TRADE MRK Con lo sviluppo di una configurazione dei rapporti di filiera hanno imposto una revisione dei paradigmi tradizionali del mrk management industriale. Questi paradigmi si basano su 10 principi di fondo: 1) la segmentazione della domanda è focalizzata più sul comportamento di consumo che non sul comportamento di acquisto 2) il ruolo dell’impresa commerciale è quello di svolgere soprattutto un’attività di distribuzione fisica del prodotto 3) la forza della marca dipende esclusivamente dal posizionamento nel mercato della domanda finale 4) l’attività di product manager ha una valenza strategica, mentre quella del sales management ha una valenza operativa 5) il produttore svolge il ruolo di channel leader, decidendo e modificando la ripartizione delle funzioni di mrk tra i diversi membri della filiera 6) privilegiare le attività di consumer promotion rispetto a quelle di trade promotion 7) il p.to vendita viene percepito essenzialmente come un impianto distributivo 1 8) i rapporti industria-distribuzione si configurano solo come rapporti di fornitura trascurando le dimensioni competitive verticali che si possono creare con lo sviluppo dei marchi commerciali 9) le politiche di prezzo sono il risultato delle strategie di differenziazione dei produttori 10) nella gerarchia delle preferenze dei consumatori prevalgono le situazioni di brand loyalty rispetto a quello di store loyalty Questi principi sono stati messi in discussione dai cambiamenti che hanno riguardato sia il mercato finale del consumo sia il mercato intermedio della distribuzione. I cambiamenti più rilevanti sono: - - - Lo sviluppo di nuovi modelli di acquisto e da un diffuso consolidamento delle relazioni di fiducia con i p.ti vendita-insegne commerciali L’affermazione di un processo di innovazione dei formati distributivi basato sia sull’offerta di nuovi prodotti e servizi sia sulla creazione di quelle condizioni di natura “esperenziale” che, oltre a rendere più piacevole l’attività di spesa, tendono a spostare le decisioni di acquisto all’interno dei p.ti vendita Il potenziamento del ruolo delle distribuzione nelle attività di creazione del valore per il consumatore tale da comportare sia una maggiore autonomia di mercato delle insegne commerciali sia una diversa ripartizione delle funzioni di mrk nei rapporti di filiera La propensione delle catene distributive a lanciare, potenziare e riposizionare i propri marchi Da tutto questo è emerso che nell’ultimo decennio è cresciuto il peso attribuito alla leva della distribuzione a discapito di quella della comunicazione, sia nei mercati banali che in quelli problematici. Questi cambiamenti richiedono un approccio alle politiche di mercato industriali basate sull’attività di mrk, che a sua volta si divide in due grandi filoni: consumer mrk e trade mrk. La ricerca del punto di equilibrio tra questi due investimenti è condizionato dal posizionamento di mercato delle imprese. Paradiso: aziende con grandi risorse finanziarie che portano a investimenti sia nell’attività di trade che di consumer mrk. Forte potere di mercato sia nel mercato finale che in quello intermedio Inferno: aziende con poche risorse che portano pochi investimenti Consumer mrk: aziende con posizione dominante nei mercati di nicchia, orientamento alla brand loyalty Trade mrk: aziende che effettuano investimenti in store promotion più efficaci di quelli pubblicitari 2 Questo punto di equilibrio andrebbe ricercato evitando di entrare in una spirale del declino. (slide 6) Avremo una nuova visione del trade mrk con la descrizione delle tre dimensioni: - dimensione strategica: bisogna conoscere il posizionamento comèpetitivo dei produttori nel mercato distributivo, valutando i loro punti di forza e debolezza - dimensione organizzativa: nuovi modelli organizzativi con una forte integrazione delle competenze manageriali miste, sia competenze di mrk che di vendita - dimensione operativa: focalizzazione sugli investimenti nel mercato distributivo. A differenza del passato, questa dimensione comporta maggior differenziazione e segmentazione delle azioni commerciali che tengono conto dei diversi bisogni della clientela distributiva Il punto di partenza per un processo di pianificazione di trade mrk è la progettazione di un sistema informativo basato su: - - Informazioni di ambiente: scenario macroeconomico che comprende la dinamica dei mercati, l’evoluzione degli stili di consumo e di acquisto e i cambiamenti legislativi Informazioni di mercato: evidenziano sia le politiche di sviluppo dei diversi distributori che il posizionamento economico. Es. quote di mercato, valore degli investimenti in comunicazione Informazioni di ambiente: valutano il posizionamento competitivo delle imprese industriali nei canali di vendita e nei clienti commerciali Passaggio da Brand loyalty a Store loyalty Brand loyalty: fedeltà nella marca Store loyalty: fedeltà nel punto vendita Dopo una definizione di store loyalty come riportato nella slide n° 11, questo concetto si basa sulla combinazione di due diverse dimensioni: comportamentale e cognitiva. Per fidelizzare al meglio il consumatore verso un punto vendita bisogna studiare i suoi comportamenti di acquisto e la sua soddisfazione. Molti clienti ricordano il punto vendita per la qualità del servizio offerto e anche dal comportamento del personale di vendita. Per questo, l’immagine che il punto vendita trasemtte al consumatore è definita da una combinazione di attributi: - Funzionali: ampiezza, profondità, livello di presso e layout Psicologici: atmosfera del negozio, cortesia del personale, facilità di shopping La selezione del supermercato di fiducia può essere determinata da tre categorie di criteri: - Criteri di servizio: infrastrutture, assistenza (es. parcheggio) Criterio di convenienza: vantaggi economici (es. sconti promozionali) 3 - Criterio di assortimento: varietà di offerta Per far si che il consumatore scelga sempre quel punto vendita saremo di fronte a delle difficoltà: ovvero che tutti i punti vendita non hanno la disponibilità di numerosi prodotti di nicchia, e non hanno sempre la disponibilità di tutte le linee prodotto delle marche; oppure a delle opportunità: ovvero che molte decisioni di acquisto vengono prese all’interno dei punti vendita, per via degli sconti effettuati, oppure l’importanza degli investimenti effettuati dai punti vendita che possono essere: push: quelli effettuati al di fuori del punto vendita (es. cartelloni pubblicitari) pull: quelli effettuati all’interno del punto vendita (es. scontistica dei prodotti) Nei mercati di largo consumo il rapporto tra Brand loyalty e Store loyalty si è evoluto a favore dello Store loyalty. Questo risultato è emerso dai comportamenti che assumono gli acquirenti quando non trovano la marca preferita nei punti vendita, sostituendola con altre al posto di cambiare supermercato, come si può vedere nella tabella nella slide 15. Le relazioni strategiche tra industria e distribuzione 1. Premessa. Si può rilevare che la struttura e la dinamica delle relazioni tra industria e distribuzione sono influenzate da tre diverse componenti: la componente contrattualistica, la componente competitiva e la componente strategica. Nelle relazioni a prevalente contenuto contrattuale-negoziale l’interesse delle parti è concentrato essenzialmente sul puro e semplice scambio di un prodotto o servizio contro la corresponsione di un prezzo. Per cui gli sforzi sono diretti a realizzare il massimo risultato a breve, facendo leva sulle capacità negoziali e sulla forza contrattuale di cui ciascuno dei due contraenti dispone. Le relazioni di natura competitiva si sviluppano in funzione di possibili “invasioni di campo” dell’industria nell’area di attività propria della distribuzione e viceversa, in contrasto con il principio della specializzazione e della reciproca integrazione funzionale. In tale contesto si perde così l’armonia relazionale tra gli operatori collocati su livelli diversi della catena produzione-distribuzione- consumo e sorgono occasioni di conflitto nella disputa sulle aree e funzioni di competenza Le relazioni di natura strategica fra industria e distribuzione emergono tendenzialmente in tutte le situazioni in cui le due parti riconoscono l’opportunità e la convenienza di una 4 gestione delle rispettive attività proiettata nel medio-lungo termine ed imperniata sulla considerazione e sul riconoscimento dei vantaggi ottenibili tramite una interazione tra le specifiche competenze e risorse nell’approcciare il mercato e nell’affrontare la concorrenza. 2. I percorsi evolutivi degli studi sui rapporti tra industria e distribuzione Lo studio dei rapporti industria-distribuzione in Italia si sviluppa secondo un approccio economico-strutturale; in questi termini, il sistema produttivo ed il sistema distributivo vengono considerati come due entità unitarie, separate e tendenzialmente contrapposte, ovvero come due vere e proprie industrie a sé stanti che entrano in contatto esclusivamente attraverso relazioni di scambio regolamentate dal mercato. In essi le problematiche di carattere economico, quali il livello dei prezzi nella catena produzione-distribuzioneconsumo, il grado di differenziazione di prodotto e le strutture di mercato verticali assumono un’importanza determinante ed il taglio di analisi seguito mira soprattutto a mettere in luce i modi ed i caratteri dell’evoluzione dei rapporti tra industria e distribuzione. Nel primo lavoro l’analisi è condotta in riferimento ai problemi affrontati dall’industria nella ricerca di una maggiore forza d’influenza sul mercato finale e nella difesa di questo potere a fronte del sorgere di un potere controbilanciante nelle mani della grande distribuzione. Nel secondo l’attenzione è posta sui fattori e sulle condizioni che influenzano in modo specifico il grado di potere dei vari operatori di mercato ed il sorgere di conflitti nel canale di distribuzione (conflitti intracanale) e tra sistemi distributivi diversi (conflitti intercanale). Dall’area istituzionale del marketing emerge un nuovo filone di ricerca sui rapporti tra industria e distribuzione, rappresentato dagli studi di trade marketing. In una prima fase sono praticamente concentrati sui problemi dell’impresa industriale, successivamente tendono a coprire anche l’approfondimento di tematiche, come quella del retailing e del merchandising, che riguardano in modo specifico la gestione dell’impresa commerciale. 2.1 L’analisi della concentrazione nel sistema distributivo Lo scopo principale è quello di mostrare la progressiva tendenza dei sistemi di distribuzione verso strutture sempre più concentrate e di evidenziare come questo fenomeno determina di per sè effetti rilevanti sui rapporti industria-distribuzione. A causa di una serie di fattori (inurbamento della popolazione, concentrazione dei mercati spaziali, massificazione dei consumi e dei consumatori, ecc) la strada dello sviluppo dimensionale è stata percorsa nel settore del grocery (qualsiasi negozio in cui si può comprare cibarie. Si può comprare altre cose, ma la maggior parte delle cose sono cose da mangiare, supermarket), sia a livello di stabilimento con la diffusione dei supermercati come tipologia operativa, sia a livello d’impresa con lo sviluppo di grandi catene a base proprietaria, associativa e contrattualistica. Il paradigma su cui si pone l’accento negli studi sull’apparato distributivo è la relazione 5 triangolare tra a) concentrazione b) efficienza e c) potere della distribuzione. L’aumento della concentrazione nella distribuzione, associato ad un incremento dimensionale delle imprese e delle unità operative commerciali, viene correlato con una maggiore efficienza nello svolgimento delle funzioni commerciali. Questo sembra essere il risultato non soltanto degli effetti delle economie di scala, ma anche dell’impatto dell’introduzione di nuove tecniche gestionali. Il dettaglio moderno, cioè di grandi dimensioni, sembra essere più efficiente di quello tradizionale, nel senso che esiste una correlazione inversa tra livello dei prezzi e dimensioni dei punti di vendita. Per cui, in periodi di modernizzazione del commercio, esiste la possibilità che il livello dei prezzi tenda a diminuire, appunto per una crescita di efficienza dell’intero sistema distributivo. Per ciò che riguarda il rapporto tra concentrazione nella distribuzione e potere nei confronti dell’industria, sono disponibili studi generici ma mancano analisi empiriche di vasto respiro rivolte alla considerazione dei problemi gestionali ed organizzativi, ad eccezione di alcuni studi che utilizzando fonti di derivazioni aziendali hanno riscontrato una significativa correlazione inversa tra i margini di redditività delle imprese industriali e gli indici di concentrazione degli acquirenti delle stesse. A parte questa carenza di riscontri empirici sugli effetti della concentrazione distributiva, ciò che va messo in luce è che le relazioni industria-distribuzione interessano una serie di dimensioni che l’approccio economico-strutturale non riesce a catturare. E ciò costituisce una rilevante limitazione tenendo conto che in tali relazioni non contano soltanto le caratteristiche strutturali dei due settori, ma altresì i modi con cui le imprese di fatto gestiscono i loro rapporti e le loro condotte in funzione del variare delle condizioni della concorrenza verticale (tra industria e distribuzione) e della concorrenza orizzontale (nell’industria e nella distribuzione). 