V. EGIC – A.A. 2014-15 Perchè si parla dei rapporti industria-distribuzione? Qual’è stata l’evoluzione di tali rapporti? Quali fattori influenzano le relazioni tra le parti? … Nel settore della distribuzione si sono sviluppati numerosi conflitti, che hanno registrato dimensioni non solo nazionali, ma anche europee - e non solo comunitarie, ma pure da proiettare sugli importanti mercati dell'Europa centro-orientale. Le cinque aree maggiormente interessate dal conflitto sono risultate: • quella tradizionalmente coinvolta dalle dinamiche della modernizzazione commerciale, dove le formule della moderna distribuzione organizzata si confrontano con gli esercizi tradizionali; • quella fra i grandi produttori di marca, dove il conflitto si sviluppava fra marche industriali e marche "private" dei grandi distributori; • quella fra i gruppi d'acquisto, dove il conflitto si sviluppava non solo in "orizzontale" (fra le diverse catene, con l'obiettivo di garantirsi l'approvvigionamento ai migliori rapporti di prezzo/qualità), ma anche in "verticale" (fra le diverse filiere produzione/distribuzione che si coagulano intorno ai gruppi, in relazione anche alle particolari forme d'impresa, come ad esempio quella cooperativa, e soprattutto ai rapporti fra gruppi e industrie nazionali); • quella del commercio all'ingrosso, dove le nuove specializzazioni creavano vantaggi comparati che riducevano il valore aggiunto per i produttori e per i dettaglianti; • infine, quella tra i grandi produttori e le catene d'acquisto, che coinvolgevano la ripartizione dei margini di profitto fra industria e distribuzione. 3 Dal conflitto …. ... alla collaborazione 4 Rivoluzione industriale Produzione artigianale Produzione industriale di massa Rivoluzione commerciale Grande Distribuzione Concorrenza e differenziazione Marca Commerciale (store loyalty) Industria di Marca (brand loyalty) Rapporti IdM e GD* Rivoluzione digitale Internet E-business Nuovi rapporti Industria-Distribuzione-Consumo * IdM = Industria di Marca GD = Grande Distribuzione 5 L’evoluzione dei rapporti I/D … prima della rivoluzione industriale La rivoluzione industriale La rivoluzione commerciale Lo sviluppo delle nuove tecnologie per l’informazione e la comunicazione 6 La Rivoluzione Industriale dalla produzione frammentata grande produzione di massa alla la differenziazione: innovazioni tecnologiche: confezionamento dei prodotti conservazione del prodotto mezzi di comunicazione di massa (TV) ... marca e brand loyalty la grande industria di marca 7 Pre Rivoluzione industriale: ☞ Tessuto produttivo molto frammentato ☞ Mancanza di operatori del trade specializzati Post Rivoluzione industriale: ☞ La leadership del canale spetta al mercante Sviluppo tecnologico: ☞ Integrazione verticale a valle dell’industria (brand loyalty) Cambiamento dei costumi: ☞ Modernizzazione del tessuto distributivo ☞ Aumento del potere negoziale della distribuzione (store loyalty) Attualmente: ☞ Conflitto industria e distribuzione in diversi settori ☞ Partnership senza leadership riconosciuta 8 La Rivoluzione Commerciale dalla distribuzione frammentata alla grande distribuzione organizzata: innovazioni di processo innovazioni di prodotto crescita in forma integrata e associata verso la store loyalty: marca commerciale carte fedeltà merchandising atmosfera del punto vendita ... 9 Crescente trasferimento del ruolo di channel leader alle imprese del grande dettaglio succursalista. Instaurazione di rapporti collaborativi fra soggetti a diversi stadi del canale distributivo. La distribuzione si evolve da mezzo di trasferimento dell’informazione raccolta durante la vendita a creatrice dell’informazione stessa. L’industria ricerca un maggior controllo della fonte delle informazioni integrandosi a valle o condividendo con gli operatori a valle le strutture informatiche. Nell’impresa industriale la politica distributiva si pone con gradi di libertà differenti in funzione della struttura del mercato servito e della forza della sua marca: 1. le imprese più piccole e deboli lotteranno per avere accesso alla distribuzione; 2. le imprese più grandi e rinomate saranno l’oggetto di conflitti fra le imprese di distribuzione, 3. la politica distributiva deve interagire con le altre politiche di marketing. 