Esperienze cliniche in ematologia sul territorio nazionale Volume 9 Indice Leucemia linfatica cronica: terapia di prima linea nell’anziano 5 E. Russo, M. Martelli L’efficacia della bendamustina nella leucemia linfatica cronica in prima linea 7 S. Trappolini, C. Bocci, G. Gini, M. Sampaolo, P. Leoni Bendamustina in associazione a rituximab nel trattamento di prima linea della leucemia linfatica cronica 9 E. Morelli, M. Arcamone Efficacia e sicurezza della combinazione di bendamustina e rituximab come trattamento di prima linea in un paziente anziano affetto da leucemia linfatica cronica complicata da anemia emolitica autoimmune 12 M. Gentile, F. Morabito Bendamustina come terapia di seconda linea in una paziente con linfoma follicolare dei tessuti molli 15 L. Gandolfi La bendamustina nel linfoma mantellare F. Castagna, S. Impera, U. Consoli 17 Trattamento con bendamustina in un paziente anziano e con comorbidità affetto da recidiva indolente di linfoma non Hodgkin diffuso a grandi cellule B 20 M. Arcamone, E. Morelli Efficacia e sicurezza della combinazione di bendamustina e rituximab come trattamento di prima linea nel paziente cardiopatico affetto da linfoma non Hodgkin aggressivo tipo DLBCL 24 E. Vigna, F. Morabito Trattamento con bendamustina in una paziente con linfoma aggressivo plurirecidivato: qualità della vita e alopecia 26 G. De Benedetta Alte dosi di chemioterapia secondo lo schema BeEAM in un caso di linfoma non Hodgkin resistente alle chemioterapie convenzionali G. Messina 30 Leucemia linfatica cronica: terapia di prima linea nell’anziano E. Russo, M. Martelli Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia, “Sapienza” Università di Roma Presentazione del caso Paziente e anamnesi, indagini diagnostiche ed esame obiettivo Una donna di 72 anni in buone condizioni generali si presentava, alla nostra attenzione, nel mese di Novembre 2010 per una linfocitosi assoluta, come di seguito indicato. • Hb12,8 g/dl, MCV85 fl, GB 11.620/mm 3 , N 3.800/mm 3 , L6.220/mm3, LUC660/mm3, PLT 268.000/mm3. • Assenza di sintomi B. • Esame obiettivo: assenza di linfoadenomegalie nelle stazioni superficiali e di organomegalie. • Striscio di sangue venoso periferico (SVP): piccoli linfociti maturi con scarso citoplasma, nucleo denso in assenza di nucleoli visibili e cromatina parzialmente addensata. • Immunofenotipo su SVP: l’analisi, condotta sulla popolazione linfoide del campione, rileva il 37% di elementi linfoidi B CD20/CD5/CD38/CD200 positivi, CD23 espresso nel 24% della popolazione linfoide B, ristretti per le catene leggere delle immunoglobuline di tipo k. • TAC cranio-collo-torace-addomepelvi: assenza di linfoadenopatie profonde. • Esami ematochimici: LDH e 2microglobulina nella norma. • Biopsia osteomidollare: impegno diffuso (40%) da malattia linfoproliferativa a fenotipo B a piccoli linfociti. Data l’assenza di sintomi sistemici, di linfoadenopatie e di citopenie, si decideva di tenere la paziente sotto osservazione, secondo un atteggiamento di “watch and wait”. La paziente non ha tuttavia eseguito i controlli programmati fino al mese di Settembre 2012, quando notava la comparsa di multiple adenopatie superficiali e una significativa perdita di peso per cui eseguiva gli esami di seguito indicati. • TAC cranio-collo-torace-addomepelvi: comparsa di tumefazioni linfonodali fino a 2,5 cm in tutte le stazioni linfonodali superficiali e profonde. • Hb 12,6 g/dl, GB 79.870/mm3, N 12.220/mm3, L 59.000/mm3, PLT 229.000/mm3. • LDH e 2-microglobulina >2 UNV. • Biopsia linfonodo sopraclaveare sinistro: leucemia linfatica cronica (LLC)/linfoma a piccoli linfociti con ampi centri chiari di proliferazione. • Immunoistochimica: CD20+ CD5+CD23+IRF4+, BCL1-ZAP70-, Ki67 pari a 10-15%. • 18-FDG-PET total-body: confermava tutte le localizzazioni di malattia (SUVmax 3,0). • Analisi molecolare dei geni IgVH: assetto mutato. • Analisi molecolare degli esoni 4,5,6,7,8,9 del gene TP53: assenza di mutazioni somatiche. Approccio terapeutico In considerazione dell’età e della scarsa compliance, pur in assenza di comorbidità e dell’evidente progressione clinica di malattia, la paziente veniva avviata a un programma di chemioimmunoterapia secondo lo schema rituximab (375 mg/m2)+bendamustina (90 mg/m2 g 1,2). La terapia è stata nel complesso ben tollerata a eccezione di nausea e anemia G1, neutropenia G2. I cicli di terapia sono stati eseguiti regolarmente ogni 28 giorni, senza riduzione del dosaggio dei farmaci. La paziente ha eseguito una profilassi primaria con G-CSF e una profilassi anti-Pneumocystis carinii con trimetoprim-sulfametossazolo. Dopo 9 giorni dall’inizio della terapia la conta linfocitaria ha mostrato una drastica riduzione da 59.000 a 2.260/mm3 con una 5 LEUCEMIA LINFATICA CRONICA: TERAPIA DI PRIMA LINEA NELL’ANZIANO normalizzazione della formula leucocitaria. La rivalutazione dopo i primi 4 cicli ha dimostrato una negatività della PET/TAC per malattia. La paziente ha rifiutato di eseguire ulteriori accertamenti su sangue periferico e su biopsia osteo-midollare e, in considerazione della buona risposta ottenuta, ha deciso di non eseguire gli altri due cicli di terapia previsti. Discussione del caso e razionale delle scelte terapeutiche All’epoca della diagnosi la paziente presentava uno stadio iniziale di malattia in assenza di sintomi e segni di attività; pertanto l’osservazione clinica rappresentava la migliore opzione. A due anni dalla diagnosi la malattia ha presentato una rapida progressione, caratterizzata da aumento della conta linfocitaria, comparsa di adenopatie diffuse e sintomi B sistemici, con incremento dell’LDH. La biopsia linfonodale ha escluso una trasformazione in linfoma a grandi cellule (sindrome di Richter). Nella scelta del trattamento abbiamo considerato le caratteristiche della paziente (anziana FIT ma con scarsa compliance ai controlli clinici, per cui non candidata a una terapia altamente immunosoppressiva) e della malattia (assenza di fattori prognostici sfavorevoli). Nel 2010 l’EMA ha approvato l’impiego di bendamustina per la terapia di prima linea di pazienti anziani con LLC non trattabili con fludarabina. In uno studio randomizzato di fase III bendamustina è risultata superiore a clorambucile in tutti gli endpoint valutati: la risposta globale è risultata superiore (68% vs 31%) con percentuali di remissione completa del 31% vs 2% e una sopravvivenza mediana libera da progressione di 21,2 mesi vs 8,8 mesi. Il conseguimento di risposte qualitativamente migliori si è tradotto in un miglioramento della sopravvivenza globale, in assenza di un impatto negativo sulla qualità di vita. La tossicità riportata è stata modesta: neutropenia severa pari al 23% con bendamustina vs 11% e infezioni maggiori nell’8% vs 3%. Inoltre in uno studio prospettico di fase II l’associazione di bendamustina con rituximab in prima linea si è dimostrata efficace e sicura e sono attualmente in corso studi randomizzati di confronto con la chemioimmunoterapia standard nel paziente anziano FIT (R-FC). Blood 2009; 114(16):3382-3391. • Eichhorst B, Hallek M & Dreyling M. Chronic lymphocytic leukaemia: ESMO clinical practice guidelines for diagnosis, treatment and follow-up. Ann Oncol 2010;21(Suppl. 5):v162-v164. • Fischer K, Cramer P, Busch R et al. Bendamustine in combination with rituximab for previously untreated patients with chronic lymphocytic leukemia: a multicenter phase II trial of the German Chronic Lymphocytic Leukemia Study Group. J Clin Oncol 2012;30(26):3209-3216. • Knauf WU, Lissichkov T, Aldaoud A et al. Phase III randomized study of bendamustine compared with chlorambucil in previously untreated patients with chronic lymphocytic leukemia. J Clin Oncol 2009;27(26):4378-4384. Bibliografia • Balducci L, Beghe C. The application of the principles of geriatrics to the management of the older person with cancer. Crit Rev Oncol Hematol 2000;35(3):147-154. • Eichhorst BF, Busch R, Stilgenbauer S et al. German CLL Study Group (GCLLSG). Firstline therapy with fludarabine compared with chlorambucil does not result in a major benefit for elderly patients with advanced chronic lymphocytic leukemia. 6 L’efficacia della bendamustina nella leucemia linfatica cronica in prima linea S. Trappolini, C. Bocci, G. Gini, M. Sampaolo, P. Leoni Clinica di Ematologia – Ospedali Riuniti – Ancona Presentazione del caso Paziente e anamnesi La nostra paziente, le cui iniziali sono C.G., è una pensionata di 70 anni, in buone condizioni generali. In anamnesi c’è solo da riferire una sindrome metabolica con ipertensione arteriosa in trattamento da circa 10 anni e una pregressa epatite B. Giungeva alla nostra attenzione per la prima volta nel 2008 a seguito di un riscontro all’esame emocromocitometrico di leucocitosi con linfocitosi. La paziente però si è sempre rifiutata di sottoporsi ad accertamenti midollari fino al 2012, quando abbiamo posto diagnosi di leucemia linfatica cronica, stadio 0, con VDJ riarrangiato e trisomia del cromosoma 12. Vista la malattia limitata, peraltro con fattori prognostici favorevoli, si decideva di avviare la paziente al solo follow-up. Esame obiettivo e indagini diagnostiche A gennaio 2013 assistiamo a un’evoluzione clinica a uno stadio II secondo RAI, con aumento della linfocitosi (64.000/mm3) e aumento delle linfoadenomegalie rilevate all’ecografia: linfonodi cervicali di diametro massimo di 3,8 cm, ascellari bilaterali di 5 cm, retroperitoneali di 5 cm, epatomegalia e splenomegalia di 16,5 cm. Bisognava pertanto pensare ad una strategia terapeutica efficace. Approccio terapeutico La paziente veniva avviata a un programma terapeutico che prevedeva 6 cicli di bendamustina-rituximab (RB) ogni 28 giorni (bendamustina 90 mg/m2 nei g.1-2, RB 375 mg/m2 al primo ciclo e 500 mg/m2 dal secondo ciclo), associati a profilassi con cotrimossazolo (sospeso precocemente per intolleranza della paziente e sostituito con pentamidina aerosol ogni 21 giorni) e chinolonico dal giorno +5, antivirale con valaciclovir e fattore di crescita granulocitario in profilassi secondaria. La paziente ha iniziato la terapia il 25 Febbraio 2013. Valutazione a distanza e aggiustamenti terapeutici È stata eseguita l’infusione dei primi 3 cicli senza alcun problema. Dopo il IV ciclo la paziente ha avuto un’importante sindrome influenzale con tosse produttiva, regredita dopo somministrazione di terapia antibiotica intramuscolo per una settimana. Il giorno in cui avrebbe dovuto subire l’infusione del V ciclo, si è presentata presso il nostro Day Hospital con un’importante neutropenia (180/mm3), che ci ha costretti a rinviare la terapia e a somministrare per 7 giorni il fattore di crescita granulocitario. La settimana successiva i neutrofili erano risaliti a 1.700/mm 3 ma il problema era diventato il conteggio piastrinico (<2.0000/mm3), per cui la terapia è stata dilazionata di un’altra settimana. Eravamo ormai arrivati a inizi Luglio e la paziente si presentava al nostro DH di nuovo con un’importante neutropenia (400/mm3). A quel punto abbiamo deciso di sospendere il programma terapeutico e, visto che i valori dei neutrofili non risalivano nonostante G-CSF, di sottoporre la paziente a una rivalutazione midollare che ha mostrato una buonissima risposta alla terapia e ha escluso la presenza di aplasia midollare chemioindotta. Anche l’ecografia ha mostrato la significativa riduzione di tutte le linfoadenomegalie precedentemente segnalate. Attualmente la paziente, a 6 mesi dal termine della terapia, risulta essere in remissione completa. 