Rassegna Efficacia e tollerabilità dell’Olanzapina Una rassegna critica della letteratura internazionale Efficacy and safety of Olanzapine A critical review of the international literature MORENO DE ROSSI*, PIETRO DONDA**, CESARIO BELLANTUONO*** *Dipartimento di Salute Mentale, ULSS 9 Treviso **Direzione Medica, ELI Lilly Italia ***Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica, Sezione di Psichiatria, Università di Verona RIASSUNTO. Introduzione. Scopo di questo lavoro è valutare l’efficacia e la sicurezza dell’olanzapina nei confronti del placebo, degli antipsicotici (AP) tradizionali e dei nuovi AP nel trattamento della schizofrenia, del disturbo schizofreniforme e del disturbo schizoaffettivo. Verranno perciò presentati e discussi i risultati dei trial più significativi riguardanti l’olanzapina, pubblicati nella letteratura internazionale e individuati tramite un’accurata ricerca bibliografica. Metodo. Gli studi sono stati individuati tramite la consultazione dei seguenti database: Medline (1966-luglio 2000), Biological Abstract (1974-luglio 2000), Embase (1980-luglio 2000), The Cochrane Library (Issue 2, aprile 2000), il registro dei trial della Cochrane Schizophrenia Group (luglio 2000). In questa ricerca sono stati inclusi tutti gli studi clinici controllati, randomizzati e in doppio cieco, che valutavano l’efficacia e la tollerabilità dell’olanzapina nel trattamento acuto delle psicosi schizofreniformi. Sono stati invece esclusi gli studi condotti in aperto, e quelli che valutavano soggetti con diagnosi diverse da schizofrenia (ex. sindrome affettiva bipolare, demenza, ecc.). Risultati e conclusioni. Tramite la strategia di ricerca esposta sono stati individuati 7 studi clinici controllati. Nel complesso l’olanzapina, a dosaggi di 10 e 20mg/die, si è dimostrata superiore al placebo e almeno equivalente all’aloperidolo nel trattare i sintomi positivi dei pazienti con disturbo schizofrenico e schizoaffettivo; ha presentato inoltre una superiorità significativa rispetto all’aloperidolo sia per quanto riguarda i sintomi negativi che per quelli depressivi. Nell’unico studio pubblicato che confronta direttamente gli effetti di risperidone e olanzapina sul piano psicopatologico, quest’ultima ha presentato una maggior efficacia sui sintomi negativi e sui sintomi depressivi. Uno studio clinico controllato condotto in pazienti “resistenti” al trattamento, che aveva come farmaco di controllo la clorpromazina, ha evidenziato un’efficacia superiore per olanzapina che tuttavia non ha raggiunto la significativà statistica. Per quanto riguarda la tollerabilità, l’olanzapina ha dimostrato un rischio di produrre disturbi extrapiramidali non più alto del placebo, evidenziando notevoli vantaggi rispetto all’aloperidolo e al risperidone in tutti gli studi presentati. Anche il rischio di discinesia tardiva era significativamente minore con l’olanzapina rispetto all’aloperidolo. Come la maggior parte degli altri AP il trattamento con olanzapina ha prodotto un aumento di peso in alcuni pazienti. Infine, nonostante la sua somiglianza strutturale con la clozapina, l’olanzapina non ha causato alcun effetto rilevante sulla crasi ematica in particolare sui leucociti, delineando un profilo più sicuro di questo nuovo AP. PAROLE CHIAVE: olanzapina, studi clinici, antipsicotici, tollerabilità, efficacia, shizofrenia. SUMMARY. Introduction. The aim of this study is to evaluate the efficacy and the tolerability of olanzapine towards placebo, traditional antipsychotics (APs) and new APs for the treatment of schizophrenia, schizophreniform disorder and schizoaffective disorder. The results of the most important trials about olanzapine, which are published in international literature and found through a careful bibliographic research, have been therefore proposed and discussed. Method. The design of these studies has been determined through the consultation of the following databases: Medline (1966-2000 July), Biological Abstract (1974-2000 July), Psyclit (1974-2000 July), Embase (1980-2000 July), the Cochrane Library (issue 2, 2000 April) and the trial book of Cochrane Schizophrenia Group (2000 July). All the controlled, randomised double-blind clinical trials have been included in this research. These studies assess the efficacy of olanzapine in the acute treatment of psychosis. The open studies and the clinical trials about subjects with different diagnosis from schizophrenia (i.e bipolar affective syndrome, dementia, psychosis caused by drugs, etc.) haven’t been included. Result and conclusions. Through the strategy of the above described research, seven controlled clinical trials have been designed. Olanzapine showed a better efficacy profile than placebo with dosage of 10 and 20 mg/die, and at least an equivalent profile as haloperidol for the treatment of positive symptoms in patients with schizophrenic and schizoaffective syndrome. Olanzapine showed a significant superiority compared to haloperidol both as for negative symptoms and depressive ones. The only published study that directly compares the effects of risperidone and olanzapine from a psychopathological point of view, shows that olanzapine has got more efficacy on the negative symptoms and the depressive ones. A double blind controlled clinical trials, which used clorpromazine as control drugs, has underlined the superiority of olanzapine, but this difference didn’t achieve a statistical significance. Regarding tolerability, olanzapine has shown a lower risk of producing extrapiramidal disorders than placebo and it has underlined significant advantages compared to haloperidol and risperidone in all studies. The risk of tardive dyskinesia was significantly lower with olanzapine than with haloperidol too. As most of the other new APs the treatment with olanzapine causes a weight gain in some patients. Finally, despite its structural similarity with clozapine, olanzapine doesn’t cause any relevant effects on the blood examinations in particular on leukocytes count, showing a safer profile than this new AP. KEY WORDS: olanzapine, clinical trials, antipsychotics, tolerability, efficacy, schizophrenia. E-mail: [email protected] Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 183 De Rossi M, et al INTRODUZIONE EFFICACIA ANTIPSICOTICA Gli antipsicotici (AP) convenzionali come l’aloperidolo, la flufenazina e la clorpromazina sono farmaci ampiamente impiegati come trattamento di prima scelta nei soggetti con schizofrenia, sia nella fase acuta del disturbo che in quella di mantenimento (1). Del resto questi composti, che agiscono prevalentemente tramite il blocco dei recettori D2 dopaminergici nella regione mesolimbica del cervello, mostrano evidenti limitazioni terapeutiche: – agiscono sui sintomi positivi ma in circa il 50% dei pazienti danno una risposta incompleta o assente (2); di fatto dal 15% al 25% dei pazienti schizofrenici possono essere considerati “resistenti” al trattamento (3); – non sono efficaci contro i sintomi negativi, i sintomi depressivi e i deficit neurocognitivi del disturbo (1-3); – a causa del concomitante blocco dopaminergico a livello nigrostriatale e tuberoinfundibolare, inducono importanti e debilitanti effetti collaterali come i sintomi extrapiramidali, inclusa la discinesia tardiva, e l’iperprolattinemia, provocando così una bassa compliance da parte dei pazienti (4). Tutto questo ha stimolato la ricerca di nuovi AP con caratteristiche farmacologiche e cliniche diverse (5, 6). La clozapina, introdotta nel 1988, è così diventata il prototipo di una nuova generazione di farmaci, in quanto presenta una più ampia efficacia antipsicotica, una minor incidenza di sintomi extrapiramidali e una minima alterazione nei livelli di prolattinemia rispetto agli AP tradizionali (7). Tuttavia questo AP è associato ad una reversibile, ma potenzialmente fatale, alterazione ematica come l’agranulocitosi (8). Per questo motivo in molti Paesi, tra cui l’Italia, il suo uso è ristretto ai pazienti che non hanno tratto benefici dagli AP tradizionali e richiede valutazioni settimanali dell’emocromo. Recentemente sono state segnalate anche alterazioni cardiache potenzialmente fatali associate all’uso di questo farmaco (9). Dopo la clozapina, altri AP come il risperidone, l’olanzapina e la quetiapina, ritenuti più sicuri, sono stati sintetizzati e introdotti nel mercato per il trattamento della schizofrenia. Questa rassegna della letteratura internazionale ha lo scopo di descrivere e commentare gli studi clinici e le metanalisi condotte in questi anni per valutare l’efficacia antipsicotica e la tollerabilità dell’olanzapina nel trattamento della schizofrenia e delle psicosi schizofreniformi. Verranno, perciò, presentati e discussi i risultati dei trial più significativi sull’olanzapina, pubblicati nella letteratura internazionale e individuati tramite un’accurata ricerca bibliografica. Per valutare l’efficacia terapeutica dell’olanzapina nel trattamento a breve e medio termine della schizofrenia e dei disturbi schizofreniformi, sono stati presi in considerazione 7 studi clinici controllati pubblicati sino ad oggi, i cui disegni sperimentali sono sinteticamente riportati nella Tabella 1. Come si può notare i farmaci confrontati con l’olanzapina sono stati l’aloperidolo (10, 11, 12), la clorpromazina (13) e il risperidone (14, 15), mentre un solo lavoro ha paragonato olanzapina e placebo (16). Tutti gli studi, randomizzati e in doppio cieco, hanno reclutato soggetti con diagnosi di schizofrenia secondo il DSM III R o il DSM IV. Nello studio di Tollefson et al. (12) e in quello di Tran et al. (14) sono stati