INSEGNAMENTO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO LEZIONE VI “LE FONTI DI DIRITTO ROMANO (E)” PROF. FRANCESCO M. LUCREZI Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI Indice 1 2 3 4 L’idea di codice e di ‘sistema di diritto’-------------------------------------------------------------- 3 1.1 La iuris prudentia ------------------------------------------------------------------------------------ 3 1.2 L’assenza di raccolte normative ------------------------------------------------------------------- 3 1.3 Le XII Tavole ---------------------------------------------------------------------------------------- 4 1.4 Cesare e Cicerone------------------------------------------------------------------------------------ 5 1.5 Masurio Sabino e Gaio ------------------------------------------------------------------------------ 6 1.6 L’editto del pretore ---------------------------------------------------------------------------------- 6 L’esigenza codificatoria nel dominato cristiano---------------------------------------------------- 7 2.1 Affermazione del cristianesimo e visione sistematica del diritto ------------------------------ 7 2.2 Sviluppo dell’industria letteraria ed editoriale --------------------------------------------------- 7 2.3 Il Codex Gregorianus e il Codex Hermogenianus ----------------------------------------------- 8 2.4 Il Codex Theodosianus------------------------------------------------------------------------------ 8 Il Corpus iuris civilis----------------------------------------------------------------------------------- 10 3.1 Il Codex Iustinianus ------------------------------------------------------------------------------- 10 3.2 I Digesta--------------------------------------------------------------------------------------------- 11 3.3 Le Institutiones------------------------------------------------------------------------------------- 11 3.4 Le Novellae----------------------------------------------------------------------------------------- 12 3.5 Giustiniano fra mondo classico e Medio Evo -------------------------------------------------- 12 3.6 La risignificazione della giurisprudenza classica ---------------------------------------------- 13 3.7 Prevalenza delle leges sui iura ------------------------------------------------------------------- 14 3.8 Ispirazione teologica del Corpus iuris civilis--------------------------------------------------- 14 Le modalità di riforma del diritto------------------------------------------------------------------- 16 4.1 Le constitutiones imperiali ----------------------------------------------------------------------- 16 4.2 La desuetudine ------------------------------------------------------------------------------------- 16 4.3 I canoni conciliari---------------------------------------------------------------------------------- 16 4.4 Le interpolazioni ----------------------------------------------------------------------------------- 17 4.5 Le riedizioni dei testi giurisprudenziali e delle leges imperiali ------------------------------ 18 Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 2 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI 1 L’ idea di codice e di ‘sistema di diritto’ 1.1 La iuris prudentia Fu sostanzialmente estranea, per lunghi secoli, alla civiltà romana – come, è da dire, alla generalità delle civiltà dell’antico Mediterraneo – una concezione del diritto (simile a quelle affermatesi nell’età moderna) come ‘sistema’, complesso organico e totalizzante di norme e nozioni, atto a indicare e imporre il ‘dover essere’ appropriato, secondo un meccanismo astratto e predefinito, a qualsiasi comportamento umano socialmente rilevante. Le fonti del diritto romano – leges regiae e rogatae, senatus consulta, edicta magistratuali, constitutiones prìncipum, responsa prudentium -, come sappiamo, si caratterizzarono sempre, lungo i secoli, per la loro molteplicità e concorrenzialità, nonché per la diversa attitudine a produrre direttamente effetti normativi e vincolanti, e gli istituti giuridici – tanto di ius civile quanto di ius honorarium – creati ‘dal basso’, consolidati e riconosciuti in forza della loro semplice funzionalità e reiterazione, non furono mai elevati a ‘sistema’, a corpo ordinato ed esaustivo di regole comuni. La iuris prudentia, certamente, si affermò come una forma di scienza, come preciso e specifico ramo del sapere, contrassegnato da una peculiarità di logica, di ratio e utilitas, e da un elevato grado di tecnicismo (tanto da aver fatto addirittura parlare, secondo una definizione in verità alquanto forzata, di un ‘isolamento’ della giurisprudenza romana dalle altre forme di sapere): ma i giureconsulti costruirono e divulgarono la loro scienza, per lo più, secondo un criterio casistico, affrontando, volta per volta, i casi pratici sottoposti alla loro attenzione, senza inserire le proprie elaborazioni – tranne alcune, parziali, eccezioni – in un’impalcatura generale di tipo organico e sistematico. 