Esperienze cliniche in ematologia sul territorio nazionale
Volume 9
Indice
Leucemia linfatica cronica: terapia di prima linea nell’anziano
5
E. Russo, M. Martelli
L’efficacia della bendamustina nella leucemia linfatica cronica in prima linea
7
S. Trappolini, C. Bocci, G. Gini, M. Sampaolo, P. Leoni
Bendamustina in associazione a rituximab nel trattamento di prima linea
della leucemia linfatica cronica
9
E. Morelli, M. Arcamone
Efficacia e sicurezza della combinazione di bendamustina e rituximab
come trattamento di prima linea in un paziente anziano affetto
da leucemia linfatica cronica complicata da anemia emolitica autoimmune
12
M. Gentile, F. Morabito
Bendamustina come terapia di seconda linea in una paziente con linfoma follicolare
dei tessuti molli
15
L. Gandolfi
La bendamustina nel linfoma mantellare
F. Castagna, S. Impera, U. Consoli
17
Trattamento con bendamustina in un paziente anziano e con comorbidità
affetto da recidiva indolente di linfoma non Hodgkin diffuso a grandi cellule B
20
M. Arcamone, E. Morelli
Efficacia e sicurezza della combinazione di bendamustina e rituximab
come trattamento di prima linea nel paziente cardiopatico affetto
da linfoma non Hodgkin aggressivo tipo DLBCL
24
E. Vigna, F. Morabito
Trattamento con bendamustina in una paziente con linfoma aggressivo plurirecidivato:
qualità della vita e alopecia
26
G. De Benedetta
Alte dosi di chemioterapia secondo lo schema BeEAM in un caso di linfoma non Hodgkin
resistente alle chemioterapie convenzionali
G. Messina
30
Leucemia linfatica cronica:
terapia di prima linea nell’anziano
E. Russo, M. Martelli
Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, “Sapienza” Università di Roma
Presentazione del caso
Paziente e anamnesi,
indagini diagnostiche ed
esame obiettivo
Una donna di 72 anni in buone
condizioni generali si presentava,
alla nostra attenzione, nel mese di
Novembre 2010 per una linfocitosi
assoluta, come di seguito indicato.
• Hb12,8 g/dl, MCV85 fl, GB
11.620/mm 3 , N 3.800/mm 3 ,
L6.220/mm3, LUC660/mm3, PLT
268.000/mm3.
• Assenza di sintomi B.
• Esame obiettivo: assenza di
linfoadenomegalie nelle stazioni
superficiali e di organomegalie.
• Striscio di sangue venoso periferico
(SVP): piccoli linfociti maturi con
scarso citoplasma, nucleo denso
in assenza di nucleoli visibili e cromatina parzialmente addensata.
• Immunofenotipo su SVP: l’analisi,
condotta sulla popolazione
linfoide del campione, rileva il
37% di elementi linfoidi B
CD20/CD5/CD38/CD200 positivi,
CD23 espresso nel 24% della
popolazione linfoide B, ristretti
per le catene leggere delle
immunoglobuline di tipo k.
• TAC cranio-collo-torace-addomepelvi: assenza di linfoadenopatie
profonde.
• Esami ematochimici: LDH e 2microglobulina nella norma.
• Biopsia osteomidollare: impegno
diffuso (40%) da malattia linfoproliferativa a fenotipo B a piccoli linfociti.
Data l’assenza di sintomi sistemici,
di linfoadenopatie e di citopenie, si
decideva di tenere la paziente sotto osservazione, secondo un atteggiamento di “watch and wait”.
La paziente non ha tuttavia eseguito i controlli programmati fino al
mese di Settembre 2012, quando
notava la comparsa di multiple
adenopatie superficiali e una significativa perdita di peso per cui eseguiva gli esami di seguito indicati.
• TAC cranio-collo-torace-addomepelvi: comparsa di tumefazioni
linfonodali fino a 2,5 cm in tutte
le stazioni linfonodali superficiali
e profonde.
• Hb 12,6 g/dl, GB 79.870/mm3, N
12.220/mm3, L 59.000/mm3, PLT
229.000/mm3.
• LDH e 2-microglobulina >2 UNV.
• Biopsia linfonodo sopraclaveare
sinistro: leucemia linfatica cronica (LLC)/linfoma a piccoli linfociti con ampi centri chiari di
proliferazione.
• Immunoistochimica: CD20+
CD5+CD23+IRF4+, BCL1-ZAP70-,
Ki67 pari a 10-15%.
• 18-FDG-PET total-body: confermava tutte le localizzazioni di
malattia (SUVmax 3,0).
• Analisi molecolare dei geni IgVH:
assetto mutato.
• Analisi molecolare degli esoni
4,5,6,7,8,9 del gene TP53: assenza
di mutazioni somatiche.
Approccio terapeutico
In considerazione dell’età e della
scarsa compliance, pur in assenza
di comorbidità e dell’evidente
progressione clinica di malattia, la
paziente veniva avviata a un programma di chemioimmunoterapia secondo lo schema rituximab
(375 mg/m2)+bendamustina (90
mg/m2 g 1,2).
La terapia è stata nel complesso
ben tollerata a eccezione di nausea e anemia G1, neutropenia G2. I
cicli di terapia sono stati eseguiti
regolarmente ogni 28 giorni, senza riduzione del dosaggio dei farmaci. La paziente ha eseguito una
profilassi primaria con G-CSF e
una profilassi anti-Pneumocystis
carinii con trimetoprim-sulfametossazolo. Dopo 9 giorni dall’inizio
della terapia la conta linfocitaria
ha mostrato una drastica riduzione da 59.000 a 2.260/mm3 con una
5
LEUCEMIA LINFATICA CRONICA: TERAPIA DI PRIMA LINEA NELL’ANZIANO
normalizzazione della formula
leucocitaria. La rivalutazione dopo
i primi 4 cicli ha dimostrato una
negatività della PET/TAC per
malattia. La paziente ha rifiutato di
eseguire ulteriori accertamenti su
sangue periferico e su biopsia
osteo-midollare e, in considerazione della buona risposta ottenuta,
ha deciso di non eseguire gli altri
due cicli di terapia previsti.
Discussione del caso e
razionale delle scelte
terapeutiche
All’epoca della diagnosi la paziente presentava uno stadio iniziale di
malattia in assenza di sintomi e
segni di attività; pertanto l’osservazione clinica rappresentava la
migliore opzione. A due anni dalla
diagnosi la malattia ha presentato
una rapida progressione, caratterizzata da aumento della conta
linfocitaria, comparsa di adenopatie diffuse e sintomi B sistemici,
con incremento dell’LDH.
La biopsia linfonodale ha escluso
una trasformazione in linfoma a
grandi cellule (sindrome di
Richter). Nella scelta del trattamento abbiamo considerato le
caratteristiche della paziente
(anziana FIT ma con scarsa compliance ai controlli clinici, per cui
non candidata a una terapia altamente immunosoppressiva) e della malattia (assenza di fattori prognostici sfavorevoli).
Nel 2010 l’EMA ha approvato l’impiego di bendamustina per la terapia di prima linea di pazienti anziani con LLC non trattabili con fludarabina. In uno studio randomizzato di fase III bendamustina è risultata superiore a clorambucile in
tutti gli endpoint valutati: la risposta globale è risultata superiore
(68% vs 31%) con percentuali di
remissione completa del 31% vs
2% e una sopravvivenza mediana
libera da progressione di 21,2
mesi vs 8,8 mesi.
Il conseguimento di risposte qualitativamente migliori si è tradotto in
un miglioramento della sopravvivenza globale, in assenza di un
impatto negativo sulla qualità di
vita. La tossicità riportata è stata
modesta: neutropenia severa pari
al 23% con bendamustina vs 11% e
infezioni maggiori nell’8% vs 3%.
Inoltre in uno studio prospettico di
fase II l’associazione di bendamustina con rituximab in prima linea si
è dimostrata efficace e sicura e
sono attualmente in corso studi
randomizzati di confronto con la
chemioimmunoterapia standard
nel paziente anziano FIT (R-FC).
Blood 2009; 114(16):3382-3391.
• Eichhorst B, Hallek M & Dreyling M.
Chronic lymphocytic leukaemia: ESMO clinical practice guidelines for diagnosis,
treatment and follow-up. Ann Oncol
2010;21(Suppl. 5):v162-v164.
• Fischer K, Cramer P, Busch R et al.
Bendamustine in combination with rituximab for previously untreated patients
with chronic lymphocytic leukemia: a
multicenter phase II trial of the German
Chronic Lymphocytic Leukemia Study
Group. J Clin Oncol 2012;30(26):3209-3216.
• Knauf WU, Lissichkov T, Aldaoud A et al.
Phase III randomized study of bendamustine compared with chlorambucil in previously untreated patients with chronic
lymphocytic leukemia. J Clin Oncol
2009;27(26):4378-4384.
Bibliografia
• Balducci L, Beghe C. The application of
the principles of geriatrics to the management of the older person with cancer. Crit
Rev Oncol Hematol 2000;35(3):147-154.
• Eichhorst BF, Busch R, Stilgenbauer S et al.
German CLL Study Group (GCLLSG). Firstline therapy with fludarabine compared
with chlorambucil does not result in a
major benefit for elderly patients with
advanced chronic lymphocytic leukemia.
6
L’efficacia della bendamustina nella leucemia linfatica
cronica in prima linea
S. Trappolini, C. Bocci, G. Gini, M. Sampaolo, P. Leoni
Clinica di Ematologia – Ospedali Riuniti – Ancona
Presentazione del caso
Paziente e anamnesi
La nostra paziente, le cui iniziali sono
C.G., è una pensionata di 70 anni, in
buone condizioni generali. In anamnesi c’è solo da riferire una sindrome metabolica con ipertensione
arteriosa in trattamento da circa 10
anni e una pregressa epatite B.
Giungeva alla nostra attenzione
per la prima volta nel 2008 a seguito di un riscontro all’esame emocromocitometrico di leucocitosi
con linfocitosi. La paziente però si
è sempre rifiutata di sottoporsi ad
accertamenti midollari fino al
2012, quando abbiamo posto diagnosi di leucemia linfatica cronica,
stadio 0, con VDJ riarrangiato e trisomia del cromosoma 12. Vista la
malattia limitata, peraltro con fattori prognostici favorevoli, si decideva di avviare la paziente al solo
follow-up.