anche inclusi pazienti con disturbo schizoaffettivo e schizofreniforme. La ricerca ha permesso di individuare, oltre ai 7 studi citati, una serie di lavori in cui venivano presentate analisi ed elaborazioni effettuate a posteriori (post-hoc analysis) su sottopopolazioni di pazienti (es. primi episodi) oppure focalizzate su specifiche misure di outcome (es. sintomi depressivi, cognitivi). Infine, tramite il registro dei trial della Cochrane Schizophrenia Group, sono stati anche individuati alcuni studi controllati presentati nelle riviste internazionali sottoforma di conference abstract; si tratta comunque di lavori selezionati e inclusi nella metanalisi di Duggan et al. (17) curata dal Cochrane Collaboration (vedi in seguito). Confronto tra olanzapina, placebo e AP convenzionali Olanzapina versus placebo Un solo lavoro (S1) ha paragonato esclusivamente l’olanzapina con il placebo (16). Si tratta di uno studio clinico a tre braccia condotto in 12 centri degli USA, in cui 152 pazienti sono stati trattati con olanzapina a 10 mg/die, con olanzapina a 1mg/die e con placebo. In questo trial, 10 mg di olanzapina si sono dimostrati significativamente superiori al placebo nel migliorare i punteggi totali alla BPRS (-7,7 vs -0,2; p≤.050) e alla PANSS (-12,3 vs +2,8; p≤.001). Anche l’efficacia sui sintomi positivi, valutata usando i relativi sottogruppi di queste due scale, delineava un significativo vantaggio dell’olanzapina rispetto al placebo (-3 vs 0 alla BPRS e -4 vs 0 alla PANSS; p≤.050). Per quanto riguarda i sintomi negativi, il subtotale estratto dalla BPRS presentava una scarsa significatività, mentre i dati derivanti dalla PANSS negative sub-score presen- Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 184 Efficacia e tollerabilità dell’Olanzapina Tabella 1. - Disegno degli studi Studio Diagnosi e numero di soggetti Criteri di inclusione Interventi Outcome impiegati Durata Tipo di studio Beasley 199616 Schizofrenia (DSM III R). N=152 BPRS>23, CGI>3 1.Ola. 1 mg/die (N=52) 2. Ola. 10 mg/die (N=50) 3. Placebo (N=50) CGI, BPRS, PANSS; SAS, BAS, AIMS, lista COSTART, aumento di peso. 6 settimane. Doppio cieco Beasley 199610 Schizofrenia (DSM III R). N=335 BPRS>23, CGI>3 1.Ola. 5±2.5 mg/die (N=65) 2. Ola. 10±2.5 mg/die (N=64) 3. Ola. 15±2.5 mg/die (N=69) 4.Alo. 15±5 mg/die (N=69) 5. Placebo (N=69) CGI, BPRS, SANS; SAS, BAS, AIMS, lista COSTART, aumento di peso. 6 settimane. Doppio cieco multicentrico 12 siti Beasley 199611 Schizofrenia (DSM III R). N=431 BPRS>23, CGI>3 1.Ola. 5±2.5 mg/die (N=87) 2. Ola. 10±2.5 mg/die (N=86) 3. Ola. 15±2.5 mg/die (N=89) 4.Alo. 15±5 mg/die (N=81) 5. Ola. 1 mg/die (N=88) CGI, BPRS, PANSS; SAS, BAS, AIMS, lista COSTART, aumento di peso. 6 settimane. Doppio cieco multicentrico 50 siti Tollefson 199712 Schizofrenia disturbo schizoaffettivo o disturbo schizofreniforme (DSM III R). N=1996 BPRS>18 e/o intolleranti ad AP convenzionali. 1.Ola. 5-20 mg/die (N=1336) 2. Alo. 5-20 mg/die (N=660) CGI, BPRS, PANSS; MADRS, SAS, BAS, AIMS, lista COSTART, AMDP-5, aumento di peso. 6 settimane. Doppio cieco multicentrico internazionale Tran 199714 Schizofrenia disturbo schizoaffettivo o disturbo schizofreniforme (DSM IV. N=339 Esclusi i pazienti resistenti al trattamento. 1.Ola. 10-20 mg/die (N=172) 2. Ris. 4-12 mg/die (N=167) CGI, BPRS, PANSS; SANS, SAS, BAS, AIMS, lista COSTART, AMDP-5, aumento di peso. 28 settimane. Doppio cieco Purdon 200015 Schizofrenia (DSM IV). N=65 BPRS>23, CGI>3 1.Ola. 5-20 mg/die (N=23) 2. Ris. 4-10 mg/die (N=21) 3. Alo. 5-20 mg/die (N=21) Test cognitivi 54 settimane. Doppio cieco multicentrico Conley 199813 Schizofrenia (DSM III R). N=84 BPRS>45, CGI>3, resistenti al trattamento. 1.Ola. 25 mg/die (N=42) 2. Clor. 1200 mg/die (N=42) CGI, BPRS, PANNS; SAS, BAS, lista COSTART, aumento di peso. 8 settimane. Doppio cieco tavano una differenza di quasi 4 punti tra olanzapina e placebo (p≤.050). Infine, il tasso di risposta al trattamento, definito come una riduzione minima del 40% alla BPRS, è stato del 28% nei pazienti trattati con 10 mg di olanzapina contro il 10% e il 12% rispettivamente negli altri due gruppi (p<.050). Olanzapina versus aloperidolo Tre studi clinici hanno confrontato olanzapina e alo- peridolo con o senza braccio di controllo per il placebo (10, 11, 12). Nel primo trial (10) (S2) sono stati reclutati 335 pazienti con diagnosi di schizofrenia. I pazienti sono stati suddivisi in 5 gruppi sperimentali e assegnati casualmente al trattamento con olanzapina a 5, 10 o 15(±2,5)mg/die, con aloperidolo a 15(±5)mg/die e con placebo, per un periodo di 6 settimane. In questo lavoro sia l’olanzapina (10 mg/die e 15 mg/die) che l’aloperidolo, si sono dimostrati più efficaci del placebo nel ridurre i punteggi alla BPRS totale e limitatamente ai sintomi positivi (BPRS positive symp- Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 185 De Rossi M, et al tom scores), mentre per i sintomi negativi (BPRS negative symptoms e SANS composta e sommatoria) il miglioramento statisticamente significativo sul placebo è stato ottenuto dal gruppo trattato con le dosi superiori di olanzapina. Il nuovo AP, a questi dosaggi, si è dimostrato inoltre simile all’aloperidolo nella riduzione della sintomatologia positiva (riduzione di circa 5 punti in media) ma significativamente superiore (a dosaggi di 15 mg/die), nei confronti dei sintomi negativi, con una riduzione di circa 13 punti vs 6 dell’aloperidolo alla SANS composta (p≤.050). Il secondo studio (S3) (11), ha seguito sostanzialmente lo stesso disegno sperimentale del precedente trial, includendo 431 pazienti che sono stati valutati tramite BPRS, PANSS e CGI. In questo studio nessun miglioramento statisticamente significativo è stato osservato tra i gruppi in trattamento e il gruppo di controllo rappresentato dai pazienti trattati con olanzapina (1 mg/die). Il trial di Tollefson et al. (12), considerando la dimensione del campione e il numero di centri diversi coinvolti nella ricerca, rappresenta il più importante lavoro pubblicato sull’olanzapina (S4). Condotto, infatti, in 174 sedi situate negli Stati Uniti, in Canada e in Europa e con un coinvolgimento totale di 17 Paesi diversi, questo studio ha arruolato 1996 pazienti, utilizzando criteri di inclusione più ampi rispetto ai trial precedenti. Questi soggetti sono stati poi distribuiti casualmente, in rapporto di due a uno, per ricevere un trattamento con olanzapina o con aloperidolo, cosicché 2/3 dei pazienti hanno ricevuto il primo AP (N=1312) e 1/3 di loro ha ricevuto il secondo (N=636); i range di dosaggio impiegati, oscillavano tra 5 e 20 mg/die per entrambi i farmaci, partendo da una dose iniziale di 5 mg/die di olanzapina o di aloperidolo a cui, di volta in volta, venivano apportati successivi aggiustamenti a discrezione dei medici. La dose media di olanzapina impiegata in questo studio è stata di 12,2 mg/die mentre quella di aloperidolo di 11,8 mg/die (Tabella 2). Tabella 2. - Variazione media finale nei punteggi di gravità del disturbo (N=1996) Variabile BPRS totale PANSS totale PANSS positiva PANSS negativa CGI totale MADRS totale Olanzapina (N=1312) Aloperidolo (N=636) p -10.9 -17.7 -4.7 -4.5 -1.0 -6.0 -7.9 -13.4 -3.8 -3.2 -0.7 -3.1 0.015 0.051 0.056 0.032 0.029 0.001 L’olanzapina si è dimostrata significativamente superiore all’aloperidolo sia alla BPRS totale (-10,9 partendo da una media al baseline di 33,1 contro -7,9 per l’aloperidolo), sia nel tasso di risposta al trattamento, definito come una riduzione minima del 40% alla BPRS (52% vs 34% a favore dell’olanzapina, con p≤.001). Il gruppo trattato con olanzapina ha inoltre dimostrato un miglioramento superiore rispetto a quello trattato con aloperidolo per quel che riguarda i sintomi negativi, evidenziando differenze significative alla BPRS negative score (p=.002) e alla PANSS negative score (p=.032). Questo studio ha anche evidenziato un inatteso effetto significativo dell’olanzapina sui sintomi depressivi. Utilizzando la MADRS, i soggetti in trattamento con il nuovo AP hanno infatti presentato un miglioramento nel punteggio medio e nel tasso di risposta notevolmente superiori rispetto a quelli trattati con aloperidolo (p=.001). Per quanto riguarda infine il numero di pazienti che ha interrotto la fase acuta del trial per mancanza di efficacia, questo è stato significativamente più basso nel gruppo assegnato all’olanzapina (44%) rispetto all’aloperidolo (53%) (p≤.001). Efficacia sui sintomi negativi L’efficacia sui sintomi negativi è stata valutata tramite la PANSS negative sub-score (negli studi S1, S3, S4) e la SANS (studio S2). La Figura 1 riassume i cambiamenti nei punteggi dal baseline all’end-point in ciascuno studio. È stato osservato come i fattori che influiscono indirettamente sui sintomi negativi includano il miglioramento dei sintomi positivi, il miglioramento del tono dell’umore e il miglioramento dei sintomi extrapiramidali. L’utilizzo di un’analisi statistica della covarianza (path-analysis) (18) effettuata sui dati di S2, ha permesso di identificare il contributo relativo al miglioramento di tali sintomi da parte dei suddetti fattori indiretti o secondari (19). I risultati della path-analysis indicano che circa il 55% del vantaggio riportato dall’olanzapina sul placebo (1,91 punti su 3,51) sarebbe, di fatto, riconducibile ad un suo effetto primario. Peraltro, il miglioramento ottenuto, è rimasto significativo rispetto al placebo anche se considerato isolatamente. L’altro grande contributo sui sintomi negativi deriva per il 43% (1,52 punti su 3,51) dal miglior controllo dei sintomi positivi, mentre gli effetti indiretti dovuti al miglioramento della depressione (5%) e dei sintomi extrapiramidali (3%) sono minimi. Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 186 Efficacia e tollerabilità dell’Olanzapina Figura 1. - Effetto sui sintomi negativi. L’effetto superiore dell’olanzapina valutato nei confronti dell’aloperidolo, è stato ancora attribuito in buona parte a un’azione primaria del trattamento farmacologico sui sintomi negativi (84% del vantaggio) (Figura 2). Questa superiorità, correlata al solo effetto primario dell’olanzapina, rimane statisticamente significativa. Al contrario, il beneficio dell’aloperidolo sui sintomi negativi è risultato quasi esclusivamente dipendente dal miglioramento dei sintomi positivi. Efficacia sui sintomi depressivi Le evidenze che documentano una efficacia dell’olanzapina sui sintomi depressivi derivano da una pathanalysis effettuata sui dati dello studio S4 (20). Questa elaborazione ha dimostrato come la superiorità dell’olanzapina rispetto all’aloperidolo verso i sintomi depressivi, derivi in larga misura (57%) da un suo effetto primario. Questi risultati sono stati riconfermati da due post Figura 2. - Contributo dell’olanzapina al miglioramento dei sintomi negativi (pathanalysis nello studio S2). Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 187 De Rossi M, et al hoc analysis effettuate la prima (21) sui 335 pazienti dello studio S2, e la seconda (22) sui 1996 pazienti dello studio S4 prendendo in esame i relativi cluster della BPRS deputati a quantificarne la gravità (item 1,2,5,9). Entrambe hanno infatti evidenziato una maggior efficacia dell’olanzapina rispetto al placebo e all’aloperidolo sui sintomi depressivi dei soggetti schizofrenici. Pazienti con disturbo schizoaffettivo I dati derivano da un lavoro (23) effettuato su un sottogruppo di 300 pazienti che avevano partecipato al trial prospettico e multicentrico di Tollefson et al. (12) e che soddisfacevano i criteri DSM III R per disturbo schizoaffettivo (177 soggetti tipo bipolare; 123 tipo depressivo). Questo genere di analisi era stata definita a priori nel protocollo di studio. Non vi erano differenze al baseline per la gravità del disturbo tra i soggetti in trattamento con olanzapina e quelli con aloperidolo. Nel gruppo totale di pazienti e nel sottogruppo tipo bipolare, l’olanzapina ha presentato miglioramenti statisticamente significativi rispetto all’aloperidolo per quanto riguarda la BPRS totale, la PANSS totale, la PANSS relativa ai sintomi negativi e la MADRS (solo la PANSS relativa ai sintomi positivi mostrava risultati sovrapponibili). Nel sottogruppo di tipo depressivo, l’efficacia dei due trattamenti è parsa sovrapponibile. Efficacia nei pazienti al primo episodio Nello studio S4 sono stati confrontati separatamente un sottogruppo di pazienti al primo episodio psicotico (54 trattati con olanzapina e 24 con aloperidolo) (24). L’olanzapina ha evidenziato una riduzione maggiore rispetto all’aloperidolo nei punteggi della BPRS totale e relativa ai sintomi negativi, e della PANSS totale e relativa ai sintomi positivi. Anche la risposta clinica (riduzione ≥ del 40% alla BPRS) è risultata significativamente maggiore rispetto all’aloperidolo (67% vs 29%). Conference abstracts Sono stati presentati quattro studi in doppio cieco che confrontano olanzapina e AP convenzionali. Due di questi (25, 26) hanno confrontato olanzapina e clorpromazina per 6 settimane in un campione ristretto di soggetti schizofrenici (N=30 e N=41 rispettivamente). Entrambi i lavori hanno documentato risultati favorevoli all’olanzapina alla BPRS, PANSS e CGI (p<.050). Nessuna differenza significativa è stata osservata per quanto riguarda l’efficacia antipsicotica in uno studio di confronto tra olanzapina (5-20 mg/die) e perfenazina (8-32 mg/die) (27) nell’arco di 26 settimane di trattamento. Infine l’olanzapina (5-20 mg/die) è stata contrapposta alla flufenazina (6-21 mg/die) in un trial di 6 settimane su 60 pazienti schizofrenici (28). I risultati hanno presentato un vantaggio significativo del nuovo AP nei punteggi totali alla BPRS (olanzapina -26 vs flufenazina -16), alla PANSS totale (olanzapina -46 vs flufenazina -29), alla CGI (olanzapina -2 vs flufenazina 1) e nel tasso di risposta al trattamento (81% olanzapina vs 58% flufenazina nella riduzione del 40% alla BPRS). Confronto tra olanzapina e nuovi AP Olanzapina versus risperidone Sono stati pubblicati solamente due studi di confronto diretto (head to head) tra olanzapina e nuovi AP, entrambi versus risperidone (14, 15). Nel primo (14) sono stati reclutati 339 pazienti con diagnosi di schizofrenia, disturbo schizoaffettivo e disturbo schizofreniforme, con un valore basale alla BPRS di almeno 42 punti. I soggetti sono stati assegnati al trattamento con olanzapina (10-20 mg/die) o con risperidone (4-12 mg/die) e il periodo di osservazione è stato di 28 settimane. I due trattamenti hanno evidenziato un significativo miglioramento all’end-point in tutte le scale utilizzate per valutare l’efficacia antipsicotica. L’olanzapina, tuttavia, ha dimostrato un’efficacia significativamente superiore al risperidone rispetto ai sintomi negativi ed in particolare rispetto ad appiattimento affettivo, abuliaapatia, anedonia-asocialità (4,3 vs 2,9; p≤.020). L’obiettivo del secondo studio (15) è stato quello di valutare l’efficacia di olanzapina, risperidone e aloperidolo nel trattamento dei deficit cognitivi nella fase iniziale della schizofrenia. Sessantacinque soggetti nei primi 5 anni del disturbo, sono stati inclusi in uno studio multicentrico, in doppio cieco, e assegnati casualmente al trattamento con olanzapina (5-20 mg/die), risperidone (4-10 mg/die) o aloperidolo (5-20 mg/die). Gli effetti cognitivi dei farmaci sono stati valutati dopo 6, 30 e 54 settimane tramite una batteria di test neuropsicologici. L’olanzapina si è dimostrata superiore sia all’aloperidolo che al risperidone nel miglioramento cognitivo Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 188 Efficacia e tollerabilità dell’Olanzapina globale derivato dall’insieme di 6 specifici domini indagati, come anche nelle abilità motorie e nella memoria non verbale. Non sono invece emerse differenze significative tra risperidone e aloperidolo. Efficacia sui sintomi depressivi Valutazioni a posteriori riguardanti gli effetti sui sintomi depressivi dell’olanzapina sono state effettuate anche nel primo dei due lavori descritti (14). L’olanzapina si è dimostrata più efficace (p<.050) verso tali sintomi valutati attraverso i relativi cluster della PANSS (29). L’efficacia terapeutica dell’olanzapina sui sintomi depressivi dei pazienti schizofrenici produrrebbe anche un numero di ricadute psicotiche significativamente inferiore rispetto al risperidone (30). Applicando una regressione logistica è stato successivamente analizzato il tipo di correlazione esistente tra cambiamenti nelle sottoscale della PANSS relative ai sintomi positivi, ai sintomi negativi e a quelli depressivi e miglioramento della qualità di vita misurata tramite QLS (Quality of Life Scale). Entrambi i trattamenti hanno presentato una forte correlazione tra miglioramento dei sintomi depressivi e aumento dei punteggi alla QLS. Efficacia nella terapia di mantenimento L’efficacia dell’olanzapina è stata dimostrata anche nel lungo periodo mediante un’estensione in doppio cieco degli studi S2, S3 ed S4 (33, 34) valutando dopo un anno i soggetti che avevano risposto alla terapia nelle fasi acute (riduzione ≥ del 40% o punteggi finali ≤ a 18 alla BPRS). L’efficacia è stata valutata mediante un’analisi della curva di sopravvivenza (tecnica di Kaplan-Meier) in cui veniva calcolato il mantenimento della risposta in relazione al tempo di permanenza del soggetto all’interno dello studio. La ricaduta, in questi trial, è stata identificata con la riospedalizzazione causata dalla riacutizzazione della sintomatologia. Rispetto al placebo, il rischio stimato di ricaduta a 365 giorni era pari al 28,6% per i pazienti in olanzapina e al 70% per il gruppo di controllo (33) (p≤.050). Una metanalisi degli studi S2, S3 ed S4 effettuata da Tran et al. (34) ha evidenziato una significativa differenza tra i tassi di ricaduta a favore dell’olanzapina rispetto all’aloperidolo; il rischio di ricaduta stimato per un anno era infatti 19,7% per la prima (N=627) e 28% per il secondo (N=180; p=.034). Efficacia nei pazienti “resistenti” Olanzapina versus clorpromazina Conference abstracts Uno studio australiano ha confrontato olanzapina (10-20 mg/die) e risperidone (4-8 mg/die) in 62 pazienti schizofrenici per 30 settimane. I soggetti osservati presentavano un miglioramento più evidente con olanzapina rispetto al risperidone sia alla PANSS che alla BPRS (31) (p≤.050). Un trial clinico controllato, utilizzando come trattamenti sperimentali olanzapina (5 e 20 mg/die), amisulpride (150 mg/die) e placebo (32), è stato condotto in pazienti schizofrenici con prevalente sintomatologia negativa per 6 mesi. Il campione finale è risultato composto da 244 soggetti, 70 assegnati ad ogni gruppo con trattamento attivo e 34 al placebo. L’olanzapina a 5 mg/die ha mostrato una efficacia maggiore rispetto al placebo nella SANS sommatoria utilizzata come misura primaria di efficacia (-5,6 vs -3,4; p<.050). Il miglioramento associato a 20 mg/die di olanzapina e a 150 mg/die di amisulpride non differiva significativamente dai risultati del placebo. Tutti i pazienti trattati con olanzapina hanno, tuttavia, dimostrato un esito superiore rispetto al gruppo trattato con amisulpride nella PANSS positive subscore. Al momento risulta pubblicato un unico trial (13) nel quale sono stati valutati solamente pazienti definiti “resistenti” al trattamento con AP secondo i criteri di Kane et al. (35) (BPRS>45, CGI>4, BPRS >4 in almeno due item per i sintomi positivi, assenza di un buon funzionamento negli ultimi 5 anni, trattamento con 2 AP di classe diversa per almeno due periodi di 6 settimane e a dosaggi equivalenti di clorpromazina =1000 mg/die senza miglioramento significativo). In questo studio, 84 soggetti schizofrenici sono stati casualmente assegnati al trattamento con olanzapina (25 mg/die) o con clorpromazina (1200 mg/die) più anticolinergici (4 mg/die) per un periodo di 8 settimane. Al termine dell’osservazione il 7% dei 42 pazienti trattati con olanzapina e nessun paziente con clorpromazina ha soddisfatto i criteri di risposta richiesti dal protocollo (p=.024). Olanzapina versus aloperidolo Breier & Hamilton (36) hanno effettuato un’analisi dei dati riguardanti una sottopopolazione di 526 pazienti dello studio S4 resistenti al trattamento secondo i criteri di Kane et al. (35). Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 189 De Rossi M, et al La dose media impiegata per l’olanzapina e l’aloperidolo è stata di 11±3 mg/die e 10±3 mg/die rispettivamente. L’olanzapina si è dimostrata superiore all’aloperidolo (p≤.050) nei punteggi BPRS, PANSS (totale, sintomi positivi, sintomi negativi), e MADRS. Conference abstracts Uno studio di Altamura et al. (37) ha confrontato olanzapina e aloperidolo in un gruppo di pazienti resistenti o parzialmente responder (criteri di Breier) (38). L’olanzapina si è rivelata superiore all’aloperidolo nella BPRS totale e relativa ai sintomi negativi, e alla SANS (p≤.050), mentre il miglioramento terapeutico è parso simile alla BPRS positive symptom scores. Finora è stato presentato solamente uno studio clinico controllato con l’obiettivo di confrontare direttamente l’efficacia di clozapina versus olanzapina in pazienti resistenti al trattamento (39). Si tratta di un trial condotto in doppio cieco su 180 soggetti schizofrenici per un periodo di 18 settimane; la resistenza era stata definita come assenza di soddisfaciente risposta clinica a due precedenti trattamenti antipsicotici appartenenti a diversa classe chimica, per almeno 6 settimane con dosaggi equivalenti di clorpromazina = 500 mg/die. Il 43% dei soggetti aveva più di 10 episodi psicotici precedenti all’entrata nello studio e i punteggi baseline alla PANSS, alla BPRS e alla CGI, indicavano una sintomatologia di entità grave e mista (sintomi positivi, negativi e depressivi). L’osservazione ha rilevato un significativo miglioramento nei punteggi totali alla BPRS, alla PANSS e alla CGI per entrambi i gruppi e nessuna differenza significativa tra i due trattamenti in queste scale di efficacia. Analisi più specifiche alla PANSS totale suggerivano un differente effetto dei due trattamenti nei confronti dei diversi sottotipi clinici della schizofrenia, anche se i risultati non sono riusciti a raggiungere la significatività statistica probabilmente a causa della ristretta numerosità campionaria. L’olanzapina ha infatti presentato un miglior effetto rispetto alla clozapina nei soggetti con preminente sintomatologia negativa mentre la clozapina si è dimostrata superiore nel trattamento dei pazienti senza prevalente sintomatologia negativa. Studi metanalitici Sono stati, finora, condotti due studi metanalitici dei trial riguardanti l’olanzapina (40, 17). Nel primo (40) gli Autori hanno utilizzato i dati dei lavori che comparavano risperidone, olanzapina, que- tiapina e sertindolo con il placebo o con l’aloperidolo. Gli studi inclusi erano 4 per l’olanzapina (2914 pazienti provenienti dagli studi S1, S2, S3 ed S4), 9 per il risperidone (2215 pazienti), 6 per la quetiapina (1414 pazienti) e 2 per il sertindolo (701 pazienti) mentre il metodo statistico utilizzato per valutare l’entità degli effetti farmacologici, è stato il coefficiente di correlazione di Pearson (r) (41), misura facile da interpretare per il lettore in quanto corrisponde alla differenza percentuale media tra gli effetti del trattamento sperimentale e quelli del gruppo di controllo. In questo lavoro tutti i nuovi AP e l’aloperidolo sono apparsi più efficaci del placebo, secondo la BPRS. Confrontando l’entità del loro effetto si è ottenuto un valore medio di r pari a 0,25 (IC=0,22-0,28; N=2477) che indicherebbe variazioni medie ai punteggi della BPRS maggiori del 25% rispetto a quelle del placebo. Nei confronti dell’aloperidolo, dall’analisi dei dati di ogni AP disponibili al maggio 1998 (Figura 3), il sertindolo e la quetiapina sono apparsi simili per quanto riguarda l’efficacia antipsicotica, mentre il risperidone e l’olanzapina hanno presentato una superiorità statisticamente significativa verso tale farmaco di controllo. Tuttavia l’entità della differenza era modesta (r=0,06 per risperidone e r=0,07 per olanzapina). Limitatamente ai sintomi negativi, tutti i nuovi AP sono apparsi più efficaci del placebo, ma inaspettatamente anche l’aloperidolo ha presentato una simile tendenza. Nei confronti di quest’ultimo, solo il risperidone e l’olanzapina si sono dimostrati superiori, mentre il sertindolo (non in commercio in Italia) ha presentato efficacia equivalente, e la quetiapina, nell’unico studio pubblicato (42), era significativamente meno efficace in quest’area del disturbo. La seconda metanalisi (17) è stata effettuata dal Cochrane Schizophrenia Group appartenente alla Cochrane Collaboration, un’organizzazione internazionale che autonomamente cura periodiche revisioni sistematiche della letteratura in vari ambiti della medicina e che annovera un insieme di rigorosi lavori anche sul trattamento della schizofrenia e sui nuovi AP. Questo gruppo di ricerca, nei propri lavori, associa i risultati dei trial pubblicati nelle principali riviste scientifiche internazionali, a quelli degli studi identificati sottoforma di conference abstract; i curatori delle metanalisi contattano inoltre gli Autori degli studi originali e le case produttrici dei farmaci per ottenere eventuali chiarificazioni sui dati presentati oppure risultati di lavori non pubblicati. Obiettivo principale dei revisori era determinare l’efficacia clinica e la tollerabilità dell’olanzapina sulla base dei dati di 20 studi clinici controllati, da loro individuati, Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 190 Efficacia e tollerabilità dell’Olanzapina Figura 3. - Variazione media dei punteggi alla BPRS prodotta dai nuovi AP rispetto all’aloperidolo (metanalisi di Leucht et al. (40). di cui solamente 7 sono stati finora pubblicati (10-16). È stato calcolato il rischio relativo (RR) per le misure di esito binarie (IC 95%) e la differenza media finale (DM) per le scale di valutazione. L’olanzapina è apparsa superiore al placebo nel tasso di risposta al trattamento (40% di riduzione dei sintomi psicotici), alla CGI, alla BPRS (DM -6,9; IC -12,3 a -1,4) e alla PANSS (DM -12,4; IC -22,5 a -2,3). Per quanto riguarda il confronto con gli AP tipici (N=2778), l’olanzapina sembra presentare un’efficacia simile relativamente al tasso di risposta (RR 0,9; IC 0,76-1,06) e alla BPRS totale, ma appare superiore nella PANSS totale (DM -6,3; IC -8,4 a -4,2) e “consistentemente” migliore nella PANSS negative sub-score (DM -1,7; IC -2,4 a -1,1). Limitatamente ai sintomi positivi la PANSS positive sub-score ha presentato risultati favorevoli all’olanzapina. Quest’ultima ha inoltre evidenziato un’efficacia simile agli altri nuovi AP (risperidone, clozapina e amisulpride) sia per quanto riguarda i sintomi positivi che negativi e risultati a suo favore alla PANSS totale (312 mesi; N=569; DM -5,7; IC -10 a -2). I due studi effettuati su pazienti resistenti al trattamento (13, 39) non hanno evidenziato chiare differenze tra clorpromazina, clozapina e olanzapina. TOLLERABILITÀ E SICUREZZA Gli studi descritti hanno valutato, oltre all’efficacia, anche la tollerabilità e la sicurezza dell’olanzapina, rilevando l’eventuale comparsa di effetti indesiderati nei soggetti che avevano assunto il farmaco. In particolare, sono stati presi in esame l’incidenza di disturbi extrapi- Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 191 De Rossi M, et al ramidali ed i cambiamenti dei principali parametri clinici e laboratoristici (peso corporeo, pressione arteriosa, ECG, prolattinemia, emocromo, transaminasi). Effetti indesiderati I dati più interessanti rispetto al placebo derivano dallo studio S2 dove gli effetti indesiderati più frequentemente riportati dall’olanzapina (p≤.050) a una dose di 15 mg/die sono stati sonnolenza (39% vs 16%), vertigini (17% vs 3%), costipazione e faringiti, probabilmente associate alla secchezza delle fauci. Nessuno dei classici effetti anticolinergici è stato osservato più frequentemente con olanzapina rispetto al placebo. Anche nel confronto con l’aloperidolo (S4), l’olanzapina ha dimostrato di possedere un miglior profilo di tollerabilità, presentando, come effetti indesiderati più frequenti (p≤.050), secchezza delle fauci, aumento dell’appetito e incremento ponderale (con dosaggi da 5 a 20 mg/die per entrambi i farmaci). Per quanto riguarda l’aloperidolo, sono stati segnalati con frequenza maggiore, disturbi extrapiramidali, disturbi del sonno, scialorrea e sintomi anticolinergici (palpitazioni e disturbi della vista). Nel trial che paragona olanzapina e risperidone (14), quest’ultimo ha causato una maggior incidenza (p≤.050) di effetti indesiderati, tra cui si segnalano sintomi extrapiramidali, disturbi sessuali, nausea e scialorrea. Nei pazienti trattati con olanzapina, per contro, l’effetto riportato più frequentemente è stato solamente l’aumento di peso. In particolare i pazienti hanno avuto un incremento ponderale medio di circa 4,1±6Kg contro 2,3±5Kg con risperidone (p=.015). Anche rispetto alla clorpromazina (13), l’olanzapina ha presentato una maggiore tollerabilità, minori disturbi extrapiramidali, secchezza delle fauci e ipotensione ortostatica (p≤.050). Disturbi extrapiramidali I sintomi extrapiramidali acuti sono stati valutati nei diversi studi utilizzando la Simpson-Angus Scale (SAS) per il parkinsonismo e la Barnes Akathisia Scale (BAS) per l’acatisia, il sistema COSTART (raccolta delle segnalazioni riportate spontaneamente dai pazienti oppure osservate dai medici) e infine, indirettamente, attraverso la registrazione dell’utilizzo di farmaci anticolinergici. Per quanto riguarda la SAS e la BAS i risultati indicano che dopo 6 settimane dall’inizio del trattamento, i punteggi medi di entrambe si sono ridotti per tutti i pazienti che assumevano olanzapina (Figure 4 e 5). Figura 4. - Variazioni medie finali alla Simpson-Angus Scale (studi S1, S2, S3 ed S4). Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 192 Efficacia e tollerabilità dell’Olanzapina Figura 5. - Variazioni medie finali alla Barnes Akathisia Scale (studi S1, S2, S3 ed S4). Rispetto al placebo (S1 ed S2), i pazienti assegnati all’olanzapina non hanno manifestato differenze significative alla SAS e alla BAS. Per contro, nei tre studi di confronto con l’aloperidolo, i pazienti trattati con il composto butirrofenonico hanno evidenziato un peggioramento dei punteggi dal baseline all’end-point in entrambe le scale ed un uso più elevato di anticolinergici. Tran et al. (43) hanno analizzato un pool di dati ricavati da questi tre trial clinici, su un insieme complessivo di 1796 pazienti trattati con olanzapina e 810 con aloperidolo. Alla SAS è stata osservata una riduzione media di 0,86 punti dell’olanzapina rispetto all’aumento di 1,08 nel gruppo di controllo, con un vantaggio evidente a favore del primo AP (p≤.001). Un quadro simile è emerso nella variazione ai punteggi della BAS prodotti dai due farmaci utilizzati (-0,19 per l’olanzapina e +0,39 per l’aloperidolo; p<.001). Infine le altre due misure di esito utilizzate in questo lavoro (sistema COSTART per i sintomi extrapiramidali e utilizzo di anticolinergici) hanno presentato risultati sovrapponibili ai precedenti, confermando quindi una differenza sostanziale tra i due farmaci nell’induzione di tali sintomi. Per quanto riguarda olanzapina versus risperidone (14), tra i sintomi riferiti spontaneamente dai pazienti, parkinsonismo e reazioni distoniche acute si sono rivelati meno frequenti con il primo AP e in generale hanno accusato la comparsa di almeno un sintomo extrapiramidale il 18% di pazienti che assumevano olanzapina contro il 31% di pazienti in trattamento con risperidone (p≤.050). Questi risultati sono stati poi confermati dai punteggi alla SAS e alla BAS e dai dati sull’uso dei farmaci anticolinergici nei due gruppi sperimentali (0,27 mg vs 0,66 mg in media per olanzapina e risperidone rispettivamente; p=.006). Discinesia tardiva Durante la fase di mantenimento in doppio cieco degli studi S2, S3 ed S4, rispetto all’aloperidolo, l’olanzapina è stata associata ad un’incidenza significativamente minore di discinesia tardiva valutata tramite l’Abnormal Involuntary Movement Scale (AIMS), sia dopo un anno di trattamento (44) che dopo due anni e sei mesi (45). In quest’ultimo lavoro il rischio di sviluppare discinesia tardiva per i 522 pazienti che assu- Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 193 De Rossi M, et al mevano aloperidolo vs i 1192 in olanzapina, calcolato tramite un’analisi della curva di sopravvivenza, è stato di 8,02 e di 2,59 rispettivamente (p<.001) con un rischio relativo (cioè rischio maggiore di sviluppare discinesia tardiva con aloperidolo rispetto a olanzapina durante il follow-up) pari a 2,66 (95% IC=1,50-4,70). Peraltro l’incidenza ottenuta con l’aloperidolo in questo lavoro è risultata simile a quella riportata in altri pazienti che ricevevano AP convenzionali (46). I dati preliminari riguardanti l’olanzapina sembrano incoraggianti anche per i soggetti con disturbi affettivi, sottopopolazione notoriamente a rischio elevato per insorgenza di discinesia tardiva (47). Aumento di peso L’incremento di peso è l’effetto indesiderato più comunemente riportato con l’olanzapina. Aumenti medi di 2,2 Kg e 3,5 Kg sono stati riportati nella fase acuta degli studi S1 ed S2, entrambi maggiori rispetto al placebo e l’incremento più significativo riguardava prevalentemente i pazienti che erano sottopeso prima di iniziare il trattamento (BMI<23Kg/m2). Beasley et al. (48) hanno raccolto i dati relativi alla tollerabilità in 2500 pazienti trattati con olanzapina, 810 con aloperidolo e 236 con placebo; il 56% dei soggetti ha riportato un incremento ponderale complessivo superiore al 7% del peso corporeo basale (considerato il limite clinicamente significativo). Gli effetti degli AP, sia nuovi che convenzionali, sul peso corporeo, sono stati oggetto di una metanalisi (49). In questo lavoro sono stati identificati 81 articoli che includevano dati sul peso corporeo nei pazienti in trattamento antipsicotico; per ogni farmaco è stato stimato l’aumento medio dopo 10 settimane di trattamento a dosaggi standard (per quanto riguarda l’olanzapina sono state trovate 157 valutazioni dell’incremento ponderale, utili per le elaborazioni, in 7 studi diversi). Tra i nuovi AP, l’olanzapina era associata a un aumento di peso medio di 4,15 Kg (IC=3,82-4,48), di poco inferiore a quello riportato con la clozapina (4,45 Kg), e superiore a quello del risperidone (2,10 Kg) (Figura 6). Segni vitali ed ECG Nonostante fosse stata osservata la comparsa di vertigini nel 17% dei soggetti in trattamento con olanzapina, misurazioni della pressione arteriosa durante i Figura 6. - Variazioni medie del peso corporeo stimate dopo 10 settimane di trattamento a dosaggio standard (IC = 95%) (metanalisi di Allison et al. (49). Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 194 Efficacia e tollerabilità dell’Olanzapina cambiamenti posturali non hanno rilevato un’aumentata incidenza di ipotensione ortostatica rispetto al placebo. Anche i dati elettrocardiografici dei pazienti trattati con olanzapina, hanno mostrato un aumento del ritmo sinusale che, seppure statisticamente significativo nei confronti del placebo, era di scarso significato clinico; l’intevallo QT non ha presentato allungamenti di rilevanza clinica (inferiori ai 450 msec.) (48). Dati di laboratorio Un lieve e transitorio aumento delle transaminasi epatiche (ALT/SGPT) si è manifestato in circa il 9% dei pazienti in terapia con olanzapina. Tale incremento comparso generalmente tra la prima e la seconda settimana di trattamento è da considerare in ogni caso di scarso significato clinico. L’analisi dei parametri ematologici, in particolare dei leucociti, non ha evidenziato effetti avversi sulla crasi ematica, né è stato osservato alcun segno di ematotossicità da parte dell’olanzapina, come dimostra una casistica relativa ad oltre 3000 pazienti esposti al farmaco (50). Nello studio S4, 32 pazienti che avevano precedentemente presentato neutropenia secondaria all’uso di clozapina, non hanno riprodotto questo effetto quando trattati con olanzapina. In alcuni pazienti con agranulocitosi da clozapina, tuttavia, si è visto che il passaggio ad olanzapina può ritardare i tempi di normalizzazione dell’emocromo. Anche la prolattinemia, il cui aumento è comune con gli AP convenzionali, ha presentato solo un modesto e transitorio incremento nei soggetti in terapia con olanzapina. Nello studio S2 sono stati valutati gli effetti diversi dei trattamenti sulla prolattina nel plasma (51). Alla seconda settimana, l’aloperidolo è stato associato ad una maggiore incidenza di iperprolattinemia (72% dei soggetti) rispetto ai tre dosaggi di olanzapina (13%, 24% e 38%) e al placebo (8%). L’aumento medio della prolattinemia, pur essendo inferiore con l’olanzapina rispetto all’aloperidolo (0,35, 0,52, e 0,61 nmol/l vs 1,23 nmol/l rispettivamente) ha evidenziato, tuttavia, una differenza significativa (p<.050) rispetto al placebo nei due dosaggi più elevati del nuovo AP. In ogni caso, alla sesta settimana, i livelli di prolattina erano sovrapponibili a quelli osservati con il placebo e significativamente minori rispetto a quelli indotti dall’aloperidolo. Nello studio di Tran et al. (14) un aumento oltre gli standard di riferimento della prolattinemia è stato osservato nel 51% dei pazienti trattati con olanzapi- na e nel 94% di quelli in cura con risperidone (p<.001). Studi metanalitici I dati sulla tollerabilità dell’olanzapina, confrontata con altri antipsicotici, sono stati esaminati nelle due metanalisi già citate in precedenza (40, 17). Nella prima (40) i parametri utilizzati per valutare la tollerabilità dei nuovi AP sono stati l’impiego in associazione di anticolinergici e il tasso di drop-out dovuto ad effetti collaterali. Tutti i nuovi AP sono stati associati ad un utilizzo di anticolinergici simile al placebo e di gran lunga inferiore rispetto ai pazienti trattati con aloperidolo. Per quanto riguarda i drop-out, nessuno dei nuovi AP ha presentato risultati differenti dal placebo (p>.050). Olanzapina e quetiapina, ma non risperidone, hanno dimostrato una migliore tollerabilità nel confronto con l’aloperidolo, evidenziando un minor numero di interruzioni per effetti indesiderati (r=0,06, IC=0,02-0,10; p<.050). I risultati della metanalisi curata dalla Cochrane Collaboration (17) evidenziano che i pazienti assegnati ad olanzapina hanno presentato un minor numero di effetti extrapiramidali e hanno assunto meno anticolinergici rispetto a quelli trattati con AP tradizionali. I risultati relativi al cambiamento di peso sul periodo medio-lungo (3-12 mesi) suggeriscono un incremento ponderale medio con olanzapina di 4 Kg (IC 0,3-7,8). Rispetto ad altri nuovi AP, l’olanzapina ha presentato un aumento di peso maggiore ma non statisticamente significativo (2,2 Kg; IC -0,6-5 N=535); un minor numero di soggetti rispetto al gruppo del risperidone (N=339) ha assunto anticolinergici e ha manifestato effetti extrapiramidali (RR 0,6; IC 0,4-0,9). Nel complesso il numero di soggetti che ha abbandonato gli studi clinici per comparsa di effetti indesiderati o per inefficacia della terapia è significativamente minore per olanzapina rispetto ai diversi gruppi di controllo in tutte le comparazioni (placebo, AP convenzionali, nuovi AP). Tuttavia, poiché il numero totale dei soggetti che ha interrotto il trattamento è molto elevato, gli Autori di questa metanalisi ritengono difficile l’interpretazione dei risultati e preferiscono non trarre conclusioni definitive sugli effetti clinici del nuovo AP. L’impressione globale degli Autori è comunque che l’olanzapina possa offrire una buona efficacia antipsicotica, con una minor incidenza di effetti extrapiramidali ma con un maggiore rischio di incremento ponderale rispetto agli AP tradizionali. Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 195 De Rossi M, et al DISCUSSIONE Aspetti metodologici generali Tutti gli studi pubblicati presentano elevati standard di qualità metodologica. In particolare i principali aspetti da considerare, come la randomizzazione e la cecità del terapeuta e del paziente ai trattamenti comparati, hanno seguito procedure rigorose tali da soddisfare i criteri qualitativi più elevati (categoria A) delle linee guida fornite dalla Cochrane Collaboration (52). Inoltre, sono stati ben esplicitati i criteri diagnostici per la selezione dei pazienti, sono stati definiti chiari criteri di inclusione e di esclusione, e sono state applicate le più importanti scale per le valutazioni di outcome che usualmente si incontrano nella ricerca psicofarmacologica. Tutti i trial pubblicati, inoltre, hanno descritto i tassi di drop-out dei pazienti e hanno fornito chiari dati sui motivi di interruzione al trattamento, permettendo di non perdere informazioni preziose relative all’efficacia e alla tollerabilità dell’olanzapina. I dati infatti indicano un maggior tasso di drop-out sia con placebo che con aloperidolo, per assenza di azione antipsicotica nel primo caso e per elevata comparsa di effetti indesiderati nel secondo. Tuttavia, la proporzione di soggetti che ha interrotto gli studi, pur confrontabile con quella di altri trial sui nuovi AP (53), è stata molto elevata e rende talora problematica l’interpretazione dei risultati ottenuti, in quanto solleva la questione della loro validità esterna. I disegni degli studi prevedevano una raccolta dei dati tramite l’utilizzo dell’algoritmo LOCF (last-observation-carried-forward) e su base intention-to-treat, dove l’ultima visita disponibile del soggetto, se abbandonava lo studio, fungeva da end-point per le analisi, e dove tutti i pazienti venivano inclusi nelle valutazioni anche se qualcuno non aveva aderito strettamente al protocollo del trattamento. Tali procedure sono state criticate in quanto renderebbero difficile la stima reale degli effetti specifici di un farmaco (le analisi dovrebbero essere applicate solamente ai soggetti che hanno concluso l’osservazione) e di conseguenza inficerebbero il confronto diretto tra due trattamenti sperimentali (includendo infatti nelle valutazioni anche i drop-out viene sovrastimato l’effetto del farmaco che produce la maggior adesione al trattamento). Del resto gli approcci LOCF e intention-to-treat, ampiamente impiegati nella moderna ricerca psicofarmacologica, proprio poiché includono nelle valutazioni anche i drop-out, vengono da più parti ritenuti metodologicamente corretti in quanto più conservativi e quindi più vicini alla pratica clinica (40); il loro utilizzo in tal senso potrebbe aumentare la validità esterna degli studi e la generalizzabilità dei risultati invece che ridurne la consistenza. Ad esempio, Buchanan et al. (54) hanno pubblicato uno studio in cui clozapina (415 mg/die) e aloperidolo (25 mg/die) sono stati confrontati in doppio cieco per 10 settimane. Per quanto riguardava i sintomi positivi la clozapina si è dimostrata superiore quando venivano considerati solo i pazienti che avevano completato il trattamento, ma poiché il numero di drop-out era stato molto più elevato tra i pazienti trattati con questo AP, le analisi LOCF e su base intentionto-treat non hanno poi evidenziato differenze sostanziali tra i due farmaci. Quest’ultimo dato appare il più significativo sul piano clinico, mentre il buon risultato ottenuto dalla clozapina, seppure importante sul piano teorico, ha di fatto scarsa rilevanza in quanto indicherebbe, come è stato osservato, che quell’AP può offrire vantaggi solo per i pazienti in grado di tollerarne gli effetti collaterali (55). Una seconda osservazione riguarda il significato clinico da attribuire ad alcuni dati che sono stati presentati e che rivelano differenze esigue tra olanzapina e trattamenti di controllo. È cioè difficile capire, al di là della differenza statisticamente significativa che si può ottenere, se esista un reale vantaggio legato all’utilizzo di questo AP, dove per “reale” si intenda osservabile e rilevante nella pratica clinica corrente. Duggan et al. (17), ad esempio, nella loro metanalisi presentano una riduzione media alla CGI di 0,5 punti per l’olanzapina rispetto al placebo (IC 0,9-0,2) e una variazione media di -6 punti alla PANSS (IC -1,3 a -0,03) con dati poco consistenti nei subtotali dei sintomi positivi (-1,2) e dei sintomi negativi (-1,7). Anche Leucht et al. (40) hanno evidenziato una superiorità modesta dell’olanzapina, come anche del risperidone, rispetto all’aloperidolo, ottenendo un vantaggio alla BPRS del 7%. Del resto bisogna considerare che questi moderati miglioramenti sono osservati alla sesta settimana, ma tendono ad acquisire una maggior consistenza nei mesi successivi traducendosi nei 15 punti in meno alla PANSS totale, nei -4 in quella positiva nel medio termine, e nei -4,7 punti alla PANSS negative subscore nel lungo termine. Quanto all’entità dell’effetto (effect-size) nei confronti del placebo, emersa sinteticamente nella metanalisi di Leucht et al. (40), anch’essa appare modesta (23% alla BPRS) soprattutto se paragonata ai risultati degli studi classici sull’efficacia degli AP, cui spesso si fa riferimento, come quello di Cole del 1964 (56). La principale ragione di questa discrepanza è verosimilmente legata al fatto che i soggetti inclusi negli studi recenti sono in genere più gravi e con una durata media di malattia di 10-17 anni (40), rispetto agli studi di alcuni anni fa in cui numerosi erano i pazienti al primo episodio psicotico. Ad esempio nello studio multicentrico di Tollefson Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 196 Efficacia e tollerabilità dell’Olanzapina (S4), i soggetti “non cronici” trattati con olanzapina erano solamente 59 su 1996 totali; una post-hoc analysis su questa sottopopolazione (24) ha, di fatto, evidenziato tassi di risposta molto più elevati di quelli riscontrati nei soggetti cronici (67,2% vs 45%). In aggiunta non bisogna dimenticare che in pazienti gravemente ammalati anche piccoli cambiamenti della sintomatologia sono importanti e possono notevolmente migliorare la qualità di vita del soggetto mantenendolo in una condizione più favorevole per avviare interventi socio-riabilitativi e psicoeducazionali. Confronto tra olanzapina e aloperidolo Nei trial che hanno confrontato l’efficacia dell’olanzapina e quella dell’aloperidolo (S2, S3 ed S4) si è assistito ad una eterogeneità anche significativa dei risultati alla BPRS totale (Figura 3). Tale disomogeneità è verosimilmente riconducibile ai diversi dosaggi di olanzapina testati, dal momento che alcuni di questi lavori si configuravano come studi di dose-finding per il nuovo AP. A tal proposito in una interessante sensitivity analysis, nella quale veniva esclusa la dose di olanzapina attualmente ritenuta subterapeutica (5 mg/die), questa eterogeneità dei risultati è scomparsa e tutti gli studi hanno fornito dati univoci a favore dell’olanzapina (40). Confronto tra olanzapina e risperidone Al momento sono stati presentati solamente due studi che paragonano, in condizioni cliniche controllate, risperidone e olanzapina (14, 15) (entrambi AP di provata efficacia, ma con caratteristiche farmacologiche diverse tra loro (57, 58) i cui risultati sono favorevoli all’olanzapina. Nel 1998 è stato presentato un trial di confronto tra olanzapina e risperidone (59) che utilizzava un disegno sperimentale simile a quello dello studio di Tran (14), ma che proponeva dati di efficacia opposti dando origine a notevoli controversie (60, 61). La ragione di tali risultati potrebbe dipendere dai dosaggi prescelti nei due studi (62), più elevati in quello di Tran (14) (risperidone 7,2 mg/die; olanzapina 17,2 mg/die) e più bassi in quello di Conley (59) (risperidone 4,8 mg/die; olanzapina 12,5 mg/die). Del resto i dati in nostro possesso suggeriscono che per la maggior parte dei pazienti con schizofrenia, la dose ottimale è inferiore o uguale a 6 mg/die per il risperidone e di 15 mg/die o più per l’olanzapina (63) per cui sarebbero auspicabili nuovi studi che paragoni- no i due AP in questi range di dosaggio, al