7 L’EFFICACIA DELLA BENDAMUSTINA NELLA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA IN PRIMA LINEA Discussione del caso e razionale delle scelte terapeutiche La nostra decisione sul fatto di utilizzare bendamustina può essere discutibile. Non abbiamo voluto far sottoporre la paziente ai soli cicli di chlorabucil–RB, data l’importante consistenza di malattia, e non ci siamo affidati al classico FCR (Ciclofosfamide, bendamustina e rituximab) per via delle preoccupazioni che avevamo riguardo alla sua tossicità. Ci siamo pertanto basati su uno studio, eseguito dal Gruppo Cooperativo tedesco (GCLLSG), che ha sottoposto 117 pazienti affetti da LLC al ciclo RB già dalla I linea. I risultati di questo studio si sono rilevati piuttosto significativi, con un tasso di risposta globale pari all’88% e una mediana di sopravvivenza libera di eventi di 33,9 mesi. I pazienti con trisomia del 12, proprio come la nostra paziente, mostravano un ORR pari al 94,7% (di cui in RC 21%). Inoltre il tasso di incidenza di infezioni severe si è rilevato essere molto basso (7,7%) rispetto al tradizionale ciclo FCR, mentre per quanto concerne la tossicità ematologica severa l’incidenza di neutropenia, trombocitopenia e anemia è stata documentata nel 19,7, 22,2 e 19,7% dei pazienti, rispettivamente (1,2). Ad avvalorare questa ipotesi vi è un abstract dell’ASH 2013, dove si paragona lo standard FCR con RB (studio CLL10, randomizzato): i risultati dell’interim analisi hanno mostrato una maggiore efficacia dell’FCR in prima linea per le LLC, sia per l’ORR, che per PFS e EFS; benché vi sia uno sbilanciamento nella distribuzione dei fattori di rischio a favore del gruppo FCR e il vantaggio sia bilanciato, invece, dall’alto tasso di eventi avversi che si verificano con l’FCR, in particolare neutropenia e infezioni (3). A dimostrazione dell’efficacia dell’RB è stato anche il fatto che la paziente ha ottenuto una risposta ottimale alla terapia nonostante abbia fatto 4 cicli invece dei preventivati 6. for the treatment of indolent non Hodgkin’s lymphoma and chronic lymphocytic leukemia. Am J Helath Syst Pharm 2010; 67(9):713-723. 3. Eichhorst B, Fink A, Busch R et al. Chemoimmunotherapy with fludarabine (F), cyclophosphamide (C), and rituximab (R) (FCR) versus bendamustine and rituximab (BR) in previously untreated and physically fit patients (pts) with advanced chronic lymphocytic leukemia (CLL): results of a planned interim analysis of the CLL10 trial, an international, randomized study of the German CLL Study Group (GCLLSG). Abstract 526, ASH 2013. Bibliografia 1. Fischer K, Cramer P, Busch R. et al. Bendamustine in combination with rituximab for previously untreated patients with chronic lymphocytic leukemia: a multicenter phase II trial of the German Chronic Lymphocytic Leukemia Study Group. JCO 2012;30(26):3209-3216. 2.Elefante A, Czuczman MS. Bendamustine 8 Bendamustina in associazione a rituximab nel trattamento di prima linea della leucemia linfatica cronica E. Morelli, M. Arcamone S.C. di Ematologia Oncologica e Trapianto di Cellule Staminali, Dipartimento di Ematologia, Istituto Nazionale Tumori, Fondazione ‘G. Pascale’, IRCCS, Napoli Presentazione del caso Paziente e anamnesi Paziente di 57 anni, donna. Nell’Aprile 2012 riceveva diagnosi di leucemia linfatica cronica (LLC) (RAI II/Binet B) con presenza dello stato mutato della regione variabile delle Ig, di delezione isolata della regione 13 (q14 q22) alla citogenetica tradizionale e in FISH e con un profilo immunoistochimico classico all’esame citofluorimetrico eseguito sia su sangue venoso periferico che su aspirato midollare. L’anamnesi era positiva per diabete mellito non insulino-dipendente in trattamento con ipoglicemizzanti orali. In assenza di sintomi e dei criteri di trattamento, la paziente veniva avviata a followup periodico. Nel Marzo 2013 si assisteva a una progressione di malattia con elevata linfocitosi (35,6x103/mcl) sviluppatasi in un periodo inferiore ai sei mesi di follow-up, in assenza di piastrinopenia e anemia ma con Test di Coombs diretto positivo (i valori di LDH, bilirubina totale diretta e indiretta e aptoglobina erano tutti nella norma). Alla TC total body si evidenziavano multiple linfoadenomegalie (di diame- tro massimo fino a 4 cm), senza segni di epatosplenomegalia. Ripetuti gli esami di citogenetica e citofluorimetria, non si evidenziavano variazioni del quadro iniziale, né erano presenti segni clinicolaboratoristici sospetti per una evoluzione in sindrome di Richter. Approccio terapeutico Alla luce dell’incremento della linfocitosi, delle linfoadenomegalie e della positività del test di Coombs diretto in assenza, comunque, di anemia emolitica autoimmune (AEA), si è deciso di avviare la paziente a trattamento immunochemioterapico optando per l’as sociazione bendamustina (90 mg/m2 g 1,2) più rituximab (375 mg/m2 g 1), per un totale di 6 cicli con riciclo a 28 giorni, terminati ad Agosto 2013. In considerazione del rischio di sindrome da lisi tumorale, il rituximab è stato somministrato a partire dal secondo ciclo e recuperato 28 giorni dopo l’ultimo. La terapia prevedeva profilassi antinfettiva con trimetropim/sulfametossazolo, aciclovir e fluconazolo; lenograstim dal giorno +7 per 4 giorni; allopurinolo con somministrazione bisettimanale per os come ipouricemizzante. La somministrazione di rituximab era preceduta da premedicazione con idrocortisone e clorfenamina maleato. Follow-up La terapia è stata molto ben tollerata, con ottima clearance della linfocitosi già dopo il primo ciclo (linfociti 1,1/x103/mcl). L’assenza di complicanze, prevalentemente, tossicità d’organo e neutropenie severe, ha permesso di mantenere, per tutto il trattamento, il timing previsto di 28 giorni. La TC total body di ristadiazione finale ha documentato una riduzione >50% delle linfoadenopatie, diminuzione peraltro già rilevata a un’ecografia addome, pelvi e stazioni linfonodali superficiali eseguita dopo il 4° ciclo. L’esame citofluorimetrico, eseguito su sangue venoso periferico e su aspirato midollare, ha evidenziato un immunofenotipo normale senza restrizione per catene leggere e la ricerca della clonalità della catena pesante delle Ig ha dato esito di policlonalità. L’assenza di alopecia iatrogena ha poi influito, in modo decisamente positivo, sul profilo psicologico e sulla compliance della paziente. 9 E. MORELLI, M. ARCAMONE Discussione del caso e razionale delle scelte terapeutiche La LLC è la più comune leucemia linfoide dell’adulto; è caratterizzata dalla presenza di cellule B clonali nel sangue, midollo osseo e tessuto linfonodale. Nonostante abbia prevalentemente un decorso indolente, la maggior parte dei pazienti richiede un intervento chemioterapico per trattare la patologia o le sue complicanze di natura prevalentemente autoimmunitaria, la più frequente delle quali è l’AEA. Tra le varianti farmaco-indotte, quelle riportate più di frequente sono correlate prevalentemente all’uso di fludarabina. La presenza, quindi, di un Test di Coombs diretto positivo, in assenza, comunque, di una conclamata AEA, ha indirizzato la nostra scelta verso uno schema terapeutico con bendamustina in associazione a rituximab, per quanto, sebbene più raramente, siano stati riportati anche casi di AEA bendamustinarelate (1). Gli agenti alchilanti, come il chlorambucil e la ciclofosfamide, sono stati il principale trattamento fino all’introduzione della fludarabina, 10 che ha significativamente migliorato il grado di risposta nei pazienti pre-trattati. In particolar modo il regime di polichemioterapia con fludarabina, in associazione a ciclofosfamide e rituximab (RFC), è attualmente il gold standard. Sebbene infatti l’anticorpo monocloanale anti-CD20 (rituximab) da solo abbia un’attività limitata nella LLC, il GCLLSG (German CLL Study Group) ha confermato nel trial CCL8 (FC vs RFC) che l’aggiunta del rituximab alla chemioterapia migliora significativamente la PFS e la OS (2). Sulla base di questi dati e su quelli del REACH Trial, il rituximab è stato approvato dalla FDA in associazione alla fludarabina e alla ciclofosfamide, per la terapia di I linea e in pazienti precedentemente trattati affetti da LLC. L’RFC è superiore sia alla sola fludarabina che all’associazione fludarabina più ciclofosfamide; è in ogni modo associato a un’alta incidenza di infezioni opportunistiche, mielosoppressione e possibile incremento nell’insorgenza di neoplasie secondarie. In realtà la frequenza di citopenia prolungata non appare essere significativamente differente tra i pazienti trattati con RFC e quelli trattati con FC. In entrambi i casi una prolungata citopenia sembra essere correlata a un più alto rischio di sviluppare SMD/LMA (sindromi mielodisplastiche/leucemia mieloide acuta) e a una prognosi peggiore (3). Alla base di questi dati c’è il razionale di trial clinici volti a testare l’efficacia di altri farmaci che abbiano, però, un profilo di tossicità migliore. La bendamustina è un antineoplastico che associa, nella sua struttura chimica, un agente alchilante (mostarda azotata) e un antimetabolita analogo delle purine. Questo farmaco, in monoterapia o in associazione con altri agenti, ha dimostrato un’efficacia clinica nei linfomi non Hodgkin a basso grado, compresa la LLC (4). I risultati di uno studio clinico di fase III, condotto su 301 pazienti naïve affetti da LLC, ha dimostrato una overal response rate (ORR) significativamente maggiore nei pazienti trattati con bendamustina rispetto a quelli trattati con chlorambucil (59% vs 26% P<0,0001). Anche la progression free survival (PFS) è risultata essere più lunga nel braccio bendamustina (17,6 mesi vs 5,7 mesi p<0,0001) (5). Inoltre studi retrospettivi hanno BENDAMUSTINA IN ASSOCIAZIONE A RITUXIMAB NEL TRATTAMENTO DI PRIMA LINEA DELLA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA anche dimostrato che la terapia di I linea con bendamustina e rituximab è molto efficace e ben tollerata sia nei pazienti pre-trattati che in quelli naïve (6). La difficoltà di comparare i risultati di questo studio di fase III, che prevede l’associazione bendamustina più rituximab verso altri regimi di polichemioterapia, come RFC o pentostatina, ciclofosmamide e rituximab, sta nella diversità dei fattori presi in considerazione nei vari trial. I pazienti arruolati nello studio BR non erano, ad esempio, ristretti per età, funzione renale o comorbidità, a differenza dei pazienti arruolati nello studio CLL8 (7); è quindi difficile concludere che l’efficacia dell’associazione BR sia almeno sovrapponibile a quella del RFC. A questo proposito è attualmente in corso uno studio di fase III del German CLL Study Group (GCLLSG), che mette a confronto la bendamustina in asso- ciazione a rituximab verso lo schema RFC nei pazienti affetti da LLC in I linea (8): “CLL10: Phase III Trial of combined immunochemotherapy with Fludarabine, Cyclofosphamide and Rituximab (FCR) versus Bendamustine and Rituximab (BR) in patients with Previously untreated Chronic Lymphocytic Leukemia” volto a valutare se la terapia con bendamustina più rituximab non sia inferiore a quella con RFC. and rituximab (FCR) related prolonged cytopenia is frequent and adverse factor affecting survival of patients with chronic lymphocitic leukemia (CLL). Blood 2012;120 Abstract: n° 1790. 