Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Indice dei Capitoli Presentazione Prefazione Capitolo 1: Posizione sistematica, origine e diffusione Obiettivi Posizione sistematica, origine e diffusione Capitolo 2: Superfici, Produzioni e Mercato internazionale Obiettivi Superfici, Produzioni e Mercato internazionale Il mercato internazionale degli oli di oliva Il mercato internazionale delle olive da tavola L'olivicoltura italiana L'olivicoltura della sardegna Capitolo 3: La propagazione dell'olivo Obiettivi La propagazione dell'olivo Ruolo e importanza del vivaismo olivicolo Le tecniche di propagazione Capitolo 4: L'impianto dell'oliveto Obiettivi L'impianto dell'oliveto Considerazioni climatiche Considerazioni sulla giacitura e natura dei terreni Operazioni preliminari all'impianto Tracciamento e piantumazione Capitolo 5: La scelta varietale per l'olivo da olio e da mensa Obiettivi La scelta varietale per l'olivo da olio e da mensa Il patrimonio varietale italiano Varietà sarde Capitolo 6: Biologia fiorale dell'olivo Obiettivi Biologia fiorale dell'olivo Capitolo 7: Il clima dell'oliveto sardo Obiettivi Il clima dell'oliveto sardo Aspetti generali del clima della Sardegna Le precipitazioni delle aree olivetate Le temperature delle aree olivetate L'agrometeorologia dell'olivo Capitolo 8: Esigenze idriche e irrigazione Obiettivi Esigenze idriche e irrigazione Effetti dello stress idrico Effetti dell'irrigazione Stima dei fabbisogni idrici Pianificazione irrigua Qualità dell'acqua Capitolo 9: La gestione del terreno Obiettivi La gestione del terreno Le lavorazioni ordinarie Il diserbo chimico L'inerbimento Capitolo 10: Esigenze nutritive e concimazione Obiettivi Esigenze nutritive e concimazione Cenni su fotosintesi e respirazione Ciclo dell'azoto nell'oliveto Il ruolo del terreno nell'assorbimento dei nutrienti Valutazione del fabbisogno e ruolo dei principali nutrienti Conclusioni Capitolo 11: Potatura e forme di allevamento Obiettivi Potatura e forme di allevamento Principali operazioni di potatura Potatura di allevamento Potatura di produzione Potatura di riforma Forme di allevamento Capitolo 12: Difesa: fitofagi dell'olivo Obiettivi Difesa: fitofagi dell'olivo Fitofagi principali Fitofagi secondari Fitofagi di importanza minore Gestione fitosanitaria dell'oliveto Capitolo 13: Difesa: avversità non parassitarie Obiettivi Difesa: avversità non parassitarie Eccessi di caldo Eccessi di freddo Capitolo 14: Difesa: malattie parassitarie dell'olivo Obiettivi Difesa: malattie parassitarie dell'olivo La rogna o tubercolosi L'occhio di pavone o vaiolo La piombatura La lebbra La verticilliosi Seccumi dei rami Altre forme di marciumi dei frutti Giallumi I marciumi radicali La carie La fumaggine Virus, virosi e malattie simil-virali La lotta integrata Capitolo 15: La raccolta delle olive Obiettivi La raccolta delle olive Metodi di raccolta Intercettazione del prodotto Organizzazione del cantiere di raccolta Considerazioni finali Capitolo 16: Aspetti qualitativi dell'olio di oliva Obiettivi Aspetti qualitativi dell'olio di oliva La composizione dell'olio La classificazione merceologica L'analisi sensoriale Fattori che influenzano la qualità La conservazione dell'olio di oliva Appendice: Norme e Regolamenti Legislativi Bibliografia Credits Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Presentazione Le produzioni olivicole-olearie si stanno espandendo in diversi paesi del Mediterraneo, (Nord Africa e Asia Minore) ma Anche nelle Americhe, in Australia e in Sud Africa. In Italia e specificatamente in Sardegna la coltivazione dell'olivo può avere un futuro, tenuto conto dei costi elevati e della entità dimensionale delle piantagioni e degli impianti di coltivazione? La non facile risposta all' impegnativa domanda può avere un orientamento positivo se si verificassero (o meglio se si programmassero) alcune condizioni di base: privilegiare e supportare gli ambienti pedo-climatici e antropici di maggiore valenza; utilizzare le opportunità derivanti dalla disciplina della Denominazione di Origine Protetta, in corso di approvazione per l'olio extravergine della Sardegna, con l'obiettivo di valorizzare le peculiarità produttive; esaltare, nella coltivazione e nella trasformazione, le caratteristiche tipiche degli oli sardi di alto livello compositivo ed organolettico; organizzare azioni di marketing, mirate a mettere in risalto e supportare la valorizzazione delle peculiarità e la salubrità delle produzioni ottenute in un ambiente molto positivo sotto il profilo ecologico; costruire sistemi produttivi capaci di proiettarsi con efficacia nelle fasce più interessanti di mercato; assicurare una adeguata remunerazione delle produzioni delle materie prime di elevate e specifiche caratteristiche. Considerazioni analoghe possono essere fatte per le produzioni di olive da mensa. Lungi dal voler enunciare un decalogo di buoni propositi, riteniamo che la possibilità di qualificazione delle produzioni agricole ed agroalimentari della Sardegna passano per percorsi obbligati che debbono prevedere la valorizzazione delle aree vocazionali, le tipicità del territorio e delle coltivazioni unitamente al perfezionamento delle conoscenze della pianta, delle tecniche e dei processi di trasformazione. Fare il punto sulla olivicoltura, aggiornare le conoscenze, le linee di movimento delle tecniche agronomiche, l'ottenimento di produzioni salubri e di alta qualificazione sono dei presupposti fondamentali per conseguire l'obiettivo di ottenere un prodotto tipico, di qualità che possa essere venduto ad un prezzo remunerativo anche per l'agricoltore. La chiusura di questa equazione, l'unica possibile di questi tempi, spetta ai Produttori che devono poter contare sulle strutture tecniche, burocratiche organizzative e di marketing per conseguire l'obiettivo. In questo scenario anche l'assistenza tecnica specialistica rappresenta una fase importante per la crescita ed una più efficiente organizzazione del comparto olivicolo oleario della Sardegna che, peraltro, è l'unico che, tra le coltivazioni arboree da frutto, attraversa una fase espansiva. La presente edizione del Manuale di Olivicoltura su CD-ROM, e stata appositamente elaborata per renderne più fruibile e immediato l'utilizzo divulgativo. Senza stravolgere l'impostazione editoriale del volume, sono stati aggiunti ulteriori dati e elementi multimediali,. Il lavoro, inserito nelle attività relative ai progetti tesi al "Miglioramento della qualità dell'olio" (Regolamento 528/99), si integra in questo contesto e cerca di dare risposta alla pressante domanda di innovazione che il mondo olivicolo locale ha espresso in questi anni. Ritengo che il Manuale possa contribuire in maniera decisa a razionalizzare la fase produttiva: realizzazione oculata di nuovi impianti, utilizzo consapevole delle risorse tecniche, aumento delle produzioni unitarie, contenimento dei costi, miglioramento dei livelli qualitativi. Agli autori di questo importante volume sulla olivicoltura un vivissimo ringraziamento da parte del Consorzio e dei Produttori olivicoli-oleari. Dott. Aldo Palomba Presidente del Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura 1 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Prefazione Gli anni novanta sono stati caratterizzati da una ripresa di interesse per la coltivazione dell'olivo e per la produzione dell'olio e delle olive trasformate. Le conoscenze sempre più affinate sulle potenzialità agronomiche e tecnologiche delle diverse varietà nei differenti ambienti, i comportamenti delle piante autoradicate e innestate, i sesti di impianto dei nuovi oliveti, funzionali anche alla utilizzazione delle tecniche irrigue ed alla meccanizzazione integrale delle coltivazioni, oltre ai diversi metodi di lotta ai litofagi, sono stati approfonditi in maniera adeguata nell'ultimo decennio dalle strutture sperimentali e dalle aziende olivicole. Pertanto, il patrimonio di conoscenze concretamente verificate in campo, si è notevolmente accresciuto e le reali possibilità di realizzare un modello olivicolo più moderno e adeguato ai tempi ed ai costi è stato messo a punto. Inoltre le tecniche di biologia molecolare che permettono di caratterizzare in maniera precisa le varietà e di identificare la presenza di alcune patologie di origine virale rappresentano ulteriori elementi utili per la costruzione di una olivicoltura sempre più consapevole delle sue potenzialità e dei relativi limiti. Anche la caratterizzazione analitica ed organolettica degli oli provenienti da specifiche varietà, nei diversi ambienti della Sardegna ha consentito di valutare al meglio le peculiarità compositive e gustative di produzioni olivicole e olearie ottenute da varietà e biotipi tradizionali e non. Le conoscenze tecniche anche su potenzialità e limiti delle coltivazioni con metodo biologico o integrato, solo in parte sono state definite, mentre per una serie di aspetti devono essere ulteriormente approfondite, per poter disporre di elementi meno incerti e maggiormente attendibili del passato. L'encomiabile, e molto apprezzato sforzo effettuato dagli Autori di questo interessante volume, reso più efficacemente utilizzabile con il trasferimento dei capitoli su CD-ROM, consente di disporre di uno strumento di lavoro aggiornato sotto il profilo tecnico e scientifico, utile agli operatori del settore, sempre più orientati ad una sempre più consapevole gestione della coltivazione dell'olivo. Dott. Salvatore Spada Direttore Generale Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura 2 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 1 - Posizione sistematica, origine e diffusione Obiettivi Il capitolo descrive il processo di domesticazione della specie e il suo inquadramento sistematico. L'Olivo coltivato e l'Oleastro hanno avuto origine nel Vicino Oriente come risultato del processo di domesticazione di specie spontanee; tra queste l'Olea chrysophilla. Il termine olivastro deve, quindi, utilizzarsi per i semenzali ottenuti da varietà coltivate. La diffusione di oleastro e olivastro negli ecosistemi naturali e seminaturali dell'area mediterranea deriva dalla disseminazione svolta, in prevalenza, da diverse specie di uccelli. Alla stessa famiglia delle Oleacee, appartengono il frassino, il lillà, la fillirea e il ligustro. Tutte le specie del genere Olea hanno 46 cromosomi (fase diploide). Il capitolo riporta la dinamica di diffusione dell'olivo nel bacino del Mediterraneo e negli altri continenti. Posizione sistematica, origine e diffusione L'areale di origine dell'Olea europaea L. si colloca presumibilmente nel Vicino Oriente, dove il processo di domesticazione della specie O. chrysophilla Laxx. ha dato luogo, dapprima, all'Olivo selvatico o oleastro (O. oleaster L. sinonimo di O. europaea oleaster e di O. europaea sylvestris), e successivamente all'Olivo coltivato. Il termine olivastro si deve, quindi, attribuire ai semenzali delle varietà coltivate che, nei territori riconducibili al fitoclima del Lauretum, sottozona calda e media (Pavari, 1937), trovano condizioni compatibili con la disseminazione naturale, grazie soprattutto alla predazione esercitata sulle drupe da diverse specie di uccelli. L'Olivo appartiene alla famiglia delle Oleaceae (tav.1.1) che comprende 17 generi, tra i quali meritano di essere ricordati, oltre all'Olea, il Fraxinus, il Syringa, il Phillyrea e il Ligustrum. TRIBU' SOTTOTRIBU' GENERI Fraxineae 1. Fontanesia, Labill., con una specie 2. Fraxinus L., con 39 specie Syringeae 3. Forsythia Vahl, con due specie 4. Nathusia Hochst., con quattro specie 5. Syringa L., con dieci specie Oleineae 6. Hesperealaea Gray, con una specie 7. Phillyrea L., con sei specie 8. Osmanthus Lour., con dieci specie 9. Forestiera Poir., con quattordici specie 10. Noronhia Stadt., con una specie 11. Mayepea Aubl., con quaranta specie 12. Notelaea Vent., con sette specie 13. Chionanthus L., con due specie 14. Tessarandra Miers., con una specie 15. Olea L., con trentuno specie 16. Ligustrum L., con trentacinque specie 17. Myxopyrum Blume, con due specie OLEOIDEAE Tavola 1.1 Aspetto sistematico della famiglia delle oleaceae JASMINOIDEAE La sistematica del genere Olea è tuttora oggetto di studio; secondo alcuni Autori comprenderebbe 13 specie ( tav.1.2), asecondo altri oltre 30. L'unica che possa rivestire un qualche interesse agronomico per l'area mediterranea, oltre naturalmente all'O. europaea, è l'O. cuspidata sperimentata come portinnesto per la sua resistenza alla verticilliosi. E', però, evidente che le diverse entità specifiche rappresentano materiale di estremo interesse per i programmi di miglioramento genetico. Tutte le specie di Olea hanno 2n = 46 cromosomi. 3 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Le prime citazioni storiche di una coltivazione dell'Olivo sono state reperite a Ebla, massimo centro della civiltà protosiriana matura ubicato nel nord della Siria, dove tavolette di scrittura cuneiforme della metà del III millennio riferiscono di un'annata caratterizzata da elevata produzione di olio. Dall'Asia l'Olivo è introdotto in Egitto (fig. 1.1) dove risulta presente già nell'Antico Regno (3.000 a.C.), e largamente coltivato nel Nuovo Regno: un'iscrizione del tempio del dio Ra a Eliopoli, attribuibile alla XX dinastia (Ramesse III, 1197 - 1165 a. C.), riporta che gli oliveti della città fornivano il miglior olio di Egitto per l'alimentazione delle lampade nel palazzo sacro. Figura 1.1 - Espansione dell'olivo nel bacino del Mediterraneo dalla sua presumibile zona di origine (Morettini, 1972) La coltivazione dell'Olivo è riportata nei libri dell'Antico Testamento, come il Deuteronomio, e citata dai profeti Geremia, Osea e Gioele. Le incisioni paleobotaniche della civiltà minoica di Cnosso (Creta) databili agli inizi del XV secolo a. C., suggeriscono, sulla base della forma della coppa senza anse dove sono scritte, il riferimento a un olivo selvatico o a una forma primitiva di olivo coltivato. Pare che la civiltà minoica destinasse le olive più all'elaborazione di profumi che all'alimentazione, documentata invece presso la civiltà micenea. In epoca romana Fenestella e Diodoro, storici contemporanei dell'imperatore Augusto (I secolo a. C.) affermano che agli inizi del secolo VI a.C. l'olivo era sconosciuto nel Nord Africa, mentre la specie risulta presente a Cartagine nel secolo V a. C. Sulle sponde occidentali del Mediterraneo l'Olivo fu portato dai Fenici che intono al 1100 a. C. scambiavano con gli Ispani olio in cambio di argento; alla fine del I millennio a. C., il sud della Spagna era coperto di oliveti. Secondo Fenestella l'Olivo non era conosciuto in Africa, Spagna e Italia all'epoca del re di Roma Tarquinio Prisco (VI secolo a. C.), mentre nell'età augusta la specie raggiunge le Alpi, la Francia e l'interno della Spagna. Nel periodo imperiale la specie si diffuse in tutti i territori vocati, dal Portogallo alla Francia settentrionale e fino all'Inghilterra meridionale. Verso sud, si diffuse nel continente africano sino ai limiti del Sahara; verso oriente occupò territori oggi desertici. L'espansione nel continente americano e in Oceania (con particolare riferimento all'Australia) è evidentemente molto più recente e sovente legata alle tradizioni alimentari introdotte dai flussi migratori provenienti dall'area mediterranea. Un notevole impulso all'espansione dell'olivo si è registrato dopo la seconda guerra mondiale in Argentina, Cile, Perù, Uruguay e U.S.A. 4 Tavola 1.1 - Aspetto sistematico della famiglia delle oleaceae TRIBU' SOTTOTRIBU' GENERI Fraxineae 1. Fontanesia, Labill., con una specie 2. Fraxinus L., con 39 specie Syringeae 3. Forsythia Vahl, con due specie 4. Nathusia Hochst., con quattro specie 5. Syringa L., con dieci specie Oleineae 6. Hesperealaea Gray, con una specie 7. Phillyrea L., con sei specie 8. Osmanthus Lour., con dieci specie 9. Forestiera Poir., con quattordici specie 10. Noronhia Stadt., con una specie 11. Mayepea Aubl., con quaranta specie 12. Notelaea Vent., con sette specie 13. Chionanthus L., con due specie 14. Tessarandra Miers., con una specie 15. Olea L., con trentuno specie 16. Ligustrum L., con trentacinque specie 17. Myxopyrum Blume, con due specie OLEOIDEAE Tavola 1.2 - Aspetto sistematico del genere Olea SEZIONE SPECIE SOTTOSPECIE O. apetala Vahl GYMNELAEA EUELAEA O. europaea O. verrucosa Link O. capensis L. O. exasperata Jacq. O. laurifolia Hochst. O. chrysophylla Lam. O. cuspidata Wall. O. dioica Roxb. O. polygama Wight. O. lancea Lam. O. glandulifera Wall. O. paniculata R. Br. O. europaea oleaster D.C. O. europaea sativa D.C Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 2 - Superfici, Produzioni e Mercato internazionale Obiettivi Si analizza la dinamica più recente di superfici coltivate e produzioni, a livello globale, nazionale e regionale. L'area mediterranea comprende il 97% delle superfici coltivate a olivo, e fornisce il 92,5% delle produzioni mondiali di olio. Il 26% delle superfici coltivate è localizzato in Spagna, nazione che detiene il primato produttivo sia per l'olio che per le olive da mensa. La produzione mondiale di olio ha superato i due milioni di tonnellate, di cui il 75% proviene dalla CE. La produzione mondiale di olive da tavola ha raggiunto 1,2 milioni di tonnellate, di cui il 42% prodotto nella CE. La superficie olivetata italiana è pari a 1,1 milioni di ettari, che forniscono 2,2 milioni di tonnellate di olive: la resa è di sole 2 t/ha. La produzione italiana di olio deriva per il 41 e 22% nell'ordine da Puglia e Calabria, mentre quella regionale è pari all'1,7%. Il settore oleario corrisponde al 4% della ricchezza prodotta dall'agricoltura italiana, mentre in Sardegna il contributo si ferma al 3%. La provincia sarda con la maggiore superficie olivetata è quella di Sassari: circa 12mila ha su 37mila. I livelli di efficienza dell'azienda olivicola regionale sono molto modesti per l'età avanzata degli impianti, la ridotta superficie media, l'orografia spesso collinare. Le grandi aree di concentrazione dell'olivicoltura regionale sono descritte in sintesi, e rappresentate come immagini provinciali estratte dalla carta del progetto "Risorse Idriche - Sigria" svolto dall' Istituto nazionale di Economia agraria. Superfici, Produzioni e Mercato Internazionale La situazione mondiale dell'olivicoltura è riassunta nella tavola 2.1 e nella tabella 2.1. L'area mediterranea rappresenta ancora il territorio di maggiore concentrazione produttiva, con oltre il 97% delle superfici investite e il 92,5% delle produzioni (fig. 2.1). Figura 2.1 Principali zone di diffusione della olivicoltura nel mondo (Morettini, 1972) L'olivo, sia perché inserito nella così detta "dieta mediterranea" (tab. 2.2) sia per il crescente consumo di olive da mensa, va però espandendosi anche in altre aree, come il Sud Africa, il Nord America e il Medio Oriente. Le previsioni di mercato indicano un calo sensibile, in sostanza, solo per l'Italia. Sul finire degli anni 90 le superfici investite ammontavano a 8,7 milioni di ettari, dei quali ben il 26% presente nella sola Spagna. Seguiva poi la Tunisia con 1,6 milioni di ettari, l'Italia (1,1 milioni di ha), la Turchia, la Grecia e il Marocco. La produzione di olio (media del triennio 1996/97 - 1998/99) vedeva ancora al primo posto la Spagna, seguita da Italia e Grecia, segnalando le più basse rese e una certa diffusione dell'olivicoltura da mensa in Tunisia e Turchia. Anche per la produzione di olive da mensa, la Spagna detiene saldamente il primato mondiale, mentre l'Italia si colloca solo al settimo posto e deve ricorrere alle importazioni. Il mercato internazionale degli oli di oliva Gli ultimi dati disponibili, relativi alla campagna 1998/99, indicano che la produzione mondiale di olio di oliva è risultata di poco superiore a 2.370.000 tonnellate (Consiglio Oleicolo Internazionale, 1999), ù cioè poco meno delle due più che positive precedenti campagne commerciali. Questo dato porta la produzione mondiale media degli anni '90 a superare i 2.030.000 t (fig. 2.2). 5 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro I principali produttori sono sempre la Comunità Europea e la Tunisia con oltre il 75 e l'8% nell'ordine; seguono la Siria e la Turchia rispettivamente col 7 e 9% (annata 1998/99), ma con un valore complessivo del 4% per la media degli anni '90. Il consumo mondiale di olio d'oliva persiste nella sua costante espansione e ha toccato, nell'annata 1998/99, il valore record di 2.385.000 t. L'equilibrio tra produzione e consumo ha caratterizzato l'intero decennio appena trascorso. Anche il commercio di olio (fig. 2.2) ha ottenuto risultati più che positivi, poiché le esportazioni dell'annata 1998/99 hanno toccato le 500.000 t grazie ai progressi delle quote comunitarie e tunisine: 235.000 e 175.000 t nell'ordine, con un incremento rispettivamente del 29 e 54% sulla media del decennio. Le importazioni, nell'annata 1998/99, hanno superato le 550.000 t, con un incremento del 53% rispetto alla media decennale. Il 40% di questo valore è assorbito dall'Unione Europea, seguita da Australia, Brasile, Canada, Giappone e Stati Uniti; nel complesso questi mercati hanno assorbito il 46% delle esportazioni mondiali (sempre in riferimento all'annata 1998/99). Di questa percentuale ben il 45% era rappresentato da oli vergini. Figura 2.2 - Produzione, importazioni ed esportazioni internazionali di olio di oliva (fonte: C.O.I. 2000. Catalogo mondiale delle varieta di Olivo, Madrid) Le previsioni tendenziali sviluppate dal Consiglio Oleicolo Internazionale per i primi anni del terzo millennio indicano una tendenza al decremento delle produzioni italiane di olio di oliva (da 490.000 a 391.000 tonnellate), e prevedono un importante sviluppo per quelle spagnole (dalle attuali 530.000 a 767.000 t) e greche. Questi risultati, scaturiti dai processi di razionalizzazione delle strutture produttive condotti nell'ultimo ventennio, hanno contribuito a rendere eccedentaria la produzione interna e a imporre il crescente ricorso alle esportazioni. Una simile politica è stata seguita in altri paesi mediterranei e medio orientali, caratterizzati nel passato da livelli produttivi inferiori alla domanda interna: Turchia, Marocco, Egitto, Siria, Libano, Giordania e Iran. In queste aree il principale fattore limitante risulta la carenza idrica, con forti dipendenze dai variabili andamenti climatici. Aree, invece, vocate ma non ancora utilizzate sono individuabili principalmente in Cile e Argentina, con una previsione di circa 100 - 150.000 ettari di oliveti in produzione per i prossimi anni, il cui olio sarebbe destinato sia al mercato interno che a quello nord americano; e in Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda, con una superficie prevista di 15 - 20.000 ha il cui prodotto dovrebbe essere assorbito da Giappone, Cina e Corea. In questo quadro le previsioni che si possono sviluppare per l'Italia e la Sardegna individuano nella categoria degli oli extra vergini a differente tipicità, data la grande eterogeneità pedoclimatica e varietale, la nicchia di mercato in cui collocarsi. Detta fascia di consumo è caratterizzata da prezzi medio alti, ed è presente sia in ambito comunitario che in USA, Canada e Giappone. Il mercato internazionale delle olive da tavola Nella campagna 1998/99 la produzione mondiale di olive da tavola è stata stimata dal C.O.I. pari a 1.180.000 t, livello mai raggiunto prima. Pertanto la produzione media del decennio supera per la prima volta il milione di tonnellate (fig. 2.3). Fondamentale appare sempre il contributo della U.E. che, in riferimento alla campagna 1998/99, rappresenta il 42% del totale; seguono la Turchia (18%), il Marocco (7%) e gli Stati Uniti (6,6%). Risultano in forte crescita le produzioni europee e quelle turche, che come media decennale si fermano nell'ordine al 40 e 14%. Il consumo mondiale nel corso della campagna 1998/99 è aumentato di circa 70.000 t, portando la domanda complessiva a 1.150.000 t. I più importanti mercati di assorbimento si confermano l'U.E. e gli Stati Uniti, con valori del 35 e 17% della produzione del 1998/99. Per la stessa campagna di commercializzazione si sono registrate esportazioni pari a 310.000 t, con un incremento del 32% sulla media del decennio (fig. 2.3). 6 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Figura 2.3 - Produzione, importazioni ed esportazioni internazionali delle olive da tavola (fonte: C.O.I. 2000. Catalogo mondiale delle varieta di Olivo, Madrid) L'Olivicoltura italiana. La superficie olivetata italiana si è mantenuta, negli anni '90, prossima a 1 milione e centomila ettari, con una tendenza regressiva nella prima parte del decennio e una fase espansiva nella fase centrale (tab. 2.3), presumibilmente in relazione alla politica comunitaria a sostegno degli oliveti da mensa svolta nelle regioni meridionali. Nello stesso periodo la produzione italiana di olive da olio è risultata, in media, pari a 2 milioni e 150mila tonnellate, con ampie oscillazioni in relazione al ben noto fenomeno dell'alternanza produttiva; pertanto le rese medie si sono dimostrate modeste: solo 2 t/ha! La produzione regionale di olio di pressione (tab. 2.4), come media del quinquennio 1992/93 - 1996/97, segnala il forte contributo di Puglia (41%) e Calabria (22%); pertanto la produzione cumulata delle due regioni meridionali rappresenta il 63% della produzione nazionale di olio di pressione (tab. 2.4). Seguono Sicilia (8,5%), Lazio (4,9%), Abruzzo (4,2%) e Toscana (3,7%), mentre la produzione sarda non costituisce che l'1,7% di quella nazionale. Nel quadriennio 1992 - 95 la Produzione lorda vendibile nazionale, a prezzi correnti, dell'olio di oliva di pressione si è attestata intorno a 3.100 miliardi di lire, contribuendo alla PLV agricola complessiva per il 4,1%. L'analisi della figura 2.4 sottolinea la centralità del comparto oleario per regioni quali la Calabria e la Puglia (nell'ordine 24,2 e 19,2% della PLV agricola), l'importanza ancora rilevante in Abruzzo e Basilicata (7 e 6,3% rispettivamente) e il ruolo più modesto che l'olivicoltura svolge in Sardegna e Marche (2,7 e 1,1% nell'ordine). Nell'Isola è noto che il forte peso del settore zootecnico limita il contributo delle colture arboree. Figura 2.4 - Incidenza percentuale per regione della PLV olivicola su quella agricola totale (fonte: elaborazione ISMEA su dati ISTAT) L'Olivicoltura in Sardegna. L'incidenza economica dell'olivicoltura sarda risulta minima sia in riferimento al quadro nazionale (2% della PLV olivicola italiana) che regionale: 3% sia della PLV complessiva dell'agricoltura sarda, sia della Superficie Agricola Utilizzata regionale. Il ruolo marginale è, peraltro, fatto comune a tutte le coltivazioni legnose regionali, nel cui ambito tuttavia l'olivo ha fatto registrare una fase espansiva nel corso degli anni '90 (tab. 2.5). 7 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Gli Annuari Istat degli anni '80 e '90 riportano che la provincia con la superficie olivetata più estesa era quella di Sassari, che nell'ultimo periodo ha però mostrato un ridotto dinamismo e una tendenza all'abbandono della coltura, seguita da quelle di Cagliari e Nuoro con valori molto simili, e infine da quella di Oristano (tab. 2.6); quest'ultima ha segnalato nella prima parte degli anni '90 il più elevato tasso di sviluppo con un incremento delle superfici del 16% tra il 1991 e il 1994. La superficie regionale è risultata, quindi, di 37.374 ettari al 1994. Questi dati contrastano con quelli ricavabili dal 4° Censimento Generale dell'Agricoltura del 1990/91, che hanno rilevato una superficie investita di circa 40mila ha, di cui il 39% ricadrebbe in provincia di Nuoro, e il 25%, il 22% e il 13% nelle province di Sassari, Cagliari e Oristano nell'ordine (tab. 2.7). Il confronto col precedente Censimento del 1980 comporterebbe, quindi, un'importante espansione delle superfici (+14,3%) e, in particolare, una deciso incremento dell'olivicoltura nella provincia di Nuoro: + 33,8%. L'analisi delle tendenze evolutive nel periodo 1980/'90 non sembra giustificare tale dinamica, e pare più probabile che le differenze siano imputabili alla diversa interpretazione delle superfici dove l'olivicoltura è presente in forme promiscue e come piante sparse. Un'inversione di tendenza si è, comunque, avviata sul finire degli anni '80 quando l'inserimento dell'Olivo da mensa nel Programma Operativo Plurifondo del Reg. CEE 2052/88, prima, e nel Programma Operativo di Attuazione del Reg. CEE 2081/93, dopo, ha consentito la messa a dimora di 1.500 ettari di nuovi oliveti (al 1998), superficie che dovrebbe attestarsi intorno a 5.300 ha a collaudi ultimati; ciò significa un incremento del 15% dell'attuale superficie olivetata e, presumibilmente, un aumento proporzionalmente maggiore per i livelli produttivi. I nuovi impianti sono stati realizzati in prevalenza in provincia di Nuoro (519 ha) e Cagliari (503 ha), e in minor misura in quelle di Oristano (260 ha) e Sassari (233 ha). L'analisi della progettualità in corso di istruttoria sottolinea che i nuovi arboreti si localizzeranno soprattutto in provincia di Cagliari (2.700 ha) e di Nuoro (1.500 ha). Gli stessi strumenti normativi hanno finanziato la ristrutturazione degli oliveti esistenti per una superficie complessiva di 1.825 ha, di cui 1.124 (il 62%) in provincia di Sassari. I livelli di efficienza dell'azienda olivicola regionale sono risultati modesti in parte anche a causa di una struttura produttiva formata per il 30% da oliveti non specializzati, e in parte a motivo della presenza di vecchi oliveti, spesso ubicati in situazioni orografiche difficili e, talvolta, non soggetti a razionali cure colturali. Inoltre si è osservata una forte frammentazione fondiaria in quanto l'olivicoltura regionale, che annoverava ben 45.538 aziende (di cui solo 16.067 specializzate), ha denunciato al 1991 una superficie media di 0,9 ha/azienda (tab. 2.7); in particolare nelle province di Cagliari e Oristano la dimensione aziendale è risultata inferiore (0,64 ha/azienda in entrambe le province) senza variazioni sensibili in funzione della tipologia aziendale o semplicemente tra aziende specializzate e aziende miste. Nelle province di Sassari e Nuoro, ma soprattutto in quest'ultima, gli oliveti hanno dimensioni più ampie (nell'ordine 1,04 e 1,23 ha/azienda); inoltre le due province si sono differenziate per la maggiore dimensione dell'azienda specializzata a confronto di quella promiscua in provincia di Nuoro (ha 1,7). A livello regionale i ¾ delle aziende olivicole hanno mostrato una superficie inferiore ai 5 ettari, con un'accentuazione del fenomeno in provincia di Sassari (80%) e una riduzione in quella di Oristano (67%). Sotto il profilo della forza-lavoro impiegata, l'olivicoltura ha assorbito solo il 5% delle giornate impegnate dall'agricoltura regionale, con valori più elevati in provincia di Sassari e Nuoro (7 e 5,4% nell'ordine). Molto poco diffusa è risultata la pratica irrigua poiché solo il 7% delle aziende irrigue è interessata dalla coltura, dando luogo a una superficie effettivamente irrigata di soli 538 ettari: meno dell'1% della superficie irrigata in Sardegna. Tutto ciò ha comportato una modesta efficienza sia in termini di rese unitarie che di costi di produzione: il valore medio regionale, 1,8 tonnellate per ettaro e per anno di olive, è risultato inferiore alla pur modesta media nazionale di 2,2 t/ha. Tali scarse rese, comunque superiori alle 1,5 t/ha del ventennio precedente, hanno dato luogo a un'offerta di circa 8.000 t di olio e 3.500 - 4.000 t di olive da mensa per anno, livelli produttivi insufficienti a soddisfare la domanda interna. In definitiva l'olivicoltura regionale si affaccia al terzo millennio con una struttura fondiaria polverizzata; quando è specializzata risulta di ridotta dimensione economica, e nelle aziende miste manifesta la sua marginalità. Il trend dell'ultimo ventennio sottolinea lo spostamento dell'azienda olivicola dal mondo dell'agricoltura professionale a quello del part-time, poiché la superficie investita è cresciuta meno del numero delle aziende; infatti delle 18mila aziende olivicole nate negli ultimi trent'anni, 13mila hanno una superficie media inferiore ai 2 ettari, e ben 9.000 inferiore all'ettaro. Al modesto peso economico dell'olivo si contrappone il suo importante ruolo sociale e paesaggistico poiché la coltura è presente in 350 comuni su 375, inserendosi nelle più diverse tipologie aziendali e collocandosi con frequenza nelle aree di frangia che fanno da cerniera tra i centri urbani e il circostante territorio rurale. Le strutture produttive così descritte non producono olio in quantità sufficiente a coprire la domanda interna che risulta soddisfatta per circa il 50%: produzione media dei primi anni '90 pari a 8.700 tonnellate a fronte di un fabbisogno di 18.000 t. L'olivicoltura da mensa trasforma ogni anno circa 3.600 t di olive, in larga parte assorbite dal mercato regionale. 8 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro L'olivicoltura regionale, pur così diffusa, assume maggiore incidenza territoriale in alcuni comprensori dando luogo a dei distretti la cui economia agricola è caratterizzata da un'importante contributo di tale coltivazione. Per l'individuazione di queste aree di concentrazione produttiva si sono elaborate delle carte tematiche provinciali (figg. 2.5- 2.8) attraverso l'estrapolazione dei tematismi "oliveti e oliveti irrigui" dalla carta CASI3-INEA-Progetto Risorse Idriche - Sigria(1). Poiché l'interpretazione delle immagini non consente di distinguere superfici accorpate inferiori a 6,26 ettari e tenendo presente la superficie media prossima all'ettaro della tipica azienda olivicola regionale, la Carta risulta utile soprattutto per rappresentare la distribuzione territoriale delle principali aree di concentrazione, mentre sfuggono gli impianti isolati localizzati al di fuori dei comprensori olivicoli. In tal senso si spiegano le importanti differenze esistenti tra il dato delle superfici investite secondo il Censimento Generale dell'Agricoltura (Istat, 1990/91) e quello derivante dal rilievo aereo. D'altra parte il dato Istat riferisce la superficie olivetata al comune, ma non la localizza all'interno del territorio comunale. Il Sassarese e l'Algherese Il Sassarese e l'Algherese (fig. 2.5); gli oliveti si distribuiscono in due grandi aree di concentrazione ricadenti, a nord, nei comuni di Sassari, Sennori, Sorso, Ossi, Tissi, Uri, Usini, Ittiri e altri, e a sud-ovest in quello di Alghero. Le due aree di Sassari e Alghero sono separate da uno stretto corridoio di colture irrigue e colline vulcaniche. Aree minori sono individuabili sia all'intorno delle borgate rurali di S. Maria La Palma e Tottubella (Nurra), che a sud est, nel Mejlogu, intorno ai comuni di Bonnanaro, Banari, Bessude, Mores, Siligo e altri. La provincia di Sassari ha il territorio olivetato più ampio, con giacitura sovente di piano, arboreti specializzati e articolati in regolari distanze di piantagione (8 x 8, 10 x 10 m nei vecchi impianti) con allevamento a vaso di media e alta impalcatura. La pluviometria annua risulta in media di 600 - 650 mm e impone il ricorso all'aridocoltura; la cv prevalente è la Bosana, poco diffuse la Sivigliana, la Corsicana e, nei nuovi impianti a duplice attitudine, ancora la Bosana insieme alla Tonda di Cagliari e alla Nera di Gonnos. La potatura si esegue con lunghi turni, 5 - 8 anni, anche al fine di ottenere assortimenti legnosi commercialmente appetibili. La raccolta meccanizzata con scuotitori interessa il 40 50% della superficie, ed è eseguita sia dal movimento cooperativo che da contoterzisti. I già citati regolamenti comunitari 2052/88 e 2081/93 hanno dato luogo a circa 600 ha di nuovi impianti, articolati in 156 aziende con una superficie media dell'intervento pari a 3,9 ha; la distribuzione comunale della nuova olivicoltura segnala la concentrazione degli interventi sia in aree tradizionali (Sassari e Alghero) che di nuova espansione: Berchidda, Oschiri e Ozieri. Figura 2.5 Provincia di Sassari, superfici investite ad olivo La provincia di Nuoro La provincia di Nuoro (fig. 2.6); seconda solo al Sassarese per espansione territoriale, l'area si articola in due territori di maggiore rilevanza (il Nuorese e l'area di Dorgali - Orosei, a est) e tre di più limitata espansione: quella di Bosa ad ovest, quella dell'Ogliastra a sud-est, e quella del Sarcidano - Alta Trexenta a sud-ovest al confine con la provincia di Cagliari. Il territorio, in prevalenza collinare, registra pluviometrie superiori ai 650 mm/anno, ad eccezione delle aree litoranee di Dorgali e Orosei, ad est e Bosa ad occidente. Le strutture produttive sono sufficientemente razionali e l'interesse degli imprenditori per la coltura risulta elevato. Infatti la nuova olivicoltura che nasce dall'applicazione dei due citati Regolamenti comunitari occupa, in tutta la provincia di Nuoro, circa 1.500 ettari. Le varietà più diffuse sono la Bosana e la Olianedda. Diffusa la consociazione con la vite (Oliena), col frutteto (Orosei) e con le attività pastorali. In Ogliastra la specie è presente nei comuni di Lanusei, Arzana, Ilbono, Jerzu, Loceri, Tertenia, Villagrande e altri; qui l'olivo raggiunge le massime altimetrie e gode di un clima relativamente umido con pluviometrie annue sovente superiori agli 800 mm. 9 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Carente appare la valorizzazione commerciale delle produzioni, spesso destinate all'autoconsumo familiare ovvero alla collocazione su circuiti distributivi locali. In tutta la provincia si è registrato un'ampia adesione ai finanziamenti comunitari a favore dell'olivicoltura "integrata" e "biologica". Figura 2.6 Provincia di Nuoro, superfici investite ad olivo La provincia di Oristano La provincia di Oristano (fig. 2.7); si articola in quattro aree principali e in una serie di piccole superfici distribuite a "pioggia" sul confine sud-orientale della provincia. L'area più estesa, localizzata pochi chilometri a nord del capoluogo di provincia, interessa i comuni di Nurachi, Riola S., S. Vero Milis, Tramatza, Zeddiani e altri, ed è caratterizzata da giacitura di piano e pluviometrie annue sovente inferiori ai 500 mm. Nell'Alto Oristanese, sul versante meridionale del Monti Ferru, si collocano gli oliveti di Seneghe e Bonarcado, e poco più a nord quelli di Santu Lussurgiu; sul versante settentrionale dello stesso massiccio, sempre in ambiente collinare, quelli di Cuglieri, mentre al confine con la provincia di Nuoro gli impianti di Tresnuraghes si ricollegano all'area olivetata di Bosa. Gli oliveti del Montiferru sono spesso rappresentati da arboreti in età avanzata che per sistemi produttivi ricordano l'olivicoltura del Sassarese. L'Alto Oristanese si va distinguendo per l'elevata qualità degli oli, decisamente fruttati, che diverse aziende private hanno prodotto negli ultimi anni a partire principalmente dalle varietà Bosana e Semidana. Figura 2.7 Provincia di Oristano, superfici investite ad olivo La provincia di Cagliari La provincia di Cagliari (fig. 2.8); presenta tre principali poli olivicoli e una serie di microaree di interesse prevalentemente locale. Le colline marnose della Trexenta, che limitano ad oriente il Campidano di Cagliari, ospitano, nei territori comunali di Barrali, Dolianova, Donori e Serdiana, un'olivicoltura basata sull'utilizzo di due varietà locali a duplice attitudine: la Tonda di Cagliari e la Pizz'e carroga (sinonimo di Bianca). Le strutture produttive risultano razionali, con piante allevate a vaso di media impalcatura e potate con turno biennale; l'utilizzo del frutto per il consumo da mensa ha favorito una modesta diffusione dell'irrigazione. È presente un centro cooperativo di trasformazione che, oltre all'olio, lavora "al verde" le drupe da tavola con l'uso di salamoie di conservazione. Nel settore nord-occidentale della provincia è ubicato il polo olivicolo dell'Iglesiente; nel cui ambito gli oliveti occupano i territori collinari dei comuni di Gonnosfanadiga, Guspini, San Gavino M. e Villacidro, su suoli sovente caratterizzati da matrice granitica. Anche qui la varietà più diffusa è definibile a duplice attitudine (la Nera di Gonnos), ed è presente un centro cooperativo che produce e commercializza olive verdi, oltre che oli di media e alta qualità. 10 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nella parte centro-settentrionale del territorio provinciale, al confine con le province di Oristano e Nuoro, sono presenti numerose aree olivetate nei territori collinari dell'Alta Trexenta e della Marmilla; tra i comuni interessati si ricordano, da ovest ad est, Collinas, Siddi, Turri, Gesturi, Barumini, Villanovafranca, Mandas, Gesico e altri. Nel settore orientale si possono, poi, distinguere le aree olivetate di Villaputzu, a nord, e di Olia Speciosa, a sud. Pochi chilometri ad occidente del capoluogo di provincia è, infine, ubicato il comprensorio olivicolo di Capoterra, e, ancora più ad occidente, le piccole superfici olivetate di Narcao e Villaperuccio. Figura 2.8 Provincia di Cagliari, superfici investite ad olivo L'estrazione dell'olio L'estesa diffusione dell'olivicoltura dà luogo a una rete di centri di trasformazione imperniata su circa 150 frantoi, con una costante tendenza alla contrazione; nei primi anni 80 si registravano ancora 400 impianti. Nelle campagne 1994/95 e 95/96 hanno, ad esempio, operato 125 strutture di trasformazione, di cui 17 cooperative e 108 private; nel 1997/98 invece i frantoi operativi sono stati 135 di cui 18 cooperativi; le tipologie tecnologiche utilizzate risultavano 21 di tipo tradizionale e 114 di tipo continuo. La maggior parte degli impianti sono di potenza medio alta, poiché hanno una capacità lavorativa, nelle otto ore, compresa tra 4 e 25 tonnellate. (1) - La carta di uso del suolo CASI3 è un prodotto che risponde agli specifici requisiti tecnici e qualitativi (identificazione dell'errore medio in base alla scala di rilievo e rappresentazione, e agli errori medi riscontrati dal collaudo finale) riconosciuti a livello internazionale (standard metadati CEN). La data a cui fa riferimento l'uso del suolo è il 1999, mentre i voli di rilievo sono stati effettuati nel Maggio 1997. E' stata sovrapposta un'immagine da satellite, relative all'anno 1999, al fine di riconoscere le diverse superfici agricole. L'unità minima cartografabile è di 6.50 ettari. 11 Tavola 2.1 - Situazione mondiale e prospettive di sviluppo dell'olivicoltura alle soglie del terzo millennio(1) Superficie occupata Produzione mondiale nel mondo 8.702.000 ettari nel bacino del Mediterraneo 8.452.000 ha (97,12%) 2 milioni di tonnellate nel bacino del Mediterraneo 1.850.000 t Prospettive internazionali all'attualità polo americano 150/200.000 U.S.A. 14.000 Messico 6.000 Argentina 50.000 Cile 3.000 Perù 3.000 Uruguay 900 Brasile 840 polo Sud Africa - Australia 20/30.000 Sud Africa 2.500 Australia 2.000 Collocamento dell'olio di oliva sul mercato mondiale polo produttivo mediterraneo Europa centro nord - est Bacino mediterraneo Medio oriente con gli oli extra vergini tipici collocati in Paesi europei ricchi USA e Canada Giappone e Australia polo produttivo U.S.A. - latino americano (consumo di oli di qualità medio - bassa) U.S.A. - Canada Centro Sud America polo produttivo Sud Africa - Australia Sud Africa Australia Giappone, India e Corea Cina (?) polo produttivo Cina, India, Pakistan e Corea non è possibile formulare previsioni di collocamento (1) Fonte: C.O.I., 2000. Catalogo mondiale delle varietà di Olivo, Madrid. Tabella 2.1 - Superficie olivicola, produzione, scambi e consumi di olio d'oliva e di olive da tavola a livello mondiale(1) Superfice olivicola (ha) Produzione di olio (t) Importazione di olio (t) Esportazione di olio (t) Consumo (t) Produzione olive mensa Importazione olive mensa Esportazione olive mensa Consumo (t) Albania 45.000 3.500 0,0 0,0 3.500 3.000 0,0 0,0 3.000 Algeria 206.284 35.000 0,0 0,0 38.833 17.667 0,0 0,0 17.000 Argentina 57.600 8.667 5.667 6.500 8.000 45.000 666,7 30.667 15.667 Cile 3.000 trascurabile 0,0 0,0 0,0 12.250 1.000 1.000 8.167 Croazia 27.500 2.167 167 0,0 2.333 833 500 0,0 1.333 Cipro 7.600 1.833 500 0,0 2.333 3.667 500 0,0 4.167 Egitto 35.000 667 500 0,0 1.000 32.667 1.500 5.667 30.333 2.867 666(2) 1067(2) 2.000 25.667(2) 1.333(2) 33.367 6.400(2) 241.667 76.667 0,0(2) 29.333(2) 20.667 6.833 15.333 1.000 1.500 15.167 Stato Francia 20.000 Grecia 729.000 412.667 0,0(2) Israele 18.750 4.167 2.500 71.067 0,0 Italia 1.147.000 62.333 111.967 Iugoslavia 3.550 667 0,0 Giordania 90.936 19.500 2.500 Libano 43.000 5.667 Marocco 480.000 81.667 (2) (2) (2) (2) 692.667 60.100 5.233 0,0 667 500 500 0,0 500 500 21.000 29.500 167 1.333 26.000 3.667 833 8.333 7.500 4.000 1.000 9.833 0,0 20.833 53.333 83.333 0,0 60.000 27.000 4.750 non rilevata non rilevata non rilevato 9.667 131.000 1.133 Palestina 85.000 17.500 non rilevata non rilevata non rilevata Portogallo 340.000 40.933 2.733(2) 15.633(2) 66.200 8.900 467(2) 4.967(2) Slovenia 960 200 250 0,0 450 100 0,0 0,0 Spagna 2.239.000 937.833 47.833 Siria 453.564 103.333 0,0 Tunisia 1.624.000 192.667 Turchia 897.000 136.667 U.S.A. 15.800 TOTALE 8.569.544 (2) (2) (2) 120.667 100 (2) 506.867 304.333 3.500 4.333 89.333 76.667 0,0 1.833 72.667 0,0 135.667 57.000 12.600 0,0 500 13.500 0,0 45.167 60.858 173.000 0,0 27.667 136.000 1.000 148.833 6.000 143.500 104.000 85.000 6.167 174.333 2.471.502 327.783 446.066 2.075.774 1.079.367 129.201 281.300 860.135 72.633 107.200 (1) Le produzioni sono espresse come media delle tre annate1996/97, 1997/98 e 1998/99 (Fonte: Consiglio Oleicolo Internazionale, Catalogo mondiale delle varietà di Olivo, 2000, Madrid, Spagna). (2)I dati riportati si riferiscono solo a scambi extracomunitari. 121.000 Tabella 2.2 - Consumi pro capite di oli e grassi vegetali nel 1996 a livello mondiale(1) PAESE Olio di oliva (kg) Totale oli e grassi veg. (kg) % oli di oliva su tot. veg. Grecia 19,6 29,6 66,1 Italia 11,4 24,3 46,9 Spagna 11,3 26,9 41,9 Portogallo 4,2 18,4 22,7 Tunisia 3,0 19,6 15,1 Algeria 1,7 17,3 9,6 Marocco 1,5 12,7 12,0 Siria 5,7 15,6 36,3 Turchia 0,8 19,0 4,4 Australia 0,87 11,9 7,3 Francia 0,81 16,5 4,9 Svizzera 0,59 16,0 4,9 Canada 0,51 17,4 2,9 USA 0,38 24,0 1,6 Regno Unito 0,26 16,5 1,6 Germania 0,21 18,1 1,2 Austria 0,17 19,6 0,9 Paesi Bassi 0,15 17,1 0,9 Brasile 0,14 13,0 1,1 Giappone 0,14 12,5 1,1 Svezia 0,14 16,5 0,8 Cile 0,13 11,2 1,2 Argentina 0,06 15,8 0,4 UE (15 paesi membri) 3,86 19,53 19,8 Mondo 0,34 9,54 3,6 (1) Fonte: Elaborazione ISMEA su dati FAO Tabella 2.3 - Superfici investite, produzione di olive e rese unitarie dell'olivicoltura italiana Annata agraria Superfici in produzione (ha) Produzione di olive (t) Rese unitarie in olive (t/ha) 1989/90 1.137.672 3.194.350 2,8 1990/91 1.134.133 1.031.750 0,9 1991/92 1.115.322 4.116.880 3,7 1992/93 1.125.441 2.472.887 2,2 1993/94 1.119.213 3.121.768 2,8 1995/96 1.123.842 3.288.586 2,9 1996/97 1.099.153 2.147.337 2,0 Media del periodo 1.122.111 2.767.651 2,5 Tabella 2.4 - Produzione di olio di pressione nelle regioni italiane interessate dall'Olivo(1) Regione 1994/95 1995/96 1996/97 Liguria 4.060 5.573 4.332 5.679 4.911 0,9 37,3 - 22,3 31,1 Toscana 12.550 21.482 24.133 18.610 19.194 3,7 71,2 12,3 -22,9 Umbria 7.510 8.126 12.225 9.408 9.317 1,8 8,2 50,4 - 23,0 Marche 4.390 3.895 5.508 3.324 4.279 0,8 - 11,3 41,4 - 39,7 Lazio 23.670 27.728 37.288 11.951 25.159 4,9 17,1 34,5 - 67,9 Abruzzo 22.560 20.071 28.883 15.375 21.722 4,2 - 11,0 43,9 - 46,8 Campania 36.500 32.528 42.266 24.741 34.009 6,6 - 10,9 29,9 - 41,5 Molise 3.230 3.297 4.393 4.330 3.813 0,7 2,1 33,2 - 1,4 Puglia 195.480 257.576 227.779 177.726 214.640 41,4 31,8 - 11,6 - 22,0 Basilicata 12.000 10.492 8.212 9.246 9.988 1,9 - 12,6 - 21,7 12,6 Calabria 175.320 54.112 161.333 71.542 115.577 22,3 - 69,1 198,1 - 55,7 Sicilia 56.020 26.807 63.370 30.944 44.285 8,5 - 52,1 136,4 - 51,2 Sardegna 10.460 11.599 8.239 4.832 8.782 1,7 10,9 - 29,0 - 41,3 Altre reg. 1.760 3.162 2.971 2.434 2.582 0,5 79,7 - 6,1 - 18,1 Totale 565.510 486.450 630.931 390.141 518.258 100,0 - 14,0 29,7 - 38,2 (1) Fonte: Elaborazione ISMEA su dati ISTAT Media Quota % Variazione % sulla campagna precedente 1993/94 1994/95 1995/96 1996/97 Tabella 2.5 - Produzione vendibile dell'agricoltura della Sardegna a prezzi costanti (milioni di lire), e tasso medio annuo di variazione(1) Tasso medio variazione MEDIE VARIAZIONE % PRODOTTI (80-82) A % (88-90) B % (93-95) C % B-A C-A 1980-1995 Coltivazioni erbacee 328.617 24,83 324.801 25,74 437.307 27,45 - 1,16 33,07 1,80 cereali 54.612 4,13 66.040 5,23 89.000 5,59 20,93 62,97 3,10 leguminose 2.515 0,19 3.187 0,25 3.931 0,25 26,71 56,28 2,83 patate e ortaggi 242.224 18,30 209.173 16,58 294.641 18,49 - 13,64 21,64 1,23 piante industriali 10.395 0,79 13.046 1,03 16.776 1,05 25,51 61,39 3,04 foraggi 5.305 0,40 5.397 0,43 4.311 0,27 1,73 - 18,73 - 1,29 fiori e piante 13.566 1,03 27.959 2,22 28.648 1,80 106,09 111,18 4,78 Coltivazioni arboree 214.229 16,19 155.571 12,33 187.415 11,76 - 27,38 - 12,52 - 0,83 vite 109.185 8,25 60.264 4,78 52.548 3,30 - 44,81 - 51,87 - 4,47 olivo 29.570 2,23 23.909 1,89 50.294 3,16 - 19,14 70, 08 3,38 agrumi 28.880 2,18 32.871 2,60 29.334 1,84 13,82 1,57 0,10 frutta fresca e in guscio 27.756 2,10 17.408 1,38 22.206 1,39 - 37,28 - 19,99 - 1,38 altre legnose 18.838 1,42 21.119 1,67 33.032 2,07 12,11 75,35 3,57 Allevamenti 780.530 58,98 781.566 61,93 968.577 60,79 0,13 24,09 1,36 carni 473.978 35,82 454.562 36,02 537.906 33,76 - 4,10 13,49 0,79 latte 283.590 21,43 299.623 23,74 401.975 25,23 5,65 41,75 2,20 uova 22.962 1,74 27.381 2,17 28.696 1,80 19,24 24,97 1,40 TOTALE 1.323.376 100 1.261.938 100 1.593.298 100 - 4,64 20,40 0,86 (1) Fonte ISTAT ed Inea Tabella 2.6 - Dinamica delle superfici regionali ad olivo dal 1983 al 1994 e relative variazioni a livello provinciale (1) Provincia 1983 1991 Variazioni 1983 - 91 1992 1993 1994 Variazioni 1991 - 94 Assolute Ettari Ettari Ettari Assolute Ettari % Ettari % Sassari 12.280 33,7 12.106 32,8 -174 -1,4 12.088 12.088 11.965 -141 -1,2 Nuoro 10.261 28,1 10.061 27.3 -200 -1,9 10.059 10.081 10.081 +20 +0,2 Cagliari 10.026 27,5 10.094 27,3 +68 +0,7 10.112 10.112 10.150 +56 +0,6 Oristano 3.877 10.7 4.661 12,6 +784 +20,2 5.355 5.399 5.399 +738 +15,8 Sardegna 36.444 100 36.922 100 +478 +1,3 37.614 37.680 37.374 +673 +1,2 (1) Fonte ISTAT ed Inea % % Tabella 2.7 - Aziende agricole della Sardegna con coltivazione di olivo, relative superfici e variazioni percentuali tra gli ultimi due Censimenti dell'Agricoltura Provincia N. aziende Superfici (ha) SAU media (ha) N. aziende Superfici (ha) SAU media (ha) N. aziende % Superfici % Sassari 8.961 10.957 1,22 9.958 10.352 1,04 +11,1 -5,7 Nuoro 10.944 12.022 1,10 13.053 16.090 1,23 +19,2 +33,8 Cagliari 11.293 8.127 0,72 14.117 9.087 0,64 +25,0 +11,8 Oristano 7.253 4.653 0,64 8,410 5.353 0,64 +15,9 +15,0 Sardegna 38.451 35.759 0,93 45.538 40.884 0,90 +18,4 +14,3 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 3 - La propagazione dell'olivo Obiettivi Si discutono le moderne tecniche di propagazione con frequenti riferimenti al patrimonio varietale regionale. La produzione di materiale di propagazione, equamente suddivisa tra Italia meridionale e centrale, ammonta a circa 5 - 6 milioni di piante all"anno. Le aziende vivaistiche hanno dimensioni ridotte e oltre il 70% di esse produce meno di 50mila piante/anno. Il materiale vegetale, ormai prodotto in fitocontenitore, è ottenuto in prevalenza per autoradicazione nel Sud Italia, mentre il Centro utilizza in eguale misura l"innesto e la talea. Si stima che le circa 400 varietà nazionali siano per la metà imputabili a sinonimie. Le norme CE impongono, in fase di commercializzazione, l"adeguamento allo standard CAC (Conformitas Agraria Communitatis). Il 30 - 40% del materiale di propagazione è ottenuto per innesto, sistema che richiede maggiore impiego di manodopera ma minori investimenti in strutture fisse. I noccioli di cultivar a frutto piccolo sono seminati in autunno su letto freddo in ragione di 3 kg/m2. I selvatici sono trasferiti durante la primavera in nestaio (oggi in fitocontenitore) e lasciati crescere per 12 mesi. Nella primavera successiva si esegue l"innesto a corona con marze di due internodi sagomate a becco di luccio. Al termine della stagione vegetativa la maggior parte delle piante può essere commercializzata. La cv Pizz'e carroga fornisce le minori percentuali di attecchimento per la difficile formazione del callo di cicatrizzazione nel nesto. Le tecniche di autoradicazione, abbandonati ovoli, polloni radicali e talee di branca, si basano sulla talea semilegnosa, fatta radicare in strutture apposite (serre o tunnel con bancali di radicazione) col ricorso a nebulizzazione, riscaldamento basale e ormoni rizogeni. Le barbatelle sono trasferite in fitocontenitore con substrati formati da terra vegetale, sostanza organica umificata e materiale inerte. Il periodo ottimale per il prelievo delle talee è quello di settembre - ottobre. Buona l"attitudine rizogena delle principali cultivar sarde, con la parziale eccezione della Pizz'e carroga. Le piante innestate hanno un apparato radicale fittonante che può assicurare un iniziale vantaggio, ma danno luogo a individui eterogenei per la variabile influenza del portinnesto. La disponibilità di soggetti clonali potrà limitare questo svantaggio. Ruolo e importanza del vivaismo olivicolo Il vivaismo olivicolo è presente in Italia in numerose realtà regionali, con maggior concentrazione nel Meridione, cui si attribuisce oltre il 50% del materiale prodotto, e nell'Italia Centrale con la restante parte; si registrano piccole quote di produzione anche in altre regioni, ivi compresa la Sardegna. Si stima che, presumibilmente, la produzione complessiva ammonti annualmente a circa 5-6 milioni di piante, di cui una quota importante è destinata alla realizzazione di nuovi impianti, nei quali sono di norma adottati criteri di moderna olivicoltura e tecniche di intensificazione colturale, con elevati investimenti di piante per ettaro. Il vivaismo sta vivendo ancora una condizione di spinta frammentazione, e ciò causa difficoltà elevate anche nella certezza numerica delle produzioni immesse sul mercato e delle varietà propagate. Purtroppo, infatti, gran parte delle produzioni sono derivate da piccole e piccolissime aziende, prevalentemente a conduzione familiare, con scarsa elasticità e organizzazione produttiva, e pur rappresentando gran parte della produzione, sono l'anello più debole di tutto il settore; oltre il 70 % delle aziende produttrici ha piccole capacità, con produzioni medie inferiori alle 50.000 piante per anno. Purtuttavia il settore vivaistico svolge a favore dell'olivicoltura un'importante ruolo di promozione qualitativa delle produzioni e si caratterizza per essere la base propulsiva di un processo di qualificazione dell'intera filiera. Nel panorama del vasto germoplasma olivicolo nazionale la diffusione di varietà certe nella loro origine, la selezione delle cultivar e dei cloni e la sanità del materiale sono senza dubbio le basi per migliorare le produzioni e creare quelle premesse insite nel patrimonio vegetale che caratterizza i diversi areali olivicoli nazionali. In esso vanno infatti ricercati i contenuti e gli elementi che danno spessore ed equilibrio ai concetti di qualità e tipicità delle produzioni locali. 12 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro A tal fine molte regioni hanno attivato servizi di tutela e certificazione del materiale vivaistico, favorendo la costituzione di consorzi volontari di tutela, indirizzando i produttori, nel rispetto della normativa vigente, e operando sistemi di controllo delle produzioni certificate. In tal modo possono essere raggiunti e garantititi obiettivi qualitativi di materiali rispondenti a requisii di certezza varietale e idoneità nello stato sanitario. Relativamente al mercato delle produzioni vivaistiche olivicole prevale la diffusione di due distinte tipologie di materiale, suddiviso tra piante prodotte da radicazione di talee e piante ottenute per innesto. Nell'ultimo decennio si è affermata una tipologia merceologica formata da piante di dimensioni medio-piccole, allevate con pane di terra in fitocontenitore, che consentono migliori attecchimenti e più facile movimentazione durante i trasporti e le fasi di pre-impianto e di impianto. Purtuttavia in alcune realtà limitate vengono ancora utilizzati gli allevamenti in pieno campo con svellimento a radice nuda o cavatura con un pane di terra di ridotte dimensioni, da proteggere con adeguati materiali per evitare la sua frantumazione. Attualmente il materiale viene propagato con tecnica dell'autoradicazione prevalentemente nelle regioni del Sud-Italia, mentre in Toscana e nel Centro il rapporto tra piante innestate e autoradicate è all'incirca pari a uno. A fronte di un patrimonio varietale nazionale di oltre 400 entità, le più recenti acquisizioni della ricerca stimano che più della metà possano essere ricondotte a sinonimie; ciò può essere fonte di incertezza e confusione che spesso accompagna l'imprenditore sin dal momento di realizzare un nuovo impianto. Altro aspetto di non secondaria importanza è quello relativo alla sanità del materiale, onde evitare di partire con piante già tarate per la presenza di parassiti o patogeni. In questo senso emerge fortemente la centralità del settore vivaistico riveste nel perseguire obiettivi di qualità, al fine di raggiungere con successo mete produttive di livello adeguato. Una delle strade percorribili è la certificazione del materiale, attuando lungo tutto il percorso produttivo una serie di accorgimenti tesi a garantire i due requisiti fondamentali sopra evidenziati: certezza varietale e sanitaria. Sebbene in Italia la valorizzazione qualitativa della produzione vivaistica avvenga, per l'olivo, ancora su base volontaria, di fatto il rispetto della normativa vigente comunitaria in materia di commercializzazione del materiale di propagazione rende pressoché obbligatorio produrre secondo protocolli ben precisi. Infatti le Direttive CEE già recepite, inerenti le condizioni minime per commercializzare il materiale vegetale con classificazione CAC (Conformitas Agraria Communitatis) sono conditio sine qua non per operare sul mercato dei materiali di propagazione, e rendere possibile la vendita dei prodotti vivaistici. Seppure l'olivo risulti tra le specie meno colpite da ricorrenti e gravi attacchi parassitari trasmissibili attraverso le tecniche moltiplicative, purtuttavia si pone il problema di garantire, comunque, una qualificazione delle produzioni mediante programmi di certificazione, in stretto collegamento con le strutture di sperimentazione e controllo presenti sul territorio regionale. Le tecniche di propagazione Anche nell'olivo, come nella gran parte delle specie arboree da frutto, la propagazione può avvenire mediante due fondamentali linee di moltiplicazione: gamica e agamica. Alla prima si fa ricorso per ottenere i semenzali da utilizzare come piedi nell'innesto, la seconda, oltre che per l'innesto, per la produzione di piante autoradicato. Il circuito produttivo delle piante innestate Secondo recenti stime, da un terzo a due quinti del materiale vegetale immesso sul mercato nazionale è rappresentato da piante innestate che, se da un lato necessitano di un notevole impiego di manodopera specializzata, dall'altro evitano gli importanti investimenti di capitali, tipici dei sistemi di propagazione alternativi. La produzione di piante innestate inizia dal prelevamento dei noccioli, che vanno opportunamente conservati in ambiente fresco ed asciutto fino alla semina, normalmente attuata nell'agosto-settembre dell'anno successivo. Sono in genere preferiti dai vivaisti varietà con noccioli piccoli (con peso medio unitario di circa 1 g), e nel nostro ambiente i noccioli di olivastro, che evidenziano una discreta germinabilità media. I semi danno origine a popolazioni assai eterogenee, tenuto conto che la maggioranza della cultivar sono autosterili per cui il ricorso obbligato all'impollinazione incrociata incrementa la variabilità genetica delle discendenze. 13 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro I soggetti interferiscono in modo diverso con il nesto (salvo i casi in cui questo si affranca), così che molti aspetti pratici possono esserne condizionati. Tra questi rientra il controllo della vigoria con l'obiettivo di contenere le dimensioni degli alberi, aspetto che consentirebbe maggiori densità di piantagione. La semina dei noccioli avviene su letto freddo utilizzando circa 3,0 kg di noccioli/m2, formando uno strato di 2 cm circa di spessore, successivamente coperto con uno strato di terra fine. I semi germinano durante tutto l'inverno e nella primavera successiva (marzo) le piantine vengono trasferite in nestaio (in fitocontenitore) nel quale sono lasciate crescere liberamente per tutto l'anno in corso. Nella primavera successiva (fine marzo-aprile), le piantine, quando sono in "succhio", vengono capitozzate a 5 cm circa da terra, per essere innestate a corona con marze di media vigoria e calibro adatto, tagliate a "becco di luccio", in cui siano compresi due internodi. (Fig 3.1) Non sembri superfluo ricordare che deve essere sempre mantenuta, ai fini delle esigenze dell'innesto, la corrispondenza tra le zone generatrici ed il rispetto della polarità dei due bionti (Fig 3.2). Inoltre, per limitare il più possibile le perdite di umidità è anche necessaria l'applicazione di mastici idonei alle condizioni climatiche (Fig 3.3). Figura 3.1 Tradizionali operazioni di innesto a marza Figura 3.2 Inserimento della marza opportunamente sagomata Figura 3.3 Copertura con mastice del taglo superiore della marza Normalmente gran parte delle piante bimembri così ottenute, al termine della stagione vegetativa, hanno raggiunto un'altezza che ne consente la commercializzazione (50-100 cm); oppure possono essere trasferite in piantonaio, dove passano un'altra stagione di crescita, per la successiva consegna all'olivicoltore. In riferimento alle principali varietà della Sardegna, di norma non si segnalano particolari problemi circa l'attecchimento dell'innesto ed il successivo sviluppo della pianta in vivaio. Le cultivar quali Tonda di Cagliari, Nera di Gonnos e Bosana, danno i migliori risultati, con valori prossimi al 90-95% di successi evidenziando buona capacità di saldatura e vitalità dell'innesto. 14 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Leggermente superiori risultano le fallanze riscontrabili con innesti della cv Semidana. La cultivar che denota maggiori insuccessi, e che comunque è tra quelle meno sottoposte a programmi di moltiplicazione, è la Pizz'e carroga, che risulta molto sensibile alla disidratazione del materiale da innestare e tende con più difficoltà a formare un callo di cicatrizzazione idoneo alla vitalità del nesto e a garantirne l'accrescimento. Le tecniche di autoradicazione Con le tecniche di propagazione agamica si sfrutta la capacità che porzioni di organo vegetativo della pianta hanno di emettere germogli da un lato e radici dall'altro, per la presenza diffusa di gemme latenti ed avventizie Per tale ragione, le barbatelle ottenute, provenendo da un solo genitore, conservano tutte le caratteristiche di quest'ultimo, sono tra loro omogenee ed evitano la lunga fase giovanile, tipica dei semenzali. Il materiale utilizzato nel tempo per la radicazione è stato di diversa natura e origine, anche se parte di questo ha man mano perduto di importanza pratica. Molto usati nel passato, gli "ovoli" sono voluminose formazioni mammelliformi che si originano nella zona immediatamente sottostante il colletto, in corrispondenza di rallentamenti nella circolazione della linfa, e per questo molto ricchi di sostanze di riserva ed ormonali. I più grandi (del peso di 1-3 kg), possono essere collocati direttamente a dimora, mentre i più piccoli (del peso di 0,5-1 kg), debbono essere collocati in vivaio. Il limite del metodo è rappresentato dalla scarsa disponibilità di materiale, dalle mutilazioni inferte alla pianta madre e dalla tendenza delle barbatelle a conservare a lungo una forte spinta vegetativa. I "polloni radicati" provengono dagli stessi ovuli che sottoposti ad interramento emettono facilmente radici. I limiti del metodo sono gli stessi descritti per gli ovuli. Le "talee di branca" sono costituite da rami di 4-5 anni di età lunghi 25-50 cm e con 5-10 cm di diametro, posti a radicare orizzontalmente o verticalmente in vivaio o verticalmente in pieno campo. Costituiva il sistema di moltiplicazione più usato in Spagna in un recente passato, oggi sostituito dal reimpiego del materiale di risulta della potatura dando la preferenza a grosse talee di 20-25 cm di lunghezza. Dopo aver sottoposto la base a trattamento rizogeno e l'apice a paraffinatura, il tratto di branca viene collocato in fitocontenitori aventi substrato leggero ed aerato, posti in ambiente luminoso ma riparato dagli eccessi di calore. Il materiale dovrà essere innaffiato regolarmente per cui le talee, nel giro di pochi mesi, daranno origine a barbatelle idonee per il collocamento a dimora. Anche questo metodo risente delle limitate disponibilità di materiale, ma le piante sono subito disposte alla fruttificazione. Si presenta quindi idoneo per soddisfare limitate esigenze aziendali. L'utilizzo di "talee semilegnose" rappresenta attualmente la forma di moltiplicazione agamica più consueta. Tale metodo consente di disporre di notevoli quantità di materiale attingendo dai rami di un anno di età, e senza, pertanto, danneggiare la pianta madre. Questo materiale, contrariamente alle talee di branca, dispone di limitate sostanze di riserva. La presenza delle foglie inoltre rende necessario un continuo apporto di acqua, in mancanza del quale queste verrebbero a cadere in tempi brevi, compromettendo così gli esiti del processo di radicazione. Sono quindi indispensabili l'applicazione di particolari tecniche dio taleggio e l'adozione di specifiche attrezzature; tra queste rientra la tecnica della nebulizzazione messa a punto in California nei primi anni 60. La propagazione a carattere industriale con l'utilizzo delle talee semilegnose avviene in strutture relativamente complesse e costose; essenzialmente un bancale di radicazione, un apparato per la produzione di calore, un apparato per la nebulizzazione di acqua e un dispositivo per il raffreddamento e l'ombreggiamento (fig 3.4). Figura 3.4 - Serra di radicazione: Le talee di olivo posizionate nella perlite, contenuta nei bancali, ricevono l'acqua finemente nebulizzata da apposita autoclave ad alta pressione 15 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Il bancale di radicazione è la base nel quale sono collocate le talee. Il fondo deve essere forato ed inclinato e le pareti devono essere alte almeno 30 cm. Sul fondo va collocato l'impianto di riscaldamento che deve mantenere la temperatura alla base della talea costante tra 20 e 25 °C. Ciò avviene mediante un termostato che regola l'afflusso di acqua calda entro un'apposita tubazione in rame o materiale plastico che corre "a serpentina" sul fondo del letto di radicazione. Sul bancale possono essere posti diversi substrati, dalla torba alla sabbia, alla vermiculite, alla perlite, o a loro miscele. In tutti i casi il substrato deve essere leggero, per consentire la contemporanea presenza di aria e di acqua, impedire la formazione di flora inquinante. Il più affidabile in tal senso è la perlite. Il sistema di nebulizzazione è essenzialmente costituito da un' apparecchiatura per la messa in pressione dell'acqua che la rende disponibile a 4-6 atmosfere, da una elettrovalvola che regola la somministrazione di acqua e da un tubo di aspersione e nebulizzazione. Il controllo della frequenza delle erogazioni può essere eseguito con semplici temporizzatori (timer), ovvero con la cosiddetta "foglia elettronica", consistente in un dispositivo elettronico che comanda l'erogazione quando si interrompe il circuito tra due elettrodi che vanno progressivamente asciugandosi, sino ai meccanismi a bilanciere, agli integratori solari che conteggiano le calorie fornite dal sole e su tale base regolano la frequenza delle erogazioni. L'obiettivo è, in tutti i casi, garantire la presenza costante un velo liquido sulla superficie fogliare, al fine di ridurre la traspirazione ed assicurare il rifornimento idrico, senza dar luogo ad eccessi o a carenze. Gli interventi di ombreggiamento e raffreddamento hanno lo scopo di contenere gli eccessi di luminosità e di calore. Il primo obiettivo è conseguibile, in maniera molto semplice, mediante distribuzione di calce sulle pareti interne o mediante teli ombreggianti da disporre dentro o fuori la serra. Il raffreddamento può essere ottenuto mediante apertura del tetto o delle pareti laterali o mediante l'installazione di appositi estrattori di aria calda. Ma, nel caso della serra di nebulizzazione, questo intervento comporta anche la rapida riduzione del tenore umidità, fatto quanto mai dannoso per il materiale in radicazione. Una soluzione al problema può attuarsi mediante utilizzo del "cooling system", che consente l'ingresso in serra di aria fresca e umida, attraverso un pannello umidificatore collocato nella parte opposta dell'estrattore. I sopradescritti interventi esterni di nebulizzazione, riscaldamento basale e trattamento rizogeno, si rendono necessari in quanto capaci di assicurare la sopravvivenza della talea semilegnosa ed abbreviare il periodo di tempo necessario per la conclusione del processo rizogeno. Infatti, nel momento in cui la talea viene staccata dalla pianta madre si instaurano processi capaci di ricostruire le parti mancanti (radici e germogli), ma in assenza di ogni capacità di approvvigionamento idrico ed in presenza di stimoli quanto mai affievoliti, ciò non avviene. La radicazione, che avviene sempre alla base della talea, è governata da fattori nutrizionali ed ormonali nei quali giocano un ruolo fondamentale le gemme, quali centri di produzione di auxine ad azione rizogena, e le foglie per gli aspetti nutrizionali (Fig 3.5). La sopravvivenza di questi organi assume, quindi, un ruolo determinante per il successo dell'operazione. Figura 3.5 Barbatelle di olivo a diverso livello di radicazione Oltre alla scelta del periodo ottimale di radicazione diversi sono i parametri che entrano in gioco e che consentono di avere successo nelle varie fasi che pur separatamente svolgono un importante ruolo. Di particolare importanza le correlazioni esistenti tra la zona della chioma da cui sono prelevate le talee e la rapidità di messa a frutto della discendenza. I migliori risultati di produzione di radici di neo formazione si ottengono, in fase di spiccata attività vegetativa, da talee apicali; in epoche successive, a motivo del trasporto basipeto delle sostanze auxiniche, le talee mediane e basali appaiono più rispondenti. 16 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Ma anche lo stato nutrizionale della pianta madre influenza in misura importante le percentuali di radicazione. Invece la presenza di alterati rapporti tra l'apparato radicale e la chioma, indotti con specifici programmi di potatura, è sfruttata per l'ottenimento di materiale vegetale da prelevare e destinare ad operazioni di taleggio da piante madri appositamente strutturate dopo un periodo di libera crescita. In tal modo da un limitato numero di piante madri, sottoposte ai previsti controlli genetici e sanitari, si possono ottenere adeguate e idonee quantità di materiale da destinare alla moltiplicazione; i prelievi saranno effettuati nelle epoche che, nel corso dell'anno assicurano la più elevata percentuale di radicazione delle talee. Ciò potrà essere collegato ovviamente al ciclo di sviluppo annuale delle piante e modificato con l'uso di adeguate pratiche agronomiche modulando la concimazione, l'irrigazione e gli stessi interventi di potatura al fine di intervenire sulla quantità e la durata delle fasi vegetative. Ma a semplificare l'attività vivaistica e favorire in maniera determinante la radicazione delle talee sono le sostanze auxiniche di produzione sintetica, che esercitando un meccanismo del tutto simile a quello delle auxine naturali promuovono efficacemente l'emissione del radici dalla parte basale della talea. Tra queste la più utilizzata è l'acido indolbutirrico (IBA), che è il più stabile e costante nelle risposte non mostrando l'aleatorietà di preparati con sostanze alternative e più economiche. Ovviamente occorre che i preparati non abbiano azione fitotossica sulle talee, come spesso accade per le soluzioni idroalcoliche di tale sostanze, e mantengano la loro efficacia nel tempo, oltre ad essere di facile utilizzo per gli operatori. Una volta completato il ciclo produttivo legato alla radicazione delle talee con l'ottenimento delle barbatelle radicate le problematiche da affrontare sono rivolte a garantire una rapida crescita del materiale che lo rende utilizzabile per i nuovi impianti. Oramai pressoché superata la tecnica dell'allevamento in pieno campo, l'utilizzo del fitocontenitore con un substrato di allevamento adeguato è la tecnica attualmente più usata e valida. Ciò consente di poter collocare le piante in campo con limitate fallanze e in ogni periodo dell'anno. I maggiori accorgimenti in fase di allevamento vanno posti proprio nella scelta del substrato che deve garantire buone caratteristiche fisico-chimiche, elevata fertilità, buona struttura, facile reperibilità e limitato costo. Il substrato in genere proviene da materiale reperibile in zona arricchito in fase di miscelazione con sostanza organica umificata e inerti per aumentarne la leggerezza e il drenaggio. La sostanza organica deve presentare elevato grado di umificazione, poiché il contatto delle radici delle piante in allevamento con sostanze scarsamente umificate provoca vistosi rallentamenti nelle crescita e, talora, fenomeni di fitotossicità e vari problemi fitosanitari. La crescita delle barbatelle in condizioni di relativa e limitata forzatura comporta una riduzione dei tempi di produzione. Con lo stesso obiettivo si devono scegliere adeguatamente le epoche dell'anno in cui effettuare i prelievi, sfruttando le fasi temporali di più elevata rizogenesi naturale. Nell'ambiente sardo l'epoca più favorevole inizia da settembre e ottobre e si conclude alla fine dell'inverno. Infatti, superata la stagione calda le piante denotano un elevato accumulo di sostanze nutritive di riserva e le operazioni di taleaggio consentono di sfruttare al meglio la capacità rizogena del materiale, ottenendo in poco più di un anno piante idonee agli standard di riferimento. Al fine di non compromettere la risposta vegetativa delle piante dopo la messa a dimora è sconsigliabile prolungare eccessivamente la loro permanenza nel fitocontenitore; è ormai assodato che le migliori risposte in campo sono ottenute dalle piante più giovani. Limitati sono normalmente gli interventi di fertilizzazione sulle piante in allevamento, qualora il substrato utilizzato sia stato ben dotato di elementi e soprattutto di sostanza organica ben umificata. In tal senso sono in genere sufficienti piccoli interventi ausiliari con fertirrigazioni o concimazioni fogliari. Una volta ottimizzati i diversi fattori che influenzano la radicazione, i risultati mediamente ottenuti dalle principali varietà sarde, sono condizionati principalmente dal periodo di prelievo; dalle esperienze sinora condotte i risultati più incoraggianti si sono ottenuti dai taleaggi effettuati a partire dall'inizio dell'autunno e sino a gran parte dell'inverno. Nell'ambiente sardo, e meridionale in genere, il limite operativo è rappresentato dalla difficoltà a contenere le elevate temperature, non solo estive, nei locali di radicazione e di indurimento. Apprezzabili risultati sono stati ottenuti con le cultivar Tonda di Cagliari, Nera di Gonnos e Bosana. Su altre varietà da olio e a duplice attitudine si hanno maggiori percentuali di insuccessi sino a casi fortemente penalizzanti come per la cultivar Pizz'e carroga che ha scarsa tendenza a produrre radici. 17 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro In conclusione, è certamente possibile esprimere alcune valutazioni di massima sulle possibilità che i due metodi usualmente adottati per l'olivo hanno da un punto di vista applicativo. Ancora forti perplessità suscita in molti pratici l'opportunità di impiegare piante autoradicate. A queste infatti vengono spesso attribuite scarsa resistenza alla siccità, maggiore sensibilità ad alcune fitopatie oltre a ridotto affrancamento e ancoraggio. L'esperienza ha dimostrato che sotto tali aspetti le due tipologie di pianta sono pressoché equivalenti se si fa ricorso a piantine "di qualità" opportunamente selezionate nelle diverse fasi produttive. Esistono tuttavia alcune differenze iniziali circa lo sviluppo dell'apparato radicale che nelle piante autoradicate è da principio su un solo palco e con angolo geotropico abbastanza elevato; angolo che, invece, in quelle innestate risulta decisamente più chiuso. Vi è comunque da segnalare che, col tempo, i due apparati radicali tendono ad assumere una morfologia simile e comunque si pone l'esigenza, in entrambi i casi, di dotare le piantine di un robusto tutore per i primi 4-6- anni. L'autoradicazione consente una più spinta verifica sulle qualità genetiche e sanitarie del materiale e un elevato controllo sulla progenie. Ciò è meno realizzabile con i vecchi metodi di propagazione (ovoli e polloni radicati) peraltro non utilizzati negli ambienti sardi, poiché è limitata la quantità di materiale proveniente da una singola pianta. Anche sulla popolazione eterogenea di semenzali da innesto ciò è altrettanto problematico. Viceversa, con l'abbondante quantità di materiale proveniente da una singola pianta è possibile un oculato controllo: anzi tale fatto permette, partendo da una pianta capostipite selezionata (clone) di procedere alla realizzazione di un adeguato numero di piante madri, da destinare alle successive operazioni di prelievo dalle quali si otterrà una progenie perfettamente omogenea sotto il profilo genetico. 18 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 4 - L'impianto dell'oliveto Obiettivi Si riportano indicazioni sulle esigenze ecologiche della specie e sulle tecniche di impianto dell'oliveto, dallo scasso alla piantumazione. La vocazionalità ambientale deve essere valutata in pre impianto per gli aspetti climatici, pedologici e infrastrutturali. I rami e le branche sono danneggiati da temperature inferiori nell'ordine a -5°C e -10°C. Sussiste, d'altra parte, un fabbisogno di freddo durante la stasi vegetativa invernale, il cui mancato soddisfacimento provoca disseccamento delle gemme a fiore e incremento dell'aborto dell'ovario. L'olivo preferisce suoli privi di strati impermeabili ad aria e acqua, con tessitura da franco sabbiosa ad argillo limosa. La specie tollera terreni con reazione da subacida a subalcalina, anche con valori di cloruri e boro moderatamente elevati. E' una delle specie arboree più resistenti a salinità e sodicità nel suolo. I nuovi oliveti dovranno essere realizzati in aree con pendenza inferiore al 15 - 20%. Le operazioni preliminari all'impianto comprendono decespugliamento, dicioccamento, spietramento e livellamento del terreno. La successiva lavorazione fondamentale si realizza con aratro da scasso nei terreni incoerenti, e con scarificatore negli altri. L'analisi chimica del terreno guiderà le scelte della concimazione di fondo, basata su apporti di sostanza organica, fosforo e potassio. La sistemazione idraulica sarà più impegnativa nei terreni pesanti e nelle aree pendenti: nel primo caso per evitare ristagni invernali, nel secondo per rallentare la velocità di scorrimento superficiale delle acque meteoriche. Il sesto, quadrato o rettangolare, si realizza con distanze di piantagione inferiori al tradizionale 10x10m: dal 6x4m consigliato per forme di allevamento a monocono, al 6x6m - 7x7m del vaso, soprattutto se in coltura asciutta. L'impianto dell'oliveto La redditività dell'oliveto è, tra l'altro, legata alla corretta valutazione, in fase di pre - impianto, della "vocazionalità ambientale", cioè dell'idoneità microclimatica e pedologica del sito prescelto ad ospitare le giovani piante di olivo. La "diagnosi stazionale" (intendendo col termine "stazione" l'ambiente di coltivazione e il sito prescelto per l'impianto) non richiede, nel caso dell'olivo e della Sardegna, un elevato grado di dettaglio poiché la specie vede, in linea di massima, soddisfatte le sue esigenze ecologiche in tutti gli agroecosistemi dell'Isola. Ciò non significa che le interazioni ambiente/coltura possano essere del tutto trascurate, non fosse altro per la differente risposta che una stessa varietà fornisce al variare delle caratteristiche ambientali (vedi cap. 7). La potenzialità produttiva del binomio coltura/ambiente deve essere esaltata, anche sotto il profilo qualitativo, attraverso la realizzazione di una serie di interventi tecnici, quali la preparazione del terreno, la scelta delle distanze di piantagione e del sistema di irrigazione, e l'insieme delle cure da eseguirsi in fase di allevamento. Il termine vocazionalità può essere poi inteso in senso più ampio, "territoriale", includendo la valutazione del grado di infrastrutturazione del comprensorio olivicolo: piste aziendali e vie di comunicazione in genere, reti tecnologiche e rete consortile di distribuzione dell'acqua, ma anche presenza di centri di trasformazione sia per le olive da mensa che da olio, di depuratori per l'eventuale trattamento delle acque di vegetazione e di sansifici per la trasformazione dei residui ultimi del ciclo di trasformazione. Non meno importante, infine, la disponibilità di manodopera qualificata per l'esecuzione degli interventi tecnici, ad esempio per la diffusione di una forma di allevamento interessante, ma poco conosciuta in Sardegna, come il "monocono". Considerazioni climatiche Come si segnalerà nel cap. 5 (scelta varietale), cap. 6 (biologia fiorale) e soprattutto cap .7 (clima e olivo) ci sono importanti interazioni tra il sito e la produttività dell'oliveto. Le rese e la qualità più elevate si ottengono nelle aree che hanno inverni miti e piovosi che consentono di costituire una riserva idrica nel suolo, ed estati asciutte e calde capaci di far maturare i frutti e contenere l'incidenza della mosca delle olive. 19 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro L'olivo, infatti, è una specie di origine subtropicale, sensibile alle temperature molto basse; i rami sono danneggiati, spesso uccisi, da temperature inferiori a - 5 °C, mentre le branche e l'intera chioma possono essere uccisi se le temperature scendono al di sotto di -10 °C. Danni da freddo di minore entità sui rami fruttiferi provocano delle fessurazioni che facilitano la diffusione della batteriosi detta "rogna". Anche i frutti dell'olivo sono danneggiati dalle gelate durante le ultime fasi dello sviluppo e, soprattutto, nel corso della maturazione; il completamento della raccolta entro il mese di dicembre riduce l'incidenza del fenomeno. Le varietà diffuse nell'Italia centro settentrionale presentano differenti gradi di resistenza al freddo: la cv Frantoio è più sensibile al gelo della Moraiolo, mentre resistenti risultano Morchiaio, Maurino e Leccino. Di contro non si dispone di notizie precise sulla risposta delle varietà di interesse regionale anche in relazione alla ridotta frequenza delle gelate; ulteriori dettagli sono riportati nel capitolo 7. Si dovrebbero, comunque, evitare le aree che hanno un'alta probabilità di gelate nel periodo che precede la raccolta. Anche per le cultivar sarde risulta, invece, accertato un problema di fabbisogno di freddo (v. cap. 6) poiché varietà come la Palma (presumibile sinonimo della Bosana) vanno incontro al disseccamento delle gemme a fiore e a un incremento dell'aborto dell'ovario quando la temperatura media dell'aria risulta, nel mese di gennaio, superiore a 7 °C. D'altra parte la specie si dimostra ben tollerante alle elevate temperature anche se associate a limitate disponibilità idriche nel suolo. Le interazioni microclima/coltura divengono ancora più evidenti quando si considera l'influenza delle condizioni meteorologiche sull'azione dei parassiti animali e vegetali; è noto che i microclimi con alta umidità relativa dell'aria (aree litoranee o di fondo valle) favoriscono la diffusione dell'occhio di pavone e ne rendono difficile il controllo in varietà sensibili come la Bosana (v. cap. 14). Considerazioni sulla giacitura e natura dei terreni Sebbene l'olivo si adatti a un'ampia varietà di terreni, la produttività è più elevata dove gli alberi possono sviluppare gli apparati radicali senza limitazioni chimiche o fisiche. Per quanto riguarda queste ultime, in fase di pre - impianto si deve valutare la tessitura, la profondità e la stratificazione del suolo. Gli olivi preferiscono terreni privi di strati impermeabili all'aria e all'acqua, con tessitura compresa tra i franco sabbiosi, i terreni di medio impasto, i franco limosi, gli argillo limosi e i franco limo argillosi. Questi suoli assicurano un'intensità di scambi gassosi necessari a garantire lo sviluppo delle radici, sono sufficientemente permeabili e hanno un'alta capacità di ritenzione idrica. I terreni con maggiore contenuto in sabbia non hanno una grande capacità di trattenere i nutrienti e l'acqua, e quelli più argillosi spesso non hanno un'aerazione adeguata alla crescita delle radici. Maggiori dettagli sono riportati nel capitolo 10. L'olivo ha radici tendenzialmente superficiali (soprattutto in irriguo) e non richiede suoli molto profondi per produrre bene. I terreni evoluti, sia con strati solidi cementati sia con variazioni nella tessitura entro il profilo di suolo interessato dalle radici, impediscono il movimento dell'acqua e possono favorire la comparsa di strati di saturazione che danneggiano le radici dell'olivo. Per quanto attiene le caratteristiche chimiche del terreno, l'olivo si adatta a un'ampia gamma di tipologie chimiche. Gli alberi producono bene su terreni moderatamente acidi (pH superiore a 5) o moderatamente basici (pH inferiore a 8,5) così come su quelli che hanno livelli di boro o cloro relativamente alti. Si dovrebbero evitare i suoli alcalini o sodici poiché la loro struttura ostacola la penetrazione dell'acqua e il drenaggio, e da luogo a condizioni di saturazione che danneggiano gli apparati radicali. L'olivo rimane, comunque, una delle colture arboree maggiormente resistenti a salinità e sodicità. Per quanto riguarda la giacitura i nuovi impianti dovranno essere realizzati in aree con pendenza non superiore al 15 - 20% dove la meccanizzazione delle operazioni colturali è ancora possibile senza compromettere né la stabilità dei versanti né l'incolumità degli operatori delle macchine agricole. La tessitura e la giacitura possono interagire con la comparsa di diverse fitopatie; in particolare i terreni più pesanti possono favorire non solo l'azione di diverse specie fungine che causano marciumi del colletto ma anche, in concomitanza a specifica sensibilità varietale, la verticilliosi da Verticillium dahliae. Operazioni preliminari all'impianto Le modalità d'impianto di un oliveto non differiscono in sostanza dalle tradizionali operazioni di messa a coltura di un terreno da destinare ad un impianto arboreo; in sintesi si possono individuare le fasi qui sotto riportate. 