INSEGNAMENTO DI ISTITUZIONI DI DIRITTO ROMANO
LEZIONE VI
“LE FONTI DI DIRITTO ROMANO (E)”
PROF. FRANCESCO M. LUCREZI
Istituzioni di Diritto Romano
Lezione VI
Indice
1
2
3
4
L’idea di codice e di ‘sistema di diritto’-------------------------------------------------------------- 3
1.1
La iuris prudentia ------------------------------------------------------------------------------------ 3
1.2
L’assenza di raccolte normative ------------------------------------------------------------------- 3
1.3
Le XII Tavole ---------------------------------------------------------------------------------------- 4
1.4
Cesare e Cicerone------------------------------------------------------------------------------------ 5
1.5
Masurio Sabino e Gaio ------------------------------------------------------------------------------ 6
1.6
L’editto del pretore ---------------------------------------------------------------------------------- 6
L’esigenza codificatoria nel dominato cristiano---------------------------------------------------- 7
2.1
Affermazione del cristianesimo e visione sistematica del diritto ------------------------------ 7
2.2
Sviluppo dell’industria letteraria ed editoriale --------------------------------------------------- 7
2.3
Il Codex Gregorianus e il Codex Hermogenianus ----------------------------------------------- 8
2.4
Il Codex Theodosianus------------------------------------------------------------------------------ 8
Il Corpus iuris civilis----------------------------------------------------------------------------------- 10
3.1
Il Codex Iustinianus ------------------------------------------------------------------------------- 10
3.2
I Digesta--------------------------------------------------------------------------------------------- 11
3.3
Le Institutiones------------------------------------------------------------------------------------- 11
3.4
Le Novellae----------------------------------------------------------------------------------------- 12
3.5
Giustiniano fra mondo classico e Medio Evo -------------------------------------------------- 12
3.6
La risignificazione della giurisprudenza classica ---------------------------------------------- 13
3.7
Prevalenza delle leges sui iura ------------------------------------------------------------------- 14
3.8
Ispirazione teologica del Corpus iuris civilis--------------------------------------------------- 14
Le modalità di riforma del diritto------------------------------------------------------------------- 16
4.1
Le constitutiones imperiali ----------------------------------------------------------------------- 16
4.2
La desuetudine ------------------------------------------------------------------------------------- 16
4.3
I canoni conciliari---------------------------------------------------------------------------------- 16
4.4
Le interpolazioni ----------------------------------------------------------------------------------- 17
4.5
Le riedizioni dei testi giurisprudenziali e delle leges imperiali ------------------------------ 18
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1 L’ idea di codice e di ‘sistema di diritto’
1.1 La iuris prudentia
Fu sostanzialmente estranea, per lunghi secoli, alla civiltà romana – come, è da dire, alla
generalità delle civiltà dell’antico Mediterraneo – una concezione del diritto (simile a quelle
affermatesi nell’età moderna) come ‘sistema’, complesso organico e totalizzante di norme e
nozioni, atto a indicare e imporre il ‘dover essere’ appropriato, secondo un meccanismo astratto e
predefinito, a qualsiasi comportamento umano socialmente rilevante. Le fonti del diritto romano –
leges regiae e rogatae, senatus consulta, edicta magistratuali, constitutiones prìncipum, responsa
prudentium -, come sappiamo, si caratterizzarono sempre, lungo i secoli, per la loro molteplicità e
concorrenzialità, nonché per la diversa attitudine a produrre direttamente effetti normativi e
vincolanti, e gli istituti giuridici – tanto di ius civile quanto di ius honorarium – creati ‘dal basso’,
consolidati e riconosciuti in forza della loro semplice funzionalità e reiterazione, non furono mai
elevati a ‘sistema’, a corpo ordinato ed esaustivo di regole comuni.
La iuris prudentia, certamente, si affermò come una forma di scienza, come preciso e specifico
ramo del sapere, contrassegnato da una peculiarità di logica, di ratio e utilitas, e da un elevato grado
di tecnicismo (tanto da aver fatto addirittura parlare, secondo una definizione in verità alquanto
forzata, di un ‘isolamento’ della giurisprudenza romana dalle altre forme di sapere): ma i
giureconsulti costruirono e divulgarono la loro scienza, per lo più, secondo un criterio casistico,
affrontando, volta per volta, i casi pratici sottoposti alla loro attenzione, senza inserire le proprie
elaborazioni – tranne alcune, parziali, eccezioni – in un’impalcatura generale di tipo organico e
sistematico.
