Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Indice dei Capitoli
Presentazione
Prefazione
Capitolo 1: Posizione sistematica, origine e diffusione
Obiettivi
Posizione sistematica, origine e diffusione
Capitolo 2: Superfici, Produzioni e Mercato internazionale
Obiettivi
Superfici, Produzioni e Mercato internazionale
Il mercato internazionale degli oli di oliva
Il mercato internazionale delle olive da tavola
L'olivicoltura italiana
L'olivicoltura della sardegna
Capitolo 3: La propagazione dell'olivo
Obiettivi
La propagazione dell'olivo
Ruolo e importanza del vivaismo olivicolo
Le tecniche di propagazione
Capitolo 4: L'impianto dell'oliveto
Obiettivi
L'impianto dell'oliveto
Considerazioni climatiche
Considerazioni sulla giacitura e natura dei terreni
Operazioni preliminari all'impianto
Tracciamento e piantumazione
Capitolo 5: La scelta varietale per l'olivo da olio e da mensa
Obiettivi
La scelta varietale per l'olivo da olio e da mensa
Il patrimonio varietale italiano
Varietà sarde
Capitolo 6: Biologia fiorale dell'olivo
Obiettivi
Biologia fiorale dell'olivo
Capitolo 7: Il clima dell'oliveto sardo
Obiettivi
Il clima dell'oliveto sardo
Aspetti generali del clima della Sardegna
Le precipitazioni delle aree olivetate
Le temperature delle aree olivetate
L'agrometeorologia dell'olivo
Capitolo 8: Esigenze idriche e irrigazione
Obiettivi
Esigenze idriche e irrigazione
Effetti dello stress idrico
Effetti dell'irrigazione
Stima dei fabbisogni idrici
Pianificazione irrigua
Qualità dell'acqua
Capitolo 9: La gestione del terreno
Obiettivi
La gestione del terreno
Le lavorazioni ordinarie
Il diserbo chimico
L'inerbimento
Capitolo 10: Esigenze nutritive e concimazione
Obiettivi
Esigenze nutritive e concimazione
Cenni su fotosintesi e respirazione
Ciclo dell'azoto nell'oliveto
Il ruolo del terreno nell'assorbimento dei nutrienti
Valutazione del fabbisogno e ruolo dei principali nutrienti
Conclusioni
Capitolo 11: Potatura e forme di allevamento
Obiettivi
Potatura e forme di allevamento
Principali operazioni di potatura
Potatura di allevamento
Potatura di produzione
Potatura di riforma
Forme di allevamento
Capitolo 12: Difesa: fitofagi dell'olivo
Obiettivi
Difesa: fitofagi dell'olivo
Fitofagi principali
Fitofagi secondari
Fitofagi di importanza minore
Gestione fitosanitaria dell'oliveto
Capitolo 13: Difesa: avversità non parassitarie
Obiettivi
Difesa: avversità non parassitarie
Eccessi di caldo
Eccessi di freddo
Capitolo 14: Difesa: malattie parassitarie dell'olivo
Obiettivi
Difesa: malattie parassitarie dell'olivo
La rogna o tubercolosi
L'occhio di pavone o vaiolo
La piombatura
La lebbra
La verticilliosi
Seccumi dei rami
Altre forme di marciumi dei frutti
Giallumi
I marciumi radicali
La carie
La fumaggine
Virus, virosi e malattie simil-virali
La lotta integrata
Capitolo 15: La raccolta delle olive
Obiettivi
La raccolta delle olive
Metodi di raccolta
Intercettazione del prodotto
Organizzazione del cantiere di raccolta
Considerazioni finali
Capitolo 16: Aspetti qualitativi dell'olio di oliva
Obiettivi
Aspetti qualitativi dell'olio di oliva
La composizione dell'olio
La classificazione merceologica
L'analisi sensoriale
Fattori che influenzano la qualità
La conservazione dell'olio di oliva
Appendice: Norme e Regolamenti Legislativi
Bibliografia
Credits
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Presentazione
Le produzioni olivicole-olearie si stanno espandendo in diversi paesi del Mediterraneo, (Nord Africa e Asia Minore)
ma Anche nelle Americhe, in Australia e in Sud Africa.
In Italia e specificatamente in Sardegna la coltivazione dell'olivo può avere un futuro, tenuto conto dei costi elevati e
della entità dimensionale delle piantagioni e degli impianti di coltivazione?
La non facile risposta all' impegnativa domanda può avere un orientamento positivo se si verificassero (o meglio se
si programmassero) alcune condizioni di base:
privilegiare e supportare gli ambienti pedo-climatici e antropici di maggiore valenza;
utilizzare le opportunità derivanti dalla disciplina della Denominazione di Origine Protetta, in corso di
approvazione per l'olio extravergine della Sardegna, con l'obiettivo di valorizzare le peculiarità produttive;
esaltare, nella coltivazione e nella trasformazione, le caratteristiche tipiche degli oli sardi di alto livello
compositivo ed organolettico;
organizzare azioni di marketing, mirate a mettere in risalto e supportare la valorizzazione delle peculiarità e
la salubrità delle produzioni ottenute in un ambiente molto positivo sotto il profilo ecologico;
costruire sistemi produttivi capaci di proiettarsi con efficacia nelle fasce più interessanti di mercato;
assicurare una adeguata remunerazione delle produzioni delle materie prime di elevate e specifiche
caratteristiche.
Considerazioni analoghe possono essere fatte per le produzioni di olive da mensa. Lungi dal voler enunciare un
decalogo di buoni propositi, riteniamo che la possibilità di qualificazione delle produzioni agricole ed agroalimentari
della Sardegna passano per percorsi obbligati che debbono prevedere la valorizzazione delle aree vocazionali, le
tipicità del territorio e delle coltivazioni unitamente al perfezionamento delle conoscenze della pianta, delle tecniche
e dei processi di trasformazione.
Fare il punto sulla olivicoltura, aggiornare le conoscenze, le linee di movimento delle tecniche agronomiche,
l'ottenimento di produzioni salubri e di alta qualificazione sono dei presupposti fondamentali per conseguire
l'obiettivo di ottenere un prodotto tipico, di qualità che possa essere venduto ad un prezzo remunerativo anche per
l'agricoltore.
La chiusura di questa equazione, l'unica possibile di questi tempi, spetta ai Produttori che devono poter contare
sulle strutture tecniche, burocratiche organizzative e di marketing per conseguire l'obiettivo.
In questo scenario anche l'assistenza tecnica specialistica rappresenta una fase importante per la crescita ed una
più efficiente organizzazione del comparto olivicolo oleario della Sardegna che, peraltro, è l'unico che, tra le
coltivazioni arboree da frutto, attraversa una fase espansiva.
La presente edizione del Manuale di Olivicoltura su CD-ROM, e stata appositamente elaborata per renderne più
fruibile e immediato l'utilizzo divulgativo. Senza stravolgere l'impostazione editoriale del volume, sono stati aggiunti
ulteriori dati e elementi multimediali,. Il lavoro, inserito nelle attività relative ai progetti tesi al "Miglioramento della
qualità dell'olio" (Regolamento 528/99), si integra in questo contesto e cerca di dare risposta alla pressante
domanda di innovazione che il mondo olivicolo locale ha espresso in questi anni. Ritengo che il Manuale possa
contribuire in maniera decisa a razionalizzare la fase produttiva: realizzazione oculata di nuovi impianti, utilizzo
consapevole delle risorse tecniche, aumento delle produzioni unitarie, contenimento dei costi, miglioramento dei
livelli qualitativi. Agli autori di questo importante volume sulla olivicoltura un vivissimo ringraziamento da parte del
Consorzio e dei Produttori olivicoli-oleari.
Dott. Aldo Palomba
Presidente del Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
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Prefazione
Gli anni novanta sono stati caratterizzati da una ripresa di interesse per la coltivazione dell'olivo e per la produzione
dell'olio e delle olive trasformate.
Le conoscenze sempre più affinate sulle potenzialità agronomiche e tecnologiche delle diverse varietà nei differenti
ambienti, i comportamenti delle piante autoradicate e innestate, i sesti di impianto dei nuovi oliveti, funzionali anche
alla utilizzazione delle tecniche irrigue ed alla meccanizzazione integrale delle coltivazioni, oltre ai diversi metodi di
lotta ai litofagi, sono stati approfonditi in maniera adeguata nell'ultimo decennio dalle strutture sperimentali e dalle
aziende olivicole.
Pertanto, il patrimonio di conoscenze concretamente verificate in campo, si è notevolmente accresciuto e le reali
possibilità di realizzare un modello olivicolo più moderno e adeguato ai tempi ed ai costi è stato messo a punto.
Inoltre le tecniche di biologia molecolare che permettono di caratterizzare in maniera precisa le varietà e di
identificare la presenza di alcune patologie di origine virale rappresentano ulteriori elementi utili per la costruzione
di una olivicoltura sempre più consapevole delle sue potenzialità e dei relativi limiti.
Anche la caratterizzazione analitica ed organolettica degli oli provenienti da specifiche varietà, nei diversi ambienti
della Sardegna ha consentito di valutare al meglio le peculiarità compositive e gustative di produzioni olivicole e
olearie ottenute da varietà e biotipi tradizionali e non.
Le conoscenze tecniche anche su potenzialità e limiti delle coltivazioni con metodo biologico o integrato, solo in
parte sono state definite, mentre per una serie di aspetti devono essere ulteriormente approfondite, per poter
disporre di elementi meno incerti e maggiormente attendibili del passato.
L'encomiabile, e molto apprezzato sforzo effettuato dagli Autori di questo interessante volume, reso più
efficacemente utilizzabile con il trasferimento dei capitoli su CD-ROM, consente di disporre di uno strumento di
lavoro aggiornato sotto il profilo tecnico e scientifico, utile agli operatori del settore, sempre più orientati ad una
sempre più consapevole gestione della coltivazione dell'olivo.
Dott. Salvatore Spada
Direttore Generale Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
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Capitolo 1 - Posizione sistematica, origine e diffusione
Obiettivi
Il capitolo descrive il processo di domesticazione della specie e il suo inquadramento sistematico.
L'Olivo coltivato e l'Oleastro hanno avuto origine nel Vicino Oriente come risultato del processo di domesticazione di
specie spontanee; tra queste l'Olea chrysophilla. Il termine olivastro deve, quindi, utilizzarsi per i semenzali ottenuti
da varietà coltivate. La diffusione di oleastro e olivastro negli ecosistemi naturali e seminaturali dell'area
mediterranea deriva dalla disseminazione svolta, in prevalenza, da diverse specie di uccelli. Alla stessa famiglia
delle Oleacee, appartengono il frassino, il lillà, la fillirea e il ligustro. Tutte le specie del genere Olea hanno 46
cromosomi (fase diploide). Il capitolo riporta la dinamica di diffusione dell'olivo nel bacino del Mediterraneo e negli
altri continenti.
Posizione sistematica, origine e diffusione
L'areale di origine dell'Olea europaea L. si colloca presumibilmente nel Vicino Oriente, dove il processo di
domesticazione della specie O. chrysophilla Laxx. ha dato luogo, dapprima, all'Olivo selvatico o oleastro (O.
oleaster L. sinonimo di O. europaea oleaster e di O. europaea sylvestris), e successivamente all'Olivo coltivato. Il
termine olivastro si deve, quindi, attribuire ai semenzali delle varietà coltivate che, nei territori riconducibili al
fitoclima del Lauretum, sottozona calda e media (Pavari, 1937), trovano condizioni compatibili con la
disseminazione naturale, grazie soprattutto alla predazione esercitata sulle drupe da diverse specie di uccelli.
L'Olivo appartiene alla famiglia delle Oleaceae (tav.1.1) che comprende 17 generi, tra i quali meritano di essere
ricordati, oltre all'Olea, il Fraxinus, il Syringa, il Phillyrea e il Ligustrum.
TRIBU'
SOTTOTRIBU'
GENERI
Fraxineae
1. Fontanesia, Labill., con una specie
2. Fraxinus L., con 39 specie
Syringeae
3. Forsythia Vahl, con due specie
4. Nathusia Hochst., con quattro specie
5. Syringa L., con dieci specie
Oleineae
6. Hesperealaea Gray, con una specie
7. Phillyrea L., con sei specie
8. Osmanthus Lour., con dieci specie
9. Forestiera Poir., con quattordici specie
10. Noronhia Stadt., con una specie
11. Mayepea Aubl., con quaranta specie
12. Notelaea Vent., con sette specie
13. Chionanthus L., con due specie
14. Tessarandra Miers., con una specie
15. Olea L., con trentuno specie
16. Ligustrum L., con trentacinque specie
17. Myxopyrum Blume, con due specie
OLEOIDEAE
Tavola 1.1 Aspetto sistematico
della famiglia delle
oleaceae
JASMINOIDEAE
La sistematica del genere Olea è tuttora oggetto di studio; secondo alcuni Autori comprenderebbe 13 specie (
tav.1.2), asecondo altri oltre 30. L'unica che possa rivestire un qualche interesse agronomico per l'area
mediterranea, oltre naturalmente all'O. europaea, è l'O. cuspidata sperimentata come portinnesto per la sua
resistenza alla verticilliosi. E', però, evidente che le diverse entità specifiche rappresentano materiale di estremo
interesse per i programmi di miglioramento genetico. Tutte le specie di Olea hanno 2n = 46 cromosomi.
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Le prime citazioni storiche di una coltivazione dell'Olivo sono state reperite a Ebla, massimo centro della civiltà
protosiriana matura ubicato nel nord della Siria, dove tavolette di scrittura cuneiforme della metà del III millennio
riferiscono di un'annata caratterizzata da elevata produzione di olio. Dall'Asia l'Olivo è introdotto in Egitto (fig. 1.1)
dove risulta presente già nell'Antico Regno (3.000 a.C.), e largamente coltivato nel Nuovo Regno: un'iscrizione del
tempio del dio Ra a Eliopoli, attribuibile alla XX dinastia (Ramesse III, 1197 - 1165 a. C.), riporta che gli oliveti della
città fornivano il miglior olio di Egitto per l'alimentazione delle lampade nel palazzo sacro.
Figura 1.1 - Espansione dell'olivo nel
bacino del Mediterraneo dalla sua
presumibile zona di origine (Morettini,
1972)
La coltivazione dell'Olivo è riportata nei libri dell'Antico Testamento, come il Deuteronomio, e citata dai profeti
Geremia, Osea e Gioele. Le incisioni paleobotaniche della civiltà minoica di Cnosso (Creta) databili agli inizi del XV
secolo a. C., suggeriscono, sulla base della forma della coppa senza anse dove sono scritte, il riferimento a un olivo
selvatico o a una forma primitiva di olivo coltivato. Pare che la civiltà minoica destinasse le olive più all'elaborazione
di profumi che all'alimentazione, documentata invece presso la civiltà micenea. In epoca romana Fenestella e
Diodoro, storici contemporanei dell'imperatore Augusto (I secolo a. C.) affermano che agli inizi del secolo VI a.C.
l'olivo era sconosciuto nel Nord Africa, mentre la specie risulta presente a Cartagine nel secolo V a. C. Sulle sponde
occidentali del Mediterraneo l'Olivo fu portato dai Fenici che intono al 1100 a. C. scambiavano con gli Ispani olio in
cambio di argento; alla fine del I millennio a. C., il sud della Spagna era coperto di oliveti. Secondo Fenestella l'Olivo
non era conosciuto in Africa, Spagna e Italia all'epoca del re di Roma Tarquinio Prisco (VI secolo a. C.), mentre
nell'età augusta la specie raggiunge le Alpi, la Francia e l'interno della Spagna.
Nel periodo imperiale la specie si diffuse in tutti i territori vocati, dal Portogallo alla Francia settentrionale e fino
all'Inghilterra meridionale. Verso sud, si diffuse nel continente africano sino ai limiti del Sahara; verso oriente
occupò territori oggi desertici. L'espansione nel continente americano e in Oceania (con particolare riferimento
all'Australia) è evidentemente molto più recente e sovente legata alle tradizioni alimentari introdotte dai flussi
migratori provenienti dall'area mediterranea. Un notevole impulso all'espansione dell'olivo si è registrato dopo la
seconda guerra mondiale in Argentina, Cile, Perù, Uruguay e U.S.A.
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Tavola 1.1 - Aspetto sistematico della famiglia delle oleaceae
TRIBU'
SOTTOTRIBU'
GENERI
Fraxineae
1. Fontanesia, Labill., con una specie
2. Fraxinus L., con 39 specie
Syringeae
3. Forsythia Vahl, con due specie
4. Nathusia Hochst., con quattro specie
5. Syringa L., con dieci specie
Oleineae
6. Hesperealaea Gray, con una specie
7. Phillyrea L., con sei specie
8. Osmanthus Lour., con dieci specie
9. Forestiera Poir., con quattordici specie
10. Noronhia Stadt., con una specie
11. Mayepea Aubl., con quaranta specie
12. Notelaea Vent., con sette specie
13. Chionanthus L., con due specie
14. Tessarandra Miers., con una specie
15. Olea L., con trentuno specie
16. Ligustrum L., con trentacinque specie
17. Myxopyrum Blume, con due specie
OLEOIDEAE
Tavola 1.2 - Aspetto sistematico del genere Olea
SEZIONE
SPECIE
SOTTOSPECIE
O. apetala Vahl
GYMNELAEA
EUELAEA
O. europaea
O. verrucosa Link
O. capensis L.
O. exasperata Jacq.
O. laurifolia Hochst.
O. chrysophylla Lam.
O. cuspidata Wall.
O. dioica Roxb.
O. polygama Wight.
O. lancea Lam.
O. glandulifera Wall.
O. paniculata R. Br.
O. europaea oleaster D.C.
O. europaea sativa D.C
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Capitolo 2 - Superfici, Produzioni e Mercato internazionale
Obiettivi
Si analizza la dinamica più recente di superfici coltivate e produzioni, a livello globale, nazionale e regionale.
L'area mediterranea comprende il 97% delle superfici coltivate a olivo, e fornisce il 92,5% delle produzioni mondiali
di olio. Il 26% delle superfici coltivate è localizzato in Spagna, nazione che detiene il primato produttivo sia per l'olio
che per le olive da mensa. La produzione mondiale di olio ha superato i due milioni di tonnellate, di cui il 75%
proviene dalla CE. La produzione mondiale di olive da tavola ha raggiunto 1,2 milioni di tonnellate, di cui il 42%
prodotto nella CE. La superficie olivetata italiana è pari a 1,1 milioni di ettari, che forniscono 2,2 milioni di tonnellate
di olive: la resa è di sole 2 t/ha. La produzione italiana di olio deriva per il 41 e 22% nell'ordine da Puglia e Calabria,
mentre quella regionale è pari all'1,7%. Il settore oleario corrisponde al 4% della ricchezza prodotta dall'agricoltura
italiana, mentre in Sardegna il contributo si ferma al 3%.