1.2 L’assenza di raccolte normative Assenti anche, fino alla fine del terzo secolo d.C. (quando appaiono, con i Codices Gregorianus [292-293] ed Hermogenianus [293-295?], le prime sillogi private di costituzioni imperiali [contenenti però rescritti, ossia pronunce su casi specifici, non aventi portata generale]), le raccolte di leggi o di altri atti normativi (se si fa eccezione per l’incerta notizia relativa alla compilazione di un elenco di leges regiae [ cd. ius civile Papirianum], redatto, secondo Pomponio [D. 1.2.2.2], da Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 3 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI un tale Sesto Papirio). Un’assenza che risalta in confronto, per esempio, alle antiche civiltà semite, dove le raccolte di norme erano consuete (basti pensare ai cd. Codici di Hammurabi e di UrNammu, alle Leggi ittite e assire, alla stessa collocazione dei precetti mosaici nei libri dell’Esodo, del Levitico e del Deuteronomio), anche per permetterne la conoscenza da parte dei sudditi, e che sembra confermare come la lex, secondo la mentalità romana, fosse considerata valere per sé stessa, nella sua individualità, e non come tassello di un più ampio ‘sistema legislativo’. Anche se va osservato, al proposito, che la funzione ‘pubblicitaria’ svolta dalle raccolte legislative dell’antico Vicino Oriente fu assolta nel mondo romano, per molti secoli, dall’editto del pretore; e che, comunque, anche le menzionate sillogi orientali (nonostante l’uso, nelle lingue moderne, della definizione, impropria e fuorviante, di ‘codice’) non ebbero mai alcun carattere di completezza e organicità che andasse al di là della mera raccolta di comandi, spesso diversi ed eterogenei nei contenuti. 1.3 Le XII Tavole Le XII Tavole, come sappiamo, ebbero un’alta importanza, alla metà del quinto secolo a.C., nel definire in modo certo e pubblico alcuni princìpi dello ius civile, sottraendoli così all’indeterminatezza e all’arbitrio dell’interpretazione pontificale, e la loro memoria conservò per molti secoli una funzione fondamentale, nel rendere ‘eterni’ e ‘immodificabili’ quegli istituti civilistici che si aveva interesse a preservare intatti (anche quando questi non facessero in realtà originariamente parte del testo decemvirale, ma fossero a questo retroattivamente ricollegati), imponendo poi la giurisdizione creativa, elastica ed ‘elusiva’ dello ius honoraium. Esse, comunque, non nacquero come ‘codice’ o ‘sistema’ di diritto; e se si avvicinarono a diventarlo, in una certa misura, nella loro ‘dilatazione’ successiva (che portò Tito Livio [3.34.6], come abbiamo già ricordato, a definirle addirittura “fons omnis pùblici privatìque iuris”), ciò avvenne nel contesto di un quadro molteplice e frastagliato di regolamentazione giuridica, nel quale alla lex duòdecim Tabularum fu assegnato il compito di custodire e trasmettere i valori della civiltà rurale nelle mutate esigenze del mondo mercantile, interpretate da diverse forme e procedure giuridiche, nate ‘fuori’ dal ‘sistema’ decemvirale e applicate, spesso, ‘contro’ di esso. Il diritto privato romano, nei secoli della repubblica, conservò, comunque sempre, nonostante il paradigma delle XII Tavole, una natura decisamente ‘asistematica’, fluida e magmatica, tanto sul piano dell’imposizione normativa quanto su quello della speculazione teorica. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 4 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI 1.4 Cesare e Cicerone Negli anni della crisi della repubblica abbiamo notizia di due diversi tentativi, singolarmente simili, messi in atto rispettivamente da Cesare e da Cicerone – a livello politico, il primo, sul piano scientifico, il secondo -, di ridurre il diritto civile ad ‘unità’, creandone una sorta di perfetta e sufficiente sintesi, ma entrambi risultano essere andati incontro a un fallimento. Cesare, secondo Svetonio (Iul. 44), avrebbe coltivato il progetto di trasformare lo ius civile in una ‘certezza’ (ad certum modum redìgere), estrapolando, dalla straripante e confusa massa di norme (immensa diffusàque legum copia), le sole cose migliori e necessarie (optima… et necessaria), per raccoglierle in pochissimi libri (in paucissimos libros). In tali asserite intenzioni alcuni hanno scorto l’idea di una sorta di prima ‘codificazione’ del diritto, in linea con le ambizioni monarchiche di Cesare; fatto sta, però, che il disegno non vide mai la luce, e – anche a voler ammettere, come fanno taluni, che la sua realizzazione sarebbe stata impedita dalla prematura fine del suo ideatore - difficilmente, a nostro avviso, esso, quand’anche messo in atto, avrebbe incontrato successo. Quanto a Cicerone – che, come abbiamo ricordato, non era un giurista, ma un rètore, contrapposto ai iuris periti da un’aspra polemica e rivalità -, abbiamo notizia (Gell., N.A. 1.22.7; Quint., Inst. or. 12.3.10; Charis., Ars gramm. 