4. Wu M, Akinleye A, Zhu X. Novel agents for chronic lymphocytic leukemia. Journal of Hematology & Oncology 2013;6:36. 5. Knauf WU, Lissitchkov T, Aldaoud A et al. Bendamustine compared with chlorambucil in previously untreated patients with chronic lymphocytic leukemia: updated results of a randomized phase III trial; BJH 2012;159(1):67-77. 6. Gunther SB G. Real world efficacy and safety of bendamustine with or without rituximab in treatment-naive patients with chronic lymphocytic leukemia. Blood 2012;120. Abstract n° 2905. 7. Fischer K, Cramer P, Busch R et al. Bendamustine in combination with rituximab for previously untreated patients with chronic lymphocytic leukemia: a multicenter phase II trial of the German Chronic Lymphocytic Leukemia Study Group. JCO 2012;30(26):3209-3216. 8. Wierda WG. Making advances in firstline chronic lymphocytic leukemia treatment. JCO 2012;30(26):3162-3163. Bibliografia 1. Goldschmidt N, Gural A, Ben-Yehuda D, Gatt ME. Short communication: bendamustinerelated hemolitic anemia in chronic lymphocytic leukemia. Cancer Chemother Pharmacol 2013;72(3):709-713. 2. Hallek M, Fischer K, Fingerle-Rowson G et al. International Group of Investigators; German Chronic Lymphocytic Leukaemia Study Group. Addition of rituximab to fludarabine and ciclofosfamide in patients with chronic lymphocytic leukemia: a randomized, open-label, phase III Trial. Lancet 2010;376(9747):1164-1174. 3. Petra Obrtlikova AJ, Siskova M, Cmunt E, Berkova A. Fludarabine, ciclofosfamide 11 Efficacia e sicurezza della combinazione di bendamustina e rituximab come trattamento di prima linea in un paziente anziano affetto da leucemia linfatica cronica complicata da anemia emolitica autoimmune M. Gentile, F. Morabito U.O.C. di Ematologia Azienda Ospedaliera di Cosenza Presentazione del caso Paziente e anamnesi Il paziente A.S., maschio di 74 anni, giungeva alla nostra osservazione nel Marzo 2009 per il riscontro occasionale di linfocitosi assoluta. All’anamnesi patologica remota segnalava: • appendicectomia eseguita nel 1950; • diabete mellito tipo II in trattamento con antidiabetici orali dal 2000; • ipertensione arteriosa in terapia con sartani dal 2002. Esame obiettivo e indagini diagnostiche Il paziente si presentava in buone condizioni generali e non riferiva la presenza di sintomi sistemici. All’esame obiettivo non mostrava alcuna adeno- e organomegalia. Gli esami ematochimici mostravano: leucociti 20.000/mm3 con linfociti 74%, emoglobina 14,1 g/dL, piastrine 205.000/mm 3 , LDH 360 UI/L (v.n. <500 UI/L) beta-2 microglobulina 0,1 mg/dL (v.n. <0,2 mg/dL). La valutazione citofluorimetrica dei linfociti 12 periferici mostrava un fenotipo CD5+/CD19+/ CD23+/kdim, compatibile con la diagnosi di leucemia linfatica cronica (LLC). Il paziente veniva quindi sottoposto a indagini di imaging, quali la radiografia del torace, l’ecografia dell’addome e dei linfonodi superficiali. Tali indagini non mostravano la presenza di adenopatie, la milza e il fegato risultavano di normali dimensioni. Lo studio dei fattori prognostici mostrava la negatività dell’espressione del CD38 e dello ZAP-70, lo stato non mutato dei geni IgVH e la presenza della delezione 13q14 all’esame FISH. Veniva quindi posta diagnosi di LLC in stadio A/0 secondo Binet e Rai e il paziente iniziava un regolare follow-up semestrale. nomegalie laterocervicali, ascellari, retroperitoneali e inguinali con diametro massimo di 3 cm e splenomegalia con diametro longitudinale pari a 19 cm riscontrate alla TC total body. Poiché gli esami ematochimici mostravano un’alterazione dei test di emolisi (bilirubina indiretta 3,8 mg/dL, LDH 750 UI/L, aptoglobina 5 mg/dL e reticolociti 5%), il paziente eseguiva il test di Coomb’s. Il test diretto risultava positivo di tipo IgG, pertanto veniva posta diagnosi di anemia emolitica autoimmune (AEA) in corso di LLC in progressione (stadio IV/C). Follow-up Veniva somministrata, inizialmente, una terapia con prednisone 1 mg/kg e successivamente, per la persistenza dell’anemia, immunoglobuline 1 g/kg giorni 1-2. Dato il persistere dell’emolisi il paziente nel Febbraio 2013, iniziava un trattamento chemioterapico con l’associazione rituxi- Nel Gennaio 2013 il paziente presentava una progressione di malattia caratterizzata da un incremento della linfocitosi (162.540/mm3) con tempo di raddoppiamento linfocitario inferiore ai 6 mesi, associato ad anemia (emoglobina 8,8 g/dL) e piastrinopenia (85.000/mm3), linfoade- Approccio terapeutico, aggiustamenti terapeutici e valutazione a distanza M. GENTILE, F. MORABITO mab 375 mg/m 2 giorno 8 del I ciclo e 500 mg/m2 giorno 1 dei II-VI cicli e bendamustina 70 mg/m2 giorni 1-2 ogni 28 giorni. La terapia prevedeva, inoltre, una profilassi antimicrobica con trimetoprim/sulfametossazolo e aciclovir e G-CSF in caso di neutropenia. Durante i 6 cicli di trattamento previsti il paziente presentava 2 episodi di neutropenia di grado IV (al ciclo V e VI) risolti entrambi con la somministrazione di G-CSF e senza complicanze infettive, mentre non mostrava tossicità non ematologica. Gli episodi di neutropen i a n o n d e t e r m i n ava n o u n ritardo nella somministrazione della chemioterapia. Dopo il II ciclo il paziente presentava una normalizzazione dei livelli di emoglobina e dei segni di emolisi e dopo il IV ciclo anche la negatività del test di Coomb’s. La rivalutazione di malattia, eseguita dopo il VI ciclo (Settembre 2013), mostrava un quadro di remissione completa con risoluzione dell’AEA. Pertanto da Ottobre 2013 il paziente riprendeva il suo follow-up. Discussione del caso e razionale delle scelte terapeutiche L’AEA è una complicanza frequente nella LLC e la sua incidenza aumenta nei pazienti con stadio di malattia avanzato (4% nei pazienti di stadio A e 10% in quelli di stadio B e C) (1). Uno studio che ha valutato l’insorgenza di tale complicanza, durante il corso di chemioterapia, ha dimostrato come i pazienti sottoposti a terapia con clorambucile (12%) o fludarabina (11%) mostrano una maggiore incidenza di AEA rispetto ai pazienti che vengono sottoposti a terapia con fludarabina e ciclofosfamide in combinazione (5%) (2). Ciò è verosimilmente dovuto all’effetto immunosoppressivo della ciclofosfamide. Inoltre l’utilizzo di questo schema, in combinazione con l’anticorpo monoclonale anti-CD20 rituximab, sembra ridurre ulteriormente l’incidenza di tale complicanza (<1%) (3). Pertanto il timore dell’AEA, provocata dalla terapia con fludarabina nei pazienti con LLC, non è più giustificata nell’era della chemio-immunoterapia. Per il nostro paziente, unfit per l’età avanzata (77 anni) al momento della progressione di malattia, non è stata presa in considerazione la possibilità di eseguire lo schema di combinazione fludarabina, ciclofosfamide e rituximab, ad oggi gold standard per i pazienti giovani fit, ma gravato da elevata tossicità per i pazienti con età superiore ai 70 anni. La scelta terapeutica è ricaduta, quindi, sull’associazione rituximab e bendamustina. Tale combinazione difatti si è dimostrata efficace e ben tollerata nel trattamento di una coorte di pazienti affetti da LLC non precedentemente trattati, dei quali circa il 25% presentava un’età superiore ai 70 anni (4). Inoltre tale studio ha dimostrato come l’associazione rituximab e bendamustina permettesse di risolvere l’emolisi in 2 pazienti che all’inizio della terapia presentavano AEA (4). La nostra esperienza dimostra, quindi, che l’utilizzo di un regime contenente rituximab e bendamustina sia una strategia interessante per i pazienti anziani affetti da LLC anche quando complicata da AEA. 13 EFFICACIA E SICUREZZA DELLA COMBINAZIONE DI BENDAMUSTINA E RITUXIMAB COME TRATTAMENTO DI PRIMA LINEA IN UN PAZIENTE ANZIANO AFFETTO DA LEUCEMIA LINFATICA CRONICA COMPLICATA DA ANEMIA EMOLITICA AUTOIMMUNE Bibliografia 14 1 . Hodgson K, Fer rer G, Pereira A, test in chronic lymphocytic leukemia: a with chronic lymphocytic leukaemia: a Moreno C, Montserrat E. Autoimmune beneficial effect of the combination of randomised, open-label, phase 3 trial. c ytopenia in chronic lymphoc ytic fludarabine and cyclophosphamide on Lancet 2010;376(9747):1164-1174. leukaemia: diagnosis and treatment. Br the incidence of hemolytic anemia. 