10 Un canale può essere considerato come l’estensione di una catena del valore, che oltrepassa i confini dell’impresa industriale fino a raggiungere il consumatore finale. Il canale crea un surplus di valore nei casi in cui esista una differenza positiva tra l’utilità marginale di un acquisto (comprensivo di beni e servizi) e il relativo costo di produzione. Esisterà sempre un valore “utile” (valore d’uso) finché il consumatore sarà disponibile a sostenere un determinato sacrificio in denaro (prezzo) per avere in cambio uno specifico prodotto. Il valore d’uso creato nel canale può essere massimizzato tramite il coordinamento e la cooperazione che attivano una “spirale evolutiva” alla base dei processi di diffusione dell’innovazione. Un approccio di questo tipo si basa su una modifica da relazioni interaziendali buyerseller, a favore della collaborazione nelle diverse aree funzionali. 11 Mappa delle relazioni collaborative intrachannel 12 I fattori principali che ostacolano l’adozione di strategie di integrazione verticale con riferimento alle attività di distribuzione, sono classificabili in una delle tre seguenti “incompatibilità”: 1. divario di assortimenti esistente tra i differenti stadi operativi del canale; 2. eterogeneità dei processi da integrare; 3. capacità manageriali non sempre adeguate. 13 “Il potere di un membro di un canale è rappresentato dalla sua capacità di controllare le variabili su cui si fondano le scelte strategiche e operative di un altro soggetto operante a un livello diverso del canale; tale potere riduce il livello di controllo, che l’agente dominato esercitava inizialmente sulle proprie scelte” [El Ansary e Stern, 1992] Tipologie di conflittualità intracanale 14 15 PRODUTTORE Consumer Marketing del Produttore Trade Marketing DISTRIBUTORI (Trade) Consumer Marketing del Trade CONSUMATORE 16 Insieme delle attività svolte dal produttore per conoscere, pianificare e gestire il processo distributivo e i rapporti con la distribuzione commerciale 17 Il trade marketing è l'applicazione delle tecniche di marketing indirizzate al distributore piuttosto che al consumatore finale. Rappresenta quindi un approccio gestionale che si propone di contribuire all'efficacia dell'azione di marketing aziendale, attraverso il completo soddisfacimento delle esigenze dei propri clienti commerciali. 18 Mutamento radicale dell’industria nella filosofia alla base della gestione delle relazioni con le imprese commerciali che può essere condensato nei seguenti comportamenti essenziali: A. evitare di intraprendere iniziative potenzialmente discriminatorie nei confronti della distribuzione; B. sperimentare sempre nuovi progetti di collaborazione verticale; C. implementare un sistema informativo di marketing che permetta l’utilizzo di metodologie innovative di programmazione e controllo dei processi distributivi; D. adeguare le strutture organizzative commerciali ai cambiamenti avvenuti nel tessuto distributivo. 19 Le attività di marketing vengono suddivise in due grandi macroaree: Attività “above the line”, ovvero azioni di marketing dirette al consumatore, quindi advertising on air, campagne pubblicitarie istituzionali su stampa specializzata e non, affissioni, ecc. Attività “below the line”, ovvero azioni di marketing veicolate dal trade, cioè dalla distribuzione, per poi raggiungere il cliente; alcune di queste attività sono: volantini promozionali, in store promotion, fidelity program, raccolta punti, evidenziazione a scaffale, comarketing, ecc. 20 Ottenere la qualità di presenza nei punti vendita coerente con le strategie di marketing Negoziare/concordare tale presenza con i canali distributivi 21 quanti e quali punti vendita quale assortimento quale esposizione quale prezzo al pubblico quale supporto promozionale quale livello di scorte … 22 Delle strategie di trade marketing efficaci consentono all’azienda di : 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. Segmentare il mercato per la scelta dei clienti commerciali migliori Avere clienti commerciali motivati e disposti a collaborare in maniera proattiva Calibrare gli assortimenti per garantire una reciproca redditività Ottenere la visibilità dei prodotti all’interno dei punti vendita Realizzare campagne condivise di in store promotion Realizzare campagne pubblicitarie sul territorio Definire programmi di incentivazione personalizzati 23 La fase strategica del trade marketing concerne nella segmentazione della domanda, nel targeting e nel posizionamento. 