20 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Decespugliamento, dicioccamento e spietramento, livellamento del terreno Nel caso si dovesse intervenire su aree mai messe a coltura, sarà necessario procedere all'eliminazione della preesistente vegetazione (macchia o cespugliame) dopo essersi assicurati che l'area non sia gravata da vincoli quali quelli idrogeologici e paesaggistici. Si deve avere sempre ben presente che i primi centimetri di suolo rappresentano la frazione più fertile poiché arricchiti di sostanza organica dai residui delle erbe e degli arbusti succedutisi nel tempo su quel terreno. Pertanto, pur essendo indispensabile il ricorso a specifici mezzi meccanici (in genere macchine per il movimento terra di rilevante potenza, dotate di lama frontale e scarificatore posteriore) l'operatore deve evitare di asportare, insieme al cespugliame ed eventuali massi rocciosi, i primi 5 - 10 cm di terra. La lama (piuttosto "a rastrello" che "a cucchiaio") dovrà operare in posizione piuttosto "alta" ovvero limitarsi all'eliminazione di alberi e grosse pietre, mentre l'asportazione del cespugliame può essere affidata ad appositi decespugliatori ad asse orizzontale che lasciano sul terreno i residui trinciati (molto utili anche come fonte di sostanza organica). Nel caso in cui si debba costituire un nuovo oliveto su terreni precedentemente occupati da colture arboree, si esegue preliminarmente l'eliminazione delle vecchie ceppaie ancora presenti nell'appezzamento; l'estirpazione dovrà essere quanto più possibile accurata poiché i residui radicali ospitano con facilità agenti fungini di marciumi. Quando è possibile può risultare utile trattare preventivamente la coltura da eliminare con diserbanti sistemici al fine di ridurre la consistenza di eventuali ricacci; casi del genere si sono verificati di recente in conseguenza degli interventi per l'estirpazione dei vigneti, la cui eliminazione meccanica è sovente preceduta da trattamenti con formulati erbicidi a base di 2,4-D (vecchio diserbante del grano) e successiva applicazione di glifosate sui ricacci dell'americano (v. cap. 9). Infine, se le colture precedenti hanno lasciato una forte presenza di erbe infestanti, quali gramigna, cipero, portulaca, artemisia, ricacci di bietole, etc., può essere utile attuare prima dell'impianto un intervento di diserbo con formulati di postemergenza (v. cap. 9). Il livellamento dell'appezzamento deve salvaguardare la sostanza organica del suolo attraverso la riduzione al minimo dei movimenti di terra, peraltro necessari sia per eliminare dossi e avvallamenti sia per dare al terreno la pendenza desiderata. Infatti l'oliveto deve essere opportunamente livellato per ridurre l'erosione, evitare i ristagni idrici, favorire la meccanizzazione e consentire, se richiesto, l'adozione di metodi irrigui che sfruttano la gravità per la movimentazione dell'acqua. Se si prevede di utilizzare l'irrigazione per infiltrazione laterale da solchi, col livellamento si deve assicurare una pendenza modesta compresa tra 10 e 50 cm di dislivello su 100 m di solco (0,1 - 0,5%). L'innalzamento del contenuto in sostanza organica del terreno e un parziale controllo delle infestanti ereditate da una precedente coltura possono ottenersi con la semina di essenze erbacee da sovescio. Il pietrame di risulta può essere utilizzato per formare dei drenaggi qualora il terreno presenti difficoltà di sgrondo delle acque piovane; a tal fine vengono aperte delle fosse opportunamente distanziate tra loro, profonde 130-150 cm, larghe circa 50 cm, che vengono poi riempite per metà con le pietre asportate dal campo. Tale intervento, abbastanza costoso, sarà eseguito dopo l'ultimazione delle operazioni di scasso e solo se strettamente necessario. Lavorazione del terreno La lavorazione fondamentale (o scasso) ha lo scopo di preparare adeguatamente il terreno, ed è indirizzata soprattutto a consentire un ottimale sviluppo dell'apparato radicale. Di norma viene lavorato uno strato di terreno profondo circa 0,8-1,2 metri; la profondità può essere ridotta per la presenza di strati rocciosi compatti. La lavorazione fondamentale del terreno si può attuare con due diversi organi meccanici: lo scarificatore, o ripper, e il monovomere. Il primo taglia il terreno come un coltello senza rivoltarlo, il secondo porta in superficie la terra sottostante e la espone all'aria; pertanto il ripper non provoca le riduzioni di fertilità dovute a perdita di sostanza organica "bruciata" dal sole e dal vento che, generalmente, si riscontrano con l'aratura. Affinché quest'ultima non provochi la dispersione della sostanza organica e l'affioramento di materiali inerti mal strutturati o ricchi in sostanze che possono avere un'azione tossica o comunque sfavorevole (concentrazioni saline, carbonato di calcio, ecc.), si suggerisce l'impiego di aratri che diano la possibilità di regolare l'angolatura del versoio e che lascino la fetta in posizione verticale o solo lievemente inclinata. L'integrale mantenimento della successione degli orizzonti si ottiene, invece, con l'impiego di scarificatori eventualmente attrezzati con alettoni o con altre appendici che ne migliorino, ove le condizioni del suolo lo permettano (ad es. scarsa pietrosità), l'efficacia di sommovimento del terreno. 21 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Tale lavorazione, effettuata con singolo passaggio o, di preferenza, con passaggi incrociati, può essere combinata a lavorazioni più superficiali, attuate con piccoli aratri o con erpici (ad es. erpici a dischi), sia andanti che, eventualmente, localizzate secondo le curve di livello. Peraltro può capitare che il rimescolamento del terreno superficiale con quello profondo sia conveniente, come ad esempio in presenza di un primo strato sabbioso seguito da uno argilloso. L'uso dello scarificatore (fig 4.1) è da preferirsi nei terreni pesanti dove il monovomere favorirebbe la formazione della "suola di scasso", sottile strato di suolo compresso e ricco di materiali fini che riduce gli scambi gassosi e idrici nell'ambito del profilo; ancora, la rippatura è opportuna in presenza di sottostanti strati inerti o di terreni con una grande quantità di scheletro (pietrame), che se portati in superficie deprimerebbero la fertilità del terreno. Figura 4.1 Esecuzione della lavorazione fondamentale In Puglia, dove gli oliveti sono spesso realizzati su terreni ricchi di pietre calcaree, è frequente il ricorso a macchine "schiaccia sassi" che riducono il pietrame portato in superficie con un'aratura a diametri di 3 - 5 cm; il successivo scasso non interessa tutta la superficie ma si realizza in modo localizzato aprendo con potenti escavatori tante buche quanti sono gli alberi di olivo da porre a dimora. Lo scasso andante deve essere eseguito "in croce" (cioè sia in lungo che in largo) con passate molto ravvicinate (40-50 cm per il ripper, 60-80 cm per il monovomere). La lavorazione fondamentale va effettuata alla fine dell'estate e prima delle piogge autunnali, con terreno non in tempera, affinché la rilevante potenza applicata al suolo asciutto lo spacchi di forza, provocando una fitta rete di microfessure indispensabile per assicurare l'ossigenazione anche in profondità e per molti anni. Seguono poi un'aratura profonda 40-50 cm utile sia per frantumare le grosse zolle lasciate dalla lavorazione fondamentale che per interrare i concimi, ed una successiva erpicatura che ha come scopo lo sminuzzamento del terreno e l'agevolazione del tracciamento e della piantumazione. Concimazione di fondo La concimazione di fondo ha lo scopo di garantire al terreno una riserva di elementi minerali che, lentamente ceduti, consentano un aumento del livello di fertilità del suolo. All'atto dell'impianto di un nuovo oliveto occorre quindi approfondire la conoscenza del terreno in cui si opera al fine di dimensionare per quantità e qualità gli apporti fertilizzanti. Base fondamentale per tale approfondimento è l'analisi fisico-chimica del terreno, volta ad evidenziare sia la dotazione di elementi minerali che la presenza di eventuali anomalie (v. cap. 10). Con le analisi fisiche del terreno si determina la "tessitura o granulometria" espressa in funzione della percentuale delle particelle di diverse dimensioni presenti nel terreno, distinte in sabbia, limo e argilla. Con le analisi chimiche si determinano la reazione o pH, il contenuto in sostanza organica e nei principali macroelementi, il complesso di scambio ovvero la capacità del terreno a trattenere gli elementi, nonché un'altra serie di caratteristiche del suolo. La concimazione di fondo può essere eseguita prima dello scasso, intervento cui sarà demandato il compito di distribuire lungo tutto il profilo i fertilizzanti, ovvero dopo la lavorazione profonda ma prima dell'aratura a 40 - 50 cm di profondità; la prima soluzione è da preferirsi qualora si ritenga che lo sviluppo in profondità dell'apparato radicale sarà notevole, come avviene in coltura asciutta e nei terreni grossolani ma con una buona aerazione, la seconda quando è ipotizzabile una distribuzione meno ampia delle radici. Gli apporti comprenderanno concimi organici e minerali, in quantità tali da costituire una buona riserva di elementi nutritivi (tab. xy del cap. 10). Con la concimazione di fondo non si apportano di norma fertilizzanti azotati che sono scarsamente trattenuti dal suolo e devono quindi essere somministrati in un secondo momento; sempre utile risulta, invece, l'applicazione di pratiche tradizionali che prevedono il posizionamento, sul fondo della buchetta aperta per la messa a dimora della pianta, di 2 - 3 kg di letame maturo o di "terricciati organici" separati dal pane di terra mediante l'interposizione del materiale ottenuto con l'apertura della buca. 22 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro La concimazione di fondo arricchisce, invece, il terreno di fosforo e potassio, e, se necessario, di magnesio; altri eventuali nutrienti o correttivi saranno distribuiti solo se l'analisi del terreno avrà segnalato problemi specifici. I concimi fosfatici più comunemente impiegati e più facilmente reperibili in commercio sono i "perfosfati" caratterizzati da un contenuto, o "titolo", di fosforo che varia dal 20%, nel caso dei perfosfati semplici, al 46-48% nella formulazione tripla. In generale nei terreni di medio impasto, caratterizzati da un equilibrio tra le percentuali di argilla, limo e sabbia, e mediamente dotati degli elementi minerali indispensabili alla nutrizione delle piante, sono sufficienti apporti di 0,6 - 0,8 tonnellate per ettaro di perfosfato minerale. I fertilizzanti potassici in commercio hanno un titolo elevato che varia dal 48 al 60% a secondo del tipo di concime. Il più comunemente utilizzato è il solfato potassico con un titolo del 50% espresso in ossido di potassio (K2O), caratterizzato da una reazione acida, particolarmente indicato quindi nei terreni calcarei dove sono in genere sufficienti apporti di solfato potassico di 0,4 0,6 tonnellate per ettaro. Nel capitolo dedicato alla fertilizzazione sono riportate ulteriori informazioni sulle possibili modalità di esecuzione della concimazione di fondo. Sistemazioni idraulico-agrarie, opere accessorie e frangiventazione In pianura la meccanizzazione impone di puntare all'ottenimento di appezzamenti rettangolari, lunghi 80-100 metri e larghi 50 - 100 o più, in funzione della capacità del terreno di sgrondare le acque piovane in eccesso. Questi campi possono essere, eventualmente, circondati da semplici solchi acquai nei terreni franco sabbiosi e di medio impasto, come quelli di origine granitica dell'Ogliastra, del Nuorese e del Sulcis-Iglesiente. Invece nei terreni più "forti", capaci di trattenere a lungo l'acqua, come già detto si deve dare all'appezzamento una leggera pendenza nel senso della lunghezza, utile anche per realizzare un'eventuale irrigazione a solchi, e soprattutto "baulare" leggermente l'appezzamento facendolo risultare progressivamente spiovente ai lati. La baulatura si può ottenere con delle semplici arature, regolando opportunamente il versoio al fine di "colmare" o "scolmare" il terreno; nei suoli più pesanti, come soluzione limite, può risultare utile baulare non l'intero campo ma il singolo filare, sempre operando semplicemente con idonee arature. Il flusso d'acqua proveniente dall'interno del campo baulato (siamo quindi sempre su terreni "pesanti") sarà raccolto, ai bordi dell'appezzamento, da dei canali detti scoline, che hanno il compito di richiamare le acque piovane in eccesso e scaricarle nel fosso di testata. L'ampiezza e la profondità delle scoline deve essere proporzionata alla larghezza del campo (e pertanto alla distanza intercorrente tra una scolina e l'altra), alla natura del terreno e alle caratteristiche pluviometriche dell'area. In particolare in fase di progettazione si dovrebbero acquisire le registrazioni degli ultimi 15 - 30 anni relative agli eventi pluviometrici di punta, cioè quelli caratterizzati da un'elevata intensità di pioggia; poiché il dimensionamento della rete scolante in funzione dei dati di punta comporta un'affossatura di rilevante volumetria, si suggerisce di norma di utilizzare per il calcolo un valore pari al 70% di quello massimo registrato. Se poi è nota la presenza di uno strato argilloso nella zona radicale (che con difficoltà è attraversato dalle piogge e provoca pertanto un ristagno sotto superficiale molto dannoso per l'olivo) posto, ad esempio, alla profondità di 40-50 cm, è indispensabile che la scolina sia profonda almeno 60 cm. Lo scasso provvederà, comunque, a frantumare e disperdere lo strato argilloso rendendo indispensabile la realizzazione della rete scolante solo nei terreni più pesanti. Questo sistema di scoline e canali prende il nome di affossatura, e può essere oggi realizzato con appositi mezzi meccanici o, più semplicemente, con l'installazione sulla trattrice aziendale di aratri affossatori. Peraltro l'olivicoltura si localizza con frequenza nelle aree collinari, dove sussistono minori preoccupazioni per i ristagni idrici da piogge invernali, ma aumentano i pericoli di erosione per trasporto di terreno a valle in presenza di forti piogge. Vecchie soluzioni prevedevano opere di terrazzamento (fig. 4.2), con innalzamento di muri in pietra a sostegno di piani orizzontali o leggermente inclinati verso monte per la raccolta dell'acqua piovana, larghi 5-8 metri con gli olivi al centro o sul ciglio. Figura 4.2 - Vecchi oliveti terrazzati 23 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Tali soluzioni sono oggi assolutamente improponibili! Per le pendenze non superiori al 5% è possibile disporre i filari lungo le curve di livello rinunciando, almeno in parte, ad avere filari perfettamente rettilinei e tutti della stessa lunghezza. D'altra parte questa soluzione consente di limitare il ruscellamento superficiale e favorisce l'accumulo di riserve idriche nel suolo. Un limite evidente alle lavorazioni secondo le curve di livello è quello della pendenza entro la quale le trattrici possono lavorare senza incorrere in problemi di stabilità e, quindi, di incolumità per l'operatore. Cingolati da montagna (a baricentro basso), eventualmente a cingoli larghi, possono lavorare su pendenze fino al 30% e anche oltre. Tale limite può variare sensibilmente in funzione delle caratteristiche pedologiche (pietrosità superficiale e profonda, presenza di residui vegetali, tessitura, grado di umidità, ecc.). Controindicazioni per le lavorazioni secondo le curve di livello esistono solo per i terreni argillosi, dove potrebbero favorire movimenti franosi. In questo caso andrebbero opportunamente combinate con sistemi di controllo delle acque eccedenti. Nei suoli argillosi si possono attuare più convenientemente le lavorazioni a ritocchino, purché accompagnate da opportune opere sistematorie, sino a pendenze del 10-25% senza eccessivi rischi di erosione. In ogni caso si deve sottolineare che un'olivicoltura intensiva non può essere realizzata in aree con pendenze superiori al 15-20%, non solo per le difficoltà di impianto ma anche per le elevate spese di gestione di un oliveto così conformato. In fase di impianto ci si preoccupa anche di realizzare le diverse infrastrutture necessarie all'azienda olivicola: piste interpoderali, scavi per l'interramento dell'impianto di irrigazione, bacini o serbatoi di raccolta delle acque, pozzi, fabbricati e maglie frangivento. I frangiventi realizzati con specie a rapido accrescimento come eucalitti e cipressi andrebbero impiantati due - tre anni prima di mettere a dimora gli olivi, per dar loro modo di raggiungere l'altezza indispensabile a garantire almeno un parziale riparo dai venti; questa norma è però raramente rispettata. Come è noto gli eucalitti assicurano il rapido raggiungimento di altezze elevate (si può stimare che l'area protetta dal vento sia pari a 10 volte l'altezza del frangivento), hanno elevata capacità pollonifera (sono cioè capaci di emettere vigorosi polloni dopo il taglio) e possono quindi fornire ogni 8 - 10 anni paleria minuta e legname da ardere, anche se di modesto valore; d'altra parte competono con vigore per acqua e nutrienti e deprimono lo sviluppo delle colture poste a meno di 6 - 10 metri dal frangivento. In definitiva gli eucalitti, disposti su due - tre file ai vertici di un triangolo equilatero avente il lato lungo 2 - 3 m, si prestano per la realizzazione di fasce perimetrali o di maglie frangivento a livello comprensoriale soprattutto nelle aree litoranee. Per i singoli oliveti, in particolare se di piccole dimensioni, gli effetti negativi del vento possono essere limitati o non superiori a quelli derivanti dalla concorrenza esercitata dal frangivento; questo, se necessario, può essere realizzato con varietà di olivo quale la Cipressino (a maturazione tanto precoce da precedere l'apertura dei frantoi e, quindi, in progressivo abbandono), la Carolea, la Nera di Gonnos o altre purché resistenti al vento e al cicloconio. Tracciamento e piantumazione Dovendo destinare un terreno a un nuovo impianto, sia in piano che in collina, occorre effettuare delle operazioni di campagna indispensabili a garantire la regolarità del sesto, l'esatta determinazione del numero di piante necessarie, la disposizione di opere e impianti accessori (fossi e scoline, impianti irrigui, frangiventazione, etc.). Se si deve realizzare un oliveto irriguo occorre preliminarmente verificare la presenza di una idonea fonte di approvvigionamento idrico e scegliere il tipo di impianto di irrigazione. Prima della messa a dimora della piante occorre procedere alla posa in opera di quelle parti dell'impianto che necessariamente devono essere interrate. La scelta della tipologia di impianto è condizionata dalla quantità d'acqua disponibile, dalle sue caratteristiche chimiche e dalla natura dei terreni. La stessa disponibilità idrica condiziona poi altre scelte, quali ad esempio la distanza tra le piante e conseguentemente il loro numero per ettaro. Completata la preparazione del terreno e prima di effettuare la squadratura del campo e la messa a dimora delle piantine, è necessario effettuare alcune scelte preliminari. In primo luogo occorre decidere il sesto d'impianto, la distanza tra le piante nonché l'orientamento dei filari. Scelta del sesto e della distanza tra le piante Col termine "sesto" d'impianto si intende definire la disposizione geometrica e ordinata degli alberi sul terreno, posizionati a intervalli regolari. Usualmente sono utilizzati nella moderna arboricoltura il sesto rettangolare ed il sesto quadrato, in cui le piante sono situate, rispettivamente, ai vertici di un rettangolo o di un quadrato. Il sesto ricorrente in Sardegna, anche nella olivicoltura tradizionale, è quello rettangolare con distanze tra le piante oscillanti tra 8 x 10 e 10 x 12 metri. 24 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nell'impiantare un nuovo oliveto, la scelta della densità d'impianto scaturisce dalla considerazione che l'arboreto adulto raggiungerà il massimo potenziale produttivo quando gli alberi saranno disposti con la densità più elevata che ancora consente di intercettare una quantità di luce solare sufficiente per lo sviluppo, alla periferia della chioma, dei germogli fruttiferi. Inoltre si dovrà tenere conto della disponibilità, o meno, di acqua per l'irrigazione, continua o solo di soccorso, oltreché ovviamente dalla pluviometria media dell'area; infatti negli ambienti semi aridi o subumidi e in coltura asciutta, è opportuno assicurare al singolo albero un maggiore volume di terreno e, quindi, una più consistente riserva idrica. Nel caso di impianti in irriguo la densità può essere notevolmente incrementata con l'esito che l'elevato numero di piante garantisce, già dai primi anni, un'accettabile produzione capace di coprire parte dei costi di impianto e i costi di esercizio; in quest'ottica rientra anche il concetto di "sesto dinamico", basato sulla messa a dimora di un elevato numero di piante (3 x 3 m, cioè più di 1.000 piante/ha) da diradare progressivamente a sesti di 3 x 6 e 6 x 6 m. Questo modello, che ha avuto negli anni passati una modesta diffusione nell'Italia centrale, trova il suo limite principale nell'elevato costo delle giovani piante di olivo; inoltre è anche vanificato dal fatto che sebbene la competizione tra gli alberi per acqua e nutrienti aumenti in funzione della densità, non riduce le dimensioni dell'albero in misura sufficiente ad evitare il diradamento. La scelta della densità è inoltre fortemente influenzata dalla natura del terreno, dalla forma di allevamento, dalla varietà. Queste variabili sono tutte tra loro strettamente collegate e su ognuna si può, entro certi limiti, intervenire per giungere agli obiettivi produttivi di elevate rese unitarie e contenimento dei costi. Partendo da tali considerazioni, con l'utilizzo di un sesto rettangolare di 6x4 metri, che garantisce un investimento di 416 piante per ettaro, possono attendersi buone produzioni già dai primi anni, pur modeste se riferite alla singola pianta. Un simile modello produttivo si basa su forme di allevamento contenute, poco espanse in larghezza, come il monocono. Un sesto così dimensionato potrebbe, inoltre, comportare per l'oliveto in produzione l'inconveniente del reciproco ombreggiamento degli alberi, problema da gestire con frequenti potature. In alternativa ai sistemi intensivi, soprattutto in regime asciutto, è consigliabile il ricorso ad un sesto in quadrato che può andare dal 6x6 al 7x7 metri, con un investimento rispettivamente di 277 e 204 piante; oppure di un sesto rettangolare da 6x7 a 6x8, con un conseguente investimento per ettaro di 238 e 208 piante, soprattutto in quelle zone in cui la minore piovosità annua è il principale fattore limitante lo sviluppo dell'impianto. Il sesto in quadrato consente una migliore illuminazione, evitando ombreggiamenti della chiome, deleteri per la produttività. Questa disposizione favorisce, inoltre, l'esecuzione delle lavorazioni e di tutte le altre operazioni colturali secondo entrambe le direttrici dell'impianto. Ma, optando eventualmente per un impianto a elevata densità, l'adozione del sesto in quadrato comporta una riduzione degli spazi di movimentazione dei mezzi meccanici, per cui, a parità di investimento di piante per ettaro, il sesto in rettangolo consente di formare una corsia più ampia, utile per l'esecuzione delle operazioni colturali. L'individuazione del sesto d'impianto si integra, pertanto, in maniera fondamentale con la scelta della forma di allevamento che, negli impianti intensivi, deve rispondere a criteri di meccanizzazione integrale delle operazioni colturali. In tutti i casi elencati si evidenzia come l'investimento consigliato per ettaro non scende mai sotto le 200 - 250 piante, onde evitare di perdere quei vantaggi che distanze relativamente brevi possono permettere di conseguire già dal medio - breve periodo. Orientamento dei filari L'olivo é specie fortemente eliofila (avida di luce), le cui produzioni fruttifere si localizzano preferibilmente sui rami dell'anno precedente, posizionati in gran parte nella porzione più esterna della chioma sottoposta a maggiore irraggiamento. In Sardegna questa esigenza è di norma soddisfatta, e solo per gli oliveti da impiantare in collina si devono preferire i terreni esposti a Sud. Questi infatti sono meno soggetti a gelate e godono di un regime termico più favorevole. Altra scelta da effettuarsi in caso di impianti con sesti rettangolari è l'orientamento da dare ai filari, che in genere deve essere Nord-Sud per garantire la migliore illuminazione delle chiome. In pianura questa esigenza è soddisfatta con facilità, mentre in collina va conciliata con la necessità sia di salvaguardare le pendici dall'erosione che di meccanizzare al massimo le operazioni colturali. Pertanto nelle pendici esposte a Est e a Ovest le due esigenze coincidono, mentre per le altre esposizioni la necessità di seguire le curve di livello impone un orientamento dei filari lungo la direttrice Est-Ovest. In condizioni di ridotta pendenza (intorno al 5%) é possibile effettuare l'impianto seguendo le linee di massima pendenza, favorendo la stabilizzazione della pendice nella fase successiva all'impianto, attraverso la riduzione o eliminazione delle periodiche lavorazioni meccaniche e l'introduzione della "non-coltivazione" (o incoltura), attuata o col ricorso al diserbo o con l'inerbimento dell'interfila da parte di essenze erbacee già presenti nel territorio, ovvero introdotte appositamente. Come si dirà nel cap. 8, questa soluzione è praticabile soprattutto negli oliveti irrigui. 25 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Messa a dimora delle piante La piantumazione si effettua preferibilmente a fine inverno - inizio primavera oppure all'inizio dell'autunno, così da garantire alla piantina un'adeguata espansione dell'apparato radicale prima che questo venga bloccato dallo sviluppo dei germogli e dall'aridità estiva, nel primo caso, e dalle minime termiche invernali, nel secondo. Ma quando i terreni sono riparati dai venti freddi invernali, non sussistano rischi di gelate ed è possibile irrigare con adeguate quantità d'acqua, la realizzazione dell'oliveto può essere programmata pressoché in tutti i mesi dell'anno, soprattutto se si utilizzano piante allevate in contenitore così come sta diventando prassi normale. Preliminarmente occorre effettuare un allineamento dei filari e delimitare gli appezzamenti, individuando le linee principali, proseguendo, poi, nella squadratura tramite picchetti e corde graduate per individuare - a seconda del sesto prescelto - l'esatta posizione della piante tramite una canna o altro segnale. Figura 4.3 Corretto posizionamento in campo di una piantina di olivo Al momento dell'impianto (fig. 4.3) viene realizzata una piccola buca con una zappa, appena sufficiente a contenere la zolla posizionando la piantina in modo che il pane di terra, che contiene le radici, risulti interrato per circa 3-5 cm (figg. 4.4, 4.5, 4.6). Il terreno intorno alla pianta dovrà essere compresso per assicurare la perfetta aderenza al pane di terra e poi bagnato per eliminare l'aria in eccesso e favorire la fuoriuscita delle radici dal pane di terra; l'umidità del terreno dovrà essere monitorata per tutta la stagione estiva, evitando gli eccessi idrici ma anche l'eccessiva aridità Figura 4.4, Figura 4.5, Figura 4.6 Illustrazione delle diverse fasi di messa a dimora della giovane pianta Contestualmente alla messa a dimora della pianta occorre posizionare una canna - che in tutti i casi va sostituita dopo il primo anno da un più robusto tutore - o direttamente il palo tutore, effettuando delle legature ad otto con laccio tubolare in plastica morbida (spaghetto o tubetto agricolo), così da evitare rischi di strozzature. Qualora l'albero debba essere allevato su un unico asse, occorre un palo tutore di altezza fuori terra di circa 2-2,5 metri. Nel caso, poi, venga scelta una forma di allevamento a vaso, è sufficiente un'altezza fuori terra di 1,3-1,5 metri circa, in quanto non è necessario disporre di un palo tutore molto più lungo dell'altezza dell'impalcatura. Il palo tutore deve svolgere efficacemente la propria funzione almeno sino al quarto anno dall'impianto, quando la struttura scheletrica della pianta ha acquisito sufficiente rigidità. Normalmente nei nostri ambienti vengono utilizzati pali in castagno; tuttavia in alternativa possono essere utilizzati pali in P.V.C., in bambù, in eucalitto, etc. L'operatore indirizzerà la propria scelta sul materiale che a parità di efficienza sia più facilmente reperibile ed al minor costo. 26 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Per una maggiore durata è bene trattare la parte basale dei pali in legno e bambù (40-50 cm) con catrame ovvero immergerla in soluzioni idriche concentrate di solfato di rame o di altri specifici prodotti reperibili in commercio. Più semplicemente, la durata del tutore può essere incrementata mediante abbruciamento superficiale del tratto basale. Durante la prima stagione vegetativa si dovrà assicurare un attento controllo delle infestanti e fornire modesti apporti di azotati se l'accrescimento risulta meno che ottimale (ma in presenza di una sufficiente umidità del terreno). Si deve anche tenere presente che nei primi anni il fusticino dell'olivo può subire danni da eccessiva insolazione; si può ricorrere a specifiche protezioni (tubex, shelter, materiali cartacei, ecc.) o alla tradizionale imbiancatura con latte di calce (biancone). Gli interventi relativi alla potatura di allevamento sono riportati nel cap. 11. 27 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 4 - L'impianto dell'oliveto Obiettivi Si riportano indicazioni sulle esigenze ecologiche della specie e sulle tecniche di impianto dell'oliveto, dallo scasso alla piantumazione. La vocazionalità ambientale deve essere valutata in pre impianto per gli aspetti climatici, pedologici e infrastrutturali. I rami e le branche sono danneggiati da temperature inferiori nell'ordine a -5°C e -10°C. Sussiste, d'altra parte, un fabbisogno di freddo durante la stasi vegetativa invernale, il cui mancato soddisfacimento provoca disseccamento delle gemme a fiore e incremento dell'aborto dell'ovario. L'olivo preferisce suoli privi di strati impermeabili ad aria e acqua, con tessitura da franco sabbiosa ad argillo limosa. La specie tollera terreni con reazione da subacida a subalcalina, anche con valori di cloruri e boro moderatamente elevati. E' una delle specie arboree più resistenti a salinità e sodicità nel suolo. I nuovi oliveti dovranno essere realizzati in aree con pendenza inferiore al 15 - 20%. Le operazioni preliminari all'impianto comprendono decespugliamento, dicioccamento, spietramento e livellamento del terreno. La successiva lavorazione fondamentale si realizza con aratro da scasso nei terreni incoerenti, e con scarificatore negli altri. L'analisi chimica del terreno guiderà le scelte della concimazione di fondo, basata su apporti di sostanza organica, fosforo e potassio. La sistemazione idraulica sarà più impegnativa nei terreni pesanti e nelle aree pendenti: nel primo caso per evitare ristagni invernali, nel secondo per rallentare la velocità di scorrimento superficiale delle acque meteoriche. Il sesto, quadrato o rettangolare, si realizza con distanze di piantagione inferiori al tradizionale 10x10m: dal 6x4m consigliato per forme di allevamento a monocono, al 6x6m - 7x7m del vaso, soprattutto se in coltura asciutta. L'impianto dell'oliveto La redditività dell'oliveto è, tra l'altro, legata alla corretta valutazione, in fase di pre - impianto, della "vocazionalità ambientale", cioè dell'idoneità microclimatica e pedologica del sito prescelto ad ospitare le giovani piante di olivo. La "diagnosi stazionale" (intendendo col termine "stazione" l'ambiente di coltivazione e il sito prescelto per l'impianto) non richiede, nel caso dell'olivo e della Sardegna, un elevato grado di dettaglio poiché la specie vede, in linea di massima, soddisfatte le sue esigenze ecologiche in tutti gli agroecosistemi dell'Isola. Ciò non significa che le interazioni ambiente/coltura possano essere del tutto trascurate, non fosse altro per la differente risposta che una stessa varietà fornisce al variare delle caratteristiche ambientali (vedi cap. 7). La potenzialità produttiva del binomio coltura/ambiente deve essere esaltata, anche sotto il profilo qualitativo, attraverso la realizzazione di una serie di interventi tecnici, quali la preparazione del terreno, la scelta delle distanze di piantagione e del sistema di irrigazione, e l'insieme delle cure da eseguirsi in fase di allevamento. Il termine vocazionalità può essere poi inteso in senso più ampio, "territoriale", includendo la valutazione del grado di infrastrutturazione del comprensorio olivicolo: piste aziendali e vie di comunicazione in genere, reti tecnologiche e rete consortile di distribuzione dell'acqua, ma anche presenza di centri di trasformazione sia per le olive da mensa che da olio, di depuratori per l'eventuale trattamento delle acque di vegetazione e di sansifici per la trasformazione dei residui ultimi del ciclo di trasformazione. Non meno importante, infine, la disponibilità di manodopera qualificata per l'esecuzione degli interventi tecnici, ad esempio per la diffusione di una forma di allevamento interessante, ma poco conosciuta in Sardegna, come il "monocono". Considerazioni climatiche Come si segnalerà nel cap. 5 (scelta varietale), cap. 6 (biologia fiorale) e soprattutto cap .7 (clima e olivo) ci sono importanti interazioni tra il sito e la produttività dell'oliveto. Le rese e la qualità più elevate si ottengono nelle aree che hanno inverni miti e piovosi che consentono di costituire una riserva idrica nel suolo, ed estati asciutte e calde capaci di far maturare i frutti e contenere l'incidenza della mosca delle olive. 19 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro L'olivo, infatti, è una specie di origine subtropicale, sensibile alle temperature molto basse; i rami sono danneggiati, spesso uccisi, da temperature inferiori a - 5 °C, mentre le branche e l'intera chioma possono essere uccisi se le temperature scendono al di sotto di -10 °C. Danni da freddo di minore entità sui rami fruttiferi provocano delle fessurazioni che facilitano la diffusione della batteriosi detta "rogna". Anche i frutti dell'olivo sono danneggiati dalle gelate durante le ultime fasi dello sviluppo e, soprattutto, nel corso della maturazione; il completamento della raccolta entro il mese di dicembre riduce l'incidenza del fenomeno. Le varietà diffuse nell'Italia centro settentrionale presentano differenti gradi di resistenza al freddo: la cv Frantoio è più sensibile al gelo della Moraiolo, mentre resistenti risultano Morchiaio, Maurino e Leccino. Di contro non si dispone di notizie precise sulla risposta delle varietà di interesse regionale anche in relazione alla ridotta frequenza delle gelate; ulteriori dettagli sono riportati nel capitolo 7. Si dovrebbero, comunque, evitare le aree che hanno un'alta probabilità di gelate nel periodo che precede la raccolta. Anche per le cultivar sarde risulta, invece, accertato un problema di fabbisogno di freddo (v. cap. 6) poiché varietà come la Palma (presumibile sinonimo della Bosana) vanno incontro al disseccamento delle gemme a fiore e a un incremento dell'aborto dell'ovario quando la temperatura media dell'aria risulta, nel mese di gennaio, superiore a 7 °C. D'altra parte la specie si dimostra ben tollerante alle elevate temperature anche se associate a limitate disponibilità idriche nel suolo. Le interazioni microclima/coltura divengono ancora più evidenti quando si considera l'influenza delle condizioni meteorologiche sull'azione dei parassiti animali e vegetali; è noto che i microclimi con alta umidità relativa dell'aria (aree litoranee o di fondo valle) favoriscono la diffusione dell'occhio di pavone e ne rendono difficile il controllo in varietà sensibili come la Bosana (v. cap. 14). Considerazioni sulla giacitura e natura dei terreni Sebbene l'olivo si adatti a un'ampia varietà di terreni, la produttività è più elevata dove gli alberi possono sviluppare gli apparati radicali senza limitazioni chimiche o fisiche. Per quanto riguarda queste ultime, in fase di pre - impianto si deve valutare la tessitura, la profondità e la stratificazione del suolo. Gli olivi preferiscono terreni privi di strati impermeabili all'aria e all'acqua, con tessitura compresa tra i franco sabbiosi, i terreni di medio impasto, i franco limosi, gli argillo limosi e i franco limo argillosi. Questi suoli assicurano un'intensità di scambi gassosi necessari a garantire lo sviluppo delle radici, sono sufficientemente permeabili e hanno un'alta capacità di ritenzione idrica. I terreni con maggiore contenuto in sabbia non hanno una grande capacità di trattenere i nutrienti e l'acqua, e quelli più argillosi spesso non hanno un'aerazione adeguata alla crescita delle radici. Maggiori dettagli sono riportati nel capitolo 10. L'olivo ha radici tendenzialmente superficiali (soprattutto in irriguo) e non richiede suoli molto profondi per produrre bene. I terreni evoluti, sia con strati solidi cementati sia con variazioni nella tessitura entro il profilo di suolo interessato dalle radici, impediscono il movimento dell'acqua e possono favorire la comparsa di strati di saturazione che danneggiano le radici dell'olivo. Per quanto attiene le caratteristiche chimiche del terreno, l'olivo si adatta a un'ampia gamma di tipologie chimiche. Gli alberi producono bene su terreni moderatamente acidi (pH superiore a 5) o moderatamente basici (pH inferiore a 8,5) così come su quelli che hanno livelli di boro o cloro relativamente alti. Si dovrebbero evitare i suoli alcalini o sodici poiché la loro struttura ostacola la penetrazione dell'acqua e il drenaggio, e da luogo a condizioni di saturazione che danneggiano gli apparati radicali. L'olivo rimane, comunque, una delle colture arboree maggiormente resistenti a salinità e sodicità. Per quanto riguarda la giacitura i nuovi impianti dovranno essere realizzati in aree con pendenza non superiore al 15 - 20% dove la meccanizzazione delle operazioni colturali è ancora possibile senza compromettere né la stabilità dei versanti né l'incolumità degli operatori delle macchine agricole. La tessitura e la giacitura possono interagire con la comparsa di diverse fitopatie; in particolare i terreni più pesanti possono favorire non solo l'azione di diverse specie fungine che causano marciumi del colletto ma anche, in concomitanza a specifica sensibilità varietale, la verticilliosi da Verticillium dahliae. Operazioni preliminari all'impianto Le modalità d'impianto di un oliveto non differiscono in sostanza dalle tradizionali operazioni di messa a coltura di un terreno da destinare ad un impianto arboreo; in sintesi si possono individuare le fasi qui sotto riportate. 20 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Decespugliamento, dicioccamento e spietramento, livellamento del terreno Nel caso si dovesse intervenire su aree mai messe a coltura, sarà necessario procedere all'eliminazione della preesistente vegetazione (macchia o cespugliame) dopo essersi assicurati che l'area non sia gravata da vincoli quali quelli idrogeologici e paesaggistici. Si deve avere sempre ben presente che i primi centimetri di suolo rappresentano la frazione più fertile poiché arricchiti di sostanza organica dai residui delle erbe e degli arbusti succedutisi nel tempo su quel terreno. Pertanto, pur essendo indispensabile il ricorso a specifici mezzi meccanici (in genere macchine per il movimento terra di rilevante potenza, dotate di lama frontale e scarificatore posteriore) l'operatore deve evitare di asportare, insieme al cespugliame ed eventuali massi rocciosi, i primi 5 - 10 cm di terra. La lama (piuttosto "a rastrello" che "a cucchiaio") dovrà operare in posizione piuttosto "alta" ovvero limitarsi all'eliminazione di alberi e grosse pietre, mentre l'asportazione del cespugliame può essere affidata ad appositi decespugliatori ad asse orizzontale che lasciano sul terreno i residui trinciati (molto utili anche come fonte di sostanza organica). Nel caso in cui si debba costituire un nuovo oliveto su terreni precedentemente occupati da colture arboree, si esegue preliminarmente l'eliminazione delle vecchie ceppaie ancora presenti nell'appezzamento; l'estirpazione dovrà essere quanto più possibile accurata poiché i residui radicali ospitano con facilità agenti fungini di marciumi. Quando è possibile può risultare utile trattare preventivamente la coltura da eliminare con diserbanti sistemici al fine di ridurre la consistenza di eventuali ricacci; casi del genere si sono verificati di recente in conseguenza degli interventi per l'estirpazione dei vigneti, la cui eliminazione meccanica è sovente preceduta da trattamenti con formulati erbicidi a base di 2,4-D (vecchio diserbante del grano) e successiva applicazione di glifosate sui ricacci dell'americano (v. cap. 9). Infine, se le colture precedenti hanno lasciato una forte presenza di erbe infestanti, quali gramigna, cipero, portulaca, artemisia, ricacci di bietole, etc., può essere utile attuare prima dell'impianto un intervento di diserbo con formulati di postemergenza (v. cap. 9). Il livellamento dell'appezzamento deve salvaguardare la sostanza organica del suolo attraverso la riduzione al minimo dei movimenti di terra, peraltro necessari sia per eliminare dossi e avvallamenti sia per dare al terreno la pendenza desiderata. Infatti l'oliveto deve essere opportunamente livellato per ridurre l'erosione, evitare i ristagni idrici, favorire la meccanizzazione e consentire, se richiesto, l'adozione di metodi irrigui che sfruttano la gravità per la movimentazione dell'acqua. Se si prevede di utilizzare l'irrigazione per infiltrazione laterale da solchi, col livellamento si deve assicurare una pendenza modesta compresa tra 10 e 50 cm di dislivello su 100 m di solco (0,1 - 0,5%). L'innalzamento del contenuto in sostanza organica del terreno e un parziale controllo delle infestanti ereditate da una precedente coltura possono ottenersi con la semina di essenze erbacee da sovescio. Il pietrame di risulta può essere utilizzato per formare dei drenaggi qualora il terreno presenti difficoltà di sgrondo delle acque piovane; a tal fine vengono aperte delle fosse opportunamente distanziate tra loro, profonde 130-150 cm, larghe circa 50 cm, che vengono poi riempite per metà con le pietre asportate dal campo. Tale intervento, abbastanza costoso, sarà eseguito dopo l'ultimazione delle operazioni di scasso e solo se strettamente necessario. Lavorazione del terreno La lavorazione fondamentale (o scasso) ha lo scopo di preparare adeguatamente il terreno, ed è indirizzata soprattutto a consentire un ottimale sviluppo dell'apparato radicale. Di norma viene lavorato uno strato di terreno profondo circa 0,8-1,2 metri; la profondità può essere ridotta per la presenza di strati rocciosi compatti. La lavorazione fondamentale del terreno si può attuare con due diversi organi meccanici: lo scarificatore, o ripper, e il monovomere. Il primo taglia il terreno come un coltello senza rivoltarlo, il secondo porta in superficie la terra sottostante e la espone all'aria; pertanto il ripper non provoca le riduzioni di fertilità dovute a perdita di sostanza organica "bruciata" dal sole e dal vento che, generalmente, si riscontrano con l'aratura. Affinché quest'ultima non provochi la dispersione della sostanza organica e l'affioramento di materiali inerti mal strutturati o ricchi in sostanze che possono avere un'azione tossica o comunque sfavorevole (concentrazioni saline, carbonato di calcio, ecc.), si suggerisce l'impiego di aratri che diano la possibilità di regolare l'angolatura del versoio e che lascino la fetta in posizione verticale o solo lievemente inclinata. L'integrale mantenimento della successione degli orizzonti si ottiene, invece, con l'impiego di scarificatori eventualmente attrezzati con alettoni o con altre appendici che ne migliorino, ove le condizioni del suolo lo permettano (ad es. scarsa pietrosità), l'efficacia di sommovimento del terreno. 21 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Tale lavorazione, effettuata con singolo passaggio o, di preferenza, con passaggi incrociati, può essere combinata a lavorazioni più superficiali, attuate con piccoli aratri o con erpici (ad es. erpici a dischi), sia andanti che, eventualmente, localizzate secondo le curve di livello. Peraltro può capitare che il rimescolamento del terreno superficiale con quello profondo sia conveniente, come ad esempio in presenza di un primo strato sabbioso seguito da uno argilloso. L'uso dello scarificatore (fig 4.1) è da preferirsi nei terreni pesanti dove il monovomere favorirebbe la formazione della "suola di scasso", sottile strato di suolo compresso e ricco di materiali fini che riduce gli scambi gassosi e idrici nell'ambito del profilo; ancora, la rippatura è opportuna in presenza di sottostanti strati inerti o di terreni con una grande quantità di scheletro (pietrame), che se portati in superficie deprimerebbero la fertilità del terreno. Figura 4.1 Esecuzione della lavorazione fondamentale In Puglia, dove gli oliveti sono spesso realizzati su terreni ricchi di pietre calcaree, è frequente il ricorso a macchine "schiaccia sassi" che riducono il pietrame portato in superficie con un'aratura a diametri di 3 - 5 cm; il successivo scasso non interessa tutta la superficie ma si realizza in modo localizzato aprendo con potenti escavatori tante buche quanti sono gli alberi di olivo da porre a dimora. Lo scasso andante deve essere eseguito "in croce" (cioè sia in lungo che in largo) con passate molto ravvicinate (40-50 cm per il ripper, 60-80 cm per il monovomere). La lavorazione fondamentale va effettuata alla fine dell'estate e prima delle piogge autunnali, con terreno non in tempera, affinché la rilevante potenza applicata al suolo asciutto lo spacchi di forza, provocando una fitta rete di microfessure indispensabile per assicurare l'ossigenazione anche in profondità e per molti anni. Seguono poi un'aratura profonda 40-50 cm utile sia per frantumare le grosse zolle lasciate dalla lavorazione fondamentale che per interrare i concimi, ed una successiva erpicatura che ha come scopo lo sminuzzamento del terreno e l'agevolazione del tracciamento e della piantumazione. Concimazione di fondo La concimazione di fondo ha lo scopo di garantire al terreno una riserva di elementi minerali che, lentamente ceduti, consentano un aumento del livello di fertilità del suolo. All'atto dell'impianto di un nuovo oliveto occorre quindi approfondire la conoscenza del terreno in cui si opera al fine di dimensionare per quantità e qualità gli apporti fertilizzanti. Base fondamentale per tale approfondimento è l'analisi fisico-chimica del terreno, volta ad evidenziare sia la dotazione di elementi minerali che la presenza di eventuali anomalie (v. cap. 10). Con le analisi fisiche del terreno si determina la "tessitura o granulometria" espressa in funzione della percentuale delle particelle di diverse dimensioni presenti nel terreno, distinte in sabbia, limo e argilla. Con le analisi chimiche si determinano la reazione o pH, il contenuto in sostanza organica e nei principali macroelementi, il complesso di scambio ovvero la capacità del terreno a trattenere gli elementi, nonché un'altra serie di caratteristiche del suolo. La concimazione di fondo può essere eseguita prima dello scasso, intervento cui sarà demandato il compito di distribuire lungo tutto il profilo i fertilizzanti, ovvero dopo la lavorazione profonda ma prima dell'aratura a 40 - 50 cm di profondità; la prima soluzione è da preferirsi qualora si ritenga che lo sviluppo in profondità dell'apparato radicale sarà notevole, come avviene in coltura asciutta e nei terreni grossolani ma con una buona aerazione, la seconda quando è ipotizzabile una distribuzione meno ampia delle radici. Gli apporti comprenderanno concimi organici e minerali, in quantità tali da costituire una buona riserva di elementi nutritivi (tab. xy del cap. 10). Con la concimazione di fondo non si apportano di norma fertilizzanti azotati che sono scarsamente trattenuti dal suolo e devono quindi essere somministrati in un secondo momento; sempre utile risulta, invece, l'applicazione di pratiche tradizionali che prevedono il posizionamento, sul fondo della buchetta aperta per la messa a dimora della pianta, di 2 - 3 kg di letame maturo o di "terricciati organici" separati dal pane di terra mediante l'interposizione del materiale ottenuto con l'apertura della buca. 22 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro La concimazione di fondo arricchisce, invece, il terreno di fosforo e potassio, e, se necessario, di magnesio; altri eventuali nutrienti o correttivi saranno distribuiti solo se l'analisi del terreno avrà segnalato problemi specifici. I concimi fosfatici più comunemente impiegati e più facilmente reperibili in commercio sono i "perfosfati" caratterizzati da un contenuto, o "titolo", di fosforo che varia dal 20%, nel caso dei perfosfati semplici, al 46-48% nella formulazione tripla. In generale nei terreni di medio impasto, caratterizzati da un equilibrio tra le percentuali di argilla, limo e sabbia, e mediamente dotati degli elementi minerali indispensabili alla nutrizione delle piante, sono sufficienti apporti di 0,6 - 0,8 tonnellate per ettaro di perfosfato minerale. I fertilizzanti potassici in commercio hanno un titolo elevato che varia dal 48 al 60% a secondo del tipo di concime. Il più comunemente utilizzato è il solfato potassico con un titolo del 50% espresso in ossido di potassio (K2O), caratterizzato da una reazione acida, particolarmente indicato quindi nei terreni calcarei dove sono in genere sufficienti apporti di solfato potassico di 0,4 0,6 tonnellate per ettaro. Nel capitolo dedicato alla fertilizzazione sono riportate ulteriori informazioni sulle possibili modalità di esecuzione della concimazione di fondo. Sistemazioni idraulico-agrarie, opere accessorie e frangiventazione In pianura la meccanizzazione impone di puntare all'ottenimento di appezzamenti rettangolari, lunghi 80-100 metri e larghi 50 - 100 o più, in funzione della capacità del terreno di sgrondare le acque piovane in eccesso. Questi campi possono essere, eventualmente, circondati da semplici solchi acquai nei terreni franco sabbiosi e di medio impasto, come quelli di origine granitica dell'Ogliastra, del Nuorese e del Sulcis-Iglesiente. Invece nei terreni più "forti", capaci di trattenere a lungo l'acqua, come già detto si deve dare all'appezzamento una leggera pendenza nel senso della lunghezza, utile anche per realizzare un'eventuale irrigazione a solchi, e soprattutto "baulare" leggermente l'appezzamento facendolo risultare progressivamente spiovente ai lati. La baulatura si può ottenere con delle semplici arature, regolando opportunamente il versoio al fine di "colmare" o "scolmare" il terreno; nei suoli più pesanti, come soluzione limite, può risultare utile baulare non l'intero campo ma il singolo filare, sempre operando semplicemente con idonee arature. Il flusso d'acqua proveniente dall'interno del campo baulato (siamo quindi sempre su terreni "pesanti") sarà raccolto, ai bordi dell'appezzamento, da dei canali detti scoline, che hanno il compito di richiamare le acque piovane in eccesso e scaricarle nel fosso di testata. L'ampiezza e la profondità delle scoline deve essere proporzionata alla larghezza del campo (e pertanto alla distanza intercorrente tra una scolina e l'altra), alla natura del terreno e alle caratteristiche pluviometriche dell'area. In particolare in fase di progettazione si dovrebbero acquisire le registrazioni degli ultimi 15 - 30 anni relative agli eventi pluviometrici di punta, cioè quelli caratterizzati da un'elevata intensità di pioggia; poiché il dimensionamento della rete scolante in funzione dei dati di punta comporta un'affossatura di rilevante volumetria, si suggerisce di norma di utilizzare per il calcolo un valore pari al 70% di quello massimo registrato. Se poi è nota la presenza di uno strato argilloso nella zona radicale (che con difficoltà è attraversato dalle piogge e provoca pertanto un ristagno sotto superficiale molto dannoso per l'olivo) posto, ad esempio, alla profondità di 40-50 cm, è indispensabile che la scolina sia profonda almeno 60 cm. Lo scasso provvederà, comunque, a frantumare e disperdere lo strato argilloso rendendo indispensabile la realizzazione della rete scolante solo nei terreni più pesanti. Questo sistema di scoline e canali prende il nome di affossatura, e può essere oggi realizzato con appositi mezzi meccanici o, più semplicemente, con l'installazione sulla trattrice aziendale di aratri affossatori. Peraltro l'olivicoltura si localizza con frequenza nelle aree collinari, dove sussistono minori preoccupazioni per i ristagni idrici da piogge invernali, ma aumentano i pericoli di erosione per trasporto di terreno a valle in presenza di forti piogge. Vecchie soluzioni prevedevano opere di terrazzamento (fig. 4.2), con innalzamento di muri in pietra a sostegno di piani orizzontali o leggermente inclinati verso monte per la raccolta dell'acqua piovana, larghi 5-8 metri con gli olivi al centro o sul ciglio. Figura 4.2 - Vecchi oliveti terrazzati 23 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Tali soluzioni sono oggi assolutamente improponibili! Per le pendenze non superiori al 5% è possibile disporre i filari lungo le curve di livello rinunciando, almeno in parte, ad avere filari perfettamente rettilinei e tutti della stessa lunghezza. D'altra parte questa soluzione consente di limitare il ruscellamento superficiale e favorisce l'accumulo di riserve idriche nel suolo. Un limite evidente alle lavorazioni secondo le curve di livello è quello della pendenza entro la quale le trattrici possono lavorare senza incorrere in problemi di stabilità e, quindi, di incolumità per l'operatore. Cingolati da montagna (a baricentro basso), eventualmente a cingoli larghi, possono lavorare su pendenze fino al 30% e anche oltre. Tale limite può variare sensibilmente in funzione delle caratteristiche pedologiche (pietrosità superficiale e profonda, presenza di residui vegetali, tessitura, grado di umidità, ecc.). Controindicazioni per le lavorazioni secondo le curve di livello esistono solo per i terreni argillosi, dove potrebbero favorire movimenti franosi. In questo caso andrebbero opportunamente combinate con sistemi di controllo delle acque eccedenti. Nei suoli argillosi si possono attuare più convenientemente le lavorazioni a ritocchino, purché accompagnate da opportune opere sistematorie, sino a pendenze del 10-25% senza eccessivi rischi di erosione. In ogni caso si deve sottolineare che un'olivicoltura intensiva non può essere realizzata in aree con pendenze superiori al 15-20%, non solo per le difficoltà di impianto ma anche per le elevate spese di gestione di un oliveto così conformato. In fase di impianto ci si preoccupa anche di realizzare le diverse infrastrutture necessarie all'azienda olivicola: piste interpoderali, scavi per l'interramento dell'impianto di irrigazione, bacini o serbatoi di raccolta delle acque, pozzi, fabbricati e maglie frangivento. I frangiventi realizzati con specie a rapido accrescimento come eucalitti e cipressi andrebbero impiantati due - tre anni prima di mettere a dimora gli olivi, per dar loro modo di raggiungere l'altezza indispensabile a garantire almeno un parziale riparo dai venti; questa norma è però raramente rispettata. Come è noto gli eucalitti assicurano il rapido raggiungimento di altezze elevate (si può stimare che l'area protetta dal vento sia pari a 10 volte l'altezza del frangivento), hanno elevata capacità pollonifera (sono cioè capaci di emettere vigorosi polloni dopo il taglio) e possono quindi fornire ogni 8 - 10 anni paleria minuta e legname da ardere, anche se di modesto valore; d'altra parte competono con vigore per acqua e nutrienti e deprimono lo sviluppo delle colture poste a meno di 6 - 10 metri dal frangivento. In definitiva gli eucalitti, disposti su due - tre file ai vertici di un triangolo equilatero avente il lato lungo 2 - 3 m, si prestano per la realizzazione di fasce perimetrali o di maglie frangivento a livello comprensoriale soprattutto nelle aree litoranee. Per i singoli oliveti, in particolare se di piccole dimensioni, gli effetti negativi del vento possono essere limitati o non superiori a quelli derivanti dalla concorrenza esercitata dal frangivento; questo, se necessario, può essere realizzato con varietà di olivo quale la Cipressino (a maturazione tanto precoce da precedere l'apertura dei frantoi e, quindi, in progressivo abbandono), la Carolea, la Nera di Gonnos o altre purché resistenti al vento e al cicloconio. Tracciamento e piantumazione Dovendo destinare un terreno a un nuovo impianto, sia in piano che in collina, occorre effettuare delle operazioni di campagna indispensabili a garantire la regolarità del sesto, l'esatta determinazione del numero di piante necessarie, la disposizione di opere e impianti accessori (fossi e scoline, impianti irrigui, frangiventazione, etc.). Se si deve realizzare un oliveto irriguo occorre preliminarmente verificare la presenza di una idonea fonte di approvvigionamento idrico e scegliere il tipo di impianto di irrigazione. Prima della messa a dimora della piante occorre procedere alla posa in opera di quelle parti dell'impianto che necessariamente devono essere interrate. La scelta della tipologia di impianto è condizionata dalla quantità d'acqua disponibile, dalle sue caratteristiche chimiche e dalla natura dei terreni. La stessa disponibilità idrica condiziona poi altre scelte, quali ad esempio la distanza tra le piante e conseguentemente il loro numero per ettaro. Completata la preparazione del terreno e prima di effettuare la squadratura del campo e la messa a dimora delle piantine, è necessario effettuare alcune scelte preliminari. In primo luogo occorre decidere il sesto d'impianto, la distanza tra le piante nonché l'orientamento dei filari. Scelta del sesto e della distanza tra le piante Col termine "sesto" d'impianto si intende definire la disposizione geometrica e ordinata degli alberi sul terreno, posizionati a intervalli regolari. Usualmente sono utilizzati nella moderna arboricoltura il sesto rettangolare ed il sesto quadrato, in cui le piante sono situate, rispettivamente, ai vertici di un rettangolo o di un quadrato. Il sesto ricorrente in Sardegna, anche nella olivicoltura tradizionale, è quello rettangolare con distanze tra le piante oscillanti tra 8 x 10 e 10 x 12 metri. 24 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nell'impiantare un nuovo oliveto, la scelta della densità d'impianto scaturisce dalla considerazione che l'arboreto adulto raggiungerà il massimo potenziale produttivo quando gli alberi saranno disposti con la densità più elevata che ancora consente di intercettare una quantità di luce solare sufficiente per lo sviluppo, alla periferia della chioma, dei germogli fruttiferi. Inoltre si dovrà tenere conto della disponibilità, o meno, di acqua per l'irrigazione, continua o solo di soccorso, oltreché ovviamente dalla pluviometria media dell'area; infatti negli ambienti semi aridi o subumidi e in coltura asciutta, è opportuno assicurare al singolo albero un maggiore volume di terreno e, quindi, una più consistente riserva idrica. Nel caso di impianti in irriguo la densità può essere notevolmente incrementata con l'esito che l'elevato numero di piante garantisce, già dai primi anni, un'accettabile produzione capace di coprire parte dei costi di impianto e i costi di esercizio; in quest'ottica rientra anche il concetto di "sesto dinamico", basato sulla messa a dimora di un elevato numero di piante (3 x 3 m, cioè più di 1.000 piante/ha) da diradare progressivamente a sesti di 3 x 6 e 6 x 6 m. Questo modello, che ha avuto negli anni passati una modesta diffusione nell'Italia centrale, trova il suo limite principale nell'elevato costo delle giovani piante di olivo; inoltre è anche vanificato dal fatto che sebbene la competizione tra gli alberi per acqua e nutrienti aumenti in funzione della densità, non riduce le dimensioni dell'albero in misura sufficiente ad evitare il diradamento. La scelta della densità è inoltre fortemente influenzata dalla natura del terreno, dalla forma di allevamento, dalla varietà. Queste variabili sono tutte tra loro strettamente collegate e su ognuna si può, entro certi limiti, intervenire per giungere agli obiettivi produttivi di elevate rese unitarie e contenimento dei costi. Partendo da tali considerazioni, con l'utilizzo di un sesto rettangolare di 6x4 metri, che garantisce un investimento di 416 piante per ettaro, possono attendersi buone produzioni già dai primi anni, pur modeste se riferite alla singola pianta. Un simile modello produttivo si basa su forme di allevamento contenute, poco espanse in larghezza, come il monocono. Un sesto così dimensionato potrebbe, inoltre, comportare per l'oliveto in produzione l'inconveniente del reciproco ombreggiamento degli alberi, problema da gestire con frequenti potature. In alternativa ai sistemi intensivi, soprattutto in regime asciutto, è consigliabile il ricorso ad un sesto in quadrato che può andare dal 6x6 al 7x7 metri, con un investimento rispettivamente di 277 e 204 piante; oppure di un sesto rettangolare da 6x7 a 6x8, con un conseguente investimento per ettaro di 238 e 208 piante, soprattutto in quelle zone in cui la minore piovosità annua è il principale fattore limitante lo sviluppo dell'impianto. Il sesto in quadrato consente una migliore illuminazione, evitando ombreggiamenti della chiome, deleteri per la produttività. Questa disposizione favorisce, inoltre, l'esecuzione delle lavorazioni e di tutte le altre operazioni colturali secondo entrambe le direttrici dell'impianto. Ma, optando eventualmente per un impianto a elevata densità, l'adozione del sesto in quadrato comporta una riduzione degli spazi di movimentazione dei mezzi meccanici, per cui, a parità di investimento di piante per ettaro, il sesto in rettangolo consente di formare una corsia più ampia, utile per l'esecuzione delle operazioni colturali. L'individuazione del sesto d'impianto si integra, pertanto, in maniera fondamentale con la scelta della forma di allevamento che, negli impianti intensivi, deve rispondere a criteri di meccanizzazione integrale delle operazioni colturali. In tutti i casi elencati si evidenzia come l'investimento consigliato per ettaro non scende mai sotto le 200 - 250 piante, onde evitare di perdere quei vantaggi che distanze relativamente brevi possono permettere di conseguire già dal medio - breve periodo. Orientamento dei filari L'olivo é specie fortemente eliofila (avida di luce), le cui produzioni fruttifere si localizzano preferibilmente sui rami dell'anno precedente, posizionati in gran parte nella porzione più esterna della chioma sottoposta a maggiore irraggiamento. In Sardegna questa esigenza è di norma soddisfatta, e solo per gli oliveti da impiantare in collina si devono preferire i terreni esposti a Sud. Questi infatti sono meno soggetti a gelate e godono di un regime termico più favorevole. Altra scelta da effettuarsi in caso di impianti con sesti rettangolari è l'orientamento da dare ai filari, che in genere deve essere Nord-Sud per garantire la migliore illuminazione delle chiome. In pianura questa esigenza è soddisfatta con facilità, mentre in collina va conciliata con la necessità sia di salvaguardare le pendici dall'erosione che di meccanizzare al massimo le operazioni colturali. Pertanto nelle pendici esposte a Est e a Ovest le due esigenze coincidono, mentre per le altre esposizioni la necessità di seguire le curve di livello impone un orientamento dei filari lungo la direttrice Est-Ovest. In condizioni di ridotta pendenza (intorno al 5%) é possibile effettuare l'impianto seguendo le linee di massima pendenza, favorendo la stabilizzazione della pendice nella fase successiva all'impianto, attraverso la riduzione o eliminazione delle periodiche lavorazioni meccaniche e l'introduzione della "non-coltivazione" (o incoltura), attuata o col ricorso al diserbo o con l'inerbimento dell'interfila da parte di essenze erbacee già presenti nel territorio, ovvero introdotte appositamente. Come si dirà nel cap. 8, questa soluzione è praticabile soprattutto negli oliveti irrigui. 25 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Messa a dimora delle piante La piantumazione si effettua preferibilmente a fine inverno - inizio primavera oppure all'inizio dell'autunno, così da garantire alla piantina un'adeguata espansione dell'apparato radicale prima che questo venga bloccato dallo sviluppo dei germogli e dall'aridità estiva, nel primo caso, e dalle minime termiche invernali, nel secondo. Ma quando i terreni sono riparati dai venti freddi invernali, non sussistano rischi di gelate ed è possibile irrigare con adeguate quantità d'acqua, la realizzazione dell'oliveto può essere programmata pressoché in tutti i mesi dell'anno, soprattutto se si utilizzano piante allevate in contenitore così come sta diventando prassi normale. Preliminarmente occorre effettuare un allineamento dei filari e delimitare gli appezzamenti, individuando le linee principali, proseguendo, poi, nella squadratura tramite picchetti e corde graduate per individuare - a seconda del sesto prescelto - l'esatta posizione della piante tramite una canna o altro segnale. Figura 4.3 Corretto posizionamento in campo di una piantina di olivo Al momento dell'impianto (fig. 4.3) viene realizzata una piccola buca con una zappa, appena sufficiente a contenere la zolla posizionando la piantina in modo che il pane di terra, che contiene le radici, risulti interrato per circa 3-5 cm (figg. 4.4, 4.5, 4.6). Il terreno intorno alla pianta dovrà essere compresso per assicurare la perfetta aderenza al pane di terra e poi bagnato per eliminare l'aria in eccesso e favorire la fuoriuscita delle radici dal pane di terra; l'umidità del terreno dovrà essere monitorata per tutta la stagione estiva, evitando gli eccessi idrici ma anche l'eccessiva aridità Figura 4.4, Figura 4.5, Figura 4.6 Illustrazione delle diverse fasi di messa a dimora della giovane pianta Contestualmente alla messa a dimora della pianta occorre posizionare una canna - che in tutti i casi va sostituita dopo il primo anno da un più robusto tutore - o direttamente il palo tutore, effettuando delle legature ad otto con laccio tubolare in plastica morbida (spaghetto o tubetto agricolo), così da evitare rischi di strozzature. Qualora l'albero debba essere allevato su un unico asse, occorre un palo tutore di altezza fuori terra di circa 2-2,5 metri. Nel caso, poi, venga scelta una forma di allevamento a vaso, è sufficiente un'altezza fuori terra di 1,3-1,5 metri circa, in quanto non è necessario disporre di un palo tutore molto più lungo dell'altezza dell'impalcatura. Il palo tutore deve svolgere efficacemente la propria funzione almeno sino al quarto anno dall'impianto, quando la struttura scheletrica della pianta ha acquisito sufficiente rigidità. Normalmente nei nostri ambienti vengono utilizzati pali in castagno; tuttavia in alternativa possono essere utilizzati pali in P.V.C., in bambù, in eucalitto, etc. L'operatore indirizzerà la propria scelta sul materiale che a parità di efficienza sia più facilmente reperibile ed al minor costo. 26 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Per una maggiore durata è bene trattare la parte basale dei pali in legno e bambù (40-50 cm) con catrame ovvero immergerla in soluzioni idriche concentrate di solfato di rame o di altri specifici prodotti reperibili in commercio. Più semplicemente, la durata del tutore può essere incrementata mediante abbruciamento superficiale del tratto basale. Durante la prima stagione vegetativa si dovrà assicurare un attento controllo delle infestanti e fornire modesti apporti di azotati se l'accrescimento risulta meno che ottimale (ma in presenza di una sufficiente umidità del terreno). Si deve anche tenere presente che nei primi anni il fusticino dell'olivo può subire danni da eccessiva insolazione; si può ricorrere a specifiche protezioni (tubex, shelter, materiali cartacei, ecc.) o alla tradizionale imbiancatura con latte di calce (biancone). Gli interventi relativi alla potatura di allevamento sono riportati nel cap. 11. 27 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 5 - La scelta varietale per l'olivo da olio e da mensa Obiettivi Il patrimonio varietale per l'olivo da mensa e da olio è in sintesi descritto. Maggiori approfondimenti sono riportati per le cultivar sarde. Le numerose varietà di olivo sono oggi descritte con indicatori molecolari capaci di discriminare in misura maggiore alle metodiche morfologiche e biochimiche. Le principali caratteristiche delle varietà extra nazionali sono riassunte in forma tabellare. Per il patrimonio nazionale sono descritte sei cv da mensa, sette da olio e tre a duplice attitudine. Le varietà sarde comprendono sei cultivar. In recenti esperienze la Semidana è risultata superiore, per quantità e qualità del prodotto, alla più diffusa Bosana. La scelta varietale per l'olivo da olio e da mensa La millenaria coltivazione dell'olivo e la sua diffusione in un esteso ed eterogeneo areale ha favorito la formazione di un gran numero di varietà, in prevalenza di antica o antichissima costituzione, grazie anche alla facilità di moltiplicazione della specie. Ne deriva che la classificazione delle cultivar è molto complessa anche per la presenza di numerosi sinonimi. Di recente le procedure di individuazione varietale, prima basate su caratteri morfologici e sulla fenologia, si sono arricchite di tecniche biochimiche e molecolari; in particolare l'analisi del DNA consentirà in prospettiva di chiarire molti casi dubbi e di ripercorrere le tappe del processo di formazione della specie. L'assetto varietale si è di recente arricchito di varietà e cloni provenienti dal processo di miglioramento genetico che, forse avviato in ritardo, cerca ora di produrre del materiale vegetale capace di fornire prestazioni superiori a quelle delle tradizionali cultivar. In ogni caso la valutazione delle novità vegetali, come d'altra parte l'introduzione di cultivar esotiche (nel senso letterale del termine), deve essere condotto con grande prudenza in ragione dello stretto rapporto tra genotipo e ambiente, nonché dell'elevato costo di impianto dell'oliveto. Una descrizione anche sintetica delle principali cultivar comporta una trattazione necessariamente assai articolata, problematica peraltro sviluppata di recente e in modo egregio dal COI (Catalogo mondiale delle varietà di Olivo, 2000). Pertanto ci si soffermerà sul patrimonio nazionale e, con maggiore dettaglio, sulle cultivar sarde e sui recenti risultati che la ricerca ha conseguito nell'Isola. Alcune sintetiche informazioni a livello mondiale sono, comunque, riportate nelle tabelle tab 5.1, tab 5.2, tab 5.3. Il patrimonio varietale italiano Le cultivar da mensa ASCOLANA TENERA (sinonimi: 'Oliva dolce'): cultivar di origine italiana diffusa soprattutto nelle Marche e nell'Italia centrale, ma con una modesta presenza anche nel Nord Africa e in California. Molto esigente sotto il profilo ambientale, predilige terreni freschi e sciolti con buon contenuto in calcare. Entra precocemente in produzione. La fruttificazione è elevata solo quando le condizioni agronomiche sono ottimali. Fiorisce tardivamente e presenta un elevato numero di fiori con ovario abortito. Autoincompatibile; come impollinatori sono stati segnalati: Santa Caterina, Itrana, Rosciola, Morchiaio e Giarraffa. La produttività è media e costante. La maturazione precoce e la consistenza della polpa permettono di utilizzare i frutti per la produzione di olive verdi in salamoia. Il rapporto polpa/nocciolo è pari a 6 e il distacco della polpa risulta agevole. Per questa cultivar è stata segnalata una particolare tolleranza al freddo, all'occhio di pavone, alla rogna e alle carie del legno. Viceversa, è risultata sensibile agli attacchi della mosca dell'olivo. Sono disponibili alcuni cloni. Prove di confronto tra sei cultivar da mensa e duplice attitudine condotte in irriguo nei suoli calcarei del Sassarese, hanno individuato nell'Ascolana tenera la varietà più produttiva anche in presenza di una spiccata alternanza; la stessa ha fornito nell'Oristanese risultati molto più deludenti. In entrambi gli ambienti la cv ha confermato la sua sensibilità alla mosca delle olive e alle manipolazioni; una sua ulteriore diffusione deve essere valutata con estrema attenzione. 28 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro GIARRAFFA (sinonimi: 'Becco di corvo', 'Cacata di chiccia', 'Cefalutana', 'Ciocca', 'Giardara', 'Giarrafara', 'Giarraffella', 'Giarraffu mammona', 'Pizzu di corvu', 'Raffa', 'Raffu'): diffusa in Sicilia centrale e nord-occidentale. Cultivar che ha mostrato notevoli esigenze per le condizioni agronomiche. La rizogenesi è buona. Entra in produzione precocemente. La fioritura è precoce e scalare. I fiori presentano un'elevata percentuale d'ovari abortiti. Parzialmente autocompatibile si avvantaggia di impollinatori quali la 'tonda Iblea', la 'Nocellara Etnea', la 'Nocellara del Belice', la 'Passulunara' e la 'Ascolana tenera'. A sua volta può essere impiegata come impollinatrice per gli impianti di 'Nocellara del Belice' ed 'Ascolana tenera'. La produttività è bassa e alternante. I frutti, che maturano precocemente, sono apprezzati sia per la preparazione in verde sia in nero. Il contenuto in olio è medio, e il distacco della polpa dal nocciolo agevole. Il rapporto polpa/nocciolo corrisponde a 5,6. Pianta sensibile all'occhio di pavone, alla rogna e alle condizioni di limitata disponibilità idrica nel terreno. NOCELLARA ETNEA (sinonimi: 'Augghialora', 'Bianca', 'Forte', 'Ghiandalora', 'Janca', 'Marmarigna'. 'Marmorigna', 'Marmorina', 'Marmurigna', 'Marmurina', 'Minnullara', 'Nagghiara', 'Nocellaia', 'Nocellara', 'Nociara', 'Nucidalaria', 'Nuciddara', 'Oliva di Paternò', 'Oliva verde', 'Paisana', 'Partornese', 'Patornisa', 'Paturnisa', 'Pizzuta', 'Pizzutedda', 'Rappara', 'Tortella', 'Tortidda', 'Turtedda', 'Turtidda', 'Verdesca', 'Verdese', 'Virdisi', 'Virdisia', 'Virdusedda'): diffusa nella Sicilia orientale. Pianta vigorosa, rustica e a rapida crescita vegetativa. E' nota dalla letteratura la particolare difficoltà di radicazione delle talee. Entra in produzione precocemente. La fioritura è abbondante ed il polline, prodotto in quantità elevata, germina con molta facilità. Autoincompatibile, si avvale dell'azione di impollinatori quali 'Zaituna', 'Biancolilla' e 'Moresca'. Sono stati evidenziati fenomeni di interincompatibilità con le cultivar 'Ogliarola messinese' e 'Tonda Iblea'. La produttività è elevata e alternante. La maturazione è tardiva e la resistenza al distacco dei frutti abbastanza elevata. La resa in olio è bassa. La pezzatura molto uniforme, la polpa consistente e resistente alla concia, fanno considerare questa cultivar eccellente per la produzione di olive verdi da tavola. Il rapporto polpa/nocciolo corrisponde a 6. Di questa pianta è segnalata una particolare tolleranza alla rogna, alla mosca e alla fumaggine; viceversa sembra sensibile al cicloconio.(fig. 5.1) Figura 5.1 Abbondante fruttificazione della Nocellara etnea OLIVA DI CERIGNOLA (Sinonimi: 'Barilotto', 'Bella di Cerignola', 'Cerignolese', 'Grossa di Spagna', 'Lunga', 'Oliva a ciuccio', 'Oliva a prugna', 'Oliva di Spagna', 'Oliva grossa', 'Oliva lunga', 'Oliva manna', Olivo dell'asino', 'Prone', 'Prugne', 'Spagnola'): diffusa in Puglia. Cultivar che ha mostrato notevoli esigenze per le condizioni agronomiche. La rizogenesi è risultata bassa. Entra in produzione precocemente. L'epoca di fioritura è tardiva e i fiori presentano un'elevata percentuale di ovari abortiti. Parzialmente autocompatibile, necessita comunque di idonei impollinatori quali 'Mele', 'S. Agostino' e 'Termite di Bitetto'. La produttività è media e alternante. I frutti, che maturano precocemente, hanno un'elevata resistenza dinamometrica. E' apprezzata per la pezzatura delle drupe, ma non per la qualità delle polpa che risulta dura, fibrosa e di difficile distacco dal nocciolo. I frutti sono destinati alla preparazione di olive verdi in salamoia. Il rapporto polpa/nocciolo corrisponde a 3. Il contenuto in olio è basso. E' sensibile al cicloconio, alla rogna, alla fumaggine, alla mosca dell'olivo e al freddo. Di questa cultivar sono stati individuati alcuni cloni. SANT'AGOSTINO (sinonimi: 'Cazzarola', 'Oliva andriesana', 'Oliva di Andria', 'Oliva dolce di Andria', 'Oliva grossa', 'Oliva grossa andriesana', 'Oliva pane', 'Oliva senza pane'): diffusa in Puglia. Pianta poco rustica e di non facile adattamento ai diversi areali olivicoli. Garantisce una buona produttività solo in condizioni irrigue. La capacità rizogena è bassa. L'entrata in produzione è tardiva. Autoincompatibile, efficaci impollinatori sono risultati 'Oliva di Cerignola', 'Mele' e 'Termite di Bitetto'. Fiorisce verso la metà di maggio e comunque dopo le più comuni varietà da olio pugliesi. L'aborto dell'ovario è elevato. I frutti maturano precocemente, hanno pezzatura molto omogenea, sono adatti alla produzione di olive verdi da tavola. Il rapporto polpa/nocciolo risulta molto elevato; il distacco della polpa è agevole. La resa in olio è bassa. Poco tollerante alla rogna e ai parassiti vegetali in genere, particolarmente alla verticilliosio, oltrechè ai freddi primaverili. 29 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro SANTA CATERINA (sinonimi: 'Oliva di San Biagio', 'Oliva di San Giacomo', 'Oliva Lucchese'): diffusa in Toscana. Pianta adatta ai terreni collinari freschi. Rustica, presenta un notevole sviluppo della chioma, che tende ad espandersi in larghezza. L'attitudine rizogena è media. Entra in produzione precocemente. Fiorisce in epoca intermedia e i fiori presentano circa il 60% di ovari abortiti. Autoincompatibile. La produttività è elevata e costante. Le drupe presentano una resistenza media al distacco. La produzione è particolarmente adatta per la preparazione di olive verdi da mensa anche per l'elevata resa in polpa dei frutti. La resa in olio è bassa. Il distacco della polpa dal nocciolo è agevole. Resiste bene alle basse temperature invernali. In letteratura le indicazioni sulla tolleranza al cicloconio sono abbastanza discordi. E' considerata sensibile alla rogna. Le cultivar da olio CORATINA (sinonimi: 'Cima di Corato', 'La Valente', 'Olivo a confetti', 'Olivo a grappoli', 'Olivo a racemi', 'Olivo a racimolo', 'Olivo a raciuoppe', 'Racema', 'Racemo di Corato', 'Racioppa', 'Racioppa di Corato'): di origine italiana, è diffusa in Puglia. Pianta di facile adattamento ai diversi ambienti olivicoli. E' molto precoce nell'entrata in produzione. La capacità rizogena è elevata. I fiori hanno bassa percentuale di ovari abortiti. Spesso sono presenti mignole fogliose. Nel suo areale d'origine viene utilizzata la 'Cellina di Nardò' come pianta impollinatrice. La produttività è elevata e costante. Le drupe maturano tardivamente e sono di pezzatura molto variabile. In alcune annate i frutti sono adatti anche per la preparazione d'olive verdi in salamoia. La resa in olio è alta; quest'ultimo è risultato molto ricco di polifenoli. E' stata segnalata una particolare tolleranza al freddo mentre è piuttosto sensibile alla carie. FRANTOIO (Sinonimi: 'Bresa fina', 'Comune', 'Correggiolo', 'Crognolo', 'Frantoiano', 'Gentile', 'Infratoio', 'Laurino', 'Nostrato', 'Oliva lunga', 'Pendaglio', 'Pignatello', 'Raggio', 'Raggiolo', 'Rajo', 'Razza', 'Razzo', 'Solciaro', 'Stringona'): di origine italiana, è diffusa specialmente Italia centrale e in numerosi paesi olivicoli. Varietà gentile, con produttività elevata e costante è apprezzata anche per le sue capacità di adattamento ai diversi ambienti di coltivazione. Sono stati segnalati numerosi ecotipi assimilabili a questa cultivar. La rizogenesi è elevata. Entra in produzione precocemente. L'epoca di fioritura è intermedia e i fiori presentano una bassa percentuale di ovari abortiti. Autocompatibile, migliora la produttività con la presenza di idonei impollinatori. L'epoca di maturazione dei frutti è scalare e tardiva. Il contenuto in olio è medio. In Toscana questa cultivar è apprezzata per la produzione di oli particolarmente fruttati e stabili nel tempo. E' una pianta particolarmente sensibile alla rogna e mediamente al cicloconio, alla mosca dell'olivo e al freddo. LECCINO (sinonimi: 'Leccio', 'Premice', 'Silvestrone'): diffusa in Toscana, Umbria e diverse zone olivicole. Pianta vigorosa e di facile adattamento ai diversi ambienti olivicoli. La rizogenesi è elevata. Entra in produzione precocemente. I fiori hanno bassa percentuale di ovari abortiti. Autoincompatibile, come impollinatori sono stati segnalati: 'Pendolino', 'Moraiolo', 'Maurino', 'Frantoio', 'Morchiaio', 'Gremignolo di Bolgheri', 'Piangente', 'Razzo', 'Trillo', 'Frantoio'. La produttività è elevata e costante. La maturazione dei frutti è precoce e contemporanea, con una ridotta resistenza al distacco. Il contenuto in olio è basso. Il distacco della polpa dal nocciolo risulta agevole. Di questa cultivar è stata segnalata una particolare tolleranza al freddo, all'occhio di pavone, alla carie e alla rogna. Più recentemente sono stati identificati cloni tolleranti alle basse temperature o adatti anche alla produzione di olive da mensa. MORAIOLO (sinonimi: 'Anerina', 'Assisano', 'Bucino', 'Carboncella', 'Cimignolo', 'Corniolo', 'Fosco', 'Migno', 'Morella', 'Morellino', 'Morello', 'Morichiello', 'Morina', 'Morinello', 'Muragliola', 'Neraiolo', 'Nerella', 'Nerina', 'Neriolo', 'Nostrale', 'Ogliolo', 'Oliva nera', 'Oliva tonda', 'Oriolo', 'Petrosello', 'Ruzzolino', 'Tondello', 'Tondolina', 'Tondorina'): diffusa nell'Italia centrale. Pianta caratterizzata da elevata rusticità che predilige gli ambienti collinari. La capacità rizogena è elevata. Entra precocemente in produzione. Autoincompatibile, Tra gli impollinatori sono segnalati: 'Maurino', 'Pendolino', 'Morchiaio', 'Lazzero', 'Razzaio', 'Maremmano', 'Americano', 'Rosino' e 'Mignolo'. La letteratura riporta fenomeni di interincompatibilità nei processi fecondativi. La fioritura avviene in epoca intermedia. L'aborto dell'ovario non supera il 20% e i fiori presentano un'elevata produzione di polline. La maturazione è graduale nel tempo. La produttività è elevata e costante. I frutti sono spesso riuniti in grappoli. Il contenuto in olio è elevato ed è molto apprezzato per il caratteristico sapore fruttato e per i contenuti in squalene e polifenoli. Il 'Moraiolo' presenta resistenza media ai comuni parassiti ed elevata sensibilità al cicloconio e al freddo. Tollera i terreni a ridotta umidità e i venti marini. Di questa cultivar sono stati individuati numerosi ecotipi. 30 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro OGLIAROLA BARESE (sinonimi: 'Aliva baresana', 'Ascolana', 'Baresana', 'Bitontina', 'Castellaneta', 'Cima di Bitonto', 'Marinese della Capitanata', 'Marinese di Lavello', 'Nostrale di Venosa', 'Nostrana bitontina', 'Ogliarola di Bitonto', 'Ogliarola di Molfetta', 'Ogliarola di Venosa', 'Oliva ascolana', 'Olivo baresano', 'Olivo d'Ascoli', 'Olivo nostrale', 'Olivo paesano', 'Paesana di Bitonto'): diffusa in Puglia e Basilicata. Pianta rustica e di rapida crescita. L'entrata in produzione è media. Autoincompatibile. I fiori presentano una ridotta percentuale di aborto dell'ovario. E' spesso utilizzata come pianta impollinatrice. La produttività è media e alternante. I frutti maturano in epoca tardiva ed hanno un'elevata resistenza al distacco. La resa al frantoio è elevata. L'olio è molto apprezzato e caratterizza la produzione della zona di Bitonto. La pianta è sensibile alle gelate, ai venti marini e alla rogna, ma tollera bene l'occhio di pavone. I frutti sono facilmente soggetti agli attacchi della mosca. PENDOLINO (sinonimi: 'Maurino fiorentino', 'Piangente'): diffusa nell'Italia centrale. Cultivar di facile adattamento a condizioni pedologiche ed ambientali diverse. La capacità rizogena è elevata. Entra in produzione precocemente. La fioritura è abbondante, precoce ed abbastanza prolungata nel tempo. Tale caratteristica ha favorito l'utilizzazione di questa cultivar come impollinatore. Autoincompatibile. I fiori hanno una bassa percentuale di aborto dell'ovario. La produttività è elevata e costante. I frutti, che maturano in epoca della stagione intermedia, presentano una ridotta resistenza al distacco. Il contenuto in olio è basso. E' sensibile alla rogna e all'occhio di pavone. Tollera bene le basse temperature; i frutti sono abbastanza resistenti agli attacchi della mosca. TAGGIASCA (sinonimi: 'Gentile', 'Lavagnina', 'Olivo di Taggia', 'Pignola d'Oneglia', 'Tagliasca', 'Tagliasco'): diffusa in Liguria. Pianta di notevoli dimensioni che da sola rappresenta l'olivicoltura della provincia d'Imperia. Si è adattata bene sia nel territorio più prossimo al mare sia in alta collina. La rizogenesi è piuttosto bassa. Entra precocemente in produzione e fiorisce in epoca intermedia. I fiori, parzialmente autocompatibili, presentano una bassa percentuale di ovari abortiti. L'allegagione è alta. La produttività è elevata e costante. I frutti, che maturano tardivamente, hanno un'elevata resa in olio; quest'ultimo caratterizza la produzione della Liguria. La pianta risente dei freddi primaverili e delle condizioni di carenza idrica. E' sensibile agli attacchi della rogna e della mosca. Le cultivar a duplice attitudine CAROLEA (Sinonimi: Becco di corvo, 'Borghese', 'Calabrese', 'Camignaria', 'Caroleo', 'Catanzarese', 'Colarè', 'Convitè', 'Corbarica Coriolese', 'Cortalese', 'Cumignana', 'Marinotto', 'Muso di corvo', 'Nicastrese', 'Oliva dolce', 'Olivo di Calabria', 'Olivo di Sorta', 'Olivona', 'Pizzu di corvu', 'Squillaciota', 'Verdella'): di origine italiana, è diffusa in Calabria. Pianta di facile adattamento e la cui coltivazione si spinge fino agli 800 m d'altitudine. La rizogenesi è risultata elevata. Entra in produzione precocemente. Autoincompatibile, necessita di opportuni impollinatori quali 'Nocellara messinese', 'Cassanese', 'Pidicuddara', 'Picholine' e 'Itrana'. Fiorisce precocemente ed il polline è dotato di elevata germinabilità. La produttività è elevata e costante. La maturazione dei frutti è scalare. Il contenuto in olio è medio. Il rapporto polpa/nocciolo corrisponde a 4,5 e il distacco della polpa risulta difficile. La produzione viene utilizzata sia per la preparazione di olive da tavola, verdi o nere, sia per l'estrazione dell'olio. Particolarmente tollerante alle basse temperature; ha mostrato sensibilità all'occhio di pavone e alla mosca. Di questa cultivar sono stati identificati alcuni cloni. ITRANA (sinonimi: 'Aitana', 'Aitanella', 'Aitanesca', 'Attanesca', 'Auliva a acqua', 'Cicerone', 'Esperiana', 'Gaetana', 'Gitana', 'Iatanella', 'itana', 'Oliva di Esperia', 'Oliva di Gaeta', 'Oliva grossa', 'Olivacore', 'Raitana', 'Reitana', 'Strano', 'Tanella', 'Trana', 'Velletrana'): diffusa nel Lazio. Pianta rustica, caratterizzata da rapida crescita. La capacità rizogena è elevata. L'entrata in produzione è media. I fiori presentano una percentuale media di ovari abortiti. Autoincompatibile; sono segnalati come impollinatori le varietà 'Leccino', 'Pendolino' e 'Olivastro'. La produttività è elevata e alternate. La maturazione è scalare e tardiva, i frutti presentano un'elevata resistenza al distacco. La produzione si presta sia per la preparazione delle olive nere (distacco della polpa dal nocciolo agevole), sia per l'estrazione dell'olio (contenuto medio). E' stata segnalata una particolare tolleranza al freddo ed alle principali malattie crittogamiche, mentre è sensibile agli attacchi della mosca. NOCELLARA DEL BELICE (sinonimi: 'Aliva da salari', 'Aliva di Castelvetrano', 'Aliva tonda', 'Aliva tunna', 'Anerba', 'Aneba', 'Bianculidda', 'Mazara', 'Neba', 'Nebba', 'Nerba', 'Niciddalora', 'Nocciolara', 'Nocellaia', 'Nocellara di Castelvetrano', 'Nociara', 'Nociddara', 'Nocillara', 'Nuciddara', 'Oliva da salari', 'Oliva di Castelvetrano', 'Oliva di Mazara', 'Oliva tonda', 'Oliva tunna', 'Trapanese'): diffusa nella Sicilia occidentale. 