1.2 L’assenza di raccolte normative
Assenti anche, fino alla fine del terzo secolo d.C. (quando appaiono, con i Codices Gregorianus
[292-293] ed Hermogenianus [293-295?], le prime sillogi private di costituzioni imperiali
[contenenti però rescritti, ossia pronunce su casi specifici, non aventi portata generale]), le raccolte
di leggi o di altri atti normativi (se si fa eccezione per l’incerta notizia relativa alla compilazione di
un elenco di leges regiae [ cd. ius civile Papirianum], redatto, secondo Pomponio [D. 1.2.2.2], da
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un tale Sesto Papirio). Un’assenza che risalta in confronto, per esempio, alle antiche civiltà semite,
dove le raccolte di norme erano consuete (basti pensare ai cd. Codici di Hammurabi e di UrNammu, alle Leggi ittite e assire, alla stessa collocazione dei precetti mosaici nei libri dell’Esodo,
del Levitico e del Deuteronomio), anche per permetterne la conoscenza da parte dei sudditi, e che
sembra confermare come la lex, secondo la mentalità romana, fosse considerata valere per sé stessa,
nella sua individualità, e non come tassello di un più ampio ‘sistema legislativo’.
Anche se va osservato, al proposito, che la funzione ‘pubblicitaria’ svolta dalle raccolte
legislative dell’antico Vicino Oriente fu assolta nel mondo romano, per molti secoli, dall’editto del
pretore; e che, comunque, anche le menzionate sillogi orientali (nonostante l’uso, nelle lingue
moderne, della definizione, impropria e fuorviante, di ‘codice’) non ebbero mai alcun carattere di
completezza e organicità che andasse al di là della mera raccolta di comandi, spesso diversi ed
eterogenei nei contenuti.
1.3 Le XII Tavole
Le XII Tavole, come sappiamo, ebbero un’alta importanza, alla metà del quinto secolo a.C., nel
definire in modo certo e pubblico alcuni princìpi dello ius civile, sottraendoli così
all’indeterminatezza e all’arbitrio dell’interpretazione pontificale, e la loro memoria conservò per
molti secoli una funzione fondamentale, nel rendere ‘eterni’ e ‘immodificabili’ quegli istituti
civilistici che si aveva interesse a preservare intatti (anche quando questi non facessero in realtà
originariamente parte del testo decemvirale, ma fossero a questo retroattivamente ricollegati),
imponendo poi la giurisdizione creativa, elastica ed ‘elusiva’ dello ius honoraium. Esse, comunque,
non nacquero come ‘codice’ o ‘sistema’ di diritto; e se si avvicinarono a diventarlo, in una certa
misura, nella loro ‘dilatazione’ successiva (che portò Tito Livio [3.34.6], come abbiamo già
ricordato, a definirle addirittura “fons omnis pùblici privatìque iuris”), ciò avvenne nel contesto di
un quadro molteplice e frastagliato di regolamentazione giuridica, nel quale alla lex duòdecim
Tabularum fu assegnato il compito di custodire e trasmettere i valori della civiltà rurale nelle mutate
esigenze del mondo mercantile, interpretate da diverse forme e procedure giuridiche, nate ‘fuori’
dal ‘sistema’ decemvirale e applicate, spesso, ‘contro’ di esso.
Il diritto privato romano, nei secoli della repubblica, conservò, comunque sempre, nonostante il
paradigma delle XII Tavole, una natura decisamente ‘asistematica’, fluida e magmatica, tanto sul
piano dell’imposizione normativa quanto su quello della speculazione teorica.
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1.4 Cesare e Cicerone
Negli anni della crisi della repubblica abbiamo notizia di due diversi tentativi, singolarmente
simili, messi in atto rispettivamente da Cesare e da Cicerone – a livello politico, il primo, sul piano
scientifico, il secondo -, di ridurre il diritto civile ad ‘unità’, creandone una sorta di perfetta e
sufficiente sintesi, ma entrambi risultano essere andati incontro a un fallimento. Cesare, secondo
Svetonio (Iul. 44), avrebbe coltivato il progetto di trasformare lo ius civile in una ‘certezza’ (ad
certum modum redìgere), estrapolando, dalla straripante e confusa massa di norme (immensa
diffusàque legum copia), le sole cose migliori e necessarie (optima… et necessaria), per raccoglierle
in pochissimi libri (in paucissimos libros). In tali asserite intenzioni alcuni hanno scorto l’idea di
una sorta di prima ‘codificazione’ del diritto, in linea con le ambizioni monarchiche di Cesare; fatto
sta, però, che il disegno non vide mai la luce, e – anche a voler ammettere, come fanno taluni, che la
sua realizzazione sarebbe stata impedita dalla prematura fine del suo ideatore - difficilmente, a
nostro avviso, esso, quand’anche messo in atto, avrebbe incontrato successo.