La provincia sarda con la maggiore superficie olivetata è quella di Sassari: circa 12mila ha su 37mila. I livelli di
efficienza dell'azienda olivicola regionale sono molto modesti per l'età avanzata degli impianti, la ridotta superficie
media, l'orografia spesso collinare. Le grandi aree di concentrazione dell'olivicoltura regionale sono descritte in
sintesi, e rappresentate come immagini provinciali estratte dalla carta del progetto "Risorse Idriche - Sigria" svolto
dall' Istituto nazionale di Economia agraria.
Superfici, Produzioni e Mercato Internazionale
La situazione mondiale dell'olivicoltura è riassunta nella tavola 2.1 e nella tabella 2.1. L'area mediterranea
rappresenta ancora il territorio di maggiore concentrazione produttiva, con oltre il 97% delle superfici investite e il
92,5% delle produzioni (fig. 2.1).
Figura 2.1 Principali zone di
diffusione della
olivicoltura nel
mondo (Morettini,
1972)
L'olivo, sia perché inserito nella così detta "dieta mediterranea" (tab. 2.2) sia per il crescente consumo di olive da
mensa, va però espandendosi anche in altre aree, come il Sud Africa, il Nord America e il Medio Oriente. Le
previsioni di mercato indicano un calo sensibile, in sostanza, solo per l'Italia. Sul finire degli anni 90 le superfici
investite ammontavano a 8,7 milioni di ettari, dei quali ben il 26% presente nella sola Spagna. Seguiva poi la
Tunisia con 1,6 milioni di ettari, l'Italia (1,1 milioni di ha), la Turchia, la Grecia e il Marocco. La produzione di olio
(media del triennio 1996/97 - 1998/99) vedeva ancora al primo posto la Spagna, seguita da Italia e Grecia,
segnalando le più basse rese e una certa diffusione dell'olivicoltura da mensa in Tunisia e Turchia. Anche per la
produzione di olive da mensa, la Spagna detiene saldamente il primato mondiale, mentre l'Italia si colloca solo al
settimo posto e deve ricorrere alle importazioni.
Il mercato internazionale degli oli di oliva
Gli ultimi dati disponibili, relativi alla campagna 1998/99, indicano che la produzione mondiale di olio di oliva è
risultata di poco superiore a 2.370.000 tonnellate (Consiglio Oleicolo Internazionale, 1999), ù cioè poco meno delle
due più che positive precedenti campagne commerciali. Questo dato porta la produzione mondiale media degli anni
'90 a superare i 2.030.000 t (fig. 2.2).
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I principali produttori sono sempre la Comunità Europea e la Tunisia con oltre il 75 e l'8% nell'ordine; seguono la
Siria e la Turchia rispettivamente col 7 e 9% (annata 1998/99), ma con un valore complessivo del 4% per la media
degli anni '90. Il consumo mondiale di olio d'oliva persiste nella sua costante espansione e ha toccato, nell'annata
1998/99, il valore record di 2.385.000 t. L'equilibrio tra produzione e consumo ha caratterizzato l'intero decennio
appena trascorso. Anche il commercio di olio (fig. 2.2) ha ottenuto risultati più che positivi, poiché le esportazioni
dell'annata 1998/99 hanno toccato le 500.000 t grazie ai progressi delle quote comunitarie e tunisine: 235.000 e
175.000 t nell'ordine, con un incremento rispettivamente del 29 e 54% sulla media del decennio. Le importazioni,
nell'annata 1998/99, hanno superato le 550.000 t, con un incremento del 53% rispetto alla media decennale. Il 40%
di questo valore è assorbito dall'Unione Europea, seguita da Australia, Brasile, Canada, Giappone e Stati Uniti; nel
complesso questi mercati hanno assorbito il 46% delle esportazioni mondiali (sempre in riferimento all'annata
1998/99). Di questa percentuale ben il 45% era rappresentato da oli vergini.
Figura 2.2 - Produzione, importazioni
ed esportazioni internazionali di olio di
oliva (fonte: C.O.I. 2000. Catalogo
mondiale delle varieta di Olivo, Madrid)
Le previsioni tendenziali sviluppate dal Consiglio Oleicolo Internazionale per i primi anni del terzo millennio
indicano una tendenza al decremento delle produzioni italiane di olio di oliva (da 490.000 a 391.000 tonnellate), e
prevedono un importante sviluppo per quelle spagnole (dalle attuali 530.000 a 767.000 t) e greche. Questi risultati,
scaturiti dai processi di razionalizzazione delle strutture produttive condotti nell'ultimo ventennio, hanno contribuito a
rendere eccedentaria la produzione interna e a imporre il crescente ricorso alle esportazioni. Una simile politica è
stata seguita in altri paesi mediterranei e medio orientali, caratterizzati nel passato da livelli produttivi inferiori alla
domanda interna: Turchia, Marocco, Egitto, Siria, Libano, Giordania e Iran. In queste aree il principale fattore
limitante risulta la carenza idrica, con forti dipendenze dai variabili andamenti climatici. Aree, invece, vocate ma non
ancora utilizzate sono individuabili principalmente in Cile e Argentina, con una previsione di circa 100 - 150.000
ettari di oliveti in produzione per i prossimi anni, il cui olio sarebbe destinato sia al mercato interno che a quello nord
americano; e in Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda, con una superficie prevista di 15 - 20.000 ha il cui prodotto
dovrebbe essere assorbito da Giappone, Cina e Corea.
In questo quadro le previsioni che si possono sviluppare per l'Italia e la Sardegna individuano nella categoria degli
oli extra vergini a differente tipicità, data la grande eterogeneità pedoclimatica e varietale, la nicchia di mercato in
cui collocarsi. Detta fascia di consumo è caratterizzata da prezzi medio alti, ed è presente sia in ambito comunitario
che in USA, Canada e Giappone.
Il mercato internazionale delle olive da tavola
Nella campagna 1998/99 la produzione mondiale di olive da tavola è stata stimata dal C.O.I. pari a 1.180.000 t,
livello mai raggiunto prima. Pertanto la produzione media del decennio supera per la prima volta il milione di
tonnellate (fig. 2.3). Fondamentale appare sempre il contributo della U.E. che, in riferimento alla campagna 1998/99,
rappresenta il 42% del totale; seguono la Turchia (18%), il Marocco (7%) e gli Stati Uniti (6,6%). Risultano in forte
crescita le produzioni europee e quelle turche, che come media decennale si fermano nell'ordine al 40 e 14%. Il
consumo mondiale nel corso della campagna 1998/99 è aumentato di circa 70.000 t, portando la domanda
complessiva a 1.150.000 t. I più importanti mercati di assorbimento si confermano l'U.E. e gli Stati Uniti, con valori
del 35 e 17% della produzione del 1998/99. Per la stessa campagna di commercializzazione si sono registrate
esportazioni pari a 310.000 t, con un incremento del 32% sulla media del decennio (fig. 2.3).
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Figura 2.3 - Produzione, importazioni
ed esportazioni internazionali delle olive
da tavola (fonte: C.O.I. 2000. Catalogo
mondiale delle varieta di Olivo, Madrid)
L'Olivicoltura italiana.
La superficie olivetata italiana si è mantenuta, negli anni '90, prossima a 1 milione e centomila ettari, con una
tendenza regressiva nella prima parte del decennio e una fase espansiva nella fase centrale (tab. 2.3),
presumibilmente in relazione alla politica comunitaria a sostegno degli oliveti da mensa svolta nelle regioni
meridionali. Nello stesso periodo la produzione italiana di olive da olio è risultata, in media, pari a 2 milioni e
150mila tonnellate, con ampie oscillazioni in relazione al ben noto fenomeno dell'alternanza produttiva; pertanto le
rese medie si sono dimostrate modeste: solo 2 t/ha!
La produzione regionale di olio di pressione (tab. 2.4), come media del quinquennio 1992/93 - 1996/97, segnala il
forte contributo di Puglia (41%) e Calabria (22%); pertanto la produzione cumulata delle due regioni meridionali
rappresenta il 63% della produzione nazionale di olio di pressione (tab. 2.4). Seguono Sicilia (8,5%), Lazio (4,9%),
Abruzzo (4,2%) e Toscana (3,7%), mentre la produzione sarda non costituisce che l'1,7% di quella nazionale.
Nel quadriennio 1992 - 95 la Produzione lorda vendibile nazionale, a prezzi correnti, dell'olio di oliva di pressione si
è attestata intorno a 3.100 miliardi di lire, contribuendo alla PLV agricola complessiva per il 4,1%. L'analisi della
figura 2.4 sottolinea la centralità del comparto oleario per regioni quali la Calabria e la Puglia (nell'ordine 24,2 e
19,2% della PLV agricola), l'importanza ancora rilevante in Abruzzo e Basilicata (7 e 6,3% rispettivamente) e il ruolo
più modesto che l'olivicoltura svolge in Sardegna e Marche (2,7 e 1,1% nell'ordine). Nell'Isola è noto che il forte
peso del settore zootecnico limita il contributo delle colture arboree.
Figura 2.4 - Incidenza percentuale per
regione della PLV olivicola su quella
agricola totale (fonte: elaborazione
ISMEA su dati ISTAT)
L'Olivicoltura in Sardegna.
L'incidenza economica dell'olivicoltura sarda risulta minima sia in riferimento al quadro nazionale (2% della PLV
olivicola italiana) che regionale: 3% sia della PLV complessiva dell'agricoltura sarda, sia della Superficie Agricola
Utilizzata regionale. Il ruolo marginale è, peraltro, fatto comune a tutte le coltivazioni legnose regionali, nel cui
ambito tuttavia l'olivo ha fatto registrare una fase espansiva nel corso degli anni '90 (tab. 2.5).
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Gli Annuari Istat degli anni '80 e '90 riportano che la provincia con la superficie olivetata più estesa era quella di
Sassari, che nell'ultimo periodo ha però mostrato un ridotto dinamismo e una tendenza all'abbandono della coltura,
seguita da quelle di Cagliari e Nuoro con valori molto simili, e infine da quella di Oristano (tab. 2.6); quest'ultima ha
segnalato nella prima parte degli anni '90 il più elevato tasso di sviluppo con un incremento delle superfici del 16%
tra il 1991 e il 1994. La superficie regionale è risultata, quindi, di 37.374 ettari al 1994. Questi dati contrastano con
quelli ricavabili dal 4° Censimento Generale dell'Agricoltura del 1990/91, che hanno rilevato una superficie investita
di circa 40mila ha, di cui il 39% ricadrebbe in provincia di Nuoro, e il 25%, il 22% e il 13% nelle province di Sassari,
Cagliari e Oristano nell'ordine (tab. 2.7). Il confronto col precedente Censimento del 1980 comporterebbe, quindi,
un'importante espansione delle superfici (+14,3%) e, in particolare, una deciso incremento dell'olivicoltura nella
provincia di Nuoro: + 33,8%. L'analisi delle tendenze evolutive nel periodo 1980/'90 non sembra giustificare tale
dinamica, e pare più probabile che le differenze siano imputabili alla diversa interpretazione delle superfici dove
l'olivicoltura è presente in forme promiscue e come piante sparse. Un'inversione di tendenza si è, comunque,
avviata sul finire degli anni '80 quando l'inserimento dell'Olivo da mensa nel Programma Operativo Plurifondo del
Reg. CEE 2052/88, prima, e nel Programma Operativo di Attuazione del Reg. CEE 2081/93, dopo, ha consentito la
messa a dimora di 1.500 ettari di nuovi oliveti (al 1998), superficie che dovrebbe attestarsi intorno a 5.300 ha a
collaudi ultimati; ciò significa un incremento del 15% dell'attuale superficie olivetata e, presumibilmente, un aumento
proporzionalmente maggiore per i livelli produttivi. I nuovi impianti sono stati realizzati in prevalenza in provincia di
Nuoro (519 ha) e Cagliari (503 ha), e in minor misura in quelle di Oristano (260 ha) e Sassari (233 ha). L'analisi
della progettualità in corso di istruttoria sottolinea che i nuovi arboreti si localizzeranno soprattutto in provincia di
Cagliari (2.700 ha) e di Nuoro (1.500 ha). Gli stessi strumenti normativi hanno finanziato la ristrutturazione degli
oliveti esistenti per una superficie complessiva di 1.825 ha, di cui 1.124 (il 62%) in provincia di Sassari.
I livelli di efficienza dell'azienda olivicola regionale sono risultati modesti in parte anche a causa di una struttura
produttiva formata per il 30% da oliveti non specializzati, e in parte a motivo della presenza di vecchi oliveti, spesso
ubicati in situazioni orografiche difficili e, talvolta, non soggetti a razionali cure colturali. Inoltre si è osservata una
forte frammentazione fondiaria in quanto l'olivicoltura regionale, che annoverava ben 45.538 aziende (di cui solo
16.067 specializzate), ha denunciato al 1991 una superficie media di 0,9 ha/azienda (tab. 2.7); in particolare nelle
province di Cagliari e Oristano la dimensione aziendale è risultata inferiore (0,64 ha/azienda in entrambe le
province) senza variazioni sensibili in funzione della tipologia aziendale o semplicemente tra aziende specializzate
e aziende miste. Nelle province di Sassari e Nuoro, ma soprattutto in quest'ultima, gli oliveti hanno dimensioni più
ampie (nell'ordine 1,04 e 1,23 ha/azienda); inoltre le due province si sono differenziate per la maggiore dimensione
dell'azienda specializzata a confronto di quella promiscua in provincia di Nuoro (ha 1,7). A livello regionale i ¾ delle
aziende olivicole hanno mostrato una superficie inferiore ai 5 ettari, con un'accentuazione del fenomeno in
provincia di Sassari (80%) e una riduzione in quella di Oristano (67%). Sotto il profilo della forza-lavoro impiegata,
l'olivicoltura ha assorbito solo il 5% delle giornate impegnate dall'agricoltura regionale, con valori più elevati in
provincia di Sassari e Nuoro (7 e 5,4% nell'ordine). Molto poco diffusa è risultata la pratica irrigua poiché solo il 7%
delle aziende irrigue è interessata dalla coltura, dando luogo a una superficie effettivamente irrigata di soli 538
ettari: meno dell'1% della superficie irrigata in Sardegna. Tutto ciò ha comportato una modesta efficienza sia in
termini di rese unitarie che di costi di produzione: il valore medio regionale, 1,8 tonnellate per ettaro e per anno di
olive, è risultato inferiore alla pur modesta media nazionale di 2,2 t/ha. Tali scarse rese, comunque superiori alle 1,5
t/ha del ventennio precedente, hanno dato luogo a un'offerta di circa 8.000 t di olio e 3.500 - 4.000 t di olive da
mensa per anno, livelli produttivi insufficienti a soddisfare la domanda interna.
In definitiva l'olivicoltura regionale si affaccia al terzo millennio con una struttura fondiaria polverizzata; quando è
specializzata risulta di ridotta dimensione economica, e nelle aziende miste manifesta la sua marginalità. Il trend
dell'ultimo ventennio sottolinea lo spostamento dell'azienda olivicola dal mondo dell'agricoltura professionale a
quello del part-time, poiché la superficie investita è cresciuta meno del numero delle aziende; infatti delle 18mila
aziende olivicole nate negli ultimi trent'anni, 13mila hanno una superficie media inferiore ai 2 ettari, e ben 9.000
inferiore all'ettaro. Al modesto peso economico dell'olivo si contrappone il suo importante ruolo sociale e
paesaggistico poiché la coltura è presente in 350 comuni su 375, inserendosi nelle più diverse tipologie aziendali e
collocandosi con frequenza nelle aree di frangia che fanno da cerniera tra i centri urbani e il circostante territorio
rurale. Le strutture produttive così descritte non producono olio in quantità sufficiente a coprire la domanda interna
che risulta soddisfatta per circa il 50%: produzione media dei primi anni '90 pari a 8.700 tonnellate a fronte di un
fabbisogno di 18.000 t. L'olivicoltura da mensa trasforma ogni anno circa 3.600 t di olive, in larga parte assorbite dal
mercato regionale.
8
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
L'olivicoltura regionale, pur così diffusa, assume maggiore incidenza territoriale in alcuni comprensori dando luogo
a dei distretti la cui economia agricola è caratterizzata da un'importante contributo di tale coltivazione. Per
l'individuazione di queste aree di concentrazione produttiva si sono elaborate delle carte tematiche provinciali (figg.
2.5- 2.8) attraverso l'estrapolazione dei tematismi "oliveti e oliveti irrigui" dalla carta CASI3-INEA-Progetto Risorse
Idriche - Sigria(1). Poiché l'interpretazione delle immagini non consente di distinguere superfici accorpate inferiori a
6,26 ettari e tenendo presente la superficie media prossima all'ettaro della tipica azienda olivicola regionale, la
Carta risulta utile soprattutto per rappresentare la distribuzione territoriale delle principali aree di concentrazione,
mentre sfuggono gli impianti isolati localizzati al di fuori dei comprensori olivicoli. In tal senso si spiegano le
importanti differenze esistenti tra il dato delle superfici investite secondo il Censimento Generale dell'Agricoltura
(Istat, 1990/91) e quello derivante dal rilievo aereo. D'altra parte il dato Istat riferisce la superficie olivetata al
comune, ma non la localizza all'interno del territorio comunale.