2.2 L’evoluzione degli studi di trade-marketing Gli studi sul trade-marketing si sviluppano nel nostro Paese in modo significativo dopo i primi anni ottanta, con riferimento al comparto dei beni di largo e generale consumo, in funzione dei cambiamenti registratisi nell’apparato commerciale e dell’importanza che hanno via via assunto nel portafoglio clienti dell’industria le imprese della grande distribuzione. E’ noto che in presenza di un sistema distributivo tradizionale sussiste uno sbilanciamento della forza contrattuale a favore della grande impresa industriale che riesce a manovrare a suo piacimento le variabili influenti sulle preferenze e sul comportamento del consumatore finale, dando vita a specifiche politiche di consumer-marketing e relegando il ruolo della distribuzione allo svolgimento di mere funzioni logistiche e negoziali. Viceversa, quando la grande distribuzione acquisisce un maggior peso contrattuale nei confronti dell’industria ed anche un’autonoma capacità di competere nella conquista delle preferenze del consumatore attraverso la manovra delle leve di sua specifica competenza e pertinenza (scelta degli 6 assortimenti, allocazione degli spazi espositivi nel punto di vendita, politiche promozionali), le politiche di marketing relative ad un certo prodotto cessano di costituire un’area di esclusiva manovra delle imprese industriali per diventare attività sottoposte ad un regime negoziale di elaborazione ed attuazione, nel quadro di una sorta di marketing contrattato. Lo sviluppo del trade-marketing consente di approfondire la dimensione operativa e contrattuale del confronto tra le due categorie di operatori, ma è probabilmente insufficiente a cogliere gli aspetti strutturali ed organizzativi dei rapporti stessi. Infatti oltre a delineare i principi sulla base dei quali è necessario sviluppare le “politiche” di marketing, trade o consumer oriented che sia, è rilevante puntare l’attenzione sulle condizioni e sui modi con cui tali politiche vengono elaborate e gestite, tenendo conto delle caratteristiche interne dell’impresa che le mette in atto, del contesto competitivo e del tipo di interlocutori esterni coinvolti (consumatori e clienti). 3. Tendenze innovative negli studi sulle relazioni di scambio Per meglio comprendere la problematica delle relazioni industria-distribuzione è utile far riferimento ad alcune importanti innovazioni nell’impostazione degli studi sulle relazioni cliente- fornitore. Le principali indicazioni di tendenza testimoniano che: • • • (1) (1) Le attività di marketing tendono sempre ad essere considerate in funzione del loro contenuto di scambio, cioè la dimensione relazionale dei rapporti fra gli operatori sul mercato. (2) I rapporti di tipo concorrenziale non costituiscono più l’unico aspetto considerato negli studi sulle strategie aziendali, in quanto viene data importanza anche ad altri fattori delle relazioni industriali, visto che queste si sviluppano nell’ambito dei mercati addometicabili. (3) Nell’ambito del marketing mix, il place tende a perdere la sua tradizionale connotazione di variabile tattica per assumere la veste di componente strategico. Guardando ai rapporti che l’impresa industriale intrattiene con i mercati di sbocco, si puòrilevare che i suoi interlocutori sono svariati: i concorrenti, i consumatori, i clienti diretti e gli intermediari. Pertanto, la negoziazione ed il coordinamento delle attività di scambio costituiscono una forza importante all’interno della funzione marketing. La numerosità dei partners nei mercati verticali è da riconnettersi a fenomeni di specializzazione. Secondo alcuni teorici è la scarsità delle risorse che determina la specializzazione, secondo altri secondo altri sono le specificità proprie delle funzioni di produzione dei diversi prodotti e servizi Comunque sia, il risultato è che la catena distributiva richiede l’intervento di numerosi operatori, ognuno con specializzazione diversa, i quali sono costretti ad interagire l’uno con l’altro. (2) La tendenza all’addomesticamento dei mercati indica che i rapporti fra le imprese tendono ad essere sempre meno occasionali e concorrenziali. Anzi, si assiste al sorgere di situazioni in cui le relazioni fra le imprese assumono una valenza cooperativa e si protraggono nel lungo 7 periodo. La ripetitività e la non conflittualità dei rapporti di mercato fa emergere quelli che Arndt definisce “domesticated markets”. L’addomesticamento dei mercati, infatti, non presuppone necessariamente l’emergere di “alleanze”, semplicemente, rende necessaria un’attività di coordinamento dei rapporti e degli scambi interorganizzativi. (3) All’emergere del contenuto strategico delle politiche distributive, va osservato che si è sviluppato molto lavoro sul ruolo da attribuire ai rapporti con i clienti nell’attività di pianificazione ed attuazione delle strategie. Il controllo sui canali distributivi può tradursi, oltre che in risparmi di costo, in opportunità di posizionamento commerciale e di sviluppo di condotte strategiche che offrono vantaggi concorrenziali non facilmente imitabili o aggirabili dai concorrenti. L’attribuzione di una diversa e maggiore importanza al ruolo del place ha portato talune imprese industriali a cambiare il proprio tipo di approccio al mercato, passando da politiche standardizzate a politiche adattate ai singoli contesti economicoambientali in cui si trovano ad operare. 4. La dimensione interorganizzativa dei rapporti industria- distribuzione: le strutture di coordinamento Prescindendo dalla considerazione delle cause che danno origine ai processi di integrazione, è possibile rilevare che il grado di integrazione delle forme interorganizzative può essere descritto attraverso tre parametri: - l’intensità delle interazioni verticali; - il grado di formalizzazione dei rapporti; - il grado di centralizzazione del processo decisionale. L’intensità delle interazioni verticali riguarda i flussi di attività, risorse ed informazioni che intercorrono tra due operatori appartenenti a due stadi successivi di un canale distributivo. L’elevata intensità di interazioni verticali comporta un maggior coinvolgimento degli interessati ed un più forte grado di coordinamento delle loro attività. Il grado di formalizzazione dei rapporti indica la presenza di regole, politiche prefissate e procedure standard che amministrano la relazione cliente-fornitore; anche in questo caso, all’aumentare della formalizzazione si presume che aumenti il grado di coordinamento. La centralizzazione del processo decisionale dà una misura del grado di influenza di uno dei due operatori sull’altro e descrive una situazione di interdipendenza asimmetrica nella relazione. Le relazioni di interdipendenza determinano effetti rilevanti sui processi di gestione dei rapporti cliente-fornitore. Le tre variabili della struttura interorganizzativa, danno una misura del grado di coordinamento nelle relazioni fornitore-cliente. In altre parole, quanto più aumentano le interazioni, la loro formalizzazione e la centralizzazione delle decisioni, tanto più le strutture 8 in oggetto si avvicinano al modello della gerarchia, pur non utilizzando necessariamente lo strumento dell’integrazione. A contesti diversi si applicano strutture di coordinamento diverse, la scelta delle quali - in termini eco-strutturali - è basata su un principio generale di efficienza. Nell’ambito delle funzioni commerciali quindi si assisterebbe ad un tendenziale maggiore successo delle forme di coordinamento intermedie. Gli accordi fra imprese costituiscono una tipologia di relazioni interimpresa che ha una sua identità e che si adatta a specifiche peculiarità dei sistemi economici moderni. E le relazioni cliente- fornitore, sembrano presentare caratteristiche tali da rendere conveniente e funzionale la loro amministrazione tramite meccanismi di coordinamento “speciali”, diversi dal mercato e dalla gerarchia, e non semplicemente intermedi. Un esempio di “accordo” tra cliente e fornitore è la formula del franchising, che consente tendenzialmente di ottenere i vantaggi propri delle forme intermedie di coordinamento. Un elemento di successo del franchising è l’originale e corretta valutazione dell’aggregazione dei prodotti nell’assortimento. Formule interorganizzative come Prenatal e Benetton devono molto della loro affermazione al criterio di scelta delle tipologie di prodotto da distribuire, in cui si dà la giusta importanza alla considerazione delle economie di scopo e di aggregazione. In sintesi, la diffusione delle forme intermedie di coordinamento nelle relazioni cliente-fornitore sembra essere favorita dal fatto che esse rispondono in modo specifico a due ordini di esigenze. In primo luogo, tali soluzioni sono più efficienti del libero mercato in quanto proteggono gli operatori dai rischi connessi all’incertezza, all’opportunismo ed alla razionalità limitata. In secondo luogo, esse non conducono ad una eccessiva centralizzazione che, nelle strutture integrate, influisce negativamente sul grado di intraprendenza e sulla competitività degli operatori. 5. Presupposti e condizioni della presenza di contenuti strategici nelle relazioni industria-distribuzione L’integrazione a valle e la costituzione di rapporti durevoli con operatori della distribuzione sono due risposte in termini “organizzativi” al problema del coordinamento delle attività del canale. Mentre in certe condizioni può essere preferibile affidare la distribuzione ad operatori esterni, con i quali si intrattengono rapporti saltuari. Un primo elemento è costituito dalla presenza o meno di economie d’aggregazione o di scopo. Esistono economie di scopo quando la produzione/distribuzione congiunta di più beni diversi è più efficiente della loro produzione/distri-buzione separata. Le economie di scopo si manifestano quando l’impresa ha a disposizione risorse in eccesso indivisibili e/o infungibili. Con riferimento alla distribuzione al dettaglio l’emergere delle grandi strutture di vendita al dettaglio, tramite le quali vengono distribuiti centinaia e talvolta migliaia di prodotti. Esempi di tali strutture sono riscontrabili nella distribuzione grocery, dove l’estensione degli 9 assortimenti non ha peraltro avuto un andamento omogeneo nel corso del tempo. Infatti, mentre fino a pochi anni fa era l’aumento dell’ampiezza dell’assortimento l’obiettivo assolutamente prioritario, oggi invece l’attenzione è rivolta anche al numero degli articoli disponibili per il consumatore all’interno di ciascuna linea (profondità dell’assortimento). Evidentemente le economie di scopo sono strettamente collegate con le caratteristiche del bene commercializzato e con l’esigenza di prestazione di servizi accessori al bene stesso. In corrispondenza di beni per i quali il consumatore richiede un servizio più qualificato ed una maggiore disponibilità di alternative tra cui scegliere il “verso” (profondità invece di ampiezza) delle scelte di espansione degli assortimenti può cambiare. Nella grande distribuzione, la profondità tende ad aumentare sensibilmente per quelle merceologie che richiedono contemporaneamente alti livelli di servizio personale, costituite tipicamente dagli alimentari freschi. Analoghe considerazioni possono essere tratte per la distribuzione di altre tipologie di beni, quali ad esempio i nuovi prodotti commercializzati dagli intermediari finanziari. A questo proposito si evidenzia l’importanza sia delle economie di scala, sia delle economie di scopo, nei processi di diversificazione dell’offerta di servizi finanziari, ma non si sottovaluta il peso delle caratteristiche della domanda, per affermare la possibilità di coesistenza sul mercato sia di imprese multiprodotto (financial supermarkets), sia di imprese monoprodotto (financial boutiques). Un ulteriore elemento che determina maggiori o minori gradi di aggregazione di beni diversi in fase di distribuzione è costituito dalla necessità di adattamento del prodotto/servizio alle caratteristiche del compratore/utilizzatore. Questi prodotti hanno come caratteristica di fondo la standardizzazione, in quanto non possono essere modificati e adattati alle richieste del singolo risparmiatore. Esistano tre ordini di motivi che determinano l’insorgere di strette relazioni tra imprese industriali - o erogatrici di servizi - e intermediari commerciali. -l’intensità delle economie di scopo determina lo sviluppo di intermediari multiprodotto, con i quali si intrattengono rapporti di semplice fornitura, e spesso non si creano relazioni di lungo periodo e di natura strategica. -l’esigenza di servizi accessori al bene da commercializzare fa aumentare l’importanza della funzione distributivo. -le necessità di adattamento del bene alle caratteristiche del consumatore/utilizzatore richiedono uno stretto rapporto con quest’ultimo, e quindi strutture di commercializzazione adatte per fornire questo tipo di servizio. L’avvento di forme distributive moderne più evolute può quindi favorire, in talune condizioni, lo sviluppo di relazioni interattive e strategiche tra fornitori e clienti, modificando radicalmente le regole del gioco competitivo nei rapporti di mercato verticali. 