Quanto a Cicerone – che, come abbiamo ricordato, non era un giurista, ma un rètore,
contrapposto ai iuris periti da un’aspra polemica e rivalità -, abbiamo notizia (Gell., N.A. 1.22.7;
Quint., Inst. or. 12.3.10; Charis., Ars gramm. 1.138, s.v. nobiles; Cic., De or. 1.186) della
redazione, da parte sua, di un’opera, a noi non pervenuta, intitolata De iure civili in artem
redigendo, nella quale avrebbe provato ad applicare alla scienza del diritto il metodo dialettico
aristotelico, con una finalità essenzialmentte didattica, ossia per ordinare e sintetizzare il diritto
civile in un sistema breve e concluso, fondato su definizioni e distinzioni chiare ed elementari, che
ne rendesse agevole l’uso e l’apprendimento anche da parte dei non esperti. Lo scopo dell’opera
sarebbe stato, in sostanza, quello di rendere la cognizione dello ius civile facile e accessibile,
sottraendola al monopolio dei giuristi, per inglobarla nella retorica, che l’avrebbe trasformata in un
‘sistema chiuso’, riducibile ad agevole sintesi. Ma l’opera di Cicerone non risulta avere lasciato
alcuna traccia significativa, e incontrò, comprensibilmente, il più sprezzante silenzio da parte dei
giureconsulti, che videro nel De iure civili in artem redigendo, come è stato osservato da Fritz
Schulz, “precisamente l’opposto” dei loro obiettivi, che rano quelli di “padroneggiare la sempre
cresecente molteplicità dei casi concreti”, aspirando così a una “ricerca dialettica eterna”, a un
“sistema aperto”.
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1.5 Masurio Sabino e Gaio
Nell’età del principato, la letteratura giurisprudenziale continua a confrontarsi con la scientia
iuris secondo un metodo segnato da impostazione casistica e “ricerca dialettica eterna”. Non si può
dire che siano del tutto assenti approcci diversi, di tipo ‘organico’ o ‘manualistico’ (ravvisabili, per
esempio, nell’opera elementare di Masurio Sabino [attivo nell’età di Tiberio] Libri tre iuris civili, a
cui sarebbero poi stati dedicati diversi commentari ad Sabinum), ma non è certo un caso se l’unica
opera che può senz’altro meritare la qualifica di ‘manuale’ di diritto privato, contraddistinto (al pari
dei manuali di uso contemporaneo) dalle caretteristiche della sintesi, della completezza e della
chiarezza espositiva – tanto da spiccare, per la propria peculiarità, nel complessivo panorama della
letteratura giuridica romana – restano i Commentarii di Gaio, opera dalle finalità evidentemente
didattiche, e proveniente da un autore che, secondo un’accreditata interpretazione, sarebbe stato
appunto un didatta, più che un giurista (e che, comunque, fu completamente ignorato da tutti i
giureconsulti suoi contemporanei, salvo poi raggiungere elevata fama postuma in età tarda).
1.6 L’editto del pretore
A dare al diritto privato un’impronta, sia pure incerta e approssimativa, di ‘sistema’ fu, in
pratica, nei primi secoli di principato, unicamente l’editto del pretore, nel quale tutte le legittime
aspettative giuridiche, e tutti gli strumenti giurisdizionali concessi per la loro realizzazione,
trovarono la loro collocazione, secondo un ‘ordine’ razionale e precostituito - sulla cui
interpretazione e ricostruzione si sono a lungo interrogate intere generazioni di studiosi -, che sortì
comunque l’effetto di far convergere la variegata e multiforme scienza giuridica verso un punto di
riferimento comune. Dopo che, a partire dal secondo secolo, l’edictum divenne perpetuum, reiterato
di anno in anno senza innovazioni, e fu addirittura (secondo la già ricordata tradizione, peratro non
unanimemete accettata) ‘codificato’ da Salvio Giuliano, la sua funzione paradigmatica, di ‘schemabase’ dell’intero diritto privato, andò accentuandosi, fino ad alimentare, in età severiana, i due
grandi commentari ad edictum di Paolo e Ulpiano, rispettivamente, come sappiamo, in 80 e 83 libri,
dall’impianto fondamentalmente ‘enciclopedico’ e sistematico.
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2 L’esigenza codificatoria nel dominato cristiano
2.1 Affermazione del cristianesimo e visione sistematica del diritto
Subito dopo l’età di Paolo e Ulpiano, ai primi decenni del terzo secolo, com’è noto, la
giurisprudenza classica avrebbe repentinamente perso la propria capacità creativa, e l’Occidente
sarebbe stato scosso in profondità da una drammatica crisi economica, politica e spirituale.