4. Fischer K, Cramer P, Busch R et al. J Haematol 2011;154(1):14-22. Blood 2008;111(4):1820-6. Bendamustine in combination with 2. Dearden C, Wade R, Else M et al; UK 3. Hallek M, Fischer K, Fingerle-Rowson rituximab for previously untreated National Cancer Research Institute G et al. Inter national Group of patients with chronic lymphocytic (NCRI); Haematological Oncology Investigators; leukemia: a multicenter phase II trial of Clinical Studies Group; NCRI CLL Lymphocytic Leukaemia Study Group. the G er man Chronic Lymphoc ytic Working Group. The prognostic signifi- Addition of rituximab to fludarabine Leukemia Study Group. J Clin Oncol cance of a positive direct antiglobulin and cyclophosphamide in patients 2012;30(26):3209-3216. G er man Chronic Bendamustina come terapia di seconda linea in una paziente con linfoma follicolare dei tessuti molli L. Gandolfi Istituto di Ematologia e Oncologia Medica “L&A. Seràgnoli”, Azienda Ospedaliera-Universitaria Policlinico S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna Presentazione del caso Paziente e anamnesi Una paziente di 65 anni è giunta alla nostra attenzione con una diagnosi di linfoma non Hodgkin follicolare all'esordio. In anamnesi patologica remota veniva segnalata la presenza di un diabete di tipo II, un'ipertensione arteriosa e una tiroidectomia totale per un carcinoma papillifero. La paziente riferiva la comparsa, da alcune settimane, di una tumefazione sottocutanea, non dolente, progressivamente in aumento, a livello dell'arto superiore sinistro. Le condizioni cliniche erano buone e non venivano riferiti sintomi B linfoma-relati. Esame obiettivo e indagini diagnostiche All'esame obiettivo si apprezzava una formazione di circa 13x10 cm, a livello della faccia volare del braccio sinistro. Non si apprezzavano adenopatie superficiali o organomegalia palpabile. L'esame istologico della neoformazione ha posto diagnosi di linfoma non Hodgkin follicolare di grado II. Gli esami di stadiazione hanno unicamente segnalato la nota lesione sottocutanea (SUVmax 8,5 in PET) e la presenza di piccole adenopatie iperfissanti (circa 2 cm in TAC con SUV max 5,4) a livello ascellare omolaterale. La biopsia osteomidollare è risultata negativa e all'analisi genentico-molecolare non si è evidenziata la presenza del trascritto BCL2/IGH. Approccio terapeutico La paziente è stata inizialmente avviata a terapia di prima linea secondo lo schema R-FN (rituximab 375 mg/m2, fludarabina 25 mg/m2 e novantrone 10 mg/m2); il ciclo veniva ripetuto ogni 28 giorni, per un totale di sei cicli. Una valutazione cardiologica prechemioterapia ha descritto la presenza di una stenosi valvolare aortica di grado moderato, in presenza di una buona funzione contrattile del ventricolo sinistro (FE 65%). Sulla base di tale riscontro, è stato ridotto il dosaggio del novantrone del 50% ed è stato programmato un monitoraggio periodico del quadro. I sei cicli di trattamento sono stati discretamente tollerati (riferiti solo episodi di lieve nausea e neutropenia di grado III). È stata eseguita una prima valutazione della risposta post-III ciclo, mediante un'indagi- ne PET che ha descritto una buona riduzione delle captazioni precedentemente segnalate. La rivalutazione post-VI e ultimo ciclo ha evidenziato tuttavia una progressione di malattia: in PET veniva infatti mostrato un incremento della captazione sia a livello della formazione del braccio che a livello delle adenopatie ascellari. La TAC con mdc mostrava la persistenza di una massa sottocutanea di 8x5 cm associata a piccole linfoadenomegalie di 2 cm. Non venivano segnalate ulteriori localizzazioni. La paziente è stata quindi avviata a terapia con rituximab (375 mg/m 2 ) e bendamustina (90 mg/m2), di cui ha eseguito sei cicli. La tolleranza ematologica ed extra-ematologica è stata buona. Una PET intermedia, eseguita post-III ciclo di terapia, ha mostrato la completa negativizzazione delle ipercaptazioni precedentemente segnalate. La rivalutazione al termine dei sei cicli di trattamento ha confermato l'assenza di reperti patologici in PET mentre in TAC veniva unicamente segnalato un residuo della precedente massa sottocutanea, di dimensioni pari a 3x3 cm, compatibile con esito. 15 BENDAMUSTINA COME TERAPIA DI SECONDA LINEA IN UNA PAZIENTE CON LINFOMA FOLLICOLARE DEI TESSUTI MOLLI Attualmente, a circa otto mesi dalla fine della terapia, la paziente mantiene la remissione completa ed è seguita in follow-up. Discussione del caso e razionale delle scelte terapeutiche Il caso clinico descrive un insolito quadro d’esordio di linfoma follicolare, caratterizzato prevalentemente dall’interessamento dei tessuti molli dell’arto superiore. Tale presentazione, più comune nei linfomi diffusi a grandi cellule, è particolarmente raro nelle forme indolenti (1) e la casisitica presente in letteratura, relativa a prognosi e trattamento, risulta molto limitata (2). La terapia di prima linea del linfoma follicolare si basa su schemi di trattamento con antracicline (CHOP o CHOP-like) o su regimi contenenti fludarabina (3). In entrambi i casi l’introduzione dell’anticorpo monoclonale rituximab ha migliorato l’outcome del paziente sia in termini di tasso di risposta, sia nella durata di tale remissione (4). La nostra paziente, refrattaria alla prima linea, per età e per comorbidità cardiologica non è risultata candidabile a un programma di trapianto autologo, ed è stata avviata a una seconda linea con rituximab e bendamustina. La scelta terapeutica si è basata sui dati riportati in letteratura, che confermano l'efficacia e la safety di tale trattamento in pazienti con linfoma follicolare a basso grado, refrattari a rituximab (5). Sia il tasso di risposte che la progression free survival risultano, infatti, particolarmente elevati per questa popolazione di pazienti, spesso pretrattati e con un elevato rischio di ricaduta nel tempo. La tossicità correlata a tale molecola è contenuta sia dal punto di vista ematologico che extraematologico, rendendo la terapia complessivamente ben tollerata nella maggior parte dei casi (6). Il buon profilo di efficacia e di safety rende pertanto la combinazione di rituximab-bendamustina una valida alternativa terapeutica anche per pazienti anziani o che presentano comorbidità. mediate/highrisk follicular non-Hodgkin's Lymphoma: experience on 142 patients. Am J Hematol 2013;88(11):273-276. 4. Hiddemann W, Kneba M, Dreyling M et al. Frontline therapy with rituximab added to the combination of cyclophospamide, doxorubicin, vincristine and prednisone (CHOP) significantly improves tho outcome for patients with advaced-stage follicular lympoma compared with therapy with CHOP alone: results of a prospective randomized study of German Low-Grade Lymphoma Study Group. Blood 2005;106(12):3725-3732. 5. Cheson BD, Friedberg JW, Kahl BS, Van der Jagt RH, Tremmel L. Bendamustine produces durable responses with an acceptable safety profile in patients with Rituximab-refractory indolent nonHodgkin Lymphoma. Clin Lymphoma Myeloma Leuk 2010;10(6):452-457. 6. Rigacci L, Puccini B, Cortelazzo S et al. Bendamustine with or without Rituximab for the treatment of heavily pretreated non-Hodgkin's lymphoma patients: a multicentric retrospective study on behalf of Italian Lymphoma Foundation (FIL). Ann Hematol 2012;91(7):1013-1022. Bibliografia 1. Lanham GR, WeissEW, Enzinger FM. Malignant lymphoma: a study of 75 cases presenting in soft tissue. Am J Surg Pathol 1989;13:1-10. 2. Derenzini E, Casadei B, Pellegrini C, Argnani L, Pileri S, Zinzani PL. NonHodgkin Lymphomas presenting as soft tissue masses: a single centre experience and meta-analysisi of the published series. Clin Lymphoma Myeloma Leuk 2013;13(3):258-265. 3. Zinzani PL, Pellegrini C, Broccoli A, Casadei B, Argnani L, Pileri S. Fludarabine-mitoxantrone-rituximab regimen in untreated inter- 16 La bendamustina nel linfoma mantellare F. Castagna, S. Impera, U. Consoli ARNAS Garibaldi Catania, P.O. Nesima, U.O.C. di Ematologia, Catania, Italia Presentazione del caso Paziente e anamnesi Uomo di anni 72 ex-fumatore, iperteso, dislipidemico, affetto da insufficienza renale cronica (IRC). Nel 2001 gli viene effettuata una diagnosi di carcinoma della prostata, asportata mediante intervento chirurgico (prostatectomia) e nel maggio del 2011 il paziente viene colto da IMA (infarto miocardico acuto) a sede inferiore, a cui segue un ricovero presso struttura per gli esami del caso. Esame obiettivo e indagini diagnostiche Durante il ricovero, in seguito alla presenza di astenia profonda non giustificata dal pregresso IMA, effettua un esame TC, in cui vengono evidenziate adenomegalie diffuse in sede ascellare, latero-cervicale, sovraclaveare, mediastinica e addominale, con splenomegalia. Per il sospetto di malattia linfoproliferativa il paziente è stato sottoposto a esame bioptico di linfonodo inguinale destro, su cui è stata posta diagnosi di linfoma non Hodgkin mantellare (MCL), stadio IV B/alto rischio MIPI, secondo i criteri WHO (luglio 2011). A completamento del quadro diagnostico viene sottoposto a biopsia osteomidollare, il cui esito ha evidenziato positività per localizzazione di processo linfomatoso. Durante la degenza, all’esame neurologico, si verifica il riscontro di sindrome piramido-extrapiramidale non locale e versamento pleurico destro, a cui è seguito esame citologico negativo per la presenza di cellule tumorali maligne. Al momento della diagnosi il paziente si presenta in condizioni fisiche scadenti (ECOG 34) e dimagrimento di circa 5 kg nell’ultimo mese. Approccio terapeutico Nell’agosto 2011 il paziente viene considerato non candidabile a trattamento di prima linea con schema R-CHOP e quindi avviato a terapia secondo lo schema R-bendamustina (rituximab 375 mg/m2 giorno 1 e bendamustina 90 mg/m2 giorni 1 e giorno 2) ogni 28 giorni, per un totale di 6 cicli, con somministrazione di rituximab al giorno +8 per il primo ciclo. Dopo il primo ciclo il paziente è andato incontro a un episodio di neutropenia (grado 4), durante il quale ha sviluppato una polmonite; a causa dell’insorgenza della complicanza infettiva ha posticipato il secondo ciclo di terapia e ha proseguito i successivi cicli con aggiunta di fattori di crescita mieloidi. Dopo il terzo ciclo di terapia (novembre 2011) lamenta dolori addominali e per questo viene sottoposto a ecografia addominale, durante la quale viene evidenziata una colecisti normodistesa, settata, a pareti ispessite. A questo riscontro segue una terapia antibiotica e la temporanea sospensione del trattamento con R-bendamustina sino a risoluzione della sintomatologia addominale. Il quadro ecografico e l’esame obiettivo, dopo il terzo ciclo di trattamento con R-bendamustina, mostravano comunque una risposta parziale della malattia al trattamento, con riduzione delle linfoadenomegalie e splenomegalia di circa il 75%. Da gennaio a marzo 2012 vengono praticati gli altri 3 cicli di terapia senza che il paziente andasse incontro a complicanze infettive degne di nota. 17 F. CASTAGNA, S. IMPERA, U. CONSOLI L’esame di r ivalutazione TC post-trattamento ha mostrato un quadro di remissione completa di malattia, con completa risoluzione delle linfoadenomegalie e organomegalie. I l paziente, dopo la terapia di prima linea, è rimasto offtherapy per circa 16 mesi. A settembre 2013 va incontro a rapida progressione clinica di malattia con incremento delle linfoadenomegalie profonde e organomegalie, il quadro clinico risulta essere compatibile con una variante più aggressiva di MCL (trasformazione blastoide), però non confermata istologicamente per l’assenza di linfoadenomegalie superficiali e l’impossibilità di sottoporre il paziente a prelievo di linfonodi addominali profondi. A causa della rapida progressione della malattia e dell’incandidabilità del paziente al trattamento con alte dosi, viene sottoposto, in condizioni di urgenza, a un ciclo di chemioterapia secondo lo schema RCHOP (rituximab, ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone). Il paziente è deceduto per IMA (infarto miocardico acuto) qualche giorno dopo l’inizio della terapia. 