ENZIMI E DETERMINAZIONE DELL’ATTIVITÀ ENZIMATICA OBIETTIVI: Conoscere gli enzimi ed isoenzimi più importanti da un punto di vista clinicodiagnostico Conoscerne la distribuzione nelle cellule e nei tessuti Conoscerne le modificazioni indotte dalle patologie USO DIAGNOSTICO INDICATORI DI FUNZIONALITÀ O DI LESIONE di cellule o tessuti MARCATORI DI SPECIFICI DEFICIT ENZIMATICI nelle malattie genetico-metaboliche ENZIMI FUNZIONE: regolano, mantenendo così l’omeostasi cellulare, tutte le reazioni delle vie metaboliche cellulari, dipendendo, nella loro attività, oltre che dalla concentrazione di substrato, anche da quella di altri metaboliti (precursori o prodotti), più o meno lontani dalla via metabolica stessa SIGNIFICATO CLINICO DELL’ATTIVITA’ DEGLI ENZIMI PRESENTI NEL SIERO L’uso diagnostico degli enzimi ha due contesti principali: quello di indicatori di funzionalità o di lesione di cellule o tessuti e quello di marcatori di specifici deficit enzimatici nelle malattie genetiche e genetico-metaboliche. La gran massa delle richieste di dosaggi enzimatici ha la prima motivazione. I dosaggi enzimatici comunemente usati a scopo diagnostico sono numericamente limitati : solo una decina sono di impiego routinario e questi oggi costituiscono circa il 30% del carico di lavoro di un comune laboratorio di chimica clinica. Ricerca su: Siero Saliva Urina Emolisati Succhi gastrici Cellule/tessuti Feci altri materiali Gli enzimi misurati nel siero possono trovarsi in esso: per esserne la sede naturale (come accade per gli enzimi della coagulazione, ossia la protrombina, il fattore IX, il fattore VII ecc.); per esserne riversati da liquidi organici (enzimi pancreatici); in presenza di un processo patologico, la quantità immessa in circolo sarà sempre maggiore (es: amilasi e lipasi in malattie pancreatiche); pur essendo localizzati all’interno di cellule e tessuti specifici, e quindi presenti in circolo in conc. molto bassa, in condizioni patologiche (danno d’organo), si ha una fuoriuscita e un versamento negli spazi interstiziali e, quindi, nel torrente circolatorio; nel siero, tali enzimi mostreranno una variazione di attività enzimatica rispetto a quella avuta nella sede naturale (e saranno gradualmente eliminati dalle vie di escrezione): LE VARIAZIONI DELL’ATTIVITA’ ENZIMATICA NEL SIERO DI ENZIMI DI ORIGINE CELLULARE SONO IL FONDAMENTO DELLA DIAGNOSTICA ENZIMATICA Aumenti o diminuzioni delle attività enzimatiche sieriche sono sempre direttamente correlati con alterazioni della funzione cellulare Chiave per l’interpretazione dei referti di enzimologia clinica è ASSOCIARE PARTICOLARI ENZIMI AGLI ORGANI CHE SPECIALIZZATE, RICCHE DI QUEGLI STESSI ENZIMI: amilasi → pancreas ALT (GPT) → fegato CONTENGONO CELLULE Determinazione attività enzimatica L’utilizzazione clinica dei dosaggi enzimatici si basa quindi: sulle differenze nella concentrazione di enzimi che si osservano nei vari tessuti; sulla localizzazione INTRACELLULARE degli stessi; sulla presenza di ISOENZIMI o ISOFORME SPECIFICI per determinati tessuti o cellule La misura degli enzimi nella gran maggioranza dei casi non avviene in termini di MASSA, ma in termini di ATTIVITÀ. Si misura, in altri termini, la quantità di substrato che l’enzima, contenuto nel campione da analizzare, trasforma nel prodotto per unità di tempo Limitazioni: La misura di attività si correla alla sola quantità di enzima attivo presente nel campione esaminato La misura della frazione attiva non tiene conto di situazioni ambientali in condizioni di modificare l’attività relativa dell’enzima In rari casi, la sequenza di reazioni usate per valutare l’attività enzimatica possono interferire altri enzimi presenti in concentrazioni alterate nel campione esaminato L’attività degli enzimi dipende dal cosiddetto sito attivo, ovvero da quella parte della proteina che con la sua composizione aminoacidica e la sua conformazione sterica determina la specificità per il substrato Alcuni enzimi sono solo oloproteine (solo aa), altri contengono, oltre alla parte proteica (apoenzima), anche sostanze non proteiche dette COFATTORI, in mancanza dei quali non avviene la reazione catalitica. Essi possono essere: COENZIMI: elementi che partecipano alla reazione catalitica, ma senza essere parte integrante dell’enzima (NADH/NAD+, NADPH/NAPD+, ATP/ADP) GRUPPI PROSTETICI: elementi integrati stabilmente nell’enzima e la cui rimozione ne determinerebbe l’inattivazione (FAD/FMN, eme) COFATTORI METALLICI: molti enzimi necessitano della presenza di ioni metallici per esplicare la propria attività ( Na+, K+, Ca2+, Mg2+, Zn2+) Tutte le reazioni (bio)chimiche procedono ad una velocità definita, caratteristica dell’enzima a parità di condizioni sperimentali La velocità di reazione può essere: Indipendente dalla concentr. del substrato: Reazione di ORDINE ZERO Funzione diretta della concentr. del substrato: Reazione di PRIMO ORDINE Funzione delle concentr. di più substrati: Reazione del SECONDO ORDINE La cinetica delle reazioni enzimatiche è descritta dall’EQUAZIONE DI MICHAELISMENTEN, che consente di definire, in enzimologia clinica, l’ambito di concentrazione del substrato che risulta più opportuno per effettuare le misure di determinazione dell’attività enzimatica: v Vmax S Km S Equazione di Michaelis-Menten Equazione di velocità della catalisi enzimatica, dipendente da VMAX, da Km (due costanti) e dalla [S] in quell’istante Oltre alla integrità della molecola enzimatica, influenzano l’attività dell’enzima anche le condizioni in cui avviene la reazione: Concentrazioni reagenti: Temperatura: concentrazione ottimale del substrato generalmente ci sono due valori soglia al di sotto o al di sopra dei quali l’enzima non è attivo in maniera apprezzabile. Con l’aumento della temperatura aumenta l’attività dell’enzima fino al raggiungimento di un picco; al di sopra di questa temperatura l’attività comincia di nuovo a decrescere (denaturazione enzimatica) pH: non sempre il pH ottimale di attività coincide con quello a cui funziona in vivo; il pH del mezzo di reazione riveste una notevole importanza fisiologica e fisiopatologica, in quanto piccole variazioni di pH sono in condizione di modulare l’attività dell’enzima in vivo in maniera notevole Presenza inibitori o catalizzatori Condizioni ideali per la misurazione dell’attività enzimatica: Eccesso di substrato Correlazione tra [P] e quantità di enzima presente secondo una cinetica di ORDINE ZERO L’attività catalitica di un enzima viene determinata misurando, in condizioni predefinite, la velocità di scomparsa del substrato o la velocità di formazione del prodotto, e viene espressa in termini di unità di attività; Unità Internazionale (UI): è la quantità di enzima che catalizza la trasformazione di una micromole