Dopo la divisione dell’impero nelle due partes Orientis e Occidentis, la svolta ideologica
costantiniana e il definitivo spostamento del baricentro imperiale in Oriente determineranno la
maturazione, nella cornice del nuovo impero bizantino, di una inedita forma di romanità, rigenerata
dall’interno dai nuovi elementi della grecità, dell’assolutismo politico e del carattere confessionale
dello stato. Se è solo con il cd. editto di Tessalonica, del 380 (Cod. Theod. 16.1.3), che il
cristianesimo viene praticamente presentato come culto unico e obbligatorio per tutti i sudditi
dell’impero, divenendo così (evento del tutto inedito nella storia di Roma) ‘religione di stato’, è già
dall’esito della battaglia del pons Mulvius (28 ottobre 312) - a cui si collega, com’è noto, la famosa
‘conversione’ di Costantino, risultato vincitore nello scontro contro il rivale Massenzio – che, a
seguito dell’adesione personale dell’imperatore, e poi dei suoi figli e successori, alla nuova fede,
quest’ultima riceve una fortissima spinta politica per la propria diffusione e imposizione, più o
meno forzata.
Sotto la nuova autorità, di stampo assolutistico, emanante dal trono della ‘nuova Roma’,
Costantinopoli, nella temperie spirituale del dominato greco-romano - segnata dal crisma della
nuova, esclusiva religione cristiana -, si afferma definitivamente l’idea del diritto come sistema
totalizzante, insieme ordinato e completo di norme.
2.2 Sviluppo dell’industria letteraria ed editoriale
Un fattore di fondamentale importanza, per la maturazione di tale fenomeno, fu l’impetuosa
crescita, nelle città orientali dell’impero, negli anni a cavallo tra il terzo e il quarto secolo,
dell’industria letteraria ed editoriale, e la diffusione della forma del ‘codice’ – inteso come pluralità
di fogli cartacei rilegati insieme –, che, prendendo rapidamente il posto dei precedenti sistemi di
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scrittura, molto più limitati come capacità di trasmissione di nozioni (rotoli di pergamena, tavolette
cerate ecc.), offrì nuove, ampie possibilità non solo alla propagazione, in generale, della cultura, ma
anche all’intenso uso della propaganda ideologica da parte di chi (in primis, autorità imperiale ed
ecclesiastica) avesse la volontà e le risorse per metterla in atto.
2.3 Il Codex Gregorianus e il Codex Hermogenianus
Le prime raccolte di leggi imperiali furono compilate in Oriente, alla fine del terzo secolo, per
mano di privati. Un cd. Codex Gregorianus fu redatto, probabilmente nel 292 o 293, da un tale
Gregorio o Gregoriano, di cui non abbiamo altre notizie. Esso non ci è giunto direttamente, ma è
stato ricostruito in base a una epitome contenuta nella Lex Romana Wisigothorum e a citazioni
presenti in altre fonti. Era composto di 14 o 16 libri, suddivisi in tituli, e conteneva una silloge di
leges speciales (particolarmente rescripta), ossia interventi imperiali non aventi valore generale,
erga omnes, ma relativi a casi specifici. Il rescriptum più antico presente nella ricostruzione del
Codice risale al 196, ma è presumibile che contenesse anche norme più antiche, a partire dall’età
dell’imperatore Adriano (117-138 d.C.).
Il cd. Codex Hermogenianus, compilato, verso il 294 o 295, da uno sconosciuto Ermogene, o
forse da un giurista di nome Ermogeniano, fu un completamento o un’appendice al Codice
Gregoriano, in un solo libro. Anch’esso era una raccolta di rescripta,, e, non pervenutoci
direttamente, è stato ricostruito attraverso riferimenti di altri testi.
2.4 Il Codex Theodosianus
La possibilità pratica e l’utilità politica di compilare grandi ‘antologie giuridiche’, da far
circolare tra un’ampia cerchia di lettori e destinatari, porta così alla ideazione prima del cd. Codex
Theodosianus, e poi del grande Corpus iuris civilis di Giustiniano.
L’esigenza codificatoria – ossia la necessità e la volontà di riunire le varie leggi in un unico
libro (codex) - si impone, parallelamente alla volontà di scolpire nella pietra la voluntas prìncipis,
nova lex deputata a sfidare la forza del tempo. Le costituzioni imperiali – genericamente indicate
come leges – diventeranno, nel nuovo regime autocratico e monarchico, le fonti di diritto per
eccellenza; ma anche tutti gli altri iura populi Romani – leges publicae, senatus consulta, responsa
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prudentium, complessivamente definiti (in contrapposizione alle leges) iura – troveranno
nell’autorità imperiale e nel suo riconoscimento un nuovo, imprescindibile fattore di legittimazione.
La nuova dicotomia iura-leges, così, andrà a dar corpo a un grande, unitario sistema di diritto, retto
dall’autorità del sovrano e dall’avallo della Chiesa. Ciò che sarà fuori dal sistema, non sarà
considerato diritto.
