{ti de; wJrivxanto poti; tou;~
Priaine[i`~ wJ~ uJdavt]wn rJoai; Eıujavgwnav te kai; jOluvmpicon k[ai;] Dıou`rin): tale
battaglia — e i suoi esiti, in termini di spartizioni territoriali — costituisce,
pertanto, il principale argomento (accanto alla testimonianza di Meandrio
sull’assegnazione a Samo di Karion e Dryoussa in seguito alla distruzione di Melia)
utilizzato dai delegati sami, al cospetto degli arbitri rodî, per affermare i propri
diritti di precedenza sui territori contesi a Priene nel II sec. a.C.
IG XII6 155 ll. 11-13 riferisce, invece, di una tregua di sei anni (l. 13: mı[e]ta; tw`n
eJxetw`n sı[pon]dıwı̀[n]), forse riconducibile all’intervallo di sei anni che, secondo il
Per un esame del frammento di Meandrio cfr. supra, pp. 47 e ss.
Per una brevissima sintesi dei problemi legati alla guerra meliaca cfr. supra, p. 47, nota 82 e
bibliografia ivi citata.
176
177
89
racconto plutarcheo, sarebbe intercorso tra la grande battaglia in cui i Prienesi
uccisero mille Sami (ll. 2-3 fr. 4b) e lo scontro presso la cosiddetta Quercia (ll. 35 fr. 4b).
In particolare, IG XII6 155 fornisce una scansione piuttosto dettagliata dei
medesimi eventi narrati nella quaestio plutarchea. Il resoconto dei delegati
prienesi, riportato nella prima parte della lettera di Lisimaco (ll. 11-27),
delineava, infatti, alcuni passaggi della storia delle successive occupazioni della
Batinetis, che, stando alla loro testimonianza, sarebbe stata controllata da Priene
fin dalle origini178 (l. 11: ejx ajrch`~), con il solo intervallo rappresentato dalla
invasione cimmeria della Ionia, intorno alla metà del VII sec. (644 a.C. circa)179;
i delegati prienesi provavano a dimostrare tale possesso originario riportando i
racconti degli storici e quelli che essi definivano «altri martyria», tra cui
adducevano la tregua dei sei anni (ll. 11-13: oiJ me;n ou\ Prihnei`~ th;m me;n ejx
ajrch`~ gegenhmevnhn aujt[ıoi`~] [ıkth`si]n th`~ Batinhvtido~ cwvra~ ejpedeivknuon e[k te
tw`n iJstoriw`n k[ıai; ejk] [tw`n a[]llwn marturivwn kai; dikaiwmavtwmı mı[e]ta; tw`n
eJxetw`n
sı[pon]dıwı̀[n]). Gli stessi delegati prienesi riconoscevano di aver
abbandonato la regione, come i Sami del resto, al tempo dell’invasione di
Ligdami; sottolineavano, però, di essere stati i soli180 a rioccuparne il territorio
dopo il ritiro delle truppe cimmerie181; solo successivamente182, stando al racconto
WILAMOWITZ 1906, p. 42 ha riconosciuto nell’ambiguo riferimento dei delegati prienesi ad un
passato originario (ejx ajrch`~) un richiamo alla guerra meliaca e alle spartizioni territoriali che
seguirono la distruzione di Melia.
179
Per la cronologia dell’invasione cimmeria della Ionia cfr. PARKER 1995, pp. 31-32; IVANTCHIK
2001, pp. 70-73 e 2005, pp. 110-126, p. 123; HERDA 2006, pp. 59-60 e nota 92 con ulteriore
bibliografia; MAGNETTO 2008, p. 93, nota 6.
180
I delegati prienesi affermano che, al momento della loro rioccupazione della Batinetis,
«assolutamente nessuno dei Sami era allora presente, [tranne] se qualcuno si trovava presso di loro
come residente, e questi portava (pagava?) ai Prienesi ---» (IG XII6 155, ll. 18-20 Hallof: Samivwn
de; oujqevna paragenevsqai paraıvpıaı[n to;te plh;n ei[ ti~ ej]tuvgcanen par jaujtoi`~ katoikw`n: tou`ton de;
t[.]n----------enon prosenevgkasqai Prihneu`sin. Trad. it. MAGNETTO 2008, p. 197).
181
Non conosciamo la durata del controllo cimmerio sulla regione, indicata alla l. 16 del
documento epigrafico, che purtroppo presenta una lacuna soggetta a diverse integrazioni possibili
([triv]a, [devk]a).
178
90
di parte prienese, i Sami si sarebbero impadroniti con la forza della loro (scil. dei
Prienesi) regione (l. 21: th;g cwvran aujtw`n), per poi convincersi a liberarla in
seguito all’ambasceria di Biante (ll. 20-24: u{stıerıonı d[e; uJpostrevyanta~ meta; b]iıva~
Samivou~ parelevsqai th;g cwvran aujtw`n: ajpı[opemfqh`nai ou\n para;] Prihnevwn
Bivanta peri; dialuvsewn toi`~ Sa[mivoi~ presbeuthvn, tou`ton d]e; dialu`saiv te ta;~
povlei~ kai; tou;~ oijkou`nıta[~ ajpocwrh`sai th`~ Ba]tinhvtido~ cwvra~).
Il resoconto degli eventi fatto dai delegati prienesi in IG XII6 155, espressione
della prospettiva prienese appunto, attesta una successione cronologica degli
avvenimenti molto vicina a quella data dalla Samion Politeia: prima una serie di
scontri (fr. 4b Sam. Pol., ll. 1-3: Savmioi kai; Prihnei'" polemou'nte" ajllhvloi"...),
che dalla lettera di Lisimaco apprendiamo essere stati legati al controllo della
Batinetis (IG XII6 155, ll. 11-12: oiJ me;n ou\ Prihnei`~ th;m me;n ejx ajrch`~
gegenhmevnhn aujt[ıoi`~] [ıkth`si]n th`~ Batinhvtido~ cwvra~ ejpedeivknuon); poi
un’interruzione esennale delle ostilità183 (fr. 4b Sam. Pol., ll. 3-4: eJbdovmw/ te
u{steron e[tei...; IG XII6 155, ll. 12-13: mı[e]ta; tw`n eJxetw`n sı[pon]dıwı̀[n]); infine, la
ripresa del conflitto e l’ambasceria risolutiva di Biante (fr. 4b Sam. Pol., ll. 4-6:
Milhsivoi" sumbalovnte" para; th;n kaloumevnhn Dru'n...o{te kai; Biva" oJ sofo;" eij"
Savmon ejk Prihvnh" presbeuvsa" eujdokivmhse; IG XII6 155, ll. 20-24: u{stıerıonı d[e;
uJpostrevyanta~ meta; b]iıva~ Samivou~ parelevsqai th;g cwvran aujtw`n: ajpı[opemfqh`nai
ou\n para;] Prihnevwn Bivanta peri; dialuvsewn toi`~ Sa[mivoi~ presbeuthvn, tou`ton
Non abbiamo elementi per quantificare l’intervallo di tempo dopo il quale i Sami avrebbero
rioccupato la Batinetis; resta dubbia, pertanto, anche la data dell’ambasceria di Biante, presentata
nel documento come risolutiva della contesa territoriale tra Priene e Samo sulla regione.
183
Il fatto che nella Samion Politeia il medesimo intervallo di sei anni nelle ostilità fa seguito ad
una grande battaglia in cui i Prienesi uccisero mille Sami potrebbe costituire un riscontro del
racconto di parte prienese, che mette la “tregua dei sei anni” in relazione al possesso della
Batinetis da parte di Priene: alla luce del confronto tra i due testi (IG XII6 155 e fr. 4b della Sam.
Pol.) sembrerebbe infatti possibile collocare proprio nella Batinetis la mavch megavlh (fr. 4b, l. 3)
vinta da Priene, narrata dalla Samion Politeia.
182
91
d]e; dialu`saiv te ta;~ povlei~ kai; tou;~ oijkou`nıta[~ ajpocwrh`sai th`~ Ba]tinhvtido~
cwvra~).
Le due versioni dei fatti — quella samia, confluita nella Sam. Pol., e quella
prienese, riportata
da IG XII6 155 — divergono, tuttavia, almeno
apparentemente, in due punti, che rivelano le diverse finalità dei due racconti e
la parzialità dell’“osservatorio” di cui sono espressione:
1. Il resoconto prienese a Lisimaco, mirante a rivendicare il controllo di
Priene sulla Batinetis, sottolinea la continuità184 della presenza prienese
sui territori contesi e allude solo sinteticamente ad una occupazione
violenta della chora della polis da parte dei Sami (ll. 20-21: u{stıerıonı d[e;
uJpostrevyanta~ meta; b]iıva~ Samivou~ parelevsqai th;g cwvran aujtw`n). A cosa
si riferissero esattamente i delegati prienesi, nell’affermare che i Sami, in
un momento imprecisato successivo al ritiro dei Cimmeri, avevano preso
con la forza la loro chora, non è del tutto chiaro: si può ipotizzare che essi
con cwvra intendessero la Batinetis stessa, oggetto delle richieste
contingenti dell’ambasceria a Lisimaco, ma è altrettanto possibile che
alludessero ad altri territori al confine con la perea samia, di cui
rivendicavano l’appartenenza alla propria chora cittadina; in particolare, si
potrebbe ipotizzare che dietro la generica definizione di chora si celi
proprio Dryoussa, territorio (anch’esso al centro delle contese territoriali
con Samo, come abbiamo visto) che parrebbe essere altro dalla
Batinetis185. A questo proposito è il caso di sottolineare il fatto che il
Dalla conclusione della guerra meliaca fino al tempo di Lisimaco, in cui si svolge l’ambasceria,
con la sola eccezione della parentesi rappresentata dalla invasione cimmeria della Ionia.
185
Sulla scorta di WILAMOWITZ 1906, p. 39 nota 2, gli studiosi concordano nel sostenere che
Batinetis e Dryoussa fossero due regioni distinte ma certamente molto vicine, se non addirittura
confinanti; da ultimi HALLOF 2000; LOHMANN 2002 [2006], pp. 186-187; CARUSI 2003, pp. 152153. LOHMANN 2002 [2006], pp. 186-187, in particolare, propone di individuare il sito del forte
Karion in località Kale Tepe, Dryoussa nel territorio circostante il forte, sulle pendici
settentrionali del Mykale, e la Batinetis nel settore nord-occidentale del promontorio, subito a
184
92
racconto prienese — che pure rievoca la tregua dei sei anni (IG XII6 155,
ll. 12-13: (...) ejk] [tw`n a[]llwn marturivwn kai; dikaiwmavtwmı mı[e]ta; tw`n
eJxetw`n sı[pon]dıwı̀[n]), come prova dell’originario controllo di Priene sulla
regione — non menziona la battaglia della Quercia, che, stando alla Sam.
Pol., a quella tregua avrebbe messo fine (fr. 4b della Sam. Pol., ll. 3-4:
eJbdovmw/ te u{steron e[tei Milhsivoi" sumbalovnte" para; th;n kaloumevnhn
Dru'n). Alla luce di questi elementi, si potrebbe forse ipotizzare con
maggiore ragione che la sintetica e ambigua allusione alla occupazione
violenta della chora prienese da parte dei Sami, contenuta nel discorso dei
delegati prienesi a Lisimaco, rappresenti un riferimento volutamente
cursorio allo sfortunato episodio bellico, che, come apprendiamo dalla
Samion Politeia, vide i Prienesi subire una durissima sconfitta contro i
Milesi (eccezionalmente alleati dei Sami in questo frangente186) (ll. 4-5:
Milhsivoi" sumbalovnte" para; th;n kaloumevnhn Dru'n, tou;" ajrivstou" oJmou'
ti kai; prwvtou" ajpevbalon tw'n politw'n).
2. Stando al discorso dei delegati prienesi a Lisimaco, l’ambasceria di
Biante — dovuta alla occupazione violenta di una parte non meglio
precisata della chora dei Prienesi da parte dei Sami — avrebbe garantito a
Priene il riottenimento della Batinetis (ll.: 21-24: ajpı[opemfqh`nai ou\n
para;] Prihnevwn Bivanta peri; dialuvsewn toi`~ Sa[mivoi~ presbeuthvn,
tou`ton d]e; dialu`saiv te ta;~ povlei~ kai; tou;~ oijkou`nıta[~ ajpocwrh`sai th`~
Ba]tinhvtido~ cwvra~); il fr. 4 della Samion Politeia, pur non riportandone
esplicitamente l’esito, sembrerebbe, dal canto suo, collegare l’intervento
diplomatico del sapiente prienese allo scontro presso la Quercia (ll. 4-6:
ovest di Dryoussa. HELLER 2006, p. 39, ritiene invece che Karion e Dryoussa fossero un distretto
della Batinetis. (Per uno status quaestionis cfr. MAGNETTO 2008, pp. 86-87 e p. 94 nota 51).
186
Cfr. supra, pp. 85-86 e nota 166.
93
Milhsivoi" sumbalovnte" para; th;n kaloumevnhn Dru'n, tou;" ajrivstou" oJmou'
ti kai; prwvtou" ajpevbalon tw'n politw'n: o{te kai; Biva" oJ sofo;" eij" Savmon
ejk Prihvnh" presbeuvsa" eujdokivmhse), che era stato favorevole ai Sami.
Entrambe le città, dunque, ricordano un’ambasceria di Biante a Samo e la
collocano nel contesto degli scontri legati al controllo dell’area al confine
tra la perea samia e la chora prienese, tra la fine del VII e gli inizi del VI
secolo; il resoconto di parte prienese attribuisce al sapiente il merito di
aver concordato l’abbandono della Batinetis da parte degli occupanti sami;
la versione samia, invece, omette i dettagli e l’esito dell’impresa
diplomatica ma la mette in qualche modo in relazione alla battaglia della
Quercia. Ora, se effettivamente il riferimento dei delegati prienesi
all’occupazione samia della loro chora fosse un’allusione alla presa di
Dryoussa dopo i fatti della Quercia, si potrebbe constatare una piena
congruenza nella scansione degli eventi proposta da IG XII6 155 e da fr. 4b
Sam. Pol., a dispetto delle apparenti divergenze:
Sam. Pol., fr. 4b
IG XII6 155
mavch megavlh (nella Batinetis?!?)187 in cui i Originario possesso prienese della
Prienesi uccidono mille Sami.
Batinetis, provato anche dalla tregua
dei sei anni.
ll. 11-13: oiJ me;n ou\ Prihnei`~ th;m me;n
ejx
ajrch`~
[ıkth`si]n
gegenhmevnhn
th`~
aujt[ıoi`~]
Batinhvtido~
cwvra~
ejpedeivknuon e[k te tw`n iJstoriw`n k[ıai;
ejk]
[tw`n
a[]llwn
marturivwn
kai;
Sembrerebbe infatti ipotizzabile che la mavch megavlh (fr. 4b Sam. Pol., l. 3) che vide i Prienesi
uccidere mille Sami sia stata combattuta proprio nella Batinetis (cfr. supra, p. 91, nota 183).
187
94
dikaiwmavtwmı
mı[e]ta;
tw`n
eJxetw`n
sı[pon]dıwı̀[n]).
Intervallo di sei anni nelle ostilità (ll. 3-4: Tregua dei sei anni (ll. 12-13: mı[e]ta;
eJbdovmw/ te u{steron e[tei...).
tw`n eJxetw`n sı[pon]dıwı̀[n]).
Battaglia della Quercia (in località Dryoussa), in Occupazione violenta della chora
cui i Prienesi subiscono una durissima sconfitta prienese (Dryoussa?!?) da parte dei
contro i Milesi (l. 4: Milhsivoi" sumbalovnte" Sami
para; th;n kaloumevnhn Dru'n).
(ll.
20-21:
u{stıerıonı
d[e;
uJpostrevyanta~ meta; b]iıva~ Samivou~
parelevsqai th;g cwvran aujtw`n).
Ambasceria di Biante a Samo (ll. 5-6: o{te kai; Ambasceria di Biante e abbandono
Biva"
oJ
sofo;"
eij"
presbeuvsa" eujdokivmhse).
Savmon
ejk
Prihvnh" della Batinetis da parte dei Sami (ll.
21-24:
ajpı[opemfqh`nai
Prihnevwn
Bivanta
peri;
ou\n
para;]
dialuvsewn
toi`~ Sa[mivoi~ presbeuthvn, tou`ton d]e;
dialu`saiv te ta;~ povlei~ kai; tou;~
oijkou`nıta[~
ajpocwrh`sai
th`~
Ba]tinhvtido~ cwvra~).
In questa prospettiva, in entrambi i racconti l’intervento diplomatico di
Biante sarebbe avvenuto in seguito ad una fase di affermazione militare
dei Sami in territori rivendicati da Priene, in particolare, con un certo
margine di probabilità, nella località Quercia sede della famosa battaglia:
la versione prienese (IG XII6 155) avrebbe accennato solo sinteticamente
al successo samio, ponendo piuttosto l’accento sull’esito dell’ambasceria
(che — possiamo ipotizzare — poté patteggiare la “liberazione” della
95
Batinetis in cambio della perdita di Dryoussa); il racconto di parte samia
(Sam. Pol., fr. 4b), invece, avrebbe dato il dovuto spazio al fortunato
episodio bellico, mentre è possibile che si sia limitato a ricordare la
presenza nell’isola del saggio prienese, coinvolto nelle trattative di pace188.
Rispetto al racconto della battaglia della Quercia nella Samion Politeia, è il caso di
sottolineare un dettaglio della narrazione aristotelica finora solo accennato:
nell’opuscolo, la sconfitta subita dai Prienesi in località Quercia è in realtà ascritta
solo ai Milesi (ll. 4-5: Milhsivoi" sumbalovnte" para; th;n kaloumevnhn Dru'n, tou;"
ajrivstou" oJmou' ti kai; prwvtou" ajpevbalon tw'n politw'n); che i Sami fossero stati
coinvolti nel combattimento lo si evince dal fatto che il compilatore collega
direttamente la battaglia presso la Quercia con l’ambasceria di Biante a Samo (ll.
5-6: o{te kai; Biva" oJ sofo;" eij" Savmon ejk Prihvnh" presbeuvsa" eujdokivmhse), che
sembrerebbe non spiegarsi altrimenti. G. Shipley189 ha provato a fornire
un’interpretazione dell’incongruenza del racconto aristotelico — in verità in
modo non del tutto convincente —, ipotizzando che i Sami non avessero preso
effettivamente parte all’azione militare ma fossero stati destinatari di
un’ambasceria di pace prienese solo in quanto alleati dei Milesi. Più verosimile
sembrerebbe l’ipotesi di M. Polito, secondo la quale sarebbe possibile che «il
compilatore della Samion Politeia (che, in teoria, poteva anche essere lo stesso
della Milesion Politeia) su questa vicenda comune alla storia di Samo e di Mileto
Dal confronto tra i racconti di IG XII6 155 e Sam. Pol., fr. 4b sembra dunque emergere il
quadro di una fase di tensioni tra Samo e Priene articolata sì in più scontri, ciascuno mirante al
possesso di un’area specifica, ma descritta dalle parti in campo come fenomeno bellico
essenzialmente unitario — legato al controllo del territorio di confine tra i possedimenti delle due
poleis —, che vede alternarsi momenti di aperta ostilità a momenti di tregua. Appare indicativo,
in questo senso, il fatto che l’intervallo di sei anni, intercorso tra la grande battaglia in cui i
Prienesi uccisero mille Sami (garantendosi — si può ipotizzare — il controllo momentaneo della
Batinetis; cfr. supra, p. 93, nota 186) e lo scontro presso la Quercia (in seguito al quale pare che i
Sami ottennero Dryoussa), venga inteso come “tregua”, ovvero come interruzione momentanea di
un conflitto di lunga durata.
189
SHIPLEY 1987, p. 53; cfr. anche BARRON 1961, pp. 185 ss. e supra, p. 86, nota 166.
188
96
abbia usato non una fonte samia ma una fonte milesia, che segnalava e
valorizzava la partecipazione dei Milesi alla battaglia vinta fino al punto di
omettere i Sami: il “prezzo” pagato è aver perduto il punto di vista di Samo»190.
Un elemento in favore di una dipendenza del fr. 4 della Samion Politeia da fonti
milesie potrebbe forse essere apportato anche da un altro dettaglio della
narrazione aristotelica: come ipotizzato da Barron, l’espressione “le tenebre presso
la Quercia” potrebbe essere un gioco di parole allusivo alla eclissi di sole predetta
da Talete di Mileto, che peraltro consentirebbe di datare con esattezza la battaglia
al 585 a.C. 191
Ritorniamo, a questo punto, ai frammenti 4a e 4b della Samion Politeia.
La maggiore ampiezza del racconto plutarcheo rispetto all'interpretamentum
zenobiano — il primo, privo di riferimento nominale alla propria fonte, attento a
inquadrare la battaglia della Quercia nel contesto delle contese territoriali tra
Samo e Priene agli inizi del VI sec., il secondo, invece, con esplicita menzione di
Aristotele e della Samion Politeia, che fa riferimento solo all’episodio bellico
avvenuto in località Quercia — sembrerebbe porre il problema di capire in che
misura il resoconto di Quaest. Gr. 20 risalga effettivamente ad Aristotele e
quanto di esso, invece, possa essere frutto della rielaborazione del Cheroneese.
K. Giesen, nel lavoro in cui dimostra la dipendenza di buona parte delle Questioni
greche dalle Politeiai aristoteliche192, ha ipotizzato che il contenuto della quaestio
risalga senz’altro alla Samion Politeia ma non ha escluso che esso possa essere stato
rielaborato e ampliato da Plutarco, che, a suo parere, potrebbe aver aggiunto di
proprio pugno il dettaglio della partecipazione di Biante alle trattative con
POLITO 2010, p. 125.
BARRON 1961, pp. 186-189.
192
GIESEN 1901, p. 446: «Es soll gezeigt werden, daß eine gute Anzahl derselben auf Aristoteles’
Politien zurückgeht».
190
191
97
Samo193. D’altro canto, lo stesso Giesen ha osservato come il testo zenobiano, a
sua volta, non rappresenti una citazione testuale del frammento aristotelico ma
solo una sua estrema sintesi194: il fatto che in Zenobio manchino degli elementi
del racconto, riportati invece da Plutarco, non può, dunque, dimostrare in alcun
modo la loro assenza nell’originale narrazione aristotelica.
Peraltro, rispetto al particolare dell’ambasceria di Biante a Samo, V. Rose, al
contrario,
aveva ipotizzato che proprio la notizia della presenza del saggio
sull’isola potesse aver offerto l’occasione per la digressione, all’interno della
Samion Politeia, sulla battaglia della Quercia195.
Il confronto, sopra effettuato, tra il testo plutarcheo e il resoconto dei delegati
prienesi a Lisimaco riportato in IG XII6 155 sembrerebbe attestare l’esistenza di
versioni leggermente differenti, l’una di parte samio-milesia, l’altro di parte
prienese, delle vicende che videro le due poleis scontrarsi, al principio del VI sec.,
ciascuna in difesa dei propri interessi territoriali; il fatto che in entrambi i
racconti venga menzionata l’impresa diplomatica di Biante indurrebbe a credere
che essa fosse ben nota e ampiamente attestata nelle tradizioni locali e che,
dunque, con tutta verosimiglianza, potesse essere confluita anche nella Samion
Politeia. In questa prospettiva, si sarebbe portati ad accogliere l’ipotesi che la
Samion Politeia potesse far menzione dell’impresa diplomatica condotta dal saggio
di Priene a Samo.
GIESEN 1901, p. 453: «Auch soll ja nur behauptet werden, daß Plutarch den Inhalt der Frage
aus Aristoteles entnahm; er mag ihn selbständig umgearbeitet und erweitert haben; so kann der
für die Sache gleichgültige Zusatz: o{te kai; Biva" oJ sofo;" eij" Savmon ejk Prihvnh" presbeuvsa"
eujdokivmhse von Plutarch selbst hinzugefügt sein».
194
Ibid.
195
ROSE 1863, p. 521.
193
98
Fr. 5 (573 Rose; 591,1 Gigon) — Schol. in Aristoph. Aves 471b:
oujd≠ Ai[swpon pepavthka": ‹Oti to;n logopoio;n Ai[swpon dia; spoudh'" ei\con. h \ n
de;
3
oJ
Ai[swpo"
Qra/vx.
hjleuqerwvqh
de;
uJpo;
fiIdmono"
tou'
k w f o u ' . e j g e v n e t o d e ; p r w ' t o n X a v n q o u d o u ' l o " . oJ de; kwmiko;" Plavtwn
kai; ajnabiw'naiv fhsin aujto;n ejn toi'" Lavkwsin ou{tw" «kai; mh;n o[mosovn moi mh;
teqnavnai, yuch;n d≠ ajnhvkein w{sper Aijswvpou potev». tw'n de; muvqwn oiJ me;n peri;
6
ajlovgwn zw/vwn eijsi;n Aijswvpeioi, oiJ de; peri; ajnqrwvpwn Subaritikoiv. eijsi; dev tine"
oi} tou;" bracei'" kai; suntovmou" levgousi Subarivtida", kaqavper Mnhsivmaco" ejn
Farmakopwvlh/. dia; spoudh'" de; ei\con to;n Ai[swpon. k a i ; ≠ A r i s t o t e v l h " e j n
9
th/'
Samivwn
politeiva/
eijpovnta
fhsi;n
aujto;n
mu'qon
hujdokimhkevnai.
3-5 Plat. com., fr. 70 Kassel-Austin
6-8 Mnesim. com., fr. 6 Kassel-Austin
5 to; sw`m jejgw; yuch; Suda
ajnhvkein Lh : au\ h[kein VM9, a\n h{kein G, ajpo; nivkh~ Suda
6 zw/vwn
om. M9
eijsi;n GLh : om. V
subartikai; G
7 bracei`~ kai; ojligouv~ (sic!) M9
subarivta~ G
e[n tisi kai; post kaqavper M9
Mnhsivloco~
levgousi VM9 : e[legon G
VM9G2
8 de; om. M9
ei\ce G
9 ejn th/' Samivwn politeiva post eujdokimhkevnai transpos.
Lh
fasivn Lh 10 hujdokimhkevnai V : eujdokimhkevnai GLh (Ald)
Non hai dimistichezza con Esopo: Perché tenevano in considerazione il favolista Esopo.
Esopo era Trace. Fu liberato dallo stolto Idmone. In un primo momento era stato
schiavo di Xanto. Il comico Platone ne I Lacedemoni dice anche che egli ritornò in vita:
«e giurami che non son morto, come un tempo è tornata l’anima di Esopo». Delle
favole, quelle sugli animali sono le Esopiche, quelle sugli uomini le Sibaritiche. Ci
sono alcuni che invece dicono Sibaritiche le favole brevi e concise, come Mnesimaco
nel Venditore di farmaci. Tenevano in considerazione Esopo. E A r i s t o t e l e n e l l a
Politeia dei Sami dice che egli aveva acquistato buona fama
raccontando una favola.
99
HERACL., Exc. Pol. 33 ll. 20-21 Dilts
Ai[swpo~ de; oJ logopoio;~ eujdokivmei tovte. h\n de; Qra/̀x to; gevno~, hjleuqerwvqh
de; uJpo; [Idmono~ tou` sofou`, ejgevneto de; prw`ton Xavnqou dou`lo~.
20 eujdokivmei V : hujdokivmei dgab
h\n de; V : om. dgab 21 sofou` Korais : kwfou` Vdgab
Il fr. 5 della Samion Politeia è tradito in uno scolio al v. 471196 degli Uccelli di
Aristofane, in cui il commediografo cita Esopo come fonte di un mito su un
uccello primordiale: Pistetero, nel suo discorso volto a persuadere gli uccelli a
costruire una città in cielo, dalla quale avere il controllo sia sugli uomini che sugli
dei, ricorda il tempo in cui i volatili, più antichi di Crono, dei Titani e della
Terra, erano stati re del mondo; ad Evelpide, stupito dalle parole del compagno,
Pistetero rivolge l’accusa di essere ignorante e di non conoscere Esopo (v. 471:
ajmaqh;~ ga;r e[fu~ kouj polupravgmwn, oujd jAi[swpon pepavthka~), che avrebbe
attestato un mito secondo il quale l’allodola, primo uccello al mondo, al quinto
giorno dalla morte del padre ne avrebbe sepolto il cadavere dentro la propria
testa, perché non c’era terra intorno. Lo scoliaste, nel commentare l’espressione
oujd jAi[swpon pepavthka~, assembla riflessioni proprie e vari contenuti di cui non
ARISTOPH., Aves 470-475: touti; ma; Div joujk ejpepuvsmhn. ajmaqh;~ ga;r e[fu~ kouj polupravgmwn,
oujd jAi[swpon pepavthka~, o}~ e[faske levgwn korudo;n pavntwn prwvthn o[rniqa genevsqai, protevran
th`~ gh`~: ka[peita novsw/ to;n patevr jaujth`~ ajpoqnh/vskein, gh`n d joujk ei\nai, to;n de; prokei`sqai
pemptai`on: th;n d jajporou`san uJp jajmhcaniva~ to;n patevr jauJth`~ ejn th/̀ kefalh/̀ katoruvxai. Questi
versi sono stati interpretati da LUZZATTO 1996, pp. 1314-1315 come «la più antica attestazione ...
in ambito greco di un famoso mito cosmogonico egizio legato al culto del Sole», noto, in una
versione diversa e meno antica, anche ad Ecateo di Mileto (FGrHist 1 F 324). La stessa
LUZZATTO 1996, p. 1319, inoltre, a sostegno della ipotesi di una circolazione dei lovgoi esopici in
forma libraria nell’Atene e nella Ionia di V sec., riporta anche l’espressione aristofanea di Aves
471 oujd jAi[swpon pepavthka~, intendendola come allusiva alla mancata lettura di un ipotetico
biblivon di Esopo da parte di Evelpide. Le parole oujd jAi[swpon pepavthka~ erano state interpretate
come allusive a un testo scritto, comprensivo tanto dei logoi esopici quanto del bios del favolista a
cornice delle favole stesse, già da NØJGAARD 1964, p. 467-479; WEST 1984, pp. 105-128.
MATELLI 2000, p. 419, nota 15, e pp. 440-441, ritiene invece che essi possano testimoniare solo
«una circolazione scritta di episodi della vita di Esopo uniti alla narrazione di favole, ma non di un
suo bivo~ monografico»; la stessa studiosa, a pp. 424-426, 439-440, ipotizza che la prima
trasmissione scritta delle fiabe come logoi in prosa possa essere avvenuta attraverso testi
storiografici, logografici ed etnografici della Ionia.
196
100
sempre precisa la fonte: in prima battuta rimarca la considerazione di cui il
favolista godeva nell’antichità (l. 1: to;n logopoio;n Ai[swpon dia; spoudh'" ei\con),
di cui l’accusa di ignoranza rivolta da Pistetero ad Evelpide doveva sembrargli
prova; a seguire riferisce una serie di informazioni biografiche su Esopo  ovvero
le origini tracie, la schiavitù al servizio di Xanto e l’affrancamento ad opera di
Idmone (ll. 1-3: h\n de; oJ Ai[swpo" Qra/vx. hjleuqerwvqh de; uJpo; fiIdmono" tou' kwfou'.
ejgevneto de; prw'ton Xavnqou dou'lo") , senza dichiarare donde le tragga; riporta,
poi, due versi de I Lacedemoni197 del comico Platone sul presunto ritorno in vita
del favolista (ll. 3-4: oJ de; kwmiko;" Plavtwn kai; ajnabiw'naiv fhsin aujto;n ejn toi'"
Lavkwsin ou{tw"); si sofferma sulle differenze tra storie esopiche e storie sibaritiche,
richiamando, allo scopo, anche la testimonianza del poeta comico Mnesimaco198
(ll. 5-8: tw'n de; muvqwn, oiJ me;n ... kaqavper Mnhsivmaco" ejn Farmakopwvlh/); infine,
riprende il motivo della spoudhv di cui Esopo era oggetto e, a tal proposito, cita
una breve frase della Politeia dei Sami, in cui Aristotele afferma che egli aveva
acquisito buona fama raccontando una favola (ll. 8-10: dia; spoudh'" de; ei\con to;n
Ai[swpon. kai; ≠Aristotevlh" ejn th/' Samivwn politeiva/ eijpovnta fhsi;n aujto;n mu'qon
hujdokimhkevnai).
Stando allo scolio al v. 471 degli Uccelli, dunque, sembrerebbe di poter ascrivere
alla Samion Politeia solo quest’ultima, sintetica, affermazione sul legame tra la
celebrità di Esopo e la sua attività di narratore di mythoi. Il confronto con quel
che resta dell’estratto eraclideo della medesima Politeia, tuttavia, mostra
inequivocabilmente che ad essa risalgono anche quelle informazioni sulle origini
tracie del favolista, sulla sua schiavitù al servizio di Xanto e di Idmone e sul suo
successivo affrancamento ad opera di quest’ultimo (HERACL., Exc. Pol. 33 ll. 2021 Dilts: Ai[swpo~ de; oJ logopoio;~ eujdokivmei tovte. h\n de; Qra/̀x to; gevno~,
197
198
PLAT. COM., fr. 70 Kassel-Austin.
MNESIM. COM., fr. 6 Kassel-Austin.
101
hjleuqerwvqh de; uJpo; [Idmono~ tou` sofou`, ejgevneto de; prw`ton Xavnqou dou`lo~), che,
come abbiamo visto, lo scoliaste riferisce in forma anonima nella sua nota di
commento. A suggerire che anche la prima sezione dello scolio aristofaneo (ll. 13: h\n de; oJ Ai[swpo" Qra/vx. hjleuqerwvqh de; uJpo; fiIdmono" tou' kwfou'. ejgevneto de;
prw'ton Xavnqou dou'lo") possa dipendere direttamente dalla Samion Politeia è la sua
«corrispondenza testuale» con HERACL., Exc. Pol. 33 Dilts, dalla quale si sarebbe
indotti ad ipotizzare che tanto lo scoliaste degli Uccelli quanto Eraclide abbiano
citato la Politeia aristotelica «pressoché testualmente»199.
L’origine tracia di Esopo è attestata, oltre che da questo luogo aristotelico, solo da
un frammento attribuito ad Euagon di Samo200 (FGrHist 535 F5), in cui si afferma
la provenienza del favolista da Mesambria; la possibile dipendenza di Aristotele
dallo storico samio, già suggerita da Jacoby201, è stata sostenuta anche da M. J.
Luzzatto202, che ha individuato in Euagon una probabile fonte anche delle notizie
sulla schiavitù di Esopo a Samo, al servizio prima di Xanto, poi di Idmone. G.
Ragone203 ha messo in luce come la connotazione etnica tracia del favolista,
minoritaria nel panorama delle fonti antiche204, sia di per sé205 probabile indizio di
Così POLITO 2001, p. 119, la quale evidenzia, tra l’altro, come i codici di Eraclide conservino la
lezione [Idmono~ tou` kwfou` attestata anche dallo scolio aristofaneo: il termine sofou`, nel testo
edito da Dilts, è frutto di una correzione proposta dal Gelenio e accolta da A. Korais e da O.
Gigon. Sui problemi posti dalla traduzione dell’aggettivo kwfov~, dotato delle due accezioni sordo e
stolto, entrambe adeguate al contesto, cfr. ibid. p. 120 e bibliografia ivi citata.
200
FGrHist 535 F 5 ( = Aesopica T 6): Suda s.v.Ai[swpo~: Savmio~ h] Sardianov~: Eujgeivtwn de;
Meshmbriano;~ ei\pen, a[lloi Kotuaeva Fruvga. L’attribuzione del frammento ad Euagon è sostenuta
da JACOBY, FGrHist II b Kommentar, p. 458, in via dubitativa, sulla base della mancanza di altre
attestazioni nelle fonti di uno scrittore di nome Eujgeivtwn.
201
JACOBY, FGrHist II b Kommentar, p. 458. Così aveva ipotizzato anche PERRY 1952, p. 216 Test.
6.
202
LUZZATTO 1996, p. 1308. La studiosa adduce come indizio della possibile dipendenza di
Aristotele da Euagon — e non da Erodoto, che pure attesta la schiavitù di Esopo al servizio di
Idmone (HDT. II 134, 3 = Aesopica Test. 13), datandola al tempo del faraone Amasis (570-526 a.
C.) — il fatto che la Samion Politeia conservi l’epiteto kwfov~ attribuito dalla tradizione all’ultimo
padrone del favolista: ciò indurrebbe, infatti, ad individuare alla base della notizia una fonte
locale.
203
RAGONE 1997, pp. 142-143 e nota 48.
204
Cfr. infra, p. s. e nota 209.
199
102
una tradizione samia: entrambe le poleis note col nome di Mesambria  la
colonia calcedonio-megarese sul Mar Nero e il centro fortificato della perea di
Samotracia noto da HDT. VII 108  appaiono infatti in qualche misura in
relazione con Samo206. Secondo Ragone, un elemento sembrerebbe comunque
confortare una localizzazione in area pontica delle origini di Esopo (e, dunque,
l’identificazione della Mesambria menzionata in FGrHist 535 F 5 con la colonia
calcedonio-megarese): l’analogia tra la vicenda del noto favolista e la storia di
Zalmoxis, anch’egli schiavo samio di origini tracie (proveniente dalla Tracia
getica), poi assurto al rango di sophos, affrancato e, dopo la morte, onorato con
un culto eroico207.
Fonti posteriori ad Euagon e ad Aristotele, dal cosiddetto Romanzo di Esopo208 agli
autori di età imperiale e bizantina che ne seguono la vulgata, presentano invece
Esopo come un frigio, proveniente ora da Amorion ora da Kotyaion209.
Cioè anche a prescindere dalla attribuzione al samio Euagon del frammento in questione —
attribuzione di cui Ragone sottolinea il carattere ipotetico.
206
La prima in quanto colonia di Megara, con cui Samo entrò in contrasto in seguito alla
colonizzazione di Perinto, agli inizi del VI secolo a. C., e di cui, in seguito, incluse una parte dei
prigionieri nel corpo civico; la seconda, invece, per i rapporti coloniali e per le tradizioni
eponimiche che univano Samo e Samotracia. Ibid.
207
Ibid. e bibliografia ivi citata. Sull’esistenza di un in hJrw/̀on in onore di Esopo a Delfi, ai piedi
della rupe dalla quale il favolista era stato gettato, cfr. POxy. 1800 (= PERRY 1952 Test. 25); un
Aijswvpeion a Samo è invece attestato dal Romanzo di Esopo, W, par. 100.
208
Il cosiddetto Romanzo di Esopo o Vita Aesopi  a noi noto da alcuni frammenti papiracei, da
due recensioni di età imperiale (Vita G e Vita W) e da una Vita Planudea che sembrerebbe
rielaborare W  è stato oggetto, nel tempo, di numerosi studi, che hanno messo in luce la
complessità dei problemi da esso sollevati, giungendo, al riguardo, a conclusioni non sempre
convergenti. Discussa è la storia della sua tradizione testuale, per la quale cfr. PERRY 1933, 1936 e
1952; LA PENNA 1962; ADRADOS 1979 e 1999, pp. 648 ss.; JEDRKIEWICZ 1989, pp. 34-36;
LUZZATTO-WIECHERS 1996a; FERRARI 1997; SCHIRRU 2009, pp. 39-42. Piuttosto condivisa,
viceversa, da Perry (PERRY 1952, pp. 1-5 e nota 16) in poi, la cronologia della sua redazione,
oscillante tra il I e il II sec. d. C. Ben più problematica, e tuttora aperta, resta invece la questione
della possibile dipendenza della Vita Aesopi di età imperiale da una biografia del favolista redatta
in forma scritta già nel V secolo (o addirittura nel VI, secondo alcuni studiosi): la teoria tardoottocentesca del Volksbuch, (cfr. bibliografia raccolta in HOLZBERG 1992, p. 173) che riconosceva
all’origine della Vita una biografia di matrice popolare già circolante in età classica, è stata messa
in discussione, tra gli altri (CHAMBRY 1927, p. XLIII; ADRADOS 1952, pp. 344-345; 1999, p. 272;
LA PENNA 1962, pp. 36 e 282-283; NØJGAARD 1964, pp. 468-471; JEDRKIEWICZ 1989, pp. 25 e
66-67), da Perry (PERRY 1952, p. 5; 1962, pp. 293-294, nota 8; 1965, pp. XCIII-XCIV), più
propenso a individuare le fonti di informazioni biografiche su Esopo in autori come Erodoto,
205
103
Subito dopo il riferimento alle origini tracie del favolista (ll. 1-2: h\n de; oJ
Ai[swpo" Qra/vx), il frammento aristotelico passa ad illustrarne la schiavitù a Samo
(ll. 2-3: hjleuqerwvqh de; uJpo; fiIdmono" tou' kwfou'. ejgevneto de; prw'ton Xavnqou
dou'lo"): in un primo tempo al servizio di Xanto, Esopo sarebbe stato poi
affrancato da Idmone, che evidentemente ne era divenuto il nuovo padrone. La
Samion Politeia è la sola fonte che attesti una schiavitù samia di Esopo al servizio
di due diversi padroni; altre fonti ricordano solo l’uno o l’altro dei due padroni
sami menzionati nell’opuscolo aristotelico: se il Romanzo di Esopo, infatti, non
conosce Idmone e attribuisce a Xanto l’apeleutherosis del favolista, Erodoto210,
Euagon di Samo e Xanto di Lidia o in tradizioni locali di tipo orale. Lo stesso Perry, in seguito, ne
ha ipotizzato la possibile dipendenza da una Vita premessa da Demetrio Falereo alla sua raccolta di
favole esopiche (PERRY 1962, pp. 293-294 e nota 8 e 1965, pp. XCIII-XCIV). In tempi più recenti
sono tornati sul tema, con diversi argomenti, in difesa della circolazione in Attica e in Ionia, fin
almeno dal V secolo, di materiali esopici in forma libraria NØJGAARD 1964, p. 474; WEST 1984,
pp. 121 ss.; LUZZATTO 1988, p. 438 nota 54; GIANNATTASIO 1995 (che pensa ad una vera e
propria biografia); LUZZATTO 1996, p. 1319 (che immagina, invece, una sorta di «wisdom book
greco-orientale» custodito nel santuario delfico e a una «tradizione biografica scritta e/o orale»
sviluppatasi nello stesso ambiente); NIEDDU 2004, pp. 113-114.
209
Per le fonti sull’origine frigia di Esopo cfr. PERRY 1952, p. 215. L’oscillazione delle fonti
sull’origine etnica di Esopo  tracio per Aristotele ed Eujgeivtwn, frigio per tutti i testimoni
posteriori (nonché lidio per Proemium de Aesopo ex recensione fabularum 1a  variazione forse
dovuta a un uso metonimico di “lidio” per “frigio”, considerato che la Frigia divenne parte
integrante del regno di Lidia fin dal primo quarto del VI sec., o piuttosto a una confusione
derivante dalla tradizione sulla permanenza del favolista in Lidia al servizio di Creso; cfr. LA
PENNA 1962, p. 274 e SCHIRRU 2009, p. 39 nota 37)  è stata variamente spiegata dagli studiosi.
Se LA PENNA 1962, p. 273-275, sulle orme di ZEITZ 1936, p. 229, sostiene la provenienza di Esopo
dalla Frigia e ipotizza che la tradizione sulle sue origini tracie sia derivata dal fraintendimento di
HDT. II 134, 3- 135, 1 (cfr. infra, nota s.)  in cui lo storico ricorda che il favolista fu compagno
di schiavitù di Rodopi, cortigiana tracia , GIANNATTASIO 1995, p. 43, viceversa, ritiene che il
passo erodoteo possa effettivamente alludere alla provenienza dalla Tracia anche diEsopo.
Diversamente, ADRADOS 1979, pp. 103-104, e 1999, p. 263, non vede le due tradizioni in
contrasto, poiché interpreta il dato sulle origini frigie/tracie del favolista come indicatore di una
sua provenienza più genericamente “orientale”.
