UNIVERSITÀ degli STUDI di CASSINO Facoltà di Ingegneria Tesi di Dottorato in Ingegneria Meccanica XX Ciclo ANALISI DEL DANNO DA IMPATTO AD ALTA VELOCITÀ SU STRUTTURE COMPOSITE IN ALLUMINA Tutor Prof. Nicola BONORA Dottorando Cap. Ferdinando DOLCE
Co‐Tutor T.Col. Manuele BERNABEI Coordinatore del Dottorato Prof. Domenico FALCONE 2
A mia moglie Anna, luce splendente nei momenti più scuri di questo cammino. 3
Roma, ottobre 2007 RINGRAZIAMENTI Questa tesi è il risultato dell’acquisizione di competenze scientifiche maturate nel triennio 2004‐2007 che hanno elevato il livello professionale del sottoscritto e, conseguentemente, della Forza Armata ed in particolare del Centro Sperimentale Volo di Pratica di Mare. Il mio ringraziamento più sentito non può che andare ai miei superiori che hanno sempre creduto in tale attività consentendomi di essere impegnato contemporaneamente su due fronti, quello lavorativo e quello universitario. In particolare, attraverso la guida e la supervisione del T.Col. Manuele Bernabei, Capo del Gruppo Materiali Strutturali ed efficientissimo manager di risorse umane, questo lavoro è riuscito a giungere al termine ripagandoci con risultati incoraggianti ed insperati. Nel suo complesso l’esperienza del dottorato si è rilevata un momento di crescita umana e professionale, un lungo percorso nel mondo della ricerca universitaria di interesse militare che ha arricchito il mio bagaglio di conoscenze teoriche, tecniche e gestionali. Il gruppo di Progettazione Meccanica e Costruzione di Macchine del Dipartimento di Meccanica, Strutture, Ambiente e Territorio della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Cassino ha sicuramente permesso che ciò avvenisse nella maniera più proficua possibile. Vorrei rivolgere, infine, una particolare menzione al Prof. Nicola Bonora, maestro di teoria ingegneristica e nel contempo di praticità e scaltrezza. Anche a lui e al suo gruppo va un sincero ringraziamento. Cap. GArn Ferdinando Dolce 4
ANALISI DEL DANNO DA IMPATTO AD ALTA VELOCITÀ SU STRUTTURE COMPOSITE IN ALLUMINA INTRODUZIONE……………………………………...………………. pag. 7 Capitolo I LA BALISTICA TERMINALE 1.1 Definizioni e fenomeni connessi………………..……..…………... ,, 10 1.2 Cenni sulla fisica degli impatti…………………………………….. ,, 16 1.3 Interazione proiettile‐corazzatura………………………………….. ,, 20 1.4 Modelli analitici semplificati………………………………………. ,, 28 1.5 Limite balistico e V50…………………..…………………..………... ,, 47 Capitolo II LE CERAMICHE IN ALLUMINA COME PROTEZIONE BALISTICA 2.1 I materiali ceramici da protezione balistica ………...……………. ,, 57 2.2 Processo di lavorazione dell’allumina ……………………………. ,, 59 2.3 Procedure di testing sull’allumina…………………………………. ,, 63 2.4 Le proprietà dei ceramici che influenzano le prestazioni balistiche……………………………………………………………..... ,, 2.5 Morfologia delle rotture da impatto balistico nei tiles di allumina…………………….................................................................. ,, 5
65 67 Capitolo III IL FLYER PLATE IMPACT TEST SULL’ALLUMINA 3.1 Stato di deformazione uniassiale…...........................……………… pag. 72 3.2 Il modello di Johnson‐Holmquist 2 per i materiali ceramici…… ,, 78 3.3 Simulazione del FPIT sull’Allumina AD99.5………...…………... ,, 84 Capitolo IV IL DEPTH OF PENETRATION TEST SULL’ALLUMINA 4.1 Fenomenologia dell’impatto balistico sui materiali ceramici...... ,, 90 4.2 Configurazione del DOPT……….…………………………………. ,, 92 4.3 Modello FEM del DOPT…………………………………………….. ,, 94 4.4 Risultati numerici del DOPT……………………………………….. ,, 100 Capitolo V ANALISI PARAMETRICA FEM 3D SU FORMA E DIMENSIONI DEI TILES CERAMICI IN ALLUMINA 5.1 Parametri dell’analisi FEM.……………………...………………….. ,, 112 5.2 Analisi FEM 3D al variare della forma dei tiles ceramici………. ,, 116 5.3 Analisi FEM 3D sulle dimensioni dei tiles ceramici…………….. ,, 130 CONCLUSIONI…….………………………………..….……………… ,, 6
134 INTRODUZIONE Le armature in ceramica sono principalmente utilizzate come protezione anti‐balistica sia del personale, sia dei mezzi terrestri e delle parti più critiche di aeroplani ed elicotteri di impiego militare e di polizia. I requisiti principali richiesti alle armature in ceramica consistono nell’essere più leggere delle equivalenti protezioni metalliche e, soprattutto, nell’impedire la penetrazione dei proiettili perforanti di piccolo calibro e delle schegge provocate dalle esplosioni delle teste di guerra. La maggior parte di tali armature è costituita da piastrelle in ceramica (tile) con un sostrato (backing) di materiale metallico, generalmente alluminio o acciaio. Attualmente lo sviluppo delle armature in ceramica è ancora in corso e tale tesi ha cercato proprio di sviluppare un modello di simulazione agli elementi finiti (FEM) che fosse di ausilio alla progettazione delle armature ceramiche in allumina. In particolare, attraverso l’analisi del danneggiamento da impatto ad alta velocità che subisce tale tipo di armatura, si è studiata l’influenza della forma e delle dimensioni dei tiles ceramici sulla resistenza anti‐balistica della struttura. L’attività è stata effettuata prevalentemente per via numerica con approccio lagrangiano. In una prima fase si sono convalidati i risultati del codice FEM a livello di simulazione del comportamento dinamico ad alti strain rate del “materiale ceramico”, in questo caso l’allumina AD99.5, attraverso lo sviluppo di un modello agli elementi finiti del Flyer Plate Impact Test (FPIT) a tre diverse velocità d’impatto. 7
Successivamente si è testata la validità del modello a livello di simulazione del fenomeno di “penetrazione” di un proiettile calibro 7.62 NATO all’interno di un tile di allumina in tre diverse configurazioni di vincolo, realizzando tre modelli di un Depth Of Penetration Test (DOPT). Sia nel caso del FPIT, sia in quello del DOPT, la convalida dei dati numerici è avvenuta attraverso il confronto dei risultati del modello coi dati sperimentali. Infine, si è proceduto all’attività di tipo progettuale. Lo studio è stato realizzato attraverso un’analisi parametrica FEM finalizzata a valutare la capacità anti‐balistica di un’armatura composita al variare del punto di impatto del penetratore, della forma e delle dimensioni dei tiles in allumina con backing in acciaio. 8
CAPITOLO I LA BALISTICA TERMINALE 9
1. LA BALISTICA TERMINALE 1.1 Definizioni e fenomeni connessi La scienza balistica si può dividere in tre aree: ‐ balistica interna, riguardante i fenomeni che intervengono all’interno della camera di scoppio e, successivamente, nella canna di un’arma da fuoco; ‐ balistica esterna, riguardante i fenomeni che intervengono durante la fase di volo del proiettile; ‐ balistica terminale, riguardante i fenomeni che intervengono nel proiettile e nel bersaglio a partire dall’istante del loro impatto ed, in particolare, il moto e la deformazione dei due corpi ed i relativi meccanismi di penetrazione e perforazione. Mentre la balistica interna si può considerare un problema di termodinamica e la balistica esterna un problema di aerodinamica e meccanica razionale, la balistica terminale è un campo che coinvolge numerosi fenomeni interconnessi tra loro. Attualmente gli studi in merito possono essere distinti in tre filoni diversi: ‐ definizione di formule empiriche basate su numerosi esperimenti; ‐ sviluppo di modelli analitici relativamente semplici impostati sulle equazioni di moto e sul comportamento del materiale; ‐ soluzioni numeriche basate sulla modellizzazione del continuo spaziale bidimensionale/tridimensionale. 10
La balistica terminale, infine, si può considerare un particolare ambito della fisica degli impatti ricadendo nell’ambito degli impatti ad alta velocità tra corpi solidi deformabili. 1.1.1
Proiettili Qualsiasi oggetto suscettibile di essere lanciato può divenire un proiettile. I proiettili di tipo militare sono generalmente dotati di una forma cilindrica allungata, con punta ogivale o semisferica. Nell’ambito di questa trattazione, salvo diversa specificazione, si intenderà per proiettile un qualsiasi corpo impattante dotato di una velocità propria. Alcune tipiche configurazioni di proiettile sono riportate in Figura 1. Figura 1 ‐ Possibili tipologie e configurazioni di proiettili La propulsione dei proiettili per armi da fuoco è garantita dalla polvere da sparo contenuta nel bossolo. L’insieme bossolo più proiettile prende il nome di cartuccia. I proiettili si distinguono tra proiettili ad energia cinetica (proiettili che esercitano la loro azione sul bersaglio grazie alla propria massa e velocità di impatto) e proiettili ad 11
energia chimica, ossia proiettili contenenti esplosivo. Nell’ambito di tale tesi saranno analizzati solo quelli di primo tipo. Un’ulteriore classificazione si basa sulle caratteristiche statiche e dinamiche del proiettile. Delle qualità statiche fanno parte: ‐ il calibro, corrispondente al diametro del proiettile; ‐ la lunghezza, pari alla distanza tra il vertice e la base del proiettile (nel caso delle schegge è la massima dimensione); ‐ la forma, regolare o irregolare. Per quanto riguarda i proiettili di forma regolare si considera soprattutto la forma della punta (ogivale, conica, piatta, ecc.). Tra le qualità dinamiche si annoverano: ‐ il movimento e la traiettoria. Oltre al movimento di traslazione verso il bersaglio si hanno moti di rotazione intorno all’asse longitudinale finalizzati alla stabilizzazione girostatica; ‐ la velocità. È importante distinguere la velocità iniziale alla quale il proiettile lascia la canna dalla velocità di impatto alla quale il proiettile raggiunge il bersaglio. A queste va aggiunta l’eventuale velocità residua posseduta dal proiettile a valle del bersaglio in caso di perforazione completa; ‐ la superficie di presentazione, la proiezione dell’ingombro del proiettile sul bersaglio; ‐ la quantità di moto; ‐ l’energia di impatto, l’energia cinetica associata generalmente al moto di traslazione; ‐ l’impulso, dato dalla quantità di moto diviso la durata temporale del fenomeno stesso; 12
‐ la densità energetica (pressione d’urto), il rapporto tra l’energia del proiettile e la sua superficie di presentazione. Esiste infine una distinzione tra proiettili di piccolo e grosso calibro; il confine tra le due categorie si colloca intorno ai 20 mm. È possibile notare che esiste una serie di caratteristiche distintive comune a tutti i proiettili: ‐ elevato rapporto tra energia cinetica e sezione trasversale; ‐ parte anteriore appuntita con spigoli di 20‐30°, al fine di ottenere una buona stabilità aerodinamica ed un’alta capacità di penetrazione attraverso la creazione di elevate pressioni locali; ‐ i materiali utilizzati per la fabbricazione sono generalmente piombo e acciaio e, in alcuni casi, entrambi (alcuni proiettili con potere di penetrazione molto elevato hanno la punta in tungsteno); ‐ i proiettili sono generalmente ricoperti con una camicia in lega di rame per preservare la canna dell’arma dall’usura. Un particolare tipo di proiettile ad energia cinetica è la scheggia. Si tratta di un corpo dalla geometria irregolare prodotto dall’esplosione di una bomba, testa di guerra, testata di missile, granata, mina o altro dispositivo. Della scheggia esiste anche un modello prodotto industrialmente per l’effettuazione di test balistici. 13
1.1.2
Bersagli In maniera del tutto analoga alla definizione di proiettile, un qualsiasi oggetto immobile o in movimento può divenire un bersaglio nel momento in cui viene sottoposto all’impatto di un proiettile. I bersagli sono classificati nelle categorie soft target e hard target. Nella famiglia degli hard target rientrano i bersagli oggetto della seguente tesi. In particolare, si farà riferimento a quei bersagli concepiti per sopportare l’impatto dei proiettili ed arrestarne il moto proteggendo quanto posto al loro riparo, ovvero, le corazzature o, più tecnicamente, le protezioni balistiche. Un’ulteriore classificazione dei bersagli è la seguente [14]: ‐ semi‐infiniti, se non vi è alcuna influenza da parte del contorno sul processo di penetrazione; ‐ spessi, se l’influenza del contorno si avverte solo dopo che il proiettile ha compiuto un percorso di una certa entità all’interno dell’obiettivo; ‐ intermedi, se la superficie posteriore esercita un’influenza considerevole sul processo di deformazione durante quasi tutta la penetrazione; ‐ sottili, se sono nulli i gradienti della deformazione e dello sforzo lungo lo spessore. Anche per i bersagli si ha una serie di caratteristiche distintive: ‐ densità areale, pari al prodotto della densità per lo spessore; ‐ durezza e compattezza; ‐ materiale; ‐ vincoli. 14
Il parametro fondamentale per la valutazione di una corazzatura è la densità resistente o, più comunemente, densità superficiale. Essa rappresenta il peso per unità di superficie che la corazza deve possedere per ottenere un dato livello di protezione balistica. Un altro parametro di grande importanza è il così detto coefficiente di protezione, definito come l’energia cinetica del proiettile diviso la sezione del proiettile per lo spessore della corazzatura, espressa in J/mm3. 15
1.2 Cenni sulla fisica degli impatti Il comportamento meccanico dei materiali è correlato alla velocità con la quale le forze e gli spostamenti sono applicati. A parità di forze e spostamenti applicati, infatti, se questi sono applicati repentinamente gli sforzi e le deformazioni che si generano sul corpo superano quelli che sarebbero generati se le stesse forze fossero state applicate gradualmente. La fisica degli impatti deve considerare tale differenza nello studio fenomenologico e progettuale dei sistemi impiegati in campo balistico. Se il carico applicato ad un corpo è da considerarsi o meno un impatto, dipende dal tempo d’applicazione del carico stesso e dal tempo d’innalzamento durante il quale si passa da una sollecitazione nulla alla sollecitazione massima (rise time). Quest’intervallo va comparato con il più lungo periodo naturale dell’elemento sollecitato e, se risulta che il rise time è minore della metà del più lungo periodo naturale siamo in presenza di un impatto. Se invece si ha un rise time maggiore di tre volte il più lungo periodo naturale, la sollecitazione può essere considerata quasi‐statica. In definitiva, quindi, sottoporre ad impatto un materiale o più generalmente una struttura significa applicarvi un intenso carico impulsivo sotto l’azione del quale il materiale può presentare una risposta piuttosto complessa. Gli impatti possono essere classificati secondo angolo d’impatto, caratteristiche geometriche dell’obbiettivo e del proiettile, materiale del quale essi sono fatti, velocità di impatto. Quest’ultimo approccio è rappresentato in Figura 2, dove è possibile vedere una generica suddivisione dei processi d’impatto in funzione della velocità. Nel regime delle basse velocità (<250 m/s) la maggior parte dei problemi cade nell’ambito della dinamica strutturale. I danneggiamenti e le penetrazioni, sia pure di carattere localizzato, sono associate alla deformazione complessiva della struttura. Tipicamente, i tempi di sollecitazione e risposta sono dell’ordine dei millisecondi. 16