di substrato al minuto, in condizioni definite di temperatura, concentrazione di substrato, pH: 1 UI 1 μmole subs t. trasf conc min min Nel SI l’unità di attività enzimatica è il katal (kat), che corrisponde all’attività di un enzima che, in condizioni standard, catalizza la trasformazione di una mole di substrato al secondo ( 1kat = 6· 107 UI); La concentrazione di un enzima in soluzione deve essere comunemente espressa in unità per millilitro (UI/ml). Per le misure di attività enzimatica devono, dunque, essere standardizzate le seguenti condizioni: Concentrazioni ottimali di substrato e di eventuali cofattori necessari alla reazione; Condizioni ottimali e controllate di temperature e pH; Sensibilità e specificità del metodo di rivelazione del prodotto o del substrato risultante dalla reazione; Condizioni sperimentali per cui la velocità di reazione sia funzione della sola concentrazione dell’enzima. Misura dell’attività enzimatica: Metodi di misura in continuo: monitoraggio continuo del procedere della reazione per un periodo di tempo predefinito, senza bloccare la reazione; Metodi a tempo fisso: (end point o fixed time) determinazione iniziale e finale, dopo che la reazione è stata bloccata I metodi più diffusi in chimica clinica sono quelli di determinazione del prodotto di trasformazione del substrato, ad opera dell’enzima, mediante procedimenti colorimetrici o spettrofotometrici: Si segue nel tempo la variazione di un parametro fisico o chimico-fisico caratteristico del prodotto, o del substrato, della reazione: assorbanza, torbidità, diffrazione (nefelometria), fluorescenza, pH, potenziale elettrico, tensione parziale dei gas, ecc. TEST OTTICO SEMPLICE deidrogenasi A NADH H B NAD Un esempio è la reazione: Piruvato NADH H LDH Lattato NAD Assorbanza Molare x 10-3 Lunghezza d’onda (nm) TEST OTTICO ACCOPPIATO Se nessuno dei reagenti/prodotti dà un assorbimento ottico, si accoppia alla reazione “primaria” una seconda reazione “indicatrice”, che utilizza uno dei prodotti della reazione precedente: A B enzima C D C(oD) NADH H deidrogena si E NAD Un esempio sono le reazioni: Chetoglutarato alanina ALT Glutammato Piruvato Piruvato NADH LDH Lattato NAD Creat inf osfato ADP CPK Creatina ATP ATP Glu cos io esochinasi Glu cos io 6 fosfato ADP 6 PDH Glu cos io 6 fosfato NADP G 6fosfogluconato NADPH H A ε cd A ΔA c Δc ε d ε d 1UI 1 UI 1000mUI riferite ad 1 ml di liquido biologico ΔA ε d min Attività enzimatica (in mUI/ml) ΔA V 1000 min ε v d ΔA = variazione di assorbanza (es. del NADH a 340 nm) 1000 = fattore di conversione alle mUI V = volume totale della miscela di reazione (in ml) ε = coeff. estinzione molare (a 340 nm di NADH = 6,22 cm2/μmol) v = volume campione (in ml) d = cammino ottico della cella (in cm; generalmente 1 cm) ISOENZIMI Proteine, codificate da geni differenti, capaci di catalizzare una specifica reazione, ma che presentano diverse strutture e quindi diverse proprietà molecolari (carica, solubilità, resistenza ad agenti chimico-fisici, ecc) e talora anche diverse proprietà funzionali, in merito a optimum di pH, affinità per il substrato, ecc, adeguandosi alle particolarità metaboliche dei singoli tessuti. Nel SIERO, dove agiscono enzimi provenienti da localizzazioni tissutali e cellulari differenti, alcune attività enzimatiche sono svolte da più isoenzimi: ciò è molto importante in chimica clinica!!!! IMPORTANZA DI ATTRIBUIRE UN DETERMINATO SOSPETTO DIAGNOSTICO AD UN DETERMINATO ISOENZIMA, DI CUI E’ PIU’ UTILE CALCOLARE LA SPECIFICA ATTIVITA’ ENZIMATICA, PIUTTOSTO CHE QUELLA TOTALE, DATA DALLA SOMMA DI TUTTI GLI ISOENZIMI ISOFORME ISOENZIMI Metodi di studio degli isoenzimi Metodi generali Metodi specifici • Metodi generali: • Metodi specifici: Metodi elettroforetici Inibizione chimica Metodi cromatografici Inibizione fisica Metodi IEF Inibizione immunologica Metodi immunochimici NOMENCLATURA: fare riferimento alla migrazione elettroforetica: ordine crescente dei numeri a partire dalla frazione dotata di maggiore velocità anodica CLASSIFICAZIONE DEGLI ENZIMI La Commissione per gli Enzimi (EC) dell’Unione Internazionale di Biochimica ha stabilito la suddivisione degli enzimi, che si basa sulle caratteristiche di specificità per un substrato e di reazione catalizzata: Ossidoreduttasi (deidrogenasi) (LDH, G6PDH) Trasferasi (AST/ALT, GGT, CK, PK) Idrolasi (ALP/ACP, amilasi, colinesterasi, lipasi) Liasi (aldolasi) Isomerasi (fosfoglicomutasi, fosfoesosoisomerasi) Ligasi (non molte quelle di interesse clinico) LATTICO DEIDROGENASI (LDH) Enzima capace di catalizzare la seguente reazione: L’enzima, citoplasmatico, ha un PM di 134 kDa ed è ha una struttura tetramerica costituita da quattro catene peptidiche di due tipi, H (heart) e M (muscle). I due peptidi sono sotto controllo genetico di due diversi loci, situati rispettivamente nel cromosomi 12 e 11. Di conseguenza sono presenti nel sangue e nei tessuti 5 diversi isoenzimi della LD: - LDH1 (H4) - LDH2 (H3M) - LDH3 (H2M2) - LDH4 (HM3) - LDH5 (M4) Tali isoenzimi hanno origini tissutali differenti: ogni forma ha un organo di origine: Per distinguerli, la tecnica più utilizzata è l’elettroforesi: A: soggetto affetto da epatopatia B: presenza di infarto del miocardio C: soggetto normale Infarto miocadico acuto 1,2,3,4,5, = ISOENZIMI LDH Attività elevata in ogni patologia che comporta danno o morte cellulare LD1 e LD2: valori elevati associati all’infarto del miocardio (in condizioni di normalità LD2 > LD1; nell’infarto LD1 > LD2); LD5: rilasciata in circolo in numerose epatopatie : epatiti, cirrosi, congestione epatica, ecc; LD2, LD3, LD4: livelli elevati in caso di formazioni neoplastiche voluminose e metastatiche (dovute all’aumento di metabolismo delle cellule tumorali ed al loro rapido turnover); Valori di riferimento: LDH totale sierica 313-618 UI/L N.B. ARTEFATTO DOVUTO AD EMOLISI: negli ERITROCITI la sua concentrazione è 200 volte quella sierica. GLUCOSIO-6-FOSFATO DEIDROGENASI (G6PDH) E’ l'enzima che catalizza la prima reazione della via dei pentoso fosfati: D-glucosio 6-fosfato + NADP+ ⇄ D-glucono-1,5-lattone 6-fosfato + NADPH + H+ Glucosio + 2 NAD+ + 2 ADP + 2 Pi → 2 NADH + 2 piruvato + 2 ATP + 2 H2O + 2 H+ NADPH: riducente fondamentale in processi anabolici quali la biosintesi degli acidi grassi e del colesterolo, ma anche come cofattore di enzimi (GP e GR) che catalizzano la detossificazione di specie reattive dell’ossigeno (ROS, come H2O2). E’ un dimero costituito da circa 300 aa - peso molecolare di 59 kDa E’ presente in alta concentrazione in: eritrociti, surrene, mammella E’ presente in bassa concentrazione nel cuore e muscoli Si conoscono più di 50 varianti strutturali dell’enzima, oltre alle forme più comuni, chiamate tipo A e tipo B Il tipo A è più frequente