18 Discussione del caso e razionale delle scelte terapeutiche Il MCL rappresenta un’entità relativamente rara tra le neoplasie ematologiche, con un’incidenza che si aggira intorno al 6% di tutti i linfomi non Hodgkin e circa 300 casi diagnosticati in Italia ogni anno (1). Nonostante ciò questo tipo di linfoma è stato estremamente ben caratterizzato dal punto di vista biologico, genetico, istologico, immunofenotipico e clinico. Nel corso degli anni Novanta e nella prima decade del millennio i progressi nel campo del MCL sono stati molto rapidi e hanno investito il campo biologico, biotraslazionale e clinico. Ad oggi è forse il linfoma in cui si è raggiunta la massima integrazione tra questi aspetti e proprio questa integrazione rappresenta la base dei significativi successi ottenuti in termini di risposta clinica e sopravvivenza (2). Per questi motivi il MCL è una neoplasia, il cui trattamento adeguato richiede elevata accuratezza diagnostica, attento monitoraggio clinico e scelte terapeutiche mirate e spesso intensive ed è pertanto meritevole di trattamento in ambito specialistico assai più di altri istotipi di linfoma di più comune riscontro. Le opzioni terapeutiche nel MCL sono rappresentate da diversi farmaci, che hanno dimostrato avere una buona efficacia clinica. Tra questi vi è il rituximab (3), la lenalidomide (4), la talidomide (4), il bortezomib (5), la bendamustina (3), l’everolimus (6) e altri sono in via di sviluppo, come il Cal-101 (7) e il blinatumomab (8). Soprattutto la bendamustina, in associazione al rituximab, sembra aver dato ottimi risultati in pazienti con MCL non ancora sottoposti a terapia. Recenti dati, presenti in letteratura, dimostrano infatti come la bendamustina, associata a rituximab (B-R), è più efficace e meglio tollerata dell’attuale standard di trattamento RCHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone e rituximab), nei pazienti con MLC di nuova diagnosi, non ancora sottoposti a terapia. In particolare la sopravvivenza libera da progressione di malattia, nei pazienti trattati con bendamustina più rituximab (B-R), si è rivelata più che doppia (69,5 verso 31,2 mesi) rispetto a quelli trattati con R- LA BENDAMUSTINA NEL LINFOMA MANTELLARE CHOP (3). Uno dei principali vantaggi, riguardo l’uso della bendamustina, è legato alla ridotta tossicità, che consente quindi l’utilizzo di una linea di trattamento efficace anche nel paziente anziano o estremamente fragile. Il caso clinico descritto in precedenza dimostra come la benda- mustina, in associazione con il rituximab, possa rappresentare un’alternativa terapeutica efficace e praticabile nel paziente fragile con importanti comorbidità per il MCL di nuova diagnosi. In quest’ottica la sorprendente attività e la limitata tossicità di uno schema di induzione conte- nente bendamustina potrebbe presto considerarsi fra le terapie di prima linea del paziente anziano; è prevedibile, quindi, nei prossimi anni un incremento nell’utilizzo di questo farmaco, anche in schemi integrati con nuove molecole. the StiL (Study Group Indolent Lymphomas, Germany) (Abstract). Blood 2009;114:405. 4. Zinzani PL, Witzig TE, Vose JM et al. Confirmation of the efficacy and safety of lenalidomide oral monotherapy in patients with relapsed or refractory mantle-cell lymphoma: results of an International study (NHL-003) [Abstract]. Blood 2008;112:262. 5. Fisher RI, Bernstein SH, Kahl BS et al. Multicenter phase II study of bortezomib in patients with relapsed or refractory mantle cell lymphoma. JClin Oncol 2006;24(30):4867-4874. 6. Renner C, Zinzani PL, Gressin R et al. A multicenter phase II trial (SAKK 36/06) of single-agent everolimus (RAD001) in patients with relapsed or refractory mantle cell lymphoma. Haematologica 2012;97(7):1085-1091. 7. Lannutti BJ, Meadows SA, Herman SE et al. CAL-101, a p110{delta} selective phosphatidylinositol-3-kinase inhibitor for the treatment of B-cell malignancies, inhibits PI3K signalling and cellular viability. Blood 2011;117(2):591-594. 8. Viardot A, Goebeler M, Scheele JS et al. Treatment of patients with non-hodgkin lymphoma (NHL) with CD19/CD3 bispecific antibody Blinatumomab (MT103): double-step dose increase to continuous infusion of 60 µg/m2/d is tolerable and highly effective (Abstract). Blood 2010;116: 2880. Bibliografia 1. Tumori in Italia - Rapporto 2006: dati di incidenza e mortalità dei Registri Tumori generali, 1998-2002 (http://www.registri-tumori.it/incidenza1998-2002/gruppi.html). 2. Herrmann A, Hoster E, Zwingers T et al. Improvement of overall survival in advanced stage mantle cell lymphoma. J Clin Oncol 2009;27(4):511-518. 3. Rummel MJ, Niederle N, Maschmeyer G et al. Bendamustine plus Rituximab is superior in respect of progression free survival and CR rate when compared to CHOP plus Rituximab as firstline treatment of patients with advanced follicular, indolent, and mantle cell lymphomas: final results of a randomized phase III study of 19 Trattamento con bendamustina in un paziente anziano e con comorbidità affetto da recidiva indolente di linfoma non Hodgkin diffuso a grandi cellule B M. Arcamone, E. Morelli S.C. di Ematologia Oncologica e Trapianto di Cellule Staminali, Dipartimento di Ematologia, Istituto Nazionale Tumori, Fondazione ‘G. Pascale’, IRCCS, Napoli Presentazione del caso Paziente e anamnesi Il caso clinico riguarda una donna di 75 anni che, in anamnesi patologica remota presenta, come comorbidità, una epatopatia HCV+ e un’ipertensione arteriosa in trattamento farmacologico. Ad aprile 2006 la paziente giunge alla nostra osservazione per la comparsa di noduli cutanei agli arti superiori e all’addome. L’asportazione chirurgica di un nodulo cutaneo permette di porre diagnosi di linfoma non Hodgkin diffuso a grandi cellule B, Ki67 50%. Esame obiettivo e indagini diagnostiche La paziente si presenta in buone condizioni cliniche generali, sono assenti sintomi sistemici di malattia; all’esame obiettivo sono evidenti noduli sottocutanei agli arti superiori e al tronco di diametro variabile tra 1 e 2 cm e una lieve epatosplenomegalia. Gli esami ematochimici di routine e l’LDH risultano nella norma. L’elettrocardiogramma mostra un ritmo sinusale con una FE del 60% all’ecocardiogramma. A 20 completamento della stadiazione viene eseguita una biopsia osteomidollare, che evidenzia un infiltrato linfomatoso a carico del midollo osseo. La PET e la TAC total body confermano la presenza di localizzazioni di malattia nel contesto della cute del tronco e degli arti superiori e di alcune localizzazioni linfonodali centimetriche in sede laterocervicale destra e ascellare bilaterale. Sulla base degli esami di stadiazione la malattia viene classificata in uno stadio IVA. Approccio terapeutico La paziente inizia una chemioterapia con rituximab e CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisone) per 6 cicli totali (un ciclo ogni 21 giorni) con discreta tolleranza. La PET e la TAC total body, eseguite al termine della terapia, evidenziano un quadro di remissione completa e la paziente viene pertanto avviata al follow-up ambulatoriale. A novembre 2008 si presenta una recidiva di malattia con ricomparsa delle lesioni cuta- nee e linfonodali: la biopsia di un nodulo cutaneo, localizzato al fianco sinistro, conferma la diagnosi precedente di linfoma non Hodgkin diffuso B-cellulare. La biopsia osteomidollare risulta essere negativa per infiltrazione, mentre alla TAC e alla PET total body si evidenziano numerose piccole localizzazioni nel contesto della cute del tronco e degli arti superiori, linfoadenopatie in sede laterocervicale bilaterale, sovraclaveare sinistra, ascellare destra e otturator ia destra di circa 2 cm. La paziente pertanto, a gennaio 2009, inizia una 2° linea di chemioterapia secondo lo schema RGIFOX (rituximab 375 mg/m2 g 1, gemcitabina 1.000 mg/m2 g 2, oxaliplatino 130 mg/m 2 g 3 e ifosfamide 5.000 mg/m 2 frazionato in tre giorni dal giorno 3 al giorno 5). Al terzo giorno del 2° ciclo RGIFOX, durante l’infusione dell’ifosfamide, la paziente presenta una grave crisi ipertensiva (PA 230/130 mmHg) associata a parestesie al labbro superiore sinistro e all’arto superiore sinistro senza segni di lato. Tale sintomatologia si risolve M. ARCAMONE, E. MORELLI dopo terapia medica opportuna e si decide di non praticare le somministrazioni di ifosfamide relative al giorno 3 e 4. Il 3° ciclo di terapia viene effettuato senza l’ifosfamide (RGEMOX) e, successivamente, la paziente pratica una TAC e una PET total body, che mostrano la remissione completa della malattia ematologica e anche la biopsia osteomidollare risulta negativa per infiltrazione. In considerazione della tossicità cardiologica, dell’età e del quadro di remissione completa, la paziente esegue 4 somministrazioni settimanali di rituximab a consolidamento terapeutico e viene nuovamente avviata ai controlli di follow-up. Valutazione a distanza e aggiustamenti terapeutici Nel luglio 2011 la PET-FDG total body di controllo evidenzia un iperaccumulo in corrispondenza di un’area di ispessimento in regione sottocutanea all’ipocondrio sinistro (SUVmax 7) e a livello dei tessuti molli che si sviluppano tra l’arco posteriore delle ultime coste di destra (SUVmax 7,4): in tale ultima sede si pratica un nuovo accertamento bioptico e si pone diagnosi di linfoma non Hodgkin tipo MALT con presenza anche di grandi cellule,CD20 negativo. Contemporaneamente ai controlli ematochimici si evidenzia un incremento delle transaminasi e degli indici di colestasi e la determinazione dell’HCV-RNA quantitativo mostra una carica virale aumentata (9,25 E+6). La paziente pertanto, in considerazione dell’istologia indolente e della riattivazione dell’epatopatia, viene affidata all’epatologo per la terapia medica specifica. A marzo 2012 la PET di controllo è immodificata rispetto alla precedente, la paziente è asintomatica e l’HCV-RNA quantitativo è pari a 7,26 E+6. La paziente continua la terapia medica in