10 Rapporto tra industria e distribuzione nel mercato dei beni di largo consumo Il mercato dei beni di largo consumo, che costituiscono il reparto del grocery, è caratterizzato da una forte competizione verticale tra industria e distribuzione, poiché vengono fatti prevalere obiettivi di dominio o rivalità, piuttosto che di collaborazione. Il motivo di questa rivalità tra fornitori e clienti nel grocery è che entrambi vogliono stabilire relazioni stabili con il consumatore finale attraverso la brand loyalty e alla store loyalty, dunque il fine è esercitare un predominio sul mercato. Il triangolo delle relazioni fornitore-cliente-consumatore può avere diverse configurazioni: -se il rapporto tra fornitore e cliente è forte, si ha una relazione di collaborazione; -se il rapporto tra fornitore e consumatore è forte, a causa della elevata brand loyalty, sarà più difficile per il cliente mantenere la fiducia del consumatore finale sostituendo il proprio fornitore, che si trova in una condizione di vantaggio; -se il rapporto tra cliente e consumatore è forte, ci si trova in una situazione di elevata store loyalty, quindi il cliente potrà sostituire il fornitore, mantenendo comunque la fedeltà del consumatore finale; -se i rapporti tra cliente e consumatore e tra fornitore e consumatore sono forti, si avrà una situazione di rapporto competitivo, perché entrambi vogliono avere il predominio sul consumatore finale; -se tutte e tre le relazioni sono forti, si possono creare relazioni strategiche. Quindi una maggiore forza nella relazione con il consumatore è uno strumento per poter ottenere condizioni di scambio a proprio vantaggio. Nel grocery dunque le relazioni tra industria e distribuzione possono portare a situazioni di grande competitività, che possono portare a conflitti d' interesse con il concorrente, dando origine a pressioni sui prezzi ed influire sulla redditività dei settori. E' fondamentale considerare rischi e costi dell' eccesso di conflittualità: ciò porta alla ricerca di soluzioni contrattuali e forme di integrazione per dare origine a relazioni strategiche, cercando di raggiungere obiettivi comuni e non il predominio sul mercato. Diviene importante quindi spostare i rapporti verso una collaborazione, attraverso la differenziazione delle condizioni di vendita come comportamento strategico, focalizzandoci sulla valorizzazione dei servizi commerciali; creazione di contrattazione più stabili ed eque; ricerca di migliori performance integrate tra industria e distribuzione. Qualità e servizio sono fondamentali nei rapporti tra industria e distribuzione, mentre il prezzo diventa una variabile secondaria. Ciò porta all' integrazione del marketing nella strategia competitiva, dando un ruolo fondamentale al servizio all' interno del marketing mix, infatti attraverso politiche di 11 segmentazione si può rispondere più adeguatamente alle specificità della domanda dei diversi gruppi di clientela, attraverso l’ offerta di mix differenziati di prodotti/servizi. Sviluppi della relazione industria-distribuzione Le relazioni tra clienti e fornitori possono essere più o meno forti in base all' intensità e alla specificità dei fattori che legano tra loro i due partners. Assumono così un ruolo fondamentale gli investimenti idiosincratici, ossia elementi materiali o immateriali che hanno un elevato valore in riferimento alla situazione specifica, mentre avranno valore minore se spostati all’ interno di un’ altra relazione. Essi portano all' accumulo di esperienze e abitudini all' interno di una relazione nel corso del tempo, infatti più due operatori interagiscono e stabiliscono rapporti di collaborazione, più la relazione sarà vincolante e quindi si dovranno adattare le strutture e i modelli gestionali alle caratteristiche del partner. Di conseguenza si viene a creare una interdipendenza tra i due partners commerciali, i quali condividono obiettivi e programmi. Ciò accade soprattutto quando fornitore e cliente hanno forti motivazioni ad intrattenere rapporti in comune. La relazione infatti può cambiare in base al variare dell' interesse degli operatori: -si parla di relazione bilaterale quando entrambi hanno ragioni valide di conservare il rapporto; -oppure può essere dominata da uno dei due, se l' interesse è sbilanciato. Per esempio se il cliente è molto rilevante per un fornitore, allora quest' ultimo avrà maggiore interesse nel proseguire la relazione d' affari nel tempo, mentre il cliente si troverà in una posizione di maggiore forza. Sia le aziende industriali che quelle commerciali possono essere fonti di vantaggi competitivi per il partner, come il possesso di informazioni critiche per il settore e il possesso di un marchio diffuso e stabilizzato. Altro concetto fondamentale è quello del clima negoziale, ossia il grado di efficienza-efficacia della struttura interorganizzativa e del modo in cui viene amministrata per raggiungere gli obiettivi, e può essere caratterizzato da alti livelli di conflitto o cooperazione. Si ha un clima negoziale cooperativo quando vi è una maggiore frequenza ed intensità delle interazioni verticali, mentre la centralizzazione porta ad una posizione conflittuale. I networks: strutture di coordinamento complesse Negli anni anni recenti si è affrontato il problema delle interdipendenze considerando il canale di distribuzione come un network di imprese. “Il network è un insieme di due o più attori, ognuno dei quali fornisce o utilizza opportunità di scambio con almeno uno degli altri attori.” (Cook 1977) 12 Quindi ogni operatore possiede proprie conoscenze distintive, che costituiscono un valore aggiunto per gli altri attori coinvolti, determinando le interdipendenze del network. Queste risorse strategiche possono essere: leadership di costo, superiororità tecnologica, esperienza, know-how di prodotto, processo e mercato. Grazie al network la singola impresa può ampliare il proprio portafoglio prodotti, accedere a nuovi segmenti di clientela, ed estendere la propria area d’ azione. Il network è dunque una nuova forma di coordinamento tra operatori commerciali e industriali, in un contesto di scambio multilaterale, caratterizzato da obiettivi convergenti e condivisione di valori e principi. Recupero di una visione aziendale con riferimento all’ Ing. C. Olivetti & C. S.p.A. Nella relazione tra industria e distribuzione bisogna anche considerare la possibilità pratica da parte delle aziende, della gestione di più canali contemporaneamente; importanza dell' attrattività dell' acquirente. Le imprese industriali utilizzano molteplicità di canali e generalmente vengono adottate soluzioni organizzative integrate per la gestione dei rapporti con clienti più importanti. e la e l' una più Come esempio analizziamo la struttura commerciale dell’ azienda Ing. C. Olivetti & C. S.p.A. Questa azienda ha attuato un processo di trasformazione della struttura commerciale attraverso criteri innovativi, rispecchiando le esigenze di un settore in rapida evoluzione tecnologica e commerciale. Il suo portafoglio prodotti è molto differenziato, variando da macchine da scrivere a programmi di informatizzazione di grandi enti privati e pubblici, ed è costituito da: -Prodotti a volume, ossia quelli con minore tecnologia e non necesitano di un servizio post vendita ( es. PC a basse prestazioni, macchine da scrivere, software standard ) -Prodotti a soluzione, quelli a maggiore valore aggiunto tecnologico ( es. PC evoluti, mini PC, applicazioni software “dedicate” ) -Programmi “di supporto e consulenza”, in cui l’ oggetto di vendita ha carattere di una commessa ed è necessario possedere grandi doti di specializzazione nella struttura di vendita. Sono gestiti da 3 divisioni: - Olivetti Office per i prodotti a volume - Olivetti Systems and Networks per i prodotti a soluzione - Olivetti Information Services per i progetti. L’ Olivetti Office affida la distribuzione dei suoi prodotti a concessionari esclusivi, rivenditori non esclusivi, grossisti e catene al dettaglio; l’ Olivetti Systems and Networks utilizza invece: agenti, VARs e systems houses (partners commerciali dotati di competenze specifiche per certi campi delle applicazioni informatiche), che danno un maggiore valore aggiunto, grazie ad 13 una stretta correlazione con l’ utente finale; infine l’ Olivetti Information Services utilizza partecipazioni in software houses, ossia aziende con competenze all’ avanguardia che vengono attivate per progetti di grande importanza a livello economico, di lungo periodo e ad elevato contenuto tecnologico ed informativo. Dunque all' aumentare del valore aggiunto si passa da una fornitura ad operatori indipendenti, a forme di accordo tra le imprese, ed infine a strutture partecipative. Più aumenta il valore aggiunto, più la struttura sarà integrata Occorre quindi organizzare incontri periodici di aggiornamento con gli intermediari per intensificare i contenuti della relazione di scambio. Infine per realizzare gli obiettivi e poter sviluppare relazioni durature e profittevoli occorre utilizzare incentivi, sia a livello economico che di natura qualitativa, attraverso lo scambio di risorse strategiche. Ad esempio per quanto riguarda la divisione Systems and Networks, le risorse strategiche sono l' attività di R&S e la politica di immagine dell' Olivetti, mentre gli agenti e i Var offrono imput informativi dovuti alla vicinanza al mercato. Un ulteriore aspetto fondamentale per il network è la diversificazione di competenze e risorse. Tutti gli operatori coinvoltiinfatti influenzano le scelte strategiche dell'impresa a seconda delle specializzazioni funzionali: - i poli di competenza possono contribuire alle politiche di R&S (per esempio facendo sempre riferimento all’Olivetti Systems and Networks, i poli di competenza sono aziende produttrici di software specializzate in specifici campi d’ attività, con cui la divisione lavora in stretto contatto); - gli operatori commerciali possono implementare strategie di marketing; - le filiali possiedono responsabilità strategiche a livello locale, nella selezione di nuovi potenziali operatori. In sintesi la domanda di maggiore qualità e quantità di servizi da parte del consumatore spinge a dare maggiore importanza alla funzione distributiva, dando origine a relazioni strategiche. Le relazioni strategiche tra industria e distribuzione quindi si concretizzano attraverso un grande sforzo manageriale, soprattutto con un approccio di management relazionale, necessario per la scelta degli operatori con cui collaborare e delle scelte strategiche da adottare. ASSORTIMENTI: 14 Gli assortimenti (insieme di beni e servizi posti in vendita da un operatore) sono una leva centrale delle politiche competitive di produttori e distributori. Obiettivo principale delle politiche assortimentali è quello di differenziare i punti vendita e di incrementare le situazioni di store loyalty. Gli assortimenti hanno diverse caratteristiche: • • • • • definiscono il posizionamento del punto vendita in termini di quantità e di qualità dei prodotti trattati. Esprimono la varietà dell' offerta nei diversi mercati. Indicano il livello di segmentazione della domanda e quindi i diversi bisogni dei consumatori. Sono il risultato del confronto negoziale tra industria e distribuzione. Determinano le condizioni di redditività dei formati distributivi. FASI DI SELEZIONE E CREAZIONE ASSORTIMENTI: 1 FASE valutazione del rapporto tra strategia aziendale e politiche assortimentali; verificando, cioè, la coerenza tra la missione aziendale e gli obiettivi finanziari e di marketing. Mettendo a confronto le opinioni dei consumatori in situazioni di alta e bassa store loyalty, tendono ad emergere le dimensioni che caratterizzano il ruolo competitivo degli assortimenti. a) ESCLUSIVITA': quando tra punti vendita concorrenti non esiste una condizione di sovrapposizione assortimentale. (Tre le situazioni di sovrapposizione: 1. sovrapposizione totale dove tutti i punti vendita in concorrenza trattano gli stessi prodotti. 2. sovrapposizione parziale dove il grado di omogeneità assortimentale riguarda solo alcuni punti vendita. 