210
HDT. II 134, 3- 135, 1: (...) JRodw`pi~, geneh;n me;n ajpo; Qrhivkh~, douvlh de; h\n jIavdmono~ tou`
jHfaistopovlio~ ajndro;~ Samivou, suvndoulo~ de; Aijswvpou tou` logopoiou`. Kai; ga;r ou|to~ jIavdmono~
ejgevneto, wJ~ dievdexe th/̀de oujk h{kista: ejpeivte ga;r pollavki~ khrussovntwn Delfw`n ejk qeopropivou
o}~ bouvloito poinh;n th`~ Aijswvpou yuch`~ ajnelevsqai, a[llo~ me;n oujdei;~ ejfavnh, jIavdmono~ de; paido;~
pai`~ a[llo~ jIavdmwn ajneivleto. Ou{tw kai; Ai[swpo~ jIavdmono~ ejgevneto. JRodw`pi~ de; ej~ Ai[gupton
ajpivketo Xavntew tou` Samivou komivsanto~... Il racconto erodoteo su Rodopi ed Esopo costituisce un
excursus all’interno del logos egizio, finalizzato a smentire quanti affermavano che la piramide di
Micerino fosse in realtà della cortigiana Rodopi. Lo storico parte da un’osservazione di carattere
cronologico, ovvero la posteriorità di Rodopi a Micerino e la sua contemporaneità al faraone
Amasi, e prosegue narrando la storia della cortigiana: di origini tracie, compagna di schiavitù di
104
viceversa, pur menzionando Xanto (seppur nella variante grafica Xanthes), non
lo mette in relazione ad Esopo e fa di Idmone (da lui menzionato nella variante
Iadmone) il solo padrone samio, nonché l’affrancatore, dello schiavo tracio. E.
Perry211 aveva colto una contraddizione tra la testimonianza aristotelica e quella
erodotea, che, invece, R. Giannattasio212 non riconosce: la studiosa, infatti,
suggerisce la possibilità che la tradizione sui due padroni sami del favolista,
confluita nella Samion Politeia, sia nata «da una sovrainterpretazione del passo
erodoteo», ovvero dalla attribuzione ad Esopo di un periodo di schiavitù al
servizio di Xanto al pari di Rodopi, con la quale il favolista aveva condiviso in
realtà la servitù presso Iadmone; a questa considerazione Giannattasio aggiunge
inoltre che «la contraddizione esisterebbe se noi sapessimo che Esopo e Rodopi
ebbero la stessa successione di padroni, il che non è detto da Erodoto né si trova
presso alcuna altra fonte; anzi quanto Erodoto riferisce sull’ammenda reclamata
dal nipote Iadmone farebbe piuttosto pensare che proprio Iadmone sia stato
l’ultimo padrone di Esopo»213. G. Ragone214, viceversa, ipotizza che le
contraddizioni tra le diverse tradizioni possano rappresentare la spia di polemiche
tra due diversi oikoi sami al momento della riscossione della poine delfica per
l’uccisione del favolista: autorevoli fonti antiche, tra cui Erodoto (II 134),
Aristofane (Vesp. 1446 e schol. vet. ad loc) e lo stesso Aristotele (Delph. Pol., fr.
487 Rose = ZENOB. I 47), attestano infatti che Esopo fu ingiustamente
Esopo al servizio del samio Iadmone, sarebbe stata poi condotta in Egitto da Xanto, anche lui
samio. Nel contesto di tale resoconto, a proposito della servitù comune di Rodopi ed Esopo presso
Iadmone, Erodoto apre un’ulteriore parentesi — volta a dimostrare l’effettiva appartenenza del
favolista al padrone samio —, nella quale ricorda che proprio un uomo di nome Iadmone,
discendente dell’antico padrone di Esopo, aveva riscosso il risarcimento pecuniario per la sua
uccisione da parte dei cittadini di Delfi. Il passo erodoteo costituisce per noi la più antica
testimonianza sul personaggio di Esopo.
211
PERRY 1965, pp. XXXVII ss.
212
GIANNATTASIO 1995, p. 46 e nota 20.
213
Ibid.
214
RAGONE 1997, pp. 146-159.
105
condannato a morte dai cittadini di Delfi con l’accusa, falsa, di iJerosuliva, per il
furto di una coppa d’oro del tesoro di Apollo; all’uccisione del favolista fece
seguito un’annosa vicenda giudiziaria, conclusasi, tre generazioni dopo l’accaduto,
con un’ammenda pecuniaria ai Delfi in favore di chi volesse riscuoterla, come
risarcimento per la morte dello schiavo (HDT. II, 134, 2- 135, 1-2; PLUTARCH.
Ser. Num. Vind. 12, 556f ss.)215.
Come abbiamo visto, lo scoliaste assembla in modo disorganico, nella sua nota di
commento, informazioni pertinenti
ad argomenti differenti e tratti da fonti
diverse. In particolare, dopo aver fornito i dati biografici su Esopo appena
esaminati  ovvero le origini tracie, la schiavitù al servizio di Xanto e
l’affrancamento ad opera di Idmone (ll. 1-3: h\n de; oJ Ai[swpo" Qra/vx. hjleuqerwvqh
de; uJpo; fiIdmono" tou' kwfou'. ejgevneto de; prw'ton Xavnqou dou'lo") , tratti dalla
Samion Politeia, passa a citare due versi de I Lacedemoni216 del poeta comico
Platone, che sembrerebbe attestare una tradizione sul ritorno in vita del favolista
ovvero sulla reincarnazione della sua anima (ll. 3-4: oJ de; kwmiko;" Plavtwn kai;
ajnabiw'naiv fhsin aujto;n ejn toi'" Lavkwsin ou{tw")217. Subito dopo, lo scoliaste fa
una breve digressione sulle differenze tra storie esopiche e storie sibaritiche,
riferendo in proposito la testimonianza del poeta comico Mnesimaco218 (ll. 5-8:
Sul tema cfr. LUZZATTO 1988. Per l’elenco completo delle fonti sulla vicenda di Esopo a Delfi
cfr. PERRY 1952, pp. 220-223 Test. 20-32.
216
PLAT. COM., fr. 70 Kassel-Austin.
217
Che il frammento de I Lacedemoni alluda al ritorno in vita di Esopo è suggerito dal confronto
con Suda s.v. ajnabiw`nai, in cui vengono citati gli stessi versi: ajnabiw`nai: ajnazh`sai. h[dh dev tinev~
fasin, wJ~ tosou`ton a[ra to;n Ai[swpon qeofilh` genevsqai, wJ~ kai; ajnabiw`nai aujto;n, kaqavper ou\n
to;n Tundavrewn kai; to;n JHrakleva kai; to;n Glau`kon. kai; Plavtwn fhsi;n oJ kwmikov~: kai; nu`n o[mosovn
moi mh; teqnavnai to; sw`ma ejgwv yuch; d j ajpo; nivkh~ w{sper Aijswvpou potev. Come sottolinea
GIANNATTASIO 1995, p. 50 e nota 36, tuttavia, i versi potrebbero riferirsi, più verosimilmente, al
ritorno dell’anima di Esopo, a «una sorta di reincarnazione, poiché il personaggio che risponde
(scil. chi pronuncia i versi in questione) fa distinzione tra sw`ma e yuchv»; nella stessa direzione,
argomenta la studiosa, sembrerebbe condurre la testimonianza di Ermippo citata in PLUTARCH.
Sol. 6 (HERMIPP., fr. 10 Wehrli = AESOP., Test. 46 Perry): tau`ta me;n ou\n {Ermippo~ iJstorei`n
fhsi Pavtaikon, o}~ e[faske th;n Aijswvpou yuch;n e[cein.
218
MNESIM. COM., fr. 6 Kassel-Austin.
215
106
tw'n de; muvqwn, oiJ me;n ... kaqavper Mnhsivmaco" ejn Farmakopwvlh/), con la quale
tuttavia mostra di non concordare. Chiusa la parentesi, il commentatore riprende
il motivo della spoudhv di cui Esopo godeva nell’antichità e, a tal proposito,
riporta la testimonianza aristotelica della Politeia dei Sami, riallacciandosi di fatto
alla stessa fonte utilizzata per la prima parte della nota: stando allo scoliaste,
Aristotele nella Samion Politeia avrebbe affermato che Esopo aveva acquisito
buona fama raccontando una favola (ll. 8-10: dia; spoudh'" de; ei\con to;n Ai[swpon.
kai; ≠Aristotevlh" ejn th/' Samivwn politeiva/ eijpovnta fhsi;n aujto;n mu'qon
hujdokimhkevnai). Il mythos cui lo Stagirita allude nel frammento tradito dal
commentatore di Aristofane sembrerebbe con tutta verosimiglianza il logos della
volpe e del porcospino, che lo stesso Aristotele riporta nella Retorica219:
nell’ambito dell’esame delle prove (pivstei~) comuni a tutte le branche della
retorica (paradeivgmata e ejnqumhvmata), lo Stagirita annovera, tra i diversi generi
di paradeivgmata, i logoi esopici, di cui riporta, a mo’ di esempio, il discorso
pronunciato da Esopo davanti all'assemblea dei Sami per difendere un demagogo
che rischiava di essere condannato a morte. È dunque possibile che nella Samion
Politeia lo Stagirita ricordasse l’episodio come l’occasione in seguito alla quale
Esopo divenne noto a Samo.
ARISTOT., Rhet. II 20 (1393b22-1394a1): Ai[swpo~ de; ejn Savmw/ dhmhgorw`n krinomevnou
dhmagwgou` peri; qanavtou e[fh ajlwvpeka diabaivnousan potamo;n ajpwsqh`nai eij~ favragga, ouj
dunamevnhn de; ejkbh`nai polu;n crovnon kakopaqei`n kai; kunoraista;~ pollou;~ e[cesqai aujth`~, ejci`non
de; planwvmenon, wJ~ ei\den aujthvn, katoikteivranta ejrwta`n eij ajfevloi aujth`~ tou;~ kunoraistav~, th;n
de; oujk eja`n: ejromevnou de; dia; tiv, «o{ti ou|toi me;n» favnai «h[dh mou plhvrei~ eijsi; kai; ojlivgon
e{lkousin ai|ma eja;n de; touvtou~ ajfevlhte, e{teroi ejlqovnte~ peinw`nte~ ejkpiou`ntaiv mou to; loipo;n
ai|ma». «ajta;r kai; uJma`~, a[ndre~ Savmioi, ou|to~ me;n oujde;n e[ti blavyei (plouvsio~ gavr ejstin), eja;n de;
tou`ton ajpokteivnhte, e{teroi h{xousi pevnhte~, oi} uJma`~ ajnalwvsousi ta; loipa; klevptonte~». Con
questo discorso Esopo intendeva convincere i cittadini di Samo che, se avessero graziato il
demagogo, questi non avrebbe più potuto arrecare loro danno, in quanto era ricco: se, viceversa,
fosse stato ucciso, altri sarebbero venuti al suo posto a derubare la comunità dei suoi beni. Che
questo sia il mythos cui Aristotele allude nella Samion Politeia è ipotesi formulata già da PERRY
1952, p. 216 Test. 5 (cfr. Test. 41), LUZZATTO 1996, p. 1312, ADRADOS 1999, pp. 272-272.
219
107
Aristotele, dunque, fa riferimento ad Esopo in più luoghi: le già menzionate
Retorica e Politeia dei Delfi, il frammento della Samion Politeia qui in esame e,
ancora, Meteor. II 3 356b10-17, in cui lo Stagirita, proprio come in Rhet. II 20,
riporta un logos esopico nel contesto di un episodio della vita del favolista220.
D’altro canto, diverse notizie attestano un interesse aristotelico, e più
genericamente peripatetico, per la favola: la presenza, fra i titoli delle opere
attribuite da Diogene Laerzio (V 21, n. 106) ad Aristotele, di un JUpe;r tw`n
muqologoumevnwn zw/vwn a ,v di cui tuttavia non ci sono pervenuti frammenti;
l’attribuzione a Teofrasto, sempre ad opera di Diogene Laerzio (V 50 = 727 nr. 13
Fortenbaugh), di un libro dal titolo jAkivcaro~ a v, che doveva narrare la leggenda
di origine babilonese di cui era protagonista il saggio assiro Akicharos221,
caratterizzata da forti analogie con la Vita esopica; infine, il fatto che Demetrio
Falereo, allievo di Teofrasto e, con tutta verosimiglianza — benché le fonti
tacciano in proposito —, dello stesso Aristotele, realizzò la prima raccolta di
favole esopiche di cui si abbia notizia222.
Si tratta della leggenda di Cariddi, che risucchia il mare per due volte fino a minacciare di
prosciugarlo, raccontata da Esopo per spaventare un barcaiolo con cui era adirato.
221
Tale leggenda ci è nota da un papiro di Elefantina del V sec. a. C. Sul rapporto tra la leggenda
di Akicharos e quella su Esopo cfr. LA PENNA 1962, pp. 111 ss.; JEDRKIEWICZ 1989, pp. 127-135;
WILSDORF 1991; KUSSL 1992; HOLZBERG 1992; LUZZATTO 1992.
222
Sugli Aesopica di Demetrio Falereo, esaminati alla luce dell’interesse peripatetico per la favola e
della permanenza di Demetrio alla corte tolemaica (300-283 a. C. ca.) con l’incarico di raccogliere
i volumi che avrebbero costituito il patrimonio librario della Biblioteca, cfr. MATELLI 2000.
220
108
Fr.
6a
(574
Rose;
591,
2
Gigon)
—
ZENOB.
III
90:
« {Ekhti Sulosw`nto~ eujrucwrivh»: Sulosw`n Savmio" fivlo" ejgevneto Dareivw/ tw/'
Persw'n basilei', kai; di≠ aujtou' th;n ejn Savmw/ dunasteivan parevlabe teleuthvsanto"
3
Polukravtou". ≠Epei; de; pikrw'" kai; calepw'" h\rcen, ejklipovnte" th;n nh'son oiJ
pleivou" metw/vkhsan. ‹Oqen hJ paroimiva.
1 eujrucwriva Schott
2-3 teleuthvsanto" Polukravtou" P : om. B
calepw'" h\rcen P : a[rconto~ de; pikrw'" aujtou` B
3 ≠Epei; de; pikrw'" kai;
«Ampio spazio per opera di Silosonte»: il samio Silosonte era amico di Dario, il re dei
Persiani, e grazie a lui prese il potere a Samo alla morte di Policrate. Poiché esercitò il
potere in modo rigido e crudele, la maggior parte, lasciata l’isola, si trasferì altrove.
Donde il proverbio.
Fr. 6b (574 Rose; 591, 3 Gigon) — STRABO XIV 1,17: Sulosw'n de; ajpeleivfqh
me;n ijdiwvth" uJpo; tou' ajdelfou'. Dareivw/ de; tw/' ïUstavspew carisavmeno" ejsqh'ta, h|"
3
ejpequvmhsen ejkei'no" forou'nta ijdwvn (ou[pw d≠ ejbasivleue tovte), basileuvsanto"
ajntevlabe dw'ron th;n turannivda. pikrw'" d≠ h\rxen, w{ste kai; ejleipavndrhsen hJ
povli": kajkei'qen ejkpesei'n sunevbh th;n paroimivan «e{khti Sulosw'nto" eujrucwrivh».
Cfr. Eustath., ad Dion. Perieg. 533
Them. VIII 109-110
1 de; codd., Radt : d’ Casaubon, Kramer, Meineke, Jones
ajpeleivfqh B : ajpelhvfqh CF
ejleipavndrhsen E, Eustath., Kramer, Meineke, Jones : ejlipavndrhsen cett. codd., Radt
4
Silosonte fu lasciato dal fratello nella condizione di semplice cittadino. Avendo donato a
Dario figlio di Istaspe un abito, di cui quello aveva provato desiderio nel vederglielo
indossare (allora non era ancora re), in cambio, quando questi divenne re, ottenne in
dono la tirannide. Esercitò il potere crudelmente, tanto che la città perse uomini: da ciò
ebbe origine il proverbio «ampio spazio per opera di Silosonte».
109
HERACL., Exc. Pol. 34 ll. 22-23 Dilts
th;n de; politeivan tw'n Samivwn Sulosw'n hjrhvmwsen, ajf≠ ou| kai; hJ paroimiva «e{khti
Sulosw'nto" eujrucwrivh».
22 hjrhvmwsen dgab : hjrivmwsen V
ajf≠ ou| kai; V : o{qen dgab
d, Sulw'nti g, Sulw'nt a, Sulovsont V
23 Sulosw'nto" b : Sulosw'nta
Tanto Zenobio quanto Strabone conservano il proverbio e{khti Sulosw'nto"
eujrucwrivh (ampio spazio per opera di Silosonte223), senza attribuirlo ad Aristotele,
proponendone il medesimo interpretamentum: per entrambi, infatti, l’espressione
avrebbe avuto origine dalla diminuzione dei cittadini di Samo, indotta dalla
politica crudele di Silosonte (fr. 6a, ll. 3-4; fr. 6b, ll. 4-5).
Il proverbio è conservato anche nell’estratto eraclideo della Samion Politeia,
sempre in relazione allo “spopolamento” di Samo causato dal tiranno (Exc. Pol.
34 ll. 22-23 Dilts: th;n de; politeivan tw'n Samivwn Sulosw'n hjrhvmwsen, ajf≠ ou| kai;
hJ paroimiva «e{khti Sulosw'nto" eujrucwrivh»). L’analogia di contenuto tra
l’excerptum di Eraclide, l’interpretamentum zenobiano e il passo straboniano attesta
che nell’opuscolo samio Aristotele aveva trattato la vicenda di Silosonte nella
medesima prospettiva adottata dalla/e fonte/i di Zenobio e di Strabone:
sembrerebbe pertanto ipotizzabile che tanto ZENOB. III 90 quanto STRABO XIV
1,1 dipendano da una tradizione risalente in ultima analisi proprio alla Samion
Politeia e, pertanto, benché privi di riferimento nominale allo Stagirita o alla sua
opera, siano comunque classificabili come frammenti dell’opuscolo (quali,
223
PANAINO 2004, p. 233, si chiede se l’espressione e{khti Sulosw'nto" non possa costituire la
rielaborazione parodica della formula vasna ahuramazdãha utilizzata nelle iscrizioni persiane per
ascrivere alla “volontà di Ahuramazdã” le imprese compiute dal sovrano.
110
peraltro,
sono già stati riconosciuti nelle edizioni dei frammenti aristotelici
curate da V. Rose e da O. Gigon)224.
Le modalità con cui Silosonte acquistò il favore di Dario (per avergli
disinteressatamente donato il proprio mantello225) e ottenne di conseguenza,
grazie all’intervento persiano, il pieno controllo su Samo226, ci sono narrate
dettagliatamente da Erodoto (III 139-149), il quale attribuisce all’iniziativa del
satrapo Otane, a capo dell’impresa militare voluta dal Gran Re, un vero e proprio
sterminio degli abitanti dell’isola, che sarebbe stata consegnata al neo-tiranno
Silosonte deserta di uomini (III 149: oiJ Pevrsai parevdosan Sulosw`nti e[rhmon
ejou`san ajndrw`n). Lo stesso satrapo, secondo il racconto erodoteo, avrebbe poi
provveduto a ripopolare il luogo in seguito ad una malattia e ad una visione avuta
in sogno227.
L’uso della Sam. Pol. da parte di Zenobio è attestato in VI 12, in cui il paremiografo la cita
espressamente (to; peri; Dru'n skovto": ≠Aristotevlh" fhsi;n ejn th/' Samivwn politeiva/... cfr. supra, fr.
4a, p. 83); la conoscenza delle Politeiai aristoteliche da parte di Strabone, non si può dire se di
prima o di seconda mano, è invece attestata solo da STRABO VII 7, 2.
225
Secondo il racconto erodoteo (III 139-140) Silosonte, costretto all’esilio da Policrate, si
sarebbe trovato in Egitto al tempo della spedizione di Cambise e lì si sarebbe imbattuto in Dario,
allora semplice guardia del corpo del Re. Alla richiesta di Dario di poter acquistare il mantello da
lui indossato, Silosonte, colpito dall’intenso desiderio del persiano, avrebbe deciso di regalarglielo.
Appresa, tempo dopo, la notizia dell’avvento al trono di Persia dell’uomo cui aveva mostrato tanta
disinteressata generosità, si sarebbe presentato alla corte di Susa in veste di benefattore del Re
(HDT. III 140, 2: e[fh Dareivou eujergevth~ ei\nai) e, accolto benevolmente da Dario, gli avrebbe
chiesto di riconquistare per lui la sua patria, avendo cura di non compiervi stragi né ridurla in
schiavitù. Sulle fonti relative al mantello di Silosonte, cfr. LABARBE 1986, pp. 7-22.
226
La conquista persiana di Samo, che portò all’insediamento di Silosonte come primo tyrannos
hyparchos del Gran Re, è stata variamente datata dagli studiosi in un arco temporale compreso tra
il 521 (LA BUA 1975 (2), pp. 81-85, 99) e il 517 (GALLOTTA 1980, pp. 105-109, 131-136). La
definizione di Silosonte come hyparchos dei Persiani, già di MAZZARINO 1989, pp. 239, 397,
appare tuttora condivisa dagli studiosi, in considerazione della esplicita connotazione che le fonti
danno della sua tirannide come dono del Re e di Silosonte stesso come “benefattore” (eujergevth~)
e “amico” (fivlo") del sovrano persiano. Sulla natura delle categorie di “evergeti” e “amici” del Re
e sul significato dell’appartenenza di Silosonte ad esse, cfr. PANAINO 2004, pp. 232 ss.
227
LA BUA 1975 (2), pp. 51, 98 e nota 1 osserva che la notizia del ripopolamento di Samo ad
opera di Otane potrebbe essere nata in seguito ad una richiesta di coloni al satrapo da parte di
Silosonte; quest’ultimo, acquisito il potere sull’isola deserta di uomini, avrebbe provveduto a
ripopolarla in prima persona, richiamando coloni sami, ricorrendo all’aiuto di Otane e, infine,
concedendo i diritti civili agli schiavi dietro pagamento: così lo studioso interpreta il fr. 7 (575
Rose) della Samion Politeia, in cui si ricorda che i Sami (genericamente) concessero l’isopoliteia agli
schiavi in cambio di cinque stateri. Per un commento al frammento cfr. infra, pp. 115 e ss.
224
111
È già stato ampiamente osservato come la versione di Erodoto esprima una
prospettiva chiaramente non ostile a Silosonte228, diversamente dalla tradizione
confluita in Aristotele, che attribuisce proprio all’operato del tiranno la
responsabilità dello “svuotamento” dell’isola. Secondo V. La Bua229, tale
tradizione risalirebbe allo storico samio Euagon — fonte anche di altre
testimonianze avverse ai membri del genos policrateo230—, che avrebbe a sua volta
mutuato l’espressione ostile e{khti Sulosw'nto" eujrucwrivh da una lirica di
Anacreonte231, ormai alla corte dei Pisistratidi e libero di esprimere il suo dissenso
nei confronti del fratello (e rivale) di Policrate, che era stato suo allievo e
mecenate232.
Esaminando più nel dettaglio le due fonti tralatrici del frammento qui in esame, si
può osservare come Zenobio ascriva alla crudeltà di Silosonte l’abbandono
dell’isola e il trasferimento altrove della maggior parte dei suoi abitanti (fr. 6a, ll.
3-4: ejpei; de; pikrw'" kai; calepw'" h\rcen, ejklipovnte" th;n nh'son oiJ pleivou"
metw/vkhsan), mentre Strabone si limiti ad affermare, più genericamente, che
l’asprezza della tirannide provocò una perdita di uomini233 per la polis (fr. 6b, ll. 45: pikrw'" d≠ h\rxen, w{ste kai; ejleipavndrhsen hJ povli"), senza precisare le modalità
in cui tale calo demografico dové realizzarsi — se per allontanamento, forzato o
volontario, di quanti fossero insofferenti al dispotismo di Silosonte (come nel
LA BUA 1975 (2) , pp. 50 ss. e 1978, pp. 15 ss. (in cui lo studioso ipotizza che Erodoto, pur
conoscendo Euagon, lo abbia ignorato volutamente — salvo che in III 39, 4 — per la diversità di
prospettiva e abbia utilizzato fonti locali vicine al genos policrateo); POLITO 2001, pp. 120-1221 e
bibliografia ivi raccolta.
229
LA BUA 1975 (1), p. 16 e nota 2, e p. 19; 1975 (2), pp. 50 ss., 96 ss.; 1985, pp. 99 e 101, nota
38.
230
LA BUA 1985, p. 99; cfr. anche 1975, p. 34 e nota 3; 1978, pp. 15 ss. e 1984-1985, p. 42;
231
L’identificazione di un verso di Anacreonte nell’espressione e{khti Sulosw'nto" eujrucwrivh è
stata sostenuta da CRUSIUS 1894, col. 2038 e SCHMID-STÄHLIN 1929, p. 433 nota 3 e accolta,
seppure in via dubitativa, da PAGE 1962, fr. 160b.
232
LA BUA 1985, pp. 98-99.
233
Si precisa che i termini leipandrevw e leipandriva sono attestati, tra gli autori di età classica,
solo in Strabone e in un passo delle Vite dei filosofi (II 26, 8) di Diogene Laerzio, pertanto
appaiono peculiari della fonte tralatrice.
228
112
breve racconto del paremiografo) o piuttosto per effetto di eventuali uccisioni.
Strabone, inoltre, mostra di conoscere l’aneddoto del mantello, in seguito al quale
il fratello di Policrate si sarebbe ingraziato il futuro Gran Re, mentre Zenobio non
registra nel suo racconto le origini del rapporto di amicizia tra Silosonte e Dario.
Nell’ipotesi che Zenobio e Strabone dipendano entrambi da Aristotele, si
potrebbe dunque ricavare che nella Samion Politeia venissero narrate esattamente
le stesse vicende che leggiamo in Erodoto (III 139-149) — 1) incontro tra
Silosonte e Dario (in Egitto?) e contestuale donazione del proprio mantello
all’allora guardia del corpo di Cambise da parte del samio; 2) successiva
spedizione persiana contro Samo, volta alla “restituzione” dell’isola al genos
policrateo — ma nella prospettiva avversa al tiranno che lo Stagirita leggeva
nella sua fonte ossia, con tutta probabilità, Euagon.
Quanto al riferimento fatto da Zenobio al trasferimento altrove della maggior
parte dei cittadini, vien da pensare ad una notizia riportata da Erodoto
nell’ambito del logos libico: Arcesilao III, rifugiatosi a Samo in seguito a lotte
intestine per la successione al trono, sarebbe riuscito a raccogliere molti uomini
con la promessa di una spartizione delle terre; di lì, radunato un grande esercito,
sarebbe tornato in patria e avrebbe riconquistato il regno (HDT. IV 163-164).
Secondo G. Shipley234 proprio alcuni Sami del seguito di Arcesilao potevano
essere i membri della Aijscriwnivh fulhv (in realtà un genos aristocratico, più che
una tribù, sostiene lo studioso) ricordata in HDT. III 26. Naturalmente è una
semplice suggestione, più che una vera ipotesi, che la Samion Politeia potesse
contenere una qualche allusione al coinvolgimento di cittadini sami nel ritorno
al potere di Arcesilao; questo tuttavia resta il solo episodio a noi noto di
SHIPLEY 1987, p. 106 e note 18, 19 e p. 285. Aijscrivwn, infatti, — aggiunge lo studioso — è un
nome samio, attestato da fonti letterarie (ATHEN. VII 48 296e ss.) ed epigrafiche (SIG3 976;
PREUNER 1924, p. 48).
234
113
allontanamento di un numero cospicuo di uomini da Samo, nell’arco di tempo
del regno di Silosonte.
Più interessante risulta la notizia, riportata nella stessa Samion Politeia235, secondo
la quale i Sami, per mancanza di cittadini di pieno diritto (spavnei tw'n
politeuomevnwn) dovuta alla “oppressione” dei tiranni (kataponhqevnte" uJpo; tw'n
turavnnwn), avrebbero concesso la isopoliteia agli schiavi al costo di cinque stateri
(ejpevgrayan toi'" douvloi" ejk pevnte stathvrwn th;n ijsopoliteivan): benché
variamente interpretato dagli studiosi236, il racconto aristotelico sembrerebbe dare
il senso inequivocabile di un calo demografico ascrivibile alla politica praticata
dai tiranni, il che combacia in modo piuttosto suggestivo con la tradizione,
accolta nella stessa Samion Politeia, che ricorda lo spopolamento dell’isola in
qualche modo in relazione al regime tirannico di Silosonte.
Sam. Pol., fr. 7 (cfr. infra, p. 115).
Per un esame dettagliato del frammento, comprensivo delle diverse letture datene dagli
studiosi, cfr. infra, pp. 115 e ss.
235
236
114
Fr. 7 (575 Rose; 592 Gigon) — PHOTIUS s.v. Samivwn oJ dh'mo" <ejsti;n> wJ"
polugravmmato": «Samivwn oJ dh'mo" <ejsti;n> wJ" polugravmmato"»: ≠Aristofavnh"
3
Babulwnivoi",
ejpiskwvptwn
tou;"
ejstigmevnou".
OiJ
ga; r
Sav m ioi,
kataponhqev n te" uJ p o; tw' n turav n nwn, spav n ei tw' n politeuomev n wn,
ej p ev g rayan toi' " douv l oi" ej k pev n te stathv r wn th; n ij s opoliteiv a n: wJ "
6
≠Aristotev l h" ej n th/ ` S amiv w n politeiv a . h] o{ti para; Samivoi" euJrevqh prwvtoi"
ta; kdV gravmmata uJpo; Kallistravtou, wJ" fiAndrwn ejn Trivpodi: tou;" de; ≠Aqhnaivou"
e[peise crh'sqai toi'" tw'n ≠Iwvnwn gravmmasin
9
jArci`no~ oJ jAqhnai`o~ ejp ja[rconto"
Eujkleivdou: tou;" de; Babulwnivou" ejdivdaxe dia; Kallistravtou ≠Aristofavnh" e[tesi
pro; tou' Eujkleivdou ke v ejp jEujklevou": peri; de; tou' peivsanto" iJstorei' Qeovpompo".
OiJ de; o{ti ≠Aqhnai'oi me;n tou;" lhfqevnta" ejn polevmw/ Samivou" e[stizon glaukiv,
12
Savmioi <de; tou;~ jAqhnaivou~> th'/ Samaivnh/, <o{> ejsti ploi'on divkroton uJpo;
Polukravtou" prw'ton paraskeuasqe;n tou' Samivwn turavnnou, wJ" Lusivmaco" ejn bV
Nostw'n: to; de; plavsma Douvrido": oiJ de; th;n Savmainan novmisma ei\nai.
Suda s.v. Samivwn oJ dh'mo"; Apostol. s.v. Samivwn oJ dh'mo" ejsti;n wJ" polugravmmato"
2-3
Aristoph., fr. 71 Kassel-Austin
6-7 Andron Ephesius, FGrHistCont 1005 F 5; cfr. Hesych. s.v.
7-10 Theop., FGrHist 115 F 155
11-13 Cfr. Plutarch., Per. 26, 3-4;
Samivwn oJ dh'mo"
Aelian., Var. Hist. II 9, 5
11-14 Duris, FGrHist 76 F 66
13-14 Lysimach., FGrHist 382 F 7
2 ejsti;n coni. Porson-Dobree, Naber
5 ei[sw politeivan g
8 jArci`no~ oJ
≠Aristofavnoi" g
jAqhnai`o~ ejp ja[rconto" Naber, Dobree : a[rcein: oiJ dJ’ jAqhnaivoi~ ejpi; a[rconto" g, Porson-Dobree
10 ke v ejp jEujklevou" Naber, Dobree : kai; ejpi; jEujklevou" g, Porson-Dobree
11-12 glaukiv,
Savmioi <de; tou;~ jAqhnaivou~> th'/ Samaivnh/ Hullemann, Naber : glaukisamioi th' samenh~ g,
12 <o{> ejsti ploi'on Porson-Dobree, Naber : ejsti
glauki;, Savmioi th'/ Samaivnh/ Porson-Dobree
poion g
Il popolo samio è “polygrammatos”: Aristofane nei Babilonesi, facendosi beffe di quelli
che erano stati marchiati. I S a m i , i n f a t t i , o p p r e s s i d a i t i r a n n i , p e r
mancanza di cittadini di pieno diritto concessero l’isopoliteia agli
schiavi in cambio di cinque stateri, come dice Aristotele nella
P o l i t e i a d i S a m o ; oppure perché presso i Sami per primi furono scoperte le
ventiquattro lettere da Callistrato, come dice Androne nel Tripode. L’ateniese Archino
convinse gli Ateniesi ad utilizzare l’alfabeto ionico al tempo dell’arcontato di Euclide.
115
Aristofane mise in scena i Babilonesi, con la regia di Callistrato, venticinque anni
prima di Euclide, sotto l’arcontato di Eucle. Teopompo racconta del persuasore.
Secondo altri, perché gli Ateniesi bollarono con un marchio a forma di civetta i Sami
catturati in guerra, mentre i Sami marchiarono gli Ateniesi con uno a forma di samena,
cioè un’imbarcazione bireme, allestita per la prima volta dal tiranno di Samo Policrate,
come sostiene Lisimaco nel secondo libro dei Nostoi, ma questa è un’invenzione di
Duride. Secondo altri, la samena sarebbe una moneta.
Il frammento è tramandato all’interno della lunga rubrica di Fozio s.v. Samivwn oJ
dh'mo" <ejsti;n> wJ" polugravmmato", un verso della perduta commedia I
Babilonesi237 di Aristofane, poi divenuto proverbiale. Il lessicografo assembla fonti
diverse e contrastanti in merito all’origine dell’espressione aristofanesca:
1) la testimonianza aristotelica dalla Samion Politeia, secondo la quale i Sami
avrebbero concesso la isopoliteia ai propri schiavi in cambio di cinque stateri, a
causa della mancanza di cittadini dovuta alla politica oppressiva esercitata dai
tiranni;
2) la notizia riportata da Androne di Efeso nel Tripode238, che attribuiva a
Callistrato239 di Samo la scoperta delle ventiquattro lettere dell’alfabeto, poi
La commedia, rappresentata nel 426 come apprendiamo dallo stesso lemma foziano, portava
sulla scena un coro di schiavi babilonesi marchiati sulla fronte e costretti a lavorare in un mulino;
la sua trama, la cui ricostruzione è tuttora oggetto di discussione, doveva avere delle forti
implicazioni politiche, che indussero Cleone a denunciare Aristofane, presentando contro di lui
una grafh; ajdikiva~ e una grafh; xeniva~ per aver criticato le magistrature per sorteggio e quelle
elettive (ARISTOPH., Acharn. 377-382 e Schol. ad loc.; Vita Aristoph. 19). Opinione
tradizionalmente diffusa tra gli studiosi (KAIBEL 1895, col. 975; ROSTAGNI 1925, p. 475; MURRAY
1933, p. 25; LESKY 1982, p. 554) è che Aristofane intendesse denunciare la politica oppressiva
esercitata da Atene nei confronti degli alleati, ridotti alla stregua di schiavi della polis egemone;
tale prospettiva è stata messa in discussione, nel corso del tempo e da diverse prospettive, da
NORWOOD 1930, WELSH 1983 e FOIS 1998; quest’ultima, in particolare, individua il fulcro della
commedia in una critica radicale al sistema democratico nel suo complesso, ovvero in quella che
sarebbe stata la tematica saliente di tutta la successiva produzione aristofanesca.
238
Per l’identificazione dell’Andron autore del Tripode con l’omonimo efesio, cfr. MÜLLER 1848
(FHG II), p. 346 e BOLLANSÉE, FGrHistCont IV A 1, commento a 1005, Introduction, p. 128. La
testimonianza di Porfirio (408F Smith = Andron of Ephesos, FGrHistCont 1005 F 3 Bollansée),
237
116
adottate dagli Ateniesi per iniziativa di Archino al tempo dell’arcontato di
Euclide (403/2)240, secondo quanto avrebbe attestato Teopompo241;
3) il racconto di Duride242, stando al quale Ateniesi e Sami avrebbero marchiato i
rispettivi prigionieri di guerra (nel contesto della guerra degli anni 441-439) con
l’immagine di una civetta e con quella di una samena, ossia una tipica nave samia
bireme, come lo storico stesso riferisce, riportando la testimonianza dei Nostoi di
Lisimaco di Alessandria.
Dalla rubrica foziana non è chiaro se le fonti citate contenessero un riferimento
esplicito al verso dei Babilonesi Samivwn oJ dh'mo" <ejsti;n> wJ" polugravmmato" o se
sia il lessicografo (o una sua fonte intermedia) a instaurare una relazione tra i tre
diversi episodi attestati rispettivamente da Aristotele, Androne di Efeso e Duride
secondo la quale l’opera sarebbe stata utilizzata da Teopompo nella stesura delle sue Filippiche,
fornisce il terminus ante quem della cronologia del suo autore, datato pertanto alla prima metà del
IV secolo (MÜLLER 1848, p. 346; BOLLANSÉE, FGrHistCont IV A 1, commento a 1005,
Introduction, pp. 131 ss.).
239
La notizia della scoperta dell’alfabeto ad opera di un certo Callistrato di Samo, non attestata
altrove, secondo IMPERIO 1991, p. 161 potrebbe essere stata frutto di confusione dovuta alla
omonimia tra il Callistrato corego dei Babilonesi e colui che, stando ad Eforo (FGrHist 70 F 106),
avrebbe trasmesso ad Atene l’alfabeto ionico durante l’arcontato di Euclide. Come ha osservato
BOLLANSÉE, FGrHistCont IV A 1, commento a 1005 F 5, pp. 155-157, tanto la versione eforea
(rispetto alla quale cfr. HESYCH. s.v. <Σαµίων ὁ δῆµος>, infra, p. s., nota 243) quanto quella
riferita da Androne risalirebbero a tradizioni locali, che accordavano ai Sami un ruolo cruciale
nella introduzione dell’alfabeto ionico nel mondo greco. Il racconto di Eforo — osserva sempre lo
studioso — attribuiva al samio Callistrato solo la diffusione dei nuovi caratteri nell’Attica e nel
Peloponneso, conformandosi all’idea dell’origine fenicia dell’alfabeto greco affermata da Erodoto
(V 58) e sostenuta dallo stesso storico cumano in F 105; la versione fornita da Androne, invece,
aderiva ad una tradizione più genuinamente locale e patriottica, che riconosceva nel proprio
concittadino il prw`to~ euJrethv~ delle ventiquattro lettere dell’alfabeto ionico, incurante della
vulgata erodotea accolta da Eforo.
240
Per la lista completa degli arconti del periodo 480/479- 302/301 cfr. SAMUEL 1972, p. 207.
241
Secondo BOLLANSÉE, FGrHistCont IV A 1, commento a 1005, Introduction, p. 133, e
commento a F 5, pp. 157-158, sarebbe stato Teopompo stesso il tramite del frammento di
Androne, la cui opera sembrerebbe non essere sopravvissuta alla prima età ellenistica.
242
Duride si riferisce alla guerra tra Atene e Samo combattuta tra il 441 e il 439, in seguito
all’intervento di Atene al fianco di Mileto, in conflitto con l’isola su Priene (THUC. I 115: peri;
Prihvnh~), e all’instaurazione forzata della democrazia a Samo (PLUTARCH., Per. 25). L’episodio
della marchiatura dei rispettivi prigionieri di guerra, con analoga spiegazione del significato della
parola samena e riferimento al verso aristofanesco dei Babilonesi oggetto del lemma foziano, si
trova anche in PLUTARCH., Per. 26 (cfr. infra, p. s., nota 244), che tramanda un altro frammento
aristotelico (fr. 8 della Sam. Pol.). Cfr. traduzione e commento del frammento durideo in
LANDUCCI GATTINONI 1997, pp. 228 ss.
117
 1) concessione della isopoliteia a degli schiavi a Samo, 2) scoperta delle lettere
dell’alfabeto ad opera di un samio, 3) marchiatura dei reciproci prigionieri di
guerra da parte di Sami e Ateniesi  e l’espressione sui molti segni del popolo
samio (Samivwn oJ dh'mo" <ejsti;n> wJ" polugravmmato").
L’eziologia proposta dallo Stagirita non ha altre attestazioni; quella che Fozio
attribuisce ad Androne è invece riportata, con qualche variante, anche da
Esichio243, che spiega l’aggettivo polugravmmato" del verso aristofanesco in
relazione al merito, di cui i Sami potevano far vanto, di aver utilizzato e diffuso
per primi le ventiquattro lettere dell’alfabeto ionico tra i Greci; l’interpretazione
duridea, infine, ricorre anche in PLUTARCH., Per. 26, 3-4244.
Alla luce di tali fonti, che attestano la diffusione indipendente delle eziologie
proposte da Androne e da Duride, si sarebbe indotti a credere che la lettura dei
vari eventi come altrettanti interpretamenta del verso aristofanesco risalga proprio
agli autori citati e non ad una fonte erudita più tarda, che potrebbe avere
semplicemente assemblato le diverse interpretazioni. A suggerirlo sarebbe anche
la prossimità cronologica degli stessi autori (Aristotele, Androne e Duride, attivi
tutti nel corso del IV secolo), che potrebbe indicare l’esistenza, nell’arco di un
periodo di tempo non molto esteso né eccessivamente distante dalla messa in
scena dei Babilonesi, di interpretazioni diverse sul significato dell’espressione
243
HESYCH. s.v. Samivwn oJ dh'mo": fhsiv ti" para; tw/' ≠Aristofavnei, tou;" ejk tou' mulw'no" ijdw;n
Babulwnivou": Samivwn oJ dh'mov" ejstin wJ" polugravmmato": kataplhttovmeno" th;n o[yin aujtw'n, kai;
ejpaporw'n. e[sti de; kai; eJtevra iJstoriva, di≠ h}n polugravmmaton e[fh dh'mon: ejpeidh; ïEllhvnwn Savmioi
polugravmmatoi ejlevgonto prw'toi kai; crhsavmenoi kai; diadovnte" eij" tou;" a[llou" ‹Ellhna" th;n
dia; tw'n tessavrwn kai; ei[kosi stoiceivwn crh'sin.
244
Nella Vita di Pericle di Plutarco si ritrova però un’inversione rispetto alla rubrica di Fozio,
poiché si afferma che i Sami avrebbero marchiato gli Ateniesi con una civetta e gli Ateniesi i
Sami con una samena, quasi che il tatuaggio apposto non fosse marchio di “proprietà” ma
piuttosto di “provenienza” (PLUTARCH., Per. 26, 3-4: OiJ de; Savmioi tou;~ aijcmalwvtou~ tw`n
≠Aqhnaivwn ajnqubrivzonte~ e[stizon eij~ to; mevtwpon glau`ka~: kai; ga;r ejkeivnou~ oiJ jAqhnai`oi
savmainan. JH de; savmaina na`u~ ejstin uJovprwro~ me;n to; sivmwma, koilotevra de; kai; gastroeidhv~,
w{ste kai; pontoporei`n kai; tacunautei`n. ou{tw d«wjnomavsqh dia; to; prw`ton ejn Savmw/ fanh`nai,
Polukravtou" turavnnou kataskeuavsanto~. Pro;~ tau`ta ta; stivgmata levgousi kai; to; jAristofavneion
h/jnivcqai: Samivwn oJ dh'mo" ejsti;n wJ" polugravmmato").
118
proverbiale utilizzata dal commediografo ateniese in riferimento ai Sami. È
pertanto possibile, sebbene non dimostrabile, che anche in questo luogo della
Samion Politeia, come in molti altri, lo Stagirita di fatto riportasse un modo di dire
originato dagli eventi storici che andava narrando.
Il termine polugravmmato", di cui il frammento di Aristofane costituisce la più
antica testimonianza245, è un composto piuttosto raro, attestato in opere
successive in riferimento a filosofi o poeti nel significato di “dotto, erudito” e
probabilmente dotato, nel testo dei Babilonesi, della duplice valenza che le stesse
fonti antiche raccolte da Fozio gli riconoscevano: “dai molti segni”, ossia
“marchiato”, com’era proprio degli schiavi fuggitivi o ribelli246, e “dalle molte
lettere”, ossia “dotto”, quale era riconosciuto il popolo che aveva mediato la
diffusione dell’alfabeto ionico in Grecia247. Nell’ipotesi che la Samion Politeia
ricordasse la concessione della isopoliteia a degli schiavi a Samo in cambio di
cinque stateri proprio in riferimento al verso aristofanesco, se ne dovrebbe
dedurre che Aristotele riconoscesse al vocabolo il primo dei due significati,
ovvero quello allusivo alla marchiatura degli schiavi. Naturalmente non si può
escludere che l’opuscolo riferisse anche altre possibili spiegazioni tanto del
termine quanto dell’intera espressione adoperata dal commediografo.
IMPERIO 1991, p. 164, ipotizza possa trattarsi proprio di un conio aristofanesco.