31 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Pianta di modesta crescita e di facile adattamento a condizioni ambientali diverse. La capacità rizogena è alta. Entra in produzione precocemente. Autoincompatibile, in genere è associata alla 'Giarraffa' e alla 'Pidicuddara' che hanno mostrato un'efficace azione impollinatrice. I fiori hanno un numero ridotto di ovari abortiti. La maturazione è tardiva. La produttività è elevata e costante. L'elevata consistenza della polpa rende i frutti idonei alla preparazione di olive verdi in salamoia. Il rapporto polpa/nocciolo corrisponde a 5,6 e il distacco della polpa è agevole. L'olio è molto apprezzato. Cultivar sensibile alla verticillosi, all'occhio di pavone, al mal del piombo e alla rogna. I frutti hanno buona resistenza alla mosca. (fig 5.2) Figura 5.2 - Frutti e foglie della Nocellara del Belice Varietà Sarde BOSANA (sinonimo di Palma, Tondo sassarese, Olieddu). E' la cultivar più diffusa a livello regionale, prevalentemente nella Sardegna Settentrionale e Centrale, e, più limitatamente, con concentrazione in alcuni areali, nella sud dell'isola. A tale varietà è riconducibile un'ampia popolazione che ha presumibilmente origine spagnola, ed è nota con diversi sinonimi: Palma, Tondo sassarese, Sassarese, Olieddu, etc. Le zone di maggiore presenza si ritrovano nel Sassarese e nella Nurra, in Planargia, nel Marghine, in alcune circoscritte aree del villacidrese e nel nuorese. La sua consistenza varietale si stima che oscilli complessivamente intorno ai 3 milioni di individui, di cui oltre un terzo presenti nel solo comprensorio di Sassari. Caratterizzata da notevole fertilità, denota elevate produzioni per pianta, pur con una certa tendenza all'alternanza, negli impianti tradizionali. Presenta un tipico portamento pendulo dei rami, con internodi brevi e foglie grandi di colore verde brillante. La drupa, di forma ellittica, leggermente ovoidale, ha peso medio di poco inferiore ai tre grammi. Ha elevata resa in olio e, talvolta, le olive di calibro superiore vengono destinate al consumo diretto con trasformazione principalmente al nero, considerata la sua tendenza a non scolorire durante il processo tecnologico. Il colore della drupa è verde pallido mentre a completa maturità è fortemente pigmentata nella polpa, con un colore nero brillante dell'epidermide. È molto sensibile alle crittogame, in particolare all'occhio di pavone; qualora, infatti, non si operi con adeguata protezione fitoiatrica a base di rame o di specifici sistemici, le piante manifestano notevole filloptosi sino a completa defogliazione, che è spesso contribuisce al perdurare dell'alternanza produttiva. A causa delle ridotte dimensioni della drupa non è particolarmente attaccata dalla Mosca delle olive, che però, in annate di forti pullulazioni può comunque causare gravi danni, qualora non vengano eseguiti i necessari interventi di difesa. Presenta elevata suscettività a condizioni di coltivazione intensiva, adattandosi a forme monocauli che consentono elevata densità d'investimento. Infatti ha buona attitudine a mantenere forme di allevamento poco espanse, come il monocono, a motivo della limitata vigoria e del suo portamento. Tale forma può ottenersi con l'ausilio di semplici interventi di potatura in fase di allevamento, curando di individuare e sostenere l'asse centrale mediante un adeguato palo tutore. Ciò è necessario al fine di garantire la regolare crescita e il mantenimento della "funzione di cima", necessaria all'equilibrio della forma. Una volta data l'impostazione di allevamento l'albero tende a mantenerla in maniera equilibrata, con limitati interventi cesori. In tal modo possono essere utilizzati distanze tra le piante tipiche delle coltivazioni intensive, con densità d'impianto superiori alle 400 piante per ettaro, che possono dare già nei primi anni interessanti livelli produttivi. (fig. 5.3) 32 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Figura 5.3 Fruttificazione della cultivar Bosana NERA DI VILLACIDRO (Tonda di Villacidro o Terza Grande). La cv Nera (Tonda) di Villacidro, pur avendo delle interessanti caratteristiche agronomiche ed elevata rusticità, ha una spiccata tendenza ad alternare per la notevole tardività di maturazione. Appartiene a una popolazione eterogenea con una vasta gamma di denominazioni riscontrabili pressoché in tutte le aree olivetate della Sardegna, e che sono riferibili - nelle loro principali caratteristiche - a una origine comune. Molto simili a questa sono infatti la Olianedda e la Ogliastrina, la Corsicana, ecc. Ha una complessiva consistenza numerica di diverse centinaia di migliaia di piante, che interessano i comuni sardi con le più ampie superfici investite ad olivo, tra cui Oliena e Villacidro. Pur essendo stata saggiata anche in condizioni intensive non ha fornito i risultati attesi denotando una tardiva entrata in produzione e non esaltanti incrementi i produttivi. Peraltro, nonostante permanga ancora un'abitudine dei produttori che, a causa della notevole tardività di maturazione, spinge a ritardare eccessivamente l'epoca di raccolta al fine di aumentare le rese, con raccolte più anticipate emergono buone caratteristiche dell'olio ed un elevato livello di qualità del prodotto. Le drupe sono di dimensione medio-piccola, rotondeggianti e provviste di un marcato umbone; le foglie sono strette piccole e appuntite di colore verde scuro. Questo gruppo varietale, pur non eccellendo nella precocità dei risultati quantitativi, presenta un buon adattamento alle tecniche di allevamento dell'olivicoltura intensiva, soprattutto in riferimento alle forme di allevamento finalizzate a consentire un maggiore investimento di piante. Pertanto, si struttura facilmente in forme monocauli con un buon sviluppo vegetativo e impalcandosi in maniera ottimale nel monocono, senza che siano necessari interventi cesori ripetuti e frequenti. (fig 5.4) Figura 5.4 Rametto fruttifero della varietà della Nera di Villacidro TONDA DI CAGLIARI (Manna, Tunda) Diffusa in tutto il Campidano di Cagliari, ha il suo areale principale nei comuni di Dolianova, Serdiana, Donori, Soleminis (qui nota come 'Tunda'), nel circondario di Oristano è più nota col sinonimo di "Manna". La consistenza varietale si aggira sulle 200.000 unità. Il frutto si presenta di forma ellittica, leggermente allungato, di buona pezzatura con un peso medio di 5 grammi. L'epidermide, allo stato verde, si presenta di un colore brillante con lenticelle assai evidenti e numerose. A maturità il colore è rosso scuro, con pigmentazione di parte della polpa. Presenta un buon rapporto polpa/nocciolo, sufficiente consistenza della polpa, resistenza alle manipolazioni, pezzatura medio-elevata, caratteristiche che la rendono idonea alla trasformazione "al verde" al naturale, da cui si ottengono prodotti di levato pregio per caratteristiche organolettiche e tecnologiche. Ha inoltre buona resa in olio e sufficiente precocità, consentendo il duplice utilizzo delle drupe con l'ottenimento di un prodotto di qualità. Denota buona resistenza alle crittogame e alla rogna, e non è particolarmente sensibile alle punture della Mosca olearia. Purtuttavia, soprattutto per le produzioni destinate alla trasformazione da mensa, la presenza delle punture è fortemente deleteria, per cui occorre un oculato controllo degli attacchi del parassita con i più moderni sistemi di lotta integrata, al fine di mantenere elevati i livelli qualitativi del prodotto. 33 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nei nuovi impianti la cultivar manifesta la tipica vigoria con un portamento che tende ad evidenziare insieme al vigore anche una più marcata assurgenza, caratterizzata da angoli di inserzione dei rami abbastanza chiusi. Ciò comporta che con l'adozione di forme di allevamento monocauli su asse unico, come nel caso del monocono, la pianta difficilmente mantiene l'unicità dell'asse, sul quale tendono ad addossarsi i rami laterali, che esercitano forte concorrenza sull'asse principale determinandone l'indebolimento. Viene quindi meno la funzione regolatrice della cima e un disequilibrio dell'intera struttura, che tende a diventare globoide. Pertanto, il mantenimento di tale forma può essere effettuata solamente con un costante controllo dell'allungamento dei rami, con frequenti tagli durante l'anno, al fine di ridurre la concorrenza degli assi laterali rispetto all'asse centrale. Tali interventi cesori, soprattutto se effettuati in fase di impostazione della forma nei primi anni d'impianto, oltre al costo direttamente collegato alla numerosità degli stessi, comportano anche un allungamento del periodo improduttivo e un ritardo nell'entrata in produzione, a causa dei continui tagli necessari alla corta impostazione della forma. Viceversa, la pianta appare ben adattata a forma più espanse, come il vaso, sulle quali possono ottenersi accrescimenti regolari e più equilibrati, in quanto conformati al naturale portamento della cultivar. È, comunque, una varietà che tende ad non entrare precocemente a frutto ma che, per la notevole vigoria, ha una più spiccata tendenza vegetativa che va adeguatamente contenuta con opportuni interventi cesori e la scelta di un'adeguata forma di allevamento (fig.5.5). Figura 5.5 Aspetto della fruttificazione della Tonda di Cagliari NERA DI GONNOS (Niedda). Diffusa nell'area ricadente tra i comuni di Gonnosfandiga, Guspini, Villacidro, ha una consistenza numerica di circa 50.000 piante. Nell'areale di origine sono presenti moltissimi impianti secolari con piante di grandi dimensioni. Ha elevata affinità con la cultivar "Tonda di Cagliari" descritta precedentemente, per cui si ritiene possano essere riferite ad un'unica popolazione di origine incerta diffusa variamente in diverse zone della Sardegna Centro-meridionale. Presenta infatti buona pezzatura dei frutti e ottimali caratteristiche per la trasformazione come oliva da mensa. Da un punto di vista vegeto-produttivo rispecchia esattamente le medesime caratteristiche dalla cultivar Tonda di Cagliari. È stata ampiamente utilizzata anche per la realizzazione di nuovi impianti, con finalità di ottenere un prodotto ottimale sia per il consumo diretto che per l'oleificazione. (fig.5.6) Figura 5.6 - Rami e frutti della Nera di Gonnos 34 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro PIZZ'E CARROGA (Bianca). Diffusa in impianti tradizionali insieme ad altre cultivar, pur valida sotto aspetti qualitativi, presenta una serie di difetti che ne limitano l'utilizzo riferito agli impianti intensivi. Albero mediamente vigoroso con portamento tendenzialmente espanso, presenta un colore del fogliame verde chiaro, mentre sui giovani rami il legno manifesta una colorazione bianco-grigiastra. Da ciò si origina il sinonimo di 'Bianca', con cui è conosciuta in diverse zone. La drupa è asimmetrica, leggermente allungata ed appuntita, con un nocciolo che riporta la conformazione esterna del frutto, risultando acuminato. La colorazione verde brillante dell'epidermide tende al verde pallido e poi al verde giallastro nel momento ottimale per la raccolta finalizzata alla trasformazione al verde. Presenta un colore rosso cupo a maturità, con polpa che difficilmente tende a colorarsi intensamente. Denota una elevata precocità di maturazione che la rende, purtroppo, assai sensibile agli attacchi della Mosca delle olive. Accanto a questa sensibilità al principale parassita dell'olivo, presenta elevata predisposizione agli attacchi di rogna ed all'occhio di pavone. E' possibile anche per questa cultivar il duplice utilizzo della drupa, ottenendosi risultati soddisfacenti sotto il profilo quanti-qualitativo. Infatti ha una polpa molto delicata, che rimane facilmente lesa durante le comuni manipolazioni in fase di raccolta. Poichè la fermentazione avviene in tempi piuttosto brevi (5-6 mesi contro i10-12 della Manna) è possibile commercializzare il prodotto a partire da marzo-aprile trasformato "al verde" al naturale. Il suo utilizzo nei nuovi impianti è stato limitato anche per un portamento vegetativo che la rendono poco idonea per oliveti intensivi. Si adatta difficilmente a forme in volume come il vaso per il portamento disordinato e affastellato che obbliga a frequenti interventi di potatura in fase di allevamento, per cui diventa difficoltoso creare la struttura scheletrica della pianta, che sia idonea per successive eventuali operazioni di raccolta meccanica. Ancor più difficoltosa appare l'adattabilità al monocono, la cui tecnica di allevamento necessita di moltissimi interventi di potatura sia durante il periodo di emissione di nuova vegetazione che nell'usuale potatura invernale. La pianta tende infatti a produrre sui rami che dovrebbero costituire la struttura scheletrica moltissimi succhioni e a sviluppare rami vigorosi nella porzione centrale che tendono a competere con l'asse principale. Si rendono pertanto necessari i frequenti interventi cesori che ritardano la strutturazione e la fruttificazione dell'impianto.(fig. 5.7) Figura 5.7 Abbondante fruttificazione della Pizz'e Carroga SEMIDANA La varietà Semidana è stata solo recentemente rivalutata tra quelle che compongono il patrimonio delle cultivar della Sardegna. Infatti, a seguito di verifiche sperimentali e realizzazione di apposite parcelle nei campi dimostrativi si sono recentemente acquisiti positivi dati produttivi su questa varietà, già nota da tempo e presente, come piante sparse, in diverse zone dell'Isola, ma soprattutto nell'alto Oristanese. Ha inoltre contribuito alla scarsa conoscenza di questa varietà anche un proliferare di denominazioni locali che hanno spesso reso difficoltosa anche le esatte classificazioni del materiale presente negli oliveti tradizionali. La Semidana denota, sia nei nuovi impianti ma anche in quelli tradizionali sottoposti a buone cure colturali, elevata fertilità e sufficiente costanza di produzione. Presenta uniformità di pezzatura dei frutti, che appaiono allungati con apice evidente e di peso medi di 3,5-4 g. La maturazione è scalare, ma particolarmente interessanti sono le produzioni risultanti in impianti intensivi, dove le rese annuali manifestano livelli decisamente incoraggianti per futuri sviluppi della coltivazione di questa varietà, anche per la relativa precocità di entrata in fruttificazione. Ciò è anche in stretta correlazione con il buon adattamento alle condizioni operative degli impianti intensivi e la rispondenza alle più utilizzate forme di allevamento. Essendo una varietà poco vigorosa si adatta molto bene anche al monocono, rispondendo in maniera molto simile a quanto precedentemente detto per la cultivar Bosana. Infatti sono necessari limitati interventi in fase di allevamento che rende pertanto possibili un rapido ed equilibrato accrescimento e una precoce fruttificazione. L'equilibrata struttura scheletrica della pianta diventa pertanto una base ottimale di partenza per futuri utilizzi di sistemi di raccolta con scuotitori al tronco. 35 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Pur non avendo elevata resa in olio, evidenzia un gusto leggermente amaro e piccante con una notevole caratteristica di fruttato intenso, ed un equilibrio nei principali acidi grassi componenti l'olio. La sensibilità ai principali parassiti e abbastanza limitata, pur segnalando una più frequente presenza di sintomi legati ad attacchi di Piombatura, peraltro abbastanza controllabili con trattamenti rameici. In una prova di confronto tra venti varietà avviata a Villasor (CA) nel 1985, la Semidana è risultata la più produttiva, precedendo Bosana, Tonda di Cagliari e Nera di Gonnos. (fig. 5.8). Figura 5.8 - Foglie e frutti della più che promettente Semidana 36 Tabella 5.1 - Principali caratteristiche delle cultivar di olivo da tavola del panorama internazionale Cultivar Diffusione Vigoria Epoca di fioritura Produttività Peso frutto Epoca di maturazione Sensibile (-), tollerante (+) Aggezi Shami Egitto media non riportata media e costante elevato precoce (-) mosca Aloreña Spagna bassa non riportata alta e costante elevato media (-) cicloconio Ascolana tenera Italia centrale elevata tardiva media e costante elevato precoce (-) mosca, (+) cicloconio, rogna e freddo Giarraffa Sicilia media precoce bassa e alterna elevato precoce (-) cicloconio, rogna, siccità. (+) piombatura Gordal de Granada Spagna media non riportata alta e alterna elevato non riportata (-) tubercolosi Gordal Sevillana Spagna e USA media non riportata bassa e alterna elevato precoce (-) lebbra e rogna, (+) cicloconio Kadesh (K12) Israele media non riportata alta e costante elevato precoce non riportate Loaime Spagna (Granada) bassa non riportata alta e alterna medio precoce (-) cicloconio Manzanilla de Sevilla Spagna, USA, Israele media media alta e alterna elevato precoce (-) cicloconio, verticillosi, mosca Morona Spagna (Siviglia) media media alta e costante elevato precoce (+) tubercolosi Nocellara Etnea Sicilia orientale media non riportata alta e alterna basso tardiva (-) cicloconio, (+) rogna, mosca, Oliva di Cerignola Puglia media tardiva media e alterna elevato tardiva (-) cicloconio, , rogna, mosca e freddo Sant'Agostino Puglia alta tardiva alta e costante elevato precoce (-) rogna, verticil., , freddo. (+) cicloconio Santa Caterina Toscana alta intermedia alta e costante elevato precoce (-) rogna. (+) freddo Tabella 5.2 - Caratteristiche delle principali cultivar di olivo da olio a livello internazionale Cultivar Diffusione Vigoria Epoca di fioritura Produttività Peso frutto Epoca di maturazione Sensibile (-), tollerante (+) Arbequina Spagna (Catalogna) bassa intermedia alta e costante basso non riportata (-) verticilliosi., mosca, (+) cicloconio, rogna Biancolilla Sicilia elevata intermedia alta ma alterna medio non riportata (-) mosca, (+)cicloconio Blanqueta Spagna bassa tardiva alta e costante basso media (+) cicloconio e rogna Bosana Sardegna media intermedia alta ma alterna basso tardiva, scalare (-) cicloconio, (+)mosca Canino Lazio elevata non riportata alta, ma alterna basso tardiva, scalare (-) cicloconio, (+) mosca Casaliva Veneto elevata precoce alta e costante basso tardiva, scalare (-) cicloconio, rogna, mosca, freddo Cellina di Nardò Puglia elevata non riportata alta e costante basso scalare (+) mosca, cicloconio e freddo Chemlali de Sfax Tunisia elevata precoce alta e alterna basso tardiva (-) rogna, (+) siccità e salinità Cipressino (Frangivento) Italia elevata precoce alta e costante basso precoce (-) piombatura, mosca (+) Coratina Puglia media non riportata alta e costante elevato tardiva (-) e carie, (+) freddo Cornicabra Spagna media tardiva alta e alterna medio tardiva (-) cicloconio, verticilliosi, rogna e mosca Dolce Agogia Umbria elevata tardiva media e alterna medio precoce (-) siccità, (+) cicloconio e rogna Dritta Abruzzo media precoce alta e costante medio precoce (-) carie, (+) rogna e freddo Empeltre Spagna e Argentina media precoce alta e costante medio precoce (-) cicloconio, rogna, mosca, (+) verticilliosi Farga Spagna elevata precoce alta e alterna medio precoce (-) cicloconio, verticilliosi (+) rogna Frantoio Italia e altro media intermedia alta e costante medio tardiva, scalare (-) cicloconio, mosca, rogna, freddo Grignan Italia settentrionale ridotta non riportata media e costante basso precoce, contemp. (-) mosca, (+) cicloconio, rogna, freddo Koroneiki Grecia elevata precoce alta e costante basso medio precoce (-) rogna Leccino Toscana Umbria elevata non riportata alta e costante medio precoce, uniforme (-) , (+) cicloconio, freddo. Lechìn de Granada Spagna di sud - est elevata media alta e alterna medio tardiva (-) cicloconio, rogna e mosca. (+) freddo Lechìn de Sevil. Spagna occidentale elevata media alta e alterna medio precoce (-) rogna, (+) cicloconio e mosca Moraiolo Italia centrale bassa intermedia alta e costante medio scalare (-) cicloconio, rogna, carie Ogliarola barese Puglia, Basilicata media non riportata media e alterna basso tardiva (-) rogna, mosca, gelate. (+) cicloconio Ottobratica Calabria elevata precoce alta e alterna basso precoce (+) rogna, cicloconio e freddo Tabella 5.3 - Caratteristiche delle principali cultivar a duplice attitudine a livello internazionale Cultivar Diffusione Vigoria Epoca di fioritura Produttività Peso frutto Epoca di maturazione Sensibile (-), tollerante (+) Barnea (K18, novità) Israele alta intermedia alta in irriguo medio media (+) cicloconio Carolea Calabria alta precoce alta e costante elevato media (-) cicloconio, mosca e piombatura Chétoui Tunisia bassa media bassa e costante medio tardiva (-) cicloconio. (+) freddo e salinità Erkence Turchia alta precoce media e alterna medio non riportato non riportato Galega vulgar Portogallo media media alta e alterna medio precoce (-) lebbra, rogna, mosca (+) verticilliosi Gemlik Turchia media media alta e costante medio precoce (+) freddo Haouzia (novità) Marocco media intermedia alta e alterna medio intermedia (+) cicloconio, rognae siccità Hojiblanca Spagna media media alta e alterna elevato tardiva (-) cicloconio, verticilliosi, rogna, mosca Itrana Lazio alta non riportata alta e alterna elevato tardiva (-) mosca, (+) freddo e cicloconio Kalamon (Kalamata) Grecia elevata non riportata alta e alterna elevato tardiva (-) caldo, (+) rogna Konservolia Grecia elevata media alta e alterna elevato media (-) verticilliosi., (+) freddo e rogna Maiatica di Ferrandina Basilicata alta precoce alta e alterna medio tardiva (-) rogna, cicloconio, mosca Manzanilla Cacereña. Spagna e Portog. bassa precoce alta e costante elevato precoce (-) verticilliosi, (+) mosca e rogna Manzanilla Prieta Spagna bassa media media costante medio precoce (-) cicloconio e rogna Mastoidis Grecia media media media e alterna medio non riport. (-) cicloconio, (+) freddo e rogna Memecik Turchia alta media alta e alterna elevato media (+) freddo e siccità Menara (novità) Marocco elevata intermedia elevata medio intermedia (+) rogna Mission USA (California) alta tardiva media e alterna medio tardiva (-) cicloconio verticilliosi, (+) rogna Morisca Spagna e Portog. media non riportata alta e costante elevato tardiva (-) cicloconio, rogna e mosca Nera di Gonnos Sardegna meridionale elevata intermedia alta e costante elevato media (-) mosca (+) rogna Nocellara del Belice Sicilia media non riportata alta e costante elevato tardiva (-) cicloconio, rogna, verticillosi, (+) mosca Picholine Languedoc Francia e Corsica media media alta e costante medio tardiva (+) cicloconio e freddo Picholine maroc. Marocco alta intermedia alta e alterna medio non riport. (-) cicloconio Pizz'e carroga Sardegna meridionale media precoce alta e alterna elevato precoce (-) rogna, cicloconio e mosca Tonda di Cagliari Sardegna meridionale elevata intermedia media e costante elevato media (-) mosca (+) rogna Pendolino Italia centrale media precoce alta e costante basso intermedia (-) rogna, cicloconio, (+) mosca Picual Spagna media media alta e costante medio precoce (-) cicloconio, mosca. (+) lebbra Picudo Spagna elevata media alta e alterna elevato tardiva (-) cicloconio, lebbra e rogna. Rosciola Italia centrale media intermedia alta e costante medio precoce (-) rogna, cicloconio, mosca. (+) freddo Semidana Sardegna centro-occ. elevata intermedia alta e costante elevato tardiva (-) piombatura, (+) mosca Taggiasca Liguria elevata intermedia alta e costante basso tardiva (-) rogna, mosca, freddo e siccità Villalonga Spagna e Portogallo media media alta e costante elevato precoce (-) cicloconio e rogna Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 6 - Biologia fiorale dell'olivo Obiettivi Il capitolo, nel percorrere le tappe della formazione ed evoluzione di fiore e frutto, sottolinea le relazioni tra biologia fiorale e interventi colturali. Le gemme dell'olivo subiscono l'induzione antogena nell'estate dell'anno precedente la fioritura. La presenza di un gran numero di frutti comporta la produzione di cospicue quantità di gibberelline e una ridotta induzione antogena (alternanza). Soddisfatto il fabbisogno di freddo necessario per la demolizione di inibitori di natura ormonale, la formazione del fiore si completa tra la fine dell'inverno e la primavera. In questa fase ritorni di freddo, ma anche una carenza di precipitazioni (o di irrigazione) danneggiano le gemme e incrementano il numero di fiori maschili. Dei circa 500.000 fiori che sono presenti sull'albero, 494.000 non vanno a frutto e cadono. I rimanenti necessitano di impollinazione incrociata per una migliore efficienza riproduttiva, con un raggio d'azione degli impollinatori di circa 30m. La drupa si accresce secondo un modello a doppia sigmoide, con un flesso a fine luglio in coincidenza dell'indurimento del nocciolo. Le piogge autunnali consentono alle varietà adattate agli ambienti meridionali (come la Bosana) di recuperare in breve le dimensioni normali, ma solo in parte il tenore lipidico e glucidico. Biologia fiorale dell'olivo L'attuazione di una corretta tecnica colturale del terreno richiede che olivicoltori e tecnici conoscano, almeno per i principali aspetti, come "funziona" una pianta d'olivo e soprattutto come si arriva alla formazione e allo sviluppo dei frutti. Nelle pagine seguenti si daranno brevi cenni sulla biologia fiorale dell'olivo; quest'ultima abbraccia tutte quelle fasi che vanno dalla induzione antogena delle gemme alla completa maturazione delle olive (fig. 6.1). Figura 6.1 - Un quadriennio di osservazioni fenologiche sulla Bosana in agro si Siniscola - Nuoro (Fonte S.A.R.). Recenti ricerche hanno dimostrato che la fioritura primaverile dell'olivo è il risultato di un lungo processo fisiologico che si avvia nell'estate precedente, e che vede come principali interpreti le gemme presenti all'ascella delle foglie sui germogli in accrescimento. Le gemme hanno il compito sia di rinnovare la vegetazione mediante la produzione di nuovi germogli che di originare le infiorescenze (o mignole). Come mostra la figura 6.2 la stessa gemma è potenzialmente capace di imboccare l'una (germoglio) o l'altra via (fiore-frutto); la decisione finale è il risultato dell'interazione tra il patrimonio genetico dell'albero, le condizioni ambientali e le tecniche colturali messe in atto dall'olivicoltore. Questo processo prende il nome di induzione: a fiore o a legno. Figura 6.2 Induzione delle gemme ascellari del germoglio: a fiore o a legno. 37 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nel passato si riteneva che l'olivo si comportasse diversamente dai fruttiferi a foglia caduca; per queste specie arboree è da tempo noto che l'induzione a fiore delle gemme avviene all'inizio dell'estate dell'anno precedente la fioritura, e che la differenziazione del fiore, o dell'infiorescenza, si avvia dopo circa un mese, e quindi prima dei freddi invernali. Anche per l'olivo si è appurato che l'induzione a fiore avviene quando l'intensità di crescita del germoglio primaverile rallenta, e cioè entro 6 - 8 settimane dalla fioritura (luglio). La presenza del fiore può essere accertata già da novembre con tecniche di analisi molto sofisticate, mentre può essere rilevata con relativa facilità (al microscopio ottico ad esempio) a partire dal mese di febbraio. Un eventuale, secondo flusso vegetativo autunnale, di norma meno importante di quello primaverile, potrà vedere una ulteriore induzione antogena delle gemme ascellari dei germogli che comunque si completerà entro novembre - dicembre. Pertanto l'olivo fruttifica (porta i frutti) sui rami di un anno, o meglio sui rami dell'anno precedente; quindi gli interventi colturali eseguiti nel corso dell'estate non solo assecondano la produzione dell'anno, ma modificano anche i risultati della produzione dell'anno successivo. In questo quadro si deve tenere presente che, durante l'estate, le gemme ascellari devono competere, per l'acquisizione delle sostanze nutritive necessarie per l'induzione, sia coi germogli (che stanno riducendo il ritmo di crescita, ma non sono del tutto "fermi") sia coi frutti in attivo accrescimento. In questo momento è fondamentale la disponibilità di acqua e azoto nel terreno. Nell'annata di "carica", con un gran numero di frutti sull'albero, gli embrioni presenti all'interno dei semi producono una notevole quantità di sostanze ormonali (tra queste le gibberelline) capaci di contrastare l'induzione antogena e di ridurre il numero di gemme ascellari che si evolvono a fiore, e predispongono l'albero ad un'annata di "scarica". Numerose esperienze di rimozione dei frutti, ovvero di devitalizzazione precoce degli embrioni in essi contenuti, hanno dimostrato che è possibile eliminare l'alternanza produttiva; d'altra parte l'apporto di gibberelline nell'annata di scarica ha dato luogo nell'anno successivo a una seconda annata di scarica. Questo meccanismo fisiologico, evidentemente risultato vincente dal punto di vista evolutivo rispetto a una formazione annuale di un numero costante di frutti, si manifesta anche in altre specie da frutto: mandarino, clementine, melo, ecc. Oggi, quindi, il fenomeno non è più interpretato esclusivamente su base nutrizionale, cioè accettando la teoria che imputa al gran numero di frutti presenti sull'albero la responsabilità dell'esaurimento delle sostanze di riserva e di una successiva annata di bassa produzione; in questo nuovo approccio troverebbe migliore comprensione il fallimento della razionalizzazione delle diverse tecniche colturali nel contenimento dell'alternanza e, viceversa, il successo del diradamento chimico dei frutti attuato, ad esempio, in California sull'olivo da mensa. Chiarita l'impostazione fisiologica del fenomeno, l'entità dello stesso è funzione di fattori genetici legati alla varietà (predisposizione della cultivar) e al singolo albero (vigoria della pianta), di andamenti meteorologici avversi, di fattori di stress biotici (parassiti animali e vegetali) e di pratiche colturali non razionali. L'induzione antogena rappresenta la prima tappa del processo di formazione del fiore; lo sviluppo morfologico di fiori perfetti, cioè completi in tutte le loro parti e quindi funzionali, richiede che durante l'inverno l'olivo sia sottoposto a un certo numero di ore con temperature relativamente basse. Questo fenomeno, che prende il nome di "fabbisogno di freddo" e presuppone una fase di "dormienza" delle gemme, è interpretato come una sorta di "orologio biologico" dovuto al progressivo accumulo nelle gemme, sia indotte a fiore che a legno, di fitoregolatori (in particolare acido abscissico) capaci di bloccare temporaneamente lo sviluppo degli apici gemmari impedendo la comparsa "fuori stagione" di fiori e germogli; il progressivo affermarsi, nella seconda parte della stagione vegetativa, degli ormoni inibitori sui promotori risulta, d'altra parte, indispensabile per la lignificazione del germoglio e la maturazione dei frutti dell'anno in corso. Le ore di freddo necessarie per disattivare gli inibitori consentono all'olivo di "misurare il trascorrere del tempo" e di germogliare e fiorire quando le condizioni ambientali sono favorevoli. Più precisamente, una volta che il freddo invernale ha demolito gli inibitori e che il fabbisogno di freddo è soddisfatto, l'epoca di fioritura e di germogliamento sono determinate soprattutto dalla temperatura dell'aria con un ridursi del numero di giorni necessari per giungere all'antesi all'aumentare delle temperature primaverili(1). Si può, quindi, affermare che soddisfatto il fabbisogno di freddo, è per l'albero necessario soddisfare un "fabbisogno di caldo". Tornando al fabbisogno di freddo e agli effetti di un suo mancato soddisfacimento, si segnala che in esperienze californiane realizzate mantenendo per tutto l'inverno alberi produttivi di olivo della varietà "Mission" in serra calda a temperature superiori a 15,5°C, si è osservata la totale assenza di fiori nella successiva primavera; di contro gli olivi mantenuti all'aperto, ovvero una singola branca degli alberi in serra fatta fuoriuscire da un'apertura, producevano regolarmente. 38 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Inoltre, gli alberi mantenuti alla temperatura costante di 13°C, fiorivano abbondantemente, ma i fiori erano in prevalenza "staminiferi", col pistillo abortito e quindi incapaci di produrre. Risultati simili si sono ottenuti per l'Ascolana. Mentre il fabbisogno di freddo è risultato nullo nelle varietà di olivo originarie del Nord Africa e di Creta, esperienze quinquennali, condotte in Sardegna (Alghero) in pieno campo su cultivar sarde (Palma) e toscane, hanno dimostrato che la temperatura media dell'aria del mese di gennaio è correlata in senso positivo con il disseccamento e la cascola (caduta) preantesi delle gemme e con la percentuale di fiori che presentano aborto dell'ovario; in particolare temperature medie superiori a 7°C influiscono negativamente sui parametri citati. Quindi, ad inverni miti (soprattutto nella fase iniziale) corrispondono fioriture anche abbondanti ma produzioni relativamente basse per l'assenza o il numero ridotto di fiori "femminili". Posto che le condizioni prima citate siano soddisfatte, la gemma da inizio alla differenziazione morfologica, cioè a quel processo continuo che tra febbraio e la fioritura ha il compito di formare il fiore. Gli abbozzi dei futuri fiori si evolvono a partire dalle parti più esterne verso quelle interne: nell'ordine sepali, petali, stami e antere, pistillo. Le mignole compaiono in aprile (mignolatura) mentre in maggio si ha la vera e propria fioritura, cioè l'apertura dei singoli fiori. Particolarmente critico per l'ottenimento di fiori perfetti risulta il periodo di 8-10 settimane che precede la fioritura; degli stress idrici o nutrizionali, una primavera con temperature particolarmente basse o elevate condizionano la formazione del fiore e il numero di quelli correttamente formati. Infatti, benché si possa ritenere pari a circa 500.000 il numero di fiori che un albero adulto di olivo produce annualmente, si deve avere sempre presente che entro le due settimane successive alla fioritura circa 494.000 cadono, sia perché malformati sia perché vanno incontro ad aborto dell'ovario(2); è comunque sufficiente che l'1 o 2% dei fiori si trasformi in frutto per ottenere una produzione medio - alta. In alcune annate l'albero, nonostante un'abbondante fioritura, può non avere un numero sufficiente di fiori perfetti perché quelli prodotti possono essere soprattutto "staminiferi", cioè fiori maschili capaci di produrre solo polline; questo avviene, ad esempio, quando l'andamento meteorico primaverile risulta sfavorevole alla formazione del fiore. In questo caso la percentuale di allegagione può salire sino al 10 - 12%. La proporzione tra fiori perfetti e staminiferi varia in misura importante in funzione dell'albero, della branca, della varietà e delle annate; anche nella stessa infiorescenza il numero fiori perfetti può variare a seconda della posizione. I valori raggiunti dalla percentuale di aborto dell'ovario in alcune varietà sono talmente elevati che alcuni Autori si spingono sino a definire l'olivo una specie "monoica", cioè con entrambi i sessi sul singolo albero ma su fiori separati. Per quanto attiene alle varietà sarde recenti ricerche hanno rilevato percentuali di aborto dell'ovario comprese tra il 1- 2 e il 40 - 45%; nella cv Bosana, ad esempio, si raggiunge il 25%, nella Tonda di Cagliari il 13%. Le infiorescenze dell'olivo (fig. 6.3) portano di norma da 10 a 20 fiori, e i fiori perfetti (con pistillo e stami) hanno in genere un calice piccolo, quattro petali, due stami e filamenti che supportano le grandi antere produttrici di polline, e un pistillo rotondeggiante di colore verde con un corto e spesso stilo e un largo stigma (fig. 6.4). Figura 6.3 - Struttura dell'infiorescenza dell'olivo. Figura 6.4 - Da sinistra a destra, sopra: fiore completo; corolla spiegata con gli stami; fiore senza corolla e senza stami; stame visto posteriormente; sotto: stame visto anteriormente; pistillo in sezione longitudinale e trasversale; drupa in sezione trasversale (a, epicarpo; b, mesocarpo; c, endocarpo; d, seme); a lato: pistillo. 39 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro I fiori perfetti si formano nella parte apicale dell'infiorescenza, e nel gruppo di 3 fiori (come avviene in molte varietà) il fiore centrale è sovente perfetto. I fiori imperfetti sono staminiferi, con pistillo mancante o rudimentale; in alcune cultivar si ritrovano anche fiori con antere abortite. I fiori perfetti di una stessa mignola si contendono con forza i nutritivi derivanti dall'attività fotosintetica, per cui di norma arriva a maturazione un solo frutto per infiorescenza. Le cosiddette olive "passerine", che in certe annate si ritrovano in gran numero sull'albero, sono dei frutti "partenocarpici", cioè derivanti da ovari che si sono sviluppati senza essere stati fecondati; spesso presenti "a grappoli", possono arrivare sino alla maturazione. Un altro ostacolo al raggiungimento di elevate percentuali di allegagione deriva dalla frequente difficoltà del polline di una determinata varietà a fecondare l'organo femminile dello stesso fiore e quindi della stessa varietà. Questo fenomeno prende il nome di "sterilità fattoriale" ed è presente nelle cultivar così dette "autoincompatibili". È chiaro che le tecniche colturali potranno ben poco se viene a mancare la fecondazione dei fiori, e che è necessaria la presenza nell'oliveto di più varietà (di norma una principale e i suoi impollinatori). Il problema diviene importante principalmente per i nuovi impianti realizzati al di fuori dei tradizionali comprensori olivicoli. Infatti, anche se il polline di olivo può essere trasportato dal vento a distanze che superano i 10 km, il raggio di azione dell'impollinatore (distanza entro la quale la disseminazione del polline avviene con grande efficacia) non supera i 30 m; ciò significa che i filari degli impollinatori devono essere fra loro distanziati di non più di 60 m. Prove sperimentali effettuate per diversi anni in Sardegna hanno evidenziato che la cultivar "Semidana" risulta parzialmente autofertile (o autocompatibile), mentre la "Tonda di Cagliari" manifesta un più alto livello di autofertilità. La fecondazione reciproca di queste due cultivar fà aumentare decisamente la percentuale di allegagione di entrambe. Ad avvantaggiarsi maggiormente di questa fecondazione incrociata è, comunque, la cultivar "Semidana" che vede aumentare con decisione la sua percentuale di allegagione. Il ciclo di fruttificazione prosegue con la comparsa, nella prima - seconda decade di giugno, dei frutticini; questi rappresentano ovviamente uno dei principali "bersagli" della tecnica colturale, che si deve preoccupare di incrementare la percentuale di allegagione e favorire lo sviluppo dei frutti. Pertanto è utile conoscere come si accresce l'oliva; questa, a partire dalla fine di giugno, si ingrossa con rapidità (soprattutto se il terreno è abbastanza umido) sino a fine luglio-primi di agosto (fig. 6.5), quando rallenta o arresta il proprio sviluppo per la forte richiesta di nutritivi e acqua necessari per l'indurimento del nocciolo. In questo momento, che si può collocare a sei settimane dalla piena fioritura, l'endosperma incomincia a solidificare e inizia lo sviluppo dell'embrione che maturerà entro settembre. Figura 6.5 Mignolatura, fioritura, allegagione e dinamica di accrescimento del frutto. Questo momento è critico per l'albero anche perché si verifica nel periodo più caldo quando il terreno è poco dotato in acqua. Se, infatti, il terreno è asciutto, lo sviluppo delle olive si può interrompere per molto tempo e i frutti perdono acqua a favore delle foglie, diminuiscono di peso e possono anche staccarsi e cadere al suolo. Superata più o meno facilmente la crisi dell'indurimento del nocciolo, le olive riprendono a crescere con rapidità, soprattutto se dopo ferragosto interviene qualche acquazzone a mitigare l'aridità estiva; in caso contrario rimangono piuttosto piccole, con poca polpa, colorano poco e in ritardo (in realtà non riescono neanche a maturare) e il poco olio che si ottiene ha un sapore molto marcato, eccessivamente amaro e "piccante", che sconfina nella sensazione chiamata dai degustatori "secco" o "legnoso" e che, comunque, si riduce in parte nei mesi successivi all'estrazione. Se, invece, a una primavera e a un'estate molto aride segue un autunno relativamente piovoso, le olive recuperano in 24 - 48 ore le loro naturali dimensioni e perdono l'aspetto sofferente; questo potrebbe far pensare che è inutile preoccuparsi tanto delle lavorazioni al terreno ovvero di irrigare. 40 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro In realtà le tecniche colturali, come già detto, sono importanti non solo per la produzione dell'anno in corso ma anche per quella a venire; comunque, limitandoci alla produzione corrente, si osserva che questo rapido recupero consiste semplicemente in un "gonfiarsi d'acqua" delle olive, che non guadagnano come resa in olio e come qualità dello stesso. Infatti solo se le piogge cadono per tempo (fine agosto, settembre), il processo di maturazione può svolgersi con sufficiente regolarità, mentre le piogge invernali risultano di scarsa utilità per le cultivar tardive anche perché le basse temperature condizionano la funzionalità delle foglie e ne limitano la capacità di sintesi degli "zuccheri". Olive da mensa che abbiano subito una intensa disidratazione estiva, possono raggrinzirsi durante la trasformazione industriale anche se al momento della raccolta si presentavano turgide; proprio l'eccesso di acqua nelle drupe provoca il loro raggrinzimento una volta che queste vengono immerse nella salamoia per la trasformazione. Il frutto comincia poi a cambiare colore ("invaiatura") virando dal verde intenso dovuto alla presenza della clorofilla, al giallo paglierino per l'accumulo di sostanze coloranti dette antociani, spesso a partire dall'estremità distale o basale. La colorazione passa, poi, dal porpora al nero (con variazioni in funzione della varietà) e va ad interessare la polpa (mesocarpo) dell'oliva. Gli alberi con pochi frutti mostrano un anticipo di maturazione rispetto a quelli carichi di olive così come, sullo stesso albero, le olive poste nelle parti distali e più soleggiate completano prima l'invaiatura. Con la raccolta si può considerare concluso il ciclo di fruttificazione; si tratta ora di esaminare come devono essere attuati gli interventi di tecnica colturale del terreno per mantenere l'equilibrio tra attività vegetativa e produttiva. (1) - La registrazione delle fasi fenologiche, cioè della comparsa di particolari stadi morfologici nel ciclo annuale della coltura (germogliamento, fioritura, invaiatura, maturazione, ecc.) per comodità di calcolo sovente è eseguita col ricorso al "giorno giuliano", metodo che assegna il numero 1 al primo Gennaio e procede con una numerazione progressiva. Pertanto se la piena fioritura è raggiunta, poniamo, il 25 Maggio nel 2000 (primavera "calda") e il 4 Giugno (primavera "fredda") nel 2001, in giorni giuliani diremo che la fase è comparsa rispettivamente al 145° e al 155° giorno. Molto più difficile mediare il 25 Maggio col 4 Giugno. (2) - L'aborto dell'ovario, cioè la morte della parte femminile del fiore, deve essere considerato entro certi limiti un fenomeno naturale utile per regolare la carica di frutti sostenibile dell'albero; la sua incidenza è molto variabile da una varietà all'altra; dal 15 al 50%. Solo quando fattori ambientali avversi o errori tecnici innalzano in misura rilevante l'incidenza dell'aborto, si può parlare di una situazione patologica. 41 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 7 - Il clima dell'oliveto sardo Obiettivi Si descrive il clima della Sardegna e l'agroclima delle subregioni olivicole. Il clima della Sardegna è classificato come "Mediterraneo interno". La descrizione svolta dal Servizio Agrometeorologico Regionale si riferisce al trentennio 1961 - 1990. L'analisi agroclimatica è svolta per otto subregioni olivicole. Le probabilità che si verifichino temperature critiche (per valori minimi e massimi) sono riportate per le principali aree olivicole della Sardegna. Il clima dell'oliveto sardo Il clima della Sardegna viene generalmente classificato come Mediterraneo Interno, caratterizzato da inverni miti e relativamente piovosi ed estati secche e calde. Da un punto di vista più generale, il Mediterraneo può essere considerato come una fascia di transizione tra le zone ropicali, dove le stagioni sono definite in accordo alla quantità di pioggia, e le zone temperate, dove le stagioni sono caratterizzate dalle variazioni di temperatura. Di conseguenza si ha a che fare con grandi variazioni interstagionali di precipitazione accompagnate da variazioni di temperatura, senza che però le une o le altre raggiungano i valori estremi tipici delle due aree climatiche. Come tutti i climi, anche quello della Sardegna è soggetto a lente variazioni (soprattutto fra un secolo e l'altro) e dunque per poter definire il suo comportamento tipico, è prassi analizzare un periodo consecutivo di trenta anni. Nel caso del presente studio, si è scelto di prendere in considerazione il trentennio 1961-1990, utilizzando i dati osservati dalle stazioni del Servizio Idrografico, dell'Ufficio Generale per la Meteorologia dell'Aeronautica Militare e dell'Istituto di Agronomia e Coltivazioni Erbacee dell'Università di Sassari. In questa descrizione del clima della Sardegna, l'attenzione si è concentrata sulle due principali grandezze meteorologiche (precipitazione e temperatura), caratterizzandole dal punto di vista della media annuale. Nei paragrafi successivi si è scesi nel dettaglio delle più importanti aree olivetate della Sardegna, affinché si possa inquadrare la parte dell'Isola verso la quale si rivolge maggiormente l'interesse. Le aree prese in considerazione sono: Sardegna Nordoccidentale; Monte Acuto; Baronie e Barbagia del Nuorese; Ogliastra; Planargia e Montiferru; Alto Campidano; Medio Campidano, Marmilla e Trexenta; Basso Campidano e Parteolla. Per quel che riguarda la precipitazione, invece della suddivisone canonica in dodici mesi, si sono analizzati separatamente i climi dei quattro periodi corrispondenti a quattro importanti fasi di sviluppo: febbraio-aprile (formazione del fiore), maggio-giugno (fioritura e allegagione), luglio-agosto (prima fase di sviluppo del frutto e indurimento del nocciolo) e settembre-dicembre (seconda fase di sviluppo del frutto e maturazione). Particolare attenzione è dedicata alla variabilità del clima. Infatti il cosiddetto comportamento medio, spesso non è altro che un valore di riferimento e non solo nei mesi tradizionalmente secchi; nella realtà lo stesso mese in anni differenti registra valori profondamente diversi fra di loro, e l'agricoltore deve tenere conto di questo fattore in un'attenta programmazione della coltura, non solo olivicola. Chiude l'analisi una breve descrizione delle temperature medie nei vari mesi dell'anno con i valori medi per le aree olivetate. Aspetti generali del clima della Sardegna Le temperature della Sardegna risentono di due fattori: la quota e la distanza dal mare. Mentre, come è ovvio, il primo parametro tende a rendere più fresche le zone poste a quote più elevate, il secondo rende più miti le temperature delle coste, smorzando gli eccessi di caldo e di freddo. Ne consegue che nelle zone costiere le temperature minime (soprattutto d'inverno) sono generalmente meno basse rispetto all'entroterra, mentre le massime (soprattutto d'estate) risultano meno alte. Tutto questo è ben visibile nelle figure 7.1 e 7.2, che mostrano la media annuale della temperatura massima e della temperatura minima (in °C). 41 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Figura 7.1 - Media annuale delle Figura 7.2 - Media annuale delle temperature massime. temperature minime. Come si vede le temperature massime più elevate sono quelle della media valle del Tirso e del Goceano, del Campidano (soprattutto nella parte centrale), della Marmilla e della Trexenta; le temperature massime più basse, invece, sono quelle delle zone di montagna. Fra le temperature minime estreme, invece, oltre a quelle della Barbagia e delle altre zone montuose della Sardegna, si trovano anche quelle delle zone interne, spesso a quote medio-basse, più lontane dal mare, come (ancora una volta) la media valle del Tirso, il Goceano, il Logudoro e il Monteacuto. Decisamente più miti le temperature minime delle coste, in particolare quella Orientale, che risulta anche parzialmente schermata rispetto ai flussi nordoccidentali. I fattori che influenzano la precipitazione sono in qualche modo diversi rispetto a quelli che influenzano la temperatura. Oltre alla quota, che rende più piovose le zone più elevate, la precipitazione è legata ai tre modi con cui le perturbazioni investono l'isola, i quali determinano tre diversi regimi di pioggia: regime nordoccidentale, regime sudoccidentale e regime sudorientale. Nella figura 7.3 è riportata la media del cumulato annuale di precipitazione (in mm). Si può osservare che le zone che ricevono meno pioggia sono la Nurra, il Campidano e la costa orientale (su quest'ultimo la pioggia è però particolarmente variabile, come verrà descritto in seguito), con valori inferiori ai 600mm annui. Le zone più piovose sono, invece, quelle montuose le cui medie superano gli 800mm; sul Gennargentu, infine, le medie sono ancora più elevate e raggiungono i 1000-1100mm annui. Nella successiva figura 7.4 si può trovare il numero medio di giorni piovosi, definiti come i giorni con almeno 1mm di pioggia. Come si vede ogni anno sulle varie aree della Sardegna si registrano fra i 50 e 100 giorni di pioggia. Il massimo si ha ancora una volta nelle zone di montagna, con valori superiori ai 90 giorni all'anno sul Gennargentu. Figura 7.3 - Media Figura 7.4 - Media annuale del numero di giorni piovosi. annuale del cumulato di precipitazione. Un'altra caratteristica delle piogge è la maggiore frequenza nelle zone esposte al regime nordoccidentale. Si può infatti notare che, a parità di quota, sulla costa orientale, in particolare quella di Baronia, Ogliastra, Gerrei e Sarrabus, si hanno fra i 10 e i 20 giorni piovosi in meno. 41 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Le precipitazioni delle aree olivetate Nella tabella 7.1 (tab. 7.1a - tab. 7.1a(1) - tab. 7.1b - tab. 7.1b(1) - tab. 7.1c - tab. 7.1c(1)), per ognuna delle aree olivetate citate precedentemente è riportato l'intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione (in mm) e del numero di giorni piovosi, sia per l'anno intero che per i quattro periodi d'interesse. Per ogni periodo sono riportati il limite inferiore, la media e il limite superiore. I due limiti rappresentano il valore entro cui si trovano la precipitazione e il numero di giorni piovosi dei vari periodi in poco più di due terzi delle annate(1) . Chi è interessato alla Baronia, ad esempio, dovrà aspettarsi che da febbraio ad aprile a Galtellì piovano globalmente fra gli 87mm e i 285mm, mentre ad Orosei fra maggio e giugno si avranno tipicamente fra i 2 e gli 8 giorni piovosi. Solo nelle annate particolarmente secche o particolarmente piovose il valore starà fuori dal suddetto intervallo. Si tratta di un range di valori piuttosto ampio, ma che fa comprendere che il comportamento tipico delle piogge nostrane è proprio questo irregolare alternarsi di anni secchi ed anni piovosi, con tutte le conseguenza che ciò comporta. In Sardegna la stagione piovosa va da ottobre ad aprile. In quei sette mesi piove circa l'80% di quanto piove nell'intero anno. I mesi secchi veri e propri sono solo luglio e agosto, mente maggio, giugno e settembre rappresentano dei periodi di transizione fra i due periodi. Analizzando invece i periodi d'interesse per l'olivicoltura in Sardegna, si può osservare che circa la metà del cumulato di precipitazione dell'intero anno si ha fra settembre e dicembre, e si distribuisce su 25-35 giorni. La variabilità di questo periodo risulta un po' più elevata sulla parte orientale dell'Isola, tuttavia non è marcata come in altri momenti dell'anno, per cui, anche negli anni secchi, questo quadrimestre garantisce comunque un apporto idrico considerevole ed almeno 15-20 giorni piovosi su tutta l'Isola. Ovviamente anche le piogge di febbraio-aprile, che fanno parte integrante della stagione piovosa, sono consistenti e si distribuiscono su circa 20-25 giorni. La variabilità risulta un po' più elevata, ma anche questi mesi garantiscono un minimo di apporto idrico ed almeno 10-20 giorni piovosi. Come detto poc'anzi, il bimestre maggio-giugno è di passaggio fra la stagione piovosa e il periodo secco vero e proprio. Le precipitazioni vanno diradandosi, ma la loro frequenza ed intensità è diversa di anno in anno. Alcune volte, infatti, meno di 20mm si distribuiscono in 2-4 giorni, altre volte, invece, alcune zone vedono anche 10 giorni piovosi con un apporto di oltre 100mm. In questo periodo è sensibile anche l'effetto della quota che garantisce una certa piovosità anche negli anni secchi. Luglio e agosto, infine, sono due mesi generalmente secchi. Per questi due mesi il valore medio ha pochissimo senso. La gran parte delle annate, infatti, non riceve pioggia (o quasi); mentre si hanno sporadiche annate, invece, in cui piogge relativamente abbondanti interessano l'Isola, soprattutto ad agosto. In questi casi 5 o 6 giorni portano spesso più di 40-50mm di pioggia. Più sensibile rispetto agli altri mesi è l'effetto quota, poiché sporadici temporali estivi sono sempre possibili in montagna, anche in anni in cui pianure e colline non ricevono pioggia. (1) - Per la precisione si tratta delle probabilità di stare entro ± una deviazione standard dalla media, corrispondente al 68.27%. Le temperature delle aree olivetate. Nella tabella 7.2 (tab 7.2a - tab 7.2b - tab 7.2c - tab 7.2d) sono riportate le medie delle temperature minime e massime nei dodici mesi per le aree olivetate prima citate. Per ognuna di esse si sono scelte alcune località di riferimento, in base alla disponibilità dei dati termometrici per il trentennio 1961-1990. Un'analisi della loro variabilità, anch'essa molto importante, è stata affrontata nel paragrafo sull'agrometeorologia dell'olivo, in cui tra l'altro sono discussi gli effetti che le temperature estreme hanno su questa coltura. L'agrometeorologia dell'olivo. L'olivo, essendo una specie di origine subtropicale, è sensibile alle temperature molto basse: la pianta, infatti, comincia ad essere danneggiata quando la temperatura scende sotto -5°C, con danni che generalmente iniziano col distacco delle foglie. In genere i frutti non dovrebbero subire danni da freddo perché nel periodo in cui tipicamente si manifestano questi eventi termici, la raccolta dovrebbe già essersi conclusa; tuttavia, in caso di ritardo nelle operazioni di raccolta, anche le drupe ancora pendenti possono subire l'effetto del freddo con delle alterazioni, in ogni caso in misura limitata, che si riflettono sulla qualità del prodotto finale. In casi di temperature particolarmente basse, inoltre, possono subire dei danni anche le branche ed il tronco. 42 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro L'olivo inoltre manifesta sofferenza in condizioni di elevate temperature, che possono determinare danni sul tronco e sulle branche quando l'ombreggiamento della vegetazione è insufficiente. Per tali ragioni nelle aree a clima particolarmente caldo, ed in cui non si attua la pratica irrigua, è necessario non diradare eccessivamente le chiome con la potatura. Inoltre, bruschi innalzamenti termici all'inizio dell'estate possono provocare il isseccamento dei frutticini posti sui rami più bassi, in conseguenza dell'intenso riverbero del calore dal terreno. Benché l'olivo, come riferito nel capitolo 4 relativo all'impianto, sia tutto sommato una specie tendenzialmente resistente a condizioni termiche avverse, un'analisi delle temperature critiche su base climatica può fornire ulteriori elementi per una valutazione completa della vocazionalità dei diversi areali di coltivazione. L'analisi climatica delle temperature critiche per l'olivo si fonda sulle probabilità di ricorrenza di valori superiori o inferiori a soglie termiche prefissate; l'elaborazione dei dati climatici relativi al territorio regionale, qui di seguito riportata, è stata sviluppata a scala decadale per ogni singola stazione meteorologica. Il periodo di riferimento, come per le analisi climatiche di carattere generale, è il trentennio 1961-90. Il metodo applicato consiste nella determinazione della frequenza (espressa in percentuale sul numero di anni di osservazione) con la quale per ciascuna decade dell'anno un determinato evento si è verificato, indipendentemente dal numero di giorni in cui l'evento si è ripetuto all'interno della stessa decade. Il valore risultante esprime pertanto la probabilità che, in almeno un giorno di una decade, la temperatura dell'aria sia pari od oltre il limite considerato. Le soglie termiche inferiori prese in esame sono: -10°C, -8°C, -6°C, -4°C, 0°C, 2°C e 4°C, mentre come soglie termiche superiori: 30°C, 33°C, 35°C, 38°C, 40°C e 43°C. Le tabelle da 7.3 a 7.22 sono relative alle seguenti stazioni: Stazioni Meteorologiche tab. 7.3 Alà dei Sardi tab. 7.8 Cala Gonone tab. 7.13 Lanusei tab. 7.18 Ottana tab. 7.4 Ales tab. 7.9 Corongiu tab. 7.14 Mandas F.C. tab. 7.19 Sanluri O.N.C. tab. 7.5 Alghero tab. 7.10 Cuglieri tab. 7.15 Mogoro (Diga) tab. 7.20 Santa Lucia tab. 7.6 Bidighinzu tab. 7.11 Fertilia tab. 7.16 Nuoro tab. 7.21 Sassari (Serra Secca) tab. 7.7 Bosa tab. 7.12 Jerzu F.C. tab. 7.17 Orosei tab. 7.22 Villacidro F.C. A titolo esemplificativo, esaminando la distribuzione dei valori relativa alla stazione di Villacidro (tab. 7.22), si evince come la zona appaia indubbiamente favorevole sotto l'aspetto del regime termico invernale, dal momento che risultano certo modeste le probabilità di gelate durante tale periodo, condizioni che consentirebbero di procrastinare la raccolta senza che le drupe possano subire alterazioni legate alle basse temperature. Infatti nella tabella si può osservare che nella terza decade di dicembre possono verificarsi temperature minime inferiori o uguali a 0°C (almeno in 1 giorno della decade) con una probabilità del 2%, ovvero due anni in un secolo (ipotizzando naturalmente l'assenza di variazioni climatiche rispetto al trentennio preso in esame). Per contro gli oliveti che ricadono nell'areale di Alghero (tab. 7.5), sono relativamente più esposti alle gelate invernali, essendo maggiore, nella stessa decade a cui ci si è riferiti precedentemente, la probabilità di gelate: il 25% degli anni, vale a dire mediamente un anno ogni quattro. Una tale condizione climatica, a differenza del caso precedentemente esaminato, suggerirebbe di non ritardare le operazioni di raccolta oltre il mese di novembre. Naturalmente nello stabilire il miglior periodo per la raccolta, focalizzando per il momento l'analisi solo sui fattori climatici, occorre tenere conto, oltre che del regime termico, anche della frequenza degli eventi piovosi, che incide significativamente sui tempi disponibili per le operazioni di campo, di cui si è parlato nel capitolo 8. 43 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Se si esamina invece la ricorrenza dei valori termici massimi nelle due stazioni, la situazione sostanzialmente si ribalta. Nella stazione di Villacidro si hanno buone probabilità che si verifichino valori superiori a 40 °C nel periodo più caldo dell'estate (per esempio il 20%, cioè un anno su cinque, nell'ultima decade di luglio), mentre per lo stesso periodo nell'algherese le probabilità sono solo del 3%. Sotto questo aspetto pertanto gli oliveti del villacidrese appaiono maggiormente esposti all'azione del calore e necessiterebbero di una maggiore oculatezza in tutte quelle operazioni colturali (potatura, irrigazione, etc.) capaci di mitigarne gli effetti. Pertanto la conoscenza delle temperature critiche dei due areali presi ad esempio consentono da un lato di esprimere una valutazione più completa della vocazionalità degli ambienti nei quali si programmano nuovi impianti, dall'altro di avere una maggiore comprensione delle cause che intervengono nel determinare il risultato produttivo nelle aree olivetate tradizionali. 43 Tabella 7.1a - Intervallo di variabilità del "cumulato di precipitazione" (in mm), per l'anno intero e per i quattro periodi d'interesse nella Sardegna nord-occidentale, Monte Acuto, Baronia e Barbagia nel Nuorese. SARDEGNA NORDOCCIDENTALE Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile maggio-giugno luglio-agosto settembre-dicembre annuale limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. ALGHERO (AEROPORTO) 104 163 221 5 36 68 0 17 39 185 302 420 426 573 720 BESSUDE (LAGO BIDIGHINZU) 154 240 326 17 70 123 0 26 59 251 371 490 637 793 950 CARGEGHE 95 178 260 15 57 100 0 16 34 177 312 447 414 621 828 SASSARI (BANCALI) 98 154 210 8 48 88 0 19 44 196 293 391 462 572 682 SASSARI (OTTAVA) 94 141 187 7 46 84 0 22 49 182 270 359 418 530 643 SASSARI (SERRA SECCA) 86 147 208 14 47 80 0 13 27 184 276 369 443 541 638 SENNORI 83 140 197 6 38 71 0 17 43 153 285 416 382 544 705 THIESI 150 248 346 6 61 116 0 23 54 240 367 494 599 786 972 TORRALBA 131 202 273 17 60 102 0 21 54 200 297 395 527 653 778 MONTE ACUTO Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile ALÀ DEI SARDI maggio-giugno luglio-agosto settembre-dicembre annuale limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. 189 301 413 34 87 140 7 44 80 259 413 568 732 944 1157 BARONIE E BARBAGIA DEL NUORESE Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile maggio-giugno luglio-agosto settembre-dicembre annuale limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. CALA GONONE 79 172 265 5 57 110 0 21 51 164 304 443 383 599 816 DORGALI 103 261 418 6 65 123 0 27 60 220 377 535 562 785 1007 GALTELLì 87 186 285 10 55 101 0 25 62 175 293 412 415 610 805 NUORO 135 223 311 27 67 106 0 29 60 200 333 467 536 710 884 OLIENA 94 239 384 15 60 104 0 21 48 183 349 515 503 739 975 OROSEI 89 162 235 5 53 101 0 21 48 154 279 405 376 561 747 Tabella 7.1a1 - Intervallo di variabilità del "numero di giorni piovosi", per l'anno intero e per i quattro periodi d'interesse nella Sardegna nord-occidentale, Monte Acuto, Baronia e Barbagia nel Nuorese. SARDEGNA NORDOCCIDENTALE Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile settembre-dicembre annuale media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. 0 2 4 21 29 38 52 68 83 12 0 3 5 26 34 42 70 83 96 7 11 0 3 5 19 30 41 50 70 90 3 6 10 0 2 4 21 30 40 57 70 83 3 7 11 0 3 5 22 30 39 58 71 84 31 4 7 10 0 2 4 22 30 39 59 71 83 16 23 2 4 7 0 2 3 16 23 30 39 51 63 17 26 34 2 7 11 0 3 6 22 33 45 61 78 94 14 22 30 3 6 8 0 2 4 17 26 35 47 63 79 limite inf. ALGHERO (AEROPORTO) maggio-giugno media limite sup. limite inf. 15 22 29 BESSUDE (LAGO BIDIGHINZU) 20 28 CARGEGHE 14 SASSARI (BANCALI) SASSARI (OTTAVA) luglio-agosto media limite sup. limite inf. 2 6 10 35 5 8 23 32 4 16 23 30 15 23 31 SASSARI (SERRA SECCA) 15 23 SENNORI 9 THIESI TORRALBA MONTE ACUTO Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile ALA' DEI SARDI limite inf. 20 maggio-giugno media limite sup. limite inf. 29 37 5 luglio-agosto media limite sup. limite inf. 9 13 1 settembre-dicembre annuale media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. 4 7 26 33 41 70 85 101 BARONIE E BARBAGIA DEL NUORESE Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile limite inf. CALA GONONE maggio-giugno settembre-dicembre annuale media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. 0 2 4 17 25 33 47 61 75 10 0 3 5 18 26 34 49 64 79 6 9 0 2 5 17 24 31 46 59 72 9 12 0 4 7 25 33 40 71 83 96 2 6 9 0 3 5 17 23 30 42 56 71 3 5 8 0 2 4 16 23 31 43 55 68 media limite sup. limite inf. 13 20 27 DORGALI 14 21 GALTELLì 13 NUORO 20 OLIENA OROSEI luglio-agosto media limite sup. limite inf. 3 7 10 28 3 6 20 27 3 28 37 6 12 19 26 12 18 24 Tabella 7.1b - Intervallo di variabilità del "cumulato di precipitazione" (in mm), per l'anno intero e per i quattro periodi d'interesse in Oliastra, Planargia e Montiferru, Alto Campidano. OGLIASTRA Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile maggio-giugno luglio-agosto settembre-dicembre annuale limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. BARISARDO 101 214 327 1 53 105 0 22 49 206 396 585 487 751 1015 JERZU 166 279 392 19 65 111 0 27 66 251 400 549 649 860 1070 LANUSEI 145 296 446 12 56 100 0 26 58 212 439 666 583 918 1253 PLANARGIA E MONTIFERRU Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile limite inf. BOSA CUGLIERI maggio-giugno media limite sup. limite inf. 125 181 236 150 250 350 SENEGHE 160 300 TRESNURAGHES 111 188 luglio-agosto settembre-dicembre annuale media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. 0 15 44 194 303 412 487 611 734 0 16 38 254 365 476 654 795 936 123 0 18 48 268 415 561 665 932 1200 104 0 13 32 221 316 411 535 652 769 media limite sup. limite inf. 10 48 86 15 68 120 440 12 68 265 13 59 ALTO CAMPIDANO Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile limite inf. MOGORELLA maggio-giugno media limite sup. limite inf. 127 218 308 RIOLA SARDO 110 186 ZEDDIANI (S. LUCIA) 96 163 luglio-agosto settembre-dicembre annuale media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. 0 20 51 229 321 413 554 703 853 90 0 13 33 193 321 449 492 645 799 81 0 12 29 190 282 374 441 564 688 media limite sup. limite inf. 18 62 107 262 10 50 231 5 43 Tabella 7.1b1 - Intervallo di variabilità del "numero di giorni piovosi" per l'anno intero e per i quattro periodi d'interesse in Oliastra, Planargia e Montiferru, Alto Campidano. OGLIASTRA Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile limite inf. BARISARDO JERZU LANUSEI maggio-giugno media limite sup. limite inf. 9 15 21 18 26 34 17 25 33 luglio-agosto settembre-dicembre annuale media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. 0 2 5 15 20 25 37 47 57 0 3 6 22 30 37 60 75 90 0 3 6 22 30 38 59 76 92 media limite sup. limite inf. 1 4 7 4 8 11 4 7 11 PLANARGIA E MONTIFERRU Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile maggio-giugno luglio-agosto settembre-dicembre annuale limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. BOSA 18 26 33 2 6 11 0 2 4 22 30 39 61 74 87 CUGLIERI 20 28 36 4 8 12 0 2 5 26 34 42 70 83 95 SENEGHE 18 27 36 4 7 10 0 2 4 24 32 40 63 78 94 TRESNURAGHES 14 22 30 3 7 11 0 2 3 22 29 36 55 68 81 ALTO CAMPIDANO Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile maggio-giugno luglio-agosto settembre-dicembre annuale limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. MOGORELLA 17 25 33 3 7 11 0 2 4 22 30 37 59 72 86 RIOLA SARDO 13 20 26 3 6 8 0 2 3 20 28 35 51 63 74 ZEDDIANI (S. LUCIA) 16 25 33 3 6 10 0 2 4 24 32 40 61 74 87 Tabella 7.1c - Intervallo di variabilità del "cumulato di precipitazione" (in mm), per l'anno intero e per i quattro periodi d'interesse per Medio Campidano, Marmilla e Trexenta, Basso Campidano e Parteolla. MEDIO CAMPIDANO, MARMILLA TREXENTA Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile maggio-giugno luglio-agosto settembre-dicembre annuale limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. ALES 132 245 357 16 63 110 0 23 59 241 357 474 597 786 975 BARADILI 100 210 320 16 52 89 0 20 48 143 339 534 459 697 935 GERGEI 129 232 336 28 62 95 0 36 76 199 284 369 539 695 850 GESICO 113 190 267 21 55 88 0 25 63 141 228 314 409 560 711 GUASILA 98 172 246 15 45 74 0 28 69 147 217 286 387 514 641 LUNAMATRONA 128 228 327 21 60 98 0 20 49 198 289 380 520 679 838 MANDAS 122 241 360 27 73 118 0 39 91 210 302 395 540 732 925 MOGORO 95 183 272 6 49 92 0 17 41 199 289 378 470 601 733 SANLURI 79 176 274 12 44 76 0 21 51 110 243 376 318 551 784 SARDARA 113 202 291 17 51 84 0 18 43 170 270 370 460 610 761 SEGARIU 110 196 281 21 55 89 0 36 76 171 251 331 460 606 751 SENORBÌ 100 175 250 18 48 78 0 24 58 159 229 300 410 533 657 VILLACIDRO 140 228 315 14 51 87 0 21 49 197 310 422 537 686 835 VILLAMAR 116 233 350 19 55 91 0 28 62 182 285 387 493 680 867 BASSO CAMPIDANO E PARTEOLLA Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile limite inf. CAPOTERRA maggio-giugno media limite sup. limite inf. 99 175 251 CORONGIU 95 178 DOLIANOVA 72 161 ELMAS (AEROPORTO) 78 138 luglio-agosto settembre-dicembre annuale media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. 0 12 28 132 240 348 381 525 670 85 0 18 40 145 227 309 386 530 673 64 0 18 50 128 234 340 329 505 680 58 0 12 30 121 196 272 325 425 525 media limite sup. limite inf. 0 39 79 262 6 45 249 10 37 198 8 33 Tabella 7.1c1 - Intervallo di variabilità del "numero di giorni piovosi" per l'anno intero e per i quattro periodi d'interesse per Medio Campidano, Marmilla e Trexenta, Basso Campidano e Parteolla. MEDIO CAMPIDANO, MARMILLA TREXENTA Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile maggio-giugno luglio-agosto settembre-dicembre annuale limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. ALES 17 26 35 4 7 11 0 2 5 24 32 39 61 76 92 BARADILI 13 22 31 3 6 9 0 2 5 21 28 34 51 65 79 GERGEI 15 23 30 3 6 9 0 3 6 17 26 35 50 66 82 GESICO 16 24 32 4 7 10 0 2 5 21 27 33 55 68 80 GUASILA 14 22 30 2 6 9 0 2 5 17 25 33 48 62 76 LUNAMATRONA 16 24 33 3 6 9 0 2 5 22 29 36 56 71 85 MANDAS 19 28 37 5 8 12 0 4 7 23 32 41 65 83 100 MOGORO 13 21 30 2 5 8 0 2 4 20 28 35 51 63 76 SANLURI 14 24 34 3 6 10 0 2 5 17 28 38 48 70 92 SARDARA 18 25 33 3 7 10 0 2 5 23 31 39 60 74 88 SEGARIU 16 25 33 3 7 12 0 4 7 22 30 38 59 76 92 SENORBÌ 16 23 31 4 7 10 0 3 6 20 27 34 54 68 81 VILLACIDRO 18 27 35 4 7 10 0 2 4 24 32 40 63 78 92 VILLAMAR 13 21 28 2 5 8 0 2 5 19 25 31 48 60 73 BASSO CAMPIDANO E PARTEOLLA Stazione di rilevamento Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione febbraio-aprile maggio-giugno luglio-agosto settembre-dicembre annuale limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. limite inf. media limite sup. CAPOTERRA 14 19 25 2 4 7 0 1 3 17 23 29 45 55 66 CORONGIU 16 24 31 3 6 9 0 2 5 20 27 34 55 68 81 DOLIANOVA 13 19 26 2 5 8 0 2 4 16 25 34 45 59 73 ELMAS (AEROPORTO) 15 21 27 3 5 8 0 2 4 20 27 34 52 62 72 Tabella 7.2a - Valori medi delle temperature minime nei dodici mesi di alcune località della Sardegna nord-occidentale, Monte Acuto, Baronia e Barbagia del Nuorese e Ogliastra. SARDEGNA NORDOCCIDENTALE Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale ALGHERO (AEROPORTO) 6,2 6,3 7,1 9,0 11,8 15,3 17,7 18,0 16,2 13,1 9,7 7,4 11,5 BESSUDE (LAGO BIDIGHINZU) 3,4 3,9 5,4 7,7 10,7 13,4 15,5 15,6 13,3 10,6 7,3 4,6 9,3 SASSARI (OTTAVA) 6,2 6,3 7,0 8,8 11,7 14,8 17,3 17,8 15,9 13,3 9,4 7,0 11,3 SASSARI (SERRA SECCA) 6,0 6,2 7,2 9,4 12,5 16,0 18,9 19,1 16,7 13,6 9,4 6,9 11,8 MONTE ACUTO Stazione di rilevamento ALÀ DEI SARDI Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale 1,6 2,0 3,3 5,1 8,5 11,8 14,6 14,6 12,1 9,0 4,9 2,8 7,5 BARONIE E BARBAGIA DEL NUORESE Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale CALA GONONE 8,9 9,6 10,3 12,3 15,6 19,2 21,9 22,6 20,3 16,8 13,1 10,5 15,1 NUORO 3,8 3,7 4,9 7,2 10,7 14,6 17,7 17,7 15,2 11,8 7,4 4,7 10,0 OROSEI 6,6 6,9 8,0 10,0 13,3 16,9 19,7 19,8 17,3 14,4 10,3 7,9 12,6 OGLIASTRA Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale JERZU 4,6 4,5 6,0 8,1 11,5 15,8 19,8 19,6 16,1 12,1 8,3 5,6 11,0 LANUSEI 4,0 4,0 4,9 6,5 10,3 14,2 17,7 17,9 14,9 11,7 7,2 4,8 9,8 Tabella 7.2b - Valori medi delle temperature minime nei dodici mesi di alcune località della Planargia e Montiferru, Alto Campidano, Medio Campidano, Basso Campidano e Parteolla. PLANARGIA E MONTIFERRU Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale BOSA 7,1 7,3 8,5 10,7 13,9 16,9 19,3 19,8 17,5 14,2 10,3 7,5 12,8 CUGLIERI 5,8 5,7 6,7 8,7 12,1 15,5 18,7 18,7 16,2 13,2 9,4 6,8 11,5 ALTO CAMPIDANO Stazione di rilevamento ZEDDIANI (S. LUCIA) Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale 5,5 5,9 6,6 8,5 11,6 14,9 17,3 17,7 15,7 13,0 9,3 6,7 11,1 MEDIO CAMPIDANO, MARMILLA E TREXENTA Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale ALES 2,7 3,6 4,6 6,2 9,3 13,1 15,9 16,0 13,0 10,0 6,5 3,6 8,7 MANDAS 3,9 4,1 5,1 7,0 10,3 13,8 16,6 17,2 14,8 11,7 7,7 5,1 9,8 MOGORO 6,4 7,0 8,2 10,7 14,3 18,0 20,6 20,8 18,4 14,9 10,5 7,5 13,1 SANLURI 3,9 4,2 5,2 7,3 10,1 14,0 16,7 16,9 14,9 11,5 7,8 5,4 9,8 VILLACIDRO 7,2 7,5 8,4 10,2 13,6 17,4 20,3 20,6 18,3 15,1 10,9 8,5 17,3 BASSO CAMPIDANO E PARTEOLLA Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale CORONGIU 6,7 6,8 7,9 10,2 13,6 17,3 20,4 20,6 18,2 14,8 10,8 7,7 12,9 ELMAS (AEROPORTO) 5,7 6,2 7,2 9,2 12,3 16,1 18,6 19,0 16,9 13,7 9,4 6,8 11,8 Tabella 7.2c - Valori medi delle temperature massime nei dodici mesi di alcune località della Sardegna nord-occidentale, Monte Acuto, Baronia e Barbagia del Nuorese e Ogliastra. SARDEGNA NORDOCCIDENTALE Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale ALGHERO (AEROPORTO) 13,4 13,7 14,9 17,5 21,5 25,5 28,9 28,8 26,2 22,4 17,5 14,5 20,4 BESSUDE (LAGO BIDIGHINZU) 11,6 12,4 14,6 17,5 22,3 26,6 30,5 29,7 26,0 21,4 15,9 12,8 20,1 SASSARI (OTTAVA) 13,4 13,8 15,3 18,0 22,2 26,3 29,7 29,8 26,8 22,8 17,5 14,1 20,8 SASSARI (SERRA SECCA) 12,1 12,8 14,5 17,7 22,2 26,3 29,6 29,2 25,6 21,4 15,7 12,8 20,0 MONTE ACUTO Stazione di rilevamento ALÀ DEI SARDI Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale 9,0 10,2 12,3 15,4 20,6 25,6 29,4 29,3 24,9 19,8 13,6 10,4 18,4 BARONIE E BARBAGIA DEL NUORESE Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale CALA GONONE 14,6 15,3 16,2 18,4 21,9 25,7 28,7 29,3 26,9 22,9 18,9 16,1 21,2 NUORO 10,7 11,1 13,6 16,9 22,1 27,2 31,1 30,4 26,3 20,9 15,0 11,4 19,7 OROSEI 14,2 14,8 16,4 18,5 22,0 26,0 29,2 29,3 26,9 23,2 18,4 15,5 21,2 OGLIASTRA Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale JERZU 12,2 12,7 14,9 17,8 22,1 26,8 30,9 30,1 26,3 21,5 16,5 13,4 20,4 LANUSEI 12,6 12,9 14,8 17,6 21,9 26,5 30,4 30,3 25,9 21,8 16,9 13,6 20,4 Tabella 7.2d - Valori medi delle temperature massime nei dodici mesi di alcune località della Planargia e Montiferru, Alto Campidano, Medio Campidano, Basso Campidano e Parteolla. PLANARGIA E MONTIFERRU Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale BOSA 15,2 15,4 17,4 19,9 24,0 27,8 31,0 30,9 28,1 23,7 18,9 15,2 22,3 CUGLIERI 10,7 11,3 13,1 15,8 20,6 25,1 29,0 28,6 25,1 20,6 15,2 11,7 18,9 ALTO CAMPIDANO Stazione di rilevamento ZEDDIANI (S. LUCIA) Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale 13,7 14,5 16,2 19,0 23,3 27,1 30,7 30,5 27,7 23,7 18,3 14,7 21,6 MEDIO CAMPIDANO, MARMILLA E TREXENTA Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale ALES 11,8 13,2 15,5 17,6 22,7 28,4 32,8 32,1 27,2 22,2 17,0 13,6 21,2 MANDAS 10,3 11,0 12,9 15,5 20,5 26,1 30,2 29,8 25,9 20,6 14,9 11,4 19,1 MOGORO 12,1 13,0 14,8 17,8 22,5 26,6 29,4 28,9 25,9 21,5 16,3 13,0 20,2 SANLURI 13,3 14,1 16,0 18,7 23,3 28,4 31,8 31,7 27,7 23,0 17,7 14,1 21,7 VILLACIDRO 13,0 13,5 15,3 18,2 23,0 27,9 31,6 31,0 27,4 22,4 17,1 14,0 17,3 BASSO CAMPIDANO E PARTEOLLA Stazione di rilevamento Medie di temperatura minima gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic annuale CORONGIU 13,9 14,1 16,0 18,9 23,1 27,8 31,5 31,1 27,8 23,1 18,2 14,8 21,7 ELMAS (AEROPORTO) 14,0 14,5 16,0 18,4 22,3 26,7 29,7 29,8 26,9 22,9 18,1 15,0 21,2 Tabella 7.3 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Alà dei Sardi, 663 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 B - Soglie termiche superiori -8 -6 -4 -2 0 2 4 1 1 6 27 69 96 100 100 1 2 1 8 31 74 97 100 100 1 3 1 7 31 74 98 100 100 2 1 1 6 27 69 96 100 100 2 2 1 5 24 65 95 100 100 2 3 1 4 20 58 92 100 100 3 1 2 14 49 89 100 100 3 2 1 7 32 77 98 100 3 3 2 14 55 95 100 4 1 5 31 82 100 4 2 3 23 71 98 4 3 2 15 55 94 1 5 1 1 5 29 76 7 1 5 2 1 9 41 14 2 5 3 1 14 27 4 1 6 1 4 47 10 3 6 2 2 79 32 12 2 6 3 1 95 58 28 5 1 7 1 99 79 47 11 3 7 2 100 88 59 16 5 7 3 100 95 73 24 7 1 8 1 100 94 72 24 8 1 8 2 100 89 63 21 7 1 8 3 98 73 41 9 3 9 1 85 37 13 2 9 2 1 68 22 7 1 9 3 1 5 46 11 3 10 1 1 4 21 20 3 1 10 2 1 4 17 51 7 1 10 3 2 12 42 82 2 11 1 4 20 59 93 11 2 2 14 46 86 99 11 3 1 7 29 69 96 100 12 1 2 12 42 83 99 100 12 2 3 16 50 88 99 100 12 3 5 24 64 95 100 100 1 30 33 35 38 40 43 Tabella 7.4 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Ales, 167 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 B - Soglie termiche superiori -6 -4 -2 0 2 4 1 1 9 40 86 100 100 1 2 1 7 35 83 99 100 1 3 3 22 72 99 100 2 1 2 14 59 96 100 2 2 2 17 61 96 100 2 3 3 18 60 95 100 3 1 2 16 56 94 100 3 2 1 8 40 86 100 3 3 3 19 68 98 4 1 1 9 46 92 4 2 6 38 88 4 3 7 34 81 2 5 1 4 22 63 9 1 5 2 1 8 34 26 4 1 5 3 3 16 62 15 4 6 1 1 6 87 37 12 1 6 2 1 98 69 34 5 1 6 3 100 92 63 16 4 7 1 100 99 88 38 13 1 7 2 100 100 96 61 28 4 7 3 100 100 99 78 45 10 8 1 100 100 98 75 43 10 8 2 100 100 95 62 31 6 8 3 100 97 83 37 14 2 9 1 99 78 43 9 2 9 2 94 52 21 3 1 9 3 2 75 25 8 1 10 1 1 5 34 5 1 10 2 4 20 9 1 10 3 2 14 49 2 11 1 4 22 66 11 2 2 11 45 88 11 3 2 10 37 78 98 12 1 4 19 57 92 100 12 2 1 6 29 72 97 100 12 3 1 9 39 84 99 100 1 30 33 35 38 40 43 Tabella 7.5 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Alghero, 7 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 B - Soglie termiche superiori -4 -2 0 2 4 1 2 8 29 67 94 1 2 2 10 33 71 95 1 3 2 9 33 72 96 2 1 2 8 30 68 94 2 2 1 8 29 67 94 2 3 1 7 27 65 93 3 1 1 6 24 62 93 3 2 3 14 46 85 3 3 4 23 67 4 1 1 9 41 4 2 1 6 31 4 3 4 23 5 1 1 10 3 5 2 3 11 1 5 3 1 29 4 1 6 1 43 8 2 6 2 71 21 6 6 3 90 42 15 2 7 1 97 64 30 5 1 7 2 99 78 44 9 2 7 3 100 87 54 12 3 8 1 100 84 50 10 2 8 2 99 72 34 5 1 8 3 97 50 16 1 9 1 82 21 4 9 2 70 14 2 9 3 53 8 1 10 1 29 3 10 2 1 10 1 10 3 1 5 2 11 1 2 12 11 2 2 10 35 11 3 1 5 23 59 12 1 2 9 34 73 12 2 3 14 45 83 12 3 7 25 62 92 1 30 33 35 38 40 43 Tabella 7.6 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Bidighinzu, 335 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 B - Soglie termiche superiori -6 -4 -2 0 2 4 1 3 14 42 80 98 100 1 2 3 14 44 82 98 100 1 3 2 12 42 82 99 100 2 1 2 10 37 77 98 100 2 2 2 9 33 73 96 100 2 3 1 7 27 65 93 100 3 1 1 5 21 56 90 99 3 2 2 12 41 81 98 3 3 1 4 22 63 95 4 1 2 10 41 84 4 2 1 6 27 70 1 4 3 3 16 53 4 5 1 1 7 31 14 2 5 2 2 12 28 5 1 5 3 4 50 12 3 6 1 1 70 24 8 1 6 2 92 54 26 5 1 6 3 99 78 48 13 4 7 1 100 92 68 24 8 1 7 2 100 96 80 34 13 2 7 3 100 98 86 40 16 2 8 1 100 97 83 38 15 2 8 2 100 92 70 25 8 1 8 3 1 99 83 53 14 4 9 1 1 93 50 21 3 1 9 2 1 82 34 12 1 9 3 1 66 20 6 1 10 1 1 6 41 9 2 10 2 1 6 23 20 3 1 10 3 1 3 16 49 7 1 11 1 1 7 27 66 1 11 2 1 5 19 51 86 11 3 1 3 13 39 75 96 12 1 1 7 23 56 88 99 12 2 2 9 30 67 93 100 12 3 3 14 42 79 97 100 1 30 33 35 38 40 43 Tabella 7.7 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Bosa, 13 m s.l.m. A- Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 -4 B - Soglie termiche superiori -2 0 2 4 30 33 35 38 40 1 1 6 30 77 1 2 1 5 29 76 1 3 5 27 75 2 1 1 6 30 76 2 2 1 6 29 75 2 3 1 5 26 70 3 1 3 20 63 3 2 2 13 49 3 3 1 5 27 4 1 1 9 1 4 2 1 6 2 4 3 5 8 1 5 1 2 27 4 1 5 2 43 8 2 5 3 73 23 6 1 6 1 84 32 10 1 6 2 95 53 20 2 6 3 99 76 39 6 1 7 1 100 92 62 15 3 7 2 100 97 76 23 6 7 3 100 99 84 29 8 8 1 100 98 78 21 5 8 2 100 95 66 13 2 8 3 100 84 41 4 9 1 99 57 17 1 9 2 96 44 12 1 9 3 88 34 10 1 10 1 72 21 6 10 2 2 42 8 2 10 3 1 4 18 2 11 1 1 6 3 11 2 1 4 21 1 11 3 3 14 47 12 1 1 5 25 66 12 2 1 6 30 73 12 3 1 8 36 81 43 1 Tabella 7.8 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Cala Gonone, 25 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 1 1 2 1 -10 -8 -6 -4 -2 B - Soglie termiche superiori 0 2 4 30 33 35 4 24 1 7 33 3 1 6 31 2 1 1 5 27 2 2 3 20 2 3 2 16 3 1 1 12 3 2 1 6 3 3 4 1 4 2 4 3 5 1 5 2 1 5 3 2 6 1 8 6 2 37 2 6 3 70 8 1 7 1 89 16 2 7 2 96 26 3 7 3 99 41 5 8 1 100 47 7 8 2 99 50 10 8 3 98 41 7 9 1 89 18 2 9 2 67 6 9 3 36 2 10 1 13 10 2 4 10 3 1 11 1 11 2 1 11 3 4 12 1 1 9 12 2 2 13 12 3 4 22 2 38 40 43 Tabella 7.9 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Corongiu, 126 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 -4 -2 B - Soglie termiche superiori 0 2 4 1 3 22 72 1 2 4 26 78 1 3 4 29 81 2 1 4 28 79 2 2 4 26 77 2 3 3 23 71 3 1 2 17 63 3 2 1 9 46 3 3 4 30 4 1 2 17 4 2 1 11 1 4 3 1 5 2 5 1 2 8 1 5 2 18 2 5 3 43 6 1 6 1 75 20 5 6 2 95 53 20 2 6 3 100 80 42 6 1 7 1 100 93 62 12 2 7 2 100 98 76 18 4 7 3 100 99 84 22 4 8 1 100 99 79 18 3 8 2 100 95 64 10 1 8 3 100 85 40 4 9 1 99 54 15 1 9 2 94 38 9 9 3 78 21 4 10 1 45 6 1 10 2 16 1 10 3 1 3 11 1 4 1 11 2 11 3 12 2 14 1 7 31 1 1 10 44 12 2 2 13 55 12 3 2 18 67 30 33 35 38 40 43 Tabella 7.10 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Cuglieri, 484 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 1 1 2 1 3 2 1 2 2 2 -10 -8 -6 -4 B - Soglie termiche superiori -2 0 2 4 3 20 61 95 5 23 66 96 4 24 67 97 1 5 26 68 96 1 5 26 69 97 3 3 20 61 95 3 1 1 12 50 92 3 2 5 32 81 3 3 3 22 69 4 1 2 13 51 4 2 2 11 43 4 3 1 6 29 1 5 1 2 14 5 1 5 2 4 13 2 5 3 1 32 6 2 6 1 47 12 4 6 2 76 32 12 2 6 3 91 52 24 4 1 7 1 98 73 42 10 3 7 2 99 85 56 16 5 1 7 3 100 92 67 22 7 1 8 1 100 90 63 20 6 1 8 2 99 80 49 12 3 8 3 96 59 26 4 1 9 1 80 27 7 1 9 2 67 19 5 9 3 51 13 3 10 1 29 5 1 10 2 2 10 1 10 3 1 7 2 11 1 2 12 11 2 1 8 32 11 3 3 17 55 12 1 4 25 71 12 2 1 8 37 83 12 3 3 16 55 93 1 30 33 35 38 40 43 Tabella 7.11 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Fertilia, 10 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 B - Soglie termiche superiori -4 -2 0 2 4 1 1 7 28 67 94 1 2 1 7 28 67 95 1 3 1 5 25 65 95 2 1 4 18 54 90 2 2 4 20 56 91 2 3 4 17 51 87 3 1 3 14 47 86 3 2 1 7 30 73 3 3 2 14 52 4 1 1 6 31 4 2 2 16 4 3 1 8 1 5 1 3 5 5 2 1 15 1 5 3 34 4 1 6 1 53 10 2 6 2 84 32 10 1 6 3 96 54 19 2 7 1 99 73 32 4 7 2 100 83 42 5 1 7 3 100 90 51 7 1 8 1 100 87 47 6 1 8 2 100 76 33 3 8 3 99 57 18 1 9 1 88 24 4 9 2 76 15 2 9 3 59 8 1 10 1 38 4 10 2 23 2 10 3 3 8 1 11 1 1 8 2 11 2 1 8 30 11 3 1 4 18 52 12 1 1 8 30 71 12 2 2 11 40 80 12 3 5 22 59 92 1 1 30 33 35 38 40 43 Tabella 7.12 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Jerzu F.C., 550 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 -4 B - Soglie termiche superiori -2 0 2 4 30 33 35 38 40 1 5 30 80 99 1 2 5 31 82 100 1 3 4 30 83 100 2 1 4 29 82 100 2 2 5 31 82 100 2 3 4 26 75 99 3 1 2 19 66 98 3 2 2 14 54 93 3 3 2 11 45 88 4 1 1 6 28 71 4 2 3 17 57 4 3 1 10 41 1 5 1 1 6 25 3 5 2 2 10 9 1 5 3 3 25 2 6 1 1 51 9 2 6 2 86 32 10 1 6 3 98 61 23 2 7 1 100 82 38 3 7 2 100 92 53 6 1 7 3 100 97 65 9 1 8 1 100 95 63 9 1 8 2 100 87 46 6 1 8 3 99 65 23 2 9 1 88 23 4 9 2 72 15 3 9 3 51 9 2 10 1 1 28 4 1 10 2 3 8 1 10 3 1 10 2 11 1 2 17 11 2 1 9 42 11 3 4 25 72 12 1 1 9 42 89 12 2 2 14 57 95 12 3 4 25 74 99 43 Tabella 7.13 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Lanusei, 595 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 -4 B - Soglie termiche superiori -2 0 2 4 30 33 35 38 40 1 2 26 84 100 1 2 6 38 89 100 1 3 1 8 43 91 100 2 1 1 8 43 90 100 2 2 1 10 47 92 100 2 3 1 7 41 89 100 3 1 5 34 85 100 3 2 2 17 69 99 3 3 5 43 95 4 1 2 25 84 4 2 2 19 75 4 3 2 16 62 1 5 1 1 10 43 4 5 2 2 15 12 1 5 3 3 22 2 6 1 1 40 4 1 6 2 1 79 22 5 6 3 96 52 19 2 7 1 100 81 45 8 1 7 2 100 93 65 16 4 7 3 100 98 79 23 6 8 1 100 98 79 25 6 8 2 100 93 66 17 4 8 3 99 79 42 7 1 9 1 89 34 9 1 9 2 66 13 2 9 3 44 6 1 10 1 20 2 10 2 2 13 1 10 3 2 14 6 1 11 1 1 8 37 2 11 2 1 7 33 77 1 11 3 2 14 54 93 12 1 1 15 63 98 12 2 1 11 63 99 12 3 1 19 78 100 43 Tabella 7.14 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Mandas F.C., 491 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 B - Soglie termiche superiori -4 -2 0 2 4 30 33 35 38 40 1 1 11 48 91 100 1 2 2 15 55 94 100 1 3 2 16 57 95 100 2 1 2 16 55 93 100 2 2 2 15 54 92 100 2 3 2 12 47 89 100 3 1 1 8 38 86 100 3 2 4 24 73 98 3 3 1 12 54 95 4 1 5 31 83 4 2 2 20 70 4 3 1 11 51 1 5 1 4 26 4 5 2 1 8 10 1 5 3 2 25 4 1 6 1 51 12 3 6 2 85 41 16 3 1 6 3 97 68 35 7 2 7 1 100 86 55 14 4 7 2 100 93 66 19 5 7 3 100 97 76 23 6 8 1 100 95 72 20 5 8 2 100 90 59 14 3 8 3 99 77 40 7 1 9 1 92 46 17 2 9 2 80 30 9 1 9 3 53 12 3 10 1 1 24 3 1 10 2 1 5 7 1 10 3 3 16 1 11 1 1 6 30 11 2 1 5 24 67 11 3 2 15 50 89 12 1 4 23 67 97 12 2 1 5 28 76 99 12 3 1 9 43 88 100 43 Tabella 7.15 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Mogoro (Diga), 134 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 -4 B - Soglie termiche superiori -2 0 2 4 1 3 16 52 90 1 2 4 18 56 92 1 3 3 17 56 92 2 1 2 14 47 87 2 2 2 12 43 85 2 3 1 9 36 79 3 1 1 6 29 73 3 2 3 17 56 3 3 1 8 37 4 1 4 21 4 2 3 15 4 3 2 9 5 1 1 5 4 5 2 1 12 1 5 3 29 3 6 1 48 7 1 6 2 82 25 6 6 3 95 43 12 1 7 1 99 65 25 2 7 2 100 75 34 4 1 7 3 100 84 44 6 1 8 1 100 79 36 4 8 2 99 61 20 1 8 3 94 33 6 9 1 69 9 1 9 2 48 4 9 3 28 2 10 1 12 1 10 2 1 10 3 3 11 1 11 2 11 3 12 1 12 12 1 7 1 6 24 3 15 46 1 6 25 65 2 1 8 34 76 3 2 14 48 88 30 3 33 35 38 40 43 Tabella 7.16 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Nuoro, 545 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 B - Soglie termiche superiori -4 -2 0 2 4 30 33 35 1 2 16 57 94 100 1 2 3 20 63 96 100 1 3 3 21 66 97 100 2 1 1 5 26 69 97 100 2 2 1 6 27 70 97 100 2 3 1 5 23 63 95 100 3 1 3 16 54 92 100 3 2 1 7 35 82 99 3 3 3 20 66 97 4 1 1 7 37 85 4 2 3 22 70 1 4 3 1 10 47 4 5 1 4 23 5 2 1 5 3 6 38 40 43 14 2 1 6 28 5 1 1 49 11 3 1 73 25 8 1 6 2 94 58 28 5 1 6 3 99 80 45 9 2 7 1 100 94 68 20 5 7 2 100 98 83 34 11 1 7 3 100 99 91 47 19 3 8 1 100 99 89 44 17 2 8 2 100 96 78 32 11 1 8 3 100 88 60 17 5 9 1 96 58 26 4 1 9 2 86 38 14 2 9 3 63 18 5 1 10 1 1 32 6 1 10 2 1 5 10 1 10 3 1 4 21 3 11 1 2 12 43 11 2 1 9 35 78 11 3 4 19 59 94 12 1 1 7 32 77 99 12 2 1 8 38 84 99 12 3 2 15 54 93 100 Tabella 7.17 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Orosei, 19 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 -4 B - Soglie termiche superiori -2 0 2 4 1 2 11 43 86 1 2 2 12 46 88 1 3 2 12 47 89 2 1 1 9 38 83 2 2 1 8 37 82 2 3 1 6 31 77 3 1 4 25 71 3 2 2 13 52 3 3 4 26 4 1 1 9 4 2 5 4 3 4 5 1 1 5 2 2 5 3 11 6 1 30 2 6 2 58 8 1 6 3 84 19 3 7 1 96 36 7 7 2 99 58 16 1 7 3 100 72 24 1 8 1 100 71 24 1 8 2 99 60 17 1 8 3 99 47 11 9 1 91 23 3 9 2 76 12 1 9 3 50 5 10 1 25 1 10 2 7 10 3 1 3 11 1 3 1 11 2 11 3 12 2 14 1 7 33 1 2 14 51 12 2 4 22 65 12 3 9 36 81 1 30 33 35 38 1 40 43 Tabella 7.18 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Ottava, 70 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 1 1 2 1 -10 -8 -6 -4 B - Soglie termiche superiori -2 0 2 4 4 20 59 93 4 21 61 94 3 3 18 58 93 2 1 2 15 52 91 2 2 3 18 56 92 2 3 3 18 55 91 3 1 2 15 52 91 3 2 1 7 34 80 3 3 2 15 59 4 1 1 6 37 4 2 5 29 4 3 4 22 5 1 1 10 3 5 2 3 11 1 5 3 1 28 3 6 1 48 8 1 6 2 76 21 5 6 3 94 42 12 1 7 1 99 67 28 3 7 2 100 84 47 8 1 7 3 100 93 60 11 2 8 1 100 91 57 10 2 8 2 100 82 42 5 1 8 3 99 65 23 2 9 1 92 31 7 9 2 82 22 5 9 3 65 14 3 10 1 45 7 1 10 2 2 22 2 10 3 1 8 7 11 1 3 16 1 11 2 2 11 39 11 3 1 5 24 63 12 1 1 8 33 76 12 2 1 9 38 82 12 3 3 16 53 91 1 30 33 35 38 40 43 Tabella 7.19 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Sanluri O.N.C., 68 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 B - Soglie termiche superiori -6 -4 -2 0 2 4 30 33 35 38 40 43 1 1 6 26 64 93 100 1 2 2 10 34 73 96 100 1 3 2 11 38 78 98 100 2 1 2 9 33 72 96 100 2 2 1 8 29 68 95 100 2 3 1 6 25 62 93 100 3 1 1 5 21 59 92 100 3 2 3 14 45 84 99 3 3 1 7 30 71 97 4 1 3 16 51 89 4 2 2 10 38 80 4 3 1 5 24 65 1 5 1 2 12 42 10 1 5 2 3 19 28 4 1 5 3 1 7 61 13 3 6 1 2 85 31 9 1 6 2 98 65 29 4 1 6 3 100 90 60 16 4 7 1 100 98 84 38 14 2 7 2 100 99 92 53 24 4 7 3 100 100 96 59 27 4 8 1 100 100 93 45 15 2 8 2 100 99 84 28 7 8 3 100 95 68 16 4 9 1 99 76 38 6 1 9 2 96 56 22 3 9 3 1 82 28 8 1 10 1 2 52 9 2 10 2 2 12 21 2 10 3 1 7 30 6 11 1 1 4 17 50 1 11 2 1 3 15 43 79 11 3 2 8 29 65 93 12 1 1 3 14 43 80 98 12 2 1 3 16 47 84 99 12 3 1 6 23 59 92 100 Tabella 7.20 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Santa Lucia, 35 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 B - Soglie termiche superiori -4 -2 0 2 4 30 33 35 1 2 10 36 76 97 1 2 2 11 39 79 98 1 3 2 9 37 79 98 2 1 1 7 29 71 97 2 2 1 6 27 68 96 2 3 1 6 25 65 95 3 1 1 5 24 65 95 3 2 1 4 20 57 91 3 3 2 12 42 84 4 1 1 5 24 66 4 2 2 15 51 1 4 3 2 10 38 4 5 1 1 4 21 5 2 1 5 3 6 38 40 43 18 3 1 7 42 9 2 2 68 22 7 1 1 80 32 11 1 6 2 93 53 23 4 1 6 3 99 74 40 8 2 7 1 100 90 61 16 4 7 2 100 96 75 25 8 1 7 3 100 98 85 34 11 1 8 1 100 98 83 33 11 1 8 2 100 95 73 24 7 1 8 3 100 88 54 11 2 9 1 98 62 24 2 9 2 95 48 16 1 9 3 87 34 10 1 10 1 69 18 5 10 2 3 41 7 1 10 3 2 11 17 2 11 1 1 4 20 3 11 2 3 13 43 1 11 3 1 8 29 68 12 1 3 16 47 85 12 2 1 5 21 57 91 12 3 2 9 33 73 97 Tabella 7.21 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Sassari (Serra Secca), 350 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 -4 B - Soglie termiche superiori -2 0 2 4 1 1 7 38 88 1 2 1 8 43 90 1 3 1 8 44 92 2 1 1 8 42 89 2 2 1 8 41 89 2 3 1 7 37 85 3 1 5 32 82 3 2 3 20 69 3 3 1 11 50 4 1 5 32 4 2 4 23 1 4 3 2 13 3 5 1 5 13 2 5 2 1 24 4 1 5 3 43 8 2 6 1 58 13 3 6 2 85 36 13 1 6 3 96 58 25 3 1 7 1 99 76 39 6 1 7 2 100 83 47 8 1 7 3 100 90 56 10 2 8 1 100 88 53 10 2 8 2 100 79 42 7 1 8 3 98 60 23 3 9 1 81 23 5 9 2 63 12 2 9 3 46 8 1 10 1 26 3 1 10 2 1 11 1 10 3 3 3 11 1 11 2 11 1 7 1 7 30 3 3 17 55 12 1 4 24 70 12 2 4 26 76 12 3 6 34 85 30 33 35 38 40 43 Tabella 7.22 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Villacidro F.C. , 213 m s.l.m. A - Soglie termiche inferiori mese decade 1 -10 -8 -6 -4 -2 B - Soglie termiche superiori 0 2 4 1 3 20 65 1 2 4 24 71 1 3 3 23 70 2 1 3 20 66 2 2 3 21 67 2 3 3 19 63 3 1 2 13 54 3 2 1 6 36 3 3 2 18 4 1 6 4 2 3 4 3 1 2 5 1 1 11 1 5 2 28 4 1 5 3 60 15 4 6 1 84 34 12 1 6 2 97 67 34 6 1 6 3 100 88 58 15 4 7 1 100 97 79 30 10 1 7 2 100 99 88 41 15 2 7 3 100 100 94 51 20 3 8 1 100 99 90 40 14 1 8 2 100 97 79 27 8 1 8 3 100 91 60 14 3 9 1 98 66 29 4 1 9 2 93 46 16 2 9 3 75 22 6 10 1 41 6 1 10 2 13 1 10 3 4 11 1 11 2 1 8 11 3 3 18 12 1 4 27 12 2 1 6 35 12 3 2 15 56 1 30 1 33 35 38 40 43 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 8 - Esigenze idriche e irrigazione Obiettivi Si descrivono gli effetti dello stress idrico e le metodiche per determinare i fabbisogni irrigui. Si analizzano i criteri di scelta del metodo irriguo. L'olivo ha sviluppato adattamenti morfologici e meccanismi fisiologici che lo rendono resistente alla siccità. In tali condizioni l'accrescimento e la produzione sono modesti. In media l'irrigazione comporta incrementi produttivi del 30%. La stima dei fabbisogni è svolta, in collaborazione col Servizio Agrometeorologico Regionale, secondo il metodo del bilancio idrico, dove l'evapotraspirazione di riferimento è stimata col metodo di Penman - Monteith. I coefficienti colturali adottati sono quelli di fonte FAO. I consumi idrici annuali dell'olivo risultano, in Sardegna, pari a 5.500m3/ha, e quelli stagionali a 4.000m3/ha. I consumi di punta si registrano a fine luglio, e sono più elevati nell'area meridionale. Il fabbisogno irriguo si ottiene sottraendo a quello idrico l'ammontare delle "piogge efficaci". Poiché la risposta produttiva ad apporti crescenti d'acqua diviene, superati certi livelli, meno che proporzionale a ogni ulteriore incremento, di norma non è conveniente soddisfare appieno il fabbisogno. Una buona efficienza nell'uso dell'acqua si ottiene con apporti pari al 70% del fabbisogno irriguo stagionale. Il turno di irrigazione va calcolato tenendo conto della dinamica di esaurimento dell'acqua disponibile, che nel primo metro di un terreno franco sabbioso è pari a 125mm. L'intervento irriguo coincide con l'esaurimento del 50% dell'acqua disponibile. Una corretta pianificazione irrigua richiede ancora la stima dell'efficienza di applicazione dell'acqua. L'irrigazione localizzata con microportata di erogazione rappresenta sovente la soluzione migliore per le diverse esigenze dell'impresa olivicola. L'olivo tollera elevati contenuti di sale e di sodio nell'acqua irrigua. Conducibilità elettrica e rapporto tra i cationi (SAR) consentono di meglio valutare l'idoneità di un'acqua all'uso irriguo. L'uso di acque anomale richiede la contemporanea adozione di appropriate tecniche di drenaggio e neutralizzazione al fine di non alterare stabilmente la struttura del terreno. Esigenze idriche e irrigazione L'olivo è notoriamente resistente alla siccità, e quindi capace di vegetare anche in ambienti aridi o semi - aridi grazie alla capacità di utilizzare efficacemente l'acqua del terreno e di valorizzare le precipitazioni con un apparato radicale dalla notevole espansione. Questa specie ha infatti sviluppato, nel corso dell'evoluzione, caratteristiche morfologiche e meccanismi fisiologici che le conferiscono una spiccata xerofilia. Le foglie, piccole e coriacee, sono rivestite da una cuticola cerosa sulla pagina superiore e da una diffusa tomentosità su quella inferiore che contribuiscono a limitare le perdite di acqua per traspirazione. Gli stomi, presenti solo nella pagina inferiore, sono ospitati in depressioni del tessuto e protetti da peli stellati. Il sistema radicale molto esteso consente all'albero di sfruttare l'umidità contenuta in un grande volume di terreno e l'elevata pressione osmotica interna lo mette in grado di assorbire acqua anche quando il contenuto idrico del suolo si porta su valori inferiori al punto di appassimento. La funzionalità stomatica dell'olivo è garantita, anche in condizioni di carenza idrica, da meccanismi fisiologici quali l'aggiustamento osmotico, l'adattamento del rapporto radici/foglie, l'accumulo d'acqua nei tessuti e la capacità delle foglie di assorbire vapore acqueo in presenza di elevata umidità relativa dell'aria. Effetti dello stress idrico Sebbene queste caratteristiche gli permettano di sopravvivere in condizioni di aridità, l'olivo non raggiunge elevati livelli produttivi senza un'appropriata gestione dell'acqua: la capacità di adattamento a questa condizione avversa non è sufficiente a garantire, nel caso di stress prolungato, lo sviluppo dell'albero e dei frutti, e un numero adeguato di germogli recanti numerose gemme a fiore. Per quanto riguarda il rapporto acqua/pianta si ricorda che la maggior parte del liquido assorbito si perde sotto forma di vapore con la traspirazione e solo una piccola quota è trattenuta per contribuire alla crescita; una frazione ancora minore è utilizzata dal processo fotosintetico e dai processi metabolici. 