fine di proporne un adeguato confronto. I revisori della Cochrane Schizophrenia Group hanno segnalato, comunque, come lo studio di Conley et al. (59) sia stato sospeso dalla casa produttrice nell’aprile 1999, per motivi che a tutt’oggi non sono chiari, per cui è stato stralciato dall’ultimo aggiornamento della loro metanalisi (17). Efficacia nei pazienti “resistenti” La clozapina, l’unico AP di dimostrata efficacia nei pazienti “resistenti” al trattamento (7, 35), resta purtroppo uno dei farmaci più difficili da prescrivere e il suo attuale impiego nei soggetti schizofrenici è altamente limitato se si considera che tra il 30% dei pazienti che non rispondono agli AP tradizionali, solamente il 5% è in trattamento con questo farmaco. Ciò è in parte dovuto alla possibilità che la clozapina possa causare alterazioni della crasi ematica come l’agranulocitosi (8), ma è anche il risultato della possibile insorgenza di altri effetti collaterali come la sedazione, l’ipotensione, la scialorrea, l’incremento di peso e il rischio di convulsioni (55). Per questo, attualmente grande attenzione è rivolta agli AP di seconda generazione, come olanzapina, risperidone e quetiapina, nei pazienti “resistenti” o “poor responders” al trattamento farmacologico. Conley et al. (13) hanno trovato che non vi è differenza di efficacia tra 25 mg/die di olanzapina e 1200 mg/die di clorpromazina. Nessuno dei due farmaci ha dimostato un sostanziale miglioramento della sintomatologia psicotica nei pazienti resistenti: il 7% dei soggetti ha risposto all’olanzapina e nessuno alla clorpromazina. I risultati sono molto diversi da quelli di Breier & Hamilton (36), ottenuti da un’elaborazione sui pazienti resistenti dello studio S4, in cui l’olanzapina ha dimostrato un miglioramento maggiore rispetto all’aloperidolo (47% vs 35%). Questa differenza tra i due studi potrebbe in parte riflettere la diversità tra le due popolazioni studiate. I pazienti di quest’ultimo lavoro, infatti, erano in parte ricoverati e in parte ambulatoriali suggerendo di presentare una minor gravità clinica rispetto a quelli dello studio di Conley (13), reclutati invece, tutti in regime di degenza ospedaliera. Sorgono dei dubbi anche sul fatto che la popolazione di soggetti resistenti selezionata da Conley et al. (13), fosse paragonabile a quella che si ritrova nei trial sulla clozapina, in cui il tasso di risposta al trattamento (20% di miglioramento alla BPRS) raggiunge valori tra il 30% e il 70% (35, 64, 65). In realtà, Conley et al. (13) nel loro trial, richiedevano la mancata risposta ad almeno due AP classici o nuovi, inclusi la cloza- Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 197 De Rossi M, et al pina e il risperidone. A rendere potenzialmente dissimile la popolazione da loro reclutata è proprio il fatto che almeno il 50% dei loro pazienti, sottoposti a terapia con olanzapina o con clorpromazina, non aveva precedentamente risposto ad un adeguato trattamento con risperidone, l’unico finora, tra i nuovi AP, paragonato con risultati favorevoli alla clozapina (66, 67). In secondo luogo, 6 degli 84 pazienti reclutati, erano stati precedentemente trattati con clozapina ma avevano dovuto interromperne l’assunzione per intolleranza agli effetti collaterali (13). Un’altra consistente critica (17) di tipo metodologico mossa a questo studio di confronto tra olanzapina e clorpromazina, riguarda il fatto che la sostanziale equivalenza tra i due farmaci sui pazienti resistenti al trattamento, potrebbe riflettere un errore di II tipo. In altre parole questo studio non avrebbe il potere di dimostrare una differenza tra i due trattamenti a causa dei pochi soggetti (N=84) arruolati (68); una incapacità a dimostrare tale differenza non potrebbe pertanto in alcun modo rappresentare una prova di equivalenza tra i due farmaci ma solamente una mancanza di informazioni al riguardo (69). La stessa osservazione può riguardare il lavoro di Beuzen et al. (39), che confronta direttamente olanzapina e clozapina, dove la piccola entità del campione reclutato avrebbe un limitato potere di dimostrare la “non inferiorità” dell’olanzapina rispetto alla clozapina nei pazienti resistenti al trattamento. Questo trial è stato, di fatto, oggetto di ulteriori critiche (70) poiché i criteri utilizzati da Beuzen per definire la “resistenza” non erano così rigidi come quelli proposti in passato da Kane et al. (35). Il confronto tra questi due farmaci necessita pertanto di ulteriori approfondimenti ed è indispensabile replicare i risultati ottenuti in studi più ampi e di maggior potenza per poter proporre l’olanzapina come possibile AP alternativo ma più sicuro e maneggevole rispetto alla clozapina. bero essere secondari al miglioramento complessivo del quadro clinico (in particolare della sintomatologia extrapiramidale) e non ad un suo effetto specifico sui sintomi negativi primari (71). La path-analysis è il metodo statistico attualmente più impiegato per valutare se il miglioramento clinico apportato alla sintomatologia negativa da un AP persista dopo che gli effetti dovuti alla riduzione dei sintomi extrapiramidali, depressivi e positivi sono stati controllati. Questa analisi ha dimostrato un effetto significativo primario sulla sintomatologia negativa, sia per l’olanzapina (19) che per il risperidone (72). Anche questo metodo, tuttavia, non è esente da critiche (73, 74, 40) in quanto basato sull’inferenza statistica e quindi non in grado di offrire lo stesso livello di evidenza di un trial originale. Risultati conclusivi in quest’ambito potrebbero derivare quindi solamente da studi ad hoc, basati su pazienti con predominante sintomatologia negativa primaria. Ad esempio, nello studio di Lecrubier et al. (32), di cui è disponibile solamente l’abstract, olanzapina e amisulpride sono stati confrontati in pazienti con prevalente sintomatologia negativa. I risultati hanno evidenziato, alla SANS, un’efficacia dell’olanzapina a 5 mg/die, significativamente superiore al placebo e nessuna differenza tra questo e l’amisulpride. Osservazioni sovrapponibili, possono essere fatte anche sulla natura post hoc di molte analisi che hanno indagato l’effetto primario dell’olanzapina sui sintomi depressivi dei soggetti schizofrenici (20, 29). Il fatto comunque che la sintomatologia negativa e depressiva siano difficili da valutare, deve costituire un obiettivo per la ricerca futura, soprattutto alla luce del fatto che nella schizofrenia i sintomi depressivi sono molto comuni e che i pazienti schizofrenici presentano un elevato tasso di suicidio (75). È tuttora in corso un ampio studio prospettico che confronta gli effetti della terapia antipsicotica nei pazienti schizofrenici ad alto rischio di suicidio, assegnati casualmente a ricevere clozapina o olanzapina; i risultati saranno disponibili nel 2001 (76). Efficacia sui sintomi negativi e depressivi I nuovi AP hanno dimostrato in generale una miglior efficacia nel trattamento dei sintomi negativi rispetto agli AP convenzionali. Anche questi dati devono comunque essere letti con cautela alla luce del fatto che la maggior parte dei trial, condotti generalmente in pazienti con sintomatologia sia positiva che negativa, non sono di per sè in grado di distinguere un’azione dei farmaci sui sintomi negativi primari, rispetto a quelli secondari. Dati recenti, infatti, sembrano suggerire che i vantaggi della clozapina sui sintomi negativi, potreb- Tollerabilità L’olanzapina si presenta nel complesso come un farmaco sicuro e ben tollerato. Lo studio S4 sembra offrire, da questo punto di vista, la miglior accuratezza nella valutazione degli effetti collaterali poiché utilizza un questionario eterosomministrato (AMDP-5), a differenza degli altri studi basati invece sulla segnalazione spontanea dei pazienti o sull’osservazione dei medici (metodo COSTART). Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 198 Efficacia e tollerabilità dell’Olanzapina I risultati degli studi controllati, effettuati in popolazioni di soggetti molto selezionati, dovrebbero, tuttavia, essere affiancati da studi che valutino coorti di pazienti trattate in condizioni “naturalistiche”. Recentemente è stato pubblicato un ampio studio prospettico naturalistico (77), in cui la tollerabilità dell’olanzapina è stata confrontata con quella di altri AP in 2967 pazienti che dovevano ricevere una nuova prescrizione di questi farmaci. Tra tutti i soggetti inclusi, 2128 sono stati trattati con olanzapina in monoterapia o combinata con altri farmaci mentre 821 hanno assunto altri AP (gruppo di controllo). Il confronto ha evidenziato un’incidenza di effetti collaterali ed extrapiramidali significativamente più elevata nei controlli rispetto al gruppo in olanzapina. L’olanzapina, per contro, ha causato maggior sonnolenza e aumento di peso, rivelandosi comunque un farmaco complessivamente sicuro e ben tollerato anche in soggetti non selezionati. Disturbi extrapiramidali In tutti gli studi clinici ed a tutti i dosaggi impiegati, l’olanzapina ha causato un’incidenza di sintomi extrapiramidali che corrispondeva a quella riscontrata nei pazienti assegnati al placebo (43). In questo contesto è però necessario ricordare, se si vuol cogliere il vero impatto clinico di questo dato, che la somiglianza con il placebo non significa necessariamente assenza totale di sintomi extrapiramidali; in generale, infatti, nel gruppo con placebo questi si ritrovano nel 20% dei casi per ragioni diverse (breve periodo di wash-out precedente allo studio, discinesie da sospensione, ecc.). In secondo luogo, va osservato che i dati relativi agli effetti indesiderati dei nuovi AP derivano