Tatuare gli schiavi fuggitivi o ribelli con un solo segno o anche con un’intera frase era pratica
comune, stando a quanto emerge dalle fonti: cfr. HERODAS V 27-28, 65-66, 78-79; ARISTOPH.,
Aves 760; EUPOL. F 259 K.; AESCHIN. II 79; Schol. in Aeschin. II 83.
247
ROSTAGNI 1925, pp. 465-493; IMPERIO 1991, p. 164, i quali interpretano il gioco linguistico
come allusivo alla condizione di oppressione e sudditanza in cui versavano gli alleati di Atene (al
pari dei sudditi dei Persiani), tra cui i dotti Sami. La medesima polivalenza assume il termine
litteratus in PLAUT. Cas. 401 in riferimento al dotto (e fuggitivo) schiavo Calino. Anche FOIS
1998, p. 116 e nota 23, ammette che Aristofane intendesse conferire al vocabolo entrambe le
accezioni; la studiosa tuttavia crede che i due significati del termine non fossero riferiti entrambi
ai Sami: polugravmmato~ «in senso concreto» sarebbe stato «detto dei Babilonesi che, in quanto
schiavi del Gran Re e  probabilmente  in quanto fuggitivi, recavano incisi numerosi
gravmmata sulle loro fronti, mentre in senso traslato» sarebbe stato «detto dei Samii, il popolo
“letterato” per eccellenza».
245
246
119
Il frammento aristotelico contiene la più antica attestazione del termine
ijsopoliteiva, comunemente utilizzato a partire dal III sec. a.C. per indicare un
«parziale diritto di cittadinanza, che poteva preludere al conferimento della
cittadinanza vera e propria»248, concesso da uno stato greco a singoli individui
(p.e. IG V 2,11 = SIG3 501) o ad intere comunità (p.e. IG V 2, 419 = SIG3 472).
L’uso del vocabolo nel frammento della Samion Politeia tradito da Fozio è stato
interpretato da alcuni studiosi come un anacronismo, forse ascrivibile alla fonte
tralatrice, in luogo del semplice politeiva249.
Secondo lo Stagirita, dunque, i Sami avrebbero concesso diritti di cittadinanza 
parziali o pieni, a seconda di se si interpreti il termine isopoliteia in senso proprio
oppure come variante anacronistica di politeia  a degli schiavi dietro pagamento
di cinque stateri; tale iniziativa sarebbe stata motivata dalla mancanza di cittadini
di pieno diritto (l. 4: spavnei tw'n politeuomevnwn), legata al regime oppressivo dei
tiranni (l. 4: kataponhqevnte" uJpo; tw'n turavnnwn).
L’episodio in questione è stato messo da V. Rose250 in relazione all’istituzione
della democrazia a Samo per intervento ateniese nell’estate del 441. Nelle poche
righe di commento apposte ai frammenti nell’Aristoteles Pseudepigraphus, lo
studioso suggerisce il confronto con PLUTARCH., Per. 26251, in cui il Cheronese,
come prima accennato252, nel narrare l’assedio ateniese di Samo, riporta l’episodio
della marchiatura dei reciproci prigionieri di guerra da parte di Ateniesi e Sami e
a tale vicenda riconduce il verso di Aristofane Samivwn oJ dh'mov" ejstin wJ"
polugravmmato". Il Cheronese, di fatto, propone del proverbio esattamente la
stessa eziologia che Fozio, nella rubrica in esame, attribuisce a non meglio
GUARDUCCI 1969 (vol. 2), p. 30, nota 2.
SZANTO 1892, p. 68; GAWANTKA 1975, p. 166, nota 7.
250
Rose 1863, 190, p. 523: “democratiae scil. tempore ab Atheniensibus institutae”.
251
PLUTARCH., Per. 26: pro;" tau'ta ta; stivgmata levgousi kai; to; ≠Aristofavneion h/jnivcqai: Samivwn
oJ dh'mov" ejstin wJ" polugravmmato".
252
Cfr. supra, p. 118 e nota 244.
248
249
120
identificati altri (ll. 11-14: OiJ de; o{ti ≠Aqhnai'oi me;n tou;" lhfqevnta" ejn polevmw
Samivou" e[stizon glauki; (...) to; de; plavsma Douvrido"), tra cui Duride.
È possibile che Rose, pur non facendone menzione, avesse presente il passo,
molto discusso, del terzo libro della Politica (1275b34-39), in cui Aristotele
sembrerebbe attribuire alla riforma clistenica l’iscrizione nelle tribù ateniesi 
ovvero la concessione dei diritti di cittadinanza  a meteci e schiavi253. In questa
prospettiva lo studioso potrebbe aver letto la notizia della “vendita” della
cittadinanza samia per cinque stateri, contenuta nella Samion Politeia, come un
fenomeno di allargamento del corpo civico a membri da esso esclusi, così
peculiare da essere, in certo senso, automaticamente riconducibile al sistema
democratico ateniese.
La lettura del frammento proposta da Rose, tuttavia, solleva qualche perplessità.
In primo luogo, il confronto del frammento aristotelico tradito da Fozio con
PLUTARCH., Per. 26, a prima vista indubbiamente stringente, in ultima analisi
sembra piuttosto fuorviante. Come già evidenziato, l’eziologia del proverbio
proposta da Plutarco, che mette in relazione l’espressione Samivwn oJ dh'mov" ejstin
wJ" polugravmmato" con le pratiche di marchiatura dei prigionieri messe in atto da
Ateniesi e Sami nel conflitto del 441-439, compare anche nella rubrica di Fozio,
che la attribuisce espressamente ad altri, fra cui Duride di Samo (ll. 11-14: OiJ de;
o{ti ≠Aqhnai'oi me;n tou;" lhfqevnta" ejn polevmw Samivou" e[stizon glauki; (...) to; de;
ARISTOT., Pol. III 1275b34-39: ajll’i[sw~ ejkei`no ma`llon e[cei ajporivan, o{soi metevscon
metabolh`~ genomevnh~ politeiva~, oi|on <a}> jAqhvnhsin ejpoivhse Kleisqevnh~ meta; th;n tw`n turavnnwn
ejkbolhv: pollou;~ ga;r ejfulevteuse xevnou~ kai; douvlou~ metoivkou~. to; d’ajmfisbhvthma tro;~ touvtou~
ejsti;n ouj tiv~ polivth~, ajlla; povteron ajdivkw~ h] dikaivw~. L’interpretazione del passo non è univoca,
anche perché la notizia che esso riporta non è altrimenti attestata (particolarmente rilevante la
sua assenza dall’Athenaion Politeia). Oggetto di discussione, precisamente, è l’esegesi
dell’espressione pollou;~ ga;r ejfulevteuse xevnou~ kai; douvlou~ metoivkou~, con particolare
riferimento all’identificazione dei soggetti cui Clistene avrebbe esteso i diritti di cittadinanza:
meteci sia di origine straniera che di origine servile per DE SANCTIS (ed. AMICO 2010), p. 140,
coloro che erano stati vittima del diayhfismov~ imposto dagli Spartani per il tramite di Isagora
subito dopo la cacciata dei tiranni (ARISTOT., Ath. Pol. 13, 5) secondo RHODES 1981, pp. 255 s. e
LORAUX 1996, pp. 1098-110.
253
121
plavsma Douvrido"), dopo avere elencato altre due diverse eziologie risalenti,
rispettivamente, ad Aristotele e ad Androne di Efeso: l’interpretazione plutarchea
e duridea del proverbio — che collega l’espressione Samivwn oJ dh'mov" ejstin wJ"
polugravmmato" alle pratiche di marchiatura dei prigionieri messe in atto da
Ateniesi e Sami nel conflitto del 441-439 —, dunque, stando alla rubrica foziana,
sarebbe “alternativa” a quella aristotelica — che riconduce invece il proverbio
alla concessione della cittadinanza samia a degli schiavi in un momento
imprecisato della storia dell’isola.
Nella prospettiva di Rose inoltre, che colloca le vicende ricordate nel frammento
nel contesto della guerra tra Samo e Atene del 441-439, non appare chiaro il
riferimento aristotelico al regime oppressivo dei tiranni (ll. 3-4: OiJ ga;r Savmioi,
kataponhqevnte" uJpo; tw'n turavnnwn ...) che avrebbe determinato la scarsità di
cittadini di pieno diritto (l. 4: spavnei tw'n politeuomevnwn) per compensare la
quale, in definitiva, i Sami avrebbero concesso la (iso)politeia agli schiavi (l. 5:
ejpevgrayan toi'" douvloi"...th;n ijsopoliteivan): l’ultimo tiranno a Samo era stato
infatti Teomestore, insediato dai Persiani per i meriti acquisiti durante la
battaglia di Salamina, in cui Samo era ancora alleata del Gran Re254.
Diversamente, proprio in relazione al regime tirannico del genos policrateo che
tenne la polis nel VI sec.  e più precisamente in rapporto al colpo di stato
operato da Silosonte con l’aiuto delle armi persiane  hanno letto il frammento
aristotelico H. Berve255 e V. La Bua256. Quest’ultimo, in particolare, ha visto nella
L’ingresso dell’isola nella Lega ellenica avvenne subito prima della battaglia presso capo
Micale. In seguito, membro autonomo della Lega delio-attica, fu retta con tutta probabilità da un
governo oligarchico, fino appunto all’intervento ateniese del 441 in relazione alla guerra tra la
polis isolana e Mileto per Priene, che portò, dopo due anni di scontri e un assedio di almeno otto
mesi, alla riduzione di Samo a membro tributario, oltre che all’abbattimento delle sue mura, alla
distruzione della flotta e al pagamento di una pesante indennità di guerra. Per un esame
dettagliato degli eventi qui sintetizzati cfr. SHIPLEY, 1987, pp. 103-119.
255
BERVE 1967, vol. II, p. 387.
256
LA BUA 1975 (2), pp. 51, 98 e nota 1.
254
122
concessione della cittadinanza agli schiavi uno degli strumenti adottati da
Silosonte per ripopolare l’isola, resa “deserta” dalla strage compiuta dagli uomini
del Gran Re. Le vicende, in buona parte aneddotiche, che portarono
all’instaurarsi di un rapporto di philia tra Silosonte e Dario e al successivo
intervento persiano a Samo in favore del futuro tiranno ci sono note grazie al
racconto erodoteo (III 139-149)257: secondo lo storico di Alicarnasso, qui
dipendente da fonti vicine al genos policrateo258, il satrapo Otane, che guidava
l’assedio, nonostante le raccomandazioni di segno opposto di Silosonte, avrebbe
sterminato i Sami e consegnato al neo-tiranno l’isola deserta di uomini (III 149: oiJ
Pevrsai parevdosan Sulosw`nti e[rhmon ejou`san ajndrw`n); lo stesso satrapo, in
seguito ad una malattia e ad una visione avuta in sogno, avrebbe poi provveduto a
ripopolare il luogo.
La strage perpetrata dai Persiani per instaurare il potere di Silosonte avrebbe
determinato la nascita  in ambienti ostili al fratello di Policrate o, più in
generale, a tutto il suo genos  di una tradizione259 che ascriveva al tiranno la
responsabilità dello spopolamento dell’isola, a cui è riconducibile l’espressione
proverbiale e{khti Sulosw`nto~ eujrucwrivh (ampio spazio per opera di Silosonte),
menzionata nella stessa Samion Politeia260.
Quanto alla notizia del ripopolamento di Samo per iniziativa di Otane, La Bua261
ipotizza che possa essere derivata da una richiesta di coloni al satrapo da parte di
Silosonte; quest’ultimo, acquisito il potere, avrebbe provveduto a ripopolare
Cfr. supra pp. 111 e ss. e nota 225.
LA BUA 1975 (2) , pp. 50 ss. e 1978, pp. 15 ss.
259
Secondo V. La Bua, tale tradizione risalirebbe allo storico samio Euagon, che avrebbe a sua
volta tratto l’espressione ostile e{khti Sulosw'nto" eujrucwrivh da un componimento di Anacreonte.
Sulla questione cfr. supra, commento al fr. 6, pp. 109 e ss. (in particolare p. 112) e bibliografia ivi
citata.
260
Sam. Pol., fr. 6 e Exc. Pol. 34 ll. 22-23 Dilts (cfr. supra, p. 112 e nota 231).
261
LA BUA 1975 (2), pp. 51, 98 e nota 1.
257
258
123
l’isola in prima persona, richiamando coloni sami, ricorrendo all’aiuto di Otane
e, infine, concedendo i diritti civili agli schiavi dietro pagamento.
Posta l’impossibilità di giungere a conclusioni dimostrabili in merito al contesto
originario del frammento aristotelico in esame, è sicuramente da prendere in
considerazione, sulla base della lettura di La Bua, l’ipotesi di una successione dei
frr. 6 (l’espressione proverbiale sorta dallo spopolamento di Samo causato dal
regime tirannico di Silosonte) e 7 (la concessione della isopoliteia agli schiavi a
causa della mancanza di cittadini dovuta ai tiranni): in questa prospettiva, il
riferimento da parte dello Stagirita al popolo samio come polygrammatos si sarebbe
trovata nell’ambito di una sezione relativa alla tirannide del genos policrateo e ai
cambiamenti istituzionali ad essa connessi.
In particolare, nell’immagine della concessione della cittadinanza agli schiavi in
cambio di denaro, indotta dalla scarsità di cittadini di pieno diritto, sembrerebbe
di poter scorgere le tracce di un allargamento del corpo civico (o, meglio, di una
sua ridefinizione, con esclusione di alcuni e inclusione ex-novo di altri) su basi
censitarie; tale iniziativa potrebbe essere stata deformata da una tradizione ostile
di stampo aristocratico, che avrebbe additato i neo-cittadini come ex-schiavi e
attribuito all’intero popolo samio l’epiteto ingiurioso di polygrammatos, in quanto
costituito in larga parte da schiavi affrancati. Tale tradizione potrebbe risalire ad
una fonte samia avversa al genos di Policrate, come il già citato Euagon (da cui
dipende probabilmente più di un frammento della Samion Politeia) o un fuoruscito
dalla polis al tempo della instaurazione della tirannide (come Pitagora): questa
seconda ipotesi spiegherebbe, del resto, anche la prospettiva ostile al demos samio
nel suo complesso che sembrerebbe all’origine dell’interpretazione aristotelica
dell’espressione Samivwn oJ dh'mov" ejstin wJ" polugravmmato".
124
Fr. 8 (577 Rose; 594 Gigon) — PLUTARCH., Per. 26: ‹Ama de; th/' nivkh/ kai; th/'
diwvxei tou' limevno" krathvsa", ejpoliovrkei tou;" Samivou", aJmw'" gev pw" e[ti
3
tolmw'nta" ejpexievnai kai; diamavcesqai pro; tou' teivcou". ejpei; de; meivzwn e{tero"
stovlo" h\lqen ejk tw'n ≠Aqhnw'n kai; pantelw'" katekleivsqhsan oiJ Savmioi, labw;n oJ
Periklh'" eJxhvkonta trihvrei" e[pleusen eij" to;n e[xw povnton, wJ" me;n oiJ plei'stoi
6
levgousi, Foinissw'n new'n ejpikouvrwn toi'" Samivoi" prosferomevnwn ajpanth'sai kai;
diagwnivsasqai porrwtavtw boulovmeno", wJ" de; Sthsivmbroto", ejpi; Kuvpron
stellovmeno": o{per ouj dokei' piqano;n ei\nai. oJpotevrw/ d≠ ou\n ejcrhvsato tw'n
9
logismw'n, aJmartei'n e[doxe. pleuvsanto" ga;r aujtou', Mevlisso" oJ ≠Iqagevnou", ajnh;r
filovsofo" strathgw'n tovte th'" Savmou, katafronhvsa" th'" ojligovthto" tw'n new'n
kai; th'" ajpeiriva" tw'n strathgw'n, e[peise tou;" polivta" ejpiqevsqai toi'" ≠Aqhnaivoi",
12
kai; genomevnh" mavch" nikhvsante" oiJ Savmioi kai; pollou;" me;n aujtw'n a[ndra"
eJlovnte", polla;" de; nau'" diafqeivrante", ejcrw'nto th/' qalavssh/ kai; paretivqento
tw'n ajnagkaivwn pro;" to;n povlemon o{sa mh; provteron ei\con. uJ p o; de; tou'
15
Meliv s sou kai; Periklev a fhsi; n auj t o; n ≠Aristotev l h" hJ t thqh' n ai
naumacou' n ta prov t eron. oiJ de; Savmioi tou;" aijcmalwvtou" tw'n ≠Aqhnaivwn
ajnqubrivzonte" e[stizon eij" to; mevtwpon glau'ka": kai; ga;r ejkeivnou" oiJ ≠Aqhnai'oi
18
savmainan. hJ de; savmaina nau'" ejstin uJovprwro" me;n to; sivmwma, koilotevra de; kai;
gastroeidhv", w{ste kai; fortoforei'n kai; tacunautei'n. ou{tw d≠wjnomavsqh dia; to;
prw'ton ejn Savmw/ fanh'nai, Polukravtou" Ãtou'¤ turavnnou kataskeuavsanto". pro;"
21
tau'ta ta; stivgmata levgousi kai; to; ≠Aristofavneion h/jnivcqai: Samivwn oJ dh'mov"
ejstin wJ" polugravmmato".
Thuc. I 116,2-117,1; Diod. XII 27,4-28,1
7-8 Stesimbr., FGrHist 107 F 8
16-17 Aelian.,
Var. Hist. II 9, 5
cfr. Photius s.v. Samivwn oJ dh'mo" ejsti;n wJ" polugravmmato"
20-21
Aristoph., fr. 71 Kassel-Austin
8-9 to;n logismo;n U
11 kai; Amyot, Coraes : h] codd.
12-13
ajpopleuvsanto~ Cobet
16 tw`n om. Y
18
polla;" me;n aujtavndrou~ eJlovnte" nau`~, polla;" de; diafqeivrante" Reiske
uJovprwro" Coraes, Ziegler : uJpovprwro" codd.
koilotevra codd., Ziegler : kukloterh;~ Hartman
19 fortoforei'n Coraes, Ziegler : pontoporei'n codd.
20 tou' coni. Blass
Ottenuto il controllo del porto in seguito alla vittoria e al contestuale inseguimento dei
nemici, (scil. Pericle) cingeva d’assedio i Sami, che ancora ardivano in ogni modo uscire
125
a combattere davanti alle mura. Dopo che giunse da Atene un’altra flotta più grande e i
Sami furono circondati da ogni lato, Pericle, prese sessanta triremi, navigò verso il mare
aperto, come affermano i più, allo scopo di avanzare contro le navi fenicie che stavano
portando aiuto ai Sami e di attaccare battaglia molto lontano (dalla costa); secondo
Stesimbroto, invece, con l’intenzione di andare a Cipro, la qual cosa non mi pare
convincente. Qualunque ragionamento egli avesse fatto, sembra che abbia commesso un
errore. Infatti, non appena egli prese il largo, Melisso figlio di Itagene, un filosofo che
allora era stratego di Samo, valutando con sprezzo lo scarso numero delle navi o
l’inesperienza degli strateghi, persuase i cittadini ad attaccare gli Ateniesi. Una volta
scoppiata la battaglia, i Sami, risultati vincitori, catturati molti prigionieri ateniesi e
distrutte molte navi, si resero padroni262 del mare e si procuravano quanto di necessario
alla guerra prima non avevano. A r i s t o t e l e d i c e c h e a n c h e P e r i c l e s t e s s o i n
precedenza era stato sconfitto da Melisso in una battaglia navale.
I Sami presero a marchiare i prigionieri ateniesi con delle civette sul volto, ricambiando
un oltraggio subito: infatti gli Ateniesi lo avevano fatto a loro con una samena. La
samena è una nave con la prua a forma di grugno nella curvatura verso l’alto, ma
piuttosto concava e panciuta, in modo da essere in grado di trasportare grossi carichi e di
navigare velocemente. Fu chiamata così perché apparve per la prima volta a Samo,
essendo stato il tiranno Policrate a farla allestire. A tali marchi dicono alluda
enigmaticamente il verso di Aristofane: «Il popolo samio è “polygrammatos”».
Commento infra, pp. 128 e ss.
262
Per la traduzione del verbo ejcrw'nto cfr. SANTONI 1991, p. 205.
126
Fr. 9 (578 Rose; 595 Gigon) — PLUTARCH., Per. 28, 1-3:≠Enavtw/ de; mhni; tw'n
Samivwn parastavntwn, oJ Periklh'" ta; teivch kaqei'le kai; ta;" nau'" parevlabe kai;
3
crhvmasi polloi`~ ejzhmivwsen, w|n ta; me;n eujquv~ eijshvnegkan oiJ Savmioi, ta; d≠ ejn
crovnw/ rJhtw/' taxavmenoi katoivsein oJmhvrou" e[dwkan. Dou' r i" d≠ oJ Sav m io"
touv t oi" ej p itragw/ d ei' , pollh; n wj m ov t hta tw' n ≠Aqhnaiv w n kai; tou'
6
Periklev o u"
kathgorw' n ,
h} n
ou[ t e
Qoukudiv d h"
iJ s tov r hken
ou[ t ≠
fiEforo" ou[ t ≠ ≠Aristotev l h": ajll≠ oujd≠ ajlhqeuvein e[oiken, wJ" a[ra tou;"
trihravrcou" kai; tou;" ejpibavta" tw'n Samivwn eij" th;n Milhsivwn ajgora;n katagagw;n
9
kai; sanivsi prosdhvsa" ejf≠ hJmevra" devka kakw'" h[dh diakeimevnou" prosevtaxen
ajnelei'n, xuvloi" ta;" kefala;" sugkovyanta", ei\ta probalei'n ajkhvdeuta ta; swvmata.
Dou'ri" me;n ou\n oujd≠o{pou mhde;n aujtw/' provsestin i[dion pavqo" eijwqw;" kratei'n th;n
12
dihvghsin ejpi; th'" ajlhqeiva", ma'llon e[oiken ejntau'qa deinw'sai ta;" th'" patrivdo"
sumfora;" ejpi; diabolh/' tw'n ≠Aqhnaivwn.
Cfr. Thuc. I 117,3; Diod. XII 28,3-4
194-195
3 h[negkan Y
d≠ ejn Y : de; S
4-6 Dur., FGrHist 76 F 67
7 ajlhqevsin S
8 ajgagw;n Y
6-7 Ephor., FGrHist 70 FF
9 hJmevrai" Y
Quando, dopo otto mesi, i Sami si arresero, Pericle fece abbattere le mura, si impadronì
delle navi e inflisse una grossa ammenda, di cui i Sami versarono subito una parte; per
la parte restante, invece, diedero degli ostaggi, stabilendo che l’avrebbero pagata entro
un tempo fissato. D u r i d e
di
Samo
drammatizza
questi
eventi,
accusando gli Ateniesi e Pericle di una grande crudeltà, che né
T u c i d i d e n é E f o r o n é A r i s t o t e l e a t t e s t a n o : non sembra che dica la verità
quando afferma che, avendo condotto i trierarchi e i marinai sami nella piazza di Mileto
e avendoli legati a una tavola di legno, quando ormai erano lì giacenti da dieci giorni
ordinò di ammazzarli decapitandoli con le spade e, ancora, di gettarne i corpi insepolti.
Duride, che non è avvezzo ad improntare la narrazione a verità neppure quando non ha
127
interessi personali, in questa circostanza pare verosimile che abbia amplificato le
sventure della sua patria su una calunnia degli Ateniesi.
I capitoli 25-28 della Vita di Pericle di Plutarco riportano la narrazione della
guerra fra Atene e Samo degli anni 441-439, per la quale il biografo segue da
vicino il racconto tucidideo di I 115-117263, arricchendolo di citazioni da altre
fonti relative a specifici aspetti e/o episodi del conflitto: Stesimbroto di Taso
(FGrHist 107 F 8), Eforo di Cuma (FGrHist 70 F 194), Eraclide Pontico (fr. 60
Wehrli = fr. 45 Schütrumpf), Duride di Samo (FGrHist 76 F 67) e — con due
distinte menzioni, entrambe prive di espliciti riferimenti all’opera da cui attinge
— Aristotele (frr. 8 e 9).
Lo Stagirita è fonte frequentemente utilizzata da Plutarco nella stesura delle Vite;
nella Vita di Pericle, in particolare, il Cheronese lo cita espressamente altre due
volte (9, 2; 10, 8), senza mai riferire il nome dell’opera consultata, che viene
identificata dagli studiosi nell’Athenaion Politeia: a 9, 2 Aristotele viene
menzionato in relazione alla introduzione dei misthoi ad opera dello statista
ateniese su suggerimento di Damone (Ath. Pol. 27, 4)264, quale strumento per
ottenere il favore del popolo e competere, a spese dello Stato, con la munificenza
esercitata da Cimone con i propri beni; a 10, 8 egli viene citato in merito alle
dinamiche dell’uccisione di Efialte (Ath. Pol. 25, 4)265.
Tornando alle due citazioni aristoteliche comprese nei capitoli 25-28 della
biografia plutarchea — i frr. 8 e 9 oggetto di questo commento —, si è ritenuto
STADTER 1989, p. LXI.
ARISTOT., Ath. Pol. 27, 4: Trevpetai (oJ Periklh`~) pro;~ th;n tw`n dhmosivwn dianomhvn,
sumbouleuvsanto~ aujtw/̀ Damwnivdou tou` Oi[hqen, wJ~ jAristotevlh~ iJstovrhken.
265
ARISTOT., Ath. Pol. 25, 4: jEfiavlthn me;n ou\n fobero;n o[nta toi`~ ojligarcikoi`~ kai; peri; ta;~
eujquvna~ kai; diwvxei~ tw`n to;n dh`mon ajdikouvntwn ajparaivthton ejpibouleuvsante~ oiJ ejcqroi; di j
jAristodivkou tou` Tanagrikou` krufaivw~ ajnei`lon, wJ~ jAristotevlh~ ei[rhken.
263
264
128
opportuno esaminarle insieme, in virtù del contenuto che tramandano e della
loro prossimità all’interno del lavoro del Cheronese, e formulare, solo al termine,
un’ipotesi di ricontestualizzazione.
[Fr. 8] Secondo il racconto plutarcheo, il conflitto fra Samo e Atene, esploso in
seguito all’intervento della polis egemone al fianco di Mileto, in guerra con l’isola
per Priene (PLUTARCH., Per. 25,1: AiJ ga;r povlei~ ejpolevmoun to;n peri; Prihvnh~
povlemon; cfr. THUC. I 115), avrebbe visto dapprima l’instaurazione forzata della
democrazia a Samo e il ritiro delle truppe ateniesi, in seguito la rivolta degli
oligarchi sami, finanziati dal satrapo Pissutne, e la ripresa degli scontri: dopo aver
conseguito una vittoria navale nei pressi dell’isola di Traghie, Pericle, cinta
d’assedio la città di Samo, si sarebbe allontanato a capo di sessanta triremi allo
scopo di affrontare in mare aperto la flotta fenicia (ll. 4-6), del cui arrivo in
soccorso degli isolani gli era giunta notizia; approfittando della sua assenza, il
filosofo samio Melisso, sul posto in funzioni di stratego, avrebbe attaccato
battaglia ed ottenuto un’importante vittoria navale (ll. 9-15), in seguito alla
quale i Sami, in sfregio ai nemici sconfitti, ne avrebbero marchiato i prigionieri
con il simbolo della civetta266.
Nel contesto di tale narrazione, che ricalca fedelmente gli analoghi capitoli
tucididei, il Cheronese inserisce le testimonianze di Stesimbroto di Taso267 e di
Aristotele in merito a due dettagli divergenti dal racconto di Tucidide.
La testimonianza plutarchea è in disaccordo con quella duridea (FGrHist 76 F 66) tradita da
PHOTIUS s.v. Samivwn oJ dh'mo" <ejsti;n> wJ" polugravmmato" e con AELIAN., Var. Hist. II 9, secondo
le quali i Sami avrebbero marchiato i prigionieri ateniesi con una samena e gli Ateniesi i Sami
con una civetta. Gli studiosi concordano nel ritenere il Cheronese in errore nell’aver invertito i
rispettivi contrassegni: la marchiatura, infatti, avrebbe lo scopo di segnalare la “proprietà” sulla
persona dello schiavo, non la sua “provenienza”. Cfr. MICHELAZZO 1982, p. 36; JONES 1987, pp.
149-150; STADTER 1989, pp. 249-250; LANDUCCI GATTINONI 1997, p. 231, nota 30.
267
Stesimbroto di Taso, noto ai suoi contemporanei soprattutto in qualità di rapsodo, fu autore di
un’opera di carattere storico-biografico Su Temistocle, Tucidide e Pericle, di uno scritto Sui Misteri e
di trattati di Interpretazione omerica. Sul profilo del personaggio cfr. VANOTTI 2010, pp. 129-162.
Sulla natura dello scritto Su Temistocle, Tucidide e Pericle, oggetto di un ampio dibattito,
266
129
Secondo lo scrittore tasio (FGrHist 107 F 8)268, Pericle dopo la vittoria di Traghie
si sarebbe allontanato da Samo non per sventare il pericolo della flotta fenicia
bensì per muovere alla volta di Cipro269, compiendo in tal modo un grave errore
strategico; il Cheronese sembra riportare tale notizia quasi per solo spirito di
completezza — quale unica voce contraria alla vulgata (ll. 5-6: wJ" me;n oiJ plei'stoi
levgousi) sulla funzione anti-fenicia dell’iniziativa periclea —, mostrando tuttavia
di non ritenerla degna di fede (l. 8: o{per ouj dokei' piqano;n ei\nai), come del resto
fa molto spesso con l’opera di Stesimbroto270.
Alla testimonianza aristotelica Plutarco fa invece ricorso a proposito della vittoria
conseguita dalla flotta samia guidata da Melisso durante l’assenza di Pericle: lo
Stagirita è citato quale fonte della notizia, priva di ulteriori riscontri nelle fonti,
su una precedente sconfitta subita da Pericle stesso contro lo stratego samio (ll.
inaugurato da WILAMOWITZ-MOELLENDORF 1877, pp. 361-367, che lo intendeva come un
pamphlet antimperialista, e proseguito nel XX secolo da JACOBY, FGrHist II B Kommentar, pp. 343344, che ha abbracciato le tesi di Wilamowitz, da MOMIGLIANO 1974, p. 31, e MEISTER 1978, pp.
293-294, che hanno sostenuto il carattere più propriamente “proto-biografico” dello scritto, e da
COLETTI 1975 e TSAKMAKIS 1995, che ne hanno sottolineato il valore storico, cfr. bibliografia
completa in ENGELS, FGrHistCont IV A 1, commento a 1002 T 1-5, pp. 50-59, che ha evidenziato
i rischi insiti nei tentativi di ascrivere ad uno specifico genere letterario l’opera del Tasio,
composta in un’epoca — la seconda metà del V secolo — in cui i generi non erano stati ancora
oggetto di precisa codificazione. Ugualmente discussa la prospettiva ideologica di Stesimbroto,
tradizionalmente considerato voce ostile all’imperialismo ateniese (cfr., tra gli altri, MAZZARINO
1974, p. 86; BANFI 2003, pp. 45-71), ipotesi contro la quale si sono espressi POUILLOUX 1954, p.
93 nota 5; PLEKET 1963. Per una sintesi dei molteplici problemi sollevati dai frammenti del Tasio,
con bibliografia completa e aggiornata e una nuova apertura alla possibilità che Stesimbroto non
assumesse nei suoi scritti una prospettiva avversa alla talassocrazia ateniese e ai leader politici che
ne furono i fautori, cfr. VANOTTI 2011, pp. 61-87.
268
Come sottolinea JACOBY, FGrHist II B Kommentar, p. 348, la sconfitta subita dalla flotta
ateniese a Samo in assenza di Pericle dovette dar luogo ad un dibattito ad Atene, generato dal
fatto che l’allontanamento dello stratego doveva apparire la causa principale della disfatta.
Nell’ambito di tale dibattito gli oppositori di Pericle potrebbero aver utilizzato come argomento
contro lo statista il fatto che la flotta fenicia non fosse effettivamente giunta nelle acque di Samo.
269
Si sono espressi in favore della possibile fondatezza della versione di Stesimbroto, circa una
spedizione periclea a Cipro durante l’assedio samio del 440/439, nella scia di un interesse ateniese
per l’isola dimostrato da ripetuti tentativi di occupazione nel corso del V secolo, CORBETTA 1977,
PRANDI 1985, p. 55.
270
STESIMBR., FGrHist 107 (= FGrHistCont 1002) F 1 = PLUTARCH., Them. II, 5-6; F 3 =
PLUTARCH., Them. XXIV 6-XXV 1; F 10b = PLUTARCH., Per. XIII 15-16.
130
14-16: uJpo; de; tou' Melivssou kai; Perikleva fhsi;n aujto;n ≠Aristotevlh" hJtthqh'nai
naumacou'nta provteron).
Come già osservato, nel passo non si riferisce il titolo dell’opera aristotelica da cui
l’informazione è tratta; il frammento, tuttavia, è stato attribuito alla Samion
Politeia da pressoché tutti gli studiosi271 che se ne sono occupati, presumibilmente
in virtù della specificità del contenuto che esso tramanda, difficilmente
ascrivibile a un altro scritto del corpus aristotelico (se non alla Athenaion Politeia,
dalla quale però siamo in grado di escluderne la provenienza).
La notizia della vittoria ottenuta da Melisso contro Pericle non è altrimenti
attestata. A uno scontro tra i due Plutarco allude anche in Them. 2, 5272 ma in
modo solo cursorio: per confutare l’affermazione di Stesimbroto in merito al
presunto rapporto di discepolato tra Temistocle e i filosofi Anassagora e Melisso,
il Cheronese ne evidenzia l’impossibilità sul piano cronologico, precisando che
Melisso ricoprì l’incarico di stratego contro Pericle — che, aggiunge per inciso il
biografo, era molto più giovane di Temistocle —, quando questi assediò Samo
(Periklei`
gavr,
o}~
polu;
newvtero~
h\n
Qemistoklevou~,
Mevlisso~
me;n
ajntestrathvgei poliorkou`nti Samivou~). Considerato il contesto non direttamente
pertinente alle vicende del 440, il riferimento alla contrapposizione tra i due
strateghi risulta estremamente generico e non può pertanto essere addotto a
ulteriore testimonianza dello scontro diretto tra i due ricordato da Aristotele.
Ancor più vaga la notizia riportata sotto la voce Mevlhto~273 del lessico Suda, che
Il frammento è classificato nella Samion Politeia sia da V. Rose (fr. 577) che da O. Gigon (fr.
594); tale classificazione non risulta essere mai stata messa in discussione.
272
PLUTARCH., Them. 2, 5: kaivtoi Sthsivmbroto~ (FGrHist 107 F 1) jAnaxagovrou te diakou`sai to;n
Qemistokleva fhsi; kai; peri; Mevlisson spoudavsai to;n fusikovn, oujk eu\ tw`n crovnwn aJptovmeno~:
Periklei` gavr, o}~ polu; newvtero~ h\n Qemistoklevou~, Mevlisso~ me;n ajntestrathvgei poliorkou`nti
Samivou~.
273
<Mevlhto~> (...) kai; h\n ejpi; tw`n Zhvnwno~ tou` jEleavtou kai; jEmpedoklevou~ crovnwn. Ou|to~
e[graye peri; tou` o[nto~ kai; ajntepoliteuvsato de; Periklei`: kai; uJpevr Samivwn strathghvsa~
ejnaumavchse pro;~ Sofoklh`n to;n tragikovn, jOlumpiavdi pd v.
271
131
allude ad una generica opposizione politica di un tal Meleto (forse identificabile
con il samio Melisso274) a Pericle (ajntepoliteuvsato de; Periklei) e ad una sua
battaglia navale, in qualità di stratego dei Sami, contro il tragediografo Sofocle,
che sappiamo anche dall’Argomento dell’Antigone275 aver ricoperto la strategia
nell’assedio di Samo.
In assenza di riscontri nelle fonti, P. Stadter276, nel suo commento alla Vita di
Pericle, ha ipotizzato che all’origine della notizia riportata da Aristotele possa
esserci una tradizione samia relativa alla battaglia di Traghie, che Plutarco stesso
ricorda come una vittoria ateniese: secondo lo studioso, gli storici sami da cui lo
Stagirita dipenderebbe (storici che non abbiamo elementi per identificare)
potrebbero aver raccontato la medesima battaglia navale come una vittoria
conseguita dai propri concittadini; ciò sarebbe stato possibile in virtù del fatto
che i Sami sconfitti riuscirono a tornare incolumi da Mileto. Peraltro, che nella
Samion Politeia trovassero spazio vicende che ebbero per protagonista Melisso
sarebbe cosa plausibile, visto l’interesse certamente destato in Aristotele dal
personaggio, frequentemente menzionato nelle opere filosofiche dello Stagirita.
[Fr. 9] Dopo aver narrato le dinamiche della vittoria ottenuta dai Sami di
Melisso in assenza di Pericle, Plutarco prosegue il suo racconto celebrando la
reazione tempestiva dello stratego ateniese alla notizia della disfatta: rientrato
prontamente a Samo, Pericle avrebbe sconfitto e volto in fuga il nemico e cinto
d’assedio la città, utilizzando — secondo la testimonianza eforea (FGrHist 70 F
194), che il Cheronese stesso ci dice smentita da Eraclide Pontico (fr. 60 Wehrli
Cfr. STADTER 1989, p. 248.
ARISTOPH. GRAMM., Hypoth. in Antig.: jAristofavnou~ grammatikou`. (...) fasi; de; to;n
Sofokleva hjxiw`sqai th`~ ejn Savmw/ strathgiva~, eujdokimhvsanta ejn th/̀ didaskaliva/ th`~ jAntigovnh~.
276
STADTER 1989, p. 249: «Samian sources may have thought the battle at Tragia a victory, as the
Samians were able to return safely from Miletus to Samos».
274
275
132
= fr. 45 Schütrumpf) — le macchine da guerra inventate da Artemone. Secondo
il resoconto plutarcheo, ancora dipendente da Tucidide, le condizioni della pace,
sopravvenuta per la resa dei Sami dopo otto mesi di assedio, avrebbero previsto
l’abbattimento delle mura, la cessione della flotta agli Ateniesi e il pagamento in
due tranche di una pesante indennità di guerra277.
Prima di concludere il capitolo dedicato alla rivolta di Samo e passare alle
successive iniziative intraprese da Pericle in politica estera, Plutarco riferisce la
notizia, attestata da Duride di Samo (FGrHist 76 F 67278), secondo la quale al
termine della guerra gli Ateniesi avrebbero torturato e ucciso trierarchi e marinai
sami nella piazza di Mileto, arrivando a vietarne la sepoltura formale (ll. 7-10: wJ"
a[ra tou;" trihravrcou" kai; tou;" ejpibavta" ... ei\ta probalei'n ajkhvdeuta ta;
swvmata); a questo proposito il Cheronese sottolinea come né Tucidide né Eforo
né Aristotele attestino tali crudeltà279 (ll. 4-7: Dou'ri" d≠ oJ Savmio" touvtoi"
ejpitragw/dei', pollh;n wjmovthta tw'n ≠Aqhnaivwn kai; tou' Periklevou" kathgorw'n, h}n
ou[te Qoukudivdh" iJstovrhken ou[t≠ fiEforo" ou[t≠ ≠Aristotevlh"). Plutarco dunque,
che dice espressamente di non riconoscere veridicità al racconto dello storico
Abbattimento delle mura e distruzione della flotta delle città sconfitte erano le misure punitive
usualmente attuate dagli Ateniesi. Per una raccolta delle fonti in proposito cfr. STADTER 1989, p.
256. Sull’ammontare dell’indennità alcune fonti letterarie (ISOC. XV 111; DIOD. XII 28, 3;
NEPOS, Timotheus I) parlano di 1200 talenti, somma quasi equivalente al costo dell’intera guerra,
attestato da un’iscrizione (IG I3 363 = ML 55) in circa 1400 talenti. Sulla questione cfr. FORNARA
1979, pp. 7-19 e ATL III, pp. 4-35, che suggeriscono l’ipotesi — rifiutata da STADTER 1989, p.
256 — di un pagamento rateizzato di 50 talenti per ventisei anni.
278
Per un commento al frammento durideo cfr. LANDUCCI GATTINONI 1997, pp. 228 e ss.: la
studiosa ritiene che il racconto di Duride, espressione di tradizioni locali anti-ateniesi e dunque
alternativo alla versione di Tucidide, testimoni comportamenti ateniesi nei confronti degli alleati
«che furono volutamente oscurati dalla storiografia filo-periclea» e che furono già oggetto di aspre
critiche da parte degli oppositori di Pericle nell’Atene del V sec., come si evince soprattutto dalla
produzione comica di Aristofane. Quanto all’atteggiamento di Plutarco nei confronti di Duride, la
studiosa ipotizza che il biografo, pur mostrandosi critico nei confronti di certe esagerazioni
duridee, di fatto segua proprio il testo dello storico samio come base per la narrazione del conflitto
fra l’isola e Atene degli anni 441-439.
279
STADTER 1989, p. 258, vede nell’affermazione plutarchea sull’assenza dell’episodio attestato da
Duride nelle opere di Tucidide, Eforo ed Aristotele la spia di una lettura diretta degli autori in
questione da parte del Cheronese.
277
133
samio (l. 7: ajll≠ oujd≠ ajlhqeuvein e[oiken), utilizza il silenzio delle altre fonti, fra cui
appunto lo Stagirita, come argomento contro l’attendibilità di Duride, che
avrebbe esagerato le sofferenze dei propri concittadini per spirito di parte nonché
per la consueta tendenza alla drammatizzazione tragica degli eventi (ll. 11-13:
Dou'ri" me;n ou\n oujd≠o{pou mhde;n aujtw/' provsestin i[dion pavqo" eijwqw;" kratei'n th;n
dihvghsin ejpi; th'" ajlhqeiva", ma'llon e[oiken ejntau'qa deinw'sai ta;" th'" patrivdo"
sumfora;" ejpi; diabolh/' tw'n≠Aqhnaivwn).
Anche in questo caso, come in quello del fr. 8, la menzione di Aristotele nel
contesto della narrazione della guerra fra Atene e Samo ha indotto gli studiosi a
riconoscervi in modo unanime un riferimento alla Samion Politeia, ossia la sola
opera in cui lo Stagirita potrebbe aver trattato tali temi.
La natura del testo in questione appare piuttosto peculiare: Plutarco in effetti non
riporta propriamente un passo, più o meno rielaborato, dell’opuscolo aristotelico
ma si limita ad attestare il silenzio dello Stagirita su uno specifico episodio; in tal
modo, egli allude al contenuto dello scritto cui si riferisce (presumibilmente la
Samion Politeia), attestando che al suo interno Aristotele
1) si era occupato della rivolta di Samo,
2) non aveva attribuito agli Ateniesi atti di particolare crudeltà.
Considerato inoltre il modus operandi di Plutarco nei capitoli della Vita di Pericle
esaminati — in cui si è osservata la tendenza del Cheronese a citare altre fonti,
tra cui Aristotele, solo qualora esse si discostassero dal racconto di Tucidide — si
può forse supporre che la versione degli eventi finali della guerra seguita dallo
Stagirita non presentasse rilevanti punti di distanza dallo sviluppo delle vicende
delineato nei paralleli capitoli tucididei: ipotesi, questa, che purtroppo però non
appare in alcun modo dimostrabile.
134
Nel complesso i frr. 8 e 9 sembrerebbero essere parte di un’unica sezione della
Samion Politeia, di ampiezza non definibile, relativa al conflitto che vide
l’intromissione ateniese in vicende locali delle città ioniche — la guerra tra Samo
e Mileto su Priene, dovuta a ragioni che a noi sfuggono, forse individuabili nelle
storiche contese territoriali tra le tre poleis280 —, l’instaurazione forzata di un
regime democratico a Samo, la successiva rivolta degli oligarchi sami e l’assedio
ateniese che vi pose fine281.
A proposito della contesa territoriale plurisecolare che vide Samo e Priene in contrasto per il
controllo dell’area al confine tra le perea samia e la chora prienese, cfr. supra commento al fr. 4,
pp. 83 e ss. (in particolare pp. 87-97), e bibliografia ivi citata.
281
È tuttora discussa la forma di governo che Samo dovette assumere al termine della guerra.
