Un manifesto affinché la cefalea primaria cronica sia riconosciuta patologia sociale 27 febbraio 2014 Ottenere il riconoscimento legislativo della cefalea primaria cronica come malattia sociale, mettere a punto un sistema di cure più efficiente (ossia modulabile sulle necessità del singolo paziente e differenziato per livelli di gravità), effettuare un’adeguata informazione e un corretto orientamento all’interno dei servizi sanitari per favorire la necessaria continuità terapeutica, garantire una maggiore preparazione degli operatori sanitari, assicurare la costante applicazione degli standard assistenziali che emergono dalle linee guida e dalle norme di buona pratica clinica su tutto il territorio nazionale. Sono gli obiettivi che si pone il primo Social Manifesto in Italia per i diritti della persona con cefalea, a difesa degli oltre sei milioni di italiani che ne soffrono, presentato a Roma. Il Social Manifesto è firmato da SISC (Società italiana per lo studio delle cefalee), ANIRCEF (Associazione neurologica italiana per la ricerca sulle cefalee), FEDERDOLORE – SICD (Società italiana dei clinici del dolore), LI Onlus (Lega italiana Cefalalgici), AIC Onlus (Associazione italiana per la lotta contro le cefalee), Al.Ce Foundation Onlus (Alleanza Cefalalgici), FEDERFARMA, con il patrocinio dell’Associazione di Iniziativa Parlamentare per la Salute e la Prevenzione, nell’ambito dell’Italian Migraine Project. Quest’ultimo vedrà le associazioni di pazienti, medico-scientifiche e professionali firmatarie del documento riunite in un’Alleanza contro le Cefalee impegnata in un arco temporale di due anni a realizzare numerose iniziative: report informativi a uso delle istituzioni e della pubblica opinione, campagne sociali per sensibilizzare i legislatori sulla necessità di identificare le priorità di intervento, tra le quali l’opportunità di sostenere finanziariamente e promuovere studi e ricerche, oltre a sviluppare iniziative per la formazione e l’aggiornamento degli specialisti. I bisogni del paziente e le competenze del terapeuta Il problema fondamentale affrontato dal Social Manifesto è costituito dalla cefalea primaria cronica che rappresenta la settima causa mondiale di disabilità e, nella sola Italia, pesa per 3,5 miliardi di euro in termini di costi diretti (spese mediche, farmaci e ospedalizzazione) e indiretti (mancata produttività e assenteismo). Un problema sanitario per il quale, come è stato indicato dall’OMS, è necessario rimuovere barriere di ordine clinico, sociale e politico-economico. «Oggi in Italia chi soffre di cefalea, e si tratta in gran parte di donne, utilizza troppo spesso i farmaci in modo improprio e protratto, con rischi di tossicità e abuso o dipendenza, favorendo la cronicizzazione del disturbo» spiega Giorgio Bono, presidente della SISC. «Per questo è fondamentale arrivare a una chiara definizione legislativa della malattia come patologia sociale, offrendo a ogni paziente un percorso di informazione e cura personalizzato e consentendo l’accesso agli interventi terapeutici più innovativi - farmacologici e non - che oggi non sono assicurati in tutte le Regioni in modo uniforme». «Il punto fondante del manifesto, che è una carta dei diritti dei cefalalgici, è la risposta alla domanda: che cosa vogliono i pazienti?» prosegue Bono. «Parlando da medico rispondo che hanno diritto di avere medici esperti e quindi, da un punto di vista formativo, le società scientifiche possono essere utili, nell’ambito di questa iniziativa, a promuovere una migliore cultura e una maggiore attenzione verso il problema del paziente con cefalea. Si tratta infatti sempre di un problema complesso, in quanto la cefalea è un disordine che viene portato sempre sul background non solo biologico ma anche di personalità, e si modula su variabili come lo stato affettivo, la condizione sociale: sul corpo e sull’ambiente». «Per questi motivi la cefalea richiede un’attenzione maggiore» sostiene il presidente della SISC. «Poi la cultura sul tema deve essere adeguata per livelli di competenza, evidenziando l’importanza della diagnosi differenziale tra forme pericolose e non pericolose o primarie. Ciò impone un’adeguata quota di insegnamento agli studenti in medicina sulle cefalee come disordine e la promozione di iniziative formative per specialisti sul territorio rispetto alle nuove possibilità di cura. Fondamentale, ancora, promuovere la ricerca nei centri di riferimento – non solo sui farmaci - in modo che i risultati rappresentino un feedback per migliorare il sistema assistenziale». «Il riconoscimento della cefalea primaria cronica come patologia sociale» precisa infine Bono «non implica spese ma dà dignità ai pazienti e permette, con adeguati criteri, di riconoscere in maniera oggettiva il peso di un’eventuale invalidità correlata, mentre oggi esiste tra le varie Regioni una sostanziale difformità sui criteri per misurare i livelli di disabilità». «L’aspettativa di chi soffre di mal di testa è quella di non voler vedere sottovalutata la propria sofferenza» aggiunge Francesco Maria Avato, responsabile scientifico dell’Alleanza