Esame obiettivo e indagini
diagnostiche
A gennaio 2013 assistiamo a un’evoluzione clinica a uno stadio II
secondo RAI, con aumento della
linfocitosi (64.000/mm3) e aumento delle linfoadenomegalie rilevate all’ecografia: linfonodi cervicali
di diametro massimo di 3,8 cm,
ascellari bilaterali di 5 cm, retroperitoneali di 5 cm, epatomegalia e
splenomegalia di 16,5 cm.
Bisognava pertanto pensare ad
una strategia terapeutica efficace.
Approccio terapeutico
La paziente veniva avviata a un
programma terapeutico che prevedeva 6 cicli di bendamustina-rituximab (RB) ogni 28 giorni (bendamustina 90 mg/m2 nei g.1-2, RB 375
mg/m2 al primo ciclo e 500 mg/m2
dal secondo ciclo), associati a profilassi con cotrimossazolo (sospeso
precocemente per intolleranza della paziente e sostituito con pentamidina aerosol ogni 21 giorni) e
chinolonico dal giorno +5, antivirale con valaciclovir e fattore di crescita granulocitario in profilassi
secondaria. La paziente ha iniziato
la terapia il 25 Febbraio 2013.
Valutazione a distanza e
aggiustamenti
terapeutici
È stata eseguita l’infusione dei primi
3 cicli senza alcun problema. Dopo
il IV ciclo la paziente ha avuto un’importante sindrome influenzale con
tosse produttiva, regredita dopo
somministrazione di terapia antibiotica intramuscolo per una settimana. Il giorno in cui avrebbe dovuto subire l’infusione del V ciclo, si è
presentata presso il nostro Day
Hospital con un’importante neutropenia (180/mm3), che ci ha costretti
a rinviare la terapia e a somministrare per 7 giorni il fattore di crescita
granulocitario. La settimana successiva i neutrofili erano risaliti a
1.700/mm 3 ma il problema era
diventato il conteggio piastrinico
(<2.0000/mm3), per cui la terapia è
stata dilazionata di un’altra settimana. Eravamo ormai arrivati a inizi
Luglio e la paziente si presentava al
nostro DH di nuovo con un’importante neutropenia (400/mm3).
A quel punto abbiamo deciso di
sospendere il programma terapeutico e, visto che i valori dei neutrofili
non risalivano nonostante G-CSF, di
sottoporre la paziente a una rivalutazione midollare che ha mostrato
una buonissima risposta alla terapia
e ha escluso la presenza di aplasia
midollare chemioindotta. Anche
l’ecografia ha mostrato la significativa riduzione di tutte le linfoadenomegalie precedentemente segnalate. Attualmente la paziente, a 6 mesi
dal termine della terapia, risulta
essere in remissione completa.
7
L’EFFICACIA DELLA BENDAMUSTINA NELLA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA IN PRIMA LINEA
Discussione del caso e
razionale delle scelte
terapeutiche
La nostra decisione sul fatto di utilizzare bendamustina può essere
discutibile. Non abbiamo voluto far
sottoporre la paziente ai soli cicli di
chlorabucil–RB, data l’importante
consistenza di malattia, e non ci siamo affidati al classico FCR
(Ciclofosfamide, bendamustina e
rituximab) per via delle preoccupazioni che avevamo riguardo alla sua
tossicità. Ci siamo pertanto basati
su uno studio, eseguito dal Gruppo
Cooperativo tedesco (GCLLSG), che
ha sottoposto 117 pazienti affetti
da LLC al ciclo RB già dalla I linea.
I risultati di questo studio si sono
rilevati piuttosto significativi, con
un tasso di risposta globale pari
all’88% e una mediana di sopravvivenza libera di eventi di 33,9
mesi. I pazienti con trisomia del
12, proprio come la nostra
paziente, mostravano un ORR
pari al 94,7% (di cui in RC 21%).
Inoltre il tasso di incidenza di
infezioni severe si è rilevato essere molto basso (7,7%) rispetto al
tradizionale ciclo FCR, mentre
per quanto concerne la tossicità
ematologica severa l’incidenza di
neutropenia, trombocitopenia e
anemia è stata documentata nel
19,7, 22,2 e 19,7% dei pazienti,
rispettivamente (1,2).
Ad avvalorare questa ipotesi vi è
un abstract dell’ASH 2013, dove
si paragona lo standard FCR con
RB (studio CLL10, randomizzato):
i risultati dell’interim analisi hanno mostrato una maggiore efficacia dell’FCR in prima linea per
le LLC, sia per l’ORR, che per PFS e
EFS; benché vi sia uno sbilanciamento
nella distribuzione dei fattori di
rischio a favore del gruppo FCR e il
vantaggio sia bilanciato, invece,
dall’alto tasso di eventi avversi che
si verificano con l’FCR, in particolare neutropenia e infezioni (3).
A dimostrazione dell’efficacia
dell’RB è stato anche il fatto che la
paziente ha ottenuto una risposta
ottimale alla terapia nonostante
abbia fatto 4 cicli invece dei preventivati 6.
for the treatment of indolent non
Hodgkin’s lymphoma and chronic
lymphocytic leukemia. Am J Helath Syst
Pharm 2010; 67(9):713-723.
3. Eichhorst B, Fink A, Busch R et al.
Chemoimmunotherapy with fludarabine (F), cyclophosphamide (C), and rituximab (R) (FCR) versus bendamustine and
rituximab (BR) in previously untreated
and physically fit patients (pts) with
advanced chronic lymphocytic leukemia
(CLL): results of a planned interim analysis of the CLL10 trial, an international,
randomized study of the German CLL
Study Group (GCLLSG). Abstract 526,
ASH 2013.
Bibliografia
1. Fischer K, Cramer P, Busch R. et al.
Bendamustine in combination with rituximab for previously untreated patients
with chronic lymphocytic leukemia: a
multicenter phase II trial of the German
Chronic Lymphocytic Leukemia Study
Group. JCO 2012;30(26):3209-3216.
2.Elefante A, Czuczman MS. Bendamustine
8
Bendamustina in associazione a rituximab nel trattamento
di prima linea della leucemia linfatica cronica
E. Morelli, M. Arcamone
S.C. di Ematologia Oncologica e Trapianto di Cellule Staminali, Dipartimento di Ematologia, Istituto Nazionale
Tumori, Fondazione ‘G. Pascale’, IRCCS, Napoli
Presentazione del caso
Paziente e anamnesi
Paziente di 57 anni, donna.
Nell’Aprile 2012 riceveva diagnosi di leucemia linfatica cronica
(LLC) (RAI II/Binet B) con presenza dello stato mutato della regione variabile delle Ig, di delezione
isolata della regione 13 (q14 q22)
alla citogenetica tradizionale e in
FISH e con un profilo immunoistochimico classico all’esame
citofluorimetrico eseguito sia su
sangue venoso periferico che su
aspirato midollare.
L’anamnesi era positiva per diabete mellito non insulino-dipendente in trattamento con ipoglicemizzanti orali. In assenza di sintomi e
dei criteri di trattamento, la
paziente veniva avviata a followup periodico.
Nel Marzo 2013 si assisteva a una
progressione di malattia con elevata linfocitosi (35,6x103/mcl) sviluppatasi in un periodo inferiore ai
sei mesi di follow-up, in assenza di
piastrinopenia e anemia ma con
Test di Coombs diretto positivo
(i valori di LDH, bilirubina totale
diretta e indiretta e aptoglobina
erano tutti nella norma). Alla TC
total body si evidenziavano multiple linfoadenomegalie (di diame-
tro massimo fino a 4 cm), senza
segni di epatosplenomegalia.
Ripetuti gli esami di citogenetica e
citofluorimetria, non si evidenziavano variazioni del quadro iniziale,
né erano presenti segni clinicolaboratoristici sospetti per una
evoluzione in sindrome di Richter.
Approccio terapeutico
Alla luce dell’incremento della
linfocitosi, delle linfoadenomegalie
e della positività del test di Coombs
diretto in assenza, comunque, di
anemia emolitica autoimmune
(AEA), si è deciso di avviare la
paziente a trattamento immunochemioterapico optando per l’as
sociazione bendamustina (90
mg/m2 g 1,2) più rituximab (375
mg/m2 g 1), per un totale di 6 cicli
con riciclo a 28 giorni, terminati ad
Agosto 2013. In considerazione del
rischio di sindrome da lisi tumorale,
il rituximab è stato somministrato a
partire dal secondo ciclo e recuperato 28 giorni dopo l’ultimo.
La terapia prevedeva profilassi
antinfettiva con trimetropim/sulfametossazolo, aciclovir e fluconazolo; lenograstim dal giorno +7 per 4
giorni; allopurinolo con somministrazione bisettimanale per os
come ipouricemizzante. La somministrazione di rituximab era preceduta da premedicazione con idrocortisone e clorfenamina maleato.
Follow-up
La terapia è stata molto ben tollerata, con ottima clearance della linfocitosi già dopo il primo ciclo (linfociti 1,1/x103/mcl). L’assenza di complicanze, prevalentemente, tossicità d’organo e neutropenie severe,
ha permesso di mantenere, per tutto il trattamento, il timing previsto
di 28 giorni. La TC total body di
ristadiazione finale ha documentato una riduzione >50% delle linfoadenopatie, diminuzione peraltro
già rilevata a un’ecografia addome,
pelvi e stazioni linfonodali superficiali eseguita dopo il 4° ciclo.
L’esame citofluorimetrico, eseguito
su sangue venoso periferico e su
aspirato midollare, ha evidenziato
un immunofenotipo normale senza restrizione per catene leggere e
la ricerca della clonalità della catena pesante delle Ig ha dato esito di
policlonalità. L’assenza di alopecia
iatrogena ha poi influito, in modo
decisamente positivo, sul profilo
psicologico e sulla compliance
della paziente.
9
E. MORELLI, M. ARCAMONE
Discussione del caso e
razionale delle scelte
terapeutiche
La LLC è la più comune leucemia
linfoide dell’adulto; è caratterizzata dalla presenza di cellule B clonali nel sangue, midollo osseo e
tessuto linfonodale. Nonostante
abbia prevalentemente un decorso indolente, la maggior parte dei
pazienti richiede un intervento
chemioterapico per trattare la
patologia o le sue complicanze di
natura prevalentemente autoimmunitaria, la più frequente delle
quali è l’AEA.
Tra le varianti farmaco-indotte,
quelle riportate più di frequente
sono correlate prevalentemente
all’uso di fludarabina. La presenza,
quindi, di un Test di Coombs diretto positivo, in assenza, comunque,
di una conclamata AEA, ha indirizzato la nostra scelta verso uno
schema terapeutico con bendamustina in associazione a rituximab, per quanto, sebbene più
raramente, siano stati riportati
anche casi di AEA bendamustinarelate (1).