Figura 2 Al crescere della velocità d’impatto (0.5‐2 Km/s), la risposta della struttura diviene secondaria rispetto a quella del materiale ed il fenomeno si localizza all’interno di una zona di diametro pari a 2‐3 volte quello del proiettile intorno al punto di impatto stesso. In quest’ambito si richiede una descrizione per onde e diventano importanti fattori quali la geometria dei corpi, la natura dei materiali, le velocità di deformazione, le deformazioni plastiche locali e le rotture. In questo caso, i tempi sono dell’ordine dei microsecondi. Ulteriori incrementi della velocità d’impatto (2‐3 Km/s) provocano degli stress che possono oltrepassare il carico di rottura del materiale di un ordine di grandezza. A tutti gli effetti, negli stadi iniziali di un simile impatto, i solidi si comportano alla maniera dei fluidi. Alle ipervelocità (>12 Km/s) si ha la conversione esplosiva dell’energia cinetica in calore con la possibile vaporizzazione del materiale del proiettile e dell’obbiettivo con l’aggiunta dell’eventuale combustione di quanto vaporizzato nell’atmosfera circostante. L’ambito balistico si estende nel range di velocità genericamente compreso tra i 500 e 2000 m/s. In particolare, per quanto riguarda gli impatti di proiettili di armi leggere su corazzature, ci si trova intorno agli 800‐1000 m/s. 17
Una descrizione completa dei fenomeni d’impatto richiede la contemporanea valutazione di molti differenti aspetti: propagazione delle onde d’urto elastiche e plastiche, deformazioni idrodinamiche e non, incrudimento dei metalli (work hardening), attriti ed effetti termomeccanici, avvio e propagazione di cricche ed altri tipi di rotture. In quest’ottica, un approccio analitico comporta delle difficoltà enormi, tra le quali la caratterizzazione dei materiali ad alti strain rates; quest’ultimo è un aspetto che ritornerà nel corso dei prossimi capitoli [§3] a causa della sua centralità nella modellizzazione dei materiali coinvolti in impatti o eventi balistici. Anche in questo caso, si nota lo stretto legame tra la balistica terminale e la fisica degli impatti, in particolare come la prima attinga dalla seconda tutta una serie di conoscenze, quali caratterizzazione dei materiali ad alte velocità di deformazione, modelli matematici atti a descrivere tale comportamento, ecc. A parte la classificazione in base alle velocità d’impatto, la balistica terminale può essere sommariamente divisa in tre regimi. Per condizioni di carico che producono stress sotto il punto di snervamento i materiali hanno comportamento elastico e, nel caso dei metalli, risulta applicabile la legge di Hooke. Un buon numero di eleganti soluzioni matematiche sono state ottenute per varie condizioni di carico in questo regime. La maggior parte di queste sono valide nel caso di corpi semi‐infiniti. I problemi d’impatto affrontati in pratica, però, coinvolgono generalmente proiettili e bersagli con confini limitati, i quali esercitano un’influenza considerevole sull’andamento dei fenomeni. All’aumentare dell’intensità della sollecitazione applicata il materiale entra in campo plastico, si hanno grandi deformazioni, riscaldamenti e rotture dei corpi in collisione. Successivi aumenti nell’intensità del carico generano pressioni che eccedono di molti ordini di grandezza la resistenza meccanica dei materiali coinvolti che, a loro volta, andranno ad assumere il cosiddetto comportamento idrodinamico. Per impulsi di bassa intensità sia la geometria della struttura sia la natura del materiale giocano un ruolo importante nella risposta alle forze esterne. Ma all’aumentare dell’intensità del carico, la risposta tende a divenire molto localizzata e ad essere 18
influenzata più dalla costituzione del materiale nella vicinanza del punto d’impatto che dalla geometria dell’intera struttura. In questo campo di sollecitazione, la descrizione del fenomeno va resa in termini di onde d’urto elastiche e plastiche. 19
1.3 Interazione proiettile‐corazzatura È opportuno definire cosa si intende per penetrazione e perforazione di un proiettile nei confronti di un bersaglio. Definiamo con: ‐ penetrazione, l’entrata del proiettile nel bersaglio senza il completo attraversamento di quest’ultimo. In questo caso si ha, generalmente, l’incorporamento del proiettile nel bersaglio e la formazione di un cratere. Se il proiettile rimbalza sulla superficie su cui ha impattato e ne riemerge secondo una qualche traiettoria deviata, siamo in presenza del così detto rimbalzo; ‐ perforazione, la completa apertura di un foro nel bersaglio da parte del proiettile. Entrambi i processi hanno durate misurabili in microsecondi ed, al loro termine, sia il proiettile sia il bersaglio risultano severamente deformati. Gli impatti dei proiettili di forma regolare, inoltre, si distinguono in: ‐ impatti normali, in cui lo stato di tensione è bidimensionale a simmetria radiale; ‐ impatti obliqui, in cui lo stress diventa tridimensionale. In queste condizioni possono avvenire il rimbalzo o la rottura del proiettile. L’interazione proiettile‐corazzatura è un fenomeno estremamente articolato a causa della varietà dei modi in cui un bersaglio può resistere all’impatto di un proiettile, ovvero alla varietà dei fenomeni che possono avvenire durante l’impatto al variare della natura dei corpi coinvolti, delle velocità e quindi delle energie in gioco. In generale, un impatto balistico libera delle forti onde di compressione che si propagano in entrambi i corpi. Tali onde vengono riflesse in corrispondenza delle superfici libere 20
sotto forma di onde di tensione che, nell’opportuna combinazione di durata ed intensità, possono provocare la frattura in materiali sufficientemente fragili, quali ad esempio i materiali ceramici. Il risultato di questa complessa fenomenologia è che non esiste una teoria unitaria né un modello matematico generale dell’impatto, ma solo una quantità di teorie, o di modelli, ciascuno valido in un certo campo piuttosto ristretto di condizioni e ipotesi. I materiali soggetti ad impatto possono rompersi in diversi modi. In Figura 3 sono riportate alcune delle modalità più importanti nel caso di spessore sottile o intermedio del bersaglio. Benché uno di questi modi può essere dominante in un processo di perforazione, in genere, ne sono presenti più di uno contemporaneamente. Figura 3 ‐ Possibili modalità di interazione proiettile‐bersaglio 21
1.3.1 Brittle Fracture È il risultato di un’onda di tensione iniziale che eccede la resistenza ultima del materiale, specie se questo è caratterizzato da bassa densità e resistenza. 1.3.2 Bulging Con questo termine si fa riferimento alla comparsa di un ingrossamento (bulge) sulla parete opposta a quella dell’impatto su un bersaglio di spessore sottile o intermedio (Figura 4). Figura 4 ‐ Esempi di bulging 1.3.3 Craterizzazione Con questo termine si fa riferimento alla creazione di un cratere nel bersaglio per opera del proiettile incidente. Per una descrizione semplice di questo fenomeno si può pensare ad una situazione nella quale la punta del proiettile viene continuamente deformata smussandosi durante l’impatto a causa degli elevati stress generati, finché è consumato 22
interamente. La componente laterale della quantità di moto spinge il materiale del bersaglio formando il cratere. In Figura 5 è possibile vedere la craterizzazione nel caso di una stessa coppia proiettile‐bersaglio a velocità di impatto crescenti da sinistra a destra; notare la penetrazione senza perforazione completa. Interessante anche il bulging presente nell’ultima fotografia. Figura 5 ‐ Esempi di craterizzazione 1.3.4 Petaling Il petaling (Figura 6) si verifica in presenza di alti stress in direzione radiale e circonferenziale in seguito al passaggio dell’onda di tensione iniziale. Il fenomeno è legato all’intenso stato di tensione che si verifica sulla punta del proiettile. In questa zona si può giungere al superamento della resistenza a tensione del materiale del bersaglio e alla conseguente nascita di una fessura a forma di stella che si sviluppa intorno alla stessa punta del proiettile. Interviene così una rottura “a strappo” e l’insorgere di cricche. Questo tipo di evento risulta particolarmente legato a bersagli il cui materiale sia duttile. Il petaling è molto frequente in piatti sottili colpiti da 23
pallottole ogivali o coniche a velocità relativamente basse o da proiettile a punta piatta in prossimità del limite balistico (vedi §1.5). Figura 6 ‐ Esempi di petaling 1.3.5 Plugging Questo modello di perforazione è particolarmente importante in ambito balistico, poiché molto spesso la perforazione di una corazza ad opera di un proiettile avviene proprio tramite questa modalità. Si tratta quindi di un fenomeno ampiamente studiato sia analiticamente sia sperimentalmente. Il plugging si verifica quando un proiettile con una punta piatta o emisferica impatta normalmente un bersaglio di spessore finito ad una velocità prossima a quella del limite balistico. In queste condizioni la sollecitazione a taglio che si genera porta alla separazione di un “tappo” (o spina) di materiale cilindrico dal diametro prossimo a quello del proiettile incidente. Tale separazione può avvenire sia in maniera convenzionale, mediante la formazione di vuoti che si accrescono a causa del taglio, sia mediante un diverso meccanismo noto come adiabatic shear. Il tappo è costretto dal moto del proiettile a muoversi nella direzione di penetrazione fino ad uscire dalla corazza precedendo il proiettile stesso. 24
1.3.6 Radial Cracking Si presenta di norma in materiali come le ceramiche, nei quali la resistenza alla tensione è notevolmente più bassa di quella a compressione ed è caratterizzato dalla formazione di cricche che assumono un caratteristico andamento a raggiera. 1.3.7 Spalling Se un proiettile è sparato contro la superficie di una piastra, uno o più frammenti possono essere proiettati dalla superficie libera opposta, come mostrato in Figura 7. Figura 7 – Spalling Da un punto di vista qualitativo, il processo può essere spiegato sulla base delle onde di tensione e della loro propagazione, riflessione ed interazione. In generale, comunque, lo spalling è comunemente osservabile in presenza di carichi impulsivi molto intensi soprattutto quando si verificano le seguenti condizioni: ‐ il materiale del bersaglio ha una resistenza a trazione inferiore di quella a compressione; ‐ la penetrazione non è molto profonda o è assente del tutto (splash); 25
‐ lo spessore del materiale è sufficientemente grande da impedire la perforazione; ‐ il materiale ha un comportamento rigido, con basso allungamento percentuale a rottura. Per comprendere il meccanismo che è alla base dello spalling, si consideri l’impulso di compressione che viaggia attraverso una piastra a causa di un impatto avvenuto sulla faccia sinistra (Figura 8). In corrispondenza della faccia opposta, l’onda di compressione si riflette come onda di tensione; l’interazione tra queste due onde è mostrata in Figura 9. Ad una distanza δ dalla faccia destra è raggiunta e superata la tensione massima a trazione del materiale, innescandosi la rottura. A questo punto una scaglia del materiale si stacca dalla superficie destra, quella opposta all’impatto. Figura 8 ‐ Onda di compressione Figura 9 ‐ Riflessione dellʹonda di compressione 26
Si è osservato che il diametro dello spall è pari a 2‐3 volte lo spessore della piastra, mentre il suo spessore vale 1/10‐1/2. Tale valore può essere stimato tramite la seguente formula: ts =
σ cr λ
⋅ σ0 2
dove σcr è lo sforzo a rottura (normale), σ0 è il massimo sforzo raggiunto dall’onda di compressione e λ è la lunghezza dell’impulso. La velocità alla quale lo spall si stacca dalla superficie è: vs =
2σ 0 − σ cr
ρ ⋅c
ove ρ è la densità del materiale, c la velocità del suono nel materiale, pari a (E/ρ)1/2. Questi calcoli sono solo indicativi in quanto non sono ben definite ampiezza e forma dell’onda compressiva per date condizioni di impatto. 27
1.4 Modelli analitici semplificati I modelli analitici semplificati sono sufficientemente realistici da consentire una buona rappresentazione dei fenomeni. In questo paragrafo saranno ripresi alcuni modelli elementari dandone una semplice rappresentazione matematica. 1.4.1 Penetrazione di un proiettile indeformabile in un materiale solido, isotropo, plastico. Per materiale “plastico” s’intende un materiale ad alto allungamento percentuale tale, cioè, che la maggior parte del lavoro di deformazione avviene in campo plastico ed il materiale conserva la sua continuità senza sgretolarsi. Lo schema di questo tipo di penetrazione è mostrato in Figura 10: Figura 10 ‐ Penetrazione di un proiettile indeformabile in un materiale plastico In prima approssimazione le forze sono quattro: 1) Sulla superficie dell’ogiva (che è considerata la sola superficie attiva agli effetti della penetrazione) si genera una σ di compressione al limite plastico. Le σ 28
agiscono normalmente alla superficie conica dell’ogiva. La componente assiale della forza totale vale: Fa1 = K1 ⋅ σ ⋅ S ove S è la sezione maestra del proiettile e K1 una costante di taratura. 2) La forza normale totale agente sull’ogiva si ottiene integrando la dFn = 2π r ⋅ ds ⋅ σ = π r
dr
σ sin θ
da cui si ricava: Fn = σ
S
sin θ
Moltiplicandola per il coefficiente di attrito f esistente tra ogiva e materiale del bersaglio si ha la forza totale di attrito che è parallela alla superficie dell’ogiva. La componente assiale di tale forza vale dunque: dFa 2 = K1 ⋅ f ⋅ σ
S
S
cos θ = K1 ⋅ f ⋅ σ
sin θ
tan θ
3) Consideriamo ora il moto relativo del materiale del bersaglio rispetto all’ogiva (Figura 11). 29
Figura 11 In un istante generico si ha che il materiale del bersaglio fluisce contro l’ogiva con la velocità V, e ne è deviato dell’angolo θ. Il materiale spostato nel tempo dt vale: dm = K 2 ⋅ ρ ⋅ S ⋅ Vdt ovvero, tale valore è assunto proporzionale attraverso la costante K2, al tronco elementare di materiale avente lunghezza Vdt e sezione pari a quella del proiettile. La variazione di quantità di moto assiale nell’unità di tempo vale dunque: dFa 3 =
dm
(V − V cos θ ) = K 2 ⋅ ρ ⋅ S ⋅ V 2 (1 − cos θ ) dt
4) La componente di V normale alla superficie dell’ogiva vale: Vn = V ⋅ senθ La variazione di quantità di moto nell’unità di tempo in direzione normale vale dunque: 30
Fn = K 2 ⋅ ρ ⋅ S ⋅ V 2 senθ Moltiplicando tale forza normale per il coefficiente di attrito f si ottiene la corrispondente forza di attrito. Prendendo la componente assiale di quest’ultima si ottiene: Fa 4 = K 2 ⋅ ρ ⋅ S ⋅ f ⋅ V 2 senθ cos θ =
1
K 2 ⋅ ρ ⋅ S ⋅ f ⋅ V 2 sen2θ 2
La forza assiale totale, in pratica la resistenza totale all’avanzamento, è data dalla somma delle quattro forze assiali Fa1, Fa2, Fa3, Fa4. R = Fa = K1 ⋅ σ ⋅ S ⋅ (1 +
f
1
) + K 2 ⋅ ρ ⋅ S ⋅ f ⋅ V 2 (1 − cos θ + f ⋅ sen 2θ ) tgθ