3. sovrapposizione nulla dove una parte dell' assortimento è trattato in modo distinto solo da un punto vendita.). Questo concetto si riferisce sia alle marche (brand distintive) sia alle linee di prodotto (category distintive). Nella distribuzione moderna il principale elemento di esclusività è dato dalla marca commerciale (Le private label o marche private, sono prodotti o servizi solitamente realizzati o forniti da società terze (fornitore di marca industriale o terzista vera e propria) e venduti con il marchio della società che vende/offre il prodotto/servizio (Distributore). Nel passato erano anche chiamati "white label" (etichette bianche) in quanto la marca offerta da es. Sainsbury's (catena di supermercati inglese) era appunto un'etichetta bianca su cui era scritto il semplice nome del prodotto. Questa tipologia di prodotti, non avendo la componente del costo di marketing tipico dell'industria di marca, permette al distributore di incassare margini più alti, rispetto agli analoghi prodotti di marca, e al consumatore di portare a casa un prodotto di qualità assimilabile a quella di marca a costi più contenuti. b) COMPLETEZZA: i consumatori tendono ad associare questa dimensione agli aspetti qualitativi e di servizio dell' offerta assortimentale come ad es. la pulizia degli scaffali, la presenza dei prodotti anche nei momenti di maggior affuluenza, la facilità di ricerca dei prodotti sugli scaffali, la chiarezza dei cartellini-prezzo, la varietà dei prodotti. 15 c) PRESENZA DEI NUOVI PRODOTTI: evidenzia come la capacità di selezione e la velocità di introduzione dei prodotti innovativi comporti fidelizzazione nei consumatori ai punti vendita. I nuovi prodotti diventano una leva strategica sia per la differenziazione sia per la soddisfazione di nuovi bisogni di consumo. d) ROTTURE DI STOCK: importante per il consumatore è la possibilità di trovare sugli scaffali ciò che sta cercando senza dover necessariamente optare per una alternativa o addirittura rinunciare all' acquisto creando cosi un' esperienza negativa dello stesso. e) QUALITA' DEI PRODOTTI FRESCHI: in particolar modo la freschezza dei prodotti di ortofrutta e carne conferiscono un' immagine di qualità e di convenienza dei punti vendita. (pay off qualità e convenienza) f) FACILITA' DI RICERCA: questa dimensione evidenzia il ruolo del merchandising (inteso come un insieme di studi e tecniche realizzati, dai produttori e dai distributori, al fine di accrescere la rotazione dei prodotti e la redditività del punto vendita mediante un adattamento permanente e dinamico dell’assortimento ai bisogni del mercato e un’appropriata presentazione delle merci) nell' assistere ed indirizzare all'acquisto il consumatore, favorendo sia la soddisfazione della domanda sia la creazione di una nuova domanda proponendo diverse alternative. 2 FASE del processo di pianificazione consiste nella definizione dell'ampiezza merceologica dei punti vendita. Per ampiezza si intende il numero di categorie di prodotto trattate e quindi il livello di diversificazione dell' offerta commerciale. Dal connubio profondità (n di referenze che soddisfano un determinato bisogno) e ampiezza (n bisogni soddisfatti da un assortimento) si qualifica il posizionamento di specializzazione/despecializzazione delle formule distributive. Più assortimenti ampi = formule despecializzate, più assortimenti profondi = formule specializzate. 3 FASE definizione dei confini delle categorie di prodotto: la categoria è l'unità di analisi di riferimento dell'attività di acquisto dei consumatori. Definirla però non è semplice infatti questa è il risultato di un processo di segmentazione complesso. Questa attività può essere realizzata seguendo due approcci. Il primo è “da offerta” e si basa su caratteristiche e dimensioni dei prodotti. Il secondo è “da domanda” e si basa sull' analisi dei comportamenti di consumo. Dalla combinazione fra i due approcci è nato il modello dell'albero ECR: sistema di classificazione assortimentale sviluppato insieme dalle varie imprese industriali e commerciali aderenti ad indicod (Indicod-Ecr è l’associazione italiana che si occupa della diffusione degli standard adottati a livello mondiale e del suo segno più conosciuto: il codice a barre). Obiettivo è quello di sviluppare una sintassi comune a tutti gli operatori del mercato cosi da condividere la rilevazione, l'analisi, il confronto e l'interpretazione dei dati di mercato disponibili. Questo modello classifica i prodotti referenziati negli assortimenti dei punti vendita in cinque livelli gerarchici decrescenti (aree, comparti, famiglie, mercati, formati/tipi/gusti). 16 Esempio categoria freddo disaggregata nel mondo del dolce (gelati) e del salato (surgelati). Il dolce viene segmentato in base alle modalità d'uso, il salato in base alla natura merceologica dei prodotti e successivamente della funzione durante i pasti. I criteri di segmentazione più usati sono: funzione uso prodotto (es. yogurt da bere vs funzionale/salutistico) tecnologia usata per la produzione (es caffe macinato vs solubile) la shelf life ossia durata prodotti (es latte fresco vs lunga conservazione) materie prime usate per la produzione (es olio d'oliva vs olio semi) tipo di gusto e/o di colore proposta (es merendine cioccolato vs merendine marmellata) formato confezione (es succhi in cartone 2 lt vs brick) tipo do confezione (es acqua bottiglia plastica vs vetro) Nell'ambito della stessa categoria si possono utilizzare insieme più criteri. Più sono i criteri di segmentazione utilizzati e più i confini saranno ristretti e i competitors e i prodotti vanno a ridursi. Vantaggi: • • • riduzione n competitors = aumento quota mercato = piu barriere all'entrata per i nuovi concorrenti = profittabilità più alta. Aumento esposizione in store della gamma cioè di tutte le varianti di prodotto realizzate attraverso politiche di extension line. Sviluppo successo nuovi prodotti in quanto l'innovazione beneficia di limitata aggressività promozionale e maggiore propensione al referenziamento nei punti vendita. La visione dei produttori risulta decisamente più stretta rispetto ai distributori xk tendono a basare le proprie strategie assortimentali facendo riferimento alle categorie di consumo ossia ai bisogni di consumo associati ai singoli prodotti. I distributori invece privilegiano l'ottica dell intero assortimento ragionando in termini di categorie d'acquisto, sviluppando strategie di offerta organizzata volte a semplificare e migliorare l' esperienza di vista dei consumatori al punto vendita. La distribuzione riesce a gestire in modo economico una nuova categoria espositiva solo quando il numero dei segmenti o delle marche che la compongono è almeno pari al n dei ripiani (Lugli 2005). Le categorie si caratterizzano per il diverso posizionamento negli assortimenti dei punti vendita, questo posizionamento è condizionato dal giro d'affari complessivo. Dall'incrocio con l analisi delle dinamiche di crescita delle vendite delle categorie e quella della dimensione del giro d affari generato da ciascuna categoria, scaturiscono 4 distinti posizionamenti. categorie STAR: mercati di grandi dimensioni, poche categorie in termini 17 numerici che però contribuiscono in modo rilevante alle vendite complessive. categorie CASH COW: mercati di grandi dimensioni con avanzato stadio di maturità quindi tasso di crescita rallentato, numero limitato di categorie che però determinano la maggior parte delle vendite di supermercati e ipermercati. categorie DOG: mercati di ridotte dimensioni con dinamiche di crescita inferiori alla media o negative; elevato numero di categorie che contribuiscono in modo limitato alle vendite. Categorie QUESTION MARK: mercati inferiori alla media ma con dinamiche di crescita decisamente positive, categorie numericamente elevate ma che contribuiscono in modo limitato alle vendite complessive. Nell'ottica di una gestione efficiente dell'assortimento di categoria, può risultare utile misurare e monitorare il posizionamento delle singole categorie in funzione del rapporto tra valore delle vendite realizzate e numero delle referenze trattate. Abbiamo così 4 tipi di categoria: Categorie EFFICACI: elevato numero di referenze, valore complessivo di vendite superiore alla media. Categorie in termini numerici basse che però generano la maggior parte del fatturato di ipermercati e supermercati. Categorie MARGINALI: referenze limitate e giro d'affari limitato. Elevate categorie in termini numerici che contribuiscono in modo minore al giro d'affari complessivo di ipermercati e supermercati. Categorie EFFICIENTI: valori di vendita alti con numero di referenze inferiori alla media contribuiscono circa la 15 % delle vendite di supermercati e ipermercati. Il distributore normalmente per gestire in modo efficiente il rapporto tra profondità assortimentale e valore delle vendite, alloca a ciascuna categoria una quota di spazio espositivo (di referenze) proporzionale alla quota di vendita generata. 4 FASE: definire la profondità delle singole categorie di prodotto. Scelte di varietà di ciascuna categoria di prodotto. Scelte: numero segmenti di consumo e numero di marche da trattare nelle singole categorie. Le decisioni riguardanti la profondità delle categorie di prodotti si concretizzano con la selezione delle diverse tipologie di marca, a cui corrispondono diverse alternative di fasceprezzo: • Leader/co-leader (marche industriali di importanza nazionale con q.v alte sul giro d’ affari complessivo delle categorie appartenenti). 18 • Follower (marche di imprese industriali di medio-grandi dimensioni con q.m minore rispetto ai leader). • Private label • Primi prezzi (prodotti industriali generici/senza marchio per prevenire la nascita di Discount). • Altre marche (brand sviluppati da imprese locali/regionali con ruolo di completamento dell’offerta e con q.v marginale) IL RUOLO DI MARKETING NELLE CATEGORIE STORIA: il CM nasce all’inizio degli anni ’90 negli USA a seguito di alcune iniziative di collaborazione tra Wal-Mart e alcuni dei più grandi fornitori fra cui Procter & Gamble e Coca Cola. Brian Harris, presidente di The Partnering Group, allora consulente di Wal-Mart e successivamente di ECR Europe, formalizzò il processo di CM sperimentato nelle suddette categorie. Le grandi aziende produttrici e distributrici dei beni di largo consumo stanno sempre più collaborando insieme per dare il miglior servizio al consumatore, promuovendo nuovi approcci e nuove modalità operative, con forte impatto sui processi e sui supporti informatici, tanto nell'area di marketing quanto nella logistica. L'ECR è nato nel 1991 in America, dove Procter&Gamble e WalMart si sono seduti attorno ad un tavolo comune e hanno deciso di fare business insieme e di spingere al massimo il servizio al cliente, il fatturato e l'utile. Efficient Consumer Response significa cercare di essere il più efficiente possibile nel rispondere insieme (Produttore e Distributore) alle esigenze del cliente. WalMart e Procter&Gamble hanno potuto subito constatare come il lavorare insieme portasse dei significativi risultati per entrambi. La profondità e la varietà assortimentale vengono progettate attraverso gli approcci di CM. Nella prassi aziendale ci sono diverse definizioni: • Metodo di razionalizzazione degli assortimenti finalizzato a migliorare il servizio di offerta commerciale per il consumatore. La massiccia proliferazione di prodotti e marche rende sempre più necessaria la ricerca di nuovi strumenti per ottimizzare i rendimenti degli spazi espositivi. In questo approccio i concetti di ampiezza e profondità non coincidono con quelli di varietà (che indicano rispettivamente il numero di marche e il numero di referenze per marca presenti sugli scaffali dei punti vendita): la varietà dell’assortimento, invece, esprime la capacità dei prodotti di soddisfare bisogni diversi. La razionalizzazione degli assortimenti potrebbe portare, da un lato, una riduzione delle referenze trattate, dall’altro un aumento della varietà In molti casi, la riduzione delle referenze 1) non è stata percepita dai consumatori; 2) Ha incrementato vendite e i profitti. In questa visione il CM può essere considerato come un insieme di tecniche di space management utilizzate per adeguare le politiche di assortimento alle preferenze dei consumatori. 