Gli agenti alchilanti, come il chlorambucil e la ciclofosfamide, sono
stati il principale trattamento fino
all’introduzione della fludarabina,
10
che ha significativamente migliorato il grado di risposta nei pazienti pre-trattati. In particolar modo il
regime di polichemioterapia con
fludarabina, in associazione a
ciclofosfamide e rituximab (RFC), è
attualmente il gold standard.
Sebbene infatti l’anticorpo monocloanale anti-CD20 (rituximab) da
solo abbia un’attività limitata nella
LLC, il GCLLSG (German CLL Study
Group) ha confermato nel trial
CCL8 (FC vs RFC) che l’aggiunta
del rituximab alla chemioterapia
migliora significativamente la PFS
e la OS (2).
Sulla base di questi dati e su quelli
del REACH Trial, il rituximab è stato
approvato dalla FDA in associazione alla fludarabina e alla ciclofosfamide, per la terapia di I linea e in
pazienti precedentemente trattati
affetti da LLC. L’RFC è superiore sia
alla sola fludarabina che all’associazione fludarabina più ciclofosfamide; è in ogni modo associato
a un’alta incidenza di infezioni
opportunistiche, mielosoppressione e possibile incremento nell’insorgenza di neoplasie secondarie. In realtà la frequenza di citopenia prolungata non appare essere
significativamente differente tra i
pazienti trattati con RFC e quelli
trattati con FC. In entrambi i casi
una prolungata citopenia sembra
essere correlata a un più alto
rischio di sviluppare SMD/LMA
(sindromi mielodisplastiche/leucemia mieloide acuta) e a una prognosi peggiore (3).
Alla base di questi dati c’è il razionale di trial clinici volti a testare
l’efficacia di altri farmaci che
abbiano, però, un profilo di tossicità migliore.
La bendamustina è un antineoplastico che associa, nella sua struttura chimica, un agente alchilante
(mostarda azotata) e un antimetabolita analogo delle purine.
Questo farmaco, in monoterapia o
in associazione con altri agenti, ha
dimostrato un’efficacia clinica nei
linfomi non Hodgkin a basso grado, compresa la LLC (4).
I risultati di uno studio clinico di
fase III, condotto su 301 pazienti
naïve affetti da LLC, ha dimostrato
una overal response rate (ORR)
significativamente maggiore nei
pazienti trattati con bendamustina rispetto a quelli trattati con
chlorambucil (59% vs 26%
P<0,0001). Anche la progression
free survival (PFS) è risultata essere più lunga nel braccio bendamustina (17,6 mesi vs 5,7 mesi
p<0,0001) (5).
Inoltre studi retrospettivi hanno
BENDAMUSTINA IN ASSOCIAZIONE A RITUXIMAB NEL TRATTAMENTO DI PRIMA LINEA
DELLA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA
anche dimostrato che la terapia di
I linea con bendamustina e rituximab è molto efficace e ben tollerata sia nei pazienti pre-trattati che
in quelli naïve (6). La difficoltà di
comparare i risultati di questo studio di fase III, che prevede l’associazione bendamustina più rituximab verso altri regimi di polichemioterapia, come RFC o pentostatina, ciclofosmamide e rituximab,
sta nella diversità dei fattori presi
in considerazione nei vari trial.
I pazienti arruolati nello studio BR
non erano, ad esempio, ristretti per
età, funzione renale o comorbidità, a differenza dei pazienti
arruolati nello studio CLL8 (7); è
quindi difficile concludere che l’efficacia dell’associazione BR sia
almeno sovrapponibile a quella
del RFC. A questo proposito è
attualmente in corso uno studio
di fase III del German CLL Study
Group (GCLLSG), che mette a confronto la bendamustina in asso-
ciazione a rituximab verso lo
schema RFC nei pazienti affetti da
LLC in I linea (8): “CLL10: Phase III
Trial of combined immunochemotherapy with Fludarabine,
Cyclofosphamide and Rituximab
(FCR) versus Bendamustine and
Rituximab (BR) in patients with
Previously untreated Chronic
Lymphocytic Leukemia” volto a
valutare se la terapia con bendamustina più rituximab non sia
inferiore a quella con RFC.
and rituximab (FCR) related prolonged
cytopenia is frequent and adverse factor
affecting survival of patients with chronic
lymphocitic leukemia (CLL). Blood
2012;120 Abstract: n° 1790.
4. Wu M, Akinleye A, Zhu X. Novel agents
for chronic lymphocytic leukemia. Journal
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Bendamustine compared with chlorambucil in previously untreated patients
with chronic lymphocytic leukemia: updated results of a randomized phase III trial;
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6. Gunther SB G. Real world efficacy and
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2012;120. Abstract n° 2905.
7. Fischer K, Cramer P, Busch R et al.
Bendamustine in combination with rituximab for previously untreated patients
with chronic lymphocytic leukemia: a
multicenter phase II trial of the German
Chronic Lymphocytic Leukemia Study
Group. JCO 2012;30(26):3209-3216.
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3. Petra Obrtlikova AJ, Siskova M, Cmunt E,
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11
Efficacia e sicurezza della combinazione di bendamustina e
rituximab come trattamento di prima linea in un paziente
anziano affetto da leucemia linfatica cronica complicata da
anemia emolitica autoimmune
M. Gentile, F. Morabito
U.O.C. di Ematologia Azienda Ospedaliera di Cosenza
Presentazione del caso
Paziente e anamnesi
Il paziente A.S., maschio di 74
anni, giungeva alla nostra osservazione nel Marzo 2009 per il
riscontro occasionale di linfocitosi assoluta.
All’anamnesi patologica remota
segnalava:
• appendicectomia eseguita nel
1950;
• diabete mellito tipo II in trattamento con antidiabetici orali
dal 2000;
• ipertensione arteriosa in terapia con sartani dal 2002.
Esame obiettivo e indagini
diagnostiche
Il paziente si presentava in buone condizioni generali e non
riferiva la presenza di sintomi
sistemici.
All’esame obiettivo non mostrava
alcuna adeno- e organomegalia.
Gli esami ematochimici mostravano: leucociti 20.000/mm3 con
linfociti 74%, emoglobina 14,1
g/dL, piastrine 205.000/mm 3 ,
LDH 360 UI/L (v.n. <500 UI/L)
beta-2 microglobulina 0,1 mg/dL
(v.n. <0,2 mg/dL). La valutazione
citofluorimetrica dei linfociti
12
periferici mostrava un fenotipo
CD5+/CD19+/ CD23+/kdim,
compatibile con la diagnosi di
leucemia linfatica cronica (LLC).
Il paziente veniva quindi sottoposto a indagini di imaging,
quali la radiografia del torace,
l’ecografia dell’addome e dei
linfonodi superficiali. Tali indagini non mostravano la presenza di adenopatie, la milza e il
fegato risultavano di normali
dimensioni.
Lo studio dei fattori prognostici
mostrava la negatività dell’espressione del CD38 e dello
ZAP-70, lo stato non mutato dei
geni IgVH e la presenza della
delezione 13q14 all’esame FISH.
Veniva quindi posta diagnosi di
LLC in stadio A/0 secondo Binet
e Rai e il paziente iniziava un
regolare follow-up semestrale.
nomegalie laterocervicali, ascellari, retroperitoneali e inguinali con
diametro massimo di 3 cm e splenomegalia con diametro longitudinale pari a 19 cm riscontrate alla
TC total body. Poiché gli esami
ematochimici mostravano un’alterazione dei test di emolisi (bilirubina indiretta 3,8 mg/dL, LDH 750
UI/L, aptoglobina 5 mg/dL e reticolociti 5%), il paziente eseguiva il
test di Coomb’s. Il test diretto risultava positivo di tipo IgG, pertanto
veniva posta diagnosi di anemia
emolitica autoimmune (AEA) in
corso di LLC in progressione (stadio IV/C).
Follow-up
Veniva somministrata, inizialmente, una terapia con prednisone 1 mg/kg e successivamente, per la persistenza dell’anemia, immunoglobuline 1 g/kg
giorni 1-2.
Dato il persistere dell’emolisi il
paziente nel Febbraio 2013, iniziava un trattamento chemioterapico con l’associazione rituxi-
Nel Gennaio 2013 il paziente presentava una progressione di
malattia caratterizzata da un
incremento della linfocitosi
(162.540/mm3) con tempo di raddoppiamento linfocitario inferiore ai 6 mesi, associato ad anemia
(emoglobina 8,8 g/dL) e piastrinopenia (85.000/mm3), linfoade-
Approccio terapeutico,
aggiustamenti
terapeutici e valutazione
a distanza
M. GENTILE, F. MORABITO
mab 375 mg/m 2 giorno 8 del I
ciclo e 500 mg/m2 giorno 1 dei
II-VI cicli e bendamustina 70
mg/m2 giorni 1-2 ogni 28 giorni.
La terapia prevedeva, inoltre,
una profilassi antimicrobica con
trimetoprim/sulfametossazolo
e aciclovir e G-CSF in caso di
neutropenia.
Durante i 6 cicli di trattamento
previsti il paziente presentava
2 episodi di neutropenia di grado IV (al ciclo V e VI) risolti
entrambi con la somministrazione di G-CSF e senza complicanze infettive, mentre non
mostrava tossicità non ematologica. Gli episodi di neutropen i a n o n d e t e r m i n ava n o u n
ritardo nella somministrazione
della chemioterapia.
Dopo il II ciclo il paziente presentava una normalizzazione
dei livelli di emoglobina e dei
segni di emolisi e dopo il IV ciclo
anche la negatività del test di
Coomb’s.
La rivalutazione di malattia, eseguita dopo il VI ciclo (Settembre
2013), mostrava un quadro di
remissione completa con risoluzione dell’AEA. Pertanto da
Ottobre 2013 il paziente riprendeva il suo follow-up.
Discussione del caso e
razionale delle scelte
terapeutiche
L’AEA è una complicanza frequente nella LLC e la sua incidenza aumenta nei pazienti con stadio di malattia avanzato (4% nei
pazienti di stadio A e 10% in
quelli di stadio B e C) (1).
Uno studio che ha valutato l’insorgenza di tale complicanza,
durante il corso di chemioterapia, ha dimostrato come i
pazienti sottoposti a terapia con
clorambucile (12%) o fludarabina (11%) mostrano una maggiore incidenza di AEA rispetto ai
pazienti che vengono sottoposti
a terapia con fludarabina e
ciclofosfamide in combinazione
(5%) (2). Ciò è verosimilmente
dovuto all’effetto immunosoppressivo della ciclofosfamide.