Diodoro (XII 28, 4) afferma che Pericle ripristinò la democrazia, tuttavia da Tucidide (VIII 21),
che tace su quest’aspetto, apprendiamo che nell’estate del 412 un colpo di stato democratico
abbatté il regime oligarchico in vigore: ci si domanda, pertanto, se l’informazione riportata da
Diodoro sia infondata o se, piuttosto, si debba ipotizzare un ulteriore mutamento costituzionale,
non attestato dalle fonti, nel periodo compreso fra il 439 e il 412. Per un’analisi puntuale del
problema e per un quadro d’insieme delle vicende belliche cfr. SHIPLEY 1987, pp. 113-122.
280
135
Fr. 10 (572 Rose; 590 Gigon) — AELIAN., Nat. An. XII 40: Timw'si de; a[ra
Delfoi; me;n luvkon, Savmioi de; provbaton, ≠Amprakiw'taiv ge mh;n to; zw/'on th;n
3
levainan: ta; de; ai[tia th'" eJkavstou timh'" eijpei'n oujk e[stin e[xw th'sde th'"
spoudh'". Delfoi'" me;n crusivon iJero;n sesulhmevnon kai; ejn tw/' Parnasw/'
katorwrugmevnon ajnivcneuse luvko", S a m i v o i "
6
crusivon
klape;n
provbaton
de;
kai;
ajneu're,
aujtoi'"
kai;
toiou'to
ejnteu'qen
Mandrovboulo" oJ Savmio" th/' ‹Hra/ provbaton ajnavqhma ajnh'ye:
kai; to; me;n Polevmwn levgei to; provteron, t o ;
9
de;
≠Aristotevlh"
to;
d e u v t e r o n . ≠Amprakiw'tai dev, ejpei; to;n tuvrannon aujtw'n Fau?lon diespavsato
levaina, timw'si to; zw/'on ai[tion aujtoi'" ejleuqeriva" gegenhmevnon. Miltiavdh" de; ta;"
i{ppou" ta;" tri;" ≠Oluvmpia ajnelomevna" e[qayen ejn Kerameikw/', kai; Eujagovra" de; oJ
12
Lavkwn kai; ejkei'no" ≠Olumpionivka" i{ppou" e[qaye megaloprepw'".
4 Parnassw/̀ codd.
5 oJ luvko~ codd.
I Delfi, dunque, onorano il lupo, i Sami la pecora e gli Ambracioti la leonessa. Non è
possibile dire per quale ragione ciascuno di questi animali riceve onori se non quanto
segue. A Delfi un lupo rintracciò un oggetto sacro d’oro che era stato rubato e sotterrato
sul Parnaso; a S a m o i n v e c e f u u n a p e c o r a a r i t r o v a r e u n s i f f a t t o
oggetto d’oro che era stato sottratto, perciò Mandrobulo di Samo
f e c e d e d i c a a d E r a d i u n a p e c o r a : la prima notizia la riporta Polemone, l a
s e c o n d a A r i s t o t e l e . Gli abitanti di Ambracia onorano l’animale che è stato artefice
della loro libertà, dal momento che una leonessa sbranò il loro tiranno Faulo. Milziade
seppellì nel Ceramico i cavalli che per tre volte avevano vinto i giochi olimpici e Evagora
di Sparta anche lui seppellì con gran sfarzo i cavalli vincitori degli agoni di Olimpia.
Nel dodicesimo libro del De natura animalium, nell’esporre le cause degli onori
tributati ad alcuni animali presso diverse poleis del mondo greco, Eliano racconta
un episodio avvenuto a Samo, che egli dice esplicitamente di attingere da
136
Aristotele e intende  non sappiamo se sulla base della sua fonte o per sua
propria interpretazione  quale spiegazione del culto locale per le pecore: proprio
una pecora, infatti, avrebbe ritrovato dell’oro che era stato rubato; in conseguenza
di ciò, un tal Mandrobulo di Samo avrebbe a sua volta dedicato una pecora ad
Era.
Eliano non riferisce il titolo dell’opera aristotelica da cui avrebbe tratto il
racconto, tuttavia l’ambientazione samia della vicenda e il suo carattere
aneddotico indurrebbero ad attribuire il frammento alla Samion Politeia. Peraltro
già un altro passo del De natura animalium (XVII 20) sembrerebbe dipendere
dall’opuscolo samio (fr. 3282), il che conforterebbe l’ipotesi che anche la notizia
sul prodigioso evento in seguito al quale Mandrobulo avrebbe offerto una pecora
ad Era possa essere stata attinta dalla medesima opera, che Eliano sembra
conoscesse, non possiamo dire se direttamente o indirettamente.
Il nome Mandrobulo è associato dalle fonti283 (nelle varianti onomastiche
Mandrabulo/Mandrobolo) all’espressione proverbiale ejpi; ta; Mandrobouvlou, alla
Per le ragioni dell’attribuzione, cfr. supra, commento al fr. 3, pp. 75 e ss.
PLAT. COM., fr. 53 Kassel-Austin: ejpi; ta; Mandrobouvlou χωρεῖ.
LUCIAN., De Merc. Cond. 21, 13-22, 1: τὸ δ' ἔµπαλιν ἢ σὺ ἤλπισας γίγνεται καὶ ὡς ἡ παροιµία
φησίν, ἐπὶ Μανδροβούλου χωρεῖ τὸ πρᾶγµα, καθ' ἑκάστην, ὡς εἰπεῖν, τὴν ἡµέραν ἀποσµικρυ- νόµενον
καὶ εἰς τοὐπίσω ἀναποδίζον.
ALCIPHR. I 9: Βά<λ>λ' ἐς µακαρίαν, ὡς ἐναντίως ἡµῖν καὶ κατὰ τὴν παροιµίαν ἐπὶ τὰ Μανδροβόλου
χωρεῖ τὰ πράγµατα. τὸ µὲν γὰρ [ἐπὶ] λεπτῶν κερµάτων ἀποδίδοσθαι καὶ ὠνεῖσθαι τὰ ἐπιτήδεια
λιµηρὰν φέρει τὴν παραµυθίαν.
HESYCH. s.v. <ejpi; ta; Mandrobouvlou>: παροιµία ἐπὶ τῶν ἀεὶ ἐπὶ τὸ χεῖρον τρεποµένων, ἀπὸ
Μανδροβούλου τινός.
Suda s.v. ≠Epi; tou' Mandrabouvlou: ejpi; tou' kata; to; cei'ron prokovptonto". oJ ga;r Mandravboulo"
qhsauro;n euJrw;n tw/' prwvtw/ crovnw/ provbaton crusou'n ajnevqhke th/' ‹Hra/, tw/' de; b v ajrgurou'n kai; tw/'
g vcalkou'n.
Suda s.v. ≠Epi; ta; Mandrobovlou: ejpi; tw'n eij~ ta; ceivrona trepomevnwn. ajpo; Mandrobovlou tino;~ to;
ejn Savmw/ gewfavnion euJrovnto~ kai; prwvton me;n krio;n crusou'n ajnaqevnto~, e[peita ajrgurou'n, e[peita
calkou'n ejlavttona, ei\ta oujkevti, wj~ [Eforo~ (FGrHist 70 F 59 b).
Schol. in Lucian. De Merc. Cond. 21, 5-10: ejpi; ta; Mandrobouvlou cwrei`] paroimiva kata; tw'n ejpi;
to; cei'ron prokoptovntwn ajeiv: oJ ga;r Mandrovboulo" ou|to" euJrwvn pote qhsauro;n ejn Savmw/ crusou'n
provbaton ajnevqhke th/' ‹Hra/, tw/' de; deutevrw/ e[tei ajrgurou'n kai; tw/' trivtw/ calkou'n. CEVfOWD.
Addunt ED: mevmnhtai Plavtwn oJ kwmiko;" (fr. 53 Kassel-Austin) ejn Dii; kakoumevnw/.
282
283
137
maniera di Mandrobulo, utilizzata per alludere ad un peggioramento progressivo di
situazioni e comportamenti. L’eziologia del proverbio è illustrata in una leggenda
di ambientazione samia attestata, con leggere varianti, da diverse fonti, alcune
delle
quali
ne
attribuiscono
la
paternità
ad
Eforo:
un
certo
Mandrabulo/Mandrobulo/Mandrobolo, avendo trovato un tesoro, per gratitudine
avrebbe consacrato ad Era il primo anno una pecora o un ariete in oro, il secondo
il medesimo animale in argento, il terzo in bronzo. Secondo W. Kroll284, curatore
della voce Mandrobulos sulla RE, in origine quest’aneddoto e il relativo proverbio
non dovevano avere alcun rapporto: sulla base della notizia dell’offerta di una
pecora ad Era da parte di un tal Mandrobulo di Samo sarebbe stata elaborata la
leggenda della progressiva diminuzione di pregio dei doni consacrati alla dea, al
fine di fornire una spiegazione ad un proverbio probabilmente già al tempo non
più perspicuo. L’associazione della leggenda al proverbio doveva essere avvenuta
entro il IV secolo, dal momento che già Eforo (FGrHist 70 F 59 b) la attesta, ed è
dunque possibile che anche Aristotele l’avesse presente. Considerati anzi gli
interessi paremiografici dello Stagirita285 e la notevole presenza di proverbi e
relativi interpretamenta nelle Politeiai, già ampiamente constatata proprio in altri
frammenti286 della Samion Politeia, pare altamente probabile l’ipotesi che
nell’opuscolo samio egli
raccontasse la vicenda di Mandrobulo proprio in
relazione al proverbio nato intorno a questo personaggio, quale suo
interpretamentum. Eliano, interessato precipuamente all’aneddoto all’origine della
DIOGEN. IV 62: ≠Epi; ta; Mandrabovlou: ejpi; tw'n ejpi; to; cei'ron prokoptovntwn. ïO ga;r
Mandravbolo" euJrwvn pote qhsauro;n provbaton crusou'n ajnevqhke toi'" qeoi'", ei\ta ejn tw/' deutevrw/
ajrgurou'n, ei\ta ejn tw/' trivtw/ calkou'n.
ZENOB. III 82: ≠Epi; ta; Mandrabovlou: au{th tevtaktai kata; tw'n ejpi; to; cei'ron prokoptovntwn ajeiv.
ïO ga;r Mandravbolo" ou|to" euJrwvn pote qhsauro;n ejn Savmw/, ∫to; prw'ton˜ provbaton crusou'n
ajnevqhke th/' ‹Hra/: tw/' de; deutevrw/ e[tei ajrgurou'n, kai; tw/' trivtw/ calkou'n.
284
KROLL 1928, coll. 1040-1041.
285
Cfr. supra, p. 85, nota 165.
286
Cfr. supra, fr. 2, pp. 63 e ss., e fr. 4, pp. 83 e ss.
138
consacrazione dell’animale, sembrerebbe aver decontestualizzato completamente
l’episodio sia dal resto della leggenda sia dal relativo proverbio  leggenda e
proverbio che è invece ipotizzabile leggesse nella Samion Politeia.
Gli aneddoti riportati sono tutto ciò che apprendiamo dalla documentazione
letteraria a proposito di Mandrobulo.
L’esame linguistico del nome in questione accresce di ben poco il quadro delle
nostre conoscenza e le possibilità di comprensione del racconto aristotelico.
Come ha evidenziato P. Thonemann287, antroponimi e toponimi composti con
l’elemento -mandro~- sono infatti ampiamente diffusi in Ionia e nelle colonie
ioniche del mar Nero. Il loro significato è stato variamente interpretato dagli
studiosi: accanto all’ipotesi tradizionale, elaborata da Letronne, che riconduce
l’origine di tale gruppo onomastico a una divinità micrasiatica di nome Mandros,
si è affermata, più di recente, la tesi di Thonemann, che ne propone una
derivazione dal nome del fiume Maiandros. Secondo lo studioso inglese288, l’ampia
diffusione di antroponimi composti di -mandro~- nelle poleis ioniche si
spiegherebbe proprio in relazione agli interessi territoriali che esse nutrivano per
la valle del Meandro, che infatti fu oggetto, nel tempo, di incessanti contese289.
Nel complesso, dunque, non abbiamo elementi che consentano di identificare il
protagonista dell’aneddoto narrato da Aristotele né di proporre una cronologia
dell’episodio; risulta pertanto piuttosto arduo, se non impossibile, procedere ad
una seppur ipotetica ricontestualizzare del frammento in questione all’interno
della Samion Politeia e stabilirne una numerazione conseguente. La numerazione
THONEMANN 2006. Prima di lui aveva già colto la matrice ionica dell’elemento onomastico
-mandro~- LETRONNE 1851, pp. 110 ss. Per una sintesi della questione cfr. anche INGLESE 2009, pp.
1064-1067.
288
THONEMANN 2011, pp. 27 e ss.
289
È il caso di ricordare, in questa sede, almeno le continue contese territoriali tra Samo e Priene
per il possesso di Dryoussa e della Batinetis, sulle quali si sofferma in parte anche la Samion Politeia
(cfr. supra, commento ai frr. 1 e 4 della Sam. Pol., in particolare pp. 47-51 e 85-97).
287
139
adottata, che colloca il testo in chiusura di corpus, risponde semplicemente
all’esigenza di non interrompere la sequenza degli altri frammenti, di cui è
sembrato di poter ricostruire una seppure ipotetica successione.
140
Kolophonion Politeia
141
La Politeia
L’esistenza della Kolophonion Politeia è attestata dalla esplicita menzione
dell’opuscolo in ATHEN. XIV 10 618c6-619a2, che ne tramanda il fr. 1a (= 515
Rose).
Il corpus qui proposto consta di soli due frammenti di tradizione indiretta: lo
stesso fr. 1 (= 515 Rose), la cui attribuzione all’opuscolo si fonda appunto
sull’espressa dichiarazione della fonte tralatrice, e il fr. 2? (= 584 Rose: ATHEN.
XII 25 523c4-d3), attribuibile all’opuscolo solo in via dubitativa290.
Nella tabella seguente sono sintetizzati fonti tralatrici, numerazione, criteri di
attribuzione e contenuti di ciascun frammento, di cui si fornisce anche la
corrispondente numerazione nelle edizioni Rose e Gigon.
KOLOPHONION POLITEIA
Criteri di attribuzione
Numerazione
ed. Rose e ed. Gigon
Fr. 1a (515 A Rose; 520, 1 Gigon):
ATHEN. XIV 10 618c6 - 619a2.
Riferimento nominale
ad Aristotele e alla
Koloph. Pol. (fr. 1a).
Sintesi del contenuto
Morte violenta di un poeta
tryphon di nome Teodoro,
autore di canti per le feste
Aiorai.
[VII sec.?]
Fr. 1b (515 B Rose; 520, 2 Gigon):
POLL. IV 54,1-55,5.
Fr. 2? (584 Rose Sybarit. Pol.; 601
Gigon): ATHEN. XII 25 523c4-d3.
290
Riferimento nominale
ad Aristotele.
Esistenza di un canto aletis
intonato alle Aiorai, opera di
Teodoro di Colofone.
Fondazione di Siri ad opera
dei Colofoni e pratica della
tryphe nella città magnogreca.
Cfr. infra, pp. 172 e ss.
142
La numerazione dei frammenti risponde ad un criterio di successione diacronica:
se l’interpretazione proposta nel commento al fr. 1 reggesse, esso attesterebbe
infatti un momento di stasis all’interno della comunità colofonia databile al
periodo dell’affermazione del controllo lidio sulla città (VII sec.), in conseguenza
del quale, stando alle fonti, si sarebbe verificata la partenza di alcuni cittadini
colofoni e la fondazione di Siri, cui si alluderebbe nel fr. 2? qualora fosse giusta la
sua attribuzione alla Kolophonion Politeia.
L’estrema scarsità del materiale superstite  per di più unita alla mancanza
dell’estratto eraclideo  non ha consentito in alcun modo di risalire a una
visione d’insieme della Politeia; lo studio dei due frammenti, tuttavia, si è rivelato
di notevole interesse. Particolare attenzione merita la presenza del motivo della
tryphe in entrambi i testi, alla luce della fortuna di tale tema nelle tradizioni su
Colofone arcaica e, soprattutto, del significato che esso sembrerebbe rivestire
nella riflessione politica aristotelica291; nel fr. 1a, in particolare, il racconto della
morte violenta di un poeta dedito alla tryphe parrebbe in qualche modo in
rapporto con la riflessione sulla tryphe come fattore di stasis che sembrerebbe
emergere da alcune pagine della Politica292.
In merito alle fonti alla base dell’opuscolo è possibile formulare solo qualche
osservazione. Nel fr. 1a293 l’uso del levgetai sembrerebbe attestare il ricorso a
tradizioni orali; tali fonti orali sembrerebbero da identificare nei canti composti
dal poeta locale Teodoro  della cui morte si parla nel frammento in questione
, intonati ancora al tempo di Aristotele dalle donne colofonie in occasione
Cfr. infra, pp. 167-170 e PEZZULLO 2012.
Cfr. infra, pp. 154-171. Sul rapporto tra Politica e Politeiai cfr. supra, Introduzione, pp. 22-26.
293
Cfr. infra, pp. 154-155.
291
292
143
delle feste Aiorai. Quanto alle fonti locali, è senz’altro possibile che lo Stagirita si
sia servito della Kolofw'no" ktivsi" attribuita a Senofane di Colofone, che a parere
di C. Talamo294 sarebbe alla base anche delle vicende colofonie alluse in Pol.
1290b14-17, nonché degli Horoi del colofonio Heropyto (FGrHist 448)295, che
secondo L. Moscati Castelnuovo296 sarebbe la possibile fonte della tradizione sulla
fondazione colofonia di Siri confluita nel fr. 2? della Kolophonion Politeia.
TALAMO 2010 [1973], pp. 54-55; 60-66; cfr. infra, p. 155, nota 313, e p. 163, nota 333.
Cfr. FGrHist III b, Kommentar, p. 294; TALAMO 2010, p. 171.
296
MOSCATI CASTELNUOVO 1989, pp. 61-62.
294
295
144
Fr. 1a (515 ll. 1-7 Rose; 520, 1 Gigon) — ATHEN. XIV 10 (618c6 - 619a2):
Kαὶ ᾠδῆς δὲ ὀνοµασίας καταλέγει ὁ Τρύφων τάσδε· «ἱµαῖος ἡ ἐπιµύλιος καλουµένη,
3
ἣν παρὰ τοὺς ἀλέτους ᾖδον, ἴσως ἀπὸ τῆς ἱµαλίδος. ἱµαλὶς δ' ἐστὶν παρὰ ∆ωριεῦσιν ὁ
νόστος καὶ τὰ ἐπίµετρα τῶν ἀλεύρων. ἡ δὲ τῶν ἱστουργouvntwν ᾠδὴ αἴλινος, ὡς
Ἐπίχαρµος ἐν Ἀταλάνταις ἱστορεῖ. ἡ δὲ τῶν ταλασιουργῶν ἴουλος». Σῆµος δ' ὁ
6
∆ήλιος ἐν τῷ περὶ Παιάνων φησί· τὰ δράγµατα τῶν κριθῶν αὐτὰ καθ' αὑτὰ
προσηγόρευον ἀµάλας· συναθροισθέντα δὲ καὶ ἐκ πολλῶν µίαν γενόµενα δέσµην
οὔλους καὶ ἰούλους· καὶ τὴν ∆ήµητρα ὁτὲ µὲν Χλόην, ὁτὲ δὲ Ἰουλώ. ἀπὸ τῶν οὖν τῆς
9
∆ήµητρος εὑρηµάτων τούς τε καρποὺς καὶ τοὺς ὕµνους τοὺς εἰς τὴν θεὸν οὔλους
καλοῦσι καὶ ἰούλους. δηµήτρουλοι καὶ καλλίουλοι. καὶ «πλεῖστον οὖλον οὖλον ἵει,
ἴουλον ἵει». ἄλλοι δέ φασιν ἐριουργῶν εἶναι τὴν ᾠδήν. αἱ δὲ τῶν τιτθευουσῶν ᾠδαὶ
12
καταβαυκαλήσεις ὀνοµάζονται. ἦν δὲ καὶ ἐπὶ ταῖς ἐώραις τις ἐπ' Ἠριγόνῃ, ἣν καὶ
ἀλῆτιν λέγουσιν, ᾠδή. Ἀ ρ ι σ τ ο τ έ λ η ς
Πολιτείᾳ
15
φησίν·
ἀπέθανεν
δὲ
γοῦν
καὶ
ἐν
τῇ
αὐτὸς
Κολοφωνίων
ὁ
Θεόδωρος
ὕστερον βιαίῳ θανάτῳ. λέγεται δὲ γενέσθαι τρυφῶν τις,
ὡς ἐκ τῆς ποιήσεως δῆλόν ἐστιν. ἔτι γὰρ καὶ νῦν αἱ
γ υ ν α ῖ κ ε ς ᾄ δ ο υ σ ι ν α ὐ τ ο ῦ µ έ λ η π ε ρ ὶ τ ὰ ς ἐ ώ ρ α ς . ἡ δὲ τῶν
18
θεριστῶν ᾠδὴ Λιτυέρσης καλεῖται.
1-5 Tryph., fr. 113 von Velsen
4-5 Epicharm., fr. 14 Kassel-Austin
FGrHist 396 F 23
10-11 Carmina popularia, fr. 3 Page (PMG 849)
5-8 Semus Delius,
2-3 ἱµαῖος ... ἱµαλίδος ACE : καλουµένη ante ἴσως transp. Kaibel app.
4 ἀλεύρων Hesych s.v.
eu[vnosto~ : ajlevtwn ACE
ἱστουργouvntwν CE, Gulick : ἱστορouvntwν A, ἱστουργw`ν Kaibel, Citelli
ai[lino~ CE : ejlino~ A
5 τῶν CE : om. A
6 Παιάνων ex Athen. XIV 16 622a : Παιwvνων
A
7 ἀµάλας edd. : aJµάλας A, aJµάλαi C
8 Χλόην Musurus et cett. : Χλόη A
ij>ouvlw A :
Oujlwv Didym. apud Schol. in Ap. Rhod. I 972
11 τιτθεουσῶν A, τιτθῶν CE
12
καταβαυκαλήσεις Musurus et cett. : καταβlυκαλήσεις ACE
13 ᾠδή corr. Leopardi, Kaibel,
Gulick, Citelli : wjidhvn A
145
Trifone elenca anche i seguenti nomi di canti: himaios, quello detto “del mulino”, che
cantavano presso le macine, forse da himalis. Himalis per i Dori è l’abbondanza e le
eccedenze di farina. Il canto delle tessitrici si chiama ailinos, come racconta Epicarmo
nell’Atalanta. Quello dei lanaioli ioulos. Semo di Delo nello scritto Sui Peani dice: le
fascine di orzo, una per una, le chiamavano amalai; raccolte tutte insieme, invece, e da
molte diventate un solo covone, ouloi e iouloi; anche Demetra talvolta la chiamavano
Chloe, talaltra Ioulò. Dunque dalle scoperte di Demetra chiamano ouloi e iouloi sia i
prodotti sia gli inni in onore della dea. Demetrouloi e Calliouloi. «E un grosso oulos,
un oulos getta, uno ioulos getta». Altri invece dicono che (scil. lo ioulos) sia il canto
dei lanaioli. I canti delle balie sono chiamati katabaukaleseis. C’era anche un canto per
le feste Aiorai, per Erigone, che chiamano anche aletis. A r i s t o t e l e a l m e n o
nella
Politeia
dei
Colofoni
narra:
In
seguito
anche
Teodoro stesso morì di morte violenta. Si dice che egli
fosse un uomo dedito alla tryphe, come è evidente dalla
sua
produzione
poetica.
Infatti
ancora
oggi
le
donne
i n t o n a n o i s u o i c a n t i n e l p e r i o d o d e l l e A i o r a i . Il canto dei
mietitori è chiamato Lityerses.
Fr. 1b (515 ll. 8-9 Rose; 520, 2 Gigon) — POLL. IV 54,1-55,5: Bώριµος δὲ
Μαριανδύνων γεωργῶν ᾆσµα, ὡς Αἰγυπτίων µανέρως καὶ λιτυέρσας Φρυγῶν. ἀλλ'
3
Αἰγυπτίοις µὲν ὁ Μανέρως γεωργίας εὑρετής, Μουσῶν µαθητής, Λιτυέρσας δὲ
Φρυξίν· οἱ δ' αὐτὸν Μίδου παῖδα εἶναι λέγουσιν, εἰς ἔριν δ' ἀµητοῦ προκαλούµενον,
µαστιγῶσαι τοὺς ἐνδιδόντας, βιαιοτέρῳ δ' ἀµήτῃ περιπεσόντα, αὐτὸν θάνατον
6
παθεῖν. οἱ δ' Ἡρακλέα γεγενῆσθαι τὸν ἀποκτείναντα αὐτὸν λέγουσιν. ᾔδετο δ' ὁ
θρῆνος περὶ τὰς ἅλως κατὰ τὸ θέρος ἐπὶ Μίδου παραµυθίᾳ. ὁ δὲ Βώριµος ἦν Ἰόλα καὶ
Μαριανδύνου ἀδελφός, Οὐπίου βασιλέως παῖς, ἐν θήρᾳ νέος ὥρᾳ θέρους ἀποθανών·
146
9
τιµᾶται δὲ θρηνώδει περὶ τὴν γεωργίαν ᾄσµατι. ἦ ν δ έ τ ι κ α ὶ ἀ λ ῆ τ ι ς
ᾆσµα ταῖς αἰώραις προσᾳδόµενον, Θεοδώρου ποίηµα τοῦ
Κολοφωνίου.
1 Βώριµος Nauck, Bethe : Βώρµος codd.
2 a[u>σµα A
µανieρovς S, µανeρovς B
ajsτυέρσας A
3 ajsτυέρσας A
µανeρovς IIB
Μουσῶν de; µαθητw`n kai; Λιτυέρσας II
4 frugivwn A
εἶναι et ἀµητοῦ om. S
5 mastigou`n IIBC
biaiovteron II
5-6 eij~ qavnaton penqei`n A, eij~
qavnaton paradou`nai II 6-7 λέγουσιν ο}te h/̀δe. ὁ de; θρῆνος A, λέγουσιν. ᾔδετο te ὁ θρῆνος BC
Borimos è un canto dei contadini Mariandini, come maneros lo è degli Egizi e lityersas
dei Frigi. Ma per gli Egizi inventore dell’agricoltura, allievo delle Muse è Maneros, per i
Frigi invece Lityersas: altri dicono che egli sia un figlio di Mida e che, sfidato sul
raccolto, frustò quelli che glielo consegnavano, poi, incappato in un mietitore più
violento, patì la morte. Altri invece dicono che sia stato Eracle ad ucciderlo. A conforto
di Mida, durante la stagione del raccolto, veniva intonato il threnos presso le aie.
Borimos era fratello di Iolao e Mariandino, figlio del re Upios, morto giovane nel corso
di una battuta di caccia durante la stagione del raccolto: viene onorato con un canto
trenodico relativo all’agricoltura. C ’ e r a
anche
un
canto
aletis
intonato alle Aiorai, opera di Teodoro di Colofone.
Il fr. 1a della Kolophonion Politeia è conservato nel quattordicesimo libro dei
Deipnosofisti di Ateneo297, che attribuisce esplicitamente il passo all’opuscolo
297
Il XIV libro dei Deipnosofisti è tramandato integralmente dal codice A, Marcianus Graecus 447,
che rappresenta l’unico ramo superstite della tradizione dell’opera completa del Naucratita. Il fr.
1a della Kolophonion Politeia compare inoltre nei codici che dei Deipnosofisti riportano l’Epitome.
KAIBEL 1887, pp. XXI-XXVII, — sulla base di undici note al margine di A, facenti riferimento ad
una generica divisione in 30 (tw`n eij~ l¯), in cui non viene precisato in cosa consisterebbero i detti
trentesimi (libri o altro?) — sostenne che il testo tradito fosse opera di un breviator, che avrebbe
sintetizzato nei 15 libri superstiti un lavoro originario in 30, irrimediabilmente perduto (tesi
sostenuta anche da DESROUSSEAUX 1956 e GULICK 1963). Oggi, tuttavia, la maggior parte degli
studiosi, sulla base di alcuni elementi emersi dall’esame del testo, è piuttosto incline a ritenere che
A sia copia di un lavoro originario diviso in 15 libri da Ateneo stesso. Già DÜRING 1936, infatti,
notò che ciascuno dei 15 libri è contrassegnato, all’inizio e alla fine, da una espressione che ne
segnala appunto l’apertura e la chiusura (un’apostrofe a Timocrate — l’interlocutore di Ateneo
147
aristotelico (ll. 13-14: Ἀριστοτέλης γοῦν ἐν τῇ Κολοφωνίων Πολιτείᾳ φησίν). Il
XIV libro dei Deipnosofisti verte su due tematiche — danza e dessert — che, come
ha sottolineato P. Ceccarelli298, ben si adattano al carattere enciclopedico
dell’opera e, soprattutto, alla cornice simposiale che costituisce ambientazione e
motivo ispiratore della narrazione. La prima parte del libro, in particolare, è
occupata da una sezione incentrata sulla musica, che contiene un ampio brano
dedicato ai nomi di canto nel cui contesto è tramandato il fr. 1a.
Nel IV libro dell’Onomasticon di Polluce, all’interno di una rubrica sui canti che
presenta numerosi punti di contatto con ATHEN. XIV 10, leggiamo un passo di
contenuto parzialmente analogo al fr. 1a (ἦν δέ τι καὶ ἀλῆτις ᾆσµα ταῖς αἰώραις
προσᾳδόµενον, Θεοδώρου ποίηµα τοῦ Κολοφωνίου), che già C. Müller, V. Rose e O.
Gigon avevano classificato come frammento della Kolophonion Politeia, accanto al
testo tramandato nei Deipnosofisti299, ipotizzando che entrambi dipendessero da
cui il Naucratita racconta del banchetto di sapienti —, il riferimento esplicito alla fine di una
tematica, un’espressione di commiato nei confronti dei simposiasti al calar della sera etc.). Questi
elementi — ha osservato più di recente ARNOTT 2000, p. 43 — non si presentano mai nel bel
mezzo di ciascuno dei libri, come invece ci si potrebbe aspettare se effettivamente il testo fosse
stato originariamente diviso in 30; peraltro, in due punti, A presenta dei riferimenti in onciale ad
una divisione quindicinale del testo: alla fine del libro X e alla fine del XIII si legge infatti tevlo~
jAqhnaivou Naukrativtou Deipnosofistw`n I e IE, rispettivamente (ARNOTT 2000, p. 43; cfr. anche
LENFANT 2007, p. 383).
Come accennato poco sopra, il codice A è mutilo: esso, infatti, è privo della prima parte (primi
due libri e inizio del III, fino a 73e), di due passi del libro XI e della fine del XV, la cui conoscenza
è in parte consentita da un’Epitome realizzata probabilmente a Costantinopoli tra il X e l’XI sec.
attualmente disponibile in 4 copie siglate C, E, BM, R (ARNOTT 2000, p. 43).
La relazione testuale tra il Marcianus e l’Epitome è stata al centro di numerose discussioni tra gli
studiosi. Alcuni, come Kaibel, credevano che essa appartenesse ad un ramo della tradizione
indipendente da A; altri, invece, da COBET 1847, pp. 104-109 fino a LETROUIT 1991, pp. 33-37,
hanno sostenuto che fosse stata realizzata solo sulla base di A, prima della sua mutilazione.
ARNOTT 2000, p. 50, ritiene, in modo più prudente, che l’Epitome non sia derivata solo dal
Marcianus ma almeno da un altro manoscritto in cui non ci fossero alcuni degli errori presenti in
quest’ultimo: essa infatti contiene molte correzioni ad A, che non sempre sembrano ascrivibili ad
eruditi bizantini. In ogni caso, sembra convinzione comune che l’Epitome rifletta un livello della
tradizione più alto rispetto ad A.
298
CECCARELLI 2000, p. 272.
299
Fr. 197 Müller; fr. 515 Rose; fr. 520, 1-2 Gigon.
148
una fonte comune, che attingesse a sua volta da Aristotele. Nella sintetica
introduzione ai due testi contenuta in Aristoteles Pseudepigraphus300, Rose
suggeriva in particolare che Ateneo e Polluce, nei passi in questione,
dipendessero entrambi da Panfilo di Alessandria, grammatico vissuto nel I sec. d.
C., compilatore di un lavoro in 95 libri di tipo onomastico o lessicografico, Peri;
glwssw`n h[toi levxewn301.
L’ipotesi formulata da Rose e Gigon in merito alla dipendenza dei due testi da una
fonte comune risulta tuttora accettabile, soprattutto alla luce dei più ampi
contesti di citazione. Come già evidenziato da G. Zecchini302 negli anni ’80 e
ribadito recentemente da J. Bollansée303, Ateneo nei Deipnosofisti fa un uso solo
indiretto delle Politeiai aristoteliche, attingendone i frammenti talvolta da
collezioni preesistenti di estratti, talaltra dalla tradizione lessicografica e
scoliastica (che, osserva lo stesso Bollansée, tramanda ben il 70% dei frammenti
superstiti delle Politeiai). Che la fonte del fr. 1 della Kolophonion Politeia sia
proprio Panfilo, come ipotizzato da Rose, è senz’altro possibile: Ateneo infatti
utilizza spesso il suo scritto, citandolo sotto vari titoli oppure con il solo nome
dell’autore (che ricorre ben 50 volte nei Deipnosofisti); il grammatico alessandrino
inoltre è abitualmente ritenuto dagli studiosi una delle fonti principali anche di
Polluce304. Sia ATHEN. XIV 10 sia POLL. IV 54,1-55,5 potrebbero dunque
dipendere da una rubrica del lavoro di Panfilo, contenente termini e sinonimi
appartenenti al campo semantico dei canti.
Fr. 467 ROSE 1863.
Sulla questione, ancora aperta, relativa alla struttura onomastica oppure alfabetica del lavoro di
Panfilo cfr. TOSI 2007.
302
ZECCHINI 1989, pp. 125-130.
303
BOLLANSÉE 2007, pp. 175-189.
304
SANDYS 1903, p. 320; TOSI 2007, p. 5.
300
301
149
Tenendo conto del contesto di Ateneo, tuttavia, è forse possibile prendere in
considerazione anche un’altra ipotesi305: la fonte dei passi in esame potrebbe
essere anche Trifone, il grammatico attivo ad Alessandria durante il I sec. a. C.,
che Ateneo cita proprio nell’incipit del brano sui canti che contiene il nostro
frammento della Kolophonion Politeia (l. 2: καὶ ᾠδῆς δὲ ὀνοµασίας καταλέγει ὁ
Τρύφων τάσδε) e menziona, nel passo immediatamente precedente a quello in
esame, come fonte esplicita (secondo libro delle Onomasiai) dei nomi di alcune
composizioni per aulo. Il nome di Trifone — i cui scritti ci sono noti solo in
forma frammentaria — è associato dalle fonti a opere di tipo grammaticale
concernenti le parti del discorso, questioni di ortografia e prosodia, dialetti e
problemi di stile, la teoria analogica e problemi di lessico generale o specifico306.
Di quest’ultima categoria di scritti farebbe parte il Peri; ojnomasiw'n: opera nota
quasi esclusivamente dai frammenti tramandati da Ateneo (IV 174e, 182e; XI
503d; XIV 618c, 634d) — che ne fa menzione sotto i titoli jOnomasivai oppure
jOnomastikav —, incentrati soprattutto su nomi di strumenti musicali. Il fatto che i
frammenti noti dai Deipnosofisti attestino solo nomi di strumenti musicali induce
gli studiosi a sospettare che Ateneo attinga da una particolare sezione,
riguardante tematiche più propriamente simposiali, tra le quali appunto la musica,
di un’opera lessicografica più estesa307. Proprio da una rubrica sui nomi di canto
del lavoro onomastico di Trifone potrebbero dipendere tanto l’intero passo del
XIV libro dei Deipnosofisti qui in esame quanto l’estratto dall’Onomasticon di
Polluce di contenuto analogo: Trifone infatti viene generalmente annoverato tra
le principali fonti anche di Polluce308. Peraltro, un suggerimento in tal senso
Già formulata da BAPP 1885.
Cfr. IPPOLITO 2008.
307
Cfr. IPPOLITO 2008, p. 8.
308
Cfr. SANDYS 1903, p.320; TOSI 2007, p. 5.
305
306
150
viene dall’incipit stesso di ATHEN. XIV 10: il Naucratita, infatti, apre il passo
dichiarando Trifone fonte dei nomi di canto che si accinge ad elencare (ᾠδῆς δὲ
ὀνοµασίας τάσδε, al plurale!); subito dopo la menzione del solo himaios (ll. 2-3),
però, definito come il canto eseguito dagli addetti alle macine, il brano cambia
impianto: abbandona l’elenco appena iniziato (fermandosi di fatto al primo
nome), per articolarsi in proposizioni indipendenti, in cui vengono nominate
svariate fonti a sostegno dei diversi nomi di canto riportati:
1) l’altrimenti ignota Atalanta del commediografo Epicarmo, per la definizione di
ailinos quale canto intonato dalle tessitrici (ll. 4-5);
2) lo scritto Sui Peani di Semo di Delo309 (ll. 5-8) — in opposizione ad altre fonti
di cui non viene esplicitato il nome (ἄλλοι δέ φασιν, l. 11) —, a proposito dello
iulos, inteso da Semo come inno a Demetra, da altri come canto dei lanaioli;
3) la Kolophonion Politeia di Aristotele, in relazione al canto aletis in onore di
Erigone intonato in occasione delle feste Aiorai310 (ll. 13-17).
Bisogna allora prendere in considerazione due ipotesi: 1) che Trifone, cui Ateneo
attribuisce un “catalogo” di nomi di canto, sia in realtà fonte solo del termine
himaios, mentre gli altri nomi dipenderebbero dai testimoni appena elencati (in
questa prospettiva si potrebbe accogliere l’ipotesi di Rose di una mediazione di
Panfilo); oppure 2) che a Trifone, in particolare ad una specifica rubrica del suo
Peri; ojnomasiw'n, sia da attribuire l’intero passo sui nomi di canto di ATHEN. XIV:
in tal caso, sarebbe il grammatico di Alessandria a menzionare i vari nomi e a
citare come testimonianze della loro esistenza e del loro significato passi di
Storico delio vissuto tra III e II sec. a. C., di cui ci sono conservati ventiquattro frammenti, in
gran parte tramandati da Ateneo. Cfr. LANZILLOTTA - SCHILARDI 1996.
310
Il testo riporta invero il termine nella forma ejwvra e non in quella più comune aijwvra, che
HESYCH. s.v.aijwvra e Etym. Magn. s.v.aijwvra attestano quale nome di una festa ateniese — nota
anche come ajlh`ti~, in una fase precedente, e come εὔδειπνο~ — generalmente messa in relazione
ad Erigone (cfr. infra, pp. 160-162 e note 322-325).
309
151
Epicarmo, Semo di Delo ed Aristotele. Estratte dal lavoro di Trifone le
informazioni relative al termine himaios, Ateneo potrebbe averle rielaborate per
strutturare il passo in forma di elenco; subito dopo, però, potrebbe aver
abbandonato lo schema iniziale, suggerito dal katalevgei di l. 2, e aver riportato
più o meno testualmente l’intera rubrica del Peri; ojnomasiw'n, comprese le
testimonianze lì citate.
La testimonianza aristotelica è riferita in modo esplicito alla Kolophonion Politeia;
essa è introdotta da un fhsivn seguito da discorso diretto, che, almeno nelle
intenzioni di Ateneo, la connota come testuale311 (ll. 13-17): Ἀριστοτέλης γοῦν
ἐν τῇ Κολοφωνίων Πολιτείᾳ φησίν· ἀπέθανεν δὲ καὶ αὐτὸς ὁ Θεόδωρος ὕστερον
βιαίῳ θανάτῳ. λέγεται δὲ γενέσθαι τρυφῶν τις, ὡς ἐκ τῆς ποιήσεως δῆλόν ἐστιν. ἔτι
γὰρ καὶ νῦν αἱ γυναῖκες ᾄδουσιν αὐτοῦ µέλη περὶ τὰς ἐώρας.
La citazione inizia con l’espressione ἀπέθανεν δὲ καὶ αὐτὸς ὁ Θεόδωρος ὕστερον
βιαίῳ θανάτῳ. L’avverbio ὕστερον dà al passo una esplicita connotazione
I giudizi formulati dagli studiosi sulla affidabilità di Ateneo quale fonte tralatrice — questione
di primaria importanza, data la mole enorme di frammenti di autori altrimenti ignoti che i
Deipnosofisti attestano — sono ad oggi contrastanti: a una valutazione complessivamente non
negativa formulata, tra gli altri, da BRUNT 1980, pp. 477-494, AMBAGLIO 1990, LENFANT 1999 si
sono nel tempo contrapposte le critiche espresse da PELLING 2000, pp. 171-190, che ha imputato
al Naucratita una certa tendenziosità nell’uso delle fonti e una notevole disinvoltura nel distorcere
il testo citato ai propri fini, e, in tempi più recenti, il severo esame di GORMAN - GORMAN 2007,
pp. 38-60, secondo i quali il motivo della tryphe presente in tutti i frammenti citati nel XII libro
dei Deipnosofisti sarebbe il frutto — e il marchio — di un intervento manipolatore di Ateneo.
Utili indicazioni per lo studio dei frammenti di storici perduti tramandati nei Deipnosofisti — e più
specificamente per il testo aristotelico in esame — vengono da un recente lavoro di D. Lenfant
(2007, pp. 43-72), dedicato all’esame tipologico e all’analisi statistica di tutti i “frammenti”
erodotei citati dal Naucratita. Il confronto sistematico con il testo tradito dai manoscritti ha
consentito infatti alla studiosa di valutare il metodo seguito da Ateneo e di concludere — per quel
che riguarda le citazioni letterali da Erodoto — che esse:
- non sono quasi mai soggette a riformulazione lessicale (1 solo caso su 14 per Erodoto);
- presentano varianti testuali poco significative, suscettibili di risalire al processo di copia e
talvolta di adattamento dialettale;
- subiscono alterazioni semantiche legate esclusivamente al processo di decontestualizzazione (dal
testo d’origine) e ricontestualizzazione (nel cover-text).
311
152
temporale, che potrebbe suggerirne la originaria contestualizzazione nell’ambito
di una narrazione di tipo diacronico: se la morte violenta di Teodoro viene infatti
collocata in un tempo connotato come un dopo, evidentemente le informazioni
fornite dal racconto fino a quel punto dovevano essere state relative ad un prima
rispetto a quella morte. L’uso, in riferimento a Teodoro, di αὐτovς in posizione
predicativa (dunque nel significato latino di ipse), introdotto dalla congiunzione
καiv (muore anche T. stesso), implica con certezza che nel testo fosse già stata fatta
menzione del poeta colofonio (se muore T. stesso) e fossero già state elencate altre
vittime di morte violenta (se muore anche T.); non possiamo però dire se di
Teodoro si fosse parlato proprio nel corso della narrazione relativa alle altre morti
— ovvero se il poeta avesse avuto un ruolo nelle vicende che videro altre persone
morire di morte violenta — o se, invece, Aristotele avesse trattato i due temi (la
figura di Teodoro e la morte violenta di altri non meglio identificati nel nostro
frammento) in contesti differenti.
Si può facilmente osservare che il segmento della citazione aristotelica ἀπέθανεν
δὲ καὶ αὐτὸς ὁ Θεόδωρος ὕστερον βιαίῳ θανάτῳ non ha alcuna pertinenza con il
contesto in cui viene citato da Ateneo: in nessun modo, infatti, l’informazione
sulla morte violenta di Teodoro risulta funzionale al discorso sul canto in onore di
Erigone, che è oggetto del brano in cui essa è riportata (dopo aver menzionato i
canti himaios, ailinos, ioulos, katabaukalesis, facendo riferimento ai diversi autori
che forniscono informazioni ad essi relativi, il Naucratita scrive infatti: C’era
anche un canto per le feste Aiorai, in onore di Erigone, che chiamano anche aletis.
Aristotele nella Politeia dei Colofoni narra: In seguito anche Teodoro stesso morì di
morte violenta. Quale sarebbe il nesso tra l’uccisione di un tal Teodoro e il canto
intonato in occasione delle Aiorai?). Queste valutazioni inducono a ritenere che
nella frase ἀπέθανεν δὲ καὶ αὐτὸς ὁ Θεόδωρος ὕστερον βιαίῳ θανάτῳ Ateneo citi
153
testualmente lo Stagirita, fino al punto di rendere poco congruente la
testimonianza che riporta con il contesto in cui la inserisce.