Il Sassarese e l'Algherese
Il Sassarese e l'Algherese (fig. 2.5); gli oliveti si distribuiscono in due grandi aree di concentrazione ricadenti, a
nord, nei comuni di Sassari, Sennori, Sorso, Ossi, Tissi, Uri, Usini, Ittiri e altri, e a sud-ovest in quello di Alghero. Le
due aree di Sassari e Alghero sono separate da uno stretto corridoio di colture irrigue e colline vulcaniche. Aree
minori sono individuabili sia all'intorno delle borgate rurali di S. Maria La Palma e Tottubella (Nurra), che a sud est,
nel Mejlogu, intorno ai comuni di Bonnanaro, Banari, Bessude, Mores, Siligo e altri. La provincia di Sassari ha il
territorio olivetato più ampio, con giacitura sovente di piano, arboreti specializzati e articolati in regolari distanze di
piantagione (8 x 8, 10 x 10 m nei vecchi impianti) con allevamento a vaso di media e alta impalcatura. La
pluviometria annua risulta in media di 600 - 650 mm e impone il ricorso all'aridocoltura; la cv prevalente è la
Bosana, poco diffuse la Sivigliana, la Corsicana e, nei nuovi impianti a duplice attitudine, ancora la Bosana insieme
alla Tonda di Cagliari e alla Nera di Gonnos. La potatura si esegue con lunghi turni, 5 - 8 anni, anche al fine di
ottenere assortimenti legnosi commercialmente appetibili. La raccolta meccanizzata con scuotitori interessa il 40 50% della superficie, ed è eseguita sia dal movimento cooperativo che da contoterzisti. I già citati regolamenti
comunitari 2052/88 e 2081/93 hanno dato luogo a circa 600 ha di nuovi impianti, articolati in 156 aziende con una
superficie media dell'intervento pari a 3,9 ha; la distribuzione comunale della nuova olivicoltura segnala la
concentrazione degli interventi sia in aree tradizionali (Sassari e Alghero) che di nuova espansione: Berchidda,
Oschiri e Ozieri.
Figura 2.5 Provincia di
Sassari, superfici
investite ad olivo
La provincia di Nuoro
La provincia di Nuoro (fig. 2.6); seconda solo al Sassarese per espansione territoriale, l'area si articola in due
territori di maggiore rilevanza (il Nuorese e l'area di Dorgali - Orosei, a est) e tre di più limitata espansione: quella di
Bosa ad ovest, quella dell'Ogliastra a sud-est, e quella del Sarcidano - Alta Trexenta a sud-ovest al confine con la
provincia di Cagliari. Il territorio, in prevalenza collinare, registra pluviometrie superiori ai 650 mm/anno, ad
eccezione delle aree litoranee di Dorgali e Orosei, ad est e Bosa ad occidente. Le strutture produttive sono
sufficientemente razionali e l'interesse degli imprenditori per la coltura risulta elevato. Infatti la nuova olivicoltura che
nasce dall'applicazione dei due citati Regolamenti comunitari occupa, in tutta la provincia di Nuoro, circa 1.500
ettari. Le varietà più diffuse sono la Bosana e la Olianedda. Diffusa la consociazione con la vite (Oliena), col frutteto
(Orosei) e con le attività pastorali. In Ogliastra la specie è presente nei comuni di Lanusei, Arzana, Ilbono, Jerzu,
Loceri, Tertenia, Villagrande e altri; qui l'olivo raggiunge le massime altimetrie e gode di un clima relativamente
umido con pluviometrie annue sovente superiori agli 800 mm.
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Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Carente appare la valorizzazione commerciale delle produzioni, spesso destinate all'autoconsumo familiare ovvero
alla collocazione su circuiti distributivi locali. In tutta la provincia si è registrato un'ampia adesione ai finanziamenti
comunitari a favore dell'olivicoltura "integrata" e "biologica".
Figura 2.6 Provincia di Nuoro,
superfici investite
ad olivo
La provincia di Oristano
La provincia di Oristano (fig. 2.7); si articola in quattro aree principali e in una serie di piccole superfici distribuite a
"pioggia" sul confine sud-orientale della provincia. L'area più estesa, localizzata pochi chilometri a nord del
capoluogo di provincia, interessa i comuni di Nurachi, Riola S., S. Vero Milis, Tramatza, Zeddiani e altri, ed è
caratterizzata da giacitura di piano e pluviometrie annue sovente inferiori ai 500 mm. Nell'Alto Oristanese, sul
versante meridionale del Monti Ferru, si collocano gli oliveti di Seneghe e Bonarcado, e poco più a nord quelli di
Santu Lussurgiu; sul versante settentrionale dello stesso massiccio, sempre in ambiente collinare, quelli di Cuglieri,
mentre al confine con la provincia di Nuoro gli impianti di Tresnuraghes si ricollegano all'area olivetata di Bosa. Gli
oliveti del Montiferru sono spesso rappresentati da arboreti in età avanzata che per sistemi produttivi ricordano
l'olivicoltura del Sassarese. L'Alto Oristanese si va distinguendo per l'elevata qualità degli oli, decisamente fruttati,
che diverse aziende private hanno prodotto negli ultimi anni a partire principalmente dalle varietà Bosana e
Semidana.
Figura 2.7 Provincia di
Oristano, superfici
investite ad olivo
La provincia di Cagliari
La provincia di Cagliari (fig. 2.8); presenta tre principali poli olivicoli e una serie di microaree di interesse
prevalentemente locale. Le colline marnose della Trexenta, che limitano ad oriente il Campidano di Cagliari,
ospitano, nei territori comunali di Barrali, Dolianova, Donori e Serdiana, un'olivicoltura basata sull'utilizzo di due
varietà locali a duplice attitudine: la Tonda di Cagliari e la Pizz'e carroga (sinonimo di Bianca). Le strutture
produttive risultano razionali, con piante allevate a vaso di media impalcatura e potate con turno biennale; l'utilizzo
del frutto per il consumo da mensa ha favorito una modesta diffusione dell'irrigazione. È presente un centro
cooperativo di trasformazione che, oltre all'olio, lavora "al verde" le drupe da tavola con l'uso di salamoie di
conservazione. Nel settore nord-occidentale della provincia è ubicato il polo olivicolo dell'Iglesiente; nel cui ambito
gli oliveti occupano i territori collinari dei comuni di Gonnosfanadiga, Guspini, San Gavino M. e Villacidro, su suoli
sovente caratterizzati da matrice granitica. Anche qui la varietà più diffusa è definibile a duplice attitudine (la Nera di
Gonnos), ed è presente un centro cooperativo che produce e commercializza olive verdi, oltre che oli di media e alta
qualità.
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Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Nella parte centro-settentrionale del territorio provinciale, al confine con le province di Oristano e Nuoro, sono
presenti numerose aree olivetate nei territori collinari dell'Alta Trexenta e della Marmilla; tra i comuni interessati si
ricordano, da ovest ad est, Collinas, Siddi, Turri, Gesturi, Barumini, Villanovafranca, Mandas, Gesico e altri. Nel
settore orientale si possono, poi, distinguere le aree olivetate di Villaputzu, a nord, e di Olia Speciosa, a sud. Pochi
chilometri ad occidente del capoluogo di provincia è, infine, ubicato il comprensorio olivicolo di Capoterra, e, ancora
più ad occidente, le piccole superfici olivetate di Narcao e Villaperuccio.
Figura 2.8 Provincia di
Cagliari, superfici
investite ad olivo
L'estrazione dell'olio
L'estesa diffusione dell'olivicoltura dà luogo a una rete di centri di trasformazione imperniata su circa 150 frantoi,
con una costante tendenza alla contrazione; nei primi anni 80 si registravano ancora 400 impianti. Nelle campagne
1994/95 e 95/96 hanno, ad esempio, operato 125 strutture di trasformazione, di cui 17 cooperative e 108 private; nel
1997/98 invece i frantoi operativi sono stati 135 di cui 18 cooperativi; le tipologie tecnologiche utilizzate risultavano
21 di tipo tradizionale e 114 di tipo continuo. La maggior parte degli impianti sono di potenza medio alta, poiché
hanno una capacità lavorativa, nelle otto ore, compresa tra 4 e 25 tonnellate.
(1) - La carta di uso del suolo CASI3 è un prodotto che risponde agli specifici requisiti tecnici e qualitativi (identificazione dell'errore
medio in base alla scala di rilievo e rappresentazione, e agli errori medi riscontrati dal collaudo finale) riconosciuti a livello internazionale
(standard metadati CEN). La data a cui fa riferimento l'uso del suolo è il 1999, mentre i voli di rilievo sono stati effettuati nel Maggio
1997. E' stata sovrapposta un'immagine da satellite, relative all'anno 1999, al fine di riconoscere le diverse superfici agricole. L'unità
minima cartografabile è di 6.50 ettari.
11
Tavola 2.1 - Situazione mondiale e prospettive di sviluppo dell'olivicoltura alle soglie del terzo millennio(1)
Superficie occupata
Produzione mondiale
nel mondo 8.702.000 ettari
nel bacino del Mediterraneo 8.452.000 ha (97,12%)
2 milioni di tonnellate
nel bacino del Mediterraneo 1.850.000 t
Prospettive internazionali all'attualità
polo americano
150/200.000
U.S.A.
14.000
Messico
6.000
Argentina
50.000
Cile
3.000
Perù
3.000
Uruguay
900
Brasile
840
polo Sud Africa - Australia
20/30.000
Sud Africa
2.500
Australia
2.000
Collocamento dell'olio di oliva sul mercato mondiale
polo produttivo mediterraneo
Europa centro nord - est
Bacino mediterraneo
Medio oriente
con gli oli extra vergini tipici collocati in
Paesi europei ricchi
USA e Canada
Giappone e Australia
polo produttivo U.S.A. - latino americano
(consumo di oli di qualità medio - bassa)
U.S.A. - Canada Centro Sud America
polo produttivo Sud Africa - Australia
Sud Africa
Australia
Giappone, India e Corea
Cina (?)
polo produttivo Cina, India, Pakistan e Corea
non è possibile formulare previsioni di collocamento
(1) Fonte: C.O.I., 2000. Catalogo mondiale delle varietà di Olivo, Madrid.
Tabella 2.1 - Superficie olivicola, produzione, scambi e consumi di olio d'oliva e di olive da tavola a livello
mondiale(1)
Superfice
olivicola
(ha)
Produzione
di olio (t)
Importazione
di olio (t)
Esportazione
di olio (t)
Consumo
(t)
Produzione
olive
mensa
Importazione
olive mensa
Esportazione
olive mensa
Consumo
(t)
Albania
45.000
3.500
0,0
0,0
3.500
3.000
0,0
0,0
3.000
Algeria
206.284
35.000
0,0
0,0
38.833
17.667
0,0
0,0
17.000
Argentina
57.600
8.667
5.667
6.500
8.000
45.000
666,7
30.667
15.667
Cile
3.000
trascurabile
0,0
0,0
0,0
12.250
1.000
1.000
8.167
Croazia
27.500
2.167
167
0,0
2.333
833
500
0,0
1.333
Cipro
7.600
1.833
500
0,0
2.333
3.667
500
0,0
4.167
Egitto
35.000
667
500
0,0
1.000
32.667
1.500
5.667
30.333
2.867
666(2)
1067(2)
2.000
25.667(2)
1.333(2)
33.367
6.400(2)
241.667
76.667
0,0(2)
29.333(2)
20.667
6.833
15.333
1.000
1.500
15.167
Stato
Francia
20.000
Grecia
729.000
412.667
0,0(2)
Israele
18.750
4.167
2.500
71.067
0,0
Italia
1.147.000
62.333
111.967
Iugoslavia
3.550
667
0,0
Giordania
90.936
19.500
2.500
Libano
43.000
5.667
Marocco
480.000
81.667
(2)
(2)
(2)
(2)
692.667
60.100
5.233
0,0
667
500
500
0,0
500
500
21.000
29.500
167
1.333
26.000
3.667
833
8.333
7.500
4.000
1.000
9.833
0,0
20.833
53.333
83.333
0,0
60.000
27.000
4.750
non rilevata
non rilevata
non
rilevato
9.667
131.000
1.133
Palestina
85.000
17.500
non rilevata
non rilevata
non
rilevata
Portogallo
340.000
40.933
2.733(2)
15.633(2)
66.200
8.900
467(2)
4.967(2)
Slovenia
960
200
250
0,0
450
100
0,0
0,0
Spagna
2.239.000
937.833
47.833
Siria
453.564
103.333
0,0
Tunisia
1.624.000
192.667
Turchia
897.000
136.667
U.S.A.
15.800
TOTALE
8.569.544
(2)
(2)
(2)
120.667
100
(2)
506.867
304.333
3.500
4.333
89.333
76.667
0,0
1.833
72.667
0,0
135.667
57.000
12.600
0,0
500
13.500
0,0
45.167
60.858
173.000
0,0
27.667
136.000
1.000
148.833
6.000
143.500
104.000
85.000
6.167
174.333
2.471.502
327.783
446.066
2.075.774
1.079.367
129.201
281.300
860.135
72.633
107.200
(1) Le produzioni sono espresse come media delle tre annate1996/97, 1997/98 e 1998/99 (Fonte: Consiglio Oleicolo Internazionale, Catalogo mondiale
delle varietà di Olivo, 2000, Madrid, Spagna).
(2)I dati riportati si riferiscono solo a scambi extracomunitari.
121.000
Tabella 2.2 - Consumi pro capite di oli e grassi vegetali nel 1996 a livello mondiale(1)
PAESE
Olio di oliva (kg)
Totale oli e grassi veg. (kg)
% oli di oliva su tot. veg.
Grecia
19,6
29,6
66,1
Italia
11,4
24,3
46,9
Spagna
11,3
26,9
41,9
Portogallo
4,2
18,4
22,7
Tunisia
3,0
19,6
15,1
Algeria
1,7
17,3
9,6
Marocco
1,5
12,7
12,0
Siria
5,7
15,6
36,3
Turchia
0,8
19,0
4,4
Australia
0,87
11,9
7,3
Francia
0,81
16,5
4,9
Svizzera
0,59
16,0
4,9
Canada
0,51
17,4
2,9
USA
0,38
24,0
1,6
Regno Unito
0,26
16,5
1,6
Germania
0,21
18,1
1,2
Austria
0,17
19,6
0,9
Paesi Bassi
0,15
17,1
0,9
Brasile
0,14
13,0
1,1
Giappone
0,14
12,5
1,1
Svezia
0,14
16,5
0,8
Cile
0,13
11,2
1,2
Argentina
0,06
15,8
0,4
UE (15 paesi membri)
3,86
19,53
19,8
Mondo
0,34
9,54
3,6
(1) Fonte: Elaborazione ISMEA su dati FAO
Tabella 2.3 - Superfici investite, produzione di olive e rese unitarie dell'olivicoltura italiana
Annata agraria
Superfici in produzione (ha)
Produzione di olive (t)
Rese unitarie in olive (t/ha)
1989/90
1.137.672
3.194.350
2,8
1990/91
1.134.133
1.031.750
0,9
1991/92
1.115.322
4.116.880
3,7
1992/93
1.125.441
2.472.887
2,2
1993/94
1.119.213
3.121.768
2,8
1995/96
1.123.842
3.288.586
2,9
1996/97
1.099.153
2.147.337
2,0
Media del periodo
1.122.111
2.767.651
2,5
Tabella 2.4 - Produzione di olio di pressione nelle regioni italiane interessate dall'Olivo(1)
Regione
1994/95
1995/96
1996/97
Liguria
4.060
5.573
4.332
5.679
4.911
0,9
37,3
- 22,3
31,1
Toscana
12.550
21.482
24.133
18.610
19.194
3,7
71,2
12,3
-22,9
Umbria
7.510
8.126
12.225
9.408
9.317
1,8
8,2
50,4
- 23,0
Marche
4.390
3.895
5.508
3.324
4.279
0,8
- 11,3
41,4
- 39,7
Lazio
23.670
27.728
37.288
11.951
25.159
4,9
17,1
34,5
- 67,9
Abruzzo
22.560
20.071
28.883
15.375
21.722
4,2
- 11,0
43,9
- 46,8
Campania
36.500
32.528
42.266
24.741
34.009
6,6
- 10,9
29,9
- 41,5
Molise
3.230
3.297
4.393
4.330
3.813
0,7
2,1
33,2
- 1,4
Puglia
195.480
257.576
227.779
177.726
214.640
41,4
31,8
- 11,6
- 22,0
Basilicata
12.000
10.492
8.212
9.246
9.988
1,9
- 12,6
- 21,7
12,6
Calabria
175.320
54.112
161.333
71.542
115.577
22,3
- 69,1
198,1
- 55,7
Sicilia
56.020
26.807
63.370
30.944
44.285
8,5
- 52,1
136,4
- 51,2
Sardegna
10.460
11.599
8.239
4.832
8.782
1,7
10,9
- 29,0
- 41,3
Altre reg.
1.760
3.162
2.971
2.434
2.582
0,5
79,7
- 6,1
- 18,1
Totale
565.510
486.450
630.931
390.141
518.258
100,0
- 14,0
29,7
- 38,2
(1) Fonte: Elaborazione ISMEA su dati ISTAT
Media
Quota %
Variazione % sulla campagna precedente
1993/94
1994/95
1995/96
1996/97
Tabella 2.5 - Produzione vendibile dell'agricoltura della Sardegna a prezzi costanti (milioni di lire), e tasso
medio annuo di variazione(1)
Tasso medio
variazione
MEDIE VARIAZIONE %
PRODOTTI
(80-82) A
%
(88-90) B
%
(93-95) C
%
B-A
C-A
1980-1995
Coltivazioni
erbacee
328.617
24,83
324.801
25,74
437.307
27,45
- 1,16
33,07
1,80
cereali
54.612
4,13
66.040
5,23
89.000
5,59
20,93
62,97
3,10
leguminose
2.515
0,19
3.187
0,25
3.931
0,25
26,71
56,28
2,83
patate e ortaggi
242.224
18,30
209.173
16,58
294.641
18,49
- 13,64
21,64
1,23
piante industriali
10.395
0,79
13.046
1,03
16.776
1,05
25,51
61,39
3,04
foraggi
5.305
0,40
5.397
0,43
4.311
0,27
1,73
- 18,73
- 1,29
fiori e piante
13.566
1,03
27.959
2,22
28.648
1,80
106,09
111,18
4,78
Coltivazioni arboree
214.229
16,19
155.571
12,33
187.415
11,76
- 27,38
- 12,52
- 0,83
vite
109.185
8,25
60.264
4,78
52.548
3,30
- 44,81
- 51,87
- 4,47
olivo
29.570
2,23
23.909
1,89
50.294
3,16
- 19,14
70, 08
3,38
agrumi
28.880
2,18
32.871
2,60
29.334
1,84
13,82
1,57
0,10
frutta fresca e in
guscio
27.756
2,10
17.408
1,38
22.206
1,39
- 37,28
- 19,99
- 1,38
altre legnose
18.838
1,42
21.119
1,67
33.032
2,07
12,11
75,35
3,57
Allevamenti
780.530
58,98
781.566
61,93
968.577
60,79
0,13
24,09
1,36
carni
473.978
35,82
454.562
36,02
537.906
33,76
- 4,10
13,49
0,79
latte
283.590
21,43
299.623
23,74
401.975
25,23
5,65
41,75
2,20
uova
22.962
1,74
27.381
2,17
28.696
1,80
19,24
24,97
1,40
TOTALE
1.323.376
100
1.261.938
100
1.593.298
100
- 4,64
20,40
0,86
(1) Fonte ISTAT ed Inea
Tabella 2.6 - Dinamica delle superfici regionali ad olivo dal 1983 al 1994 e relative variazioni a livello provinciale
(1)
Provincia
1983
1991
Variazioni 1983 - 91
1992
1993
1994
Variazioni 1991 - 94
Assolute
Ettari
Ettari
Ettari
Assolute
Ettari
%
Ettari
%
Sassari
12.280
33,7
12.106
32,8
-174
-1,4
12.088
12.088
11.965
-141
-1,2
Nuoro
10.261
28,1
10.061
27.3
-200
-1,9
10.059
10.081
10.081
+20
+0,2
Cagliari
10.026
27,5
10.094
27,3
+68
+0,7
10.112
10.112
10.150
+56
+0,6
Oristano
3.877
10.7
4.661
12,6
+784
+20,2
5.355
5.399
5.399
+738
+15,8
Sardegna
36.444
100
36.922
100
+478
+1,3
37.614
37.680
37.374
+673
+1,2
(1) Fonte ISTAT ed Inea
%
%
Tabella 2.7 - Aziende agricole della Sardegna con coltivazione di olivo, relative superfici e variazioni percentuali
tra gli ultimi due Censimenti dell'Agricoltura
Provincia
N.
aziende
Superfici
(ha)
SAU media
(ha)
N.
aziende
Superfici
(ha)
SAU media
(ha)
N. aziende
%
Superfici
%
Sassari
8.961
10.957
1,22
9.958
10.352
1,04
+11,1
-5,7
Nuoro
10.944
12.022
1,10
13.053
16.090
1,23
+19,2
+33,8
Cagliari
11.293
8.127
0,72
14.117
9.087
0,64
+25,0
+11,8
Oristano
7.253
4.653
0,64
8,410
5.353
0,64
+15,9
+15,0
Sardegna
38.451
35.759
0,93
45.538
40.884
0,90
+18,4
+14,3
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di Cagliari, Oristano e Nuoro
Capitolo 3 - La propagazione dell'olivo
Obiettivi
Si discutono le moderne tecniche di propagazione con frequenti riferimenti al patrimonio varietale regionale.