Inoltre l’utilizzo di questo schema,
in combinazione con l’anticorpo
monoclonale anti-CD20 rituximab, sembra ridurre ulteriormente l’incidenza di tale complicanza
(<1%) (3). Pertanto il timore
dell’AEA, provocata dalla terapia
con fludarabina nei pazienti con
LLC, non è più giustificata nell’era
della chemio-immunoterapia.
Per il nostro paziente, unfit per
l’età avanzata (77 anni) al
momento della progressione di
malattia, non è stata presa in
considerazione la possibilità di
eseguire lo schema di combinazione fludarabina, ciclofosfamide e rituximab, ad oggi gold
standard per i pazienti giovani
fit, ma gravato da elevata tossicità per i pazienti con età superiore ai 70 anni.
La scelta terapeutica è ricaduta,
quindi, sull’associazione rituximab e bendamustina. Tale combinazione difatti si è dimostrata
efficace e ben tollerata nel trattamento di una coorte di pazienti affetti da LLC non precedentemente trattati, dei quali circa il
25% presentava un’età superiore
ai 70 anni (4). Inoltre tale studio
ha dimostrato come l’associazione rituximab e bendamustina
permettesse di risolvere l’emolisi
in 2 pazienti che all’inizio della
terapia presentavano AEA (4). La
nostra esperienza dimostra,
quindi, che l’utilizzo di un regime
contenente rituximab e bendamustina sia una strategia interessante per i pazienti anziani
affetti da LLC anche quando
complicata da AEA.
13
EFFICACIA E SICUREZZA DELLA COMBINAZIONE DI BENDAMUSTINA E RITUXIMAB COME TRATTAMENTO DI PRIMA LINEA IN
UN PAZIENTE ANZIANO AFFETTO DA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA COMPLICATA DA ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE
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G er man
Chronic
Bendamustina come terapia di seconda linea in una
paziente con linfoma follicolare dei tessuti molli
L. Gandolfi
Istituto di Ematologia e Oncologia Medica “L&A. Seràgnoli”, Azienda Ospedaliera-Universitaria Policlinico
S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna
Presentazione del caso
Paziente e anamnesi
Una paziente di 65 anni è giunta
alla nostra attenzione con una diagnosi di linfoma non Hodgkin follicolare all'esordio. In anamnesi
patologica remota veniva segnalata la presenza di un diabete di tipo
II, un'ipertensione arteriosa e una
tiroidectomia totale per un carcinoma papillifero. La paziente riferiva la comparsa, da alcune settimane, di una tumefazione sottocutanea, non dolente, progressivamente in aumento, a livello dell'arto
superiore sinistro. Le condizioni cliniche erano buone e non venivano
riferiti sintomi B linfoma-relati.
Esame obiettivo e indagini
diagnostiche
All'esame obiettivo si apprezzava
una formazione di circa 13x10 cm,
a livello della faccia volare del
braccio sinistro. Non si apprezzavano adenopatie superficiali o
organomegalia palpabile. L'esame
istologico della neoformazione ha
posto diagnosi di linfoma non
Hodgkin follicolare di grado II. Gli
esami di stadiazione hanno unicamente segnalato la nota lesione
sottocutanea (SUVmax 8,5 in PET) e
la presenza di piccole adenopatie
iperfissanti (circa 2 cm in TAC con
SUV max 5,4) a livello ascellare
omolaterale. La biopsia osteomidollare è risultata negativa e all'analisi genentico-molecolare non si
è evidenziata la presenza del trascritto BCL2/IGH.
Approccio terapeutico
La paziente è stata inizialmente
avviata a terapia di prima linea
secondo lo schema R-FN (rituximab 375 mg/m2, fludarabina 25
mg/m2 e novantrone 10 mg/m2); il
ciclo veniva ripetuto ogni 28 giorni, per un totale di sei cicli.
Una valutazione cardiologica prechemioterapia ha descritto la presenza di una stenosi valvolare aortica di grado moderato, in presenza di una buona funzione contrattile del ventricolo sinistro (FE
65%). Sulla base di tale riscontro, è
stato ridotto il dosaggio del
novantrone del 50% ed è stato
programmato un monitoraggio
periodico del quadro. I sei cicli di
trattamento sono stati discretamente tollerati (riferiti solo episodi
di lieve nausea e neutropenia di
grado III). È stata eseguita una prima valutazione della risposta
post-III ciclo, mediante un'indagi-
ne PET che ha descritto una buona
riduzione delle captazioni precedentemente segnalate.
La rivalutazione post-VI e ultimo
ciclo ha evidenziato tuttavia una
progressione di malattia: in PET
veniva infatti mostrato un incremento della captazione sia a livello della formazione del braccio
che a livello delle adenopatie
ascellari. La TAC con mdc mostrava
la persistenza di una massa sottocutanea di 8x5 cm associata a piccole linfoadenomegalie di 2 cm.
Non venivano segnalate ulteriori
localizzazioni.
La paziente è stata quindi avviata
a terapia con rituximab (375
mg/m 2 ) e bendamustina (90
mg/m2), di cui ha eseguito sei cicli.
La tolleranza ematologica ed
extra-ematologica è stata buona.
Una PET intermedia, eseguita
post-III ciclo di terapia, ha mostrato la completa negativizzazione
delle ipercaptazioni precedentemente segnalate.
La rivalutazione al termine dei sei
cicli di trattamento ha confermato
l'assenza di reperti patologici in
PET mentre in TAC veniva unicamente segnalato un residuo della
precedente massa sottocutanea,
di dimensioni pari a 3x3 cm, compatibile con esito.
15
BENDAMUSTINA COME TERAPIA DI SECONDA LINEA IN UNA PAZIENTE CON LINFOMA FOLLICOLARE DEI TESSUTI MOLLI
Attualmente, a circa otto mesi dalla fine della terapia, la paziente
mantiene la remissione completa
ed è seguita in follow-up.
Discussione del caso e
razionale delle scelte
terapeutiche
Il caso clinico descrive un insolito
quadro d’esordio di linfoma follicolare, caratterizzato prevalentemente dall’interessamento dei
tessuti molli dell’arto superiore.
Tale presentazione, più comune
nei linfomi diffusi a grandi cellule,
è particolarmente raro nelle forme indolenti (1) e la casisitica presente in letteratura, relativa a prognosi e trattamento, risulta molto
limitata (2). La terapia di prima
linea del linfoma follicolare si basa
su schemi di trattamento con antracicline (CHOP o CHOP-like) o su
regimi contenenti fludarabina (3).
In entrambi i casi l’introduzione
dell’anticorpo monoclonale
rituximab ha migliorato l’outcome del paziente sia in termini di
tasso di risposta, sia nella durata
di tale remissione (4). La nostra
paziente, refrattaria alla prima
linea, per età e per comorbidità
cardiologica non è risultata candidabile a un programma di trapianto autologo, ed è stata avviata a una seconda linea con rituximab e bendamustina. La scelta
terapeutica si è basata sui dati
riportati in letteratura, che confermano l'efficacia e la safety di tale
trattamento in pazienti con linfoma follicolare a basso grado,
refrattari a rituximab (5). Sia il tasso di risposte che la progression
free survival risultano, infatti, particolarmente elevati per questa
popolazione di pazienti, spesso
pretrattati e con un elevato
rischio di ricaduta nel tempo.
La tossicità correlata a tale molecola è contenuta sia dal punto di
vista ematologico che extraematologico, rendendo la terapia
complessivamente ben tollerata
nella maggior parte dei casi (6).
Il buon profilo di efficacia e di
safety rende pertanto la combinazione di rituximab-bendamustina una valida alternativa terapeutica anche per pazienti anziani o che presentano comorbidità.
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16
La bendamustina nel linfoma mantellare
F. Castagna, S. Impera, U. Consoli
ARNAS Garibaldi Catania, P.O. Nesima, U.O.C. di Ematologia, Catania, Italia
Presentazione del caso
Paziente e anamnesi
Uomo di anni 72 ex-fumatore,
iperteso, dislipidemico, affetto da
insufficienza renale cronica (IRC).
Nel 2001 gli viene effettuata una
diagnosi di carcinoma della prostata, asportata mediante intervento chirurgico (prostatectomia) e nel maggio del 2011 il
paziente viene colto da IMA
(infarto miocardico acuto) a sede
inferiore, a cui segue un ricovero
presso struttura per gli esami del
caso.
Esame obiettivo e indagini
diagnostiche
Durante il ricovero, in seguito
alla presenza di astenia profonda non giustificata dal pregresso IMA, effettua un esame TC, in
cui vengono evidenziate adenomegalie diffuse in sede ascellare, latero-cervicale, sovraclaveare, mediastinica e addominale,
con splenomegalia. Per il
sospetto di malattia linfoproliferativa il paziente è stato sottoposto a esame bioptico di linfonodo inguinale destro, su cui è
stata posta diagnosi di linfoma
non Hodgkin mantellare (MCL),
stadio IV B/alto rischio MIPI,
secondo i criteri WHO (luglio
2011). A completamento del
quadro diagnostico viene sottoposto a biopsia osteomidollare,
il cui esito ha evidenziato positività per localizzazione di processo linfomatoso. Durante la
degenza, all’esame neurologico,
si verifica il riscontro di sindrome piramido-extrapiramidale
non locale e versamento pleurico destro, a cui è seguito esame
citologico negativo per la presenza di cellule tumorali maligne. Al momento della diagnosi
il paziente si presenta in condizioni fisiche scadenti (ECOG 34) e dimagrimento di circa 5 kg
nell’ultimo mese.