Il secondo periodo riportato dal Naucratita, in riferimento a Teodoro, recita:
λέγεται δὲ γενέσθαι τρυφῶν τις, ὡς ἐκ τῆς ποιήσεως δῆλόν ἐστιν.
Il verbo λέγεται che introduce la frase (l. 15) impone qualche riflessione in
merito alla testualità della citazione.
Possiamo formulare anche in questo caso diverse ipotesi.
1) Nella tradizione dei frammenti in generale, e in particolare in Ateneo, il
discorso indiretto in forma di proposizione infinitiva comporta una certa misura
di rielaborazione (eventualmente anche una parafrasi312): in tal caso la fonte
tralatrice — qui il Naucratita — volgerebbe in nominativo (o accusativo) +
infinito in dipendenza da un verbum dicendi una proposizione che nel contesto
d’origine doveva essere indipendente e poteva avere un’estensione maggiore.
Pertanto il λέγεται di l. 15 seguito da nominativo + infinito (γενέσθαι τρυφῶν
τις), se fosse stato inserito dal Naucratita per continuare la citazione da
Aristotele, indicherebbe il passaggio da un enunciato della Kolophonion Politeia
riportato testualmente (perché sotto forma di discorso diretto introdotto da
fhsivn: Ἀριστοτέλης γοῦν ἐν τῇ Κολοφωνίων Πολιτείᾳ φησίν· ἀπέθανεν δὲ καὶ
αὐτὸς ὁ Θεόδωρος ὕστερον βιαίῳ θανάτῳ) ad uno tratto dalla stessa opera ma in
qualche modo rielaborato (in quanto volto al discorso indiretto: λέγεται δὲ
γενέσθαι τρυφῶν τις), per essere adattato al nuovo contesto.
2) Si potrebbe formulare anche l’ipotesi che il λέγεται sia stato inserito da
Ateneo per segnalare il passaggio a un’altra fonte, di cui non avrebbe esplicitato il
nome. Questa ipotesi appare tuttavia poco fondata: per quale ragione il
Naucratita, nel contesto di un brano sui nomi di canto, avrebbe riportato la
312
Cfr. supra, p. 5 e nota 10; sull’affidabilità di Ateneo come fonte tralatrice, cfr. nota prec.
154
testimonianza aristotelica dalla Kolophonion Politeia, se essa conteneva solo
l’informazione sulla morte violenta di Teodoro, che non aveva alcuna attinenza al
tema del brano dei Deipnosofisti?
3) Se, viceversa, il λέγεται fosse parte integrante della citazione testuale dalla
Kolophonion Politeia — ossia il frammento aristotelico, come indicato attraverso
l’uso del carattere spaziato, andasse da ἀπέθανεν δὲ καὶ αὐτὸς ὁ Θεόδωρος ὕστερον
βιαίῳ θανάτῳ a ἔτι γὰρ καὶ νῦν αἱ γυναῖκες ᾄδουσιν αὐτοῦ µέλη περὶ τὰς ἐώρας (ll.
14-17) —, Aristotele potrebbe aver usato il verbum dicendi per indicare che
ricavava la notizia che egli (scil. Teodoro) fosse un uomo dedito alla tryphe non da
fonti scritte, opere di storia locale o documenti d’archivio, ma da tradizioni orali,
apprese dalla viva voce dei Colofoni del suo tempo. Così legge il λέγεται del fr. 1a
della Kolophonion Politeia C. Talamo313, che identifica le fonti di tradizione orale
sulla tryphe di Teodoro, da cui Aristotele dipenderebbe, con quegli stessi canti
composti dal poeta colofonio, intonati ancora al tempo dello Stagirita, cui si fa
riferimento nelle linee seguenti del frammento (ll. 16-17). Nella prospettiva della
Talamo, l’espressione ὡς ἐκ τῆς ποιήσεως δῆλόν ἐστιν chiarirebbe il significato del
λέγεται e indicherebbe che Aristotele, nell’ascoltare i canti composti da Teodoro,
avrebbe espressamente ricavato, o dedotto, che il loro autore era un τρυφῶν.
Tale lettura appare decisamente convincente, anche alla luce del discorso
sull’educazione musicale svolto in Pol. VIII 1337b27-1338b8, 1339a11-1342b34,
in cui Aristotele sembra accogliere, seppure in una prospettiva differente, la
teoria mimetica degli ethe elaborata da Platone nel terzo libro della Repubblica
(398c-403c, in particolare 400c-403c), secondo la quale «tutti gli elementi
TALAMO 2010, p. 171. La studiosa sottolinea che lo Stagirita poteva trarre delle informazioni
sulla storia di Colofone anche dalla storiografia locale — in particolare, sulla linea di Jacoby
(FGrHist III b, Kommentar, p. 294), dagli Horoi del colofonio Heropyto (V sec.?) — e dal poeta
Senofane.
313
155
strutturali e significativi di una composizione musicale sono imitazioni o
immagini» (mimemata o eikona) del carattere dell’anima (ethos)314: nei canti stessi ci
sono mimemata degli ethe, dice infatti lo Stagirita in Pol. VIII 1340a38-39 (ἐν δὲ
τοῖς µέλεσιν αὐτοῖς ἔστι µιµήµατα τῶν ἠθῶν). Da tale teoria musicale discende
che nella prospettiva aristotelica un componimento poetico dovesse contenere le
tracce dell’ethos e del bios del suo autore e, dunque, tornando al particolare
contesto colofonio, che i canti di Teodoro potessero restituire l’immagine del suo
status di tryphon315.
Illuminante, al fine di interpretare il nesso tryphe-poesia che Aristotele coglie
nella figura di Teodoro, appare il confronto con altri due poeti di età arcaica
riconducibili all’ambiente colofonio, a proposito dei quali le fonti, pur non
utilizzando il termine tryphe, forniscono informazioni che gli studiosi moderni
hanno letto come indicatori di tryphe. Polimnesto di Colofone (seconda metà del
VII sec. a. C.) — noto dal De musica dello Ps.-Plutarco come inventore
dell’ipolidio e autore di nomoi aulodici, a cui uno scolio al v. 1287 dei Cavalieri di
Per un commento ai passi più significativi della Repubblica di Platone e della Politica di
Aristotele in merito al rapporto tra musica, etica e anima cfr. BARKER 2005, pp. 19-54 e 99-111.
315
Per la nozione di tryphe, le ipotesi sulla sua genesi, il suo significato nel tempo, la sua diffusione
nella storiografia di IV secolo e di età ellenistica cfr. PASSERINI 1934, pp. 35-56; COZZOLI 1980,
pp. 133-145; LOMBARDO 1983, pp. 1077-1103; NENCI 1983, pp. 1019-1031; STELLUTO 1995, pp.
47-83; DORATI 2003, pp. 503-529; TALAMO 2004, pp. 57-93. Sul ruolo di Ateneo nella tradizione
dei testi sulla tryphe e, più in particolare, sulla lettura in chiave di tryphe anche di testi relativi al
lusso delle aristocrazie arcaiche citati nel dodicesimo libro dei Deipnosofisti, cfr. PASSERINI 1934, p.
37; ZECCHINI 1989, pp. 57-58, 83; SCHEPENS 2007, p. 258; TALAMO 2010, pp. 173-175, propensi
ad attribuire tale lettura deformante alla storiografia moralistica di IV sec. a. C. a cui Ateneo
attinse e non al Naucratita stesso; di diverso orientamento GORMAN - GORMAN 2007 e 2010
secondo i quali la lettura in termini di tryphe dei testi sul lusso delle aristocrazie arcaiche sarebbe
da ascrivere completamente ad Ateneo e la presenza del nesso tryphe-decadenza nei frammenti di
tradizione indiretta tramandati dai Deipnosofisti costituirebbe la spia di una alterazione del testo
tradito ad opera del Naucratita315, che non avrebbe trovato tale interpretazione nelle sue fonti di
IV secolo ma l’avrebbe introdotta di sua iniziativa; di contro, sul ruolo svolto dalla Scuola di
Aristotele nella trasmissione dei testi sulla tryphev, cfr. POLITO 2012, pp. 29-44.
314
156
Aristofane allude come a componimenti di particolare licenziosità316— si
caratterizza come poeta tryphon in virtù delle sue musiche molli e conviviali, il cui
contesto di esecuzione non poteva che realizzarsi nel banchetto aristocratico317.
Magnete di Smirne, poeta e musico di bell’aspetto, di cui Gige era invaghito, —
secondo quanto racconta Nicolao di Damasco (FGrHist 90 F 62318),
verosimilmente dipendente da Xanto di Lidia319 — esibiva abbigliamento e
ornamenti sontuosi; i cittadini di Magnesia al Sipilo, cui egli era inviso per il
fascino che esercitava sulle loro donne, lo assalirono, straziandone vesti e chiome,
con il pretesto che Magnete non aveva menzionato il loro valore nella sua
Amazzonomachia, attribuendo i meriti dell’impresa ai soli Lidi. Nell’episodio di
Magnete, dunque, la habrosyne/tryphe del personaggio, colta in una delle sue
manifestazioni tipiche — esibizione di un abbigliamento-kosmos di prestigio —, si
Su Polimnesto inventore dell’ipolidio e autore di nomoi aulodici, cfr. PS.-PLUTARCH., De Mus.
5 (1134D4-5: Καὶ Πολύµνηστος δ' αὐλῳδικοὺς νόµους ἐποίησεν· εἰ δὲ τῷ Ὀρθίῳ νόµῳ <ἐν> τῇ
µελοποιίᾳ κέχρηται, καθάπερ οἱ ἁρµονικοί φασιν, οὐκ ἔχοµεν [δ'] ἀκριβῶς εἰπεῖν· οὐ γὰρ εἰρήκασιν οἱ
ἀρχαῖοί τι περὶ τούτου) e 29, 10 (1141B5-C1: Πολυµνήστῳ δὲ τόν θ' ὑπολύδιον νῦν ὀνοµαζόµενον
τόνον ἀνατιθέασι, καὶ τὴν ἔκλυσιν καὶ τὴν ἐκβολὴν πολὺ µείζω πεποιηκέναι φασὶν αὐτόν. καὶ αὐτὸν
δὲ τὸν Ὄλυµπον ἐκεῖνον, ᾧ δὴ τὴν ἀρχὴν τῆς Ἑλληνικῆς τε καὶ νοµικῆς µούσης ἀποδιδόασι, τό τε
τῆς ἁρµονίας γένος ἐξευρεῖν φασι, καὶ τῶν ῥυθµῶν τόν τε προσοδιακόν, ἐν ᾧ ὁ τοῦ Ἄρεως νόµος, καὶ
τὸν χορεῖον, ᾧ πολλῷ κέχρηται ἐν τοῖς Μητρῴοις· ἔνιοι δὲ καὶ τὸν βακχεῖον Ὄλυµπον οἴονται
εὑρηκέναι. δηλοῖ δ' ἕκαστον τῶν ἀρχαίων µελῶν ὅτι ταῦθ' οὕτως ἔχει). Sul carattere licenzioso della
variante del nomos aulodikos da lui creata, poi chiamata Polymnesteia, cfr. CRATIN., fr. 305 Koch;
ARISTOPH., Eq. 1287 e schol. ad loc. (<Πολυµνήστεια:> µέλη Πολυµνήστου Κολοφωνίου· κιθαρῳδὸς
δὲ ἦν οὗτος· Κρατῖνος “καὶ Πολυµνήστει' ἀείδει, µουσικήν τε µανθάνει”. κωµῳδεῖται δὲ καὶ οὗτος ἐν
τοῖς αὐτοῖς. Πολύµνηστος δὲ καὶ Οἰώνιχος ὅµοιοι ἀρρητοποιοί).
317
TALAMO 2010 [1973], pp. 55-56; RAGONE 2005, p. 31.
318
NIC. DAM., FGrHist 90 F 62: Ὅτι Μάγνης ἦν ἀνὴρ Σµυρναῖος, καλὸς τὴν ἰδέαν εἴ τις καὶ ἄλλος,
ποιήσει τε καὶ µουσικῇ δόκιµος. Ἤσκητο δὲ καὶ τὸ σῶµα διαπρεπεῖ κόσµῳ, ἁλουργῆ (1)
ἀµπεχόµενος, καὶ κόµην τρέφων χρυσῷ στροφίῳ κεκορυµβωµένην· περιῄει τε τὰς πόλεις
ἐπιδεικνύµενος τὴν ποίησιν. Τούτου δὲ πολλοὶ µὲν καὶ ἄλλοι ἤρων, Γύγης δὲ µᾶλλόν τι ἐφλέγετο,
καὶ αὐτὸν εἶχε παιδικά. Γυναῖκάς γε µὴν πάσας ἐξέµηνεν, ἔνθα ἐγένετο ὁ Μάγνης, µάλιστα δὲ τὰς
Μαγνήτων, καὶ συνῆν αὐταῖς. Οἱ δὲ τούτων συγγενεῖς, ἀχθόµενοι ἐπὶ τῇ αἰσχύνῃ, πρόφασιν
ποιησάµενοι, ὅτι ἐν τοῖς ἔπεσιν ᾖσεν ὁ Μάγνης Λυδῶν ἀριστείαν ἐν ἱπποµαχίᾳ πρὸς Ἀµαζόνας,
αὐτῶν δὲ οὐδὲν ἐµνήσθη, ἐπαΐξαντες περικατέρρηξάν τε τὴν ἐσθῆτα, καὶ τὰς κόµας ἐξέκειραν, καὶ
πᾶσαν λώβην προσέθεσαν. Ἐφ' οἷς ἤλγησε µάλιστα Γύγης, καὶ πολλάκις µὲν εἰς τὴν Μαγνήτων γῆν
ἐνέβαλε, τέλος δὲ καὶ χειροῦται τὴν πόλιν, ἐπανελθὼν δὲ εἰς Σάρδεις, πανηγύρεις ἐποιήσατο
µεγαλοπρεπεῖς.
319
Cfr. TALAMO 1979, pp. 151-154.
316
157
associa ad una posizione politica filolidia: il pretesto che giustifica la violenza che
i Magneti esercitano su di lui è l’attività “propagandistica” che egli svolge in
favore del regno di Lidia; le forme in cui tale violenza si esplica sono la
distruzione dei simboli del suo status di lydizon, ovvero di quegli elementi
dell’abbigliamento-kosmos che nella storiografia di IV secolo diverranno simboli
di tryphe.
In Magnete, dunque, si realizza un nesso tra tryphan e lydizein; per quest’ultimo
come per Polimnesto, inoltre, la relazione tra tryphe e produzione poetica si
esprime nella dimensione sociale della poesia stessa: nel caso di Polimnesto, nel
contesto di esecuzione dei suoi componimenti, ovvero il simposio aristocratico;
nel caso di Magnete, nella funzione di sostegno alla egemonia lidia in Asia
Minore che la sua Amazzonomachia svolge. Tornando al caso di Teodoro, occorre
innanzitutto riflettere sulla eventualità che anche nella sua figura, come in quella
di Magnete, la tryphe potesse essere legata a uno status di lydizon, cioè al far parte
di ambienti filolidi320; in secondo luogo è necessario capire in che termini si
esprima la relazione tra la sua produzione poetica e il suo essere tryphon: questioni
alle quali sembra fornire una risposta l’esame del contesto di esecuzione dei suoi
canti, esplicitato nell’ultima parte del fr. 1a della Kolophonion Politeia.
La citazione aristotelica riportata da Ateneo si conclude con la frase ἔτι γὰρ καὶ
νῦν αἱ γυναῖκες ᾄδουσιν αὐτοῦ µέλη περὶ τὰς ἐώρας.
La notizia che fa di Teodoro l’autore di canti intonati in occasione delle Aiorai,
riportata anche da Polluce (ἦν δέ τι καὶ ἀλῆτις ᾆσµα ταῖς αἰώραις προσᾳδόµενον,
Θεοδώρου ποίηµα τοῦ Κολοφωνίου), è certamente tratta dalla Kolophonion Politeia,
Per una lettura in tal senso cfr. RAGONE 2005, p. 32: «Per entrambi questi poeti l’origine
colofonia o smirnea si sposa dunque ad una produzione poetica lidizzante e alla pratica della
tryphe; nonché ad un coinvolgimento talmente estremo nelle conseguenti tensioni politiche, da
esporli alla violenza fisica».
320
158
giacché proprio a conferma dell’esistenza di tale canto Ateneo riporta il passo
aristotelico incentrato sul poeta colofonio.
Più problematica risulta la comprensione del nesso ἔτι γὰρ καὶ νῦν che apre la
frase: quale sarebbe la connessione tra la tryphe di Teodoro e il fatto che le donne
ancora al tempo di Aristotele intonavano i suoi canti ad Erigone? Si possono
formulare diverse ipotesi:
1) Ateneo potrebbe aver rielaborato l’informazione aristotelica relativa alla
esecuzione dei canti di Teodoro alle Aiorai, aggiungendovi di proprio pugno il
nesso γavρ, al fine di integrare — invero in modo maldestro e poco perspicuo — il
passo tratto dalla Kolophonion Politeia alla sequenza tematica sulle canzoni e
rafforzarne il carattere illustrativo. In tal caso la citazione letterale del testo
aristotelico terminerebbe con ὡς ἐκ τῆς ποιήσεως δῆλόν ἐστιν (l. 16)321, mentre il
successivo ἔτι γὰρ καὶ νῦν αἱ γυναῖκες ᾄδουσιν αὐτοῦ µέλη περὶ τὰς ἐώρας
tramanderebbe in forma rielaborata un nucleo di contenuto presente nella
Kolophonion Politeia. Questa ipotesi tuttavia appare nel complesso poco
convincente, perché ne risulterebbe un intervento di Ateneo sul testo aristotelico
di scarsa chiarezza e funzionalità.
2) Ateneo potrebbe aver omesso una parte del passo aristotelico — quella
compresa tra il periodo Si dice che egli fosse un uomo dedito alla tryphe, come è
evidente dalla sua produzione poetica e l’affermazione conclusiva Infatti ancora oggi le
donne intonano i suoi canti in occasione delle feste Aiorai: in una tale sezione è
possibile venissero fornite delle informazioni che costituissero il presupposto
logico dell’enunciato finale (Infatti ancora oggi..). Se così fosse, il nesso tra la
tryphe e la poiesis di Teodoro non sarebbe esplicitato dal testo del fr. 1a nella
Sempre che non si intenda il levgetai della l. 15 come il segnale di una parafrasi del testo
riportato (cfr. supra pp. 154-155).
321
159
forma in cui ci è giunto e andrebbe pertanto ricondotto, in via ipotetica, al
modello delle musiche malakai kai sympotikai in cui, come abbiamo visto,
sembrerebbe realizzarsi la tryphe di Polimnesto; il nesso conclusivo ἔτι γὰρ καὶ νῦν
ci risulterebbe pertanto incomprensibile per la totale perdita del presupposto
logico a cui si agganciava nel testo originario.
3) Ateneo potrebbe aver citato testualmente l’intero passo tratto dalla
Kolophonion Politeia. Il nesso ἔτι γὰρ καὶ νῦν, che introduce l’ultima parte del fr.
1a, esplicherebbe la relazione tra la tryphe di Teodoro e i suoi componimenti
poetici (affermata nella frase precedente) nel segno delle Aiorai (ovvero del loro
contesto di esecuzione): che il poeta colofonio fosse un tryphon si evincerebbe
dalla sua produzione poetica, ovvero dagli inni da lui composti per le feste Aiorai,
intonati ancora al tempo di Aristotele o della sua fonte. Quest’ultima ipotesi
sembrerebbe la più convincente, alla luce di quanto è possibile ricavare dalle
fonti in merito alla natura delle Aiorai e, più in particolare, in merito al contesto
in cui esse venivano celebrate nella città di Colofone.
Le Aiorai — attestate solo da fonti tarde322 come feste celebrate ad Atene in
onore di Erigone323, note anche con il nome di εὔδειπνο~ e, in epoca precedente,
HESYCH. s.v. aijwvra: ἑορτὴ Ἀθήνῃσιν, ἣν οἱ µὲν ἐπὶ τῇ Μαλέου Τυῤῥηνοῦ †θυειν φασι· οἱ δὲ ἐπὶ
Κλυταιµνήστρας καὶ Αἰγίσθου· οἱ δὲ ἐπὶ Ἠριγόνῃ Ἀλήτιδι τῇ Ἰκαρίου. HESYCH. s.v. ajlh`ti~· ἑορτὴ
Ἀθήνησιν, ἡ νῦν Αἰώρα λεγοµένη. Etym. Magn. s.v.aijwvra: ἑορτὴ Ἀθηναῖς, ἣν καλοῦσιν εὔδειπνον.
Λέγεται γὰρ Ἠριγόνην τὴν Αἰγίσθου καὶ Κλυταιµνήστρας θυγατέρα σὺν Τυνδαρέῳ [τῷ πάππῳ]
ἐλθεῖν Ἀθήναζε, κατηγορήσουσαν Ὀρέστου· ἀπολυθέντος δὲ, ἀναρτήσασαν ἑαυτὴν, προστρόπαιον
τοῖς Ἀθηναίοις γενέσθαι· κατὰ χρησµὸν δὲ ἐπ' αὐτῇ συντελεῖσθαι τὴν ἑορτήν.
323
L’eroina, protagonista di diversi racconti mitici in cui appare legata ora ad Artemide ora a
Dioniso, era probabilmente in origine una dea connessa ad un culto arboreo, venerata non solo in
Attica e a Colofone — come testimoniano le fonti letterarie — ma forse in tutta la Ionia (cfr.
NILSSON 1915, p. 199). Nell’Erigone di Eratostene (alla base del racconto riportato da HYGIN., De
Astr. II 4, come evidenziato da DIETRICH 1961, p. 37) si racconta che Icario, preso a diffondere
nell’Attica il vino che Dioniso gli aveva fatto conoscere, fu ucciso da dei contadini che, avendo
bevuto vino puro e sconvolti dai suoi effetti, credettero di essere stati avvelenati. La figlia di
Icario, Erigone, chiamata aletis, qui nel senso di errante, per il suo disperato vagare in cerca del
padre, scopertane la morte, si impiccò. Per effetto di una maledizione formulata dalla fanciulla in
322
160
con quello di ajlh`ti~324 — dovevano essere delle feste di culto agrario di carattere
purificatorio325 in onore di una divinità arborea di nome Erigone, il cui culto era
in qualche modo associato a quello di Artemide e di Dioniso. Entrambe le
divinità sembra ricevessero un culto a Colofone, all’interno del santuario di
punto di morte, molte vergini ateniesi iniziarono ad impiccarsi; al fine di placare il fantasma della
giovane, gli Ateniesi, su responso apollineo, istituirono in suo onore solenni sacrifici, nel corso dei
quali fanciulle, anch’esse chiamate aletides, si dondolavano appese a delle funi. Un’altra versione
del mito mette variamente in relazione Oreste ed Erigone (cfr. JACOBY, FGrHist III (Suppl. b) 2,
48), attestando ora il suicidio per impiccagione della fanciulla in seguito alla assoluzione di Oreste
voluta dall’Areopago (APOLLOD., Epit. 6, 25; TZETZ., ad Lycophr. 1474; con ulteriori, lievi
varianti, Et. Magn. s.v. Aijwvra; HYGIN. II 9; PAUS. VIII 34, 4), ora il tentativo del giovane di
uccidere Erigone e il salvataggio dell’eroina da parte di Artemide (HYGIN. I 22), ora il matrimonio
tra i due giovani (APOLLOD., Epit. 6, 27 e PAUS. II 18, 6). Secondo DIETRICH 1961, la variante
mitica che collega Erigone all’eroe eponimo del demo di Icaria potrebbe essere stata inventata da
Eratostene (non conosciamo, infatti, fonti più antiche che la attestino: cfr. HEEG 1916 col. 973
ss.) sulla falsa riga del mito di Oreste (cfr. NILSSON 1915, pp. 193 ss.; HEEG 1916 col. 973 ss.;
DEUBNER 1932, p. 199 nota 2), di cui conserva l’elemento fondamentale del suicidio per
impiccagione della fanciulla, in conseguenza dell’uccisione del padre: il legame di Erigone con
Egisto e Clitennestra infatti — sottolinea Dietrich — appare più antico e noto già a Sofocle nel
dramma omonimo. Il motivo del suicidio per impiccagione, che ricorre in tutte le varianti del
mito di cui Erigone è protagonista, accomuna la fanciulla a numerose divinità della mitologia
greca legate a forme di culto degli alberi — Arianna (PLUTARCH., Theseus 20), Elena dendri`ti~
(PAUS. III, 19, 10), Artemide ajpagcomevnh (in passato chiamata Condyleatis dal nome della
località in cui si trovava il suo tempio, cfr. PAUS. VIII, 23, 6f) — ed autorizza pertanto ad
ipotizzarne, con NILSSON 1915, p. 199, l’originaria natura di divinità arborea.
324
Il termine, che nel frammento aristotelico in esame non è chiaro se sia adoperato come epiteto
di Erigone o come nome del canto in onore della fanciulla, viene solitamente inteso come nomen
agentis dal verbo ajlavomai, errare, vagabondare, e tradotto pertanto come errante (cfr. CHANTRAINE,
Dictionnaire e FRISK, GEW s.v. ajlavomai), conformemente ad una etimologia attestata già in antico
(cfr. Etym gud. s.v.ajlhvth~· ὁ πλανήτης· ἀπὸ τοῦ ἄλη, <ἐξ οὗ> καὶ ἀλητεία, ἡ πλάνη, καὶ ἀλητεύω,
τὸ πλανῶµαι. ἀλῆτις δὲ ὄνοµα θηλυκόν) e al significato che la parola assume, quale epiteto di
Erigone, nella tradizione eratostenica confluita in HYGIN., De Astr. II 4 (cfr. supra, nota prec). Il
contesto di culto agrario in cui sembra che venisse celebrato il rito delle Aiorai, tuttavia,
unitamente al carattere “demetriaco” del passo in cui Ateneo riporta la citazione aristotelica,
potrebbe indurre ad accogliere una diversa etimologia del termine dal verbo ajlevw, macinare,
suggerita dalla voce ἀλῆτις dell’Etym. gen.: ἀλῆτις· τινὲς τὴν Ἠριγόνην λέγουσι τὴν Ἰκαρίου
θυγατέρα, ὅτι πανταχοῦ ζητοῦσα τὸν πατέρα ἠλᾶτο· οἱ δὲ Αἰγίσθου καὶ Κλυταιµνήστρας φασίν· οἱ δὲ
τὴν τοῦ Μαλεώτου τοῦ Τυρρηνίου θυγατέρα· οἱ δὲ τὴν Μήδειαν, ὅτι µετὰ φόνον τοῦ παιδὸς πρὸς
Αἰγέα κατέφυγεν ἀλητεύσασα· οἱ δὲ τὴν Φερσεφόνην, διότι τοὺς πυροὺς ἀλοῦντες πέµµατά τινα
προσφέρουσιν αὐτῇ. οὕτως Μεθόδιος. Stando a HESYCH. s.v. ajlh`ti~, il termine sarebbe stato
l’antico nome delle feste note al suo tempo come Aijwvrai.
325
È l’aition della festa attestato da HYGIN., De Astr. II 4 (cfr. supra, nota 323) ad esplicitare che
essa consisteva essenzialmente in un rito di purificazione: il “dondolare” delle vergini attiche,
evidentemente teso a simulare un’impiccagione rituale, come espiazione della colpa della morte di
Erigone.
161
Apollo clario. Claros era una località sita nella fertile valle del fiume Ales, a
ridosso della costa, circa 13 km a sud di Colofone; fu forse il porto fluviale della
città e la sede di un santuario oracolare consacrato ad Apollo, con forti legami
con l’Apollo delfico, la cui esistenza è attestata dalla documentazione letteraria,
epigrafica e archeologica almeno a partire dall’età arcaica326. La presenza di tratti
cultuali dionisiaci nel santuario apollineo è testimoniata da fonti letterarie327 ed
epigrafiche328; sul culto di un’Artemide claria disponiamo anche di una cospicua
documentazione archeologica: i resti del tempio di epoca ellenistica, associati a
notevoli materiali di età arcaica (altare, ambiente forse a destinazione cultuale,
numerosi ex-voto), che sembrerebbero confortare l’ipotesi della esistenza di un
edificio cultuale già per livelli cronologici piuttosto alti, suggerita anche dall’inno
omerico alla dea329. Alla luce di tali elementi è possibile ipotizzare, seppure in
assenza di testimonianze esplicite in tal senso, che all’interno del santuario clario,
in occasione di feste dette Aiorai (o chiamate così da Aristotele, per assimilazione
alle Aiorai ateniesi), si celebrasse il rito cui fa riferimento il passo aristotelico
tramandato da Ateneo, forse in onore di una divinità arborea di nome Erigonealetis, che il fr. 1a tuttavia non menziona.
RAGONE 2005, pp. 15-18 e bibliografia ivi citata; sullo specifico carattere oracolare del
santuario clario e sulle tensioni che le fonti sembrano registrare al suo interno per l’età arcaica,
cfr. TALAMO 2010 [1998].
327
HOM., Hymn.in Dian. 5, in cui il santuario clario ha l’epiteto ricco di viti (ej~ Klavron
ajmpelovessan); HESYCH. s.v.Klariva (klhvmata ajmpelovfulla) e s.v.Klavrion (ajmpelovfuton kai;
ejpivqeton jApovllwno~); LYCOPHR., Alex. 1464, la più antica testimonianza sulla sibilla di Claros,
qui appellata Mimallon (Κλάρου Μιµαλλὼν), ovvero Baccante, come chiariscono TZETZ., ad
Lycophr. Alex. 1464 (<µιµαλλὼν> βάκχη ἢ προφῆτις ἡ τὸν Ἀπόλλωνα ταῖς µαντείαις µιµουµένη),
Schol. Lycophr. Alex. 1464 (Κλάρος δὲ τόπος Κολοφῶνος <µιµαλὼν> δὲ ἡ βάκχη διὰ τὸ µανιῶδες καὶ
ἐνθουσιῶδες) e EUSTATH., Comm. ad Dion. Per. 444 (Ὅθεν καὶ παρὰ τῷ Λυκόφρονι ἡ Κασσάνδρα
Κλάρου Μιµαλὼν λέγεται, τουτέστι βάκχη καὶ µάντις Κλαρία).
328
OMS V, 106 fig. 4.
329
HOM., Hymn.in Dian. 5; cfr. RAGONE 2005, p. 18. Sugli scavi di Claros cfr. DE LA GENIÈRE JOLIVET 2003.
326
162
Come ipotizzato da C. Talamo, il santuario fu probabilmente conquistato dai Lidi
già al tempo di Gige330, agli inizi del VII sec., e costituì il nucleo originario del
processo di lidizzazione della città, conclusosi, con Aliatte, alla fine dello stesso
secolo331.
Sulla base di ARISTOT., Pol. 1290b14-17 e XENOPH. fr. 3 Gentili-Prato, la
studiosa evidenzia che la lidizzazione della polis comportò, nel corso del VII sec.,
un restringimento oligarchico da un plethos detentore di ricchezze e poteri politici,
cui allude Aristotele in Pol. 1290b14-17332 in riferimento al periodo precedente
alla guerra con i Lidi, ad una costituzione a numero chiuso di cui facevano parte
solo mille cittadini lydizontes, “riflessa” nel fr. 3 Gentili-Prato di Senofane333 e
HDT. I 14 attribuisce a Gige la presa di Kolophonos to asty, parte bassa della città che è lecito
identificare con la piana di Claros. Il rinvenimento a Colofone di una moneta lidia in elettro con
la legenda Ales — datata dai numismatici ad un’epoca precedente al regno di Aliatte — fornisce
inoltre il terminus ante quem del preteso controllo lidio sul fiume colofonio a ridosso del quale
sorgeva il santuario clario. Considerato che la tradizione attribuisce proprio a Gige e ad Aliatte le
maggiori spinte espansionistiche ai danni delle città greche d’Asia, descrivendo i sovrani che
regnarono nella fase intermedia tra i due, Ardys e Sadiatte, impegnati prevalentemente contro i
Cimmeri (HDT. I 14-17; NIC. DAM., FGrHist 90 F 63; DIOG. LAERT. I 83; POLYAEN. VII 2, 2),
sembra possibile ascrivere a Gige il primo scontro con Colofone, che portò al controllo lidio di
Claros (così TALAMO 2010 [1973], pp. 54-60).
331
Polieno, nella sua raccolta di Stratagemmi, ricorda un momento di conflittualità tra la polis e il
regno di Lidia alla fine del VII secolo, quando Aliatte, servendosi di un espediente, ne annientò la
cavalleria: il sovrano, fatta una symmachia con i cavalieri colofoni, li invitò ad entrare in città con
la promessa di un compenso doppio per le loro prestazioni militari, per poi ucciderli, approfittando
del fatto che fossero disarmati (POLYAEN. VII, 2, 2 Ἀλυάττης Κολοφωνίους πολλὴν δύναµιν ἱππικὴν
ἔχοντας ἀφελέσθαι βουλόµενος τοὺς ἵππους συµµαχίαν πρὸς αὐτοὺς ἐποιήσατο καὶ τὰς ἐκ τῶν
στρατειῶν ὠφελείας ἀεὶ µείζονας ἔνεµε τοῖς ἱππεῦσι. τέλος δὲ ὁ µὲν ἐν Σάρδεσιν ἦν λαµπρὰν ἀγορὰν
αὐτοῖς παρασκευάζων καὶ διπλῆν τὴν µισθοφορὰν ἑτοιµάζων, οἱ δὲ ἱππεῖς ἔξω τῆς πόλεως τὸ
στρατόπεδον ἔχοντες, τοῖς ἱπποκόµοις παραδόντες τοὺς ἵππους εἴσω τειχῶν παρῆλθον ἐπὶ τὴν διπλῆν
µισθοφορὰν σπουδῇ θέοντες. Ἀλυάττης τὰ τείχη κλείσας, τοὺς ἰδίους ὁπλίτας περιστήσας ἀπέκτεινε
τοὺς ἱππεῖς ἅπαντας καὶ τοὺς ἵππους αὐτῶν τοῖς ἰδίοις ὁπλίταις ἔδωκεν). Cfr. TALAMO 2010 [1973],
pp. 54-60.
332
Lo Stagirita in Pol. 1290b14-17 (οὔτε ἂν οἱ πλούσιοι διὰ τὸ κατὰ πλῆθος ὑπερέχειν, ὀλιγαρχία
[corr. Bojesen], οἷον ἐν Κολοφῶνι τὸ παλαιόν (ἐκεῖ γὰρ ἐκέκτηντο µακρὰν οὐσίαν οἱ πλείους πρὶν
γενέσθαι τὸν πόλεµον τὸν πρὸς Λυδούς)), a illustrazione della teoria, sostenuta nelle righe
precedenti, che non si dà oligarchia quando i ricchi governano per il solo fatto di essere i più, riporta
l’esempio della Colofone antica, dei tempi precedenti alla guerra con i Lidi, quando i più avevano
grandi ricchezze (cfr. TALAMO 2010 [1973], pp. 54-55; 60-66; per una riflessione sulla correzione di
Bojesen al testo di Pol. 1290b14-17, cfr. TALAMO 2010, pp. 183-185).
333
Senofane nel fr. 3 Gentili-Prato (ἁβροσύνας δὲ µαθόντες ἀνωφελέας παρὰ Λυδῶν,/ ὄφρα τυραννίης
ἦσαν ἄνευ στυγερῆς,/ ἤιεσαν εἰς ἀγορὴν παναλουργέα φάρε' ἔχοντες,/ οὐ µείους ὥσπερ χείλιοι ὡς
330
163
riferita dal poeta colofonio alla fase precedente alla instaurazione della tirannide:
i cavalieri colofoni uccisi da Aliatte, secondo il racconto di POLYAEN. VII 2, 2,
rappresenterebbero la parte della comunità, detentrice di grandi ricchezze ma
estranea alla pratica della habrosyne che doveva contraddistinguere i lydizontes,
esclusa dai diritti politici nell’assetto costituzionale della fine del VII secolo.
Il santuario di Claros sembrerebbe essere stato, dunque, il canale attraverso il
quale i re di Lidia presero ad esercitare un controllo su Colofone. D’altro canto, il
legame tra l’aristocrazia sacerdotale colofonia e i re di Lidia è documentato da
un’epigrafe di età romana (SEG 15, 715) rinvenuta nel tempio di Apollo clario,
che attesta l’esistenza di un genos — forse dal nome Patrogenidai — chiaramente
filolidio in quanto reclamante un’ascendenza da Ardys334.
Per tornare alle Aiorai — e al loro legame con la tryphe di Teodoro —, se esse
venivano celebrate all’interno del santuario clario (o anche solo in rapporto ad
esso), come sembra di poter ipotizzare alla luce del rapporto Erigone-Artemide335,
e se il santuario ebbe un ruolo propulsore nell’affermazione del controllo lidio
sulla polis e nel parallelo restringimento della piena partecipazione a mille
ἐπίπαν/ αὐχαλέοι, χαίτηισιν ἀγαλλοµεν εὐπρεπέεσσιν,/ ἀσκητοῖς ὀδµὴν χρίµασι δευόµενοι),
tramandato da ATHEN. XII 526ab a proposito della tryphe dei Colofoni, nel contesto di altre
testimonianze, posteriori (Filarco, 526a; Teopompo, 526c; Diogene di Babilonia, 526d), che
sembrano variamente rielaborare versi di Senofane stesso, descrive con accento critico le inutili
habrosynai apprese dai Lidi, che non meno di mille tra i suoi concittadini ostentavano nel recarsi
all’agora (cfr. TALAMO 2010 [1973], pp. 54-55; 60-66). Il passo — sottolinea C. Talamo — è in
relazione con ARISTOT., Pol. 1290b14-17, poiché entrambi fanno riferimento ai rapporti tra
Colofone e i Lidi, mettendone in luce momenti differenti: Aristotele il periodo precedente ad uno
scontro, quando i più in città avevano grandi ricchezze e governavano in quanto plethos; Senofane
quello successivo alla assimilazione da parte di mille Colofoni — frequentatori dello spazio politico
della agora — di uno stile di vita peculiare dei Lidi. Talamo ipotizza inoltre che Senofane possa
essere la fonte locale di Aristotele sulle vicende colofonie alluse in Pol. 1290b14-17: lo Stagirita
trarrebbe le informazioni sulla Colofone antica esposte nel passo della Politica dai versi perduti di
Senofane che precedevano il fr. 3, in cui è possibile che il poeta illustrasse vicende più remote
della storia locale.
334
TALAMO 2010 [1973], p. 55.
335
TALAMO 2010 [1973], p. 57.
164
lydizontes dediti alla habrosyne/tryphe336, si potrebbe forse individuare nella festa
delle Aiorai uno dei momenti istituzionali della vita comunitaria, in cui
l’oligarchia cittadina faceva sfoggio di beni di prestigio che ne affermavano lo
status di supremazia.
Quanto a Teodoro, il fatto che egli fosse autore di canti ufficiali per le Aiorai —
eseguiti ancora al tempo di Aristotele o della sua fonte — ne implica un legame
con l’aristocrazia sacerdotale colofonia; la presenza del nome Teodoro in
un’iscrizione337 datata intorno alla metà del VI sec., su una kore rinvenuta nel
tempio della dea a Claros, recante la dedica ad Artemide della statua da parte di
un tal Timonax figlio di Teodoro, che ne era stato sacerdote la prima volta,
potrebbe suggerire, inoltre, che i due Teodoro siano la stessa persona o almeno
membri di una stessa famiglia dell’aristocrazia sacerdotale, legata al santuario
clario fin da epoca arcaica338. Proprio nello stretto rapporto con il santuario —
spazio di ostentazione della habrosyne dei lydizontes — si realizzerebbe così la
tryphe di Teodoro, che si configurerebbe come poeta tryphon e lydizon (d’altronde
proprio dai Lidi i Colofoni avrebbero appreso la tryphe secondo XENOPH., fr. 3
Gentili-Prato) al pari di Magnete di Smirne.
Alla luce di queste valutazioni è opportuno ritornare su un altro dato del nostro
frammento: la morte violenta di Teodoro in un momento imprecisato della storia
colofonia. Si potrebbe forse formulare l’ipotesi che egli, proprio come il poeta
smirneo, sia stato oggetto delle violenze di eventuali nemici proprio a causa della
sua tryphe lidizzante.
L’influenza lidia su Colofone — e i suoi effetti sull’assetto costituzionale della
città, se la ricostruzione proposta da Talamo è corretta — non sembrano, infatti,
TALAMO 2010 [1973], pp. 57-62.
YOUNG - BERAN - ROBERT - HANFMANN - DETWEILER - ÖZGÜÇ 1960, p. 22.
338
TALAMO 2010 [1973], p. 57.
336
337
165
essere state esenti da conseguenze traumatiche sul piano delle dinamiche interne
alla vita della polis339. Le fonti attestano infatti che, a causa dei Lidi, si verificò un
espatrio di alcuni Colofoni in più direzioni: Strabone (VI 1, 14, qui
probabilmente dipendente, per il tramite di Timeo, da Antioco, che attingeva a
sua volta da fonti locali) testimonia la fondazione di Polieion, in Italia, ad opera
di alcuni Ioni (tradizionalmente identificati con i Colofoni sulla base di
ARISTOT., Koloph. Pol. fr. 2?340) in fuga dall’arche dei Lidi e il lessico Suda (s.v.
cruso;~ Kolofwvnio~) parla di esuli, banditi dalla madrepatria e trasferitisi in Tracia
a causa dei Lidi. Questi dati offerti dalla tradizione potrebbero indurre a credere
che la piena affermazione del controllo lidio sulla città possa aver indotto
all’espatrio quanti, a loro avversi, si videro estromessi dalla comunità politica341.
Se l’identificazione di Teodoro con un membro dell’aristocrazia sacerdotale
lidizzante è corretta, l’immagine della morte violenta — seguita ad altre morti —
di un poeta tryphon e lydizon che il fr. 1a lascerebbe intravedere, unita al dato
della “fuga dai Lidi” di alcuni Colofoni attestata dalle fonti, potrebbe suggerire
che la progressiva affermazione del controllo lidio sulla polis nel corso del VII
secolo — e le sue conseguenze politiche — furono accompagnate da tensioni
interne al corpo civico tra una fazione di lydizontes colofoni dediti alla pratica
della habrosyne/tryphe, di cui Teodoro faceva parte, e un gruppo di cittadini ostile
ai Lidi. È possibile allora formulare l’ipotesi che proprio queste tensioni
costituiscano il contesto in cui potrebbe essere avvenuta la morte violenta di
Teodoro, attestata dal fr. 1a della Kolophonion Politeia. Dunque Aristotele
potrebbe aver raccontato questo momento di (tensioni e) uccisioni e aver
utilizzato la categoria della tryphe per connotare una della parti in causa; in tale
TALAMO 2010 [1973], pp. 67-69.
Cfr. infra, pp. 174-175.
341
TALAMO 2010 [1973], pp. 67-69.
339
340
166
contesto, lo Stagirita potrebbe aver menzionato le Aiorai alla luce della possibile
conoscenza del ruolo del santuario come spazio in cui l’oligarchia cittadina
lidizzante ostentava il suo status eminente. D’altronde, probabilmente la
Kolophonion Politeia narrava dell’occupazione colofonia di Siris (ovvero di quella
fondazione di Polieion che Strabone attribuisce a esuli ioni in fuga dai Lidi),
come è lecito ipotizzare anche alla luce del fr. 2?342, quindi affrontava le vicende
di VII sec. e tra esse certamente menzionava il problema, centrale, dei rapporti
con la Lidia, che lo Stagirita mostra chiaramente di conoscere in Pol. 1290b1417.
Del resto nella Politica e in alcuni frammenti superstiti delle Politeiai il termine
tryphe sembra assumere una specifica valenza politica343. Il termine e i suoi
derivati compaiono in dieci passi della Politica; benché in nessuno di essi se ne
incontri una trattazione diretta o una precisa teorizzazione in termini politici, i
contesti in cui i termini ricorrono e il significato che essi di volta in volta
assumono consentono di constatare che, nella riflessione politica aristotelica, la
trufhv si configura come uno stile di vita individuale o collettivo responsabile
della alterazione delle dinamiche proprie della vita della povli~ (Pol. IV 1295b11296a9) e in grado di minare la stabilità della politeiva (Pol. V 1310a12-25,
1311a8-12, 1312a8-14). Nella Politica la tryphe viene infatti connotata come uno
stile di vita intemperante (non swfrovnw~), dedito al soddisfacimento di bisogni
non necessari (1265a28-38; 1326b30-39)344, causato da un eccesso di ricchezza
Cfr. infra, pp. 172 e ss., in particolare pp. 174-175.
