IL CARCINOMA DELLA MAMMELLA Il carcinoma della mammella è il più comune tumore maligno nella donna. Nelle popolazioni ad alto tasso di sviluppo industriale la sua frequenza è in continuo aumento. Negli Stati Uniti si calcola che una donna che nasce oggi avrà una probabilità su dieci di sviluppare, nell’arco della propria vita, una neoplasia maligna della mammella. Esistono dei fattori di rischio certi: 1) 2) 3) 4) 5) STORIA DI PREGRESSO TUMORE ALLA MAMMELLA FAMILIARITÀ PER TUMORI DELLA MAMMELLA, UTERO OVAIO E COLON NULLIPARITÀ MENARCA PRECOCE E MENOPAUSA TARDIVA USO DI ESTROGENI Alcuni dati sono invece confortanti e premiano la scrupolosa ricerca che è stata portata avanti in centri di tutto il mondo: 1) 2) la mortalità per tumori della mammella è in costante e sensibile diminuzione da almeno un decennio a questa parte oggi la diagnosi di neoplasia maligna della mammella non significa per forza nella grande maggioranza dei casi mutilazione (mastectomia) La mortalità per le pazienti affette da carcinoma della mammella è in diminuzione soprattutto per la presa di coscienza da parte delle donne che si sottopongono con maggior attenzione ad esami di screening e alla maggiore attenzione che i medici curanti pongono a questo problema. Questa presa di coscienza ha fatto sì che all’attenzione del chirurgo siano indirizzate sempre più donne con tumori piccoli, spesso non palpabili (diagnosi preclinica). Nel nostro database prospettico aperto nel 1999 nel quale sono inserite quasi 700 donne con neoplasie della mammella operate la grandezza mediana del tumore è stata di 15 mm. Precocità della diagnosi significa fondamentalmente tre cose: 1) minore probabilità di avere metastasi alle ghiandole ascellari (il primo filtro interessato dalla malattia qualora iniziasse a spostarsi dal tumore principale per diffondersi) 2) minore probabilità di ricadute della malattia e quindi chemioterapia meno aggressiva o non necessaria del tutto 3) maggior probabilità di avere un risultato cosmetico ottimo e di evitare la mastectomia La chirurgia conservativa E’ stato ormai ampiamente documentato da studi prospettici su un larghissimo campione di donne che l’intuizione avuta da Veronesi negli anni 1970 era basata su solide fondamenta e cioè che la asportazione ampia del tumore (QUADRANTECTOMIA-TUMORECTOMIA) seguita da radioterapia esterna sulla mammella era equivalente in termini di sopravvivenza alla asportazione di tutto il seno e dei muscoli pettorali (MASTECTOMIA RADICALE). Oggi il compito del chirurgo in sala operatoria è soprattutto quello di fare una diagnosi di stadio della malattia e di asportare solamente la parte colpita dal tumore evitando cioè inutili mutilazioni alla donna. In questa ottica alcuni ricercatori hanno messo a punto verso la metà degli anni 90 la tecnica del linfonodo sentinella. La biopsia del linfonodo sentinella si basa sul concetto che con la crescita del tumore le cellule tumorali si spostano dalla sede primitiva alle ghiandole linfatiche contenute nell’ascella in un modo ordinato. E stato in effetti dimostrato che iniettando delle sostanze coloranti che hanno affinità per il sistema linfatico (Blu di Evans) ovvero delle sostanze radioattive (Tecnezio) queste si comportano nello stesso modo che farebbero le cellule tumorali e si fermano nel primo linfonodo dell’ascella. Il chirurgo asporta solamente questo linfonodo e analizzandolo a fondo può evitare di rimuovere tutte le ghiandole dell’ascella (DISSEZIONE ASCELLARE) che è la parte dell’intervento più gravata da effetti collaterali (gonfiore del braccio, anestesia del braccio, drenaggio di linfa e accumuli di liquido sotto l’ascella). L’importanza di questa metodica conservativa aumenta quando si tenga conto che la probabilità di avere metastasi nei linfonodi ascellari è proporzionale alla grandezza del tumore primitivo. Più è piccolo il tumore e meno probabili sono le metastasi ascellari: donne con tumori di 1-2 cm hanno dal 20 al 30% di probabilità di avere metastasi (questo vuol dire che nel 7080% dei casi che giungono oggi alla nostra osservazione i linfonodi verrebbero INUTILMENTE asportati con una dissezione ascellare completa in quanto non contengono tumore). Nella nostra esperienza le donne operate con questa tecnica possono essere dimesse in media il giorno dopo l’intervento, senza nessun drenaggio e con un tasso di successo del 98% mentre abbiamo osservato un solo caso di recidiva ascellare su quasi 700 pazienti operate. La chirurgia demolitiva Oggi la mastectomia (ovvero l’asportazione di tutta la mammella inclusa l’areola e il capezzolo) e un intervento chirurgico ancora eseguito per il trattamento del carcinoma della mammella e le statistiche dimostrano che in circa 1/3 dei casi è necessaria. La necessità di eseguire l’asportazione totale del seno è data non tanto da una malattia più avanzata quanto dalla presenza di una malattia diffusa multicentrica che nasce cioè in più parti della stessa ghiandola (MULTIFOCALE) e che pertanto non è curabile adeguatamente con un trattamento conservativo. A volte donne ad altissimo rischio di tumore vuoi per fattori genetici vuoi per presenza di tumori non invasivi (CARCINOMA IN SITU) vengono sottoposte a mastectomie “profilattiche” per evitare l’insorgenza di tumori. In tutti questi casi l’ausilio del chirurgo plastico per la ricostruzione è fondamentale tenendo presente che il risultato finale è deciso al momento dell’intervento iniziale e qualsiasi “ritocco successivo” per rimediare ad errori o complicazioni dei precedenti interventi è sempre difficile e gravato da risultati poco soddisfacenti. Ecco perché sempre più spesso nella nostra sala operatoria le due equipes quella del chirurgo oncologo e quella del chirurgo ricostruttivo si avvicendano sullo stesso caso. Dr Carlo Eugenio Vitelli Primario Divisione di Chirurgia Oncologica Ospedale Vannini – ROMA Responsabile Area Chirurgica Rome American Hospital-ROMA Generale ed