La produzione di materiale di propagazione, equamente suddivisa tra Italia meridionale e centrale, ammonta a circa
5 - 6 milioni di piante all"anno. Le aziende vivaistiche hanno dimensioni ridotte e oltre il 70% di esse produce meno
di 50mila piante/anno. Il materiale vegetale, ormai prodotto in fitocontenitore, è ottenuto in prevalenza per
autoradicazione nel Sud Italia, mentre il Centro utilizza in eguale misura l"innesto e la talea.
Si stima che le circa 400 varietà nazionali siano per la metà imputabili a sinonimie. Le norme CE impongono, in fase
di commercializzazione, l"adeguamento allo standard CAC (Conformitas Agraria Communitatis).
Il 30 - 40% del materiale di propagazione è ottenuto per innesto, sistema che richiede maggiore impiego di
manodopera ma minori investimenti in strutture fisse. I noccioli di cultivar a frutto piccolo sono seminati in autunno
su letto freddo in ragione di 3 kg/m2. I selvatici sono trasferiti durante la primavera in nestaio (oggi in fitocontenitore)
e lasciati crescere per 12 mesi. Nella primavera successiva si esegue l"innesto a corona con marze di due internodi
sagomate a becco di luccio. Al termine della stagione vegetativa la maggior parte delle piante può essere
commercializzata. La cv Pizz'e carroga fornisce le minori percentuali di attecchimento per la difficile formazione del
callo di cicatrizzazione nel nesto.
Le tecniche di autoradicazione, abbandonati ovoli, polloni radicali e talee di branca, si basano sulla talea
semilegnosa, fatta radicare in strutture apposite (serre o tunnel con bancali di radicazione) col ricorso a
nebulizzazione, riscaldamento basale e ormoni rizogeni. Le barbatelle sono trasferite in fitocontenitore con substrati
formati da terra vegetale, sostanza organica umificata e materiale inerte. Il periodo ottimale per il prelievo delle talee
è quello di settembre - ottobre. Buona l"attitudine rizogena delle principali cultivar sarde, con la parziale eccezione
della Pizz'e carroga.
Le piante innestate hanno un apparato radicale fittonante che può assicurare un iniziale vantaggio, ma danno luogo
a individui eterogenei per la variabile influenza del portinnesto. La disponibilità di soggetti clonali potrà limitare
questo svantaggio.
Ruolo e importanza del vivaismo olivicolo
Il vivaismo olivicolo è presente in Italia in numerose realtà regionali, con maggior concentrazione nel Meridione, cui
si attribuisce oltre il 50% del materiale prodotto, e nell'Italia Centrale con la restante parte; si registrano piccole
quote di produzione anche in altre regioni, ivi compresa la Sardegna.
Si stima che, presumibilmente, la produzione complessiva ammonti annualmente a circa 5-6 milioni di piante, di cui
una quota importante è destinata alla realizzazione di nuovi impianti, nei quali sono di norma adottati criteri di
moderna olivicoltura e tecniche di intensificazione colturale, con elevati investimenti di piante per ettaro.
Il vivaismo sta vivendo ancora una condizione di spinta frammentazione, e ciò causa difficoltà elevate anche nella
certezza numerica delle produzioni immesse sul mercato e delle varietà propagate. Purtroppo, infatti, gran parte
delle produzioni sono derivate da piccole e piccolissime aziende, prevalentemente a conduzione familiare, con
scarsa elasticità e organizzazione produttiva, e pur rappresentando gran parte della produzione, sono l'anello più
debole di tutto il settore; oltre il 70 % delle aziende produttrici ha piccole capacità, con produzioni medie inferiori
alle 50.000 piante per anno.
Purtuttavia il settore vivaistico svolge a favore dell'olivicoltura un'importante ruolo di promozione qualitativa delle
produzioni e si caratterizza per essere la base propulsiva di un processo di qualificazione dell'intera filiera.
Nel panorama del vasto germoplasma olivicolo nazionale la diffusione di varietà certe nella loro origine, la
selezione delle cultivar e dei cloni e la sanità del materiale sono senza dubbio le basi per migliorare le produzioni e
creare quelle premesse insite nel patrimonio vegetale che caratterizza i diversi areali olivicoli nazionali. In esso
vanno infatti ricercati i contenuti e gli elementi che danno spessore ed equilibrio ai concetti di qualità e tipicità delle
produzioni locali.
12
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A tal fine molte regioni hanno attivato servizi di tutela e certificazione del materiale vivaistico, favorendo la
costituzione di consorzi volontari di tutela, indirizzando i produttori, nel rispetto della normativa vigente, e operando
sistemi di controllo delle produzioni certificate.
In tal modo possono essere raggiunti e garantititi obiettivi qualitativi di materiali rispondenti a requisii di certezza
varietale e idoneità nello stato sanitario.
Relativamente al mercato delle produzioni vivaistiche olivicole prevale la diffusione di due distinte tipologie di
materiale, suddiviso tra piante prodotte da radicazione di talee e piante ottenute per innesto. Nell'ultimo decennio si
è affermata una tipologia merceologica formata da piante di dimensioni medio-piccole, allevate con pane di terra in
fitocontenitore, che consentono migliori attecchimenti e più facile movimentazione durante i trasporti e le fasi di
pre-impianto e di impianto. Purtuttavia in alcune realtà limitate vengono ancora utilizzati gli allevamenti in pieno
campo con svellimento a radice nuda o cavatura con un pane di terra di ridotte dimensioni, da proteggere con
adeguati materiali per evitare la sua frantumazione.
Attualmente il materiale viene propagato con tecnica dell'autoradicazione prevalentemente nelle regioni del
Sud-Italia, mentre in Toscana e nel Centro il rapporto tra piante innestate e autoradicate è all'incirca pari a uno.
A fronte di un patrimonio varietale nazionale di oltre 400 entità, le più recenti acquisizioni della ricerca stimano che
più della metà possano essere ricondotte a sinonimie; ciò può essere fonte di incertezza e confusione che spesso
accompagna l'imprenditore sin dal momento di realizzare un nuovo impianto. Altro aspetto di non secondaria
importanza è quello relativo alla sanità del materiale, onde evitare di partire con piante già tarate per la presenza di
parassiti o patogeni.
In questo senso emerge fortemente la centralità del settore vivaistico riveste nel perseguire obiettivi di qualità, al fine
di raggiungere con successo mete produttive di livello adeguato.
Una delle strade percorribili è la certificazione del materiale, attuando lungo tutto il percorso produttivo una serie di
accorgimenti tesi a garantire i due requisiti fondamentali sopra evidenziati: certezza varietale e sanitaria.
Sebbene in Italia la valorizzazione qualitativa della produzione vivaistica avvenga, per l'olivo, ancora su base
volontaria, di fatto il rispetto della normativa vigente comunitaria in materia di commercializzazione del materiale di
propagazione rende pressoché obbligatorio produrre secondo protocolli ben precisi. Infatti le Direttive CEE già
recepite, inerenti le condizioni minime per commercializzare il materiale vegetale con classificazione CAC
(Conformitas Agraria Communitatis) sono conditio sine qua non per operare sul mercato dei materiali di
propagazione, e rendere possibile la vendita dei prodotti vivaistici.
Seppure l'olivo risulti tra le specie meno colpite da ricorrenti e gravi attacchi parassitari trasmissibili attraverso le
tecniche moltiplicative, purtuttavia si pone il problema di garantire, comunque, una qualificazione delle produzioni
mediante programmi di certificazione, in stretto collegamento con le strutture di sperimentazione e controllo presenti
sul territorio regionale.
Le tecniche di propagazione
Anche nell'olivo, come nella gran parte delle specie arboree da frutto, la propagazione può avvenire mediante due
fondamentali linee di moltiplicazione: gamica e agamica. Alla prima si fa ricorso per ottenere i semenzali da
utilizzare come piedi nell'innesto, la seconda, oltre che per l'innesto, per la produzione di piante autoradicato.
Il circuito produttivo delle piante innestate
Secondo recenti stime, da un terzo a due quinti del materiale vegetale immesso sul mercato nazionale è
rappresentato da piante innestate che, se da un lato necessitano di un notevole impiego di manodopera
specializzata, dall'altro evitano gli importanti investimenti di capitali, tipici dei sistemi di propagazione alternativi.
La produzione di piante innestate inizia dal prelevamento dei noccioli, che vanno opportunamente conservati in
ambiente fresco ed asciutto fino alla semina, normalmente attuata nell'agosto-settembre dell'anno successivo. Sono
in genere preferiti dai vivaisti varietà con noccioli piccoli (con peso medio unitario di circa 1 g), e nel nostro
ambiente i noccioli di olivastro, che evidenziano una discreta germinabilità media. I semi danno origine a
popolazioni assai eterogenee, tenuto conto che la maggioranza della cultivar sono autosterili per cui il ricorso
obbligato all'impollinazione incrociata incrementa la variabilità genetica delle discendenze.
13
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I soggetti interferiscono in modo diverso con il nesto (salvo i casi in cui questo si affranca), così che molti aspetti
pratici possono esserne condizionati. Tra questi rientra il controllo della vigoria con l'obiettivo di contenere le
dimensioni degli alberi, aspetto che consentirebbe maggiori densità di piantagione.
La semina dei noccioli avviene su letto freddo utilizzando circa 3,0 kg di noccioli/m2, formando uno strato di 2 cm
circa di spessore, successivamente coperto con uno strato di terra fine. I semi germinano durante tutto l'inverno e
nella primavera successiva (marzo) le piantine vengono trasferite in nestaio (in fitocontenitore) nel quale sono
lasciate crescere liberamente per tutto l'anno in corso. Nella primavera successiva (fine marzo-aprile), le piantine,
quando sono in "succhio", vengono capitozzate a 5 cm circa da terra, per essere innestate a corona con marze di
media vigoria e calibro adatto, tagliate a "becco di luccio", in cui siano compresi due internodi. (Fig 3.1) Non sembri
superfluo ricordare che deve essere sempre mantenuta, ai fini delle esigenze dell'innesto, la corrispondenza tra le
zone generatrici ed il rispetto della polarità dei due bionti (Fig 3.2). Inoltre, per limitare il più possibile le perdite di
umidità è anche necessaria l'applicazione di mastici idonei alle condizioni climatiche (Fig 3.3).
Figura 3.1 Tradizionali
operazioni di
innesto a marza
Figura 3.2 Inserimento della
marza
opportunamente
sagomata
Figura 3.3 Copertura con
mastice del taglo
superiore della
marza
Normalmente gran parte delle piante bimembri così ottenute, al termine della stagione vegetativa, hanno raggiunto
un'altezza che ne consente la commercializzazione (50-100 cm); oppure possono essere trasferite in piantonaio,
dove passano un'altra stagione di crescita, per la successiva consegna all'olivicoltore.
In riferimento alle principali varietà della Sardegna, di norma non si segnalano particolari problemi circa
l'attecchimento dell'innesto ed il successivo sviluppo della pianta in vivaio. Le cultivar quali Tonda di Cagliari, Nera
di Gonnos e Bosana, danno i migliori risultati, con valori prossimi al 90-95% di successi evidenziando buona
capacità di saldatura e vitalità dell'innesto.
14
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Leggermente superiori risultano le fallanze riscontrabili con innesti della cv Semidana. La cultivar che denota
maggiori insuccessi, e che comunque è tra quelle meno sottoposte a programmi di moltiplicazione, è la Pizz'e
carroga, che risulta molto sensibile alla disidratazione del materiale da innestare e tende con più difficoltà a formare
un callo di cicatrizzazione idoneo alla vitalità del nesto e a garantirne l'accrescimento.
Le tecniche di autoradicazione
Con le tecniche di propagazione agamica si sfrutta la capacità che porzioni di organo vegetativo della pianta hanno
di emettere germogli da un lato e radici dall'altro, per la presenza diffusa di gemme latenti ed avventizie
Per tale ragione, le barbatelle ottenute, provenendo da un solo genitore, conservano tutte le caratteristiche di
quest'ultimo, sono tra loro omogenee ed evitano la lunga fase giovanile, tipica dei semenzali.
Il materiale utilizzato nel tempo per la radicazione è stato di diversa natura e origine, anche se parte di questo ha
man mano perduto di importanza pratica.
Molto usati nel passato, gli "ovoli" sono voluminose formazioni mammelliformi che si originano nella zona
immediatamente sottostante il colletto, in corrispondenza di rallentamenti nella circolazione della linfa, e per questo
molto ricchi di sostanze di riserva ed ormonali. I più grandi (del peso di 1-3 kg), possono essere collocati
direttamente a dimora, mentre i più piccoli (del peso di 0,5-1 kg), debbono essere collocati in vivaio.
Il limite del metodo è rappresentato dalla scarsa disponibilità di materiale, dalle mutilazioni inferte alla pianta madre
e dalla tendenza delle barbatelle a conservare a lungo una forte spinta vegetativa.
I "polloni radicati" provengono dagli stessi ovuli che sottoposti ad interramento emettono facilmente radici. I limiti del
metodo sono gli stessi descritti per gli ovuli.
Le "talee di branca" sono costituite da rami di 4-5 anni di età lunghi 25-50 cm e con 5-10 cm di diametro, posti a
radicare orizzontalmente o verticalmente in vivaio o verticalmente in pieno campo. Costituiva il sistema di
moltiplicazione più usato in Spagna in un recente passato, oggi sostituito dal reimpiego del materiale di risulta della
potatura dando la preferenza a grosse talee di 20-25 cm di lunghezza. Dopo aver sottoposto la base a trattamento
rizogeno e l'apice a paraffinatura, il tratto di branca viene collocato in fitocontenitori aventi substrato leggero ed
aerato, posti in ambiente luminoso ma riparato dagli eccessi di calore. Il materiale dovrà essere innaffiato
regolarmente per cui le talee, nel giro di pochi mesi, daranno origine a barbatelle idonee per il collocamento a
dimora. Anche questo metodo risente delle limitate disponibilità di materiale, ma le piante sono subito disposte alla
fruttificazione. Si presenta quindi idoneo per soddisfare limitate esigenze aziendali.
L'utilizzo di "talee semilegnose" rappresenta attualmente la forma di moltiplicazione agamica più consueta. Tale
metodo consente di disporre di notevoli quantità di materiale attingendo dai rami di un anno di età, e senza,
pertanto, danneggiare la pianta madre. Questo materiale, contrariamente alle talee di branca, dispone di limitate
sostanze di riserva. La presenza delle foglie inoltre rende necessario un continuo apporto di acqua, in mancanza
del quale queste verrebbero a cadere in tempi brevi, compromettendo così gli esiti del processo di radicazione.
Sono quindi indispensabili l'applicazione di particolari tecniche dio taleggio e l'adozione di specifiche attrezzature;
tra queste rientra la tecnica della nebulizzazione messa a punto in California nei primi anni 60. La propagazione a
carattere industriale con l'utilizzo delle talee semilegnose avviene in strutture relativamente complesse e costose;
essenzialmente un bancale di radicazione, un apparato per la produzione di calore, un apparato per la
nebulizzazione di acqua e un dispositivo per il raffreddamento e l'ombreggiamento (fig 3.4).
Figura 3.4 - Serra di radicazione: Le
talee di olivo posizionate nella perlite,
contenuta nei bancali, ricevono l'acqua
finemente nebulizzata da apposita
autoclave ad alta pressione
15
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Il bancale di radicazione è la base nel quale sono collocate le talee. Il fondo deve essere forato ed inclinato e le
pareti devono essere alte almeno 30 cm. Sul fondo va collocato l'impianto di riscaldamento che deve mantenere la
temperatura alla base della talea costante tra 20 e 25 °C. Ciò avviene mediante un termostato che regola l'afflusso
di acqua calda entro un'apposita tubazione in rame o materiale plastico che corre "a serpentina" sul fondo del letto
di radicazione. Sul bancale possono essere posti diversi substrati, dalla torba alla sabbia, alla vermiculite, alla
perlite, o a loro miscele. In tutti i casi il substrato deve essere leggero, per consentire la contemporanea presenza di
aria e di acqua, impedire la formazione di flora inquinante. Il più affidabile in tal senso è la perlite.