atto per l’epatopatia e a settembre 2012 l’HCV-RNA quantitativo mostra un valore di 1,44 E+6, le transaminasi e gli indici di colestasi risultano nella norma. Alla PET total body però si evidenzia un incremento dell’iperaccumulo nelle sedi cutanee precedentemente segnalate (SUVmax 13,5) con comparsa anche di nodulazio- ni linfonodali in sede sottomandibolare e nucale sinistra (SUVmax 7). Considerata la perdita del CD20 e la problematica epatica, si programma terapia di 3° linea con bendamustina, inizialmente alla dose di 90 mg/m2 g 1-2 ogni 28 giorni. Dopo i primi due cicli di terapia, data l’ottima tolleranza in assenza di alterazioni della funzionalità epatica, si aumenta la dose di bendamustina a 120 mg/m 2. Dopo il terzo ciclo una PET/CT mostra già una RC di malattia. La paziente pratica 6 cicli complessivi di bendamustina con profilassi antibiotica (levofloxacina 500 mg 1 cp/die per 5 giorni dal g+7, trimetropim/sulfametossazolo 1 cp/2 volte al giorno per 2 giorni a settimana), antivirale (valaciclovir 1 g/die per 7 giorni al mese) e antimicotica (fluconazolo 200 mg/die per 5 giorni dal g+7). Un fattore di crescita granulocitario (lenograstim) viene somministrato al giorno +7 di ogni ciclo per 4 giorni. La rivalutazione finale, al termine dei 6 cicli (eseguita a marzo 2013) mostra la remissione completa della malattia linfomatosa. La paziente viene quindi nuovamente avviata al follow-up clinicolaboratoristico-strumentale e l’ul- 21 TRATTAMENTO CON BENDAMUSTINA IN UN PAZIENTE ANZIANO E CON COMORBIDITÀ AFFETTO DA RECIDIVA INDOLENTE DI LINFOMA NON HODGKIN DIFFUSO A GRANDI CELLULE B timo controllo PET/CT di novembre 2013 conferma lo stato di RC. Discussione del caso e razionale delle scelte terapeutiche L’outcome dei pazienti con linfoma non Hodgkin recidivati o refrattari alle terapie di salvataggio è sfavorevole, in particolare nei pazienti anziani e con comorbidità. La bendamustina, in combinazione o meno con il rituximab, ha un ottimo profilo di tossicità, non mostra crossresistenza con altri farmaci citotossici ed è attiva nei linfomi non Hodgk in refrattar i agli agenti chemioterapici convenzionali coma la ciclofosfamide, doxorubicina ed etoposide (1). La dose e la schedula di trattamento ottimale non sono ancora state stabilite: nei diversi lavor i la dose var ia da 100 mg/m2 a 120 mg/m2 per 2 giorni come agente singolo e da 70 mg/m2 a 90 mg/m2 per 2 giorni quando somministrato in associazione con il rituximab, ogni 3 o 4 settimane (2). 22 Diversi sono gli studi che hanno mostrato l’efficacia della bendamustina nel trattamento delle recidive non solo di linfomi indolenti (3,4) ma anche di linfomi non Hodgkin diffusi a grandi cellule B (5). In particolare, come nel caso specifico della nostra paziente, la bendamustina si è mostrata efficace nel trattamento di pazienti con linfomi indolenti refrattari al rituximab (6). Recentemente uno studio multicentrico retrospettivo ha valutato l’efficacia del trattamento con bendamustina, con o senza il rituximab, in 175 pazienti con vari istotipi di linfoma non Hodgkin recidivati o refrattari: 60 linfomi indolenti non follicolari, 34 linfomi diffusi a grandi cellule B, 48 linfomi follicolari, 30 linfomi mantellari e 3 linfomi a cellule T periferiche (7). Il trattamento è stato ben tollerato e non è stata necessaria alcuna riduzione di dose, l’ORR è stata del 71% (CR 52%, PR 72%) e la mediana della PFS di 11 mesi. La tossicità ematologica (neutropenia, anemia e piastrinopenia) è stata principalmente di grado 0/1/2. La bendamustina si sta dimostrando interes- sante anche in prima linea. Rummel ha condotto uno studio di fase III di confronto tra RCHOP e R-bendamustina in pazienti naive affetti da linfomi indolenti e mantellari (8): in questo studio la percentuale di risposta è stata simile nei due bracci, ma la durata dell’efficacia del trattamento in termini di PFS è stata a vantaggio del braccio RB (PFS di 69,5 mesi nel braccio RB vs 31,2 mesi nel braccio R-CHOP con un follow-up mediano di 45 mesi), indicando l’associazione RB come un’alternativa efficace e meno tossica rispetto allo schema R-CHOP nel trattamento di 1° linea di pazienti unfit, in par ticolare anziani e con comorbidità. Nella nostra paziente, anziana, estremamente fragile, pesantemente pretrattata e plurirecidivata, era necessario utilizzare un farmaco che fosse allo stesso tempo efficace e poco tossico e la scelta della bendamustina si è rilevata ottimale, permettendo di ottenere, anche se il follow-up è ancora breve, una remissione completa con una buona tolleranza ematologica ed extraematologica. M. ARCAMONE, E. MORELLI Bibliografia 1. Montillo M, Ricci F, Tedeschi A, Vismara 2001;12(9):725-729. Cancer 2010;116 (1):106–114. E, Morra E. Bendamustine: new perspec- 4. Friedberg JW, Cohen P, Chen L et al. 7. Rigacci L, Puccini B, Cortellazzo S et al. tive for an old drug in lymphoproliphe- Bendamustine in patients with rituxi- Bendamustine with or without rituxi- rative disorders. Expert Rev Hematol mab-refractory indolent and transfor- mab for the treatment of heavily pre- 2010;3(2):131-148. med non Hodgkin’s Lymphoma: results treated non Hodgkin’s lymphoma 2. Cheson BD, Wendtner CM, Pieper A et from a phase II multicenter, single-agent patients: a multicenter retrospective al. Optimal use of bendamustine in chro- study. J Clin Oncol 2008;26:204-210. study on behalf of the Italian Lymphoma nic lymphocytic leukemia, non Hodgkin 5. Ohmachi K, Niitsu N, Uchida T et al. Foundation lymphomas, and multiple myeloma: treat- Multicenter phase II study of bendamusti- 2012;91(7):1013-1022. ment recommendations from an interna- ne plus rituximab in patients with relapsed 8. Rummel MJ, Niederle N, Maschmeyer G (FIL). Ann Hematol tional consesus panel. Clin Lymphoma or refractory diffuse large B-cell lympho- et al. Bendamustine plus rituximab versus Myeloma Leuk 2010;10(1):21-27. ma. J Clin Oncol 2013;31(17): 2103-2109. CHOP plus rituximab as first-line treatment 3. Heider A, Niederle N. Efficacy and 6. Kahl BS, Bar tlett NL et al. for patients with indolent and mantle-cell toxicity of bendamustine in patients Bendamustine is effective therapy in lymphomas: an open label, multicentre, with relapsed low grade non-Hodgkin’s patients with rituximab refractory, indo- randomized, phase III non-inferiority trial. lymphoma. lent B-cell non-Hodgkin lymphoma. Lancet 2013;381(9873):1203-1210. Anticancer Drugs 23 Efficacia e sicurezza della combinazione di bendamustina e rituximab come trattamento di prima linea nel paziente cardiopatico affetto da linfoma non Hodgkin aggressivo tipo DLBCL E. Vigna, F. Morabito U.O.C. di Ematologia Azienda Ospedaliera di Cosenza Presentazione del caso Paziente e anamnesi Il paziente A.F., maschio di 72 anni, giungeva alla nostra osservazione nell’Aprile 2013 per il riscontro di tumefazione all’emicostato sinistro e in sede ascellare sinistra. All’anamnesi patologica remota segnalava: • fumatore dall’età di venti anni; • portatore di pace maker per fibrillazione atriale bradicardica in cardiomiopatia dilatativa con severa disfunzione sistolica del ventricolo sinistro (FE 24%); • sindrome disventilatoria di grado lieve/moderata. Esame obiettivo e indagini diagnostiche Il paziente si presentava in discrete condizioni generali e non riferiva la presenza di sintomi sistemici. All’esame obiettivo mostrava adenomegalie ascellari sinistre del diametro massimo di 4 cm e una tumefazione all’emicostato sinistro di circa 8 cm. Gli esami ematochimici mostravano: leucociti 4.560/mm3 con normale formula leucocitaria, emoglobina 13,6 g/dL, piastrine 122.000/mm3, LDH 1472 UI/L (v.n. <500 UI/L) beta-2 microglobulina 0,4 mg/dL 24 (v.n. <0,2 mg/dL). Il paziente veniva quindi sottoposto a indagini di imaging quali la TAC e la PET total body. Tali indagini mostravano la presenza di adenopatie ascellari sinistre di 5,3 cm e una vistosa alterazione strutturale dei muscoli della parete toracica sinistra, che si presentavano tumefatti con un processo infiltrativo parenchimale con un SUV massimo di 12. Il paziente viene sottoposto a biopsia della voluminosa massa della parete laterale dell’emitorace sinistro, che pone diagnosi di linfoma non Hodgkin di derivazione dei linfociti B periferici, aggressivo tipo DLBCL (Ki67 70%); veniva inoltre eseguita una biopsia ossea negativa per localizzazione linfomatosa. Approccio terapeutico, valutazione a distanza e aggiustamenti terapeutici In considerazione della grave cardiopatia di base, il paziente veniva sottoposto a valutazione cardiooncologica che poneva una controindicazione assoluta all’esecuzione di chemioterapia secondo protocolli che contemplino la pre- senza di antracicline e ciclofosfamide. Nel maggio 2013 veniva iniziato un trattamento con l’associazione di rituximab 375 mg/m2 al giorno 1 del I° ciclo e bendamustina 90 mg/m2 giorni 2-3 ogni 28 giorni, con monitoraggio di NT-Pro-BNP in basale e ogni 4 settimane troponina prima di ogni ciclo di chemioterapia. La terapia prevedeva, inoltre, una profilassi antimicrobica con trimetoprim/sulfametossazolo e aciclovir e G-CSF in caso di neutropenia. La terapia è stata somministrata regolarmente ogni 28 giorni; durante i 6 cicli di trattamento previsti non si sono verificate alterazioni degli indici di danno miocardico e la terapia nel complesso è stata ben tollerata. La rivalutazione strumentale, eseguita al termine del trattamento con TAC e PET, ha mostrato un quadro di remissione completa. Pertanto, da Ottobre 2013, il paziente riprendeva il suo follow-up. Discussione del caso e razionale delle scelte terapeutiche Il caso clinico presentato è il caso di un linfoma non Hodgkin aggressivo. In questo gruppo di E. VIGNA, F. MORABITO pazienti l’avvento del rituximab ha rappresentato un significativo miglioramento non solo in termini di risposte ottenute ma anche in termini di durata della stessa, validando la combinazione di chemioterapia e immunoterapia. Inoltre i dati di letteratura documentano che un trattamento con antracicline rappresenta il gold standard per questi tipi di linfomi. Tuttavia in considerazione della grave cardiopatia di base del nostro paziente, con severa disfunzione sistolica del ventricolo sinistro (FE 24%) che poneva una controindicazione assoluta all’esecu- zione di chemioterapia con antracicline e ciclofosfamide, si è deciso di cambiare la terapia d’induzione a favore di un regime non cardiotossico come bendamustina, con cui sono ormai note l’efficacia e la sicurezza nel paziente pluritrattato con DLBCL (1-3); in realtà essa si sta dimostrando interessante anche in 1° linea. Rummel ha condotto uno studio di fase III di confronto fra bendamustina più rituximab (BR) e R-CHOP in pazienti con linfoma non-Hodgkin indolente e mantellare (4). L’associazione B-R in pazienti con linfoma nonHodgkin indolente e mantellare raddoppia la sopravvivenza libera da progressione di malattia (PFS), rispetto al trattamento standard CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone) più rituximab (R-CHOP). Secondo quanto riportato nello studio, la PFS mediana dei pazienti trattati con B-R è infatti stata di 69,5 mesi, contro 31,2 mesi di quelli trattati con R-CHOP, il regime chemioimmunoterapico più comunemente impiegato per queste patologie. Quindi la combinazione B-R è una valida alternativa allo schema RCHOP in paziente unfit in particolare anziani e con comorbidità. plete remissions of both diseases by rituximab-bendamustine regimen combined to hypomethylating therapy. J Chemother 2013 Aug;25. 