Per un esame del motivo della tryphe nei passi in questione, cfr. PEZZULLO 2012, pp. 331-349,
di cui in questa sede si riportano le conclusioni solo in estrema sintesi.
344
ARISTOT., Pol. 1265a28-38: καὶ τὸ πλῆθος δὲ τῆς κτήσεως ὁρᾶν δεῖ, µή ποτε βέλτιον ἑτέρως
διορίσαι τῷ σαφῶς µᾶλλον. τοσαύτην γὰρ εἶναί φησι δεῖν ὥστε ζῆν σωφρόνως, ὥσπερ ἂν εἴ τις εἶπεν
ὥστε ζῆν εὖ. τοῦτο γάρ ἐστι καθόλου µᾶλλον. ἔτι δ' ἔστι σωφρόνως µὲν ταλαιπώρως δὲ ζῆν, ἀλλὰ
βελτίων ὅρος τὸ σωφρόνως καὶ ἐλευθερίως (χωρὶς γὰρ ἑκατέρῳ τῷ µὲν τὸ τρυφᾶν ἀκολουθήσει, τῷ δὲ
342
343
167
(1266b24-26, 1269b22-24)345; menzionata a proposito della condotta di oligarchi
e monarchi, essa ne inficia la capacità di governare e rende gli uni soggetti al
rischio di innovazioni politiche ad opera del demos, gli altri esposti al pericolo di
congiure mosse da disprezzo (διὰ καταφρόνησιν) (1300a7-8; 1310a22-23; 1311a811; 1312a8-15)346; in 1295b13-25347 essa appare come uno stile di vita che
τὸ ἐπιπόνως), ἐπεὶ µόναι γ'εἰσὶν ἕξεις αἱρεταὶ περὶ τὴν τῆς οὐσίας χρῆσιν αὗται, οἷον οὐσίᾳ πράως
µὲν ἢ ἀνδρείως χρῆσθαι οὐκ ἔστιν, σωφρόνως δὲ καὶ ἐλευθερίως ἔστιν, ὥστε καὶ τὰς ἕξεις ἀναγκαῖον
περὶ αὐτὴν εἶναι ταύτας. Pure l’estensione della proprietà, bisogna considerare se non sia meglio
determinarla diversamente, con una formula più chiara: egli (scil. Socrate nella Repubblica) afferma che
deve essere tanta da viverci in modo sobrio, quasi dicesse da viverci bene: in realtà, quest’espressione è più
generale. Inoltre si può vivere in modo sobrio ma miserabile. Una migliore definizione sarebbe «vivere in
modo sobrio e liberale» (perché se i due termini sono separati, al liberale terrà dietro il tryphan, all’altro
la miseria) e poi sono questi gli unici atteggiamenti desiderabili per l’uso delle sostanze – ad esempio non si
può usare la sostanza con mitezza o con coraggio, ma con sobrietà e liberalità sì: di conseguenza è
necessario che siano questi gli atteggiamenti da aversi in tale uso (Trad. it. R. Laurenti).
ARISTOT., Pol. 1326b30-39: πλήθει δὲ καὶ µεγέθει τοσαύτην ὥστε δύνασθαι τοὺς οἰκοῦντας ζῆν
σχολάζοντας ἐλευθερίως ἅµα καὶ σωφρόνως. τοῦτον δὲ τὸν ὅρον εἰ καλῶς ἢ µὴ καλῶς λέγοµεν, ὕστερον
ἐπισκεπτέον ἀκριβέστερον, ὅταν ὅλως περὶ κτήσεως καὶ τῆς περὶ τὴν οὐσίαν εὐπορίας συµβαίνῃ
ποιεῖσθαι µνείαν, πῶς δεῖ καὶ τίνα τρόπον ἔχειν πρὸς τὴν χρῆσιναὐτῆς· πολλαὶ γὰρ περὶ τὴν σκέψιν
ταύτην εἰσὶν ἀµφιςβητήσεις διὰ τοὺς ἕλκοντας ἐφ' ἑκατέραν τοῦ βίου τὴν ὑπερβολήν, τοὺς µὲν ἐπὶ
τὴν γλισχρότητα τοὺς δὲ ἐπὶ τὴν τρυφήν. [...] riguardo alla estensione e alla grandezza dovrebbe essere
tale che gli abitanti possano viverci in ozio in maniera degna di uomini liberi e insieme sobri. Se questo
limite lo poniamo a ragione o non a ragione, s’ha da esaminare con maggiore attenzione più avanti quando
ci toccherà far menzione in generale della proprietà e cioè della quantità delle ricchezze, come e in qual
modo devono stare in rapporto all’uso che se ne fa: a proposito di questa indagine ci sono molte
discussioni, a causa di quelli che trascinano la vita nell’uno o nell’altro estremo, gli uni verso la
spilorceria, gli altri verso la tryphe (Trad. it. R. Laurenti).
ARISTOT., Pol. 1290b38-1291a8: καὶ γὰρ αἱ πόλεις οὐκ ἐξ ἑνὸς ἀλλ'ἐκ πολλῶν σύγκεινται µερῶν,
ὥσπερ εἴρηται πολλάκις. ἓν µὲν οὖν ἐστι τὸ περὶ τὴν τροφὴν πλῆθος, οἱ καλούµενοι γεωργοί,
δεύτερον δὲ τὸ καλούµενον βάναυσον (ἔστι δὲ τοῦτο τὸ περὶ τὰς τέχνας ὧν ἄνευ πόλιν ἀδύνατον
οἰκεῖσθαι· τούτων δὲ τῶν τεχνῶν τὰς µὲν ἐξ ἀνάγκης ὑπάρχειν δεῖ, τὰς δὲ εἰς τρυφὴν ἢ τὸ καλῶς ζῆν)
[...] Anche gli stati non risultano di una parte sola, ma di molte, come spesso è stato detto. Di queste una
è la massa impegnata per il cibo, i cosiddetti agricoltori, seconda la classe cosiddetta degli operai meccanici
(che sono impegnati nei mestieri e senza loro uno stato non può essere abitato: di questi mestieri alcuni
devono esserci di rigore, altri invece contribuiscono alla tryphe o al viver bene) [...] (Trad. it. R.
Laurenti).
345
ARISTOT., Pol. 1266b24-26: ἀλλ' ἔστι τὴν ἰσότητα µὲν ὑπάρχειν τῆς οὐσίας, ταύτην δ' ἢ λίαν
εἶναι πολλήν, ὥστε τρυφᾶν, ἢ λίαν ὀλίγην, ὥστε ζῆν γλίσχρως. È bensì possibile che esista parità di
proprietà, ma questa può essere o troppo grande, donde il tryphan, o troppo esigua, donde un’esistenza
miseranda (Trad. it. R. Laurenti).
ARISTOT., Pol. 1269b22-24: ζῶσι γὰρ (scil. γυναῖκες) ἀκολάστως πρὸς ἅπασαν ἀκολασίαν καὶ
τρυφερῶς. ὥστ' ἀναγκαῖον ἐν τῇ τοιαύτῃ πολιτείᾳ τιµᾶσθαι τὸν πλοῦτον. Esse infatti (scil. le donne)
vivono senza freno, rotte a ogni dissolutezza e trypheros. È inevitabile, quindi, che in tale costituzione sia
in onore il denaro [...] (Trad. it. R. Laurenti).
346
ARISTOT., Pol. 1300a7-8: τρυφῶσι γὰρ αἱ τῶν ὀλιγαρχούντων (scil. γυναῖκες). Infatti le donne degli
oligarchi si danno alla tryphe (Trad. it. R. Laurenti).
168
rappresenta un fattore di squilibrio all’interno della comunità politica,
strutturalmente connesso al rischio di stasis (1296a7-9)348. Nelle poleis in cui si
ARISTOT., Pol. 1310a22-23: ἔστι δὲ τὸ πεπαιδεῦσθαι πρὸς τὴν πολιτείαν οὐ τοῦτο, τὸ ποιεῖν οἷς
χαίρουσιν οἱ ὀλιγαρχοῦντες ἢ οἱ δηµοκρατίαν βουλόµενοι, ἀλλ' οἷς δυνήσονται οἱ µὲν ὀλιγαρχεῖν οἱ
δὲ δηµοκρατεῖσθαι. νῦν δ' ἐν µὲν ταῖς ὀλιγαρχίαις οἱ τῶν ἀρχόντων υἱοὶ τρυφῶσιν, οἱ δὲ τῶν ἀπόρων
γίγνονται γεγυµνασµένοι καὶ πεπονηκότες, ὥστε καὶ βούλονται µᾶλλον καὶ δύνανται νεωτερίζειν.
Essere educati nello spirito della costituzione non significa fare quel che dà piacere ai sostenitori
dell’oligarchia o ai fautori della democrazia, bensì quel che metterà in grado i primi di governare
oligarchicamente, i secondi democraticamente. Adesso, invece, nelle oligarchie i figli dei governanti vivono
nella tryphe, mentre i figli dei poveri crescono induriti dagli esercizi e dalle fatiche sicché hanno più voglia
e possibilità di introdurre innovazioni (Trad. it. R. Laurenti).
ARISTOT., Pol. 1311a8-11 contiene la menzione della tryphe nel contesto di un brano in cui
Aristotele attribuisce alla tirannide i mali sia della democrazia che della oligarchia: proprio come
quest’ultima, la tirannide troverebbe il suo fine nella ricchezza, necessaria per mantenere corpo di
guardia e tryphe: ὅτι δ' ἡ τυραννὶς ἔχει κακὰ καὶ τὰ τῆς δηµοκρατίας καὶ τὰ τῆς ὀλιγαρχίας, φανερόν·
ἐκ µὲν ὀλιγαρχίας τὸ τὸ τέλος εἶναι πλοῦτον (οὕτω γὰρ καὶ δια µένειν ἀναγκαῖον µόνως τήν τε
φυλακὴν καὶ τὴν τρυφήν). È evidente che la tirannide contiene i mali e della democrazie e dell’oligarchia:
dall’oligarchia deriva il proporsi come fine le ricchezze (perché solo così si mantengono, di necessità, il
corpo di guardia e la tryphe) [...] (Trad. it. R. Laurenti).
ARISTOT., Pol. 1312a8-15: καὶ οἱ οἰόµενοι δύνασθαι κατασχεῖν τὴν ἀρχὴν τρόπον τινὰ διὰ τὸ
καταφρονεῖν ἐπιτίθενται· ὡς δυνάµενοι γὰρ καὶ καταφρονοῦντες τοῦ κινδύνου διὰ τὴν δύναµιν
ἐπιχειροῦσι ῥᾳδίως, ὥσπερ οἱ στρατηγοῦντες τοῖς µονάρχοις, οἷον Κῦρος Ἀστυάγει καὶ τοῦ βίου
καταφρονῶν καὶ τῆς δυνάµεως διὰ τὸ τὴν µὲν δύναµιν ἐξηργηκέναι αὐτὸν δὲ τρυφᾶν. Quelli che
ritengono di potersi impadronire in qualche modo del potere, l’attaccano perché lo disprezzano: infatti,
avendo la possibilità e sprezzando il pericolo in vista della loro forza, vi si accingono a cuor leggero, come
fanno i capi d’esercito contro i monarchi; ad esempio Ciro assalì Astiage disprezzandone la vita e la
potenza, perché la potenza s’era distrutta nell’inerzia e lui viveva in mezzo alla tryphe (Trad. it. R.
Laurenti).
347
ARISTOT., Pol. 1295b13-25: πρὸς δὲ τούτοις οἱ µὲν ἐν ὑπεροχαῖς εὐτυχηµάτων ὄντες, ἰσχύος καὶ
πλούτου καὶ φίλων καὶ τῶν ἄλλων τῶν τοιούτων, ἄρχεσθαι οὔτε βούλονται οὔτε ἐπίστανται (καὶ τοῦτ'
εὐθὺς οἴκοθεν ὑπάρχει παισὶν οὖσιν· διὰ γὰρ τὴν τρυφὴν οὐδ' ἐν τοῖς διδασκαλείοις ἄρχεσθαι σύνηθες
αὐτοῖς), οἱ δὲ καθ' ὑπερβολὴν ἐν ἐνδείᾳ τούτων ταπεινοὶ λίαν. ὥσθ' οἱ µὲν ἄρχειν οὐκ ἐπίστανται,
ἀλλ' ἄρχεσθαι δουλικὴν ἀρχήν, οἱ δ' ἄρχεσθαι µὲν οὐδεµίαν ἀρχήν, ἄρχειν δὲ δεσποτικὴν ἀρχήν.
γίνεται οὖν δούλων καὶ δεσποτῶν πόλις, ἀλλ' οὐκ ἐλευθέρων, καὶ τῶν µὲν φθονούντων τῶν δὲ
καταφρονούντων· ἃ πλεῖστον ἀπέχει φιλίας καὶ κοινωνίας πολιτικῆς· ἡ γὰρ κοινωνία φιλικόν· οὐδὲ
γὰρ ὁδοῦ βούλονται κοινωνεῖν τοῖς ἐχθροῖς. Oltre a ciò, quelli che hanno in eccesso i beni di fortuna,
forza, ricchezza, amici e altre cose del genere, non vogliono farsi governare né lo sanno (e
quest’atteggiamento traggono direttamente da casa, ancora fanciulli, perché, data la loro tryphe, non si
abituano a lasciarsi governare neppure a scuola) mentre quelli che si trovano in estrema penuria di tutto
ciò sono troppo remissivi. Sicché gli uni non sanno governare, bensì sottomettersi da servi al governo, gli
altri non sanno sottomettersi a nessun governo ma governare in maniera dispotica. Si forma quindi uno
stato di schiavi e di despoti, ma non di liberi, di gente che invidia e di gente che disprezza, e tutto questo è
quanto mai lontano dall’amicizia e dalla comunità statale, perché la comunità è in rapporto con l’amicizia,
mentre coi nemici non vogliono avere in comune nemmeno la strada (Trad. it. R. Laurenti).
348
1296a7-9: ὅτι δ' ἡ µέση βελτίστη, φανερόν· µόνη γὰρ ἀστασίαστος· ὅπου γὰρ πολὺ τὸ διὰ µέσου,
ἥκιστα στάσεις καὶ διαστάσεις γίγνονται τῶν πολιτῶν. Comunque è chiaro che la forma media di
costituzione è la migliore: essa sola non è sconvolta da fazioni, perché dove il ceto medio è numeroso, non
si producono affatto fazioni e dissidi tra i cittadini (Trad. it. R. Laurenti).
169
determina una troppo elevata concentrazione di ricchezze e potere nelle mani di
alcuni, di contro alla completa mancanza di mezzi di altri, i primi non vogliono e
non sanno obbedire (ἄρχεσθαι οὔτε βούλονται οὔτε ἐπίστανται, 1295b15-16) — essi,
infatti, διὰ τὴν τρυφhv (1295b17), fin dalla fanciullezza si abituano a non
soggiacere all’autorità, neppure a scuola —, mentre i secondi sono incapaci di
comandare. I detentori di ricchezze e potere, in sintesi, non sono in grado di
sopportare alcuna autorità ma solo di esercitare un potere dispotico (οἱ δ' ἄρχεσθαι µὲν
οὐδεµίαν ἀρχήν,
ἄρχειν δὲ
δεσποτικὴν ἀρχήν,
1295b20-21).
La netta
contrapposizione tra le parti è un elemento di allontanamento dal modello
positivo di comunità politica che Aristotele delinea poco oltre: Lo stato vuole
essere costituito, per quanto è possibile, di elementi uguali e simili, il che succede
soprattutto con le persone del ceto medio. Di conseguenza ha necessariamente
l’ordinamento migliore lo stato che risulti di quegli elemeti dei quali diciamo che è
formata per natura la compagine dello stato. (1295b25-28) [...] Comunque è chiaro
che la forma media di costituzione è la migliore: essa sola non è sconvolta da fazioni
(µόνη γὰρ ἀστασίαστος), perché dove il ceto medio è numeroso, non si producono
affatto fazioni e dissidi tra cittadini (1296a7-9).
Dunque il concetto di tryphe nella speculazione politica dello Stagirita assume il
senso di uno stile di vita che è potenziale portatore di tensioni e conflitti nel
corpo socio-politico e che, a lungo termine, può condurre a metabole.
Sembrebbe pertanto che vi sia una congruenza tra la riflessione sulla tryphe come
potenziale fattore di stasis svolta in Pol. 1295b13-25, 1296a7-9 e il racconto della
morte violenta di un poeta tryphon contenuto nel fr.1a della Kolophonion Politeia.
Nel racconto della Kolophonion Politeia la morte di Teodoro potrebbe forse essere
collocata nel contesto di una stasis, legata in qualche misura alla influenza lidia su
170
Colofone, tra cittadini tryphontes favorevoli ai Lidi e cittadini ostili ai Lidi. Le
ragioni del conflitto sembrerebbero riconducibili a condizioni di disuguaglianza
sociale e politica tra i cittadini: i lydizontes, cittadini di pieno diritto,
ostenterebbero il proprio status attraverso la pratica della habrosyne/tryphe; i
Colofoni ostili ai Lidi — di cui possiamo ricostruire il profilo “in negativo”, non
avendone una descrizione nelle fonti —, ostacolati nella piena partecipazione alla
vita della comunità ed estranei alle manifestazioni del lusso, sarebbero vittime
della disparità politica e sociale in qualche modo indotta dall’influenza lidia.
171
Fr. 2? (584 Rose; 601 Gigon) — ATHEN. XII 25 523c4-d3: kai; oiJ th;n Si`rin
de; katoikou`nte~, h}n prw`toi katevscon oiJ ajpo; Troiva~ ejlqovnte~, u{steron de;
3
Kolofwvnioi, w{~ fhsi Tivmaio~ kai; jAristotevlh~, eij~ trufh;n ejxwvkeilan oujc h|sson
Subaritw`n. kai; ga;r ijdivw~ par j aujtoi`~ ejpecwrivase forei`n ajnqinou;~ citw`na~, ou}~
ejzwvnnunto mivtrai~ polutelevsi: kai; ejkalou`nto dia; tou`to uJpo; tw`n perioivkwn
6
mitrocivtwne~, ejpei; {Omhro~ tou;~ ajzwvstou~ ajmitrocivtwna~ kalei`.
2-4 Tim., FGrHist 566 F51
6 Hom., Il. XVI 419
2-3 u{steron δὲ Κολοφώνιοι C, Müller, Gulick : u{steron δ’οἱ Κολοφώνιοι E, u{steron δ'ὑπὸ
Κολοφωνίων A, u{steron δ'ὑπὸ Κ. <ἀνεκτίσθη ‘aut tale quid’> Casaubon, u{steron δ'ὑπὸ Κ.
<ἐκβληθέντες> Niebhur, Meineke, u{steron ὑπὸ <Ludw`n ejkpesovnte~> Kolofwvnioi <ei\lon> Scheer,
u{steron d joiJ ajpo; Kolofwvno~ Wachsmuth, u{steron δ'ὑπὸ Κ. <µετονοµασθεῖσαν Πολίειον˃ Kaibel
collato Strabone VI 1, 14, 15-17, u{steron δ'ὑπὸ Κ. <wj/kίσθη> Perret, u{steron δ'ὑπὸ Κ. < - - - ˃
Jacoby, Citelli, Erdas, Olson
4 Subaritw`n <kai; Kolofwnivwn˃ Stiehle
Anche gli abitanti della città di Siri, che occuparono per primi coloro che vennero da
Troia e in seguito i Colofoni, come dicono Timeo ed Aristotele, incapparono nella
tryphe non meno dei Sibariti. E infatti in modo particolare presso di loro divenne
abituale indossare chitoni fioriti, allacciati con cinture preziose: appunto per questo
venivano chiamati mitrochitones dai vicini, perché Omero chiama coloro che non
indossano cinture amitrochitones.
Il testo qui classificato come fr. 2? della Kolophonion Politeia è tramandato da
Ateneo nel dodicesimo libro dei Deipnosofisti, il cui oggetto, esplicitato nel primo
paragrafo, consiste in una trattazione349 relativa a quanti si erano resi celebri per
tryphe e alla loro hedypatheia (τὸν περὶ τῶν ἐπὶ τρυφῇ διαβοήτων γενοµένων λόγον
καὶ τῆς τούτων ἡδυπαθείας). Il libro appare costituito da tre macro-sezioni: i parr.
Il libro XII è l’unico dei Deipnosofisti ad essere privo di dialogo e a configurarsi come una sorta
di trattatello sui temi enunciati nel primo paragrafo.
349
172
1-7, di carattere introduttivo, che raccolgono diverse posizioni teoriche di poeti e
filosofi in merito al tema del godimento (apolausis) e del piacere (hedone); i parr.
8-37, contenenti un ampio e documentato elenco di poleis ed ethne dediti alla
tryphe, nell’ambito del quale è tramandato il passo aristotelico in esame; i parr.
38-81, incentrati su una ricca aneddotica relativa alla tryphe di singoli individui,
più o meno noti350.
Tramite l’accostamento di testi relativi alla tryphe di comunità diverse, nel corso
dei parr. 8-37 del libro XII Ateneo esemplifica uno schema di diffusione di tale
stile di vita da Oriente verso Occidente. Dai Persiani esso sarebbe stato trasmesso
ai Lidi e da questi ultimi ai Colofoni (XII 32 526a), che parrebbero essere stati i
primi fra i Greci a praticarlo e a rendersi responsabili del suo ulteriore passaggio ai
Milesi (par. 26) e forse, più in generale, al resto degli Ioni d’Asia; dai Lidi
sembrerebbe inoltre essere derivata, nella lettura di Ateneo, anche la tryphe
“d’Occidente”, tramite la mediazione degli Etruschi (di origine lidia, secondo la
teoria esposta in HDT. I 94), che l’avrebbero trasmessa ai Sanniti e ai Messapi, da
cui sarebbe passata ai Greci d’Italia (XII 14-25 517d-523e): ai Siculi (par. 15), ai
Sibariti (parr. 15-21), ai Crotoniati (che, secondo il racconto di Timeo riportato
dal Naucratita al par. 22, sarebbero incorsi nella tryphe in seguito alla distruzione
di Sibari), ai Tarentini (par. 23) e, appunto, ai Siriti (par. 25).
Nel contesto di tale elenco di poleis magnogreche e di popoli italici351 dediti alla
tryphe, che tramanda, tra gli altri, anche alcuni frammenti352 di Politeiai
Su significato, genesi e diffusione della nozione di tryphe, sul ruolo di Ateneo nella tradizione
dei testi ad essa pertinenti e, più in generale, sulla “affidabilità” del Naucratita quale fonte
tralatrice cfr. supra, commento al fr. 1, p. 152, nota 311, e p. 156, nota 315. Preme richiamare in
questa sede soltanto il fatto che il testo qui classificato come frammento rientra tra i passi dei
Deipnosofisti che, secondo GORMAN – GORMAN 2007, pp. 41 e s., avrebbero subito un intervento
manipolatore di Ateneo, di cui resterebbe traccia nell’uso, “tipico” del Naucratita, del verbo
ejxokevllein seguito da eij~ trufhvn.
351
Gli Iapigi, par. 24, su cui Ateneo accoglie la tradizione della ascendenza cretese attestata da
HDT. VII 170 e STRABO VI 3 2.
350
173
aristoteliche relativi al medesimo tema, si trova il passo in esame: al par. 25, dopo
la menzione, non facilmente spiegabile in questo punto, di Iberi e Massalioti 
virili i primi, benché usi ad un abbigliamento lussuoso e apparentemente
femmineo, effeminati i secondi, per via della tryphe e della malakia cui avevano
improntato il proprio stile di vita  Ateneo passa a parlare dei Siriti richiamando
la testimonianza congiunta di Timeo ed Aristotele (l. 3: w{~ fhsi Tivmaio~ kai;
jAristotevlh~). In perfetta aderenza al contesto, ATHEN. XII 25 523c4-5 ascrive ai
Siriti la pratica della tryphe (e ne sottolinea il livello non inferiore alla tryphe dei
Sibariti), individuandone la prova nel loro abbigliamento peculiare e lussuoso
(l’uso loro proprio di indossare chitoni fioriti allacciati con cinture preziose); in
tale quadro, il Naucratita fa un cursorio riferimento al passato insediativo della
polis, di cui ricorda la fondazione ad opera di reduci da Troia e la successiva
occupazione colofonia, ricorrendo a questo proposito alla testimonianza di Timeo
e di Aristotele.
Il frammento presenta un problema di ricostruzione del testo  che tuttavia non
ne preclude la comprensione  e molteplici difficoltà di attribuzione e di
delimitazione.
Il testo tradito dal codice A (kai; oiJ th;n Si`rin de; katoikou`nte~, h}n prw`toi
katevscon oiJ ajpo; Troiva~ ejlqovnte~, u{steron d juJpo; Kolofwnivwn w{~ fhsi Tivmaio~
kai; jAristotevlh~, eij~ trufh;n ejxwvkeilan oujc h|sson Subaritw`n), che rappresenta
l’unico ramo superstite della tradizione dell’opera in quindici libri del Naucratita,
presenta una lacuna di senso dopo ὑπὸ Κολοφωνίων, evidenziata già nel ‘6oo dal
filologo svizzero I. Casaubon353, il quale suggeriva l’integrazione ajnektivsqh,
sottolineando anche la presenza in A di diversi errori, di cui riportava altri
Cfr. ATHEN. XII 19 520c-d, che tramanda il fr. 583 Rose (= 600, 1 Gigon) della Sybarit. Pol., e
ATHEN. XII 26 523e-f, che tramanda il fr. 557 Rose (= 565, 1 Gigon) della Miles. Pol.
353
CASAUBON 1600, III p. 82.
352
174
esempi. Nel tempo, i vari editori354 dei Deipnosifisti hanno formulato diverse
congetture a integrazione della lacuna, quasi tutte355 allusive ad una
ricolonizzazione colofonia del territorio sirita, precedentemente occupato da
reduci da Troia. L’integrazione si fonda sul confronto con STRABO VI 1, 14, 517356, che attesta la presa di Siri da parte di Ioni in fuga dall’arche dei Lidi, i quali
avrebbero cambiato il nome della città in Polieion, e con PS. ARISTOT., Mirab.
106357, che ricorda come gli Ioni chiamassero Polieion il luogo che i Tarentini
avrebbero ribattezzato Eraclea; la citazione da Aristotele-Timeo consentirebbe
pertanto l’identificazione degli Ioni in fuga dai Lidi, menzionati da Strabone e
dallo Pseudo-Aristotele, proprio con i Colofoni.
I codici C ed E dell’Epitome dei Deipnosofisti, che contengono numerose correzioni
ad A probabilmente risalenti ad un livello più alto della tradizione358, in questo
punto riportano un testo differente da A, che si è scelto di stampare in questa
sede come già fatto da C. B. Gulick nella sua edizione dei Deipnosofisti359: in luogo
della lezione uJpo; Kolofwnivwn di A, che presenta un complemento d’agente in
assenza di un verbo di forma o senso passivi, la lezione Kolofwvnioi (C, oiJ
Kolofwvnioi E), ovvero un semplice nominativo, concordato al verbo katevscon
Cfr. apparato critico.
Fa parzialmente eccezione NIEBUHR 1828, p. 66, nota 74, il quale suggerisce l’integrazione
ejkbleqevnte~: essa alluderebbe non semplicemente all’occupazione colofonia del sito ma, più
precisamente, alla cacciata violenta dei suoi precedenti abitatori da parte dei Colofoni.
356
STRABO VI 1.14.5-17: εἶθ' Ἡράκλεια πόλις µικρὸν ὑπὲρ τῆς θαλάττης, καὶ ποταµοὶ δύο πλωτοὶ
Ἄκιρις καὶ Σῖρις, ἐφ' οὗ πόλις ἦν ὁµώνυµος Τρωική· χρόνῳ δὲ τῆς Ἡρακλείας ἐντεῦθεν οἰκισθείσης
ὑπὸ Ταραντίνων, ἐπίνειον αὕτη τῶν Ἡρακλεωτῶν ὑπῆρξε. διεῖχε δ' Ἡρακλείας µὲν τέτταρας καὶ
εἴκοσι σταδίους, Θουρίων δὲ περὶ τριακοσίους τριάκοντα. τῆς δὲ τῶν Τρώων κατοικίας τεκµήριον
ποιοῦνται τὸ τῆς Ἀθηνᾶς τῆς Ἰλιάδος ξόανον ἱδρυµένον αὐτόθι, ὅπερ καταµῦσαι µυθεύουσιν
ἀποσπωµένων τῶν ἱκετῶν ὑπὸ Ἰώνων τῶν ἑλόντων τὴν πόλιν· τούτους γὰρ ἐπελθεῖν οἰκήτορας
φεύγοντας τὴν Λυδῶν ἀρχήν, καὶ βίᾳ λαβεῖν τὴν πόλιν Χώνων οὖσαν, καλέσαι δὲ αὐτὴν Πολίειον.
Tanto STRABO VI 1.14.5-17 quanto PS. ARISTOT., Mirab. 106 sembrerebbero dipendere da
Antioco di Siracusa (cfr. MOSCATI CASTELNUOVO 1989, pp. 22-26 e 51).
357
PS. ARISTOT., Mirab. 106: λέγεται δὲ µετὰ τὸ παραλαβεῖν τοὺς Ταραντίνους Ἡράκλειαν τὸν
τόπον καλεῖσθαι ὃν νῦν κατοικοῦσιν, ἐν δὲ τοῖς ἄνω χρόνοις τῶν Ἰώνων κατεχόντων Πολίειον· ἔτι δὲ
ἐκείνων ἔµπροσθεν ὑπὸ τῶν Τρώων τῶν κατασχόντων αὐτὴν Σίγειον ὠνοµάσθαι.
358
Sui problemi della tradizione dei Deipnosofisti cfr. supra, p. 147, nota 297.
359
GULICK 1963, p. 358.
354
355
175
riferito già al (l’altro) soggetto oiJ ajpo; Troiva~ ejlqovnte~ (ll. 1-3: kai; oiJ th;n Si`rin
de; katoikou`nte~, h}n prw`toi katevscon oiJ ajpo; Troiva~ ejlqovnte~, u{steron de;
Kolofwvnioi).
La precisa delimitazione del frammento, e in particolare la distinzione tra
frammento timaico e frammento aristotelico, risulta estremamente complessa e
richiede che prima siano affrontate altre questioni preliminari.
La mancanza di un esplicito riferimento all’opuscolo aristotelico da cui il
frammento sarebbe tratto solleva problemi di attribuzione, che il contenuto del
frammento stesso non consente di risolvere in maniera definitiva.
L’attribuzione ad una delle Politeiai aristoteliche è condivisa in modo
sostanzialmente unanime dagli studiosi, con poche eccezioni360. Più variegate le
posizioni in merito alla individuazione della specifica Politeia da cui con maggiore
verosimiglianza il frammento aristotelico potrebbe esser tratto.
K. Müller aveva classificato il testo in una ipotetica Siriton Politeia (FHG II, p. 175,
fr. 234), non attestata dalle fonti, ipotizzando comunque che gli stessi temi
potessero essere ricordati anche nella Sybariton Politeia. Tale attribuzione ha
goduto di scarsa fortuna nella storia degli studi perché presenta una difficoltà
intrinseca: al tempo di Aristotele la città di Siri non esisteva più361, il che
renderebbe poco convincente l’idea che ad essa fosse dedicata una delle
centocinquattotto Politeiai redatte nel Peripato. L’ipotesi di Müller è stata
Si distinguono Jacoby, che, pur ipotizzando l’attribuzione del frammento alla Sybariton Politeia,
ne prende in considerazione anche la possibile dipendenza dal libello pseudo-aristotelico De
mirabilibus auscultationibus (FGrHist IIIb, 555 Noten, p. 295 nota 82), e RONCONI 1974-1975, pp.
44 s., che non crede affatto nella sua attribuzione alle Politeiai.
361
Già sconfitta da una coalizione di poleis achee nel VI sec., la città fu definitivamente
soppiantata da Eraclea nell’ultimo trentennio del V secolo, come si evince dalla seppure non
univoca tradizione letteraria (cfr. STRABO VI 1, 14; DIOD. XII 36, 4; IUST. XX 2, 3-9) nonché
dall’evidenza archeologica. Per un rapido esame delle fonti cfr. ERDAS 2009, pp. 596-597; per una
sintesi dei dati storico-archeologici cfr. FISHER-HANSEN - HEINE NIELSEN - AMPOLO 2004, pp.
259-260 e 294.
360
176
recentemente ripresa da D. Erdas362, la quale ha osservato che l’esistenza della
Politeia di Sibari (cfr. fr. 583 Rose: tuttavia manca la menzione del titolo!) 
città anch’essa non più esistente all’epoca della redazione delle Politeiai 
destituisce di fondamento ogni obiezione pregiudiziale contro l’esistenza di una
Politeia di Siri, autorizzando, di conseguenza, ad attribuire proprio a tale opuscolo
il frammento aristotelico sulla tryphe sirita tramandato da ATHEN. XII 25, 523c45.
Più largamente condivisa l’ipotesi di attribuire il frammento alla Sybariton
Polititeia, formulata da V. Rose (fr. 584 Rose) e accolta, tra gli altri363, da Jacoby e
da Gigon (fr. 584 Rose = 601 Gigon). Rose richiamava a conforto della sua
proposta una testimonianza straboniana relativa ad uno scontro che Sibari e Siri
avrebbero avuto con Taranto364. Il passo di Strabone cui lo studioso faceva
riferimento menziona, più precisamente, l’impegno bellico di Taranto contro Turi
nella Siritide, conclusosi con un accordo tra i contendenti e con la fondazione
comune di una colonia (nel 433/2), che successivamente avrebbe cambiato il suo
nome in Eraclea365. L’attribuzione del frammento alla Sybariton Politeia è suggerita
da diverse ragioni: in primis l’esplicita menzione della città, nel passo dei
Deipnosofisti, come termine di paragone della tryphe di Siri; in secondo luogo, il
contesto in cui il frammento è citato da Ateneo, a breve distanza da un lungo
ERDAS 2009, pp. 596-600, dove la studiosa formula anche l’ipotesi alternativa di una possibile
attribuzione del frammento ad una Politeia di Eraclea.
363
Così pure MOSCATI CASTELNUOVO 1989, p. 48, che tuttavia, alle pp. 61-62, individua nella
Kolophonion Politeia la fonte delle informazioni sulla fondazione di Siri confluite nella Sybariton
Politeia.
364
ROSE 1863, p. 526: de communibus Siritarum et Sybaritarum rebus (contra Tarentinos) v. STRABO
VI 265.
365
STRABO VI 1 14 28-34: φησὶ δ jἈντίοχος τοὺς Ταραντίνους Θουρίοις καὶ Κλεανδρίδᾳ τῷ
στρατηγῷ φυγάδι ἐκ Λακεδαίµονος πολεµοῦντας περὶ τῆς Σειρίτιδος συµβῆναι, καὶ συνοικῆσαι µὲν
κοινῇ, τὴν δ' ἀποικίαν κριθῆναι Ταραντίνων, Ἡράκλειαν δ' ὕστερον κληθῆναι µεταβαλοῦσαν καὶ
τοὔνοµα καὶ τὸν τόπον.
362
177
excursus sulla tryphe dei Sibariti; infine, i rapporti che Sibari ebbe con Siri e, più
generale, con la Siritide per tutto l’arco della sua storia366.
Un’ipotesi diversa, assolutamente isolata nel panorama degli studi, è stata invece
formulata nel 1941 da J. Perret367, il quale ha proposto di attribuire il frammento
aristotelico alla Politeia di Crotone sulla base della centralità che le vicende della
polis achea rivestono nella ricostruzione timaica della storia magnogreca: da
questo dato lo studioso ricavava la necessità che Timeo dipendesse da una fonte
incentrata appunto su Crotone.
Numerosi consensi ha colto invece la proposta  che qui si accoglie, seppure in
via ipotetica  di attribuire il frammento tradito da Ateneo alla Kolophonion
Politeia. Formulata per la prima volta da J. Schweighäuser368, l’ipotesi è condivisa
da G. Zecchini369 e N. Luraghi370; L. Moscati Castelnuovo371, inoltre, pur
propendendo per l’attribuzione del frammento alla Sybariton Politeia, individua
proprio nella Politeia della città micrasiatica la fonte delle notizie sulla fondazione
sirita confluite poi nell’opuscolo dedicato a Sibari.
Gli argomenti a favore di una attribuzione del frammento in esame alla
Kolophonion Politeia sono molteplici. In primo luogo appare evidente la pertinenza
del tema apecistico alla Politeia della città micrasiatica, che avrebbe potuto ben
contenere la notizia della fondazione colofonia di Siri nell’ambito di una sezione
di tipo diacronico relativa al passato della polis  e, più in particolare, alle
Sibari, in coalizione con Metaponto e Crotone, partecipò ad un’azione militare contro Siri, che
condusse alla distruzione della colonia ionica intorno al secondo quarto del VI sec.; in seguito,
all’apogeo della sua potenza, la città achea sembrerebbe aver esteso il proprio dominio su tutta la
Siritide, come potrebbe attestare il ritrovamento nell’area di monete con il tipo sibarita del toro
retrospiciente, relative all’ultimo trentennio del VI sec. Sulla questione cfr. PARISE 1973, pp. 102111; HUXLEY 1981, pp. 34-38; GIANGIULIO 1987, p. 23 (che anticipa ai primi decenni del VI sec.
la distruzione di Siri); DE JULIIS 1996, pp. 152-153.
367
PERRET 1941, p. 79 e nota 3.
368
SCHWEIGHÄUSER 1807, p. 63.
369
ZECCHINI 1989, p. 127.
370
LURAGHI 1990, p. 15 nota 24.
371
MOSCATI CASTELNUOVO 1989, pp. 61-62.
366
178
vicende legate all’accentuarsi della pressione lidia su Colofone nel corso del VII
secolo (cfr. commento al fr. 1) e al conseguente allontanamento di un parte dei
suoi abitanti. Lo stesso tema della tryphe, d’altro canto, risulta compatibile con
l’attribuzione del frammento alla Politeia di Colofone, la cui tryphe era ben nota
alle fonti antiche e, in particolare, allo Stagirita: Ateneo, infatti, nell’ambito
della trattazione sulla tryphe svolta nel XII libro dei Deipnosofisti, dedica ai
Colofoni un intero paragrafo (31, 526a-d); nel XIV libro, inoltre, in un contesto
completamente diverso (dedicato ai nomi di canto: 618c6-619a2), il Naucratita
riporta la notizia, tratta proprio dalla aristotelica Kolophonion Politeia, di un poeta
colofonio di nome Teodoro che aveva fama di essere tryphon (cfr. fr. 1a). A queste
osservazioni si possono inoltre aggiungere le considerazioni di L. Moscati
Castelnuovo, che individua all’origine del racconto aristotelico (e poi timaico)372
sulla fondazione di Siri una tradizione storiografica colofonia, forse identificabile
in Heropythos, e non una fonte di ambiente coloniale373. Si può infine osservare
come la menzione esplicita di Sibari nel frammento aristotelico non sembri di per
sé indicativa di una sua dipendenza dalla Sybariton Politeia: la tryphe della polis
achea era a tal punto celebre da poter essere chiamata in causa come ideale
termine di paragone anche a prescindere dal contesto.
C’è tuttavia un’obiezione, avanzata da Erdas374, che impone qualche cautela.
Posto che la citazione “congiunta” di Timeo ed Aristotele da parte di Ateneo
viene per lo più interpretata nei termini di una dipendenza di Timeo dallo
Stagirita375  ipotesi corroborata dal fatto che il Naucratita conosceva le Politeiai
Sul rapporto tra frammento timaico e frammento aristotelico nella citazione congiunta che dei
due fa Ateneo, cfr. infra e nota 375.
373
MOSCATI CASTELNUOVO 1989, pp. 61-62.
374
ERDAS 2009, pp. 594.
375
SUSEMIHL 1891-1892, p. 566 nota 238; PERRET 1941, p. 79 e nota 3, che deduce la dipendenza
di Timeo da Aristotele dalla citazione in ordine cronologico inverso dei due autori da parte di
Ateneo; condividono la suggestione di Perret MOSCATI CASTELNUOVO 1989, p. 48; LURAGHI
1990, p. 15, nota 24; ERDAS 2009, pp. 600 ss. e nota 58, con ulteriori osservazioni, anche di
372
179
aristoteliche solo di seconda mano376 e che già il fr. 547 Rose della Politeia di Locri
e, forse, il fr. 583 Rose della Politeia di Sibari, gli erano noti proprio per il tramite
dello storico di Tauromenio  la studiosa reputa più probabile che Timeo
adoperasse come fonte per le sue Storie una Politeia di Magna Grecia piuttosto che
una Politeia d’Asia377. Considerazioni analoghe hanno probabilmente indotto
Moscati Castelnuovo378 alle conclusioni cui prima si accennava: Timeo potrebbe
aver usato la Politeia di Sibari, che a sua volta avrebbe rielaborato contenuti
presenti nella Politeia di Colofone.
Proprio l’ipotesi che il materiale aristotelico confluito nelle Storie timaiche, e da lì
nei Deipnosofisti, fosse presente anche nella Politeia di Colofone379  a
prescindere da quale opuscolo lo storico tauromenita avesse concretamente
consultato nella stesura del passo che ingloba il frammento aristotelico qui in
esame  sembrerebbe un ulteriore elemento a favore dell’attribuzione del
frammento stesso alla Kolophonion Politeia: il processo di tradizione indiretta di un
testo comporta di per sé la sua trasmissione attraverso una serie di fonti tralatrici,
più o meno numerose a seconda delle circostanze in cui tale processo avviene;
qualora effettivamente Timeo avesse utilizzato una Politeia di Magna Grecia, che
a sua volta riproduceva in qualche modo il testo della Kolophonion Politeia,
l’opuscolo magnogreco costituirebbe anch’esso uno degli anelli del processo di
trasmissione della Politeia di Colofone, ovvero una delle fonti tralatrici del
frammento aristotelico della Kolophonion Politeia, al pari degli stessi Timeo e
Ateneo. L’attribuzione del frammento aristotelico in esame alla Kolophonion
carattere generale, sul rapporto tra Timeo ed Aristotele. Jacoby, viceversa, esclude la possibilità
che Timeo dipenda da Aristotele (cfr. (FGrHist IIIb 566, Noten, p. 329 nota 283).
376
Fatta eccezione per l’Athenaion Politeia (cfr. ZECCHINI 1989, p. 127 e 2000, pp. 156, 159 s.;
BOLLANSÉE 2007.
377
Così ERDAS 2009, pp. 594.
378
Cfr. MOSCATI CASTELNUOVO 1989, pp. 61-62.
379
Così MOSCATI CASTELNUOVO 1989, pp. 61-62; ERDAS 2009, pp. 594.
180
Politeia appare pertanto ipotizzabile, anche attraverso un’eventuale mediazione
della Sybariton Politeia. I problemi appena esposti, tuttavia, impongono di
classificare il testo come frammento dubbio.
L’associazione dei nomi di Timeo ed Aristotele nella parentetica w{~ fhsi Tivmaio~
kai; jAristotevlh~ pone complessi problemi di delimitazione, in quanto non
consente di distinguere in alcun modo quali parti del testo tradito da Ateneo
risalgano allo Stagirita e quali parti eventualmente allo storico di Tauromenio.
ATHEN. XII 25 523c4-d3 riporta di fatto quattro informazioni su Siri:
•
la fondazione della città in età eroica, ad opera di coloro che vennero da
Troia380 (ll. 1-2);
•
la rifondazione/occupazione colofonia (ll. 2-3);
•
la dedizione alla tryphe dei suoi abitanti in misura non minore a quanto
facevano i Sibariti (ll. 3-4);
•
l’uso, indicativo di tryphe, di indossare chitoni fioriti allacciati con cinture
preziose, donde l’epiteto locale di mitrochitones381 (ll. 5-6).
L’attribuzione di ciascun elemento della narrazione alla Politeia aristotelica è in
linea teorica possibile ma di fatto non dimostrabile.