Approccio terapeutico
Nell’agosto 2011 il paziente viene considerato non candidabile
a trattamento di prima linea con
schema R-CHOP e quindi avviato a terapia secondo lo schema
R-bendamustina (rituximab 375
mg/m2 giorno 1 e bendamustina 90 mg/m2 giorni 1 e giorno 2)
ogni 28 giorni, per un totale di 6
cicli, con somministrazione di
rituximab al giorno +8 per il primo ciclo. Dopo il primo ciclo il
paziente è andato incontro a un
episodio di neutropenia (grado
4), durante il quale ha sviluppato una polmonite; a causa dell’insorgenza della complicanza
infettiva ha posticipato il secondo ciclo di terapia e ha proseguito i successivi cicli con
aggiunta di fattori di crescita
mieloidi. Dopo il terzo ciclo di
terapia (novembre 2011) lamenta dolori addominali e per questo viene sottoposto a ecografia
addominale, durante la quale
viene evidenziata una colecisti
normodistesa, settata, a pareti
ispessite. A questo riscontro
segue una terapia antibiotica e
la temporanea sospensione del
trattamento con R-bendamustina sino a risoluzione della sintomatologia addominale. Il quadro ecografico e l’esame obiettivo, dopo il terzo ciclo di trattamento con R-bendamustina,
mostravano comunque una
risposta parziale della malattia
al trattamento, con riduzione
delle linfoadenomegalie e splenomegalia di circa il 75%. Da
gennaio a marzo 2012 vengono
praticati gli altri 3 cicli di terapia
senza che il paziente andasse
incontro a complicanze infettive degne di nota.
17
F. CASTAGNA, S. IMPERA, U. CONSOLI
L’esame di r ivalutazione TC
post-trattamento ha mostrato
un quadro di remissione completa di malattia, con completa
risoluzione delle linfoadenomegalie e organomegalie. I l
paziente, dopo la terapia di prima linea, è rimasto offtherapy
per circa 16 mesi. A settembre
2013 va incontro a rapida progressione clinica di malattia con
incremento delle linfoadenomegalie profonde e organomegalie, il quadro clinico risulta
essere compatibile con una
variante più aggressiva di MCL
(trasformazione blastoide), però
non confermata istologicamente per l’assenza di linfoadenomegalie superficiali e l’impossibilità di sottoporre il paziente a
prelievo di linfonodi addominali profondi. A causa della rapida
progressione della malattia e
dell’incandidabilità del paziente al trattamento con alte dosi,
viene sottoposto, in condizioni
di urgenza, a un ciclo di chemioterapia secondo lo schema RCHOP (rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina,
prednisone). Il paziente è deceduto per IMA (infarto miocardico acuto) qualche giorno dopo
l’inizio della terapia.
18
Discussione del caso e
razionale delle scelte
terapeutiche
Il MCL rappresenta un’entità relativamente rara tra le neoplasie
ematologiche, con un’incidenza
che si aggira intorno al 6% di tutti i linfomi non Hodgkin e circa
300 casi diagnosticati in Italia
ogni anno (1). Nonostante ciò
questo tipo di linfoma è stato
estremamente ben caratterizzato dal punto di vista biologico,
genetico, istologico, immunofenotipico e clinico.
Nel corso degli anni Novanta e
nella prima decade del millennio
i progressi nel campo del MCL
sono stati molto rapidi e hanno
investito il campo biologico, biotraslazionale e clinico. Ad oggi è
forse il linfoma in cui si è raggiunta la massima integrazione tra
questi aspetti e proprio questa
integrazione rappresenta la base
dei significativi successi ottenuti
in termini di risposta clinica e
sopravvivenza (2). Per questi
motivi il MCL è una neoplasia, il
cui trattamento adeguato richiede elevata accuratezza diagnostica, attento monitoraggio clinico
e scelte terapeutiche mirate e
spesso intensive ed è pertanto
meritevole di trattamento in
ambito specialistico assai più di
altri istotipi di linfoma di più
comune riscontro.
Le opzioni terapeutiche nel MCL
sono rappresentate da diversi
farmaci, che hanno dimostrato
avere una buona efficacia clinica.
Tra questi vi è il rituximab (3), la
lenalidomide (4), la talidomide
(4), il bortezomib (5), la bendamustina (3), l’everolimus (6) e
altri sono in via di sviluppo, come
il Cal-101 (7) e il blinatumomab
(8). Soprattutto la bendamustina,
in associazione al rituximab, sembra aver dato ottimi risultati in
pazienti con MCL non ancora sottoposti a terapia. Recenti dati,
presenti in letteratura, dimostrano infatti come la bendamustina,
associata a rituximab (B-R), è più
efficace e meglio tollerata dell’attuale standard di trattamento RCHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone e
rituximab), nei pazienti con MLC
di nuova diagnosi, non ancora
sottoposti a terapia. In particolare la sopravvivenza libera da progressione di malattia, nei pazienti trattati con bendamustina più
rituximab (B-R), si è rivelata più
che doppia (69,5 verso 31,2 mesi)
rispetto a quelli trattati con R-
LA BENDAMUSTINA NEL LINFOMA MANTELLARE
CHOP (3). Uno dei principali vantaggi, riguardo l’uso della bendamustina, è legato alla ridotta tossicità, che consente quindi l’utilizzo di una linea di trattamento
efficace anche nel paziente
anziano o estremamente fragile.
Il caso clinico descritto in precedenza dimostra come la benda-
mustina, in associazione con il
rituximab, possa rappresentare
un’alternativa terapeutica efficace e praticabile nel paziente fragile con importanti comorbidità
per il MCL di nuova diagnosi. In
quest’ottica la sorprendente
attività e la limitata tossicità di
uno schema di induzione conte-
nente bendamustina potrebbe
presto considerarsi fra le terapie
di prima linea del paziente anziano; è prevedibile, quindi, nei
prossimi anni un incremento
nell’utilizzo di questo farmaco,
anche in schemi integrati con
nuove molecole.
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indolent, and mantle cell lymphomas: final
results of a randomized phase III study of
19
Trattamento con bendamustina in un paziente anziano e
con comorbidità affetto da recidiva indolente di linfoma
non Hodgkin diffuso a grandi cellule B
M. Arcamone, E. Morelli
S.C. di Ematologia Oncologica e Trapianto di Cellule Staminali, Dipartimento di Ematologia, Istituto Nazionale
Tumori, Fondazione ‘G. Pascale’, IRCCS, Napoli
Presentazione del caso
Paziente e anamnesi
Il caso clinico riguarda una donna di 75 anni che, in anamnesi
patologica remota presenta,
come comorbidità, una epatopatia HCV+ e un’ipertensione arteriosa in trattamento farmacologico. Ad aprile 2006 la paziente
giunge alla nostra osservazione
per la comparsa di noduli cutanei
agli arti superiori e all’addome.
L’asportazione chirurgica di un
nodulo cutaneo permette di porre diagnosi di linfoma non
Hodgkin diffuso a grandi cellule
B, Ki67 50%.
Esame obiettivo e indagini
diagnostiche
La paziente si presenta in buone
condizioni cliniche generali, sono
assenti sintomi sistemici di
malattia; all’esame obiettivo
sono evidenti noduli sottocutanei agli arti superiori e al tronco
di diametro variabile tra 1 e 2 cm
e una lieve epatosplenomegalia.
Gli esami ematochimici di routine e l’LDH risultano nella norma.
L’elettrocardiogramma mostra
un ritmo sinusale con una FE del
60% all’ecocardiogramma. A
20
completamento della stadiazione viene eseguita una biopsia
osteomidollare, che evidenzia un
infiltrato linfomatoso a carico del
midollo osseo. La PET e la TAC
total body confermano la presenza di localizzazioni di malattia
nel contesto della cute del tronco
e degli arti superiori e di alcune
localizzazioni linfonodali centimetriche in sede laterocervicale
destra e ascellare bilaterale. Sulla
base degli esami di stadiazione la
malattia viene classificata in uno
stadio IVA.
Approccio terapeutico
La paziente inizia una chemioterapia con rituximab e CHOP
(ciclofosfamide, doxorubicina,
vincristina e prednisone) per 6
cicli totali (un ciclo ogni 21 giorni) con discreta tolleranza. La
PET e la TAC total body, eseguite
al termine della terapia, evidenziano un quadro di remissione
completa e la paziente viene
pertanto avviata al follow-up
ambulatoriale.
A novembre 2008 si presenta
una recidiva di malattia con
ricomparsa delle lesioni cuta-
nee e linfonodali: la biopsia di
un nodulo cutaneo, localizzato
al fianco sinistro, conferma la
diagnosi precedente di linfoma
non Hodgkin diffuso B-cellulare.
La biopsia osteomidollare risulta essere negativa per infiltrazione, mentre alla TAC e alla PET
total body si evidenziano numerose piccole localizzazioni nel
contesto della cute del tronco e
degli arti superiori, linfoadenopatie in sede laterocervicale
bilaterale, sovraclaveare sinistra, ascellare destra e otturator ia destra di circa 2 cm. La
paziente pertanto, a gennaio
2009, inizia una 2° linea di chemioterapia secondo lo schema
RGIFOX (rituximab 375 mg/m2 g
1, gemcitabina 1.000 mg/m2 g 2,
oxaliplatino 130 mg/m 2 g 3 e
ifosfamide 5.000 mg/m 2 frazionato in tre giorni dal giorno 3 al
giorno 5).
Al terzo giorno del 2° ciclo RGIFOX, durante l’infusione dell’ifosfamide, la paziente presenta una grave crisi ipertensiva (PA
230/130 mmHg) associata a
parestesie al labbro superiore
sinistro e all’arto superiore sinistro senza segni di lato.
Tale sintomatologia si risolve
M. ARCAMONE, E. MORELLI
dopo terapia medica opportuna
e si decide di non praticare le
somministrazioni di ifosfamide
relative al giorno 3 e 4. Il 3° ciclo
di terapia viene effettuato senza
l’ifosfamide (RGEMOX) e, successivamente, la paziente pratica una TAC e una PET total body,
che mostrano la remissione
completa della malattia ematologica e anche la biopsia osteomidollare risulta negativa per
infiltrazione.
In considerazione della tossicità
cardiologica, dell’età e del quadro di remissione completa, la
paziente esegue 4 somministrazioni settimanali di rituximab a
consolidamento terapeutico e
viene nuovamente avviata ai
controlli di follow-up.
Valutazione a distanza e
aggiustamenti
terapeutici
Nel luglio 2011 la PET-FDG total
body di controllo evidenzia un
iperaccumulo in corrispondenza
di un’area di ispessimento in
regione sottocutanea all’ipocondrio sinistro (SUVmax 7) e a livello
dei tessuti molli che si sviluppano
tra l’arco posteriore delle ultime
coste di destra (SUVmax 7,4): in tale
ultima sede si pratica un nuovo
accertamento bioptico e si pone
diagnosi di linfoma non Hodgkin
tipo MALT con presenza anche di
grandi cellule,CD20 negativo.