2
Ipotizzando che σ e f siano costanti, la resistenza totale è del tipo cosiddetto di Poncelet: R = A + B ⋅V 2 Costituita, quindi, da un termine costante e da uno quadratico con la velocità V del proiettile. L’equazione del moto del proiettile è dunque: dV
A + B ⋅V 2
=−
= −C − D ⋅ V 2 dt
m
ove m è la massa del proiettile e C e D sono due costanti che la inglobano. 31
Può essere più conveniente avere la V in funzione della profondità di penetrazione nel bersaglio X, anziché del tempo. Osservando che: dt =
dX
V
si ottiene un’equazione a variabili separabili: V ⋅ dV
= − dX C + D ⋅V 3
la cui soluzione è la nota: V=
C
+ V12
C
D
− 2DX
e
D
da cui si ottiene la velocità V del proiettile in funzione della penetrazione X. Ponendo nell’ultima relazione V=0, si ottiene la profondità massima di penetrazione: X max =
1
D
ln(1 − V12 ) C
2D
Dato che i valori, costanti, di C e D sono noti, il problema è completamente risolto. È interessante notare come il termine V2 derivi dalla variazione della quantità di moto relativa al flusso di materiale del bersaglio che, nel moto relativo, è investito dal proiettile: si tratta, in sostanza, di una grandezza idrodinamica tanto maggiore quanto più è alta la velocità. Il fenomeno si presta ad essere interpretato sotto una luce 32
idrodinamica: il materiale del bersaglio si comporta sempre meno da “solido” e sempre più da “liquido” quanto più alta è la velocità del proiettile che lo attraversa. 1.4.2 Impatto “morbido” di un proiettile molto deformabile su materiale indeformabile (splash) In queste condizioni, il proiettile può essere assimilato ad un corpo liquido che impatta su di una superficie rigida. Lo schema è quello indicato in Figura 12. Figura 12 ‐ Schematizzazione dello splash Il tempo di completo schiacciamento è di: +t =
l
V1
Trascurando la componente assiale della quantità di moto dei frammenti (il che equivale a dire che i frammenti assumono una direzione quasi parallela alla superficie impattata), la variazione della quantità di moto di un proiettile, vale: ΔQM = m ⋅ V1 33
La variazione della quantità di moto nell’unità di tempo, ossia la forza scambiata tra proiettile e superficie vale quindi: ΔQM m ⋅ V12
F=
=
l
+t
Poniamo che la superficie media del contatto S tra proiettile e bersaglio sia proporzionale alla sezione S del proiettile: S s = K1S La pressione media esercitata dal proiettile sulla superficie di contatto Ss vale dunque: ΔP =
m ⋅V12
F
= K2
SS
l⋅S
Essendo K2 la solita costante sperimentale. Questa pressione deve essere confrontata con la σmax a compressione del materiale della corazza. Se ΔP è minore di σmax non si ha deformazione della corazza (splash puro). Se invece ΔP supera σmax, si ha una craterizzazione della superficie impattata, come indicato nella Figura 13. In determinate condizioni, dal fenomeno di splash può originarsi un fenomeno di craterizzazione posteriore nella corazza (vedi §1.4.3). 34
Figura 13 35
1.4.3 Craterizzazione posteriore (spalling) in materiali di spessore “intermedio”. Per analizzare il caso in titolo, consideriamo il caso di penetrazione nulla (splash del proiettile contro il bersaglio). I fenomeni che si osservano sono schematizzati nella Figura 14: Figura 14 ‐ Schematizzazione dello spalling Sulla faccia anteriore del bersaglio non si ha penetrazione alcuna. Al contrario, sulla faccia posteriore si produce un vasto cratere per il distacco di uno o più frammenti di materiale. Si tratta di un classico fenomeno di onde di pressione. 36
Si consideri inizialmente lo splash di un proiettile contro un bersaglio di spessore infinito, avente un dato limite di rottura a trazione (negativo) σr, come indicato in Figura 15. Figura 15 Nel punto di impatto si genera un’onda di compressione. Partendo da quel valore di ΔP, le pressioni d’onda si propagano in modo emisferico nel bersaglio, riducendo la propria intensità in modo inversamente proporzionale al raggio. Se il ΔP iniziale è (in modulo) σr, esiste un “raggio critico” rcr in cui la pressione d’onda raggiunge, in modulo, il valore σr. Trattandosi di onde di compressione, non si ha però rottura del materiale. Si immagini ora che lo spessore del materiale non sia infinito, ma sia minore di rcr, come indicato in Figura 16. 37
Figura 16 In queste condizioni le onde di compressione si riflettono sulla faccia posteriore del bersaglio, originando le corrispondenti onde di depressione, di segno e intensità opposte. Finché l’impatto non è completato, nel punto di impatto continuano a generarsi onde di compressione che si sovrappongono alle onde di depressione riflesse. In questa fase quindi, il materiale è sollecitato globalmente a compressione e non si ha rottura. È solo al cessare dell’impatto (cioè alla fine dell’emissione delle onde di compressione nel punto di impatto), che il materiale rimane soggetto a sole onde di tensione (riflessione, sulla faccia posteriore, dell’ultima porzione di onde di compressione). Si ha, quindi, la rottura lungo la superficie concava ABC, luogo dei punti in cui il ΔP di onda (negativo) è uguale a –σr. Da semplici considerazioni geometriche si può stabilire che la profondità del cratere vale: xc = rcr − s 38
e il raggio (semidiametro) del cratere vale: yc = rcr ⋅ sin α essendo: cos α =
s
rcr
Se ammettiamo, nell’esempio considerato di puro splash, che la pressione ΔP d’onda nel punto di impatto sia: ΔP =
m ⋅V12
F
= K2
SS
l⋅S
e che il raggio iniziale dell’onda emisferica ad essa associata sia proporzionale al raggio (semicalibro) del proiettile K1r, si ha per la legge di propagazione delle onde sferiche: rcr
ΔP
=
K1r σ r
da cui: rcr = K1r
m ⋅ V12
π ⋅ l ⋅ r ⋅σ r
con K1 costante di taratura sperimentale. Nel caso in cui si ottiene profondità del cratere negativa, si ha uno spessore s del materiale è maggiore di rcr, cioè non esistono punti del materiale in cui l’onda di 39
depressione possa raggiungere il valore σr: la craterizzazione in questo caso è impossibile. La soluzione ha dunque significato solo per: s ≤ rcr il che costituisce il limite superiore di spessore per il quale il fenomeno può verificarsi. La teoria qui svolta è solo per un caso elementare. L’esperienza talvolta mostra che il cratere tende ad essere più profondo rispetto alla calotta sferica fornita da questo modello, tendendo piuttosto ad una forma imbutiforme. La ragione di tale differenza è ovviamente legata al fatto che il materiale più vicino al punto di impatto, essendo stato percorso da violente onde di compressione, si è infragilito (modificazioni cristalline, attivazione di microcricche, dislocazione di piani di clivaggio); conseguentemente avverrà una rottura per valori di tensione anche inferiori alla σr iniziale. In generale si può dire che la possibilità che si verifichi uno spall è tanto più grande quanto più breve è il tempo di impatto, ovvero quanto meno profonda è la penetrazione o la lunghezza del proiettile: brevi tempi di impatto, infatti, significano forti intensità delle onde di pressione generate a parità di altre condizioni. I materiali del bersaglio che più si prestano al verificarsi dello spall sono, come già detto, quelli altamente rigidi e con un carico di rottura a compressione più alto di quello a trazione. L’alto limite di rottura a compressione impedisce o limita la penetrazione e, dunque, il tempo di impatto; il basso limite a trazione favorisce la rottura una volta instaurato il regime di onde di depressione. 40
1.4.4 Craterizzazione anteriore di bersagli spessi con proiettili tozzi (blunt bodies). Per ipervelocità si intendono velocità di impatto molto elevate (superiori ai 5 m/s nel caso di metalli quali acciaio, alluminio, ecc.), tali da dare origine alla completa polverizzazione o fusione del proiettile e del materiale del bersaglio nelle immediate vicinanze del punto di impatto. Essendo le pressioni cosi generate molto più elevate rispetto alla resistenza propria dei materiali, l’influenza di quest’ultima svanisce, ed i modelli matematici più idonei alla descrizione dei fenomeni risultano quelli puramente idrodinamici. L’impatto in condizioni di ipervelocità produce onde d’urto sia nel proiettile sia nel bersaglio, le cui pressioni di punta superano di varie volte la resistenza propria del materiale. Proiettile e bersaglio si deformano secondo le leggi della meccanica dei fluidi dotati di compressibilità ed inerzia. Una caratteristica generale dei crateri provocati in regime di ipervelocità da proiettili di forma tozza è quella di avere una profondità dell’ordine di grandezza del raggio del cratere stesso. La forma del cratere è praticamente indipendente dalla forma (perché tozza) del proiettile, ed infine il volume Vc di cratere per unita di energia cinetica Ec è circa constante per ciascuna combinazione di materiali del proiettile e del bersaglio. Si può scrivere: Vc = K1 ⋅ Ec Con K1 dipendente dai materiali. Assumendo per il cratere una forma semisferica e per il proiettile una forma sferica, la formula sopra enunciata si espande nella seguente: X c = d ⋅ 3 K 2 ⋅ ρ ⋅ V12 41
in cui d è il diametro del proiettile, ρ e V1 le sue densità e velocità di impatto e K2 la solita costante di taratura sperimentale, dipendente dal materiale di cui sono fatti proiettile e bersaglio. Studi più approfonditi mostrano una dipendenza lievemente non lineare della profondità Xc del cratere dal diametro d del proiettile. Data la forte intensità delle pressioni d’onda generate in regime di ipervelocità, può succedere che alla craterizzazione anteriore, corrisponda una craterizzazione posteriore secondo i meccanismi visti nel paragrafo precedente, oppure una perforazione, quando i due crateri si congiungono. I fenomeni sono caratterizzati in Figura 17. Figura 17 – Penetrazione con blunt body e doppia craterizzazione 1.4.5 Craterizzazione anteriore di bersagli spessi con proiettili allungati (long rods). Si tratta di una fenomenologia molto interessante sia dal punto di vista concettuale che da quello pratico, in quanto i penetratori ad energia cinetica di forma molto allungata e molto veloci sono i più efficaci proiettili anticarro. Il fenomeno si compone di tre fasi. 42
Nella prima fase la prima frazione di penetratore che viene a contatto con il bersaglio si comporta come un proiettile tozzo e produce una craterizzazione iniziale analoga, regolata dalle equazioni del paragrafo precedente. Subito dopo si stabilisce la seconda e più importante fase del fenomeno, caratterizzata da un’onda d’urto stazionaria, rispetto al fondo del cratere (il quale via si approfondisce nel materiale del bersaglio), che si instaura nel materiale del penetratore nelle immediate vicinanze del fondo del cratere (Figura 18). Figura 18 ‐ Penetrazione con long rod Il materiale del penetratore che si trova a monte dell’onda d’urto non è in alcun modo influenzato dall’impatto in quanto non può ricevere nessun segnale di ciò che sta avvenendo nella zona d’impatto. Tale materiale quindi conserva l’intera velocità V1, fino a che, traversato dall’onda d’urto, viene bruscamente ad interagire con il materiale del bersaglio, frantumando quest’ultimo e se stesso ed approfondendo perciò il cratere. Questa fase stazionaria e governata dall’equazione di Eichelberger: X c = K2 ⋅ l ⋅
ρp
ρb
43
in cui l è la lunghezza del penetratore, ρp e ρb la densità del proiettile e del bersaglio e K1 la solita costante sperimentale. Questa equazione può essere interpretata nel modo seguente. Nel campo delle ipervelocità le resistenze sono, come detto, essenzialmente di tipo fluidodinamico. Se U è la velocità di penetrazione (velocità con cui il cratere si approfondisce), la resistenza incontrata dalla punta del penetratore (interfaccia tra penetrazione e bersaglio) è del tipo: R = K 2 ⋅ ρ b ⋅ Sb ⋅ U 2 In cui Sb è la superficie maestra dell’interfaccia attraverso cui si scambiano le forze e K2 la solita costante. D’altra parte, la reazione a R esercitata attraverso Sb per opera del penetratore è pari alla variazione di quantità di moto nell’unità di tempo del materiale del penetratore che attraversa l’onda d’urto stazionaria. Ossia: R = K 3 ⋅ ρ p ⋅ S p ⋅ W12 in cui W1 è la velocità relativa del penetratore rispetto al fondo del cratere e K3 la solita costante. Uguagliando la due depressioni di R e risolvendo rispetto a U si ha: U = K1 ⋅W1 ⋅
ρp ⋅ Sp
ρ b ⋅ Sb
Avendo conglobate in K1 le costanti. Se Δt è la durata dell’impatto. La profondità di penetrazione vale: 44
X c = U ⋅ Δt ma Δt =
l
W1
e quindi: X c = K1 ⋅ l ⋅
ρp ⋅ Sp
ρb ⋅ Sb
Ammettendo un rapporto geometrico costante tra Sp e Sb si ottiene subito l’equazione di Eichelberger. In altre parole, raddoppiando la velocità relativa di impatto W1 raddoppia anche la velocità di penetrazione U, dimezzando la durata dell’impatto stesso e lasciando la profondità di penetrazione invariata. Ciò è valido al di sopra delle velocità limite di ipervelocità: siccome questo comportamento è legato all’esistenza dell’onda d’urto stazionaria nel materiale del penetratore, è chiaro come, in definitiva, la velocità limite del campo di ipervelocità sia legata alla velocità di propagazione del suono nel materiale del penetratore. L’esperienza verifica bene l’equazione di Eichelberger. In questo tipo di situazione, al crescere della velocità d’impatto la profondità di penetrazione dapprima cresce (al di sotto del campo delle ipervelocità), per tendere poi asintoticamente alla costanza dettata dall’equazione di Eichelberger. È interessante notare come la presenza dell’onda d’urto stazionaria impedisca al penetratore di rompersi o deformarsi prima di giungere a “lavorare” nel cratere. L’influenza della densità spiega l’uso che si fa di uranio esaurito nella fabbricazione di proiettili anticarro ad energia cinetica. 45
Occorre dire, tuttavia, che le massime velocità oggi raggiunte da tale tipo di proiettile (dell’ordine di 1800 m/s) sono ancora ben al di sotto delle velocità limite del campo di ipervelocità, anche se forse non così tanto quanto potrebbe apparire a prima vista. L’onda d’urto si produce nella zona plastica del penetratore dove la velocità di propagazione è inferiore a quella del campo elastico. La terza fase del fenomeno di penetrazione di un proiettile allungato iperveloce è costituita dal piccolo supplemento di penetrazione dovuto all’ultima parte del materiale del penetratore che, attraversata l’onda d’urto stazionaria compie l’ultimo lavoro di disgregazione, propria e del materiale del bersaglio. In caso di mancata perforazione si può avere anche qui una craterizzazione posteriore del bersaglio. 46
1.5 Limite balistico e V50 Uno dei problemi più importanti incontrati nello studio dei fenomeni di impatto è la determinazione di una velocità sotto la quale un oggetto sarà incapace di perforare una corazzatura. La determinazione di questa velocità è di importanza primaria nella progettazione di strutture protettive, nella valutazione di efficacia di corazze ed in qualsiasi altro problema nel quale un impatto può causare dei danni. Questo parametro è comunemente definito velocità critica di impatto o limite balistico (Figura 19). Figura 19 ‐ Diagramma di fase per impatti di proiettile (Backman e Goldsmith, 1978) 47