L’espressione oiJ ajpo; Troiva~ ejlqovnte~ è ambigua (cfr. FGrHist IIIb 566 Kommentar, p. 561):
secondo PERRET 1941, pp. 80-83 si sarebbe trattato indubitabilmente di guerrieri achei, come in
tutto il resto delle fonti antiche relative alla fondazione di Siri in età eroica; per MOSCATI
CASTELNUOVO 1989, pp. 22-26 la perifrasi adoperata da Timeo alluderebbe sì agli Achei reduci
dalla guerra  come attesterebbe il confronto con LYCOPHR., Alex. 978-992, dipendente proprio
dal passo timaico citato da Ateneo , ma rappresenterebbe solo una delle tradizioni sulla
fondazione di Siri, il cui panorama contemplerebbe anche il ricordo dell’arrivo di profughi troiani,
attestato dal racconto di STRABO VI 1.14.5-16 e di PS. ARISTOT., Mirab. 106, risalente in ultima
analisi ad Antioco (cfr. MOSCATI CASTELNUOVO 1989, pp. 50-51). Complesso e molto discusso è
il rapporto tra le diverse tradizioni storiografiche sulla doppia colonizzazione della Siritide, di età
eroica e di età storica, e sul loro significato: per una sintesi dei problemi cfr. LOMBARDO 1986, pp.
57 ss.; MOSCATI CASTELNUOVO 1989, pp. 19 ss.; LOMBARDO 1998, pp. 55 ss.; ANTONELLI 2001,
pp. 41 ss.
381
Per il significato dell’epiteto mitrochitones, in rapporto al valore semantico originario
dell’omerico amitrochitones, cfr. LOMBARDO 1986, pp. 57ss.
380
181
Gli studiosi hanno piuttosto concordemente attribuito al frammento di
Timeo/Aristotele i primi tre nuclei di contenuto isolati (ovvero fondazione sirita
di età eroica, fondazione di età storica e confronto tra tryphe sirita e tryphe
sibarita)382; a proposito della notazione sull’uso di indossare chitoni fioriti come
indicatore di tryphe, è stata sottolineata l’indimostrabilità della sua appartenenza
al frammento383.
Nella prospettiva della attribuzione del frammento alla Kolophonion Politeia, si
potrebbe forse individuare nel dato sulla occupazione colofonia di Siri — e in
quello, direttamente connesso, della sua precedente fondazione ad opera dei
reduci da Troia — il focus dell’attenzione dello Stagirita; il riferimento alla tryphe
in cui anche gli abitanti di Siri (kai; oiJ th;n Si`rin de; katoikou`nte~) erano
incappati, fino al punto da essere equiparabili ai Sibariti, tryphontes per
antonomasia, parrebbe una notazione aggiuntiva ma comunque pertinente al
contesto colofonio, dato lo spazio che il tema della tryphe occupava all’interno
della Kolophonion Politeia, forse proprio in relazione a vicende in qualche modo
legate alla “fuga dai Lidi” di alcuni Colofoni384.
PERRET 1941, p. 80; FGrHist IIIb 566 Kommentar, p. 561 (ma in Noten, p. 329 nota283 Jacoby
sottolinea che l’attribuzione ad Aristotele dell’antefatto relativo alla fondazione sirita di età eroica
resta dubbio); RONCONI 1974, pp. 41-43; MOSCATI CASTELNUOVO 1989, p. 48; ANTONELLI
2001, p. 46 nota 14; ERDAS 2009, pp. 591-593.
383
ERDAS 2009, pp. 591-593 e nota 39.
384
Cfr. supra, commento al fr. 1 della Koloph. Pol., in particolare pp. 165-167.
382
182
Kymaion Politeia
183
La Politeia
L’esistenza della Kymaion Politeia è attestata dall’estratto eraclideo (HERACL., Exc.
Pol. 36-39 Dilts) nonché dalla sua esplicita menzione nel fr. 4a (= 524 Rose).
Il corpus qui proposto consta di quattro frammenti, di cui due (frr. 2? e 3?), traditi
da PLUTARCH., Quaest. Gr. 2, di attribuzione fortemente ipotetica e non
compresi nell’edizione di Gigon.
Per quanto riguarda i frammenti certi, il riconoscimento del fr. 1, che contiene
solo il riferimento nominale ad Aristotele, si fonda sulla peculiarità del suo
contenuto  pertinente il toponimo di una regione nei pressi di Cuma , che
sembrerebbe incompatibile con altre opere dello Stagirita; l’attribuzione del fr. 4
alla Kymaion Politeia poggia invece sulla esplicita menzione dell’opuscolo da parte
della fonte tralatrice (fr. 4a).
Quanto ai frammenti dubbi, i frr. 2? e 3? costituiscono due parti della medesima
Quaestio di argomento cumano, prive di riferimenti ad Aristotele o a suoi scritti,
di cui tuttavia già Rose385 e Giesen386, per una serie di ragioni esposte in sede di
commento ai testi387, valutavano la possibile dipendenza dalla Kymaion Politeia.
La numerazione dei frammenti della Kymaion Politeia, qui proposta solo in via
ipotetica, presenta diverse gravi criticità.
A differenza di quanto si verifica per la Samion Politeia, frammenti di tradizione
indiretta ed estratti eraclidei della Kymaion Politeia forniscono informazioni
completamente diverse e difficilmente “incastrabili” le une con le altre, con un
margine di sicurezza, in un’ipotetica successione degli argomenti trattati. La
Rose non classifica i testi nel corpus dei frammenti ma li inserisce in apparato in quanto a suo
parere ascrivibili allo Stagirita almeno in via dubitativa.
386
GIESEN 1901, pp. 460-1.
387
Cfr. infra, pp. 194-197.
385
184
problematicità del caso cumano è ulteriormente accresciuta dal fatto che
l’excerptum della Kymaion Politeia è uno dei soli due estratti a presentare una
violazione dell’ordine cronologico degli eventi, perché menziona il rovesciamento
della politeia ad opera di Ciro (HERACL., Exc. Pol. 38 Dilts) prima delle
costituzioni di Fidone e Prometeo (HERACL., Exc. Pol. 39 Dilts), le quali invece
chiaramente lo precedono in quanto costituzioni arcaiche immediatamente
successive alla basileia di Telefane388 (allargamento della politeia su basi censitarie
e cavalleresche - successivo restringimento oligarchico a un gruppo ristretto di
mille cittadini).
L’applicazione del criterio di successione diacronica, d’altro canto, incontra
notevoli difficoltà, in quanto tre dei quattro frammenti traditi (frr. 2?, 3? e 4)
attestano istituzioni e nomoi non documentati da altre fonti e comunque non
databili con sicurezza: rispettivamente, una peculiare legislazione sulla moicheia
(fr. 2?, cfr. ROSE 1886, p. 327, nota l. 12); un magistrato definito phylaktes (fr. 3?,
cfr. ROSE 1886, p. 327, nota l. 12); l’antica denominazione di aisymnetai usata in
Grecia in età arcaica per definire i tiranni (fr. 4a = 524 Rose) e l’uso
propriamente cumano di chiamare aisymnetes un archon (fr. 4b = 524 Rose). La
stessa indicazione toponomastica riportata dal fr. 1 (= fr. 525 Rose) suggerisce
solo ipoteticamente una sua collocazione “alta” nell’opuscolo, in una sezione
incipitaria in cui teoricamente potevano trovar spazio informazioni di carattere
geografico (la valenza scommatica389 che è possibile il toponimo rivestisse,
tuttavia, non consente di escludere del tutto che ad esso si facesse riferimento in
altri luoghi della Kymaion Politeia a qualsiasi altro proposito).
388
389
MELE 1979, pp. 23-24.
Cfr. infra, commento al fr. 1, pp. 188 e ss., in particolare p. 193.
185
La numerazione dei frammenti, elaborata sulla base del criterio di successione
diacronica, viene quindi qui proposta solo in via ipotetica e nella piena
consapevolezza della sua problematicità.
Nella tabella seguente sono sintetizzati fonti tralatrici, numerazione (e
corrispondenze con le edizioni Rose e Gigon), criteri di attribuzione e contenuti
di ciascun frammento.
KYMAION POLITEIA
Numerazione
Criteri di
ed. Rose e ed. Gigon
attribuzione
Fr. 1a: Etym. Gen. s.v. blavx.
Riferimento
nominale ad
Fr. 1b (cfr. 525 A Rose = 531,1 Gigon):
PHOTIUS s.v. blavka.
Aristotele (frr. 1a
e 1b).
Fr. 1c (525 B Rose; 531,2 Gigon): Schol. in
Plat. Polit. 307C.
Fr. 2? (cfr. apparato Rose, p. 327, l. 12):
Uso delle Politeiai
da parte di
PLUTARCH., Quaest. Gr. 2, 291E7-F7.
Plutarco nelle
Quaestiones
Graecae.
Fr. 3? (cfr. apparato Rose, p. 327, l. 12):
PLUTARCH., Quaest. Gr. 2, 291F7-292A3.
Fr. 4a (524 A Rose; 530, 1 Gigon): Hypoth. II
in Soph. Oed. Tyr
Fr. 4b (524 B Rose; 530, 2 Gigon):
Schol. in Eurip. Med. 19.
Riferimento
nominale ad
Aristotele (frr. 4a
e 4b) e alla Kym.
Pol. (fr. 4a).
Sintesi del
contenuto
Regione
chiamata Blakeia
nei pressi di
Cuma.
Legislazione in
vigore sulla
moicheia.
[Età arcaica]
Magistratura del
phylaktes.
[Età arcaica]
Aisymnetai come
antica
denominazione
greca dei tiranni
(fr. 4a).
Aisymnetes come
denominazione
cumana di un
archon (fr. 4b).
186
Nella già dichiarata impossibilità di pervenire con un certo margine di sicurezza a
una ricostruzione della successione dei contenuti traditi nell’opuscolo, si è
rinunciato ad “incastrare” frammenti ed estratto eraclideo in una possibile sinossi,
che si sarebbe rivelata inevitabilmente azzardata. Si fornisce tuttavia nella tabella
seguente lo schema dei contenuti traditi dall’excerptum eraclideo, al fine di offrire
un quadro completo di quanto la tradizione ha conservato della Kymaion Politeia.
KYMAION POLITEIA - Excerptum
[36] Telefane (arboricoltura).
[37] Ermodice (moglie di Mida) - prima moneta.
[38] Legislazione sui klopimaia (prima della conquista persiana).
[39] Ampliamento del corpo civico su basi censitarie e cavalleresche ad opera di Fidone
(regime “ippotrofico”).
[39] Prometeo (oligarchia di 1000 aventi diritto).
[38] Katalysis della politeia ed imposizione di un regime monarchico ad opera di Ciro.
Si constata come la Kymaion Politeia sia l’unico dei tre opuscoli qui esaminati che
attesti informazioni di tipo istituzionale, tanto nei frammenti di tradizione
indiretta (frr. 2?, 3?, 4), quanto nell’estratto, in cui esse occupano in particolare i
paragrafi conclusivi (parr. 38-39 Dilts).
Pressoché nulla è possibile dire, in base ai frammenti di tradizione indiretta, delle
fonti adoperate da Aristotele per la redazione dell’opuscolo. È certo, in ogni caso,
che egli poté disporre di documentazione di prima mano, considerata la vicinanza
geografica di Cuma ad Atarneo e a Lesbo, dove lo Stagirita soggiornò in qualità di
ospite di Ermia rispettivamente nei periodi 348-345 e 345-343 a. C.,
immediatamente prima del trasferimento alla corte di Filippo di Macedonia.
187
Fr. 1a — Etym. Gen. AB s.v. blavx: Blavx: oJ eujhvqh" kai; ajrgo;" kai; ajnovhto":
≠Aristofavnh": bla'ke" fugergoiv: «blavx te kai; hjlivqio" gevnwmai». ei[rhtai de; ajpo;
3
tou' malakov", kai; to; uJpokoristiko;n mavlax, wJ" bwmolovco" bw'max, plouvsio"
plouvtax: mavlax ou\n kai; kata; sugkoph;n kai; troph;n blavx. Eij" de; to; Lexiko;n to;
ïRhtoriko;n eu|ron ejgw; eijrh'sqai th;n levxin ajpo; ijcquvo" tino;" oJmoivou silouvrw/,
6
ajcrhvstou o[nto" wJ" mhde; kuvna aujtw/' crh'sqai: Politeiva" dV: «blakikovn te hJmw'n to;
pavqo"», wJ" eij levgoi ti" pleumonivan ajpo; tou' qalattivou zw/vou o[nto" ajnaisqhvtou.
OiJ d≠ ajpo; tou' pro; " th/ ' Kuv m h/ cwriv o u th' " Blakeiv a ", ou| mev m nhtai
9
kai; ≠Aristotev l h". kai; ejn ≠Alexandreiva/ de; tevlo" ti blakennovmion, o} oiJ
ajstrolovgoi
telou'si
dia;
to;
tou;"
Cfr. Suda s.v. blavka et Etym. Magn. s.v. blavx
Cyr. I 4 12
6-7 Plat., Rp. 432d6
mwrou;"
eijsievnai
pro;"
2 Aristoph., fr. 672 Kassel - Austin
aujtouv".
2 Xen.,
Blax· chi è ingenuo, pigro e sciocco. Aristofane: blakes scansafatiche: «Che io diventi
blax e stolto». Lo si dice da malakos e il diminutivo malax, come bomolochos e
bomax, plusios e plutax; dunque malax e, per sincope e mutamento, blax.
Ho trovato nel Lessico Retorico che la parola deriva da un pesce simile al siluro, che è
inutile al punto che nemmeno un cane se ne serve. Repubblica, IV: «quel che ci accade
è blakikon», come se si dicesse pleumonia dal pesce marino che è privo di percezione.
Secondo altri, la parola deriva dal luogo nei pressi di Cuma, la
B l a k e i a ; s e n e r i c o r d a a n c h e A r i s t o t e l e . E ad Alessandria c’è una tassa
blakennomion, che pagano gli astrologi perché gli sciocchi si rivolgono a loro.
Fr. 1b (cfr. 525 A Rose; 531,1 Gigon) — PHOTIUS s.v. blavka: Blavka: to;n
eujhvqh kai; ajnovhton. ei[rhtai de; ajpo; ijcquvo" tino;" oJmoivou silouvrw/, ajcrhvstou de;
3
o[nto", wJ" mhde; kuvna aujtw/' crh'sqai. ÃPoliteiva" dV: blakikovn te hJmw'n to; pavqo",
wJ" eij levgoi ti" pneumonivan, ajpo; tou' qalattivou zw/vou o[nto" ajnaisqhvtou¤. oiJ de;
ajpo; tou' pro; " th/ ' Kuv m h/ cwriv o u th' " Blakeiv a ", ou| mnhmoneuv e i kai;
188
6
≠Aristotev l h". kai; ejn ≠Alexandreiva/ de; tevlo" ti blakennovmion, o} oiJ ajstrolovgoi
telou'si dia; to; tou;" mwrou;" eijsievnai pro;" aujtouv".
Blaka: l’ingenuo e sciocco. Deriva da un pesce simile al siluro, che è inutile al punto che
nemmeno un cane se ne serve. Repubblica, IV: «quel che ci accade è blakikon», come
se si dicesse pleumonia dal pesce marino che è privo di percezione. S e c o n d o a l t r i ,
la parola deriva dal luogo nei pressi di Cuma, la Blakeia; se ne
r i c o r d a a n c h e A r i s t o t e l e . E ad Alessandria c’è una tassa blakennomion, che
pagano gli astrologi perché gli sciocchi si rivolgono a loro.
Fr. 1c (525 B Rose; 531,2 Gigon) — Schol. in Plat. Polit. 307C: Blakika:
eujhvqh, mwrav, ajnovhta, ajpo; ijcquvo" kaloumevnou blakov", oJmoivou silouvrw/, ajcrhvstou
3
tosou'ton wJ" mhde; kuni; brwvsimon ei\nai. oiJ de; ajpo; tou' ej n Kuv m h/ cwriv o u,
th' " Blakeiv a ".
2 morav W
ijcquvou W
3 kuna; ejsqivein aujtovn W
Blakika: cose ingenue, stolte, sciocche, da un pesce chiamato blax, simile al siluro,
inutile al punto da non essere commestibile nemmeno per un cane.
Secondo altri, la parola deriva dal luogo nei pressi di Cuma, la
Blakeia.
Il fr. 1 è attestato, senza significative variazioni testuali, sotto le voci blavx o blavka
di numerosi lessici bizantini (Etym. Gen. s.v. blavx; PHOTIUS s.v. blavka; Etym.
Magn. s.v. blavx; Suda s.v. blavka), che attribuiscono espressamente ad Aristotele
la menzione di una regione chiamata Blakeia nei pressi di Cuma. Tra questi, i testi
più antichi, da cui dipendono in buona parte i lessici successivi, sono
l’Etymologicum genuinum (la cui rubrica è qui classificata come fr. 1a) e il Lessico
189
di Fozio (fr. 1b), a loro volta basati su fonti comuni390. Il frammento compare,
inoltre (fr. 1c) — con una piccolissima variazione testuale e senza il riferimento
nominale ad Aristotele contenuto nei lessici — in uno degli scholia vetera al
Politico di Platone (PLAT., Polit. 307c), atto a illustrare il significato del termine
blakikav, usato dal filosofo come connotazione di senso dispregiativo di
atteggiamenti indolenti (possibile deriva negativa della sophrosyne, quando
l’occasione richieda un comportamento più improntato all’andreia).
Il fr. 1a è tramandato dall’Etym. Gen. AB s.v. blavx in forma pressoché identica
ai frr. 1b e 1c ma all’interno di un contesto più ampio e articolato. Il compilatore
dell’ Etymologicum genuinum illustra, con i tre termini eujhvqh", ajrgov", ajnovhto" (l.
1), il significato essenzialmente duplice della parola blavx: eujhvqh" e ajnovhto" si
riferiscono infatti allo stesso ambito semantico dell’ingenuità/stoltezza, ajrgov",
invece, a quello della inattività/pigrizia. Dopo la definizione sintetica, il
lessicografo riporta due citazioni, ciascuna pertinente a uno dei due campi
semantici: ad Aristofane ascrive l’accostamento dell’aggettivo bla'ke" a
fugergoiv391, scansafatiche (l. 2); a seguire, cita — senza esplicitarne la fonte — una
Come intuito per la prima volta da REITZENSTEIN 1897, pp. 1-2, l’Etymologicum Genuinum è il
più antico degli etimologici bizantini. Esso è tramandato in due epitomi trasmesse nei codici A e
B, derivanti dallo stesso archetipo. Le forti affinità riscontrabili tra il lessico di Fozio e
l’Etymologicum Genuinum sembrerebbero dipendere dal comune utilizzo della cosiddetta Sunagwgh;
levxewn crhsivmwn, un lessico alfabetico di fine VIII-inizio IX secolo, basato sul glossario di parole
rare erroneamente ascritto a Cirillo di Alessandria (cfr. RANCE 2007, p. 205). Il Levxikon
JRhtoriko;n, citato come fonte nel lemma del Genuinum qui in esame, fu inizialmente identificato
da WENTZEL 1895, pp. 484-486, e REITZENSTEIN 1897, pp. 60-62, con il lessico di Fozio stesso; in
seguito REITZENSTEIN 1907, pp. XLVIII, ipotizzò che esso costituisse piuttosto una fonte del
lessico del patriarca. Contro l’ipotesi di Reitzenstein, condivisa da ADLER 1931, col. 692, WENDEL
1949, col. 2408, ERBSE 1950, p. 33, ALPERS 1981, pp. 76 s., si è espresso THEODORIDIS 1982, il
quale ha riproposto la tesi di una perfetta coincidenza tra Levxikon JRhtorikovn e lessico di Fozio,
senza tuttavia riuscire a spiegare in maniera convincente tutte le divergenze intercorrenti tra i due
lessici (cfr. TOSI 1984, p. 192). Il Levxikon JRhtorikovn viene attualmente considerato un lessico
strettamente imparentato con Fozio (TOSI 1984, p. 192), con molta probabilità derivante da un
ampliamento della suddetta Sunagwgh; levxewn crhsivmwn (RANCE 2007, p. 205). Per una sintesi
del problema cfr. DEGANI 1995, pp. 526-527.
391
Il frammento, che KASSEL-AUSTIN 1984 classificano come fr. 672 tra le fabulae incertae,
potrebbe appartenere, sulla base di Anecd. Gr., p. 84, ll. 4-6 (blavx, blakeuvein, blakeuvesqai, kai;
blavke~ kai; blakikw`~: Plavtwn Gorgivaó, oJ aujto;~ Eujqudhvmwó, jAristofavnh~ Plouvtwó), al Pluto I,
390
190
frase della Ciropedia (I 4, 12) di Senofonte, in cui Ciro, adolescente, lamenta la
propria improvvisa inettitudine ed esprime il timore di diventare blavx ed hjlivqio",
stolto (l. 2).
Il compilatore propone poi (ll. 2-4) un’etimologia del termine già variamente
attestata (Schol. in Plat. Grg. 488a; OLYMP., in Plat. Grg. Comment. 27, 8, 3;
ORION GRAMM., Etym. s.v. blavx): la derivazione da malakov" (molle), attraverso il
suo diminutivo mavlax — non altrimenti noto, al di fuori che in contesti di tipo
lessicografico o grammaticale —, per successivi mutamenti linguistici di sincope
(mavlax > mlavx) e passaggio da m a b (mlavx > blavx).
Il lessicografo procede poi nella compilazione della rubrica, riferendo altre due
possibili etimologie del termine.
La prima (ll. 4-6), che l’autore dice di aver attinto al Lessico retorico392 — una
delle fonti più spesso menzionate nell’Etymologicum Genuinum —, fa derivare
l’aggettivo blavx da una specie ittica inutile perché immangiabile (come chiarisce
Schol. in Plat. Polit. 307c) persino per i cani. La stessa etimologia è attestata anche
da Schol. in Plat. Rp. 432d6: passo del IV libro della Repubblica di Platone, che il
compilatore del lemma cita — forse non a caso — subito dopo (ll. 6-7). Nel passo
platonico a parlare è Socrate, intento in una conversazione con Glaucone volta a
definire il concetto di giustizia; in particolare, con la frase riportata dall’Etym.
Gen. s.v. blavx «quel che ci accade è blakikon», il maestro lamenta l’incapacità
propria e del suo allievo di accorgersi che di fatto la giustizia era stata oggetto di
tutto il loro discorso: essi dunque non coglievano l’evidenza ormai lampante del
concetto su cui si interrogavano. Alla citazione platonica, il compilatore
dell’Etymologicum Genuinum aggiunge un’osservazione non immediatamente
commedia di cui possediamo scarni frammenti, la cui esistenza è attestata dall’argumentum del
Pluto II e dallo scolio al verso 173 della stessa commedia (così KOCK 1880, pp. 505-6).
392
Cfr. supra, p. 190, nota 390.
191
chiara (l. 7): come se si dicesse pleumonia dal pesce marino che è privo di percezione.
La considerazione diventa più perspicua alla luce di ARISTOT., Part. anim.
681a17-20393, in cui si menziona un animale marino chiamato pleumon, che si
caratterizza per il non avere alcuna percezione, al pari di un vegetale. È possibile,
allora, che la considerazione come se si dicesse pleumonia dal pesce marino che è
privo di percezione volesse suggerire un processo di derivazione etimologica di
pleumonia da pleumon, analogo a quello che legava blakikos a blax. Resta la
difficoltà di comprendere il senso di una simile osservazione in rapporto a PLAT.,
Rp. 432d6: la parola pleumonia, infatti, ha generalmente il significato di malattia
polmonare, appunto da pleumon, polmone. In questo contesto particolare, però, in
cui pleumon è il nome dell’animale marino noto anche ad Aristotele, si può
pensare che il compilatore volesse intendere che la mancanza di facoltà
percettive propria del pleumon potesse conferire alla parola pleumonia un
significato volto ad esprimere proprio una incapacità di percezione, in modo
perfettamente analogo, anche sul piano semantico, al rapporto tra l’aggettivo
blakikos e l’animale blax.
Alle linee seguenti (ll. 8-9) — e siamo al nostro frammento —, il lessicografo
riporta la terza etimologia del termine blavx, di cui non rivela la fonte: Secondo
altri, [la parola deriva] dal luogo nei pressi di Cuma, la Blakeia, che ricorda anche
Aristotele. Infine (ll. 9-10), viene riferita la notizia di una tassa blakennomion
pagata dagli astrologi ad Alessandria, che prenderebbe il nome dalla stoltezza dei
loro clienti (!).
La testimonianza aristotelica, dunque, viene riportata a garanzia dell’esistenza di
un luogo nei pressi di Cuma chiamato Blakeia.
ARISTOT., Part. anim. 681a17-20: Ta; de; kalouvmena oJloqouvria kai; oiJ pleuvmone~, e[ti de; kai;
e{tera toiau`t j ejn thó̀ qalavtthó mikro;n diafevrei touvtwn twó̀ ajpoleluvsqai· ai[sqhsin me;n ga;r
oujdemivan e[cei, zh`ó de; w{sper o[nta futa; ajpolelumevna.
393
192
Secondo G. Ragone394, l’interpretazione lessicografica del toponimo in rapporto
etimologico con blax, come figura antonomastica della stupidità, sarebbe in
relazione al filone scommatico anticumeo attestato dal Philogelos e dalla diffusa
aneddotica testimoniata, tra gli altri, da Strabone (XIII 3,6), Diodoro (XV 18, 24) e dal Bios Homerou pseudo-erodoteo, in cui potrebbero essere confluiti
materiali arcaici, verosimilmente nati in ambiente ionico all’indomani della
conquista colofonia di Smirne395. Non sappiamo se ad Aristotele risalga solo
l’attestazione del toponimo o anche la sua valenza scommatica; i giudizi
aristotelici sulla costituzione della città eolica appaiono diversificati: in ARISTOT.,
Pol. II 1268b-1269a (passo che K. Giesen mette in relazione con PLUTARCH.,
Quaest. Gr. 2, 291e7-f6, di cui Aristotele è quasi certamente fonte) le disposizioni
processuali sui phoniká in vigore a Cuma vengono addotte a esempio di rozza
semplicità degli archaioi nomoi; viceversa, l’excerptum tradito da Eraclide Lembo
(HERACL., Exc. Pol. 38 Dilts) enfatizza l’efficacia della legislazione sui klopimaia in
vigore nel periodo precedente alla conquista persiana.
La variante lessicografica che fa derivare il termine blax dal nome di una specie
ittica del tutto inutile, in quanto immangiabile persino per i cani, riportata dal
compilatore alle ll. 5-6, rivela un interesse zoologico che induce G. Ragone396 a
postularne la dipendenza da Aristotele: in questa prospettiva, si potrebbe
ipotizzare che lo Stagirita sia fonte dell’intero lemma etimologico e non solo del
mero dato toponomastico; in assenza di elementi probanti, tuttavia, appare più
prudente ascrivere alla Kymaion Politeia solo la notizia relativa alla regione nei
pressi di Cuma chiamata Blakeia.
RAGONE 2006, pp. 141-2.
La conquista dell’eolica Smirne da parte di fuoriusciti colofoni è datata su basi archeologiche
alla metà dell’VIII sec. ca. mentre la completa ionizzazione della città sarebbe avvenuta entro la
fine dello stesso secolo (COOK-NICHOLLS 1998, pp. 54-58). PAUS. V 8, 7 fornisce un termine ante
quem al 688.
396
RAGONE 2006, pp. 141-2.
394
395
193
Fr. 2? (525b Rose) — PLUTARCH., Quaest. Gr. 2 (Mor. 291E7-F7): Tiv" hJ
para; Kumaivoi" ojnobavti"É Tw'n gunaikw'n th;n ejpi; moiceiva/ lhfqei'san ajgagovnte"
3
eij" ajgora;n ejpi; livqou tino;" ejmfanh' pa'si kaqivstasan: ei\q≠ ou{tw" ajnebivbazon ejp≠
o[non kai; th;n povlin kuvklw/ periacqei'san e[dei pavlin ejpi; to;n aujto;n livqon
katasth'nai kai; to; loipo;n a[timon diatelei'n, ojnobavtin prosagoreuomevnhn. To;n
6
de; livqon ajpo; touvtou ouj kaqaro;n nomivzonte" ajfwsiou'nto.
4 o[non nx aAdnE, edd. : o[nou vz
ouj Bernardakis
5 katasth'nai aAdnE, edd. : katastaqh'nai nvzx
6 kaqaro;n
Chi era presso i Cumani l’onobatis? Conducevano nell’agora la donna colta in
adulterio e la ponevano su una pietra sotto gli occhi di tutti; poi la facevano montare a
cavallo di un asino. Dopo essere stata condotta in giro per la città, doveva sedere di
nuovo sulla stessa pietra e trascorrere il resto della vita nel disonore, con l’appellativo di
onobatis. Ritenendo poi che per questo la pietra fosse contaminata, la purificavano.
Fr. 3? (525b Rose) — PLUTARCH., Quaest. Gr. 2 (Mor. 291F7-292A3): h\n
de; kai; fulavktou ti" ajrch; par≠ aujtoi'": oJ de; tauvthn e[cwn to;n me;n a[llon crovnon
3
ejthvrei to; desmwthvrion, eij" de; th;n boulh;n ejn tw/' nukterinw/' sullovgw/ pariw;n
ejxh'ge tou;" basilei'" th'" ceiro;" kai; katei'ce, mevcri peri; aujtw'n hJ boulh;
diagnoivh, povteron ajdikou'sin h] ou[, kruvbdhn fevrousa th;n yh'fon.
Presso di loro (scil. i Cumani) c’era anche una magistratura, il phylaktes: chi la
ricopriva custodiva le carceri per il resto del tempo e, in occasione delle riunioni
notturne, andava al consiglio, vi conduceva per mano i basileis e li tratteneva fino a che
il consiglio non avesse deliberato con voto segreto in merito a loro se avessero commesso
adikia oppure no.
194
Le due porzioni di testo qui proposte come frammenti dubbi costituiscono la
seconda delle Questioni greche di Plutarco, opuscolo articolato in domande e
risposte su usi, espressioni e figure particolari di diverse località del mondo greco,
in cui spesso trovano spazio notizie di storia costituzionale o peculiarità di
pratiche religiose locali.
La Quaestio 2 — aperta dalla domanda Chi è l’onobatis presso i Cumani? — si
distingue dalle altre per la peculiare giustapposizione di due contenuti differenti
nella risposta: alla descrizione della punizione comminata all’adultera (l’onobatis
dell’incipit), segue — con un drastico cambiamento di tema — la menzione della
magistratura del phylaktes, di cui si attesta l’esistenza presso di loro (scil. i Cumani
stessi) e si esplicitano le competenze.
Il testo plutarcheo pone quindi, nella prospettiva qui adottata, due ordini di
problemi:
- la comprensione del rapporto tra le due sezioni che lo compongono;
- la possibile identificazione della fonte — dell’una, dell’altra o di entrambe le
sezioni — nella aristotelica Kymaion Politeia.
L’attribuzione all’opuscolo cumano della Quaestio 2, benché priva di riferimenti
ad Aristotele o a suoi scritti, era stata già ipotizzata da Rose397, il quale, pur non
classificando il testo nel corpus dei frammenti, lo inseriva comunque in apparato
con numerazione ipotetica 525b, ritenendolo ascrivibile allo Stagirita almeno in
via dubitativa. La possibile dipendenza dalla Kymaion Politeia della Quaestio
sull’onobatis è stata poi sostenuta anche da K. Giesen398 e W. R. Halliday399, i
quali, agli inizi del ’900, ritennero di poter riconoscere nelle Politeiai aristoteliche
Cfr. apparato Rose, p. 327, l. 12.
GIESEN 1901, pp. 460-1; sulla dipendenza di buona parte delle Questioni greche dalle Politeiai
aristoteliche, cfr. ibid., p. 446 («Es soll gezeigt werden, daß eine gute Anzahl derselben auf
Aristoteles’ Politien zurückgeht».
399
HALLIDAY 1928, p. 14.
397
398
195
la fonte principale dell’intero opuscolo plutarcheo. Giesen, in particolare,
argomentava la tesi di una dipendenza della Quaestio 2 dalla Politeia di Cuma,
relativamente alla prima parte del testo plutarcheo (fr. 2?), proponendone il
confronto con due passi aristotelici di contenuto affine: ARISTOT., Pol. 1268b411269a3400, in cui Aristotele riferisce una legge cumana sui delitti di sangue, e
HERACL., Exc. pol. 42 Dilts, che contiene una notizia tratta dalla Politeia dei
Lepreati relativa alla punizione locale per il reato di adulterio401. Quanto al passo
incentrato sulla carica del phylaktes, lo studioso riteneva di poterne identificare la
fonte nella Kymaion Politeia per due ragioni: in primo luogo, la pertinenza del
contenuto istituzionale alla Politeia402; in second’ordine, il fatto che l’inserimento
di un’informazione del tutto incongruente, all’interno della Quaestio sull’onobatis,
non si spiegherebbe se non alla luce della dipendenza dei due nuclei di contenuto
dalla medesima fonte. I due frammenti, tuttavia, secondo Giesen, non si
sarebbero trovati di seguito nella Kymaion Politeia, a costituire un unico passo, ma
sarebbero stati, più probabilmente, stralci dell’opuscolo, appuntati da Plutarco in
successione nella propria personale antologia dello Stagirita e meccanicamente
riportati nella Quaestio “cumana”403.
400
ARISTOT., Pol. 1268b41-1269a3: ὅσα τε λοιπὰ τῶν ἀρχαίων ἐστί που νοµίµων εὐήθη πάµπαν
ἐστίν, οἷον ἐν Κύµῃ περὶ τὰ φονικὰ νόµος ἔστιν, ἂν πλῆθός τι παράσχηται µαρτύρων ὁ διώκων τὸν
φόνον τῶν αὑτοῦ συγγενῶν, ἔνοχον εἶναι τῷ φόνῳ τὸν φεύγοντα. … quante altre delle antiche
prescrizioni sopravvivono in qualche luogo sono proprio assurde, ad es. la legge relativa all’assassinio in
Cuma, per la quale se chi accusa un altro di assassinio produce un certo numero di testimoni tra i suoi
parenti, l’accusato è ritenuto reo di assassinio. (Trad. it. Laurenti)
401
HERACL., Exc. pol. 42 Dilts: Λεπρεεῖς οὓς ἂν λάβωσι µοιχοὺς περιάγουσι γʹ ἡµέρας τὴν πόλιν
δεδεµένους καὶ ἀτιµοῦσι διὰ βίου, τὴν δὲ γυναῖκα ιαʹ ἐπ'ἀγορᾶς ἄζωστον ἐν χιτῶνι διαφανεῖ ἱστᾶσι
καὶ ἀτιµοῦσι. I Lepreati per tre giorni portano in giro legati per la città gli uomini che eventualmente
colgano in adulterio e li trattano con disprezzo per tutta la vita, la donna, poi, la pongono senza cintura,
con una vestre trasparente, per undici giorni nell’agorà e la coprono di infamia. (Trad. it. Polito)
402
GIESEN 1901, p. 461: «Es ist an sich mehr als glaublich, daß Aristoteles in seiner Politie dieses
Amt angeführt und erklärt hat».
403
GIESEN 1901, p. 461: «Vielleicht stand beides hintereinander in seiner Sammlung aus
Aristoteles und hat er, als er einmal bei Kyme war, den zweiten Teil hinzugefügt, ohne in der
Frage den fulavkth~ zu erwähnen»
196
Alle valutazioni di Giesen, tuttora condivisibili, si può forse aggiungere, a
sostegno della paternità aristotelica della prima sezione della Quaestio (fr. 2?),
anche il confronto con HERACL., Exc. pol. 38 Dilts404, in cui si fa riferimento alla
efficace legislazione sui klopimai`a in vigore proprio a Cuma nel periodo
precedente alla conquista persiana.
Nel complesso, dunque, sembrano esserci sufficienti argomenti per ipotizzare
l’attribuzione dei frammenti in esame alla Kymaion Politeia, sebbene la mancanza
di riferimenti nominali ad Aristotele imponga di procedere alla loro
classificazione nel corpus solo in via ipotetica.
[Fr. 2? = 525b Rose] Il frammento costituisce una delle poche testimonianze
relative alle punizioni comminate alla donna colpevole di moicheia405 al di fuori
dell’Attica. L’esposizione dell’adultera al pubblico ludibrio — che a Cuma si
realizza nel porre la donna in mostra su una pietra nell’agora e nel farle percorrere
l’intera città a dorso d’asino — e la sua atimia, donde l’interdizione da riti e luoghi
sacri, sono sanzioni che è possibile venissero praticate anche in altre località della
Grecia406. Nel diritto attico il reato di moicheia non vede la donna correa del
moichos bensì vittima della sua seduzione: qualora consenziente, ella viola la
disciplina dell’oikos ed è pertanto soggetta a punizione da parte di chi sull’oikos
HERACL., Exc. pol. 38 Dilts: ἔθος δὲ ἦν αὐτοῖς εἰς τὰ κλοπιµαῖα συµβάλλεσθαι τοὺς γείτονας, διὸ
καὶ ὀλίγα ἀπόλλυνται. πάντες γὰρ ὁµοίως ἐτήρουν. καὶ Ἡσίοδος ἐντεῦθεν δοκεῖ λέγειν· οὐκ ἂν βοῦς
ἀπόλοιτ' εἰ µὴ γείτων κακὸς εἴη. Κῦρος δὲ καταλύσας τὴν πολιτείαν µοναρχεῖσθαι αὐτοὺς ἐποίησε.
Era costume presso di loro che i vicini riparassero ai furti, anche perciò spariscono poche cose. Tutti,
infatti, stanno in guardia alla stessa maniera. E sembra che perciò Esiodo dica: “Non sparirebbe una
mucca se non ci fosse un cattivo vicino”. Ciro, rovesciata la loro costituzione, li sottopose a regime
monarchico. (Trad. it. Polito)
405
Per la definizione di moicheia e un esame dettagliato del reato nel diritto attico cfr. l’ormai
classico PAOLI 1950; per un riesame del problema cfr. CANTARELLA 1972; sulle prescrizioni
relative alla moicheia nel codice di Gortina cfr. MAFFI 1997, pp. 23-29.
406
PAOLI 1950, p. 167.
404
197
esercita la propria sovranità407. Le leggi della polis si limitano pertanto ad imporre
il ripudio dell’adultera408 (qualora coniugata) e a vietarne l’accesso ai luoghi sacri
e la partecipazione ai riti, a pena di violenze e maltrattamenti legittimi409.
Sanzioni come quella dell’onobatis cumana dovevano rientrare, perciò, nel novero
dei pubblici oltraggi che legittimamente potevano essere inflitti alla donna
colpevole di moicheia. Un analogo trattamento infamante per le adultere è
ricordato da Aristotele nella Lepreaton Politeia410, in cui si descrive l’esposizione
della donna nell’agora in vesti trasparenti per undici giorni e se ne sottolinea la
perdita della timhv.
[Fr. 3? = 525b Rose] La magistratura del phylaktes non conosce altre attestazioni.
Stando al testo in esame, la carica prevedeva due tipi di mansioni: come incarico
ordinario, il controllo delle carceri; in occasione delle riunioni notturne del
consiglio, poi, la custodia dei basileis in attesa di giudizio da parte dei membri
della bule, chiamati ad esprimersi su di loro con voto segreto.
La procedura descritta è stata letta come testimonianza della «persistenza di un
modello basilico in contesti ormai oligarchici e repubblicani»411 in una realtà,
Sulla condizione giuridica della donna ritenuta colpevole di moicheia e sulle relative sanzioni
cfr. PAOLI 1950, pp. 165-168.
408
Il marito che continuasse a vivere con la moglie adultera incorreva nell’atimia (cfr. DEMOSTH.,
in Neaer., 87: ΝΟΜΟΣ ΜΟΙΧΕΙΑΣ. Ἐπειδὰν δὲ ἕλῃ τὸν µοιχόν, µὴ ἐξέστω τῷ ἑλόντι συνοικεῖν τῇ
γυναικί· ἐὰν δὲ συνοικῇ, ἄτιµος ἔστω...).
409
AESCHN., in Tim. 183: Τὴν γὰρ γυναῖκα ἐφ' ᾗ ἂν ἁλῷ µοιχὸς οὐκ ἐᾷ κοσµεῖσθαι, οὐδὲ εἰς τὰ
δηµοτελῆ ἱερὰ εἰσιέναι, ἵνα µὴ τὰς ἀναµαρτήτους τῶν γυναικῶν ἀναµειγνυµένη διαφθείρῃ· ἐὰν
δ'εἰσίῃ ἢ κοσµῆται, τὸν ἐντυχόντα κελεύει καταρρηγνύναι τὰ ἱµάτια καὶ τὸν κόσµον ἀφαιρεῖσθαι καὶ
τύπτειν, εἰργόµενον θανάτου καὶ τοῦ ἀνάπηρον ποιῆσαι, ἀτιµῶν τὴν τοιαύτην γυναῖκα καὶ τὸν βίον
ἀβίωτον αὐτῇ παρασκευάζων. DEMOSTH., in Neaer., 87: ΝΟΜΟΣ ΜΟΙΧΕΙΑΣ...µηδὲ τῇ γυναικὶ
ἐξέστω εἰσιέναι εἰς τὰ ἱερὰ τὰ δηµοτελῆ, ἐφ' ᾗ ἂν µοιχὸς ἁλῷ· ἐὰν δ'εἰσίῃ, νηποινεὶ πασχέτω ὅ τι ἂν
πάσχῃ, πλὴν θανάτου.
410
Cfr. supra, p. 196, nota 401.
411
MELE 2005, p. 397.
407
198
quale quella cumana, per la quale l’esistenza in età alto-arcaica di basileis in senso
proprio è attestata da più fonti, tra cui anche la stessa Kymaion Politeia412.
Il riferimento a riunioni notturne del consiglio è stato associato da L. Gernet413 a
due immagini platoniche: il consiglio notturno che Platone nelle Leggi414 pone a
capo dell’ordinamento istituzionale della città ideale e le riunioni periodiche
nelle quali, nel Crizia415 platonico, i dieci re che governano Atlantide si
incontrano per deliberare in merito a questioni di interesse comune e per
giudicare chi avesse infranto la legge.
P. Carlier416 ha suggerito la possibilità che il consiglio cumano cui si fa
riferimento nel frammento in esame fosse composto dagli stessi basileis, che a
turno sarebbero stati sottoposti al giudizio dei propri colleghi, in occasione delle
riunioni notturne descritte nel testo.
Nel complesso, la procedura di giudizio notturno dei basileis consente di
intravedere un regime di oligarchia ristretta, in cui il consiglio esercita pieno
L’excerptum eraclideo della Kymaion Politeia menziona il basileus Telefane, che avrebbe
introdotto la coltivazione di futav nella regione di Cuma (HERACL., Exc. pol. 36 Dilts: Telefavnh~
ejbasivleuse tauvth~, o}~ ejxefuvteuse th;n Kumaivwn cwvran), e la principessa Ermodice, destinata a
diventare sposa di Mida re dei Frigi e ad insegnare ai Cumani a coniare moneta (HERACL., Exc.
pol. 37 Dilts: Ἑρµοδίκην δὲ γυναῖκα τοῦ Φρυγῶν βασιλέως Μίδα φασὶ κάλλει διαφέρειν, ἀλλὰ καὶ
σοφὴν εἶναι καὶ τεχνικὴν καὶ πρώτην νόµισµα κόψαι Κυµαίοις); da Polluce apprendiamo il nome
del basileus cumano padre della futura regina dei Frigi (per Polluce non Ermodice ma Demodice),
ovvero Agamennone (POLLUX IX 83: τάχα δ' ἄν τις φιλότιµον εἶναι νοµίζοι καὶ τὸν ἐπὶ τῷ
νοµίςµατι λόγον ἐπιζητεῖν, εἴτε Φείδων πρῶτος ὁ Ἀργεῖος ἔκοψε νόµισµα, εἴτε ∆ηµοδίκη ἡ Κυµαία
συνοικήσασα Μίδᾳ τῷ Φρυγί – παῖς δ' ἦν Ἀγαµέµνονος Κυµαίων βασιλέως – ...). Per una lettura
delle notizie su Telefane e Agamennone in termini di regalità, cfr. JEFFERY 1976, p. 238 e MELE
2005, pp. 393-409, che ne sottolinea in particolare l’ancoraggio cronologico al pieno VIII secolo.
413
GERNET (DI DONATO) 1982, pp. 974-975.