44 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro La traspirazione, che avviene nelle foglie attraverso gli stomi, agisce come meccanismo di controllo termico della pianta e permette la risalita e la distribuzione, attraverso i vasi legnosi, dell'acqua e degli elementi nutritivi in essa disciolti. Condizioni di ridotta umidità nel suolo provocano una graduale chiusura degli stomi, riducono l'attività fotosintetica e metabolica. L'olivo comunque tollera meglio la carenza idrica che i ristagni; infatti è in grado di ridurre il consumo di circa il 35% rispetto al fabbisogno ottimale mantenendo uno stato fisiologico accettabile, mentre nei suoli poco permeabili la ridotta aerazione riduce in breve tempo la funzionalità delle radici. L'olivo, specie sempreverde, usa l'acqua nel corso dell'intero anno, anche se, come gli altri alberi da frutto, in alcuni momenti del ciclo annuale risulta particolarmente sensibile a bassi valori di umidità nel suolo (tab. 8.1). Effetti della carenza idrica Tabella 8.1 - Fasi dell'olivo ed effetti dello stress idrico. febbraio-aprile Formazione del fiore; germogliamento e rapido allungamento dei germogli; mignolatura. Riduzione numerica delle infiorescenze e dei fiori perfetti; incremento dell'aborto dell'ovario; rallentamento nella crescita dei germogli. maggio-giugno Fioritura; allegagione dei frutti; crescita dei frutti per aumento numerico delle cellule; ulteriore allungamento dei germogli. Fioritura incompleta; ridotta allegagione; cascola dei frutticini; rallentamento della crescita dei frutti; ridotto sviluppo dei germogli. luglio-agosto Indurimento nocciolo; crescita dei frutti per distensione cellulare; ultime fasi di allungamento dei germogli; induzione a fiore. Ridotta crescita, disseccamento e caduta dei frutti; arresto anticipato dello sviluppo vegetativo; ridotta induzione antogena e aumento dell'alternanza di produzione. settembre-raccolta Crescita dei frutti per distensione cellulare; formazione dell'olio nell'oliva; secondo flusso vegetativo, soprattutto nell'annata di scarica; accumulo di sostanze di riserva. Olive di piccole dimensioni; basso rapporto polpa/nocciolo; ridotta resa in olio; assenza del secondo flusso vegetativo; minore quantità di fiori nell'anno seguente. Epoca dell'anno Fasi di sviluppo fenologiche Il periodo della fioritura è sensibile a condizioni di aridità nel suolo, che però si verificano solo con andamenti meteorologici particolarmente caldi e asciutti. Gli oliveti hanno bisogno della maggior quantità di acqua tipicamente nei mesi di luglio e agosto, durante i quali un'insufficiente dotazione idrica del terreno riduce lo sviluppo dei germogli e la produzione di carboidrati e, se prolungata, causa il disseccamento dei frutti. I frutti disidratati recuperano gran parte del loro volume in seguito a precoci precipitazioni autunnali, ma possono disidratarsi di nuovo durante la trasformazione industriale in olive da mensa; anche la dimensione finale dei frutti può essere influenzata da una limitata produzione di carboidrati. La crescita dei germogli è fondamentale per sostituire il legno vecchio che ha fruttificato e conseguire alte produzioni nell'anno successivo. Lo sviluppo del germoglio nell'olivo, notevole da aprile a giugno, è ridotto da un basso contenuto idrico nel terreno, e può essere usato come un semplice indicatore della disponibilità idrica. Un altro, meno ovvio, effetto della carenza idrica è la riduzione dell'assorbimento dei nutrienti. L'azoto e il potassio, inoltre, possono divenire carenti nei terreni superficiali condotti in regime asciutto o irrigati con volumi insufficienti. Un'irrigazione eccessiva è dannosa per l'olivo come e più di una insufficiente. I suoli con drenaggio insufficiente possono dar luogo a ristagno idrico, che comporta una insufficiente aerazione e favorisce lo sviluppo di patogeni a carico delle radici. Questo si può verificare più di frequente in inverno e all'inizio della primavera, provocando un ridotto sviluppo dei germogli, clorosi fogliare e, nei casi più gravi, la perdita dell'albero. I suoli saturati in acqua nella fase successiva all'allegagione contribuiscono al raggrinzimento del frutto. Gli olivi sofferenti per danni radicali non tollerano bene i freddi invernali, presumibilmente perché accumulano una minore quantità di carboidrati. 45 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Effetti dell'irrigazione Il corretto utilizzo dell'acqua comporta innanzitutto un avvio molto precoce della stagione irrigua, e, in particolare, il mantenimento di elevate disponibilità idriche nel terreno prima, durante e dopo la fioritura; si favorisce così la formazione di fiori "perfetti" (v. cap. 6), si riduce l'aborto dell'ovario e si incrementa la percentuale di allegagione. La tecnica irrigua prevede, poi, di porre particolare attenzione da un lato allo sviluppo dei germogli (indispensabili per la produzione dell'anno successivo), dall'altro alla crescita delle olive; questa segue il modello di sviluppo già riportato nel cap.6, dove particolarmente critico risulta il periodo di fine luglio - primi di agosto sia per l'elevata aridità ambientale che per la concomitante fase di indurimento del nocciolo. Una buona disponibilità idrica durante la maturazione delle drupe, infine, ne influenza il metabolismo aumentando la produzione dei lipidi e diminuendo quella degli zuccheri. In sostanza l'irrigazione fornisce incrementi medi del 30% rispetto alla coltura asciutta, ma non mancano esempi in cui la produzione è stata anche raddoppiata! I risultati di esperienze condotte in Sardegna su una varietà da mensa (Ascolana tenera) e una a duplice attitudine (Olia Manna), segnalano incrementi produttivi anche del 100% accompagnati da un deciso miglioramento delle caratteristiche delle olive; si è inoltre rilevato che il fabbisogno idrico rimane elevato, soprattutto per le olive da mensa, anche in settembre perché i frutti risultano ancora in attivo accrescimento, mentre solo dopo l'invaiatura rallentano il loro sviluppo. Le ricerche hanno dimostrato che il fabbisogno stagionale (di norma dai primi di maggio alla fine di ottobre) di un oliveto adulto da olio si aggira intorno ai 3500 metri cubi d'acqua per ettaro, mentre è pari a circa 1500 m3/ha per un impianto di 2 - 6 anni. Come si dirà più avanti, le condizioni ambientali e l'efficienza del metodo irriguo possono modificare in misura sensibile il fabbisogno. Stima dei fabbisogni idrici Il criterio di base per la stima del consumo di acqua di una coltura agraria è quello del "bilancio idrico", che può essere formulato secondo l'equazione: P + F + I + ∆ = ET + pr + pp dove gli apporti - rappresentati da precipitazioni piovose (P), apporti da falda (F), acqua di irrigazione (I), variazioni della riserva idrica nello strato di terreno esplorato dalle radici (∆) - eguagliano il termine in uscita, costituito dall'acqua dispersa nell'atmosfera per evapotraspirazione dal sistema terreno-pianta (ET) e dalle perdite per ruscellamento superficiale (pr) e percolazione profonda (pp ). Risolvendo l'equazione per il termine I e valutando l'efficienza delle piogge e dell'adacquamento, si ottiene il fabbisogno irriguo con una precisione di stima che dipende dalla accuratezza con la quale vengono calcolati o stimati i singoli termini dell'equazione. Fra questi il più importante è costituito dalle perdite per evapotraspirazione la cui esatta valutazione rappresenta il primo passo per la definizione dei fabbisogni idrici di un oliveto e quindi per gestire correttamente un programma di irrigazione. Concetto di evapotraspirazione Il flusso evapotraspirativo è caratterizzato da due processi fondamentali: il passaggio dell'acqua dallo stato liquido a quello di vapore e la diffusione del vapore acqueo dalla superficie vegetale all'atmosfera circostante. La fonte di energia che consente il passaggio di stato è la radiazione solare, mentre la diffusione del vapore acqueo verso l'atmosfera è determinata da temperatura e umidità dell'aria e dal vento. L'esatta conoscenza dei valori di queste grandezze meteorologiche consente quindi di effettuare stime accurate del flusso evapotraspirativo. In considerazione delle difficoltà di effettuarne una misura diretta nei diversi ambienti, la determinazione dei valori di evapotraspirazione dal punto di vista operativo si basa essenzialmente su elaborazioni delle grandezze meteorologiche coinvolte, con successivi adattamenti che tengono conto delle condizioni della coltura in esame (fase del ciclo, età delle piante, densità d'impianto, etc.), attraverso una procedura che si articola in due fasi distinte. Evapotraspirazione di riferimento Il primo passo è la determinazione dell'evapotraspirazione di riferimento (ETo) definita come la quantità di acqua dispersa nell'atmosfera, per evaporazione dal suolo e traspirazione della vegetazione, da una coltura standard i cui processi fisiologici non siano limitati dalla disponibilità idrica e sia esente da altri fattori di stress. 46 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Considerando costanti le caratteristiche dell'ipotetica vegetazione, l'ETo varia perciò esclusivamente in funzione delle condizioni meteorologiche e il suo valore può essere considerato come un'espressione della domanda evapotraspirativa dell'atmosfera. La coltura di riferimento, schematicamente, ha le seguenti caratteristiche: una copertura completa del suolo, un'altezza uniforme di 12 cm, un albedo (rapporto tra l'energia solare riflessa dalla vegetazione e quella incidente) di 0,23 ed una resistenza al flusso di vapore che attraversa gli stomi di 70 s m-1 (il parametro esprime la velocità con la quale il vapore acqueo fuoriesce dagli stomi). In pratica essa è assimilabile ad un prato di ampia estensione di una specie autunno-vernina con caratteristiche geometriche ed ecofisiologiche simili al loietto (Lolium perenne L.) o alla festuca (Festuca arundinacea Schrab). Sono stati proposti diversi metodi di calcolo dell'evapotraspirazione di riferimento, dai più semplici ed immediati, basati sulla misura dell'evaporazione dell'acqua contenuta in un'apposita vasca, ad altri, cosiddetti "climatici", che si basano su relazioni con differenti parametri meteorologici. Tra questi ultimi si annoverano metodi con diversi livelli di complessità, passando da semplici relazioni basate sulla sola temperatura a sistemi decisamente più complessi che elaborano i dati orari di più parametri meteorologici e stimano il flusso dell'evapotraspirazione. Uno dei metodi di stima sino a pochi anni fa più popolari e diffusi è quello della vasca evaporimetrica che, come sopra accennato, è basato sulla semplice relazione di proporzionalità fra l'acqua che evapora da una vasca di opportune dimensioni e il flusso evapotraspirativo della coltura di riferimento. Il più conosciuto è indubbiamente quello che utilizza la cosiddetta vasca evaporimetrica di classe A. Per quanto questo metodo sia poco costoso e relativamente semplice da gestire, l'esperienza ha mostrato come la sua affidabilità sia piuttosto scarsa. Infatti la proporzione tra acqua evaporata ed evapotraspirazione di riferimento non è costante, ma varia in funzione delle condizioni meteorologiche locali, delle superfici che circondano la vasca, della sua ubicazione e della sua esposizione. Per tali ragioni e per le difficoltà di manutenzione, il metodo della vasca evaporimetrica attualmente tende ad essere accantonato in favore degli altri metodi "climatici". Questi sono basati sulla misura delle grandezze meteorologiche che determinano l'entità del flusso traspirativo e pur essendo più complessi in termini di disponibilità dei dati di base e di difficoltà di calcolo, oggi possono essere più facilmente applicati anche grazie a nuove tecnologie di misura ed elaborazione dei dati. Essi richiedono una disponibilità aggiornata di dati meteorologici e la necessità di strumenti di calcolo adeguati, fattori che fino ad alcuni anni fa ne hanno ostacolato l'impiego per finalità di assistenza all'irrigazione. In tempi recenti, in Sardegna, è stato istituito il Servizio Agrometeorologico Regionale con lo scopo, tra gli altri, di fornire informazioni ed elaborazioni finalizzate all'assistenza all'irrigazione, quali i valori dell'evapotraspirazione per le diverse colture. Grazie alla installazione di una rete di stazioni meteorologiche distribuite nei principali comprensori agricoli del territorio isolano, il centro operativo acquisisce quotidianamente i parametri meteorologici più significativi ed applica i metodi di calcolo più validi. Alla luce delle sperimentazioni eseguite negli ultimi decenni si può affermare che i "metodi combinati", basati sulla modellizzazione fisica del processo evapotraspirativo (considerano sia l'energia richiesta per il passaggio di stato dell'acqua, sia tutti i meccanismi che consentono la rimozione del vapore acqueo dalla vegetazione) pur presentando maggiori difficoltà applicative, forniscono in generale stime più accurate e possono essere impiegati su scala giornaliera. Nella tabella 8.2 vengono elencati parametri meteorologici necessari all'applicazione dei singoli metodi, e gli intervalli di tempo minimi raccomandati. Metodo T RH u Penman (1963) * * * FAO Penman corretto * * * Rg * Rn G * * Intervallo di tempo N Giornaliero * Giornaliero Giornaliero o orario FAO Penman (c=1) * * * * Penman-Monteith * * * * * Giornaliero o orario Priestley-Taylor * * * * 10 giorni FAO Radiazione * * Hargreaves * FAO Blaney-Criddle * * * * * 10 giorni * 10 giorni * 5 giorni 47 Tabella 8.2 - Parametri meteorologici necessari per l'applicazione dei metodi di stima dell'Eto. (T temperatura dell'aria, RH umidità relativa dell'aria, u velocità del vento, Rg radiazione solare globale, Rn radiazione netta, G densità di flusso di calore nel suolo, N durata del giorno), ed intervalli di tempo minimi raccomandati per l'applicazione. Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Tra i diversi metodi elaborati nel corso degli ultimi anni, il metodo Penman-Monteith rappresenta attualmente la formula più valida per la stima dell'ETo e la stessa FAO lo considera come modello di riferimento per il calcolo dell'evapotraspirazione poiché è in grado di stimare con una buona precisione l'ETo in diverse condizioni ambientali. Evapotraspirazione della coltura Il criterio più diffuso per la determinazione dell'evapotraspirazione di una data coltura (ETc), come precedentemente accennato è rappresentato dal cosiddetto approccio a "due fasi". Nella prima fase si determina l'evapotraspirazione di riferimento, nella seconda viene individuato un coefficiente colturale (Kc) che incorpora e sintetizza, per una coltura i cui processi produttivi e di crescita non siano limitati dalla disponibilità idrica, tutti gli effetti sull'evapotraspirazione derivanti dalle caratteristiche morfo-fisiologiche della specie tenendo conto della fase fenologica e del grado di copertura del suolo. Il risultato del calcolo è rappresentato perciò dal semplice prodotto dei due termini, in un dato intervallo di tempo, vale a dire ETc = ETo x Kc. I valori del Kc variano al variare delle condizioni climatiche dell'agroecosistema (quindi a livello territoriale), fatto questo che impone una certa cautela al momento di selezionare i valori più appropriati per l'ambiente in esame. Nel caso dell'olivo i valori dei Kc (tabella 8.3) risentono delle caratteristiche xerofile della specie che determinano una ridotta traspirazione fogliare. I valori riportati in tabella si riferiscono ad un oliveto adulto, con alberi la cui chioma "copre" circa il 60% del terreno; nel caso si dovesse applicare il Kc ad oliveti giovani occorre ridurre proporzionalmente i valori proposti, al fine di adattarli al minore grado di copertura, così come riportato nella figura 8.1. Figura 8.1 Nomogramma per la riduzione dei coefficienti colturale in funzione della copertura vegetale. Nella tabella 8.4 sono riportati i valori dell'evapotraspirazione dell'olivo per ventidue importanti comprensori agricoli dell'Isola, ottenuti mediante l'applicazione del metodo di stima esposto precedentemente, con riferimento ai dati meteorologici rilevati dalle stazioni del Servizio Agrometeorologico Regionale nel periodo 1995-2000. I consumi idrici annuali dell'olivo risultano, come media "regionale", pari a circa 5.500 m3/ha, mentre quelli riferibili alle stagioni irrigue "aprile - ottobre" ovvero "maggio - ottobre" risultano prossimi nell'ordine a 4.400 e 4.000 m3/ha; i consumi annui più elevati si registrano in provincia di Nuoro (sono state utilizzate numerose stazioni litoranee, tra le quali spicca S. Teodoro con 614 mm/anno), mentre quelli stagionali sono maggiori in provincia di Cagliari. I consumi di punta si registrano nel mese di luglio con i valori più elevati nelle aree meridionali: fabbisogno giornaliero di Samassi pari a 3,3 mm/giorno, cioè 80 - 100 litri al giorno per albero durante il mese di luglio degli ultimi sei anni (dando per scontata l'assenza di piogge "efficaci", come d'altronde avviene di frequente nel mese di luglio). I consumi di punta costituiscono un importante parametro progettuale per il dimensionamento dell'impianto irriguo la cui portata deve poter soddisfare nei momenti critici le esigenze della coltura; d'altra parte l'utilizzo di questi valori, benché consenta di realizzare un impianto perfettamente rispondente alle esigenze dell'oliveto, innalza in misura notevole il costo dell'impianto. Pertanto si suggerisce di utilizzare come dato progettuale un valore pari al 75% del consumo di punta. Per quanto attiene i consumi stagionali, che possono sembrare elevati, è bene ribadire che questo è il volume d'acqua che esclude la possibilità di incorrere in stati di stress idrico anche molto lievi, e che ad esso devono ancora essere sottratte le piogge "efficaci" per ottenere il fabbisogno irriguo. 48 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Piogge efficaci ed evapotraspirazione reale Una volta stimati i consumi, la determinazione degli effettivi fabbisogni irrigui di una coltura richiede la quantificazione degli apporti naturali che (se si prescinde da eventuali falde subsuperficiali, in verità poco diffuse negli ambienti di coltivazione dell'olivo) sono rappresentati in prevalenza dalle piogge. Infatti l'olivo, e in particolare modo alcune cultivar, sono capaci di assorbire vapore acqueo attraverso le foglie, soprattutto in presenza di elevati valori di umidità relativa dell'aria e di intensi stati di stress idrico; la difficoltà di determinare questi contributi e la riduzione dell'ETo in presenza di alta umidità relativa dell'aria suggerisce di non tenerne conto durante l'esecuzione del calcolo. Per quanto riguarda le precipitazioni, si sottolinea che gli apporti di pioggia non vengono integralmente trattenuti nello strato esplorato dalle radici e pertanto non contribuiscono nella loro interezza ad integrare le disponibilità idriche; bisogna perciò misurare o stimare la frazione delle piogge realmente "efficaci". Diverso infatti è il comportamento dell'acqua piovana in relazione al grado di copertura del terreno da parte della coltura, alla permeabilità del terreno ed al suo contenuto idrico. Infatti quando eventi piovosi di una certa consistenza si succedono in tempi ravvicinati (o quando la pioggia segue un'irrigazione abbondante) l'acqua in eccesso viene perduta per percolazione profonda o ruscella sulla superficie, e non può pertanto rientrare nell'ammontare di acqua accumulata nel terreno. In linea di massima le piogge efficaci vengono stimate valutando la riserva utile del suolo prima e dopo l'evento piovoso o quantificando l'entità dei processi di ruscellamento e percolazione. Un'ipotesi di stima dell'acqua infiltrata è presentata nel paragrafo concetto di evapotraspirazione. La differenza tra i consumi e le "piogge efficaci" consente di stimare l'effettivo fabbisogno irriguo della coltura, cioè quel volume d'acqua che massimizza l'evapotraspirazione e la produzione di sostanza secca. Poiché la risposta produttiva dell'olivo ad apporti crescenti d'acqua diviene, superati certi livelli, meno che proporzionale ad ogni ulteriore incremento nei volumi irrigui, di norma non è conveniente spingersi con l'irrigazione sino a soddisfare in pieno i consumi riportati in tabella 4; si deve, piuttosto, rendere più elevata possibile l'efficienza dell'uso dell'acqua ("Water Use Efficiency", WUE) che è la quantità di prodotto commerciale (in genere indicata nei manuali con Y) ottenuta per ogni unità di acqua apportata. Se, ad esempio, un oliveto di un ettaro produce 8 tonnellate di olive in seguito all'apporto di 3.500 m3/ha di acqua, ne consegue un WUE di 2,29, cioè 2,29 kg di olive per ogni m3 di acqua ovvero 436 litri per kg di olive. Qualora l'olivicoltore decidesse di "forzare" l'irrigazione spingendo i volumi irrigui sino a 4.000 m3/ha per ottenere ulteriori 500 kg/ha di incremento produttivo, il valore di WUE scenderebbe a 2,13. Quindi l'efficienza dell'uso dell'acqua è diminuita. Non è facile determinare quanto convenga "forzare" l'oliveto con apporti elevati di acqua (e conseguentemente di fertilizzanti, fitofarmaci, interventi cesori, ecc.) perché il punto di massima convenienza dipende da molti fattori; nell'esempio precedente, se l'agricoltore pagasse l'acqua irrigua un tanto ad ettaro coltivato (e non invece in base ai reali consumi, situazione frequente nei comprensori irrigui della Sardegna ancora privi di "contattori" aziendali dell'acqua), a prescindere da ogni altra considerazione troverà conveniente spingersi sino ai 4.000 m3/ha per ottenere 8,5 t/ha di olive. Pertanto la decisione non può che essere affidata all'imprenditore che terrà conto del costo dell'acqua e del valore della produzione, di eventuali costi energetici per mettere in pressione l'acqua, dei costi di raccolta, dell'influenza del volume irriguo sulle caratteristiche merceologiche delle olive (aspetto importante per quelle da mensa), ecc. Esperienze condotte in Sardegna hanno dimostrato che il valore più elevato di WUE si ottiene apportando volumi irrigui prossimi al 70% dei consumi teorici massimi, cioè al 70% dell'ETc. Poiché molto di frequente risulta conveniente non "forzare" la coltura e, quindi, non restituire integralmente l'ETc, si deve introdurre il concetto di consumo reale di acqua da parte della coltura; questa quantità è indicata come "evapotraspirazione effettiva o reale o attuale"; tende ad affermarsi nei manuali tecnici, anche italiani, l'uso del termine ETa sempre derivante dalla dizione anglo americana "actual". Pianificazione irrigua Il passo successivo consiste nel definire il turno (cioè l'intervallo di tempo intercorrente tra un'adacquata e l'altra) e il volume d'acqua da apportare con ogni singolo intervento. Purtroppo non risultano a tutt'oggi disponibili dei metodi che uniscano, a una sufficiente attendibilità, semplicità d'impiego e basso costo; infatti il turno e il volume irriguo sono il più delle volte decisi dall'olivicoltore in base alla propria esperienza personale. Ma a causa degli aumenti del costo dell'acqua, della sua diminuita disponibilità e degli alti prezzi dell'energia, il sistema di gestione dell'oliveto necessita allo stato attuale di una programmazione dell'irrigazione basata su precise valutazioni tecnico agronomiche. 49 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Ci sono differenti approcci per migliorare la pianificazione irrigua. Il più semplice consiste nel monitorare manualmente i livelli di umidità del terreno semplicemente affidandosi a sensazioni tattili come da sempre fanno gli agricoltori esperti; la stima può essere facilitata dal ricorso a trivelle e attrezzi similari. Questa strategia, se applicata in modo regolare, può risultare efficace nel decidere il momento dell'intervento irriguo. Una tecnica simile consiste nel determinare per "doppia pesata" il contenuto in acqua del terreno, prima e dopo l'essicazione a 105°C in stufa; poiché richiede la disponibilità di una bilancia analitica e di una stufa ventilata da laboratorio risulta idoneo più per l'assistente tecnico che per l'olivicoltore. L'impiego di tensiometri, capaci di misurare il vuoto formatosi all'interno di una cannula in materiale plastico a seguito della cessione di acqua al terreno, è possibile solo con valori di umidità del terreno molto elevati e, pertanto, pressoché inutilizzabile. Tutte queste metodiche possono anche essere utilizzate per stimare la quota di pioggia assorbita dalla zona radicale (piogge efficaci). Volumi e, soprattutto, turni possono essere determinati anche attraverso la valutazione dello stato idrico della coltura; questi metodi sono, però, utilizzati soprattutto a livello di ricerca e sperimentazione: camera a pressione e pistola all'infrarosso, ad esempio, che misurano nell'ordine la tensione dell'acqua nei tessuti fogliari e la temperatura della chioma. Un'altra possibilità consiste nello stimare l'uso dell'acqua da parte della coltura, come discusso in precedenza, e quindi irrigare sino ad eguagliare le richieste secondo il metodo del bilancio idrico; questa procedura, che si va affermando nelle aree ad agricoltura evoluta degli ambienti aridi e sub umidi, è appunto capace di rispondere alle due più importanti domande per un'irrigazione efficiente: quando irrigare e quanta acqua distribuire. I risultati del bilancio, in genere di portata territoriale, dovranno poi essere periodicamente controllati a livello di singola azienda valutando saltuariamente il contenuto in acqua del terreno con le tecniche descritte. Determinazione del contenuto di acqua disponibile Come detto, la compilazione del bilancio richiede la conoscenza delle variazioni della riserva idrica nello strato di terreno esplorato dalle radici, parametro di grande utilità anche a livello aziendale per gestire al meglio la risorsa acqua. La capacità del terreno di immagazzinare acqua dipende soprattutto dalla sua tessitura: suoli a tessitura fine trattengono più acqua di quelli a tessitura grossolana. La capacità di un terreno di incamerare acqua utile per la pianta è definita da tre termini detti "costanti idriche". Il primo, la Capacità Idrica Massima, coincide con la quantità di acqua contenuta in un terreno sommerso e, in prima approssimazione, con gli spazi vuoti presenti nel terreno (la porosità); la CIM è pari a un contenuto di acqua del 35 - 40% , e del 60 - 80% in peso nei terreni sabbiosi e argillosi nell'ordine. La seconda costante è rappresentata dalla Capacità Idrica di Campo (CIC o FC, field capacity), cioè dall'acqua che rimane nel suolo 2 o 3 giorni dopo che è stato saturato e rappresenta la quantità di acqua che un terreno può trattenere senza apprezzabili perdite dovute alla percolazione; si definisce "acqua gravitazionale" quella che la forza di gravità riesce ad allontanare e "acqua capillare" quella trattenuta. La CIC è pari a un contenuto di acqua del 10 - 15% , e del 25 - 30% in peso nei terreni sabbiosi e argillosi nell'ordine. Il terzo termine è il "punto (o coefficiente) di appassimento permanente" (PAP o PWP, permanent wilting point), contenuto di umidità presente nel terreno quando la pianta non riesce più ad assorbire acqua perché la stessa è trattenuta con tanta forza che una normale coltura (ma non una specie xerofita come l'olivo) non può estrarla; il PWP è pari a un contenuto di acqua dell'1 - 3% , e del 10 - 15% in peso nei terreni sabbiosi e argillosi nell'ordine. L'intervallo di umidità compreso tra la Capacità Idrica di Campo e il Coefficiente di Appassimento rappresenta l'acqua che la coltura può sottrarre con relativa facilità al terreno; esso è definito come "contenuto di acqua disponibile" (CAD o AWC, Available Water Content) e può essere espresso come mm di acqua contenuti in un metro di profondità di suolo. Questo valore può essere ottenuto moltiplicando per 10 la percentuale in volume dell'acqua disponibile; poiché l'AWC può essere ritenuta pari, nell'ordine per terreni sabbiosi, franchi e argillosi, a 8, 17 e 23% in volume, è facile dedurre che il primo metro di suolo (con un contenuto di umidità pari alla capacità di campo) può mettere a disposizione della coltura 80, 170 e 230 mm di acqua, e che quindi l'ettaro ha una riserva d'acqua pari a 800, 1.700 e 2.300 m3 nell'ordine. La tabella 8.5 fornisce una stima dell'AWC per terreni con diversa tessitura. 50 Tabella 8.3 - Coefficienti colturali dell'olivo. (Fonte: FAQ, 2000 - Irrigation and Drainage Paper 56) Mese Kc Gennaio 0,50 Febbraio 0,50 Marzo 0,65 Aprile 0,60 Maggio 0,55 Giugno 0,50 Luglio 0,45 Agosto 0,45 Settebre 0,55 Ottobre 0,60 Novembre 0,65 Dicembre 0,50 Tabella 8.4 - Valori medi mensili dei consumi idrici (ETc) stimati impiegando i dati meteorologici del periodo 1995-2000 (ETo da Penman-Monteith) STAZIONE Stagione irrigua gen feb mar apr mag giu lug ago set ott nov dic anno Olmedo 16,4 21,1 34,7 43,6 63,2 76,0 86,5 76,7 54,1 27,5 21,0 15,7 537 384 Sorso 20,9 24,0 38,1 47,5 63,7 73,4 84,0 73,2 54,9 37,3 26,2 19,8 563 387 Putifigari 19,4 20,4 35,4 43,7 64,6 78,1 92,3 79,9 55,8 35,4 21,9 13,9 561 406 Bonnanaro 16,3 19,9 34,9 43,5 61,8 73,8 87,6 76,6 53,2 32,1 18,9 14,4 533 385 Berchidda 12,6 18,5 31,3 40,4 59,5 71,7 81,9 69,9 48,9 29,8 14,7 10,9 490 362 Media Prov. SS 17,1 20,8 34,9 43,7 62,6 74,6 86,5 75,3 53,4 32,4 20,5 14,9 537 385 Jerzu 15,7 23,2 34,5 45,7 58,8 74,6 84,1 70,9 49,0 32,7 19,2 16,4 525 370 Modolo 20,0 21,0 35,0 44,3 63,7 72,8 83,4 76,3 54,5 34,4 22,9 18,2 547 385 Nuoro 12,8 17,8 31,3 40,0 55,8 68,7 82,4 68,8 46,8 28,0 14,7 10,1 477 351 Nurallao 16,7 22,0 37,8 45,1 63,9 80,4 97,0 88,4 59,6 38,2 20,0 15,5 585 428 Oliena 15,9 23,0 35,4 44,8 63,3 76,5 90,3 74,8 53,6 33,4 20,2 15,8 547 392 Bitti 14,6 18,8 36,2 39,9 61,5 84,8 96,4 88,4 56,8 40,1 16,8 11,9 566 428 Orosei 19,1 22,7 38,7 45,1 58,8 69,8 82,0 70,2 54,3 36,0 25,2 19,9 542 371 San Teodoro 22,2 30,6 40,8 51,1 64,1 80,7 93,4 78,6 59,4 41,4 27,7 24,1 614 418 Media Prov. NU 17,1 22,4 36,2 44,5 61,2 76,0 88,6 77,1 54,3 35,5 20,8 16,5 550 393 Provincia di Sassari Provincia di Nuoro Provincia di Oristano Allai 10,7 16,8 28,7 38,5 56,5 66,5 73,4 64,2 44,0 27,4 14,4 10,2 451 332 Milis 20,7 23,1 37,4 47,1 70,1 81,9 97,2 88,8 61,1 39,0 22,0 17,8 606 438 Scano di Montiferro 19,1 17,9 32,6 39,9 58,2 70,9 86,7 80,4 51,0 33,7 19,6 15,3 525 381 Media Prov. OR 16,8 19,3 32,9 41,8 61,6 73,1 85,8 77,8 52,0 33,4 18,7 14,4 528 384 Samassi 20,0 24,0 39,4 47,3 69,6 83,2 102,0 90,8 61,3 41,2 23,1 16,3 618 448 Sardara 19,2 22,9 36,8 45,7 68,7 84,7 100,3 91,5 61,8 42,8 23,0 15,9 613 450 Villacidro 14,9 20,3 35,3 44,4 64,0 74,8 89,2 75,9 50,6 33,3 19,4 13,1 535 388 Siurgus Donigala 14,9 20,8 32,8 42,1 60,8 75,6 97,5 85,5 55,1 34,4 17,4 12,5 549 409 Dolianova 15,7 21,3 36,3 45,8 64,8 75,6 86,0 73,9 48,3 30,2 16,4 13,0 527 379 Guasila 16,8 20,6 33,8 44,0 66,3 76,7 90,9 81,2 55,1 35,0 20,0 14,3 555 405 Media Prov. CA 15,8 20,9 34,3 44,0 64,0 76,0 91,5 80,2 52,8 33,2 17,9 13,3 544 398 Media Sardegna 17,0 21,4 35,3 44,1 62,8 76,0 89,3 78,4 54,1 34,7 20,2 15,2 548 395 Provincia di Cagliari Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Tessitura del terreno Campi di variazione (mm/m) Acqua disponibile (mm/m) Grossolana sabbiosa 42-104 75 Franco sabbiosa 104-146 125 Franco limoso argillosa 125-192 158 Argillosa 133-208 175 Tabella 8.5 - Valori del contenuto in acqua disponibile per terreni di differente tessitura. La minore capacità di immagazzinamento dei suoli sabbiosi rispetto a quelli limosi e limo argillosi è dovuta sia alla loro ridotta porosità totale sia alla maggiore dimensione dei singoli pori; ciò si traduce in una minore capacità di trattenere l'acqua che quindi può essere prelevata con facilità dalle radici della pianta ma con altrettanta facilità allontanata dalla forza di gravità. I suoli argillosi possiedono una alta porosità totale e trattengono molta acqua, tuttavia, un'alta percentuale dei loro pori sono piccoli e quindi capaci di trattenerla con forza. Usando i valori medi riportati in tabella o citati nel testo, l'agricoltore può ottenere una stima grossolana dell'acqua totale disponibile per i suoi oliveti moltiplicando l'AWC del suo terreno per la profondità della zona radicale. Pare opportuna un'esemplificazione per chiarire la procedura di calcolo; come riportato in tabella 5, un terreno di tessitura franco sabbiosa con un'umidità pari alla capacità di campo trattiene, nel primo metro di suolo, una quantità di "acqua facilmente disponibile" pari a 125 mm (1.250 m3/ha), e se si ritiene che le radici esplorino il terreno per una profondità pari a 1,2 m, si dovrebbero apportare 150 mm di acqua (125 mm/m x 1,2 m) per ricostituire la riserva idrica del suolo se l'iniziale contenuto d'acqua fosse stato pari al punto di appassimento permanente. L'olivicoltura intensiva irrigua consente di sottrarre la coltura alle limitazioni produttive di stress così severi in quanto la forza di suzione richiesta alle radici aumenta all'allontanarsi del contenuto idrico del terreno dalla capacità di campo. Questo è dovuto al fatto che prima che l'acqua sia estratta - dapprima dai pori più grandi, quindi da quelli più piccoli - i pori assumono due funzioni: immagazzinamento e conduzione dell'acqua che si muove tra il suolo e le radici della pianta. I pori piccoli trattengono meno acqua, e la trattengono con maggiore forza; pertanto la conduzione verso le radici è più lenta. Insieme, questi fattori limitano l'assorbimento dell'acqua man mano che il suolo si asciuga. Questo meccanismo rallenta lo sviluppo della coltura prima che l'intera zona radicale raggiunga il punto di appassimento. Si tratta, quindi, di riesaminare, alla luce di quanto detto nel paragrafo precedente a proposito dell'efficienza dell'uso dell'acqua, quale grado di esaurimento della riserva idrica sia ammissibile o conveniente. Esso dipende da diversi fattori che includono la profondità delle radici, la tessitura del suolo, il tempo meteorologico e la stagione, nonché il costo dell'acqua e il valore del prodotto. Per la definizione del turno, e quindi del momento di intervento, di norma si suggerisce di irrigare quando l'umidità del terreno è scesa al 50% dell'acqua disponibile; questa frazione, indicata come "acqua facilmente disponibile", risulta quindi pari alla metà di AWC. Pertanto, nel precedente esempio si dovrebbe intervenire quando l'ETc cumulata indica che sono stati usati 75 mm (150 x 0.5) a partire dall'ultimo intervento. Nei periodi più sensibili allo stress, come durante la fioritura e l'accrescimento del frutto, gli olivicoltori dovrebbero mantenere l'acqua disponibile su valori del 60 - 70%. I concetti di acqua disponibile sono importanti soprattutto per i sistemi di irrigazione di superficie (solchi, conche) e ad aspersione (pioggia) poiché l'irrigazione localizzata (goccia, microspruzzatori) è progettata per reintegrare l'ETc con intervalli che vanno dal giornaliero al settimanale, senza che il terreno sia usato come un serbatoio di accumulo e conservazione dell'acqua irrigua. Efficienza di applicazione e metodi irrigui Quanto precedentemente detto ci consente di stimare il tempo che deve trascorrere tra un'irrigazione e la successiva e la quantità di acqua richiesta per ripristinare la riserva idrica del terreno. L'ultimo fattore di cui l'olivicoltore e il tecnico devono preoccuparsi per concludere il calcolo del fabbisogno irriguo, consiste nel valutare la cosi detta "efficienza di applicazione", termine che comprende sia l'efficienza idrica del metodo irriguo utilizzato, sia le diverse perdite imputabili alle condizioni di ventosità e alle tecniche di gestione dell'acqua. EA è definita come la percentuale di acqua applicata con l'irrigazione che è conservata nella zona radicale, e pertanto disponibile per l'uso da parte della coltura; essa è strettamente correlata con l'uniformità di distribuzione dell'acqua nell'oliveto. 51 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro L'irrigazione può essere realizzata con modalità molto diverse, e l'individuazione del metodo ottimale non è possibile se non in riferimento alle singole aziende olivicole. In generale si può affermare che i metodi irrigui sono molto cambiati dagli Anni Cinquanta a oggi, soprattutto sotto la spinta dei crescenti costi della manodopera, dell'acqua e della sempre minore disponibilità idrica. La tradizionale irrigazione "a solchi" e "a conche" si caratterizza per la necessità di una perfetta sistemazione del terreno, esigenza che ne limita l'impiego ai soli oliveti pianeggianti e ne eleva i costi di gestione; inoltre l'efficienza del metodo è modesta perché molta acqua si perde per evaporazione e per infiltrazione profonda nel terreno, tanto che si calcola che su 100 litri distribuiti solo 70÷80 e 65÷75 arrivino agli apparati radicali rispettivamente per le conche e i solchi. L'impiego di acque relativamente salmastre non è consigliabile perché i sali si depositano alla superficie del terreno dopo che l'acqua evapora, e si infiltrano con la successiva adacquata; anche il controllo delle erbe infestanti è reso difficile per la presenza di solchi, arginelli e conche. Potrebbe risultare ancora conveniente nel caso di aziende di piccole dimensioni a conduzione diretta, ben dotate in acqua a basso costo e con suoli dotati di buona capacità di ritenzione idrica. L'irrigazione a pioggia (aspersione sopra e sottochioma) svincola l'azienda dalla perfetta sistemazione del terreno e ne consente l'introduzione anche in collina; è, inoltre, possibile limitare l'impiego di manodopera e migliorare l'efficienza di uso dell'acqua (75-85%); il soprachioma comporta maggiori perdite d'acqua sia perché vengono bagnate le chiome che per la maggiore sensibilità all'azione dei venti. Consente, tuttavia, di distribuire insieme all'acqua fertilizzanti fogliari e fitofarmaci, e di abbassare rapidamente la temperatura delle foglie (irrigazione climatizzante). Richiede, inoltre, l'impiego di pressioni maggiori rispetto al sottochioma e quindi più elevati costi energetici, e non favorisce l'utilizzo di acque relativamente salmastre perché i sali si depositerebbero sulle foglie dopo l'evaporazione dell'acqua; d'altra parte la maggiore gittata degli erogatori consente di ridurne il numero con parziali economie e minori ostacoli al movimento delle macchine all'interno dell'oliveto. Sia il sopra che il sottochioma risultano parzialmente automatizzabili con valvole e/o timer consentendo un'ulteriore riduzione di manodopera. In sintesi pochissimo utilizzato risulta il soprachioma, mentre il sottochioma trova buone possibilità d'impiego nelle aziende di dimensioni medio-grandi, ben dotate di acqua e dove la stessa sia posta sotto pressione (almeno 3 atmosfere) a monte dell'azienda (come nel caso di Consorzi di Bonifica, laghetti collinari con conseguente pressione per caduta naturale, ecc.). L'irrigazione localizzata, o a basso volume o microirrigazione, rappresenta comunque il metodo irriguo oggi preferito (fig. 8.2); consente, infatti, di: operare anche su terreni non sistemati; ridurre in misura cospicua i costi di gestione; incrementare l'efficienza di applicazione sino all'85-95%; mantenere su valori ottimali lo stato idrico della coltura; limitare lo sviluppo delle erbe infestanti; distribuire i concimi insieme all'acqua (fertirrigazione); utilizzare acque relativamente salmastre. Figura 8.2 Principali tipi di erogatori per apparati localizzati. Classico esempio di microirrigazione è la goccia, caratterizzata da erogatori con portate comprese tra 2 e 8 litri per ora distribuiti in numero di 2-4 intorno alla pianta. 52 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro L'impiego di un maggior numero di gocciolatoi è da preferirsi per le piante adulte, soprattutto se in precedenza non irrigate ovvero irrigate a solchi o a pioggia; il posizionamento di 4 (più raramente 8) gocciolatoi per pianta si può ottenere o disponendo due ali gocciolanti per albero (ciascuna con 2-4 gocciolatoi in prossimità del tronco) ovvero interrompendo l'ala a monte di ogni pianta e giuntandola con un raccordo a T al fine di ottenere un anello di erogatori intorno al tronco. Se, poi, la linea adacquatrice corre interrata al centro del filare e da essa si dipartono (in corrispondenza di ciascuna coppia di piante) due spezzoni che fuoriescono dal suolo in prossimità del tronco, l'anello portante i gocciolatoi risulta sollevato da terra e prende il nome di "minigonna". L'interramento dell'ala adacquatrice al centro del filare, con derivazioni che raggiungono le singole piante, può anche prevedere l'impiego di microspruzzatori; in tal caso l'ala avrà un diametro non inferiore ai 25 millimetri e sullo spezzone finale che serve la singola pianta sarà montato un tratto di tubo lungo 50-100 cm recante 2-4 microjet (irrigazione "a baffo", fig. 8.3) Figura 8.3a - Figura 8.3b - Il ricorso al Immagine "baffo" consente di ravvicinata del "baffo". espandere il fronte di umidità nel terreno. Il sempre più frequente ricorso all'interramento delle ali adacquatrici ovvero alla loro sospensione alle prime branche delle piante o al di sopra delle chiome col ricorso a una struttura di pali e fili metallici (fig. 8.4), sono motivati dalla libera circolazione dei mezzi meccanici che non risultano limitati nei loro movimenti dalla presenza dell'impianto di irrigazione. Figura 8.4 - La sospensione delle ali adacquatrici agevola la circolazione dei mezzi meccanici. Di norma si consiglia di realizzare ali gocciolanti di lunghezza non superiore a 100 metri, perché le perdite di carico (riduzione della pressione dell'acqua e, quindi, della portata dei gocciolatoi) comporterebbero forti differenze nella quantità di acqua che fuoriesce dal primo ovvero dall'ultimo gocciolatoio; per lo stesso motivo è opportuno posizionare in testa alle ali adacquatrici dei regolatori di portata e, nelle situazioni più difficili (aree collinari dove la pendenza aumenta la portata del gocciolatoio posto a valle) utilizzare erogatori autocompensanti, cioè capaci di mantenere costante la loro portata anche al variare della pressione. Qualità dell'acqua Ora non rimane che da sottolineare l'importanza della qualità dell'acqua utilizzata per irrigare; ci si riferisce in modo particolare al fenomeno della salinità, cioè alla sempre più diffusa presenza di falde e pozzi con acque ricche di sali. Infatti i sempre più frequenti periodi di aridità e i crescenti consumi di acqua hanno favorito sia un eccessivo sfruttamento delle falde sotterranee dolci che poggiano su falde salate che un costante incremento delle ricerche idriche mediante perforazione nelle aree litoranee. La salinità dell'acqua è molto pericolosa per tutte le colture, anche se alcune resistono più di altre: cotone, barbabietola e lattuga tra le erbacee; olivo, vite su americano 1103 P e agrumi su mandarino "Cleopatra" tra le arboree. L'olivo, quindi, conferma anche sotto questo particolare aspetto la sua rusticità e capacità d'adattamento. 53 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro La salinità dell'acqua è misurata, nei laboratori d'analisi, facendo passare un flusso di corrente elettrica nel liquido: maggiore sarà il suo contenuto salino, più facilmente la corrente attraverserà l'acqua; questo parametro prende il nome di "conducibilità elettrica dell'acqua" (ECw) ed è espresso sia come millisiemens per centimetro (mS/cm) sia come mmho/cm a 25°C. È, poi, sufficiente moltiplicare la conducibilità, espressa in mS/cm, per 0,7 per ottenere il contenuto per mille di sali disciolti nell'acqua (il "residuo fisso"). L'acqua a uso irriguo può essere, così, divisa in quattro categorie: C1: salinità bassa, inferiore a 0,16 ‰ -> 0,16 g/l (EC=0,10÷0,25 mS/cm); C2: salinità media, inferiore a 0,48‰ -> 0,48 g/l (EC=0,25÷0,75 mS/cm); C3: salinità alta, fino a 1,44‰ -> 1,44 g/l (EC=0,75÷2,25 mS/cm); C4: salinità molto alta, fino a 3,20‰ -> 3,20 g/l (EC=2,25÷5,00 mS/cm) Una più completa trattazione dell'argomento richiede, però, che sia anche chiarita la natura e l'origine della salinità che può essere dovuta alla presenza di diversi sali: di sodio, molto pericolosi, di magnesio, di calcio. Più in particolare si deve stimare il rapporto esistente nell'acqua fra l'elemento più dannoso, il sodio, e gli altri due elementi, cioè il cosiddetto SAR (Sodium Adsorption Ratio): Pertanto l'acqua di irrigazione deve essere valutata sia sotto il profilo della salinità che della sodicità; tra le tante classificazioni proposte, quella dell'USSL (U.S. Salinity Laboratory, 1954) ha avuto notevole diffusione; essa propone di suddividere l'acqua irrigua in quattro classi di salinità e quattro di sodicità riportate in tabella 8.6. CLASSI RISCHIO DI SALINITA' RISCHIO DI SODICITA' prima (C1, S1) Si possono usare senza particolari cautele tranne che nei suoli argillosi dove, col tempo, si può avere accumulo e la necessità di "leaching." Si possono usare senza particolari cautele tranne che per le colture molto sensibili al Na. L'olivo non ha, quindi, alcun problema. seconda (C2,S2) Si possono usare senza problemi per le specie tolleranti come l'olivo. Si possono usare in suoli organici o grossolani, mentre il rischio aumenta in quelli argillosi o poveri di Fe. L'olivo non ha di norma problemi. terza (C3, S3) Non possono essere usate nei suoli con scarso drenaggio. L'olivo può ancora tollerarle, soprattutto se si migliora il drenaggio e si attua il "leaching". Incrementano a livelli pericolosi il Na scambiabile, e i suoli necessitano di correttivi quali drenaggio, leaching, apporti di sostanza organica e gessature. quarta (C4, S4) Non adatte per l'irrigazione, se non per specie tolleranti come l'olivo ubicato su suoli drenanti e col ricorso al "leaching". Non adatte per l'irrigazione, se non per specie tolleranti come l'olivo ubicato su suoli a bassa salinità e in presenza di correttivi quali apporti di sostanza organica e gessature. 54 Tabella 8.6 - Classificazione dell'acqua irrigua per salinità e sodicità (rielaborato da Landi, 1999). Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Un'acqua irrigua con discrete caratteristiche dovrebbe avere un SAR inferiore a 21-25 se è dolce, e inferiore a circa 12 se è salmastra. Ora è certo che l'olivo può essere irrigato con acque che combinino insieme le prime due classi di ciascuna graduatoria (C1-S1; C1-S2; C2-S1; C2-S2), mentre i primi problemi si avvertono con le classi C3 anche se non mancano esempi felici di utilizzo di acque C4-S2 e C4-S3; l'irrigazione a goccia risulta di grande aiuto, così come una buona piovosità invernale. Ripetute distribuzioni di acque saline possono portare a un accumulo di salinità nel suolo. Inoltre la presenza di sali aumenta la tensione della soluzione circolante e rende quindi difficile alle piante l'assorbimento di acqua predisponendole a uno stato di stress idrico. La distribuzione di acqua irrigua in quantità superiori a quelle ritenute sufficienti a coprire il deficit idrico (leaching, lisciviazione) consente di sopperire a questo inconveniente perché permette il dilavamento dei sali che sono così trascinati in profondità. La bonifica dei terreni salini è quindi apparentemente un processo molto semplice in quanto i sali possono essere rimossi con la lisciviazione. Nei terreni argillosi e poco permeabili, i sali tendono a persistere a lungo anche nei climi umidi. La loro lisciviazione è possibile soltanto dopo aver migliorato la permeabilità attraverso le sistemazioni idrauliche di superficie (affossatura e dreni sotterranei). Nelle zone con clima arido la bonifica dei terreni salini è possibile soltanto ricorrendo all'irrigazione. Anche in questo caso si rende necessaria l'esecuzione di tutte quelle opere agronomiche ed idrauliche che migliorano la permeabilità e favoriscono la rimozione delle acque di drenaggio dagli strati più superficiali del terreno. Gli stessi interventi devono essere attuati anche sui terreni normalmente soggetti ad irrigazione per evitare l'accumulo di sali disciolti nelle acque. Allo scopo di lisciviare un terreno originariamente salino, o reso tale a causa dell'irrigazione, deve essere somministrata una quantità di acqua in eccesso, rispetto a quella necessaria a bagnare lo strato di terreno interessato dalle radici. Questo eccesso, espresso come percentuale dell'acqua occorrente per una irrigazione normale, viene chiamato fabbisogno di lisciviazione (Leaching Requirement) e la sua entità dipende dalla quantità di sali presenti nel terreno, dalla salinità dell'acqua usata, nonché dalla salinità residua consentita nello strato di terreno considerato dopo l'irrigazione, la quale è in funzione delle specie da coltivare. Teoricamente il fabbisogno di lisciviazione può essere calcolato mediante l'espressione: dove ECw è la salinità dell'acqua irrigua ed ECe quella accettabile per quella coltura o per quel terreno. Di conseguenza il Volume totale (Fabbisogno della coltura + fabbisogno di lisciviazione) sarà Vt= Fc / (1- LR). Un esempio sembra utile per chiarire meglio il procedimento; supposto un fabbisogno irriguo stagionale dell'olivo pari a 350 mm e la disponibilità di un'acqua di irrigazione con ECw pari a 1,5 mS/cm è possibile calcolare il fabbisogno di lisciviazione prevedendo (1) nessuna riduzione produttiva (2,2 mS/cm) ovvero (2) una produzione ridotta al 90% (2,8 mS/cm). 1. LR = 1,5 / [5(2,2) - 1,5] = 0,16 per ottenere una produzione non ridotta 2. LR = 1,5 / [5(2,8) - 1,5] = 0,12 per contenere entro il 10% il calo produttivo. Pertanto l'acqua da distribuire nel corso della stagione irrigua sarà pari a 417 e 398 mm nel primo e secondo caso nell'ordine. La lisciviazione dei sali è effettiva se il suolo è attraversato dalle acque lungo tutto il profilo. Non sempre ciò avviene perché la presenza di fessurazioni convoglia l'acqua in percorsi preferenziali. Pertanto si dovrà tenere conto dell'efficienza della lisciviazione; questa è molto elevata nei terreni con ottimo drenaggio (0,8 - 1,0) e ridotta in quelli più pesanti o mal sistemati (0,3 - 0,6). Il calcolo del volume totale di irrigazione dovrà essere realizzato anche in funzione di questo fattore. 55 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 9 - La gestione del terreno Obiettivi Sono descritti i sistemi di gestione del terreno olivetato, dalla tradizionale arido coltura al diserbo e all'inerbimento. Le tradizionali tecniche di arido coltura hanno consentito alla specie di diffondersi in ambienti da sub umidi a semi aridi. La conservazione della fertilità del terreno richiede l'adozione di sistemi di gestione sostenibili, spesso in contrasto con l'esecuzione di frequenti e profonde lavorazioni meccaniche. Le diverse forme di aratura sono sconsigliate in particolare per l'olivicoltura collinare e per i terreni pesanti, dove danno luogo nell'ordine a erosione idrica e formazione di una suola di lavorazione. Il diserbo chimico accompagna la naturale tendenza dell'olivo a localizzare l'apparato radicale in prossimità della superficie del terreno, facilita le operazioni di raccolta, anticipa la ripresa vegetativa primaverile e incrementa i livelli produttivi. L'impiego di diserbanti residuali in pre emergenza rappresenta la soluzione più efficiente per gli oliveti asciutti, ma le molecole impiegate possono raggiungere con facilità la falda freatica nei suoli sabbiosi ovvero essere fissate per lunghi periodi in quelli argillosi. Gli oliveti irrigui possono ricorrere a diserbanti sistemici da impiegare su limitate superfici dove insistono infestanti poliennali di difficile controllo. L'inerbimento controllato incrementa comunque i consumi idrici del sistema oliveto e risulta idoneo per gli oliveti irrigui ovvero in forte pendenza. Il cotico erboso incrementa il contenuto in sostanza organica del suolo e la sua porosità sul medio - lungo periodo. Le infestanti possono accentuare la mobilità e l'assorbimento radicale di taluni nutrienti in terreni con grado di reazione anomalo. I sistemi di gestione complessi (lavorazioni primaverili e inerbimento naturale invernale, lavorazioni + diserbo in pre-raccolta, inerbimento dell'interfila e lavorazioni/diserbo sulla fila, ecc.) possono rappresentare le soluzioni ottimali per coniugare efficienza agronomica e sostenibilità del modello. La gestione del terreno La corretta applicazione delle tecniche colturali richiede in primo luogo la conoscenza dell'ambiente in cui si opera (inteso soprattutto come tipo di clima e di terreno), delle caratteristiche della specie e della varietà e della tipologia merceologica che ci si è proposti di ottenere. Quest'ultimo obiettivo non può prescindere dal mantenimento della fertilità del terreno e della salubrità ambientale, premesse indispensabili per un'attività agricola "sostenibile" e finalizzata ad elevati livelli di qualità e tipicità. Le agro-tecniche comprendono in sostanza le lavorazioni, le tecniche alternative di controllo delle infestanti, la nutrizione minerale e l'irrigazione; questi ultimi due aspetti saranno trattati più avanti in capitoli specifici. Le lavorazioni possono essere suddivise in fondamentali o d'impianto (di cui si è parlato nel capitolo 4) e ordinarie, cioè quelle che si eseguono dopo la realizzazione dell'oliveto. Per quanto riguarda gli impianti già in produzione, i diversi modelli di coltivazione hanno come obiettivo la gestione della risorsa suolo-acqua-albero, agroecosistema che deve essere utilizzato nel rispetto di criteri di "sostenibilità", quindi senza intaccare con un eccessivo o irrazionale sfruttamento l'integrità delle risorse ambientali. Le lavorazioni ordinarie Si eseguono annualmente al fine sia di contenere lo sviluppo delle erbe infestanti sia di valorizzare le precipitazioni; la corretta esecuzione di questi interventi meccanici è fondamentale per gli oliveti asciutti, mentre perde importanza in quelli irrigui. Negli oliveti di pianura o, comunque, localizzati in aree con pendenze tali da non escludere la meccanizzazione, e con suoli che garantiscono nel tempo un adeguato drenaggio, è possibile attuare la così detta "arido coltura" (fig. 9.1); questa prevede un'articolata serie di lavorazioni che aumentano la porosità del suolo e, di conseguenza, la velocità di infiltrazione dell'acqua. 56 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Figura 9.1 Accurate lavorazioni superficiali sono alla base dell'arido-coltura. Quindi un terreno lavorato assorbe più rapidamente e in maggiori quantità l'acqua piovana rispetto a uno condotto con tecniche di "non-lavorazione". Successivamente al momento di accumulo, l'esecuzione di frequenti lavorazioni superficiali elimina le infestanti impedendole di attingere all'acqua presente nel terreno. L'arido coltura prende avvio con un'aratura autunno-vernina relativamente profonda (15-20 cm) per facilitare l'infiltrazione delle piogge nel terreno, seguita da alcune erpicature primaverili-estive per distruggere prima che vadano a seme le erbe infestanti e sminuzzare lo strato superficiale del suolo, separandolo dalla parte sottostante più umida; così facendo i primi 10 cm si asciugano rapidamente, ma in profondità il terreno mantiene più a lungo la sua umidità Gli attrezzi da utilizzarsi saranno, quindi, gli aratri (normali o a dischi, e con un numero variabile di vomeri) per la lavorazione autunno-vernina, e gli erpici e i frangizolle per gli interventi primaverili-estivi. La discatura consente, di norma, di ridurre i tempi di esecuzione dell'intervento e risulta più adatta per i terreni superficiali e ricchi di scheletro. Nei terreni ricchi di materiali fini (limo e argilla) va bandito l'uso della fresa che amminutando e comprimendo il terreno sottostante allo strato lavorato favorisce la formazione nel suolo di uno strato impermeabile all'aria e all'acqua che prende il nome di "suola di lavorazione". Per tutti questi motivi, e per l'alto costo delle lavorazioni, si sono ricercati modelli alternativi all'arido coltura, in sostanza riconducibili alla "non lavorazione" (tab. 9.1); AGROTECNICHE VANTAGGI SVANTAGGI LAVORAZIONI MECCANICHE Controllo delle malerbe e riduzione dei consumi idrici per efficiente conservazione delle piogge invernali e primaverili. Interramento concimi. Incremento dell'erosione idrica ed eolica, con un'incidenza proporzionale alla pendenza e alla sabbiosità; formazione della suola di lavorazione, soprattutto nei terreni pesanti. Forzato approfondimento delle radici. Il maggior contenuto idrico del suolo a fine inverno può ritardare il riscaldamento primaverile del terreno e l'avvio dell'assorbimento radicale; i germogli risulteranno più corti. INERBIMENTO CONTROLLATO Forte riduzione della erosione idrica e eolica. Aumento della portanza e porosità del suolo che risulta meglio strutturato. Aumento del contenuto in sostanza organica del terreno e riduzione dei nitrati residui. Espansione delle radici dell'albero sino alla superficie. Aumento dei consumi in azoto e acqua, soprattutto se dura tutto l'anno e interessa tutta la superficie dell'oliveto. Deprime lo sviluppo nei giovani impianti se esteso sino al piede dell'albero. DISERBO CHIMICO Parziale riduzione dell'erosione, incremento della produzione e agevolazione delle operazioni di raccolta. Riduzione dei costi di gestione del suolo. In collina, su suoli crostosi, può dar luogo a ruscellamento ed erosione. Non compatibile con le produzioni "biologiche" e solo in parte con le "integrate". 57 Tabella 9.1 Differenti modalità di gestione del terreno nell'oliveto. Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro in particolare i rilievi mossi all'arido coltura si possono così riassumere: a. costringe le radici a svilupparsi in profondità (se, infatti, si arano i primi 20 cm, in questi non ci potranno mai essere radici) modificando così la tendenza del sistema radicale dell'olivo a svilupparsi quasi per intero negli strati superficiali del terreno. In questa fascia di suolo le radici troverebbero condizioni ideali per il loro sviluppo perché: vi è una maggiore abbondanza di aria e pertanto di ossigeno; la fertilità è elevata perché vi si concentrano i residui organici provenienti dall'oliveto (foglie, rami, frutti) e dalle infestanti; queste ultime non solo lasciano nel suolo grandi quantità di materia organica derivante dal continuo rinnovo dei loro estesissimi apparati radicali, ma assorbono dal suolo alcuni nutrienti (fosforo e potassio soprattutto) e li rilasciano in forme facilmente assorbibili dalle radici dell'olivo (chelati naturali). Inoltre i concimi minerali, interrati con le lavorazioni o distribuiti in superficie, sono presenti soprattutto in questo primo strato per quanto sopraddetto, vi è un'elevata presenza di microrganismi che facilita la vita e la funzionalità degli apparati radicali. b. Le lavorazioni degradano la struttura del terreno e ne riducono la fertilità, perché l'eccessiva circolazione di aria e il continuo rivoltamento degli strati provocano perdite di sostanza organica per l'esposizione diretta del suolo all'azione del sole e dell'aria. Nelle aree pendenti favoriscono fenomeni di erosione idrica, mentre quella eolica (che di norma non è percepita dall'agricoltore) può svolgere un ruolo importante nei terreni sabbiosi. c. nei terreni ricchi di materiali fini, l'aumento di permeabilità conseguente alla lavorazione meccanica è solo momentaneo; infatti le prime piogge autunnali trasportano verso il basso le minute particelle di suolo formatesi in seguito alla lavorazione e le depositano nel punto di passaggio tra terreno lavorato e non lavorato formando la già ricordata suola di lavorazione. Numerose esperienze hanno dimostrato che la quantità complessiva di acqua assorbita nella stagione autunno-vernina dal terreno agrario da tempo gestito con tecniche di non-lavorazione (e soprattutto con l'inerbimento) può risultare superiore a quella accumulata con l'arido coltura. d. il maggior approfondimento degli apparati radicali e il contenuto eventualmente più elevato d'acqua nel terreno alla fine dell'inverno, fa si che le radici dell'olivo si trovino all'inizio della stagione vegetativa in un ambiente pedologico con temperature inferiori a quelle riscontrabili nel terreno non lavorato; ne consegue un accorciamento della stagione vegetativa e, in definitiva, un minor accrescimento dell'albero. In esperienze poliennali condotte su numerose aziende dell'Andalusia, il confronto tra la tradizionale gestione del suolo e il diserbo eseguito in pre emergenza con formulati residuali chimico ha comportato un vantaggio produttivo del 16% a favore di quest'ultimo. e. Le lavorazioni possono provocare delle ferite sulle radici e originare non solo dei danni diretti ma anche indiretti perché attraverso i tagli possono penetrare all'interno delle radichette numerosi agenti patogeni. Per tutti questi motivi in olivicoltura si va sempre più sviluppando la citata "non - coltivazione", anche se spesso introdotta in sistemi di gestione misti dove le lavorazioni sono ridotte al minimo, e integrate col diserbo e/o con l'inerbimento invernale dell'oliveto. Il diserbo chimico L'olivo è una delle colture arboree che si è avvicinata con maggiore ritardo e con un limitato coinvolgimento alla pratica del diserbo, in quanto l'olivicoltura mediterranea è ancora condotta in prevalenza senza apporti irrigui e in ambienti semi aridi o sub umidi, dove un efficace controllo delle infestanti si ottiene con un numero limitato di lavorazioni. Tuttavia numerose esperienze hanno dimostrato che il diserbo, soprattutto se attuato con erbicidi di preemergenza ad azione residuale, è capace di aumentare in misura importante le produzioni e contenere i loro costi; inoltre nel terreno diserbato è più agevole la raccolta delle olive. Questa tecnica conosce un'ampia diffusione non solo in importanti aree olivicole, come la Spagna e la California, ma è da lungo tempo impiegata anche nella Sassarese (e in minor misura nel Montiferru) per agevolare la raccolta su reti in materiale plastico (abbinata o meno allo scuotitore); la discatura autunnale, seguita da un trattamento a base di simazina, risulta infatti fondamentale per evitare che le reti siano infiltrate e bloccate dalla vegetazione infestante. Ampie prospettive, poi, si aprono per il diserbo nel contesto dell'olivicoltura intensiva e irrigua, in quanto l'eliminazione o riduzione delle lavorazioni meccaniche asseconda la naturale tendenza dell'albero a sviluppare il proprio apparato radicale nei primi 50 cm di terreno. In questi moduli produttivi l'olivicoltura applica di norma le tecniche già collaudate in agrumicoltura. 58 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Di contro un freno all'impiego dei diserbanti, e in particolare di quelli ad azione residuale che hanno una maggiore persistenza nel suolo e quindi un più elevato impatto ambientale, proviene dalle normative comunitarie e dai relativi incentivi finanziari (Reg. CEE 2078/92 e 1257/99) e dall'accresciuta sensibilità dei consumatori ai prodotti così detti "biologici"; lo stesso Programma Regionale Agro - ambientale per le Produzioni Integrate, sviluppato dal Servizio di Assistenza Tecnica, consente l'uso di erbicidi di postemergenza a rapida degradazione, come glifosate, glufosinate ammonio e glifosate trimesio, ma vieta l'impiego della simazina. Poiché l'accettazione delle regole della produzione integrata comporta l'erogazione, a compenso della "contrazione" del reddito dell'olivicoltore, di idoneo "premio" annuo, può risultare conveniente impiegare i nuovi diserbanti a più basso impatto ambientale (vedi normativa allegata al volume). La gestione delle infestanti punta a ridurre l'impatto negativo delle erbe sull'albero, a prevenire la formazione di una flora infestante di difficile controllo e a facilitare la raccolta limitando i residui vegetali presenti sul suolo dell'oliveto. D'altra parte l'inerbimento permanente o la coltivazione sul "sodo" possono essere opportuni, particolarmente se si opera in un terreno declive. I sistemi radicali delle erbe infestanti, specialmente quelli delle annuali, possono penetrare gli strati sottostanti e migliorare in molti terreni la percolazione profonda dell'acqua. In tal modo le piante erbacee favoriscono la formazione di un terreno dalla superficie più stabile rispetto a quello lavorato meccanicamente e consentono l'accesso nell'oliveto nel corso dell'intero anno. Esse aiutano anche a ridurre l'erosione e la formazione di croste superficiali. Peraltro le infestanti, se non gestite adeguatamente, possono creare problemi all'oliveto competendo con gli alberi per l'acqua, i nutrienti e la luce, specialmente nei giovani oliveti e nei suoli superficiali. I nuovi impianti con una forte presenza di infestanti ritardano l'entrata in produzione, mentre la competizione può essere tollerata a partire dal 3 - 4 anno quando l'oliveto si è ormai assestato; non va, però, dimenticato che molte infestanti, specialmente quelle perenni come la gramigna (Cynodon dactylon), il cipero (Cyperus esculentus), la sorghetta da rizoma (Sorghum halepense, al momento poco diffuso negli oliveti della Sardegna) e altre, possono ridurre la produttività anche dell'oliveto adulto. Gli arboreti invasi dalle infestanti possono, poi, vedere aumentare l'attività di agenti parassitari perché il cotico erboso fornisce protezione o siti di svernamento a diversi patogeni; inoltre le erbe aumentano il rischio di incendio. Le infestanti dell'oliveto possono essere raggruppate in annuali, biennali e perenni. Le annuali germinano, crescono, fioriscono, e vanno a seme in un solo anno. Il ciclo può essere completato in alcuni mesi in qualsiasi momento dell'anno, in funzione della specie, ma molte annuali sono classificate in genere come annuali estive o invernali. Le biennali sviluppano le parti vegetative nella prima stagione e i fiori e i semi nella seconda. Le perenni vivono 3 anni o anche di più, spesso disseccando durante l'inverno e ricacciando in primavera dalle parti sotterranee. La gestione differisce per ogni oliveto e dipende dalle infestanti presenti, dal metodo irriguo eventualmente impiegato e dal grado di controllo che si desidera ottenere. Per esempio, le annuali invernali (in prevalenza graminacee, leguminose e composite) non esercitano una spinta competizione perché in quella stagione c'è di solito abbastanza umidità per sostenere le infestanti e gli alberi; pertanto il controllo si esegue in primavera con lavorazioni, sfalci con trincia erba o trincia sarmenti e applicazione di erbicidi. Le infestanti estive (annuali, biennali e perenni) richiedono, invece, un attento controllo per ridurre la competizione con gli olivi. Già in fase di pre impianto si deve dare inizio a programmi di controllo delle infestanti. Infatti il terreno prescelto per l'oliveto può ereditare da una precedente coltura, o dalla vegetazione naturale, una flora infestante. Le specie annuali si possono controllare con discature o con erbicidi di postemergenza, quelle perenni come la gramigna e il cipero effettuando ripetute discature e mantenendo asciutto il suolo durante l'estate (se il sito non è irrigato); le plantule delle infestanti possono comunque essere controllate anche dopo la realizzazione dell'oliveto. La gestione delle infestanti è molto più difficile nei giovani impianti. Per evitare danni da diserbanti, molti agricoltori preferiscono non applicare erbicidi nei due anni susseguenti alla piantagione ed eseguire interventi manuali di ripulitura intorno agli alberi per diverse volte durante la primavera e l'estate abbinati alla lavorazione meccanica dell'interfilare. Le scerbature localizzate potrebbero essere sostituite con film di polietilene o poliestere in funzione pacciamante posti intorno ai giovani alberi, ma la tecnica risulta costosa e poco pratica. E' comunque importante lavorare prima che le infestanti vadano a seme. Per controllare le plantule delle infestanti, si possono applicare erbicidi di preemergenza dopo aver effettuato l'impianto, distribuiti sia in quadrato che in circolo attorno ad ogni olivo (controllando almeno 120 - 160 cm complessivamente) ovvero diserbando la striscia corrispondente al filare. Le infestanti tra i filari possono essere controllate con trinciature o discature. Negli oliveti irrigui la trinciatura può essere richiesta, in funzione del metodo irriguo, da 4 a 6 volte durante la primavera e l'estate, intervenendo quando le infestanti hanno un'altezza di 20 - 25 cm. E' bene tenere a mente che un'eventuale discatura di terreni bagnati può creare aree di compattazione che riducono la percolazione dell'acqua. 59 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Negli oliveti adulti il controllo delle infestanti può essere realizzato con diversi sistemi che vanno dal ricorso esclusivo ai diserbanti a modelli misti, dove gli erbicidi si alternano con un ridotto numero di lavorazioni meccaniche. L'esclusione di queste ultime e il ripiego sui soli erbicidi può richiedere sia l'applicazione di sostanze in preemergenza su tutto l'oliveto (in prevalenza simazina) con trattamenti successivi in postemergenza a macchia (ad esempio con glifosate), sia la "mietitura chimica" (usando basse dosi di erbicidi di postemergenza tre o quattro volte durante l'anno per sopprimere la vegetazione). In ogni caso la distribuzione dei prodotti va effettuata su tutta la superficie e, quindi, con introduzione nell'ambiente di quantità maggiori di erbicidi. Il totale affidamento agli erbicidi presenta alcuni svantaggi. Nessun singolo erbicida controlla tutte le erbe annuali; pertanto per mantenere il suolo libero da infestanti è opportuno adottare la combinazione di più erbicidi, eseguendo i trattamenti in sequenza o con la miscelazione di formulati di preemergenza più postemergenza. Negli arboreti ubicati in aree collinari, se i terreni sono mantenuti privi di infestanti col diserbo, l'erosione del suolo può divenire un problema anche se in misura minore a quanto avverrebbe con le lavorazioni meccaniche. Ancora, in alcuni suoli il diserbo prolungato nel tempo può dar luogo a fenomeni di compattazione con successivo sviluppo di uno strato superficiale sottile e limoso, che impedisce l'infiltrazione dell'acqua; una lavorazione leggera e superficiale o la scarificazione della superficie del suolo, effettuate anche con cadenze di 3 - 5 anni, possono risolvere il problema. Per quanto attiene la scelta dei prodotti chimici, si ricorda che si può puntare su erbicidi di pre o di postemergenza. I primi (tab. 9.2) non controllano le infestanti già insediate che, in assenza di annuali, si diffondono con rapidità come nel caso della gramigna e del convolvolo; i trattamenti in preemergenza sono, invece, utili per controllare i semi delle infestanti in germinazione. Gli erbicidi di preemergenza devono essere trasportati dall'acqua (di irrigazione o dalla pioggia) nei primi 3 - 10 cm del terreno, dove i semi delle infestanti stanno germinando. Alcuni erbicidi devono essere incorporati entro una settimana, altri possono sostare sulla superficie del suolo e aspettare che una pioggia li faccia penetrare negli strati superficiali del terreno. Esempi di erbicidi di preemergenza sono il diuron, la simazina e l'oxyfluorfen. Gli erbicidi di preemergenza possono risultare efficaci per un periodo compreso tra diverse settimane e un anno, in funzione della piovosità annuale, della solubilità del principio attivo, delle proprietà del suolo, del turno di irrigazione, dell'infestante e del dosaggio applicato. Prolungate condizioni di umidità, come in prossimità di erogatori a basso volume (goccia e similari), stimolano la disattivazione e il dilavamento degli erbicidi. La suddivisione dei trattamenti di preemergenza in due applicazioni (con lo stesso dosaggio totale) può prolungare il controllo sulle infestanti, soprattutto nelle aree a maggiore piovosità, negli oliveti su suoli sabbiosi, negli oliveti trattati all'inizio dell'autunno, oppure negli oliveti con un forte sviluppo di annuali estive. Il trattamento può essere diviso usando dalla metà a 2/3 della quantità totale del diserbante in autunno e la rimanente parte nella primavera successiva. Un dato dosaggio di erbicida da impiegarsi in preemergenza è più fitotossico nei suoli sabbiosi o nei suoli con un basso contenuto di sostanza organica piuttosto che in quelli con molta argilla o materiale organico. Inoltre gli erbicidi percolano dalla superficie del suolo sabbioso più rapidamente che in quelli argillosi, il che permette alle infestanti di crescere dopo che l'erbicida è stato allontanato dalla pioggia o dall'acqua di irrigazione. Negli oliveti su suoli sabbiosi, il trattamento suddiviso da luogo a un più lungo controllo residuale ed è più sicuro per gli alberi. Poiché gli erbicidi di preemergenza possono persistere nel suolo da pochi mesi a un anno e più, il loro uso dovrebbe essere interrotto uno o due anni prima di eliminare l'arboreto. Nel caso si dovesse sostituire un olivo, si deve apportare nella buca del terreno non trattato da porre attorno alle radici del nuovo albero. Gli erbicidi di postemergenza (tab. 9.3) sono applicati sulle foglie delle giovani infestanti presenti nell'oliveto o (nel caso del glifosate) sulle perenni in fase di prefioritura. I due tipi di erbicidi di postemergenza differiscono nel loro modo di azione. Quelli di contatto uccidono solo le parti della pianta che sono state effettivamente bagnate; risultano perciò essenziali una buona copertura e l'uniforme bagnatura della vegetazione infestante. Un esempio di questi erbicidi è il paraquat. Un singolo trattamento elimina le annuali sensibili; un secondo intervento è necessario se sono presenti erbe perenni capaci di ricacciare ovvero se le annuali si insediano di nuovo a partire dai semi. Un erbicida di contatto è più efficace quando viene applicato a plantule o giovani erbe, perché è più facile ottenere una buona copertura ed è necessaria una minore quantità di prodotto. I sistemici (glifosate, glufosinate ammonio, glifosate trimesio e fluazifop) non richiedono una copertura completa poiché il materiale è trasportato dalle parti toccate dal diserbante al resto della pianta, ivi comprese le radici e i rizomi. Essi sono perciò più efficaci nel controllare le perenni di quanto non lo siano gli erbicidi di contatto. Poiché i diversi erbicidi agiscono in differenti modi e su diverse infestanti, le combinazioni di erbicidi risultano talvolta opportune, come oxyfluoren più glifosate per controllare un largo spettro di erbe annuali e a foglia larga. E' fondamentale seguire con attenzione le indicazioni riportate in etichetta. 60 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro L'inerbimento Un'altra tecnica alternativa alle lavorazioni meccaniche è quella dell'inerbimento, consistente nello sviluppo di un cotico erboso permanente (formato dalle normali infestanti ovvero ottenuto mediante apposita semina) esteso a tutto l'interfilare, mentre sovente ne rimane del tutto priva la striscia del filare (fig. 9.2). Figura 9.2 Trinciatura del cotico erboso presente nell'interfila e sulla fila. Anche questa soluzione è di rado utilizzata nell'olivicoltura degli ambienti da semi aridi a subumidi perché comporta un forte aumento dei consumi di acqua e sostanze nutritive, ma non si deve dimenticare che durante la stagione autunno - vernina i nostri oliveti sono sovente inerbiti dalle erbe spontanee. L'estensione di questa tecnica all'intero anno è possibile solo in irriguo e quando non vi sia carenza d'acqua; il cotico erboso, comunque, va periodicamente sfalciato con apposite macchine quali i trincia - erba o trincia- sarmenti che sminuzzano finemente le erbe rilasciandole sul posto perché incrementino il contenuto in sostanza organica del suolo. Risulta idoneo in modo particolare agli oliveti irrigui delle aree collinari, dove può contribuire a eliminare del tutto l'erosione e a innalzare il grado di fertilità del terreno. Sulla fila le erbe infestanti possono essere controllate con apposite lavorazioni meccaniche della striscia ovvero col diserbo. 61 Tabella 9.2 - Prodotti, dosi, epoche e modalità di impiego, sensibilità delle infestanti per gli erbicidi di preemergenza utilizzabili in olivicoltura (rielaborato da Elmore, 1994 e Rapparini, 1996). Principio attivo Diclobenil Diuron 50% 80% Diuron+ Clorprofam Simazina Terbutilazina 50% Dosi di prodotto commerciale l/ha o kg/ha 80 - 120 6-8 4-7 8 - 10 6-8 4 5-7 Epoca di applicazione autunno-inverno fine estate-autunno aut.-prim. autunno fine estate-autunno fine estate-autunno Periodo di sicurezza gg 60 Specie sensibili le annuali, e Rumex e artemisia 60 Setaria, digitaria e altre gram. annuali. Amaranto, Solanum e portulaca 60 Graminacee e amaranto, chenopodio, portulaca, Rumex, Stellaria, ecc. 30 Azione graminicida e dicotiledonicida (capsella, chenopodio, Rumex, senecio, ecc) - Azione graminicida e dicotiledonicida (amaranto, capsella, Rumex, senecio, ecc Specie tolleranti Modalità di impiego gramigna, convolvolo, sorghetta e potentilla Non trattare su terreni sciolti e ciottolosi, ma su suoli umidi e lavorati; da utilizzare dopo il 5° anno d'impinato senecio, piantaggine e tarassaco Impiegare 300 - 500 l/ha di acqua. Non trattare su terreni sciolti e ciottolosi, e non lavorare il terreno dopo l'applicazione. Trattare su suolo lavorato privo di infestanti. Utile il trattamento frazionato tra fine autunno e inizio primavera - Impiegare 300 - 500 l/ha di acqua. Non trattare su terreni sciolti e ciottolosi, e non lavorare il terreno dopo l'applicazione. Trattare su suolo lavorato e livellato, privo di infestanti - Impiegare 300 - 500 l/ha di acqua. Trattare su suolo lavorato privo di infestanti. Sconsigliato nei terreni sciolti, calcarei e poveri di sostanza organica. Eventuali lavorazioni dopo l'applicazione profonde non più di 5 cm. - Impiegare 300 - 500 l/ha di acqua. Trattare su suolo lavorato privo di infestanti. Sconsigliato nei terreni sciolti, calcarei e poveri di sostanza organica. Eventuali lavorazioni dopo l'applicazione profonde non più di 5 cm. Tabella 9.3 - Prodotti, dosi, epoche e modalità di impiego, sensibilità delle infestanti per gli erbicidi di postemergenza utilizzabili in olivicoltura (rielaborato da Elmore, 1994 e Rapparini, 1996). Principio attivo Dosi di prodotto commerciale l/ha o kg/ha Epoca di applicazione Paraquat + bagnante 3-5 0,3 - 0,5% primavera, estate, autunno Paraquat+ Diquat+ bagnante 4-7 0,3 - 0,5% primavera, estate, autunno Glufosinate ammonio Glifosate Glifosate+ simazina (p.c. 12,6% + 12,6%) Glifosate trimesio + solf. di amm. Fluazifop P- butile+ bagnante 5-8 da 2 a 8 7 - 10 4,5 - 12 2% 1,5 - 2,5 0,3 - 0,5% primavera, estate, autunno aut.-prim. annuali,prim.-estate ann. e perenni, estate perenni primavera aut.-prim. annuali, prim.-estate ann. e perenni, estate perenni primavera -estate Periodo di sicurezza gg 30 Graminicida 30 Graminicida e dicotiledonicida - Dose minore: dicotiledoni annuali allo stadio di plantula; dose elevata: piante adulte e temperature basse. - gramigna, parietaria, Rumex, senecio, rovo, cipero, phragmites, ecc - Azione graminicida e dicotiledonicida molto ampia - Dose minore: infestanti ann. e bien. allo stadio di plantula; dose elevata: ann. e bien., con sol. amm. adulte e temperature basse 30 Specie tolleranti Specie sensibili Graminacee annuali e perenni Modalità di impiego - Impiegare 400 - 800 l/ha di acqua. Disseccanti ad azione di contatto, il paraquat esercita azione graminicida mentre il diquat dicotiledonicida. - Applicare con ugelli schermati e a bassa pressione nelle ore meno luminose del giorno papavero Impiegare 200 - 600 l/ha di acqua. Disseccante ad azione di contatto e in parte traslocabile con azione dicotiledonicida. Trattare con temperature superiori a 10 °C. In condizioni difficili aggiungere solfato ammonico. convolvolo Impiegare 100 - 300 l/ha di acqua. Applicare con ugelli schermati e a bassa pressione, evitare effetti di deriva e rispettare un intervallo di 6 ore da una pioggia. - Adottare le stesse precauzioni di impiego indicate per i singoli principi attivi - Impiegare 200 - 300 l/ha di acqua. Applicare con ugelli schermati e a bassa pressione, evitare effetti di deriva e rispettare un intervallo di 6 ore da una pioggia. Le dosi suggerite si riferiscono al formulato con 160 g/l di principio attivo - Impiegare 400 - 600 l/ha di acqua. Trattare durante le ore più umide della giornata su infestanti in pieno rigoglio vegetativo Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 10 - Esigenze nutritive e concimazione Obiettivi Si riportano cenni sulla fisiologia dell'assorbimento dei nutrienti, sulle esigenze nutritive, sulle metodiche per la loro determinazione e sulla pianificazione della concimazione. La sostenibilità del sistema oliveto richiede che le problematiche della nutrizione minerale siano affrontate su base scientifica. La demolizione del glucosio risultante dalla fotosintesi produce, nelle oleacee, il mannitolo piuttosto che il fruttosio o il saccarosio. Ai valori di latitudine della Sardegna, la massima capacità fotosintetica è raggiunta dalla foglia d'olivo in coincidenza di un'intensità luminosa pari al 30% di quella di "pieno sole". Le esigenze dell'olivo sono in larga parte soddisfatte attraverso meccanismi insiti nei cicli naturali: dotazione di fondo del suolo, fissazione di azoto atmosferico, restituzione dei nutrienti contenuti nelle foglie prima della loro caduta, mineralizzazione della sostanza organica derivante da foglie, rami, residui di potatura e infestanti, emissioni radicali di mucillagini. Anche l'acqua di irrigazione apporta quantità rilevanti di nitrati. La valutazione dei fabbisogni può essere svolta mediante l'esame visivo dell'intero albero e delle foglie, l'analisi chimica dei tessuti fogliari svolta in momenti e con tecniche appropriate (diagnostica fogliare) e l'analisi del terreno. Quest'ultima risulta utile soprattutto in pre impianto. La combinazione delle tre tecniche fornisce i migliori risultati. La risposta all'azoto risulta la più pronta e la più vistosa per le componenti l'attività vegetativa e produttiva, più difficile risulta riscontrare sintomi di carenza per il fosforo e risposte positive al suo apporto. Importante il ruolo del potassio, anche per la sintesi dei grassi nelle drupe. La disponibilità della sola analisi del terreno suggerisce di stimare le esigenze, in modo approssimato, come differenza tra i valori di riferimento e i risultati delle analisi. Esigenze nutritive e concimazione La gestione sostenibile dell'agroecosistema "oliveto" e la conservazione della fertilità chimica e biologica del terreno, premesse indispensabili per il mantenimento di livelli produttivi e qualitativi capaci di dare competitività alla coltura, richiedono che l'olivicoltore e il tecnico di campo siano in possesso di una base conoscitiva di fisiologia vegetale e agronomia. Cenni su Fotosintesi e Respirazione Sedici elementi chimici sono considerati essenziali per la crescita e lo sviluppo delle piante. Due, carbonio e idrogeno, provengono dall'atmosfera; gli altri sono forniti dal suolo. In ordine di entità dei consumi da parte delle piante si ha carbonio (C), idrogeno (H), ossigeno (O), azoto (N), fosforo (P), potassio (K), zolfo (S), calcio (Ca), magnesio (Mg), ferro (Fe), manganese (Mn), rame (Cu), boro (B), zinco (Zn), molibdeno (Mo) e cloro (Cl). I primi nove sono definiti macronutrienti perché richiesti in grande quantità; i rimanenti sette sono conosciuti come micronutrienti perché richiesti in minime quantità. Solo le piante verdi e alcuni batteri hanno la capacità di convertire, per mezzo della fotosintesi, le sostanze inorganiche in organiche (contenenti carbonio). In questo processo l'energia proveniente dal sole è intrappolata nei pigmenti verdi presenti nelle foglie (la clorofilla) ed è usata per trasformare l'anidride carbonica (CO2 ) e l'acqua in carboidrati semplici, liberando nel processo ossigeno. Nel processo inverso, la respirazione, questi carboidrati sono decomposti con conseguente liberazione di acqua e anidride carbonica, e rilascio di energia. La respirazione è fondamentale per tutte le piante e gli animali viventi e, al contrario della fotosintesi, può verificarsi in assenza di luce e clorofilla. Nella fotosintesi sei molecole di CO2 si combinano con sei molecole di acqua per formare una molecola di glucosio e sei molecole di ossigeno. Il glucosio è poi trasformato in altri zuccheri semplici come fruttosio, saccarosio e mannitolo. Quest'ultimo è lo zucchero più importante traslocato nell'olivo e in molte Oleacee; la manna di biblica memoria è prodotta (oltre che da alcune specie di licheni diffuse nelle aree desertiche dell'Asia) appunto da una oleacea, il frassino, per incisione della corteccia. Il mannitolo è anche un importante prodotto di riserva che viene accumulato nel tronco e nell'apparato radicale dell'olivo. Il glucosio, comunque, serve come mattone di costruzione per altri carboidrati quali amido, cellulosa, emicellulosa, pectine e gomme. 62 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro La CO2 , che costituisce circa lo 0,03% dell'atmosfera terrestre, penetra nelle foglie dell'olivo attraverso gli stomi, aperture specializzate poste nella pagina inferiore delle foglie. Per permettere l'ingresso della CO2 , gli stomi consentono la fuoriuscita dell'acqua (assorbita dal terreno per mezzo delle radici e distribuita attraverso il sistema vascolare nelle diverse parti dell'albero) nell'atmosfera sotto forma di vapore acqueo; il processo prende il nome di traspirazione. L'apertura degli stomi è attivamente regolata per permettere l'ingresso nella foglia della quantità di CO2 necessaria perché la fotosintesi non si fermi. Se il contenuto in acqua del terreno è basso, gli stomi tendono a chiudersi per ridurre le perdite e la fotosintesi va progressivamente riducendosi (fig. 10.1). Figura 10.1 Esemplificazione dei rapporti tra diponibilità idrica ed efficienza fotosintetica. Una foglia di olivo esposta in pieno sole può usare solo una parte della luce per la fotosintesi. Infatti, alle latitudini della Sardegna (il 40° parallelo Nord passa su Oristano), la luce è disponibile in quantità superiori alle potenzialità della foglia di olivo, che durante la stagione vegetativa viene con frequenza "saturata" dalla luce raggiungendo così la sua massima capacità fotosintetica per un'intensità luminosa pari a circa il 30% di quella disponibile con condizioni di "pieno sole". D'altra parte solo le foglie poste alla periferia della chioma sono sempre esposte in pieno sole, e questo solo per una porzione del giorno poiché il sole si sposta da est a ovest nel suo movimento attraverso il cielo. Perciò la fotosintesi, per la maggior parte del giorno, non è svolta da tutte le foglie con la massima efficienza; la luce, poi, diviene sempre più limitante man mano che si procede verso l'interno della chioma. Anche la temperatura dell'aria influisce sull'efficienza della fotosintesi; nell'olivo, in particolare, i valori termici ottimali della foglia sono quelli compresi tra 15 e 30 °C. Da quanto detto si capisce che la produzione di fotosintetati (in prima battuta di glucosio) è correlata, tra l'altro, alla superficie fogliare esposta alla luce; la totale area fogliare di un albero divisa per la superficie di terreno che l'albero ombreggia è chiamato Indice di Area Fogliare o LAI (dall'inglese Leaf Area Intensity) ed è un criterio utile per stimare la produttività di un determinato oliveto. Il LAI ottimale si verifica quando tutte le foglie possono contribuire all'acquisizione di carbonio. Poiché, come detto, l'intensità della luce e l'entità della superficie fogliare rappresentano i fattori critici per l'ottimizzazione della fotosintesi, un ruolo importante nella progettazione dell'oliveto deve essere assegnato alle distanze di piantagione, all'orientamento dei filari, alla forma di allevamento e alla potatura; come già detto, le nostre latitudini assicurano una più che sufficiente quantità di energia radiante, ma questo non significa che il problema debba essere del tutto trascurato, non fosse altro che per le implicazioni fitosanitarie di un eccessivo ombreggiamento delle chiome. Questo problema assume maggiore importanza nei nuovi impianti intensivi, spesso caratterizzati dal tentativo di anticipare l'entrata in produzione con l'aumento della densità delle piante e ridotti interventi cesori nella fase di allevamento (come nel "cespuglio" ad esempio). Infatti non appena le chiome incominciano a sovrapporsi il LAI cresce, ma l'efficienza della fotosintesi diminuisce e i costi della potatura possono risultare eccessivi. Durante l'estate, in una foglia di olivo con buona esposizione al sole l'apertura degli stomi aumenta in proporzione all'incremento di disponibilità luminosa, e raggiunge il suo massimo nelle ore centrali della mattinata; poiché sovente le temperature pomeridiane estive risultano troppo elevate (soprattutto in un oliveto condotto in asciutto), gli stomi tendono allora a restringersi o a chiudersi in risposta all'accresciuta domanda evapotraspirativa e per prevenire le perdite d'acqua. L'olivo accumula nella foglia come mannitolo molti dei prodotti derivanti dalla fotosintesi, e solo alcuni sono traslocati per usi diversi ovvero conservati in altre parti della pianta. Le foglie adulte, che restano sull'albero per due anni, sono la principale sorgente di fotosintetati. I germogli, gli apici radicali e i frutti in accrescimento utilizzano grandi quantità di questi fotosintetati, e sono noti come "punti di richiamo-accumulo"o, più in breve, sinks. 