negli individui di razza nera, il tipo B nei bianchi Valori di riferimento: 9-14 UI/L La carenza di G6PDH è il più comune deficit enzimatico umano Sono note diverse centinaia di mutazioni del gene della G6PDH, che possono determinare o una minore sintesi della proteina o, più frequentemente, la sintesi di un enzima instabile o meno affine per il suo substrato La deficienza di G6PDH (e quindi di NADPH) e di glutatione ridotto comporta una diminuita resistenza eritrocitaria agli stress ossidativi, sia a livello di membrana plasmatica che di proteine interne. Nel globulo rosso, il NADPH serve per mantenere ridotta l’emoglobina. In caso di stress ossidativo, l’emoglobina non riesce a mantenere il ferro come ione Fe3+, che quindi viene ossidato a Fe2+ e l’Hb non riesce più a legare ossigeno e va incontro all’attacco dei ROS: EMOLISI PREMATURA CAUSATA DA DANNI OSSIDATIVI. Inoltre, in mancanza della G6PDH (grave stress ossidativo), l’emoglobina tende a denaturarsi e a precipitare sulla membrana eritrocitaria, formando conglomerati riconoscibili al microscopio come corpi di Heinz. La carenza genetica di G6PD è nota come FAVISMO, in cui si ha l'impossibilità di riportare ogni volta la glutatione-perossidasi (GP) in forma ridotta (GR), cosicché diventa difficile la detossificazione da specie reattive dell’ossigeno, da altri radicali derivanti da farmaci usati nelle infezioni (alti livelli di ROS, come antimalarici o sulfamidici) o anche da un agente tossico contenuto nelle fave (da cui il nome), la divicina: EMOLISI. I globuli rossi demoliti sono quelli più vecchi, essendo i meno resistenti. E’ una malattia ereditaria, legata al cromosoma X in cui risiede il gene della G6PD, caratterizzata da anemia emolitica, determinata dai corpi di Heinz che, aderendo alle membrane dei globuli rossi, li rendono poco stabili. La crisi emolitica può durare 2-3 giorni sino ad una settimana con puntate febbrili e distruzione di globuli rossi fino al 30-50%. Negli individui fabici è, quindi, opportuno astenersi dal consumo di fave e piselli, contenenti la divicina e la convicina (sostanze ossidanti). DOSAGGIO G6PD: ll dosaggio dell’enzima viene eseguito dopo isolamento, lavaggio e lisi delle emazie; Prima del dosaggio è necessario eliminare leucociti e piastrine perché contengono elevate quantità di G6PDH; La raccolta del campione di sangue deve essere fatta su EDTA e la determinazione eseguita in tempi brevi perché l’enzima perde la sua attività nel giro di poche ore (20-30% in 6 ore). AMINOTRASFERASI (TRANSAMINASI) Enzimi che catalizzano reazioni di transaminazione: La determinazione delle aminotrasferasi nel siero del sangue riveste notevole interesse come test diagnostico di particolari affezioni, quali l’infarto del miocardio o epatiti di varia natura. Le due aminotrasferasi che vengono determinate comunemente sono: • ASPARTATO AMINOTRASFERASI, AST (o glutamico ossalacetico transaminasi, GOT) • ALANINA AMINOTRASFERASI, ALT (o glutamico piruvico transaminasi, GPT) ASPARTATO AMINOTRASFERASI, AST (o GOT) Enzima legato ai mitocondri e presente, quindi, all’interno delle cellule; la membrana cellulare è impermeabile al suo passaggio; ha un’alta concentrazione nel fegato, nel cuore, negli eritrociti e nel muscolo scheletrico; richiede come coenzima il piridossal-fosfato (vitamina B6), quindi aggiunta durante il dosaggio dell’attività; elevati livelli di AST sono indice significativo di danno epatico (attività di migliaia di UI/l); AST può essere rilasciata in caso di tessuto muscolare danneggiato da infezioni, processi infiammatori, convulsioni, traumi da schiacciamento, folgorazioni. Valori normali AST: 10-30 UI/L Il dosaggio viene eseguito tramite reazioni accoppiate (e, quindi, l’attività rilevata con il test ottico accoppiato): ac. aspartico ac. - chetoglutarico GOT ac. ossalacetico ac. glutammico acido ossalacetico NADH malico deidrogena si acido malico NAD La reazione viene seguita nel tempo determinando allo spettrofotometro l’ossidazione (e quindi la scomparsa) di NADH a 340 nm; N.B. Attenzione agli artefatti nel campione emolizzato (campioni da mantenere in frigo o congelati se il dosaggio non è effettuato subito dopo il prelievo) ALANINA AMINOTRASFERASI, ALT (o GPT) Enzima libero nel citoplasma, con una quota minore legata ai mitocondri; anch’esso è, quindi, presente all’interno delle cellule e la membrana cellulare è impermeabile al suo passaggio; ha un’alta concentrazione nel fegato; c’è concentrazione minore nel muscolo scheletrico, nel cuore e nel rene; richiede come coenzima il piridossal-fosfato (vitamina B6), quindi aggiunta durante il dosaggio dell’attività; elevati livelli di ALT sono indice significativo di danno epatico (attività di migliaia di UI/l); scarsa rilevanza per la diagnosi di altre patologie, data la minima quantità presente in altri tessuti. Valori normali ALT: 8-20 UI/L Il dosaggio viene eseguito tramite reazioni accoppiate (e, quindi, l’attività rilevata con il test ottico accoppiato): alanina acido - chetoglutarico GPT acido piruv ico acido glutammico acido piruv ico NADH lattato deidrogena si acido lattico NAD La reazione viene seguita nel tempo determinando allo spettrofotometro l’ossidazione (e quindi la scomparsa) di NADH a 340 nm; N.B. Attenzione agli artefatti nel campione emolizzato (campioni da mantenere in frigo o congelati se il dosaggio non è effettuato subito dopo il prelievo) γ-GLUTAMIL-TRANSPEPTIDASI (γ-GT o GGT) Enzima che catalizza il trasferimento di gruppi γ-glutammilici tra peptidi o singoli aminoacidi; il legame tra tali composti e l’acido glutammico avviene tramite il carbossile in gamma: γ è una glicoproteina di membrana plasmatica, coinvolta anche nel metabolismo del glutatione intracellulare, nel trasferimento degli amminoacidi attraverso la membrana plasmatica, nel metabolismo dei leucotrieni; grandi quantità di enzima sono presenti nell’epitelio tubulare renale e nel fegato (anche pancreas ed intestino) L’aumento di enzima si verifica fortemente negli alcolisti, poiché l’alcool etilico induce una sua elevata produzione nel fegato; livelli di GGT tornano normali dopo 2-3 settimane di astensione dal consumo di etanolo; la GGT sierica è un utile indicatore in diverse epatopatie: ittero da ostruzione delle vie biliari, metastasi epatiche, patologie associate a colestasi intraepatica; aumenti di GGT sierica sono causati da agenti chimici epatotossici o da farmaci (chemioterapici, antiepilettici); sebbene la GGT renale non sia mai presente nel siero, determinazioni di GGT urinaria possono servire a valutare danni ai tubuli renali dovuti a sostanze nefrotossiche. Il dosaggio viene eseguito tramite metodo colorimetrico: la GGT catalizza la transpeptidazione del gruppo γ-glutammile dalla