414
PLAT., Leg. XII 960b-963a.
415
PLAT., Critias 119c2-d5: τῶν δέκα βασιλέων εἷς ἕκαστος ἐν µὲν τῷ καθ'αὑτὸν µέρει κατὰ τὴν αὑτοῦ
πόλιν τῶν ἀνδρῶν καὶ τῶν πλείστων νόµων ἦρχεν (...) οἷ δὴ δι' ἐνιαυτοῦ πέµπτου, τοτὲ δὲ ἐναλλὰξ
ἕκτου, συνελέγοντο, τῷ τε ἀρτίῳ καὶ τῷ περιττῷ µέρος ἴσον ἀπονέµοντες, συλλεγόµενοι δὲ περί τε
τῶν κοινῶν ἐβουλεύοντο καὶ ἐξήταζον εἴ τίς τι παραβαίνοι, καὶ ἐδίκαζον.
416
CARLIER 1984, p. 462 e nota 584. Così sembra intendere anche GERNET 1982 (DI DONATO),
p. 974 («L’Atlantide est gouvernée par dix rois qui règnent en accord et qui se réunissent
périodiquement pour délibérer sur les affaires communes et pour juger celui d’entre eux qui aurait
commis quelque infraction»).
412
199
controllo sui magistrati417, che L. H. Jeffery418 colloca nella storia di Cuma subito
dopo la fine dell’esperienza monarchica e prima della riforma timocratica di
Fidone ricordata nella stessa Kymaion Politeia419, nel medesimo assetto
istituzionale in cui, secondo la studiosa, andrebbe collocato il magistrato
aisymnetes ricordato nel fr. 4b della stessa Politeia420.
Cfr. WHIBLEY 1896, p. 151 nota 3, che cita il passo in relazione alle modalità di controllo dei
magistrati proprie dei regimi oligarchici e associa la procedura svolta dal Consiglio cumano in
PLUT., Quaest. Gr. 2 alle funzioni attribuite all’Areopago ateniese in ARISTOT., Athen Pol. 4, 4 (ἡ
δὲ βουλὴ ἡ ἐξ Ἀρείου πάγου φύλαξ ἦν τῶν νόµων καὶ διετήρει τὰς ἀρχάς, ὅπως κατὰ τοὺς νόµους
ἄρχωσιν) e a quelle proprie della bule dei Quattrocento in ARISTOT., Athen Pol. 31, 1 (βουλεύειν
µὲν τετρακοσίους κατὰ τὰ πάτρια (...) τούτους δὲ τάς τε ἀρχὰς καταστῆσαι, καὶ περὶ τοῦ ὅρκου ὅντινα
χρὴ ὀµόσαι γράψαι, <καὶ> περὶ τῶν νόµων καὶ τῶν εὐθυ[νῶ]ν καὶ τῶν ἄλλων πράττειν ᾗ ἂν ἡγῶνται
συµφέρειν).
418
JEFFERY 1976, p. 238.
419
HERACL., Exc. pol. 39 Dilts: Φείδων ἀνὴρ δόκιµος πλείοσι µετέδωκε τῆς πολιτείας, νόµον θεὶς
ἕκαστον ἐπάναγκες τρέφειν ἵππον. Per l’interpretazione del passo nel senso di un allargamento
della cittadinza a quanti avessero il censo necessario ad allevare un cavallo cfr. TALAMO 2010
[1973], pp. 69-70 e POLITO 2001, p. 129.
420
Cfr. infra, commento al fr. 4b, p. 215.
417
200
Fr. 4a (524 Rose; 530, 1 Gigon) — Hypoth. II in Soph. Oed. Tyr.: DIA TI
TURANNOS EPIGEGRAPTAI jO Tuvranno~ Oijdivpou~ ejpi; diakrivsei qatevrou
3
ejpigevgraptai. Carievntw~ de; tuvranno~ a{pante~ aujto;n ejpigravfousin, wJ~ ejxevconta
pavsh~ th`~ Sofoklevou~ poihvsew~, kaivper hJtthqevnta uJpo; Filoklevou~, w{~ fhsi
Diakaivarco~. Eijsi; de; kai; oiJ provteron, ouj tuvrannon, aujto;n ejpigravfonte~, dia;
6
tou;~ crovnou~ tw`n didaskaliw`n kai; dia; ta; pravgmata: ajlhvthn ga;r kai; phro;n
Oijdivpoda to;n ejpi; Kolwnw/̀ eij~ ta;~ jAqhvna~ ajfiknei`sqai. i[dion de; ti pepovnqasin
oiJ meq j {Omhron poihtai;, tou;~ pro; tw`n Trwi>kw`n basilei`~ turavnnou~
9
prosagoreuvonte~, ojyev pote tou`de tou` ojnovmato~ eij~ tou;~ {Ellhna~ diadoqevnto~,
kata; tou;~ jArcilovcou crovnou~, kaqavper JIppiva~ oJ sofisthv~ fhsin. O
{ mhro~ gou`n
to;n pavntwn paranomwvtaton
12
[Eceton basileva fhsiv, kai; ouj tuvrannon:«Eij~
[Eceton basilh`a, brotw`n dhlhvmona». Prosagoreuqh`nai dev fasi to;n tuvrannon ajpo;
tw`n Turrhnw`n: calepou;" gavr tina" peri; lhósteivan touvtou" genevsqai. O
{ ti de;
newvteron to; tou` turavnnou o[noma, dh`lon. Ou[te ga;r {Omero", ou[te JHesivodo", ou[te
15
a[llo" oujdei;" tw`n palaiw`n tuvrannon ejn toi`" poihvmasin ojnomavzei. J O de;
j A ristotev l h"
prov t eron
18
ej n
Kumaiv w n
aij s umnhv t a"
politeiv a /
tou; "
prosagoreuv e sqai.
turav n nou"
Eujfhmovteron
fhsi;
ga;r
to;
ejkei`no
tou[noma.
7-17 Cfr. Suda s.v. tuvranno~
3-5 Dicaearch., fr. 101 Mirhady (= 80 Wehrli)
fr. 9 Diels-Kranz
10-12 Hom., Od. XVIII 85
3 ej p ig rav f o us in LG , Di nd o r f, Pear s o n, Co l o nn a : aj p e v g raf o n
ej p e v g raf o n ed d . a nt e D i nd o r f
wJ ~ L 2 . : o m . G
9-10 Hippias,
A l d. u nd e
Per quale ragione è intitolato Tyrannos. È intitolato Edipo Tyrannos per distinguerlo
dall’altro. Tutti, elegantemente, lo intitolano tyrannos, come se occupasse una
posizione preminente su tutta la produzione poetica di Sofocle, benché, a quanto dice
Dicearco, sia stato battuto da Filocle. C’è anche chi lo intitola Proteros e non
Tyrannos, per i tempi delle rappresentazioni e per le vicende: infatti l’Edipo epi
Kolono, ramingo e storpio, giunge ad Atene. I poeti successivi ad Omero hanno
201
adottato un uso peculiare, chiamando tyrannoi i re dei tempi precedenti alla guerra dei
Troia, poiché questo nome si diffuse tardi tra i Greci, ai tempi di Archiloco, come dice il
sofista Ippia. Omero, ad esempio, definisce Echeto, il più illegittimo di tutti, re e non
tiranno: «dal re Echeto, funesto per i mortali». Dicono che il tiranno abbia preso nome
dai Tirreni: costoro infatti sono uomini spietati nella pirateria. È chiaro che il nome
tyrannos è piuttosto recente. Infatti né Omero né Esiodo né nessun altro degli antichi
usa il nome tyrannos nei suoi componimenti. Aristotele poi nella Politeia dei
Cumani dice che prima i tiranni venivano chiamati esimneti. Quel nome
infatti è più elogiativo.
Fr. 4b (524 Rose; 530, 2 Gigon)  Schol. in Eurip. Med. 19: aijsumna/' cqonov":
aijsumna/ hJgei'tai kai a[rcei. ij d iv w " dev fhsin j A ristotev l h~ uJ p o; Kumaiv w n
3
aij s umnhv t hn to; n a[ r conta lev g esqai. ‹Omhro": «aijsumnh'tai de kritoi
ejnneva» tou;" a[rconta" tw'n ajgwvnwn. aijsumnhvth" basileu;" ejpistavth" a[rcwn: oi
de;, tuvranno" brabeuth;" pavredro".
1-3 Cfr. Etym. Magn. s.v. aijsumnh`tai
3-4 ‹Omhro" - ajgwvnwn om. A
Magn. s.v. aijsumnh`tai
3-4 Hom., Od. VIII 258
4 ‹levgousi de; kai;¤ tou;" Ãkrita;"¤ a[rconta" Schwartz ex Etym.
È aisymnetes di questa terra: è aisymnetes, cioè comanda e governa. Aristotele dice
che dai Cumani viene chiamato propriamente aisymnetes l’archon.
Omero: «nove aisymnetai scelti», cioè gli arbitri delle gare.
Aisymnetes: re, sovrintendente, magistrato; secondo altri, tiranno, arbitro,
collaboratore.
Il fr. 4a è conservato nella seconda hypothesis dell’Edipo re, contenuta in tutti i
codici che tramandano le hypotheseis delle tragedie di Sofocle. Esso è inoltre
202
riutilizzato — con una semplicissima variazione testuale — sotto la voce tyrannos
del lessico Suda, che rielabora tutto il materiale della hypothesis.
L’autore della nota prefatoria, intitolata dia; tiv tuvranno~ ejpigevgraptai, concede
invero solo poche righe alla spiegazione del titolo del dramma sofocleo (ll. 1-7):
in esso il termine tyrannos sarebbe servito a distinguere la tragedia in oggetto
dall’altra (l’Edipo a Colono, nominato alla l. 7) e sarebbe stato adottato per
alludere alla posizione di spicco dell’opera nell’ambito della produzione poetica
sofoclea; il titolo alternativo di Oidipous Proteros, con cui il testo era noto ad
alcuni, si sarebbe invece riferito al fatto che l’Edipo re era stato messo in scena
prima dell’Edipo a Colono e narrava la prima parte delle vicende mitiche ispirate
alla saga tebana, che nell’Edipo a Colono giungevano a conclusione con la morte
prodigiosa dell’eroe nel demo ateniese di Colono.
Dalla l. 7 il redattore abbandona la questione e passa ad esporre una serie di
notizie relative a cronologia, etimologia421 ed uso della parola tyrannos. In
particolare, egli parte dalla constatazione che era peculiare (i[dion, l. 7) dei poeti
meq j {Omhron l’uso del termine in riferimento ai re dei tempi precedenti alla
guerra di Troia; a seguire (ll. 9 ss.), riferisce delle informazioni a prova di una non
meglio precisata recenziorità del vocabolo — che alla l. 14 qualifica come
newvteron422 senza espliciti termini di paragone (più recente o piuttosto recente?):
La paretimologia di tyrannos da Tyrrhenoi, inserita per semplice associazione di idee, non ha
legami con la questione essenzialmente cronologica al centro del discorso.
422
Il termine newvteroi si incontra con notevole frequenza negli scolii e nei commentari all’Iliade e
all’Odissea, per definire i poeti del Ciclo successivi ad Omero (cfr. ad esempio Schol. In Il. II 103,
XVI 574, XXIV 257), a cui i commentatori attribuivano le lezioni che di volta in volta ritenevano
spurie e procedevano a correggere. Alla luce di questo dato è possibile che i meq j {Omhron poihtaiv
della l. 8 della hypothesis siano i newvteroi degli scolii omerici, che in questo caso avrebbero
introdotto l’uso lessicale seguito da Sofocle. Il termine newvteron della l. 14 potrebbe quindi essere
stato adoperato in senso tecnico, per indicare che l’uso della voce tyrannos in riferimento a sovrani
di epoche precedenti alla guerra di Troia fosse peculiare dei newvteroi. Peraltro si può osservare che
la stessa versione del mito drammatizzata nell’Edipo re e nell’Edipo a Colono è diversa da quella
nota ad Omero — che conosce il suicidio di Giocasta, il permanere di Edipo sul trono di Tebe, la
morte in battaglia dell’eroe e i suoi funerali solenni nella stessa Tebe (HOM., Il. XXIII 679-680;
Od. XI, 271-280) — e converge piuttosto con la variante che gli scolii omerici ascrivono proprio
421
203
-
la testimonianza del sofista Ippia (fr. 9 Diels-Kranz), che data la prima
diffusione del termine tra i Greci al tempo di Archiloco (ll. 9-10);
-
il dato che né Omero né Esiodo né gli altri poeti palaioi utilizzano mai la
parola tyrannos (ll. 10-12, 14-15);
-
la dichiarazione di Aristotele, estrapolata dalla Kymaion Politeia
(esplicitamente menzionata dal redattore), che prima i tiranni venivano
chiamati aisymnetai (ll. 15-17).
Il fatto che né Omero né Esiodo usino la parola tyrannos nei loro componimenti
(ll. 10-12, 14-15) viene riferito per sancire il terminus post quem dell’ingresso del
vocabolo nel lessico poetico; i passi del sofista Ippia e di Aristotele vengono
invece citati in quanto contengono informazioni relative alla recenziorità del
termine tyrannos: Ippia fornirebbe il riferimento cronologico preciso della
diffusione del vocabolo tra i Greci ai tempi del poeta Archiloco (ll. 9-10);
Aristotele attesterebbe invece l’uso, relativo a un passato indeterminato (to;
provteron), di definire aisymnetai i tiranni (ll. 15-17).
Il passo della Kymaion Politeia viene dunque riportato nel contesto di altre
citazioni con cui l’autore della hypothesis chiama a testimoni della sua tesi grandi
nomi: Omero ed Esiodo, in quanto poeti per antonomasia; Ippia e Aristotele, in
quanto detentori per eccellenza di un sapere onnicomprensivo423. In particolare,
l’affermazione attribuita ad Aristotele sarebbe testimonianza di un’epoca
ai newvteroi (cfr. Schol. in Hom. Il. XXIII 679a3-6 kai; o{ti oiJ newvteroi para; to;n {Omhron to;n
Oijdivpoun fasi;n eJauto;n tuflwvsanta podhgouvmenon eij~ jAqhvna~ ejlqei`n kai; ejkei` teleuth`sai: nu`n
de; oJmovlogon o{ti ejn Qhvbai~ ejteleuvthsen. Cfr. Schol. in Hom. Il. XXIII 679b1-2 <o{~ pote
Qhvba~<d jh\lqe dedoupovto~ Oijdipovdao>:> o{ti basileuvonta ejn Qhvbai~ fhsi;n ajpolevsqai, oujc wJ~ oiJ
newvteroi). Cfr. anche TLG s.v. newvteroi.
423
Del carattere enciclopedico del sapere aristotelico è inutile dire. Quanto al sofista Ippia, egli è
descritto dalle fonti come un intellettuale eclettico e dalle straordinarie capacità mnemotecniche
— le cui conoscenze spaziavano dalla matematica all’ astronomia, alla musica, fino alla linguistica
e alla letteratura —, che accumulò grandi ricchezze grazie alla sua eccezionale abilità nel comporre
discorsi su temi d’ogni sorta. Per una raccolta di testimonia e frammenti di Ippia, cfr. GALLOP 2001.
204
precedente alla diffusione del termine tyrannos, in cui i Greci avrebbero chiamato
i tiranni aisymnetai.
Il testo pone un problema di delimitazione del frammento. Subito dopo la
citazione esplicita dalla Politeia di Cuma ( J O de;
j A ristotev l h"
...
prosagoreuv e sqai, ll. 15-17), la hypothesis recita: il nome (scil. aisymnetes)
infatti è più elogiativo. Si è scelto di utilizzare il carattere spaziato solo per il periodo
che contiene il riferimento esplicito ad Aristotele e alla Kymaion Politeia,
attribuendo all’anonimo commentatore dell’Edipo Re la riflessione in merito al
senso elogiativo della parola aisymnetes; tuttavia, non si può escludere
completamente che anch’essa possa provenire dalla Politeia: come citazione
testuale o come rielaborazione, più o meno fedele, di un’affermazione formulata
dallo Stagirita in termini diversi.
A tale proposito, tuttavia, si può forse aggiungere un’ulteriore osservazione. La
considerazione che conclude la hypothesis — il nome (scil. aisymnetes) infatti è più
elogiativo — esprime il punto di vista di qualcuno che, da un lato, conosce il
termine tyrannos nell’accezione negativa che esso aveva assunto a partire da un
certo momento della storia greca, dall’altro, non sembra avere una precisa
cognizione dell’aisymneteia nella forma in cui essa è teorizzata nella Politica424;
nella sua prospettiva, aisymnetes e tyrannos
sarebbero state due diverse
denominazioni del tiranno, l’una encomiastica, l’altra denigratoria. Un’opinione
del genere, nella misura in cui banalizza la ricchezza della riflessione teorica
sull’aisymneteia svolta nella Politica, non può certamente appartenere ad
Aristotele ma piuttosto ad un compilatore: un allievo dello Stagirita (nell’ipotesi
che il passo contenente tale osservazione fosse presente nella Politeia) oppure lo
424
Cfr. infra pp. 210-215.
205
stesso autore della hypothesis (se, come qui si ritiene più probabile, il passo non
faceva parte dell’opuscolo).
Il fr. 4b compare in entrambi i manoscritti che tramandano gli scolii alla Medea di
Euripide; in particolare, è contenuto nelle note marginali al verso 19 della
tragedia, intese a spiegare l’espressione aijsumna/' cqonov", usata dal poeta in
relazione a Creonte che regna sulla terra di Corinto. Esso è inoltre utilizzato, senza
nessuna variazione testuale, nella voce aijsumnhvth" dell’Etymologicum Magnum, in
cui confluisce anche altro materiale dello scolio euripideo425. Il testo riportato dal
lessico bizantino è dunque un riuso del passo aristotelico citato nello scolio alla
Medea, pertanto si è scelto di non classificarlo qui come frammento.
Lo scoliasta, in prima battuta (ll. 1-2), spiega il senso del lemma
aijsumna/̀ all’interno del verso della Medea con le voci verbali hJgei'tai e a[rcei; a
seguire (ll. 2-3), riporta quello che presenta come il significato proprio (ijdivw"
levgesqai426) del termine aisymnetes presso i Cumani secondo la testimonianza
dello Stagirita: Aristotele dice che dai Cumani viene chiamato propriamente
aisymnetes l’archon427.
GAISFORD 1848, p. 39, 14. La voce dell’Etimologico riprende la definizione di aisymnetes che nel
codice B degli scolii euripidei compare come scolio intermarginale aijsumnhvth":
basileu;" ejpistavth" a[rcwn h] tuvranno" h] pavredro"; a seguire, cita il passo aristotelico in esame;
infine, riporta proprio l’espressione euripidea aijsumna/' cqonov", con la relativa spiegazione data dallo
scolio.
426
L’avverbio ijdivw" si trova frequentemente associato, soprattutto nei testi dei grammatici, ai verbi
levgein, kalei`n, ojnomavzein, spesso alla diatesi media, per esprimere il significato proprio di un
lemma, di cui siano note anche altre accezioni. Cfr. TLG s.v. ijdivw". Nel tradurre il testo dello
scolio alla Medea, pertanto, si è ritenuto che l’avverbio ijdivw" fosse in relazione con il verbo
levgesqai della proposizione oggettiva e si è inteso: Aristotele dice che dai Cumani viene chiamato
propriamente aisymnetes l’archon. La traduzione di ijdivw" in relazione al verbo fhsivn (Aristotele dice
propriamente che dai Cumani viene chiamato aisymnetes l’archon) non avrebbe senso.
427
Nel solo codice B segue (ll. 3-4) la testimonianza dell’ottavo libro dell’Odissea, dove aisymnetai
sono definiti gli arbitri di gara, nel contesto dei giochi a cui i Feaci si accingono in onore di
Odisseo. Nello stesso codice è riportata inoltre (ll. 4-5), come scolio intermarginale, la definizione
di aisymnetes nelle diverse accezioni note al compilatore, tra cui compaiono, significativamente,
termini inerenti all’ambito istituzionale come basileuv", ejpistavth", a[rcwn, tuvranno".
425
206
L’avverbio ijdivw", con cui ha inizio il periodo che contiene la citazione
aristotelica, ci pone dinanzi a due problemi.
I) Attribuzione del termine al passo citato.
Come abbiamo visto, stando al testo in esame, la parola aisymnetes — oltre ad
altre accezioni — aveva, presso i Cumani, il significato proprio di archon.
Attribuire allo scoliasta l’aggiunta di ijdivw" al passo aristotelico equivarrebbe ad
ascrivere:
-
ad Aristotele il dato sull’uso cumano di chiamare aisymnetes l’archon;
-
allo scoliasta l’osservazione sulla proprietà di quest’uso: ovvero l’idea che,
tra le diverse accezioni del termine aisymnetes, il significato proprio presso i
Cumani fosse archon.
Lo scoliasta, in questo caso, non troverebbe in Aristotele la considerazione
espressa con l’avverbio ijdivw" ma la aggiungerebbe di propria iniziativa.
Questa ipotesi appare piuttosto debole: non si vede, infatti, in base a cosa il
commentatore potrebbe aver fatto una simile affermazione: da dove avrebbe
ricavato la notizia? È molto più probabile che egli abbia tratto anche questa
annotazione da Aristotele. L’attribuzione di ijdivw" al passo aristotelico, infatti, non
creerebbe alcun problema e consentirebbe, peraltro, di mettere il frammento in
relazione con la citazione dalla Kymaion Politeia contenuta nella hypothesis
dell’Edipo re (cfr. infra pp. 214-215).
II) Testualità della citazione.
Posta la paternità aristotelica dell’osservazione, bisogna comprendere se la parola
ijdivw" sia ripresa testualmente da Aristotele oppure sia frutto di una rielaborazione
del testo aristotelico ad opera dello scoliasta, che avrebbe sintetizzato
nell’avverbio l’opinione dello Stagirita. In Aristotele, l’uso di ijdivw" in
associazione a un verbo appellativo per esprimere l’accezione ristretta di un
207
termine è attestato in De mundo 394b28-29; l’avverbio forse è utilizzato dallo
Stagirita — questa volta non in connessione con un verbo appellativo — anche
nel fr. 2? della Kolophonion Politeia (= fr. 584 Rose), per connotare un uso come
proprio di un popolo428. Alla luce di queste due sole occorrenze, non abbiamo
elementi che consentano di affermare con certezza se l’ijdivw" tramandato dallo
scolio risalga ad Aristotele oppure no.
A questo punto si pone il problema di stabilire in che rapporto siano i due testi:
ovvero se debbano essere intesi come due frammenti di un passo più ampio, che
forniva informazioni diverse e complementari in merito all’aisymneteia, o
piuttosto come varianti testuali di un unico originale, irrimediabilmente alterato
da almeno una delle due fonti tralatrici.
Gli studiosi hanno assunto posizioni profondamente diverse in merito alla
questione.
Secondo V. Rose, la hypothesis dell’Edipo re avrebbe tramandato la lezione
originale della Politeia perduta — come suggerirebbe il confronto con i passi della
Politica aristotelica incentrati sul tema dell’aisymneteia; il testo dello scolio alla
Medea,
invece,
sarebbe
stato
il
frutto
di
una
distorsione
operata
involontariamente dallo scoliasta, che avrebbe erroneamente ascritto ai Cumani
l’osservazione di carattere generale presente nella Politeia dei Cumani429. Il
commento di Rose, invero, è molto stringato e non chiarisce in cosa sarebbe
ARISTOT., De mundo 394b28-29: kai; tw'n borew'n ijdivw" oJ me;n eJxh'" tw/' kaikiva/ kalei'tai boreva".
Tra i venti boreali è chiamato propriamente Borea quello di seguito al vento di nord-est. ARISTOT.,
Koloph. Pol. fr. 2?: kai; ga;r ijdivw~ par jaujtoi`~ ejpecwrivase forei`n ajnqinou;~ citw`na~, ou}~ ejzwvnnunto
mivtrai~ polutelevsi. E propriamente presso di loro (scil. presso i Colofoni) era usuale portare chitoni a
fiori, che allacciavano con cinture preziose. Cfr. supra, commento al fr. 2? della Koloph. Pol., pp. 181182.
429
ROSE 1863, fr.139, p. 484. «Ubi (scil. in Schol. in Eurip. Med. 19) quae generalis fuit auctoris
observatio in Cymaeorum Republica prolata ad ipsos Cymaeos solos errore eius qui scholia Eurip.
compilavit translata est: id quod constat e prooemio commentatoris cuiusdam recentioris in
Sophoclis Oed. Tyr.».
428
208
potuto consistere l’errore che ipotizza. L’esame attento del testo potrebbe
suggerire che lo scoliasta — come spesso accade nella tradizione dei titoli —
abbia sciolto il titolo Kymaion Politeia nella erronea attribuzione ai Cumani della
notizia sull’aisymnetes che trovava nell’opera. Il Rose non spiega, però, in che
modo il commentatore della Medea potrebbe aver trasformato i tyrannoi del testo
aristotelico in un archon.
G. Gilbert, diversamente, riconosceva validità a entrambi i testi: l’uno avrebbe
attestato
la
menzione,
nella
aristotelica
Kymaion
Politeia,
dell’antica
denominazione di aisymnetai per i tiranni, l’altro il dato aristotelico di un archon
cumano chiamato aisymnetes; la prossimità dei due passi — sottolineava poi lo
studioso — non avrebbe implicato che ad essere definiti aisymnetai, in epoca
arcaica, fossero necessariamente tiranni cumani430.
In tempi più recenti, altri studiosi, come L. H. Jeffery e H. Engelmann, hanno
tacitamente accolto la testimonianza aristotelica che colloca a Cuma magistrati
ordinari chiamati aisymnetai431.
In modo più esplicito si è pronunciato sulla questione M. Faraguna: nel suo
riesame delle fonti arcaiche sulle funzioni dell’aisymnetes, volto a chiarire su quali
basi documentarie Aristotele fondasse le riflessioni sull’aisymneteia contenute
nella Politica, egli ha sostenuto che nella Kymaion Politeia lo Stagirita «faceva
distinzione tra due accezioni del termine», l’una attestante l’uso antico (non
strettamente cumano ma genericamente greco) di definire aisymnetai i tiranni,
l’altra la denominazione cumana dell’arconte432.
Mettiamo a confronto i due testi:
GILBERT 1885, p. 157 e nota 4. Gilbert intende l’aisymnetes come il supremo magistrato della
costituzione di Prometeo, menzionato da Eraclide Lembo come l’estensore del diritto di
cittadinanza a mille uomini (HERACL., Exc. Pol. 11 Dilts; cfr. POLITO 2001, pp. 123-130).
431
JEFFERY 1976, p. 238; ENGELMANN 1976, p. 161.
432
FARAGUNA 2005, p. 323.
430
209
4a - Hypothesis in Soph. Oed. Tyr.
4b - Schol. in Eurip. Med. 19.
oJ de ; j A ris to tev lh ~ ej n K um aiv wn p o li tei v a / t ou ; ~
ij div w"
tu rav n no u ~
aij su mn h v t h n t o; n a[ rc on t a lev ge sq ai.
f h si;
p ro v t e r on
a ij s um nh v t a ~
dev f h si n ≠ A ri st ote v l h " u J p o ; K uma iv wn
p ro sa go re uv es qa i.
Ar i s to t el e n e l la Ky m aio n Po li t ei a d i c e c he in
Ar i s to t el e d ic e c he da i Cu man i v ien e c hi am ato
pas s a to i t ir an n i v en iv an o ch ia ma t i a is ym net ai.
pr opr ia m en t e a is ym ne t es l’ ar c ho n.
Entrambi i frammenti contengono il riferimento nominale ad Aristotele.
4a
4b
Menziona il titolo dell’opera da cui la citazione è
Non esplicita da quale opera il passo è estrapolato;
tratta: la Politeia dei Cumani.
tuttavia, riferisce ai Cumani la notizia che riporta.
Intende aisymnetai come denominazione dei tiranni
Intende aisymnetes come denominazione dell’archon
nel passato.
cumano.
Ascrive a un passato indeterminato
l’uso di
Non fornisce riferimenti cronologici.
chiamare aisymnetai i tiranni.
Non precisa il luogo o la polis a cui attribuisce tale
Ascrive ai Cumani l’uso di definire aisymnetes
uso.
l’archon.
Il fr. 4a, dunque, attribuisce alla Kymaion Politeia un’affermazione di carattere
generale, secondo la quale in un passato indeterminato (to; provteron) e in un
luogo imprecisato i tiranni sarebbero stati definiti aisymnetai433. Il testo, come già
messo in luce da Rose434, è in stretto rapporto con Pol. 1285a29-b3, dove
Aristotele, nell’analizzare i diversi tipi di monarchia, parla dell’aisymneteia, che
In mancanza di riferimenti espliciti, nel testo, a un luogo o a una città, possiamo osservare che
la notizia sull’antica denominazione dei tiranni dev’essere riferita a tutti i tiranni greci o
comunque non necessariamente a tiranni cumani, come già sottolineato da GILBERT 1885, p. 157 e
nota 4.
434
ROSE 1863, fr.139, p. 484, che sottolinea anche il rapporto del testo con altri passi della Politica
(1295b25-26, 1286b35-36 e 1295a7-17) e con il frammento dei libri di Teofrasto Sulla Regalità
incentrato sull’aisymneteia (THEOPHR., fr. 631 Fortenbaugh = DION. HAL., Rom. Ant. V 73 3).
433
210
teorizza come una aijreth; turanniv~, diffusa presso i Greci in età arcaica (ejn toi`~
ajrcaivoi~ JvEllhsin), fondata sulla legge (kata; novmon) ed elettiva435.
Il passo della Politica ha dato luogo a una controversa questione relativa alla realtà
storica dell’aisymneteia. La discussione sul tema ha visto, da un parte, le posizioni
di quanti, da J. Toepffer in poi436, hanno riconosciuto un fondamento storico alla
base della riflessione politica dello Stagirita — in specie al dato della tirannide
elettiva di Pittaco, citato nella stessa sede a mo’ di esempio —, dall’altra, le
opposte convinzioni di chi invece, in tempi più recenti, sulla scia di F. E.
Romer437, pur ammettendo la storicità dell’aisymneteia di Pittaco a Mitilene, ha
negato la fondatezza storica della categoria aristotelica di aisymneteia in quanto
tirannide elettiva, sostenendo che lo Stagirita avrebbe coartato la verità storica ai
fini della sua riflessione teorica. In sostanza, secondo Romer e quanti ne hanno
abbracciato la tesi, non sarebbe mai esistito un aisymnetes tiranno elettivo. Romer
fondava le sue argomentazioni sulla assenza di altri testimoni del dato, che non
dipendessero da Aristotele: riteneva, infatti, che la citazione dal Peri; basileiva~
ARISTOT., Pol. 1285a29-b3: duvo me;n ou\n ei[dh tau`ta monarciva~, e{teron d j o{per h\n ejn toi`~
ajrcaivoi~ {Ellhsin, ou}~ kalou`sin aijsumnhvta~. e[sti de; tou`q jwJ~ aJplw`~ eijpei`n aiJreth; turanniv~,
diafevrousa de; th`~ barbarikh`~ ouj tw/̀ mh; kata; novmon ajlla; tw/̀ mh; pavtrio~ ei\nai movnon. h\rcon d joiJ
me;n dia; bivou th;n ajrch;n tauvthn, oiJ de; mevcri tinw`n wJrismevnwn crovnwn h] pravxewn, oi|on ei{lontov
pote Mutilhnai`oi Pittako;n pro;~ tou;~ fugavda~ w|n proeisthvkesan jAntimenivdh~ kai; jAlkai`o~ oJ
poihthv~. dhloi` d j jAlkai`o~ o{ti tuvrannon ei{lonto to;n Pittako;n e[n tini tw`n skoliw`n melw`n:
ejpitima/̀ ga;r o{ti to;n kakopavtrida Pivttakon povlio~ ta`~ ajcovlw kai; barudaivmono~ ejstavsanto
tuvrannon mevg jejpainevonte~ ajovllee~ (fr. 348 Voigt). au|tai me;n ou\n eijsiv te kai; h\san dia; me;n to;
despotikai; ei\nai turannikaiv, dia; de; to; aiJretai; kai; eJkovntwn basilikaiv. Sono due, per ciò, queste
forme di monarchia (scil. quella spartana e quella barbarica), ma ce n’è un’altra che esistette presso gli
antichi Elleni: li chiamano “esimneti”. Si tratta, per dirlo in modo semplice, di una tirannide elettiva,
diversa da quella barbarica, non perché non fosse conforme alla legge, ma solo perché non era ereditaria.
Alcuni di questi ressero tale carica per tutt la vita, altri per un limitato spazio di tempo e fino al
compimento di determinati compiti: così una volta i Mitilenesi elessero Pittaco contro gli esiliati che erano
guidati da Antimenide e dal poeta Alceo. Che abbiano eletto Pittaco tiranno lo prova Alceo in uno dei
suoi scolii, nel quale li rimprovera “…l’ignobile Pittaco, della città senza più ardor, d’infesto demone,
hanno eletto tiranno e largamente hanno applaudito insieme”. Queste monarchie, dunque, sono ed erano
tiranniche per essere despotiche, e regali per essere elettive ed esercitarsi sopra sudditi bendisposti (Trad. it.
R. Laurenti).
436
TOEPFFER 1893, coll. 1088-1091, e BUSOLT 19203, pp. 372-5, seguiti da gran parte della critica
moderna.
437
ROMER 1982, pp. 25-46; DE LIBERO 1996, pp. 324-327; HÖLKESKAMP 1999, pp. 220-6.
435
211
di Teofrasto su Pittaco e l’aisymneteia, tramandata da Dionigi di Alicarnasso
(Rom. Ant. V 73 3), fosse basata sull’analogo passo della Politica, cui è
indubbiamente molto affine per contenuti e lessico.
Una serie di studi recenti ha tuttavia messo in luce diversi elementi di debolezza
nella lettura data da Romer a Pol. 1285a29-b3, evidenziando, in particolare, come
la base documentaria a testimonianza della esistenza di una forma di tirannide
elettiva nella Grecia arcaica sia più ampia di quanto ipotizzato dallo studioso e,
soprattutto, oltrepassi i confini della riflessione peripatetica.
Faraguna, nello studio prima citato, ha riesaminato, nell’ambito dell’intero
panorama documentario sull’aisymneteia arcaica, un’interessante epigrafe, che
sembrerebbe costituire un’ulteriore testimonianza della storicità dell’aisymnetes
tiranno elettivo: si tratta di un’iscrizione proveniente da Teo, degli inizi del V sec.
a. C.438, in cui, nel contesto di una serie di maledizioni rivolte contro chiunque
minasse la stabilità politica della città, «viene stabilito un formale divieto di
insediare un aisymnetes neppure con decisione maggioritaria (o in seguito ad un
moto popolare) (a, ll. 22-24: aijsumnhvthn ouj sthvsw ou[te su;m polloi`si)»439. Il
fatto che nell’epigrafe l’aisymnetes sia presentato come una minaccia per la polis
induce a credere che egli non fosse un magistrato ordinario — come riteneva
Romer440 — e ad intenderlo, con Faraguna, come una figura che, per quanto
espressione della maggioranza, ostacolasse il «libero svolgimento della vita
politica della città»441.
F. Ferraioli ha inoltre sostenuto, con argomentazioni convincenti, che la
riflessione sull’aisymneteia svolta da Teofrasto nel trattato Sulla regalità non
dipenda dal passo di contenuto analogo della Politica. Egli, infatti, sottoponendo i
Pubblicata per la prima volta da HERRMANN 1981 (SEG 31, 985).
FARAGUNA 2005, pp. 329-331.
440
ROMER 1982, p. 29, nota 12.
441
FARAGUNA 2005, p. 330.
438
439
212
due testi a un attento confronto, ne ha messo in luce il rapporto dialettico,
sottolineandone, al contempo, gli elementi di divergenza: nell’illustrare occasione
e durata del mandato degli aisymnetai, Teofrasto sembrerebbe infatti dissentire dal
maestro e correggerlo puntualmente; la notevole similarità che, per il resto,
indubbiamente caratterizza i due passi suggerirebbe la dipendenza di Aristotele e
del suo allievo da fonti lesbie comuni, probabilmente veicolate da altre opere di
Teofrasto stesso, che di Lesbo era orginario442.
In un recentissimo contributo, infine, A. Visconti443 ha individuato alcune fonti
(VAL. MAX. IV 1, ext. 6; VI 5, ext. 1; PLUTARCH., Sol. 14, 7)  di cui ha
evidenziato l’indipendenza da ARISTOT., Pol. 1285a29-b3  che, pur non
utilizzando espressamente i termini aisymnetes/aisymneteia, descrivono il potere di
Pittaco in termini che rimandano all’idea di tirannide elettiva teorizzata nelle
pagine della Politica: alla base della teorizzazione dello Stagirita, dunque,
sembrerebbe esserci una precisa realtà storica variamente attestata.
Ora, anche indipendentemente dalla storicità dell’aisymneteia, la ricchezza della
riflessione teorica sul tema all’interno del Peripato costituisce un dato di fatto,
che fa sistema con la menzione, nella Kymaion Politeia, della denominazione di
aisymnetai per gli antichi tiranni. Tra i due passi si nota, peraltro, una perfetta
corrispondenza di contenuto:
4a - Hypothesis in Soph. Oed. Tyr.
Pol. 1285a29-b3
oJ
d e;
j Ar ist ot ev lh ~
ej n
K uma iv wn
p ol ite iv a/
t ou ; ~
t u r av nn o u~
f h s i;
aij su mnh v t a ~
p ro v t er on
p ro sa go re uv es qa i.
Ar i s to t el e n e l la Po li t ei a d ei Cu m a n i
du v o me; n o u \ n e i[ dh ta u` ta m on arc iv a~,
e{ t e r on d j o{ p er h \ n e j n toi ` ~ aj rc ai v oi~
{ E l lh s in, o u} ~ k al ou ` s in aij su m nh v t a~.
e[ s t i de ; t o u` q j w J ~ aJ p lw` ~ eij p ei ` n
aiJ re th ; t ur an ni v ~ ( .. .)
V i s on o du n qu e qu es te du e f or m e di
442
443
FERRAIOLI 2010, pp. 191-197.
VISCONTI 2012, pp. 255-261.
213
di c e c he in pa s s at o i t i r an n i v en iv an o
ch ia ma ti ai s ym net a i.
mon ar ch i a (s c il . qu e l l a s par t an a e
qu e l la b ar bar i ca ) e v e n e er a u n ’a l tr a
tr a i G r e ci d e i t em pi an ti ch i, i
cos id de tt i ais ym net a i. S i t r at ta, p er
cos ì dir e, d i u n a t ir an n id e e l et ti va (. . . )
Entrambi i testi riferiscono l’aisymnetes tyrannos a un passato indeterminato (fr. 4a:
prov t eron; A R I S T O T ., Pol. 1285a29-b3: ej n toi` ~ aj r caiv o i~ { E llhsin) e a un luogo
imprecisato.
La piena consonanza tra ARISTOT., Pol. 1285a29-b3 e il passo riportato
dall’autore della hypothesis dell’Edipo re come citazione dalla Kymaion Politeia
sembrerebbe indicare che il testo del fr. 4a sia stato tramandato correttamente
dalla fonte tralatrice.
In questa lettura, il frammento riportato nelle note marginali al verso 19 della
Medea (fr. 4b) — che in ogni caso non presenta particolari elementi di sospetto
—, letto in relazione al testo della hypothesis, acquisterebbe poi a sua volta
immediata comprensibilità. L’avverbio ijdivw" del fr. 4b sembrerebbe costituire
l’anello di congiunzione tra i due passi e svolgere un ruolo-chiave per la
comprensione del contesto più ampio da cui i due testi sarebbero tratti:
Aristotele, nel parlare delle istituzioni di Cuma, menzionerebbe l’aisymnetesarchon locale e, nell’ambito di questo discorso (non possiamo dire se più o meno
ampio), si soffermerebbe a illustrare anche un altro significato del termine, ossia
l’antica
accezione
di
tyrannos
(tou;~
turavnnou~...provteron
aijsumnhvta~
prosagoreuvesqai: prima venivano chiamati aisymnetai i tiranni); nello stesso
contesto, dedicato alla parola aisymnetes, preciserebbe che il vocabolo per i
Cumani
significa
propriamente
archon
(ijdivw"
dev
uJpo; Kumaivwn
aijsumnhvthn to;n a[rconta levgesqai: dai Cumani viene chiamato propriamente
aisymnetes l’archon).
214
Alla luce di tutto ciò, l’interpretazione di Faraguna — ovvero che nella Kymaion
Politeia lo Stagirita «faceva distinzione tra due accezioni del termine» aisymnetes
—444 sembrerebbe, dunque, decisamente condivisibile. Proprio l’avverbio ijdivw",
infatti, attesterebbe che nel passo aristotelico erano presentati diversi significati
del vocabolo: la parola doveva essere per Aristotele motivo di forte interesse,
considerata l’attenzione che egli dedica al tema sia nella Politica che nella Politeia
in esame.
Peraltro, se è vero che, nel panorama della documentazione epigrafica e letteraria
su Cuma, la testimonianza aristotelica sull’aisymnetes-archon resta una voce
isolata, è pur vero che l’esistenza di aisymnetai con funzioni magistratuali in altre
poleis445 consente di ipotizzare una loro presenza anche nella città eolica. Così
hanno fatto Jeffery446 ed Engelmann447, che hanno inteso l’aisymnetes-archon del
fr. 4b della Kymaion Politeia come il supremo magistrato della polis oligarchica in
età arcaica.
FARAGUNA 2005, p. 323.
A Mileto (I. v. Milet I. 3, nr. 122) sono attestati almeno a partire dal 524/3 aisymnetai con
funzione eponimica e di presidenza della confraternita dei Molpoi, i sacri cantori di Apollo;
esimneti con funzioni eponimiche sono nuovamente attestati anche a Nasso intorno al 300 a.C.
(IG XII 7, 67, B, ll. 36-7) e probabilmente ad Eretria (IG XII 9, 223, l. 5) all’incirca nello stesso
periodo; gli aisymnetai sono magistrati tipici di Megara (cfr. GILBERT 1885, pp. 316-7, nota 1 e
HANELL 1934, pp. 147-150), dove svolgono funzioni analoghe ai pritani ateniesi, e delle sue
colonie (per Selinunte: I. v. Olympia 22, fr. h, l. 6, fr. b, l. 5); attestati per l’epoca ellenistica con
funzioni analoghe ai pritani ateniesi anche a Calcedone (I. v. Kalchedon 6, l. 1; 7, l. 6; cfr. anche
10, ll. 10 e 12; 11, l. 3; 12, l. 13, in cui ricorre il verbo proaisimnavw), forse a Selimbria (SGDI
3068, ll. 4 e 7) e indirettamente, attraverso la menzione del proaisimnw`n, a Kallatis (AVRAM
1994, pp. 167-177) e a Chersoneso Taurica (SIG3 709, l. 57). Per un’analisi dettagliata di una
parte della documentazione epigrafica, cfr. FARAGUNA 2005.
446
JEFFERY 1976, p. 238.
447
ENGELMANN 1976, p. 161.
444
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CONCORDANZE
Samion Politeia
1
2a
2b
2c1
2c2
3
4a
4b
5
6a
6b
7
8
9
10
FHG
175
176
—
—
—
—
179A
179B
178
—
—
181
183
—
177
Rose 1863
183
184
184
184
184
185
188
188
187
—
—
190
189
189
186
Rose
570A
571A
571D
571C
571B
—
576A
576B
573A
574B
574C
575
577
578
572
Gigon
588,1
589,1
589,3
589,4
589,2
—
593,1
593,2
591,1
591,2
591,3
592
594
595
590
Kolophonion Politeia
1a
1b
2?
FHG
197A
197B
234 (Sirit. Pol.)
Rose 1863
130
130
195 (Sybarit. Pol.)
Rose
515A
515B
584 (Sybarit. Pol.)
Gigon
520,1
520,2
601 (Sybarit. Pol.)
Kymaion Politeia
1a
1b
1c
2?
3?
4a
4b
FHG
— (cfr. 193)
— (cfr. 193)
— (cfr. 193)
—
—
192B
192A
Rose 1863
—
140
140
—
—
139
139
Rose
—
cfr. 525A
525B
525b
525b
524A
524B
Gigon
—
531,1
531,2
—
—
530,1
530,2
242
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tesi A. Pezzullo