LEZIONE
“INDICATORI DI QUALITÀ”
PROF. NICOLA PAPARELLA
Università Telematica Pegaso
Indicatori di qualità
Indice
1
Gli indicatori di qualità----------------------------------------------------------------------------------- 3
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
(L. 22.04.1941/n. 633)
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Indicatori di qualità
1 Gli indicatori di qualità
Già nella seconda lezione abbiamo usato questa espressione, “indicatori di qualità”; in
questa lezione tenteremo di spiegarla, per capire che cosa si intenda, quando si parla di un
indicatore di qualità e soprattutto per saperci orientare attraverso all’interno della letteratura
scientifica sugli indicatori di qualità.
Con l’occasione cercheremo anche di cogliere le differenze d’uso di parole che spesso si
accompagnano a quella degli indicatori e, più in generale, ci accosteremo ai discorsi riferibili ai
temi della qualità.
Negli ultimi tempi è andata crescendo la sensibilità generale verso i problemi della qualità.
Questa parola, che mantiene ancora un alone di polisemia da cui forse non pare nemmeno giusto
riscattarla, perché anzi ne consente quel potere connotativo che tanto piace ai nostri giorni, questa
parola che soltanto cinquant’anni fa appariva dotata di una forza più allusiva che descrittiva, è
diventata, a seconda dei casi, un problema, un compito, una risorsa e persino, in certi casi, un
business.
Dopo le prime incerte esperienze, finalizzate ad assicurare le condizioni di riproducibilità
dei prodotti, e quindi in contesti fortemente esposti alla logica e alla cultura del consumo, il
problema della qualità ha subito anch’esso, un certo diverso orientamento a vantaggio di prospettive
più legate a considerazioni di pertinenza rispetto all’orizzonte valoriale della persona, alle sue attese
ai suoi bisogni materiali e immateriali. Proprio su questo fronte, tuttavia, la ricerca è ancora ai primi
passi e sta offrendo oggi i primi risultati, per altro interessanti.
Sicuramente non è la stessa cosa giudicare la qualità di un bene strumentale e la qualità di un
processo, attestare la qualità di un servizio come può essere il sistema metropolitana o il sistema
delle autolinee di una città e, per contro, certificare la qualità di un ospedale o la qualità di una
scuola. Ci sono prodotti e servizi per i quali garantire la costanza dei risultati può essere
apprezzabile, e ci sono invece prodotti e servizi che hanno un precipuo ed essenziale carattere
migliorativo. Si pone perciò l’esigenza di differenziare, discutere, confrontare e caratterizzare un
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discorso – quello sulla qualità – che non può essere esposto a forme di omologazione o di
generalizzazione improvvida1.
La qualità riferita ai temi della formazione ha un carattere sicuramente specifico e lo stesso
discorso sugli indicatori ne resta condizionato
In via del tutto introduttiva distingueremo gli elementi di un processo, diverse unità in
esame, i piccoli nuclei di attenzione, dai fattori che sono invece degli elementi che cambiano al
variare di altri elementi.
Gli indicatori rappresentano più elementi, e possono rappresentare anche più fattori o più
relazioni fra elementi. Quindi l'indicatore è sempre qualcosa di complesso. C’è un indicatore che
tutti conoscono, il PIL, che è il prodotto interno lordo. Viene espresso con una sola cifra, ma in
quella cifra vanno a confluire una serie di dati, una serie di elaborazioni, una serie di stime… e tutto
questo serve poi a stimare la ricchezza media di un paese.
Lo standard, invece, come diremo più innanzi, è un'altra cosa ancora. E’ un contrassegno
globale, che funge da regola, da norma, da vincolo Quante volte ci è stato detto “dobbiamo entrare
nei parametri di Maastricht”: Ecco, quei parametri fungono da standard.
Facciamo un passo innanzi. Che cos'è, più esattamente, un indicatore? È un'informazione
(qualitativa oppure quantitativa, a volte qualitativa e quantitativa insieme), associata ad un
fenomeno, o anche ad un processo, o anche ad un processo complesso, o a un risultato. E questa
informazione, qualitativa o quantitativa, consente di valutare le modificazioni che si sono registrate
nel tempo per verificare il conseguimento di determinati obiettivi. E tutto questo per consentire la
corretta assunzione di decisioni e di scelte.
Gli indicatori abbiamo detto possono essere qualitativi, quantitativi, e qualche volta sono
qualitativi e quantitativi.
La nozione di “indicatore” può assumere significati diversi a seconda che si faccia
riferimento a descrittori di tipo quantitativo o a descrittori di tipo qualitativo.
Si preferiscono quelli di tipo quantitativo quando le informazioni che riguardano il
fenomeno in esame possono essere espresse in termini numerici o comunque in termini
1
1
Cfr. N. PAPARELLA (cur.), La ricerca didattica per la qualità della formazione, Pensa Multimedia, Lecce, 2002
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agevolmente traducibili in rapporti di tipo quantitativo. In molti casi, però, le informazioni possono
essere assunte soltanto in termini descrittivi, solitamente, sotto forma testuale, con riferimento alle
connotazioni stesse del fenomeno, ed allora si fa ricorso ad indicatori di tipo qualitativo.