γ-glutammil-3-carbossi-4-nitroanilide alla glicil-glicina, con formazione di L-glutammil-glicil-glicina e liberazione di 5-ammino2-nitrobenzoato, di colore giallo, che viene misurato a 405 nm: + glicil-glicina γ-glutammil-3-carbossi-4-nitroanilide + L—glutammil-glicil-glicina 5-ammino-2-nitrobenzoato CREATINFOSFOCHINASI (CK o CPK) Enzima che catalizza la fosforilazione reversibile della creatina a fosfocreatina, consumando ATP e liberando energia chimica (la reazione inversa libera, invece, ATP e creatina dalla fosfocreatina): E’ un dimero citosolico costituito da 2 monomeri (M, muscle e B,brain, i cui geni sono collocati su 2 cromosomi differenti), diversamente combinati a formare 3 isoenzimi: • CK1 (BB: cervello, mai nel sangue) • CK2 (MB: cuore (20%), siero in caso di infarto) • CK3 (MM: muscolo scheletrico(90%), cuore(80%) e siero) Esistenza di sottotipi delle forme isoenzimatiche: 3 sottotipi per MM e 2 per MB: dalla loro analisi, si valuta da quanto tempo è avvenuto il danno tissutale. In assenza di malattie, l’attività di CK nel siero è principalmente dovuta all’isoforma di CK-MM INDICE RELATIVO DI CK: rapporto tra CK-MB (in ng/ml) ed attività totale di CK totale (in U/ml); valori oltre la soglia infarto. PRINCIPALE IMPIEGO CLINICO: diagnostica infarto miocardico acuto (entro 6 ore compare nel siero e viene eliminata in 24-36 ore): CK rilasciata in circolo dopo danno muscolare di diversa origine (ischemica, traumatica, infiammatoria); Aumento di CK in seguito a danno cerebrale, folgorazione, traumi schiacciamento, convulsioni, tetania, incisioni chirurgiche, ipertermia, ipotermia; Soggetti sedentari: 30-50 U/ml ; soggetti atletici: 500-1000 U/ml Ampio intervallo: problema diagnostico da Campione: Non emolitico, itterico o lipemico; se non usato immediatamente per l’analisi, deve essere congelato; diversi farmaci possono provocare aumenti sensibili della CK totale: acido aminocaproico, danazolo, etere anfotericina dietilico, B, carbenoxolone, dietilstilbestrolo, clofibrato, alotano, ciclopropano, labetalolo, lidocaina, penicilllamina, pindololo, stanozololo, chinicina e succinolcolina; un aumento consistente della CK totale si osserva con l’assunzione di droghe d’abuso, quali anfetaminici, barbiturici, etanolo, eroina, fenciclidina. Metodo di dosaggio di CK: • Test ottico accoppiato: CK fosfocreatina ADP creatina ATP HK glucosio ATP glucosio - 6 - P ADP 6 PDH glucosio - 6 - P NADP G 6 - P - gluconato NADPH • Immunoinibizione: Un siero contro il monomero M inibisce l’attività di CK-MM, ma non quella di CK-BB; la CK-MB riduce la sua attività del 50%; la presenza di CK-BB, di adenilciclasi o di forme atipiche di CK (macro-CK) portava a valori di CK-MB sovrastimati: CK-MM + Anticorpo ————> CK-MM inibito CK-MB + Anticorpo ————> 50% CK-MB inibito Attualmente, viene determinata la CK-MB intesa come proteina, cioè la CK-MB “massa”, che ben correla con i livelli di attività di CK-MB, ma senza interferenze da parte delle tre sostanze citate prima. I metodi di dosaggio sono immunoenzimatici a due siti (metodo ELISA “sandwich”). Si usa un anticorpo monoclonale, immobilizzato su piastra, diretto contro un epitopo di CK-MB, che viene quindi ancorato; un anticorpo secondario, legato a HRP, è quindi aggiunto ed incubato per 1 ora; lavato via l’anticorpo non legato, viene infine aggiunta una soluzione di TMB, consentendo lo sviluppo di colore blu, la cui intensità è proporzionale alla concentrazione di CK-MB (450nm) PIRUVATO CHINASI (PK) Appartenente alla classe delle transferasi, è un enzima della glicolisi che catalizza la reazione che forma una molecola di ATP, che interviene nel metabolismo anaerobico del glucosio: PK Fosfoenolpiruvato ADP piruvato ATP La carenza di questo enzima impoverisce il bagaglio energetico del globulo rosso: la mancanza di ATP, dovuta alla deficienza di PK, è causa, infatti, di sofferenza per il globulo rosso in quanto si verifica un’alterazione del trasporto di Na+ e K+ attraverso la membrana cellulare; la determinazione dell’attività enzimatica di PK è essenziale, quindi, per il riconoscimento di una particolare forma di anemia emolitica non sferocitica; Valori normali PK eritrocitaria: 2-9 U/g di Hb. L'anemia emolitica da deficit di piruvato chinasi (PK) eritrocitaria è una malattia metabolica caratterizzata da anemia emolitica non sferocitica di entità variabile. Il deficit di PK è la causa più frequente di anemia emolitica non sferocitica congenita. La prevalenza è stimata in 1/20.000 nella popolazione generale bianca; gli eterozigoti hanno una carenza di questo enzima intorno al 50% e non avvertono alcuna sintomatologia; gli omozigoti hanno una carenza molto alta con una rimanenza di solo il 10-30% di attività. In alcuni casi la carenza di questo enzima può essere acquisita. La piruvico chinasi aumenta nella distrofia muscolare e in particolare in quella di Duchenne. Metodo di dosaggio : Alla reazione catalizzata dalla PK si accoppia una reazione ausiliaria, quella catalizzata dalla LDH: PK Fosfoenolpiruv ato ADP piruv ato ATP Piruv ato NADH H LDH Lattato NAD La scomparsa della fluorescenza alla luce UV indica che il NADH è stato ossidato e che nell’emolisato è presente PK; L’assorbanza dell’emolisato e di tutti i reagenti ad esso aggiunti viene misurata prima e dopo l’aggiunta dell’ADP (334 nm o 340 nm). La sua diminuzione rappresenta l’attività enzimatica della PK FOSFATASI Enzimi appartenenti alla famiglia delle IDROLASI, che catalizzano la defosforilazione dei loro substrati. A seconda del pH in cui possiedono attività ottimale, si distinguono due tipi di fosfatasi: la fosfatasi acida (ACP) e la fosfatasi alcalina (ALP). Fosfatasi acida Attività ottimale a pH compreso tra 4,8 e 6; localizzata principalmente nei lisosomi; è largamente diffusa nell’organismo, in particolare la ritroviamo nella prostata (PAP), negli eritrociti, nelle ossa (tutte forme codificate da geni posti su cromosomi differenti); il suo aumento a livello sierico può essere indicativo di tumore maligno alla prostata o di tumore osseo (o essere un falso positivo se c’è stata lisi eritrocitaria); I vari isoenzimi (20)di fosfatasi acida, che si riscontrano a livello sierico e che hanno una diversa origine, si distinguono : in base alla loro diversa sensibilità ai vari inibitori: • Acido tartarico: inibisce l’enzima di origine prostatica (sottoporre il campione a trattamento in assenza ed in presenza di L-tartrato e misurare la differenza di attività tra i due campioni) • Formaldeide: inibisce l’enzima di origine eritrocitaria usando metodi radioimmunologici (RIA) metodi cromogenici per la fosfatasi acida totale: p - nitrofenilfosfato H2O OH- ACP p nitrofenolo HPO 4 (incolore) 2- (giallo) Valori normali sono considerati fino a 10 UI/L per gli uomini (la PAP deve essere <4,2 UI/L) e fino a 3 UI/L per le donne. Metodi di Dosaggio: In clinica si usa determinare comunemente la forma prostatica della ACP (PAP), per la diagnosi di tumori e metastasi. Un metodo di determinazione della fosfatasi acida prostatica consiste, come visto, nel sottoporre il campione a trattamento in assenza ed in presenza di acido tartarico e nel misurare la differenza di attività tra i due campioni. Metodo della timolftaleina: la ACP, in ambiente acido (pH 6), idrolizza la timolftaleina monofosfato liberando timolftaleina. Blocco della reazione aggiungendo una soluzione alcalina e contemporanea comparsa di una colorazione blu che viene determinata fotometricamente. Campione: • Non emolitico; • non è stabile nel siero e la sua determinazione va eseguita rapidamente; • il campione si stabilizza acidificandolo con acido citrico. Fosfatasi alcalina La fosfatasi alcalina ha un pH ottimale compreso tra 8.5 e 10; principalmente legata alla membrana plasmatica; 4 geni diversi codificano per la ALP; è largamente diffusa nei vari tessuti: osteoblasti dello scheletro, fegato, mucosa gastrointestinale, milza, rene, leucociti, pancreas, placenta; la ALP che viene misurata nel siero è l’insieme di diversi isoenzimi: l’isoenzima epatico, osseo, intestinale, placentare; possibilità di discriminare 16 isoenzimi della ALP con IEF; in clinica, l’aspetto più importante è discriminare la ALP epatica da quella ossea (usando contemporaneamente altri parametri epatici come bilirubina o γ-GT); il valore della fosfatasi alcalina nel siero varia sensibilmente in rapporto all’età e nei maschi il valore della ALP è più alto rispetto a quello delle femmine. Patologie a livello del fegato: L’ALP ha valori elevatissimi nelle affezioni epatiche (ittero ostruttivo e tumori epatici): la via di eliminazione normale è rappresentata dalla bile, per cui l’ostruzione delle vie biliari porta ad un reflusso dell’enzima nell’interstizio e al suo conseguente assorbimento in circolo. Patologie a livello del tessuto osseo: Sempre si hanno elevati livelli di ALP durante elevata attività osteoblastica (fisiologica- mente alta in bambini in crescita e negli adulti durante la guarigione da fratture); nel morbo di Paget, metastasi ossee di carcinomi, mielomi, osteopatie metaboliche (rachitismo, iperparatiroidismo, osteomalacia). Placenta: Nel corso di una gravidanza è normale un aumento di attività dell’ isoenzima placentare; il gene corrispondente può essere riattivato nell’adulto ed espresso in cellule tumorali (isoenzima di Regan). Intestino: Livelli elevati di ALP sono presenti in caso di colite ulcerosa ed enterite regionale (ileite terminale o malattia di Crohn). Diminuzioni dell’ALP nel siero possono essere dovute a: IPOFOSFATASIA: malattia ereditaria con mancata produzione di fosfatasi alcalina e mancata calcificazione ossea. ARRESTO DELLA CRESCITA OSSEA: acondroplasia, cretinismo, deficienza della vitamina C. DIMINUZIONE DI ZINCO E MAGNESIO: la fosfatasi alcalina ha bisogno di questi elementi per funzionare (ipotiroidismo, cachessia, ecc). BYPASS CARDIOPOLMONARE ANEMIA PERNICIOSA IPOTIROIDISMO Metodi di Dosaggio: I metodi di determinazione della ALP sono numerosissimi. Un esempio è: Metodo di Bessey, Lowry e Brock: consiste nell’idrolisi da parte della ALP del paranitrofenilfosfato (incolore) a dare paranitrofenolo (giallo, misurato a 405-410 nm) e fosfato. Fosfatasi Alcaline Termostabili: Il metodo più comune per distinguere i vari isoenzimi è il frazionamento al calore: si misura l’attività enzimatica dopo che il campione è stato riscaldato a 56° per 15 minuti. Il valore ottenuto è confrontato con quello osservato senza preriscaldamento: Termosensibilità: ALP ossea > ALP epatica > ALP placentare AMILASI (AMS) Enzima appartenente alla classe delle idrolasi, catalizzando l’idrolisi di legami glicosidici nei polisaccaridi (amido, glicogeno), che si trasformano, quindi, in oligosaccaridi e monosaccaridi; E’ attivata dal Ca2+, dal Cl - e dal Br -; Gli anticoagulanti come l’EDTA inibiscono l’enzima perché legano il Ca2+ per cui, per determinare l’attività amilasica sul plasma, è necessario utilizzare l’eparina; L’enzima si trova prevalentemente nel pancreas e nelle ghiandole salivari; modeste quantità sono presenti nelle tube uterine, nel tessuto adiposo, nell’intestino tenue e nel muscolo scheletrico; Le amilasi pancreatica e salivare sono forme enzimatiche diverse, separabili tramite elettroforesi; Il siero normale contiene sia gli isoenzimi salivari (3 sottotipi) che pancreatici (3 sottotipi), e le forme prevalenti sono quelle salivari; L’attività dell’amilasi aumenta nel siero e nelle urine (entro 6-24 ore) in caso di pancreatite acuta, per tornare normali in 2-7 giorni nel siero e persistendo, invece, di più nelle urine; Altre cause di aumenti nel siero di amilasi possono essere un’infiammazione delle ghiandole salivari (parotite epidemica), un’elevata esposizione a radiazioni ionizzanti, ostruzione delle vie biliari, strozzamenti e necrosi di anse intestinali, alcuni tipi di tumore (ovarici sierosi e polmonari). Tra i vari metodi di determinazione, ricordiamo quello che ricorre all’utilizzo di reazioni enzimatiche accoppiate, in cui alla fine si determina la variazione di assorbanza del coenzima a 340 nm: -amilasi amido H2O maltosio maltasi maltosio H2O 2 glucosio esochinasi glucosio ATP glucoso - 6 - fosfato G6PDH glucoso - 6 - fosfato NADP 6 - fosfogluconato NADPH H Un altro metodo è quello di tipo cromogenico, in cui si fa avvenire l’idrolisi di substrati artificiali nei quali a molecole di amilosio o amilopectina sono state legate sostanze colorate; la liberazione di tali sostanze è monitorata colorimetricamente (in commercio kit specifici). COLINESTERASI (CHE) Le colinesterasi sono un gruppo di enzimi in grado di idrolizzare gli esteri della colina: ACETILCOLINA COLINA l’acetilcolina consente la trasmissione dell’impulso nervoso dal nervo alla fibra muscolare. L’acetilcolinesterasi distrugge l’acetilcolina: la sua attività è, quindi, importante per interrompere la trasmissione dell'impulso nervoso proveniente dai neuroni colinergici. La acetilcolinesterasi o acetilcolina idrolasi (ACHE, tipo I) ) è la colinesterasi tipica dei globuli rossi e delle terminazioni nervose (colinesterasi vera); l’acetilcolinesterasi idrolizza, in maniera specifica, l’acetilcolina ed è presente negli eritrociti, polmoni, milza, sinapsi e sostanza grigia; non viene dosata in laboratorio clinico: acetilcolina H2O ACHE ac. acetico colina La colinesterasi o acilcolina acilidrolasi (CHE) è la colinesterasi del siero (enzima circolante) (tipo II, pseudocolinesterasi); è contenuta nel siero ed origina negli epatociti. Idrolizza, in maniera meno specifica della