63 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Le foglie giunte a metà della loro espansione risultano molto efficienti sotto il profilo fotosintetico, ma hanno bisogno di trattenere molti dei fotosintetati per la loro crescita; pertanto queste foglie sono sia una sorgente (source) che un punto di accumulo (sink). Nell'anno di carica, l'elevata domanda di fotosintetati che proviene dai frutti in crescita si traduce in uno ridotto sviluppo vegetativo poiché il mannitolo depositato nelle foglie è traslocato verso i frutti in crescita. I fotosintetati fuoriescono dalle foglie attraverso il "floema" (i vasi della pianta in cui si muove il flusso discendente della linfa) e si dirigono verso i germogli e i rami. Il flusso di linfa ascendente, che trasporta alle foglie l'acqua e i nutrienti assorbiti dalla soluzione circolante nel suolo, percorre, invece, dei vasi detti "xilema" (e quindi xilematici, ma anche legnosi) contenenti un gran numero di elementi vascolari. Nella respirazione, l'inverso della fotosintesi, i fotosintetati sono demoliti con l'aiuto dell'ossigeno per liberare energia chimica e CO2 . Questa energia è usata per sostenere il metabolismo nelle diverse parti della pianta. In definitiva il Carbonio, assunto come CO2 durante la fotosintesi, è convertito in carboidrati che sono trasportati alle varie parti della pianta. Questi servono come sorgenti di energia per la respirazione ovvero come materiali di costruzione delle nuove parti della pianta. Il C è perso per tre vie: attraverso la raccolta delle olive, in seguito alla potatura e alla caduta delle foglie, e in conseguenza di malattie e attacchi parassitari. Ciclo dell'azoto nell'oliveto L'azoto è l'elemento più spesso carente nella soluzione circolante nel terreno e quello sul quale è basata la maggior parte dei programmi di fertilizzazione. L'atmosfera terrestre è costituita da azoto per il 78%. L'azoto atmosferico non è in realtà disponibile per le piante in quanto deve essere preliminarmente convertito nelle diverse forme organiche ed inorganiche che si ritrovano nei suoli. Questo processo di conversione è noto come "fissazione dell'azoto". Mentre una parte della fissazione avviene nell'atmosfera in seguito a reazioni fotochimiche (che coinvolgono la luce) e alle scariche elettriche provocate dai fulmini, la maggior parte di essa si verifica nel suolo, grazie alla presenza di tutta una serie di microrganismi terricoli. Essi convertono l'azoto atmosferico in materiale proteico e ione ammonio (NH4 +). L'azoto così fissato entra a far parte della sostanza organica del suolo e rimane in forma semistabile. La mineralizzazione della sostanza organica (cioè la sua scomposizione con rilascio dei minerali), consente alle piante di assorbire l'azoto liberatosi nel suolo, elemento che ritornerà poi nel terreno con i residui della coltura; questo processo continuo è conosciuto come "ciclo dell'azoto". L'azoto può essere perso dal suolo attraverso la raccolta delle produzioni, la potatura, la denitrificazione, la volatilizzazione e il ruscellamento superficiale delle acque. Nella denitrificazione, i nitrati sono ridotti dai microrganismi a ossidi volatili di azoto e ad azoto elementare. Le perdite sono maggiori in condizioni di carenza di ossigeno e di grande abbondanza di nitrati. I nitrati, una volta penetrati nelle radichette assorbenti, sono ridotti dalle cellule radicali a ione ammonio che reagisce immediatamente con gli acidi organici e i sottoprodotti della respirazione per formare diversi composti azotati. I più semplici di questi sono gli amminoacidi, il materiale di base per la costruzione delle proteine. Il ruolo del terreno nell'assorbimento dei nutrienti Il terreno agrario è un sistema complesso dove interagiscono le particelle del suolo, la soluzione circolante, la sostanza organica e gli organismi biologici. Le piante ottengono la maggior parte dei loro nutrienti minerali dal velo d'acqua che si muove all'interno dei pori del terreno (la soluzione circolante), ma ciascuno degli altri componenti influenza la facilità con cui i nutrienti possono essere assorbiti dalle radici. L'olivo è più tollerante rispetto alla maggior parte dei fruttiferi ad alti livelli di calcio, magnesio, sodio e boro nel terreno, e in genere a substrati pietrosi, aridi e poco fertili. D'altra parte la specie mal si adatta a terreni poco drenanti dove si possono verificare fenomeni di ristagno. La programmazione degli interventi fertilizzanti non può basarsi sulla disponibilità dei singoli nutrienti, bensì sulle complesse interazioni che si attivano fra di loro, in sostanza su un bilancio complessivo tra assimilazione e consumo. Infatti l'attività vegetativa e quella produttiva saranno, di volta in volta, limitate dall'elemento che è carente o, in alcuni casi, troppo abbondante e quindi tossico; sino a che la concentrazione dell'elemento non sarà incrementata (o ridotta in presenza di tossicità), lo sviluppo sarà meno che normale. Comunque le esigenze dell'albero non richiedono che tutti i nutrienti essenziali siano apportati attraverso le concimazioni poiché la maggior parte degli stessi è presente in quantità adeguate nei terreni agrari. Inoltre, solo piccole quantità di diversi nutrienti essenziali sono allontanate con la raccolta, la potatura e le altre pratiche colturali. Infine, le foglie degli alberi da frutto, prima di cadere, restituiscono all'albero molti di questi nutrienti essenziali. I nutrienti possono essere contenuti nella soluzione circolante nel terreno ovvero aderire alle particelle dei minerali (in particolare argillosi) o della sostanza organica, ma le radici delle piante assorbono la maggior parte dei nutrienti minerali dalla soluzione circolante. 64 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro I nutrienti sono presenti in soluzione come molecole con carica elettrica positiva (cationi) o negativa (anioni), o senza carica elettrica (specie neutre). Alcuni nutrienti, come l'azoto, si rinvengono in entrambe le tipologie: positiva e negativa. I cationi aggiunti al suolo tendono a essere fissati, grazie alla loro carica elettrica positiva, sulle superfici delle particelle argillose dove "affiorano" cariche elettriche negative: i poli opposti si attraggono. In tal modo i cationi si sottraggono momentaneamente sia all'assorbimento radicale sia alla lisciviazione (dilavamento verso gli strati più profondi del terreno); solo al momento del loro ritorno in soluzione potranno essere assorbiti o dilavati. Questa capacità di trattenere e scambiare i cationi è chiamata "Capacità di Scambio cationico" (CSC), proprietà del suolo che esprime la capacità di trattenere i cationi contro la lisciviazione operata dalla pioggia o dall'acqua di irrigazione. I terreni agrari con più alta CSC (>25) sono tipicamente più fertili poiché essi hanno una maggiore capacità di immagazzinamento dei nutrienti minerali. Lo scambio cationico si verifica soprattutto sulla superficie delle particelle argillose e sui siti attivi della sostanza organica. Lo scambio si verifica perché le particelle di argilla e la sostanza organica hanno cariche elettriche negative che devono essere bilanciate dai cationi a carica positiva. Le concentrazioni di Ca, Mg, K e Na sono in buona sostanza controllate dallo scambio cationico. La forza con cui questi cationi sono trattenuti dipende dalle quantità di argilla e sostanza organica presente nel terreno. I suoli molto sabbiosi hanno una piccola capacità di trattenere questi nutrienti e le perdite per lisciviazione possono essere cospicue. D'altra parte, i nutrienti aggiunti ai suoli sabbiosi possono essere rapidamente assorbiti dalle radici delle piante. Nei terreni argillosi, la penetrazione di certi fertilizzanti (come il K) può risultare problematica per colture con apparati radicali profondi in quanto le particelle a carica negativa bloccano il catione e lo sottraggono alla soluzione circolante. Un altro meccanismo che il terreno mette in atto per trattenere nutritivi importanti(come ad esempio il fosforo) è quello dell'adsorbimento specifico (passaggio di un determinato ione dalla fase liquida a quella solida) fenomeno altamente selettivo. I nutrienti sono trattenuti sulla superficie delle particelle del suolo (adsorbiti) da forze molto più forti di quelle dovute all'attrazione elettrica che lega i cationi scambiabili. Infatti l'aggiunta d'acqua non è sufficiente a superare queste forze e riportare i nutrienti in soluzione. L'adsorbimento specifico aiuta a controllare il P nella soluzione circolante. Nei suoli da neutri ad acidi, il P è specificamente adsorbito sulla superficie di particelle minerali argillose o di particelle contenenti ossidi di Fe e di Al. Questo effetto si accentua quando il pH si abbassa per cui, nei suoli acidi, si verifica una progressiva indisponibilità del P. L'adsorbimento specifico svolge un ruolo importante anche nel controllo della disponibilità di Cu e Zn; ne consegue che essi siano meno disponibili nei terreni alcalini. In definitiva le piante agiscono come un sistema pompante, riciclando di continuo i nutrienti presenti nella superficie del suolo. I fertilizzanti tendono ad essere fissati dalle particelle del terreno, nelle quali essi rimpiazzano i nutrienti rimossi per via radicale dalla soluzione circolante. Quando la pianta muore e si decompone, i nutrienti sono di nuovo rilasciati sulla superficie del suolo. E' per questo che nei suoli naturali la maggior parte dei nutrienti è concentrata vicino alla superficie. Quando la superficie del terreno è rimossa dall'erosione ovvero dall'uomo che esegue movimenti di terra (ad esempio in fase di impianto dell'oliveto), la maggior parte dei nutrienti viene allontanata. Inoltre le radici dell'albero e delle erbe infestanti eventualmente presenti emettono molte sostanze, ivi compresa anidride carbonica (che forma acido carbonico nella soluzione circolante) e sostanze organiche, che tendono ad abbassare il pH del terreno nella zona a loro adiacente. Fatta eccezione per i suoli acidi, questo fatto tende ad aumentare la disponibilità di nutrienti per la coltura. Alcune delle sostanze organiche escrete possono formare complessi con micronutrienti come zinco ferro (chelati naturali), sottraendoli all'azione bloccante del terreno e al dilavamento e facilitandone l'assorbimento. Valutazione del fabbisogno e ruolo dei principali nutrienti L'ottenimento di rese elevate e costanti nel tempo richiede che sia restituito al terreno non solo quello che la coltura asporta per le formazioni vegetative e produttive annuali, ma anche la quota di fertilizzanti trattenuta dal terreno ovvero allontanata dalle piogge dagli strati superficiali del suolo. Pertanto l'impostazione di un corretto piano di concimazione presuppone che si tenga conto di: presenza, all'interno del ciclo annuale, di momenti "critici" in corrispondenza dei quali la mancanza o l'insufficiente presenza di uno o più elementi nutritivi risulti particolarmente dannosa (fioritura, allegagione, indurimento del nocciolo, ecc.); situazione complessiva dell'oliveto (le produzioni ottenute negli ultimi anni, la loro qualità, le tecniche colturali adottate, la particolare sensibilità a determinate malattie, ecc.); caratteristiche del terreno ospitante l'oliveto (tessitura, grado di reazione, presenza dei principali elementi nutritivi, ecc.); microclima del territorio perché, ad esempio, piogge intense dilavano il suolo impoverendolo delle sostanze azotate non trattenute con sufficiente forza. 65 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Si capisce pertanto che la concimazione costituisce un problema molto complesso, dato che la scelta del concime, delle dosi e dell'epoca di distribuzione deve tenere conto non solo di tanti aspetti diversi ma anche del fatto che questi parametri interagiscono fra loro in modo variabile da un anno all'altro. Le metodologie a disposizione dell'olivicoltore e del tecnico possono in sostanza ricondursi a tre: diagnostica per sintomi visivi (sull'albero e sull'ambiente); analisi dei tessuti e analisi del terreno e delle acque. Tutte e tre le procedure hanno punti di forza e di debolezza; la scelta dipende dal problema che deve essere risolto. Analisi visiva Un approccio ai problemi di diagnostica nutrizionale consiste nel ricercare sintomi anormali nelle foglie o nell'accrescimento di germogli e rami. La diagnosi visiva è il modo più veloce e meno costoso per identificare fenomeni di carenza o tossicità. In tal senso fondamentale risulta l'esperienza dell'osservatore che, se adeguatamente preparato, può riconoscere i sintomi della maggior parte delle carenze e tossicità (tab.10.1). Assenza di Albero Germogli Foglie Frutto Zinco normale Normali foglie giovani verde chiare Azoto taglia ridotta e chioma rada, imponente defogliazione, resa ridotta non più lunghi di 25 cm, sviluppo generale ridotto, seccume piccole e clorotiche, intensa defogliazione pochi frutti in apparenza normali taglia ridotta, come per l'assenza di azoto disseccamenti apicali, con successivi ricacci laterali, necrosi finale dell'intero germoglio accartocciamento dell'apice fogliare che ingiallisce, necrosi puntiformi e caduta della foglia, foglie basali normali per dimensione e colore. fruttificazione rada ma con frutti normali per dimensione, senza clorosi evidente Magnesio taglia normale e buona produzione sviluppo di lunghi germogli, nessuna necrosi delle gemme apicali foglie basali che tendono alla clorosi e cadono. Foglie apicali normali per colore e dimensione. Strisce clorotiche di apparenza clorotica, ma non così estesa come nella carenza di Fe Potassio aspetto da salice piangente (non verticale), le branche mancano di vigoria. La taglia è normale. internodi corti, crescita ridotta. Il numero totale di nodi può essere normale. pallide, clorotiche come nella fase iniziale della carenza di N. Poco più piccole del normale, ridotta defogliazione. di colore normale crescita dei germogli normale di dimensioni ridotte; di colore pallido, le foglie apicali cadono e il germoglio dissecca. Assenza di necrosi fogliare. Clorosi internervale frutti con pronunciato aspetto clorotico Calcio Ferro taglia normale, rese modeste con leggeri sintomi fogliari maturazione precoce Le carenze nutritive erano registrate dopo aver sospeso per 5 anni ogni singolo minerale da una soluzione nutriente apportata a piante allevate in vaso su sabbia. Questo non significa che un elemento non sia essenziale se un albero mostra uno sviluppo normale. 66 Tabella 10.1 Sintomi visivi di carenze di nutrienti minerali nella cultivar "Manzanillo" in condizioni sperimentali (da Ferguson, Sibbett e Martin, 1994). Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Più difficile risulta interpretare uno stato di carenza dovuto all'insufficienza di più di un elemento, anche perché altri problemi, oltre alla nutrizione, possono causare sintomi simili. Comunque, la diagnosi visiva può rappresentare un importante supporto per l'interpretazione delle analisi del terreno o delle foglie, soprattutto se le osservazioni sono ripetute periodicamente. Tra le principali limitazioni alla diagnosi rientra il fatto che una carenza può provocare una data sintomatologia nella prima parte della stagione, mentre l'insufficienza di un altro elemento può manifestarsi a stagione avanzata. Inoltre si deve essere consapevoli dell'azione dei fattori ambientali e della loro influenza sugli alberi; per esempio, anormalità nei frutti e nella chioma possono essere ricondotti a una tecnica irrigua irrazionale o a problemi nel terreno. Un eccesso d'acqua può indurre carenza di ferro; un apporto insufficiente, di contro, limita l'accrescimento, riduce l'intensità del colore nelle foglie, e abbassa i livelli produttivi. Analisi dei tessuti L'analisi dei tessuti coinvolge le parti dell'albero capaci di esprimere le reali concentrazioni in nutrienti. Le foglie sono tra i migliori indicatori dello stato di nutrizione dell'albero anche se la loro composizione varia in funzione dell'età, delle condizioni climatiche al momento del prelievo, della disponibilità di elementi minerali nel suolo, delle pratiche colturali e di altri fattori. D'altra parte il livello di minerali nutritivi nella foglia integra l'azione di tutti questi fattori e così riflette il complessivo stato nutritivo dell'olivo. Le concentrazioni ottimali di differenti elementi, i livelli critici al di sotto dei quali si verifica la carenza e i livelli al di sopra dei quali si può sviluppare tossicità sono stati tutti determinati per l'olivo sia con prove di campo sia con allevamento di alberi in contenitore (tab. l0.2). I risultati delle analisi fogliari possono essere confrontati con questi valori standard per determinare l'attuale stato nutritivo e le future esigenze. L'esempio della tabella l0.2 segnala per la varietà Bosana una grave carenza per fosforo e potassio, di cui solo la prima può essere riconducibile alla naturale povertà in questo elemento dei suoli calcarei del Sassarese. L'analisi fogliare può aiutare a confermare un sintomo visivo o ad identificare un problema potenziale che non si è ancora manifestato. I risultati dell'analisi fogliare sono meglio utilizzati in un programma di fertilizzazione a lungo termine o per prevenire un problema che va sviluppandosi. Nell'interpretare le analisi fogliari, si deve essere a conoscenza del modello di utilizzo stagionale dei nutrienti da parte dell'albero. Alla schiusura della gemma in primavera, quando l'attività radicale è minima, molti elementi accumulati nel fusto e nelle radici divengono disponibili per le gemme in attiva crescita. La gran parte di N, P, K e Zn si muove dai tessuti di riserva (per es. dalle foglie più vecchie) verso i punti di crescita. In questa fase risulta importante l'N che l'albero ha accumulato nell'autunno precedente: presumibilmente più N è stato accumulato, maggiore è la quantità disponibile per l'allegagione. Quando l'attività radicale si intensifica nel corso della primavera, l'N, così come gli altri elementi, viene estratto dal terreno con ritmi crescenti. Lo stesso processo si attiva per la maggior parte del P e dello Zn che si va accumulando nelle foglie in attivo accrescimento. Pertanto questi elementi, come l'N, devono inizialmente essere prelevati dai tessuti di riserva. Invece il Ca, essenziale per la formazione delle pareti cellulari, non è ridistribuito ma proviene direttamente dal terreno attraverso l'assorbimento radicale; con il progredire della stagione si accumula nelle foglie e raggiunge i suoi livelli più elevati a fine estate. Anche Mg, B, Cl e Na tendono ad aumentare, ma in misura minore rispetto al Ca. Pertanto la concentrazione di nutrienti minerali nelle foglie varia in funzione dell'età e dimensione del lembo fogliare, ma le variazioni sono minime (foglie stabilizzate) nel periodo compreso tra fine giugno e primi di agosto. I campioni di foglie di olivo dovrebbero essere quindi prelevati in questo intervallo di tempo poiché i livelli critici di riferimento sono stati definiti per questa fase del ciclo annuale. D'altra parte se il campionamento ha come obiettivo la comparazione dello stato nutritivo di alberi in condizioni ottimali con altri non in buone condizioni, il prelievo può essere fatto in qualsiasi momento purché si sia consapevoli della dinamica stagione. Le foglie da utilizzare per le analisi sono quelle adulte presenti nella parte centrale di germogli non fruttiferi, con prelievi eseguiti tra la fine di giugno e l'inizio di agosto. E' sufficiente un campione di 80 - 100 foglie se relativo a un blocco omogeneo di alberi. Questo significa che alberi di differenti varietà o differente età, alberi su differenti tipologie di terreno e alberi sottoposti a metodi irrigui diversi, dovrebbero essere campionati separatamente. I campioni saranno costituiti da poche foglie prelevate dal numero più alto possibile di alberi, scelti a caso nell'oliveto. Si dovranno scartare tutte le foglie che si presentino anormali o le foglie provenienti da alberi anormali, a meno che questo non sia il problema che si vuole risolvere. In quest'ottica, le foglie o gli alberi anormali dovrebbero essere campionati separatamente. 67 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Analisi del terreno Le colture arboree, compreso l'olivo, hanno un sistema radicale molto espanso che occupa un volume di terreno più ampio di quello impegnato dalla maggior parte delle colture annuali. Poiché, soprattutto in Sardegna, il suolo può variare di molto entro un'area non tanto ampia, può essere difficile prelevare un campione di terreno che rappresenti con precisione la zona esplorata dalle radici e i livelli di nutrienti a loro disposizione. In aggiunta a ciò, i valori di riferimento per l'interpretazione delle analisi del terreno agrario in relazione alla coltivazione dell'olivo, e dei fruttiferi in genere, non sono ancora del tutto definiti. Perciò è difficile diagnosticare la maggior parte degli squilibri nutritivi servendosi esclusivamente dell'analisi del suolo. Questa, comunque, è di aiuto nel valutare, in fase di pre impianto, eventuali fenomeni di carenza o tossicità, nel quantificare gli apporti degli ammendanti (correttivi), nell'integrare i risultati dell'analisi visiva e fogliare. La tabella 10.3 e la tabella l0.4 riportano gli standard di riferimento per i principali elementi nutritivi per una generica coltura agraria. In generale, i campioni di terreno possono essere prelevati per l'analisi in qualsiasi momento, poiché il livello dei nutrienti nel suolo è relativamente stabile. Vi sono, comunque, delle avvertenze di cui tenere conto; in condizioni di persistente umidità del suolo l'N è soggetto a perdite per denitrificazione e il suo livello dopo una lunga stagione piovosa può essere più basso di prima. In molti terreni i nitrati, il cloro e in una qualche misura il boro possono essere dilavati dalle piogge invernali e dall'irrigazione. Un cambiamento nella fonte di approvvigionamento idrico può, in breve tempo, modificare il contenuto in sali solubili dei primi centimetri di terreno. L'interpretazione delle analisi del terreno per gli elementi minerali dovrà, quindi, tenere da conto questi cambiamenti. La procedura di campionamento dipende dal problema cui si vuole dare una risposta e dall'entità della superficie coinvolta; in linea di massima si dovrebbero campionare da 3 a 10 punti in ogni oliveto. Poiché, inoltre, la composizione del terreno cambia in funzione della profondità, è opportuno prelevare separatamente il campione superficiale (da 15 a 30 cm), e i successivi strati per intervalli di profondità di prelievo di 30 cm. I campioni prelevati alla stessa profondità, ma provenienti da differenti distanze dal tronco, devono essere riuniti, mentre le differenti profondità di prelievo devono essere mantenute separate. I campioni dovrebbero rappresentare la composizione dell'effettivo profilo di suolo esplorato dalle radici. L'impiego di una trivella può semplificare di molto il prelievo; di solito un campione di un litro di terreno è sufficiente per le esigenze del laboratorio. Ruolo dei diversi nutrienti e tecniche di concimazione Il comportamento nel suolo di ogni nutriente o gruppi di nutrienti è riassunto qui appresso. I nutrienti aggiunti come fertilizzanti, quando entrano nella soluzione circolante, si comportano esattamente allo stesso modo di un nutriente di origine organica; le radici della pianta non sono in grado di distinguere se un nutriente proviene da una sorgente organica o inorganica. Azoto e principali fertilizzanti Come detto, la maggior parte dell'N è presente nel terreno in forma organica risultando indisponibile per le radici delle piante. La mineralizzazione della sostanza organica fa sì che l'N sia lentamente rilasciato alla soluzione circolante da dove le radici possono assorbirlo. La quantità rilasciata, comunque, è di solito insufficiente per rimpiazzare l'N perso dall'albero attraverso la raccolta e la potatura. L'N si trova nella soluzione circolante principalmente come nitrato (NO3 -), ammonio (NH4 +), ed urea (NH2 -CO-NH2 ). Il nitrato, essendo un anione, è molto solubile e non è adsorbito dalle particelle del suolo, così che può muoversi rapidamente verso le radici della pianta. Esso può essere anche lisciviato dal terreno quando l'acqua lo porta oltre la zona radicale. Anche l'urea risulta piuttosto mobile. L'ammonio, d'altra parte, ha una carica positiva ed è adsorbito come un catione scambiabile sulla superficie dei minerali argillosi carichi negativamente; pertanto la sua mobilità è limitata. L'ammonio eventualmente presente alla superficie del terreno si decompone come gas ammoniaca e può essere perso nell'atmosfera; l'interramento del fertilizzante riduce evidentemente le perdite. L'ammonio applicato alla superficie del terreno non compie nel suolo grandi spostamenti, eccetto che in quelli molto sabbiosi. L'olivo, come le altre colture, risponde prontamente alle concimazioni azotate, ma se si esagera la pianta è più facilmente soggetta ad attacchi parassitari e all'alternanza produttiva. L'azoto nitrato (NO3 -N) presente nell'acqua di falda può fornire significative quantità di azoto alle colture e di esso si dovrebbe tenere conto quando si programma il piano di concimazione; gli oliveti irrigati con acque sotterranee, o ancor di più con acque reflue o con acque di vegetazione (come previsto dalla legge n° 574 del 11/11/1996), possono ricevere per tale via quantità importanti di nutrienti. 68 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Un'altra importante fonte di N è data dall'acqua di irrigazione che può apportare N in quantità variabili tra 6 e 60 kg/ha/anno in riferimento ai primi 30 cm di suolo irrigato. I livelli di N influenzano direttamente l'allegagione, le rese e l'accrescimento dei germogli. Molte prove di campo svolte nelle più diverse aree olivicole hanno segnalato incrementi di produzione e sviluppo nell'olivo a seguito della concimazione azotata. La risposta della coltura è tanto maggiore quanto minore era la disponibilità di N nel terreno e nelle foglie. Le fertilizzazioni fogliari, per il loro basso costo, sono di norma utilizzate per correggere carenze momentanee di N. La concimazione di produzione applicata attraverso il terreno può servirsi di una articolata gamma di fertilizzanti, da quelli semplici (contenenti solo N come l'urea o i diversi nitrati) a quelli ternari, ancora molto diffusi, dove l'N si accompagna a P e K. A fianco dei tradizionali fertilizzanti si collocano altre due categorie di concimi: gli azotati a lento effetto e gli organo-minerali. I primi sono capaci di cedere lentamente e continuativamente l'N evitando le perdite per lisciviazione e come ammoniaca gassosa e assicurando alla coltura la costante disponibilità del nutriente; tra di essi rientrano i concimi a bassa solubilità come l'urea formaldeide, i fertilizzanti incapsulati con cere, polimeri o zolfo, e quelli incorporati in matrici quali argille e cere. I secondi sono ottenuti o da sostanze organiche di scarto (stallatico, pollina, alghe marine, borlande, ecc.) sottoposte a fermentazione, ovvero da sostanze umiche miscelate con differenti elementi nutritivi. Sia i concimi azotati a lento effetto che gli organo-minerali hanno un costo di gran lunga superiore a quello dei tradizionali fertilizzanti; i secondi hanno evidenziato una sinergia tra la quota organica e quella minerale che, in frutticoltura e viticoltura, ha indotto positive ricadute sulla qualità organolettica della produzione. Una nuova frontiera della fertilizzazione organica è la così detta "concimazione verde" relativa al modello agricolo "biologico" (Reg. CEE n° 2092/91). Essa prevede di conservare la fertilità del terreno mediante l'inserimento di colture intercalari e consociate, ovvero con il riciclaggio di materiale organico prodotto dalla stessa azienda o da aziende "biologiche" al fine di evitare l'introduzione nel sistema di metalli pesanti, residui di erbicidi, fitofarmaci, antibiotici, ecc. Poiché in ambiente mediterraneo queste tecniche non sono sovente in grado di conservare la fertilità del terreno, diventa indispensabile il ricorso ai fertilizzanti ausiliari, definibili come quei prodotti "non derivanti direttamente dal comprensorio (o sistema) agroecologico considerato ma da sistemi differenti non funzionalmente collegati a questo". La normativa europea che regola i metodi di produzione biologica prevede la possibilità di utilizzare i fertilizzanti ausiliari, dettando al contempo specifiche limitazioni nella loro composizione e nelle condizioni di impiego. L'elenco dei prodotti ammessi e le limitazioni poste compaiono nell'Allegato II, parte A del già citato Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche; poiché le denominazioni dei prodotti non sempre corrispondono a quanto riportato nella normativa nazionale (L. 748/84), alcuni formulati "biologici" non trovano corso in Italia. Il principio di fondo resta, comunque, che ogni mezzo tecnico impiegato in agricoltura biologica deve essere autorizzato per l'agricoltura generale, mentre non è ovviamente accettabile l'opposto. L'unità fertilizzante "ausiliare" raggiunge costi sovente ancora più elevati dei concimi a lento effetto e organo-minerali. La tabella l0.5 e la tabella l0.6 propongono due tra le tante opzioni percorribili per la concimazione di base e di produzione dell'oliveto "biologico"; si ricorda che l'olivicoltura integrata e biologica ha grande diffusione in Sardegna, soprattutto tra le aziende di dimensioni medio - piccole. Per quanto attiene il dosaggio dei fertilizzanti (sia tradizionali che innovativi), la pianificazione dovrebbe prevedere il ricorso sistematico all'analisi fogliare per monitorare i cambiamenti annuali nei livelli di N e aiutare a programmare le future concimazioni. Si deve, comunque, tenere presente che l'N deve essere assorbito dall'albero entro febbraio per influenzare positivamente la formazione del fiore, la schiusura delle gemme, il germogliamento e l'allegagione. E' pratica diffusa applicare l'N durante l'inverno subito dopo la raccolta; in tal caso si deve tenere presente che l'assorbimento radicale di N è più basso in inverno. Inoltre se si dovesse ricorrere all'urea, che notoriamente offre il più basso costo per unità fertilizzante, si può perdere N sotto forma ammoniacale se la concimazione non è seguita da una leggera lavorazione, o da un'irrigazione o da una pioggia di buona intensità. L'obiettivo dei fertilizzanti azotati è quello di mantenere i livelli fogliari tra 1,5 e 1,8 per cento. Questo comporta un adeguato (ma non eccessivo) sviluppo dei germogli che si mantengono tra i 25 - 60 cm di lunghezza e costituiscono le premesse per un'ottimale fioritura e allegagione. Negli oliveti irrigui da mensa, come quelli californiani, è pratica comune applicare da 450 a 900 g di N (elemento) per albero; ciò comporta, con 250 alberi/ha, la distribuzione di quantità di elemento comprese tra 113 e 225 kg/ha/anno. Queste dosi sembrano eccessive e sono certo superiori a quelle utilizzate in ambiente mediterraneo, anche in irriguo; inoltre, apporti così elevati sottintendono un diverso modello di gestione dell'oliveto dove, ad esempio, la potatura è frequente ed intensa. 69 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Si ricorda a tale proposito che il Programma regionale agro-ambientale della Sardegna per le produzioni integrate (Reg. 2078/92 della CEE) prevede per l'olivo apporti di N,P e K nell'ordine pari a 84, 60, 60 in coltura irrigua e 70, 50 e 50 in quella condotta in asciutto (tabella l0.7). Fosforo La disponibilità di P dipende sia dal pH del terreno sia dalla quantità di P presente. Un pH dal neutro al subacido (da 7 a 6) incrementa la disponibilità di P. Risulta molto meno mobile nel terreno dell'azoto (tranne che nei suoli sabbiosi) e quindi poco esposto al dilavamento; di contro sia nei terreni calcarei, dove di frequente è inserito l'olivo (Sassarese, Bosano, Trexenta, ecc.) che in quelli acidi (terreni granitici) viene bloccato dal calcio, nei primi, o da ferro e alluminio, nei secondi, e reso disponibile in quantità modesta e solo dopo lungo tempo (anche un anno dalla concimazione). Per questo motivo assume grande rilevanza la concimazione "di base", cioè quella effettuata in preimpianto che deve comprendere forti apporti sia di fosforo che di potassio abbinati alla sostanza organica per favorire l'assorbimento dei due citati elementi chimici (tabella l0.5 , tabella l0.8 e tabella l0.9). I concimi più importanti sono dati dai fosfati solubili, anch'essi largamente soppiantati dai concimi ternari e limitati di norma alla sola concimazione "fondamentale". In questo caso si deve utilizzare un fosfatico a reazione acida (come il perfosfato minerale, che contiene il 50% di solfato di calcio) nei terreni alcalini, ovvero a reazione alcalina (come le scorie Thomas, che contengono il 45% di ossido di calcio) nei suoli acidi. Si ricorda che un eccesso di fosforo, legato a forti concimazioni, ostacola l'assorbimento dell'azoto, così come un frequente ricorso ai nitrati può provocare un acidificazione del suolo e maggiori difficoltà di assunzione per quasi tutti gli elementi chimici. Altri importanti formulati sono dati dai perfosfati concentrati con titoli compresi tra il 35 e il 45% di anidride fosforica solubile in acqua (forma sotto la quale la pianta assorbe il fosforo), e dai metafosfati con titoli anche del 65%. L'analisi del terreno determina il contenuto in fosforo sotto forma di "anidride fosforica assimilabile", ma il certificato di analisi deve esprimere il risultato (a norma della G.U. n. 248 del 21/10/99) come elemento (il valore di P si ottiene dividendo la P2 O5 per 2,29); l'interpretazione dei risultati deve essere svolta in funzione del pH (che modifica anche la scelta dell'estraente), della tessitura e della CSC (tabella l0.4). Potassio Le piante richiedono una grande quantità di K che viene prelevato dalla soluzione circolante; qui la concentrazione del K è normalmente molto bassa (di norma l'1%) con valori tanto più bassi quanto maggiore è la presenza di minerali argillosi. Il terreno, al fine di mantenere l'equilibrio, rilascia il K alla soluzione circolante man mano che la coltura lo assorbe. Poiché la mobilità del K nel terreno è abbastanza bassa, la fertilizzazione nei suoli ricchi di minerali argillosi può risultare difficile. Il K applicato alla superficie del terreno tende ad essere fissato nei primi cm di suolo. Il potassio migliora l'arido-resistenza delle colture, favorisce l'accumulo di zuccheri e grassi aumentando pertanto la resa in olio delle olive. Non va però dimenticato che un eccesso di potassio ostacola l'assorbimento di calcio e magnesio, e viceversa. Bassi livelli di K nelle foglie e sintomi di carenza sono di norma registrati solo negli oliveti su terreni superficiali e poco fertili. I livelli di K nel suolo non sono ben correlati con i livelli registrabili nelle foglie o con i sintomi di carenza (tab. l0.1). Comunque, le sintomatologie fogliari dovute alla carenza di K possono manifestarsi anche molto dopo che i livelli fogliari hanno raggiunto valori critici. Quindi è importante monitorare questo nutriente negli oliveti realizzati su suoli sabbiosi o dove sono stati fatti importanti movimenti di terra poiché i fruttiferi mostrano in queste condizioni sintomi di carenza di K. Ricerche a livello mondiale hanno trovato una correlazione tra alte produzioni e alti livelli di K fogliare. I livelli di K nelle foglie differiscono tra l'annata di carica e quella di scarica, ma sono sempre al di sopra dei livelli critici in un oliveto sottoposto a normali fertilizzazioni. La carenza di K può essere corretta più facilmente nei suoli sabbiosi piuttosto che in quelli argillosi o limosi. Applicazioni di solfato di K (K2 SO4 ) eseguite all'inizio dell'inverno alle dosi di 5 - 10 kg/albero dovrebbero essere sufficienti per diversi anni. Il cloruro di K (KCl) è meno costoso, ma a causa del Cl esso non dovrebbe essere usato nei suoli sabbiosi o sabbio limosi. Anche apporti fogliari di nitrato di K possono risultare utili in caso di carenza, così come i formulati specifici da apportare per fertirrigazione. Benché molti terreni sardi siano ben dotati in potassio, la presenza per molti anni di una coltura agraria in uno stesso terreno può ridurre questa dotazione naturale rendendo indispensabile la concimazione chimica. I principali concimi potassici sono il solfato di potassio (a reazione acida e quindi da preferirsi nei terreni alcalini) e il nitrato di potassio a reazione pressoché neutra. 70 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Anche il potassio viene di norma apportato al terreno mediante i concimi complessi, in particolare i ternari. Come già segnalato per il P, l'analisi del terreno valuta il contenuto di potassio come "ossido di potassio scambiabile" ma il certificato lo riporta come K (per passare da K2 O a K si divide per 1,205); nel valutare la disponibilità di questo catione, si deve fare riferimento alla CSC del terreno (tabella l0.3 e tabella 10.4) e ai rapporti con altri importanti cationi. In definitiva il K deve coprire il 2 - 4% dei siti della CSC e fornire un rapporto magnesio/potassio compreso tra 2 e 5. Calcio e magnesio Ca e Mg sono strettamente correlati poiché il loro chimismo nel suolo è simile. Dei 14 nutrienti essenziali, Ca e Mg sono quelli che si ritrovano nella soluzione circolante nella più grande quantità. La loro disponibilità è largamente controllata dal processo di scambio cationico in quanto occupano di norma dall'80% al 90% dei siti scambiabili dei terreni produttivi. Gli ioni di Ca possono occupare sino all'80% di questi siti. Nei suoli molto acidi, Ca e Mg sono di solito lisciviati, e i siti in precedenza occupati dal Ca sono impegnati da altri cationi come H e Al. La correzione si realizza con l'apporto di calce (carbonato di Ca) o calce dolomitica (carbonato di Ca e Mg, CaMg (CO3 )2 ); la quantità di calcio da somministrare al terreno può essere così valutata: (grado di reazione ritenuto ottimale - grado di reazione rilevato dall'analisi) (quantità di argilla rilevata dall'analisi + 5 volte la quantità di sostanza organica indicata sempre dall'analisi del terreno) (0,25). Pertanto se il grado di reazione ottimale è 7 e il grado rilevato nell'oliveto è 6, e se il terreno ha un contenuto d'argilla pari al 30% e un 2% di sostanza organica si avrebbe: (7 - 6) (30 + 5 x 2) (0,25) = 1 x 40 x 0,25 = 1 tonnellata di calce viva per ettaro. Se, invece, il terreno è già occupato dall'oliveto, è preferibile utilizzare la calce "spenta" o idrata; nei casi meno gravi è sufficiente, come già ricordato, utilizzare concimi ricchi di calcio, come il nitrato di calcio, le scorie Thomas, i fosfati naturali o specifici prodotti per la calcitazione contenenti sia calce idrata che carbonato di calcio finemente macinato. Il calcio può essere presente anche in quantità eccessiva; infatti, benché l'olivo sia in grado di tollerare valori molto elevati di calcare ( terreni alcalini con grado di reazione compreso tra 7,5 e 8,0), l'accrescimento rallenta per valori superiori anche perché con pH prossimi a 9 è probabile la presenza di un eccesso di magnesio e/o di sodio. Una saturazione della CSC in Mg e Na per percentuali nell'ordine superiori a 12 e 2% (tabella l0.3) compromette la struttura del terreno, ostacola l'assorbimento dell'acqua, riduce lo sviluppo e le produzioni. La pericolosità del sodio va, comunque, valutata in rapporto al contenuto in calcio del terreno, nel senso che una forte presenza di quest'ultimo elemento limita l'influenza negativa del sodio. Come già ricordato a proposito dell'irrigazione il problema "sodio" ha assunto in questi ultimi anni un'importanza crescente per l'ingresso di acqua marina nelle falde in seguito a sfruttamenti eccessivi abbinati ad annate siccitose; in questo contesto l'olivo può rappresentare una valida alternativa colturale per la sua elevata resistenza sia alla salinità totale che alla sodicità, soprattutto se si utilizzano alcune varietà locali. Ma anche la rusticità dell'olivo ha dei limiti, ovvero richiede degli aiuti che di norma consistono in abbondanti irrigazioni per dilavare il sodio (ovviamente con acque non salmastre), uso di concimi a reazione acida e in modo particolare apporto di gesso. Il gesso infatti è formato da solfato di calcio che, interagendo col sodio, forma solfato di sodio, sostanza insolubile e quindi poco attiva e poco pericolosa. Occasionalmente, la deficienza di Mg si manifesta negli oliveti su terreni neutri sabbiosi. La fertilizzazione con solfato di Mg corregge questa carenza. Zolfo Lo S si trova in soluzione come ione solfato (SO4 2-). C'è una piccola tendenza del solfato ad essere adsorbito sulle particelle del terreno in certi suoli acidi, ma in genere risulta mobile. Molto di frequente si utilizzano fertilizzanti contenenti S (come solfato di ammonio, superfosfato, fertilizzanti miscelati) che soddisfano le esigenze delle colture. Notevoli quantità di S sono anche rilasciate nel suolo dalle piogge. Le sorgenti di questo S atmosferico includono le emissioni delle ciminiere industriali, gli scarichi automobilistici e i vulcani. 71 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Ferro e manganese La disponibilità di Fe e Mn è in larga parte controllata dalla solubilità dei loro ossidi. Nei suoli ben aerati, la forma ossidata ferrica, che ha una bassa solubilità, è dominante. Lo ione manganoso (Mn2+) si ossida dopo esser precipitato, producendo diossido di Mn. La solubilità degli ossidi di Fe e di Mn dipende dal pH: la solubilità decresce rapidamente all'aumentare del pH. La maggior parte dei suoli contengono Fe e Mn a sufficienza per la crescita delle piante. Le carenze si verificano perché questi elementi sono indisponibili per le piante nei suoli con i pH più elevati. La via più facile per porre rimedio è quella di correggere il suolo con S, che è quindi convertito in acido solforico dai microrganismi. L'esaurimento dell'O nei suoli (sovente per ristagno idrico) provoca condizioni riduttive nel terreno. Quando questo si verifica, l'ossido ferrico e il diossido di Mn possono essere ridotti per produrre alte concentrazioni di ioni ferroso e manganoso. Un eccesso di questi ioni risulta tossico per le radici delle piante. L'olivo è una delle specie arboree coltivate più resistenti alla clorosi ferrica, cioè all'indisponibilità del Fe per una presenza eccessiva di calcare. Zinco e rame Probabilmente i processi di adsorbimento specifico dominano la disponibilità di Zn e Cu. La loro quantità nel suolo è di gran lunga inferiore a quella di Fe e Mn, ma come quegli elementi essi sono fortemente adsorbiti ai pH più alti, meno a quelli più bassi. Un suolo con un pH prossimo a 6,5 rappresenta il punto di passaggio: a pH più elevati la disponibilità può essere seriamente compromessa. Anche le quantità presenti e l'estensione di superficie che li può specificatamente assorbire influenzano la loro disponibilità in un dato terreno. Quando si verifica una carenza, è spesso difficile correggerla aggiungendo materiali con Cu o Zn a causa della loro immobilità nel suolo. Come col Fe e il Mn, può essere utile acidificare il suolo. Boro Il B si trova nella soluzione del terreno come acido borico neutro (H3 BO3 ) e, nella stessa quantità, come anione borato (H2 BO3-) nei suoli a pH basico. L'intervallo di concentrazione del B che da luogo a un buon accrescimento delle colture è limitato: se la concentrazione nella soluzione circolante è al di sotto di questo valore, si verifica una carenza, se è al di sopra tossicità. La tossicità da B non è frequente nell'olivo, mentre più diffusa risulta la carenza che provoca difficoltà di allegagione, fioriture ridotte e forte cascola estiva dei frutticini. I problemi possono essere facilmente risolti con l'apporto di borace al piede delle piante nella quantità di 200- 400 g/albero. Molibdeno e cloro La quantità di Mb richiesta dalle piante è davvero piccola. Si ritrova nel suolo come ione molibdato (MoO4 2-). Nei suoli acidi è allontanato dalla soluzione circolante mediante adsorbimento specifico, come già visto per il fosfato. Le esigenze in Cl dell'olivo sono anch'esse molto piccole. Si ritrova nel suolo come il più mobile ione cloruro (Cl-). Il Cl è aggiunto all'atmosfera dagli aerosol marini trasportati dai venti. Il suolo riceve dalle piogge una quantità di Cl sufficiente a soddisfare le esigenze delle piante. La tossicità da Cl è un problema più serio della carenza, ma poiché lo ione cloruro è abbastanza mobile, esso è lisciviato con facilità dal profilo esplorato dalle radici in presenza di quantità adeguate di acqua. Conclusioni Un ettaro di oliveto asporta ogni anno 25 kg di azoto, 11 di anidride fosforica e 30 di ossido di potassio, valori inferiori a quelli della maggior parte dei fruttiferi commerciali. La produzione di una tonnellata di olive richiede, invece, 9 kg di azoto, 2 di fosforo e 10 di potassio; và però sottolineato che non ci si può limitare alla sola restituzione delle quantità asportate, perché così facendo non si terrebbe conto delle perdite dovute alle piogge, che trasportano in profondità soprattutto l'azoto, all'azione bloccante del terreno, che trattiene soprattutto fosforo e potassio rendendoli indisponibili per le radici, all'assunzione dei nutrienti da parte di erbe infestanti presenti durante la stagione autunno-vernina, ecc. 72 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Poiché nel contesto regionale l'analisi fogliare è pressoché sconosciuta, mentre una certa diffusione ha avuto di recente l'analisi del terreno, si ritiene opportuno suggerire un metodo "approssimato" di stima delle esigenze che, se unito alla diagnostica visiva e aggiustato ogni anno sulla base dei risultati quanti-qualitativi forniti dall'oliveto, può risultare di una certa utilità. Si tratta di calcolare gli apporti (fig. l0.2) in base alle differenze tra le soglie ottimali di nutrienti del suolo e i valori osservati all'analisi del terreno per lo strato esplorato dalle radici. Figura 10.2 - Metodo di stima delle esigenze nutritive sulla base dell'analisi del terreno. Per gli olivicoltori che non disponessero neanche dell'analisi del terreno si propone una tra le tante possibili formule di concimazione, dando la preferenza a quei formulati più facilmente reperibili sul mercato regionale e di più basso costo (tabella l0.6). Oggi l'olivicoltore o, più probabilmente il tecnico, possono anche utilizzare degli specifici software per calcolare le formule di concimazione in base a modelli capaci di predire gli effetti di una o più variabili con effetti quantificabili sulle produzioni; il modello richiede un ampio panorama di conoscenze sull'equilibrio delle disponibilità produttive, sulla mineralizzazione della sostanza organica, sul sistema biologico, sul clima dell'area interessata, ecc. Le applicazioni pratiche, soprattutto in olivicoltura, sono sporadiche. La concimazione fogliare, infine, ha mostrato di essere utile solo in presenza di carenze di microelementi (piuttosto rare in olivicoltura) ovvero di oliveti che non ricevevano apporti fertilizzanti, avevano contenuti di N fogliare molto bassi e ricadevano su suoli superficiali e poco fertili. Decisamente positivi, invece, i risultati dell'applicazione di tecniche di fertirrigazione. Gli oliveti dotati di impianto di irrigazione localizzata possono apportare tutti gli elementi in fase liquida ovvero limitarsi al solo azoto, dando fosforo e potassio in forma tradizionale. Per gli oliveti intensivi dotati di impianti di irrigazione localizzata è possibile apportare la totalità dei nutrienti esclusivamente per fertirrigazione col ricorso ad appositi fertilizzanti liquidi (la cui unità fertilizzante ha un costo elevato) ovvero con l'utilizzo della più economica urea, apportando 50 - 100 g di urea per pianta con cadenza mensile già da novembre - dicembre e sino ad agosto-settembre. L'esteso ricorso alla fertirrigazione è motivato dalla localizzazione dei fertilizzanti in prossimità delle radici che si concentrano al di sotto degli erogatori, con conseguente riduzione delle perdite e dei costi di spandimento. 73 Tabella 10.2 - Linee guida per l'interpretazione delle analisi fogliari e valori osservati sulla Bosana (g/100 g di s.s.)(1). Elemento Concentrazione di riferimento Sintomi visivi di carenza Bosana, media di un biennio Azoto Carente al di sotto di 1,4% Adeguato 1,5 - 2,0 % foglie piccole e giallognole, germogli corti 1,42 0,1 - 0,3% sconosciuti 0,06 Carente al di sotto di 0,4% foglie verde-chiaro con apice necrotico 0,31 Adeguato >0,8% >1,0% sconosciuti 1,92 >0,1% sconosciuti 0,17 Fosforo Adeguato Potassio Calcio Adeguato Magnesio Adeguato Sodio Eccessivo se >0,2% 0,16 Boro Carente al di sotto di 14 ppm frutti deformi, foglie piccole con apice secco, corteccia ruvida non determinato Adeguato 19 - 150 ppm Eccessivo se >185 ppm >4 ppm sconosciuti 27,5 Adeguato >20 ppm sconosciuti 41,3 carente al di sotto di sconosciuto sconosciuti 13,8 sconosciuto sconosciuti 13,8 Rame Adeguato Manganese Zinco carente al di sotto di (1)Foglie prelevate con tecniche standard nel mese di luglio. I dati della Bosana si riferiscono a un tradizionale oliveto del Sassarese su suoli calcarei aridi e superficiali Tabella 10.3 - Valori standard per l'interpretazione dell'analisi del terreno agrario (G. U. n. 248 del 21/10/99). Sostanza organica: 20 - 25‰ Azoto totale: 1,0 - 1,5‰ Rapporto C/N: ~ 10 (>10, bassa mineralizzazione; <10, alta mineralizzazione) Fosforo assimilabile: 12 - 40 ppm Potassio assimilabile: 70 - 140 ppm % Calcio nella CSC: 65 - 88% % Potassio nella CSC: 2 - 4% % Magnesio nella CSC: 6 - 12% % Sodio nella CSC: fino al 2% Rapporto Calcio / Magnesio: 6 - 12 Rapporto Magnesio / Potassio: 2-5 CSC totale: 10 - 20; <10, cationi troppo mobili; >20, cationi poco mobili Microelementi Fe: da 5 a 30 ppm Mn: da 2 a 10 ppm Zn: da 1 a 10 ppm Cu: da 0,5 a 1 ppm Tabella 10.4 - Valori di riferimento per l'interpretazione dei contenuti in fosforo, potassio, calcio e magnesio. Interpretazione dei livelli di nutrienti fosforici nel suolo (ppm) Estrazione Olsen Estrazione simultanea (SOL-TANPOUR e SCHWABB) molto alta > 25 > 12 alta 18 ÷ 25 8 ÷ 11 media 10 ÷ 17 5÷7 bassa 5÷9 2÷5 molto bassa <5 <2 Classe Valori di riferimento per Potassio, Magnesio e Calcio (ppm) Tessitura CSC Bassa (terreni grossolani) CSC Media CSC Media franchi) CSC Alta (terreni pesanti) CSC meq/ 100 g Interpretazione quasi 5 molto alta alta media bassa molto bassa > 100 60 ÷ 100 30 ÷ 60 15 ÷ 30 < 15 > 60 25 ÷ 60 10 ÷ 25 5 ÷ 10 <5 > 800 500 ÷ 800 200 ÷ 500 100 ÷ 200 < 100 quasi 15 molto alta alta media bassa molto bassa > 300 175 ÷ 300 100 ÷ 175 50 ÷ 100 < 50 > 180 80 ÷ 180 40 ÷ 80 20 ÷ 40 < 20 > 2400 1600 ÷ 2400 1000 ÷ 1600 500 ÷ 1000 < 500 quasi 25 molto alta alta media bassa molto bassa > 500 300 ÷ 500 150 ÷ 300 75 ÷ 150 < 75 > 300 120 ÷ 300 60 ÷ 120 30 ÷ 60 < 30 > 4000 3000 ÷ 4000 2000 ÷ 3000 1000 ÷ 2000 < 1000 K Fonte: FAO - Soil and Plant Testing. Fao Soils Bullettin, 38/2, 1980 Mg Ca Tabella 10.5 - Concimazione di impianto dell'oliveto "biologico". SOSTANZE ORGANICHE I. II. III. Sostanza organica: Letame maturo da allevamenti "biologici" nell'ordine di 50 t/ha, oppure Stallatico umificato pellettato (distribuibile con spandiconcime; 3% N, P2 O5 e K2 O; sost. org. 40%; microel.; vit.; ammin.) oppure Pollina pellettata (distribuibile con spandiconcime; 3% N, P2 O5 e K2 O; sost. org. 70% ; microel.; vit.; ammin., microrganismi) oppure IV. Sovescio di leguminose (favino, veccia, pisello) oppure V. Cuoio e pelli idrolizzate: 8-7-7 +2 MgO+8 SO3+21C (complessi, con N org. a lenta cessione, cessione graduale, "scagliettato") oppure VI. Residui urbani MINERALI ogni fosfato naturale tenero (cd < 90 mg/kg di P2 O5 ) oppure Fosforo: Potassio: fosfato naturale G27 (28 P + 45 CaO): 0,8 t/ha, oppure fosfato naturale di Gafsa (27% P2 O5 + 45% CaO + 2% MgO): O,8 t/ha sale grezzo di potassio (38% K2 O): 0,5 t/ha oppure solfato di potassio (50% di K2 O): 0,4 t/ha Magnesio: solfato di magnesio (16% di MgO): 0,1 t/ha Ammendanti: calce agricola (Ca 70-95; Mg 10 - 20): 0,2 - 0,4 t/ha a seconda dell'acidità del terreno per 3 - 5 anni. Gesso: 0,5 - 2,0 t/ha in funzione dell'alcalinità Tabella 10.6 - Ipotesi di concimazione di produzione dell'oliveto asciutto sia tradizionale che condotto con sistemi "biologici" (t/ha). EPOCA DI INTERVENTO ANNATA DI CARICA ANNATA DI SCARICA PRODUZIONI BIOLOGICHE Carica Scarica Fine Inverno 0,3 t di 20:10:10 0,3 t di 11:22:16 1,0 t di Letame Maturo 0,5 t di Letame maturo Prefioritura 0,1 t di Nitrato di ammonio Nessun apporto 0,3 t di Pollina 0,1 t di Pollina Giugno-Agosto (solo in irriguo) 0,1 t di Urea (frazionato in 5 volte con cadenza quindicinale) Nessun apporto 0,2 t di Pollina (in due volte) Nessun apporto Tabella 10.7 - Quantitativi di fertilizzanti chimici prescritti dal "Programma regionale agro-ambientale" per la produzione integrata. AZOTO kg/ha/anno FOSFORO kg/ha/anno POTASSIO kg/ha/anno ARANCIO-LIMONE 100 80 120 PER TUTTE OLIVO in asciutto 70 50 50 LE COLTURE OLIVO in irriguo 84 60 60 VITE 80 50 80 Glifosate PESCO 150 70 150 Glufosinate ammonio CILIEGIO 120 70 150 Glifosate trimesio SUSINO 100 70 150 MELO - PERO 80 70 120 SPECIE DISERBANTI Principio attivo Tabella 10.8 - Differenti proposte per la concimazione di impianto dell'oliveto su terreni subacidi. SOSTANZA ORGANICA: 1. letame maturo nell'ordine di 50 t/ha, oppure 2. pollina (distribuibile con lo spandiconcime) oppure 3. sovescio di leguminose (favino, veccia, pisello) oppure 4. residui animali o residui urbani. CONCIMI CHIMICI: FOSFORO: (P) POTASSIO: (K) TERNARIO a basso titolo di azoto 1. scorie Thomas (18 P + 45 CaO) : 1 - 1,2 t/ha, oppure 2. fosfato naturale G28 (28 P + 45 CaO): 0,8 t/ha, oppure 3. fosfato bicalcico (40 P + 46 CaO): 0,6 t/ha. 1. salino potassio (38 K2 0): 0,5 t/ha, oppure 2. cloruro di potassio (61 K2 0): 0,3 t/ha. (8:24:24): 0,8 t/ha Ammendanti: 1. calce agricola (Ca 70-95; mg 10 - 20): 0,2 - 0,4 t/ha a seconda dell'acidità' del terreno per 3 - 5 anni Tabella 10.9 - Differenti proposte per la concimazione di impianto dell'oliveto su terreni subalcalini. SOSTANZA ORGANICA: 1. letame maturo nell'ordine di 50 - 100 t/ha oppure 2. pollina (distribuibile con lo spandiconcime) 3. sovescio di leguminose (favino, veccia, pisello) oppure 4. residui animali o residui urbani CONCIMI CHIMICI: FOSFORO: (P) POTASSIO (K) TERNARIO a basso titolo di azoto 1. perfosfato minerale (18 P + 40 CaSO4 ) : 1,0 - t/ha oppure 2. fosfato biammonico (18-46): 0,5 t/ha 1. salino potassio (38 K2 O): 0,5 t/ha oppure 2.: solfato potassico (8:24:24S): 0,8 t/ha oppure (11: 22:16S): 0,4 - 0,6 t/ha AMMENDANTI: 0,5 - 0,2 t/ha di gesso (CaSO4 ) in relazione ai risultati dell'analisi del terreno Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 11 - Potatura e forma di allevamento Obiettivi Sono riportate le principali operazioni di potatura e un'analisi delle forme di allevamento, quest'ultima rapportata alle esigenze delle varietà sarde. La potatura ha l'obiettivo di mantenere in equilibrio attività vegetativa e produttiva, e di esaltare l'efficienza fotosintetica della chioma. I rami fruttiferi sono quelli di un anno, purché non troppo vigorosi ma nemmeno troppo deboli, sui quali compaiono le mignole. I principali interventi cesori comprendono il raccorciamento e la soppressione di rami o branche; l'inclinazione, piegatura e curvatura dei rami; l'incisione e decorticazione anulare; la cimatura e la slupatura. La necessità di abbreviare la fase improduttiva giovanile impone, in potatura di allevamento, di limitare gli interventi di taglio e riduzione delle chiome. I germogli e i rami destinati a formare la struttura scheletrica dovranno sempre essere privilegiati. Le operazioni cesorie su alberi in fruttificazione mantengono una superficie fogliare proporzionale alla potenzialità vegetativa e produttiva dell'olivo, in relazione anche alla fertilità dell'agro ecosistema. La potatura di riforma, comprensiva di interventi estesi di taglio, si applica su oliveti invecchiati o da adattare alle esigenze della raccolta meccanica. La forma di allevamento deve consentire elevate produzioni e la facile esecuzione degli interventi colturali. In ogni caso non deve essere interpretata con eccessivo schematismo, ma ogni modello va adattato al contesto ambientale e aziendale in cui si opera. Le forme più diffuse sono rappresentate, in Sardegna, dal vaso e, in minor misura, dal globo. Il monocono, che esalta l'efficienza dello scuotitore al tronco, si adatta a cultivar non eccessivamente vigorose come la Bosana e la Semidana, e si applica con sufficiente facilità alla Nera di Villacidro e all'Olianedda. Maggiori difficoltà si riscontrano sulle vigorose Nera di Gonnos e Tonda di Cagliari, dove l'asse centrale è di continuo minacciato dai getti laterali. Potatura e forme di allevamento La potatura abbraccia i differenti interventi tecnici realizzati sulla chioma o sullo scheletro che, superata la fase di allevamento delle piante, sono rivolti a mantenere il giusto equilibrio tra vegetazione e produzione al fine di conseguire il massimo rendimento economico. Su un piano di ordine generale la potatura, ma anche la scelta della forma di allevamento in funzione delle caratteristiche ambientali, hanno come obiettivo l'esaltazione dell'efficienza fotosintetica della chioma; questa deve divenire una sorta di "trappola" per la luce nell'intento di ottenere la maggiore quantità possibile di "zuccheri" nelle foglie, e questi devono essere destinati in giusta proporzione a rami - germogli e fiori - frutti (v. cap. 10). Sotto il profilo operativo si deve preliminarmente ricordare che i rami fruttiferi dell'olivo sono quelli di un anno purché non eccessivamente vigorosi ma nemmeno troppo deboli (in media da 20 a 60 cm di lunghezza). Pertanto i germogli e le mignole si formano sui rametti dell'anno precedente e la vegetazione tende, anno dopo anno, ad allontanarsi dal centro e a occupare uno spazio sempre maggiore. Al contempo, in assenza di adeguati interventi di potatura, la chioma si infittisce e riduce la penetrazione della luce e dell'aria, limitando fortemente la produzione e favorendo lo sviluppo di insetti e funghi; è quindi necessario diradare periodicamente la vegetazione anche per favorire l'attività fotosintetica. Il diradamento svolge anche un'altra importante funzione, quella di rinnovare con periodicità la chioma eliminando le branchette ormai esaurite e stimolando l'emissione di nuovi germogli. Tutto ciò nel rispetto della forma di allevamento prescelta, e avendo sempre presente che i risultati produttivi non dipendono solo dalla potatura ma bensì dall'insieme di tutti gli interventi colturali realizzati in quel particolare contesto ambientale. La necessità di frequenti e razionali interventi cesori si scontra, purtroppo, sia con il costo crescente della manodopera sia con la difficoltà di reperire potatori effettivamente capaci; in particolare si segnala che gli interventi cesori sono preceduti, nella graduatoria dei costi di produzione, dalla sola raccolta. 74 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Pertanto le considerazioni più avanti esposte potranno, di volta in volta, essere modificate in funzione dell'organizzazione e competitività della singola azienda; è noto, ad esempio che il maggior valore delle olive da mensa consente di sopportare oneri maggiori purché, ovviamente, finalizzati a migliorare l'efficienza produttiva, mentre le tecniche cesorie da adottarsi nella più estensiva olivicoltura da olio dovranno essere necessariamente più contenute. Principali operazioni di potatura In questo paragrafo sono riportate in maniera sintetica e schematica le principali operazioni che il potatore può eseguire per indirizzare correttamente la pianta in fase di allevamento e per garantire l'equilibrio tra la vegetazione di neoformazione e i rami che porteranno e sosterranno la fruttificazione. Raccorciamento e soppressione di rami o branche Col raccorciamento del ramo si asporta la porzione distale (più lontana dall'inserzione) di questo, di norma per favorire lo sviluppo di germogli laterali dalle gemme poste immediatamente al di sotto del taglio. Il ramo è, invece, asportato dalla base quando si voglia sfoltire una parte di chioma, ovvero quando lungo la branca si realizza uno squilibrio nello sviluppo dei diversi rami con zone più o meno rivestite. Gli interventi sulle branche sono, in genere, operazioni eccezionali di norma finalizzate al recupero di impianti senescenti ovvero fortemente danneggiati da gelate. Il raccorciamento prevede la preliminare individuazione del ramo o della branchetta di sostituzione; il taglio, da eseguirsi con arnesi ben affilati, non deve lasciare monconi (che ostacolerebbero la cicatrizzazione) ma nemmeno intaccare il cercine posto nel punto di inserzione del ramo o della branchetta sulla branca. Le branche più grosse devono essere eliminate progressivamente con 2-3 interventi al fine di evitare "scosciature", cioè il distacco violento di strisce di corteccia; in tal caso è preferibile intaccare la branca, o il grosso ramo, con un taglio dal basso in alto che interessi circa la metà del diametro e poi concludere l'operazione intervenendo dall'alto verso il basso. E' opportuno ricoprire i tagli molto grossi con mastici cicatrizzanti o paste rameiche al fine di disinfettare la ferita e favorire la cicatrizzazione. Talora, la soppressione delle branche principali può essere vantaggiosamente sostituita dal taglio al piede delle piante (ceduazione) con successivo sfruttamento delle notevoli capacità rigenerative dell'olivo per una rapida formazione della nuova chioma. Inclinazione, piegatura e curvatura L'inclinazione è una tecnica tipica dell'allevamento a vaso, finalizzata a spostare l'angolo di inserzione dell'asse (ramo o branca). Di norma un germoglio inserito sul ramo in posizione verticale, ovvero un ramo su una branca, mostrano intensi accrescimenti e tardiva comparsa di gemme a fiore (come nel caso di polloni e succhioni), mentre i rami inclinati o curvati si indeboliscono in breve e consentono la comparsa di fiori e getti laterali. Poiché l'olivo è una specie basitona (anche se con differenze tra le varietà), dove cioè i germogli basali sono quelli che raggiungeranno il massimo sviluppo, tali tecniche accentuano semplicemente la naturale tendenza della specie. Peraltro, mentre risultano di largo impiego nella potatura di allevamento dei fruttiferi, sono meno utilizzate per l'olivo anche per l'eccessivo costo dell'intervento; solo nella potatura di allevamento del vaso si ricorre talora all'inclinazione delle branche in formazione. Incisione e decorticazione anulare Consiste nell'incidere la corteccia ad anello lungo l'intero perimetro del ramo o della branca (più raramente del tronco), ovvero nell'effettuare due incisioni distanti qualche centimetro per asportare il tratto intermedio di corteccia. Queste operazioni interrompono il sistema conduttore della pianta e impediscono alla linfa che si muove dall'alto in basso di superare il taglio; pertanto il tratto di ramo o di branca soprastante ha una maggiore disponibilità di nutrienti. Nel caso dell'incisione l'effetto dura una-due settimane perché con la cicatrizzazione si ripristina anche la continuità dei vasi, mentre gli effetti della decorticazione sono molto più duraturi. Tali trattamenti si eseguono, talora, nell'olivicoltura da mensa su piante molto vigorose, operando in prefioritura per aumentare la percentuale di allegagione. Non hanno, comunque, mai avuto grande rilevanza pratica in olivicoltura. 75 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Cimatura Prevede l'asportazione dell'apice del germoglio che, così, cessa di svilupparsi e tende ad emettere, qualora sia eseguita precocemente su germogli in attiva crescita, getti laterali,. Se attuata verso la parte finale della stagione vegetativa non stimola ricacci ma favorisce la maturazione del legno e la comparsa di gemme a fiore. Più frequentemente viene attuata in fase di allevamento per limitare la crescita dell'asse principale e favorire la formazione di branche utili alla costituzione dello scheletro. Slupatura Intervento limitato a vecchi impianti dove l'azione di varie specie di funghi (prevalentemente quelle tipiche del marciume del legno, v. cap. 14) hanno provocato la carie del legno. L'intervento prevede l'eliminazione del legno deteriorato, con appositi strumenti, sino a raggiungere il legno integro e sano. La tecnica è certo utile, ma anche molto costosa. Potatura di allevamento L'evoluzione delle tecniche cesorie riconosce, anche in olivicoltura, la necessità di ridurre quanto più possibile il periodo improduttivo susseguente all'impianto, estendendo alla specie tecniche e concetti già da tempo recepiti in frutticoltura. In questa ottica la potatura di allevamento, che comincia già dalle pratiche operative di vivaio (fig. 11.1), tende a ridurre al minimo gli interventi cesori sia per avere la massima superficie fogliare, e quindi un'elevata produzione di sostanze nutritive, sia per anticipare la comparsa di numerose gemme a fiore. Infatti i tagli stimolano i ricacci di nuova vegetazione e la formazione di germogli vigorosi non predisposti a fiore. Figura 11.1 Giovane pianta allevata in vivaio su asse unico, idonea per la realizzazione di un oliveto intensivo. Nei primi anni occorre, per quanto possibile, tagliare solo il minimo indispensabile per evitare di allungare la fase vegetativa ed il periodo improduttivo, ritardando così la messa a frutto della pianta Limitati interventi cesori sono, comunque, opportuni per indurre un precoce irrobustimento della pianta e il rapido raggiungimento della forma di allevamento prescelta (fig. 11.1) La potatura di allevamento comprende le operazioni che modificano la forma naturale della vegetazione esaltando il vigore o limitando lo sviluppo dei rami, ed ha come finalità principale quella di dare alla pianta una forma adeguata e conseguire un buon adattamento di questa alle finalità produttive dell'impianto. In quest'ottica si tende a far raggiungere all'albero, nel più breve tempo possibile, le dimensioni proprie della forma prescelta, pur non applicando rigidamente e in modo geometrico i concetti propri del sistema d'allevamento adottato. Si tende, pertanto, a formare un'impalcatura robusta, compatibile col sesto di impianto prescelto, che dovrà essere il supporto per gli organi vegetativi così come lo sarà della fruttificazione durante la vita produttiva della pianta. La struttura dovrà quanto più possibile consentire la meccanizzazione integrale della coltivazione. Per quanto attiene la meccanizzazione della raccolta, questa può risolversi, allo stato attuale delle conoscenze, con l'utilizzo di vibratori da applicare al tronco la cui efficienza operativa è strettamente legata, oltre che alla carica unitaria media, al numero di tronchi su cui intervenire e alla struttura dell'albero. 76 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Un'impostazione strutturale non corretta tende a limitare la percentuale di caduta dei frutti (v. cap. 12). Pertanto si suggerisce di impalcare ad altezza compatibile con le esigenze della raccolta meccanica, limitando, se possibile, l'asporto di eventuali branchette soprannumerarie; queste potranno essere sfruttate per alcuni anni e solo in seguito eliminate anche perché la raccolta meccanica potrà essere attuata solo dal 6°-7° anno. I germogli e i rami destinati a formare la struttura scheletrica di base dovranno sempre essere privilegiati rispetto ai rimanenti, controllando e contenendo la crescita di quelli che tendono a sopraffare i principali; le branche e i rami fruttiferi dovranno occupare lo spazio libero delimitato dalle strutture scheletriche principali, collocandosi nello spazio in modo da intercettare nel miglior modo possibile la radiazione solare in arrivo. Le varietà da mensa potranno essere, eventualmente, impalcate piuttosto basse, utilizzando anche forme di allevamento libere, il cui successo è strettamente legato alla tendenza ad assecondare il naturale modo di vegetare della varietà; ciò può avvenire adottando, con potature di allevamento sempre molto leggere, sistemi a siepone, cespuglio, etc. per le cultivar a portamento più raccolto, e forme monocauli "a tutta cima", come il monocono, per le varietà a sviluppo più assurgente. Potatura di produzione Prende avvio una volta conclusa la fase di formazione degli olivi e in coincidenza con la messa a frutto delle piante; pertanto si sovrappone, almeno in una fase iniziale, a quella di allevamento. Le operazioni cesorie attuate su alberi in attiva fruttificazione tendono a mantenere sulla pianta quella quantità di foglie che risulta proporzionale alla potenzialità vegetativa e produttiva dell'olivo in modo da ottenere un volume ottimale di chioma, che è legato alla natura e fertilità del terreno e alla disponibilità di acqua nel suolo. Un eccessivo volume di chioma può comportare la riduzione delle dimensione dei frutti, minore resa in olio delle olive, e può incidere negativamente sulla quantità e regolarità delle produzione a motivo del più rapido consumo dell'acqua del terreno e per la ridotta efficienza nell'illuminazione della chioma fruttificante. Il deficit idrico conseguente può portare oltre che a una riduzione nella dimensione dei frutti anche alla cascola dei medesimi, con forte compromissione degli esiti produttivi. È, pertanto, necessario mantenere un corretto equilibrio tra attività vegetativa e produttiva, evitando sia di eliminare con la potatura una quantità eccessiva di rami che provocherebbe un notevole rigoglio vegetativo e lo sviluppo degli improduttivi succhioni, sia di lasciare troppo vestita la pianta poiché ciò provocherebbe oltre ai fenomeni sopra descritti, dopo alcuni anni, ombreggiamento delle parti interne, scarsa attività vegetativa, produzioni via via decrescenti e sviluppo di parassiti. L'eliminazione di una giusta quantità di ramaglia contribuisce, quindi, all'ottenimento di livelli produttivi proporzionali alle capacità della pianta. La potatura ordinaria, quindi, si realizza intervenendo sui rametti sia asportandoli alla base che semplicemente raccorciandoli; nel primo caso si "schiarisce" un ramo con vegetazione troppo fitta, nel secondo si asporta il tratto terminale del rametto divenuto troppo lungo. I tagli stimolano la vegetazione e mantengono sempre giovane la chioma; quest'obiettivo può essere ancora meglio seguito, su piante poco vigorose, raccorciando "a sperone" il rametto come uno sperone di vite , mantenendo due o quattro nodi, così che dalle gemme poste alla base delle foglie si sviluppino nuovi getti. L'intensità della potatura di produzione è legata soprattutto alla vigoria e al portamento della varietà e della singola pianta da potare; si possono infatti distinguere varietà a "portamento assurgente", con germogli pressoché verticali e sempre vigorosi, e varietà a "portamento pendulo", con rami tendenzialmente orizzontali, o rivolti verso il basso, e di poco vigore. L'utilizzo della branchetta fruttifera (ramo con rametti che, a loro volta, sostengono dei germogli) come termine di riferimento porta ad alcune modalità di intervento. Nel caso si stia operando su una branchetta pendula, il rametto tende, nel tempo, ad allungarsi portandosi fuori dalla chioma ed esaurendosi, come del resto avviene all'intero ramo. Questa tipologia di branchetta emette, nel tratto curvilineo, dei germogli diritti che rappresentano la naturale rinnovazione della branchetta; basterà raccorciare le cime della branchetta per accentuare lo sviluppo del rametto di sostituzione che, allungandosi, tenderà in breve a divenire curvilineo (anche per il peso dei frutti e dei successivi germogli). 77 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nel corso degli anni si otterrà una serie continua di archi, che rallenteranno il flusso basipeto della linfa, favorendo la fruttificazione. Qualora, invece la branchetta fosse diritta, si deve eliminare il germoglio centrale che costituisce il naturale prolungamento della branchetta, e si speronano i rametti laterali per ottenere un assetto più slargato e meno verticale. Se la branchetta fosse anche molto fitta, sarà opportuno diradare i rametti. In ogni caso occorre preliminarmente accertarsi della regolarità della forma per procedere alla eventuale correzione della stessa, contenendo o favorendo con gli opportuni tagli lo sviluppo delle branche e reimpostando la conformazione della struttura scheletrica, a suo tempo individuata. Qualora sia necessario eliminare i succhioni in soprannumero occorre mantenere quelli che possono sostituire organi eventualmente compromessi o danneggiati e, pertanto, da sostituire. Le cime vanno governate con gli opportuni tagli di ritorno e l'alleggerimento dell'eccessivo affastellamento. Nel caso, poi, ci siano forti riscoppi di polloni, la cui presenza è maggiore nelle piante innestate su selvatico, occorre provvedere al loro taglio; talora l'intervento può essere realizzato anche con diserbanti (sistemici quali il glifosate) a dosi opportunamente ridotte. Potatura di riforma Negli oliveti ormai invecchiati o che hanno subito gravi danni come, ad esempio, il passaggio del fuoco, è necessario intervenire con opportune pratiche di rinnovo della struttura e il ripristino della funzionalità vegetativa. In taluni casi l'intervento di potatura straordinaria serve a rendere adatte le strutture del fusto alle operazioni di raccolta meccanica, ovvero ad abbassare con tagli di ritorno alberi di altezza eccessiva incompatibile con l'esecuzione di molti interventi colturali. Forme di allevamento La forma, o sistema di allevamento, ha come obiettivo l'ottenimento di una struttura e di un assetto della pianta che consenta elevate produzioni e la facile esecuzione delle operazioni colturali; tra queste particolare rilievo assume la raccolta, sia meccanica che manuale, ma anche l'efficacia dei trattamenti di difesa e le lavorazioni del terreno possono essere facilitate dall'adozione della forma di allevamento più idonea a particolari e specifiche situazioni aziendali. Pertanto, nelle fasi antecedenti l'impianto occorre programmare l'impostazione della forma di allevamento in funzione delle caratteristiche di fertilità del suolo, della disponibilità idrica del terreno, degli obiettivi produttivi (olio-mensa) e da ultimo degli aspetti varietali. Particolare attenzione va posta nell'individuare la forma in funzione del grado di meccanizzazione adottabile, soprattutto per quelle operazioni, come la raccolta, che dalla meccanizzazione più o meno elevata possono conseguire forti economie gestionali. Qualora, poi, si proceda ad effettuare una scelta valutando solo alcuni dei parametri indicati, eventuali modifiche della forma di allevamento precedentemente scelta non saranno mai indolori e tenderanno a pregiudicare per un periodo non breve gli esiti produttivi dell'oliveto. Qualunque sia l'orientamento verso cui si indirizza la scelta della forma occorre sottolineare che questa non deve mai essere interpretata in maniera geometrica e con eccessivo schematismo, ma ogni situazione va riferita alle condizioni ambientali e all'organizzazione aziendale, alla fertilità del suolo e alla disponibilità di manodopera, ma soprattutto deve essere gestibile in termini economici limitando gli interventi non necessari. Di seguito si riportano le forme l'allevamento più diffuse Vaso È tra i più antichi e tradizionali sistemi di allevamento di molte specie arboree, imperniato sull'allevamento di 3-5 branche inclinate a 40-45° in modo da ottenere un cono rovesciato, a forma di imbuto o, appunto, di vaso. La forma ha subìto nel tempo diverse modifiche riconducibili a due diverse esigenze: anticipare l'entrata in produzione e ridurre i costi della potatura di allevamento, da un lato, esaltare la produttività della raccolta meccanica riducendo l'inclinazione delle branche, dall'altro. E' una delle forme più diffuse nell'Italia centro - meridionale, e molti dei nuovi impianti realizzati in Sardegna negli anni Novanta hanno scelto questa forma di allevamento. 78 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Una particolare variante del vaso consiste nel passaggio dalla chioma a parete continua (dove, cioè, la vegetazione portata dalle diverse branche confluisce a formare una sola cortina) alla chioma multipla o poliforme, e pertanto al "vaso policonico" (fig.11.2). Figura 11.2 Potatura su olivo allevato a vaso policonico. In tal caso l'olivo porta 3-4 branche ben separate (branca-chioma) ciascuna formata da un asse inclinato di 45° nel primo tratto e poi pressoché verticale; ogni branca è ben rivestita di rametti diretti in prevalenza verso l'esterno, ma anche verso l'interno, sempre comunque di maggior sviluppo nel tratto basale della branca e via via decrescenti procedendo verso l'alto. Pertanto guardando la singola branca si deve avere l'impressione di vedere una piramide o un cono. Il vaso policonico richiede una potatura continua e minuziosa, ed è oggi considerato poco efficiente e competitivo. Il vaso si ottiene impalcando, con un taglio della cima, la giovane piantina a 80-100 cm da terra, e individuando i 3 4 germogli che dovranno costituire le future branche; questi devono svilupparsi vigorosamente e per questo vengono lasciati inizialmente verticali e solo successivamente inclinati. I germogli concorrenti sarebbe preferibile non fossero eliminati per avere più elevata superficie fogliare, ma andrebbero ripiegati e fissati al tronco per essere indeboliti: tale pratica può però avere validità solo in piccoli appezzamenti, mentre non è proponibile nel caso di un oliveto di dimensioni e in cui si tendano a razionalizzare e economizzare gli impegni di manodopera. Nell'anno successivo si inclinano le tre branchette principali con l'aiuto di divaricatori e tiranti, si eliminano eventuali succhioni in posizione dorsale che vanno sviluppandosi nella parte interna della branchetta e che minacciano la cima. La branca deve terminare con un rametto eretto e vigoroso capace di controllarne lo sviluppo. La potatura di produzione prevede l'eliminazione delle branchette esaurite, il riequilibrio tra rami interni ed esterni e la riduzione delle branchette poste nella parte terminale della branca per evitare che ombreggino le sottostanti. Nel caso si preveda di raccogliere con scuotitori è bene eliminare o ridurre i rami a portamento pendulo e irrigidire la struttura raccorciando le branchette. Essendo una forma che nel tempo tende ad allargarsi necessita di spazi sufficientemente ampi e pertanto le distanze del sesto prescelto per l'impianto possono oscillare dai 5 ai 7 m sulla fila e 6-7 tra le fila in dipendenza di cultivar, fertilità del suolo, disponibilità di mezzi tecnici, ecc. Globo Tra le forme di allevamento in volume è quella che consente di proteggere con l'ampia chioma il tronco e le branche dall'eccesso di radiazione solare. Inoltre asseconda la naturale tendenza di molte cultivar di olivo ad assumere forme globose, richiedendo pertanto modesti interventi di potatura di allevamento. La freccia, o cima, viene mantenuta integra sino al terzo anno quando si taglia il prolungamento per ottenere 3-4 branche principali distanti lungo il tronco, almeno 20 cm l'una dall'altra e orientate in diverse direzioni; in tal modo la chioma si sviluppa in modo omogeneo e le branche, allungandosi, danno alla pianta il tipico aspetto globoso. Il ridotto numero dei tagli necessari per impostare l'olivo consente una rapida messa a frutto, con drupe localizzate nella parte più esterna della chioma là dove maggiore è l'illuminazione. La potatura di produzione prevede l'eliminazione delle branchette esaurite, di quelle interne ombreggiate e di polloni e succhioni; il mantenimento della forma di allevamento si ottiene con periodici tagli di ritorno su getti laterali. E' un sistema sovente utilizzato per le olive da mensa, soprattutto nei comprensori irrigui meridionali; i sesti di impianto oscillano tra m 6x6 e m 7x8. 79 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Vaso cespugliato Nato come sistema di allevamento per gli olivi dell'Italia centrale colpiti dalle gravi gelate del 1956, può essere realizzato a partire da una sola pianta oppure da tre poste molto vicine in modo da dar luogo a una sola chioma (fig 11.3). Figura 11.3 Allevamento a vaso cespugliato. Nel primo caso l'olivo va reciso a livello del terreno e lasciato sviluppare indisturbato per 2-3 anni, a formare una sorta di cespuglio, che recenti esperienze hanno dimostrato essere precocemente fruttificante; in seguito la potatura di produzione, comunque molto contenuta, agirà in modo da ottenere un vaso policonico con impalcatura piuttosto bassa. Nel secondo caso si piantano tre olivi ai vertici di un triangolo equilatero avente il lato lungo un metro; successivamente ciascuna pianta darà origine ad una branca del vaso policonico a bassa impalcatura. I sesti di impianto sono compresi tra il 5x5 e il 7x7 m . E' ritenuta una forma superata per l'alto costo iniziale e l'inefficienza in fase di raccolta meccanica con vibratori al tronco. Siepone Come dice il nome, questa forma di allevamento sfrutta la naturale tendenza dell'olivo (e soprattutto di alcune varietà) ad assumere una forma cespugliosa che, nel caso di piante poste molto vicine sulla fila, comporta l'ottenimento di un'unica siepe o parete di vegetazione (fig. 11.4). Figura 11.4 Parete continua di vegetazione nel siepone. Molto utilizzata per le varietà da mensa, soprattutto nei territori irrigui delle regioni meridionali, si realizza con pochi interventi cesori poiché le giovani piante sono lasciata sviluppare pressoché liberamente; anche per questo motivo si registra la comparsa dei frutti già dal secondo-terzo anno, produzioni che diventano in breve interessanti per l'elevata densità di impianto (400-800 piante/ha in relazione a sesti di m 5-7 x 2,5-3,5). Spesso questa forma di allevamento si adotta anche per varietà a portamento assurgente, quale la "Frangivento" o "Cipressino", appunto per costituire siepi e barriere frangivento. Intorno al decimo anno di vita le chiome sono sovente eccessivamente fitte e richiedono l'apertura di "finestre" nella siepe e il diradamento dei rami; in caso contrario la produzione va rapidamente calando, mentre difficile risulta il controllo della fumaggine e delle cocciniglie. 80 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Monocono Forma di allevamento che esalta l'efficienza della raccolta meccanica, risulta diffusa soprattutto nei nuovi oliveti dell'Italia centrale, talora anche con "sesto dinamico". Le piante sono allevate, sin dal vivaio, su un unico asse centrale, peraltro ben rivestito sin dalla base di rametti laterali; in ogni caso si deve garantire la prevalenza della freccia (prolungamento dell'asse) sui germogli laterali, a motivo della sua funzione equilibratrice e regolatrice dello sviluppo, indispensabile per la corretta impostazione della pianta (fig.11.5). Figura 11.5 Giovane olivo allevato a monocono. La potatura di allevamento si limita all'eliminazione progressiva dei rami più bassi per favorire lo sviluppo in altezza delle giovani piantine. Di contro, le branche permanenti si inseriranno a spirale sull'asse centrale a partire da circa un metro di altezza per favorire il compito dello scuotitore; come detto, però, nei primi anni saranno accompagnate da branchette basali di sfruttamento da eliminare progressivamente. A partire da un metro di altezza le branche permanenti dovranno svilupparsi con lunghezza decrescente procedendo dalle più basse a quelle inserite più in alto; in tal modo la pianta assume la forma conica con la base slargata rivolta verso terra. La potatura di allevamento del monocono prevede il periodico alleggerimento della cima mediante diradamento dei germogli e mantenimento di quello verticale meglio inserito; una cima fitta, infatti, ombreggia le branche sottostanti impedendone il corretto funzionamento. Inoltre si dovranno sopprimere le branchette e i rami esauriti, quelli ombreggiati e mal posizionati, ovvero favorire il rafforzamento dei rami a frutto ben aerati e illuminati e, qualora le branche basali o intermedie tendano a rinvigorirsi eccessivamente, le si devia lateralmente su getti tendenzialmente orizzontali, in modo da ridurre l'eccessiva intensità vegetativa. La sua corretta impostazione è comunque fortemente condizionata dalla vigoria della varietà e dal portamento dei rami: varietà vigorose e caratterizzate da una notevole chiusura degli angoli di inserzione dei rami sulle branche hanno scarsa tendenza a sviluppare in maniera ordinata e regolare la struttura scheletrica precedentemente descritta. Ad esempio l'impostazione a monocono di varietà quali Tonda di Cagliari e Nera di Gonnos presenta alcune difficoltà a causa della scarsa robustezza dell'asse che, seppure ancorato al palo tutore, risulta indebolito dai getti laterali anch'essi con portamento assurgente; tutto ciò si traduce in una frequente sostituzione della cima. Su queste varietà si forma, quindi, un notevole numero di rami con lunghi tratti privi di vegetazione e un nutrito affastellamento nella zona distale. Ciò obbliga a frequenti interventi cesori con conseguenti ulteriori ricacci che, non consentendo l'instaurarsi dell'equilibrio vegeto-produttivo, ritardano l'entrata in produzione. L'adozione di questa forma di allevamento richiede un'attenta scelta delle distanze d'impianto per evitare, dopo pochi anni dalla piantagione, ombreggiamento delle chiome e chiusura delle pareti fruttificanti; ciò imporrebbe tagli drastici e stroncature delle piante, a tutto discapito della produttività dell'oliveto. Su varietà a portamento poco assurgente e a limitata vigoria la forma a monocono può invece essere agevolmente utilizzata. Indispensabile risulta comunque la presenza del tutore, che deve accompagnare la crescita del pianta almeno sino al 4°-5° anno; il palo, con un'altezza fuori terra mai inferiore a 2 metri, dovrà essere posizionato sopravvento al fine di garantire la costante presenza di un asse centrale robusto e ben strutturato. 