Contemporaneamente ai controlli
ematochimici si evidenzia un
incremento delle transaminasi e
degli indici di colestasi e la determinazione dell’HCV-RNA quantitativo mostra una carica virale
aumentata (9,25 E+6). La paziente
pertanto, in considerazione dell’istologia indolente e della riattivazione dell’epatopatia, viene affidata all’epatologo per la terapia
medica specifica. A marzo 2012 la
PET di controllo è immodificata
rispetto alla precedente, la paziente è asintomatica e l’HCV-RNA
quantitativo è pari a 7,26 E+6.
La paziente continua la terapia
medica in atto per l’epatopatia e a
settembre 2012 l’HCV-RNA quantitativo mostra un valore di 1,44 E+6,
le transaminasi e gli indici di colestasi risultano nella norma.
Alla PET total body però si evidenzia un incremento dell’iperaccumulo nelle sedi cutanee precedentemente segnalate (SUVmax 13,5)
con comparsa anche di nodulazio-
ni linfonodali in sede sottomandibolare e nucale sinistra (SUVmax 7).
Considerata la perdita del CD20 e
la problematica epatica, si programma terapia di 3° linea con
bendamustina, inizialmente alla
dose di 90 mg/m2 g 1-2 ogni 28
giorni. Dopo i primi due cicli di
terapia, data l’ottima tolleranza in
assenza di alterazioni della funzionalità epatica, si aumenta la dose
di bendamustina a 120 mg/m 2.
Dopo il terzo ciclo una PET/CT
mostra già una RC di malattia.
La paziente pratica 6 cicli complessivi di bendamustina con profilassi
antibiotica (levofloxacina 500 mg 1
cp/die per 5 giorni dal g+7, trimetropim/sulfametossazolo 1 cp/2
volte al giorno per 2 giorni a settimana), antivirale (valaciclovir
1 g/die per 7 giorni al mese) e antimicotica (fluconazolo 200 mg/die
per 5 giorni dal g+7).
Un fattore di crescita granulocitario (lenograstim) viene somministrato al giorno +7 di ogni ciclo per
4 giorni. La rivalutazione finale, al
termine dei 6 cicli (eseguita a marzo 2013) mostra la remissione
completa della malattia linfomatosa. La paziente viene quindi nuovamente avviata al follow-up clinicolaboratoristico-strumentale e l’ul-
21
TRATTAMENTO CON BENDAMUSTINA IN UN PAZIENTE ANZIANO E CON COMORBIDITÀ AFFETTO DA
RECIDIVA INDOLENTE DI LINFOMA NON HODGKIN DIFFUSO A GRANDI CELLULE B
timo controllo PET/CT di
novembre 2013 conferma lo
stato di RC.
Discussione del caso e
razionale delle scelte
terapeutiche
L’outcome dei pazienti con
linfoma non Hodgkin recidivati
o refrattari alle terapie di salvataggio è sfavorevole, in particolare nei pazienti anziani e con
comorbidità. La bendamustina,
in combinazione o meno con il
rituximab, ha un ottimo profilo
di tossicità, non mostra crossresistenza con altri farmaci citotossici ed è attiva nei linfomi
non Hodgk in refrattar i agli
agenti chemioterapici convenzionali coma la ciclofosfamide,
doxorubicina ed etoposide (1).
La dose e la schedula di trattamento ottimale non sono ancora state stabilite: nei diversi
lavor i la dose var ia da 100
mg/m2 a 120 mg/m2 per 2 giorni come agente singolo e da 70
mg/m2 a 90 mg/m2 per 2 giorni
quando somministrato in associazione con il rituximab, ogni 3
o 4 settimane (2).
22
Diversi sono gli studi che hanno
mostrato l’efficacia della bendamustina nel trattamento delle
recidive non solo di linfomi
indolenti (3,4) ma anche di
linfomi non Hodgkin diffusi a
grandi cellule B (5). In particolare, come nel caso specifico della
nostra paziente, la bendamustina si è mostrata efficace nel
trattamento di pazienti con
linfomi indolenti refrattari al
rituximab (6). Recentemente
uno studio multicentrico retrospettivo ha valutato l’efficacia
del trattamento con bendamustina, con o senza il rituximab, in
175 pazienti con vari istotipi di
linfoma non Hodgkin recidivati o
refrattari: 60 linfomi indolenti
non follicolari, 34 linfomi diffusi a
grandi cellule B, 48 linfomi follicolari, 30 linfomi mantellari e 3
linfomi a cellule T periferiche (7).
Il trattamento è stato ben tollerato e non è stata necessaria
alcuna riduzione di dose, l’ORR è
stata del 71% (CR 52%, PR 72%)
e la mediana della PFS di 11
mesi. La tossicità ematologica
(neutropenia, anemia e piastrinopenia) è stata principalmente
di grado 0/1/2. La bendamustina si sta dimostrando interes-
sante anche in prima linea.
Rummel ha condotto uno studio di fase III di confronto tra RCHOP e R-bendamustina in
pazienti naive affetti da linfomi
indolenti e mantellari (8): in
questo studio la percentuale di
risposta è stata simile nei due
bracci, ma la durata dell’efficacia del trattamento in termini di
PFS è stata a vantaggio del braccio RB (PFS di 69,5 mesi nel
braccio RB vs 31,2 mesi nel braccio R-CHOP con un follow-up
mediano di 45 mesi), indicando
l’associazione RB come un’alternativa efficace e meno tossica
rispetto allo schema R-CHOP nel
trattamento di 1° linea di
pazienti unfit, in par ticolare
anziani e con comorbidità. Nella
nostra paziente, anziana, estremamente fragile, pesantemente
pretrattata e plurirecidivata, era
necessario utilizzare un farmaco
che fosse allo stesso tempo efficace e poco tossico e la scelta
della bendamustina si è rilevata
ottimale, permettendo di ottenere, anche se il follow-up è
ancora breve, una remissione
completa con una buona tolleranza ematologica ed extraematologica.
M. ARCAMONE, E. MORELLI
Bibliografia
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patients with rituximab refractory, indo-
randomized, phase III non-inferiority trial.
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lent B-cell non-Hodgkin lymphoma.
Lancet 2013;381(9873):1203-1210.
Anticancer
Drugs
23
Efficacia e sicurezza della combinazione di bendamustina
e rituximab come trattamento di prima linea
nel paziente cardiopatico affetto da linfoma non Hodgkin
aggressivo tipo DLBCL
E. Vigna, F. Morabito
U.O.C. di Ematologia Azienda Ospedaliera di Cosenza
Presentazione del caso
Paziente e anamnesi
Il paziente A.F., maschio di 72 anni,
giungeva alla nostra osservazione
nell’Aprile 2013 per il riscontro di
tumefazione all’emicostato sinistro e in sede ascellare sinistra.
All’anamnesi patologica remota
segnalava:
• fumatore dall’età di venti anni;
• portatore di pace maker per
fibrillazione atriale bradicardica
in cardiomiopatia dilatativa con
severa disfunzione sistolica del
ventricolo sinistro (FE 24%);
• sindrome disventilatoria di grado lieve/moderata.
Esame obiettivo e indagini
diagnostiche
Il paziente si presentava in discrete condizioni generali e non riferiva la presenza di sintomi sistemici. All’esame obiettivo mostrava
adenomegalie ascellari sinistre
del diametro massimo di 4 cm e
una tumefazione all’emicostato
sinistro di circa 8 cm. Gli esami
ematochimici mostravano: leucociti 4.560/mm3 con normale formula leucocitaria, emoglobina
13,6 g/dL, piastrine 122.000/mm3,
LDH 1472 UI/L (v.n. <500 UI/L)
beta-2 microglobulina 0,4 mg/dL
24
(v.n. <0,2 mg/dL). Il paziente veniva quindi sottoposto a indagini di
imaging quali la TAC e la PET total
body. Tali indagini mostravano la
presenza di adenopatie ascellari
sinistre di 5,3 cm e una vistosa
alterazione strutturale dei
muscoli della parete toracica sinistra, che si presentavano tumefatti con un processo infiltrativo
parenchimale con un SUV massimo di 12. Il paziente viene sottoposto a biopsia della voluminosa
massa della parete laterale dell’emitorace sinistro, che pone diagnosi di linfoma non Hodgkin di
derivazione dei linfociti B periferici, aggressivo tipo DLBCL (Ki67
70%); veniva inoltre eseguita una
biopsia ossea negativa per localizzazione linfomatosa.
Approccio terapeutico,
valutazione a distanza e
aggiustamenti
terapeutici
In considerazione della grave cardiopatia di base, il paziente veniva
sottoposto a valutazione cardiooncologica che poneva una controindicazione assoluta all’esecuzione di chemioterapia secondo
protocolli che contemplino la pre-
senza di antracicline e ciclofosfamide. Nel maggio 2013 veniva iniziato un trattamento con l’associazione di rituximab 375 mg/m2 al giorno 1 del I° ciclo e bendamustina
90 mg/m2 giorni 2-3 ogni 28 giorni,
con monitoraggio di NT-Pro-BNP in
basale e ogni 4 settimane troponina prima di ogni ciclo di chemioterapia. La terapia prevedeva, inoltre,
una profilassi antimicrobica con trimetoprim/sulfametossazolo e aciclovir e G-CSF in caso di neutropenia. La terapia è stata somministrata regolarmente ogni 28 giorni;
durante i 6 cicli di trattamento previsti non si sono verificate alterazioni degli indici di danno miocardico
e la terapia nel complesso è stata
ben tollerata. La rivalutazione strumentale, eseguita al termine del
trattamento con TAC e PET, ha
mostrato un quadro di remissione
completa. Pertanto, da Ottobre
2013, il paziente riprendeva il suo
follow-up.
Discussione del caso e
razionale delle scelte
terapeutiche
Il caso clinico presentato è il caso
di un linfoma non Hodgkin
aggressivo. In questo gruppo di
E. VIGNA, F. MORABITO
pazienti l’avvento del rituximab ha
rappresentato un significativo
miglioramento non solo in termini
di risposte ottenute ma anche in
termini di durata della stessa, validando la combinazione di chemioterapia e immunoterapia.
Inoltre i dati di letteratura documentano che un trattamento con
antracicline rappresenta il gold
standard per questi tipi di linfomi.