Sono quantitativi quando le informazioni possono essere espresse, e assunte, in termini
numerici. Per esempio, io dico 32 bambini, 40 assenze, 18 presenze... Questi sono indicatori
quantitativi. Indicatori qualitativi invece quando per esprimere l'indicatore ho bisogni di termini
testuali. Quindi un’automobile che funziona, un allievo che è presente, un bambino che gioca, e via
di seguito.
Pur dovendosi escludere che i descrittori quantitativi siano sempre più carichi di
informazione rispetto agli indicatori qualitativi, giova ricordare che in alcuni casi il descrittore
quantitativo rinvia ad una pluralità di fatti e situazioni che trovano condensazione nel solo dato
numerico. E’ allora utile esplicitare l’insieme dei dati che si nascondono dietro al numero che
soltanto a queste condizioni assume davvero la funzione di “indicatore”2
La presenza degli allievi ad una certa attività può essere espressa, ad esempio, dal solo
numero di coloro che vi hanno effettivamente partecipato. Questo numero si carica di significato e
può diventare connotativamente più ricco, se viene utilizzato come sintesi alla serie dei fattori che
rendono possibile o impossibile la frequenza.
Per questo giova tener presente, accanto alla distinzione fra indicatori quantitativi e
indicatori qualitativi, l’altra a noi più utile, che permette di distinguere gli indicatori semplici da
quelli complessi, prevalentemente riferiti a processi, a prodotti non riconducibili a prototipi
standardizzati (la formazione, ad es.) o a microsistemi sociali (il corso di studio, ad es.).
Occorre conseguentemente porre molta attenzione alla proposizione che viene assunta come
descrittore, che deve poter riferire le caratteristiche o le proprietà di una certa situazione o di una
certa operazione, tenendo presente che alla maggiore ricchezza della descrizione corrisponde una
più sicura validità dell’indicatore, dovendosi ritenere che una descrizione più approfondita
rappresenta sicuramente meglio e con un più alto grado di approssimazione la qualità del fenomeno
in esame.
2
Utilizziamo, qui, alcune osservazioni già svolte in altra occasione: N. PAPARELLA, Gli indicatori di qualità (in coll.),
In A. PERUCCA (cur.), Le attività di laboratorio e di tirocinio nella formazione universitaria, vol. I: Identità
istituzionale, modello organizzativo, indicatori di qualità, Armando, Roma, 2005, pp. 209 e ss.
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Perché un descrittore possa diventare un utile ed efficace indicatore occorre assicurare
cinque caratteri che conviene memorizzare:
Rilevanza: la rilevanza vuol dire che un indicatore non riguarda mai un carattere periferico,
non riguarda mai un elemento marginale; riguarda sempre un carattere centrale. Se io sto parlando
della efficacia di un corso di formazione, non andrò a vedere se le scarpe degli allievi erano lucide o
non erano lucide, perché questo elemento è marginale rispetto al progetto di formazione.
Significatività: si deve trattare di qualcosa che produce cambiamenti, ma ci si deve accertare
che non si tratti di cambiamenti che si producono casualmente. Per esempio ci son stati cinque
allievi che avevano la barba lunga quando hanno cominciato il corso e che poi hanno rasato la barba
quando hanno finito il corso: si può assumere questo fatto ad indicatore della efficacia della
formazione? Evidentemente, no, perché queste cose si producono casualmente.
Attendibilità. Se fatto assunto come indicatore è scelto bene, deve potersi riferirsi a
situazioni riproducibili, non può riferirsi a una situazione occasionale, eccezionale, straordinaria,
che si è verificata una volta sola e che poi non si verificherà mai più.
Misurabilità. Colui che adopererà l’indicatore dovrà poter costatare la frequenza dei
fenomeni in esame, potendo dire se l’evento si è prodotto, mai, raramente, cinque volte, ecc.
Graduabilità. Il fenomeno assunto come indicatore deve poter essere graduabile. Se ad
esempio consideriamo il fenomeno febbre, il rilevatore può stabilire non soltanto quanti siano i
ragazzi con la febbre (misurabilità) ma anche che tipo di oscillazione si coglie nella temperatura dei
ragazzi (graduabilità) potendo alla fine stabilire quanti hanno la febbre bassa, quanti hanno 38°,
quanti non hanno la febbre ecc.
Quindi misurabilità e graduabilità sembrano la stessa cosa ma sono due aspetti distinti.
In sintesi il descrittore deve poter indicare e descrivere elementi centrali e rilevanti del
fenomeno in esame (rilevanza del descrittore), possa essere riferibile a connotazioni che non si
producono casualmente (significatività del descrittore) e possa tradursi in espressioni confrontabili
con altre, raccolte nella stessa situazione o in situazioni analoghe (attendibilità dell’indicatore).