1.138, s.v. nobiles; Cic., De or. 1.186) della redazione, da parte sua, di un’opera, a noi non pervenuta, intitolata De iure civili in artem redigendo, nella quale avrebbe provato ad applicare alla scienza del diritto il metodo dialettico aristotelico, con una finalità essenzialmentte didattica, ossia per ordinare e sintetizzare il diritto civile in un sistema breve e concluso, fondato su definizioni e distinzioni chiare ed elementari, che ne rendesse agevole l’uso e l’apprendimento anche da parte dei non esperti. Lo scopo dell’opera sarebbe stato, in sostanza, quello di rendere la cognizione dello ius civile facile e accessibile, sottraendola al monopolio dei giuristi, per inglobarla nella retorica, che l’avrebbe trasformata in un ‘sistema chiuso’, riducibile ad agevole sintesi. Ma l’opera di Cicerone non risulta avere lasciato alcuna traccia significativa, e incontrò, comprensibilmente, il più sprezzante silenzio da parte dei giureconsulti, che videro nel De iure civili in artem redigendo, come è stato osservato da Fritz Schulz, “precisamente l’opposto” dei loro obiettivi, che rano quelli di “padroneggiare la sempre cresecente molteplicità dei casi concreti”, aspirando così a una “ricerca dialettica eterna”, a un “sistema aperto”. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 5 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI 1.5 Masurio Sabino e Gaio Nell’età del principato, la letteratura giurisprudenziale continua a confrontarsi con la scientia iuris secondo un metodo segnato da impostazione casistica e “ricerca dialettica eterna”. Non si può dire che siano del tutto assenti approcci diversi, di tipo ‘organico’ o ‘manualistico’ (ravvisabili, per esempio, nell’opera elementare di Masurio Sabino [attivo nell’età di Tiberio] Libri tre iuris civili, a cui sarebbero poi stati dedicati diversi commentari ad Sabinum), ma non è certo un caso se l’unica opera che può senz’altro meritare la qualifica di ‘manuale’ di diritto privato, contraddistinto (al pari dei manuali di uso contemporaneo) dalle caretteristiche della sintesi, della completezza e della chiarezza espositiva – tanto da spiccare, per la propria peculiarità, nel complessivo panorama della letteratura giuridica romana – restano i Commentarii di Gaio, opera dalle finalità evidentemente didattiche, e proveniente da un autore che, secondo un’accreditata interpretazione, sarebbe stato appunto un didatta, più che un giurista (e che, comunque, fu completamente ignorato da tutti i giureconsulti suoi contemporanei, salvo poi raggiungere elevata fama postuma in età tarda). 1.6 L’editto del pretore A dare al diritto privato un’impronta, sia pure incerta e approssimativa, di ‘sistema’ fu, in pratica, nei primi secoli di principato, unicamente l’editto del pretore, nel quale tutte le legittime aspettative giuridiche, e tutti gli strumenti giurisdizionali concessi per la loro realizzazione, trovarono la loro collocazione, secondo un ‘ordine’ razionale e precostituito - sulla cui interpretazione e ricostruzione si sono a lungo interrogate intere generazioni di studiosi -, che sortì comunque l’effetto di far convergere la variegata e multiforme scienza giuridica verso un punto di riferimento comune. Dopo che, a partire dal secondo secolo, l’edictum divenne perpetuum, reiterato di anno in anno senza innovazioni, e fu addirittura (secondo la già ricordata tradizione, peratro non unanimemete accettata) ‘codificato’ da Salvio Giuliano, la sua funzione paradigmatica, di ‘schemabase’ dell’intero diritto privato, andò accentuandosi, fino ad alimentare, in età severiana, i due grandi commentari ad edictum di Paolo e Ulpiano, rispettivamente, come sappiamo, in 80 e 83 libri, dall’impianto fondamentalmente ‘enciclopedico’ e sistematico. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 6 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI 2 L’esigenza codificatoria nel dominato cristiano 2.1 Affermazione del cristianesimo e visione sistematica del diritto Subito dopo l’età di Paolo e Ulpiano, ai primi decenni del terzo secolo, com’è noto, la giurisprudenza classica avrebbe repentinamente perso la propria capacità creativa, e l’Occidente sarebbe stato scosso in profondità da una drammatica crisi economica, politica e spirituale. Dopo la divisione dell’impero nelle due partes Orientis e Occidentis, la svolta ideologica costantiniana e il definitivo spostamento del baricentro imperiale in Oriente determineranno la maturazione, nella cornice del nuovo impero bizantino, di una inedita forma di romanità, rigenerata dall’interno dai nuovi elementi della grecità, dell’assolutismo politico e del carattere confessionale dello stato. Se è solo con il cd. editto di Tessalonica, del 380 (Cod. Theod. 16.1.3), che il cristianesimo viene praticamente presentato come culto unico e obbligatorio per tutti i sudditi dell’impero, divenendo così (evento del tutto inedito nella storia di Roma) ‘religione di stato’, è già dall’esito della battaglia del pons Mulvius (28 ottobre 312) - a cui si collega, com’è noto, la famosa ‘conversione’ di Costantino, risultato vincitore nello scontro contro il rivale Massenzio – che, a seguito dell’adesione personale dell’imperatore, e poi dei suoi figli e successori, alla nuova fede, quest’ultima riceve una fortissima spinta politica per la propria diffusione e imposizione, più o meno forzata. Sotto la nuova autorità, di stampo assolutistico, emanante dal trono della ‘nuova Roma’, Costantinopoli, nella temperie spirituale del dominato greco-romano - segnata dal crisma della nuova, esclusiva religione cristiana -, si afferma definitivamente l’idea del diritto come sistema totalizzante, insieme ordinato e completo di norme. 2.2 Sviluppo dell’industria letteraria ed editoriale Un fattore di fondamentale importanza, per la maturazione di tale fenomeno, fu l’impetuosa crescita, nelle città orientali dell’impero, negli anni a cavallo tra il terzo e il quarto secolo, dell’industria letteraria ed editoriale, e la diffusione della forma del ‘codice’ – inteso come pluralità di fogli cartacei rilegati insieme –, che, prendendo rapidamente il posto dei precedenti sistemi di Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 7 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI scrittura, molto più limitati come capacità di trasmissione di nozioni (rotoli di pergamena, tavolette cerate ecc.), offrì nuove, ampie possibilità non solo alla propagazione, in generale, della cultura, ma anche all’intenso uso della propaganda ideologica da parte di chi (in primis, autorità imperiale ed ecclesiastica) avesse la volontà e le risorse per metterla in atto. 2.3 Il Codex Gregorianus e il Codex Hermogenianus Le prime raccolte di leggi imperiali furono compilate in Oriente, alla fine del terzo secolo, per mano di privati. Un cd. Codex Gregorianus fu redatto, probabilmente nel 292 o 293, da un tale Gregorio o Gregoriano, di cui non abbiamo altre notizie. Esso non ci è giunto direttamente, ma è stato ricostruito in base a una epitome contenuta nella Lex Romana Wisigothorum e a citazioni presenti in altre fonti. Era composto di 14 o 16 libri, suddivisi in tituli, e conteneva una silloge di leges speciales (particolarmente rescripta), ossia interventi imperiali non aventi valore generale, erga omnes, ma relativi a casi specifici. Il rescriptum più antico presente nella ricostruzione del Codice risale al 196, ma è presumibile che contenesse anche norme più antiche, a partire dall’età dell’imperatore Adriano (117-138 d.C.). Il cd. Codex Hermogenianus, compilato, verso il 294 o 295, da uno sconosciuto Ermogene, o forse da un giurista di nome Ermogeniano, fu un completamento o un’appendice al Codice Gregoriano, in un solo libro. Anch’esso era una raccolta di rescripta,, e, non pervenutoci direttamente, è stato ricostruito attraverso riferimenti di altri testi. 2.4 Il Codex Theodosianus La possibilità pratica e l’utilità politica di compilare grandi ‘antologie giuridiche’, da far circolare tra un’ampia cerchia di lettori e destinatari, porta così alla ideazione prima del cd. Codex Theodosianus, e poi del grande Corpus iuris civilis di Giustiniano. L’esigenza codificatoria – ossia la necessità e la volontà di riunire le varie leggi in un unico libro (codex) - si impone, parallelamente alla volontà di scolpire nella pietra la voluntas prìncipis, nova lex deputata a sfidare la forza del tempo. Le costituzioni imperiali – genericamente indicate come leges – diventeranno, nel nuovo regime autocratico e monarchico, le fonti di diritto per eccellenza; ma anche tutti gli altri iura populi Romani – leges publicae, senatus consulta, responsa Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 8 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI prudentium, complessivamente