Le tecniche disponibili per la sua determinazione possono essere di tipo deterministico o probabilistico. Nel primo caso, la velocità critica viene ricavata matematicamente dai principi fisici (leggi di conservazione e relazioni costitutive) ma, a causa della complessità delle equazioni differenziali coinvolte, si introducono delle semplificazioni che generalmente richiedono la determinazione empirica di una o più costanti. Nell’approccio probabilistico, invece, si ha bisogno di una base sostanziale di dati relativi alla velocità di impatto del proiettile, alla velocità residua (in caso di perforazione completa) e la verifica della avvenuta/non avvenuta perforazione della barriera. Prima che si possa definire una velocità limite in questo senso, devono essere stabilite due definizioni arbitrarie. Innanzi tutto, è necessario definire cosa si intende per penetrazione completa (CP ‐ Complete Penetration) e penetrazione parziale (PP – Partial Penetration) (Figura 20). Figura 20 ‐ Penetrazione completa e parziale nella definizione del limite balistico 48
Tre possibili definizioni sono le seguenti: ‐ deve essersi aperta una breccia tale da consentire il passaggio di luce; ‐ almeno metà del proiettile deve essere passato attraverso l’obiettivo; ‐ un foglio sottile di alluminio, messo dietro l’obiettivo a distanza di 6 cm, deve essere stato perforato dal proiettile stesso o da sue schegge. Per un evento assegnato la seconda velocità limite di solito sarà più alta della prima. La terza sarà prossima alla seconda, eccetto per i casi in cui si ha spalling o scabbing. Si noti che solo il secondo criterio si basa sul comportamento del proiettile. Una volta definita la CP, è necessario definire la velocità limite in termini probabilistici. A questo scopo è pratica consolidata utilizzare la così detta V50. Per V50 si intende la velocità in corrispondenza della quale esiste un 50% di probabilità che la barriera subisca una perforazione completa. E’ evidente come per tale definizione è necessario un approccio di tipo sperimentale–
statistico. Gli esperimenti vengono compiuti sparando lo stesso tipo di proiettile numerose volte, a velocità diverse, variando la quantità di polvere da sparo (propellente) caricato nel bossolo. Chiaramente la configurazione del bersaglio da caratterizzare dovrà rimanere costante per tutta la durata dell’esperimento. Il metodo più semplice per determinare la V50, prevede di calcolare la media tra le velocità di 6 proiettili: i 3 più lenti che hanno raggiunto la penetrazione completa e i 3 più veloci che hanno portato ad una penetrazione parziale. Una differenza di 46 m/s o meno è richiesta tra la velocità più bassa con penetrazione parziale e la velocità più alta con penetrazione completa. Secondo questa definizione, un colpo sparato ad una velocità superiore alla V50 può non causare una CP, ma la probabilità aumenta con la velocità. I metodi sperimentali più usati sono il metodo up and down, il metodo di Langlie, il metodo dei livelli e il probit design. 49
In pratica, vincoli di tempo ed economici limitano la quantità di dati che possono essere effettivamente ottenuti, anche perché sparare una serie di proiettili a velocità variabili con una certa continuità e con una determinata precisione, è un’attività che presenta delle difficoltà di ordine pratico. Inoltre, la V50 è una grandezza che ha senso solo per un’assegnata combinazione di proiettile/obiettivo. Nel corso della stessa campagna di prove, oltre alla V50, può essere ricavata la deviazione standard, anch’essa espressa in m/s che misura la dispersione dei risultati che, inevitabilmente, non mostreranno una coerenza assoluta per i vari motivi connessi alle condizioni sperimentali, ai proiettili e ai bersagli stessi. Il grafico di Figura 21 rappresenta le probabilità di penetrazione completa in funzione della velocità di impatto. Per ottenere questo tipo di curva è necessario un gran numero di esperimenti onde ottenere un sufficiente campione statistico. Qualsiasi velocità presa su tale grafico può essere usata come velocità del limite: ad esempio, la V10 è la velocità limite alla quale c’è una probabilità del 10% di una penetrazione completa. Figura 21 ‐ Probabilità di penetrazione completa in funzione della velocità dʹimpatto 50
Oltre alla CP, viene spesso considerata la penetrazione parziale, ma, anche in questo caso, la definizione è tutt’altro che univoca; in ogni caso è di minore interesse al fine di verificare le prestazioni di una corazzatura. 1.5.1 Parametri che influenzano il limite balistico Il limite balistico è influenzato da molti parametri. Fra questi figurano durezza, densità e snervamento; anche la geometria del proiettile (lunghezza L, diametro D, rapporto L/D e forma della punta), lo spessore dell’obbiettivo e l’angolo d’impatto hanno un ruolo importante. 1.5.1.1 Durezza Per quanto riguarda i proiettili, all’aumentare della durezza, si ha un certo cambiamento di comportamento: i proiettili più morbidi subiscono, come prevedibile, le maggiori deformazioni plastiche; quelli più duri, al contrario, mantengono maggiormente la forma iniziale ma tendono a rompersi in due o più frammenti. In generale, un’accentuazione della durezza può portare ad un miglioramento della capacità di penetrazione: a parità di bersaglio, all’aumentare della durezza aumenta sia la profondità di penetrazione che la velocità residua in caso di perforazione completa. 1.5.1.2 Angolo d’impatto La maggior parte dei proiettili arriva all’obbiettivo subendo delle perturbazioni. Piccoli angoli d’imbardata hanno un effetto limitato sulla capacità del proiettile di 51
penetrare un obbiettivo, specie se le capacità perforanti del proiettile eccedono quelle del bersaglio. In Figura 22 è stato tracciato l’aumento percentuale del limite balistico in funzione dell’angolo d’imbardata. Dalla curva si nota come passando da un’incidenza normale fino ad angoli d’imbardata di 3°, si ha meno dell’1% di aumento della velocità critica; per angoli maggiori, invece, l’aumento diviene significativo. Figura 22 1.5.1.3 Densità La densità dei materiali ha un effetto significativo sul limite balistico. Gli studi hanno dimostrato come, in caso di bersagli spessi ed alte velocità d’impatto i proiettili di maggiore densità si rivelano dei penetratori più efficaci. Alle velocità più basse, invece, la caratteristiche meccaniche quali carico di snervamento e durezza risultano premianti. 52
1.5.1.4 Forma della punta In generale, si è visto come più la punta di un proiettile risulta piatta e più si alza il limite balistico. La forma della punta di un proiettile gioca un ruolo determinante nella penetrazione di un bersaglio, fintanto che le velocità d’impatto non sono tali da provocare lo snervamento del materiale che costituisce il proiettile. Oltre questo limite tale aspetto perde di importanza. In ogni caso, la variazione del limite balistico fra punta semisferica, conica e ogivale è limitata al 4%. Solo nel caso di proiettili dalla punta piatta l’effetto è più marcato: il limite balistico di un proiettile simile è circa il 6.5% più alto di quello relativo ad un proietto a punta emisferica. 1.5.1.5 Rapporto lunghezza/diametro del proiettile (L/D) Esperimenti effettuati su proiettili in acciaio e tungsteno hanno mostrato come, passando da un valore di 5 ad uno di 10 nel rapporto L/D, si ha una riduzione della velocità limite del 13% nel caso del tungsteno e dell’8% in quello dell’acciaio. 53
CAPITOLO II LE CERAMICHE IN ALLUMINA COME PROTEZIONE BALISTICA 54
2. LE CERAMICHE IN ALLUMINA COME PROTEZIONE BALISTICA L’implementazione delle ceramiche strutturali nel settore delle protezioni balistiche è una soluzione relativamente recente. Le armature in ceramiche furono sviluppate originariamente negli Stati Uniti durante gli anni ’60 per i giubbotti anti‐proiettile ed i sedili rinforzati degli elicotteri. Inizialmente, i requisiti principali richiesti ad un’armatura in ceramica erano quelli di essere più leggere delle equivalenti protezioni metalliche, ma soprattutto di impedire la penetrazione dei proiettili perforanti di piccolo calibro. Attualmente, lo sviluppo delle armature in ceramica è ancora in corso. Le armature in ceramica sono principalmente utilizzate come protezione balistica del personale e dei mezzi militari e di polizia nella protezione delle parti più critiche di aeroplani ed elicotteri e come difesa contro le esplosioni delle mine di terra. I meccanismi alla base del funzionamento delle armature in ceramica sono significativamente diversi da quelli delle armature in metallo. I metalli assorbono l’energia cinetica del proiettile tramite un meccanismo di deformazione plastica, le ceramiche, per contro, assorbo l’energia cinetica del proiettile attraverso lo sviluppo di energia legato al meccanismo di frattura. Nella maggior parte dei casi, l’armatura in ceramica è costituita da piastrelle monolitiche di ceramica (tile) o da compositi metello‐ceramica ricoperti da nailon balistico e rivestimento di fibra ad alta resistenza, quale Kevlar, Spectra o fibra di vetro. Alcuni metalli “morbidi”, come l’allumino, possono essere utilizzati come materiale posteriore (backing) nelle protezioni veicolari. La fenomenologia che caratterizza l’impatto di un proiettile (V > 700‐800 m/s) su tali tipi di armature può essere riassunta nel modo seguente: il corpo esterno in ceramica (“duro”) si crepa assorbendo una parte dell’energia cinetica del proiettile; la restante parte viene assorbita dal materiale (“morbido”) di backing. Il materiale di backing oltre a 55
sopportare la frattura subita dal materiale ceramico a causa del proiettile, deve anche assorbire il proiettile stesso che può continuare ad avanzare all’interno dell’armatura. La valutazione dei sistemi di protezione balistica deve tenere conto di diversi fattori: il tipo di minaccia balistica; il sistema di produzione; le proprietà insite dei materiali del sistema armatura (materiale esterno e backing); le prestazioni multihit (cioè la capacità di un armatura di sopportare più colpi); la variazione delle prestazioni al variare delle condizioni ambientali; le limitazioni spaziali, di costo, peso e lavorazione manifatturiera. Figura 23 – Piastre e tiles in ceramica d’allumina (AL98) utilizzate per armature personali e veicolari 56
2.1 I materiali ceramici da protezione balistica Esistono due tipi di materiali ceramici per protezioni balistiche: ‐ ceramici strutturali monolitici ‐ compositi a matrice ceramica I ceramici monolitici includono gli ossidi ceramici, principalmente l’allumina, i ceramici non‐ossidi (come il carburo di silicio, il carburo di boro, il nitrato di silicio, il nitrato di alluminio) e i ceramici a sistema binario (come i ceramici del tipo B4C‐TiB2). Le proprietà generali delle armature ceramiche sono descritte in letteratura [4]. Gli ossidi ceramici, in particolare le ceramiche di allumina, hanno proprietà fisiche di elevato livello che si adattano molto bene alle applicazioni per armature. Le ceramiche di allumina sono a basso costo e possono essere prodotte usando varie metodologie (slip casting, pressing ed injecton molding) senza l’uso di apparecchiature costose; nonostante l’elevata densità (fino a 3,95 g/cm3), i ceramici di allumina vengono efficacemente utilizzati come protezione balistica. Le ceramiche d’allumina hanno elevate proprietà meccaniche a costi relativamente bassi ed è per tale ragione che ogni giorno sono prodotti migliaia di tile. Tali tipi di armatura possono essere prodotti in accordo con specifiche esigenze del cliente e si possono produrre sia prodotti in pura ceramica sia tiles su materiale di backing. Tali ceramiche sono attualmente usate con successo per la protezione balistica del personale e dei mezzi veicolari. In generale, i ceramici non ossidi utilizzati come protezione balistica hanno elevate proprietà fisiche ed una relativamente bassa densità, tanto che sono generalmente più convenienti delle ceramiche in allumina. Purtroppo, questi ceramici, sono solitamente prodotti con hot pressing, un processo di produzione relativamente costoso, ma che produce alte proprietà meccaniche. Le proprietà meccaniche dei ceramici di allumina 57
prodotti con hot pressing, tuttavia, sono comparabili con le proprietà dei ceramici non ossidi. I compositi a matrice ceramica hanno alte prestazioni balistiche grazie alle loro alte proprietà meccaniche, come ad esempio l’elevata resistenza a frattura. I compositi a matrice ceramica offrono una maggiore integrità dopo l’impatto balistico rispetto ai ceramici monolitici. La maggior parte di questi materiali sono prodotti con hot pressing e sono quindi molto costosi; anche quelli che non sono prodotti attraverso tale processo, comunque, hanno bisogno di lavorazioni e strumentazioni speciali che li rendono relativamente costosi. 58
2.2 Processo di lavorazione dell’allumina Le armature in ceramica d’allumina sono costituite da sistemi di Al2O3‐SiO2‐CaO‐MgO e Al2O3‐MgO con un contenuto di Al2O3 che varia dal 96% al 99,6% in peso. La materia prima con la quale sono realizzati tali ceramici sono le polveri di allumina che hanno un’altissima purezza (almeno il 99,8% in peso di Al2O3). La composizione chimica e le proprietà di ogni tipo di allumina possono variare in un certo range specifico. Le dimensioni medie delle particelle e dei cristalli di allumina variano rispettivamente dai 0.35‐0.45 μm e dai 1.1‐1.4 μm (Figura 24). Figura 24 – Microstruttura delle ceramiche AD98.5 I metodi di lavorazione utilizzati per la produzione includono processi di slip casting e dry pressing a seconda della forma e della quantità di ceramica con cui i prodotti devono essere realizzati. Sono in corso studi sperimentali e di produzione per l’ottimizzazione delle seguenti fasi di lavorazione: ‐ preparazione degli slip ceramici, che variano a seconda della composizione d’insieme, incluso lo sviluppo di sistemi di dispersione e rilegatura; 59