A questi aspetti è da aggiungere, come si è detto, la misurabilità dell’indicatore, quando si
faccia ricorso ad indici o a indicatori quantitativi, e la graduazione dell’indicatore, per tutti quei
casi (la maggior parte) nei quali il descrittore si riferisce a qualità presenti a diversi livelli, tant’è
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che si parla, in questi casi, di andamento degli indicatori rispetto all'obiettivo prefissato. Ad
esempio, la riuscita dell’allievo nel compito che gli è stato proposto può presentare diversi livelli di
espressione, a seconda che egli ce l’abbia fatta senza difficoltà, con qualche difficoltà, con molte
difficoltà e con o senza l’aiuto del tutor. Graduare l’indicatore “riuscita nel compito” può allora
avere un suo specifico rilievo.
Infine, perché questi indicatori possano essere davvero utilizzati, si richiede un certo livello
di condivisione delle questioni coinvolte dal processo in esame.
E’, questa, una condizione necessaria, ma non sufficiente, perché si possa parlare di un
sistema di qualità. Occorrerebbe aggiungere quanto meno una certa condivisione da parte degli
operatori che di fatto agiscono all’interno di una specifica situazione operativa.
In altri termini viene qui postulata, come condizione previa per l’utilizzazione degli
indicatori di qualità, una adeguata condivisione degli obiettivi e dell’impianto del discorso da parte
di tutti i partner dell’attività di formazione in esame.
Non si tratta di un aspetto soltanto formale, ma di una questione procedurale molto
impegnativa, perché si tratta di negoziare intese che agiscono come regolatori dell’azione e quindi
come motori stessi dell’attività di formazione.
Quest’ultima annotazione ci permette di chiarire con maggiore facilità la distinzione che
occorre sempre mantenere fra indicatori di qualità, elementi di qualità, fattori di qualità e standard
di qualità.
Se l’indicatore è di per sé rappresentativo di più elementi, si distingue da questi ultimi
soprattutto per la sua capacità di rappresentare e descrivere non soltanto gli elementi, ma anche le
relazioni che fra essi si pongono.
Con la nozione di fattore si enfatizza invece l’aspetto dinamico di un elemento che agisce e
muove un processo.
Quando si discute di standard di qualità si fa di per sé riferimento ad un contrassegno
globale; nel linguaggio comune, tuttavia, ed anche per un certo uso che se ne fa in sede scientifica,
la nozione di standard porta e trascina, più o meno esplicitamente, un ampio corollario di regole (e
persino di norme) che tendono ad omologare e ad uniformare un certo prodotto o un certo processo.
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Si tratta perciò di un termine da assumere con la dovuta prudenza 3, soprattutto in contesti di tipo
migliorativo, come è appunto quello del quale qui discutiamo.
La specificazione che si aggiunge alla parola “standard”, quando si discute di standard di
qualità, circoscrive e precisa, evidentemente, la funzione descrittiva dell’indicatore connotando non
già un contesto, come potrebbe essere, ad esempio, se si dicesse standard d’uso o standard di
mercato, o standard di
laboratorio, quanto uno specifico rilievo, di modo che l’espressione
standard di qualità sta a significare l’insieme delle caratteristiche e/o delle proprietà che un servizio
o un prodotto debbono possedere perché siano considerati servizi o prodotti di qualità. Questo
conseguentemente rinvia tanto al concetto di qualità quanto a quello di standard, e sottintende
anche una dimensione di socialità, dovendosi pensare che il giudizio di qualità sia da rapportare alle
caratteristiche che un gruppo autorevole di soggetti ritiene indispensabile perché un prodotto o un
servizio possa essere considerato di qualità.
Viene così a precisarsi il carattere relativo del concetto di qualità, non soltanto perché può
essere definito da diversi punti di vista in funzione di diverse sensibilità, ma anche perché può
assumere colorazioni molteplici in ragione delle premesse teoriche o delle considerazioni di sfondo
o degli interessi da difendere o delle attese da soddisfare.
Di conseguenza perché un concetto di qualità e i relativi standard possano essere applicati
efficacemente ad un determinato contesto è necessario che tutti gli attori che vi operano ne
condividano i significati.
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Può essere interessante, in questo contesto, ricordare quel che è stato fatto dalla Commissione ministeriale di studio
per il programma di riordino dei cicli di istruzione (D.M. 15 giugno 2000), che nel suo rapporto finale, affrontando i
problemi della scuola dell’infanzia (sottogruppo 7a) e in particolare la questione degli standard di qualità, ha precisato:
Essi "dovrebbero essere definiti in termini di requisiti essenziali per il funzionamento dell’istituzione e come garanzia,
da parte di chi gestisce la scuola, del soddisfacimento delle condizioni per assicurare una qualità di base. La nozione di
qualità va interpretata nella scuola dell’infanzia in riferimento alle condizioni dell’educare che influenzano in modo
determinante la crescita e lo sviluppo del bambino di tre-sei anni".
Lo stesso sottogruppo sulla scuola dell’infanzia, nel testo del paragrafo intitolato "La definizione di standard di qualità",
non descrive standard, come ci si potrebbe aspettare, ma soltanto fattori di qualità. (Cfr. documento in
http://www.annaliistruzione.it/riviste/annali/pdf/030400/030400ar12.pdf, p.10)
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