1. Segmentare la domanda intermedia significa, riconoscere una certa eterogeneità tra i clienti distributori e pertanto, individuare dei segmenti, significa creare gruppi di distributori tra loro simili per certi aspetti e, al tempo stesso, dissimili da altri. Ogni segmento potrebbe, per esempio, esprimere differenti esigenze in termini di criteri di scelta del prodotto e del fornitore industriale. Per esempio, per un produttore operante nel settore alimentare, i clienti della GDO potrebbero apprezzare determinate condizioni di acquisto legate ai volumi ordinati e non essere interessati a servizi logistici o ad attività di merchandising, mentre piccoli distributori del dettaglio tradizionale potrebbero essere sensibili a dilazioni sui pagamenti, a servizi logistici e a un supporto di merchandising. 2. Il targeting è la scelta dei segmenti dei distributori che l’impresa intende presidiare e rispetto ai quali definisce il posizionamento desiderato. 3. L’analisi dei clienti-distributori è la premessa indispensabile all’implementazione di una strategia di trade marketing che sia in grado di posizionare correttamente il produttore nei segmenti prescelti come target, orientando la scelta delle leve idonee per conseguire obiettivi specifici. 24 Le imprese industriali hanno avvertito la necessità di formalizzare in un piano detto di cliente-canale, la strategia che intendono adottare verso il trade specificando obiettivi e azioni. L’impresa di produzione deve quindi pianificare i propri sforzi di marketing anche relativamente ai canali e, al loro interno, ai singoli clienti-chiave. L’impresa industriale pianifica così l’attività di marketing in una logica integrata prodotto-canale-cliente. 1. Definizione degli obiettivi: - analisi delle caratteristiche della clientela intermedia; - si quantificano specifici obiettivi per canale-cliente (volumi di vendita soddisfacenti, mantenimento della quota di mercato detenuta, massimizzazione della profittabilità, contenimento degli investimenti e dei rischi entro limiti accettabili). 2. Definizioni delle azioni: - individuare le azioni ritenute più idonee, in base alle risorse e alle competenze disponibili; - allocare le risorse aziendali al portafoglio-clienti distributori; - riconoscere l’eterogeneità dei clienti intermediari e quindi la possibilità di segmentare la clientela commerciale. 25 Il progetto E.C.R. (Efficient Consumer Response) È un progetto di collaborazione tra Industria (I.d.M.) e distribuzione (G.D.O.) Per sviluppare una visione globale del sistema produzione - distribuzione - consumo nell’ottica della value chain analysis Nasce negli U.S.A. nei primi anni ’80 Nel 1993 nasce ECR Italia Nel 1994 nasce ECR Europa 26 Negli ultimi anni, alcune grandi imprese industriali e commerciali operanti nel largo consumo, per difendere gli spazi di mercato conquistati dai prodotti di marca, hanno dato vita a un progetto di revisione critica di tutte le attività della filiera produttivodistributiva, denominato ECR (Efficient Consumer Response), per operare significativi recuperi di efficienza a vantaggio dell’intero canale. Da questo programma sono nati degli esperimenti nell’ambito del sottoprogetto CRP (Continuous Replenishment Program), finalizzati a verificare l’applicabilità nel concreto di procedure automatizzate di ripristino, da parte del produttore, dei livelli di scorta del Ce.Di. del distributore, basate sullo scambio di dati in tempo reale. 27 Trattasi di una strategia con cui il rivenditore grocery, il distributore e il/i fornitore/i partners commerciali lavorano a stretto contatto per eliminare i costi in eccesso della catena di approvvigionamento. La strategia ECR si concentra in particolare su quattro grandi opportunità per migliorare l’efficienza: 1. 2. 3. 