Cefalalgici. «La cefalea, invece, troppo spesso è considerata una malattia banale, di secondaria importanza, che non merita particolare attenzione. In realtà il dolore, quando si presenta, ha notevoli conseguenze sulla qualità di vita, incide sull’attività lavorativa, ed è gravata da comorbilità quali ansia e depressione». In questo modo – sostiene Avato - la cefalea diventa un paradigma per la necessità di un intervento che non sottovaluti il problema, e di un sistema organizzativo coerente che garantisca un percorso diagnostico-terapeutico affidabile al paziente. Le peculiarità della patologia e il modello organizzativo assistenziale «La difficoltà del trattamento della cefalea nasce dalla difficoltà della diagnosi» afferma Marco Aguggia, presidente dell’ANIRCEF. «La classificazione è infatti molto articolata. Solo dal parere di un esperto può derivare un trattamento adeguato. Trattamento che, come già accennato, attualmente non è omogeneo e deve diventarlo. Attraverso la Legge 38, che di occupa di dolore cronico anche non oncologico, occorre declinare a livello nazionale e regionale le professionalità coinvolte e i reciproci ruoli e individuare i centri esperti nei vari trattamenti». Sono 3 i riconoscimenti fondamentali che devono essere ottenuti tramite il Social Manifesto, secondo Aguggia. «Sapere che quando una cefalea supera i 15 giorni di durata o dura almeno per 3 mesi durante l'anno è una forma cronica. Evidenziare che esistono forme dovuto all’abuso cronico di farmaci OTC (e in questo occorrerà un’opera di educazione a livello del farmacista e del medico di famiglia). Considerare la cefalea primaria cronica come malattia sociale, spiegando alle Istituzioni che è diversa da altre forme di dolore cronico e che, per esempio, non risponde a morfina e oppiacei che, al contrario, in questi pazienti possono creare un’invalidità cronica». «È poi fondamentale che il SSN offra un accesso alle cure articolato per livelli di complessità crescente, secondo il modello “hub & spoke”, assicurando quindi non solo un’efficiente gestione e presa in carico dei malati ma anche la massima appropriatezza dell’approccio in tutte le Regioni italiane» continua il presidente dell'ANIRCEF. «Occorre portare in sottoesposizione il 97%-98% dei pazienti che non soffrono di forme gravi e vanno educati e indirizzati, e che costituiscono il 97%-98% della spesa, a causa della grande quantità di esami inappropriati eseguiti. È da sovraesporre invece quel 2%-3% di soggetti che sono affetti da forme difficili da trattare e sono socialmente limitati». Un’attenzione specifica sarà dedicata da parte dell’Alleanza all’età evolutiva, in considerazione della gravità e della dimensione del problema: la cefalea colpisce circa il 25% della popolazione pediatrica in età scolare, con significative ripercussioni sul rendimento scolastico e sulla comprensione di comportamenti anomali del bambino da parte dei genitori. Il ruolo delle farmacie nel monitoraggio dell'uso dei farmaci Un ruolo non secondario in questa nuova alleanza intende poi giocarlo la farmacia, che rappresenta un basilare punto di riferimento sul territorio per il cittadino, con 18 mila esercizi, 50 mila professionisti e 3,5 milioni di cittadini che vi si recano tutti i giorni. «Per il paziente cefalalgico la farmacia è un punto di riferimento importante ed è uno “sportello” di consulenza perché gli antidolorifici sono tra i farmaci da banco più venduti ed è importante che siano utilizzati in modo appropriato» rileva Annarosa Racca, presidente di Federfarma. «In particolare» prosegue Racca «i farmacisti forniscono informazioni sul corretto uso dei farmaci e sugli stili di vita che contribuiscono a prevenire la patologia o a migliorarne l’evoluzione. Inoltre indirizzano verso le fonti affidabili da consultare nel campo della salute mettendo in guardia da alcuni siti Internet potenzialmente pericolosi. Di rilievo il fatto che - grazie alla piattaforma informatica in via di ultimazione, e in particolare al fascicolo sanitario elettronico - le farmacie possono contribuire al monitoraggio dell’uso dei farmaci, verificando in particolare l’aderenza del paziente alle terapie o l’assenza di fenomeni di abuso attraverso i dati delle vendite comunicati al SSN. Infine la farmacia è un presidio integrato nella rete delle strutture sanitarie e come tale può, se necessario, indirizzare i pazienti ai centri specialistici presenti sul territorio, abbreviando i tempi del ricorso alla terapia più adeguata, in sinergia con i medici di medicina generale». I compiti della politica e del legislatore «Compito della politica è quello di dare una risposta ai bisogni sociali di vasta portata, affrontandoli prima che degenerino in patologie conclamate o croniche» sottolineato il Senatore Antonio Tomassini, presidente dell’Associazione di Iniziativa Parlamentare e Legislativa per la Salute e la Prevenzione che ha patrocinato il Social Manifesto. «È con questa logica che la nostra Associazione si impegnerà per dare impulso a provvedimenti che, nel loro insieme, diano risposta a una domanda di salute importante e fin qui inascoltata».