La realizzazione di una prima grande silloge normativa, di carattere pubblico, fu ordinata
dall’imperatore d’Oriente Teodosio II, attraverso una costituzione del 429, con la quale si istituiva
una commissione incaricata di raccogliere tutte le leges generales (ossia aventi valore erga omnes),
da Costantino in poi, nonché le principali opere dei giuristi classici, per ordinare entrambe in una
grande raccolta, destinata a fungere da ‘magistero di vita’ (magisterium vitae). L’ambizioso
programma, però, non giunse a compimento, cosicché Teodosio, con una nuova costituzione, del
435, ne ridusse notevolmente il progetto, incaricando una nuova commissione unicamente di
compilare una raccolta di leges generales (non anche di iura), a partire dal dominato di Costantino.
I lavori (presumibilmente agevolati dall’opera svolta dalla prima commissione) giunsero
stavolta rapidamente a compimento, e il Codice, detto Theodosianus dal suo promotore, fu
completato nel 438, ed entrò in vigore il 1° gennaio dell’anno successivo. Esso era articolato in 16
libri, suddivisi in tituli, secondo un ordine tematico ricalcante, in omaggio alla tradizione, lo schema
dell’editto del pretore.
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3 Il Corpus iuris civilis
3.1 Il Codex Iustinianus
L’idea, che era già stata contemplata da Teodosio II (ossia la realizzazione di un grande
‘sistema’ di tutto il diritto teoricamente vigente, comprensivo tanto dei iura quanto delle leges), fu
portata a coronamento, un secolo dopo, dall’imperatore di Costantinopoli Giustiniano, attraverso
un’opera imponente, la cui importanza la colloca giustamente a livello di ‘spartiacque’ dell’intera
storia del diritto.
In quello che sarà poi detto Corpus iuris civilis (sigla coniata solo nel 1593, da Dionigi
Gotofredo, in contrapposizione al Corpus iuris canonici), come sappiamo, Giustiniano (527-565)
volle che l’intero universo di iura e leges trovasse una risistemazione, e una riconsacrazione, e
chiamò a raccolta, per tale impresa, i più illustri maestri delle due rinomate scuole di diritto di
Berito (odierna Beirut) e Costantinopoli, coordinati dal ‘ministro della giustizia’ dell’impero, il
quaestor sacri Palatii Triboniano.
Le leges imperiali, nel quadro di questo grande disegno, furono raccolte in un grande codice, in
dodici libri (ad imitazione delle XII Tavole), divisi, per argomenti, in vari tituli, emanato “in
nomine Domini nostri Iesu Christi”, che andò a sostituire il precedente Codice Teodosiano.
I lavori furono ordinati da Giustiniano con una costituzione del 528 (detta, dalle prime parole
del testo, “Haec quae necessario”), e il Codex, detto Iustinianus, fu pubblicato l’anno seguente,
attraverso la costituzione detta “Summa rei publicae”. La successiva pubblicazione di nuove leggi, e
il desiderio di inserire anch’esse nella raccolta, indusse però a rifondere il materiale del codice in
una nuova, più ampia silloge, pubblicata, nel 534, con la costituzione “Cordi”, e chiamata Codex
repetitae praelectionis. Il testo della raccolta originaria non è a noi giunto, e si suole definire anche
il secondo codice – che è invece pervenuto -, col nome, che spetterebbe in realtà solo al primo, di
Codex Iustinianus.
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3.2 I Digesta
Il lavoro certamente più imponente realizzato dai commissari giustinianei fu la grande
palingenesi e risistemazione della giurisprudenza classica.
Gli iura dei giuristi classici – estrapolati dalle opere originarie, frammentati e ricomposti
secondo un nuovo ordine tematico – furono risistemati in una grandiosa silloge - detta Digesta (da
digèrere = ordinare, dividere) o Pandèktai (dal greco pandèchomai = raccogliere, assemblare) - in
50 libri (a loro volta suddivisi in diversi tituli, ciascuno dedicato a un particolare argonmento: p. es.:
libro 23°, titolo 1°: De sponsàlibus; 2°: De ritu nuptiarum; 3°: De iure dotium; 4°: De pactis
dotalibus ecc.).
I lavori furono impostati da alcune costituzioni preparatorie (riunite, nel 530, in una raccolta
sistematica, a noi non giunta, detta delle Quinquaginta decisiones) e furono poi ordinati con una
costituzione programmatica, sempre del 530, le cui prime parole (“Deo auctòre”) esplicitamente
invocano gli auspici della volontà divina.
I lavori – consistenti nella raccolta, lettura, selezione, scomposizione e risistemazione di una
quantità enorme di testi letterari – furono portati a termine in tempi molto brevi, tanto da avere
indotto parte della dottrina a ipotizzare che i commissari si siano avvalsi di raccolte
giurisprudenziali precedentemente compilate, che ne avrebbero agevolato il compito (cd.