acetilcolinesterasi, un vasto numero di esteri della colina. Il pool circolante è costituito da 13 isoenzimi, per la maggior parte epatici, di cui 2 acetilcolina-specifici e 11 non specifici. E’ un tipico esempio di enzima plasmaspecifico, prodotto dal fegato per essere immesso nel circolo, il cui livello diminuisce quando è danneggiata la capacità di sintesi epatica delle proteine: quindi, Il livello sierico della colinesterasi è considerato espressione di capacità protidopoietica del fegato. La differenza tra i suddetti enzimi sta nella preferenza di substrato; mentre l'acetilcolinesterasi è in grado di degradare l'acetilcolina più rapidamente, la pseudocolinesterasi è in grado di idrolizzare una gamma più ampia di esteri della colina: ad esempio, l'acetilcolinesterasi non idrolizza la succinilcolina, miorilassante somministrato dagli anestesisti per ottenere una rapida paralisi e facilitare le manovre di intubazione tracheale del paziente da operare, la pseudocolinesterasi la inattiva in pochi secondi. La acetilcolinesterasi delle emazie è inibita da un eccesso di acetilcolina (>0.01M), mentre la psudocolinesterasi è attiva sia ad alte che a basse concentrazioni di substrato; I composti organofosforici, come molti insetticidi, inibiscono entrambe; perciò, l’attività di CHE è gravemente compromessa nell’avvelenamento da insetticidi, e la misura della sua attività ne è un importante indicatore; la ACHE eritrocitaria diminuisce più lentamente poiché l’insetticida deve attraversare la membrana; Valori molto bassi di CHE si hanno in caso di gravi lesioni epatiche: cirrosi, tumori, epatiti acute necrotizzanti (perdita della capacità protidopoietica del fegato); tuttavia, tale dosaggio è di scarso aiuto poiché l’enzima si abbassa solo dopo la prima settimana di malattia, a diagnosi già posta. Assenza o mutazione della pseudocolinesterasi porta alla cosiddetta deficienza pseudocolinesterasica, una condizione silente che appare solo quando, nelle persone in omozigosi, sono somministrate, di solito durante interventi chirurgici, i miorilassanti come la succinilcolina vista prima. La mancata azione dell'enzima porta il paziente a paralisi prolungata dei muscoli dell'apparato respiratorio, rendendo necessaria la ventilazione artificiale. metabolizzare Gli eterozigoti sono, invece, capaci di la succinilcolina grazie all’attività colinesterasica dell’enzima codificato dall’allele normale; Tale variante enzimatica può essere riconosciuta in laboratorio osservando l’effetto inibitorio della dibucaina sulla reazione enzimatica (CHE normale inibita e CHE mutata resistente); la dibucaina è uno degli anestetici locali più efficaci e ad azione prolungata, anche se piuttosto tossico. Era usato nell’anestesia di superficie, di infiltrazione e spinale, attualmente sostituito da analoghi prodotti meno tossici come la Xilocaina, Mepivacaina, Bupivacaina, etc. Numero di dibucaina: per valutare il rischio operatorio, è essenziale determinare questo parametro che consente di evidenziare gli individui con un normale livello sierico di pseudocolinesterasi, ma portatori di varianti genetiche non inibite dalla dibucaina ed in grado di provocare depressione respiratoria. Il numero di dibucaina è la percentuale di attività CHE sierica inibita dalla dibucaina in condizioni standard; un numero di dibucaina elevato indica un’inibizione tipica dell’enzima normale; un numero basso è presente nei soggetti omozigoti per CHE mutata. In laboratorio si misura l’attività della colinesterasi in presenza ed assenza della dibucaina e si valuta la percentuale di inibizione: - 70/80% = soggetto omozigote normale - 30/70% = soggetto eterozigote - < 30% = soggetto omozigote atipico Un aumento dei livelli di colinesterasi si riscontra in gravidanza, nei casi di sindrome nefrosica, malattie cardiache congenite, morbo di Basedow, alcolismo, obesità pronunciata, iperlipoproteinemia di tipo IV e malattia di Gilbert. Metodi di dosaggio: Alcuni metodi prevedono la valutazione dell’incremento di acidità dovuto alla liberazione di ac. acetico in seguito all’idrolisi dell’acetilcolina; I metodi titrimetrici valutano la quantità di ac. acetico che si libera durante la reazione, titolando con una soluzione alcalina e l’impiego di un indicatore; I metodi colorimetrici consistono nella determinazione colorimetrica dell’ac. acetico prodotto durante la reazione o nella determinazione dell’acetilcolina indissociata che rimane nella miscela di reazione dopo un certo periodo di incubazione; Il metodo potenziometrico prevede la valutazione della diminuzione del pH di reazione in seguito alla produzione di ac. acetico. LISOZIMA (LYS) E’ un enzima a basso peso molecolare (14,4 kDa), capace di idrolizzare il legame β1,4-glucosidico dei mucopolisaccaridi costituenti la membrana delle cellule batteriche; ha, quindi, un compito difensivo (battericida); Nell’uomo questo enzima si ritrova in varie secrezioni: lacrime, saliva, urine, latte, ma anche nei granulociti, nei monociti e nel siero; In condizioni non patologiche, il lisozima viene filtrato a livello del glomerulo renale e riassorbito dal tubulo; in caso di affezioni renali (proteinurie tubulari), il lisozima viene riscontrato nelle urine; C’è aumento del lisozima nelle urine in caso di nefrosi e di sindrome di rigetto dopo trapianto renale; Il livello del lisozima nelle urine e nel siero aumenta anche in caso di malattie mieloproliferative, soprattutto nella leucemia monocitica e mielomonocitica (rilascio da parte di cellule leucemiche); i livelli di lisozima sono inferiori in caso di leucemie mieloidi croniche e linfoidi. Metodi di dosaggio: L’attività del lisozima nelle urine e nel siero può essere determinata con un metodo turbidimetrico, misurando la diminuzione della torbidità di una sospensione di Micrococcus lysodeikticus; In un altro metodo di determinazione, il Micrococcus lysodeikticus viene incorporato su agar, dove viene messo pure il campione da analizzare. Viene misurato l’alone di chiarificazione che eventualmente si forma intorno al pozzetto contenente urina/siero. ALDOLASI (ALS) E’ un enzima coinvolto nella glicolisi che trasforma il fruttosio-1,6-difosfato in diidrossiacetonefosfato e gliceraldeide-3-fosfato (4° step glicolisi)(da un esoso si producono 2 triosi); L’aldolasi è presente nel muscolo scheletrico, nel cervello, nel fegato e nel muscolo cardiaco. E’ composto da due subunità, che aggregandosi formano tre differenti isoenzimi: la forma molecolare A predomina nel muscolo scheletrico, la forma B nel fegato, la forma C è presente nel cervello ed in altri tessuti; Un suo aumento a livello serico è indicativa di miopatie: distrofia muscolare di Duchenne, dermatomiositi, polimiositi, ecc... Metodi di dosaggio: Il metodo di