Il sistema di nebulizzazione è essenzialmente costituito da un' apparecchiatura per la messa in pressione
dell'acqua che la rende disponibile a 4-6 atmosfere, da una elettrovalvola che regola la somministrazione di acqua
e da un tubo di aspersione e nebulizzazione. Il controllo della frequenza delle erogazioni può essere eseguito con
semplici temporizzatori (timer), ovvero con la cosiddetta "foglia elettronica", consistente in un dispositivo elettronico
che comanda l'erogazione quando si interrompe il circuito tra due elettrodi che vanno progressivamente
asciugandosi, sino ai meccanismi a bilanciere, agli integratori solari che conteggiano le calorie fornite dal sole e su
tale base regolano la frequenza delle erogazioni. L'obiettivo è, in tutti i casi, garantire la presenza costante un velo
liquido sulla superficie fogliare, al fine di ridurre la traspirazione ed assicurare il rifornimento idrico, senza dar luogo
ad eccessi o a carenze.
Gli interventi di ombreggiamento e raffreddamento hanno lo scopo di contenere gli eccessi di luminosità e di calore.
Il primo obiettivo è conseguibile, in maniera molto semplice, mediante distribuzione di calce sulle pareti interne o
mediante teli ombreggianti da disporre dentro o fuori la serra. Il raffreddamento può essere ottenuto mediante
apertura del tetto o delle pareti laterali o mediante l'installazione di appositi estrattori di aria calda. Ma, nel caso
della serra di nebulizzazione, questo intervento comporta anche la rapida riduzione del tenore umidità, fatto quanto
mai dannoso per il materiale in radicazione. Una soluzione al problema può attuarsi mediante utilizzo del "cooling
system", che consente l'ingresso in serra di aria fresca e umida, attraverso un pannello umidificatore collocato nella
parte opposta dell'estrattore.
I sopradescritti interventi esterni di nebulizzazione, riscaldamento basale e trattamento rizogeno, si rendono
necessari in quanto capaci di assicurare la sopravvivenza della talea semilegnosa ed abbreviare il periodo di
tempo necessario per la conclusione del processo rizogeno. Infatti, nel momento in cui la talea viene staccata dalla
pianta madre si instaurano processi capaci di ricostruire le parti mancanti (radici e germogli), ma in assenza di ogni
capacità di approvvigionamento idrico ed in presenza di stimoli quanto mai affievoliti, ciò non avviene.
La radicazione, che avviene sempre alla base della talea, è governata da fattori nutrizionali ed ormonali nei quali
giocano un ruolo fondamentale le gemme, quali centri di produzione di auxine ad azione rizogena, e le foglie per gli
aspetti nutrizionali (Fig 3.5). La sopravvivenza di questi organi assume, quindi, un ruolo determinante per il
successo dell'operazione.
Figura 3.5 Barbatelle di olivo a
diverso livello di
radicazione
Oltre alla scelta del periodo ottimale di radicazione diversi sono i parametri che entrano in gioco e che consentono
di avere successo nelle varie fasi che pur separatamente svolgono un importante ruolo. Di particolare importanza le
correlazioni esistenti tra la zona della chioma da cui sono prelevate le talee e la rapidità di messa a frutto della
discendenza. I migliori risultati di produzione di radici di neo formazione si ottengono, in fase di spiccata attività
vegetativa, da talee apicali; in epoche successive, a motivo del trasporto basipeto delle sostanze auxiniche, le talee
mediane e basali appaiono più rispondenti.
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Ma anche lo stato nutrizionale della pianta madre influenza in misura importante le percentuali di radicazione.
Invece la presenza di alterati rapporti tra l'apparato radicale e la chioma, indotti con specifici programmi di potatura,
è sfruttata per l'ottenimento di materiale vegetale da prelevare e destinare ad operazioni di taleggio da piante madri
appositamente strutturate dopo un periodo di libera crescita. In tal modo da un limitato numero di piante madri,
sottoposte ai previsti controlli genetici e sanitari, si possono ottenere adeguate e idonee quantità di materiale da
destinare alla moltiplicazione; i prelievi saranno effettuati nelle epoche che, nel corso dell'anno assicurano la più
elevata percentuale di radicazione delle talee. Ciò potrà essere collegato ovviamente al ciclo di sviluppo annuale
delle piante e modificato con l'uso di adeguate pratiche agronomiche modulando la concimazione, l'irrigazione e gli
stessi interventi di potatura al fine di intervenire sulla quantità e la durata delle fasi vegetative.
Ma a semplificare l'attività vivaistica e favorire in maniera determinante la radicazione delle talee sono le sostanze
auxiniche di produzione sintetica, che esercitando un meccanismo del tutto simile a quello delle auxine naturali
promuovono efficacemente l'emissione del radici dalla parte basale della talea. Tra queste la più utilizzata è l'acido
indolbutirrico (IBA), che è il più stabile e costante nelle risposte non mostrando l'aleatorietà di preparati con
sostanze alternative e più economiche. Ovviamente occorre che i preparati non abbiano azione fitotossica sulle
talee, come spesso accade per le soluzioni idroalcoliche di tale sostanze, e mantengano la loro efficacia nel tempo,
oltre ad essere di facile utilizzo per gli operatori.
Una volta completato il ciclo produttivo legato alla radicazione delle talee con l'ottenimento delle barbatelle radicate
le problematiche da affrontare sono rivolte a garantire una rapida crescita del materiale che lo rende utilizzabile per
i nuovi impianti.
Oramai pressoché superata la tecnica dell'allevamento in pieno campo, l'utilizzo del fitocontenitore con un substrato
di allevamento adeguato è la tecnica attualmente più usata e valida. Ciò consente di poter collocare le piante in
campo con limitate fallanze e in ogni periodo dell'anno. I maggiori accorgimenti in fase di allevamento vanno posti
proprio nella scelta del substrato che deve garantire buone caratteristiche fisico-chimiche, elevata fertilità, buona
struttura, facile reperibilità e limitato costo. Il substrato in genere proviene da materiale reperibile in zona arricchito
in fase di miscelazione con sostanza organica umificata e inerti per aumentarne la leggerezza e il drenaggio. La
sostanza organica deve presentare elevato grado di umificazione, poiché il contatto delle radici delle piante in
allevamento con sostanze scarsamente umificate provoca vistosi rallentamenti nelle crescita e, talora, fenomeni di
fitotossicità e vari problemi fitosanitari.
La crescita delle barbatelle in condizioni di relativa e limitata forzatura comporta una riduzione dei tempi di
produzione. Con lo stesso obiettivo si devono scegliere adeguatamente le epoche dell'anno in cui effettuare i
prelievi, sfruttando le fasi temporali di più elevata rizogenesi naturale.
Nell'ambiente sardo l'epoca più favorevole inizia da settembre e ottobre e si conclude alla fine dell'inverno. Infatti,
superata la stagione calda le piante denotano un elevato accumulo di sostanze nutritive di riserva e le operazioni di
taleaggio consentono di sfruttare al meglio la capacità rizogena del materiale, ottenendo in poco più di un anno
piante idonee agli standard di riferimento.
Al fine di non compromettere la risposta vegetativa delle piante dopo la messa a dimora è sconsigliabile prolungare
eccessivamente la loro permanenza nel fitocontenitore; è ormai assodato che le migliori risposte in campo sono
ottenute dalle piante più giovani.
Limitati sono normalmente gli interventi di fertilizzazione sulle piante in allevamento, qualora il substrato utilizzato
sia stato ben dotato di elementi e soprattutto di sostanza organica ben umificata. In tal senso sono in genere
sufficienti piccoli interventi ausiliari con fertirrigazioni o concimazioni fogliari.
Una volta ottimizzati i diversi fattori che influenzano la radicazione, i risultati mediamente ottenuti dalle principali
varietà sarde, sono condizionati principalmente dal periodo di prelievo; dalle esperienze sinora condotte i risultati
più incoraggianti si sono ottenuti dai taleaggi effettuati a partire dall'inizio dell'autunno e sino a gran parte
dell'inverno.
Nell'ambiente sardo, e meridionale in genere, il limite operativo è rappresentato dalla difficoltà a contenere le
elevate temperature, non solo estive, nei locali di radicazione e di indurimento.
Apprezzabili risultati sono stati ottenuti con le cultivar Tonda di Cagliari, Nera di Gonnos e Bosana. Su altre varietà
da olio e a duplice attitudine si hanno maggiori percentuali di insuccessi sino a casi fortemente penalizzanti come
per la cultivar Pizz'e carroga che ha scarsa tendenza a produrre radici.
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In conclusione, è certamente possibile esprimere alcune valutazioni di massima sulle possibilità che i due metodi
usualmente adottati per l'olivo hanno da un punto di vista applicativo.
Ancora forti perplessità suscita in molti pratici l'opportunità di impiegare piante autoradicate. A queste infatti
vengono spesso attribuite scarsa resistenza alla siccità, maggiore sensibilità ad alcune fitopatie oltre a ridotto
affrancamento e ancoraggio. L'esperienza ha dimostrato che sotto tali aspetti le due tipologie di pianta sono
pressoché equivalenti se si fa ricorso a piantine "di qualità" opportunamente selezionate nelle diverse fasi
produttive.
Esistono tuttavia alcune differenze iniziali circa lo sviluppo dell'apparato radicale che nelle piante autoradicate è da
principio su un solo palco e con angolo geotropico abbastanza elevato; angolo che, invece, in quelle innestate
risulta decisamente più chiuso. Vi è comunque da segnalare che, col tempo, i due apparati radicali tendono ad
assumere una morfologia simile e comunque si pone l'esigenza, in entrambi i casi, di dotare le piantine di un
robusto tutore per i primi 4-6- anni.
L'autoradicazione consente una più spinta verifica sulle qualità genetiche e sanitarie del materiale e un elevato
controllo sulla progenie. Ciò è meno realizzabile con i vecchi metodi di propagazione (ovoli e polloni radicati)
peraltro non utilizzati negli ambienti sardi, poiché è limitata la quantità di materiale proveniente da una singola
pianta. Anche sulla popolazione eterogenea di semenzali da innesto ciò è altrettanto problematico. Viceversa, con
l'abbondante quantità di materiale proveniente da una singola pianta è possibile un oculato controllo: anzi tale fatto
permette, partendo da una pianta capostipite selezionata (clone) di procedere alla realizzazione di un adeguato
numero di piante madri, da destinare alle successive operazioni di prelievo dalle quali si otterrà una progenie
perfettamente omogenea sotto il profilo genetico.
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Capitolo 4 - L'impianto dell'oliveto
Obiettivi
Si riportano indicazioni sulle esigenze ecologiche della specie e sulle tecniche di impianto dell'oliveto, dallo scasso
alla piantumazione.
La vocazionalità ambientale deve essere valutata in pre impianto per gli aspetti climatici, pedologici e infrastrutturali.
I rami e le branche sono danneggiati da temperature inferiori nell'ordine a -5°C e -10°C. Sussiste, d'altra parte, un
fabbisogno di freddo durante la stasi vegetativa invernale, il cui mancato soddisfacimento provoca disseccamento
delle gemme a fiore e incremento dell'aborto dell'ovario.
L'olivo preferisce suoli privi di strati impermeabili ad aria e acqua, con tessitura da franco sabbiosa ad argillo
limosa. La specie tollera terreni con reazione da subacida a subalcalina, anche con valori di cloruri e boro
moderatamente elevati. E' una delle specie arboree più resistenti a salinità e sodicità nel suolo. I nuovi oliveti
dovranno essere realizzati in aree con pendenza inferiore al 15 - 20%.
Le operazioni preliminari all'impianto comprendono decespugliamento, dicioccamento, spietramento e livellamento
del terreno. La successiva lavorazione fondamentale si realizza con aratro da scasso nei terreni incoerenti, e con
scarificatore negli altri. L'analisi chimica del terreno guiderà le scelte della concimazione di fondo, basata su apporti
di sostanza organica, fosforo e potassio.
La sistemazione idraulica sarà più impegnativa nei terreni pesanti e nelle aree pendenti: nel primo caso per evitare
ristagni invernali, nel secondo per rallentare la velocità di scorrimento superficiale delle acque meteoriche.
Il sesto, quadrato o rettangolare, si realizza con distanze di piantagione inferiori al tradizionale 10x10m: dal 6x4m
consigliato per forme di allevamento a monocono, al 6x6m - 7x7m del vaso, soprattutto se in coltura asciutta.
L'impianto dell'oliveto
La redditività dell'oliveto è, tra l'altro, legata alla corretta valutazione, in fase di pre - impianto, della "vocazionalità
ambientale", cioè dell'idoneità microclimatica e pedologica del sito prescelto ad ospitare le giovani piante di olivo.
La "diagnosi stazionale" (intendendo col termine "stazione" l'ambiente di coltivazione e il sito prescelto per
l'impianto) non richiede, nel caso dell'olivo e della Sardegna, un elevato grado di dettaglio poiché la specie vede, in
linea di massima, soddisfatte le sue esigenze ecologiche in tutti gli agroecosistemi dell'Isola. Ciò non significa che
le interazioni ambiente/coltura possano essere del tutto trascurate, non fosse altro per la differente risposta che una
stessa varietà fornisce al variare delle caratteristiche ambientali (vedi cap. 7). La potenzialità produttiva del binomio
coltura/ambiente deve essere esaltata, anche sotto il profilo qualitativo, attraverso la realizzazione di una serie di
interventi tecnici, quali la preparazione del terreno, la scelta delle distanze di piantagione e del sistema di
irrigazione, e l'insieme delle cure da eseguirsi in fase di allevamento. Il termine vocazionalità può essere poi inteso
in senso più ampio, "territoriale", includendo la valutazione del grado di infrastrutturazione del comprensorio
olivicolo: piste aziendali e vie di comunicazione in genere, reti tecnologiche e rete consortile di distribuzione
dell'acqua, ma anche presenza di centri di trasformazione sia per le olive da mensa che da olio, di depuratori per
l'eventuale trattamento delle acque di vegetazione e di sansifici per la trasformazione dei residui ultimi del ciclo di
trasformazione. Non meno importante, infine, la disponibilità di manodopera qualificata per l'esecuzione degli
interventi tecnici, ad esempio per la diffusione di una forma di allevamento interessante, ma poco conosciuta in
Sardegna, come il "monocono".
Considerazioni climatiche
Come si segnalerà nel cap. 5 (scelta varietale), cap. 6 (biologia fiorale) e soprattutto cap .7 (clima e olivo) ci sono
importanti interazioni tra il sito e la produttività dell'oliveto. Le rese e la qualità più elevate si ottengono nelle aree
che hanno inverni miti e piovosi che consentono di costituire una riserva idrica nel suolo, ed estati asciutte e calde
capaci di far maturare i frutti e contenere l'incidenza della mosca delle olive.
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L'olivo, infatti, è una specie di origine subtropicale, sensibile alle temperature molto basse; i rami sono danneggiati,
spesso uccisi, da temperature inferiori a - 5 °C, mentre le branche e l'intera chioma possono essere uccisi se le
temperature scendono al di sotto di -10 °C. Danni da freddo di minore entità sui rami fruttiferi provocano delle
fessurazioni che facilitano la diffusione della batteriosi detta "rogna". Anche i frutti dell'olivo sono danneggiati dalle
gelate durante le ultime fasi dello sviluppo e, soprattutto, nel corso della maturazione; il completamento della
raccolta entro il mese di dicembre riduce l'incidenza del fenomeno. Le varietà diffuse nell'Italia centro settentrionale
presentano differenti gradi di resistenza al freddo: la cv Frantoio è più sensibile al gelo della Moraiolo, mentre
resistenti risultano Morchiaio, Maurino e Leccino. Di contro non si dispone di notizie precise sulla risposta delle
varietà di interesse regionale anche in relazione alla ridotta frequenza delle gelate; ulteriori dettagli sono riportati
nel capitolo 7. Si dovrebbero, comunque, evitare le aree che hanno un'alta probabilità di gelate nel periodo che
precede la raccolta. Anche per le cultivar sarde risulta, invece, accertato un problema di fabbisogno di freddo (v.
cap. 6) poiché varietà come la Palma (presumibile sinonimo della Bosana) vanno incontro al disseccamento delle
gemme a fiore e a un incremento dell'aborto dell'ovario quando la temperatura media dell'aria risulta, nel mese di
gennaio, superiore a 7 °C. D'altra parte la specie si dimostra ben tollerante alle elevate temperature anche se
associate a limitate disponibilità idriche nel suolo.
Le interazioni microclima/coltura divengono ancora più evidenti quando si considera l'influenza delle condizioni
meteorologiche sull'azione dei parassiti animali e vegetali; è noto che i microclimi con alta umidità relativa dell'aria
(aree litoranee o di fondo valle) favoriscono la diffusione dell'occhio di pavone e ne rendono difficile il controllo in
varietà sensibili come la Bosana (v. cap. 14).
Considerazioni sulla giacitura e natura dei terreni
Sebbene l'olivo si adatti a un'ampia varietà di terreni, la produttività è più elevata dove gli alberi possono sviluppare
gli apparati radicali senza limitazioni chimiche o fisiche. Per quanto riguarda queste ultime, in fase di pre - impianto
si deve valutare la tessitura, la profondità e la stratificazione del suolo. Gli olivi preferiscono terreni privi di strati
impermeabili all'aria e all'acqua, con tessitura compresa tra i franco sabbiosi, i terreni di medio impasto, i franco
limosi, gli argillo limosi e i franco limo argillosi. Questi suoli assicurano un'intensità di scambi gassosi necessari a
garantire lo sviluppo delle radici, sono sufficientemente permeabili e hanno un'alta capacità di ritenzione idrica. I
terreni con maggiore contenuto in sabbia non hanno una grande capacità di trattenere i nutrienti e l'acqua, e quelli
più argillosi spesso non hanno un'aerazione adeguata alla crescita delle radici. Maggiori dettagli sono riportati nel
capitolo 10. L'olivo ha radici tendenzialmente superficiali (soprattutto in irriguo) e non richiede suoli molto profondi
per produrre bene. I terreni evoluti, sia con strati solidi cementati sia con variazioni nella tessitura entro il profilo di
suolo interessato dalle radici, impediscono il movimento dell'acqua e possono favorire la comparsa di strati di
saturazione che danneggiano le radici dell'olivo.
Per quanto attiene le caratteristiche chimiche del terreno, l'olivo si adatta a un'ampia gamma di tipologie chimiche.