3. Ohmachi K, Niitsu N, Uchida T et al. Multicenter phase II study of bendamustine plus rituximab in patients with relapsed or refractory diffuse large B-cell lymphoma. J Clin Oncol 2013;31(17):2103-2019. 4. Rummel MJ, Niederle N, Maschmeyer G et al.; Study group indolent Lymphomas (StiL). Bendamustine plus rituximab versus CHOP plus rituximab as first-line treatment for patients with indolent and mantle-cell lymphomas: an open-label, multicentre, randomised, phase 3 non-inferiority trial. Lancet 2013;381(9873):1203- 1210. Bibliografia 1. Kuroda H, Jomen W, Miura S et al. Bendamustine-rituximab therapy is effective for transformed follicular lymphoma with significant expression of p53. Gan To Kagaku Ryoho 2013;40(8):1055-1058 2. Palombi M, Niscola P, Tendas A et al. Simultaneous occurrence of large B-cell non- Hodgkin lymphoma and acute myeloid leukaemia in an elderly patient: com- 25 Trattamento con bendamustina in una paziente con linfoma aggressivo plurirecidivato: qualità della vita e alopecia G. De Benedetta S.C. di Ematologia Oncologica e Trapianto di Cellule Staminali, Dipartimento di Ematologia, Istituto Nazionale Tumori, Fondazione ‘G. Pascale’, IRCCS, Napoli Presentazione del caso Paziente e anamnesi A Laura viene diagnosticato, nel Gennaio 2011 presso una diversa istituzione, un linfoma primitivo del mediastinico (CS IIXA). Dopo una prima linea di trattamento con R-CHOP14 (rituximab-ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisone) per sei cicli, non seguito da radioterapia, viene ottenuta una remissione parziale con residuo di malattia a livello mediastinico. A un follow-up di 4 mesi dopo la fine della chemioterapia, una PET di controllo evidenzia incrementate captazioni FDG a livello mediastinico e dei linfonodi latero-cervicali bilateralmente e la paziente si rivolge al nostro Centro per una terapia di salvataggio. Vengono quindi eseguiti 3 cicli di chemioterapia R-GIFOX (rituximab, gemcitabina, ifosfamide, oxaliplatino) seguiti da raccolta di cellule staminali periferiche. A un controllo PET pre-trapianto si evidenzia un incremento della captazione a livello dei linfonodi laterocervicali bilateralmente, del mediastino anteriore in sede prevascolare, del segmento basale del lobo superiore del polmone 26 destro e in sede submantellare. Vengono quindi eseguiti due ulteriori cicli di un regime infusionale continuo integrato da bortezomib, ottenendo una risposta parziale. Resa edotta del risultato insoddisfacente di questa ulteriore linea terapeutica, Laura è stanca, chiede del tempo per ‘riposarsi’ e decidere se sottoporsi a un altro trattamento citoriduttivo. Dopo tre mesi di follow-up Laura, in stabilità strumentale di malattia, e a fronte di un’articolata serie di interventi di supporto psicologico, si dice pronta ad affrontare un’ulteriore linea di terapia, purché gli effetti collaterali siano da lei considerati accettabili. In particolare chiede se esistono farmaci che non le ‘facciano cadere ancora i capelli che stavano appena ricrescendo…’ Allo scopo di continuare un trattamento attivo di citoriduzione, per eventualmente procedere al trapianto autologo, le viene proposta una terapia con bendamustina e rituximab. Laura accetta. hanno 2 bambine di 4 e 7 anni. Da quando sono sposati vivono in Sicilia per il lavoro di Salvatore e vedono le famiglie d’origine solo nei periodi di festa. Laura ha una sorella che, separata dal marito, vive con i genitori. La madre è una donna molto attiva mentre il padre, più anziano, vive ritirato dal mondo. I genitori di Salvatore sono da poco pensionati e si dedicano ai nipoti nati dalle due figlie, sorelle di Salvatore. Quando Laura si ammala decide di curarsi nella città in cui vive. Se tornasse nel paese d’origine avrebbe l’aiuto dei familiari, ma preferisce non cambiare troppo le abitudini della sua famiglia. Il marito lì lavora e poi le bambine sono piccole. Solo in occasione della progressione di malattia, Laura e il marito decidono di tornare al paese d’origine e vanno a vivere a casa dei genitori di Salvatore. Laura sente di non avere la forza di affrontare nuove cure senza l’aiuto dei familiari. Approccio terapeutico Storia familiare Laura ha 38 anni ed è sposata con Salvatore da 12 anni. Si sono conosciuti e fidanzati sui banchi di scuola e non si sono più separati, Laura è una donna dolce ma forte che ha dedicato la sua vita alla cura del marito e delle figlie. Quando si è ammalata ha affronta- G. DE BENEDETTA to le cure con grande dignità. I lunghi ricoveri, gli effetti collaterali, niente sembrava toglierle la voglia di combattere per guarire, per tornare ad occuparsi delle figlie. In letteratura per descrivere il dolore oncologico si usa ormai l’espressione “dolore totale”, designando quell’insieme di mali che coinvolgono gli aspetti fisici, quelli emotivi e quelli relazionali. Infatti il dolore è un fenomeno soggettivo, misurabile con vari strumenti, che presenta notevoli variazioni da persona a persona. Soffrire implica un patimento intimo, spesso connesso alla tolleranza delle frustrazioni, al ridimensionamento del senso di onnipotenza, al riconoscimento dei propri limiti (1). Laura nei nostri colloqui mostrava tutta la sua sofferenza, mentre con la famiglia mascherava molto le sue emozioni. Continuava a prendersi cura di tutti loro, cercava di proteggerli dalla sofferenza. La sua più grande preoccupazione erano le figlie. E questa preoccupazione cresceva con il passare del tempo. Laura amava occuparsi delle due bambine, passare il suo tempo con loro, e il non poterlo più fare era il suo dolore più grande. Inoltre pensava alla sofferenza che causava loro, proprio lei che avrebbe voluto proteggerle. Per tutto il tempo delle prime linee di terapia antineoplastica era riuscita a nascondere, alle figlie, la caduta dei capelli. Aveva utilizzato una parrucca uguale ai suoi capelli e stava sempre attenta a che le bambine non la toccassero e non la vedessero senza. Da donna pratica e concreta non si era mai lamentata con nessuno della perdita dei capelli, ritenendolo uno scotto necessario alla guarigione, ma ciò nonostante non lo aveva affatto accettato. Era sicura che le figlie sarebbero state traumatizzate vedendola senza capelli e non poteva tollerarlo. Allo stesso tempo era sempre in tensione per la paura che se ne accorgessero. Dopo l’insuccesso dell’ultima terapia di salvataggio era comprensibilmente angosciata all’idea di affrontare un nuovo percorso di cura. Nel colloquio successivo alla comunicazione della recidiva mi disse che era disposta a tenersi nausea e vomito ma non voleva perdere di nuovo i capelli che avevano ricominciato a crescere. Non era sicura di riuscire nuovamente a nascondersi alle figlie. Durante i colloqui questa sensa- zione è diventata una certezza e ha chiesto un aiuto per parlare con loro. Non sapeva come poter gestire la situazione e il marito, pur totalmente collaborativo, non contribuiva nelle scelte, dicendole che andava bene qualunque cosa lei volesse fare. Con l’aiuto di una favola creata per facilitare i genitori nel compito di raccontare ai figli la malattia le due piccole sono state informate del perché dei nuovi ricoveri, del catetere venoso centrale (che in precedenza non era stato utilizzato) e della caduta dei capelli (2). Per quanto questo intervento avesse migliorato la qualità di vita di Laura lei provava ancora un grande disagio misto a vergogna, certo ora poteva rilassarsi anche quando giocava con loro senza più il timore che scoprissero il suo segreto, ma continuava a usare sempre la parrucca preferendo che loro non la vedessero calva. In un’occasione la figlia più piccola la vide senza parrucca e le disse di rimettersi i capelli perché era brutta senza. Laura era sconvolta quando mi ha raccontato questo episodio, ma la spontaneità e l’ingenuità della bambina hanno aperto la strada a una modalità più giocosa della madre di rapportarsi alle piccole, permet- 27 TRATTAMENTO CON BENDAMUSTINA IN UNA PAZIENTE CON LINFOMA AGGRESSIVO PLURIRECIDIVATO: QUALITÀ DELLA VITA E ALOPECIA tendole di giocare a fare la magia del mettere e togliere i capelli per farle divertire. Inutile descrivere la felicità del terminare il protocollo chemioterapico e l’angoscia dello scoprire una ripresa di malattia. Laura e Salvatore sono avviliti e sfiduciati, i loro familiari non sono in grado di sostenerli emotivamente, pur fornendogli un valido aiuto pratico. Laura chiede ai medici di farle qualunque cosa pur di guarire e con i parenti sorride e dice che ce la farà, non devono preoccuparsi. Ma quando rimaniamo sole piange tutta la sua disperazione, ha paura di non guarire e non vormale per le terapie e aggiunge con voce sommessa che vorrebbe morire con i suoi capelli in testa. Fino a pochi anni fa l'efficacia di un trattamento in oncologia veniva valutata principalmente in termini di sopravvivenza, considerando l'allungamento della vita del paziente, da un punto di vista quantitativo, come l’unico obiettivo terapeutico (3). Oggi le cose sono molto cambiate e nelle scelte terapeutiche assume sempre più peso la qualità di vita del paziente. Ormai, quando si deve decidere il trattamento più adeguato per un paziente, si tende 28 a utilizzare quei protocolli clinici con minori effetti collaterali che, limitando la sofferenza, gli garantiscono una migliore qualità di vita. Le terapie antineoplastiche si accompagnano, infatti, a una serie di effetti collaterali invalidanti e in grado di interferire drasticamente sulla qualità di vita dei pazienti, inducendo un profondo disagio psichico, oltre che fisico. È quindi importante un accurato bilanciamento tra sopravvivenza e qualità di vita, senza il quale vi è il rischio che gli inconvenienti determinati dalle