determinazione più utilizzato è quello spettrofotometrico, con la valutazione della diminuzione dell’assorbanza dovuta all’ossidazione del NADH misurata a 334 nm o 340 nm: Fruttosio- 1,6 - DP Aldolasi gliceraldeide - 3 - fosfato diidrossiacetone fosfato TPI GAP DAP 2 DAP 2 NADH 2 H GDH 2 glicerolo- 1- fosfato 2 NAD MARCATORI INFARTO MIOCARDIO L’infarto del miocardio è oggi una delle più frequenti cause di morte tra i soggetti di età media ed anziana. Esso è provocato dalla brusca riduzione dell’apporto di sangue attraverso le arterie coronarie, sangue dal quale il muscolo cardiaco deve trarre il nutrimento e soprattutto l’ossigeno di cui ha bisogno in modo più elevato di qualsiasi altro tessuto. La riduzione dell’afflusso di sangue arterioso causa una profonda sofferenza delle cellule miocardiche (ischemia). La fibrocellula miocardica è particolarmente ricca di alcuni enzimi (AST, LDH, CPK), e così il disfacimento necrotico di estese zone di miocardio ne riesce ad innalzare il livello sierico in misura significativa. DOLORE TORACICO Una delle sintomatologie più comuni per richiedere un consulto medico Valutazione delle caratteristiche del dolore toracico : • Indotto da uno sforzo fisico • Descritto come un senso di costrizione al petto • S’ irradia alle estremità • Non alleviato dal riposo o da farmaci vasodilatatori Soltanto una parte (circa il 25%) dei pazienti che presentano, quale sintomo principale, dolore al torace avranno una diagnosi di IM. ELETTROCARDIOGRAMMA NORMALE R T U P Q S CAMBIAMENTI DELL’ECG NELL’IM R Elevazione del tratto S-T T P Q S STORIA DEI MARKERS CARDIACI 1975: Galen descrisse l’uso degli isoenzimi CK, LDH, nella diagnosi dell’infarto del miocardio. 1980: Diventarono disponibili i metodi automatizzati per CK-MB (attività) e LDH-1 1985: Furono introdotti gli studi sulle isoforme di CK-MB 1991: Dosaggio immunoenzimatico per la Troponina T 1992: Dosaggio immunoenzimatico per la Troponina I MARKERS ENZIMATICI Lattico deidrogenasi (LDH): 5 isoenzimi, costituiti dalla combinazione delle subunità H (heart) e M (muscle) Creatina chinasi (CK): 3 isoenzimi, costituiti dalla combinazione delle subunità M (muscle) e B (brain) Aspartato amminotransferasi (AST o GOT) LDH Nell’infarto miocardico aumenta in particolare la LDH, anche se rispetto agli altri enzimi diagnostici la LDH è più tardiva in quanto l’aumento dell’enzima si manifesta dopo circa dodici ore dall’inizio della sintomatologia dolorosa; esso raggiunge il massimo livello dopo circa 24-60 ore, mantenendosi sopra i valori normali fino alla settimaquindicesima giornata di malattia. Si comprende pertanto come la sua determinazione acquisti un particolare valore nei casi di infarto o di sospetto infarto del miocardio che giungono all’osservazione a qualche giorno di distanza dall’episodio. ELETTROFORESI DEGLI ISOENZIMI LDH (normale) LDH2 > LDH1 > LDH3 > LDH4 > LDH5 LDH2 LDH1 LDH3 Anodo (+) LDH4 LDH5 Catodo (-) ELETTROFORESI DEGLI ISOENZIMI LDH (anomala) LDH1 LDH1 > LDH2 LDH2 LDH3 Anodo (+) LDH4 LDH5 Catodo (-) Comportamento degli isoenzimi della LDH (A) e della CK (B) nell’infarto acuto del miocardio. Il tracciato con linea continua si riferisce all’individuo sano mentre la figura ombreggiata riguarda il paziente infartuato. Gli isoenzimi della creatina chinasi L’isoenzima MB(CK2) è presente nel miocardio. L’ interesse clinico della determinazione dell’isoenzima MB nel siero deriva dal fatto che esso aumenta quasi esclusivamente nell’infarto del miocardio e può essere considerato un enzima “infarto miocardico specifico”. Nei casi di infarto del miocardio l’aumento dell’isoenzima MB è precoce; comincia ad aumentare nelle prime 4-6 ore, raggiunge il massimo rapidamente (12-18 ore) e, più rapidamente della CPK totale, torna nei limiti normali. Il ritorno a valori normali avviene generalmente entro 48 ore e precede quindi di 24 ore quello della CPK totale. ISOFORME DI CK-MB lisina C-terminale CK-MB2 (tessuto) carbossipeptidasi plasmatica CK-MB1 (circolo) La lisina C-terminale è rimossa; Se il rapporto CK-MB2 / CK-MB1 supera il valore di 1,5 nelle sei ore che seguono l’inizio dei sintomi ----> IM Il rapporto CK-MB2 / CK-MB1 è un marcatore precoce per la diagnosi di IM ; Il test ha una buona sensibilità diagnostica; L’uso è limitato da problemi di carattere fisiopatologico ed analitico: ampia variabilità individuale dell’attività basale plasmatica tempi lunghi per la esecuzione della procedura analitica della carbossipeptidasi Aspartato aminotrasferasi (AST) Per molti anni l’attività della transaminasi glutammico ossalacetico (GOT), attualmente nota come aspartato aminotransferasi, è stata determinata per la diagnosi di IMA . I livelli oltre i valori normali entro 8-12 ore dall’esordio del dolore raggiungono il massimo dopo 18-36 ore e scendono ai valori normali dopo 3-4 giorni. Tuttavia, poiché si verificano innalzamenti falsamenti positivi, (con la maggior parte delle malattie epatiche e della muscolatura scheletrica, dopo iniezioni intramuscolari, embolia polmonare e shock), e poiché il tempo di innalzamento e discesa delle AST è intermedio tra quello delle CPK e delle LDH, la sua ulteriore utilità nella diagnosi di IMA è trascurabile e non viene quasi più utilizzata di routine. MIOGLOBINA Proteina che lega reversibilmente l’O2 e si trova in tutti i tessuti muscolari (analogo “strutturale” e funzionale dell’emoglobina); ha un basso peso molecolare rispetto all’emoglobina (17,2 kDa contro 64 kDa), e le sue piccole dimensioni consentono la rapida fuoriuscita dalle cellule muscolari ischemiche; viene liberata nel torrente circolatorio da parte di cellule miocardiche lese ed aumenta tra 1-4 ore dalla comparsa dei sintomi; ritorna alla normalità dopo 12 ore; è considerato un marker sensibile ma aspecifico (presente in tutta la muscolatura, non solo nel miocardio); si rileva mediante un saggio immunologico nefelometria/turbidimetria o in fluorescenza. con rivelazione in VARIAZIONI TEMPORALI DI MIOGLOBINA E CK-MB CK-MB 800 60 50 40 30 20 10 0 600 400 200 0 0 8 16 24 32 40 CK-MB (m g/L) Mioglobina (m g/L) Mioglobina 48 Tempo (dopo i primi sintomi) I massimi livelli di mioglobinemia vengono raggiunti prima di quelli delle CPK. Per la sua bassa specificità miocardica la mioglobinemia può essere molto utile nel diagnosticare con precocità un IMA, MA se accompagnata da altre indagini. TROPONINE La contrazione muscolare è consentita dal movimento di molecole di miosina lungo i filamenti di actina; l’interazione tra le due è consentita dal complesso delle TROPONINE. Le troponine sono un complesso di proteine dell’apparato contrattile del muscolo striato che presiedono ai processi di contrattilità muscolare, regolando l’interazione calcio-mediata dell’actina con la miosina. Il