prevalentemente da trial che hanno testato tali farmaci (nella maggioranza dei casi) con l’aloperidolo, farmaco noto per la sua elevata tendenza a causare effetti extrapiramidali e che pertanto non può essere considerato il gold standard in questo senso, anche se proprio l’aloperidolo è ancora oggi l’antipsicotico più utilizzato nella pratica psichiatrica. Inoltre, alcuni dei trial sui nuovi AP avrebbero utilizzato dosaggi relativamente alti di questo AP (più di 20 mg/die). Negli studi che hanno confrontato olanzapina e aloperidolo sono stati, comunque, utilizzati dosaggi abbastanza flessibili lasciando ai medici la libertà di aumentare o ridurre la dose, secondo le esigenze cliniche del singolo paziente. Nello studio S4, la dose media di aloperidolo usata è stata di 11,8 mg/die. Nello studio di Tran et al. (14) il trattamento con l’olanzapina ha prodotto un significativo minor numero di effetti extrapiramidali rispetto al risperidone, sia au- toriferiti dai pazienti che in termini di punteggi alle scale di valutazione (SAS e BAS). Questi dati sono in accordo con quelli riportati in letteratura in cui il risperidone sembra associato ad una non infrequente comparsa, dose dipendente, di questi sintomi (57, 78). In tutti gli studi presentati, come in altri riguardanti i nuovi AP, è stato permesso il ricorso all’uso di anticolinergici per controllare la comparsa di eventuali effetti extrapiramidali. L’assunzione di questi farmaci però potrebbe avere influenzato la valutazione dell’incidenza e gravità dei sintomi extrapiramidali, rischiando di far perdere, da un lato la stima reale dell’incidenza di questi effetti collaterali in ogni gruppo di pazienti trattati, e, dall’altro, la possibilità del confronto tra i due trattamenti. Del resto il maggior utilizzo di questi farmaci nei pazienti assegnati all’aloperidolo (43) è indicativo della presenza di più frequenti disturbi extrapiramidali causati da questo AP rispetto all’olanzapina. Inoltre la possibilità del confronto tra i due composti non viene perduta qualora i risultati di entrambi i parametri di esito citati (scale di valutazione per i sintomi extrapiramidali e uso di anticolinergici) siano univoci come negli studi sull’olanzapina. Semmai in questo caso il risultato del confronto ne esce consolidato. Discinesia tardiva L’olanzapina ha dimostrato di essere associata ad un rischio di discinesia tardiva significativamente più basso rispetto all’aloperidolo (44). Inoltre, poiché l’utilizzo di anticolinergici (molto utilizzati in associazione all’algoperidolo) è stato correlato alla comparsa di discinesia tardiva (79), gli Autori dello studio citato, con un’analisi della covarianza, hanno cercato di controllare il potenziale effetto di questi farmaci sul rischio relativo di insorgenza. Il risultato dopo questa analisi era sostanzialmente comparabile con quello iniziale. Questi dati sull’olanzapina sono ancora più incoraggianti se consideriamo la relazione stretta esistente tra comparsa di effetti extrapiramidali acuti, molto ridotti con questo nuovo AP, e sviluppo successivo di discinesia tardiva (80). Del resto questi risultati sono ancora limitati e necessitano di essere confermati da follow-up più estesi e prolungati che possano predire con maggior certezza l’eventuale rischio di discinesia tardiva nella terapia di mantenimento con olanzapina. Aumento di peso Tra gli effetti indesiderati più comuni dell’olanzapina vi è l’incremento ponderale (16, 12, 81). Gli studi Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 199 De Rossi M, et al comparativi sugli AP atipici confermano questo dato, indicando clozapina e olanzapina come i farmaci che causano il maggior aumento di peso, seguiti dal risperidone e dalla quetiapina (82, 83). È interessante notare come i già citati studi di confronto tra olanzapina e risperidone (14, 59), presentino risultati in accordo solamente per quel che riguarda tali effetti collaterali: entrambi infatti hanno rilevato un maggior incremento ponderale con olanzapina contro un maggior aumento di prolattinemia con risperidone. La metanalisi di Allison et al. (49) rappresenta forse la sintesi della letteratura più esaustiva, al momento, sull’aumento di peso indotto dai diversi AP. Tale aumento è stato però stimato solo sull’arco di 10 settimane poiché in questo intervallo di tempo era disponibile per le analisi una maggiore quantità di dati. Tuttavia, l’incremento ponderale atteso in soggetti che assumano la terapia per periodi di tempo più lunghi, potrebbe essere più elevato, come gli studi a lungo termine su clozapina ed olanzapina e l’esperienza clinica testimoniano (48). Ad esempio nei farmaci per i quali sono disponibili i risultati a lungo termine, come clorpromazina, clozapina e olanzapina, sembra chiaro che sebbene l’aumento di peso raggiunga un plateau dopo un certo periodo di tempo (per l’olanzapina dopo 4-5 mesi), l’effetto totale è comunque maggiore di quello stimato a 10 settimane. Va comunque ricordato che negli studi condotti sull’olanzapina sia a 6 settimane che nel periodo di un anno, i drop-out attribuiti all’aumento di peso sono stati decisamente rari (12). D’altro canto, gli studi indicano anche che l’aumento di peso maggiore, si verifica soprattutto in pazienti che presentano un basso indice di massa corporea prima del trattamento (48), laddove un tale effetto collaterale potrebbe quindi rivelarsi innocuo; in questi casi, o nei pazienti con disturbi dell’alimentazione (anoressia), un aumento ponderale potrebbe rivelarsi addirittura benefico. Un ruolo terapeutico dell’olanzapina nell’anoressia mentale necessita tuttavia di essere confermato da studi ad hoc. Compliance Come in tutti i disturbi in cui è necessario un trattamento a lungo termine, anche nei pazienti che soffrono di schizofrenia, la compliance è un fattore fondamentale per il buon esito della cura. È ben noto infatti che meno del 50% di soggetti schizofrenici assume le terapie nel lungo periodo secondo le indicazioni consigliate (84). Ma la compliance è un fenomeno molto complesso e sarebbe semplicistico pensare che una minor inci- denza di effetti extrapiramidali, dimostrata per l’olanzapina e per altri nuovi AP, si traduca necessariamente in una migliore adesione alla terapia. D’altra parte è vero anche che gli studi in cui è stata presa in esame la relazione tra effetti extrapiramidali e compliance, hanno ottenuto risultati non sempre univoci (85). Anche se non possediamo dati a tal proposito, effetti non neurologici come la sedazione, le disfunzioni sessuali, l’aumento di peso, la stipsi, la scialorrea, potrebbero, di fatto, rivelarsi fattori negativi nel garantire sul lungo termine una buona adesione al trattamento. La superiorità dell’olanzapina, cosiccome di altri nuovi AP, rispetto agli AP convenzionali in termini di aumentata compliance, necessita pertanto di essere ulteriormente analizzata. CONCLUSIONI Nel complesso l’olanzapina a dosaggi tra 10 e 20 mg/die si è dimostrata superiore al placebo e almeno equivalente all’aloperidolo (16, 12) nel trattare i sintomi positivi dei pazienti con disturbo schizofrenico e schizoaffettivo. Ha presentato inoltre una superiorità significativa rispetto all’aloperidolo sia per quanto riguarda i sintomi negativi (19) che quelli depressivi (20). Tutti gli effetti terapeutici dell’olanzapina, nei pazienti che avevano risposto, sono stati mantenuti nel lungo periodo come hanno dimostrato gli studi di follow-up (34). Nell’unico studio pubblicato che confronta direttamente gli effetti di risperidone e olanzapina sul piano psicopatologico, quest’ultima ha presentato una maggior efficacia sui sintomi negativi e su quelli depressivi (14). Tuttavia, il confronto tra olanzapina e nuovi AP necessita di ulteriori studi (head-to-head) per poter trarre conclusioni definitive. Per valutare l’efficacia di questo AP nei pazienti “resistenti” al trattamento, sarebbero inoltre auspicabili trial di adeguata potenza statistica versus clozapina, l’unico AP per il quale siano stati documentati reali vantaggi in questi pazienti rispetto agli AP tradizionali e nuovi (7, 86). Per quanto riguarda la tollerabilità, l’olanzapina ha dimostrato un basso rischio di indurre effetti extrapiramidali ed iperprolattinemia, presentando notevoli vantaggi rispetto ad aloperidolo e risperidone in tutti gli studi analizzati (43, 14). Anche il rischio di discinesia tardiva era significativamente minore con l’olanzapina rispetto all’aloperidolo (44, 45). Nonostante la sua somiglianza strutturale e farmacologica con la clozapina, non è stato riportato con olanzapina alcun effetto rilevante di tipo anticolinergico o cardiovascolare (48). Il rischio di indurre alterazioni Rivista di psichiatria, 2001, 36, 4 200 Efficacia e tollerabilità dell’Olanzapina della crasi ematica e in particolare agranulocitosi, è risultato sovrapponibile a quello di altri AP, delineando un profilo molto più sicuro dell’olanzapina rispetto alla clozapina (48, 50). Come la maggior parte dei farmaci AP, il trattamento con olanzapina può indurre un aumento di peso in un considerevole numero di pazienti (49), anche se ciò non sembra aver influito sul tasso complessivo di dropout (12). Per la sua maneggevolezza, l’impiego dell’olanzapina è stato di recente proposto come strategia di prima scelta nei pazienti al primo episodio psicotico (55). 14 15 16 BIBLIOGRAFIA 1 APA. American Psychiatric Association. Practice guideline for the treatment of patients with schizophrenia. American Journal of Psychiatry, 1997, 154 (4), 1-63 2 Hegarty JD, Baldessarini RJ, Tohen M, Waternaux C, Oepen G. 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