terapie effettuate, interferendo pesantemente con lo stato di benessere soggettivo della persona, finiscano con il far coincidere il periodo di sopravvivenza con un periodo di sofferenza indotto dalla terapia (4). Perdere i capelli per quanto non comporti dolore fisico genera grande sofferenza nella persona per molteplici motivi: è un cambiamento fisico che rimanda costantemente alla condizione di malattia, è una condizione che fa sentire brutti, coinvolge l’aspetto sociale in quanto rimanda inevitabilmente a una malattia oncologica e incide sulle relazioni familiari sia con il coniuge che con i figli se piccoli. A Laura viene proposto un nuovo protocollo terapeutico con bendamustina e lei me ne parla con grande entusiasmo, le hanno detto che non perderà i capelli. Quando ritorna a ricovero mi racconta di quando ha comunicato alle figlie la necessità di nuove terapie e la figlia più grande le ha detto, con grande serietà, che le dispiaceva che ora perdeva nuovamente i capelli. Con grande soddisfazione ha potuto rispondere che i capelli, questa volta, non sarebbero caduti. Con il nuovo trattamento Laura ha ottenuto una remissione parziale della malattia che, purtroppo, dopo il trapianto autologo è andata nuovamente in progressione prendendo il sopravvento. Con le ulteriori terapie Laura ha nuovamente perso i capelli insperatamente riconquistati, le sue condizioni fisiche sono lentamente ma inesorabilmente peggiorate. Discussione del caso e razionale delle scelte terapeutiche Durante i nostri colloqui sono state affrontate tante tematiche, i sogni infranti, le speranze deluse e la voglia di poter pensare ancora a G. DE BENEDETTA un futuro. Oltre al rimpianto per le bambine, il marito e gli altri affetti Laura esprime più volte la delusione perché in tutto questo non avrà neanche la soddisfazione di andarsene con i suoi capelli. Le sembra che questo leda la sua dignità, come un nuovo affronto, un’ulteriore sconfitta. Le compare un sorriso tra le lacrime mentre dice che una donna è pur sempre una donna (5). In genere si pensa che di fronte al rischio di morire niente abbia più importanza, mentre per i pazienti tutto continua ad avere importanza. La storia di Laura ci ricorda che fino a che una persona è viva tut- ti gli aspetti della vita sono importanti. La possibilità di ‘arrivare’ al trapianto senza un’ulteriore fase di alopecia è stata importante per Laura. Le ha offerto una piccola ‘finestra’ di serenità, la possibilità di rassicurare la figlia, sempre molto colpita dalla perdita dei capelli della mamma e di ‘ricostruire’ parzialmente la sua immagine corporea (5,6). La storia di questa paziente, al di là del suo inevitabile esito, sottolinea come, anche in fase avanzata di malattia, la scelta di un farmaco con un profilo di tossicità accettabile per il paziente, debba essere accortamente valutata tenendo conto che la ‘qualità della vita’ è un concetto molto complesso, ma che può essere riassunto e sostanziato, a volte, anche da cose apparentemente ‘piccole’. pazienti oncoematologici. In press; 2014 Napoli. 3. Binaschi L, Gambarino C. La misurazione della qualità di vita in oncologia, PONews-Psiconcologia, 2004. 4. Tamburini M. Metodi epidemiologici in psicooncologia. In: Capovilla ED., Fiorentino M.v. "Cancro: psicologia e clinica", Edistampa, Padova, 1993. 5. Baxley K, Erdman LH, Roof, B. Alopecia: effect on cancer patients’ body image. Cancer Nursing 1984:7(6);499-504. 6. Munstedt K, Manthey N, Sachsse S, Vahrson H. Changes in self-concept and body image during alopecia induced cancer chemotherapy. Support Care Cancer 1997;5(2):139-143. “La vita è fatta di piccole felicità insignificanti, simili a minuscoli fiori. Non è fatta solo di grandi cose, come lo studio, l'amore, i matrimoni, i funerali. Ogni giorno succedono piccole cose, tante da non riuscire a tenerle a mente né a contarle, e tra di esse si nascondono granelli di una felicità appena percepibile, che l'anima respira e grazie alla quale vive.” Banana Yoshimoto, Un viaggio chiamato vita, 2006. Bibliografia 1. Ruggiero G, De Benedetta G. La funzione del dolore all’interno delle relazioni familiari. In: Il dolore aspetti patologici e psicopatologici. (A cura di Pellegrino F). Mediserve Editoria e Formazione, Napoli, 2008, pp. 65-71. 2. G. De Benedetta, S. D’Ovidio, A. Pinto.“La storia di Giorgio”. Favola illustrata per comunicare sulla malattia con i figli dei 29 Alte dosi di chemioterapia secondo lo schema BeEAM in un caso di linfoma non Hodgkin resistente alle chemioterapie convenzionali G. Messina Centro Trapianti Midollo Osseo “A. Neri”, Azienda Ospedaliera “Bianchi-Melacrino-Morelli”, Reggio Calabria Presentazione del caso Paziente e anamnesi, indagini diagnostiche ed esame obiettivo Una giovane di 26 anni veniva valutata, presso la nostra Struttura, per tosse stizzosa e febbre intermittente. La storia anamnestica risultava non significativa e l’esame obiettivo del torace evidenziava un respiro aspro, soprattutto nei campi medio-basali di entrambi i polmoni. Non risultavano organomegalia, né linfoadenopatie; l’esame emocromocitometrico risultava nella norma, mentre le indagini ematochimiche rivelavano la presenza di un discreto aumento della lattico-deidrogenasi (735 U/L) e della VES (I° ora 35 mm). La giovane veniva pertanto sottoposta alle indagini strumentali di seguito descritte. • Rx torace: presenza di una neoformazione occupante la regione anteriore sinistra del mediastino. • PET total body: definisce la suddetta lesione come una zona a elevata attività metabolica dal diametro di 12 cm; nulla da segnalare negli altri distretti indagati. 30 • L’esame istologico delle biopsie multiple, effettuate in sede mediastinica, permetteva di porre diagnosi di linfoma non Hodgkin diffuso a grandi cellule B con aree di sclerosi, come da linfoma primitivo del mediastino. • La biopsia ossea concomitante risultata negativa per infiltrazione di malattia. Approccio terapeutico Sulla scorta di questa diagnosi, la giovane iniziava una chemioterapia secondo lo schema MACOP-B (rituximab-ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, metotrexato, bleomicina e prednisone), di cui praticava 8 cicli poi sospesi per severa tossicità neurologica. Alla sospensione la rivalutazione di malattia mostrava uno stato di “no responder” e ha pertanto praticato una chemioterapia di salvataggio con R-IGEV (rituximab, ifofosfamide-gemcitabina-vinorelbina ), ben tollerato con riduzione della lesione mediastinica di circa il 50%. In considerazione della tossicità accumulata, ma soprattutto per la persistenza di malattia, si decideva di avviarla a un programma di alte dosi di chemioterapia, con reinfu- sione di cellule staminali autologhe. La collezione delle cellule staminali è avvenuta attraverso la somministrazione di alte dosi AraC (citarabina) e fattore di crescita granulocitario. Lo schema di condizionamento utilizzato è stato il BeEAM (bendamustina 160 mg/m2 nei giorni -7,-6; Ara-C 400 mg/m 2 e etoposide 200 mg/m 2 nei giorni -5,-4,-3,-2; melphalan 140 mg/m2 al giorno -1). Al giorno 0 è avvenuta l’infusione di cellule staminali autologhe pari a 6x10 6 /kg di cellule CD34+. Durante la citopenia, dovuta alla chemioterapia, sono state osservate complicanze gastroenteriche ( WHO 1) e febbre ( WHO 2). La necessità trasfusionale è stata limitata a 2 concentrati piastrinici da singolo donatore quando la conta piastrinica è stata al di sotto di 10.000/µl. L’attecchimento per granulociti neutrofili >500/µl e per piastrine 20.000/µl è stato documentato nei giorni +10 e +14, rispettivamente. Due mesi dopo l’esecuzione del trapianto la rivalutazione della malattia permetteva, per la prima volta, di documentare il raggiungimento della remissione completa (RC). La trascurabile tossicità ematologica osservata e il rilevan- G. MESSINA te impatto sulla malattia determinato dallo schema BeEAM permetterà, a breve, di avviare la stessa giovane a trapianto allogenico da donatore familiare aploidentico. Discussione del caso e razionale delle scelte terapeutiche È consolidato il concetto secondo cui le alte dosi di chemioterapia con rescue autologo di cellule staminali rappresentino un elemento cardine nella strategia terapeutica dei pazienti con disordini linfoproliferativi a prognosi sfavorevole. Numerosi studi già pubblicati hanno dimostrato l’efficacia di vari schemi di condizionamento, quali BEAM (BCNU, etoposide, Ara-C, melphalan), che ne rappresenta il capostipite, FEAM (fotemustina, etoposide, Ara-C, melphalan) TEAM (thiotepa, etoposide, Ara-C, melphalan). Recentemente Visani et al. hanno, per primi, documentato risultati non inferiori con lo schema BeEAM, che prevede l’utilizzo della bendamustina testata a dosaggi scalari partendo da 160 mg/m2 per 2 giorni fino a 200 mg/m2 in sostituzione del BCNU (le nitrosouree carmustina) o della fotemustina o del thiotepa. In tale studio, condotto su 43 pazienti affetti da linfoma di Hodgkin e non Hodgkin in fase avanzata di malattia, lo schema BeEAM, seguito dall’infusione di cellule staminali autologhe, ha presentato un profilo di tossicità estremamente trascurabile, con mortalità correlata al trapianto dello 0%. Il dato più sorprendente osservato, in questo lavoro, è che il 9% di questi pazienti ha raggiunto, per la prima volta, solo dopo le alte dosi con BeEAM, la RC. La scelta da parte del nostro Centro, di utilizzare questo schema, ha trovato spunto proprio da quest’ultima osservazione, associata al fatto che la paziente non solo non aveva mai risposto in maniera veramente soddisfacente alle chemioterapie convenzionali, ma anche per la scarsa compliance che la stessa giovane presentava, ormai, nel perseguire questo tipo di strategia terapeutica. Con queste premesse, che meritano comunque ulteriori verifiche presso la nostra Struttura, si potrebbe considerare, per questa coorte di pazienti, il BeEAM come uno schema di condizionamento propedeutico a un successivo trapianto allogenico. Clinical and Experimental Medicine 2011;12(3):165-171. • Musso M, Scalone R, Marcacci G et al. Fotemustine plus etoposide, cytarabine and melphalan (FEAM) as a new conditioning regimen for lymphoma patients undergoing auto- SCT: a multicenter feasibility study. Bone Marrow Transplantation 2010;45(7):1147-1153. • Salar A, Sierra J, Gandarillas M, Caballero MD et al. for the GEL/TAMO Spanish Cooperative Group. Autologous stem cell transplantation for clinically aggressive non-Hodgkin’s lymphoma: the role of preparative regimens. Bone Marrow Transplantation 2001;27(4):405-412. • Visani G Malerba L, Stefani PM et al. 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