complesso della troponina è presente unicamente nel muscolo striato ed è costituita dalla troponina T, troponina I e dalla troponina C. Le diverse isoforme, prodotte da geni distinti, presentano strutture e funzioni differenti. I livelli circolanti nel siero sono normalmente molto bassi, ma possono aumentare rapidamente dopo necrosi miocardica. Le isoforme cardiache delle troponine T e I sono quindi indicatori molto specifici e molto sensibili di danno miocardico. miosina La troponina C è la stessa in tutti i tessuti muscolari. Le troponine I e T hanno delle forme specifiche per il muscolo cardiaco: cTnI e cTnT. Le concentrazioni in circolo di cTnI e cTnT sono, normalmente, molto basse. Compaiono in circolo , in un certo quantitativo, quasi simultaneamente alla CK-MB, con un picco tra le 4-8 ore; la comparsa acuta, suggestiva di IMA, è coincidente con la LDH, ovvero avviene in fase tardiva, e per tale motivo sono utili in diagnosi tardive, alcuni giorni dopo l’evento acuto. Comparsa in circolo quasi contemporanea alla mioglobina, per cui è utile associare il dosaggio di quest’ultima a quello di una troponina cardiaca. MISURA DI cTnI E cTnT I metodi di rilevazione sono immunochimici Il saggio per cTnT è altamente specifico Numerose aziende diagnostiche commercializzano il saggio per cTnI SCELTA DI INDICATORI Fino a qualche tempo fa, dosate CK e LDH, tramite elettroforesi, o, per CK-MB, mediante saggio immunologico Saggio (costoso) delle troponine migliore perchè LDH è ubiquitario Diagnosi precoce: mioglobina, con conferma della CK-MB o, meglio, delle troponine Per la reazione generale: aA+bB→cC+dD la velocità è la variazione nel tempo di uno qualsiasi dei componenti della reazione (sia uno dei reagenti sia uno dei prodotti); la velocità, determinata sperimentalmente, è proporzionale, secondo la costante di velocità "specifica" K (corrispondente alla velocità della reazione per concentrazioni unitarie: solo in quel caso, infatti, v=K), al prodotto della concentrazione di A elevata alla m per la concentrazione di B elevata alla n. Gli esponenti m e n possono essere sia interi sia frazionari; rappresentano l'ordine della reazione: m rispetto ad A, n rispetto a B; (m+n) rappresenta L'ORDINE TOTALE della reazione. Gli ordini di reazione possono essere dedotti solo sperimentalmente e non coincidono necessariamente con i coefficienti stechiometrici della reazione a e b (in taluni casi possono essere anche zero). Reazione di ORDINE ZERO A B La velocità è costante nel tempo, ad esempio se il substrato A è presente in quantità estremamente elevata dc k 'a dt vk t1 / 2 a 2k a= conc. iniziale del substrato Reazione di PRIMO ORDINE A B A B+C La velocità di reazione è direttamente proporzionale alla concentrazione del substrato A c = conc. generica del substrato A dc k c dt v k c d( a x ) k (a x ) dt dx a k (a x ) ln kt dt ax a x a e kt c t c 0 e kt a kt ax a k log t a x 2,303 2,303 log t1/ 2 0,693 k a = conc. iniziale del substrato A Reazione di SECONDO ORDINE A +B C La velocità di reazione dipende dalla concentrazione di due substrati dc k c2 dt v k ab dx k (a x )(b x ) dt b (a x ) ab log k t a (b x ) 2,303 t1/ 2 1 k a Improbabile che si verifichino reazione di ordine superiore al secondo Riassumendo...... Alcune considerazioni...... v vs [reagenti] conoscenza di v numero specie molecolari coinvolte lnfluenza di pH, concentrazione dell’enzima, temperatura Tranne che nelle reazioni di ordine zero, la velocità delle reazioni varia nel tempo; si farà, quindi, riferimento alla velocità iniziale, cioè alla velocità al tempo zero, in cui la reazione è di ordine zero perché indipendente dalla concentrazione di substrato. Se si è in presenza di un enzima, l’equazione v k c va riscritta così: v k c E Mantenendo costante c, ovvero la concentrazione del substrato, la velocità dipenderà solo dalla quantità di enzima La verifica di una proporzionalità diretta tra V0 e [E] consente di accertare l’intervento diretto dell’enzima in quella reazione Equazione di Michaelis-Menten Dalla reazione v k c E si potrebbe affermare che, mantenendo costante la [E], la velocità di reazione sia direttamente proporzionale alla concentrazione del substrato c, ma in realtà non è così!! Tale andamento è da giustificare con la formazione di un COMPLESSO ENZIMA-SUBSTRATO k1 k2 ES ES E P k 1 Nella cinetica di ogni reazione, il parametro più importante è la velocità di formazione del prodotto: v k 2 ES Tuttavia, la [ES] man mano che si forma viene trasformata in E + P, ed è comunque difficile differenziare E da ES, per cui il suo valore rimane pressoché costante: ASSUNZIONE DELLO STATO STAZIONARIO: Se la prima reazione è reversibile, per la costante di dissociazione del complesso ES si avrà: Ks k 1 E S ES k1 .....ma ES si dissocia anche in E + P, creando dipendenza anche da k2: k k Km 1 2 k1 Km ha le dimensioni di una concentrazione (M): è definita costante di Michaelis-Menten Maggiore dissociazione Maggiore valore Km Minore affinità Quando k2 è molto più piccola di k-1, si può trascurare nella reazione e si ha: Km k 1 E S Ks ES k1 Pertanto la Km può essere definita, con ottima approssimazione, come la costante di equilibrio della reazione di dissociazione del complesso ES Come detto, non è possibile calcolare semplicemente la Km dalla prende in considerazione: Enzima totale,Et Complesso ES [E]= enzima libero = Et – ES Substrato S Km Et ES S ES Risolvendo per [ES], si avrà: Et S [ES] Km S per cui si Come detto prima, la cinetica di una reazione dipende dalla velocità di formazione del prodotto: v k 2 ES Si considera, inoltre, che quando tutto l’enzima è saturato dal substrato, Et = [ES], si avrà la velocità di reazione massima, ovvero Vmax , e l’eq. precedente diventa v k 2 Et Vmax Riarrangiando l’equazione , con l’eq. k E S v k 2 ES 2 t Km S , si avrà: Vmax S v Km S Equazione di Michaelis-Menten Equazione di velocità della catalisi enzimatica, dipendente da VMAX, da Km (due costanti) e dalla [S] in quell’istante Risolvendo per Km, si ha: V Km S max 1 v Quando si ha che v Vmax , si ha: 2 Km S La costante di Michaelis-Menten è uguale alla concentrazione di substrato con la quale si ottiene una velocità di reazione pari a metà della velocità massima Mantenendo costante la quantità di enzima e variando la quantità di substrato entro limiti abbastanza ampi, si osserva tale andamento (CURVA DI SATURAZIONE) Dal punto di vista grafico è difficile ricavare tale costante... Occorre fare trasformazioni lineari della equazione di M-M, che consentano di calcolare la Km con pochi punti sperimentali e senza calcolare la Vmax Si considera l’inverso della equazione di M-M: 1 K m S 1 Km 1 1 che si riscrive come l’equazione di una retta: v Vmax S v Vmax S Vmax y= a · x + b Grafico di Lineweaver-Burk