‐ processo di fabbricazione degli stampi, allo scopo di ottenere la forma dello stampo richiesta con un ciclo di produzione che non sia eccessivamente lungo; ‐ processo di slip casting per realizzare prodotti a singola, doppia e tripla curvatura, quanto più possibile combacianti con le dimensione e la forma disegnata dal cliente; ‐ spray drying allo scopo di produrre particelle sferiche con dimensioni regolabili; ‐ processo di pressatura uni‐assiale; ‐ processo di asciugatura e cottura, incluse essiccature, che variano a seconda della forma e delle dimensioni dei prodotti; ‐ processo di incollaggio tra ceramica e materiale di backing, preparazione di adesivi, di kevlar, di fibre di vetro e nailon, trattamento termico in autoclave al variare di temperatura, pressione e vuoto; ‐ sistemi di controllo qualità tali da realizzare un controllo generale con eventuali possibili aggiustamenti ad ogni fase del processo di lavorazione. I materiali grezzi iniziali sono mescolati e macinati in modo da ottenere un impasto a base di acqua. I fogli di ceramica iniziali sono costituiti per il 77‐81% da materiale secco. I solidi contenuti nel foglio dipendono dalla metodologia di manifattura. Sebbene le polveri iniziali possano avere particelle di piccole dimensioni con un’alta area di superficie specifica e possano essere inizialmente attive per la sinterizzazione, la preparazione del foglio prevede comunque un’attivazione chimico‐meccanica dei materiali iniziali. Tale attivazione si ottiene utilizzando il mescolamento in acqua, che produce una distorsione strutturale del reticolo cristallino del grano superficiale con la formazione di composti interstiziali e la loro parziale amorfizzazione. I composti che si formano sulla superficie del grano hanno un’estrema capacità di sinterizzazione. Tuttavia, la durata della mescolatura deve avere la durata ottimale (30‐
45’ a seconda della composizione). Altrimenti, l’eccessiva attivazione e la trasformazione delle particelle superficiali producono un incremento della viscosità del foglio che può provocare alcune difficoltà durante la colatura, così come elevate contrazioni e 60
microcrinature. Un’ottima combinazione di composizione e preparazione dei fogli di ceramica permette il raggiungimento di porosità prossime allo zero a relativamente basse temperature di cottura (<1550°C) e questo anche per ceramiche con contenuto di allumina pari al 99,6%. Ogni step del processo di lavorazione deve essere accompagnato da una corrispondente procedura di controllo qualità. Il controllo di qualità inizia con la verifica della materia prima: essa devono soddisfare speciali requisiti in termini di contenuto di struttura α per l’allumina, composizione chimica, distribuzione delle dimensioni delle particelle e dimensione media del cristallo. Uno dei metodi utilizzati per ottenere un aggiustamento dei parametri quali il tempo di fusione, il restringimento e la compattezza dei ceramici è l’uso di speciali additivi organici di natura polimerica, applicati in piccole quantità (< dello 0,5% del peso del foglio). L’uso di tali additivi produce, ad esempio, una diminuzione del tempo di fusione fino al 40‐50%, oltre ad un aggiustamento delle proprietà di restringimento e di altri parametri fisici. I seguenti parametri di lavorazione ceramica sono controllati individualmente in modo da ottenere le caratteristiche richieste: ‐ durata della mescolatura, gravità specifica, viscosità e pH iniziale dei fogli; ‐ pressione dell’aria, temperatura e velocità del flusso dello spray‐drying; ‐ parametri del processo di formazione dei grani; ‐ distribuzione delle dimensioni delle particelle e densità della matrice; ‐ parametri e processi di slip casting e pressing; ‐ parametri di cottura (inclusa curva di curva di cottura e temperatura finale di cottura), livello di ossigeno, pressione dell’aria e carico di essiccazione. 61
Le seguenti proprietà vengono testate per le ceramiche ricotte: ‐ cottura e restringimento totale, dimensioni e forma (curvatura per i corpi dell’armatura e per i piatti delle armature veicolari speciali, piattezza per i tiles); ‐ densità e porosità; ‐ proprietà fisiche (durezza Vickers, resistenza a frattura, velocità del suono, modulo di Young, resistenza a flessione); ‐ prestazioni balistiche in osservanza dei protocolli sperimentali. 62
2.3 Procedure di testing sull’allumina La microstruttura delle ceramiche di allumina viene studiata attraverso la microscopia a trasmissione ed a scansione elettronica. La densità, la porosità e l’assorbimento d’acqua nelle ceramiche viene misurata utilizzando il metodo di immersione ad acqua basato sulla legge di Archimede. L’assorbimento d’acqua, la porosità e la densità sono misurati nei tiles sperimentali e nei particolari reali dopo saturazione ad acqua sotto vuoto. Il modulo di Young e la velocità del suono possono essere misurate con gli ultrasuoni: misurando la velocità longitudinale dell’ultrasuono in accordo con la norma ASTM C769 e attraverso il metodo della frequenza di risonanza in accordo con la norma ASTM C885. La seguente formula viene utilizzata per il calcolo del modulo di Young: E = V12 ⋅ Δ ⋅ (1 + p ) ⋅ (1 − 2 p) /(1 − p ) Dove V1 è la velocità ultrasonora longitudinale misurata secondo l’ASTM C769, Δ è la densità e p il rapporto di Poisson. La durezza Vickers viene misurata in accordo con l’ASTM C1327. Il carico statico di 10 kg viene utilizzato per vari materiali sotto compressione, mentre carichi di 0.3‐50 kg possono essere utilizzati per lo studio dell’influenza del carico. Il valore della durezza Vickers viene calcolato usando la seguente formula: HV = 1.8544 P / d 2 dove P è il carico in Kg e d è la diagonale principale, espressa in mm, dell’impronta misurata utilizzando un microscopio. La resistenza a frattura viene determinata utilizzando un carico di 10 kg e viene calcolata utilizzando la formula: 63
K Ic = 0.941Pc −3/ 2 dove P è il carico di prova in N e c la lunghezza della crinatura, espressa in m, misurata attraverso un microscopio. I campioni per le prove di durezza e di resistenza a frattura vengono ricavati da un tile di prova (100mm x 100mm x 8mm) oppure da un’armatura reale e successivamente smerigliati e lucidati usando procedure speciali. Le prestazioni balistiche sono testate in base alle norme NIJ 0101.03 e NIJ 0101.04, ma a seconda dell’applicazione e del livello di protezione richiesto possono essere utilizzati munizionamenti differenti. La velocità del proiettile allo sparo viene controllata utilizzando un cronografo. In tali prove, vengono analizzate la zona della ceramica danneggiata, inclusi i frammenti ceramici, ed il proiettile. Il tipo ed il numero di strati del materiale di backing, incluso il tipo di adesivo e la tecnica di incollaggio utilizzata, influenza fortemente le prestazioni balistiche perciò lo stesso processo di incollaggio utilizzato per la produzione dei pezzi reali, viene utilizzato per la produzione dei test campione. Comunque, a seconda dell’applicazione e del livello di protezione richiesto, vengono progettati particolari sistemi di armature. Figura 25 64
2.4 Le proprietà dei ceramici che influenzano le prestazioni balistiche Il meccanismo di frattura che avviene in una ceramica durante l’impatto di un proiettile a velocità di 700‐5000 m/s si divide in varie fasi. Tale processo si sviluppa in un regime di flusso idrodinamico a valle del quale si ha la rottura del penetratore e l’eiezione ad alta velocità di schegge; in una fase successiva, all’avanzare del penetratore, si ha la rottura della ceramica con la formazione di crinature coniche e di crinature di tensione sulla faccia posteriore della ceramica con l’erosione finale del penetratore e la formazione di un’ampia frattura nella ceramica. Con l’aumento della velocità del proiettile, la capacita da parte della ceramica di dissipare l’energia cinetica del proiettile e di evitare la propagazione della rottura gioca un ruolo fondamentale. Durante un impatto balistico si formano diverse tipologie di crinature, le quali possono provocare la disintegrazione del piatto di ceramica in particelle con dimensioni che variano da polvere finissima e larghi frammenti di diversi centimetri quadrati. Le performance balistiche delle ceramica dipendono da diversi fattori. Le proprietà che regolano il fenomeno includono densità e porosità, durezza, resistenza a frattura, modulo di Young, velocità del suono e resistenza meccanica. Ognuna di tali proprietà non ha una correlazione diretta con le prestazioni balistiche, in quanto il meccanismo di frattura che si genera durante la penetrazione del proiettile è piuttosto complesso. La formazione delle crinature è causata da diversi fattori ed avviene in un tempo molto rapido. Quindi, tutte le proprietà fisiche del materiale, inclusa la microstuttura, devono essere tenute in debito conto durante la fase di progettazione di tali sistemi di protezione. Per quanto riguarda la porosità, essa deve essere minimizzata praticamente a zero (le inclusioni di acqua non devono superare lo 0.02%). Anche la durezza della ceramica deve essere elevata. Essa dovrebbe essere superiore a quella del penetratore. In letteratura esistono varie tecniche per misurare la durezza delle ceramiche, ma talvolta il confronto tra le diverse misure può rivelarsi alquanto difficoltosa. Tuttavia, per ottenere dei risultati balistici accettabili, nel caso delle ceramiche di allumina la durezza Hv10 dovrebbe superare i 1220‐1250. Per avere 65
sensibilità con tale valore, si pensi che un proiettile perforante NATO calibro 7.62 mm con cuore in acciaio ha un valore della durezza pari a 800‐870, mentre un proiettile calibro 14.5 mm con cuore in carburo di tungsteno ha un valore di durezza pari a 1150. Sebbene alcuni autori [4] [25], asseriscano che le armature in ceramica debbano avere una bassa resistenza a frattura (KIC) e l’esperienza pratica mostri come materiali con un elevato KIC non esibiscano elevate prestazioni balistiche, il KIC dei materiali ceramici non dovrebbe essere basso. Bisognerebbe, piuttosto, raggiungere un giusto compromesso tra durezza e resistenza a frattura. Alcuni ceramici come il LanxideTM SiC/Al che possiede un elevato KIC, infatti, esibiscono elevate prestazioni balistiche. La velocità del suono, che è correlata alla capacità di diffondere l’energia inizialmente localizzata nell’area d’impatto, dovrebbe essere elevata. Un’elevata velocità del suono indica indirettamente il raggiungimento di un alto livello di densità e bassa porosità. Tale parametro, quindi, può essere utilizzato per confrontare le potenzialità balistiche delle ceramiche prodotte con diversi processi di produzione. L’esperienza pratica, dimostra che ceramiche in allumina con velocità del suono superiori ai 10.000 m/s hanno prestazioni balistiche elevate. Il modulo di Young deve essere elevato. Per le ceramiche in allumina esso deve essere superiore ai 325 GPa (usualmente si aggira intorno ai 350‐450 GPa a seconda del contenuto di Al2O3). L’impedenza I=Δ∙C=(Δ∙E)1/2, dove Δ è la densità, c la velocità del suono ed E il modulo di Young, indica che la velocità di propagazione dell’onda nel materiale aumenta all’aumentare di E. Armature in ceramica con elevate prestazioni balistiche hanno valori dell’impedenza prossimi a quelli dell’acciaio (400 MPa s/m). La resistenza meccanica delle armature in ceramica dovrebbe essere elevata. A causa del complicato meccanismo di frattura delle ceramiche sotto impatto, tutti i tipi di resistenza meccanica dovrebbero essere elevati. Tuttavia, le ceramica in allumina che hanno una bassa resistenza a flessione (circa 250 MPa) mostrano comunque prestazioni balistiche accettabili. 66
2.5 Morfologia delle rotture da impatto balistico nei tiles di allumina La valutazione delle prestazioni balistiche dei ceramici è sempre stato un obbiettivo difficile in relazione al numero di variabili in gioco, quali il tipo di minaccia, la velocità e la forma del proiettile, la natura della ceramica, la configurazione del target sia in termini di materiale esterno e backing che del loro relativo spessore, angolo d’impatto e vincoli. In letteratura [23] si trovano numerosi studi che hanno permesso di individuare e classificare il comportamento balistico dei tiles di allumina al variare dello spessore e del livello di minaccia. Tale tipo di classificazione è fondamentalmente di natura morfologica e può essere effettuata attraverso l’osservazione delle zone danneggiate a seguito dell’impatto balistico. Generalmente, il tipo ed il numero di layers del materiale di backing, così come l’adesivo utilizzato e la relativa tecnica di incollaggio, influenzano fortemente le prestazioni balistiche. Il meccanismo che permette la protezione balistica attraverso i materiali metallici è profondamente diverso rispetto a quello dei materiali ceramici. Il metallo assorbe l’energia cinetica del proiettile attraverso la sua deformazione plastica, la ceramica, invece, attraverso l’energia che assorbe durante il meccanismo di frattura. In ogni tipo di impatto balistico sui tiles di ceramica si sviluppa un luogo di crinature a forma di conoidi coassiali che si sviluppa dal punto di impatto. Tuttavia, a seconda dei casi, ci sono diverse morfologie. Generalmente le morfologie delle rotture a bassa trasmissione di energia possono classificarsi in quattro tipi. Il primo tipo è la penetrazione cosiddetta pulita, “clean penetration”, che si verifica nel caso in cui si hanno tiles di allumina sottili con proiettili ad alte velocità (Figura 26). 67
Figura 26 – Clean penetration Il secondo tipo di morfologia è quello a stella, “star cracks”, nel quale si formano crinature a raggiera dovute allo spall tangenziale causate dagli stress di taglio che si riflettono sui bordi dei tile e dagli stress longitudinali riflessi dal backing (Figura 27). Figura 27 – Star cracks Il terzo tipo di morfologia è quello detto “explosive spark” che si verifica nel caso di tiles spessi. Di solito, il numero dei conoidi aumenta all’aumentare dello spessore (Figura 28). 68
Figura 28 – Explosive spark Infine, se l’impatto avviene nei pressi dell’interfaccia tra i vari tiles si può ottenere una morfologia denominata “a mosaico” (Figura 29). Figura 29 Nel caso in cui la ceramica riesca effettivamente ad assorbire l’energia dell’impatto (alta energia di trasmissione), i frammenti di ceramica danneggiata possono avere varie dimensioni, da grossi tocchi a polvere sottile. I tocchi di grandi dimensioni (Figura 30) sono stati osservati a seguito di impatti esplosivi. 69
Figura 30 La natura e lo spessore del backing, inoltre, può avere un’influenza significativa sulla propagazione della crinatura, grazie alla sua capacità di diminuire le tensioni. Su un tile di 6 mm con uno strato di metallo come backing, un proiettile calibro 7.62 può generare l’erosione della ceramica. Il compattamento della polvere di ceramica sotto la compressione dell’impatto genera l’elevata resistenza alla penetrazione di tali tipi di materiale (Figura 31). Figura 31 70
CAPITOLO III IL FLYER PLATE IMPACT TEST SULL’ALLUMINA 71
3. IL FLYER PLATE IMPACT TEST SULL’ALLUMINA Il Flyer Plate Impact Test (FPIT) è una tecnica sperimentale piuttosto consolidata utilizzata per lo studio del comportamento dinamico dei materiali finalizzata ad ottenere la loro relativa equazione di stato; attraverso tale test, si misura l’andamento della velocità rispetto al tempo della superficie posteriore del provino. Tale tipo di segnale può mostrare caratteristiche specifiche del materiale e può essere paragonato al risultato del modello numerico, allo scopo di validare il modello costitutivo e di danno del materiale. Nel caso specifico il FPIT è stato utilizzato allo scopo di validare il modello di Johnson‐Holmiquist 2 implementato nel codice di calcolo commerciale LS‐DYNA v970. L’esperimento del Flyer Plate Impact Test consiste nel realizzare un impatto planare, a velocità nota, tra due dischi sottili. Un elevato rapporto diametro su spessore (D/h>10) garantisce uno stato di deformazione uniassiale in prossimità dell’asse di simmetria dei dischi. 3.1 Stato di deformazione uniassiale Uno stato di deformazione monoassiale è definito come: ε1 ≠0 ε2=ε3=γ12=γ13=γ23=0 Nel derivare le equazioni per lo stato di deformazione monoassiale, si assume che la deformazione totale si possa scomporre in una parte elastica ed una plastica: 72