Tuttavia in considerazione della
grave cardiopatia di base del
nostro paziente, con severa disfunzione sistolica del ventricolo sinistro (FE 24%) che poneva una controindicazione assoluta all’esecu-
zione di chemioterapia con antracicline e ciclofosfamide, si è deciso
di cambiare la terapia d’induzione
a favore di un regime non cardiotossico come bendamustina, con
cui sono ormai note l’efficacia e la
sicurezza nel paziente pluritrattato
con DLBCL (1-3); in realtà essa si sta
dimostrando interessante anche
in 1° linea. Rummel ha condotto
uno studio di fase III di confronto
fra bendamustina più rituximab
(BR) e R-CHOP in pazienti con
linfoma non-Hodgkin indolente e
mantellare (4). L’associazione B-R
in pazienti con linfoma nonHodgkin indolente e mantellare
raddoppia la sopravvivenza libera
da progressione di malattia (PFS),
rispetto al trattamento standard
CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone) più
rituximab (R-CHOP). Secondo
quanto riportato nello studio, la
PFS mediana dei pazienti trattati
con B-R è infatti stata di 69,5 mesi,
contro 31,2 mesi di quelli trattati
con R-CHOP, il regime chemioimmunoterapico più comunemente
impiegato per queste patologie.
Quindi la combinazione B-R è una
valida alternativa allo schema RCHOP in paziente unfit in particolare anziani e con comorbidità.
plete remissions of both diseases by
rituximab-bendamustine regimen combined to hypomethylating therapy. J
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3. Ohmachi K, Niitsu N, Uchida T et al.
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or refractory diffuse large B-cell lymphoma. J Clin Oncol 2013;31(17):2103-2019.
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Simultaneous occurrence of large B-cell
non- Hodgkin lymphoma and acute myeloid leukaemia in an elderly patient: com-
25
Trattamento con bendamustina in una paziente
con linfoma aggressivo plurirecidivato:
qualità della vita e alopecia
G. De Benedetta
S.C. di Ematologia Oncologica e Trapianto di Cellule Staminali, Dipartimento di Ematologia, Istituto Nazionale
Tumori, Fondazione ‘G. Pascale’, IRCCS, Napoli
Presentazione del caso
Paziente e anamnesi
A Laura viene diagnosticato, nel
Gennaio 2011 presso una diversa
istituzione, un linfoma primitivo
del mediastinico (CS IIXA). Dopo
una prima linea di trattamento
con R-CHOP14 (rituximab-ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina,
prednisone) per sei cicli, non
seguito da radioterapia, viene
ottenuta una remissione parziale
con residuo di malattia a livello
mediastinico.
A un follow-up di 4 mesi dopo la
fine della chemioterapia, una PET
di controllo evidenzia incrementate captazioni FDG a livello mediastinico e dei linfonodi latero-cervicali bilateralmente e la paziente si
rivolge al nostro Centro per una
terapia di salvataggio.
Vengono quindi eseguiti 3 cicli di
chemioterapia R-GIFOX (rituximab, gemcitabina, ifosfamide, oxaliplatino) seguiti da raccolta di cellule staminali periferiche. A un
controllo PET pre-trapianto si evidenzia un incremento della captazione a livello dei linfonodi laterocervicali bilateralmente, del
mediastino anteriore in sede prevascolare, del segmento basale del
lobo superiore del polmone
26
destro e in sede submantellare.
Vengono quindi eseguiti due ulteriori cicli di un regime infusionale
continuo integrato da bortezomib, ottenendo una risposta parziale. Resa edotta del risultato
insoddisfacente di questa ulteriore linea terapeutica, Laura è stanca, chiede del tempo per ‘riposarsi’
e decidere se sottoporsi a un altro
trattamento citoriduttivo. Dopo
tre mesi di follow-up Laura, in stabilità strumentale di malattia, e a
fronte di un’articolata serie di
interventi di supporto psicologico,
si dice pronta ad affrontare un’ulteriore linea di terapia, purché gli
effetti collaterali siano da lei considerati accettabili.
In particolare chiede se esistono
farmaci che non le ‘facciano cadere ancora i capelli che stavano
appena ricrescendo…’ Allo scopo
di continuare un trattamento attivo di citoriduzione, per eventualmente procedere al trapianto
autologo, le viene proposta una
terapia con bendamustina e rituximab. Laura accetta.
hanno 2 bambine di 4 e 7 anni. Da
quando sono sposati vivono in
Sicilia per il lavoro di Salvatore e
vedono le famiglie d’origine solo
nei periodi di festa. Laura ha una
sorella che, separata dal marito,
vive con i genitori. La madre è una
donna molto attiva mentre il
padre, più anziano, vive ritirato dal
mondo. I genitori di Salvatore
sono da poco pensionati e si dedicano ai nipoti nati dalle due figlie,
sorelle di Salvatore. Quando Laura
si ammala decide di curarsi nella
città in cui vive. Se tornasse nel
paese d’origine avrebbe l’aiuto dei
familiari, ma preferisce non cambiare troppo le abitudini della sua
famiglia. Il marito lì lavora e poi le
bambine sono piccole. Solo in
occasione della progressione di
malattia, Laura e il marito decidono di tornare al paese d’origine e
vanno a vivere a casa dei genitori
di Salvatore. Laura sente di non
avere la forza di affrontare nuove
cure senza l’aiuto dei familiari.
Approccio terapeutico
Storia familiare
Laura ha 38 anni ed è sposata con
Salvatore da 12 anni. Si sono conosciuti e fidanzati sui banchi di
scuola e non si sono più separati,
Laura è una donna dolce ma forte
che ha dedicato la sua vita alla
cura del marito e delle figlie.
Quando si è ammalata ha affronta-
G. DE BENEDETTA
to le cure con grande dignità. I lunghi ricoveri, gli effetti collaterali,
niente sembrava toglierle la voglia
di combattere per guarire, per tornare ad occuparsi delle figlie. In
letteratura per descrivere il dolore
oncologico si usa ormai l’espressione “dolore totale”, designando
quell’insieme di mali che coinvolgono gli aspetti fisici, quelli emotivi e quelli relazionali. Infatti il dolore è un fenomeno soggettivo,
misurabile con vari strumenti, che
presenta notevoli variazioni da
persona a persona.
Soffrire implica un patimento intimo, spesso connesso alla tolleranza delle frustrazioni, al ridimensionamento del senso di onnipotenza, al riconoscimento dei propri
limiti (1).
Laura nei nostri colloqui mostrava
tutta la sua sofferenza, mentre con
la famiglia mascherava molto le
sue emozioni. Continuava a prendersi cura di tutti loro, cercava di
proteggerli dalla sofferenza. La
sua più grande preoccupazione
erano le figlie. E questa preoccupazione cresceva con il passare
del tempo. Laura amava occuparsi
delle due bambine, passare il suo
tempo con loro, e il non poterlo
più fare era il suo dolore più grande. Inoltre pensava alla sofferenza
che causava loro, proprio lei che
avrebbe voluto proteggerle.
Per tutto il tempo delle prime
linee di terapia antineoplastica era
riuscita a nascondere, alle figlie, la
caduta dei capelli. Aveva utilizzato
una parrucca uguale ai suoi capelli e stava sempre attenta a che le
bambine non la toccassero e non
la vedessero senza.
Da donna pratica e concreta non si
era mai lamentata con nessuno
della perdita dei capelli, ritenendolo uno scotto necessario alla
guarigione, ma ciò nonostante
non lo aveva affatto accettato. Era
sicura che le figlie sarebbero state
traumatizzate vedendola senza
capelli e non poteva tollerarlo. Allo
stesso tempo era sempre in tensione per la paura che se ne accorgessero.
Dopo l’insuccesso dell’ultima terapia di salvataggio era comprensibilmente angosciata all’idea di
affrontare un nuovo percorso di
cura. Nel colloquio successivo alla
comunicazione della recidiva mi
disse che era disposta a tenersi
nausea e vomito ma non voleva
perdere di nuovo i capelli che avevano ricominciato a crescere. Non
era sicura di riuscire nuovamente
a nascondersi alle figlie.
Durante i colloqui questa sensa-
zione è diventata una certezza e
ha chiesto un aiuto per parlare con
loro. Non sapeva come poter
gestire la situazione e il marito, pur
totalmente collaborativo, non
contribuiva nelle scelte, dicendole
che andava bene qualunque cosa
lei volesse fare. Con l’aiuto di una
favola creata per facilitare i genitori nel compito di raccontare ai figli
la malattia le due piccole sono state informate del perché dei nuovi
ricoveri, del catetere venoso centrale (che in precedenza non era
stato utilizzato) e della caduta dei
capelli (2). Per quanto questo
intervento avesse migliorato la
qualità di vita di Laura lei provava
ancora un grande disagio misto a
vergogna, certo ora poteva rilassarsi anche quando giocava con
loro senza più il timore che scoprissero il suo segreto, ma continuava a usare sempre la parrucca
preferendo che loro non la vedessero calva. In un’occasione la figlia
più piccola la vide senza parrucca
e le disse di rimettersi i capelli perché era brutta senza. Laura era
sconvolta quando mi ha raccontato questo episodio, ma la spontaneità e l’ingenuità della bambina
hanno aperto la strada a una
modalità più giocosa della madre
di rapportarsi alle piccole, permet-
27
TRATTAMENTO CON BENDAMUSTINA IN UNA PAZIENTE CON LINFOMA AGGRESSIVO PLURIRECIDIVATO:
QUALITÀ DELLA VITA E ALOPECIA
tendole di giocare a fare la magia
del mettere e togliere i capelli per
farle divertire.
Inutile descrivere la felicità del terminare il protocollo chemioterapico e l’angoscia dello scoprire una
ripresa di malattia. Laura e
Salvatore sono avviliti e sfiduciati, i
loro familiari non sono in grado di
sostenerli emotivamente, pur fornendogli un valido aiuto pratico.
Laura chiede ai medici di farle
qualunque cosa pur di guarire e
con i parenti sorride e dice che ce
la farà, non devono preoccuparsi.
Ma quando rimaniamo sole piange tutta la sua disperazione, ha
paura di non guarire e non vormale per le terapie e aggiunge con
voce sommessa che vorrebbe
morire con i suoi capelli in testa.
Fino a pochi anni fa l'efficacia di un
trattamento in oncologia veniva
valutata principalmente in termini
di sopravvivenza, considerando
l'allungamento della vita del
paziente, da un punto di vista
quantitativo, come l’unico obiettivo terapeutico (3).
Oggi le cose sono molto cambiate
e nelle scelte terapeutiche assume
sempre più peso la qualità di vita
del paziente. Ormai, quando si
deve decidere il trattamento più
adeguato per un paziente, si tende
28
a utilizzare quei protocolli clinici
con minori effetti collaterali che,
limitando la sofferenza, gli garantiscono una migliore qualità di vita.