Gli alberi producono bene su terreni moderatamente acidi (pH superiore a 5) o moderatamente basici (pH inferiore
a 8,5) così come su quelli che hanno livelli di boro o cloro relativamente alti. Si dovrebbero evitare i suoli alcalini o
sodici poiché la loro struttura ostacola la penetrazione dell'acqua e il drenaggio, e da luogo a condizioni di
saturazione che danneggiano gli apparati radicali. L'olivo rimane, comunque, una delle colture arboree
maggiormente resistenti a salinità e sodicità.
Per quanto riguarda la giacitura i nuovi impianti dovranno essere realizzati in aree con pendenza non superiore al
15 - 20% dove la meccanizzazione delle operazioni colturali è ancora possibile senza compromettere né la stabilità
dei versanti né l'incolumità degli operatori delle macchine agricole.
La tessitura e la giacitura possono interagire con la comparsa di diverse fitopatie; in particolare i terreni più pesanti
possono favorire non solo l'azione di diverse specie fungine che causano marciumi del colletto ma anche, in
concomitanza a specifica sensibilità varietale, la verticilliosi da Verticillium dahliae.
Operazioni preliminari all'impianto
Le modalità d'impianto di un oliveto non differiscono in sostanza dalle tradizionali operazioni di messa a coltura di
un terreno da destinare ad un impianto arboreo; in sintesi si possono individuare le fasi qui sotto riportate.
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Decespugliamento, dicioccamento e spietramento, livellamento del terreno
Nel caso si dovesse intervenire su aree mai messe a coltura, sarà necessario procedere all'eliminazione della
preesistente vegetazione (macchia o cespugliame) dopo essersi assicurati che l'area non sia gravata da vincoli
quali quelli idrogeologici e paesaggistici. Si deve avere sempre ben presente che i primi centimetri di suolo
rappresentano la frazione più fertile poiché arricchiti di sostanza organica dai residui delle erbe e degli arbusti
succedutisi nel tempo su quel terreno. Pertanto, pur essendo indispensabile il ricorso a specifici mezzi meccanici (in
genere macchine per il movimento terra di rilevante potenza, dotate di lama frontale e scarificatore posteriore)
l'operatore deve evitare di asportare, insieme al cespugliame ed eventuali massi rocciosi, i primi 5 - 10 cm di terra.
La lama (piuttosto "a rastrello" che "a cucchiaio") dovrà operare in posizione piuttosto "alta" ovvero limitarsi
all'eliminazione di alberi e grosse pietre, mentre l'asportazione del cespugliame può essere affidata ad appositi
decespugliatori ad asse orizzontale che lasciano sul terreno i residui trinciati (molto utili anche come fonte di
sostanza organica). Nel caso in cui si debba costituire un nuovo oliveto su terreni precedentemente occupati da
colture arboree, si esegue preliminarmente l'eliminazione delle vecchie ceppaie ancora presenti
nell'appezzamento; l'estirpazione dovrà essere quanto più possibile accurata poiché i residui radicali ospitano con
facilità agenti fungini di marciumi. Quando è possibile può risultare utile trattare preventivamente la coltura da
eliminare con diserbanti sistemici al fine di ridurre la consistenza di eventuali ricacci; casi del genere si sono
verificati di recente in conseguenza degli interventi per l'estirpazione dei vigneti, la cui eliminazione meccanica è
sovente preceduta da trattamenti con formulati erbicidi a base di 2,4-D (vecchio diserbante del grano) e successiva
applicazione di glifosate sui ricacci dell'americano (v. cap. 9). Infine, se le colture precedenti hanno lasciato una
forte presenza di erbe infestanti, quali gramigna, cipero, portulaca, artemisia, ricacci di bietole, etc., può essere utile
attuare prima dell'impianto un intervento di diserbo con formulati di postemergenza (v. cap. 9).
Il livellamento dell'appezzamento deve salvaguardare la sostanza organica del suolo attraverso la riduzione al
minimo dei movimenti di terra, peraltro necessari sia per eliminare dossi e avvallamenti sia per dare al terreno la
pendenza desiderata. Infatti l'oliveto deve essere opportunamente livellato per ridurre l'erosione, evitare i ristagni
idrici, favorire la meccanizzazione e consentire, se richiesto, l'adozione di metodi irrigui che sfruttano la gravità per
la movimentazione dell'acqua. Se si prevede di utilizzare l'irrigazione per infiltrazione laterale da solchi, col
livellamento si deve assicurare una pendenza modesta compresa tra 10 e 50 cm di dislivello su 100 m di solco (0,1
- 0,5%). L'innalzamento del contenuto in sostanza organica del terreno e un parziale controllo delle infestanti
ereditate da una precedente coltura possono ottenersi con la semina di essenze erbacee da sovescio.
Il pietrame di risulta può essere utilizzato per formare dei drenaggi qualora il terreno presenti difficoltà di sgrondo
delle acque piovane; a tal fine vengono aperte delle fosse opportunamente distanziate tra loro, profonde 130-150
cm, larghe circa 50 cm, che vengono poi riempite per metà con le pietre asportate dal campo. Tale intervento,
abbastanza costoso, sarà eseguito dopo l'ultimazione delle operazioni di scasso e solo se strettamente necessario.
Lavorazione del terreno
La lavorazione fondamentale (o scasso) ha lo scopo di preparare adeguatamente il terreno, ed è indirizzata
soprattutto a consentire un ottimale sviluppo dell'apparato radicale. Di norma viene lavorato uno strato di terreno
profondo circa 0,8-1,2 metri; la profondità può essere ridotta per la presenza di strati rocciosi compatti. La
lavorazione fondamentale del terreno si può attuare con due diversi organi meccanici: lo scarificatore, o ripper, e il
monovomere. Il primo taglia il terreno come un coltello senza rivoltarlo, il secondo porta in superficie la terra
sottostante e la espone all'aria; pertanto il ripper non provoca le riduzioni di fertilità dovute a perdita di sostanza
organica "bruciata" dal sole e dal vento che, generalmente, si riscontrano con l'aratura. Affinché quest'ultima non
provochi la dispersione della sostanza organica e l'affioramento di materiali inerti mal strutturati o ricchi in sostanze
che possono avere un'azione tossica o comunque sfavorevole (concentrazioni saline, carbonato di calcio, ecc.), si
suggerisce l'impiego di aratri che diano la possibilità di regolare l'angolatura del versoio e che lascino la fetta in
posizione verticale o solo lievemente inclinata. L'integrale mantenimento della successione degli orizzonti si ottiene,
invece, con l'impiego di scarificatori eventualmente attrezzati con alettoni o con altre appendici che ne migliorino,
ove le condizioni del suolo lo permettano (ad es. scarsa pietrosità), l'efficacia di sommovimento del terreno.
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Tale lavorazione, effettuata con singolo passaggio o, di preferenza, con passaggi incrociati, può essere combinata a
lavorazioni più superficiali, attuate con piccoli aratri o con erpici (ad es. erpici a dischi), sia andanti che,
eventualmente, localizzate secondo le curve di livello. Peraltro può capitare che il rimescolamento del terreno
superficiale con quello profondo sia conveniente, come ad esempio in presenza di un primo strato sabbioso seguito
da uno argilloso. L'uso dello scarificatore (fig 4.1) è da preferirsi nei terreni pesanti dove il monovomere favorirebbe
la formazione della "suola di scasso", sottile strato di suolo compresso e ricco di materiali fini che riduce gli scambi
gassosi e idrici nell'ambito del profilo; ancora, la rippatura è opportuna in presenza di sottostanti strati inerti o di
terreni con una grande quantità di scheletro (pietrame), che se portati in superficie deprimerebbero la fertilità del
terreno.
Figura 4.1 Esecuzione della
lavorazione
fondamentale
In Puglia, dove gli oliveti sono spesso realizzati su terreni ricchi di pietre calcaree, è frequente il ricorso a macchine
"schiaccia sassi" che riducono il pietrame portato in superficie con un'aratura a diametri di 3 - 5 cm; il successivo
scasso non interessa tutta la superficie ma si realizza in modo localizzato aprendo con potenti escavatori tante
buche quanti sono gli alberi di olivo da porre a dimora. Lo scasso andante deve essere eseguito "in croce" (cioè sia
in lungo che in largo) con passate molto ravvicinate (40-50 cm per il ripper, 60-80 cm per il monovomere). La
lavorazione fondamentale va effettuata alla fine dell'estate e prima delle piogge autunnali, con terreno non in
tempera, affinché la rilevante potenza applicata al suolo asciutto lo spacchi di forza, provocando una fitta rete di
microfessure indispensabile per assicurare l'ossigenazione anche in profondità e per molti anni. Seguono poi
un'aratura profonda 40-50 cm utile sia per frantumare le grosse zolle lasciate dalla lavorazione fondamentale che
per interrare i concimi, ed una successiva erpicatura che ha come scopo lo sminuzzamento del terreno e
l'agevolazione del tracciamento e della piantumazione.
Concimazione di fondo
La concimazione di fondo ha lo scopo di garantire al terreno una riserva di elementi minerali che, lentamente ceduti,
consentano un aumento del livello di fertilità del suolo. All'atto dell'impianto di un nuovo oliveto occorre quindi
approfondire la conoscenza del terreno in cui si opera al fine di dimensionare per quantità e qualità gli apporti
fertilizzanti. Base fondamentale per tale approfondimento è l'analisi fisico-chimica del terreno, volta ad evidenziare
sia la dotazione di elementi minerali che la presenza di eventuali anomalie (v. cap. 10). Con le analisi fisiche del
terreno si determina la "tessitura o granulometria" espressa in funzione della percentuale delle particelle di diverse
dimensioni presenti nel terreno, distinte in sabbia, limo e argilla. Con le analisi chimiche si determinano la reazione
o pH, il contenuto in sostanza organica e nei principali macroelementi, il complesso di scambio ovvero la capacità
del terreno a trattenere gli elementi, nonché un'altra serie di caratteristiche del suolo.
La concimazione di fondo può essere eseguita prima dello scasso, intervento cui sarà demandato il compito di
distribuire lungo tutto il profilo i fertilizzanti, ovvero dopo la lavorazione profonda ma prima dell'aratura a 40 - 50 cm
di profondità; la prima soluzione è da preferirsi qualora si ritenga che lo sviluppo in profondità dell'apparato radicale
sarà notevole, come avviene in coltura asciutta e nei terreni grossolani ma con una buona aerazione, la seconda
quando è ipotizzabile una distribuzione meno ampia delle radici. Gli apporti comprenderanno concimi organici e
minerali, in quantità tali da costituire una buona riserva di elementi nutritivi (tab. xy del cap. 10). Con la
concimazione di fondo non si apportano di norma fertilizzanti azotati che sono scarsamente trattenuti dal suolo e
devono quindi essere somministrati in un secondo momento; sempre utile risulta, invece, l'applicazione di pratiche
tradizionali che prevedono il posizionamento, sul fondo della buchetta aperta per la messa a dimora della pianta, di
2 - 3 kg di letame maturo o di "terricciati organici" separati dal pane di terra mediante l'interposizione del materiale
ottenuto con l'apertura della buca.
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La concimazione di fondo arricchisce, invece, il terreno di fosforo e potassio, e, se necessario, di magnesio; altri
eventuali nutrienti o correttivi saranno distribuiti solo se l'analisi del terreno avrà segnalato problemi specifici. I
concimi fosfatici più comunemente impiegati e più facilmente reperibili in commercio sono i "perfosfati" caratterizzati
da un contenuto, o "titolo", di fosforo che varia dal 20%, nel caso dei perfosfati semplici, al 46-48% nella
formulazione tripla. In generale nei terreni di medio impasto, caratterizzati da un equilibrio tra le percentuali di
argilla, limo e sabbia, e mediamente dotati degli elementi minerali indispensabili alla nutrizione delle piante, sono
sufficienti apporti di 0,6 - 0,8 tonnellate per ettaro di perfosfato minerale. I fertilizzanti potassici in commercio hanno
un titolo elevato che varia dal 48 al 60% a secondo del tipo di concime. Il più comunemente utilizzato è il solfato
potassico con un titolo del 50% espresso in ossido di potassio (K2O), caratterizzato da una reazione acida,
particolarmente indicato quindi nei terreni calcarei dove sono in genere sufficienti apporti di solfato potassico di 0,4 0,6 tonnellate per ettaro.
Nel capitolo dedicato alla fertilizzazione sono riportate ulteriori informazioni sulle possibili modalità di esecuzione
della concimazione di fondo.
Sistemazioni idraulico-agrarie, opere accessorie e frangiventazione
In pianura la meccanizzazione impone di puntare all'ottenimento di appezzamenti rettangolari, lunghi 80-100 metri
e larghi 50 - 100 o più, in funzione della capacità del terreno di sgrondare le acque piovane in eccesso. Questi
campi possono essere, eventualmente, circondati da semplici solchi acquai nei terreni franco sabbiosi e di medio
impasto, come quelli di origine granitica dell'Ogliastra, del Nuorese e del Sulcis-Iglesiente. Invece nei terreni più
"forti", capaci di trattenere a lungo l'acqua, come già detto si deve dare all'appezzamento una leggera pendenza nel
senso della lunghezza, utile anche per realizzare un'eventuale irrigazione a solchi, e soprattutto "baulare"
leggermente l'appezzamento facendolo risultare progressivamente spiovente ai lati. La baulatura si può ottenere
con delle semplici arature, regolando opportunamente il versoio al fine di "colmare" o "scolmare" il terreno; nei suoli
più pesanti, come soluzione limite, può risultare utile baulare non l'intero campo ma il singolo filare, sempre
operando semplicemente con idonee arature. Il flusso d'acqua proveniente dall'interno del campo baulato (siamo
quindi sempre su terreni "pesanti") sarà raccolto, ai bordi dell'appezzamento, da dei canali detti scoline, che hanno
il compito di richiamare le acque piovane in eccesso e scaricarle nel fosso di testata. L'ampiezza e la profondità
delle scoline deve essere proporzionata alla larghezza del campo (e pertanto alla distanza intercorrente tra una
scolina e l'altra), alla natura del terreno e alle caratteristiche pluviometriche dell'area. In particolare in fase di
progettazione si dovrebbero acquisire le registrazioni degli ultimi 15 - 30 anni relative agli eventi pluviometrici di
punta, cioè quelli caratterizzati da un'elevata intensità di pioggia; poiché il dimensionamento della rete scolante in
funzione dei dati di punta comporta un'affossatura di rilevante volumetria, si suggerisce di norma di utilizzare per il
calcolo un valore pari al 70% di quello massimo registrato. Se poi è nota la presenza di uno strato argilloso nella
zona radicale (che con difficoltà è attraversato dalle piogge e provoca pertanto un ristagno sotto superficiale molto
dannoso per l'olivo) posto, ad esempio, alla profondità di 40-50 cm, è indispensabile che la scolina sia profonda
almeno 60 cm. Lo scasso provvederà, comunque, a frantumare e disperdere lo strato argilloso rendendo
indispensabile la realizzazione della rete scolante solo nei terreni più pesanti. Questo sistema di scoline e canali
prende il nome di affossatura, e può essere oggi realizzato con appositi mezzi meccanici o, più semplicemente, con
l'installazione sulla trattrice aziendale di aratri affossatori.
Peraltro l'olivicoltura si localizza con frequenza nelle aree collinari, dove sussistono minori preoccupazioni per i
ristagni idrici da piogge invernali, ma aumentano i pericoli di erosione per trasporto di terreno a valle in presenza di
forti piogge. Vecchie soluzioni prevedevano opere di terrazzamento (fig. 4.2), con innalzamento di muri in pietra a
sostegno di piani orizzontali o leggermente inclinati verso monte per la raccolta dell'acqua piovana, larghi 5-8 metri
con gli olivi al centro o sul ciglio.
Figura 4.2 - Vecchi
oliveti terrazzati
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Tali soluzioni sono oggi assolutamente improponibili! Per le pendenze non superiori al 5% è possibile disporre i
filari lungo le curve di livello rinunciando, almeno in parte, ad avere filari perfettamente rettilinei e tutti della stessa
lunghezza. D'altra parte questa soluzione consente di limitare il ruscellamento superficiale e favorisce l'accumulo di
riserve idriche nel suolo. Un limite evidente alle lavorazioni secondo le curve di livello è quello della pendenza
entro la quale le trattrici possono lavorare senza incorrere in problemi di stabilità e, quindi, di incolumità per
l'operatore. Cingolati da montagna (a baricentro basso), eventualmente a cingoli larghi, possono lavorare su
pendenze fino al 30% e anche oltre. Tale limite può variare sensibilmente in funzione delle caratteristiche
pedologiche (pietrosità superficiale e profonda, presenza di residui vegetali, tessitura, grado di umidità, ecc.).
Controindicazioni per le lavorazioni secondo le curve di livello esistono solo per i terreni argillosi, dove potrebbero
favorire movimenti franosi. In questo caso andrebbero opportunamente combinate con sistemi di controllo delle
acque eccedenti. Nei suoli argillosi si possono attuare più convenientemente le lavorazioni a ritocchino, purché
accompagnate da opportune opere sistematorie, sino a pendenze del 10-25% senza eccessivi rischi di erosione.
In ogni caso si deve sottolineare che un'olivicoltura intensiva non può essere realizzata in aree con pendenze
superiori al 15-20%, non solo per le difficoltà di impianto ma anche per le elevate spese di gestione di un oliveto
così conformato.
In fase di impianto ci si preoccupa anche di realizzare le diverse infrastrutture necessarie all'azienda olivicola: piste
interpoderali, scavi per l'interramento dell'impianto di irrigazione, bacini o serbatoi di raccolta delle acque, pozzi,
fabbricati e maglie frangivento. I frangiventi realizzati con specie a rapido accrescimento come eucalitti e cipressi
andrebbero impiantati due - tre anni prima di mettere a dimora gli olivi, per dar loro modo di raggiungere l'altezza
indispensabile a garantire almeno un parziale riparo dai venti; questa norma è però raramente rispettata. Come è
noto gli eucalitti assicurano il rapido raggiungimento di altezze elevate (si può stimare che l'area protetta dal vento
sia pari a 10 volte l'altezza del frangivento), hanno elevata capacità pollonifera (sono cioè capaci di emettere
vigorosi polloni dopo il taglio) e possono quindi fornire ogni 8 - 10 anni paleria minuta e legname da ardere, anche
se di modesto valore; d'altra parte competono con vigore per acqua e nutrienti e deprimono lo sviluppo delle colture
poste a meno di 6 - 10 metri dal frangivento. In definitiva gli eucalitti, disposti su due - tre file ai vertici di un triangolo
equilatero avente il lato lungo 2 - 3 m, si prestano per la realizzazione di fasce perimetrali o di maglie frangivento a
livello comprensoriale soprattutto nelle aree litoranee. Per i singoli oliveti, in particolare se di piccole dimensioni, gli
effetti negativi del vento possono essere limitati o non superiori a quelli derivanti dalla concorrenza esercitata dal
frangivento; questo, se necessario, può essere realizzato con varietà di olivo quale la Cipressino (a maturazione
tanto precoce da precedere l'apertura dei frantoi e, quindi, in progressivo abbandono), la Carolea, la Nera di
Gonnos o altre purché resistenti al vento e al cicloconio.