ε1=ε1e+ε1p ε2 =ε2e+ε2p ε3 =ε3e+ε3p ovvero: ε2p=‐ε2e ε3p=‐ε3e Per l’incompressibilità del flusso plastico si può scrivere che: ε1p+ε2p+ε3p=0 che, sfruttando la simmetria, ε2p=‐ε3p porta a: ε1p=‐ε2p‐ε3p=‐2ε2p Da cui si ottiene: ε1p=2ε2e in modo da poter scrivere la deformazione totale in termini di sola deformazione elastica: ε1=ε1e+ε1p=ε1e+2ε2e Le deformazioni elastiche possono essere espresse, in termini di sforzi, dalle seguenti relazioni: 73
Avendo posto σ2=σ3., la combinazione delle summenzionate equazioni permette di ottenere: Imponendo come criterio di snervamento quello di von Mises o quello di Tresca, cioè: in cui Yo indica la tensione di snervamento, si ottiene: in cui il “bulk modulus”, K, è definito come: Nel caso particolare di deformazione elastica unidimensionale: 74
per cui ovvero, che porta alla scrittura di e L’ultima equazione dimostra che, in caso di stato di deformazione unidimensionale, la pendenza del tratto elastico della curva sforzo‐deformazione del materiale, è, rispetto al caso di stato di sforzo unidimensionale, più elevato di un coefficiente pari a 75
Questo è chiaramente illustrato nella Figura 32, in cui nella parte di sinistra sono schematicamente illustrate le curve sforzo‐deformazione, per uno stato di sforzo unidimensionale, dei due materiali elastico perfettamente plastico e elastico con incrudimento lineare, mentre nella parte destra, sono riportate le corrispettive curve che si ottengono, per i medesimi materiali, in caso di deformazione unidimensionale. Un altro risultato interessante è l’innalzamento del valore della σ1 per il quale si ha il superamento del limite elastico, dal valore dello snervamento del materiale, Y0, per il caso di sforzo uniassiale, allo “Hugoniot Elastic Limit”, σHEL, per il caso di deformazione uniassiale. Figura 32 76
Per quanto riguarda la parte plastica, l’equazione dimostra che lo stress, indipendentemente dall’incrudimento, continua a crescere con la deformazione, in modo proporzionale al “bulk modulus”, e che lo scostamento dalla parte idrostatica della curva è pari a un valore costante. La curva indicata in Figura 32 come “Hydrostat” rappresenta, quindi, il comportamento del medesimo materiale, ma privo di capacità di resistenza a taglio, soggetto ad uno stato di deformazione uniassiale. Per valori estremamente elevati della pressione, lo scostamento tra le due curve diviene trascurabile e il materiale, senza compiere errori significativi, può essere trattato come un fluido e rappresentato dalla sola parte idrostatica. 77
3.2 Il modello di Johnson‐Holmquist 2 per i materiali ceramici Il modello di Johnson‐Holmquist 2 è rappresentato dalle equazioni nelle Figura 33, Figura 34 e Figura 35. Figura 33 – curva di resistenza Figura 35 ‐ equazione di danno
Figura 34 – equazione di stato
78
Esso include una rappresentazione della curva di resistenza per materiale intatto e fratturato, un’equazione di stato (EOS) che include anche il bulking ed un modello di danno che porta il materiale da uno stato intatto ad uno stato fratturato. Lo stress equivalente normalizzato vale: dove σ*i è lo stress equivalente normalizzato a materiale intatto, σ*f è lo stress normalizzato a materiale fratturato e D è il danno variabile da 0 a 1. Gli stress equivalenti generalizzati (σ*, σ*i, σ*f) hanno la seguente forma generale: dove σ è lo stress equivalente puntuale e σHEL è lo stress equivalente al limite elastico di Hugoniot. La formula generale dello stress equivalente è: dove σx, σy e σz sono le tre componenti dello stress normale e τxy, τxz e τyz sono le tre componenti dello stress di taglio. Lo stress normalizzato a materiale intatto è dato dalla: 79
mentre lo stress normalizzato a materiale fratturato è dato dalla: È da notare che lo stress normalizzato a materiale fratturato può essere limitato da σ*f≤σ*fmax. Tale valore di resistenza facoltativo ha lo scopo di assicurare una maggiore flessibilità all’importante parametro della resistenza a frattura. Le costanti del materiale sono A, B, C, M, N, T e σ*fmax. La pressione normalizzata è P*=P/PHEL, dove P è il valore puntuale della pressione e PHEL è la pressione all’HEL. La pressione idrostatica di tensione massima equivalente normalizzata è T*=T/ PHEL dove T è la pressione idrostatica di tensione massima che il materiale può sostenere. La velocità di deformazione adimensionale è: dove dε/dt è la velocità di deformazione equivalente puntuale e dε0/dt=1.0s‐1 è la velocità di deformazione di riferimento. La velocità di deformazione equivalente è analoga allo stress equivalente ed è espressa nel modo seguente: 80
Il danno è accumulato in maniera simile al modello di Johnson‐Holmquist 1 [9] ed al modello di danno di Johnson‐Cook [7]. Esso è espresso dalla seguente formula: dove Δεp è la deformazione plastica equivalente durante un ciclo di integrazione e εp=f(P) è la deformazione plastica con materiale fratturato sotto la pressione costante P. L’espressione specifica è: dove D1 e D2 sono costanti tipiche del materiale e P* e T* sono quelle definite precedentemente. Ancora, il materiale non può andare al di sotto del valore della deformazione plastica per P*=‐T*, ma εpf aumenta all’aumentare di P*. La pressione idrostatica, prima che inizia la frattura (D=0), è semplicemente: dove K1, K2 e K3 sono costanti del materiale (K1 è il modulo di bulk) e μ=ρ/ρ0‐1 con ρ la densità corrente e ρ0 la densità iniziale. Per pressioni di trazione (μ<0), l’ultima equazione viene sostituita da P= K1 μ. Dopo che il danno inizia ad manifestarsi (D>0), può verificarsi anche il bulking. L’effetto del bulking è quello di aumentare la pressione e/o di aumentare la deformazione 81
volumetrica. Nel modello di Johnson‐Holmiquist 2 l’effetto bulking è incluso aggiungendo un incremento di pressione all’equazione di stato: L’incremento di pressione è determinato da valutazioni di tipo energetico: esso varia da ΔP =0 a ΔPmax per D=1.0. La diminuzione dell’incremento di energia elastica interna (dovuta alla componente deviatorica degli sforzi) è convertita in energia potenziale interna attraverso l’aumento incrementale del ΔP. La diminuzione della componente deviatorica degli sforzi avviene perché lo stress diminuisce all’aumento del danno D, come mostrato dalla Figura 33. L’espressione generale per l’energia elastica interna della componente deviatorica degli stress è: dove σ è il flusso dello sforzo plastico equivalente e G è il modulo di elasticità a taglio. La perdita dell’ energia incrementale è: Se la perdita di energia ΔU è convertita in energia potenziale idrostatica attraverso una variazione di pressione ΔP, un’equazione approssimata per tale conservazione di energia è la seguente: 82
Il primo termine [(ΔPt+Δt‐ΔPt)]μt+Δt] è l’energia potenziale approssimata per μ>0 mentre il secondo termine [(ΔP2t+Δt‐ΔP2t)/2K1] è l’energia potenziale per μ<0. Risolvendo per ΔP (con μt+Δt>0) si ha: Come aspettato, il modello da ΔP=0 per β=0, dove β è la porzione di perdita di energia elastica convertita in energia idrostatica (0 ≤ β ≤ 1). La procedura per la determinazione delle costanti del modello non è un processo semplice soprattutto a causa del fatto che alcune delle costanti non possono essere ricavate esplicitamente. 83
3.3 Simulazione del FPIT sull’Allumina AD99.5 Il FPIT rappresenta una delle poche configurazioni geometriche per le quali la trattazione teorica dello stato di deformazione uniassiale (§3.1) è disponibile in forma esatta e può essere utilizzata per la verifica ed il confronto con i risultati numerici. Il Flyer Plate Impact Test è generalmente utilizzato per determinare la curva di Hugoniot del materiale. Questo test è largamente utilizzato anche per il particolare tipo di rottura che è in grado di produrre nel disco bersaglio. Tale rottura è proprio lo spalling (§1.3.7) che avviene per una trazione localizzata provocata dalla sovrapposizione dell’onda di compressione, riflessa sulla superficie libera del target, e della sopraggiungente onda di rilascio. Nell’esperimento, la misura è effettuata mediante la rilevazione, ad esempio attraverso tecniche d’interferometria laser, del profilo di velocità di un punto situato sulla superficie posteriore del disco bersaglio. La lettura del profilo di velocità permette di ricavare tutte le informazioni necessarie ad identificare il comportamento meccanico del materiale. Uno schema rappresentativo del FPIT è illustrato in Figura 36. superficie posteriore provino
Materiale di backing
provino
impattatore
Materiale di backing
V
bersaglio
proiettile
Figura 36 – schema del FPIT 84
La configurazione del Flyer Plate Impact Test, come detto in precedenza, permette di realizzare uno stato di deformazione uniassiale in prossimità dell’asse di simmetria dei dischi. Tale condizione rende superflua, in questa prima fase del lavoro, la modellizzazione dei due dischi interi e, quindi, la geometria da modellare può essere ridotta ad una semplice striscia di elementi 2D in stato di deformazione piana, in cui gli spostamenti verticali siano impediti. Tale modello è indicato col termine “single strip model”. Le dimensioni di ciascun elemento utilizzate nel modello sono di 0,1× 0,1 mm2. Il modello utilizzato per simulare il comportamento dell’Allumina AD99.5 è stato il modello di Johnson‐Holmquist 2 (§3.2) ideato e progettato per riprodurre il comportamento meccanico dei materiali di tipo ceramico. Tale modello di materiale è implementato nel codice commerciale LS‐DYNA v970 attraverso la card MAT_110 JOHNSON_HOLMIQUIST_CERAMICS. I valori dei parametri del materiale sono illustrati nella Tabella 1 [6]. Tabella 1 Costanti del modello di Johnson‐Holmquist 2 per l’allumina AD99.5 Densità Ρ (Kg/m3) 3890 Costanti di resistenza HEL (GPa) 6.57 Costanti elastiche G K1 (GPa) (GPa) 152 231 T (GPa) 0.262 Costanti di danno D1 D2 0.01 0.7 A 0.88 B 0.28 Il FPIT è stato effettuato con 3 diverse velocità d’impatto: a) V1=544 m/s b) V2=1070 m/s c) V3=2260 m/s 85
Costanti di pressione K1 K2 K3 (GPa) (GPa) (GPa) 201 ‐160 2774 C 0.007 N 0.64 M 0.60 Β 1.0 σ*fmax 1.0 Il materiale di backing utilizzato sia per l’impattatore che per il bersaglio è stato il Fluoruro di Litio (LiF). Nelle configurazioni a) e b) sia penetratore che bersaglio sono costituiti da Allumina AD99.5, mentre nel caso c) il penetratore è costituito da Tungsteno. Le dimensioni dei plates sono illustrate nella Figura 37 LiF
AD 99.5
AD 99.5
LiF
10 mm
25.4 mm
AD 99.5
LiF
5 mm
25.6 mm
V1 e V2
8 mm
LiF
5 mm
Tungsteno
V3
6.3 mm
1.5 mm
Figura 37 – dimensioni dei FPIT I risultati ottenuti sono stati confrontati con i valori sperimentali ritrovati in letteratura [2]. I tre profili di velocità sono illustrati nelle Figura 38, Figura 39 e Figura 40. 86
Tempo [µs]
Figura 38‐ profilo di velocità FPIT V=544m/s Tempo [µs]
Figura 39 – profilo di velocità FPIT V=1070m/s 87
Tempo [µs]
Figura 40 – profilo di velocità FPIT V=2260m/s I dati numerici mostrano un buon accordo con quelli sperimentali, anche se per velocità di impatto molto elevate (caso c) il risultato ottenuto peggiora. Tale fenomeno è con ogni probabilità legato alla formulazione dell’equazione di stato del materiale, una polinomiale del terzo ordine, che non riesce a riprodurre in maniera del tutto ottimale il comportamento reale del materiale; l’influenza dell’EOS si risente in maniera particolare ad elevate velocità di deformazione, facendo diminuire in tali regimi l’attendibilità del modello. Il modello di Johnson‐Holmquist 2 implementato dal codice di calcolo, quindi, descrive in maniera piuttosto soddisfacente il comportamento meccanico dei materiali ceramici, anche se nel caso specifico dell’Allumina AD99.5, per velocità di deformazione dell’ordine dei 2000 m/s il profilo di velocità misurato numericamente si discosta leggermente dai dati sperimentali. Tali regimi di velocità, però, esulano dal contesto di tale tesi orientata verso i proiettili di arma leggera il cui range di velocità si aggira tra gli 800‐1000 m/s [§1.2]. 88
CAPITOLO IV IL DEPTH OF PENETRATION TEST SULL’ALLUMINA 89
4. IL DEPTH OF PENETRATION TEST SULL’ALLUMINA Al fine di tarare le capacità numeriche del modello FEM, oltre al FPIT, orientato alla valutazione del comportamento del modello del materiale, sono state effettuate una serie di simulazioni FEM di alcuni Depth Of Penetration Test (DOPT) confrontando, anche in questo caso, i risultati numerici di LS‐DYNA con i dati sperimentali ritrovati in letteratura [1]. Lo scopo, questa volta, è stato quello di valutare l’attendibilità del codice numerico in caso di impatto balistico con parti del modello compenetranti ed unitamente verificare che la morfologia del danno indotta nel materiale ceramico fosse verosimile alla realtà. 4.1 Fenomenologia dell’impatto balistico sui materiali ceramici A causa della sua fragilità, un materiale ceramico sotto impatto balistico produce un danno che si sviluppa su un’area piuttosto vasta [§2.5], a differenza del danno dei materiali metallici che invece si concentra nell’intorno dell’asse d’impatto. Il materiale ceramico può disintegrasi completamente pochi secondi dopo l’impatto e le crinature possono presentarsi anche nei tiles adiacenti. Il processo di frammentazione è stato descritto in diversi studi [28] e può essere sintetizzato nelle seguenti fasi: a. un conoide di ceramica fratturata si sviluppa sulla superficie di impatto limitando in questo modo la porzione di ceramica che partecipa alla trasmissione del carico al sostrato metallico sottostante il tile; 90