‘Predigesti’). Un’ipotesi, in verità, che non pare suffragata da indizi consistenti, e che sembra non
tenere conto delle risorse pressoché illimitate di materiale umano (giuristi, scribi, amanuensi,
trascrittori, segretari ecc.) a disposizione dell’imperatore, e da lui certamente – per un progetto a cui
tanto teneva – investite.
Già nel 533, comunque, i Digesta furono pubblicati, con la costituzione bilingue TantaDèdoken, indirizzata “ad senatus ed omnes populos”.
3.3 Le Institutiones
Anche l’insegnamento del diritto avrebbe dovuto essere impartito secondo criteri unitari, col
crisma dell’autorità imperiale e del suo fondamento religioso: è con questo intento che un’altra
costituzione programmatica (la Imperatoriam maiestàtem, del 533, indirizzata alla “cùpida legum
iuventus”, la “gioventù avida di leggi”) dispone la stesura di un nuovo manuale di Institutiones,
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redatto sullo schema delle Institutiones di Gaio (più antiche di circa quattro secoli), ampliate e
rimaneggiate nei loro contenuti.
I lavori furono eseguiti da una commissione ristretta, guidata da Triboniano e composta dai
maestri di diritto Teofilo e Doroteo, autori ciascuno di due dei quattro libri. Teofilo poi, ‘approfittò’
dell’occasione per pubblicare, a proprio nome, una nuova parafrasi del testo, in lingua greca
(Theophili Institutionum Graeca Paraphrasis), di circa tre volte più ampia del testo delle
Institutiones giustinianee (a loro volta circa tre volte più estese di quelle di Gaio).
3.4 Le Novellae
Dopo la pubblicazione del Codex (534) Giustiniano continuò, naturalmente, fino alla fine della
propria vita (565), a legiferare intensamente in tutti i campi del diritto. Queste nuove leggi, dette,
appunto, Novellae leges, o anche, semplicemente, Novellae (da distinguersi dalle cd. Novellae postTheodosianae, le costituzioni emanate dopo il Codice di Teodosio II e prima di quello giustinianeo)
alla morte dell’imperatore furono riunite in un’apposita raccolta, anch’essa (quantunque non
contemplata dal progetto giustinianeo) considerata parte integrante del Corpus iuris civilis.
3.5 Giustiniano fra mondo classico e Medio Evo
Sullo spirito, il significato e le finalità (politiche, giuridiche, ideologiche, letterarie) del Corpus
iuris civilis (espressione ancora oggi adoperata, in ragione dell’evidente spirito unitario ad esse
sotteso, per indicare l’insieme delle quattro opere menzionate, Codex, Digesta, Institutiones,
Novellae) esistono interpretazioni molto divergenti in dottrina.
Antico e vivace, in particolare, è il dibattito sulle modalità di elaborazione della compilazione,
sull’uso di eventuale materiale preesistente (i cd. ‘Predigesti’, a cui farebbero pensare il tempo
molto breve – appena tre anni - utilizzato per realizzare un’opera, come i Digesta, di enormi
dimensioni, oltre ad alcune caratteristiche riscontrate nella modalità di raccolta dei iura), sul ruolo
svolto dal direttore dei lavori compilatorii, il quaestor sacri Palatii Triboniano e dai vari
commissari sottoposti alla sua guida, sulla ricostruzione delle commissioni e delle eventuali
sottocommissioni di lavoro ecc.
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Alla luce dei diversi punti di vista, Giustiniano è stato variamente inquadrato come un
nostalgico ‘classicista’, restauratore dei valori del diritto classico, o come un uomo del Medio Evo,
interamente calato nella nuova realtà teocratica bizantina, come un laico o come un teologo, un
servitore della Chiesa o un difensore dell’autonomia dell’impero.
3.6 La risignificazione della giurisprudenza classica
Senza entrare in tali discussioni, ci preme mettere in risalto tre elementi, a nostro avviso,
essenziali ai fini di una valutazione complessiva del significato occupato dal Corpus iuris civilis nel
campo della storia del diritto.
Il primo elemento è che l’artificiale ricomposizione del sapere – libero, diffuso ed eterogeneo della giurisprudenza classica, attraverso la grande ‘palingenesi’ dei Digesti, in un unico grande
mosaico sistematico, compilato secondo criteri di completezza e organicità sostanzialmente estranei
allo spirito originario delle opere dei giureconsulti, ne ha profondamente stravolto la natura. Anche
quando gli iura dei giuristi non sono stati cambiati nei loro contenuti, in virtù delle cosiddette
interpolazioni (manipolazioni non dichiarate dei testi), essi sono pur sempre stati ‘risignificati’ in
virtù della loro risistemazione e ricollocazione. Giustiniano usò la classicità facendo ad essa
violenza, ai fini di un progetto ideologico del tutto sconosciuto alla mentalità dei giureconsulti.