4. L’efficient replenishment (rifornimento efficiente) L’efficient promotion (promozione efficace) L’efficient assortment (assortimento efficiente) L’efficient product introduction (efficace introduzione del prodotto) 28 ECR Italia è una Associazione paritetica fra Imprese Industriali ed Imprese Distributive, nata nel 1993, avente per scopo lo studio, la diffusione e l’applicazione di strumenti di raccordo fra le stesse, con particolare riguardo al potenziamento dell’efficienza dei rapporti fra i due comparti e dell’intero ciclo ProduzioneDistribuzione-Consumo e di quanto altro sia ritenuto aderente allo scopo associativo da parte degli Organismi della Associazione. (fonte: http://www.ecr.it) 29 ECR Italia ha come obiettivo primario la riduzione del costo del Sistema Industria di Marca - Distribuzione Moderna e la equa suddivisione dei vantaggi qualitativi e quantitativi acquisiti fra Produzione Distribuzione Consumatore finale. Parimenti ECR Italia persegue la ricerca di un nuovo modello di interfacciamento Industria di Marca - Distribuzione Moderna e la creazione di una nuova cultura dei Manager e di un linguaggio comune che agevolino una partnership oggettiva. 30 E.C.R. comprende orientamenti di natura: logistica informativa commerciale (Efficient Replenishment) (E.D.I. - Electronic Data Interchange) (Efficient Store Assortment, Efficient Product Introduction, Efficient Promotion) organizzativa (Category Management) 31 Una categoria è un gruppo ben definito di prodotti/servizi che il consumatore percepisce come tra loro correlati e sostituibili nella soddisfazione di una sua esigenza. Il Category Management è un processo comune tra Produttore e Distributore in cui le categorie sono gestite come Unità di Business, con l’obiettivo di aumentare il fatturato e l’utile attraverso una maggiore soddisfazione dei consumatori. 32 Definizione Processo di gestione a livello di singola categoria merceologica, considerata come unità strategica di business, avente l’obiettivo di migliorare i risultati mediante la focalizzazione sul valore trasferito al consumatore, ovvero personalizzando l’offerta per soddisfare l’esigenza dei consumatori. Criticità Rilevanza del ruolo del consumatore. Va oltre le politiche di marketing per definire un processo olistico che comprende anche i rapporti con i fornitori e con la logistica interna. È un cambiamento radicale rispetto alla precedente visione di marketing sia per l’industria che per il trade. 33 Mutamento del comportamento di consumo della domanda favorendo una maggiore attenzione alla leva del prezzo. Crescente infedeltà del consumatore a livello di insegna. Difficoltà da parte del trade di ottenere, dall’industria, condizioni contrattuali migliorative rispetto al passato (sconti, premi, contributi) da riversare in parte sul prezzo al consumo e supportare così l’immagine di convenienza. Crescente controllo della catena del valore interna da parte del distributore. 34 Principi fondamentali del Category Management In sintesi, essi sono: Le categorie di prodotto sono unità di business I confini e le dimensioni delle categorie sono individuati sulla base dell’analisi del comportamento di consumo e di acquisto del consumatore Le categorie vengono gestite strategicamente attraverso piani di categoria che assegnano ruoli e obiettivi ad ognuna di esse Il compito di creare e monitorare il valore aziendale è ripartito tra le unità organizzative responsabili delle categorie (singole figure aziendali o team), ognuna delle quali è responsabile per una quota del valore aziendale complessivo 35 razionalizzare e gestire la varietà di un assortimento o di una gamma di prodotti attraverso la riduzione delle ridondanze e il potenziamento delle alternative di scelta per il consumatore; adottare un nuovo metodo gestionale che identifica le categorie come unità strategiche d’affari; è un processo tramite il quale il distributore, data la sua strategia globale, gestisce con l’industria le categorie come unità strategiche di business, per migliorare i risultati focalizzandosi nel dare più valore al consumatore. 36 38 1. Definizione della categoria: la scelta adottata dal distributore per definire il suo campo di analisi e, quindi, l’ambito dell’azione di marketing 2. Assegnazione di un ruolo alla categoria: associare a ogni categoria, in funzione della sua vocazione, un determinato ruolo di marketing che può accrescere la soddisfazione del consumatore 3. Analisi delle informazioni rilevanti. Prima di stendere un piano è opportuno disporre di tutte le informazioni che riguardano la categoria 4. Misurazione degli indicatori. Ogni distributore deve porsi dei nuovi obiettivi di performance, verificare i principali indicatori interni relativi alla categoria e, alla luce del ruolo, decidere se sono soddisfacenti 