19 • • • Assimilare il CM a un metodo di massimizzazione dei profitti applicato con riferimento alle categorie e non alle singole marche, basato inoltre su una efficace gestione degli spazi, delle promozioni e dei prezzi. Si passa da una gestione degli assortimenti per marche a una gestione per categorie. La massimizzazione delle performance delle singole marche non coincide necessariamente con la massimizzazione del risultato delle categorie di prodotto. CM come processo di gestione delle categorie merceologiche come aree d’affari con l’obiettivo di soddisfare i bisogni dei consumatori nei singoli punti vendita. Si tratta quindi di determinare politiche di prezzo, di merchandising, di promozione e di mix di prodotti, partendo dagli obiettivi di categoria e tenendo conto dell’ambiente competitivo e del comportamento del consumatore. Con questa definizione si evidenzia il collegamento tra politica di assortimento e strategia aziendale: ogni categoria diventa un centro di profitto e concorre al perseguimento degli obiettivi aziendali. CM come modello di gestione della categoria guidato da una conoscenza dei comportamenti di consumo e acquisti. Le decisioni assortimentali di categoria devono quindi essere assunte con l’obiettivo di soddisfare i bisogni degli acquirenti. Questo approccio, però, prende in considerazione solo l’ottica del distributore e non dell’intera filiera. In realtà il CM potrebbe essere considerato come una nuova metodologia e “ideologia” dei rapporti tra Industria e Distribuzione. In quest’ottica il CM potrebbe essere definito come processo interattivo e interfunzionale tra Industria e distribuzione che punta a organizzare, pianificare e gestire gli assortimenti come un insieme di Strategic Business Unit con l’obiettivo di massimizzare il livello di efficienza e efficacia delle politiche di mktg delle imprese industriali e commerciali migliorando sia la profittabilità aziendale sia la soddisfazione dei consumatori. Per applicare questo approccio sono necessari alcuni principi: • Modelli organizzativi integrati sia a livello industriale che distributivo, superando le tradizionali impostazioni; • Passaggio, nei rapporti di fornitura, da logiche negoziali push a logiche di tipo pull, dove le politiche commerciali sono guidate più dai comportamenti dei consumatori che da accordi contrattuali; • Condivisione “verticale” delle informazioni di mercato -maggiore conoscenze dei processi di mktg industriali e commerciali • Rapido trasferimento dei risultati positivi delle sperimentazioni nelle attività operative, evitando che il nuovo approccio abbia solo una valenza teorica di un mero esercizio tecnico. Questo trasferimento si realizza attraverso la costruzione di piani operativi di categoria nei quali definire obiettivi, ruoli e le marche presenti negli assortimenti delle diverse tipologie di formati distributivi. Per progettarli si deve iniziare dall’assegnazione dei ruoli di mktg svolti dai prodotti negli assortimenti commerciali. Per assegnare questi ruoli è necessario disporre di un sistema informativo articolato sulle dimensioni che qualificano, con riferimento alle singole categorie, i comportamenti di acquisto dei consumatori, il posizionamento competitivo del distributore, le performance economiche, le dinamiche di mercato, la configurazione dei rapporti di fornitura. Le variabili di queste dimensioni sono: 20 La penetrazione degli acquisti; Il peso degli acquisti programmati/di impulso; La sensibilità al prezzo e alle azioni promozionali; Il profilo socio-economico degli acquirenti; Le motivazioni e le occasioni di consumo; Lo scontrino medio; Il livello e la dinamica delle vendite (a valore e a volume); I costi di gestione generati nelle diverse aree di attività (magazzino, punto vendita, amministrazione); La marginalità lorda e netta; La pressione e la profondità promozionale; La rotazione dei codici-prodotti; La profondità/ampiezza degli assortimenti; Il mix delle vendite per segmenti di consumo e formati di prodotto; La tipologia dei fornitori utilizzati; La struttura delle diverse tipologie di marche trattate (leader, follower, marche commerciali); Il grado di servizio. Le diverse variabili vengono semplificate nella prassi aziendale attraverso la valutazione del grado di importanza di esse, con la costruzione alcuni indicatori sintetici. Le variabili più significative si possono rappresentare con 2 indicatori di sintesi: • Il grado di importanza della categoria per il consumatore quantificabile facendo riferimento all’incidenza percentuale delle vendite di categoria sul totale; • Il grado di importanza della categoria per le performance economiche del distributore quantificabile facendo riferimento alla quota di margine realizzata dalla categoria sul totale. INCROCIANDOLI = si può ottenere una matrice caratterizzata da 4 diversi posizionamenti, ad ognuno corrisponde un diverso ruolo di marketing declinabile in 4 principali tipologie: destinazione, routine, servizio, sviluppo. Il ruolo DESTINAZIONE: attribuito a quelle categorie che hanno una elevata importanza per il distributore in termini di vendite e margini. Su di esse si realizzano grossi investimenti che differenzino e migliorino l’immagine qualitativa dei punti vendita. Reparti freschi (frutta, verdura, carni) e bazar. Ruolo ROUTINE: prodotti utilizzati per sostenere l’immagine di convenienza dei formati distributivi attraverso un posizionamento di prezzo a scaffale aggressivo, un’elevata intensità promozionale, un buon sviluppo della marca commerciale. Pasta, detersivi, acqua, olio, biscotti. Ruolo SERVIZIO: prodotti adatti a trasmettere un’immagine di “convenience” in termini di praticità/comodità/velocità degli acquisti. Si tratta di categorie caratterizzate da un’attività di acquisto multicanalizzata per le quali il distributore è orientato a promuovere gli acquisti di impulso con elevata leggibilità degli scaffali basati su assortimenti poco profondi. Categorie poco importanti per il distributore in termini di fatturato complessivo: birra, sale, zucchero, cibo per animali. Ruolo SVILUPPO: può essere progettato per quei prodotti che presentano stagionalità (in questo caso le azioni commerciali sono orientate all’investimento su spazi espositivi ad alta stagionalità e in attività promozionali e di riduzione dei prezzi in periodi di bassa 21 stagionalità), posizionamenti di nicchia, emozionalità (è necessario in questo caso enfatizzare le iniziative di visual merchandising). Sono prodotti che hanno un grado di importanza per il consumatore solo in condizioni specifiche e con riferimento a determinati target di acquirenti. DOPO AVER DEFINITO I RUOLI DI MARKETING è necessario valutare il posizionamento di mercato dell’insegna commerciale nelle singole categorie, valutazione che guida gli obiettivi e le strategie da sviluppare. Posto che gli obiettivi vengono fissati sottoforma di incrementi dei fatturati e dei margini complessivi, le alternative strategiche possono essere: o La strategia-TRAFFICO: con la quale il distributore si prefigge di aumentare il giro d’affari complessivo attraverso l’aumento degli acquirenti e quindi degli scontrini; quando si sviluppano queste strategie è opportuno puntare su assortimenti ampi e profondi, su eventi promozionali aggressivi, sull’organizzazione di spazi di ampia lettura, su un presidio completo dei servizi di base del consumatore; o La strategia-TRANSAZIONI: l’obiettivo è gestire l’offerta per ottenere un aumento del valore dello scontrino medio attraverso un upgrading qualitativo della struttura assortimentale; o La strategia-MARGINALITA’: il mix delle vendite di categoria va modificato a favore delle marche e dei prodotti a maggiore redditività per il distributore. Bisogna focalizzarsi su assortimenti innovativi e poco confrontabili, sull’attribuzione di spazi espositivi privilegiati a codici-prodotto, su un livello di prezzo elevato per prodotti non confrontabili; o La strategia-CASSA: orientata a incrementare i flussi monetari con un effetto combinato dei valori (aumento scontrino medio) e dei volumi (aumento numero acquirenti e frequenza d’acquisto). E’ opportuno puntare su azioni aggressive di prezzo, ampliare la visibilità espositiva dei prodotti a maggiore vendibilità, su un posizionamento di prezzo basso. o La strategia-ENTUSIASMO: finalizzata a impiegare le leve della comunicazione in store per stimolare le dimensioni esperienziali di acquisto basate sul coinvolgimento, l’interesse, il divertimento, la curiosità dei consumatori. Per ogni categoria è possibile prevedere la realizzazione congiunta di più strategie in quanto i singoli segmenti possono comportare problematiche di gestione commerciali differenti. Le strategie devono risultare quindi coerenti con il ruolo di marketing assegnato alle categorie e ai rispettivi segmenti. I piani di categoria possono rappresentare un’area di integrazione tra industria e distribuzione se vengono soddisfatte alcune condizioni: ad esempio è necessario condividere il patrimonio informativo di filiera: il produttore è interessato a conoscere le performance commerciali ed economiche dei prodotti e delle marche nei punti vendita, mentre il distributore avverte la necessità di mettere a fuoco le dimensioni di sviluppo dei mercati e dei consumi. IL REFERENZIAMENTO DEI NUOVI PRODOTTI L’innovazione dei prodotti industriali è sempre più rilevante nei processi di formazione degli assortimenti commerciali, soprattutto se si considera che: o La rapidità dei tempi di referenziamento dei nuovi prodotti può rappresentare un fattore di differenziazione e di vantaggio competitivo dei punti vendita favorendo lo 22 sviluppo di una dimensione di esclusività nell’offerta assortimentale; o Il livello di maturità dei mercati è elevato in molte categorie di prodotto tanto da far penalizzare la crescita dei consumi e il livello di soddisfazione dei nuovi bisogni di consumo. Il 60% dei codici-prodotti trattati in un supermercato è mediamente posizionato in mercati maturi e/o in declino. o La conoscenza dei nuovi prodotti da parte dei consumatori è sempre più influenzata e condizionata dalle politiche commerciali realizzate nei punti vendita moderni che tendono a svolgere sempre di più con efficacia il ruolo di media di comunicazione (alcune ricerche hanno ben evidenziato come l’esposizione sugli scaffali dei punti vendita e la presenza dei volantini promozionali rappresentano per i consumatori una modalità di conoscenza dei nuovi prodotti più rilevante rispetto a quella della pubblicità televisiva). L’inserimento dei nuovi prodotti negli assortimenti commerciali può migliorare la performance delle categorie di prodotto se si verificano alcune condizioni: Le vendite di categoria devono aumentare senza alcun effetto di sostituzione; Il margine unitario delle nuove referenze deve risultare superiore a quello delle referenze che tendono a essere cannibalizzate. Prima della Rivoluzione Commerciale il trade svolgeva solo un ruolo passivo nei confronti del lancio del nuovo prodotto. Questi ultimi venivano inseriti nell’assortimento in sostituzione e/o a fianco dei prodotti già esistenti. I distributori non avevano ancora forza contrattuale, specialmente verso i fornitori leader, di rifiutare l’inserimento di un nuovo prodotto, non avevano nemmeno gli strumenti manageriali per valutarne le potenzialità di successo. L’industria studiava un prodotto e lo elaborava in funzione delle proprie esigenze, senza considerare i fabbisogni della clientela. Questa situazione si è modificata con la modernizzazione delle strutture distributive. L’inserimento dei nuovi prodotti nei canali di vendita tende sempre più a essere preceduto da un’analisi preliminare per valutarne le prospettive di sviluppo. Esemplari, ad esempio, le fiches tecniche di prodotto, schede informative che le aziende commerciali moderne somministrano ai fornitori di marca in occasione del lancio dei nuovi prodotti. Obiettivo: conoscere, per ogni prodotto, le info che ne definiscono il posizionamento di marketing: i connotati fisico-tecnici (formati), la dimensione dei mercati, i mercati-obiettivo (target-group, posizionamento, potenziali di volume…), gli obiettivi di volume e quota di mercato previsti, lo spazio espositivo necessario sugli scaffali dei punti vendita. I prodotti per rimanere inseriti negli assortimenti commerciali dei punti vendita devono avere per il distributore dei plus precisi, quantificabili in termini di fatturato, margine e immagine. La GESTIONE degli ASSORTIMENTI è un fatto dinamico. Il referenziamento di nuovi prodotti comporta, a parità di spazi espositivi disponibili, l’eliminazione di altri prodotti. Lo sviluppo di nuovi prodotti industriali negli assortimenti commerciali è condizionato dalla presenza di diverse barriere distributive come la disponibilità degli spazi espositivi nei punti vendita, la valutazione dei prodotti da sostituire, il posizionamento di prezzo al consumo, i tempi di presentazione, ecc. 23 Per superare queste barriere = serve maggiore integrazione tra le visioni industriali e commerciali. Spesso infatti la distribuzione attribuisce al grado di innovazione dei prodotti un significato diverso da quello dell’industria e viceversa: il prodotto magari può essere innovativo solo per l’impresa industriale, mentre per quella commerciale è solo un’alternativa debolmente differenziata da quelle già presenti negli assortimenti. L’atteggiamento del trade verso l’innovazione di prodotto non è pregiudizialmente negativo, la disponibilità dei distributori è maggiore se il prodotto contribuisce a differenziare i punti vendita e a migliorare il servizio offerto dal consumatore. Sotto il profilo commerciale il referenziamento di un nuovo prodotto potrebbe migliorare l’efficacia di marketing degli assortimenti commerciali in termini di maggiori vendite e maggior capacità di soddisfare i bisogni dei consumatori: in tal modo la gestione dell’innovazione industriale può tradursi per la distribuzione in vantaggio competitivo. Per quanto riguarda le strategie assortimentali delle imprese commerciali si è potuto verificare che le insegne alto performanti