Nella costituzione detta (dalle due parole iniziali del testo bilingue, in latino e in greco) TantaDèdoken, del 533, con cui si annuncia la pubblicazione ufficiale dei Digesti, si legge (§ 10) che
“multa et maxima sunt, quae propter utilitatem rerum transformata sunt” (vi sono molte cose, e di
grande rilievo, che sono state cambiate per l’utilità dell’esposizione): si ritiene che la frase si
riferisca soprattutto alle alterazioni verbali apportate dai compilatori ai testi originali (sul numero e
la consistenza delle quali la dottrina è passata, negli ultimi decenni, da una posizione più estensiva
[secondo cui vi sarebbero state interpolazioni molto numerose e incisive], a una più prudente e
restrittiva), ma essa potrebbe anche applicarsi alla totalità degli scritti giurisprudenziali
rappresentati nei Digesti, che risultano tutti, anche quando filologicamente integri, trasformati
“propter utilitatem rerum”.
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vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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3.7 Prevalenza delle leges sui iura
Il secondo elemento riguarda il problema del valore giuridico attribuito ai iura raccolti nei
Digesti: aveva, tale imponente silloge, un valore eminentemente ‘antiquario’ e ‘archeologico’, o
intendeva conferire agli scritti dei giureconsulti, con la forza dell’autorità imperiale, un effettivo
valore cogente e normativo? Anche se la costituzione Deo auctore fa esplicite dichiarazioni nel
secondo senso, affermando addirittura che tutti i responsi dei giuristi compresi nella raccolta
abbiano lo stesso valore di pronunce provenienti direttamente “dalla divina bocca dell’imperatore”
(“…a nostro divino… ore profusa” [§ 6 = Cod. Iust. 1.17.1.6]), non c’è dubbio che la dicotomia
iura-leges andava a integrare un ‘sistema di fonti’ nettamente gerarchizzato, in cui il prevalente
peso politico rendeva evidente la preminenza delle seconde sui primi.
L’imperatore non poteva realisticamente preoccuparsi di alcuna forma di ‘concorrenza’ da
parte dei iura, essendo del tutto palese il loro essere espressione di un mondo passato. Erano le
novae leges, in primis, a rappresentare il quadro normativo vigente, ed era subordinatamente al loro
dettato che gli iura potevano, all’occorrenza, trovare applicazione (così come era alla loro luce che
andavano affrontate e risolte le eventuali contraddizioni e aporie tra diversi responsi). Quanto agli
iura, si può anche riconoscere che essi conservassero (o, magari, acquistassero), tecnicamente,
efficacia di fonti del diritto; ma non c’è dubbio sul fatto che la loro funzione fosse essenzialmente di
tipo propagandistico, tendente ad ancorare l’assolutismo orientale alla gloriosa tradizione culturale
dell’Occidente.
3.8 Ispirazione teologica del Corpus iuris civilis
Il terzo e ultimo fattore da tenere in considerazione è che il sistema giuridico giustinianeo è
direttamente legato al sistema politico teocratico, secondo cui l’imperatore regna sulle materie
terrene così come il vicario di Cristo su quelle spirituali, ma entrambi, sempre, in nome di Dio: già
Costantino, nel convocare il Concilio di Nicea, nel 325, si autodefinì “epìskopos tòn ektòs”, ossia
egli stesso “vescovo per gli affari esterni (alla Chiesa)”.
Nel millenario confronto tra Chiesa e Impero, com’è noto, non sarà mai facile definire in modo
netto chi ‘conduca il gioco’, chi eserciti e chi subisca influenza. Ma, nonostante i contenuti del
Corpus iuris civilis restino, nella grande maggioranza, ‘laici’, se non ‘pagani’, non c’è dubbio che
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l’idea ad esso sottostante fosse squisitamente teologica, direttamente collegata al’indissolubile
binomio monoteismo-monarchia: un solo Dio, un solo sovrano, un solo impero, un solo diritto.
Quanto alle intime convinzioni delle persone che tale progetto furono chiamate a realizzare,
esse difficilmente possono costituire oggetto di analisi storica.
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4 Le modalità di riforma del diritto
4.1 Le constitutiones imperiali
Nel nuovo sistema bizantino (nel cui ambito, secondo un giudizio ampiamente condiviso dalla
dottrina, si registrò, nel complesso, un sensibile calo del livello generale di cultura giuridica), molti
aspetti del diritto costruito nei fervidi secoli del principato furono sottoposti a profonde modifiche,
attraverso svariate modalità.
Il primo, più diretto ed evidente metodo di riforma fu quello delle innovazioni apportate dalle
constitutiones imperiali, attraverso le quali il sovrano andava a definire, di volta in volta,
insindacabilmente, le nuove linee di condotta, adatte alla mutata realtà dei tempi.