Le terapie antineoplastiche si
accompagnano, infatti, a una serie
di effetti collaterali invalidanti e in
grado di interferire drasticamente
sulla qualità di vita dei pazienti,
inducendo un profondo disagio
psichico, oltre che fisico. È quindi
importante un accurato bilanciamento tra sopravvivenza e qualità
di vita, senza il quale vi è il rischio
che gli inconvenienti determinati
dalle terapie effettuate, interferendo pesantemente con lo stato di
benessere soggettivo della persona, finiscano con il far coincidere il
periodo di sopravvivenza con un
periodo di sofferenza indotto dalla terapia (4). Perdere i capelli per
quanto non comporti dolore fisico
genera grande sofferenza nella
persona per molteplici motivi: è
un cambiamento fisico che rimanda costantemente alla condizione
di malattia, è una condizione che
fa sentire brutti, coinvolge l’aspetto sociale in quanto rimanda inevitabilmente a una malattia oncologica e incide sulle relazioni familiari sia con il coniuge che con i figli
se piccoli.
A Laura viene proposto un nuovo
protocollo terapeutico con bendamustina e lei me ne parla con
grande entusiasmo, le hanno detto che non perderà i capelli.
Quando ritorna a ricovero mi racconta di quando ha comunicato
alle figlie la necessità di nuove
terapie e la figlia più grande le ha
detto, con grande serietà, che le
dispiaceva che ora perdeva nuovamente i capelli. Con grande soddisfazione ha potuto rispondere
che i capelli, questa volta, non
sarebbero caduti. Con il nuovo
trattamento Laura ha ottenuto
una remissione parziale della
malattia che, purtroppo, dopo il
trapianto autologo è andata nuovamente in progressione prendendo il sopravvento. Con le ulteriori terapie Laura ha nuovamente
perso i capelli insperatamente
riconquistati, le sue condizioni fisiche sono lentamente ma inesorabilmente peggiorate.
Discussione del caso e
razionale delle scelte
terapeutiche
Durante i nostri colloqui sono state affrontate tante tematiche, i
sogni infranti, le speranze deluse e
la voglia di poter pensare ancora a
G. DE BENEDETTA
un futuro. Oltre al rimpianto per le
bambine, il marito e gli altri affetti
Laura esprime più volte la delusione perché in tutto questo non avrà
neanche la soddisfazione di
andarsene con i suoi capelli. Le
sembra che questo leda la sua
dignità, come un nuovo affronto,
un’ulteriore sconfitta. Le compare
un sorriso tra le lacrime mentre
dice che una donna è pur sempre
una donna (5).
In genere si pensa che di fronte
al rischio di morire niente abbia
più importanza, mentre per i
pazienti tutto continua ad avere
importanza.
La storia di Laura ci ricorda che
fino a che una persona è viva tut-
ti gli aspetti della vita sono
importanti. La possibilità di ‘arrivare’ al trapianto senza un’ulteriore fase di alopecia è stata importante per Laura. Le ha offerto una
piccola ‘finestra’ di serenità, la
possibilità di rassicurare la figlia,
sempre molto colpita dalla perdita dei capelli della mamma e di
‘ricostruire’ parzialmente la sua
immagine corporea (5,6). La storia di questa paziente, al di là del
suo inevitabile esito, sottolinea
come, anche in fase avanzata di
malattia, la scelta di un farmaco
con un profilo di tossicità accettabile per il paziente, debba essere
accortamente valutata tenendo
conto che la ‘qualità della vita’ è
un concetto molto complesso,
ma che può essere riassunto e
sostanziato, a volte, anche da
cose apparentemente ‘piccole’.
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1997;5(2):139-143.
“La vita è fatta di piccole felicità
insignificanti, simili a minuscoli
fiori. Non è fatta solo di grandi
cose, come lo studio, l'amore, i
matrimoni, i funerali. Ogni giorno
succedono piccole cose, tante da
non riuscire a tenerle a mente né
a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità
appena percepibile, che l'anima
respira e grazie alla quale vive.”
Banana Yoshimoto, Un viaggio
chiamato vita, 2006.
Bibliografia
1. Ruggiero G, De Benedetta G. La funzione del dolore all’interno delle relazioni
familiari. In: Il dolore aspetti patologici e
psicopatologici. (A cura di Pellegrino F).
Mediserve Editoria e Formazione, Napoli,
2008, pp. 65-71.
2. G. De Benedetta, S. D’Ovidio, A. Pinto.“La
storia di Giorgio”. Favola illustrata per
comunicare sulla malattia con i figli dei
29
Alte dosi di chemioterapia secondo lo schema BeEAM in
un caso di linfoma non Hodgkin resistente alle
chemioterapie convenzionali
G. Messina
Centro Trapianti Midollo Osseo “A. Neri”, Azienda Ospedaliera “Bianchi-Melacrino-Morelli”, Reggio Calabria
Presentazione del caso
Paziente e anamnesi,
indagini diagnostiche ed
esame obiettivo
Una giovane di 26 anni veniva
valutata, presso la nostra
Struttura, per tosse stizzosa e febbre intermittente. La storia anamnestica risultava non significativa
e l’esame obiettivo del torace evidenziava un respiro aspro, soprattutto nei campi medio-basali di
entrambi i polmoni.
Non risultavano organomegalia,
né linfoadenopatie; l’esame emocromocitometrico risultava nella
norma, mentre le indagini ematochimiche rivelavano la presenza
di un discreto aumento della lattico-deidrogenasi (735 U/L) e della
VES (I° ora 35 mm). La giovane
veniva pertanto sottoposta alle
indagini strumentali di seguito
descritte.
• Rx torace: presenza di una
neoformazione occupante la
regione anteriore sinistra del
mediastino.
• PET total body: definisce la suddetta lesione come una zona a
elevata attività metabolica dal
diametro di 12 cm; nulla da
segnalare negli altri distretti
indagati.
30
• L’esame istologico delle biopsie
multiple, effettuate in sede
mediastinica, permetteva di porre diagnosi di linfoma non
Hodgkin diffuso a grandi cellule B
con aree di sclerosi, come da
linfoma primitivo del mediastino.
• La biopsia ossea concomitante
risultata negativa per infiltrazione di malattia.
Approccio terapeutico
Sulla scorta di questa diagnosi, la
giovane iniziava una chemioterapia secondo lo schema MACOP-B
(rituximab-ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, metotrexato,
bleomicina e prednisone), di cui
praticava 8 cicli poi sospesi per
severa tossicità neurologica. Alla
sospensione la rivalutazione di
malattia mostrava uno stato di “no
responder” e ha pertanto praticato
una chemioterapia di salvataggio
con R-IGEV (rituximab, ifofosfamide-gemcitabina-vinorelbina ), ben
tollerato con riduzione della lesione mediastinica di circa il 50%.
In considerazione della tossicità
accumulata, ma soprattutto per la
persistenza di malattia, si decideva
di avviarla a un programma di alte
dosi di chemioterapia, con reinfu-
sione di cellule staminali autologhe. La collezione delle cellule staminali è avvenuta attraverso la
somministrazione di alte dosi AraC (citarabina) e fattore di crescita
granulocitario. Lo schema di condizionamento utilizzato è stato il
BeEAM (bendamustina 160
mg/m2 nei giorni -7,-6; Ara-C 400
mg/m 2 e etoposide 200 mg/m 2
nei giorni -5,-4,-3,-2; melphalan
140 mg/m2 al giorno -1).
Al giorno 0 è avvenuta l’infusione
di cellule staminali autologhe pari
a 6x10 6 /kg di cellule CD34+.
Durante la citopenia, dovuta alla
chemioterapia, sono state osservate complicanze gastroenteriche
( WHO 1) e febbre ( WHO 2). La
necessità trasfusionale è stata
limitata a 2 concentrati piastrinici
da singolo donatore quando la
conta piastrinica è stata al di sotto
di 10.000/µl. L’attecchimento per
granulociti neutrofili >500/µl e per
piastrine 20.000/µl è stato documentato nei giorni +10 e +14,
rispettivamente.
Due mesi dopo l’esecuzione del
trapianto la rivalutazione della
malattia permetteva, per la prima
volta, di documentare il raggiungimento della remissione completa (RC). La trascurabile tossicità
ematologica osservata e il rilevan-
G. MESSINA
te impatto sulla malattia determinato dallo schema BeEAM permetterà, a breve, di avviare la stessa
giovane a trapianto allogenico da
donatore familiare aploidentico.
Discussione del caso e
razionale delle scelte
terapeutiche
È consolidato il concetto secondo
cui le alte dosi di chemioterapia
con rescue autologo di cellule staminali rappresentino un elemento
cardine nella strategia terapeutica
dei pazienti con disordini linfoproliferativi a prognosi sfavorevole.
Numerosi studi già pubblicati
hanno dimostrato l’efficacia di vari
schemi di condizionamento, quali
BEAM (BCNU, etoposide, Ara-C,
melphalan), che ne rappresenta il
capostipite, FEAM (fotemustina,
etoposide, Ara-C, melphalan)
TEAM (thiotepa, etoposide, Ara-C,
melphalan).
Recentemente Visani et al. hanno,
per primi, documentato risultati
non inferiori con lo schema BeEAM,
che prevede l’utilizzo della bendamustina testata a dosaggi scalari
partendo da 160 mg/m2 per 2 giorni fino a 200 mg/m2 in sostituzione
del BCNU (le nitrosouree carmustina) o della fotemustina o del thiotepa. In tale studio, condotto su 43
pazienti affetti da linfoma di
Hodgkin e non Hodgkin in fase
avanzata di malattia, lo schema
BeEAM, seguito dall’infusione di
cellule staminali autologhe, ha presentato un profilo di tossicità estremamente trascurabile, con mortalità correlata al trapianto dello 0%. Il
dato più sorprendente osservato,
in questo lavoro, è che il 9% di questi pazienti ha raggiunto, per la prima volta, solo dopo le alte dosi con
BeEAM, la RC. La scelta da parte del
nostro Centro, di utilizzare questo
schema, ha trovato spunto proprio
da quest’ultima osservazione, associata al fatto che la paziente non
solo non aveva mai risposto in
maniera veramente soddisfacente
alle chemioterapie convenzionali,
ma anche per la scarsa compliance
che la stessa giovane presentava,
ormai, nel perseguire questo tipo di
strategia terapeutica.
Con queste premesse, che meritano comunque ulteriori verifiche
presso la nostra Struttura, si
potrebbe considerare, per questa
coorte di pazienti, il BeEAM come
uno schema di condizionamento
propedeutico a un successivo trapianto allogenico.
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Numero 1/2014