si distinguono da quelle basso performanti, a causa di una maggiore incidenza della presenza dei nuovi prodotti nei punti vendita. La decisione di inserire un nuovo prodotto sugli scaffali dovrebbe essere assunta anche sulla base dell’obiettivo di differenziarsi rispetto ai competitors e accrescere la varietà assortimentale. Si tratta quindi di trovare un equilibrio tra logiche economiche e c.li. Nella realtà della prassi distributiva italiana prevale un orientamento basato sulla tendenza a referenziare i nuovi prodotti soprattutto in funzione del livello di contributo dei fornitori. Così finisce per favorirsi lo sviluppo di alcune situazioni: • • • I listing fee tendono ad avere nei conti economici delle insegne commerciali sempre più peso; I produttori utilizzano la leva dei listing fee per creare barriere all’entrata negli assortimenti a svantaggio dei rivali; I listing fee vengono assunti come pratica sempre più convenzionale, al pari di altre voci negoziali. Queste situazioni rischiano di comportare nel medio-lungo periodo il ritardo nell’inserimento dei nuovi prodotti di successo, dunque finiscono per penalizzare l’efficacia degli investimenti di marketing dei distributori e dei produttori. In questa prospettiva si impone la necessità di ricercare più sinergie “verticali” puntando a valorizzare più le logiche commerciali e di marketing e non quelle prettamente finanziarie. Sinergie che possono concretizzarsi con la realizzazione di piani per il lancio di nuovi prodotti. Produttori e distributori possono concordare: - Display del prodotto; - Azioni promozionali; - Investimento del produttore nel punto vendita. Il distributore è interessato a incrementare le situazioni di traffico e di store loyalty, il produttore a far conoscere il proprio prodotto stimolandone l’acquisto. Il tipo di promozioni che la distribuzione è in grado di realizzare in occasione del lancio dei nuovi prodotti è correlato alla formula distributiva e agli obiettivi prefissati. La varietà delle tecniche disponibili aumenta al crescere delle dimensioni del punto vendita: Installazione di uno STAND con o senza hostess: possibile solo in alcuni canali per la necessità di avere a disposizione spazi ampi. Lo stand ha costi di contatto molto elevati in quanto viene spesso percepito con diffidenza dal consumatore. Esercita scarsi effetti 24 sulle vendite, quindi ha una funzione essenzialmente informativa. Indicato per prodotti con investimenti pubblicitari ridotti, il cui consumo richiede una dimostrazione. Il distributore è spesso favorevole ad esso in quanto anima il punto vendita e spezza la monotonia, inoltre rallenta la circolazione senza essere percepita come ostacolo; Attrezzature per esposizione fuori lineare: la visualizzazione dei prodotti al suo interno risponde all’esigenza di stimolarne la vendita facendo leva su una percezione più incisiva al consumatore. Si tratta di attrezzature spesso costruite appositamente per il prodotto promozionato e sono interessanti solo per i PV che hanno spazio per utilizzarli. Da parte dei distributori non sono particolarmente graditi in quanto, spesso, richiedo un’attività di riordino più frequente del lineare; SEGNALETICHE o scaffali in posizioni particolarmente attraenti del PV: stimolano la percezione del prodotto da parte del consumatore e ne favoriscono l’acquisto d’impulso rispetto a marche concorrenti. I distributori le accolgono favorevolmente perché vivacizzano l’offerta e non incidono sul layout; inoltre non occupano nuovo spazio nei PV di dimensione ridotta ed è più facile che il consumatore abituale di questo canale si lasci guidare nelle sue scelte dal PV; BUONI SCONTO o BUONI ASSAGGIO: non richiedono alla distribuzione un particolare impegno se non quello di accettarli per il prodotto in questione come mezzo di pagamento; VOLANTINO PROMOZIONALE: per comunicare il lancio e la presenza di nuovi prodotti nei PV. Dal lato della domanda viene impiegato come strumento di integrazione e supporto della lista della spesa, per il consumatore può essere una leva attraverso cui raccogliere informazioni sulle caratteristiche dei prodotti. Dal lato dell’offerta si tende a sfruttare il volantino in un media di comunicazione finalizzato a promuovere sia l’immagine di comunicazione sia i “valori” delle insegne commerciali (tra i valori anche quelli legati all’offerta di nuovi prodotti commerciali). La realizzazione dunque del lancio dei nuovi prodotti è condizionata dall’evoluzione qualitativa dei rapporti di fornitura: il referenziamento di un nuovo prodotto è più facile per un produttore che gode di credibilità e affidabilità presso la clientela commerciale. Per l’industria la qualità della relazione verticale è fonte di vantaggio competitivo in quanto può spingere la distribuzione a orientarsi verso criteri di inserimento di nuovi prodotti meno vincolanti dalle logiche formali. La dimensione qualitativa dei rapporti di fornitura diventa criterio di scelta nel caso in cui i vincoli di merchandising impongano la scelta tra due innovazioni che appartengono alla stessa categoria e in competizione tra loro. LE POLITICHE DELLE RELAZIONI NEGOZIALI La natura dei rapporti di fornitura Il ruolo delle relazioni negoziali tra industria e distribuzione è quello di definire il <<valore>> degli scambi di merci e servizi tra i diversi stadi della filiera. Con la rivoluzione commerciale si è avuta una modificazione dei contenuti negoziali, passando dalle logiche di sell-in alle logiche 25 di sell-out. Le logiche sell-in hanno sempre puntato ad innalzare barriere all’entrata nella distribuzione nei confronti dei produttori rivali attraverso la concorrenza di prezzo che si basa essenzialmente su tecniche canvass, cioè particolari strategie di promozione concentrate in una specifica area e in un determinato periodo di tempo, dei premi di fine anno e quindi una scontistica vincolata specialmente ai volumi di acquisto. Il margine commerciale veniva definito principalmente facendo riferimento alle condizioni di vendita industriali. In realtà nei sistemi di filiera, produttori e distributori, oltre alla compravendita, possono dare e ricevere servizi. • Servizi dati dall’industria e ricevuti dalla distribuzione: tempi e modalità di consegna di merci e raccolta ordini, packaging, livello di innovazione dei prodotti, investimenti in comunicazione, grado di sviluppo attività promozionale, attività di ricerche di mercato, merchandising nei punti vendita e competenze manageriali dei venditori. I servizi offerti incidono quindi su posizionamento commerciale del fornitore e livello del servizio offerto e sono elementi importanti che il distributore considera. • Servizi dati dalla distribuzione e ricevuti dall’industria: quantità/qualità di spazio espositivo assegnato a prodotti/marche, ampiezza dei portafogli industriali trattati negli assortimenti, velocità di inserimento di nuovi prodotti, frequenza di rotture di stock, rispetto del prezzo consigliato, disponibilità di collaborazione nella store promotion, grado di condivisione dei progetti di category management e sinergie nella supply chain. Lo scambio di servizi influenza quindi la performance di efficacia ed efficienza del rapporto industria-distribuzione. I livelli delle condizioni di vendita per i produttori e delle condizioni d’acquisto per i distributori possono essere considerati come i prezzi dei servizi dati e ricevuti. Lo squilibrio tra servizio erogato/ricevuto e le condizioni economiche negoziate, può comportare situazioni discriminatorie: • Condizioni diverse di vendita per clienti diversi, non giustificate da differenze nei costi di fornitura • Condizioni di vendita simili a clienti con una diversa quantità e qualità dei servizi offerti • Prestazioni di servizi a clienti differenti a cui non corrispondono differenziali di costo sostenuti per l’attività di fornitura ai diversi clienti La discriminazione non è connessa alla natura dei servizi ma con le modalità di negoziazione e valorizzazione. Le politiche di discriminazione sono state interpretate con due diversi approcci di analisi. 1. Il produttore può sfruttare meglio la propria capacità produttiva e incrementare i profitti segmentando il mercato e applicando prezzi diversi a segmenti diversi così da consentire un maggior assorbimento di prodotti. La presenza di grandi acquirenti e la riduzione del prezzo a questi, potrebbe sostituirsi ad investimenti di consumer marketing specialmente nei mercati poco sensibili all’attività pubblicitaria. 2. Il secondo modello considera anche i principali cambiamenti avvenuti soprattutto nei mercati di largo consumo e cerca di evidenziare come i processi di concentrazione del settore distributivo sono stati tali da attribuire al trade un potere contrattuale negli acquisti. Questo potere contrattuale dipende dal contributo al giro d’affari del fornitore e dalle potenzialità di sviluppo della clientela commerciale e dal fatto che i grandi 26 acquirenti possono accedere ad un maggior numero di alternative di acquisto e sviluppare una propria marca. La forza contrattuale potrebbe dipendere anche dal grado di sostituibilità dei prodotti e delle marche. (ESEMPI) Nel caso in cui la store loyalty supera la brand loyalty, il potere degli acquirenti commerciali tende ad essere maggiore. La discriminazione delle condizioni rischia di non avvantaggiare né produttori né distributori potendo comportare una riduzione dei profitti per entrambi. I distributori sono costretti dalla concorrenza orizzontale e dall’incertezza, causata dalla ridotta trasparenza delle condizioni di acquisto nel momento in cui l’azienda deve decidere il prezzo al consumo e la mancanza di sicurezza di aver acquistato al meglio, a trasferire nei prezzi al consumo le migliori condizioni di vendita ottenute dai fornitori. I fornitori a loro volta sono costretti a riallineare le condizioni di vendita per rispondere alle rivendicazioni della clientela discriminata. Le imprese industriali non possono contare sulla segretezza delle condizioni di vendita: a. I distributori beneficiari potrebbero diffondere le informazioni per intensificare la rivalità tra i fornitori e ottenere un miglioramento delle condizioni; b. La presenza delle Supercentrali di acquisto tende a favorire il confronto delle condizioni ottenute dai diversi distributori generando un riallineamento verso i livelli più alti. Una supercentrale è un’organizzazione che si occupa dell’acquisto di grandi quantità di prodotti per conto di più acquirenti. Es. Auchan, Conad, Coop, Billa, Crai, Eurospin. c. La mobilità e il turnover professionale dei buyer rendono evidenti i differenziali contrattuali; d. Il fenomeno delle acquisizioni permette alle aziende acquirenti di verificare il trattamento ricevuto dagli stessi fornitori delle aziende acquisite generando non pochi problemi. Da questo è scaturita la consapevolezza di modificare le relazioni contrattuali di filiera realizzando un nuovo modello negoziale basato su maggiore trasparenza e maggiore valorizzazione delle logiche di sell-out più orientate al cliente finale. Il modello è orientato a sviluppare nuovi contenuti nelle relazioni commerciali e nuove modalità di condivisione degli obiettivi di business. • • • • • • Focalizzare l’attenzione sui modelli di consumo e acquisto in modo da finalizzare le strategie di marketing dei produttori e dei distributori alla soddisfazione della domanda finale; Ridurre i tempi di rinnovo dei contratti di fornitura troppo lunghi che assorbono consistenti risorse commerciali; Passare ad un approccio di maggiore condivisione delle politiche commerciali attraverso lo scambio di informazioni e dati su scenari di mercato e criticità di sviluppo e delle specifiche categorie di prodotto; Implementare politiche commerciali più differenziate e modulari valorizzando le diversità riguardanti i canali di vendita, i formati distributivi e le aree territoriali; Migliorare l’efficienza della supply chain riducendo i costi operativi generando risorse da investire; Adeguare le competenze manageriali per realizzare piani di marketing integrati con le visioni macroeconomiche e migliorare la gestione delle relazioni commerciali; 27 • • • • Accrescere la velocità di inserimento di nuovi prodotti negli assortimenti commerciali sviluppando maggiore capacità di valutazione dell’innovazione e migliore sincronizzazione di produttori e distributori; Razionalizzare voci e poste contrattuali semplificando la struttura degli accordi contrattuali; Diffondere l’utilizzo di piani di categoria come strumento di supporto alle attività di marketing; Stimolare il monitoraggio dei risultati mediante lo svolgimento di confronti di verifica regolari e l’utilizzo di parametri di misurazione dell’efficacia degli investimenti realizzati in modo da poter attuare azioni correttive e integrative. Lo sviluppo di un nuovo modello negoziale di filiera è dettato dalla necessità per l’industria e la distribuzione di affrontare le nuove situazioni di complessità e discontinuità dei mercati con un approccio di business