definiti (in contrapposizione alle leges) iura – troveranno nell’autorità imperiale e nel suo riconoscimento un nuovo, imprescindibile fattore di legittimazione. La nuova dicotomia iura-leges, così, andrà a dar corpo a un grande, unitario sistema di diritto, retto dall’autorità del sovrano e dall’avallo della Chiesa. Ciò che sarà fuori dal sistema, non sarà considerato diritto. La realizzazione di una prima grande silloge normativa, di carattere pubblico, fu ordinata dall’imperatore d’Oriente Teodosio II, attraverso una costituzione del 429, con la quale si istituiva una commissione incaricata di raccogliere tutte le leges generales (ossia aventi valore erga omnes), da Costantino in poi, nonché le principali opere dei giuristi classici, per ordinare entrambe in una grande raccolta, destinata a fungere da ‘magistero di vita’ (magisterium vitae). L’ambizioso programma, però, non giunse a compimento, cosicché Teodosio, con una nuova costituzione, del 435, ne ridusse notevolmente il progetto, incaricando una nuova commissione unicamente di compilare una raccolta di leges generales (non anche di iura), a partire dal dominato di Costantino. I lavori (presumibilmente agevolati dall’opera svolta dalla prima commissione) giunsero stavolta rapidamente a compimento, e il Codice, detto Theodosianus dal suo promotore, fu completato nel 438, ed entrò in vigore il 1° gennaio dell’anno successivo. Esso era articolato in 16 libri, suddivisi in tituli, secondo un ordine tematico ricalcante, in omaggio alla tradizione, lo schema dell’editto del pretore. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 9 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI 3 Il Corpus iuris civilis 3.1 Il Codex Iustinianus L’idea, che era già stata contemplata da Teodosio II (ossia la realizzazione di un grande ‘sistema’ di tutto il diritto teoricamente vigente, comprensivo tanto dei iura quanto delle leges), fu portata a coronamento, un secolo dopo, dall’imperatore di Costantinopoli Giustiniano, attraverso un’opera imponente, la cui importanza la colloca giustamente a livello di ‘spartiacque’ dell’intera storia del diritto. In quello che sarà poi detto Corpus iuris civilis (sigla coniata solo nel 1593, da Dionigi Gotofredo, in contrapposizione al Corpus iuris canonici), come sappiamo, Giustiniano (527-565) volle che l’intero universo di iura e leges trovasse una risistemazione, e una riconsacrazione, e chiamò a raccolta, per tale impresa, i più illustri maestri delle due rinomate scuole di diritto di Berito (odierna Beirut) e Costantinopoli, coordinati dal ‘ministro della giustizia’ dell’impero, il quaestor sacri Palatii Triboniano. Le leges imperiali, nel quadro di questo grande disegno, furono raccolte in un grande codice, in dodici libri (ad imitazione delle XII Tavole), divisi, per argomenti, in vari tituli, emanato “in nomine Domini nostri Iesu Christi”, che andò a sostituire il precedente Codice Teodosiano. I lavori furono ordinati da Giustiniano con una costituzione del 528 (detta, dalle prime parole del testo, “Haec quae necessario”), e il Codex, detto Iustinianus, fu pubblicato l’anno seguente, attraverso la costituzione detta “Summa rei publicae”. La successiva pubblicazione di nuove leggi, e il desiderio di inserire anch’esse nella raccolta, indusse però a rifondere il materiale del codice in una nuova, più ampia silloge, pubblicata, nel 534, con la costituzione “Cordi”, e chiamata Codex repetitae praelectionis. Il testo della raccolta originaria non è a noi giunto, e si suole definire anche il secondo codice – che è invece pervenuto -, col nome, che spetterebbe in realtà solo al primo, di Codex Iustinianus. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 10 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI 3.2 I Digesta Il lavoro certamente più imponente realizzato dai commissari giustinianei fu la grande palingenesi e risistemazione della giurisprudenza classica. Gli iura dei giuristi classici – estrapolati dalle opere originarie, frammentati e ricomposti secondo un nuovo ordine tematico – furono risistemati in una grandiosa silloge - detta Digesta (da digèrere = ordinare, dividere) o Pandèktai (dal greco pandèchomai = raccogliere, assemblare) - in 50 libri (a loro volta suddivisi in diversi tituli, ciascuno dedicato a un particolare argonmento: p. es.: libro 23°, titolo 1°: De sponsàlibus; 2°: De ritu nuptiarum; 3°: De iure dotium; 4°: De pactis dotalibus ecc.). I lavori furono impostati da alcune costituzioni preparatorie (riunite, nel 530, in una raccolta sistematica, a noi non giunta, detta delle Quinquaginta decisiones) e furono poi ordinati con una costituzione programmatica, sempre