Tracciamento e piantumazione
Dovendo destinare un terreno a un nuovo impianto, sia in piano che in collina, occorre effettuare delle operazioni di
campagna indispensabili a garantire la regolarità del sesto, l'esatta determinazione del numero di piante
necessarie, la disposizione di opere e impianti accessori (fossi e scoline, impianti irrigui, frangiventazione, etc.). Se
si deve realizzare un oliveto irriguo occorre preliminarmente verificare la presenza di una idonea fonte di
approvvigionamento idrico e scegliere il tipo di impianto di irrigazione. Prima della messa a dimora della piante
occorre procedere alla posa in opera di quelle parti dell'impianto che necessariamente devono essere interrate.
La scelta della tipologia di impianto è condizionata dalla quantità d'acqua disponibile, dalle sue caratteristiche
chimiche e dalla natura dei terreni. La stessa disponibilità idrica condiziona poi altre scelte, quali ad esempio la
distanza tra le piante e conseguentemente il loro numero per ettaro. Completata la preparazione del terreno e prima
di effettuare la squadratura del campo e la messa a dimora delle piantine, è necessario effettuare alcune scelte
preliminari. In primo luogo occorre decidere il sesto d'impianto, la distanza tra le piante nonché l'orientamento dei
filari.
Scelta del sesto e della distanza tra le piante
Col termine "sesto" d'impianto si intende definire la disposizione geometrica e ordinata degli alberi sul terreno,
posizionati a intervalli regolari. Usualmente sono utilizzati nella moderna arboricoltura il sesto rettangolare ed il
sesto quadrato, in cui le piante sono situate, rispettivamente, ai vertici di un rettangolo o di un quadrato. Il sesto
ricorrente in Sardegna, anche nella olivicoltura tradizionale, è quello rettangolare con distanze tra le piante
oscillanti tra 8 x 10 e 10 x 12 metri.
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Nell'impiantare un nuovo oliveto, la scelta della densità d'impianto scaturisce dalla considerazione che l'arboreto
adulto raggiungerà il massimo potenziale produttivo quando gli alberi saranno disposti con la densità più elevata
che ancora consente di intercettare una quantità di luce solare sufficiente per lo sviluppo, alla periferia della chioma,
dei germogli fruttiferi. Inoltre si dovrà tenere conto della disponibilità, o meno, di acqua per l'irrigazione, continua o
solo di soccorso, oltreché ovviamente dalla pluviometria media dell'area; infatti negli ambienti semi aridi o subumidi
e in coltura asciutta, è opportuno assicurare al singolo albero un maggiore volume di terreno e, quindi, una più
consistente riserva idrica. Nel caso di impianti in irriguo la densità può essere notevolmente incrementata con l'esito
che l'elevato numero di piante garantisce, già dai primi anni, un'accettabile produzione capace di coprire parte dei
costi di impianto e i costi di esercizio; in quest'ottica rientra anche il concetto di "sesto dinamico", basato sulla messa
a dimora di un elevato numero di piante (3 x 3 m, cioè più di 1.000 piante/ha) da diradare progressivamente a sesti
di 3 x 6 e 6 x 6 m. Questo modello, che ha avuto negli anni passati una modesta diffusione nell'Italia centrale, trova il
suo limite principale nell'elevato costo delle giovani piante di olivo; inoltre è anche vanificato dal fatto che sebbene
la competizione tra gli alberi per acqua e nutrienti aumenti in funzione della densità, non riduce le dimensioni
dell'albero in misura sufficiente ad evitare il diradamento. La scelta della densità è inoltre fortemente influenzata
dalla natura del terreno, dalla forma di allevamento, dalla varietà. Queste variabili sono tutte tra loro strettamente
collegate e su ognuna si può, entro certi limiti, intervenire per giungere agli obiettivi produttivi di elevate rese
unitarie e contenimento dei costi.
Partendo da tali considerazioni, con l'utilizzo di un sesto rettangolare di 6x4 metri, che garantisce un investimento di
416 piante per ettaro, possono attendersi buone produzioni già dai primi anni, pur modeste se riferite alla singola
pianta. Un simile modello produttivo si basa su forme di allevamento contenute, poco espanse in larghezza, come il
monocono. Un sesto così dimensionato potrebbe, inoltre, comportare per l'oliveto in produzione l'inconveniente del
reciproco ombreggiamento degli alberi, problema da gestire con frequenti potature.
In alternativa ai sistemi intensivi, soprattutto in regime asciutto, è consigliabile il ricorso ad un sesto in quadrato che
può andare dal 6x6 al 7x7 metri, con un investimento rispettivamente di 277 e 204 piante; oppure di un sesto
rettangolare da 6x7 a 6x8, con un conseguente investimento per ettaro di 238 e 208 piante, soprattutto in quelle
zone in cui la minore piovosità annua è il principale fattore limitante lo sviluppo dell'impianto. Il sesto in quadrato
consente una migliore illuminazione, evitando ombreggiamenti della chiome, deleteri per la produttività. Questa
disposizione favorisce, inoltre, l'esecuzione delle lavorazioni e di tutte le altre operazioni colturali secondo entrambe
le direttrici dell'impianto. Ma, optando eventualmente per un impianto a elevata densità, l'adozione del sesto in
quadrato comporta una riduzione degli spazi di movimentazione dei mezzi meccanici, per cui, a parità di
investimento di piante per ettaro, il sesto in rettangolo consente di formare una corsia più ampia, utile per
l'esecuzione delle operazioni colturali. L'individuazione del sesto d'impianto si integra, pertanto, in maniera
fondamentale con la scelta della forma di allevamento che, negli impianti intensivi, deve rispondere a criteri di
meccanizzazione integrale delle operazioni colturali. In tutti i casi elencati si evidenzia come l'investimento
consigliato per ettaro non scende mai sotto le 200 - 250 piante, onde evitare di perdere quei vantaggi che distanze
relativamente brevi possono permettere di conseguire già dal medio - breve periodo.
Orientamento dei filari
L'olivo é specie fortemente eliofila (avida di luce), le cui produzioni fruttifere si localizzano preferibilmente sui rami
dell'anno precedente, posizionati in gran parte nella porzione più esterna della chioma sottoposta a maggiore
irraggiamento. In Sardegna questa esigenza è di norma soddisfatta, e solo per gli oliveti da impiantare in collina si
devono preferire i terreni esposti a Sud. Questi infatti sono meno soggetti a gelate e godono di un regime termico
più favorevole. Altra scelta da effettuarsi in caso di impianti con sesti rettangolari è l'orientamento da dare ai filari,
che in genere deve essere Nord-Sud per garantire la migliore illuminazione delle chiome. In pianura questa
esigenza è soddisfatta con facilità, mentre in collina va conciliata con la necessità sia di salvaguardare le pendici
dall'erosione che di meccanizzare al massimo le operazioni colturali. Pertanto nelle pendici esposte a Est e a Ovest
le due esigenze coincidono, mentre per le altre esposizioni la necessità di seguire le curve di livello impone un
orientamento dei filari lungo la direttrice Est-Ovest. In condizioni di ridotta pendenza (intorno al 5%) é possibile
effettuare l'impianto seguendo le linee di massima pendenza, favorendo la stabilizzazione della pendice nella fase
successiva all'impianto, attraverso la riduzione o eliminazione delle periodiche lavorazioni meccaniche e
l'introduzione della "non-coltivazione" (o incoltura), attuata o col ricorso al diserbo o con l'inerbimento dell'interfila da
parte di essenze erbacee già presenti nel territorio, ovvero introdotte appositamente. Come si dirà nel cap. 8, questa
soluzione è praticabile soprattutto negli oliveti irrigui.
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Messa a dimora delle piante
La piantumazione si effettua preferibilmente a fine inverno - inizio primavera oppure all'inizio dell'autunno, così da
garantire alla piantina un'adeguata espansione dell'apparato radicale prima che questo venga bloccato dallo
sviluppo dei germogli e dall'aridità estiva, nel primo caso, e dalle minime termiche invernali, nel secondo. Ma
quando i terreni sono riparati dai venti freddi invernali, non sussistano rischi di gelate ed è possibile irrigare con
adeguate quantità d'acqua, la realizzazione dell'oliveto può essere programmata pressoché in tutti i mesi dell'anno,
soprattutto se si utilizzano piante allevate in contenitore così come sta diventando prassi normale. Preliminarmente
occorre effettuare un allineamento dei filari e delimitare gli appezzamenti, individuando le linee principali,
proseguendo, poi, nella squadratura tramite picchetti e corde graduate per individuare - a seconda del sesto
prescelto - l'esatta posizione della piante tramite una canna o altro segnale.
Figura 4.3 Corretto
posizionamento in
campo di una
piantina di olivo
Al momento dell'impianto (fig. 4.3) viene realizzata una piccola buca con una zappa, appena sufficiente a contenere
la zolla posizionando la piantina in modo che il pane di terra, che contiene le radici, risulti interrato per circa 3-5 cm
(figg. 4.4, 4.5, 4.6). Il terreno intorno alla pianta dovrà essere compresso per assicurare la perfetta aderenza al pane
di terra e poi bagnato per eliminare l'aria in eccesso e favorire la fuoriuscita delle radici dal pane di terra; l'umidità
del terreno dovrà essere monitorata per tutta la stagione estiva, evitando gli eccessi idrici ma anche l'eccessiva
aridità
Figura 4.4, Figura 4.5, Figura 4.6 Illustrazione delle diverse fasi di messa a
dimora della giovane pianta
Contestualmente alla messa a dimora della pianta occorre posizionare una canna - che in tutti i casi va sostituita
dopo il primo anno da un più robusto tutore - o direttamente il palo tutore, effettuando delle legature ad otto con
laccio tubolare in plastica morbida (spaghetto o tubetto agricolo), così da evitare rischi di strozzature. Qualora
l'albero debba essere allevato su un unico asse, occorre un palo tutore di altezza fuori terra di circa 2-2,5 metri. Nel
caso, poi, venga scelta una forma di allevamento a vaso, è sufficiente un'altezza fuori terra di 1,3-1,5 metri circa, in
quanto non è necessario disporre di un palo tutore molto più lungo dell'altezza dell'impalcatura. Il palo tutore deve
svolgere efficacemente la propria funzione almeno sino al quarto anno dall'impianto, quando la struttura scheletrica
della pianta ha acquisito sufficiente rigidità. Normalmente nei nostri ambienti vengono utilizzati pali in castagno;
tuttavia in alternativa possono essere utilizzati pali in P.V.C., in bambù, in eucalitto, etc. L'operatore indirizzerà la
propria scelta sul materiale che a parità di efficienza sia più facilmente reperibile ed al minor costo.
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Per una maggiore durata è bene trattare la parte basale dei pali in legno e bambù (40-50 cm) con catrame ovvero
immergerla in soluzioni idriche concentrate di solfato di rame o di altri specifici prodotti reperibili in commercio. Più
semplicemente, la durata del tutore può essere incrementata mediante abbruciamento superficiale del tratto basale.
Durante la prima stagione vegetativa si dovrà assicurare un attento controllo delle infestanti e fornire modesti
apporti di azotati se l'accrescimento risulta meno che ottimale (ma in presenza di una sufficiente umidità del
terreno). Si deve anche tenere presente che nei primi anni il fusticino dell'olivo può subire danni da eccessiva
insolazione; si può ricorrere a specifiche protezioni (tubex, shelter, materiali cartacei, ecc.) o alla tradizionale
imbiancatura con latte di calce (biancone). Gli interventi relativi alla potatura di allevamento sono riportati nel cap.
11.
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Capitolo 4 - L'impianto dell'oliveto
Obiettivi
Si riportano indicazioni sulle esigenze ecologiche della specie e sulle tecniche di impianto dell'oliveto, dallo scasso
alla piantumazione.
La vocazionalità ambientale deve essere valutata in pre impianto per gli aspetti climatici, pedologici e infrastrutturali.
I rami e le branche sono danneggiati da temperature inferiori nell'ordine a -5°C e -10°C. Sussiste, d'altra parte, un
fabbisogno di freddo durante la stasi vegetativa invernale, il cui mancato soddisfacimento provoca disseccamento
delle gemme a fiore e incremento dell'aborto dell'ovario.
L'olivo preferisce suoli privi di strati impermeabili ad aria e acqua, con tessitura da franco sabbiosa ad argillo
limosa. La specie tollera terreni con reazione da subacida a subalcalina, anche con valori di cloruri e boro
moderatamente elevati. E' una delle specie arboree più resistenti a salinità e sodicità nel suolo. I nuovi oliveti
dovranno essere realizzati in aree con pendenza inferiore al 15 - 20%.
Le operazioni preliminari all'impianto comprendono decespugliamento, dicioccamento, spietramento e livellamento
del terreno. La successiva lavorazione fondamentale si realizza con aratro da scasso nei terreni incoerenti, e con
scarificatore negli altri. L'analisi chimica del terreno guiderà le scelte della concimazione di fondo, basata su apporti
di sostanza organica, fosforo e potassio.
La sistemazione idraulica sarà più impegnativa nei terreni pesanti e nelle aree pendenti: nel primo caso per evitare
ristagni invernali, nel secondo per rallentare la velocità di scorrimento superficiale delle acque meteoriche.
Il sesto, quadrato o rettangolare, si realizza con distanze di piantagione inferiori al tradizionale 10x10m: dal 6x4m
consigliato per forme di allevamento a monocono, al 6x6m - 7x7m del vaso, soprattutto se in coltura asciutta.
L'impianto dell'oliveto
La redditività dell'oliveto è, tra l'altro, legata alla corretta valutazione, in fase di pre - impianto, della "vocazionalità
ambientale", cioè dell'idoneità microclimatica e pedologica del sito prescelto ad ospitare le giovani piante di olivo.
La "diagnosi stazionale" (intendendo col termine "stazione" l'ambiente di coltivazione e il sito prescelto per
l'impianto) non richiede, nel caso dell'olivo e della Sardegna, un elevato grado di dettaglio poiché la specie vede, in
linea di massima, soddisfatte le sue esigenze ecologiche in tutti gli agroecosistemi dell'Isola. Ciò non significa che
le interazioni ambiente/coltura possano essere del tutto trascurate, non fosse altro per la differente risposta che una
stessa varietà fornisce al variare delle caratteristiche ambientali (vedi cap. 7). La potenzialità produttiva del binomio
coltura/ambiente deve essere esaltata, anche sotto il profilo qualitativo, attraverso la realizzazione di una serie di
interventi tecnici, quali la preparazione del terreno, la scelta delle distanze di piantagione e del sistema di
irrigazione, e l'insieme delle cure da eseguirsi in fase di allevamento. Il termine vocazionalità può essere poi inteso
in senso più ampio, "territoriale", includendo la valutazione del grado di infrastrutturazione del comprensorio
olivicolo: piste aziendali e vie di comunicazione in genere, reti tecnologiche e rete consortile di distribuzione
dell'acqua, ma anche presenza di centri di trasformazione sia per le olive da mensa che da olio, di depuratori per
l'eventuale trattamento delle acque di vegetazione e di sansifici per la trasformazione dei residui ultimi del ciclo di
trasformazione. Non meno importante, infine, la disponibilità di manodopera qualificata per l'esecuzione degli
interventi tecnici, ad esempio per la diffusione di una forma di allevamento interessante, ma poco conosciuta in
Sardegna, come il "monocono".
Considerazioni climatiche
Come si segnalerà nel cap. 5 (scelta varietale), cap. 6 (biologia fiorale) e soprattutto cap .7 (clima e olivo) ci sono
importanti interazioni tra il sito e la produttività dell'oliveto. Le rese e la qualità più elevate si ottengono nelle aree
che hanno inverni miti e piovosi che consentono di costituire una riserva idrica nel suolo, ed estati asciutte e calde
capaci di far maturare i frutti e contenere l'incidenza della mosca delle olive.
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L'olivo, infatti, è una specie di origine subtropicale, sensibile alle temperature molto basse; i rami sono danneggiati,
spesso uccisi, da temperature inferiori a - 5 °C, mentre le branche e l'intera chioma possono essere uccisi se le
temperature scendono al di sotto di -10 °C. Danni da freddo di minore entità sui rami fruttiferi provocano delle
fessurazioni che facilitano la diffusione della batteriosi detta "rogna". Anche i frutti dell'olivo sono danneggiati dalle
gelate durante le ultime fasi dello sviluppo e, soprattutto, nel corso della maturazione; il completamento della
raccolta entro il mese di dicembre riduce l'incidenza del fenomeno. Le varietà diffuse nell'Italia centro settentrionale
presentano differenti gradi di resistenza al freddo: la cv Frantoio è più sensibile al gelo della Moraiolo, mentre
resistenti risultano Morchiaio, Maurino e Leccino. Di contro non si dispone di notizie precise sulla risposta delle
varietà di interesse regionale anche in relazione alla ridotta frequenza delle gelate; ulteriori dettagli sono riportati
nel capitolo 7. Si dovrebbero, comunque, evitare le aree che hanno un'alta probabilità di gelate nel periodo che
precede la raccolta. Anche per le cultivar sarde risulta, invece, accertato un problema di fabbisogno di freddo (v.
cap. 6) poiché varietà come la Palma (presumibile sinonimo della Bosana) vanno incontro al disseccamento delle
gemme a fiore e a un incremento dell'aborto dell'ovario quando la temperatura media dell'aria risulta, nel mese di
gennaio, superiore a 7 °C. D'altra parte la specie si dimostra ben tollerante alle elevate temperature anche se
associate a limitate disponibilità idriche nel suolo.
Le interazioni microclima/coltura divengono ancora più evidenti quando si considera l'influenza delle condizioni
meteorologiche sull'azione dei parassiti animali e vegetali; è noto che i microclimi con alta umidità relativa dell'aria
(aree litoranee o di fondo valle) favoriscono la diffusione dell'occhio di pavone e ne rendono difficile il controllo in
varietà sensibili come la Bosana (v. cap. 14).