più integrato e condiviso. Le condizioni favorevoli alla realizzazione di questo nuovo modello sono: • Diffusa consapevolezza culturale dei limiti e dell’inadeguatezza del modello tradizionale; • Progressiva centralizzazione dei livelli decisionali riducendo la frammentazione delle relazioni negoziali; • Maggiore integrazione tra le funzioni industriali (marketing/vendite) con quelle commerciali (acquisti/category) assicurando maggiore competenza professionale in pianificazione e gestione delle politiche di marketing. Quelle sfavorevoli sono invece: • • L’eccessivo peso dei contributi fuori fattura Il ruolo assunto dalle Supercentrali dove prevalgono le logiche del sell-in che non quelle del sell-out; • La resistenza al cambiamento da parte dei buyer della distribuzione e degli account dell’industria. Sulla base di analisi si sono andate poi ad analizzare le aree critiche delle relazioni negoziali di filiera e fra queste quelle più significative riguardano la ridotta condivisione delle condizioni di business, l’eccessiva lunghezza dei tempi negoziali, l’elevata complessità degli accordi contrattuali, la forte focalizzazione dell’entità degli sconti piuttosto che sul loro contenuto, la bassa implementazione a punto vendita delle strategie concordate, lo scarso confronto sui piani di marketing e l’esasperata finalizzazione di obiettivi di breve periodo. In prospettiva il miglioramento della qualità e dell’efficacia delle relazioni negoziali tra produzione e distribuzione passerà attraverso la condivisione sistematica delle informazioni di filiera. Fino ad oggi se da un lato c’è stato un elevato interesse delle imprese industriali di disporre delle informazioni sia sul sell-out dei propri prodotti sia sulle quote di vendita per insegna, dall’altro si è manifestata la resistenza del distributore a fornirle dovuta al timore che la cessione di informazioni possa ridurre i vantaggi negoziali. Il crescente utilizzo di carte fedeltà ha favorito la creazione di grandi database di informazioni sui comportamenti di acquisto dei consumatori favorendo attività di micromarketing integrato, finalizzate a 28 pianificare congiuntamente politiche di marketing di produttori e distributori. Attraverso le informazioni disponibili è possibile • • • • • • • Segmentare in modo più sofisticato ed efficace i comportamenti dei consumatori; Valutare l’interesse a provare nuovi prodotti; Verificare i livelli di brand loyalty e brand switching; Rilevare la sensibilità a diverse meccaniche promozionali; Selezionare i timing delle diverse iniziative di shopper marketing; Analizzare la reattività ai canali e ai messaggi di comunicazione; Scegliere realtà territoriali e punti vendita dove sviluppare diverse iniziative promozionali definendo meglio i bacini di attrazione. La condizione informativa di filiera tenderà quindi a diventare una leva critica per migliorare le relazioni negoziali tra produzione e distribuzione. Il potere negoziale negli acquisti La struttura e le dinamiche dei rapporti negoziali tra industria e distribuzione sono il risultato del potere contrattuale esistente nei processi di filiera. Il potere può essere definito come la capacità di un membro della filiera di controllare e influenzare i comportamenti di mercato degli altri membri. Le fonti del potere sono: • La disponibilità di risorse scarse o esclusive che è dovuta alla facilità di accesso ai capitali, ai prodotti, ai materiali, a design, alle capacità tecniche, alle conoscenze produttive e commerciali, ai marchi e alle insegne eccellenti, alle localizzazioni e alle formule distributive migliori. La disponibilità può scaturire da condizioni di innovazione che generano situazioni di monopolio a favore di alcuni soggetti e in tal modo il potere è il risultato del grado di sostituibilità di chi controlla e gestisce le risorse scarse; • Dimensione dei soggetti relativamente agli altri membri della filiera. Maggiore è la dimensione, maggiore è la capacità di negoziare condizioni vantaggiose; • Possesso di informazioni riguardanti le alternative di approvvigionamento e i mercati di sbocco dei prodotti avendo riguardo alle tendenze della domanda finale; • Grado di esperienza intesa come una maggiore capacità contrattuale dovuta alla presenza di relazioni consolidate e privilegiate basate su una grande conoscenza di parti e mercati; • Livello di differenziazione dell’offerta rispetto ai concorrenti riconducibile a innovazione e/o specializzazione. Vediamo poi quali sono le modalità per esercitare il potere: 1. Incentivazione fondata su premi e ricompense che un membro del canale può riconoscere ad un altro se si comporta coerentemente con le aspettative; 2. Coercizione basata sulle sanzioni nei casi in cui i comportamenti sono diversi dalle attese; 3. Legittimazione, dove l’influenza di una parte sull’altra deriva dalla credibilità e affidabilità di cui godono i singoli membri di canale; 4. Competenza attraverso cui un componente riconosce all’altra maggiori conoscenze ed esperienze per svolgere una specifica funzione o attività; 5. Identificazione dovuta al senso di appartenenza sviluppato da un soggetto nei confronti di un altro, tanto da creare una condizione di sottomissione spontanea. 29 Le condizioni di potere possono generare da situazioni di conflitto e collaborazione che dipendono dal livello di dipendenza e interdipendenza dei rapporti di filiera che è influenzato dal posizionamento di mercato delle parti. Nei casi in cui esiste un’elevata concentrazione industriale e commerciale (da un lato imprese di marca leader con prodotti innovativi ed esclusivi e dall’altro distributori di grandi dimensioni con forte identità di insegna) il potere è bilanciato con una situazione di interdipendenza che può essere caratterizzata da stabilità di lungo termine dei rapporti e da conflitti per esercitare il proprio potere contrattuale. Se prevalgono condizioni di concentrazione industriale o commerciale si verificano situazioni di dipendenza di una o dell’altra parte. Nel caso in cui si registra elevata frammentazione commerciale e industriale i livelli di dipendenza sono relativi e basati su relazioni di breve periodo caratterizzate da frequente turnover della controparte e bassa conflittualità. L’intensità del conflitto nei rapporti verticali può dipendere da diverse cause: • • • Le modalità di ripartizione delle risorse scarse tra le diverse attività; Ridotta efficacia ed efficienza con cui le parti svolgono i ruoli concordati; Le diverse percezioni nella valutazione degli scenari di mercato e delle azioni di marketing conseguenti; • Divergenza di aspettative sui comportamenti che ogni parte ha nei confronti della controparte; • Incompatibilità degli obiettivi economici perseguiti da ciascun membro della filiera; • Difficoltà di comunicazione tra le parti in grado di favorire un rapido adeguamento ai cambiamenti della controparte e del mercato. Negli ultimi anni c’è stato uno spostamento di potere dall’industria alla distribuzione che è stato determinato e favorito dai cambiamenti registrati nei diversi stadi della filiera: • • • Stadio della domanda finale: il consumatore ha rafforzato le relazioni di fiducia nei confronti dei punti vendita rivedendo la gerarchia tra brand loyalty e store loyalty; Stadio della distribuzione: crescente autonomia di marketing delle imprese commerciali con un maggior controllo dei processi di filiera e dallo sviluppo di situazioni di concorrenza verticale con i produttori; Stadio dell’industria: si è affermato un trend di banalizzazione dei prodotti caratterizzato da minori contenuti di innovazione e differenziazione delle marche con aumento del livello di sostituibilità. Da questo è derivato un aumento del potere contrattuale negli acquisti dei distributori che può essere interpretato secondo 4 approcci: 30 1. Nel primo approccio il potere della distribuzione negli acquisti si può manifestare sia nelle situazioni in cui la concentrazione nella distribuzione è nettamente più alta di quella nell’industria sia nelle situazioni in cui si formano Supercentrali distributive dove i partecipanti si coordinano per ottenere migliori condizioni contrattuali dai fornitori. 2. Il secondo approccio spiega il potere contrattuale negli acquisti facendo riferimento alla dimensione dei distributori acquirenti e si articola su due argomentazioni: a. La teoria del prezzo limite: assumendo che i costi logistici di distribuzione di un nuovo prodotto tenderebbero ad essere più bassi utilizzando il canale della grande distribuzione, i fornitori potrebbero creare barriere all’ingresso verso i concorrenti praticando un prezzo inferiore rispetto a quello del potenziale entrante agli acquirenti di maggiori dimensioni; b. Il concetto di elasticità della domanda intermedia: si assume che il mercato distributivo è formato da diversi segmenti di imprese commerciali caratterizzate da un diverso profilo dimensionale e commerciale e da diversa elasticità nei confronti degli acquisti di fornitura. I distributori più grandi hanno un’elasticità più grande in quanto dispongono di più alternative e possono sostituire facilmente i diversi prodotti/marche. Questa eterogeneità distributiva si traduce nello sviluppo di relazioni negoziali bilaterali. 3. Il terzo approccio riconduce il potere negoziale nei rapporti di fornitura al posizionamento di mercato delle insegne commerciali e spiega la presenza di una forza contrattuale diversa in situazioni dimensionali analoghe che trova origine nell’intensità competitiva, nell’efficacia dell’attività di marketing, nella configurazione organizzativa e nelle dinamiche di sviluppo. Il potere contrattuale della distribuzione può essere maggiore nei casi in cui: • I distributori operano in aree commerciali caratterizzate da maggiori tensioni competitive che li spingono ad assumere atteggiamenti più aggressivi verso i fornitori; • I livelli contrattuali sono più concentrati e coordinati in modo da ridurre le carenze organizzative e migliorare le performance negoziali; • L’efficacia dell’attività di marketing dei distributori è tale da garantire migliori risultati di vendita ai produttori; • L’insegna commerciale ha una posizione di leadership in aree di mercato ristrette con un indice di penetrazione per i prodotti di marca molto elevato; • Il peso della marca commerciale è elevato tanto da rappresentare un’alternativa di vendita nelle categorie di interesse per i produttori; • La crescita e le potenzialità di sviluppo dei distributori sono alte e sostenute con l’apertura di nuovi punti vendita e l’aumento delle vendite di quelli esistenti; • La natura del distributore è quella di dettagliante in quanto rispetto ai grossisti tende a trattare assortimenti più ampi ma meno profondi. 4. Il quarto approccio esplicativo del potere contrattuale negli acquisti è quello che considera la situazione competitiva dei fornitori e la disponibilità degli stessi a concedere migliori condizioni di vendita alla clientela commerciale. Questa disponibilità si può manifestare in diverse circostanze: a. Il produttore concede condizioni migliori ai distributori che operano in ambiti territoriali dove la sua quota di mercato è più bassa rispetto a quella media generale; b. Si riconoscono ai clienti commerciali condizioni aggiuntive per accrescere il grado di utilizzo della capacità produttiva industriale; c. Il produttore, a fronte di costi di marketing crescenti, tende a compensare la riduzione di una parte degli investimenti pubblicitari con un aumento, meno che 31 proporzionale degli incentivi ai distributori per mantenere e/o migliorare il livello delle vendite dei propri prodotti. Nell’ambito delle strategie di trade marketing si impone la necessità di misurare i rapporti di forza con la clientela commerciale tracciando i punti di equilibrio di questi rapporti. Si sono quindi affermate due tecniche per la valutazione del potere negoziale. L’analisi del portafoglio distributori (Dickinson 1983) I clienti commerciali vengono posizionati su due assi: quello verticale misura il tasso di sviluppo delle vendite di ogni distributore e quello orizzontale misura la quota del produttore nel cliente relativamente a un prodotto o a gruppi di prodotti. Il posizionamento dei clienti viene misurato da un cerchio la cui superficie è proporzionale al fatturato del produttore con ogni cliente. Ogni cerchio è ripartito in spicchi che rappresentano i costi di distribuzione sostenuti per ogni distributore in modo da quantificare il margine di contribuzione per ognuno. Il modello permette quindi di rilevare le imprese distributrici che si stanno sviluppando con rapidità ed aggressività e che possono rappresentare per i produttori uno sbocco dove consolidare e sviluppare la propria quota. Ad esempio il distributore A rappresenta un canale in forte sviluppo mentre il distributore C dimostra una preoccupante tendenza a contrarre i volumi di vendita e il produttore dovrebbe valutare l’opportunità di ridurre la sua espansione ed eventualmente abbandonare il distributore. Il modello