del 530, le cui prime parole (“Deo auctòre”) esplicitamente invocano gli auspici della volontà divina. I lavori – consistenti nella raccolta, lettura, selezione, scomposizione e risistemazione di una quantità enorme di testi letterari – furono portati a termine in tempi molto brevi, tanto da avere indotto parte della dottrina a ipotizzare che i commissari si siano avvalsi di raccolte giurisprudenziali precedentemente compilate, che ne avrebbero agevolato il compito (cd. ‘Predigesti’). Un’ipotesi, in verità, che non pare suffragata da indizi consistenti, e che sembra non tenere conto delle risorse pressoché illimitate di materiale umano (giuristi, scribi, amanuensi, trascrittori, segretari ecc.) a disposizione dell’imperatore, e da lui certamente – per un progetto a cui tanto teneva – investite. Già nel 533, comunque, i Digesta furono pubblicati, con la costituzione bilingue TantaDèdoken, indirizzata “ad senatus ed omnes populos”. 3.3 Le Institutiones Anche l’insegnamento del diritto avrebbe dovuto essere impartito secondo criteri unitari, col crisma dell’autorità imperiale e del suo fondamento religioso: è con questo intento che un’altra costituzione programmatica (la Imperatoriam maiestàtem, del 533, indirizzata alla “cùpida legum iuventus”, la “gioventù avida di leggi”) dispone la stesura di un nuovo manuale di Institutiones, Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 11 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI redatto sullo schema delle Institutiones di Gaio (più antiche di circa quattro secoli), ampliate e rimaneggiate nei loro contenuti. I lavori furono eseguiti da una commissione ristretta, guidata da Triboniano e composta dai maestri di diritto Teofilo e Doroteo, autori ciascuno di due dei quattro libri. Teofilo poi, ‘approfittò’ dell’occasione per pubblicare, a proprio nome, una nuova parafrasi del testo, in lingua greca (Theophili Institutionum Graeca Paraphrasis), di circa tre volte più ampia del testo delle Institutiones giustinianee (a loro volta circa tre volte più estese di quelle di Gaio). 3.4 Le Novellae Dopo la pubblicazione del Codex (534) Giustiniano continuò, naturalmente, fino alla fine della propria vita (565), a legiferare intensamente in tutti i campi del diritto. Queste nuove leggi, dette, appunto, Novellae leges, o anche, semplicemente, Novellae (da distinguersi dalle cd. Novellae postTheodosianae, le costituzioni emanate dopo il Codice di Teodosio II e prima di quello giustinianeo) alla morte dell’imperatore furono riunite in un’apposita raccolta, anch’essa (quantunque non contemplata dal progetto giustinianeo) considerata parte integrante del Corpus iuris civilis. 3.5 Giustiniano fra mondo classico e Medio Evo Sullo spirito, il significato e le finalità (politiche, giuridiche, ideologiche, letterarie) del Corpus iuris civilis (espressione ancora oggi adoperata, in ragione dell’evidente spirito unitario ad esse sotteso, per indicare l’insieme delle quattro opere menzionate, Codex, Digesta, Institutiones, Novellae) esistono interpretazioni molto divergenti in dottrina. Antico e vivace, in particolare, è il dibattito sulle modalità di elaborazione della compilazione, sull’uso di eventuale materiale preesistente (i cd. ‘Predigesti’, a cui farebbero pensare il tempo molto breve – appena tre anni - utilizzato per realizzare un’opera, come i Digesta, di enormi dimensioni, oltre ad alcune caratteristiche riscontrate nella modalità di raccolta dei iura), sul ruolo svolto dal direttore dei lavori compilatorii, il quaestor sacri Palatii Triboniano e dai vari commissari sottoposti alla sua guida, sulla ricostruzione delle commissioni e delle eventuali sottocommissioni di lavoro ecc. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 12 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI Alla luce dei diversi punti di vista, Giustiniano è stato variamente inquadrato come un nostalgico ‘classicista’, restauratore dei valori del diritto classico, o come un uomo del Medio Evo, interamente calato nella nuova realtà teocratica bizantina, come un laico o come un teologo, un servitore della Chiesa o un difensore dell’autonomia dell’impero. 