81 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro A tale struttura, che consente l'adozione di sesti particolarmente fitti, appaiono adattarsi alcune varietà sarde quali Bosana e Semidana, che tendono in tal modo ad anticipare l'entrata a frutto; in altre, quali Nera (Tonda) di Villacidro e Olianedda, tale forma è comunque agevolmente realizzabile, pur non emergendo aspetti di precoce fruttificazione che appaiono più legati a specifiche caratteristiche varietali. Tra le cultivar nazionali saggiate negli ambienti olivicoli isolani, buon adattamento al monocono si manifesta in Nocellara del Belice, Frantoio e Leccino. Dalle esperienze condotte nell'Italia centrale emerge che le maggiori produzioni degli oliveti a monocono con "sesti ridotti", confrontate con quelle di impianti condotti con la stessa forma di allevamento ma con distanze di piantagione definitive sin dalla piantagione, sono superiori ma, non sempre, in misura tale da compensare i maggiori costi sostenuti. Cespuglio e forme libere La riduzione degli interventi cesori e l'adozione di forme non riferibili a quelle già note è strettamente collegata al crescente costo della manodopera, soprattutto di quella qualificata per l'esecuzione della potatura. Ciò si è reso particolarmente evidente soprattutto in impianti medio grandi e con l'utilizzo di cultivar da mensa e a duplice attitudine, che in genere presentano elevata vigoria ed accentuano al meglio la precocità di fruttificazione qualora vengano limitati gli interventi cesori in fase di allevamento. In tal modo vengono ridotti i costi gestionali di esercizio e si favorisce un più rapido ammortamento dei costi di impianto. Nell'allevamento a cespuglio, l'albero è lasciato sviluppare liberamente, con interventi limitati e tesi, da un lato, a sollevare progressivamente la vegetazione mediante l'eliminazione di eventuali polloni, dei germogli e dei rami inseriti nei primi 50 - 80 centimetri, e, dall'altra, a un leggero sfoltimento delle chiome con asportazione dei succhioni e dei germogli male inseriti perché diretti verso l'interno. La pianta tenderà, nel tempo, ad assumere una conformazione della chioma "a cespuglio" simile a quelle già descritte (globo, vaso cespugliato), e come queste deve essere gestita. E' ipotizzabile, poiché mancano esaurienti informazioni su impianti in produzione, che la riduzione degli interventi in fase di allevamento si traduca in una minore efficienza nel caso di raccolta con scuotitori, o nella totale impossibilità ad eseguirla. Di contro, la raccolta di olive da mensa con brucatura, direttamente da terra, ovvero con pettini o rastrelli manuali o pneumatici e reti a terra per varietà a duplice utilizzo o da olio, dovrebbe potersi eseguire con livelli di produttività del lavoro non dissimili da quelli rilevabili per altre forme di allevamento. In alcune prove di confronto tra cespuglio e monocono, condotte in Toscana, si sono registrate analoghe produzioni cumulate, ma una più precoce entrata in produzione e una più elevata efficienza economica per il cespuglio. Tra queste proposte innovative si inserisce quella del "ceduo" di olivo, modello che prevede di gestire l'oliveto con turni di ceduazione (taglio al piede delle piante) di 10 anni. In questo intervallo di tempo gli interventi colturali sono pressoché assenti. La riduzione dei costi di esercizio e il reddito ottenibile dalla vendita della legna compenserebbe la minore produttività osservata negli ultimi anni del ciclo a confronto con un impianto gestito con tecniche tradizionali. 82 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 12 - Difesa: Fitofagi dell'olivo Obiettivi Sono descritti i principali fitofagi dell'olivo e le tecniche di lotta integrata impiegate per il loro contenimento. Del centinaio di specie di insetti e acari fitofagi che colpiscono la specie, in Sardegna ne sono presenti circa un quarto: una ventina di specie di insetti e cinque di acari. Solo tre specie superano con una certa frequenza la soglia di danno economico (la mosca delle olive, la cocciniglia mezzo grano di pepe e la tignola), le altre sono considerate fitofagi secondari. La femmina della mosca perfora con l'ovodepositore le drupe di olivo e olivastro per deporre le uova. La larvetta scava una galleria tortuosa e superficiale e, passata attraverso tre età, si dirige verso il nocciolo che è, comunque, sempre rispettato. Le generazioni possono essere anche sei all'anno. Il Dipartimento di Protezione delle Piante dell'Università di Sassari, in collaborazione col Servizio Agrometeorologico Regionale, ha sviluppato un modello matematico della dinamica di popolazione. E' così possibile prevedere l'andamento dell'infestazione estivo autunnale sulla base della percentuale di olive colpite a inizio stagione e dei valori orari di temperatura dell'aria. La lotta biologica alla mosca delle olive è stata condotta sperimentalmente con liberazioni di 100 individui per pianta dell'imenottero braconide Opius concolor, ma l'unico metodo impiegato efficacemente nella pratica si basa sull'impiego di trappole impregnate con un insetticida dall'alto potere abbattente e contenenti attrattivi alimentari e sessuali. Le prove condotte in Sardegna su circa 130mila olivi (con una trappola/albero) hanno dimostrato un'efficacia pari alle esche proteiche avvelenate. La lotta chimica si basa su trattamenti insetticidi irrorati a tutta chioma in funzione larvicida (lotta curativa) al raggiungimento di una soglia economica di intervento di 10-15% di olive infestate da stadi giovanili, ovvero apportati in maniera localizzata in miscela a esche proteiche per colpire gli adulti (lotta preventiva). La prima impiega insetticidi endoterapici, ad azione citotropica. Il dimetoato è ancora molto utilizzato perché unisce all'alta efficacia l'idrosolubilità, con conseguente passaggio dell'insetticida nelle acque di vegetazione e riduzione dei suoi residui nell'olio a meno di un terzo della dose iniziale riscontrata nelle olive. La tignola dell'olivo è un lepidottero considerato in alcune aree olivicole del Mediterraneo dannoso quanto la mosca delle olive ma che in Italia causa perdite di produzione economicamente rilevanti solo nelle varietà da mensa. Attacca i diversi generi della famiglia delle oleacee: olivo e olivastro, lillà, gelsomino, ligustro e fillirea. Le tre generazioni di tignola colpiscono, come larve, i fiori (generazione antofaga), i frutti (gen. carpofaga) e le foglie (gen. fillofaga). La lotta può essere condotta con preparati a base di Bacillus thuringiensis, batterio tossico solo per le larve dei lepidotteri. Il bersaglio è rappresentato dalle generazioni antofaghe e fillofaghe. La cocciniglia mezzo grano di pepe (o cocciniglia nera dell'olivo) è rappresentata, nell'area mediterranea, da soli individui di sesso femminile che si riproducono per partenogenesi. Le specie vegetali più colpite sono, oltre all'olivo, gli agrumi e l'oleandro. L'emissione di melata zuccherina favorisce la formazione di "fumaggine", croste nerastre formate da funghi microscopici. Gli insetticidi anticoccidici (oli leggeri, polisolfuri, esteri attivati) sono poco efficaci contro le femmine giovani e ovideponenti, e il bersaglio della lotta sono le neanidi di 1° età presenti sulla pianta nel pieno dell'estate. Tra i fitofagi secondari rientrano il pidocchio nero dell'olivo, il cotonello dell'olivo, la cocciniglia grigia, la margaronia, l'oziorrinco e il fleotribo. Introduzione Del centinaio di specie di insetti ed acari fitofagi che attaccano l'olivo in tutto il mondo, ne sono conosciuti in Sardegna circa un quarto, di cui una ventina appartenenti agli insetti e cinque agli acari. Non tutte queste specie però sono da ritenersi sempre dannose, e solamente la mosca delle olive (Bactrocera oleae), la tignola (Prays oleae) e la cocciniglia mezzo grano di pepe (Saissetia oleae) possono raggiungere densità di popolazioni superiori alla soglia di danno economico. 83 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Altre specie sono considerate come fitofagi secondari, insetti cioè che possono causare danni saltuariamente e solo in particolari situazioni. Le errate pratiche colturali o l'abuso di insetticidi a largo spettro d'azione, alterando gli equilibri biologici dell'agroecosistema, possono determinare pullulazioni di insetti ed acari le cui popolazioni normalmente sono tenute a freno da un complesso veramente imponente di nemici naturali. Fra questi, i predatori sono rappresentati da diverse specie di Acari, Emitteri, Neurotteri e Coleotteri, e i parassiti da oltre 300 specie di Imenotteri. Fitofagi principali In questa categoria vengono inclusi gli insetti dannosi che costituiscono un rischio continuo per le produzioni olivicole della Sardegna. Mosca delle olive La mosca delle olive, il cui nome scientifico è Bactrocera oleae (Gmel.), appartiene alla famiglia dei Ditteri Tefritidi, di cui fanno parte alcuni degli insetti più dannosi all'agricoltura. Ben conosciute agli agricoltori sardi sono, ad esempio, altre due specie di Tefritidi, la mosca mediterranea della frutta e la mosca delle ciliegie. Descrizione L'adulto di Bactrocera oleae è leggermente più piccolo della mosca domestica e misura 4-5 mm. Le due ali sono incolori e trasparenti, con una macchia scura all'apice. La femmina è dotata di un ovopositore di sostituzione (volgarmente chiamato trivella), formato dagli ultimi segmenti addominali e terminante ad aculeo (fig. 12.1). Il maschio si distingue dalla femmina per l'addome arrotondato all'estremità . Figura 12.1 Femmina di Bactrocera oleae. La larva appena nata è lunga circa 1 mm e si sviluppa passando attraverso 3 stadi larvali (fig. 12-2). Raggiunto il completo sviluppo, la larva si trasforma in pupa all'interno del pupario (fig. 12.3), dove avviene la metamorfosi e da esso sfarfallerà la nuova mosca, che ricomincerà il ciclo. Figura 12.2 - Figura 12.3 - Larva di Bactrocera Pupario di Bactrocera oleae. oleae. Biologia Bactrocera oleae attacca esclusivamente le drupe di piante del genere Olea e quindi, in Sardegna, solamente l'olivo e l'olivastro. 84 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Gli adulti sono molto longevi e possono sopravvivere anche per alcuni mesi. Essi hanno necessità di nutrirsi per tutto il tempo della loro vita e, mentre trovano con facilità sulle piante alimenti zuccherini (ad esempio, melata di cocciniglie o melata vegetale), più difficoltoso sembra essere il reperimento di sostanze proteiche (ad es., polline, escrementi di uccelli, etc.). L'accoppiamento avviene quando gli adulti hanno qualche giorno di vita, ed è preceduto dall'emissione di odori sessuali (feromoni) da particolari ghiandole localizzate nel retto di ambedue i sessi. Il feromone sessuale, che è strettamente specifico perché attrae solo i maschi della mosca delle olive, è stato sintetizzato in laboratorio ed è disponibile in commercio per l'utilizzazione come esca nelle trappole per il monitoraggio degli adulti o per la lotta diretta con il metodo della confusione sessuale o delle catture massali. Le femmine portano a maturazione le prime uova dopo 6-8 giorni dalla nascita e possono deporne alcune centinaia durante tutta la vita. Il periodo di preovideposizione e la fecondità giornaliera sono molto influenzate dalle condizioni climatiche e dalla disponibilità di drupe. In Sardegna le temperature invernali risultano troppo basse per permettere la maturazione delle uova e la fecondità è ridotta anche nei mesi più caldi, quando, a temperature superiori a 30 °C, si manifesta un riassorbimento dei follicoli ovarici. La maggior parte delle mosche non ha inoltre gli ovari maturi in giugno-luglio (cosiddetto "periodo bianco"), se non sono presenti olive recettive. Le temperature ottimali per l'ovideposizione si situano fra 20 e 30 °C e la produzione giornaliera di uova per femmina è di qualche unità in luglio-agosto, ma può arrivare a 10-20 in settembre-ottobre. Sull'olivo le femmine scelgono le olive in cui deporre sulla base di alcuni caratteri quali la forma, la grandezza, il colore e, probabilmente, l'odore. Le prime ovideposizioni si riscontrano sulle drupe che hanno raggiunto le dimensioni di un cece. La puntura provoca una macchia a contorni netti, di forma generalmente triangolare e di color brunastro. E' molto importante saper riconoscere le olive punte (fig. 12.4), cioè con la ferita di ovideposizione, dato che l'efficacia della lotta curativa dipende dalla tempestività del trattamento, che deve essere eseguito sugli stadi più sensibili della mosca (uovo e larva neonata) e prima che si manifesti il danno compiuto dalle larve più grandi (fig. 12.5). Figura 12.4 - Figura 12.5 - Olive punte. Olive bacate. L'uovo schiude dopo 2-3 giorni in estate e dopo una decina di giorni in autunno e la larvetta scava subito una galleria tortuosa e superficiale, riconoscibile esternamente per l'aspetto traslucido. Successivamente la larva, che passa attraverso 3 età, si approfondisce all'interno dell'oliva scavando una galleria di dimensioni gradatamente crescenti, ma rispettando comunque il nocciolo. In estate, le larve si sviluppano in 10-13 giorni e si impupano all'interno dell'oliva, dopo aver preparato la via d'uscita per l'adulto, intaccando la polpa fino all'epicarpo. In autunno e inverno lo sviluppo larvale si compie in una ventina di giorni e anche più e le larve mature, perforata interamente la buccia, si lasciano cadere nel terreno dove si impupano ad una profondità di qualche centimetro. La durata del periodo pupale varia da un minimo di una decina di giorni in agosto, fino ad un massimo di 4 mesi in autunno-inverno (pupe svernanti). Dinamica di popolazione In Sardegna, la mosca delle olive si trova allo stadio di adulto durante tutto l'anno, con due periodi di massima densità: aprile-maggio e settembre-novembre, cioè in presenza rispettivamente delle olive che restano sulle piante all'uscita dall'inverno e dei nuovi frutti dell'annata. L'attacco si manifesta inizialmente nelle zone pianeggianti, irrigue o con terreni freschi e profondi e sulle cultivar a frutto grosso e succoso, per passare successivamente alle colture con piante provviste di olive minute, dando origine a quattro generazioni che possono portare ad un'infestazione pressoché totale delle olive. 85 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Gli adulti della terza e quarta generazione fanno la loro comparsa da marzo a maggio; in presenza di olive rimaste sulle piante essi daranno vita ad una quinta e talvolta sesta generazione. In ogni caso però anche gli adulti nati dalle pupe svernanti, in numero molto ridotto, sono in grado di sopravvivere fino all'estate, quando saranno presenti drupe recettive della nuova produzione. In Sardegna è stato sviluppato un modello matematico di simulazione della dinamica di popolazione del fitofago relativo ad un periodo di 10 anni, che consente, sulla base dei valori orari di temperatura e della valutazione dell'infestazione iniziale sulle olive, di riprodurre la probabile dinamica dell'infestazione delle generazioni estivo-autunnali. Le simulazioni del modello, tenendo conto dei più importanti parametri fisiologici dell'insetto quali ad esempio la mortalità, lo sviluppo, la fecondità, consentono anche una migliore comprensione della dinamica di popolazione della specie, vista soprattutto in funzione delle variazioni termiche dell'ambiente. Fattori naturali di limitazione Diversi fattori abiotici (climatici) e biotici (parassiti e predatori) possono contribuire a mantenere basse le popolazioni della mosca delle olive e determinare mortalità che, in alcune annate e a seconda delle generazioni possono anche superare il 90% dell'insieme degli stadi preimmaginali. Le basse temperature invernali possono in alcune zone decimare le popolazioni della mosca delle olive, ma in Sardegna, esse non raggiungono generalmente mai punte minime tali da risultare letali per le pupe svernanti nel terreno. Molto più importanti risultano le alte temperature estive che agiscono congiuntamente ai bassi tenori di umidità relativa dell'aria, sia limitando la maturazione delle uova negli ovari sia uccidendo le uova e le larve giovani della prima generazione, particolarmente sulle olive da olio. Mortalità elevate (fino ad oltre l'80%) si osservano quando le temperature superano 30-33 °C per diverse ore della giornata, soprattutto in coincidenza di prolungata siccità nella fase fisiologica di lignificazione del nocciolo. La mortalità, oltre che dalle alte temperature, è senza dubbio determinata dalla struttura fibrosa del mesocarpo delle olivine di alcune varietà da olio (ad es. Bosana), che favorisce l'incistidamento dell'uovo e della larva neonata. Le varietà da tavola sono, in generale, poco resistenti all'attacco della prima generazione estiva di Bactrocera e la loro suscettibilità dipende dalla velocità di ingrossamento della drupa. In ogni caso, una buona disponibilità idrica, dovuta ad irrigazione o a precipitazioni ben distribuite in primavera-estate, rende più turgide le olive e limita la mortalità delle larvette, anche in condizioni di elevate temperature. Anche alcuni insetti utili (predatori e parassiti) collaborano attivamente nel limitare le popolazioni della mosca. Le larve cadute al suolo e le pupe nel terreno in inverno e primavera possono essere distrutte in gran numero dall'azione congiunta dei predatori terricoli (formiche, Coleotteri) e dai fattori abiotici. Quest'azione letale contribuisce a tenere basse le popolazioni della mosca che attaccheranno la nuova produzione all'inizio dell'estate. Alcuni parassiti attaccano le uova e le larve nelle olive, in estate e in autunno, ma la loro azione, seppure importante nel rallentare le infestazioni non è sufficiente ad evitare gravi perdite economiche. Occorre ricordare che nella fascia meridionale dell'Isola a clima subtropicale è presente l'Imenottero Braconide Opius concolor Szepl che parassitizza le larve mature della mosca (fig. 12.6). Figura 12.6 Femmina di Opius concolor. Fattori di regolazione delle infestazioni Il fattore di gran lunga predominante nel regolare le popolazioni di B. oleae in Sardegna è rappresentato dalla quantità di olive prodotte, con il suo tipico andamento biennale di scarica e carica. 86 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nelle annate di elevata produzione, l'infestazione risulta quasi sempre molto modesta e ritardata per la lenta crescita del frutto, tanto da toccare solo marginalmente le aree olivicole poste nei rilievi. Le numerose olive che rimangono sulle piante consentono alle larve ibernanti di superare senza forti decimazioni il periodo avverso e soprattutto consentono lo svolgimento delle generazioni primaverili della mosca. Nell'annata di scarsa produzione si avrà quindi una elevata abbondanza di popolazione di B. oleae contro un basso numero di olive che, di conseguenza, maturano prima e sono più precocemente e rapidamente attaccabili. L'attacco della mosca in questo caso determinerà la caduta totale delle drupe ad autunno inoltrato e ciò impedirà lo sviluppo delle generazioni invernali e primaverili. L'anno successivo di alta produzione coinciderà con una popolazione molto ridotta con conseguente bassa infestazione. Nel prevedere le infestazioni occorre tener conto anche delle grandi possibilità di spostamento degli adulti della mosca, che migrando dalle zone di pianura a quelle di collina, sono in grado di attraversare facilmente uno spazio non olivetato di 2 Km. Danni I danni sulle olive da tavola possono essere molto gravi in quanto per ottenere un prodotto di alta qualità mercantile le drupe devono risultare esenti da punture che, anche in assenza di stadi vivi della mosca, possono deturpare notevolmente l'aspetto estetico dell'oliva. La soglia di tolleranza per la commercializzazione delle olive da mensa prevede il 2% di infestazione. Sulle olive da olio il danno causato dalla mosca viene distinto in 3 tipi: 1. perdita di raccolto in seguito alla caduta precoce di olive attaccate (settembre-novembre); 2. riduzione della resa in olio; 3. peggioramento della qualità dell'olio. La perdita di raccolto dipende, oltre che dalla intensità dell'attacco, dalla sua precocità e dalla tecnica di raccolta. La larva di B. oleae può divorare da 1/5 a 1/10 della polpa delle olive a seconda della grandezza della drupa; la riduzione di resa dell'olio varia quindi in conseguenza. Il danno più grave è rappresentato però dal peggioramento qualitativo dell'olio dovuto ad un decadimento organolettico e ad una sua minore conservabilità. L'infestazione della mosca delle olive causa infatti alterazioni dei principali parametri chimico-fisici dell'olio determinando un aumento dell'acidità, del numero di perossidi, delle costanti spettrofotometriche e una forte riduzione del contenuto in polifenoli. Sulla qualità dell'olio ha una notevole influenza la tecnica di raccolta e il periodo di conservazione delle drupe prima dell'estrazione. Infatti, olive totalmente attaccate, raccolte dalla pianta e immediatamente sottoposte a frangitura, possono dare oli che, per acidità e numero di perossidi, rientrano nella classificazione degli extravergini ma già infestazioni del 40% delle drupe determinano il superamento dei limiti ammessi per le costanti spettrofotometriche. L'acidità dell'olio ottenuto da olive bacate aumenta però notevolmente col tempo di permanenza delle drupe a terra o in frantoio e può superare facilmente anche il 10%. Mezzi di rilevamento La complessità dei fattori che influenzano il momento e l'andamento dell'infestazione non rende facile la scelta dei periodi di intervento contro la mosca delle olive e pertanto da lungo tempo sono stati messi a punto sistemi di monitoraggio degli adulti e metodi di campionamento delle olive. Il rilevamento degli adulti, particolarmente importante quando esista una rete di monitoraggio a livello comprensoriale e quando si intervenga con il metodo di lotta preventivo, permette di acquisire informazioni sulla presenza dell'insetto in ogni determinato momento e di seguire l'entità delle popolazioni e le sue variazioni nel tempo. Esso viene effettuato con trappole a diverse caratteristiche, la cui scelta dipende dalle condizioni ambientali e dalla impostazione dei diversi programmi di lotta. Le trappole vanno appese alle piante a partire da giugno e le catture rilevate e trascritte ogni settimana in appositi moduli. Il numero minimo di trappole per singolo oliveto, da aumentare nel caso di grandi piantagioni, è di 6 per le trappole gialle e di 3 per le trappole innescate con attrattivi sessuali (feromoni). 87 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Le trappole gialle sono costituite da lastre di plastica o di plexiglass di colore giallo limone di 15x20 cm, spalmate con vischio entomologico (fig. 12.7). Figura 12.7 Trappola gialla per monitoraggio della popolazione di Bactrocera oleae. La loro efficienza è poco influenzata dai fattori climatici e la buona correlazione trovata fra catture e infestazione ha permesso di formulare equazioni matematiche che consentono di prevedere l'infestazione conoscendo il numero medio di femmine catturate per trappola per settimana e la temperatura media della settimana di cattura. Si riesce in questo modo a stabilire necessità e periodi degli interventi insetticidi nella lotta curativa e in quella preventiva. Queste trappole non sono però selettive e possono catturare un grande numero di specie di insetti che, sporcando le trappole, le rendono inefficaci dopo un massimo di 2-3 settimane. Più di recente sono entrate nell'uso trappole a feromoni, che sono altamente specifiche nei confronti dei maschi di Bactrocera oleae. Ne esistono in commercio vari tipi, a capannina, a Delta o formate da cartelle gialle, che vengono fornite con 1-3 erogatori di feromone. Il feromone di B. oleae è però fortemente volatile per cui è necessario sostituire l'erogatore frequentemente (almeno una volta al mese). Le trappole a feromoni sono dotate di alta efficacia e di un grande raggio d'attrazione ed inoltre per la loro selettività sono di facile impiego. Purtroppo le catture sono molto influenzate dalle condizioni climatiche e dal ricambio del feromone per cui non è stato ancora possibile trovare una relazione fra catture ed infestazione, ma soltanto riferire (calibrare) le catture a quelle delle trappole gialle L'efficacia di cattura relativa è molto variabile durante la stagione e si aggira su 3-10 volte quella delle trappole gialle (fig. 12-8). Figura 12.8 - Catture di adulti di Bactrocera oleae con trappole gialle e feromoni, in un oliveto della cultivar Bosana. Le trappole gialle sono state sostituite ogni settimana, mentre la capsula di feromone è stata sostituita ogni mese. Le frecce indicano le date dei trattamenti curativi, che, però, sono stati eseguiti sulla base dell'andamento dell'infestazione sulle drupe. Un metodo pratico per stabilire l'infestazione consiste nell'esaminare un campione di olive, prelevando a caso (cioè senza scegliere) 1 oliva per pianta (100-200 olive/ha). Negli oliveti di grandi dimensioni basta prendere diversi campioni di olive per aree omogenee, mentre per le varietà da tavola, soprattutto con piante di piccole dimensioni, l'esame può essere fatto direttamente sulle olive senza staccarle. E' molto importante quantificare le olive punte (distinguendo se possibile l'infestazione attiva e cioè la presenza di uova o larve vive) da quelle bacate (cioè olive con larve grandi, pupe o gallerie abbandonate e quindi irrimediabilmente danneggiate). Lotta L'importanza dell'insetto nell'economia agraria dell'Italia e degli altri paesi del Bacino del Mediterraneo ha spinto, già dalla fine del secolo scorso, a ricercare e sperimentare diversi metodi di lotta. Alcuni di questi, ad esempio la tecnica del maschio sterile, sono stati sperimentati con successo ma sono stati poi momentaneamente abbandonati per problemi tecnico-economici e organizzativi. Nella scelta delle varietà dovrebbe essere tenuta in debito conto la suscettibilità all'attacco di certe cultivar, le cui drupe possono essere gravemente deformate dalle punture ed essere deprezzate commercialmente nonostante la difesa chimica (ad es., Ascolana tenera). 88 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro In linea generale le varietà sarde sono più resistenti di quelle di nuova introduzione. Per alcune varietà da tavola, il numero dei trattamenti può essere ridotto anticipando la raccolta delle olive a fine settembre, per evitare l'attacco degli adulti di B. oleae presenti in massa nella prima quindicina di ottobre. Anche per le varietà da olio la raccolta anticipata può contribuire a ridurre i danni. La raccolta anticipata consente di sfuggire ai massicci attacchi tardivi (ottobre-novembre); d'altra parte gli incrementi in olio ottenibili in questo periodo non sono tali da compensare i forti rischi di perdita quantitativa e qualitativa del prodotto (fig. 12.9). Figura 12.9 Andamento della cascola, dell'inolizione, del peso secco delle olive e dell'olio raccoglibile nella cultivar Bosana. La meccanizzazione della raccolta, ove possibile, permette di intervenire tempestivamente e di ottenere oli di pregio. E' buona norma cercare di raccogliere quante più olive possibile, in modo da non lasciare frutti pendenti in primavera che potrebbero favorire lo sviluppo della mosca in questo periodo. Lotta biologica Si basa sulla salvaguardia dei parassiti del B. oleae già presenti, che viene soprattutto ottenuta con l'impiego di tecniche di lotta e/o di fitofarmaci selettivi, e sul metodo inondativo con la liberazione di numerosi individui di Opius concolor allevati in laboratorio. Diverse sperimentazioni nel passato, su vasta scala e anche in Sardegna (Bosa), hanno dimostrato che è possibile ottenere olive da olio "agrariamente sane", cioè senza perdite economiche, con liberazioni di centinaia di Opius per pianta. Recentemente, in Sardegna, la realizzazione di un allevamento massale del parassitoide ha permesso di sperimentare la lotta biologica in diverse aree dell'isola. Nonostante le elevate percentuali di parassitizzazione ottenute in alcuni campi sperimentali, questa tecnica di lotta non è ancora direttamente applicabile dagli olivicoltori per gli elevati costi di produzione degli O. concolor. Lotta biotecnica Il metodo delle catture massali apre buone prospettive per la difesa dell'olivo senza l'impiego sulla pianta di insetticidi ma, prima che ne possa essere consigliata un'estensione dell'impiego a largo raggio, la sua efficacia deve ancora essere dimostrata in varie situazioni ambientali ed inoltre ne deve essere valutata la convenienza economica in rapporto agli altri metodi di lotta. Il progressivo miglioramento degli attrattivi e dei mezzi di cattura e/o di abbattimento di B. oleae ha portato negli anni recenti ad applicazioni su vasta scala del metodo delle catture massali. L'utilizzazione di trappole cromotropiche per la difesa delle olive dagli attacchi della mosca, sperimentati una trentina di anni fa, è stata abbandonata sia per la mancanza di selettività nei confronti degli insetti utili sia per gli alti costi dovuti all'elevato numero di trappole per ettaro e alla necessità della loro periodica sostituzione. Questi problemi sono stati in parte superati con l'adozione di trappole di legno compensato non colorate che vengono impregnate con un insetticida a forte potere abbattente (deltametrina) e innescate con attrattivi alimentari (proteine idrolizzate o sali ammoniacali) o feromone sessuale (fig. 12.10). Figura 12.10 Trappola in legno impregnata di Deltametrina per la lotta alla mosca con la tecnica della cattura massale. 89 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Le trappole hanno dimostrato una buona azione per contatto anche dopo cinque mesi di esposizione in campo e pertanto, dopo essere state appese agli olivi all'inizio dell'estate, di norma non vengono sostituite, anche se è consigliabile un loro trattamento a metà stagione con soluzione insetticida direttamente in campo. Le prove di lotta condotte in Sardegna su circa 130.000 olivi, impiegando una trappola per pianta, hanno dato risultati comparabili alla difesa effettuata con esche proteiche avvelenate. Le trappole usate finora venivano preparate artigianalmente ma recentemente la Vioryl commercializza una trappola preparata industrialmente (Ecotrap) che è stata sperimentata con buoni risultati in alcune aree olivicole in Italia e all'estero. Lotta chimica Si basa sull'uso di insetticidi irrorati su tutta la pianta in funzione larvicida (lotta curativa) oppure dati in maniera localizzata e mescolati ad esche proteiche in funzione adulticida (lotta preventiva). La lotta antidacica curativa si effettua con insetticidi endoterapici, ad azione citotropica (cioè capaci di penetrare i tessuti delle olive), che permettono di raggiungere le larve all'interno della drupa. I prodotti utilizzati sono a base di esteri fosforici come Dimetoato, Fenitrotion, Fention, Fosfamidone e devono essere impiegati alle dosi minime consigliate, anche perché diversi esperimenti hanno dimostrato la possibilità di controllare B. oleae anche con dosi dimezzate, soprattutto in presenza di uova e larve neonate, purché venga bagnata bene tutta la pianta. L'insetticida maggiormente impiegato è il Dimetoato, perché alla sua notevole efficacia aggiunge anche la proprietà di avere un'alta idrosolubilità, per cui all'atto della frangitura passa in gran parte nelle acque di vegetazione e i residui di esso nell'olio si riducono a meno di un terzo della rispettiva concentrazione riscontrata nelle olive. Il Dimetoato può risultare fitotossico per alcune varietà, soprattutto quando sia impiegato ad alte dosi o con pompe a basso volume. I trattamenti curativi si effettuano al superamento di una soglia economica di intervento del 10-15% di olive punte (infestazione attiva) per le varietà da olio e del 5% per quelle da tavola. Sono state anche stabilite nella Sardegna nord-occidentale soglie pratiche d'intervento per le olive da olio basate sulle catture alle trappole gialle e cioè 10 mosche/trappola/settimana ai primi di settembre e 30 alla fine del mese o in ottobre. Con questo metodo non si eseguono quindi trattamenti cadenzati (cosiddetti a calendario) che coprono la pianta di insetticida per tutto il periodo di probabile infestazione, ma solo quando esiste il rischio di perdita economica. Il numero di trattamenti necessari col metodo curativo può variare da 1 a 3, in dipendenza dell'andamento climatico e della varietà; nelle zone più esposte agli attacchi della mosca essi vengono eseguiti normalmente in agosto, settembre e ottobre-novembre. La lotta preventiva si effettua con trattamenti a base di esche proteiche avvelenate con l'aggiunta di un insetticida a media-lunga persistenza (Fention, Dimetoato, Deltametrina), che mirano ad eliminare gli adulti di B. oleae attraendoli su un settore limitato della chioma. Le dosi comuni di impiego dell'esca proteica sono di kg 0,5-1 per 100 litri d'acqua e quelle degli insetticidi rispettivamente di 300 grammi per preparati con Dimetoato al 20% di principio attivo, di 250 g con Fention al 50% di principio attivo e di 100 g con Deltametrina al 2,8% di principio attivo. La quantità di miscela impiegata per pianta varia da 0,3 a 1 litro a seconda delle dimensioni della chioma e può essere spruzzata vantaggiosamente con pompe trasportate, avendo cura di chiudere parte degli ugelli e passando alternativamente fra i filari in modo da bagnare un solo lato di ogni pianta. La durata d'azione di un trattamento con esche avvelenate che è stata stimata in 20-30 giorni dipende molto dalla piovosità, che può rendere necessaria la ripetizione del trattamento nel caso di una pioggia dilavante. I trattamenti, che devono aver inizio prima che parta l'attacco della mosca, vengono effettuati al raggiungimento di una soglia di intervento di 2-3 femmine catturate alle trappole gialle in media per settimana in presenza di olive suscettibili all'attacco. Il loro numero può andare da 3-4 sulle olive da olio fino a 5-6 su quelle da tavola. In alcuni casi, come ad esempio nelle zone con alte popolazioni di B. oleae e con andamento climatico piovoso, può essere conveniente trattare con le esche avvelenate in estate ed effettuare un trattamento curativo in autunno (lotta mista). I vantaggi del metodo preventivo rispetto a quello curativo consistono nel minor inquinamento dell'ambiente e nei più bassi residui tossici nelle olive e nell'olio, dato che vengono utilizzate quantità di insetticida per ettaro inferiori di circa 10 volte, ed in una maggiore salvaguardia dei parassiti e predatori che non vengono attratti dalle esche ed hanno a disposizione una parte della pianta non trattata. Il metodo delle esche deve essere considerato il miglior metodo di difesa chimica delle olive da tavola, perché permette di ottenere olive immuni da punture, che anche se curate con larvicidi possono deturpare il prodotto. Il metodo non solo risulta il più efficace, ma consente anche di ridurre il numero dei trattamenti e i costi, nel caso di programmi di lotta a livello di comprensori, previsti d'altronde anche dalla legislazione europea e nazionale. 90 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Grande interesse stanno suscitando in questi ultimi anni i prodotti insetticidi che sono compatibili con l'agricoltura biologica. In particolare un estratto vegetale, l'olio di neem, ha mostrato, in alcune prove, una buona azione di controllo della mosca delle olive. Il suo principale componente, il limonoide azadirachtina, ha infatti un'azione insetticida, repellente e fagodeterrente. Attualmente sono in commercio diversi prodotti a base di questo principio attivo ma ancora non esistono evidenze sperimentali che confermino la loro efficacia contro B. oleae. Anche i prodotti rameici con le loro proprietà batteriostatiche possono interferire con le associazioni batteriche presenti nel canale alimentare delle larve di B. oleae determinandone la morte. Trattamenti con poltiglia bordolese alla dose di 1 kg/hl di acqua hanno determinato, in alcune prove, una forte mortalità larvale ma sono necessarie ulteriori sperimentazioni per verificarne la reale efficacia. Tignola La tignola dell'olivo, scientificamente chiamata Prays oleae Bern., è un Lepidottero appartenente alla famiglia Yponomeutidae, considerato in alcune aree olivicole del Mediterraneo dannoso quanto la mosca delle olive. Descrizione L'adulto di Prays oleae è una farfallina di medie dimensioni con una apertura alare di 13-14 mm. Le ali anteriori sono di colore grigio perla finemente frangiate e con due macchie nere a contorno irregolare, quelle posteriori sono un poco più chiare e presentano una frangia più lunga (fig. 12.11). Figura 12.11 Adulto di Prays oleae. La larva neonata è di color nocciola con capo e placca anale bruni ed è lunga 0,65 mm. Essa si sviluppa attraverso 5 età ed a maturità misura 7-8 mm di lunghezza (fig. 12.12). Figura 12.12 Larva di Prays oleae. Biologia Il Prays oleae si sviluppa solamente su piante della famiglia Oleaceae quali olivo, olivastro, gelsomino, ligustro e fillirea. Durante il giorno l'adulto resta in riposo sotto le foglie e riprende l'attività al crepuscolo. Dopo l'accoppiamento, che avviene subito dopo lo sfarfallamento, ed è preceduto dall'emissione da parte della femmina di un feromone sessuale, questa depone, al crepuscolo e a temperature superiori a 12°C, 200-300 uova. La deposizione può durare quasi un mese, ma il ritmo è più elevato nella prima settimana di vita. La tignola dell'olivo compie 3 generazioni, di cui una sui fiori (gen. antofaga), una sui frutti (gen. carpofaga) ed una sulle foglie (gen. fillofaga). In mancanza di fiori e quindi di frutti può svolgere le sue generazioni esclusivamente sulle foglie. Il rilevamento del volo dei maschi con le trappole a feromoni ha messo in luce che gli adulti della tignola sono presenti in Sardegna in tre periodi, aprile-maggio, giugno-metà luglio e settembre-metà novembre, in corrispondenza con le tre generazioni (fig. 12.13). 91 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Figura 12.13 Catture di maschi di Prays oleae con trappole a feromoni (la freccia indica il periodo ottimale per il trattamento contro la generazione carpofaga). Le femmine nate in primavera depongono circa 200 uova durante 10-30 giorni di vita. Le uova di questa generazione antofaga vengono deposte di norma singolarmente sul calice, ma negli anni di forte infestazione possono trovarsi numerose anche sui petali. Lo sviluppo embrionale dura 1-2 settimane e, alla nascita, la larvetta penetra nel boccio erodendolo a partire dalla base del guscio dell'uovo a contatto col fiore, e si nutre a spese delle antere fiorali. Essa può penetrare in diversi bocci e, divenuta più grande (2-3 mm), passa a rodere i fiori dall'esterno, imbrigliandoli con sottili fili sericei e formando una sorta di glomerulo. Le mignole attaccate sono facilmente riconoscibili perché all'allegagione i petali rimangono sospesi ai fili di seta. Ogni larva può distruggere 10-20 fiori, con punte massime di 30-40. Lo sviluppo dura circa un mese e a maturità la larva si impupa tra gli stessi fiori attaccati o sulle foglie. L'adulto sfarfalla dopo 1-2 settimane dall'impupamento. Gli adulti della generazione antofaga compaiono ai primi di giugno e le femmine iniziano a deporre sui calici delle olivine appena formate presso l'attacco del peduncolo, dando origine alla generazione carpofaga. Le uova vengono deposte sulle olive da olio a partire dalla seconda settimana di giugno (da quando hanno raggiunto la grossezza di un chicco di grano) e fino alla prima di luglio, e su quelle da tavola con un certo anticipo. Normalmente si riscontra un solo uovo per oliva, ma negli anni di forte infestazione il loro numero può arrivare anche a 5-6 e alcune possono essere deposte, oltre che sul calice, anche su qualsiasi punto della superficie della drupa. L'incubazione dura circa una settimana e la larva neonata penetra direttamente nell'olivina attraverso la faccia ventrale del guscio dell'uovo. Essa si addentra quindi nel nocciolo, restando fra l'endocarpo e la mandorla, ancora in fase acquosa, nutrendosi di questa e sviluppandosi lentamente. Durante la penetrazione all'interno può deteriorare i tessuti che collegano il frutto al peduncolo tanto da provocare il disseccamento e la caduta delle olivine (cascola estiva), determinando la propria morte. Le olive infestate rimaste sulla pianta consentono alla larva di giungere a maturazione. Essa, dopo essersi nutrita a spese del seme, scava una galleria d'uscita attraverso il nocciolo ormai indurito e fuoriesce aprendo un foro circolare (2 mm di diametro) in corrispondenza dell'inserzione del peduncolo, causando il distacco di un'ulteriore quota di olive. L'impupamento avviene sulle foglie se l'oliva non cade durante la fuoriuscita dell'insetto, nel caso contrario la larva cerca un riparo nel terreno. Le olive attaccate sono comunque destinate a cadere. Il periodo di questa cascola estivo-autunnale dipende dalla varietà: nelle olive da tavola essa inizia in luglio e in quelle da olio a fine agosto, proseguendo per tutto settembre. L'impupamento dura circa 2 settimane e gli adulti si riscontrano dall'inizio di settembre fino a metà novembre. Le uova della generazione fillofaga vengono deposte sulla pagina superiore delle foglie e l'incubazione dura una decina di giorni. Le larve neonate penetrano direttamente nel tessuto fogliare, scavando una galleria serpentiforme (mina), tra la pagina superiore e quella inferiore. Dopo la muta, la larva di 2 età fuoriesce, in gennaio-febbraio, dall'estremità della galleria per penetrare in un'altra foglia, dove scava una mina a forma di C. Le larve di 3 e 4 età scavano altre gallerie rispettivamente a forma di C allargata o a piazzuola. La larva di ultima età a causa delle sue dimensioni, non può più essere contenuta nello spessore fogliare e pertanto rode le foglie esternamente nella pagina inferiore, rispettando l'epidermide superiore. Nel mese di marzo, essa rode i germogli penetrando talvolta all'apice dei rametti e arrestandone la crescita. 92 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Fattori naturali di limitazione Le popolazioni della tignola sono soggette a variazioni notevoli negli anni in dipendenza di numerosi fattori climatici, biotici e colturali. I fattori climatici risultano importanti soprattutto sulla generazione carpofaga, perché le alte temperature (superiori a 30 °C) collegate a bassa umidità (inferiore al 60%) possono determinare il disseccamento delle uova e forti mortalità delle larve neonate. Nel nostro ambiente però parassiti e predatori sembrano più importanti dei fattori climatici nel limitare le popolazioni di Prays oleae. I parassiti, per lo più Imenotteri, sono numerosi ed attivi soprattutto sulle larve e crisalidi della generazione antofaga della tignola, su cui possono causare fino al 60% di mortalità. Anche alcuni predatori, in particolare i Neurotteri Chrysoperla carnea Steph.(fig. 12.14) e Dichochrysa nonché alcuni Rincoti Antocoridi e Miridi, possono predare le larve della generazione antofaga della tignola e distruggere alte percentuali di uova di quella carpofaga. Figura 12.14 Adulto di Chrysoperla carnea. Un fattore importante di riduzione della popolazione carpofaga del Prays è costituito dalla cascola fisiologica delle olivine in post-allegagione (luglio) che comporta una notevole perdita di larve di I età, che non possono chiaramente portare a termine il loro sviluppo sulle drupe cadute. Nel complesso, il tasso naturale di riduzione delle popolazioni di tignola può facilmente superare il 90%, ma non sempre i fattori di limitazione riescono a controllare la crescita dell'insetto, che in alcuni casi può arrecare seri danni alla produzione. Danni I danni della tignola sulle foglie sono considerati di nessuna importanza economica, a meno che non interessino giovani impianti o vivai. Anche i danni causati dalla generazione antofaga sono di solito irrilevanti sulla gran parte delle varietà, dotate di abbondante fioritura e scarsa allegagione. I danni della generazione carpofaga dipendono da svariati fattori, quali l'intensità di ovideposizione, il tasso di predazione delle uova e di mortalità delle larve, l'importanza della cascola fisiologica e la varietà di olivo. Le varietà da olio manifestano una notevole resistenza alla tignola, per cui una buona parte delle larvette è destinata a perire durante la penetrazione. Anche la caduta naturale delle olive in estate, che avviene preferenzialmente per le olive attaccate, condiziona notevolmente il danno da Prays. Con la cascola estiva la pianta si libera delle olive infestate e quindi indebolite, ma a questo fenomeno non corrisponde (almeno fino ad un certo livello) una perdita di produzione, dato che le varietà da olio possono recuperare perdite di olive fino al 20%, aumentando il peso delle olive rimaste e la resa in olio. Sulla base di queste considerazioni e dopo una lunga sperimentazione in cui sono state messe a confronto le produzioni di piante trattate e non, è stato possibile fissare per la cv Bosana una soglia di tolleranza del 40-50 % di olive infestate (larve in penetrazione). Questi livelli di infestazione, oltre i quali risulta conveniente effettuare la lotta contro la tignola, vengono però raggiunti raramente, per cui risultano normalmente ingiustificati i trattamenti ripetuti annualmente. Le soglie economiche d'intervento per le varietà da tavola, caratterizzate da una minor resistenza alla tignola e da una cascola fisiologica ridotta, sono molto più basse e si aggirano sul 5% nelle annate di alta produzione e sul 10% in quelle di scarica. 93 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Mezzi di rilevamento Le popolazioni della tignola possono essere stimate con l'esame di un campione rappresentativo degli organi attaccati dalle rispettive generazioni. L'attacco della generazione carpofaga può essere rilevato osservando al microscopico stereoscopio le ovideposizioni o le larvette in penetrazione su un campione casuale di 100-200 olive per ettaro. L'agricoltore, per la difficoltà di rilevare le piccolissime uova senza l'ausilio di una lente di ingrandimento, può con una certa approssimazione prevedere la probabile infestazione sui frutti basandosi sull'entità dell'attacco della precedente generazione sui fiori. Le trappole a feromoni permettono di seguire il volo dei maschi della tignola e di dare utili indicazioni sul momento più adatto per l'intervento insetticida. Il trattamento deve essere effettuato tempestivamente la settimana successiva al picco di catture, per la difficoltà di colpire le larve una volta penetrate nel nocciolo (fig. 12.13). Non è stato invece possibile finora stabilire soglie d'intervento basate sulle catture alle trappole. Figura 12.13 Catture di maschi di Prays oleae con trappole a feromoni (la freccia indica il periodo ottimale per il trattamento contro la generazione carpofaga). Lotta Contro le larve della tignola dell'olivo possono essere impiegati diversi preparati a base di Bacillus thuringiensis kurstaki, un batterio tossico per le larve dei lepidotteri ma non per gli insetti utili e per gli animali a sangue caldo. I trattamenti con questo preparato risultano efficaci sulla generazione fillofaga e antofaga, mentre non possono essere utilizzati su quella carpofaga le cui larve risultano protette all'interno del nocciolo. L'intervento di lotta deve essere condotto quindi sui fiori, in modo da ridurre il numero di adulti che deporranno successivamente sulle olive. I trattamenti microbiologici hanno il vantaggio di ridurre l'inquinamento ambientale e di salvaguardare gli insetti utili che in estate hanno il periodo di massima presenza sull'olivo. Sulla generazione carpofaga, nel caso in cui venga raggiunta la soglia di intervento, si ricorre efficacemente all'impiego di esteri fosforici, come Dimetoato, Fenthion, Triclorphon etc. Si tratta di insetticidi citotropici, cioè dotati di un debole potere di penetrazione nella pianta, che riescono a raggiungere le larvette di tignola nell'oliva prima che queste penetrino all'interno del nocciolo. Cocciniglia mezzo grano di pepe Il nome scientifico di questo Rincoto, chiamato anche cocciniglia nera dell'olivo, è Saissetia oleae Oliv. Nel Bacino del Mediterraneo non sono presenti i maschi di questa specie, che quindi si riproduce per partenogenesi. Descrizione Le femmine adulte non ancora capaci di riprodursi hanno un corpo ovale, leggermente convesso, con 3 carene sul dorso che nell'insieme configurano una lettera H o doppia croce di Lorena (fig. 12.15). Il colore è grigio, ma diventa nero nella femmina adulta. Figura 12.15 Adulto di Saisetia oleae con adulto di Chilocorus bipustulatus. 94 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Le uova di color giallo aranciato sono deposte sotto il corpo della femmina e sono visibili come una polverina gialla sollevando una cocciniglia ovideponente. Dall'uovo nasce una neanide che si sviluppa attraverso 3 età, distinguibili, oltre che da caratteri microscopici, anche dalla lunghezza. Ciclo biologico Pur essendo estremamente polifaga, questa cocciniglia raggiunge alte densità soprattutto su olivo, oleandro e agrumi, sui quali attacca foglie e rami di diversa età sottraendo linfa con l'apparato boccale pungente succhiante. In Sardegna essa svolge normalmente 1 generazione all'anno e solo pochissimi individui possono arrivare a compierne 2. Le femmine ovideponenti si trovano a partire da maggio e fino ai primi di agosto, con massima presenza in giugno. Le neanidi di I età si riscontrano con massima densità in luglio-agosto, in settembre quelle di II età che, insieme ad una piccolissima percentuale di femmine, costituiranno la massa degli stadi svernanti. Ogni femmina depone in media un migliaio di uova durante una quindicina di giorni, da cui dopo altri 15-20 giorni nascono le neanidi che si disperdono attivamente sulla chioma alla ricerca di un punto in cui fissarsi. In questa fase possono essere trasportate su altre piante dal vento. Le neanidi temono l'insolazione diretta e tendono a fissarsi soprattutto nella pagina inferiore delle foglie, da cui si spostano raramente. Solamente a fine inverno le femmine giovani riprendono la mobilità, andando in parte a fissarsi sui rametti. Le femmine deponenti non si spostano più e anzi dopo la morte i corpi secchi possono restare sulla pianta e divenire riparo per altri insetti (ad es., il Pidocchio nero). Fattori di limitazione Le neanidi di I età in fase di fissazione vanno incontro a fortissime mortalità, anche superiori al 90%. Inoltre, l'insolazione diretta, le temperature estive elevate collegate a basse umidità, i venti caldi e i temporali estivi riducono ulteriormente le popolazioni delle giovani neanidi. Una parte di neanidi svernanti può perire durante gli inverni rigidi ed una perdita di femmine giovani può verificarsi durante la fase di spostamento a fine inverno. Un'azione rilevante di controllo della cocciniglia viene esercitata anche da numerosi insetti utili, parassitoidi e predatori. I parassitoidi sono rappresentati da 4 specie di Calcididi appartenenti al genere Metaphycus, minuscole vespine le cui larve si sviluppano all'interno del corpo della cocciniglia nelle diverse età. Le cocciniglie parassitizzate sono facilmente riconoscibili dal foro di sfarfallamento che il parassita apre nel corpo dell'ospite. I predatori sono costituiti soprattutto da Coleotteri Coccinellidi, i più frequenti dei quali sono Chilocorus bipustulatus L (fig. 12.15) ed Exocomus quadripustulatus (L.), e da Imenotteri Calcidoidei quali Scutellista cyanea Mot. Figura 12.15 Adulto di Saisetia oleae con adulto di Chilocorus bipustulatus. L'aumento rapido delle popolazioni (pullulazioni) della cocciniglia dipende oltre che da condizioni geografiche (zone umide) o climatiche (estati non troppo calde) anche dalle pratiche colturali: 1) abbondanti e squilibrate concimazioni azotate; 2) eccessivo ombreggiamento dovuto a fittezza della chioma; 3) trattamenti con insetticidi a vasto spettro d'azione che eliminano i nemici naturali della cocciniglia. Danni Le piante attaccate dalla cocciniglia mezzo grano di pepe subiscono danni diretti, causati dalla sottrazione di linfa e dall'immissione di saliva tossica, e indiretti dovuti alla produzione di melata ed al conseguente sviluppo di fumaggine. La melata è emessa dalla cocciniglia sotto forma di escrementi liquidi dolciastri che cadono in goccioline sulla parte medio bassa della chioma, e su cui si sviluppano funghi microscopici che formano croste nerastre (fumaggine). 95 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Le piante fortemente attaccate da cocciniglie e fumaggine rallentano la germogliazione, vanno incontro a defogliazione e possono presentare produzioni fortemente ridotte per diversi anni successivi. Lotta Gli insetticidi anticoccidici (oli leggeri, polisolfuri, esteri fosforici, piretroidi) risultano poco efficaci contro le femmine giovani ed ovideponenti della cocciniglia. La lotta chimica va pertanto effettuata in estate (15 luglio-15 agosto) contro le neanidi di I età, che sono lo stadio più sensibile su cui un trattamento determina mortalità superiori al 90%, oppure in autunno o fine inverno (marzo) contro le neanidi di II e III età, su cui l'efficacia degli insetticidi si aggira sul 50%. La soglia di intervento è stata fissata intorno alle 5-10 neanidi per foglia a fine luglio - primi di agosto, allorquando la maggior parte delle uova sono schiuse. Il rilevamento delle neanidi va effettuato con l'ausilio di una lente di ingrandimento su almeno 100 foglie prese a caso da 10 piante per ettaro. Una stima indiretta dell'infestazione estiva può essere ottenuta contando il numero di femmine ovigere in giugno. In questo caso la soglia di intervento può essere fissata in 60 femmine per 100 rametti di 20 cm di lunghezza (a partire dall'apice) prelevati casualmente per ogni ettaro di oliveto. Quando si raggiunge la soglia di intervento è consigliabile intervenire a fine luglio con olio bianco alla dose dell'1-1,5% (miscelando eventualmente anche ossicloruro di rame contro la fumaggine), insetticida che salvaguardia in parte gli insetti utili. Nel caso di infestazioni ancora maggiori è necessario ricorrere ad insetticidi molto più tossici ed inoltre poco selettivi per parassitoidi e predatori, come alcuni esteri fosforici. Con un ulteriore campionamento in settembre si potrà prendere la decisione di intervenire nuovamente nei casi in cui l'infestazione non sia diminuita oppure di trattare per la prima volta. Gli interventi di fine inverno sono i più selettivi, in quanto vengono effettuati in un periodo in cui sono praticamente assenti gli insetti utili, ma essendo anche poco efficaci devono essere riservati alle situazioni in cui la cocciniglia non rappresenta ancora un problema, ma in cui si cominciano ad osservare sintomi di crescita delle popolazioni (oltre 30 neanidi per 100 rametti in febbraio). In questo periodo in sostituzione dell'olio leggero o degli esteri fosforici può essere impiegato il polisolfuro di bario (1 Kg per hl d'acqua con formulati al 45-47% di principio attivo). La lotta alla cocciniglia risulta abbastanza difficoltosa nel caso di forti pullulazioni e pertanto il suo controllo deve essere possibilmente mirato ad impedire l'insorgere delle infestazioni favorendo i fattori naturali di mortalità. Soprattutto la potatura, eseguita correttamente ad intervalli regolari, risulta un efficace metodo colturale di prevenzione perché permette di eliminare i rami fortemente colpiti e di modificare in senso sfavorevole alla cocciniglia il microclima della pianta. Deve essere perseguita anche la salvaguardia dei nemici naturali, evitando fin dove è possibile l'impiego di insetticidi a largo spettro su tutta la chioma dell'olivo. Fitofagi secondari In questo gruppo sono stati inseriti gli insetti che solo raramente possono determinare danni alle produzioni olivicole sarde anche se occasionalmente possono costituire un problema per particolari oliveti. Pidocchio nero dell'olivo Chiamato anche Liotripide dell'olivo o Liothrips oleae, è un Tisanottero nero, con ali frangiate con lunghe setole, lungo 2-3 mm. Al contrario dell'insetto che è difficilmente visibile sulla pianta, sono facilmente riscontrabili i danni sulle foglie, che appaiono tipicamente contorte e deformate (a forma di falce). La specie compie 3 generazioni all'anno con svernamento allo stadio di adulto, che trova riparo nei rami forati da Coleotteri Scolitidi o sotto i corpi morti della cocciniglia mezzo grano di pepe. La lotta si effettua solo in casi eccezionali, quando l'insetto compare in gran numero determinando arrossatura e disseccamenti sulla parte alta della chioma, aborto e cascola dei fiori e tacche irregolari nerastre sui frutti. Cotonello dell'olivo Chiamata anche Bambacella dell'olivo o Euphyllura olivina è un Rincoto Psilloideo che sverna allo stadio di adulto e depone in primavera su germogli e infiorescenze. Gli stadi giovanili vivono su questi organi ricoprendosi di abbondante cera, sintomo che ne permette il facile riconoscimento (fig. 12.16). 96 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Figura 12.16 Euphyllura olivina (mignole coperte di cera prodotta dalle nenanidi. I danni sono normalmente trascurabili, considerando che la specie è fortemente controllata dai nemici naturali, ma in ambienti umidi ed in alcune annate, per evitare l'intristimento dei germogli e la perdita di fiori e frutticini può essere necessario ricorrere a trattamenti con oli bianchi distribuiti a getto pesante. Cocciniglia Grigia Questa cocciniglia chiamata anche Parlatoria dell'olivo o Parlatoria oleae è un Rincote Diaspino con il rivestimento (che forma una specie di scudo ricoprente l'insetto) di color grigio biancastro di mm 2,3x1,8. Sverna allo stadio di adulto e presenta 2 generazioni, con comparsa di neanidi mobili in aprile e giugno. La cocciniglia grigia attacca rami, foglie e drupe, determinando una macchia rosso-violacea nel punto di insediamento di ciascuna femmina, dovuta all'immissione della saliva. I danni possono essere molto gravi per alcune cv da tavola (ad es. Ascolana), su cui si possono tollerare solo bassissime infestazioni sui frutti. Il controllo di questa cocciniglia può essere effettuato con l'introduzione di efficaci parassitoidi indigeni (2phytis maculicornis (Masi)) ed esotici (2phytis paramaculicornis Debach e Rosen e Coccophagoides utilis Doutt.) oppure con trattamenti con oli semplici od attivati in primavera-estate. Alcune rare pullulazioni osservate recentemente in Sardegna, sono da collegare ad eccessive concimazioni azotate o a trattamenti con insetticidi ad ampio spettro di azione. Margaronia Chiamata anche tignola verde o Palpita unionalis è allo stadio di adulto una farfalla di color bianco con margine costale nocciola (fig. 12.17). Figura 12.17 Adulto di Palpita unionalis. Compie 4-5 generazioni all'anno e le larve, presenti dalla primavera all'autunno, erodono le foglie più tenere nella parte apicale dei germogli. I danni sono di solito insignificanti sulle piante adulte non irrigate in quanto gli attacchi sono normalmente localizzati sui polloni, mentre possono assumere un certo rilievo su piante irrigue, in cui la germogliazione è prolungata. Sulle piante giovani l'attacco di questo Lepidottero può compromettere lo sviluppo vegetativo rendendo la chioma molto affastellata e ritardando il raggiungimento della forma di allevamento prescelta. In caso di necessità la specie può essere controllata con trattamenti con preparati a base di Bacillus thuringiensis oppure con esteri fosforici. Oziorrinco L'Otiorrhynchus cribricollis è un coleottero Curculionide lungo circa 7-8 mm di colore bruno in qualche caso rossastro che attacca l'olivo, gli agrumi, le piante da frutto e le ornamentali (fig. 12.18). 97 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Figura 12.18 Adulto di Oziorrinco. L'insetto compie una generazione all'anno e sverna allo stadio di larva nutrendosi di radici di piante erbacee come ad esempio l'erba medica. Gli adulti, presenti in campo a partire da fine maggio, durante il giorno si nascondono nel terreno mentre la notte si portano sulle piante provocando delle caratteristiche erosioni sul parenchima fogliare. A partire da settembre iniziano le ovideposizioni sul terreno. Questo Curculionide causa seri danni solo in vivaio o nei giovani impianti dove l'adulto, determinando una defogliazione totale ed erodendo anche la corteccia dei germogli, può portare a morte le piante. Per combattere questo fitofago vengono impiegati insetticidi a base di fosforganici o mezzi fisico-meccanici come gli anelli di colla o fasce di fibre sintetiche applicati al tronco che impediscono la risalita dell'adulto sulla chioma. Fleotribo Il Phloeotribus scarabaeoides è un piccolo Coleottero Scolitide di forma ovale e di color marrone, lungo 2-2,5 mm (fig. 12.19). Figura 12.19 Adulto di Fleotribo. Gli adulti, che svernano riparati in piccole gallerie scavate all'ascella di giovani rametti, facilmente individuabili perché sormontati da una masserella di rosura, in marzo si portano su piante deperite, su rami rotti dal vento e soprattutto sui rami tagliati con la potatura. Qui scavano, sotto la corteccia, le gallerie di riproduzione in cui si sviluppano 50-80 larve. I nuovi adulti sfarfallano in giugno, bucando la corteccia, e danno successivamente origine ad altre due generazioni in luglio-settembre e ottobre-novembre. Gli adulti si nutrono scavando gallerie di alimentazione poco profonde ("covacci"), generalmente alla biforcazione di giovani rametti. I danni causati dagli adulti con le loro gallerie di nutrizione, che provocano il deperimento ed il disseccamento dei rametti fruttiferi, possono essere abbastanza gravi soprattutto in oliveti vicini ai paesi o comunque vicini ad ammassi di legno d'olivo. Anche le piantine messe a dimora da poco ed in crisi di trapianto possono subire attacchi molto forti. La lotta consiste nel mantenere le piante in buone condizioni vegetative, nel non lasciare mai per lungo tempo in campo la legna di potatura e nel metodo dei rami esca. Questo consiste nel lasciare i rami di potatura affastellati in campo per attirare gli adulti in fase riproduttiva; dopo qualche settimana questa ramaglia deve essere allontanata dall'oliveto oppure bruciata sul posto, in modo da evitare in tutti i casi che i nuovi adulti nati diano origine ad un focolaio di infestazione. Fitofagi di importanza minore Numerose altre specie possono causare danni di importanza molto limitata. Tra esse citiamo il rodilegno giallo ( 3euzera pyrina), le cocciniglie cotonose (Philippia follicolaris, Lichtensia viburni), la cocciniglia tubercolata (Pollinia pollini), diverse altre cocciniglie (2 spidiotus nerii, Lepidosaphes spp., etc), il punteruolo (4 hynchites cribripennis), alcuni acari (2ceria oleae, Oxycenus max5elli). 98 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro gestione fitosanitaria dell'oliveto I moderni orientamenti dell'olivicoltura hanno portato alla produzione di oli extravergini di oliva di elevate caratteristiche organolettiche ottenuti con l'ottimizzazione delle tecniche agronomiche e di estrazione dell'olio e con un'adeguata difesa fitosanitaria. L'impiego degli insetticidi di sintesi, applicati per salvaguardare le caratteristiche qualitative dell'olio, ne possono però deprezzare le qualità non immediatamente percettibili con la presenza di residui tossici. Questo aspetto assume un'importanza sempre maggiore in un periodo di crescente interesse sui problemi dell'inquinamento ambientale e per la richiesta da parte dei consumatori di prodotti "biologici". Le conoscenze acquisite in tempi recenti sulla bio-ecologia dei fitofagi, sui mezzi di monitoraggio, sulle soglie di danno, sui metodi di lotta colturale, biologica, biotecnica e chimica, hanno permesso di formulare programmi di lotta guidata e integrata. La lotta integrata, che oltre al controllo chimico prevede l'utilizzazione di quello biologico, biotecnico e colturale, presuppone per l'applicazione di alcune tecniche l'esistenza di adeguati servizi di assistenza a livello consortile, ma può essere attuata almeno nelle forme più semplici anche dai singoli olivicoltori. Essa si basa sui seguenti elementi: 1. rilevamento delle popolazioni degli insetti nocivi e possibilmente dei loro antagonisti, che va effettuata almeno in alcuni periodi critici; 2. applicazione delle azioni di lotta solo al superamento delle soglie economiche di intervento; 3. utilizzazione dei metodi di controllo più razionali, dando la precedenza ai metodi di lotta colturali, biologici e biotecnici, quando siano compatibili con l'economicità della coltura; 4. individuazione delle epoche ottimali per gli interventi di lotta; 5. scelta dei fitofarmaci non solo sulla base del costo e dell'efficacia, ma prendendo in considerazione anche le caratteristiche tossicologiche e la selettività nei confronti degli insetti utili. Lo schema di lotta integrata con i metodi di monitoraggio, le soglie e le modalità di intervento contro i principali fitofagi, riportato in Tabella 12.1, consente la protezione delle produzioni olivicole evitando l'eccessivo uso degli antiparassitari. Più problematica appare invece la difesa delle produzioni in oliveti dove si attua l'agricoltura biologica secondo il Reg. CEE 2092/91. Infatti, sebbene siano disponibili efficaci tecniche ecocompatibili di difesa contro le cocciniglie ed i lepidotteri, si incontrano notevoli difficoltà nel contenimento delle popolazioni di Bactrocera oleae. Il Reg. CE 1488/97 consente però, in casi di necessità riconosciuta dall'organismo di controllo o dall'autorità di controllo, l'uso di prodotti a base di Azadiractina e di Rotenone e, in deroga fino al 31 marzo 2002, l'impiego di trappole impregnate di deltametrina, il rame e gli oli minerali. Come visto nei capitoli riguardanti i singoli fitofagi, questi mezzi possono consentire di ridurre a livelli accettabili gli attacchi entomatici e rendere conveniente la produzione biologica qualora il mercato premi con prezzi superiori i prodotti così ottenuti. 99 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro 3tadio vegetativo o periodo dell'anno Fitofago Fleotribo Controllo Visuale senza campionamento Interventi consigliati 3oglie di intervento - Rami esca Cocciniglia n. di neanidi su 100 rametti Oltre 30 neanidi Potatura, olio bianco, metidathio, polisolfuro di Bario Liotripide % di gemme infestate su un campione di 100 gemme Oltre il 10% di gemme infestate Endosulfan Tignola % di infiorescenze infestate su 100 campionate a caso Olive da tavola: oltre il 10 % di infiorescenze infestate Olive da olio: oltre il 40 % Bacillus thuringiensis Frutticini Tignola % di olivine infestate su 100 campionate a caso Voli degli adulti con trappole a feromoni Olive da tavola: 5-10 % di olive infestate Olive da olio: 40% di olive infestate Dimetoato, triclorfon (nella settimana dopo il picco di cattura) Giugno Cocciniglia n. di femmine su 100 rametti Oltre 60 femmine - Fine luglio Cocciniglia n. di neanidi su 100 foglie 5-10 neanidi per foglia Olio bianco Ingrossamento dei frutti Mosca Catture di femmine alle trappole gialle % di infestazione attiva su 100 frutti prelevati a caso Settembre-Ottobre Mosca Come sopra Riposo vegetativo Riposo vegetativo e prefioritura Fioritura 1-2/trappola/settimana Olive da tavola: presenza di infestazione attiva Olive da olio: 10-15 % di infestazione attiva Come sopra 100 Esche proteiche avvelenate oppure trattamento curativo (dimetoato, fosfamidone, fenthion) Come sopra Tabella 12.1 3chema di lotta integrata nell'oliveto. Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 13 - Difesa: avversità non parassitarie Obiettivi Le cause naturali di stati di sofferenza sono nella maggior parte dei casi attribuibili ad avverse condizioni climatiche. Si riportano indicazioni utili per evitare o limitare i danni. L'espansione dell'olivicoltura sia in termini di longitudine che di altimetria è limitata, tra l'altro, dal verificarsi di situazioni di rischio in rapporto ad avversi eventi meteorici. Gli eccessi di caldo sono aggravati da insufficiente disponibilità idrica nel terreno, e provocano ustioni su foglie branche e tronco. Gli eccessi termici di inizio estate colpiscono in primo luogo i frutticini localizzati sui rami più bassi. La scelta di opportune forme di allevamento e la moderazione nell'intensità degli interventi cesori limitano l'estensione dei danni. Gli eccessi di freddo sono dannosi piuttosto in primavera e inverno che non in autunno. I primi danneggiano gli alberi se la temperatura si porta al di sotto di -7 °C. Le lesioni provocate dal freddo favoriscono la penetrazione del batterio agente della "rogna". Anche le microlesioni indotte dalla grandine possono facilitare la diffusione della "rogna" e realizzare le condizioni ambientali opportune per lo sviluppo di infezioni fungine, come il così detto "occhio di pavone". Difesa: avversità non parassitarie Le cause naturali di stati di sofferenza sono nella maggior parte dei casi a attribuibili ad avverse condizioni climatiche: più spesso ad eccessi di caldo o di freddo. Queste situazioni limitano l'olivicoltura a Sud e a Nord (ovvero a certe altitudini) ma, talvolta, anche negli ambienti tipici propri del bacino del Mediterraneo e della Sardegna in particolare, possono determinare situazioni di rischio, in rapporto ad avversi eventi meteorici, in zone particolarmente predisposte. Eccessi di caldo Gli effetti delle alte temperature si manifestano, soprattutto se la mancanza di una adeguata disponibilità idrica a livello del suolo (conseguenti a prolungati periodi di siccità, ovvero alla mancanza di interventi irrigui) consentono l'innalzamento della temperatura superficiale delle varie parti della pianta, determinando ustioni sia a livello fogliare, sia sul tronco e sulle branche, specie quando gli stessi non sono adeguatamente ombreggiati dalla vegetazione; pertanto esistono stretti legami tra forme di allevamento e intensità degli interventi cesori, da un lato, e la frequenza e la gravità del danno, dall'altro. I bruschi innalzamenti termici all'inizio dell'estate provocano spesso il disseccamento dei frutticini localizzati sui rami più bassi, per l'effetto dell'irradiazione dal terreno. Inoltre, un contemporaneo prolungato periodo di siccità aggrava la situazione, tenuto conto che quest'ultimo, già da solo, può essere un grave fattore di danno. In questo contesto, merita allora una indicazione su situazioni contrarie alle precedenti, relative a lunghi periodi di elevata umidità del suolo, spesso dovute a precipitazioni anormalmente copiose e prolungate. In tali situazioni sono molto facili e frequenti le alterazioni a livello radicale, quasi sempre complicate da interventi da parte di miceti terricoli, sia patogeni, sia opportunistici. Eccessi di freddo Circa gli effetti del freddo v'è da dire che quelli precoci autunnali non sono generalmente dannosi, anche se, talvolta, determinano parziali disidratazioni ed appassimenti delle drupe (di un certo interesse nelle olive da mensa); più preoccupanti sono invece quelli invernali e primaverili. I primi, che generalmente si verificano quando le piante si sono gradualmente adattate al progressivo abbassamento termico, sono dannosi se i limiti vanno oltre i -7°, in particolare sui rami di due o tre anni, più raramente su quelli di maggiore età, in ambienti particolarmente umidi (valli chiuse, ove si possono raggiungere tali temperature per la formazione di ristagni di freddo), a seconda della varietà, età e condizione dell'individuo (alberi giovani, cattivo stato di nutrizione). 101 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro In questi casi si può avere la morte dei rami e di intere branche ma, nei nostri ambienti, quasi mai la morte dell'intera pianta; situazioni queste, che, comunque, obbligano l'agricoltore ad eseguire tagli importanti per il rinnovo della chioma. Nei nostri ambienti è da tenere conto che, in frequenti casi, la temperatura invernale si mantiene mite e, di conseguenza, non consente alle piante quel completo adattamento di riposo, come in altre zone; pertanto, il sopravvenire di temperature inferiori a quelle solite dell'ambiente può indurre danni molto più gravi di quanto ci si possa attendere dal limite minimo termico raggiunto e può anche favorire infezioni di "rogna", che di solito sono indotti da lesioni causate dai freddi primaverili. In questi ultimi casi, se tardivi, gli effetti sono i più gravi, non tanto per l'entità dell'abbassamento termico quanto per la velocità con cui questo si verifica; esso produce lesioni nei tessuti esterni (spesso non molto vistose) già di per se dannose, ma che promuovono estese infezioni da parte del batterio agente della "rogna" e di cui si dirà più avanti. E' importante sottolineare che altri fenomeni meteorologici possono direttamente o indirettamente influenzare lo stato di sanità della pianta e creare, da un lato, situazioni favorevoli alle infezioni di organi sensibili (per esempio le lesioni, anche non visibili, prodotte dalla grandine permettono, alla pari di quelle indotte dal freddo, l'ingresso dell'agente della "rogna"), e dall'altro, un ambiente favorevole alla diffusione degli organelli di propagazione degli agenti patogeni ed alla conseguente infezione (come nei casi di molte malattie fungine ed in particolare dell'"occhio di pavone"). Ulteriori quadri sintomatologici possono essere causati da differenti fattori abiotici e, in particolare da quelli edafici, in rapporto ad anormali situazioni nutrizionali. A parte le varie sindromi indotte da carenze di elementi nutrizionali (di azoto più frequentemente, se connessa a scarsa disponibilità idrica) che sono riconoscibili e che si ripercuotono sulla produzione, sono stati segnalati ingiallimenti delle foglie seguiti da distacchi prematuri ed accompagnati da necrosi di tessuti corticali, spesso al colletto del fusto. Tali sindromi sono in genere attribuite ad alte concentrazioni di magnesio e di conseguenza ad un elevato rapporto Mg/K e basso rapporto Ca/Mg. Per quanto concerne fenomeni di boro-carenza, pur possibili, non sono state segnalate in Sardegna forme sintomatiche significative. 102 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro capitolo 14 - Difesa: Malattie parassitarie dell'olivo Obiettivi Gli agenti patogeni che attaccano l'olivo sono numerosi, ma solo alcuni rappresentano un reale problema per la coltura. Si discutono le possibili forme di lotta diretta (fitoiatrica) e indiretta (tecnico agronomica). Tra le malattie che colpiscono, in Sardegna, l'olivo, un ruolo di primo piano è occupato dalla rogna o tubercolosi. Essa è dovuta al batterio Pseudomonas savastanoi pv savastanoi. La manifestazione più tipica ed evidente consiste nella presenza di escrescenze di un iniziale colore verde pallido, poi più scure, con disseccamento del tratto di ramo soprastante il tubercolo. Il batterio penetra nei tessuti veicolato dall'acqua. La lotta, non facile, consiste in trattamenti a tutta chioma con prodotti rameici subito dopo gli eventi meteorici che interrompono la continuità dei tessuti corticali: grandinate e gelate in primo luogo. Anche la disinfezione degli attrezzi usati per la potatura rallenta la diffusione della malattia. L'occhio di pavone, o vaiolo, è dovuto all'azione del fungo microscopico Spilocaea oleagina. È presente negli areali con più elevata umidità relativa dell'aria e dove sono diffuse varietà sensibili, come la Bosana. I sintomi si rilevano con maggiore frequenza sulle foglie, ma talora anche sui peduncoli delle drupe e sulle drupe medesime. La defogliazione è il sintomo più evidente, con manifestazioni anche massicce nella tarda estate. Anche durante l'inverno, con temperature comprese tra -0,5°C e 2,5°C, si assiste a un'estesa caduta delle foglie. La riduzione della superficie fotosintetizzante limita, nel Tondo di Sassari, la produzione di mignole a un terzo, e quella dei frutti a un quarto rispetto ai valori di piante protette. La lotta agronomica prevede l'arieggiamento della chioma e dell'oliveto, quella chimica si basa sui prodotti cuprici che, facendo cadere le foglie infette, riducono le possibilità di nuove infezioni. L'intervento eradicante si effettua a febbraio/marzo, seguito da un secondo ad aprile/maggio. La piombatura è una malattia non grave che provoca sulle foglie macchie color grigio piombo e, nelle annate con estati miti, anche macchie violacee sui frutti. Queste ultime sono state osservate principalmente sulla Pizz'e carroga. Difficilmente è necessario intervenire perché i trattamenti contro l'occhio di pavone controllano anche questa malattia. La lebbra è importante per i danni che può provocare ai frutti, di estensione significativa solo in limitati areali isolani. Elevata umidità e temperature miti sono condizioni che facilitano l'infezione. Anche in questo caso gli interventi cuprici contro l'occhio di pavone risultano efficaci per controllare la lebbra. La verticilliosi provoca il deperimento delle piante talvolta accompagnata da una prematura defogliazione. Poco diffusa in Sardegna, sono soprattutto gli alberi giovani che mostrano sintomi riferibili a detta malattia. Si deve evitare l'impianto dell'oliveto su terreni che in precedenza hanno ospitato specie suscettibili al fungo: pomodoro, melanzana e peperone. I seccumi dei rami sono imputabili ad altre specie fungine. I marciumi delle drupe, oltre che alla lebbra e alla piombatura, possono essere dovute a altre specie micetiche, non rilevate in Sardegna. I giallumi dell'intera chioma, o di parte di essa, se non imputabili a squilibri nutrizionali possono essere dovuti all'azione di forme virali e/o fitoplasmatiche. Queste ultime paiono le più probabili. I marciumi radicali sono in genere favoriti dalla siccità o da prolungata umidità del suolo. In queste condizioni diverse specie di funghi patogeni e/o opportunisti possono colpire gli apparati radicali. Particolare rilevanza assume la Phytophthora megasperma. La carie è un'alterazione del legno che provoca lo svuotamento del tronco e delle branche. L'alterazione è presente in tutta l'Isola, ma soprattutto nella parte settentrionale. La lotta è soprattutto preventiva e tecnico agronomica, dovendosi evitare i ristagni d'acqua nel terreno e gli stati di sofferenza idrica e nutrizionale. È anche opportuna la disinfezione dei tagli di potatura con anticrittogamici ad ampio spettro e la copertura di quelli di rilevanti dimensioni con mastici e vernici. La fumaggine, favorita dall'alta umidità ambientale, è spesso collegata alla presenza della cocciniglia mezzo grano di pepe. I funghi che formano le croste nerastre non stabiliscono rapporti nutrizionali diretti coi tessuti fogliari e dei frutti, e la loro azione negativa si concretizza in una perdita di efficienza fotosintetica. Il controllo dell'ambiente e della cocciniglia rappresenta la premessa per ogni azione di lotta. 103 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro La presenza di virus, virosi e malattie simil-virali è ritenuta responsabile di 14 quadri sintomatologici, di scarsa rilevanza operativa soprattutto in Sardegna. La selezione sanitaria propedeutica alla certificazione del materiale di propagazione rappresenta l'unica strategia di lotta oggi adottabile. La lotta integrata prevede l'impiego di sistemi di controllo biologico, agronomico, biotecnico e, come ultima alternativa, il ricorso a interventi chimici. Allo stato attuale non pare possibile la definitiva eliminazione dei fitofarmaci, mentre è possibile una razionalizzazione del loro uso con notevoli riduzioni dei principi attivi distribuiti. Difesa: Malattie parassitarie dell'olivo Gli agenti patogeni che attaccano l'olivo sono numerosi, ma solo alcuni rappresentano un reale problema per la coltura. La rogna o tubercolosi Sintomatologia È una malattia causata da un microrganismo appartenente al gruppo dei batteri fitopatogeni denominato Pseudomonas savastanoi pv savastanoi. Il quadro sintomatologico è caratterizzato dalla presenza di escrescenze (tubercoli) di colore verde pallido e poi più scuro, sui rami di differente età e talvolta anche sulle grosse branche. Tali tubercoli, di dimensioni variabili, da giovani hanno la superficie liscia che con l'età si fessura in modo irregolare (fig. 14.1). Figura 14.1 - Attacchi gravi di rogna su giovani rami. Molto spesso i rami di uno o più anni possono disseccarsi nella porzione soprastante un tubercolo, mentre nei vivai sono stati segnalati danni anche all'apparato radicale. In generale la malattia si riflette negativamente sull'attività vegetativa e produttiva delle piante. Generalmente l'incidenza economica della malattia è in relazione con l'entità delle infezioni e con gli effetti necrotizzati sui rami, richiedendo questi ultimi maggiori spese per la rimonda e con il minore risultato quali-quantitativo del prodotto. Biologia Il patogeno non ha la capacità di penetrare attivamente nei tessuti dell'ospite ma, veicolato dall'acqua, vi si può introdurre attraverso le aperture rappresentate da qualsiasi lesione quali le sedi di distacco anticipato delle foglie, dovute alle infezioni indotte dall'agente dell'occhio di pavone; le ferite causate da insetti o altri animali, da eventi meteorici quali abbassamenti termici, grandine, vento, ecc., nonché quelle conseguenti ad operazioni colturali (potature, lavorazioni, raccolta tramite abbacchiatura, ecc.). È importante sottolineare che situazioni ambientali, anche microclimatiche, caratterizzate da elevata umidità atmosferica, possono giocare un ruolo importante nel promuovere l'infezione; infatti, la malattia risulta particolarmente grave quando le lesioni sono accompagnate dall'elevata umidità o da una prolungata bagnatura, dovuta alle piogge od anche copiose bagnature della rugiada. 104 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro In tutti i casi, dopo un periodo di incubazione, variabile da uno a tre mesi, necessario al batterio per moltiplicarsi e diffondersi nei tessuti interni, compariranno i tipici tubercoli. La diagnosi della rogna si basa, innanzitutto, sull'accertamento diretto dei caratteristici sintomi. La presenza dei tubercoli in evoluzione esprime la fase attiva della malattia e, quindi, la presenza del patogeno nei tessuti di neoformazione e, con buona probabilità, in quelli strettamente in contatto con essi. In altre circostanze, ed in considerazione della situazione sanitaria generale dei singoli impianti, ove l'assenza assoluta dei sintomi è stata verificata attraverso ripetute e specifiche osservazioni, esistono buone probabilità (ma non la certezza) che il patogeno, coi suoi ceppi virulenti, non sia presente, ovvero lo sia con popolazioni di scarsa densità. Tuttavia, ciò non consente di poter escludere a priori un'eventuale contaminazione epifita del patogeno. L'assenza di sintomi (e, quindi, di una fase attiva della malattia) può essere la conseguenza della mancanza di situazioni favorevoli (di carattere sia climatico-meteorico, sia tecnico agronomico) che non hanno consentito l'infezione da parte del patogeno. Al momento, non esistono precise indicazioni circa la resistenza alla malattia delle diverse varietà; ciò, probabilmente, a causa della variabilità genetica esistente tra i diversi individui nell'ambito di una stessa varietà, e della loro capacità di resistere a fattori meteorici avversi, in particolare agli effetti delle basse temperature. Tra le cultivar presenti in Sardegna si dimostrano suscettibili la Pizz'e carroga ed il complesso varietale della Bosana (con i ritenuti cloni Palma, Tondo sassarese e Olieddu). Difesa La lotta contro la rogna non è agevole. Le possibilità di controllo sono ridotte, da un lato, dal divieto di impiego in agricoltura di specifiche sostanze battericide (ad es. antibiotici) e dalla mancanza di sperimentazione di appropriati prodotti traslocabili all'interno della pianta con effetti battericidi, dall'altro dalla scarsa affidabilità dei trattamenti preventivi con prodotti rameici. Inoltre, il ricorso a tali prodotti è condizionato dall'imprevedibilità degli eventi meteorici ed dalla difficoltà ad intervenire in campi resi impraticabili; queste situazioni riducono spesso le residue possibilità di controllo. Laddove, invece, fosse possibile, può essere consigliato un trattamento con prodotti rameici (poltiglia bordolese all' 1,5% o ossicloruri di rame allo 0,6%) da eseguirsi sia immediatamente dopo gli eventi climatici predisponenti la malattia (non oltre 3-5 giorni), sia in seguito ad interventi cesori. Pur non essendo certa l'efficacia, si consiglia, comunque, allo scopo di non diffondere la malattia, di disinfettare gli attrezzi usati per la potatura immergendoli in soluzioni a base di composti di rame. Nei vivai notevole importanza riveste l'utilizzazione di materiale di propagazione assolutamente sano. L'occhio di pavone o vaiolo È certamente la malattia dell'olivo più nota e diffusa, presente, seppure con forme di intensità differenziata, in quasi tutte le località olivicole italiane. Poiché la diffusione, la possibilità di infezione e la recettività sono largamente sostenute dalle condizioni meteoriche e microclimatiche dei diversi ambienti e dallo stato colturale proprio di ogni singolo oliveto, è possibile che accanto o anche entro estese superfici, ove la malattia è poco o niente rappresentata, vi siano areali (talvolta molto modesti) dove, invece, essa infierisce in maniera molto grave. Peraltro, in zone dove la malattia è sempre presente, seppur in forme meno gravi, è anche facile rilevare singoli oliveti che ne sono assolutamente esenti. Ciò evidenzia due diverse serie di fattori che modificano le situazioni prevalenti e sottolineano, innanzitutto, l'importanza delle caratteristiche di sensibilità, ovvero, di tolleranza o resistenza delle diverse varietà ed inoltre, da un lato l'influenza favorevole alla malattia di particolari zone o ambienti microclimatici e dall'altro che un'accurata esecuzione delle pratiche colturali dell'oliveto risultano sempre positive nel ridurre la possibilità di infezione. Sintomatologia I sintomi della malattia sono prevalentemete riscontrabili nelle foglie (fig. 14.2 e fig. 14.3), pur essendo talvolta presenti in altri organi verdi quali i peduncoli delle drupe e le drupe medesime. 105 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Figura 14.2 - Occhi di pavone: sintomo classico della malattia. Figura 14.3 - Occhio di pavone: macchie numerose di occhio di pavone, la foglia è invecchiata precocemente, ma le aree infette sono attive nella fotosintesi (effetto delle citochinine). Le foglie infette non mostrano subito i sintomi, in quanto il microrganismo infettante ha bisogno di un certo periodo di tempo (periodo di incubazione) per invadere i tessuti sensibili, in particolare quelli epidermici della pagina superiore. In queste zone, il fungo si estende utilizzando acqua e nutrimento a spese della foglia, e la sua presenza è rilevabile solamente attraverso particolari trattamenti che favoriscono la diagnosi precoce. Solo quando l'area invasa è sufficientemente sviluppata è visibile ad occhio nudo, cioè quando il patogeno ha perforato la cuticola fogliare, liberando gli "organelli di propagazione" (conidi) che produrranno le successive infezioni. Queste ultime avverranno prevalentemente sugli organi sensibili della stessa piante, ma anche di piante contigue, se forti correnti d'aria saranno in grado di farvi giungere minute goccioline d'acqua, inglobanti i conidi ancora attivi. In questa fase, con un'attenta osservazione, è possibile scorgere una macchia rotonda bruna o bruno-violacea, leggermente vellutata in superficie, su un tessuto leggermente decolorato nella sua parte centrale. Più avanti, quando la stagione decorre favorevolmente, dette macchie si estendono mantenendo, a seconda della varietà, o le stesse caratteristiche iniziali, oppure segnando il proprio sviluppo con anelli concentrici di diverso colore. Questi ultimi richiamano quelli tipici delle penne del pavone dalle quali ha preso il nome la malattia. In rapporto alle diverse e variabilissime condizioni di ciascun ambiente, le infezioni, nei diversi periodi, possono interessare un differente numero di foglie e ciascuna foglia con un numero differente di macchie di infezioni. Si potranno così avere foglie che mostreranno solo una o poche macchie, anche di dimensioni considerevoli (sino a 10 mm di diametro), o foglie con macchie tanto numerose da interessare l'intera superficie. La defogliazione cui è soggetta la pianta affetta è la manifestazione più evidente e più grave; può verificarsi già all'inizio dell'estate, ma le manifestazioni più evidenti, in rapporto anche alle condizioni meteorologiche si mostrano a partire dalle fine dell'estate, per proseguire in crescendo nel periodo autunno-vernino (fig. 14.4). In particolare in inverno, in concomitanza di minime termiche tra -0.5°C e 2.5°C, le foglie infette sono oggetto di un massiccio contemporaneo distacco. In altre situazioni, invece, specie nelle piante dove l'infezione non si è estesamente diffusa, il distacco può, talvolta, passare inosservato. Figura 14.4 - Occhio di pavone: la cuticola delle parti infette delle foglie si distacca dall'epidermide (con conseguente espressione di "argentatura" se la temperatura scende a 0°C). 