permette quindi di esaminare le diverse alternative distributive e per ogni distributore sono disponibili 4 condotte: • Penetrazione quando il tasso di sviluppo del distributore è alto e la quota mercato del produttore sul fatturato del distributore per linea di prodotto è bassa. È indicata quindi una politica di investimento. • Consolidamento è quella praticabile con un distributore che continua a svilupparsi e che rappresenta una quota rilevante del fatturato del produttore. L’impresa produttrice deve definire azioni tattiche aggressive per impedire il rafforzamento di altri concorrenti. • Disinvestimento e abbandono nel caso di distributori con tassi di crescita negativi. • • • Il modello si caratterizza però anche per alcuni limiti: Posiziona i clienti in base al loro tasso di crescita complessivo comprendendo settori a cui il produttore non è interessato e l’espansione nei settori di interesse può risultare invece completamente differente; Non fornisce indicazioni sulle cause dei diversi posizionamenti; I maggiori costi di distribuzione per un cliente non esprimono forza ma possono essere sintomo di inefficienza; 32 • • È di difficile impiego per un produttore perché si basa su informazioni di origine commerciale non facilmente reperibili; Si presta ad essere utilizzata in ambienti commerciali evoluti dove i livelli di concentrazione del trade sono forti e le alternative di distribuzione per i produttori ridotte. La matrice della dipendenza. (Dickinson 1983) Con la matrice della dipendenza tra produttori e distributori, si cerca di rilevare gli squilibri esistenti all’interno di un canale di distribuzione, incrociando quota di mercato del produttore e quota di mercato del distributore. Una matrice bilanciata è quella in cui i vari produttori hanno conseguito, in ogni canale distributivo, una quota di mercato equivalente alle loro quote di mercato totali e viceversa vale per i distributori. Questa matrice si poggia sull’ipotesi che il produttore possa riequilibrare i rapporti di forza con il trade diversificando il portafoglio distributori ma è un’ipotesi discutibile perché il produttore deve puntare a distribuire i suoi prodotti con le forme distributive che manifestano i maggiori tassi di crescita. La multicanalizzazione ha determinato la concentrazione dei punti decisionali rendendo meno praticabili per il produttore le azioni di bilanciamento tra i diversi canali. Matrice della linea di equilibrio del potere. Si tratta di una matrice in cui i distributori vengono posizionati attraverso la combinazione di due variabili: il tasso di crescita del fatturato dell’azienda industriale nel cliente e la quota relativa degli acquisti del cliente sul totale dell’azienda industriale. Calcolando la media delle due variabili rispetto ai valori aziendali si individuano 4 diverse posizioni di potere dell’industria nei confronti della clientela commerciale. • Clienti 1-2: il potere industriale è ridotto in quanto si tratta di clienti che pesano e crescono molto; • Clienti 5-6-7: si è rilevato un basso peso negli acquisti e una ridotta crescita del giro di affari; • Clienti 3-4: si caratterizzano per un ridotto peso e una forte crescita e il potere nei loro confronti è destinato a ridursi; • Clienti 8-9-10: l’andamento risulta meno favorevole del peso e il potere nei loro confronti è destinato ad aumentare in quanto i differenti ritmi di sviluppo influenzeranno il peso nelle vendite industriali. I valori medi quantitativi corrispondenti alle linee medie tracciate in verticale e orizzontale risultano diversi per le diverse aziende sulla base della loro posizione di mercato e del settore di appartenenza. Negli ultimi anni si è dibattuto molto sullo squilibrio esistente tra concentrazione industriale e commerciale. Mettendo a confronto i principali clienti commerciali per i produttori con il peso 33 dei principali fornitori per i distributori, si è osservato che il primo tende ad essere notevolmente superiore al secondo. Il potere contrattuale negli acquisti dei distributori, in base alle nuove logiche di category management, va quindi commisurato più che alla consistenza dei fornitori, alla forza di mercato delle marche negli assortimenti commerciali. Le Organizzazioni di vendita industriali L’evoluzione delle relazioni di filiera ha comportato profondi cambiamenti riassumibili in 5 fattori: 1) Il primo fenomeno è la concentrazione della distribuzione in pochi clienti, implicando maggiori responsabilità circa la pianificazione degli investimenti; 2) Il secondo fenomeno è la centralizzazione della logistica, che ha permesso il superamento della forza di vendita industriale. 3) Il terzo fenomeno è l’espansione geografica, che ha visto aumentare l’importanza del ruolo dei Key Account Manager. 4)Il quarto fenomeno è la crescente differenzazione del sistema distributivo, che necessita una gestione ancor più segmentata; 5) Il quinto infine è rappresentato dal fatto che i punti vendita sono ormai considerati strategici al fine di reperire informazioni direttamente dal mercato. Questi 5 fattori hanno comportato in primo luogo alla progressiva collocazione delle funzioni di logistica all’interno delle funzioni commerciali; in secondo luogo, si è verificata un accentramento delle decisioni strategiche; infine sono stati potenziati i sistemi informativi per le decisioni d’investimenti commerciali. Così, Il Trade Marketing può essere definito come l’istituto di riferimento di tutte le strutture delegate a governare le politiche di vendita industriali. Sul piano delle soluzioni organizzative, si sono configurati due modelli principali: il primo, tradizionale, prevede una collocazione di Trade Marketing autonoma, che da un lato si prefigge di formare delle competenze integrate e dall’altro di migliorare i processi di gestione degli investimenti. Il secondo modello, evoluto, posiziona il trade marketing nelle vendite, trasferendo nelle vendite le metodologie tipiche del marketing (e quindi influenzato dalle risorse che si troveranno a svolgere tale ruolo). Il primo modello si basa sulla ripartizione delle vendite tra territorio e presidio del canale/cliente. Il canale moderno viene gestito dal NAM (National Account Manager) mentre il canale tradizionale mantiene la tipica configurazione della funzione. I NAM governano le relazioni con Grande Distribuzione e Distribuzione Organizzata. I capi area invece, coordinano la forza di vendita di field, che spesso è indiretta ed opera secondo logiche di sell-in puro. 34 Il Trade Marketing Manager pianifica i rapporti con la clientela, contribuendo a definire le condizioni di vendita. La seconda configurazione, specifica di contesti più dinamici, consapevole che il valore creato è maggiormente percepito quando è il cliente finale soddisfatto, vede l’istituzione della Direzione di Customer Management, che prevede tre differenti obiettivi: il raggiungimento del fatturato per il canale; il tasso di penetrazione per il cliente; la profittabilità per il cliente/canale. Qui la funzione di Trade Marketing si posiziona in linea con il Customer management e la Direzione Field. Una nuova figura interna ad essa è il Category Manager, che coordina i progetti di anali del posizionamento delle categorie e delle marchi nei punti vendita in collaborazione. Questa funzione può essere svolta attraverso team group. La principali aree di competenza sono quelle relative all’identificazione dei confini di categoria e della loro sottosegmentazione. Tale soluzione presenta però difficoltà e limiti: le difficoltà riguardano le coperture e le competenze di chi deve ricoprire tale ruolo. Tale figura può comportare inoltre l’impoverimento di altre funzioni aziendali, come il brand/product manager. Il primo limite invece riguarda il ruolo, prettamente di ufficio studi a disposizione per il reparto vendite. Il secondo limite invece può riguardare è di prospettiva, in quanto con il passare del tempo tale figura può essere non più necessaria per l’azienda. La funzione acquisti nelle imprese commerciali La funzione acquisti svolge un ruolo di interfaccia nei rapporti negoziali con l’industria. In particolare tale processo si svolge a più livelli: a livello centrale e a livello periferico. Tale scelta può essere ricondotta per i vantaggi (gestione dei flussi ottimale, analisi dettagliata delle vendite e dei trend) e gli svantaggi (difficoltà di comprensione dei mercati locali, costi di coordinamento, asimmetrie informative). Nella prassi aziendale si sono imposti due modelli principali. Il modello buying, in cui la funzione acquisti occupa un ruolo centrale, con livelli gerarchici ridotti. La divisione acquisti è suddivisa in aree merceologiche (food/ no food) all’interno delle quali vengono inseriti i buyer. Tale modello trova la sua origine nell’idea che la fonte principale del vantaggio competitivo delle attività commerciali risiede nelle attività a monte e quindi nei rapporti con i fornitori. Tale visione è corretta in un contesto di mercato stabile caratterizzato da un andamento favorevole dei consumi. Tuttavia per diversi aspetti tale modello risulta inadeguato: 1) costituzione delle Supercentrali e processi di negoziazione omogenei; 35 2)maturità dei consumi ha spinto le imprese ad ottimizzare efficacia ed efficienza attraverso minori costi logistici; 3)buyers operano in ottica di negoziazione e non di collaborazione. Si è affermato quindi che il vantaggio competitivo si crea a valle piuttosto che a monte, con la necessità di creare modelli organizzativi maggiormente basati sulla funzione di marketing. Per superare tali limiti si è affermato il modello category in cui marketing e acquisto sono fortemente legate. Qui, la funzione marketing avendo la responsabilità tende a condividere con la funzione acquisti i piani di categoria. Il processo interorganizzativo si completa anche della funzione vendite per i differenti formati distributivi. Ma anche qui le criticità non mancano: La prima riguarda la proliferazione dei ruoli aziendali: emblematico è l’articolazione delle responsabilità sul margine commerciale, attribuite sia alla funzione acquisti che alla category. Il margine commerciale è il risultato di più variabili, difficilmente individuabili in questo modo. Una seconda criticità si riferisce al carico eccessivo che devono sopportare i buyers. Una terza infine, riguarda le competenze trasversali che i category manager necessitano. La leva della scontistica I rapporti tra Industria e Distribuzione sono disciplinati dai contratti di fornitura e gli accordi extracontrattuali. In questa tipologia rientrano gli accordi che devono essere aggiornati di frequente e a volte sono abbastanza strategici per l’azienda. I contratti di fornitura invece, regolamentano l’oggetto della relazione e ne definiscono i tratti essenziali normativi. I rapporti contrattuali tra produttori e distributori possono essere articolati su più livelli negoziali: a livello di Supercentrale, quello di insegna nazionale, quello del gruppo distributivo locale. La presenza di più livelli negoziali ha contribuito ad accrescere gli investimenti commerciali, che si concretizzano attraverso 8 istituti negoziali: 1)Sconto canale/cliente, concesso principalmente ai clienti più importanti; 2) Sconto logistico, corrisposto a seconda delle modalità di distribuzione applicata. Per esempio, la consegna a deposito permette di consegnare direttamente verso un unico centro, riducendo per l’industria importanti costi logistici; 3) Gli sconti canvass, applicati a periodi di tempo ristretti per aumentare il sell-in, trasferendo a valle il costo dello stoccaggio e di creare barriere all’ingresso per i concorrenti. Il distributore beneficia di alti quantitativi di materiale presenti nel magazzino. Tuttavia, il calo dell’inflazione e l’uso distorto del 3x2 ne ha ridotto l’utilizzo; 36 4) Sconto di rifatturazione, applicato alle centrali che non ricevono direttamente le merci, ma queste passano direttamente al punto vendita a causa di una shelf life del prodotto breve. Lo sconto permette poi di raggiungere le soglie di fatturato di fine anno. 5)Premio di fine anno, ottenuto per volumi di fatturato. Tuttavia la prassi vuole che sia ormai corrisposto indipendentemente dallo stesso. Viene invece vagliato l’incremento annuo sulle vendite. 6) Termini di pagamento, le modalità e le tempistiche di pagamento possono essere poste come condizioni per ulteriori sconti (ad esempio pagamenti celeri garantiscono maggiori sconti). 7) Contributi promozionali. Sono le forme di scontistica che hanno il maggior peso tra tutte. L’industria mette a disposizione tali risorse per sostenere le vendite e le promozioni all’interno dei punti vendita (3x2). Rientrano all’interno di quest’istituto le spese per pubblicità e grafica; 8)Listing fee, dovuti se il produttori desidera ampliare la propria gamma di prodotti presenti nel distributori. All’interno di questi sconti rientrano anche il posizionamento più o meno vantaggioso all’interno del negozio (face, scaffale, posizione nel punto vendita) 37