3.6 La risignificazione della giurisprudenza classica Senza entrare in tali discussioni, ci preme mettere in risalto tre elementi, a nostro avviso, essenziali ai fini di una valutazione complessiva del significato occupato dal Corpus iuris civilis nel campo della storia del diritto. Il primo elemento è che l’artificiale ricomposizione del sapere – libero, diffuso ed eterogeneo della giurisprudenza classica, attraverso la grande ‘palingenesi’ dei Digesti, in un unico grande mosaico sistematico, compilato secondo criteri di completezza e organicità sostanzialmente estranei allo spirito originario delle opere dei giureconsulti, ne ha profondamente stravolto la natura. Anche quando gli iura dei giuristi non sono stati cambiati nei loro contenuti, in virtù delle cosiddette interpolazioni (manipolazioni non dichiarate dei testi), essi sono pur sempre stati ‘risignificati’ in virtù della loro risistemazione e ricollocazione. Giustiniano usò la classicità facendo ad essa violenza, ai fini di un progetto ideologico del tutto sconosciuto alla mentalità dei giureconsulti. Nella costituzione detta (dalle due parole iniziali del testo bilingue, in latino e in greco) TantaDèdoken, del 533, con cui si annuncia la pubblicazione ufficiale dei Digesti, si legge (§ 10) che “multa et maxima sunt, quae propter utilitatem rerum transformata sunt” (vi sono molte cose, e di grande rilievo, che sono state cambiate per l’utilità dell’esposizione): si ritiene che la frase si riferisca soprattutto alle alterazioni verbali apportate dai compilatori ai testi originali (sul numero e la consistenza delle quali la dottrina è passata, negli ultimi decenni, da una posizione più estensiva [secondo cui vi sarebbero state interpolazioni molto numerose e incisive], a una più prudente e restrittiva), ma essa potrebbe anche applicarsi alla totalità degli scritti giurisprudenziali rappresentati nei Digesti, che risultano tutti, anche quando filologicamente integri, trasformati “propter utilitatem rerum”. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 13 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI 3.7 Prevalenza delle leges sui iura Il secondo elemento riguarda il problema del valore giuridico attribuito ai iura raccolti nei Digesti: aveva, tale imponente silloge, un valore eminentemente ‘antiquario’ e ‘archeologico’, o intendeva conferire agli scritti dei giureconsulti, con la forza dell’autorità imperiale, un effettivo valore cogente e normativo? Anche se la costituzione Deo auctore fa esplicite dichiarazioni nel secondo senso, affermando addirittura che tutti i responsi dei giuristi compresi nella raccolta abbiano lo stesso valore di pronunce provenienti direttamente “dalla divina bocca dell’imperatore” (“…a nostro divino… ore profusa” [§ 6 = Cod. Iust. 1.17.1.6]), non c’è dubbio che la dicotomia iura-leges andava a integrare un ‘sistema di fonti’ nettamente gerarchizzato, in cui il prevalente peso politico rendeva evidente la preminenza delle seconde sui primi. L’imperatore non poteva realisticamente preoccuparsi di alcuna forma di ‘concorrenza’ da parte dei iura, essendo del tutto palese il loro essere espressione di un mondo passato. Erano le novae leges, in primis, a rappresentare il quadro normativo vigente, ed era subordinatamente al loro dettato che gli iura potevano, all’occorrenza, trovare applicazione (così come era alla loro luce che andavano affrontate e risolte le eventuali contraddizioni e aporie tra diversi responsi). Quanto agli iura, si può anche riconoscere che essi conservassero (o, magari, acquistassero), tecnicamente, efficacia di fonti del diritto; ma non c’è dubbio sul fatto che la loro funzione fosse essenzialmente di tipo propagandistico, tendente ad ancorare l’assolutismo orientale alla gloriosa tradizione culturale dell’Occidente. 3.8 Ispirazione teologica del Corpus iuris civilis Il terzo e ultimo fattore da tenere in considerazione è che il sistema giuridico giustinianeo è direttamente legato al sistema politico teocratico, secondo cui l’imperatore regna sulle materie terrene così come il vicario di Cristo su quelle spirituali, ma entrambi, sempre, in nome di Dio: già Costantino, nel convocare il Concilio di Nicea, nel 325, si autodefinì “epìskopos tòn ektòs”, ossia egli stesso “vescovo per gli affari esterni (alla Chiesa)”. Nel millenario confronto tra Chiesa e Impero, com’è noto, non sarà mai facile definire in modo netto chi ‘conduca il gioco’, chi eserciti e chi subisca influenza. Ma, nonostante i contenuti del Corpus iuris civilis restino, nella grande maggioranza, ‘laici’, se non ‘pagani’, non c’è dubbio che Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 14 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI l’idea ad esso sottostante fosse squisitamente teologica, direttamente collegata al’indissolubile binomio monoteismo-monarchia: un solo Dio, un solo sovrano, un solo impero, un solo diritto. Quanto alle intime convinzioni delle persone che tale progetto furono chiamate a realizzare, esse difficilmente possono costituire oggetto di analisi storica. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 15 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI 4 Le modalità di riforma del diritto 4.1 Le constitutiones imperiali Nel nuovo sistema bizantino (nel cui ambito, secondo un giudizio ampiamente condiviso dalla dottrina, si registrò, nel complesso, un sensibile calo del livello generale di cultura giuridica), molti aspetti del diritto costruito nei fervidi secoli del principato furono sottoposti a profonde modifiche, attraverso svariate modalità. Il primo, più diretto ed evidente metodo di riforma fu quello delle innovazioni apportate dalle constitutiones imperiali, attraverso le quali il sovrano andava a definire, di volta in volta, insindacabilmente, le nuove linee di condotta, adatte alla mutata realtà dei tempi. 4.2 La desuetudine Non sempre, però, gli imperatori ebbero necessità di intervenire esplicitamente per abrogare istituti civilistici ritenuti obsoleti, in quanto spesso questi, pur non essendo mai formalmente abrogati, vennero, nel nuovo clima sociale e culturale, a essere definitivamente accantonati, cadendo così in desuetudine. Essi continuavano a essere menzionati negli iura delle Pandette, e quindi, teoricamente, a rappresentare ‘diritto vigente’, ma si trattava di una sopravvivenza meramente letteraria, senza alcun riscontro pratico nella realtà. 4.3 I canoni conciliari Accanto alla corte imperiale, poi, anche la Chiesa cattolica tende – in un ambiguo e controverso rapporto di alleanza e rivalità nei confronti dell’imperatore – a svolgere un’attività di tipo non più solo pedagogico e catechetico, ma anche normativo. E non c’è dubbio che, in determinate circostanze, i cànoni dei concilii ecclesiastici – sia pur privi di un vero e proprio carattere legislativo erga omnes – siano stati recepiti e applicati come delle forme di comando vincolante, rispettati e fatti rispettare dalla stessa autorità statale. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633) 16 di 18 Istituzioni di Diritto Romano Lezione VI 4.4 Le interpolazioni Abbiamo poi un sistema di riforma ‘occulto’ e ‘camuffato’, consistente nelle interpolazioni apportate, dai compilatori dei Digesta, agli scritti dei giuristi classici, per renderli aderenti alle nuove esigenze. Quando ciò avveniva, la manomissione del testo non veniva segnalata, per cui lo scritto veniva presentato come frutto di un pensiero formulato diversi secoli prima - riproposto come attuale dall’autorità imperiale -, ma il suo tenore, in realtà, era stato modificato, per introdurre dei cambiamenti ritenuti necessari. Il problema è che gli studiosi contemporanei non sono in grado di riscontrare con chiarezza la presenza di tali modifiche, non essendo esse, come abbiamo detto, segnalate dai compilatori. Tranne pochi casi, perciò, nei quali l’alterazione è evidente (p. es., riferimenti a templi pagani trasformati in riferimenti a chiese cristiane), la sua individuazione è rimessa a una critica del testo – effettuata secondo criteri storici, filologici e giuridici – molto opinabile, che spesso non offre alcuna possibilità di sicuro riscontro. Come abbiamo già notato, in passato alcune correnti di dottrina romanistica erano portate a ritenere che i testi classici fossero stati ampiamente manomessi e alterati dagli uomini di Triboniano (tanto da fare addirittura parlare, con termine tedesco, di una ‘Interpolationenjagd’, una “caccia alle interpolazioni”), mentre oggi prevale un atteggiamento più moderato e prudente. A nostro giudizio, pur non potendosi avere certezze in materia, è molto verosimile che le manomissioni dei testi siano state piuttosto poche e marginali, per due essenziali motivi. Il primo è che i commissari, già oberati di lavoro, difficilmente avrebbero trovato il tempo e la voglia di procedere a un sistematico lavoro di riscrittura dei testi. Il secondo, più importante argomento, è che la corte imperiale non aveva alcuna seria necessità di aggiornare gli iura, dato il loro carattere evidentemente subordinato rispetto alle novae leges (anche se resta comunque possibile - e, in diversi casi, provato - che gli scritti dei giuristi, nei diversi secoli intercorrenti tra la loro redazione e la compilazione giustinianea, abbiano subito, per diverse ragioni, dei rimaneggiamenti testuali). La ricordata asserzione di Giustiniano, secondo cui “multa et maxima” degli scritti giurisprudenziali sarebbero stati trasformati, andrebbe intesa pertanto in senso prevalentemente propagandistico, ossia come affermazione, retorica e falsa, secondo cui l’antico materiale letterario sarebbe stato riproposto al pubblico dopo avere subito un attento lavoro di ‘riedizione attualizzante’. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. 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