b. un piccolo volume di ceramica frantumata si forma nelle vicinanze dell’interfaccia proiettile‐ceramica laddove ci sono alti valori di pressione; c. dopo l’impatto, si formano crinature sulla faccia posteriore della ceramica che si propagano all’indietro verso il proiettile, tali crinature sono causate dalla riflessione, come onde di tensione, delle onde di compressione all’interfaccia ceramica‐metallo; la conseguenza è una rottura generalizzata della ceramica dovuto alla coalescenza di tali crinature. Inoltre, esaminando il meccanismo di penetrazione in linea del tutto generale, il proiettile per potere avanzare nella ceramica polverizzata (ovvero, in riferimento al modello di Johnson‐Holmquist 2 [§3.2], nei punti del modello a D=1) dovrebbe riuscire a spingere quest’ultima in avanti o lateralmente; tale azione, tuttavia, viene impedita e limitata dal pesante contorno della ceramica polverizzata, ovvero l’intatto materiale circostante; per cui, la ceramica polverizzata può solo fluire all’indietro, in direzione opposta a quella del proiettile e lungo la cavità da esso prodotta, erodendo in questo modo la punta del proiettile stesso. La frammentazione della ceramica continua durante tutto il processo di penetrazione, ma quella che si genera nei primi microsecondi dopo l’impatto è il fenomeno principale che diminuisce la resistenza della ceramica. Prima della fine di tale fase di frammentazione il tile mostra la sua massima resistenza alla penetrazione. Dopo la frammentazione, infatti, il proiettile penetra nel conoide di ceramica spaccata, polverizzata e frammentata (ceramica danneggiata) le cui proprietà meccaniche sono più basse di quelle del tile intatto (vedi modello Johnson‐Holmquist 2, Figura 33). La formazione delle crinature descritte permette lo spostamento di piccoli frammenti, rendendo la penetrazione del proiettile più facile. 91
4.2 Configurazione del DOPT Il DOPT è un test utilizzato per valutare le performance balistiche dei tile ceramici già a partire dal 1986. Nelle seguenti simulazioni sono stati esaminati dei tiles di forma circolare, mantenendo costante il valore dello spessore e del diametro e misurando la profondità della penetrazione al variare delle condizioni al contorno dell’armatura, in termini sia di vincoli che di velocità d’impatto, fissata la minaccia. Le condizioni al contorno analizzate sono state tre: a) tile ceramico isolato su sostrato metallico, b) tile ceramico confinato radialmente e c) tile ceramico confinato radialmente e ricoperto da una piastra metallica. In Figura 41 sono rappresentati schematicamente i tre tipi di armatura considerati. a) b) Figura 41 – configurazione del DOP test 92
c) Su tutte e tre le tipologie di armatura, le simulazioni sono state effettuate a due diverse velocità, V1=1.52 e V2=1.79 Km/s, per un totale di sei simulazioni numeriche allo scopo di: − verificare se tutti i parametri inseriti del modello, in particolare quelli legati alle card del contatto, fossero o meno il frutto di un tuning relativo ad un singolo modello; − stabilire, analogamente a quanto effettuato nel capitolo precedente, un eventuale range di velocità all’interno del quale il modello numerico è in grado di riprodurre il fenomeno reale con uno scarto progettualmente accettabile. Il materiale di backing dell’armatura è costituito da un blocco di acciaio 4340 di raggio rs pari a 76 mm, mentre la piastra utilizzata nella terza configurazione è costituita da un acciaio ad alta resistenza dello spessore sh di 6,35 mm. Lo spessore sa del tile di allumina è 25,86 mm, mentre il raggio ra è di 58 mm. Il penetratore è in tungsteno di diametro pari a 7,62 mm e punta semisferica con rapporto lunghezza/diametro 10 e massa pari a circa 66,7 g. La profondità del blocco di acciaio, costante in tutti e tre i casi, è stata scelta tale da impedire la perforazione del proiettile. 93
4.3 Modello FEM del DOPT Il modello FEM del DOPT, data la simmetria geometrica e di carico delle prove, è stato realizzato con elementi 2D assial‐simmetrici (Figura 42). La mesh ha una dimensione di 0,2 mm nel caso del penetratore e 0,5 mm per tile e backing; in totale il numero degli elementi è pari a 46.200 per la configurazione a) 49.260 per la configurazione b) e 69.320 per quella c). Figura 42 – mesh DOP caso a) Le proprietà del materiale ceramico sono ovviamente quelle utilizzate nel modello del FPIT (Tabella 1 del paragrafo §3.3), mentre sia il materiale del backing (acciaio 4340), sia quello del proiettile (tungsteno) che quello della piastra (acciaio ad alta resistenza) sono stati simulati con la card MAT_15 JOHNSON_COOK. I dati inseriti nel modello sono rappresentati rispettivamente nella Tabella 2 e nella Tabella 3 [8]. 94
Tabella 2 Costanti del modello di Johnson‐Cook per l’acciaio 4340 Costanti elastiche E G υ (GPa) (GPa) 200 77 0.29 Costanti fisiche ρ Cp (Kg/m3) (J/KgK) 7830 477 Tm (K) 1793 Costanti di resistenza A B n (MPa) (MPa) 792 510 0.26 C 0.014 M 1.03 C 0.016 M 1.00 Tabella 3 Costanti del modello di Johnson‐Cook per il tungsteno Costanti elastiche E G Υ (GPa) (GPa) 220 120 0.3 Costanti fisiche ρ Cp 3
(Kg/m ) (J/KgK) 17450 134 Tm (K) 1723 Costanti di resistenza A B n (MPa) (MPa) 1506 177 0.12 Il contatto tra il proiettile e l’armatura è stato simulato mediante la card di LSDYNA 2D_AUTOMATIC_SURFACE_TO_SURFACE, basata sull’algoritmo del PENALTY METHOD. Tale metodo consiste nel piazzare lungo la normale all’interfaccia delle molle tra tutti i nodi penetranti e la superficie di contatto. La rigidezza all’interfaccia è scelta in modo tale che sia approssimativamente dello stesso ordine di grandezza delle rigidezze degli elementi normali all’interfaccia. Conseguentemente, il tempo computazionale non risente dell’esistenza di tale interfaccia. Se la pressione all’interfaccia diventa considerevole, può verificarsi che il contatto non si realizza, ottenendo la penetrazione; tuttavia, scalando opportunamente la rigidezza a discapito del time step, il PENALTY METHOD può riuscire comunque a risolvere il problema. Nel caso del DOPT, la rigidezza del contatto non è stata scalata. Durante il processo di penetrazione, può verificarsi che alcuni degli elementi all’interfaccia del contatto, a causa delle forti pressioni locali, subisca delle distorsioni notevoli di forma. Tale aspetto può notevolmente rallentare la risoluzione del problema agli elementi finti, anzi in certi casi, rende il problema non risolvibile. Per ovviare al suddetto inconveniente esistono degli algoritmi di erosione che permettono di eliminare dal calcolo tali elementi eccessivamente distorti. Nel caso di LS‐DYNA, ad esempio, esiste la card MAT_ADD_EROSION che permette di implementare tale approccio. 95
Sviluppare un modello di simulazione agli elementi finiti di ausilio alla progettazione delle armature ceramiche in allumina. Questa card può funzionare con diversi criteri user‐defined, alcuni dei quali sono di seguito elencati: − P≤Pmin dove P è la pressione (positiva in compressione) e Pmin è la pressione di erosione (definito dall’utente); − σ1≥σmax, dove σ1 è lo stress principale massimo e σmax è lo stress principale di erosione; −
−
−
3 ' '
σ ijσ ij ≥ σ max , dove σ ij' sono le componenti deviatoriche dello stress e σ max è lo 2
stress equivalente di erosione; − ε1≥εmax, dove ε1 è la deformazione principale massima e εmax è la deformazione principale di erosione; − γ1≥γmax, dove γ1 è la deformazione a taglio e γmax è la deformazione a taglio di erosione. Nei modelli del DOPT sono stati utilizzati gli ultimi due criteri elencati, relativi alle deformazioni massime principali e a taglio. È opportuno sottolineare come l’algoritmo di erosione sia uno strumento puramente matematico, non finalizzato alla simulazione di un fenomeno fisico avvenente nel materiale. Per tale ragione, valori dell’erosione troppo bassi posso inficiare la bontà del risultato. Onde evitare ciò, quindi, è opportuno scegliere dei valori dell’erosione tali da eliminare l’elemento finito solamente nel momento in cui esso è già completamente danneggiato e non contribuisce più all’evoluzione del fenomeno. Nel nostro caso i valori dell’erosione sono stati scelti in modo tale che gli elementi finiti venissero cancellati solo su elementi a D=1 (elementi rossi nella Figura 43) e che non partecipano più al processo di penetrazione così come illustrato a titolo di esempio nella Figura 47 e nella Figura 48. Tali valori sono compresi tra 1.2 e 3. 96
Figura 43 Figura 44 97
Figura 45 Figura 46 98
elementi distorti Figura 47 erosione degli elementi distorti Figura 48 99
4.4 Risultati numerici del DOPT I risultati delle simulazioni del DOPT sono rappresentati graficamente dalla Figura 49 alla Figura 66. Come si può osservare, nei primi microsecondi del fenomeno, si vede la formazione del conoide all’interno del materiale ceramico; la punta del proiettile, inoltre, si deforma plasticamente aumentando la superficie di contatto e diminuendo la pressione d’impatto: una delle principali funzioni delle armature balistiche è proprio quella di deformare la punta del penetratore distribuendo il carico su una superficie maggiore ed abbassando così la capacità perforante del penetratore. Figura 49 – caso a) V1 t=5μs 100
Figura 50 – caso a) V1 t=25μs Figura 51 – caso a) V1 t=100μs (final step) 101
Figura 52 – caso a) V2 t=5μs Figura 53 – caso a) V2 t=25μs 102
Figura 54 – caso a) V2 t=100μs (final step) Figura 55 – caso b) V1 t=5μs 103
Figura 56 – caso b) V1 t=25μs Figura 57 – caso b) V1 t=90μs (final step) 104
Figura 58 – caso b) V2 t=5μs Figura 59 – caso b) V2 t=25μs 105
Figura 60 – caso b) V2 t=120μs (final step) Figura 61 – caso c) V1 t=5μs 106
Figura 62 – caso c) V1 t=25μs Figura 63 – caso c) V1 t=100μs (final step) 107
Figura 64 – caso c) V2 t=5μs Figura 65 – caso c) V2 t=25μs 108
Figura 66 – caso c) V2 t=90μs (final step) 109
Riassumendo i risultati ottenuti numericamente e confrontandoli con quelli sperimentali [1] otteniamo l’istogramma in Figura 67, dove P rappresenta la penetrazione totale del proiettile ed L la sua lunghezza iniziale. Figura 67 – risultati DOP test Come si evince dal grafico, come nel caso del FPIT, a velocità minori il risultato del modello è più attendibile, mostrando un errore trascurabile e conservativo ai fini della valutazione del livello balistico dell’armatura. 110
CAPITOLO V ANALISI PARAMETRICA FEM 3D SU FORMA E DIMENSIONI DEI TILES CERAMICI IN ALLUMINA 111
5. ANALISI PARAMETRICA FEM 3D SU FORMA E DIMENSIONI DEI TILES CERAMICI IN ALLUMINA Dopo aver appurato l’attendibilità dei risultati numerici sia a livello di materiale [§3] che di impatto balistico con penetrazione [§4], è stata effettuata un’analisi parametrica FEM al fine di valutare l’influenza della forma e delle dimensioni dei tile ceramici sulla resistenza balistica delle armature. 5.1 Parametri dell’analisi FEM L’analisi parametrica è stata effettuata al variare della forma dei tile ceramici utilizzando una configurazione dell’armatura simile a quella utilizzata nel DOPT, ovvero tile in allumina AD99.5 e backing in acciaio 4340. Le forme esaminate sono state: − tile esagonale − tile quadrato − tile triangolare Per ognuna di suddette forme geometriche sono stati realizzati tre modelli FEM per tre diversi punti d’impatto, valutando, per ognuna di queste nove simulazioni, la variazione di prestazione dell’armatura. 112
Sono state simulate le tre seguenti tipologie d’impatto: − impatto centrale − impatto sul bordo del tile − impatto sullo spigolo del tile impatto centrale impatto sul bordo del tile impatto sullo spigolo del tile dove con spigolo s’intende il punto dove convergono i bordi delle piastrelle adiacenti. La velocità d’impatto, in virtù dei risultati presentati nei capitoli precedenti, è stata pari a 1 Km/s con impatti tutti normali alla superficie esterna dell’armatura. Il penetratore (Figura 68) è in tungsteno, calibro 7.62 a punta semisferica con rapporto L/D pari a 2.5 per una massa totale di 14 g. Il rapporto L/D è stato scelto relativamente basso allo scopo di limitare il numero degli elementi totali del modello. Figura 68 – modello FEM del penetratore 113
Anche in questo caso il comportamento del materiale del penetratore (tungsteno) e del backing (acciaio 4340) sono stati simulati con il modello di Johnson‐Cook (Tabella 2 e Tabella 3). I tile hanno uno spessore di 16 mm ed un’area di 1600 mm2 e sono stati modellati in modo da avere tutti la stessa area con una mesh quasi uniforme pari a circa 0.8 mm (Figura 69, Figura 70 e Figura 71). Il peso di ogni tile è circa 100 g ed il modello utilizzato per l’allumina AD99.5 è stato ovviamente quello di J‐H 2 (Tabella 1). Figura 69 – tile esagonale Figura 70 – tile triangolare 114
Figura 71 ‐ tile quadrato Lo spessore del backing è di 4 mm ed il legame tra tile e backing è stato ipotizzato di tipo ideale, presupponendo che la soluzione al nostro problema sia indipendente dal tipo di incollaggio utilizzato. Le condizioni di vincolo della nostra armatura sono illustrate schematicamente nella Figura 72. Tutte le armatura, infine, sono costituite da 6 tiles, per un valore del peso totale pari a 900 g costante in tutti e nove i modelli. allumina
incastri incastri Figura 72 – vincoli geometrici del modello 115
5.2 Analisi FEM 3D al variare della forma dei tiles ceramici In Figura 73, sono illustrati alcuni dei nove modelli FEM 3D utilizzati per l’analisi parametrica. I piani di simmetria dei modelli sono stati opportunamente stabiliti in modo tale da non avere piani che coincidessero con le superfici stesse di contatto. Tale scelta ha permesso di valutare l’effetto che la forma del singolo tile ha sull’intero schema. I modelli così realizzati, tuttavia, essendo molto grandi (in media 250.000 elementi per ogni modello) hanno richiesto dei tempi computazionali piuttosto elevati, pari a circa 12 ore ciascuno. La spaziatura tra un tile e l’altro è stata scelta pari a 0.5 mm. Figura 73 – modelli 3D L’evoluzione della morfologia del danno subito dai tiles ceramici è illustrato per ogni modello nelle Figure 74‐82 unitamente all’andamento nel tempo della relativa velocità residua del penetratore. 116
117
final step ‐ 50 μs Figura 74 – impatto centrale tile esagonale 800
750
700
650
600
Tempo [s]
3,
1E
-0
5
5,
1E
-0
5
850
5,
1E
-0
5
900
4,
6E
-0
5
950
4,
6E
-0
5
1000
4,
1E
-0
5
1050
4,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
Tempo [s]
3,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
1,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
20 μs 1,
1E
-0
5
6 μs 6,
0E
-0
6
0,
0E
+0
0
Velocità residua
penetratore [m/s]
5,
1E
-
4,
6E
-
4,
1E
-
3,
6E
-
3,
1E
-
2,
6E
-
2,
1E
-
1,
6E
-
1,
1E
-
6,
0E
-
05
05
05
05
05
05
05
05
05
06
0,
0E
+0
0
Velocità residua
penetratore [m/s]
6,
0E
-0
6
0,
0E
+0
0
Velocità residua
penetratore [m/s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
0,
0E
+0
0
6,
0E
-0
6
1,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
4,
6E
-0
5
5,
1E
-0
5
Velocità residua penetratore
[m/s]
0,
0E
+0
0
6,
0E
-0
6
1,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
4,
6E
-0
5
5,
1E
-0
5
Velocità residua penetratore
[m/s]
118
5 μs 20 μs final step ‐ 50 μs Figura 75 – impatto sul bordo tile esagonale Tempo [s]
5,
1
4,
6
4,
1
3,
6
3,
1
2,
6
2,
1
1,
6
1,
1
E0
E0
E0
E0
E0
E0
E0
E0
E0
E0
5
5
5
5
5
5
5
5
5
6
00
6,
0
0,
0E
+
Velocità residua penetratore
[m/s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
119
final step ‐ 45 μs Figura 76 – impatto sullo spigolo tile esagonale Tempo [s]
4,
8E
-
4,
6E
-
4,
1E
-
3,
6E
-
05
05
05
05
05
05
20 μs 3,
1E
-
05
05
05
06
4,
8E
-0
5
4,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
1,
1E
-0
5
6,
0E
-0
6
0,
0E
+0
0
5.5 μs 2,
6E
-
2,
1E
-
1,
6E
-
1,
1E
-
6,
0E
-
00
Velocità residua proiettile [m/s]
0E
4,
8E
4,
6E
4,
1E
3,
6E
3,
1E
2,
6E
2,
1E
1,
6E