106 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Biologia La malattia, causata da un fungo microscopico [Spilocaea oleagina (Cast.) Hughes, ma ancor oggi noto con la vecchia denominazione di Cycloconium oleaginum Cast.] si diffonde esclusivamente attraverso i conidi che si formano sugli organi colpiti. Affinché possano essere distaccati dalla loro sede di formazione e trasportati su altri organi e per operare un'ulteriore infezione, necessitano di una abbondante bagnatura (in seguito a piogge, o prodotta durante prolungati periodi di precipitazioni occulte) e temperature adeguate. Il vento può avere una certa importanza nella diffusione dei conidi dell'agente patogeno, specie se questi si trovano inglobati in goccioline d'acqua. L'evoluzione del ciclo biologico del patogeno è favorito da gamme di temperatura sufficientemente ampie, varianti da sopra 3°C sino a circa 28°C. Dalla penetrazione alla comparsa dei sintomi, in rapporto alle situazioni meteorologiche ed alle risposte delle diverse varietà, può trascorrere un periodo di latenza anche superiore a tre settimane. L'applicazione di tecniche di laboratorio per la diagnosi precoce della malattia è molto utile e talvolta necessaria per effettuare validi interventi fitoiatrici. In casi di infezioni fogliari precoci primaverili evidenzianti macchie ben formate già nell'estate, si può avere, nel corso della stagione, un arresto dello sviluppo delle medesime macchie. Lo sviluppo, tuttavia, può riattivarsi in autunno con il ritorno di temperature e condizioni di umidità ottimali. In certi casi i tessuti, in corrispondenza della macchia, possono addirittura disseccarsi nella parte centrale, ma mantenersi vitali in un sottile anello periferico, capace, comunque, di consentire una ripresa vegetativa del fungo durante l'autunno. Le infezioni a carico delle drupe, pur meno frequenti, possono, in particolari annate, interessare la maggior parte se non addirittura tutti i frutti e sono sempre deleterie in quanto oltre a provocare una cascola anticipata, rendono i frutti qualitativamente non utilizzabili e ciò sia per le lesioni evidenti (nel caso delle olive da mensa), sia per l'elevata acidità che conferiscono all'olio prodotto. Le infezioni ai peduncoli provocano o la caduta prematura della drupa, oppure il suo avvizzimento; quelle sui rametti, invece, non rivestono, in generale, importanza pratica. Per quanto riguarda le foglie, che sono gli organi più importanti sotto i diversi punti di vista, la suscettibilità decresce con l'età. In genere, le infezioni primaverili-estive interessano tutte o molte delle foglie nate durante la primavera e l'inizio dell'estate; esse possono mostrare sintomi già a partire dal mese di maggio. In differenti aree olivicole sarde è stato osservato che durante l'estate, mentre molte foglie della vegetazione dell'anno mostrano già palesi macchie di infezione, oppure risultano infette in fase ancora latente, le sottostanti foglie della vegetazione dell'anno precedente, ancora presenti sullo stesso ramo, risultano completamente esenti da sintomi attribuibili alla malattia. Da quanto premesso, appaiono evidenti due situazioni: da un lato che le foglie giovani sono quelle sempre più suscettibili e che con l'età le foglie delle stesse piante acquisiscono una maggiore resistenza all'infezione, e dall'altro che nelle varietà sensibili, in presenza di foglie infette sugli alberi, se le condizioni stagionali decorrono favorevolmente (pioggia, alta umidità conseguenti a prolungati periodi di precipitazioni occulte e temperature adeguate) le infezioni sui vari organi possono verificarsi tutto l'anno. Particolare recettività all'infezione si manifesta durante la primavera, in coincidenza con l'emissione della nuove foglie, sino a tutto maggio o anche la metà di giugno; ovvero, in autunno, da settembre in poi. Peraltro, in inverno (in concomitanza di temperature piuttosto rigide) ed in estate (quando la frequente prolungata siccità è anche accompagnata da temperature piuttosto elevate) potranno registrarsi flessioni nell'entità e nell'evoluzione delle infezioni, ma non la scomparsa della malattia. Difesa Il danno provocato dal distacco prematuro delle foglie è certamente più consistente quanto più è anticipata la caduta, in rapporto al notevole squilibrio dell'attività vitale che deriva alla pianta. Dati recenti ottenuti da pluriennali osservazioni, con particolare riferimento alla cv "Tondo sassarese", hanno messo in evidenza e quantificato i notevoli effetti prodotti dal distacco prematuro delle foglie. Rapportando i dati ottenuti da piante lasciate libere alle infezioni del patogeno, con quelli ottenuti da altrettante piante parzialmente protette con non più di due interventi anticrittogamici, è stato evidenziato che, globalmente, la produzione di mignole è ridotta ad un terzo e quella dei frutti a circa un quarto, rispetto alle produzioni ottenute dalle piante protette. 107 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Finalità principale degli interventi contro questa malattia è quindi quella di evitare quanto possibile l'infezione delle foglie suscettibili e, al limite, ritardarne il distacco. Poiché nelle aree olivicole classiche si ha a che fare con situazioni precostituite, gli interventi dovrebbero essere avviati su due precise direzioni: una preminentemente di carattere tecnico-agronomico, l'altra di carattere strettamente fitoiatrico. Con la prima serie di interventi si dovrebbe tendere ad eliminare, ovvero a ridurre al minimo, le influenze negative dell'ambiente. Certamente utili sono alcuni interventi volti a modificare la chioma e a mantenerla in condizioni di massima aereazione, evitando di creare condizioni favorevoli al ristagno di umidità e, particolarmente, la formazione di abbondante e perdurante condensazione acquosa sulle foglie. Nelle aree ove la malattia è presente sempre in forma grave l'unico mezzo di lotta attuabile è quello chimico. Tra i prodotti finora usati, i rameici hanno risposto sempre in maniera adeguata, in particolare per la loro persistenza, superiore a quella di altri prodotti "acuprici" (privi di rame), che pure hanno mostrato una buona attività. I composti a base di rame sono stati più frequentemente raccomandati perché essi (sotto forma di poltiglia bordolese o ossicloruri) accelerano la caduta delle foglie infette. Questo fenomeno è, talvolta, mal visto dagli agricoltori in quanto, nei casi più gravi, le piante possono spogliarsi completamente nel giro di pochi giorni. Queste situazioni, invece, debbono essere interpretate favorevolmente, in quanto esse portano ad una repentina e drastica riduzione delle possibilità di nuove infezioni sugli organi ancora presenti ed, in particolare su quelli di neo formazione. Un'irrorazione con un anticrittogamico a base rameica, effettuata prima della ripresa vegetativa (febbraio/marzo), determinerebbe il distacco delle foglie vistosamente macchiate, facendo aumentare, di conseguenza, le probabilità che le foglie di nuova formazione riescano a sfuggire all'infezione. Questo trattamento a fini "eradicanti" potrebbe, comunque, non riuscire pienamente nell'intento, se al momento dell'intervento sono presenti, anche se in percentuali modeste, foglie con infezioni latenti che costituirebbero successivamente nuove sorgenti di infezione ed un pericolo potenziale per le giovani foglie in via di accrescimento. Provvedendo all'esecuzione di un secondo trattamento (aprile-maggio a seconda dell'andamento stagionale, ma, comunque non in coincidenza con l'apertura dei fiori) con gli stessi prodotti rameici, eventualmente addizionati con altri a base di Dodina, tale evento potrà essere evitato (fig. 14.5). Ciò facendo, si riduce ulteriormente l'inoculo (presente sulle ultime foglie infette appartenenti al precedente ciclo vegetativo) e si proteggono le foglie della nuova vegetazione. Pertanto, potrebbero non rendersi necessari gli interventi autunnali che di solito vengono raccomandati. Figura 14.5 - Occhio di pavone: la pianta mostra branche ricche di foglie (in seguito a interventi localizzati con fitofarmaci) rispetto alla restante parte della chioma defogliata a causa di attacchi di occhio di pavone. È chiaro che quanto sopra indicato si rende necessario se si interviene per la prima volta; di seguito però, quando la situazione si è normalizzata, anche con gli auspicati interventi di carattere agronomico, uno o pochi trattamenti dettati dall'esperienza maturata localmente e, se il caso, integrati con quelli insetticidi - dovrebbero garantire in maniera più che adeguata il controllo della malattia. È utile sottolineare che quanto suggerito è frutto si esperienza maturata in aree ove esistevano, e purtroppo tuttora esistono, condizioni ambientali e tecnico-agronomiche molto svantaggiose e quindi in situazioni molto favorevoli alla malattia Il discorso deve essere impostato in maniera diversa se, invece, si vogliono considerare prospettive di rinnovamento o di espansione in nuove aree: le considerazioni di base valgono soprattutto in questi casi, ove necessiterà un esame attento ed approfondito della scelta sia ambientale, sia tecnico-agronomica, con particolare riferimento alle varietà e quindi alla finalizzazione produttiva. In questo ambito dovranno prendersi in considerazione aspetti legati a possibili caratteri di resistenza alla malattia di nuove varietà o di cloni appartenenti a varietà preesistenti. Sotto quest'ultimo aspetto, l'individuazione di cloni resistenti, oppure tolleranti alla malattia, è una via da seguire specialmente negli areali olivicoli dove prevalgono varietà di notevole importanza economica ma che, purtroppo, sono anche sensibili alla malattia. Verifiche sperimentali relative alla sopra detta cultivar "Tondo sassarese", hanno indicato la possibilità di poter procedere seguendo questa via. 108 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Piante clone tolleranti possono essere individuate monitorando il comportamento reattivo nei confronti dell'entità delle infezioni, della percentuale di distacchi prematuri delle foglie e della migliore risposta delle piante alla fioritura ed alla fruttificazione, e ciò al fine di costituire una base per la loro propagazione e diffusione in possibili futuri impianti. Per quanto concerne la lotta, certamente ancora difficile, è da augurarsi che, in un futuro non lontano, possano essere utilizzati nuovi composti chimici con una spiccata capacità di azione curativa (oltre che preventiva) tale da poter controllare l'evoluzione del patogeno all'interno dei tessuti invasi. Ciò facendo ricorso a composti ad azione sistemica, similmente a quanto già viene fatto per il controllo di malattie simili quali le "ticchiolature". In questo campo esistono dei risultati che sono molto incoraggianti, e se gli aspetti tossicologici risponderanno alle esigenze delle normative in vigore, è probabile che per "l'occhio di pavone" si possano aprire nuove buone prospettive per un suo efficace controllo. Nell'ipotesi di trattamenti in un oliveto adulto, si consiglia l'utilizzo di irrorazioni rameiche su una base di circa 1000 litri ad ettaro con le dosi di 1,4-1,5 kg ogni 100 litri di acqua di poltiglia bordolese oppure 0,6-0,7 kg di ossicloruro di rame. Per quanto riguarda le cultivar sarde una certa sensibilità all'occhio di pavone si è riscontrato nel complesso varietale "Tondo sassarese", "Palma" e "Bosana" in differenti aree della parte centro-settentrionale dell'isola, di "Manna" nell'oristanese e di "Pizz'e Carroga" in diverse zone del cagliaritano. La piombatura È così detta in quanto le foglie colpite dall'agente della malattia (fungo microscopico Mycocentrospora cladosporioides Sacc.) mostrano sulla pagina inferiore macchie di colore grigio piombo che possono estendersi sull'intera superficie, determinando corrispondenti decolorazioni, anche intense, su quella superiore e successivamente il distacco anticipato della foglia. Queste, prima di cadere, possono disseccarsi in corrispondenza dell'area infetta (fig. 14.6 e fig. 14.7). Figura 14.6 - Piombatura: particolare di una branca sintomatica. Figura 14.7 - Piombatura: foglie affette dalla malattia mostrano i sintomi (piombatura nella parte inferiore). È una malattia non particolarmente grave: colpisce le foglie già adulte, in condizioni di temperatura mite ed umidità piuttosto elevata; il loro eventuale distacco si produrrebbe in periodi di molto posteriori a quelli indicati per l'occhio di pavone; vengono così meno, rispetto a quest'ultima malattia, gli effetti deleteri conseguenti una mancata differenziazione a frutto delle gemme. In genere, l'entità delle defogliazioni attribuibili a questa malattia - almeno per quanto concerne le indicazioni note per le aree olivicole meridionali ed insulari - non ha mai destato preoccupazioni. Gravi, invece, sono gli effetti nei vivai. 109 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Di un certo interesse, invece, sono le infezioni che possono verificarsi, anche se in forma sporadica e decisamente localizzata, a carico dei frutti (fig. 14.8). Figura 14.8 - Piombatura: drupa affetta da piombatura mostra la parte sintomatica: si intravedono i frutti del patogeno. Esse sono state osservate, dopo estati miti, a carico di drupe ancora immature e, con una maggiore frequenza, più tardi in autunno poco prima dell'inizio della raccolta. I frutti colpiti mostrano delle macchie bruno-violacee, poi nettamente più scure infossate, irregolari nella forma e di dimensioni sino a circa un centimetro di diametro. All'interno di queste zone si formano col tempo dei corpuscoli bruni che rappresentano le forme di moltiplicazione del fungo patogeno. Le olive colpite tendono a marcire contribuendo a far perdere loro la qualità in particolare se trattasi di olive da mensa. La malattia è presente in Sardegna un po' dappertutto nella sua fase fogliare, mentre l'attacco a carico dei frutti è stato riscontrato principalmente sulla varietà "Pizz'e carroga". In questo specifico caso le condizioni di giacitura delle piante, e quelle conseguenti microclimatiche sono certamente favorevoli al decorso della malattia. Nel caso della piombatura, ancor più che nel caso dell'occhio di pavone un razionale mantenimento delle piante sarebbe sufficiente ad evitarne effetti dannosi. Laddove, poi, si faccia ricorso all'irrigazione, i fenomeni - almeno quelli fogliari - possono essere più frequenti, ma in genere non sono tanto dannosi da richiedere interventi chimici specifici. Peraltro, quando in un oliveto viene praticata con una certa regolarità la lotta contro l'occhio di pavone, gli stessi trattamenti controllano adeguatamente anche questa malattia. La lebbra È una malattia che, pur infettando organi diversi della pianta, è importante per gli effetti conseguenti alle infezioni dei frutti. Le maculature, i successivi raggrinzimenti della drupa e il conseguente marciume sono tipiche fasi dell'evoluzione della malattia che compromette l'utilizzazione del prodotto (fig.14.9). Figura 14.9 - Lebbra: drupa sintomatica ove la porzione interessata è imbrunita e disidratata. La malattia, più nota in altre aree olivicole delle regioni continentali italiane (in particolare della Calabria e della Sicilia), ha fatto la sua comparsa in Sardegna circa trent'anni addietro, in un limitato areale olivicolo. Ma sia in Sardegna, sia nelle altre regioni che sono state interessate da una fase epidemica, la lebbra è andata gradualmente regredendo, tanto che oggi ha un certo significato solo in poche e limitate zone. L'infezione, causata da un fungo microscopico (più noto come Gleosporium olivarum Alm.), induce un graduale deterioramento del frutto già sull'albero ed una forma più rapida di marciume se l'oliva cade a terra. 110 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Molto spesso il distacco è facilitato dall'infezione al ramo portante. Una situazione analoga può verificarsi attraverso il picciolo di foglie infette. Le infezioni dirette sui frutti e sulle foglie si realizzano sempre a mezzo di propaguli disseminati da forme di propagazione (dette "acervoli"), in particolare da quelle abbondanti e persistenti, formatesi sulle olive infette non cadute. All'evoluzione di tali situazioni concorrono condizioni ambientali favorevoli quali l'elevata umidità relativa dell'aria e le temperature miti. Le foglie infette, mostranti spesso macchie color cuoio, possono distaccarsi anticipatamente, mentre le infezioni ai rami (in genere non di grosse dimensioni) possono indurre fenomeni di avvizzimento e conseguente disseccamento. Questi ultimi aspetti, così come possibili infezioni su drupe verdi (poco frequenti) sono stati messi in relazione ad una diversa sensibilità delle varietà alla malattia. Indicazioni al riguardo esistono in quelle regioni (come la Calabria) dove la lebbra ha infierito in modo grave e per diversi anni, permettendo di analizzare il comportamento delle diverse varietà. In quegli stessi ambienti, per un efficace controllo della malattia, oltre agli indispensabili interventi agronomici (largamente basati su operazioni di rimonda) erano richiesti, nelle annate più favorevoli alla malattia, anche interventi chimici (in particolare prodotti anticrittogamici a base rameica) con 2 o 3 trattamenti a partire dalla fine di settembre. In Sardegna, come si è detto, la malattia non si è diffusa, ma ove esistesse questa possibilità gli interventi eseguiti contro malattie altrettanto gravi e diffuse (come, ad esempio, l'occhio di pavone) sarebbero sufficienti a controllare adeguatamente anche la lebbra. La verticillosi La malattia prende nome dall'agente che la causa, il fungo microscopico Verticillium dahliae Kleb. Essa si esprime con una complessa forma di deperimento, accompagnata, talvolta, da una prematura defogliazione, conseguenti all'azione di due particolari ceppi del patogeno (defogliante e non defogliante) e può interessare le piante con una differente intensità. La malattia può evolversi con una forma cronica a carico di piante vecchie in areali olivicoli classici ed una forma acuta su alberi giovani, più frequentemente in impianti irrigui. In questi ultimi casi i primi sintomi compaiono sui rami più giovani, le cui foglie, in primavera, tendono ad assumere un colore giallo e poi brunastro, a ripiegare i bordi verso il basso e poi distaccarsi dalle loro sedi; in molti casi fanno eccezione le ultime 4-5 foglie del ciuffo apicale che, anche se secche, non cadono. I rametti interessati si disseccano e questo fenomeno può estendersi talvolta anche ad intere branche (fig. 14.10). Durante questa fase possono formarsi sulla corteccia dei rami striature brunastre più o meno estese e depresse, mentre il legno può assumere, nei settori interessati dall'alterazione della corteccia, una colorazione dal giallastro al bruno. Figura 14.10 - Pianta affetta da tracheoverticilliosi con evidente tentativo dir ipresa e produzione di nuovi getti basali. Anche se le manifestazioni della malattia sono prevalentemente a carico della chioma, l'infezione causata dal fungo avviene attraverso le radici; da qui si diffonde attraverso i vasi conduttori, per raggiungere le parti periferiche, dove esprime la sua dannosità. Talvolta, i sintomi non sono tali da consentire una diagnosi sicura; quest'ultima è possibile solo con l'isolamento in coltura artificiale del patogeno dagli organi presunti infetti. Questa operazione è più facile quando il tempo è moderatamente buono e senza forti fluttuazioni della temperatura. Può verificarsi anche che forme di disseccamenti delle porzioni apicali dei rami di giovani piante, associate alla presenza di galleria ascellari prodotte da insetti (Phloeotribus scaraboeoides e Hylesinus oleperda), e verosimilmente attribuiti agli effetti del loro parassitismo, siano associati alla presenza del micete patogeno. In questa circostanza è molto probabile che l'azione dei detti parassiti sia stata promossa e facilitata dai rametti previamente indeboliti dalle precedenti affezioni primarie. 111 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Attualmente, in Sardegna la malattia non costituisce un problema di notevole gravità; solo in rare circostanze alberi, in particolare quelli di giovane età, mostranti sintomi riferibili alla verticilliosi hanno dato riscontro positivo alla diagnosi biologica. Infatti, uno dei più efficaci interventi "integrati" è il precoce accertamento del patogeno nella pianta e ciò oggi, anche attraverso l'applicazione di metodologie molecolari. Quindi, dovendo considerare le situazioni relative all'impianto di un nuovo oliveto, notevole importanza assumerà l'accertamento della sanità del materiale di propagazione e lo stato del terreno se si opera su appezzamenti precedentemente coltivati con specie suscettibili al fungo (pomodoro, melanzana, peperone). Il controllo chimico della malattia non è facile. Dati sperimentali molto recenti indicano che interventi con Phosethyl-Al (Fosetil alluminio) esprimono una certa efficacia nel contenere le infezioni, sia attraverso iniezioni al tronco, sia con trattamenti alla chioma. Al momento tale prodotto non risulta però tra quelli autorizzati per l'uso comune in olivicoltura. Anche il Benomyl iniettato sembra esprimere una certa efficacia. Seccume dei rami Come è noto, l'olivo mostra di frequente disseccamenti rameali, talvolta attribuiti su base sintomatologica alla tracheoverticilliosi, ma che, invece, sono ben differenziati da questa dal punto di vista eziologico. In Sardegna, alterazioni a carico dei rami di due o tre anni sono state rilevate con una certa frequenza, ma, in generale, con una intensità piuttosto bassa. Possibili agenti sono differenti specie fungine tra le quali, più frequente è la Phialophora parasitica Ajello, George & Wang. Altre forme di marciume dei frutti Oltre ai casi di marciume delle drupe indotte dalla lebbra e dalla piombatura i frutti dell'olivo possono essere oggetto di infezioni e di conseguenti forme di marciume causate da altre specie fungine. I danni indotti da Camarosporium dalmatica (Sphaeropsis dalmatica) sono da tempo ben noti in particolare in alcune zone olivicole della Sicilia. Più recentemente, in particolare in alcune zone della Puglia, sono state segnalate nuove forme a carico di drupe mature e site nella parte più bassa della chioma e rappresentate da discolorazioni bruno-scure, generalmente associate con il prematuro distacco del frutto e prodotte da infezioni locali da parte di Phytophthora nicotianae (Breda) de Haan. Un altro tipo di marciume localizzato attorno al peduncolo e mostrante i tessuti raggrinziti si ritiene che possa essere indotto dalla specie micetica Pyrenochaeta quercina K e B. Non si hanno informazioni circa la presenza di tali alterazioni in Sardegna. Giallumi In quest'ultimo decennio, in varie località olivicole isolane sono state segnalate varie forme di giallumi (non riferibili a sindromi carenziali) che interessavano, il più delle volte, tutta la chioma, o branche isolate della stessa, tanto di piante giovani, quanto di adulte. I sintomi cromatici non si differenziavano da quelli segnalati in altre parti d'Italia, attribuiti a forme virali e/o fitoplasmi (sono organismi microscopici unicellulari che non hanno una forma stabile e definita, essendo delimitati da una membrana, ma non dotati di una parete rigida). Allo stato attuale degli studi, le forme riscontrate in Sardegna non sembrano essere legate ad eziologie virali; mentre non sono escluse quelle di origine fitoplasmica o di altra natura. Nei casi di affezioni fitoplasmiche i giallumi sono spesso accompagnati da un raccorciamento degli internodi dei rametti, da aborto delle gemme e da scarsa vegetazione. I marciumi radicali Alterazioni radicali piuttoisto complesse possono verificarsi nelle regioni meridionali ed interessare, in particolare, giovani piante di recente impianto. Il più delle volte tali alterazioni sono conseguenti a fattori edafici abiotici (siccità e/o elevata e prolungata umidità del suolo) e sono complicate ed aggravate dal'azione patogena e/o opportunistica di un elevato numero di miceti terricoli, in particolare da Phytophthora megasperma, P. irregulare, P. palmivora assieme ad un nutrito nomero di specie appartenenti ai generi Cylindrocarpon sp., Fusarium ssp., Macrophomina phaseolina, Sclerotium rolfsii, tra i più frequenti. In questo contesto e con particolare riferimento a P. megasperma, tenuto conto della sua alta frequenza e la sua dipendenza per la patogenicità dell'alto contenuto di acqua nel suolo, si ritiene che tale specie possa giocare un importante ruolo sulla sensibilità delle giovani piante all'asfissia radicale. 112 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Analoghi deperimenti possono verificarsi su piante adulte ed il loro aggravamento può essere anche attribuito alla contemporanea azione da parte di specie di nematodi parassiti dell'olivo Forme gravi di marciumi radicali in piante adulte sono indotte da infezioni di Armillaria sp. e da Dematophora (Rosellinia) necatrix. La carie La carie è una alterazione del legno che porta ad un imponente svuotamento del tronco e delle branche a causa del processo degenerativo e del disfacimento del legno stesso. In Sardegna l'alterazione è molto diffusa in tutti gli areali di tradizione olivicola, anche se sembra più frequente in quelli della parte settentrionale dell'Isola. Al marciume del legno tipico della carie si associa sempre un deperimento generale della vegetazione, in particolare quando l'azione degenerativa, avviatasi nella parte più vecchia ed interna del legno, si avvicina al legno giovane più esterno. La causa di tale alterazione viene attribuita all'azione di varie specie di funghi (prevalentemente le specie tipiche del marciume del legno) che si ritrovano costantemente nel legno alterato e che raggiungerebbero quelle parti di tessuto non funzionante, trasportati da infiltrazione d'acqua introdottasi attraverso tagli o altre lesioni. Per prevenire l'insorgenza della carie è opportuno che i nuovi oliveti siano realizzati secondo i dettami della tecnica razionale. In particolare bisogna evitare i ristagni d'acqua nel terreno e gli stati di sofferenza idrica e nutrizionale delle piante, perché sono ritenuti fattori di predisposizione all'alterazione. Inoltre, quale norma di carattere generale, è da prescrivere la disinfezione dei tagli di potatura con prodotti anticrittogamici ad ampio spettro e, quando i tagli siano di diametro rilevante, la loro copertura con mastici o vernici. Per quanto concerne la cura di piante ammalate, mediante l'asportazione del legno cariato (slupatura), bisogna dire che l'intervento è tecnicamente possibile, anche se fortemente limitato da considerazioni di ordine economico. La fumaggine La cosiddetta fumaggine è un'alterazione molto diffusa in quasi tutti gli ambienti olivicoli, ma particolarmente più grave nelle bassure non ventilate e soggette a forti ristagni di umidità. Non si tratta di una malattia vera e propria in quanto le svariate specie di funghi microscopici che causano la formazione di strati fuligginosi non sembra che stabiliscano coi tessuti della pianta un rapporto nutrizionale. Nella stragrande maggioranza dei casi lo sviluppo della fumaggine è in stretta relazione con le infestazioni della cocciniglia mezzo grano di pepe (Saissetia oleae Bern.) le cui forme giovanili si diffondono su tutta la chioma. In seguito alla loro attività alimentare liberano sostanze prevalentemente zuccherine effettuando una specie di "filtrazione" dei succhi tratti dagli organi attaccati; queste sostanze costituiscono la "melata". Quest'ultima può essere anche prodotta dalle stesse piante ("melata fisiologica") quando si trovino in stato di sofferenza per fatti nutrizionali ed idrici anormali. Qualunque sia l'origine della melata, su di essa si depositeranno casualmente le forme di moltiplicazione dei funghi della fumaggine formando poi la caratteristica copertura fuligginosa . Questi funghi pur non avendo rapporti nutrizionali diretti con gli organi vegetativi della pianta compromettono, come conseguenza della loro copertura, la funzionalità delle foglie accelerandone altresì l'invecchiamento; anche i frutti possono essere ricoperti dalla fumaggine, situazione particolarmente grave per le olive da mensa. In definitiva, fatte le dovute eccezioni, la fumaggine è solo un problema secondario e la sua soluzione dipende dalle possibilità del controllo dei fattori che ne permettono l'insediamento. Una lotta diretta è possibile con l'aiuto di prodotti anticrittogamici o con miscele di sostanze fungicide e scrostanti; ma ciò è pur sempre un fatto aleatorio se non vengono attivati tutti quei mezzi indicati per il controllo dell'ambiente e delle pericolose infestazioni di cocciniglie. Virus, virosi e malattie simil-virali Il primo suggerimento circa la possibile esistenza di virosi dell'olivo venne dal Lazio nel 1939. Le ricerche successive hanno portato alla descrizione di 14 diversi quadri sintomatologici di cui è stata sospettata (o accertata) la natura virale. Le virosi accertate sono pochissime e si riferiscono ai "frutti bitorzoluti" accompagnati da sintomi fogliari indotte dal virus della "maculatura anulare" della fragola (SLRSV); ai giallumi nervali con deperimenti, indotti dal potexvirus OYVV proprio dell'olivo, e da TMV (agente del mosaico del tabacco). 113 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Le presunte virosi sono riferibili a tre categorie: malattie riprodotte su olivo mediate trasmissione per innesto, ma i cui agenti non sono stati identificati (foglie falciformi, sferosi, giallumi fogliari); malattie non riprodotte su olivo ma alle quali sono associati agenti che inducono sintomi su ospiti diversi di O. europaea (paralisi parziale, malformazioni fogliari); malattie caratterizzate da modificazioni degli organi assili (corteccia fessurata) e dei frutti (vaiolatura), che ricordano alterazioni di possibile natura virale, ma delle quali non è stata dimostrata la trasmissibilità per innesto. Per quanto riguarda le alterazioni cromatiche, che sono le più e vistose in Sardegna è plausibile che, in alcuni casi particolari, abbiano una origine infettiva, sostenuta da una pluralità di agenti (virus, ovvero fitoplasmi di cui si è fatto cenno in precedenza), solo alcuni dei quali sono stati a tutt'oggi isolati ed identificati. Comunque, la rilevata bassa incidenza delle infezioni farebbe ritenere che ad una intrinseca resistenza dell'ospite si accompagni una modesta ed occasionale frequenza di episodi infettivi. Tuttavia, rimane il fatto che i virus, invadendo sistemicamente le piante, permangono nel materiale di propagazione che pertanto rappresenta il principale veicolo di diffusione di tali agenti. Al momento, la selezione sanitaria propedeutica alla certificazione è l'unica strategia di lotta adottata contro i virus dell'olivo. Peraltro, si deve anche dire che in carenza di efficienti supporti diagnostici, la selezione di per sé, per quanto sia accurata, non garantisce livelli di sanità tranquillizzanti. Infatti, l'esame visivo da solo non è soddisfacente in rapporto alla presenza di infezioni latenti, in piante chiaramente asintomatiche. Pertanto, l'esecuzione di saggi per rilevare la presenza di dsRNA virali è fondamentale. La lotta integrata Le indicazioni che possono essere suggerite per stilare un completo programma di lotta integrata, non sono numerose. Ciò dipende da un lato dalla ancora insufficiente conoscenza degli aspetti biologici ed epidemiologici di molte malattie, e, dall'altro, dalla limitata disponibilità, almeno per quanto concerne l'Italia di composti chimici di cui sia consentito l'uso in agricoltura. Nel suo più ampio ambito, e con particolare riferimento alla difesa dai fitofagi, la lotta integrata prevede l'impiego di sistemi di controllo biologico, agronomico, biotecnico e, come ultima alternativa, il ricorso ad interventi chimici. Allo stato attuale, comunque, è difficile ipotizzare una definitiva eliminazione dell'impiego di questi prodotti; tuttavia, è attuabile una razionalizzazione della difesa dell'oliveto con notevoli riduzioni dei principi attivi distribuiti. Tuttavia, tenendo conto delle affezioni di natura crittogamica, che hanno un notevole impatto sull'economia della coltura, è importante prendere in considerazione gli aspetti tecnico-agronomici generali piuttosto che quelli più strettamente fitoiatrici, ma che, ovviamente, assieme a questi ultimi, possono completare e rendere più efficace il quadro degli interventi. Pertanto, in tutti i casi, è fondamentale che non vengano a mancare le pratiche colturali, per mantenere le piante nel migliore stato vegetativo e per evitare possibili situazioni che, direttamente o indirettamente, favoriscano gli agenti patogeni nelle differenti, successive fasi del processo patogenetico. A parte le lavorazioni del terreno e le concimazioni che dovranno essere effettuate con regolarità, notevole importanza riveste la potatura. Essa, pur nella sua periodicità, dovrà consentire sempre la massima aerazione della chioma per evitare il ristagno dell'acqua, sia quella piovana, sia, soprattutto, quella di condensazione che favorirebbero l'evoluzione di malattie molto gravi quali sono l'occhio di pavone, la rogna e la lebbra nelle aree dove è ancora grave. In particolare per quanto riguarda le due ultime malattie, e segnatamente per la "lebbra", anche l'allontanamento delle parti infette attraverso operazioni di rimonda, potrebbe risultare di un certo ausilio. Sempre in ambito colturale e come è stato indicato nel caso della tracheoverticilliosi, è molto importante evitare le consociazioni con specie suscettibili all'agente patogeno, e la costituzione di nuovi impianti su terreni che hanno ospitato, in precedenza, colture erbacee e arboree suscettibili, e ciò se dette specie erano state oggetto di infezioni da parte dello stesso agente. In questo contesto, la lotta contro le infestanti può contribuire al mantenimento della sanità dell''oliveto nei confronti della stessa malattia. In tali ambienti si ritiene che l'applicazione di alcune tecniche di "solarizzazione" al terreno, ovvero direttamente alla chioma delle piante affette, possano offrire favorevoli prospettive. 114 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Contrariamente a quanto noto nei riguardi dei fitofagi, contro i quali esiste una vasta applicazione, molto scarse sono, invece, le indicazioni sulla possibilità di interventi di lotta biologica. Comunque, meritano di essere citati gli studi sulle possibilità dell'impiego come antagonosti, sia di alcuni ceppi batterici saprofiti contro l'agente della "rogna", sia di alcune specie fungine, presenti nel filloplano, nel controllo di S. oleagina. Inoltre, anche contro V. dahliae, agente della tracheosi, potrebbero avere buone prospettive i tentativi con le specie fungine nel suolo infetto. Quando, però, l'intervento chimico non potrà essere evitato, sarà fondamentale l'individuazione dei periodi ottimali per l'effettuazione di tali interventi. Una particolare attenzione dovrà essere rivolta alla scelta dei fitofarmaci. Entrambi gli aspetti sono strettamente collegati ed ai medesimi devono fare riferimento i dosaggi da usare; in questo contesto i volumi da distribuire saranno condizionati dalle forme di allevamento e dalle dimensioni delle singole piante. A questo riguardo, in molti casi, le normative vigenti limitano l'uso di composti chimici nella lotta contro i più pericolosi agenti patogeni. Di conseguenza, le possibilità di contrastarli sono demandate ad un ridotto numero di sostanze chimiche ad azione protettiva. Esse, appunto per questa loro caratteristica, dovranno essere usate durante ben individuati periodi al fine di ottenere, assieme alla massima efficacia, una limitazione del numero di interventi. Ciò si ripercuoterà favorevolmente su un minore impatto ambientale e sulla economia della coltura. A tal fine, in ciascun ambiente, sarà necessario acquisire il massimo delle informazioni sulle caratteristiche biologiche delle piante, sul comportamento dei patogeni e sui differenti rapporti ospite/patogeno, in funzione dell'evoluzione dei relativi processi infettivi. Per quanto concerne i nuovi impianti, altrettanta notevole importanza rivestirà la conoscenza delle caratteristiche climatico-meteoriche e pedologiche dell'areale che dovrà ospitare l'impianto. Particolare attenzione dovrà essere rivolta all'andamento termometrico generale e quello più particolare della zona, specie dove la presenza di aree chiuse faciliterebbero la formazione di ristagni di freddo e ristagni di umidità. In questi casi, rapide e prolungate escursioni termiche verso le minime, di per sé dannose, lo sarebbero maggiormente quando, creando soluzioni di continuità dei tessuti, creerebbero i presupposti per infezioni da parte di entità batteriche e fungine che, altrimenti, non sarebbero in grado di infettare o lo sarebbero con minore efficacia. Inoltre, dovrà essere considerata la possibilità di utilizzare varietà e/o cloni di una medesima varietà resistenti o tolleranti. Ciò, ovviamente, dopo aver valutato la situazione generale anche in rapporto alla loro adattabilità nel nuovo ambiente ed alle esigenze del mercato. In questo contesto è molto importante che le giovani piante provengano da strutture vivaistiche oggetto di controlli dal punto di vista sanitario. 115 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro capitolo 15 - La raccolta delle olive Obiettivi ll costo di raccolta assorbe, nelle aziende tradizionali, dal 50 all'80% del valore del prodotto, e l'80% della manodopera necessaria per tutte le operazioni colturali. La raccolta dalla pianta aumenta la qualità dell'olio, la meccanizzazione riduce i costi di produzione. La meccanizzazione della raccolta rappresenta una via obbligata per la competitività della coltura, ma la predisposizione di modelli efficienti richiede non solo l'adeguamento delle macchine ma anche quello della strutture arboree. La raccolta può realizzarsi direttamente dalla pianta oppure da terra. Il primo metodo è generalizzato nel caso delle olive da mensa, opzionale per quelle da olio. La raccolta da terra comporta il peggioramento della qualità degli oli, anche se la predisposizione di reti sotto chioma può rallentare il deterioramento delle drupe. La raccattatura meccanica impiega spazzolatrici e raccattatori pneumatici. La raccolta dalla pianta si realizza con macchine agevolatrici e scuotitrici. Tra le prime rientrano i pettini oscillanti e le spazzole rotanti montate su aste metalliche collegate a motori ovvero alla presa di forza di una trattrice. La capacità di lavoro è di circa 150 kg/ora di prodotto, da 2 a 3 volte superiore alla raccolta manuale. Le scuotitrici sono riconducibili a tre categorie: semoventi, modulari o portate, e scuotiraccoglitrici. L'ultima tipologia è dotata di telaio intercettatore. In Sardegna il sistema di intercettazione più diffuso è rappresentato da reti in plastica stese al suolo. L'organizzazione del cantiere di raccolta prevede tre fasi fondamentali: distribuzione dei contenitori vuoti in campo, raccolta del prodotto, carico e trasporto dei contenitori pieni. I valori di prodotto raccolto, come kg/h/addetto, sono pari a 70 (scuotitrice modulare con reti sottochioma), 313 (scuotitrice modulare con intercettatore a bobine), 517 (scuotitrice semovente con intercettatore a bobine) e 107 (scuotitrice con intercettatore portato). Distanze di impianto inferiori ai 6m comportano gravi limitazioni per alcune tipologie di scuotitrici. La raccolta delle olive La scarsa competitività del settore olivicolo, è dovuta, in larga parte, all'elevato costo di raccolta delle olive, operazione che si riflette sul prezzo finale dell'olio e sulle sue possibilità di competere con le altre sostanze grasse. E' ben noto che la raccolta rappresenta la voce che incide maggiormente sui costi di produzione, arrivando ad assorbire, nel caso di quella tradizionale, dal 50 all'80% del valore del prodotto e l'80% della manodopera necessaria per tutte le operazioni colturali. Allo stato attuale delle conoscenze la raccolta delle olive può essere meccanizzata razionalmente aumentando così la produttività della manodopera e nel contempo salvaguardando le caratteristiche qualitative del prodotto ottenuto. Non vi è dubbio, però, che la macchina da sola non possa risolvere tutti i problemi della raccolta; è, quindi, indispensabile adeguare il cantiere di raccolta alla realtà operativa e l'albero alle caratteristiche funzionali del mezzo meccanico. Solo così, infatti, la macchina non lavora al di sotto della soglia di capacità raggiungendo l'obiettivo economico dell'intervento. Metodi di raccolta La raccolta delle olive può avvenire sostanzialmente in due modi: direttamente dalla pianta oppure da terra. Il primo metodo è adottato, in ogni caso, per le olive da mensa mentre quelle destinate alla produzione dell'olio si possono raccogliere impiegando entrambi i metodi; raccogliendo l'intera produzione con ciascun metodo oppure prima con uno e completando con l'altro. Le macchine presenti sul mercato, sviluppate con la continua sperimentazione, sono in grado di assolvere razionalmente l'intervento garantendo efficienza e affidabilità. Raccolta da terra Questo metodo di raccolta ("raccattatura" a mano) deve essere scoraggiato per le negative ripercussioni che ha sulla qualità dell'olio, in particolare modo con le varietà a maturazione scalare (come ad esempio la "Bosana"). In queste la cascola naturale del prodotto avviene in un arco di tempo piuttosto ampio: di conseguenza, le olive cadute sul terreno vi permangono fintanto che non sia presente una quantità di prodotto che giustifichi economicamente l'intervento dei raccoglitori. 116 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nel frattempo, il prolungato contatto della drupa con il terreno e con gli agenti atmosferici portano ad un deterioramento delle sue caratteristiche che inesorabilmente si ripercuote sull'olio ottenuto. Per la raccattatura meccanica si fa uso di spazzolatrici e di raccattatori. Le prime sono vere e proprie spazzole a pettine, in materiale sintetico, che con un movimento traslatorio provvedono a disporre le olive in andane o cumuli, favorendo la raccolta. Le macchine impiegate sono generalmente di tipo semovente e hanno potenze oscillanti tra i 3 e i 5 kW. I raccattatori effettuano la raccolta delle olive da terra, per mezzo dell'azione pneumatica che si ottiene da una camera di depressione alla quale sono collegati uno o più tubi aspiratori, che prelevano le olive direttamente dal terreno; le drupe sono quindi trasferite su un dispositivo selezionatore-cernitore e successivamente su una tramoggia di carico. L'operatrice può essere di tipo semovente, portata o trainata ed impiega una potenza di circa 6 kW, per le semoventi e le trainate, mentre per le portate la potenza al motore della trattrice è di 20 - 25 kW. Per migliorare l'efficienza di raccolta del mezzo meccanico si preparano apposite piazzole sotto le piante da realizzarsi o con l'uso di diserbanti, o con mezzi meccanici. Il cantiere di raccolta può prevedere l'impiego di scope metalliche (ramazzatura) con produttività media di circa 157 kg/h/addetto, ovvero di spazzole meccaniche (spazzolatura) con valori di 650 kg/h/addetto. In ogni caso i due cantieri sono completati dall'aspirazione pneumatica dei frutti (147 kg/h/addetto) e dalla cernita in campo delle olive con separatori meccanici, ottenendo delle rese di 275 kg/h/addetto. Quest'ultimo si rende necessario in quanto, oltre alle olive, l'aspiratrice raccoglie del materiale estraneo (foglie, pietre, rami, etc.). Solo nelle aree produttive meno evolute della Sardegna è ancora diffusa la pratica della stesura di reti sottochioma (fig.15.1) in modo tale che le olive cadano direttamente sul terreno. Ciò porta solo degli esigui vantaggi economici legati soprattutto alla maggiore rapidità di raccolta delle olive da parte della manodopera, ma lascia inalterati i problemi qualitativi. In fondo pur non essendo la drupa a diretto contatto del terreno subisce, seppure in un tempo più lungo, gli effetti negativi del suolo e degli agenti atmosferici. Figura 15.1 - La sistemazione di reti sottochioma per l'intero periodo della cascola delle olive porta sicuramente ad un aumento della produttività della manodopera ma non consente l'ottenimento di oli di qualità Raccolta dalla pianta Fra i due metodi è certamente quello che riveste il maggiore interesse per l'elevata qualità dell'olio che si ottiene; infatti le olive non vanno a contatto con il terreno e quindi non si deteriorano. La raccolta a mano dalla pianta viene utilizzata soprattutto per le olive da mensa, realizzando sia interventi di "brucatura" che di "pettinatura", qualora si impieghino rastrelli, pettini e strumenti similari per incrementare la produttività. La raccolta meccanica prevede due tipologie di macchine: le agevolatrici e le scuotitrici (vibratrici, scuotiraccoglitrici). Le "macchine agevolatrici", sostenute dall'operatore e azionate da un motore o dalla presa di potenza della trattrice, sono in genere costituite da pettini oscillanti o da spazzole rotanti sistemate nella parte terminale di un asta rigida o di un braccio telescopico. Vengono indirizzate e strisciate sulla chioma della pianta da uno o più addetti; il distacco delle drupe avviene per strappo, provocato dal contatto diretto tra pettini (o spazzole) e i frutti, per mezzo delle vibrazioni che gli stessi pettini imprimono ai rami. Questi attrezzi, dotati di una soddisfacente capacità di lavoro, mediamente pari a circa 148 kg/h, da due a tre volte superiore rispetto alla raccolta a mano, rappresentano una valida alternativa ai metodi di raccolta da terra, soprattutto negli ambienti dove non è possibile ricorrere alla meccanizzazione integrale a causa, ad esempio, dell'irregolare orografia del terreno. Il relativamente basso costo d'acquisto, unito alla facilità di trasporto e alla semplicità di manutenzione, ne rendono economico l'impiego anche in aziende di modeste dimensioni. Alla luce delle attuali conoscenze e nonostante i numerosi tentativi fatti dalle case costruttrici di macchine agricole verso la messa a punto di tecniche di raccolta innovative, il sistema vibratorio a mezzo di macchine scuotitrici rimane fra tutti i metodi di raccolta meccanica delle olive dalla pianta quello in grado di conseguire i risultati più soddisfacenti. Tra le nuove macchine hanno riscosso particolare interesse il «Picchio», bacchiatore di grandi dimensioni portato dalla trattrice e particolarmente adatto per piante con chioma molto sviluppata ed elevata produzione. 117 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Sul mercato esistono diversi modelli di scuotitrici, raggruppabili sinteticamente in tre categorie: a. Semoventi, se lo scuotitore è dotato di un proprio vettore; b. Modulari o portate, se lo scuotitore è applicato a trattrici agricole; c. Scuotiraccoglitrici, se oltre dello scuotitore sono munite di un dispositivo di intercettazione. Nelle scuotitrici semoventi e in quelle modulari, per l'intercettazione del prodotto è necessario disporre sotto la chioma degli alberi da due a sei reti, mosse da una squadra di quattro-sei addetti, oppure utilizzare appositi telai mobili di intercettazione. La scuotiraccoglitrice, invece, è generalmente composta da una testata vibrante e da un telaio intercettatore (fig.15.2). Figura 15.2 - La scuotiraccoglitrice (scuotitrice con intercettatore portato) è una macchina completa che permette, con il solo conducente, di eseguire tutte le fasi dell'operazione di raccolta delle olive dalla piantaa In Sardegna, data l'estrema eterogeneità della realtà olivicola in cui si opera, spesso l'impiego delle scuotiraccoglitrici trova qalche difficoltà, soprattutto a causa della presenza dell'intercettatore troppo "rigido" e ingombrante. Le scuotitrici semoventi sono costituite da (fig.15.3): a. carro motorizzato di potenza 75-95 kW, con caratteristiche costruttive tali da consentire facile manovrabilità anche in spazi ristretti; b. braccio scuotitore di lunghezza variabile; c. testata vibrante dal peso variabile tra 500 e 800 kg; d. pinza di serraggio. Figura 15.3 - Le scuotitrici semoventi sono costituite da un carro motorizzato e da una testa vibrante. La maggior parte di queste macchine impiega la vibrazione multidirazionale e in virtù della maggior potenza del mezzo, può operare anche su piante di rilevanti dimensioni. Le scuotitrici modulari hanno la testata vibrante più leggera (200-400 kg) e vanno applicate a comuni trattrici agricole di potenza compresa tra 40 e 60 kW (fig.15.4). Lateralmente è visibile l'intercettatore a bobine che provvede, dopo la vibrazione, al riavvolgimento meccanico delle reti per il trasferimento del prodotto cascolato nel cassone. Figura 15.4 - La scuotitrice modulare in fase di aggancio dello scuotitore nella parte alta del fusto. Lateralmente è visibile l'intercettatore a bobine che provvede, dopo la vibrazione, al riavvolgimento meccanico delle reti per il trasferimento del prodotto cascolato nel cassone. 118 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro La trasmissione del moto alla testata vibrante può avvenire sfruttando sistemi oleodinamici, pneumatici o meccanici. La testata vibrante, situata all'estremità di un braccio articolato, rappresenta l'organo fondamentale della macchina: genera le vibrazioni e le trasmette alla pianta attraverso un sistema di aggancio. Normalmente del tipo ad inerzia, è costituita da un corpo principale e da un dispositivo di aggancio alla pianta. Il corpo principale contiene al suo interno le masse eccentriche che producono una vibrazione di tipo multidirezionale o orbitale. L'ampiezza della vibrazione varia da 40 a 60 mm, la frequenza da 10 a 40 Hz. Il sistema di aggancio è formato da due ganasce ricoperte da materiale plastico elastico che assicura una perfetta aderenza al tronco o alla ramificazione principale della pianta, senza procurare alcun danno ai tessuti vegetali. La testata vibrante è collegata al braccio elevatore mediante catene ed anelli al fine di impedire che durante la vibrazione il moto si trasmetta alla macchina. Le sollecitazioni indotte dal moto oscillatorio, che determinano il distacco della drupa nel suo punto di articolazione col peduncolo, sono riconducibili a sforzi di tensione, flessione e torsione. Intercettazione del prodotto Le operazioni di raccolta si completano intercettando i frutti distaccati dalla pianta e accumulandoli in appositi contenitori, per essere così inviati, nel più breve tempo possibile, alla trasformazione in oleificio. Il sistema di intercettazione più diffuso consiste nella stesura, direttamente sul terreno e sotto la chioma della pianta, di reti in plastica di dimensioni superiori alla proiezione della stessa chioma. Una squadra di sei - sette addetti provvede alla loro movimentazione durante il trasferimento da una pianta all'altra e allo svuotamento del prodotto cascolato in recipienti di accumulo. La bassa capacità di lavoro (2-4 piante/h per addetto) e alcuni inconvenienti di ordine qualitativo (inquinamento con la terra e schiacciamento delle olive da parte degli organi di dislocamento delle scuotitrici) stanno spingendo gli operatori più qualificati ad abbandonare definitivamente tale metodo a favore di soluzioni più moderne ed efficaci. L'obiettivo a cui si è mirato, sin dalle prime proposte degli anni settanta, è stata la meccanizzazione dell'operazione in generale con mezzi indipendenti dallo scuotitore, in modo da ridurre i tempi operativi e massimizzare la capacità operativa. Tra i numerosi dispositivi immessi sul mercato quelli che attualmente riscuotono il maggiore interesse, per prestazioni tecniche ed economiche, sono: gli intercettatori ad ombrello e gli intercettatori a bobine. L'intercettatore ad "ombrello rovescio", (fig. 15.2) portato da una trattrice, è formato da una serie di elementi disposti a cono rovescio la cui estremità inferiore avvolge il fusto della pianta, lasciando lo spazio necessario per l'applicazione del vibratore. Le drupe, una volta intercettate vengono convogliate in un contenitore di capacità variabile. L'impiego di questo attrezzo richiede la presenza di due operatori e garantisce un'elevata capacità di lavoro ed un'ottima qualità del prodotto. Questo tipo di intercettatore può essere portato direttamente dalla macchina scuotitrice che provvede sia all'intercettazione del prodotto sia alla vibrazione con l'apposito scuotitore. Entrambi sono gestiti direttamente dallo stesso conduttore: è il caso delle scuotiraccoglitrici. L'intercettatore a bobine (fig. 15.4) è costituito da un rimorchio, trainato da una trattrice, su cui sono posizionati, ai lati, due rulli longitudinali attorno ai quali sono avvolti due ampi teli. Tre o quattro addetti provvedono a distendere le reti sotto la chioma degli alberi in corrispondenza dei quali si è posizionata la macchina ed in seguito ne agevolano il riavvolgimento meccanico sollevandone il bordo. Lo stesso rimorchio può fungere da contenitore per il trasporto delle olive al centro aziendale e/o all'oleificio, altrimenti, se è dotato di nastro trasportatore longitudinale, collocato al centro del cassone, le olive potranno essere trasferite su un altro recipiente. Organizzazione del cantiere di raccolta I vantaggi della meccanizzazione della raccolta possono essere conseguiti con diverse metodologie di organizzazione del lavoro; in ogni caso la raccolta delle olive si espleta in tre fasi principali: 1. Distribuzione dei contenitori vuoti in campo. 2. Raccolta del prodotto. 3. Carico e trasporto dei contenitori pieni. 119 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro La 1°e la 3°fase avvengono con l'impiego di una trattrice e un carrello agricolo che all'occorrenza può essere anche un autocarro mentre la 2° fase, ossia la raccolta vera e propria avviene con caratteristiche differenti a seconda del tipo di macchina scuotitrice impiegata. Il cantiere di raccolta da allestire con le scuotiraccoglitrici è piuttosto semplice in quanto si impiega un solo addetto: cioè il solo conduttore della macchina. Però in caso di elevata produzione per pianta si può aggiungere un secondo operaio in quanto, data la presenza di una maggiore quantità di prodotto raccolto, è necessario scaricare frequentemente la tramoggia di accumulo del prodotto presente sulla macchina. Se ciò viene effettuato dal conducente della scuotiraccoglitrice si interrompe la continuità del lavoro dell'operatrice. In campo la sequenza delle fasi è la seguente: a. b. c. d. e. f. avvicinamento alla pianta ed apertura del telo raccoglitore; adattamento del vibratore e presa della branca con la pinza; vibrazione; distacco della pinza; chiusura del telo raccoglitore ed allontanamento dalla pianta; trasferimento ad altra pianta. Più complesso è certamente il cantiere di raccolta con le scuotitrici soprattutto per l'intercettazione del prodotto cascolato; queste non sono, infatti, dotate di un proprio sistema di intercettazione che occorre pertanto costituire sintonizzandolo alla velocità dell'operatrice. Attualmente il sistema più diffuso (fig 15.5) consiste nel disporre, sotto le piante e da parte di sei o sette addetti, sei reti affiancate per tre in modo tale da coprire la proiezione della chioma sul terreno. Figura 15.5 - La sequenza delle fasi per la raccolta delle olive dalla pianta, nel cantiere scuotitrice + reti sottochioma, ha inizio con la stesura di sei reti, in modo da servire le prime piante. Appena disposte le reti, la scuotitrice si avvicina alla pianta ed effettua la vibrazione, in un unica soluzione, afferrando il fusto oppure in più applicazioni afferrando le branche principali. Terminata la vibrazione la scuotitrice rieffettua le manovre per operare sulla pianta successiva. Nel frattempo gli addetti provvedono allo spostamento delle reti da una pianta all'altra e il prodotto caduto su di esse viene accumulato e trasferito sulle reti successive sfruttando la loro sovrapposizione. Raggiunto un adeguato quantitativo viene scaricato immediatamente nelle cassette. Più "snello" è certamente il cantiere con l'intercettatore a bobine, in quanto i 4 addetti srotolano le reti posizionandole sotto la chioma delle piante. Dopo la vibrazione le stesse reti vengono riavvolte meccanicamente sulle bobine e il prodotto cascolato viene versato direttamente nel cassone (tab.15.1). L'intercettazione delle olive può avvenire anche con i telai intercettatori che se, da un lato, consentono la riduzione dei perditempi (la manodopera non deve movimentare le reti come invece avviene con la scuotitrice), dall'altro comportano un maggiore investimento che talvolta non è giustificato dalla produzione presente. In realtà la diminuzione del numero degli addetti permette una migliore organizzazione del cantiere di raccolta ed anche una più costante capacità di lavoro. La sequenza delle fasi in campo con l'intercettatore a bobine è la seguente: a. b. c. d. e. f. posizionamento delle reti sotto la pianta, adattamento e presa del fusto da parte dello scuotitore (fig. 15.6), vibrazione, distacco scuotitore, riavvolgimento delle reti, trasferimento telaio ad altra pianta. 120 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Figura 15.6 - L'adattamento e la presa della branca o del fusto da parte dello scuotitore può avvenire simultaneamente al posizionamento del telaio intercettatore sotto la chioma della pianta. Considerazioni finali In definitiva il confronto tra i diversi cantieri di raccolta meccanica dalla pianta (tab. 15.2) e da terra (tab. 15.3) evidenzia i seguenti valori medi di prodotto raccolto per ora dal singolo addetto: scuotitrice modulare con reti sottochioma: 70 kg/h; scuotitrice modulare con intercettatore a bobine: 313 kg/h; scuotitrice semovente con intercettatore a bobine: 517 kg/h; scuotitrice con intercettatore portato: 107 kg/h; In conclusione si può affermare che come in ogni altro settore produttivo così anche in quello olivicolo la raccolta meccanica delle olive è rallentata dai consueti problemi legati alle difficoltà di adattamento nel rapporto fra la macchina e la pianta. Se, da un lato, si chiede alla macchina un avvicinamento alle caratteristiche vegetative dell'albero altrettanto, seppure più limitatamente, deve esserci da parte di quest'ultimo nei confronti del mezzo meccanico. E' vero anche che trattandosi di una pianta arborea a ciclo poliennale le sue "correzioni" sono sempre più lente di quanto non lo siano quelle effettuabili sulla macchina, che spesso, però, non è ulteriormente perfezionabile sulla base delle attuali conoscenze tecniche. Nel caso specifico della raccolta meccanica delle olive tale rapporto risulta particolarmente sensibile con le macchine vibratrici al tronco, il cui obiettivo finale è quello di vincere la resistenza che l'oliva oppone al distacco dal peduncolo affinché cascoli. Il valore di questa forza resistente varia nel tempo, raggiungendo le punte massime nel mese di novembre (più di 900 g circa) per arrivare ai minimi (meno di 300 g) nel mese di marzo-aprile. Di conseguenza effettuando la raccolta quando le olive sono ancora verdi, e quindi trattenute con un'elevata forza di distacco, è necessario che la pianta recepisca efficacemente la vibrazione. In diverse ricerche, finalizzate alla riduzione della forza di distacco, si è fatto uso di sostanze cascolanti che accelerano il processo di separazione della drupa dal peduncolo per favorirne la caduta in seguito ad una sollecitazione a carico della pianta. La distribuzione di questi prodotti, oltre a richiedere ulteriori tempi di intervento e quindi aumento di costi, presenta un certo rischio che è insito nella velocità di azione del prodotto. In definitiva, se allo scadere del periodo di efficacia del prodotto non si interviene con un mezzo per la raccolta, questo, a seguito dell'azione sfavorevole di un qualsivoglia agente atmosferico, cascola compromettendo l'efficacia del metodo. Pertanto i cascolanti non sono più usati. Le continue ricerche ci portano però ad affermare che è sufficiente intervenire sulla pianta con un adeguato sistema di potatura, che tenga conto delle modalità di distribuzione della vibrazione, per ottenere una maggiore percentuale di prodotto staccato in seguito all'azione di scuotimento (fig.15.7). Figura 15.7 - La conformazione ricorrente della pianta di olivo presenta una zona della chioma con rami penduli che non subiscono l'effetto della vibrazione. Di conseguenze le olive presenti non cadono. Quindi per evitare di ottenere una bassa percentuale di raccolta la pianta deve avere un fusto unico con altezza alla prima impalcatura, non inferiore a 1,0 m, e rami assurgenti. 121 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Pur non essendo facile definire la conformazione ottimale, tuttavia si può affermare che per ottenere la migliore resa di raccolta è indispensabile che la pianta sia di tipo assurgente, cioè con i rami secondari non molto lunghi e piuttosto ravvicinati alla branca principale (vedi vaso e monocono). Peraltro, durante la vibrazione cascolano certamente le olive situate all'interno della zona di distacco mentre le altre, qualunque sia la forza impressa dal vibratore al tronco della pianta, rimangono sulla stessa. Fra gli altri problemi vi è anche quello delle distanze di piantagione, aspetto che diviene preponderante in relazione al tipo di macchina da raccolta da impiegare. Per le macchine scuotitrici al tronco, semoventi e modulari, la dimensione del sesto può essere piuttosto contenuta in relazione alla loro facilità di manovra che non viene meno operando anche con telai intercettatori automatici. Prove in oliveti con distanze di m 7 x 7 hanno evidenziato una eccellente operatività di questi mezzi; disposizioni più ravvicinate sulla fila non comportano particolari limitazioni. Distanze di piantagione inferiori ai 6 metri comportano, invece, importanti impedimenti operativi ad alcune tipologie di scuotiraccoglitrici che non riescono ad aprire e movimentare razionalmente il telaio perché ostacolato dalla vicinanza delle chiome. Infine vi è la possibilità di danno che l'albero può subire in seguito all'intervento della macchina, e questo si verifica principalmente per inesperienza del conduttore del mezzo od anche per le precarie condizioni strutturali della pianta. L'inesperienza del conducente si manifesta puntualmente all'atto di presa del fusto, che non deve essere afferrato né alla base della biforcazione principale né vicino al colletto della pianta. Nel primo caso si ottiene una inconsistente vibrazione con possibile spaccatura di una delle due branche; nel secondo caso si sollecita eccessivamente la parte basale della pianta. I danni maggiori si verificano in presenza di una struttura fatiscente, in particolare con una diffusa presenza di carie. L'immediata conseguenza si ha durante il serraggio della pinza che, data la notevole pressione esercitata, provoca il cedimento della branca o del fusto. In questi casi è preferibile desistere dall'intervento con il mezzo meccanico. 122 Tabella 15.1 - Valori dell'incidenza media delle singole operazioni elementari nei diversi cantieri CANTIERE Trasferimento tra le piante (%) Spostamento reti* Estensione reti** Apertura intercettatore*** (%) Adattamento vibratore (%) Vibrazione (%) Distacco vibratore (%) Avvolgimento reti* Chiusura intercettatore** (%) Scuotitrice Reti sottochioma 15,6 *53,5 11,2 9,4 10,3 - Scuotitrice Intercettatore a bobine 16,7 **39,3 2,0 4,3 1,7 *36,0 Scuotiraccoglitrice 19,0 ***45,9 11,2 14,1 - **9,9 Tabella 15.2 - Risultati ottenuti in prove di raccolta meccanica delle olive dalla pianta. Unità di misura Scuotitrice reti sottochioma Scuotitrice semovente Intercettatore a bobine Scuotitrice semovente Intercettatore a bobine Scuotiraccoglitrice minimo medio massimo minimo medio massimo minimo medio massimo minimo medio massimo Produzione kg/pianta 14,5 39,7 70,0 18,1 22,4 29,1 13,9 14,3 14,7 12,3 28,9 44,2 Capacità cantiere pianta/h 13,1 27,3 57,5 30,0 35,6 40,0 30,0 34,7 38,0 9,6 12,5 15,8 kg/h 328 487 625 386 518 682 260 313 350 109 249 378 Produttività manodopera pianta/h-ad 1,9 3,9 7,3 6,0 7,1 8,0 6,0 6,9 7,6 4,8 6,1 7,6 kg/h-addetto 46,1 69,7 89,3 77,2 103,6 136,4 52,0 62,6 70,0 54,5 107,2 185,2 Resa di raccolta % 61,3 65,6 62,8 71,6 Consuma di conbustibile kg/h 5,7 14,6 12,2 6,8 Addetti n° 7 5 5 2 Tabella 15.3 - Risultati medi ottenuti in prove di raccolta meccanica delle olive da terra. Unità di misura Produttività manodopera kg/h-addetto Ramazzatura a mano Spazzolatura meccanica Aspirazione Cernita a mano 157 650 147 275 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Capitolo 16 - Aspetti qualitativi dell'olio di oliva Obiettivi Si analizza la struttura del frutto e la composizione chimica dell'olio. Il capitolo riporta anche la classificazione merceologica e la disamina dei fattori che influenzano la qualità degli oli. L'olio di oliva è estratto da frutti e non da semi, e in particolare dal mesocarpo delle drupe: è quindi un succo di frutta. L'olio è costituito per il 98 - 99% da una miscela di trigliceridi, formati dall'alcool trivalente glicerolo e da acidi grassi. Se a causa di un'alterazione gli acidi grassi vengono liberati, l'acidità dell'olio aumenta. L'acido oleico, che rappresenta dal 56 all'85% degli acidi grassi, è monoinsaturo, ha cioè un solo doppio legame; questo rappresenta un punto di debolezza nella struttura molecolare, incrementando però la digeribilità dell'olio di oliva. Infatti al doppio legame può fissarsi (irrancidimento) dell'ossigeno, dando luogo alla formazione di perossidi e odori sgradevoli. I fenoli catturano l'ossigeno, e incrementano la conservabilità dell'olio e il suo valore nutrizionale. L'olio di oliva contiene anche vitamina E. La classificazione merceologica, fondata su esami analitici e sensoriali, distingue gli oli vergini, ottenuti mediante processi meccanici o fisici, da oli raffinati, oli di oliva, oli di sansa di oliva greggi, oli di sansa di oliva raffinati e oli di sansa di oliva. La qualità degli oli è influenzata da numerosi fattori fra loro interagenti: varietà e ambiente pedoclimatico, tecniche colturali, grado di maturazione e stato sanitario dei frutti, modalità di trasporto, stoccaggio e tempi di conservazione delle olive, sistemi di estrazione. Le norme di conservazione dell'olio prevedono un'accurata igiene, il controllo della temperatura ambientale, l'assenza di contatto tra olio, da una parte, e luce e aria, dall'altra. Anche l'esecuzione di periodici travasi rappresenta un mezzo importante per mantenere inalterato il livello qualitativo. La composizione dell'olio L'olio è il risultato della lavorazione del frutto dell'olivo detto "drupa", essenzialmente costituito da tre porzioni che partendo dall'esterno verso l'interno sono l'epicarpo, il mesocarpo e il nocciolo. Figura 16.1 Sezione trasversale di una drupa di olivo. L'epicarpo o buccia è una pellicola di modesto spessore, di colore inizialmente verde che con il progredire della maturazione diviene rossastra e poi viola a seconda della cultivar; costituisce l'1-3% del frutto. Il mesocarpo o polpa è la parte preponderante della drupa che inizialmente si presenta di colore verde; successivamente, con il progredire della maturazione, impallidisce virando al rosso e al violaceo. Rappresenta il 70-80% della polpa. L' endocarpo o nocciolo è la componente più interna. Risulta di consistenza legnosa e al suo interno è racchiuso il seme; in media rappresenta il 20-30% in peso della drupa. L'epicarpo e il mesocarpo dell'oliva contengono mediamente il 35-40% di acqua, il 15-30% di olio e il 20-50% di sansa. 123 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro La maggior parte delle sostanze grasse è di origine vegetale e quasi tutti gli oli estratti da semi e frutti sono commestibili. Tra i diversi oli destinati all'alimentazione umana l'olio di oliva ha un valore particolare in quanto estratto dai frutti e non da semi come la gran parte degli altri oli. Esso presenta caratteristiche e pregi singolari ed occupa un posto di primo piano fra gli alimenti grassi dei popoli mediterranei. Per trattare gli aspetti qualitativi dell'olio occorre preliminarmente, seppure in forma sintetica, esaminare la sua composizione chimica che risulta dalla tab 16.1. Dal punto di vista analitico l'olio d'oliva risulta quindi costituito da numerosi componenti; circa il 98-99% è rappresentato da una miscela di trigliceridi, chiamata generalmente " frazione saponificabile"; il restante 1-2% risulta formato da una miriade di composti detti nel complesso "frazione insaponificabile" o componenti minori. I gliceridi sono costituiti dall'unione di una sostanza, il "glicerolo" (alcool trivalente), con altre chiamate "acidi grassi"; si distinguono monogliceridi, digliceridi e trigliceridi a seconda del numero di molecole di acidi grassi legati al glicerolo. I gliceridi che si trovano normalmente in natura, nei grassi che non hanno subito nessuna alterazione, sono i trigliceridi. Tavola 16.1 - Formazione di gliceride a diverso peso molecolare Quando gli acidi grassi sono uniti alla glicerina formano quindi il gliceride, che è un prodotto neutro cioè privo di acidità. Se a causa di alterazione come ad esempio, l'azione degli enzimi lipolitici a seguito di attacchi parassitari, gli acidi grassi vengono liberati, cioè si staccano dal glicerolo, si verifica un aumento di acidità dell'olio, che risulterà tanto più elevato quanto più numerosi saranno gli acidi grassi liberatisi. Gli acidi grassi più diffusi nell'olio d'oliva sono riconducibili a 8-10 "tipi", che si diversificano a seconda del numero di atomi di carbonio (C) che li compongono. L'acido grasso più rappresentato nell'olio d'oliva è quello oleico, che presenta 18 atomi di carbonio e può costituire dal 56 all'85% degli acidi grassi totali. Tra gli altri acidi grassi presenti nell'olio di oliva i più importanti, qualitativamente e quantitativamente, sono: 124 Tabella 16.1 - Composizione chimica degli oli di oliva; nelle diverse classi di compsti vengono riportati quelli più significativi(1) (1) Fonti Varie Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro acido palmitico 7,5-20 % acido linoleico 3,5-20 % acido stearico 0,5-3,5 % acido palmitoleico 0,3-3-5 % acido linolenico 0 -1,5 % Alcuni di questi, come l'acido linoleico, vengono definiti "essenziali" perché l'organismo umano non è in grado di sintetizzarli; essendo indispensabili per il controllo di importanti meccanismi biochimici devono quindi essere assunti con gli alimenti. Gli acidi grassi differiscono tra loro, oltre che per il numero di atomi di Carbonio, anche per il tipo di "unione", cioè del legame presente nella molecola; a motivo di questo fatto vengono distinti tra saturi e insaturi. Gli acidi grassi saturi sono caratterizzati dalla presenza di legami semplici [*] (ad esempio, acido palmitico e stearico): CH3-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2 ............CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*COOH In quelli insaturi sono invece presenti doppi legami, come nel caso dell'acido oleico, che avendo un solo doppio legame [**] viene detto monoinsaturo: CH3-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH**=CH-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*COOH acido oleico. La presenza e il numero delle due tipologie di legame (semplice e doppio) all'interno della molecola dell'acido rappresenta un aspetto importante perché determina le sue caratteristiche. Contrariamente a come potrebbe sembrare, il doppio legame [**] rappresenta un punto di fragilità della struttura, in quanto è un legame più debole di quello semplice [*]. Ad esempio, nel caso dell'alterazione dell'olio, indicata col termine "irrancidimento", in posizione adiacente al doppio legame si inserisce l'ossigeno, dando luogo a un composto chiamato idroperossido. Questo composto è molto instabile e da luogo a sua volta a una serie di reazioni a catena che si concludono con la formazione di composti di odore sgradevole, che conferiscono all'olio il caratteristico odore di rancido. Questa reazione viene favorita da alte temperature e dalla presenza di aria. 125 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Ecco perché, per preservare le buone caratteristiche organolettiche di un olio, occorre conservarlo in ambiente fresco (15-18°C) nonché in recipienti possibilmente colmi, al fine di contenere gli scambi d'aria e quindi l'azione dell'ossigeno. La presenza di acidi grassi insaturi conferisce quindi all'olio poca stabilità, ma allo stesso tempo ne migliora le caratteristiche nutrizionali, aumentandone, ad esempio, la digeribilità. Ciò è tanto più valido per gli acidi grassi che presentano un solo doppio legame (monoinsaturi), come nel caso di quelli precedentemente visti, presenti nell'olio d'oliva. Oltre ai gliceridi,nella composizione dell'olio di oliva, come già visto, figura un'altra frazione chiamata "insaponificabile" o "componenti minori" che è principalmente costituita da composti fenolici, pigmenti, steroli, alcoli, tocoferoli, metalli e idrocarburi. Composti fenolici La stabilità di un olio è legata alla presenza di tali composti, caratterizzati da una spiccata azione protettrice sui fenomeni di ossidazione che possono portare all'irrancidimento. I polifenoli, infatti, catturano l'ossigeno, evitando il manifestarsi della suddetta alterazione e, quindi, contribuiscono alla stabilità e durata dell'olio. Il loro contenuto nell'olio, variabile tra 50 e 500 milligrammi per litro, è in relazione a diversi fattori; tra i principali la cultivar, l'epoca di maturazione e raccolta dei frutti e il sistema di estrazione. Questi composti svolgono quindi un importante ruolo sulla stabilità e sulle caratteristiche biologiche e nutrizionali dell'olio di oliva oltreche sulle caratteristiche organolettiche. Pigmenti Il colore verde dell'olio è dovuto alla presenza di clorofilla e quindi è correlato con il grado di maturazione del frutto al momento della raccolta. Questa sostanza assume un comportamento differente a seconda dell'ambiente di conservazione dell'olio. Se l'olio infatti viene conservato al buio la clorofilla, in sinergia con i fenoli, si comporta da antiossidante, mentre in presenza di luce favorisce i processi di irrancidimento. L'olio giovane, ricco di questi composti, è pertanto molto sensibile alla luce, e occorre quindi porre una particolare attenzione durante la conservazione. Sostanze aromatiche Sono stati identificati circa 150 componenti (chetoni, aldeidi, alcoli, etc.) che partecipano al complesso che costituisce l'aroma di un olio, in grado di influenzare in modo particolare la sensibilità olfatto-gustativa dell'uomo. è importante precisare che il "flavor" (insieme di sensazioni olfattive, gustative e tattili) di un olio è dovuto ai rapporti relativi di tutte queste sostanze nel complesso, e non ai singoli valori. Per alcuni di questi composti la sensibilità olfatto-gustativa dell'uomo è più elevata rispetto agli strumenti di laboratorio. Da qui la grande importanza rivestita dall'analisi sensoriale dell'olio e quindi dagli assaggiatori dell'olio. Tocoferoli La maggior quota della componente tocoferolica dell'olio di oliva, 90% circa, è nella forma a che è quella nota come vitamina E. Anche i tocoferoli sono una frazione antiossidante capace quindi di rallentare il processo di ossidazione dell'olio. La quantità di tocoferoli nell'olio è molto variabile in funzione di diversi fattori quali la varietà, il momento della raccolta e la tecnologia adottata per l'estrazione dell'olio. La classificazione merceologica La normativa comunitaria, recepita da quella nazionale, che attualmente disciplina il commercio dell'olio d'oliva è quella prevista dal Regolamento CEE 2568/91 e successive modificazioni e integrazioni che, ai fini della classificazione prevede sia determinazioni fisico - chimiche che organolettiche (Panel Test). Le denominazioni e le definizioni ufficiali degli oli di oliva e degli oli di sansa di oliva sono riportate nella tavola 16.2. Secondo le leggi vigenti, possono essere confezionati per il consumo soltanto i tipi: "olio extra vergine di oliva", "olio di oliva vergine", "olio di oliva" e "olio di sansa di oliva"; i rimanenti tipi possono essere commercializzati solo all'ingrosso. 126 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Tavola 16.2 - Denominazione e Oli di oliva vergini Oli ottenuti dal frutto dell'olivo soltanto mediante processi meccanici o altri definizione degli oli di oliva e degli oli di processi fisici, in condizioni, segnatamente termiche, che non causano sansa di oliva. alterazioni dell'olio stesso, e che non hanno subito alcun trattamento diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla filtrazione. È escluso l'olio ottenuto mediante solvente o con processi di riesterificazione e qualsiasi miscela con oli di altra natura. a. Olio extravergine di oliva: olio di oliva vergine il cui punteggio organolettico è uguale o superiore a 6,5, la cui acidità libera espressa in acido oleico è al massimo di 1 g. per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria; b. Olio di oliva vergine (il termine "fino" può essere usato nella fase della produzione e del commercio all'ingrosso): olio di oliva vergine il cui punteggio organolettico è uguale o superiore a 5,5, la cui acidità libera espressa in acido oleico è al massimo di 2 g per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria; c. Olio di oliva vergine corrente: olio di oliva vergine il cui punteggio organolettico è uguale o superiore a 3,5, la cui acidità libera espressa in acido oleico è al massimo di 3,3 per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria; d. Olio di oliva vergine lampante: olio di oliva vergine il cui punteggio organolettico è inferiore a 3,5, e/o la cui acidità libera espressa in acido oleico è superiore a 3,3 per 100 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria; Olio di oliva raffinato È l'olio di oliva ottenuto dalla raffinazione di oli di oliva vergini, la cui acidità libera espressa in acido oleico non può eccedere 0,5 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria; Olio di oliva È l'olio di oliva ottenuto da un taglio di olio di oliva raffinato e di oli di oliva vergini diversi dall'olio lampante, la cui acidità libera espressa in acido oleico non può eccedere 1,5 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria; Olio di sansa di oliva greggio È l'olio ottenuto mediante trattamento al solvente della sansa di oliva, esclusi gli oli ottenuti con processi di riesterificazione e qualsiasi miscela con oli di altra natura e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria; Olio di sansa di oliva raffinato È l'olio ottenuto dalla raffinazione di olio di sansa di oliva greggio, la cui acidità libera espressa in acido oleico non può eccedere 0,5 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria; Olio di sansa di oliva È l'olio ottenuto da un taglio di olio di sansa di oliva raffinato e di oli di oliva vergini diversi dall'olio lampante, la cui acidità libera espressa in acido oleico non può eccedere 1,5 g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria; 127 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro I parametri analitici previsti dalla normativa e maggiormente correlati con la qualità dell'olio sono l'acidità, il numero di perossidi, gli assorbimenti specifici nell'ultravioletto e la valutazione organolettica. La successiva tabella (tab 16.2) riporta i valori che, per ciascuna categoria, possono assumere i predetti parametri: CATEGORIA Acidità(%) Numero dei perossidi (meq O2/Kg) K232 K270 Valutazione organolettica (panel-test) Olio di oliva vergine extra M 1.0 M 20 M 2.50 M 0.20 m 6.5 Olio di oliva vergine M 2.0 M 20 M 2.60 M 0.25 m 5.5 Olio di oliva vergine corrente M 3.3 M 20 M 2.60 M 0.25 m 3.5 Olio di oliva vergine lampante m 3.3 M 20 M 3.70 M 0.25 < 3.5 Tabella 16.2 Valori limite previsti dalla normativa (Reg. CEE 2568/91 e successive integrazioni) per la individuazione della categoria commerciale di appartenenza di un olio vergine di oliva. M = massimo, m = minimo, < = minore L'analisi sensoriale Il metodo utilizzato per l'esame organolettico è chiamato Panel test ed è stato adottato dall'Unione Europea dopo che lo stesso, in numerosi ring test, ha dimostrato la sua attendibilità. Gli assaggiatori attraverso una serie di selezioni vengono allenati a riconoscere le sensazioni caratteristiche dell'olio (pregi e difetti) e a individuarne l'intensità (fig. 16.2). Figura 16.2 - Sala per l'analisi sensoriale degli oli di oliva presso il Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura. Villasor (CA). Utilizzando una scheda guida (tab.16.3), gli assaggiatori, in modo separato ed autonomo, accertano la presenza e l'intensità delle sensazioni di base e, in funzione di queste, individuano la valutazione numerica più appropriata in una scala di punteggio predisposta con valori da 1 a 9. I punteggi così ottenuti vengono mediati e tale valore medio costituisce la valutazione della qualità sensoriale. È stata quindi individuata una correlazione fra le caratteristiche olfatto-gustative previste dalla classifica e le valutazioni del metodo, nel senso che tutti gli oli che ottengono un punteggio che va' da 7 a 9 (cioè oli assolutamente privi di difetti) sono classificati di categoria "extra vergine"; in considerazione però che l'errore statistico del metodo è di 0,5 si è assegnato a tale categoria un punteggio minimo di 6,5. All'altra categoria ammessa al consumo diretto, cioè agli oli definiti semplicemente "vergini di oliva" è stato assegnato un limite minimo di 5,5, che, secondo il metodo, corrisponde ad un olio che presenta difetti appena percettibili. Alla categoria degli "vergini correnti", commercializzati all'ingrosso, è stato assegnato un ampio intervallo di punteggio del Panel Test, da 3,5 a 5,5, in modo da permettere di immettere al consumo, con opportuni tagli e miscele, anche quella produzione che presenta difetti percettibili ma tollerabili. Punteggi inferiori a 3,5, infine, classificano gli "vergini lampanti"; cioè quei prodotti che presentano difetti così evidenti e gravi da non poter essere tollerati. Tali oli sono destinati alla rettifica e, dopo essere stati addizionati di una parte di olio vergine, vengono immessi al consumo con il nome "olio di oliva". 128 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nella successiva tavola 16.3 vengono riportate le definizioni relative ai principali attributi (pregi e difetti) dell'olio di oliva come riportate nel vocabolario del metodo del Panel Test messo a punto dal Consiglio Oleicolo Internazionale e nella tabella 13.4 si riporta la scheda di valutazione sensoriale utilizzata dai degustatori. Tavola 16.3 - Attributi positivi e ATTRIBUTI POSITIVI negativi dell'olio di oliva. Fruttato Insieme di sensazioni olfattive caratteristiche dell'olio, dipendente dalla varietà delle olive, proveniente da frutti sani e freschi, verdi o maturi, percepite per via diretta o retronasale. Amaro Sapore caratteristico dell'olio ottenuto da olive verdi o invaiate. Piccante Sensazione tattile pungente caratteristica di oli prodotti all'inizio della campagna, principalmente da olive ancora verdi. ATTRIBUTI NEGATIVI Riscaldo Flavor caratteristico dell'olio ottenuto da olive ammassate che hanno sofferto un avanzato grado di fermentazione anaerobica. Muffa - Umidità Flavor caratteristico dell'olio ottenuto da olive nelle quali si sono sviluppati abbondanti funghi e lieviti per essere rimasti stoccati molti giorni in ambienti umidi. Morchia Flavor caratteristico dell'olio rimasto in contatto con i fanghi di decantazione in depositi sotterranei e aerei. Avvinato - Inacetito Flavor caratteristico di alcuni oli che ricorda quello del vino o dell'aceto. È dovuto fondamentalmente a un processo fermentativo delle olive che porta alla formazione di acido acetico, acetato di etile e etanolo. Metallico Flavor che ricorda il metallo. È caratteristico dell'olio mantenuto a lungo in contatto con superfici metalliche, durante i procedimenti di macinatura, impastatura, pressione o stoccaggio. Rancido Flavor degli oli che hanno subito un processo ossidativo. Fattori che influenzano la qualità Nel caso dell'olio d'oliva di pregio è quanto mai vera l'affermazione che la "qualità nasce in campo" e al frantoio, così come alla successiva fase di conservazione si chiede soltanto di conservarla nella maniera più integra possibile. L'olio vergine di oliva, infatti, è l'unico grasso alimentare che proviene da un frutto, per semplice spremitura e separazione dalle acque di vegetazione, direttamente commestibile all'atto della sua produzione senza ulteriore manipolazione. E' pertanto da considerare un succo di frutta, e come tale è particolarmente pregiato poiché, a differenza degli altri oli vegetali, conserva inalterate le peculiari caratteristiche chimiche, fisiche ed organolettiche che aveva all'interno del frutto. La qualità di un olio rappresenta una caratteristica che dipende da numerosi fattori legati a cascata e fondamentalmente da quelli di seguito riportati: varieta' e ambiente pedoclimatici; tecniche colturali; grado di maturazione e stato sanitario del prodotto; trasporto, stoccaggio e tempi di conservazione delle olive; sistemi di estrazione; 129 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Varietà e ambiente pedoclimatico Essendo l'olio il prodotto del metabolismo della pianta, è evidente che la varietà dalla quale deriva ne determina le caratteristiche. È difficile tuttavia indicare le varietà che producano un olio ottimo in assoluto, anche perchè la stessa varietà coltivata in ambienti pedoclimatici diversi può dar luogo a oli con caratteristiche differenti. Per quanto riguarda l'influenza sulle caratteristiche degli oli, è molto difficile scindere il binomio varietà - ambiente ed attribuire quindi con certezza all'uno o all'altro fattore i dati analitici ed organolettici. Varietà ed ambiente sono i fattori che, più di tutti gli altri, concorrono a determinare le specificità e peculiarità dell'olio; in definitiva, la sua tipicità. Tecniche colturali Le tecniche colturali (concimazione, irrigazione, potatura, difesa fitosanitaria ecc.) influenzano in maniera differente la qualità dell'olio: alcune in maniera più marcata di altre. Tra le principali, si pone certamente la difesa fitosanitaria soprattutto per quanto attiene alla lotta alla mosca delle olive. Questo insetto, tra i diversi che attaccano l'olivo, è certamente il più pericoloso per quanto riguarda la qualità del prodotto. Infatti, in corrispondenza delle gallerie scavate dalle sue larve, gli enzimi presenti nel frutto, iniziano la loro attività, determinando un aumento dell'acidità e dei perossidi. E' necessario quindi prevenire e, comunque, combattere gli attacchi parassitari con i diversi mezzi a disposizione dell'olivicoltore (agronomici, chimici e biologici). Se le olive sono bacate, si può contenere il danno raccogliendo anticipatamente il prodotto e lavorandolo in tempi molto celeri. Grado di maturazione e stato sanitario del prodotto Durante la formazione del frutto e il suo accrescimento si verificano in esso profonde modificazioni nella composizione chimica, che portano alla formazione dei diversi composti conferenti all'olio caratteristiche di pregio. Il contenuto di queste sostanze cresce fino a raggiungere un valore ottimale, dopo di che si ha una riduzione con scadimento delle caratteristiche organolettiche dell'olio che si ottiene. La raccolta delle olive, finalizzata all'ottenimento di olio di qualità, deve avvenire in epoca opportuna e deve essere effettuata in modo da preservare la loro qualità. E' necessario, pertanto, che lo stato di maturazione sia quello che assicuri la qualità chimica ed organolettica dell'olio, così come la si desidera, e che dalle olive si ottenga una resa in olio soddisfacente. Non sempre, dalla raccolta delle olive, è possibile conseguire i migliori risultati qualitativi e quantitativi, tuttavia, nella maggior parte dei casi, in dipendenza della varietà e delle condizioni climatiche, si può raggiungere un accettabile compromesso che salvaguardi la qualità dell'olio senza penalizzare la quantità. Dalle numerose esperienze effettuate sulla tematica, in molte zone olivicole e per molte varietà, l'epoca migliore di raccolta è risultata quella che corrisponde allo stato di semi-invaiatura delle drupe, a cui corrisponde il massimo contenuto di polifenoli e di sostanze volatili aromatiche. A tale epoca corrisponde, in genere, anche la massima inolizione delle olive, poiché la quantità di olio che si accumula nelle cellule della polpa aumenta fino ad una certa data (a seconda dell'energia disponibile per l'attività fotosintetica), oltre la quale la sintesi dei trigliceridi si riduce notevolmente, fino ad arrestarsi. E' illusorio, pertanto, ritenere che si possa ottenere una maggiore quantità di olio ritardando la raccolta delle olive, poiché se la resa in olio sembra aumentare, in realtà ciò è solo dovuto al fatto che le olive, maturando, perdono acqua (e peso) e, di conseguenza, la quantità di olio presente (sempre la stessa quantità), rapportata al peso delle olive (che diminuisce) appare aumentare. Che questo sia un fenomeno fittizio, infatti, si dimostra calcolando la percentuale di olio presente nelle olive rispetto al peso secco (senza acqua) della drupa. In tal modo si potrà notare che, da una certa data in poi, dipendente dalla varietà delle olive e dall'andamento climatico, la percentuale di olio presente assume valori sensibilmente costanti, non più variabili nel tempo. Una volta raggiunto un grado di inolizione soddisfacente, la raccolta delle olive deve essere finalizzata ad ottenere un olio con le caratteristiche chimiche ed organolettiche desiderate, con particolare riferimento al contenuto di antiossidanti naturali e di sostanze volatili aromatiche. Il tenore di tali sostanze nelle olive ha un andamento a campana che passa per un massimo, in genere coincidente con uno stato di parziale maturazione, e tende, successivamente, a diminuire con il procedere della maturazione. Da ciò consegue che da olive poco mature si otterranno oli con un più intenso fruttato verde-erbaceo, più amari e piccanti, mentre da olive molto mature si estrarranno oli con fruttato meno intenso, tendenti al dolce. 