4.2 La desuetudine
Non sempre, però, gli imperatori ebbero necessità di intervenire esplicitamente per abrogare
istituti civilistici ritenuti obsoleti, in quanto spesso questi, pur non essendo mai formalmente
abrogati, vennero, nel nuovo clima sociale e culturale, a essere definitivamente accantonati,
cadendo così in desuetudine. Essi continuavano a essere menzionati negli iura delle Pandette, e
quindi, teoricamente, a rappresentare ‘diritto vigente’, ma si trattava di una sopravvivenza
meramente letteraria, senza alcun riscontro pratico nella realtà.
4.3 I canoni conciliari
Accanto alla corte imperiale, poi, anche la Chiesa cattolica tende – in un ambiguo e controverso
rapporto di alleanza e rivalità nei confronti dell’imperatore – a svolgere un’attività di tipo non più
solo pedagogico e catechetico, ma anche normativo. E non c’è dubbio che, in determinate
circostanze, i cànoni dei concilii ecclesiastici – sia pur privi di un vero e proprio carattere legislativo
erga omnes – siano stati recepiti e applicati come delle forme di comando vincolante, rispettati e
fatti rispettare dalla stessa autorità statale.
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4.4 Le interpolazioni
Abbiamo poi un sistema di riforma ‘occulto’ e ‘camuffato’, consistente nelle interpolazioni
apportate, dai compilatori dei Digesta, agli scritti dei giuristi classici, per renderli aderenti alle
nuove esigenze. Quando ciò avveniva, la manomissione del testo non veniva segnalata, per cui lo
scritto veniva presentato come frutto di un pensiero formulato diversi secoli prima - riproposto
come attuale dall’autorità imperiale -, ma il suo tenore, in realtà, era stato modificato, per introdurre
dei cambiamenti ritenuti necessari. Il problema è che gli studiosi contemporanei non sono in grado
di riscontrare con chiarezza la presenza di tali modifiche, non essendo esse, come abbiamo detto,
segnalate dai compilatori. Tranne pochi casi, perciò, nei quali l’alterazione è evidente (p. es.,
riferimenti a templi pagani trasformati in riferimenti a chiese cristiane), la sua individuazione è
rimessa a una critica del testo – effettuata secondo criteri storici, filologici e giuridici – molto
opinabile, che spesso non offre alcuna possibilità di sicuro riscontro. Come abbiamo già notato, in
passato alcune correnti di dottrina romanistica erano portate a ritenere che i testi classici fossero
stati ampiamente manomessi e alterati dagli uomini di Triboniano (tanto da fare addirittura parlare,
con termine tedesco, di una ‘Interpolationenjagd’, una “caccia alle interpolazioni”), mentre oggi
prevale un atteggiamento più moderato e prudente.
A nostro giudizio, pur non potendosi avere certezze in materia, è molto verosimile che le
manomissioni dei testi siano state piuttosto poche e marginali, per due essenziali motivi. Il primo è
che i commissari, già oberati di lavoro, difficilmente avrebbero trovato il tempo e la voglia di
procedere a un sistematico lavoro di riscrittura dei testi. Il secondo, più importante argomento, è che
la corte imperiale non aveva alcuna seria necessità di aggiornare gli iura, dato il loro carattere
evidentemente subordinato rispetto alle novae leges (anche se resta comunque possibile - e, in
diversi casi, provato - che gli scritti dei giuristi, nei diversi secoli intercorrenti tra la loro redazione e
la compilazione giustinianea, abbiano subito, per diverse ragioni, dei rimaneggiamenti testuali).
La ricordata asserzione di Giustiniano, secondo cui “multa et maxima” degli scritti giurisprudenziali
sarebbero stati trasformati, andrebbe intesa pertanto in senso prevalentemente propagandistico,
ossia come affermazione, retorica e falsa, secondo cui l’antico materiale letterario sarebbe stato
riproposto al pubblico dopo avere subito un attento lavoro di ‘riedizione attualizzante’.
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4.5 Le riedizioni dei testi giurisprudenziali e delle leges imperiali
Come abbiamo già avuto modo di ricordare in precedenza, infine, diverse riforme furono
introdotte, anche stavolta in modo occulto, attraverso le riedizioni di materiale giurisprudenziale
classico e di leggi imperiali compilate dai privati, fra il terzo e il quinto secolo (come i Fragmenta
Vaticana, la Collatio legum Mosaicarum et Romanarum, i Tituli ex còrpore Ulpiani, le Pauli
sententiae), nelle quali il pensiero dei iuris periti e il testo delle costituzioni, apparentemente
riprodotti con fedeltà, venivano in realtà trascritti in modo alterato, per adeguarne il contenuto alle
nuove esigenze dei tempi.
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