1,
1E
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
6
+0
0
6,
0E
0,
Velocità residua proiettile [m/s]
0,
0E
+
Velocità residua proiettile [m/s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
0E
+0
0
120
final step ‐ 50 μs Figura 77 – impatto centrale tile quadrato Tempo [s]
5,
1E
-0
5
4,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
20 μs 800
750
700
650
600
3,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
1,
1E
-0
5
6,
0E
-0
6
0,
0E
+0
0
5,
1E
-0
5
850
5,
1E
-0
5
900
4,
6E
-0
5
950
4,
6E
-0
5
1000
4,
1E
-0
5
1050
4,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
Tempo [s]
3,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
1,
1E
-0
5
6 μs 2,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
1,
1E
-0
5
0E
+0
0
6,
0E
-0
6
0,
Velocità residua proiettile
[m/s]
Velocità residua proiettile
[m/s]
6,
0E
-0
6
0,
Velocità residua proiettile
[m/s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
0,
0E
+0
0
6,
0E
-0
6
1,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
4,
6E
-0
5
5,
1E
-0
5
Velocità residua proiettile
[m/s]
0
6,
0E
-0
6
1,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
4,
6E
-0
5
5,
1E
-0
5
0,
0E
+0
Velocità residua proiettile
[m/s]
0,
0E
+0
0
6,
0E
-0
6
1,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
3,
1E
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5
3,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
4,
6E
-0
5
5,
1E
-0
5
Velocità residua proiettile
[m/s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
6 μs 1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
16 μs 1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
final step ‐ 50 μs Figura 78 – impatto sul bordo tile quadrato 121
122
final step ‐ 50 μs Figura 79 – impatto sullo spigolo tile quadrato Tempo [s]
4,
4,
4,
3,
3,
8E
-0
5
6E
-0
5
1E
-0
5
6E
-0
5
1E
-0
5
20 μs 6E
-0
5
1E
-0
5
6E
-0
5
1E
-0
5
0E
-0
6
4,
8E
-0
5
4,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
1,
1E
-0
5
6,
0E
-0
6
0,
0E
+0
0
6 μs 2,
2,
1,
1,
6,
00
Velocità residua proiettile [m/s]
4,
4,
4,
3,
3,
2,
2,
1,
1,
6,
8E
6E
1E
6E
1E
6E
1E
6E
1E
0
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
6
+0
0E
0,
0E
Velocità residua proiettile [m/s]
0,
0E
+
Velocità residua proiettile [m/s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
123
final step ‐ 50 μs Figura 80 – impatto centrale tile triangolare Tempo [s]
5,
1E
4,
6E
4,
1E
3,
6E
3,
1E
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
20 μs -0
5
-0
5
-0
5
-0
5
4,
6E
-0
5
5,
1E
-0
5
4,
6E
-0
5
5,
1E
-0
5
3,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
1,
1E
-0
5
6,
0E
-0
6
0,
0E
+0
0
4,
1E
-0
5
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
4,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
Tempo [s]
3,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
1,
1E
-0
5
6,
0E
-0
6
0,
0E
+0
0
6 μs 2,
6E
2,
1E
1,
6E
1,
1E
-0
6
+0
0
Velocità residua proiettile
[m/s]
Velocità residua proiettile
[m/s]
6,
0E
0,
0E
Velocità residua proiettile
[m/s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
124
+0
0
6,
0E
-0
6
1,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
4,
6E
-0
5
5,
1E
-0
5
0E
Velocità residua proiettile [m/s]
0E
16 μs Tempo [s]
final step ‐ 50 μs Figura 81 – impatto sul bordo tile triangolare 5,
1E
4,
6E
4,
1E
3,
6E
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
6 μs 3,
1E
2,
6E
2,
1E
1,
6E
1,
1E
0
-0
6
+0
Velocità residua proiettile [m/s]
6,
0E
0,
0E
5,
1E
4,
6E
4,
1E
3,
6E
3,
1E
2,
6E
2,
1E
1,
6E
1,
1E
0
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
5
-0
6
+0
Velocità residua proiettile [m/s]
6,
0E
0,
0,
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
125
Tempo [s]
final step – 48 μs Figura 82 – impatto sullo spigolo tile triangolare 4,
8E
-0
5
4,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
20 μs 3,
1E
-0
5
0
6,
0E
-0
6
1,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
4,
6E
-0
5
4,
8E
-0
5
0,
0E
+0
6 μs 2,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
1,
1E
-0
5
6,
0E
-0
6
00
Velocità residua proiettile
[m/s]
0
6,
0E
-0
6
1,
1E
-0
5
1,
6E
-0
5
2,
1E
-0
5
2,
6E
-0
5
3,
1E
-0
5
3,
6E
-0
5
4,
1E
-0
5
4,
6E
-0
5
4,
8E
-0
5
0,
0E
+0
Velocità residua proiettile
[m/s]
0,
0E
+
Velocità residua proiettile
[m/s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Tempo [s]
1050
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
Come si può evincere dall’osservazione morfologica, i danneggiamenti dei tiles cambiano notevolmente a seconda del tipo di impatto. In generale, l’impatto sullo spigolo produce un danno sulla piastrella di allumina meno esteso rispetto al relativo impatto centrale. Tale condizione, tuttavia, se da una parte rivela che nel caso di impatto sullo spigolo il tile avrebbe una migliore resistenza al multi‐hit, dall’altra corrisponde ad una maggiore velocità residua del proiettile, soprattutto nel caso del tile triangolare. Di seguito sono rappresentati i grafici riassuntivi delle velocità residue dei proiettili. 1050
1000
950
900
triangolo
quadrato
esagono
850
800
750
700
650
600
0,0E+00 6,0E-06 1,1E-05 1,6E-05 2,1E-05 2,6E-05 3,1E-05 3,6E-05 4,1E-05 4,6E-05 5,1E-05
Tempo [s]
Impatto sul bordo
Velocità residua proiettile [m/s]
Velocità residua proiettile
[m/s]
Impatto centrale
1050
1000
950
900
triangolo
quadrato
esagono
850
800
750
700
650
600
0,0E+00 6,0E-06 1,1E-05 1,6E-05 2,1E-05 2,6E-05 3,1E-05 3,6E-05 4,1E-05 4,6E-05 5,1E-05
Tempo [s]
126
Velocità residua proiettile [m/s]
Impatto sullo spigolo
1050
1000
950
900
triangolo
quadrato
esagono
850
800
750
700
650
600
0,0E+00 6,0E-06
1,1E-05
1,6E-05
2,1E-05
2,6E-05
3,1E-05
Tempo [s]
Figura 83 Figura 84 127
3,6E-05
4,1E-05
4,6E-05
4,8E-05
Analizzando le velocità residue dei proiettili, si evince che l’influenza della forma del tile si risente solo nel caso di impatto sullo spigolo. Tale risultato può essere giustificato dal fatto che nell’impatto sullo spigolo, laddove sono presenti più bordi che convergono nello spigolo stesso, come nel caso del tile triangolare, la capacità resistente dell’armatura è minore. Nello spigolo di un’armatura a tile triangolari convergono sei bordi, mentre in quello di un tile esagonale tre. La resistenza balistica del tile, quindi, risente fortemente della presenza dei bordi, quasi come se questi costituissero delle crinature preesistenti del materiale. A valle di questa prima considerazione, quindi, il tile a forma esagonale sembrerebbe quello più idoneo all’impiego anti‐balistico. Tuttavia, in uno schema di tile esagonali, a parità di area considerata, sono presenti molti più spigoli di uno schema a tile triangolari. In uno schema a nove tile esagonali, ad esempio, sono presenti dieci spigoli, mentre in uno schema equivalente a tile triangolari ce ne sono tre (Figura 85) con un numero di spigoli, quindi, che diminuisce più del 30%. Figura 85 128
Dai risultati ottenuti, si evince che, fissate le dimensioni dell’armatura, è opportuno ridurre il più possibile il numero di spigoli presenti al fine di diminuire la probabilità che su di esso vi impatti un proiettile. È necessario, quindi, trovare un giusto compromesso tra resistenza anti‐balistica (velocità residua) in corrispondenza dello spigolo e numero di spigoli presenti nell’armatura, variabili entrambe dipendenti dalla forma del tile. Tale scelta non può essere svincolata dal tipo di minaccia alla quale l’armatura è soggetta. Nel caso di multi‐
hit, ad esempio, la probabilità che uno dei proiettili penetri attraverso lo spigolo dell’armatura è più elevata rispetto al caso di single‐hit, dirigendo la scelta verso un basso numero di spigoli. Nel caso, invece, in cui l’obbiettivo da proteggere sia particolarmente vulnerabile potrebbe essere più opportuno fare in modo tale che la velocità residua sia la più bassa possibile. 129
5.3 Analisi FEM 3D sulle dimensioni dei tiles ceramici Come osservato nel paragrafo precedente, gli spigoli di un armatura a schema di tiles sono i punti più critici a livello di resistenza anti‐balistica. Fissata la forma del tile, tuttavia, il numero degli spigoli dipende non solo dalla forma geometrica del tile, ma anche dal numero di tiles totali presenti sull’armatura e, quindi, dalle dimensioni del tile stesso. Per poter valutare l’influenza delle dimensioni dei tiles, quindi, sono stati sviluppati altri tre modelli numerici su schemi di tiles a forma esagonale con dimensioni dei tiles decrescenti a partire da 1600 mm2. La scelta del tile esagonale è legata al fatto che quest’ultimo, si è visto (Figura 83), è il più performante dal punto di vista anti‐balistico. Le dimensioni dei tiles sono state rapportate al calibro del penetratore. I valori scelti sono stati: a) 2A/D = 5.25 b) 2A/D = 2.6 c) 2A/D = 1.3 dove A è l’apotema dell’esagono e D il calibro del proiettile. I tre schemi di tiles sono rappresentati in Figura 86. 130
Figura 86 – schemi di tiles esagonali La velocità d’impatto è sempre 1 Km/s ed i modelli dei materiali utilizzati sono ovviamente gli stessi di quelli utilizzati nel capitolo precedente. La morfologia del danno finale al variare della dimensione dei tiles è rappresentata nella Figura 87. 131
Figura 87 – morfologia del danno al variare di A/D 132
L’andamento della velocità del proiettile al variare del rapporto A/D è illustrato nel grafico di Figura 88, mentre in Figura 89 è presente un istogramma che rappresenta più specificatamente le sole velocità finali. 2A/D=2,6
2A/D=1,3
1000
950
900
850
800
750
700
650
600
0,0E+00
1,0E-05
2,0E-05
3,0E-05
4,0E-05
5,0E-05
Tempo [s]
Figura 88 2A/D=5.25
Velocità residua proiettile [m/s]
Velocità residua proiettile
[m/s]
2A/D=5,25
2A/D=2,6
2A/D=1,3
740
730
720
710
700
690
680
670
660
650
640
1
Figura 89 133
Dai risultati illustrati nelle figure precedenti emergono le seguenti considerazioni. Osservando la morfologia del danneggiamento al variare del rapporto A/D, si evince che il danno dell’armatura resta confinato all’interno del tile, tranne che per rapporti A/D troppo piccoli. Nel momento in cui la dimensione della piastrella, infatti, è comparabile con quella del proiettile, il danno riesce ad estendersi nei tiles adiacenti. Piastrelle di grandi dimensioni, quindi, oltre a diminuire il numero degli spigoli dell’armatura, avrebbero il vantaggio di riuscire per così dire a “contenere” il danno all’interno di esse, senza compromettere la restante parte di armatura. Il risultato anti‐balistico migliore, inoltre, si è ottenuto per il rapporto A/D maggiore, pari a 5.25. Ovviamente, però, tiles di dimensioni troppo elevate provocherebbero un danno troppo esteso, visto e considerato che l’impatto puntuale su di una piastrella ceramica, per le caratteristiche stesse del materiale, si propaga sempre fino ai bordi del tile. Una delle funzioni stesse del tile, infatti, è proprio quella di limitare il danno in una piccola porzione di armatura. 134
CONCLUSIONI Obbiettivo di tale tesi era quello di fornire uno strumento numerico che fosse di ausilio alla progettazione delle armature composite in allumina. In particolare, lo studio è stato concentrato sull’influenza sulla resistenza anti‐balistica della forma e delle dimensioni dei tiles ceramici al variare del punto d’impatto della minaccia. L’attività è stata sviluppata passando attraverso una fase preliminare di taratura del codice numerico agli elementi finiti. I modelli FEM sono stati realizzati con approccio lagrangiano e solutore numerico di tipo esplicito. I risultati del Flyer Plate Impact Test, effettuato per valutare l’efficienza della simulazione del comportamento dell’allumina, ha fornito degli ottimi risultati. Per impatti dell’ordine dei 1000 m/s il profilo di velocità segue quasi fedelmente il dato sperimentale, indicando che il modello di Johnson‐Holmquist 2 utilizzato per il modello l’allumina riproduce in maniera accettabile il reale comportamento del materiale. Successivamente, per valutare la capacità di modellazione del fenomeno di penetrazione del proiettile all’interno del materiale ceramico sono state sviluppate tre configurazioni di Depth Of Penetration Test confrontando anche in questo caso il risultato del dato sperimentale con quello FEM. La tre configurazioni rappresentano tre diverse condizioni di vincolo del tile e su tutte le suddette configurazioni sono stati realizzati due impatti a differente velocità. In questo caso il modello numerico ha fornito risultati accettabili per velocità dell’ordine dei 1500 m/s ed indipendentemente dalla configurazione di vincolo, evidenziando errori non più trascurabili per velocità superiori. L’analisi parametrica FEM, quindi, è stata realizzata, tenuto conto dei risultati ottenuti precedentemente, con una velocità d’impatto pari a 1000 m/s. Sono state analizzate tre 135
diverse forme di tile (triangolare, quadrata ed esagonale) con tre diversi punti di impatto (al centro, sul bordo e sullo spigolo). Quella considerata per l’analisi parametrica è stata un’armatura con tiles in allumina e backing in acciaio 4340. Occorre specificare, inoltre, che nel modello FEM non è stato simulato l’adesivo esistente tra tile ceramico e backing metallico, ipotizzando che il legame tra i due materiali fosse di tipo ideale. I risultati dell’analisi parametrica rivelano una rilevante influenza del fattore di forma del tile per impatti in corrispondenza dello spigolo, mostrando un’efficacia superiore nel caso di tile a forma esagonale. Tale efficacia, tuttavia, se confrontata con quella per impatto centrale e su bordo, proprio in corrispondenza dello spigolo presenta la sua maggiore criticità; da questo punto di vista il tile di forma esagonale, rispetto a quelli di forma triangolare e quadrata, è quello meno favorevole essendo costituito di per sé da sei vertici. In fase di progettazione delle armature con tiles ceramici, quindi, è opportuno trovare un giusto compromesso tra una sufficiente resistenza anti‐balistica nello spigolo e il numero degli spigoli stessi, variabili entrambe dipendenti dalla forma del tile. Le prestazioni anti‐balistiche dell’armatura, inoltre, sono dipendenti oltre che dalla forma anche dalle dimensioni stesse delle piastrelle. Dall’analisi dimensionale è emerso che l’efficienza dell’armatura diminuisce fortemente per rapporti 2A/D<2.5, ovvero per dimensioni dei tile paragonabili al calibro della minaccia. Anche in questo caso, da una prima considerazione sembrerebbe conveniente realizzare dei tiles di grandi dimensioni. In realtà, tiles di grandi dimensioni significano estese aree di danneggiamento anche nel caso di singolo impatto subito dall’armatura. Negli sviluppi futuri di tale attività è prevista una serie di prove a carattere sperimentale finalizzate alla verifica dei dati numerici ottenuti con l’analisi parametrica FEM. Il modello, inoltre, potrebbe essere ulteriormente raffinato modellando il legame adesivo tra ceramica e backing. 136
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analisi del danno da impatto ad alta velocità su strutture composite