5. Scelta delle strategie. In relazione al ruolo, agli indicatori interni e al comportamento dei competitor, ogni insegna deve decidere quali sono gli obiettivi economico-competitivi da conseguire 6. Definizione delle azioni di retail mix a sostegno degli obiettivi fissati: il distributore deve decidere quali leve del marketing mix manovrare in termini di politica assortimentale, di prezzo, di promozione, di spazio espositivo assegnato ai segmenti, alle marche, alle referenze 7. Piano di implementazione: testare il category plan garantendosi che tutte le indicazioni prospettate vengano messe in pratica dalla rete periferica (divisioni/Ce.Di., punti di vendita) 39 Una categoria può essere definita e strutturata secondo diversi criteri, purchè tutti rispettino un principio base. Il nome della categoria e la sua divisione in segmenti devono rispecchiare il linguaggio del consumatore. Ad esempio, nell’ottica del category management potremmo esporre una categoria di integratori alimentari secondo il destinatario, e cioè: “Per chi fa sport”, “Per recuperare le forze”, “Per il benessere e la vitalità”, “Per il benessere junior”, “Per il benessere dopo i 50”, “Per la memoria”, “Per dimagrire”, “Per i momenti di maggiore impegno”. Il ruolo delle categorie e le correlate strategie dipendono da: a. Il periodo temporale b. Il tipo di canalizzazione c. L’area territoriale d. Il livello di sovrao sottosegmentazione considerato La categorie assumono un ruolo a seconda: 1. dell’importanza che hanno i prodotti per il consumatore; 2. dell’importanza che hanno i prodotti per il distributore. 40 I ruoli di marketing nelle categorie 41 42 La definizione di assortimenti di prodotto coerenti con le esigenze dei consumatori target, personalizzati per punti vendita o cluster di punti vendita omogenei La formulazione di prezzi di vendita competitivi e coerenti con gli obiettivi della categoria La realizzazione di promozioni interessanti Una attraente presentazione dei prodotti nel punto vendita Ottimizzazione dei processi in particolare di integrazione fra produttore e distributore 43 La ricerca di marche e prodotti da inserire in assortimento in relazione al ruolo che si intende affidare alla categoria. Il raggiungimento degli obiettivi di marginalità prefissati dalle categorie in portafoglio. Il miglioramento del margine complessivo per unità di spazio nei diversi tipi di canale in cui è articolata l’offerta. Il miglioramento di alcuni indicatori logistici che manifestano una corretta gestione dei prodotti in assortimento: * la riduzione degli inevasi; * * la diminuzione delle rotture di stock nel punto di vendita; l’abbattimento delle scorte in magazzino. 44 Direct Product Cost e Direct Product Profitability è uno strumento gestionale utile a misurare il grado di redditività lorda di ognuno dei prodotti inseriti in assortimento. È anche un supporto quantitativo prezioso per favorire lo sviluppo di relazioni verticali di canale collaborative, incentrate sulla valorizzazione oggettiva delle prestazioni intrachannel. Il modello, formulato originariamente dal FMI (Food Marketing Institute) in collaborazione con la McKinsey, consente di attribuire i costi diretti di “produzione” alle singole referenze, dopo averli classificati in categorie (fattori “produttivi”) e in centri di costo (fasi di “lavorazione”), al fine di stimare “la quota di utilizzazione dei diversi fattori produttivi per ciascun prodotto attraverso la base di imputazione che meglio 45 rispecchia tale consumo”. 46 I presupposti di base alla relazione tra produttori e distributori cambiano a seconda se il prodotto ha una marca industriale o una marca privata o generica. Quando la brand loyalty è inferiore alla store loyalty il fornitore deve compensare la minore forza di mercato e per ottenere la preferenza del distributore deve accordare adeguate concessioni: sconti extra; premi di referenziamento; contributi di merchandising; esclusive di vendita; resi sui prodotti invenduti; dilazioni di pagamento. Le mutate condizioni alla base dei rapporti di fornitura hanno dato vita a cambiamenti importanti anche nei sistemi di valutazione dei fornitori, che oggi consentono di misurare e classificare, mediante procedure standardizzate di supplier-rating, l’output produttivo del fornitore e le sue risorse e competenze 47 aziendali.