130 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Metodi di raccolta delle olive La moderna olivicoltura deve avere come obiettivo principale la qualità dell'olio che si può conseguire solo se tutte le operazioni che si effettuano sulle olive, dalla coltivazione alla lavorazione in frantoio, sono razionali, opportune ed efficaci. In particolare, la raccolta delle olive, sane e giustamente mature, deve essere effettuata dall'albero, a mano o con mezzi meccanici, evitando la raccolta da terra o dalle reti. Ciò avviene, generalmente, per necessità, dovuta alle dimensioni degli alberi che non consentono la raccolta a mano o meccanicamente, ma anche, in qualche caso, per usi e consuetudini irrazionali. La raccolta delle olive dall'albero a mano, utilizzando opportuni attrezzi, come pettini o forbici dentate, richiede un notevole impiego di manodopera, la cui economicità dipende dalla forma di allevamento dell'albero e dalla produttività delle piante. La raccolta, infatti, viene agevolata dalla presenza di rami penduli, che consentono di evitare, o limitare, l'uso delle scale, e da una abbondante produzione di olive che facilita ed accelera il lavoro degli operai. Tali condizioni non sempre si verificano e, pertanto, si è diffusa, ove possibile, la meccanizzazione dell'operazione al fine di rendere più economico il processo. Attualmente la olivicoltura da reddito richiede, per la raccolta, l'impiego di mezzi meccanici che sono, essenzialmente, rappresentati da scuotitori, vibratori e macchine agevolatrici meglio descritte nel capitolo relativo alla raccolta. Il razionale utilizzo di tali macchine ed attrezzature, consentendo una maggiore tempestività delle operazioni di raccolta, oltre ad un deciso contenimento dei costi di produzione, può determinare vantaggi anche dal punto di vista qualitativo. Trasporto, stoccaggio e tempi di conservazione delle olive Per ottenere olio d'oliva vergine di pregio, occorre raccogliere le olive sane direttamente dall'albero, a mano o con mezzi meccanici, e trasportarle in giornata al frantoio affinché siano poste al più presto in lavorazione. Il mezzo più idoneo, da utilizzare per il trasporto delle olive e per il successivo stoccaggio è rappresentato dalle cassette di materiale plastico provviste di opportune finestrature. Queste ultime permettendo la circolazione dell'aria evitano l'eventuale riscaldamento delle olive derivante dall'attività catabolica dei frutti che compromette la qualità dell'olio. Generalmente si utilizzano cassette di capacità variabile da 20 a 30 Kg, che consentono di limitare lo spessore dello strato di olive riducendo il pericolo di schiacciamento. Tali cassette rappresentano anche un idoneo mezzo di stoccaggio delle olive in attesa della loro lavorazione. Per il trasporto delle olive si posssono utilizzare anche le casse di plastica di maggiori dimensioni, fino a 250-300 Kg. che possono essere movimentate facendo ricorso ad adeguati mezzi meccanici di sollevamento. Questo tipo di contenitore viene utilizzato molto frequentemente come mezzo di stoccaggio negli oleifici di dimensioni medio-grandi, dotati di opportune macchine, con motore elettrico, per la loro movimentazione (fig. 16.3). Figura 16.3 - Cassoni forati di plastica per il trasporto e lo stoccaggio delle olive. Assolutamente da sconsigliare risulta, invece, il trasporto delle olive utilizzando i sacchi di iuta, o di materiale plastico, poiché in tali condizioni è inevitabile lo schiacciamento delle drupe dovuto al peso del carico soprastante. Tale pericolo è ancora più grave quando le olive sono mature poiché minore è la loro resistenza meccanica e più facilmente si determinano lesioni della polpa con conseguente danno alla qualità dell'olio. Le olive, una volta pervenute in oleificio, devono essere lavorate al più presto, specie se sono in avanzato stato di maturazione. Tuttavia, ciò non è sempre possibile per il verificarsi, specie nelle annate di carica, di un afflusso al frantoio di una quantità di olive che supera la capacità di lavorazione degli impianti. In tal caso si rende necessario lo stoccaggio che deve comunque essere di breve durata, in ambiente idoneo (olivaio) e da realizzarsi in modo razionale al fine di preservare la qualità dell'olio. Un altro sistema per conservare le olive in modo razionale è quello di disporle, in olivaio, su pavimento lavabile ed in strati di piccolo spessore (20-30 cm), in ambiente coperto, arieggiato e fresco. 131 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Il modo più irrazionale per conservare le olive in attesa della lavorazione, come è stato già visto, è quello rappresentato dall'uso dei sacchi, di iuta o di plastica. Le olive conservate in queste condizioni, infatti, tendono a schiacciarsi con la conseguente rottura delle cellule che pone a contatto l'olio e l'acqua di vegetazione. Queste condizioni sono favorevoli per lo sviluppo delle azioni enzimatiche che innescano i processi fermentativi di degradazione della sostanza organica, con produzione di sostanze di neo-formazione. Le reazioni di fermentazione sono esotermiche, con sviluppo di calore che causa l'aumento della temperatura delle olive. Da ciò il nome di "riscaldo" dato al difetto organolettico dell'olio ottenuto da olive conservate per diversi giorni nelle predette condizioni. Il deterioramento della qualità dell'olio è molto rapido e si manifesta con l'incremento del'acidità libera e del numero dei perossidi e con la diminuzione del punteggio relativo alla valutazione organolettica dell'olio. Anche il contenuto di trans-2-esenale, composto che determina il sentore erbaceo-fresco, e di polifenoli totali si riduce in breve tempo, mentre aumenta il contenuto di alcool iso-amilico, la cui quantità, insieme a quella del n-ottano, è correlata con il difetto di "riscaldo", al quale contribuisce anche l'acido lattico che si forma dalla fermentazione degli zuccheri ad opera dei batteri lattici. Da quanto esposto si evince che lo stoccaggio delle olive dovrebbe essere evitato o, in caso di necessità, ridotto al minimo tempo indispensabile, adottando le condizioni più razionali di conservazione. Le olive sane e non molto mature possono anche essere conservate per 1-2 giorni, nelle migliori condizioni, senza che ciò comporti danni gravi alla qualità dell'olio. Le olive molto mature e quelle attaccate dalla mosca delle olive, invece, non devono essere sottoposte a stoccaggio perché soggette a deteriorarsi con facilità in tempi molto brevi. Sistemi di estrazione Dopo l'arrivo in frantoio le olive, nel tempo più breve possibile, vengono immesse nel ciclo lavorativo che ha inizio con le operazioni di defogliazione e lavaggio. Le due operazioni hanno lo scopo di allontanare tutto il materiale estraneo, sia proveniente dalla pianta sia dal terreno che dagli eventuali trattamenti fitoiatrico eseguiti in campo. Lo scopo è quello di proteggere le macchine da eventuali danni derivanti dalla presenza di corpi estranei che di eliminare le cause di possibili inquinamenti del prodotto. Queste operazioni sono effettuate di norma da una sola macchina provvista di un aspiratore, per l'allontanamento delle foglie e dei piccoli rametti, e di una vasca, a circolazione forzata di acqua, per il lavaggio delle olive. La macchina, inoltre, può avere, disposti in idonea posizione, delle calamite per separare corpi estranei di materiale ferroso, che risultano pericolosi e dannosi per l'impianto. Nel successivo ciclo di lavorazione delle olive possiamo distinguere le seguenti fasi: frangitura; gramolazione; estrazione; separazione. Le modalità con cui queste fasi vengono realizzate, nelle diverse tipologie degli impianti di lavorazione, possono influenzare i parametri che determinano le caratteristiche degli oli. Con la frangitura viene realizzata la rottura, più o meno spinta, delle cellule della polpa contenenti l'olio che si trova racchiuso nei vacuoli. E' l'operazione preliminare che porta all'ottenimento di una pasta adatta alle lavorazioni successive. I frangitori utilizzati sono fondamentalmente riconducibili alle due tipologie: molazze e martelli. Il frantoio a molazze (fig 16.4), generalmente utilizzato negli impianti che adottano il sistema della pressione, è costituito da 2-3 (ma anche 4-6) macine di granito (molazze), da un bacino in materiale metallico e da una macina di fondo, anch'essa in granito. Completano l'impianto i raschiatori delle molazze e della vasca, le pale mescolatrici e quelle per lo scarico delle paste e gli organi di movimento. Figura 16.4 - Vista d'insieme dell'oleificio sperimentale del Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura che, nella fase di frangitura, può utilizzare anche il frangitore a molazze. 132 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro I frangitori metallici a martelli possono essere di tipo fisso oppure mobili ed hanno, rispetto alle molazze, una capacità oraria di lavorazione molto superiore ma anche un impatto sulle olive più aggressivo. Relativamente all'incidenza di questa fase di lavorazione sulla qualità dell'olio estratto , le attuali conoscenze possono essere così sintetizzate: la frangitura a martelli provoca una più spinta rottura delle olive che comporta anche una maggiore estrazione di colore; le molazze, operando una frangitura più soft, sono in grado di fornire oli più armonici, meno amari e piccanti. Le paste ottenute dalla frangitura vengono poi sottoposte all'operazione di gramolatura che viene effettuata dalle gramole. Scopo di tale operazione che consiste nel rimescolare le paste attraverso nastri elicoidali e palette è quello di favorire l'aggregazione delle minutissime goccioline di olio in grandi gocce che potranno poi essere più facilmente separate. Le gramole sono serbatoi di forma semicilindrica costruite in acciaio inossidabile e sono provviste di un sistema per il riscaldamento delle paste realizzato con circolazione di acqua in apposita camicia esterna. Quando il processo estrattivo si propone di conservare ai massimi livelli la qualità intrinseca del prodotto i tempi di gramolazione sono generalmente compresi nell'intervallo da 15 a 60 minuti e le temperature contenute sotto i 30° C. La gramolazione può avere un'importante incidenza negativa sulla qualità dell'olio sia sotto l'aspetto compositivo (contenuto in polifenoli e in sostanze aromatiche, numero dei perossidi ecc) che organolettico. Ai fini qualitativi i parametri tecnologici della gramolazione da tenere sotto controllo risultano quindi la sua durata nonché la temperatura della pasta. Le paste "gramolate" vengono quindi avviate alla successiva fase di estrazione che realizza la separazione delle fasi liquide(olio - acqua) da quella solida (sansa). Tale operazione, che nel tempo ha subito notevoli evoluzioni, può essere condotta secondo diversi sistemi riconducibili, al momento, quasi esclusivamente alla pressione e alla centrifugazione; una modesta quota di olio tuttavia viene ottenuto col sistema del "percolamento". L'estrazione dell'olio dalle olive mediante il sistema della pressione, è basata sul principio fisico della forza premente che, per molti secoli, ha rappresentato l'unico mezzo per ottenere olio vergine d'oliva. La pressione viene esercitata sulla pasta di olive che, in opportune condizioni, lascia separare le fasi liquide (olio e acqua di vegetazione) dalla fase solida costituita dalla sansa. Il diagramma di lavorazione delle olive con il sistema della pressione unica è riportato nella figura 16.5. Figura 16.5 - Diagranmma di lavorazione delle olive con il sistema della pressione (pressione unica). 133 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Come già detto in precedenza, per ottenere una buona resa in olio è necessario rendere libera la maggior parte dell'olio contenuto nei vacuoli delle cellule del mesocarpo delle olive, e, pertanto, la prima operazione che si effettua, dopo la defogliazione ed il lavaggio, è quella della molitura delle olive, che determina la rottura delle cellule. Per estrarre l'olio con il sistema della pressione è necessario disporre, in maniera opportuna, la pasta di olive gramolata sui diaframmi filtranti fino a formare una torre, utilizzando un apposito carrello dotato di guida centrale, alternando strati di pasta di olive (sui fiscoli), a dischi metallici. Generalmente tra 2 dischi metallici si pongono 3-5 diaframmi filtranti con pasta di olive. La torre, una volta formata, viene trasferita sotto la pressa che, nella forma più moderna (super-pressa) è rappresentata da una incastellatura monoblocco aperta e da un pistone, avente diametro di 35-40 cm (14"-16"), che agisce dal basso verso l'alto. Il sistema ha subito molte migliorie nel corso del tempo e, tra queste, va ricordata l'introduzione della guida centrale forata (foratina), che consente la fuoruscita del liquido anche dalla parte centrale della torre e, quindi, un più spinto esaurimento della pasta. Ai fini del miglioramento della qualità dell'olio, inoltre, ha contribuito la sostituzione dei diaframmi filtranti in fibra vegetale (cocco) con quelli di fibra sintetica (nylon). Il rendimento in olio che il sistema della pressione determina dipende da molti fattori, tra cui anche la pressione finale che la pressa può raggiungere. Le super-presse con pistone da 35 cm (14") e da 40 cm (16") raggiungono una pressione finale variabile da 350 a 450 Kg/cm2, a cui corrisponde una pressione specifica reale sulla sansa di 120-200 Kg/cm2. Il rendimento in olio dipende anche dalle caratteristiche delle olive che, se risultano "difficili" da lavorare, consentono di estrarre non più dell'80% dell'olio contenuto. Alla fine degli anni '60, comparve sul mercato il primo decanter centrifugo che realizzava in modo continuo la separazione dell'olio, dalle altre fasi liquide e solide della pasta di olive, per effetto della forza centrifuga. Tale realizzazione era il risultato di pluriennali ricerche e rappresentava un notevole progresso, rispetto al sistema della pressione, poiché introduceva nell'oleificio tradizionale un alto grado di automazione che riduceva il lavoro manuale ed i relativi costi. La lavorazione delle olive mediante il sistema della centrifugazione continua si realizza secondo il diagramma riportato nella figura 16.6. Figura 16.6 - Diagranmma di lavorazione delle olive con il sistema della centrfugazione (a 3 fasi). La pasta di olive gramolata, miscelata con opportuna quantità di acqua tiepida (40-70 l/100 Kg olive), viene avviata al decanter centrifugo ad asse orizzontale rotante ad alta velocità (3.200-3.500 rpm) che, per effetto della forza centrifuga esalta la differenza dei pesi specifici delle fasi liquide immiscibili (olio e acqua) e della fase solida (sansa). 134 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro In tal modo l'olio e l'acqua di vegetazione si separano ed escono da appositi ugelli mentre la sansa, rimossa da una coclea interna rotante ad una velocità leggermente superiore (10-20 rpm) a quella del tamburo esterno, viene continuamente espulsa dal decanter. L'estrazione dell'olio, pertanto, diventa una operazione continua. L'estrazione dell'olio dalle olive con il sistema del percolamento è basata sulla differenza della tensione superficiale tra l'olio e l'acqua di vegetazione. Questa differenza fa sì che quando una lamina di acciaio viene immersa nella pasta di olive ne esce bagnata, in modo preferenziale, di olio che, quindi, sgocciola e si separa dalle altre fasi. L'apparecchio consiste in una vasca semicilindrica che ha le pareti costituite da una grata forata attraverso cui si muovono delle lamelle di acciaio. Il movimento delle lamelle è lento e, pertanto, quando si immergono nella pasta di olive, continuamente rimossa, si bagnano di olio che, poi, fanno sgocciolare all'esterno dell'apparecchio. Il movimento della pasta di olive e delle lamelle è generato da un braccio meccanico che ruota alla velocità di 7,5 rpm, spingendo continuamente la pasta contro la parete forata. Il rendimento di estrazione in olio con il sistema del percolamento dipende dalle caratteristiche reologiche delle olive e, in particolare, dal contenuto di acqua e di solidi idrofili. Aumentando la quantità di acqua delle paste di olive, il rendimento di estrazione diminuisce, mentre se si incrementa la quantità di solidi idrofili, che fanno aumentare la consistenza della pasta, il rendimento in olio tende ad aumentare. La diffusione del sistema della centrifugazione (a 3 fasi o a 3 uscite) delle paste di olive gramolate in tutti i paesi olivicoli ha comportato notevoli vantaggi, non solo per l'economia di esercizio che il sistema determina, ma anche per il miglioramento della qualità dell'olio specie nelle zone dove la qualità delle olive risulta mediocre a causa della sovramaturazione conseguente alla ritardata raccolta che viene effettuata, spesso, dalle reti o da terra. Tuttavia, il sistema continuo di centrifugazione (a 3 fasi) presenta anche degli svantaggi, tra cui i principali sono da individuare nell'elevato volume di acqua di vegetazione prodotto, il cui smaltimento, specie nel passato, risultava difficoltoso ed oneroso, e nella riduzione degli antiossidanti naturali degli oli, conseguente alla necessaria diluizione della pasta di olive con acqua calda, che riduce la stabilità degli oli stessi durante la conservazione. L'industria costruttrice di impianti oleari aveva già iniziato lo studio di soluzioni meccaniche che riducessero gli svantaggi del decanter convenzionale a 3 fasi e così, agli inizi degli anni Novanta, sono comparsi sul mercato i primi decanter che, operando senza l'aggiunta dell'acqua alla pasta di olive, non producevano acqua di vegetazione. Questi nuovi decanter non differivano sostanzialmente dai precedenti, poiché le variazioni apportate riguardavano soprattutto alcune parti interne, come i livelli degli ugelli di uscita dei liquidi. Negli anni successivi si è assistito ad un proliferare di tali impianti, il cui funzionamento, attualmente, si può ricondurre alle seguenti tipologie : decanter integrali (a 2 uscite), che operano senza l'aggiunta di acqua alla pasta di olive e che non producono acqua di vegetazione; decanter a 3 uscite (innovativo), che operano con ridotta (o nulla) quantità di acqua aggiunta alla pasta di olive e che producono un ridotto quantitativo di acqua di vegetazione che si può separare dall'olio e dalla sansa. Il primo tipo di decanter (integrale a 2 uscite), molto diffuso in Spagna, ha la caratteristica di produrre sanse molto umide (65-70%), di difficile collocazione presso il sansificio. Il secondo tipo di decanter (detto anche impropriamente a 2 fasi e mezzo) ha la caratteristica di produrre una sansa vergine d'oliva con umidità accettabile (55-60%), che può essere conferita al sansificio (fig. 16.7). Figura 16.7 - Centrifuga ad asse orizzontale (decanter). La qualità merceologica degli oli, estratti con i due decanter a confronto, non risulta diversa, tuttavia, il contenuto di polifenoli totali ed il valore del tempo di induzione sono significativamente più alti negli oli ottenuti con il decanter innovativo che richiede solo una ridotta quantità di acqua aggiunta alla pasta di olive. 135 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro In tal modo l'olio non viene impoverito delle sostanze fenoliche naturali, poiché l'effetto del dilavamento con acqua è ridotto e, pertanto, conserva il patrimonio di antiossidanti naturali che aveva originariamente e che dipende dalla varietà, dalla sanità e dallo stato di maturazione delle olive. Si può, pertanto, concludere che i nuovi decanter centrifughi, che operano senza o con poca acqua aggiunta alle paste di olive, presentano i vantaggi del sistema della pressione e del sistema della centrifugazione convenzionale a 3 fasi, senza averne gli svantaggi. Dalla lavorazione delle paste di olive, nel corso dell'operazione di separazione delle fasi liquide da quella solida, si può ottenere una miscela di liquidi (olio e acqua di vegetazione) se si impiegano i sistemi della pressione e del percolamento, o due liquidi separati (olio con poca acqua e acqua di vegetazione con poco olio) se si adotta il sistema della centrifugazione. L'operazione finale che si effettua in oleificio, per ottenere olio vergine d'oliva commestibile, è quella della separazione dell'olio dal mosto oleoso che richiede l'impiego di una macchina centrifuga ad asse verticale. In realtà, nel passato, ed anche ora in alcune zone olivicole non progredite, si ricorreva alla decantazione naturale della miscela costituita dai due liquidi immiscibili (olio e acqua di vegetazione) sfruttando il loro diverso peso specifico che risulta variabile tra 0,910-0,920 per l'olio e tra 1,010-1,090 per l'acqua di vegetazione. La separazione per decantazione naturale, tuttavia, è parziale, di scarsa efficacia e richiede un lungo tempo di contatto tra i due liquidi, con possibili inconvenienti di natura organolettica per l'olio. Attualmente vengono impiegate delle macchine, i separatori che sono centrifughi sono costituiti da un tamburo conico e da una serie di dischi ravvicinati, a forma di cono, tra i quali viene inviato il mosto che dà origine, nell'interspazio, ad un flusso centripeto, di olio, e ad un flusso centrifugo, di solidi e di acqua di vegetazione. Con opportuni e distinti tubi di efflusso, l'olio e l'acqua di vegetazione escono dalla macchina da bracci di scarico separati. I pregi di queste macchine risiedono nella continuità del lavoro e nell'alta portata oraria, ed anche l'inconveniente principale, rappresentato fino a qualche tempo fa dall'esigenza di fermare la centrifuga per la pulizia dei coni, intasati dai residui solidi presenti nei mosti oleosi, è stato superato dalle moderne centrifughe autopulitrici. Esse infatti effettuano, in movimento, lo scarico automatico dei fanghi azionando il comando per l'apertura di una serie di fori periferici esistenti sul tamburo. La conservazione dell'olio di oliva Condizione indispensabile per una buona conservazione del prodotto è la perfetta pulizia dei contenitori, che non devono comunicare odori e sapori estranei, né dar luogo a fenomeni di cessione, né lasciarsi corrodere dagli acidi grassi liberi dell'olio; devono inoltre essere impermeabili all'ossigeno dell'aria e all'umidità, assicurare protezione da escursioni termiche e non lasciarsi attraversare dalla luce, non dar luogo a fenomeni di trasudamento o di imbibizione. Il materiale più indicato è oggi l'acciaio inox, che risponde perfettamente alle diverse esigenze determinate da un prodotto così facilmente alterabile. Le temperature, la luce e l'aria possono essere i maggiori "nemici" dell'olio durante la sua conservazione. La temperatura ottimale di conservazione si aggira intorno ai 15 - 16 °C; valori prossimi ai 4-5°C possono provocare fenomeni di margarinizzazione, cioè solidificazione di alcuni componenti dell'olio a basso punto di fusione; questo fenomeno potrebbe creare dei problemi al momento dei travasi. Inoltre si ha in parte la perdita delle sostanze aromatiche e quindi un generale scadimento delle caratteristiche organolettiche. Se, al contrario, la temperatura dell'ambiente di conservazione è elevata, si creano le condizioni ottimali per l'irrancidimento, processo favorito dalla contemporanea presenza di luce e ossigeno. Tra le cure da apportare all'olio particolare importanza rivestono i periodici travasi, al fine di allontanare il deposito (morchia o fondame) che si forma sul fondo dei contenitori, questo è costituito essenzialmente da residui di acqua di vegetazione delle olive, contenente sostanze glucidiche e proteiche, residui vegetali ed enzimi. Se questa operazione non viene eseguita o si effettua molto tardi, dette sostanze possono iniziare a fermentare, conferendo all'olio sapore di "morchia" o di "putrido". I travasi devono essere eseguiti con attenzione, curando in maniera particolare la pulizia dei contenitori e dei locali, evitando in questi ultimi presenza di fumi o l'uso di solventi, poichè l'olio, comportandosi come una spugna, assorbe facilmente tutti gli odori dell'ambiente. 136 Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nel caso in cui lo stoccaggio dell'olio viene effettuato in contenitori sopraelevati provvisti di un fondo tronco-conico, di solito l'eliminazione dei fondami avviene attraverso l'apertura delle apposite valvole situate nella parte più bassa del fondo; è da tenere presente tuttavia che questa operazione non assicura il totale allontanamento dei fondami, poiché una parte di essi rimane aderente alla superficie del cono, e soltanto dopo lo svuotamento completo del contenitore è possibile effettuare una pulizia totale. Durante i travasi è inoltre necessario evitare l'eccessivo arieggiamento e sbattimento dell'olio, al fine di assicurare una più lunga conservazione. In definitiva, è necessario mettere in risalto l'esigenza di porre grande cura in tutte le varie fasi operative che portano ad estrarre l'olio dalle olive ed è indispensabile possedere un notevole bagaglio di conoscenze tecnico-scientifiche e pratico-operative dei diversi fattori che intervengono a determinare i parametri qualitativi dell'olio. Ciò consente di ottenere produzioni di elevato livello qualitativo, privo dei difetti più comunemente riscontrabili e di prevenire difetti alterativi che frequentemente si manifestano nell'olio, quali sono l'irrancidimento e l'inacidimento. Il primo fenomeno si manifesta in genere dopo una conservazione prolungata o irrazionale ed è determinato - come già visto - dalla ossidazione degli acidi grassi a contatto con l'aria e in concomitante presenza di luce e calore. L'irrancidimento rappresenta la più grave alterazione che possa verificarsi durante la conservazione: l'odore diviene sgradevole, il sapore acre e disgustoso, l'olio diventa incommestibile. Nel secondo caso, quando le olive non sono sane o vengono irrazionalmente conservate, la leggera acidità contenuta nell'olio ottenuto dal frutto maturo, aumenta sensibilmente e incrementa i suoi valori in maniera tanto più rapida quanto più è elevata inizialmente. Tale processo viene accelerato dalla presenza, nell'olio, di acqua di vegetazione in emulsione. L'ottenimento e il perdurare di elevate caratteristiche qualitative negli oli è pertanto legato sinergicamente a tutti i fattori più sopra esposti, ma soprattutto a buone tecniche di lavorazione e conservazione, che, quando non ben condotte, possono irrimediabilmente compromettere tutto il lavoro agronomico precedentemente fatto per ottenere un prodotto sano e di alto valore biologico. Il percorso che porta all'ottenimento di un buon olio è pieno di difficoltà e solo il rispetto di precise regole operative può consentire di arrivare al mercato con un prodotto di eccellenza. 137 Tabella 16.3 - Scheda di valutazione delle caratteristiche organolettiche dell'olio vergine di oliva (Reg. CE 2568/91 - Allegato XII) Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Appendice: Norme e Regolamenti Legislativi Introduzione In questa appendice, certamente non esaustiva, si è inteso riportare alcune delle norme in vigore che hanno ricaduta legislativa sulla coltivazione dell'olivo. Alcune delle Norme riportate nell'appendice risalgono a diversi decenni orsono, ma per la loro specificità legislativa sono state, in anni recenti, riconfermate in sede di Corte Costituzionale. Importante è stato inoltre l'emanazione della legge sullo smaltimento dei reflui di frantoio, che ha consentito di dare adeguata risposta a un annoso problema di difficile soluzione. Con più dettaglio si sono riportate le norme che deteminano gli indirizzi operativi in olivicoltura sulle pratiche di utilizzo dei metodi di agricoltura "biologica" e di quelli di gestione in "integrato", che tendono a valorizzare qualitativamente le produzioni e a ridurre l'impatto ambientale in una più ampia logica di rispetto dell'ecosistema agricolo. L'appendice, parte dal D.L. Luogotenenziale n. 475 del 1945, che tende a tutelare gli alberi di olivo disciplinandone l'abbattimento. La presente appendice riporta anche la normativa sull'utilizzazione agronomica delle acque reflue (L. n°. 574/96). Particolare rilievo assume la normativa comunitaria sia sulle produzioni "integrate" e "biologiche" (Reg. CE n°.2078/92) che sullo sostegno allo sviluppo rurale (Reg. CE n°.1257/99). Divieto di abbattimento di alberi di olivo Decreto Legislativo Luogotenenziale. N°. 475 del 27/07/1945 1. È vietato l'abbattimento degli alberi di olivo oltre il numero di cinque ogni biennio, salvo quanto è previsto nell'art. 2. Il divieto riguarda anche le piante danneggiate da operazioni belliche o in stato di deperimento per qualsiasi causa, sempre che possano essere ricondotte a produzione con speciali operazioni colturali(1). 2. L'abbattimento degli alberi di olivo per i quali sia accertata la morte fisiologica ovvero la permanente improduttività, dovute a cause non rimovibili, e di quelli che, per eccessiva fittezza dell'impianto, rechino danno all'oliveto, può essere autorizzato dalla Camera di commercio, industria e agricoltura, che provvederà con deliberazione della Giunta camerale, a seguito di accertamento sull'esistenza delle condizioni stesse, eseguito dall'Ispettorato provinciale dell'agricoltura(2). 3. La Camera di commercio, industria ed agricoltura, su proposta dell'Ispettorato provinciale dell'agricoltura ha facoltà di imporre, con deliberazione della Giunta camerale ai proprietari o conduttori di fondi ove si trovino gli alberi di olivo da abbattere, l'obbligo di impiantare, anche in altri fondi di loro proprietà o da essi condotti, altrettanti alberi di olivo in luogo di quelli da abbattere, stabilendo le modalità ed il termine del reimpianto(3). 4. Chiunque abbatte alberi di olivo senza averne ottenuta la preventiva autorizzazione, o nel caso previsto dall'art. 3, non esegue il reimpianto con le modalità e nel termine prescritti, è punito con la sanzione amministrativa per un importo uguale al decuplo del valore delle piante abbattute, considerate però in piena produttività, da stabilirsi dall'Ispettorato provinciale dell'agricoltura(4). 5. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno. Nei territori non ancora restituiti all'Amministrazione italiana, entrerà in vigore dalla data di tale restituzione o da quella in cui esso divenga esecutivo con ordinanza del Governo Militare Alleato. (1) Così sostituito dall'articolo unico della L. 14 febbraio 1951, n. 144. (2) Così, da ultimo, sostituito dall'art. 71, D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987. (3) Così sostituito dall'art. 72, D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987. (4) La Corte costituzionale, con ordinanza 14-23 dicembre 1998, n. 437 (Gazz. Uff. 30 dicembre 1998, n. 52, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, sollevata in riferimento all'art. 3, primo comma, della Costituzione. A-I Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari L. 11 novembre 1996 n° 574 1 - Utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide 1. Le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive che non hanno subìto alcun trattamento né ricevuto alcun additivo ad eccezione delle acque per la diluizione delle paste ovvero per la lavatura degli impianti possono essere oggetto di utilizzazione agronomica attraverso lo spandimento controllato su terreni adibiti ad usi agricoli. 2. Ai fini dell'applicazione della presente legge le sanse umide provenienti dalla lavorazione delle olive e costituite dalle acque e dalla parte fibrosa di frutto e dai frammenti di nocciolo possono essere utilizzate come ammendanti in deroga alle caratteristiche stabilite dalla legge 19 ottobre 1984, n° 748, e successive modificazioni. Lo spandimento delle sanse umide sui terreni aventi destinazione agricola può avvenire secondo le modalità e le esclusioni di cui agli articoli 4 e 5. Le norme di cui alla presente legge relative alle acque di vegetazione di cui al comma 1 si estendono anche alle sanse umide di cui al presente comma ad esclusione di quanto previsto dall'articolo 6 (1). 2 - Limiti di accettabilità 1. L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione ai sensi dell'articolo 1 è consentita in osservanza del limite di accettabilità di cinquanta metri cubi per ettaro di superficie interessata nel periodo di un anno per le acque di vegetazione provenienti da frantoi a ciclo tradizionale e di ottanta metri cubi per ettaro di superficie interessata nel periodo di un anno per le acque di vegetazione provenienti da frantoi a ciclo continuo. 2. Qualora vi sia effettivo rischio di danno alle acque, al suolo, al sottosuolo o alle altre risorse ambientali, accertato a seguito dei controlli eseguiti ai sensi del comma 2 dell'articolo 3, il sindaco con propria ordinanza può disporre la sospensione della distribuzione al suolo oppure ridurre il limite di accettabilità (1). 3 - Comunicazione preventiva 1. L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione è subordinata alla comunicazione da parte dell'interessato al sindaco del comune in cui sono ubicati i terreni, almeno entro trenta giorni prima della distribuzione, di una relazione redatta da un agronomo, perito agrario o agrotecnico o geologo iscritto nel rispettivo albo professionale, sull'assetto pedo-geo-morfologico, sulle condizioni idrologiche e sulle caratteristiche in genere dell'ambiente ricevitore, con relativa mappatura, sui tempi di spandimento previsti e sui mezzi meccanici per garantire un'idonea distribuzione. 2. L'autorità competente può, con specifica motivazione, chiedere ulteriori accertamenti o disporre direttamente controlli e verifiche(1)(2). 4 - Modalità di spandimento 1. Lo spandimento delle acque di vegetazione deve essere realizzato assicurando una idonea distribuzione ed incorporazione delle sostanze sui terreni in modo da evitare conseguenze tali da mettere in pericolo l'approvvigionamento idrico, nuocere alle risorse viventi ed al sistema ecologico. 2. Lo spandimento delle acque di vegetazione si intende realizzato in modo tecnicamente corretto e compatibile con le condizioni di produzione nel caso di distribuzione uniforme del carico idraulico sull'intera superficie dei terreni in modo da evitare fenomeni di ruscellamento (1). A - II Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro 5 - Esclusione di talune categorie di terreni 1. È vietato in ogni caso lo spandimento delle acque di vegetazione e delle sanse, ai sensi dell'articolo 1, sulle seguenti categorie di terreni: a) i terreni situati a distanza inferiore a trecento metri dalle aree di salvaguardia delle captazioni di acque destinate al consumo umano ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 236; b) i terreni situati a distanza inferiore a duecento metri dai centri abitati; c) i terreni investiti da colture orticole in atto; d) i terreni in cui siano localizzate falde che possono venire a contatto con le acque di percolazione del suolo e comunque i terreni in cui siano localizzate falde site ad una profondità inferiore a dieci metri; e) terreni gelati, innevati, saturi d'acqua e inondati(1). 6 - Stoccaggio 1. Lo stoccaggio delle acque di vegetazione deve essere effettuato per un termine non superiore a trenta giorni in silos, cisterne o vasche interrate o sopraelevate all'interno del frantoio o in altra località, previa comunicazione al sindaco del luogo ove ricadono. 2. Restano ferme le disposizioni in materia di edificabilità dei suoli (1). 7 - Competenze delle regioni e delle province autonome 1. Le regioni e le province autonome possono redigere un apposito piano di spandimento delle acque di vegetazione con l'indicazione di ulteriori precisazioni tenuto conto delle caratteristiche dell'ambiente ricevitore, della presenza di zone di captazione di acqua potabile, minerale e termale e dei limiti di concentrazione delle sostanze organiche. 2. Il piano, redatto sulla base della valutazione delle diverse situazioni territoriali, deve riguardare comprensori omogenei, individuati con riferimento alle caratteristiche della produzione olivicola, alla distribuzione ed intensità degli oliveti nonché alla collocazione territoriale ed alle dimensioni degli impianti di molitura. 3. Copia del piano viene inviata al Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali e al Ministero dell'ambiente (3). 8 - Sanzioni 1. Chiunque proceda allo spandimento di acque di vegetazione senza procedere alla preventiva comunicazione di cui all'articolo 3 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire cinquecentomila a lire un milione. 2. La stessa sanzione di cui al comma 1 si applica a chiunque proceda allo spandimento di acque di vegetazione con inosservanza dei modi di applicazione di cui all'articolo 4, comma 2. Se la violazione riguarda la mancata osservanza delle precauzioni previste dal comma 1 dello stesso articolo 4, si applica la sanzione amministrativa da lire un milione a lire tre milioni, salvo che il fatto non sia previsto dalla legge come reato. 3. A chiunque proceda allo spandimento delle acque di vegetazione con inosservanza del limite di accettabilità di cui all'articolo 2 si applica la sanzione amministrativa da lire un milione a lire tre milioni, aumentabile sino ad un terzo in caso di violazione di particolare gravità del suddetto limite di accettabilità. 4. Chiunque proceda allo spandimento delle acque di vegetazione in violazione dei divieti di cui all'articolo 5 è punito con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire cinque milioni. 5. Per l'accertamento delle violazioni previste nel presente articolo e per l'irrogazione delle relative sanzioni è competente l'autorità comunale, salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità (2)(3). A - III Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro 9 - Controlli 1. L'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente e le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, laddove esistenti, procedono alla verifica periodica delle operazioni di spandimento delle acque di vegetazione a fini di tutela ambientale. 2. Ogni tre anni a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali, sentito il Ministro dell'ambiente per le parti di competenza, trasmette, entro il 31 dicembre, al Parlamento una relazione sulla applicazione della presente legge, sullo stato delle acque, del suolo, del sottosuolo e delle altre risorse ambientali venute a contatto con le acque di vegetazione, nonché sulle più recenti acquisizioni scientifiche in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di scarichi dei frantoi oleari (3). 10 - Disposizioni finali 1. L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione ai sensi dell'articolo 1, non è subordinata all'osservanza da parte dell'interessato delle prescrizioni, dei limiti e degli indici di accettabilità previsti dalla legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni (2). 2. È abrogato il decreto-legge 26 gennaio 1987, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1987, n. 119 (2). 3. Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dell'articolo 4, commi 2 e 3, del D.L. 29 aprile 1995, n. 140, del D.L. 28 giugno 1995, n. 256, del D.L. 28 agosto 1995, n. 358, del D.L. 27 ottobre 1995, n. 445, del D.L. 23 dicembre 1995, n. 546, del D.L. 26 febbraio 1996, n. 81, del D.L. 26 aprile 1996, n. 217, del D.L. 25 giugno 1996, n. 335, e del D.L. 8 agosto 1996, n. 443 (2). 4. Non sono punibili per i fatti commessi in data anteriore a quella di entrata in vigore della presente legge in violazione della legge 10 maggio 1976, n. 319 , e successive modificazioni, coloro che abbiano adempiuto agli obblighi previsti dai commi 1, 2 e 5 dell'articolo 1 e dal comma 2-bis dell'articolo 2 del decreto-legge 26 gennaio 1987, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1987, n. 119, e successive modificazioni (2). 5. La presente legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. (1) La Corte costituzionale con ordinanza 12-18 febbraio 1998, n. 20 (Gazz. Uff. 4 marzo 1998, n. 9, Serie speciale), ha dichiarato la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 8 e 10, commi 1, 2, 3 e 4, sollevate in riferimento agli artt. 3, 9, secondo comma, 32, 41 e 41, secondo comma della Costituzione. (2) Il D.L. 29 aprile 1995, n. 140, il D.L. 28 giugno 1995, n. 256, il D.L. 28 agosto 1995, n. 358, il D.L. 27 ottobre 1995, n. 445, il D.L. 23 dicembre 1995, n. 546, il D.L. 26 febbraio 1996, n. 81, il D.L. 26 aprile 1996, n. 217, il D.L. 25 giugno 1996, n. 335, e il D.L. 8 agosto 1996, n. 443, non sono stati convertiti in legge. (3) Con sentenza 27 novembre-11 dicembre 1997, n. 380 (Gazz. Uff. 17 dicembre 1997, n. 51, Serie speciale), la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli da 1 a 9, nella parte in cui prevedono la propria applicazione immediata e diretta nel territorio delle province autonome di Trento e di Bolzano. A - IV Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Commento e stralci dei Regolamenti comunitari relativi alle produzioni olivicole con i metodi "integrato" e "biologico" Nell'ambito della riforma dei fondi strutturali collegata agli orientamenti della politica agraria comune (PAC), delineati nel cosiddetto ""Piano Mac Sharry", sono stati emanati diversi regolamenti del Consiglio, di cui alcuni particolarmente importanti e rientranti tra le "misure di accompagnamento", che individuano interventi a completamento del disegno di riassetto della politica agraria comune. Tra questi particolare ruolo è stato svolto dalle regolamento del Consiglio n° 2078/92 del 30 Giugno 1992 relativo a metodi di produzione agricola compatibile con le esigenze dell'ambiente e con la cura dello spazio naturale, le cui misure operative sono state riprese, sempre nell'ambito delle fasi di riforma dei Fondi strutturali comunitari, dal Reg. CE n°1257/99 e successive modifiche. Esso si impernia fondamentalmente in quanto espresso dal Reg. del Consiglio n°1260/99, recante disposizioni generali su detti Fondi. Il Reg. n°1257/99 del Consiglio del 17 maggio 1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e che modifica ed abroga taluni regolamenti, oltre a sopprimere in toto alcuni precedenti regolamenti, riprende al suo interno quelli costituenti il primo nucleo legislativo che ha instaurato la riforma dei Fondi Strutturali, e che, mediante il Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia (FEAOG), ha consentito di erogare e razionalizzare diverse tipologie di intervento in ambito rurale. Uno dei principali obiettivi nell'attuazione delle politiche comunitarie, come previsto nel trattato che istituisce la Comunità Europea agli articoli 158 e 160, è la coesione economica e sociale e le misure destinate allo sviluppo rurale dovrebbero contribuire a tale politica nelle regioni in ritardo di sviluppo (Obiettivo n° 1) e nelle regioni con difficoltà strutturali (Obiettivo n° 2), definite dal Reg. 1260/99. Già in precedenza, con l'adozione del Reg. CE 2052/88 relativo alle missioni dei Fondi Strutturali, alla loro efficacia e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della Banca Europea per gli investimenti e degli altri strumenti finanziari esistenti, sono stati posti obiettivi prioritari, volti a promuovere lo sviluppo rurale accelerando l'adattamento delle strutture agrarie nell'ambito della riforma della polita agricola comune. Inoltre, come riportato in premessa, nell'ambito della riforma della PAC, sono stati adottati nel 1992 alcuni fondamentali regolamenti che istituiscono le cosiddette misure di accompagnamento, tra cui, il Reg. CE n° 2078/92, relativo a metodi di produzione agricola compatibili con le esigenze di protezione dell'ambiente e con la cura dello spazio naturale. Tali provvedimenti sono considerati strumenti finalizzati in maniera prioritaria alla promozione di uno sviluppo sostenibile per le zone rurali e di risposta alla crescente domanda di servizi nel settore ambientale. Pertanto la prosecuzione del sostegno agroambientale previsto dal Reg. CE n°2078/92 per misure ambientali mirate è stata effettuata tenendo conto dell'esperienza acquisita nell'applicazione di tale regime secondo quanto descritto dalla relazione presentata dalla Commissione a norma dell'art. 10 di detto regolamento. Il regime di aiuti agroambientali dovrebbe, infatti, continuare a incoraggiare gli agricoltori ad operare nell'interesse dell'intera società, introducendo o mantenendo metodi di produzione compatibili con le crescenti esigenze di tutela e miglioramento dell'ambiente, delle risorse naturali, del suolo e della diversità genetica, nonché con la necessità di salvaguardare lo spazio naturale e il paesaggio. Nei paragrafi seguenti si riportano i punti salienti del regolamento della Commissione n° 1257/99, che come già detto, ha abrogato e sostituito il Reg. 2078/92 nelle componenti che intervengono sulle misure di promozione agroambientale. L'attuazione di detta normativa è avvenuta con l'adozione del regolamento del Commissione n° 1750/99 recante disposizioni di applicazione del Reg. CE n° 1257/99 e con successive modifiche previste dal regolamento della Commissione n° 2075/2000. A-V Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e che modifica ed abroga taluni regolamenti. Gazzetta Ufficiale n. L 160 del 26/06/1999 PAG. 0080 - 0101 IL CONSIGLIO DELL UNIONE EUROPEA, visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare gli articoli 36 e 37, {.....OMISSIS.....} HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO: TITOLO I Ambito di Applicazione e Obiettivi Articolo 1 1. Il presente regolamento definisce il quadro del sostegno comunitario per uno sviluppo rurale sostenibile. 2. Le misure per lo sviluppo rurale accompagnano e integrano altri strumenti della politica agricola comune e contribuiscono in tal modo al conseguimento degli obiettivi previsti dall'articolo 33 del trattato. 3. Le misure di sviluppo rurale: sono inserite nelle misure volte a promuovere lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni in ritardo di sviluppo (obiettivo n° 1) accompagnano le misure di sostegno alla riconversione socioeconomica delle zone con difficoltà strutturali (obiettivo n° 2) nelle regioni interessate, tenendo conto dei fini specifici del sostegno comunitario nell'ambito di tali obiettivi, quali previsti degli articoli 158 e 160 del trattato e dal regolamento (CE) n° 1260/1999, e alle condizioni stabilite dal presente regolamento. Articolo 2 Il sostegno allo sviluppo rurale, legato alle attività agricole e alla loro riconversione, può riguardare: il miglioramento delle strutture nelle aziende agricole e delle strutture di trasformazione di commercializzazione dei prodotti agricoli, la riconversione e il riorientamento del potenziale di produzione agricola, 1'introduzione di nuove tecnologie e il miglioramento della qualità dei prodotti, I'incentivazione della produzione non alimentare, uno sviluppo forestale sostenibile, la diversificazione delle attività al fine di sviluppare attività complementari o alternative, il mantenimento e il consolidamento di un tessuto sociale vitale nelle zone rurali, lo sviluppo di attività economiche e il mantenimento e la creazione di posti di lavoro, allo scopo di garantire un migliore sfruttamento del potenziale esistente, il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita, il mantenimento e la promozione di sistemi di coltivazione a bassi consumi intermedi, la tutela e la promozione di un alto valore naturale e di un'agricoltura sostenibile che rispetti le esigenze ambientali, l'abolizione delle ineguaglianze e la promozione della parità di opportunità fra uomini e donne, in particolare mediante il sostegno a progetti concepiti e realizzati da donne. Articolo 3 È concesso un sostegno a favore delle misure di sviluppo rurale definite al titolo II e alle condizioni ivi previste. A - VI Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro TITOLO II Misure di Sviluppo Rurale {.....OMISSIS.....} CAPO VI Misure Agroambientali Articolo 22 Il sostegno a metodi di produzione agricola finalizzati alla protezione dell'ambiente e alla conservazione dello spazio naturale (misure agroambientali) contribuisce alla realizzazione degli obiettivi delle politiche comunitarie in materia agricola e ambientale. Tale sostegno è inteso a promuovere: forme di conduzione dei terreni agricoli compatibili con la tutela e con il miglioramento dell'ambiente, del paesaggio e delle sue caratteristiche, delle risorse naturali, del suolo e della diversità genetica, I'estensivizzazione, favorevole all'ambiente, della produzione agricola e la gestione dei sistemi di pascolo a scarsa intensità, la tutela di ambienti agricoli ad alto valore naturale esposti a rischi, la salvaguardia del paesaggio e delle caratteristiche tradizionali dei terreni agricoli, il ricorso alla pianificazione ambientali nell'ambito della produzione agricola. Articolo 23 1. Gli agricoltori ricevono un sostegno in compenso di impegni agroambientali della durata minima di cinque anni. Ove necessario, può essere fissato un periodo più lungo per particolari tipi di impegni a causa degli effetti di tali impegni sull'ambiente. 2. Gli impegni agroambientali oltrepassano l'applicazione delle normali buone pratiche agricole. Essi procurano servizi non forniti da altre misure di sostegno, quali il sostegno dei mercati o le indennità compensative. Articolo 24 1. Il sostegno agli impegni agroambientali viene concesso annualmente ed è calcolato in base ai seguenti criteri: il mancato guadagno, i costi aggiuntivi derivanti dall'impegno assunto e la necessità di fornire un incentivo. Nel calcolo dell'importo annuo di sostegno si può tenere conto anche del costo degli investimenti non remunerativi necessari all'adempimento degli impegni. 2. Gli importi annui massimi che possono beneficiare del sostegno comunitario figurano nell'allegato. Tali importi sono basati sulla superficie dell'azienda a cui si applicano gli impegni agroambientali. {.....OMISSIS.....} CAPO X Modalità di Applicazione Articolo 34 Dettagliate modalità di applicazione del presente titolo sono adottate secondo la procedura di cui all'articolo 50, paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 1260/1999. Tali modalità possono riguardare, in particolare: {.....OMISSIS.....} 1. le condizioni che disciplinano l'assunzione di impegni agroambientali (articoli 23 e 24) {.....OMISSIS.....} A - VII Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Articolo 42 I piani di sviluppo rurale si estendono su un periodo di sette anni a decorrere dal 1° gennaio 2000. Articolo 43 1. I piani di sviluppo rurale comprendono. una descrizione quantificata della situazione attuale, che indichi le disparità, le carenze e il potenziale di sviluppo, le risorse finanziarie impiegate e i principali risultati delle azioni intraprese nel precedente periodo di programmazione, in base ai risultati delle valutazioni disponibili, una descrizione della strategia proposta, i suoi obiettivi quantificati, i progetti di sviluppo rurale selezionati e la zona geografica interessata, una valutazione, che indichi gli effetti previsti dal punto di vista economico, ambientale e sociale, compreso l'impatto sull'occupazione, una tabella finanziaria generale indicativa, che rechi una sintesi delle risorse finanziarie nazionali e comunitarie impiegate e corrispondenti a ognuno degli obiettivi prioritari di sviluppo rurale previsti dal piano e, allorché il piano riguardi zone rurali dell'obiettivo 2, individui gli importi indicativi per le misure in materia di sviluppo rurale di cui all'articolo 33 in queste zone, una descrizione delle misure previste ai fini dell'attuazione dei piani e, in particolare, dei regimi di aiuto, comprendente gli elementi necessari per valutare le norme relative alla concorrenza, se del caso, dati relativi ad eventuali studi, progetti dimostrativi, azioni di formazione o di assistenza tecnica necessari per la preparazione, la realizzazione o l'adeguamento delle misure previste, l'indicazione delle autorità competenti e degli organismi responsabili, provvedimenti che garantiscano l'attuazione efficace e corretta dei piani, compresi il controllo e la valutazione, una definizione degli indicatori quantificati per la valutazione, delle disposizioni relative al controllo e alle sanzioni, nonché di pubblicità adeguata, i risultati delle consultazioni e l'indicazione delle autorità e organismi associati, nonché le parti economiche e sociali ai livelli appropriati. 2. Nei loro piani gli Stati membri: predispongono misure agroambientali sul loro territorio e secondo le loro specifiche esigenze, garantiscono il necessario equilibrio tra le varie misure di sostegno. {.....OMISSIS.....} TITOLO IV Aiuti di Stato Articolo 51 1. Salvo disposizione contraria prevista dal presente titolo, agli aiuti concessi dagli Stati membri per misure di sostegno allo sviluppo rurale si applicano gli articoli da 87 e 89 del trattato. Tuttavia, gli articoli da 87 e 89 del trattato non si applicano ai contributi finanziari accordati dagli Stati membri per misure che beneficiano del sostegno comunitario ai sensi dell'articolo 36 del trattato e secondo le disposizioni del presente regolamento. 2. Sono vietati gli aiuti agli investimenti nelle aziende agricole che superano le percentuali di cui all'articolo 7. Tale divieto non è applicabile agli aiuti destinati ad investimenti realizzati principalmente nell'interesse pubblico in relazione alla conservazione dei paesaggi tradizionali modellati da attività agricole e forestali o al trasferimento di fabbricati aziendali; ad investimenti in materia di tutela e miglioramento dell'ambiente; ad investimenti intesi a migliorare le condizioni di igiene e di benessere degli animali. 3. Sono vietati gli aiuti di Stato concessi agli agricoltori per compensare gli svantaggi naturali nelle regioni svantaggiate, se non soddisfano le condizioni di cui agli articoli 14 e 15. 4. Sono vietati gli aiuti di Stato a favore degli agricoltori in compenso di impegni agroambientali che no soddisfano le condizioni di cui agli articoli 22,23,24 . Possono tuttavia essere accordati aiuti supplementari che superino gli importi fissati a norma dell'articolo 24, paragrafo 2, purché siano giustificati a norma del paragrafo 1 di detto articoli. In casi eccezionali debitamente motivati, si può derogare alla durata minima di tali impegni, conformemente all'articolo 23, paragrafo 1. {.....OMISSIS.....} A - VII Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Articolo 55 1. Sono abrogati i seguenti regolamenti: regolamento (CEE) n. 4256/88, regolamenti (CE) n. 950/97, (CE) n. 951/97, (CE) n. 952/97 e (CEE) n. 867/90, regolamenti (CEE) n. 2078/92, (CEE) n. 2079/92 e (CEE) n. 2080/92, regolamento (CEE) n. 1610/89. 2. Sono abrogate le seguenti disposizioni: articolo 21 del regolamento (CEE) n. 3763/91(29), articolo 32 del regolamento (CEE) n. 1600/92(30), articolo 27 del regolamento (CEE) n. 1601/92(31), articolo 13 del regolamento (CEE) n. 2019/93(32). 3. I regolamenti e le disposizioni abrogate rispettivamente ai sensi dei paragrafi 1 e 2 rimangono applicabili alle azioni approvate dalla Commissione ai sensi dei regolamenti interessati anteriormente al 1° gennaio 2000. 4. Le direttive del Consiglio e della Commissione relative all'adozione di elenchi di zone svantaggiate, o alla modifica di tali elenchi a norma dell'articolo 21, paragrafi 2 e 3, del regolamento (CE) n. 950/97, rimangono in vigore, tranne se ulteriormente modificate nell'ambito dei programmi. {.....OMISSIS.....} ALLEGATO Tabella degli importi Articolo 8 (2) 12 (1) 15 (3) 16 24 (2) Oggetto Aiuti all'insediamento Tabella A.1 - Euro € Tabella degli Importi 25000 15000(*) per cedente e all'anno importo totale 150000 per cedente 3500 per lavoratore e all'anno 35000 importo globale per lavoratore indennità compensativa minima 25(**) per ettaro di terreni agricoli indennità compensativa massima 200 per ettaro di terreni agricoli Pagamento massimo 200 per ettaro Colture annuali 600 per ettaro Colture perenni specializzate 900 per ettaro Altri usi dei terreni 450 per ettaro Prepensionamento Premio annuale massimo per compensare le perdite di reddito provocate dall'imboschimento: 31 (4) 32 (2) per gli imprenditori agricoli o le loro associazioni 725 per ettaro per le altre persone di diritto privato 185 per ettaro Pagamento minimo 40 per ettaro Pagamento massimo 120 per ettaro (*) In base all'importo totale per cedente i pagamenti annuali massimi possono essere aumentati sino al doppio tenendo conto della struttura economica delle aziende nei territori e dell'obiettivo dell'accelerazione dell'adattamento delle strutture agricole. (**) questo importo può essere ridotto per tenere conto della situazione geografica particolare o della struttura economica delle aziende in taluni territori e per evitare compensazioni eccessive a norma dell'articolo 15, paragrafo 1, secondo trattino. A - IX Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Attualmente, a seguito dell'abrogazione del Reg. CE 2078/92 a motivo dell'attuazione del Reg. CE 1257/99, la Regione Autonoma della Sardegna nell'applicazione della nuova normativa, ha provvisoriamente previsto l'acquisizione delle sole domande di conferma annuale degli imprenditori agricoli alle misure agroambientali, riferentesi al Programma Regionale Agro-ambientale approvato ai sensi del Regolamento CE 2078/92, e relative ad eventuali aggiornamenti. Ha riservato, quindi, l'accettazione degli impegni annuali a coloro che già nelle precedenti annate hanno adottato gli appositi piani su base quinquennale, secondo le tipologie di impegno previste nell'articolo 2 dell'ex Reg. CE 2078/92l, con le sei diverse Sottomisure di riferimento che la RAS aveva stabilito di assumere. Al momento è in fase di definizione la stesura del nuovo Programma Regionale Agroambientale che conterrà, altresì, le tabelle relative alle misure provvisionali legate al sostegno in compenso di impegni agroambientali derivati dall'allegato al Reg. 1257/99. Di seguito si allegano le norme tecniche aggiornate, contenute nel Piano Regionale di Produzione Integrata, relativo all'adozione di tecniche di produzione integrata (denominata Sottomisura A1) secondo quanto disposto dal Reg. CE 2078/92. Tali norme potranno essere completate da quelle eventualmente aggiornate nel nuovo testo inerente le coltivazioni in "integrato" e afferenti al Reg. CE 1257/99. In riferimento, poi, all'introduzione di metodi di agricoltura biologica, secondo quanto previsto con l'adozione della Sottomisura A3, tutta la normativa vigente nell'intera UE, relativamente all'adozione dell'agricoltura biologica come metodo di produzione, deriva dall'adozione del Reg. CE 2092/91 e successive modifiche. Pertanto, gli imprenditori agricoli che hanno introdotto, all'interno delle loro intera superficie aziendale, i metodi di produzione biologica hanno nel Reg. CE 2092/91 un precisa normativa comunitaria da rispettare; da questa scaturiscono i disciplinari di produzione previsti dall'organismo di controllo nazionale, al quale i medesimi imprenditori hanno prescelto di aderire tra quelli riconosciuti dal MI.P.A.F. A-X Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Reg. (CEE) n. 2078/92 del Consiglio del 30 Giugno 1992 relativo a metodi di produzione agricola compatibile con le esigenze dell'ambiente e con la cura dello spazio naturale. Norme tecniche generali di applicazione della Sottomisura A1 del Programma regionale agro-ambientale della Regione Autonoma della Sardegna (Impegno "A" Reg., CEE 2078/92) Allegato 1 del Programma Regionale Agro-ambientale. (........OMISSIS........) Norme Generali Connesse all'Applicazione della Misura Obiettivi generali Le seguenti norme tecniche sono redatte in conformità con i criteri generali approvati con Decisione Comunitaria n® C(96) 3864 del 31-12-1996, con diminuzione dell'uso di fitofarmaci e diserbanti e per diffondere l'utilizzo di strategie e prodotti rispettosi dell'ambiente. La difesa fitosanitaria e il controllo delle infestanti devono essere attuati impiegando nella minore quantità possibile (quindi solo se necessario) e al minor impatto verso l'uomo e l'ambiente scelti fra quelli aventi caratteristiche di efficacia sufficienti ad ottenere la difesa delle produzioni a livelli economicamente accettabili Le norme tecniche proposte assumono, come punto di riferimento, le linee guida contenute nel documento "Integrated Production - Principles and technical guidelines", nel bollettino - IOBC/WPPRS - vol. 19 (1)1993. Modalità di adesione Le domande di adesione devono essere presentate all'ERSAT presso le sedi competenti per territorio, mediante compilazione, in ogni sua parte dell'apposito modello di domanda. Alla domanda deve essere allegata la seguente documentazione: dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà con cui si dichiara il titolo di proprietà o di possesso del terreno per la durata dell'impegno assunto; certificato o visura catastale; documentazione giustificativa del diritto di possesso se diverso da quello indicato nel certificato catastale; eventuale delega nel caso di più comproprietari; estratto di mappa o planimetria catastale (di tutti i corpi aziendali, sia in proprietà che in affitto); codice fiscale e/o partita IVA; piano aziendale agro-ambientale da presentare inizialmente e confermare o rinnovare annualmente; analisi del terreno; registro aziendale da consegnare ogni fine anno all'Ufficio Istruttore Il beneficiario è inoltre tenuto al rispetto di tutte le norme tecniche riportate nei disciplinari di produzione integrata. Vincoli e obbligazioni Il beneficiario si impegna a: effettuare l'analisi del terreno (granulometrica e chimica) ogni cinque anni; è ammessa la presentazione dl un referto analitico antecedente non oltre un periodo massimo di quattro di far data dalla presentazione della domanda; garantire una superficie minima coltivata di 2,00 Ha per le coltivazioni erbacee specializzate, anche se di diverse specie, e 0,50 Ha per le coltivazioni arboree specializzate anche se di diverse specie e per le colture protette; annotare tutte le operazioni relative al processo produttivo su registro aziendale; presentare il piano aziendale agro-ambientale all'atto della presentazione della domanda di adesione; presentare il piano di rotazione per le colture erbacee e protette all'atto della presentazione della domanda di adesione; adottare e realizzare annualmente almeno una delle misure ecologiche; dare tempestiva comunicazione di eventuali modifiche della situazione aziendale (vendita/acquisto terreni, cambio conduttore, variazioni colture, variazione rotazione, ecc.); A - XI Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro tutte le indicazioni evidenziate in grassetto e corsivo sia nei paragrafi che nelle tabelle "Diserbo" e "Difesa" assumono carattere vincolante e obbligatorio. Le Misure Ecologiche Le Misure Ecologiche si distinguono in: A - mezzi e metodi alternativi di difesa fitosanitaria; B - cure del terreno mediante mantenimento e miglioramento della fertilità. Le misure ecologiche sono: 1. Applicazione dei metodi di lotta guidata mediante l'uso di trappole cromo e chemiotropiche, a livello aziendale, allo scopo di monitorare l'entità demografica dei parassiti e prevedere, al superamento della soglia d'intervento, le più adeguate tecniche di difesa adottabili; 2. Applicazione di metodi di lotta biologica attraverso la diffusione di insetti predatori e parassitoidi o di altri artropodi; in questo caso si deve tenere conto della selettività dei fitofarmaci nei confronti degli ausiliari; la scelta di questa misura ecologica esclude l'utilizzo di prodotti chimici contro lo stesso parassita; 3. Applicazione di mezzi biotecnici mediante l'uso di attrattivi di tipo nutrizionale (esche avvelenate) o sessuali (feromoni) finalizzate all'abbattimento della popolazione del parassita (mass trapping); la scelta dl questa misura ecologica esclude l'utilizzo dl prodotti chimici contro lo stesso parassita; 4. Applicazione di mezzi di lotta microbiologica mediante l'impiego di batteri e funghi, purché regolarmente registrati e autorizzati dagli Organi competenti; la scelta di questa misura ecologica esclude l'utilizzo di prodotti chimici contro lo stesso parassita; 5. Applicazione di mezzi fisici quali la tecnica della solarizzazione o pacciamatura riscaldante mediante copertura del suolo con un film plastico trasparente per la disinfezione del terreno; la scelta dl questa misura ecologica esclude l'utilizzo dl diserbanti e/o geodisinfestanti; 6. Applicazione di mezzi meccanici (es. utilizzo di reti "anti- insetto", spazzolatura e potatura di risanamento); 7. Applicazione della tecnica della "falsa semina" sulle colture erbacee. Consiste nell'irrigazione anticipata del terreno da destinare alla coltivazione e nella lavorazione dello stesso dopo l'emergenza delle erbe infestanti. L'adozione dl questa misura ecologica esclude l'utilizzo dl diserbanti e/o geodisinfestanti; 8. Copertura del suolo mediante inerbimento naturale o indotto, o attraverso pacciamatura verde o artificiale (impiego di film in PVC o PE); per l'inerbimento e la pacciamatura verde è obbligatorio lo sfalcio e ne è vietato l'uso a fini zootecnici; 9. Concimazione verde mediante interramento (sovescio) di erbai coltivati; la scelta di questa misura ecologica permetterà, per quanto concerne la concimazione della specie coltivata interessata, il completamento, fino al raggiungimento del quantitativo massimo consentito dal disciplinare di produzione della specie, delle unità fertilizzanti In difetto tramite l'apporto di concimi chimici; 10. Utilizzo di fertilizzanti naturali, previsti dall'allegato 11 al Reg. CEE n. 2092191 e successive modifiche e integrazioni, quali: letami humificati (compost), liquami (purché nei limiti delle norme vigenti in materia di smaltimento dei reflui), scarti di macellazione (cornunghia, farina di carne, ecc.), materia organica compostata di diversa natura (vegetale, da reflui agro-industriali, ecc.); l'adozione di questa misura ecologica esclude la possibilità dl ricorrere, per la concimazione, all'uso dl concimi chimici; 11. Realizzazione di superfici di compensazione ecologica su almeno il 3% della S.A.U. aziendale, per ogni anno di applicazione, tramite l'impianto di siepi erbacee, arbustive e/o arboree; la riduzione della SAU non deve essere concentrata in un solo appezzamento, ma distribuita uniformemente su tutta la superficie aziendale interessata dalla misura; l'attuazione di questa misura ecologica ha lo scopo di rinforzare la diversità biologica incrementando il grado di stabilità dell'ecosistema; Si chiarisce che l'adozione delle misure ecologiche è obbligatoria perché consente la giustificazione ecologica ed economica dell'impegno assunto, in quanto il costo sostenuto per l'applicazione della misura ecologica comporta una riduzione di reddito per l'imprenditore. Qualora sl verificassero eventi fitopatologici eccezionali e, dl conseguenza, si rendessero indispensabili interventi non previsti dai disciplinari tecnici delle coltura interessata, il titolare dell'azienda aderente al Piano regionale di produzione integrata è tenuto a darne tempestiva comunicazione al tecnico ERSAT incaricato di effettuare i controlli. Entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione, il tecnico rilascerà per iscritto l'autorizzazione ad effettuare l'intervento richiesto o l'indicazione di soluzioni alternative, utilizzando In ogni caso principi attivi già inseriti nelle norme tecniche approvate. A - XII Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Norme Tecniche di Carattere Generale Le norme tecniche di seguito riportate riguardano sia la difesa fitosanitaria che il controllo delle infestanti. Sono da escludere formulati classificati "Molto tossici, Tossici o Nocivi" (ex prima e seconda classe) qualora dello stesso principio attivo siano disponibili anche formulati classificati "Irritanti" o "Non classificati" (ex terza e quarta classe). Possono essere impiegati solo i principi attivi e ausiliari indicati nelle tabelle di difesa o di diserbo. I principi attivi possono essere impiegati solo contro le avversità o le infestanti indicate nelle relative tabelle di difesa o di diserbo e non contro altre avversità o infestanti. I principi attivi utilizzabili sono solo quelli indicati nelle linee tecniche. Possono essere utilizzate solo le dosi di diserbante riportate nelle apposite tabelle, con la possibilità di impiegare anche formulati di diversa concentrazione purché la quantità di prodotto sia calcolata in proporzione. Possono essere impiegati i prodotti di cui all'allegato II del Reg. (CEE) n.2092/91 a condizioni che siano registrati in Italia. E' vietato l'impiego di geodisinfestanti e di fitoregolatori chimici ad eccezione di quanto specificatamente indicato nelle singole colture. Le soglie di intervento, qualora esplicitamente riportate nelle tabelle difesa, sono da ritenersi obbligatorie. Il Controllo delle Infestanti Criteri Fondamentali Nel controllo delle infestanti si dovrà tenere conto dei seguenti parametri di valutazione: 1. Previsione della composizione fioristica: Si basa su osservazioni fatte nelle annate precedenti e/o su valutazioni di carattere zonale sulle infestanti maggiormente diffuse sulle colture praticate. Tale approccio risulta indispensabile per l'impostazione di eventuali interventi di diserbo e pertanto deve essere esplicitato nel piano aziendale agro-ambientale. 2. Valutazione della flora infestante effettivamente presente: E' da porre in relazione alla previsione e serve per verificare il tipo di infestazione effettivamente presente e per la scelta delle soluzioni e dei prodotti da utilizzare, in particolare nei trattamenti di post-emergenza. In tale evenienza, anche questa valutazione deve essere ricompresa nel piano aziendale agro-ambientale. 3. Impostazione dei piani di rotazione colturale. Devono essere predisposti in base alle esigenze economiche dell'azienda, tenuto conto dell'esigenza di evitare la specializzazione delle infestanti e partendo dal presupposto obbligatorio che le specie depauperanti non possono tornare sullo stesso suolo per almeno un triennio. Il piano di rotazione colturale è obbligatorio per tutte le specie erbacee. 4. Diserbo chimico. Qualora il diserbo chimico si renda necessario, tenuto conto degli aspetti trattati ai punti 1., 2., 3., possono essere utilizzati esclusivamente i principi attivi diserbanti riportati nelle tabelle. La distribuzione del p.a. deve avvenire in funzione della presenza di erbe infestanti (e quindi si privilegia il trattamento in post-emergenza) o con trattamenti cautelativi in pre-emergenza, da privilegiare ai trattamenti in pre-semina. Qualora questi ultimi siano ritenuti indispensabili si dovrà intervenire con principi attivi a bassa persistenza. E' consigliabile effettuare la preparazione anticipata del letto di semina e attuare la tecnica della "falsa semina". Disciplinari Tecnici per il controllo delle Infestanti (.... OMISSIS.......) Coltivazioni Arboree Si riportano le norme tecniche valide per il controllo delle infestanti delle seguenti specie: Agrumi e fruttiferi (drupacee e pomacee) Olivo da olio e da mensa Vite da vino e da tavola A - XIII Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Sono da privilegiare l'applicazione delle tecniche di gestione del suolo quali l'inerbimento e lo sfalcio delle infestanti. E' necessario limitare le lavorazioni meccaniche pur preferendole all'intervento chimico. Quando si pratica il diserbo chimico deve essere esplicitamente prevista nel piano aziendale agro-ambientale lo studio della composizione floristica. I trattamenti sono ammessi limitatamente ad interventi lungo la fila. Controllo delle infestanti negli oliveti Infetanti Monocotiledoni e Dicotiledoni Criteri di intervento Non ammessi interventi chimici nelle interfile Principi attivi Tabella A.2 - Dosi massime ammesse Glifosate (30,4%) 3 l/ha Glifosate trimesio (13,1%) 5 l/ha Glufosinate ammonio (11,33%) 5 l/ha Limitazioni d'uso e note Controllo delle infestanti negli oliveti E' ammesso un impiego proporzionale della combinazione dei tre p.a. Sono consentiti massimo 2 interventi/anno indipendentemente dall'erbicida utilizzato Le dosi si intendono per ettaro di superficie effettivamente trattata, che deve essere sempre inferiore almeno al 50% della superficie complessiva Le lavorazioni meccaniche dell'interfilare non devono essere mai profonde in areali dove è presente la tracheoverticillosi. Alternare le frese con strumenti discissori. Utilizzare attrezzature ben tarate ed impiegare bassi volumi Difesa Fitosanitaria Criteri Fondamentali Nell'individuazione delle strategie di difesa integrata si dovrà tenere conto dei seguenti principi: 1. Gli interventi di difesa dovranno essere mirati alla lotta delle fitopatie effettivamente presenti o per le quali si manifestino condizioni climatiche predisponenti. Pertanto qualsiasi intervento fitosanitario (biologico, agronomico o chimico) dovrà derivare da una attenta valutazione della presenza di fitoparassiti nella coltivazione in atto attraverso l'attuazione di modelli previsionali per le malattie crittogamiche e l'utilizzo di sistemi per il monitoraggio (visivi, trappole cromotropiche e chemiotropiche) del parassita più frequente e dannoso. 2. Qualora si renda necessario intervenire, è da privilegiare l'impiego di mezzi di difesa biologici (lancio di insetti utili, lotta microbiologica, ecc.) biotecnici (impiego di esche avvelenate, mass trapping, ecc.), agronomici (solarizzazione, rotazione colturale, ecc.) o fisici (utilizzo di reti antinsetto, pacciamatura, ecc.). 3. Qualora i sistemi di difesa sopraccitati non manifestino efficacia o non siano disponibili e il parassita superi la soglia di danno, si può intervenire con l'adozione di tecniche di lotta chimica. In ogni caso sono impiegabili esclusivamente i principi attivi riportati nelle tabelle di difesa fitosanitaria per le colture interessate, limitatamente alle fitopatie per i quali sono registrati e con le limitazioni riportate nell'apposita colonna. 4. I principi attivi inseriti nelle norme tecniche di difesa fitosanitaria sono stati selezionati secondo i seguenti parametri: ridotta tossicità per l'uomo, intesa come appartenenza alle classi tossicologiche "molto tossici," "tossici o nocivi". Eventuali deroghe sono espressamente riportate nelle norme tecniche per coltura. elevato grado di selettività nei confronti degli organismi utili. Allo scopo sono state utilizzate le tabelle di selettività IPM e le risultanze delle sperimentazioni condotte dal BIOLAB di Cesena. bassa persistenza e rapida degradazione del principio attivo. A - XIV Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Norme Techine di Difesa Fitosanitaria (.... OMISSIS.......) Coltivazioni Arboree Si riportano le norme tecniche per la difesa fitosanitaria integrata delle seguenti specie: Albicocco Agrumi Ciliegio Mandorlo Melo Olivo da olio e da mensa Pero Pesco Susino Vite da vino e da tavola E' da privilegiare l'applicazione delle tecniche di lotta biologica e biotecnica quali il lancio di insetti utili, l'impiego di B. thuringiensis, tecniche di confusione sessuale, mass trapping. E' necessario inoltre effettuare correttamente le operazioni di potatura. Le strategie di difesa fitosanitaria previste saranno strettamente connesse alla misura ecologica prescelta e dovranno essere riferite alle singole colture e illustrate nel piano aziendale agro-ambientale, con particolare dettaglio per le avversità maggiormente ricorrenti. Tabelle A.3, Difesa e Note Esplicative Norme Tecniche di Fertilizzazione Per l'assunzione dell'impegno alla Sottomisura A1, i beneficiari dovranno allegare alla domanda il piano aziendale agro?ambientale, che si compone di un piano di fertilizzazione, del piano di difesa fitosanitaria, del piano di rotazione colturale e dell'indicazione della misura ecologica prescelta. Il piano di fertilizzazione costituisce l'impegno alla distribuzione degli apporti fertilizzanti secondo le modalità stabilite dai singoli disciplinari di produzione integrata, in linea con quanto previsto dal "Codice della buona pratica agricola" e nel rispetto della normativa vigente in materia di salvaguardia delle acque. In linea di principio, la fertilità dei suoli deve essere salvaguardata attraverso l'adozione di tecniche agronomiche, quali il sovescio, il riciclo di sostanza organica prodotta in azienda (compost di vegetali, letame maturo, ecc.), inerbimento e programmi di rotazione colturale, riducendo al minimo l'apporto di inputs energetici esterni (fertilizzanti minerali di sintesi). Si ricorre alla fertilizzazione chimica solo qualora l'adozione delle tecniche agronomiche sopra citate risulti insufficiente a mantenere un livello minimo di contenuto in elementi nutritivi. In ogni caso tale esigenza deve essere esplicitata tramite un "piano di fertilizzazione aziendale", redatto e sottoscritto da un tecnico abilitato, che deve prevedere: il fabbisogno nutrizionale delle colture (almeno per i tre principali elementi: Azoto, Fosforo, Potassio) in relazione alla resa attesa; le caratteristiche fisico?chimiche dei suoli; le caratteristiche dei fertilizzanti da utilizzare; le epoche di distribuzione in relazione alle fasi fenologiche corrispondenti ad un più accentuato assorbimento di elementi nutritivi. E' obbligatorio il frazionamento nella fertilizzazione azotata e fosfatica; le modalità di distribuzione più efficienti; gli eventuali apporti derivanti da mineralizzazione di sostanza organica (tramite sovesci, successioni colturali, ecc.); le eventuali influenze derivanti dall'adozione della misura ecologica prescelta. Qualora venga adottata come misura ecologica l'apporto di fertilizzanti naturali (intesi come quelli previsti dall'Allegato 11 del Reg. CEE n. 2092/91) viene bandito l'impiego di fertilizzanti minerali di sintesi. Tutte le operazioni di fertilizzazione devono essere esplicitamente riportate nel registro aziendale. Eventuali interventi di fertilizzazione fogliare devono essere preventivamente autorizzati dall'Ufficio Istruttore. A - XV Tabelle Difesa Note Esplicative sulla Lettura delle tabelle "difesa" Le tabelle "difesa" riportate nelle seguenti norme tecniche si compongono di quattro colonne: Colonna 1: Avversità - identifica l'avversità (crittogamica o da fitofagi) controllata dai principi attivi e dai criteri d'intervento riportati nella medesima riga; Colonna 2: Criteri d'intervento - Individua i criteri agronomici, biologici e chimici da seguire; le soglie di danno e i criteri individuati in neretto e corsivo assumono carattere vincolante e/o di obbligazione; Colonna 3: Principi attivi - identifica i principi attivi utilizzabili per il controllo delle infestanti. tra parentesi è riportata la concentrazione del formulato di riferimento; è ammesso l'utilizzo dei soli principi attivi riportati nell'apposita colonna. Colonna 4: Note e limitazioni d'uso - identifica le limitazioni d'uso e i consigli sul corretto impiego dei principi attivi e delle tecniche di difesa consigliate. tabella di esempio Avversità CRITTOGAME occhio di pavone (Spilocaea oloeaginea) Principi attivi e ausiliari Criteri d'intervento Agronomico: - potature frequenti e disinfezioni delle ferite da taglio; - eliminare con potature la vegetazione in eccesso della chioma; - concimazioni equilibrate. Limitazioni d'uso e note Dodina(**) (**) massimo 1 trattamento Composti all'anno. rameici(*) (*) massimo 2 trattamenti annui indipendentemente dall'avversità controllata. Chimico: - interventi eradicanti che causano la caduta delle foglie colpite, in base a osservazioni in campo e con l'ausilio del metodo della diagnosi precoce. Tutto ciò che in tabella viene evidenziato in neretto e corsivo (ad esempio (*) utilizzabile solo per trattamenti localizzati) assume carattere vincolante e di obbligazione. Risultano inoltre esplicitamente riportati gli interventi per i quali si richiede l'autorizzazione preliminare del tecnico ERSAT. Ai principi attivi contrassegnati con l'asterisco (*) è correlata una nota o una limitazione d'uso specifica. DIFESA OLIVO (da olio e da tavola) Avversità FITOFAGI Mosca olearia (Bactrocera oleae) Criteri d'intervento Agronomico: - potature razionali - raccolta anticipata - raccolta completa anche nelle annate di scarica. Monitoraggio: - monitoraggio del fitofago attraverso trappole a feromoni - campionamento delle drupe e valutare le punture fertili, 2% olive da mensa e 10-15% olive da olio per giustificare l'intervento. Biotecnici: - massima efficacia con interventi comprensoriali - con tavolette avvelenate e con attrattivi alimentari per ciascuna pianta per la cattura massale. Biologici: - lancio di predatori (Opius concolor). Principi attivi e ausiliari Deltametrina(1) Opius concolor Dimetoato(*) Formotion(*) Fosfamidone(*) Triclorfon(**) Dimetoato(**2) Formotion(**) Limitazioni d'uso e note (1) da impiegare esclusivamente per avvelenare le tavolette. (*) per avvelenare le esche proteiche per la distribuzione localizzata. (*) massimo 5 interventi con esche proteiche avvelenate. (**) indipendentemente dall'avversità controllata massimo 2 trattamenti curativi per cvs da olio e 3 trattamenti per cvs da mensa. (2) per il Dimetoato dosi massime di (40 gr. di p.a./Hl). Chimici: Metodo preventivo - massima efficacia con interventi comprensoriali; - esche proteiche avvelenate localizzate su 1/4 di chioma; - soglia di intervento: 2 femmine/trappola per settimana luglio-agosto, 10 femmine/trappola per settimana a settembre, 30 femmine/trappola per settimana a ottobre. Metodo misto - trattamento con esche proteiche avvelenate e successivamente 1 o 2 trattamenti curativo; Metodo curativo - intervenire al superamento della soglia di intervento del 10-15% di punture fertili per olive da olio e del 2% per cultivars da mensa; - intervento con principi attivi a dosaggio minimo. Tignola (Prays oleae) Monitoraggio: - impiego di trappola a feromoni e determinazione del picco di catture; Biologici: - in natura sono presenti numerosi nemici naturali della tignola; - controllo della generazione antofaga con bioinsetticidi B. thuringiensis. Fenitrotion(*) Dimetoato(*) Triclorfon(*) Formotion(*) (*) massimo 1 trattamento annuo con prodotti chimici di sintesi contro questo fitofago, efficaci anche contro la Rinchite. Oli minerali bianch(*) Buprofezin(*) (*) massimo un trattamento annuo Chimici: - trattamenti curativi esclusivamente contro la generazione carpofaga al superamento della soglia di intervento del 15% di infestazione attiva per olive da olio e del 5% per olive da mensa. Cocciniglia nera (Saissetia oleae) Agronomici: - razionalizzare la concimazione azotata; - potature frequenti per arieggiare la vegetazione e permettere l'insolazione dei rami; - eliminare i rami più colpiti con la potatura; Biologici: - proteggere l'entomofauna utile limitando i trattamenti a tutta la chioma Chimici: - intervenire contro le neanidi di 1° e 2° età perché più vulnerabili dopo la valutazione della % di infestazione (5-10 neanidi per foglia nel periodo estivo). Margaronia (Palpita unionalis) Agronomico: - eliminazione dei polloni che risultano focolai di infezione; Bacillus thuringiensis Biologico: - salvaguardia dell'entomofauna utile; - intervenire con Bacillus thuringiensis - di norma non è necessario intervenire negli oliveti adulti. CRITTOGAME occhio di pavone (Spilocaea oloeaginea) Agronomico: - potature frequenti e disinfezioni delle ferite da taglio; - eliminare con potature la vegetazione in eccesso della chioma; - concimazioni equilibrate. Chimico: Dodina(**) Composti rameici(*) (**) massimo 1 trattamento all'anno. (*) massimo 2 trattamenti annui indipendentemente dall'avversità controllata. - interventi eradicanti che causano la caduta delle foglie colpite, in base a osservazioni in campo e con l'ausilio del metodo della diagnosi precoce. Batteriosi (Palpita unionalis) Agronomico: - eliminare con la potatura i rami colpiti; - disinfezione delle ferite da taglio della potatura. Biologico: - trattare esclusivamente in caso di forti attacchi e dopo il verificarsi di fattori predisponenti (grandinate). Composti rameici (*) massimo 2 trattamenti annui indipendentemente dall'avversità controllata. Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro L'Analisi del Terreno. Il piano di fertilizzazione viene ammesso solo previa presentazione e verifica da parte dell'Ufficio Istruttore del referto di analisi fisico?chimica allegato alla domanda di adesione. L'analisi dovrà essere effettuata da laboratori autorizzati secondo le metodiche in uso a livello nazionale, utilizzando campioni prelevati a diversa profondità e in diverse zone dell'appezzamento aziendale. La scelta dei punti di prelievo può essere effettuata secondo le note modalità di campionamento (irregolare, sistematico o composto pluriforme). All'interno del territorio aziendale dovranno essere individuate e identificate in planimetria aree omogenee per tipologia prevalente di suolo (origine geologica, tessitura, morfologia e struttura) e per ordinamento colturale e/o indirizzo produttivo. Per ogni appezzamento dovranno essere determinati almeno i seguenti parametri: granulometria, pH, calcare totale, calcare attivo, azoto totale, fosforo assimilabile, ossido di potassio scambiabile, Sostanza Organica. Limitatamente ai parametri chimici, l'analisi dovrà essere ripetuta almeno una volta nell'arco del quinquennio (tra il terzo e il quarto anno) o, qualora sussistano dubbi, in qualunque momento del periodo d'impegno dietro richiesta dell'Ufficio Istruttore. Va altresì evidenziato che il calcolo delle Unità fertilizzanti da apportare deve tenere conto delle successioni colturali proposte nel piano di rotazione colturale (obbligatorio per le colture erbacee annuali). ï¿œin ogni caso vietato superare i limiti massimi previsti dai disciplinari tecnici per coltura e disattendere eventuali ulteriori limiti riportati nelle norme tecniche. Il piano di fertilizzazione deve essere obbligatoriamente adeguato ogni anno per le colture erbacee, mentre è facoltativo per le colture arboree. Qualora per queste ultime non si presentino modifiche entro l'inizio dell'annata agraria è implicita la riconferma dei livelli di fertilizzanti dichiarati nell'annualità precedente. Qualunque variazione potrà essere apportata solo previa approvazione da parte dell'Ufficio Istruttore. Norme Tecniche di Fertilizzazione delle colture arboree Le norme tecniche appresso riportate sono relative a coltivazioni arboree in produzione (almeno al terzo anno d'impianto), non essendo nuovi impianti ammissibili a fruire degli aiuti previsti dalla Sottomisura A1 del Programma Regionale Agro?ambientale. Tuttavia, poiché sussiste il vincolo di aderire alla Sottomisura con la totalità della superficie aziendale coltivata, anche sui nuovi impianti devono essere applicate le norme del presente Piano Regionale di Produzione Integrata. Pertanto su queste superfici la fertilizzazione sarà autorizzata previa presentazione di referto analitico dei suoli e del conseguente plano di fertilizzazione. In ogni caso nei nuovi impianti la distribuzione dei fertilizzanti dovrà essere localizzata e l'apporto dl azoto dovrà essere frazionato per quantitativi superiori ai 60 kg di Azoto. Eventuali deroghe debitamente documentate, dovranno essere esaminate ed autorizzata dal Comitato Regionale di Controllo. Le norme tecniche che seguiranno riguardano le principali coltivazioni arboree praticate in Sardegna; nello specifico interessano coltivazioni specializzate di vite, olivo, agrumi, principali drupacee (pesco, mandorlo, susino, albicocco) e pomacee (melo, pero). Le norme tecniche sono state redatte tenendo conto dei seguenti aspetti: 1. Sono stati fissati i quantitativi massimi di elementi fertilizzanti da apportare annualmente tramite la concimazione minerale; 2. Nei terreni a bassa dotazione di sostanza organica è preferibile l'apporto parziale o totale delle unità fertilizzanti tramite la concimazione organica. In ogni caso, il quantitativo di unità fertilizzanti derivanti dalla somma della frazione organica e di quella minerale non potrà superare il limite massimo stabilito per coltura; 3. La quantità di fertilizzante deve avvenire in base alle asportazioni ed alla dotazione in elementi nutritivi del suolo; 4. Effettuare gli interventi fertilizzanti nei periodi di maggior assorbimento assecondando le esigenze della coltura. In ogni caso le componenti azotate, dovranno essere frazionate. Quantitativi massimi in asciutto: - 70 Kg di azoto - 50 Kg di P2O5 - 50 Kg di K2O con irrigazione: - quantitativi superiori del 20% rispetto ai precedenti Consigliato Obblighi - praticare interventi di concimazione organica - localizzare la distribuzione negli oliveti giovani; - concimazione fosfo-potassica autunnoinverno; - concimazione azotata alla ripresa vegetativa. - non superare i quantitativi massimi consentiti - non distribuire oltre 40 unità di azoto per volta - frazionare la concimazione azotata; - Concimare in base alle asportazioni A - XV Tabella A.4 Fertilizzazione oliveti specializzati (minimo 70 piante/ha) Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura di Cagliari, Oristano e Nuoro Bibliografia 1. AGOSTEO G.E., CACCIOLLA S.O., MAGNANO DI SAN LIO, 2000. Root rot of young olive trees caused by Phytophthora palmivora in southern Italy. Intern. Symposium on olive grown. 25-30.09.2000, Valenzano (Italy). Abstract 5.119. 2. 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