Considerazioni sulla giacitura e natura dei terreni
Sebbene l'olivo si adatti a un'ampia varietà di terreni, la produttività è più elevata dove gli alberi possono sviluppare
gli apparati radicali senza limitazioni chimiche o fisiche. Per quanto riguarda queste ultime, in fase di pre - impianto
si deve valutare la tessitura, la profondità e la stratificazione del suolo. Gli olivi preferiscono terreni privi di strati
impermeabili all'aria e all'acqua, con tessitura compresa tra i franco sabbiosi, i terreni di medio impasto, i franco
limosi, gli argillo limosi e i franco limo argillosi. Questi suoli assicurano un'intensità di scambi gassosi necessari a
garantire lo sviluppo delle radici, sono sufficientemente permeabili e hanno un'alta capacità di ritenzione idrica. I
terreni con maggiore contenuto in sabbia non hanno una grande capacità di trattenere i nutrienti e l'acqua, e quelli
più argillosi spesso non hanno un'aerazione adeguata alla crescita delle radici. Maggiori dettagli sono riportati nel
capitolo 10. L'olivo ha radici tendenzialmente superficiali (soprattutto in irriguo) e non richiede suoli molto profondi
per produrre bene. I terreni evoluti, sia con strati solidi cementati sia con variazioni nella tessitura entro il profilo di
suolo interessato dalle radici, impediscono il movimento dell'acqua e possono favorire la comparsa di strati di
saturazione che danneggiano le radici dell'olivo.
Per quanto attiene le caratteristiche chimiche del terreno, l'olivo si adatta a un'ampia gamma di tipologie chimiche.
Gli alberi producono bene su terreni moderatamente acidi (pH superiore a 5) o moderatamente basici (pH inferiore
a 8,5) così come su quelli che hanno livelli di boro o cloro relativamente alti. Si dovrebbero evitare i suoli alcalini o
sodici poiché la loro struttura ostacola la penetrazione dell'acqua e il drenaggio, e da luogo a condizioni di
saturazione che danneggiano gli apparati radicali. L'olivo rimane, comunque, una delle colture arboree
maggiormente resistenti a salinità e sodicità.
Per quanto riguarda la giacitura i nuovi impianti dovranno essere realizzati in aree con pendenza non superiore al
15 - 20% dove la meccanizzazione delle operazioni colturali è ancora possibile senza compromettere né la stabilità
dei versanti né l'incolumità degli operatori delle macchine agricole.
La tessitura e la giacitura possono interagire con la comparsa di diverse fitopatie; in particolare i terreni più pesanti
possono favorire non solo l'azione di diverse specie fungine che causano marciumi del colletto ma anche, in
concomitanza a specifica sensibilità varietale, la verticilliosi da Verticillium dahliae.
Operazioni preliminari all'impianto
Le modalità d'impianto di un oliveto non differiscono in sostanza dalle tradizionali operazioni di messa a coltura di
un terreno da destinare ad un impianto arboreo; in sintesi si possono individuare le fasi qui sotto riportate.
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Decespugliamento, dicioccamento e spietramento, livellamento del terreno
Nel caso si dovesse intervenire su aree mai messe a coltura, sarà necessario procedere all'eliminazione della
preesistente vegetazione (macchia o cespugliame) dopo essersi assicurati che l'area non sia gravata da vincoli
quali quelli idrogeologici e paesaggistici. Si deve avere sempre ben presente che i primi centimetri di suolo
rappresentano la frazione più fertile poiché arricchiti di sostanza organica dai residui delle erbe e degli arbusti
succedutisi nel tempo su quel terreno. Pertanto, pur essendo indispensabile il ricorso a specifici mezzi meccanici (in
genere macchine per il movimento terra di rilevante potenza, dotate di lama frontale e scarificatore posteriore)
l'operatore deve evitare di asportare, insieme al cespugliame ed eventuali massi rocciosi, i primi 5 - 10 cm di terra.
La lama (piuttosto "a rastrello" che "a cucchiaio") dovrà operare in posizione piuttosto "alta" ovvero limitarsi
all'eliminazione di alberi e grosse pietre, mentre l'asportazione del cespugliame può essere affidata ad appositi
decespugliatori ad asse orizzontale che lasciano sul terreno i residui trinciati (molto utili anche come fonte di
sostanza organica). Nel caso in cui si debba costituire un nuovo oliveto su terreni precedentemente occupati da
colture arboree, si esegue preliminarmente l'eliminazione delle vecchie ceppaie ancora presenti
nell'appezzamento; l'estirpazione dovrà essere quanto più possibile accurata poiché i residui radicali ospitano con
facilità agenti fungini di marciumi. Quando è possibile può risultare utile trattare preventivamente la coltura da
eliminare con diserbanti sistemici al fine di ridurre la consistenza di eventuali ricacci; casi del genere si sono
verificati di recente in conseguenza degli interventi per l'estirpazione dei vigneti, la cui eliminazione meccanica è
sovente preceduta da trattamenti con formulati erbicidi a base di 2,4-D (vecchio diserbante del grano) e successiva
applicazione di glifosate sui ricacci dell'americano (v. cap. 9). Infine, se le colture precedenti hanno lasciato una
forte presenza di erbe infestanti, quali gramigna, cipero, portulaca, artemisia, ricacci di bietole, etc., può essere utile
attuare prima dell'impianto un intervento di diserbo con formulati di postemergenza (v. cap. 9).
Il livellamento dell'appezzamento deve salvaguardare la sostanza organica del suolo attraverso la riduzione al
minimo dei movimenti di terra, peraltro necessari sia per eliminare dossi e avvallamenti sia per dare al terreno la
pendenza desiderata. Infatti l'oliveto deve essere opportunamente livellato per ridurre l'erosione, evitare i ristagni
idrici, favorire la meccanizzazione e consentire, se richiesto, l'adozione di metodi irrigui che sfruttano la gravità per
la movimentazione dell'acqua. Se si prevede di utilizzare l'irrigazione per infiltrazione laterale da solchi, col
livellamento si deve assicurare una pendenza modesta compresa tra 10 e 50 cm di dislivello su 100 m di solco (0,1
- 0,5%). L'innalzamento del contenuto in sostanza organica del terreno e un parziale controllo delle infestanti
ereditate da una precedente coltura possono ottenersi con la semina di essenze erbacee da sovescio.
Il pietrame di risulta può essere utilizzato per formare dei drenaggi qualora il terreno presenti difficoltà di sgrondo
delle acque piovane; a tal fine vengono aperte delle fosse opportunamente distanziate tra loro, profonde 130-150
cm, larghe circa 50 cm, che vengono poi riempite per metà con le pietre asportate dal campo. Tale intervento,
abbastanza costoso, sarà eseguito dopo l'ultimazione delle operazioni di scasso e solo se strettamente necessario.
Lavorazione del terreno
La lavorazione fondamentale (o scasso) ha lo scopo di preparare adeguatamente il terreno, ed è indirizzata
soprattutto a consentire un ottimale sviluppo dell'apparato radicale. Di norma viene lavorato uno strato di terreno
profondo circa 0,8-1,2 metri; la profondità può essere ridotta per la presenza di strati rocciosi compatti. La
lavorazione fondamentale del terreno si può attuare con due diversi organi meccanici: lo scarificatore, o ripper, e il
monovomere. Il primo taglia il terreno come un coltello senza rivoltarlo, il secondo porta in superficie la terra
sottostante e la espone all'aria; pertanto il ripper non provoca le riduzioni di fertilità dovute a perdita di sostanza
organica "bruciata" dal sole e dal vento che, generalmente, si riscontrano con l'aratura. Affinché quest'ultima non
provochi la dispersione della sostanza organica e l'affioramento di materiali inerti mal strutturati o ricchi in sostanze
che possono avere un'azione tossica o comunque sfavorevole (concentrazioni saline, carbonato di calcio, ecc.), si
suggerisce l'impiego di aratri che diano la possibilità di regolare l'angolatura del versoio e che lascino la fetta in
posizione verticale o solo lievemente inclinata. L'integrale mantenimento della successione degli orizzonti si ottiene,
invece, con l'impiego di scarificatori eventualmente attrezzati con alettoni o con altre appendici che ne migliorino,
ove le condizioni del suolo lo permettano (ad es. scarsa pietrosità), l'efficacia di sommovimento del terreno.
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Tale lavorazione, effettuata con singolo passaggio o, di preferenza, con passaggi incrociati, può essere combinata a
lavorazioni più superficiali, attuate con piccoli aratri o con erpici (ad es. erpici a dischi), sia andanti che,
eventualmente, localizzate secondo le curve di livello. Peraltro può capitare che il rimescolamento del terreno
superficiale con quello profondo sia conveniente, come ad esempio in presenza di un primo strato sabbioso seguito
da uno argilloso. L'uso dello scarificatore (fig 4.1) è da preferirsi nei terreni pesanti dove il monovomere favorirebbe
la formazione della "suola di scasso", sottile strato di suolo compresso e ricco di materiali fini che riduce gli scambi
gassosi e idrici nell'ambito del profilo; ancora, la rippatura è opportuna in presenza di sottostanti strati inerti o di
terreni con una grande quantità di scheletro (pietrame), che se portati in superficie deprimerebbero la fertilità del
terreno.
Figura 4.1 Esecuzione della
lavorazione
fondamentale
In Puglia, dove gli oliveti sono spesso realizzati su terreni ricchi di pietre calcaree, è frequente il ricorso a macchine
"schiaccia sassi" che riducono il pietrame portato in superficie con un'aratura a diametri di 3 - 5 cm; il successivo
scasso non interessa tutta la superficie ma si realizza in modo localizzato aprendo con potenti escavatori tante
buche quanti sono gli alberi di olivo da porre a dimora. Lo scasso andante deve essere eseguito "in croce" (cioè sia
in lungo che in largo) con passate molto ravvicinate (40-50 cm per il ripper, 60-80 cm per il monovomere). La
lavorazione fondamentale va effettuata alla fine dell'estate e prima delle piogge autunnali, con terreno non in
tempera, affinché la rilevante potenza applicata al suolo asciutto lo spacchi di forza, provocando una fitta rete di
microfessure indispensabile per assicurare l'ossigenazione anche in profondità e per molti anni. Seguono poi
un'aratura profonda 40-50 cm utile sia per frantumare le grosse zolle lasciate dalla lavorazione fondamentale che
per interrare i concimi, ed una successiva erpicatura che ha come scopo lo sminuzzamento del terreno e
l'agevolazione del tracciamento e della piantumazione.
Concimazione di fondo
La concimazione di fondo ha lo scopo di garantire al terreno una riserva di elementi minerali che, lentamente ceduti,
consentano un aumento del livello di fertilità del suolo. All'atto dell'impianto di un nuovo oliveto occorre quindi
approfondire la conoscenza del terreno in cui si opera al fine di dimensionare per quantità e qualità gli apporti
fertilizzanti. Base fondamentale per tale approfondimento è l'analisi fisico-chimica del terreno, volta ad evidenziare
sia la dotazione di elementi minerali che la presenza di eventuali anomalie (v. cap. 10). Con le analisi fisiche del
terreno si determina la "tessitura o granulometria" espressa in funzione della percentuale delle particelle di diverse
dimensioni presenti nel terreno, distinte in sabbia, limo e argilla. Con le analisi chimiche si determinano la reazione
o pH, il contenuto in sostanza organica e nei principali macroelementi, il complesso di scambio ovvero la capacità
del terreno a trattenere gli elementi, nonché un'altra serie di caratteristiche del suolo.
La concimazione di fondo può essere eseguita prima dello scasso, intervento cui sarà demandato il compito di
distribuire lungo tutto il profilo i fertilizzanti, ovvero dopo la lavorazione profonda ma prima dell'aratura a 40 - 50 cm
di profondità; la prima soluzione è da preferirsi qualora si ritenga che lo sviluppo in profondità dell'apparato radicale
sarà notevole, come avviene in coltura asciutta e nei terreni grossolani ma con una buona aerazione, la seconda
quando è ipotizzabile una distribuzione meno ampia delle radici. Gli apporti comprenderanno concimi organici e
minerali, in quantità tali da costituire una buona riserva di elementi nutritivi (tab. xy del cap. 10). Con la
concimazione di fondo non si apportano di norma fertilizzanti azotati che sono scarsamente trattenuti dal suolo e
devono quindi essere somministrati in un secondo momento; sempre utile risulta, invece, l'applicazione di pratiche
tradizionali che prevedono il posizionamento, sul fondo della buchetta aperta per la messa a dimora della pianta, di
2 - 3 kg di letame maturo o di "terricciati organici" separati dal pane di terra mediante l'interposizione del materiale
ottenuto con l'apertura della buca.
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La concimazione di fondo arricchisce, invece, il terreno di fosforo e potassio, e, se necessario, di magnesio; altri
eventuali nutrienti o correttivi saranno distribuiti solo se l'analisi del terreno avrà segnalato problemi specifici. I
concimi fosfatici più comunemente impiegati e più facilmente reperibili in commercio sono i "perfosfati" caratterizzati
da un contenuto, o "titolo", di fosforo che varia dal 20%, nel caso dei perfosfati semplici, al 46-48% nella
formulazione tripla. In generale nei terreni di medio impasto, caratterizzati da un equilibrio tra le percentuali di
argilla, limo e sabbia, e mediamente dotati degli elementi minerali indispensabili alla nutrizione delle piante, sono
sufficienti apporti di 0,6 - 0,8 tonnellate per ettaro di perfosfato minerale. I fertilizzanti potassici in commercio hanno
un titolo elevato che varia dal 48 al 60% a secondo del tipo di concime. Il più comunemente utilizzato è il solfato
potassico con un titolo del 50% espresso in ossido di potassio (K2O), caratterizzato da una reazione acida,
particolarmente indicato quindi nei terreni calcarei dove sono in genere sufficienti apporti di solfato potassico di 0,4 0,6 tonnellate per ettaro.
Nel capitolo dedicato alla fertilizzazione sono riportate ulteriori informazioni sulle possibili modalità di esecuzione
della concimazione di fondo.
Sistemazioni idraulico-agrarie, opere accessorie e frangiventazione
In pianura la meccanizzazione impone di puntare all'ottenimento di appezzamenti rettangolari, lunghi 80-100 metri
e larghi 50 - 100 o più, in funzione della capacità del terreno di sgrondare le acque piovane in eccesso. Questi
campi possono essere, eventualmente, circondati da semplici solchi acquai nei terreni franco sabbiosi e di medio
impasto, come quelli di origine granitica dell'Ogliastra, del Nuorese e del Sulcis-Iglesiente. Invece nei terreni più
"forti", capaci di trattenere a lungo l'acqua, come già detto si deve dare all'appezzamento una leggera pendenza nel
senso della lunghezza, utile anche per realizzare un'eventuale irrigazione a solchi, e soprattutto "baulare"
leggermente l'appezzamento facendolo risultare progressivamente spiovente ai lati. La baulatura si può ottenere
con delle semplici arature, regolando opportunamente il versoio al fine di "colmare" o "scolmare" il terreno; nei suoli
più pesanti, come soluzione limite, può risultare utile baulare non l'intero campo ma il singolo filare, sempre
operando semplicemente con idonee arature. Il flusso d'acqua proveniente dall'interno del campo baulato (siamo
quindi sempre su terreni "pesanti") sarà raccolto, ai bordi dell'appezzamento, da dei canali detti scoline, che hanno
il compito di richiamare le acque piovane in eccesso e scaricarle nel fosso di testata. L'ampiezza e la profondità
delle scoline deve essere proporzionata alla larghezza del campo (e pertanto alla distanza intercorrente tra una
scolina e l'altra), alla natura del terreno e alle caratteristiche pluviometriche dell'area. In particolare in fase di
progettazione si dovrebbero acquisire le registrazioni degli ultimi 15 - 30 anni relative agli eventi pluviometrici di
punta, cioè quelli caratterizzati da un'elevata intensità di pioggia; poiché il dimensionamento della rete scolante in
funzione dei dati di punta comporta un'affossatura di rilevante volumetria, si suggerisce di norma di utilizzare per il
calcolo un valore pari al 70% di quello massimo registrato. Se poi è nota la presenza di uno strato argilloso nella
zona radicale (che con difficoltà è attraversato dalle piogge e provoca pertanto un ristagno sotto superficiale molto
dannoso per l'olivo) posto, ad esempio, alla profondità di 40-50 cm, è indispensabile che la scolina sia profonda
almeno 60 cm. Lo scasso provvederà, comunque, a frantumare e disperdere lo strato argilloso rendendo
indispensabile la realizzazione della rete scolante solo nei terreni più pesanti. Questo sistema di scoline e canali
prende il nome di affossatura, e può essere oggi realizzato con appositi mezzi meccanici o, più semplicemente, con
l'installazione sulla trattrice aziendale di aratri affossatori.
Peraltro l'olivicoltura si localizza con frequenza nelle aree collinari, dove sussistono minori preoccupazioni per i
ristagni idrici da piogge invernali, ma aumentano i pericoli di erosione per trasporto di terreno a valle in presenza di
forti piogge. Vecchie soluzioni prevedevano opere di terrazzamento (fig. 4.2), con innalzamento di muri in pietra a
sostegno di piani orizzontali o leggermente inclinati verso monte per la raccolta dell'acqua piovana, larghi 5-8 metri
con gli olivi al centro o sul ciglio.
Figura 4.2 - Vecchi
oliveti terrazzati
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Tali soluzioni sono oggi assolutamente improponibili! Per le pendenze non superiori al 5% è possibile disporre i
filari lungo le curve di livello rinunciando, almeno in parte, ad avere filari perfettamente rettilinei e tutti della stessa
lunghezza. D'altra parte questa soluzione consente di limitare il ruscellamento superficiale e favorisce l'accumulo di
riserve idriche nel suolo. Un limite evidente alle lavorazioni secondo le curve di livello è quello della pendenza
entro la quale le trattrici possono lavorare senza incorrere in problemi di stabilità e, quindi, di incolumità per
l'operatore. Cingolati da montagna (a baricentro basso), eventualmente a cingoli larghi, possono lavorare su
pendenze fino al 30% e anche oltre. Tale limite può variare sensibilmente in funzione delle caratteristiche
pedologiche (pietrosità superficiale e profonda, presenza di residui vegetali, tessitura, grado di umidità, ecc.).
Controindicazioni per le lavorazioni secondo le curve di livello esistono solo per i terreni argillosi, dove potrebbero
favorire movimenti franosi. In questo caso andrebbero opportunamente combinate con sistemi di controllo delle
acque eccedenti. Nei suoli argillosi si possono attuare più convenientemente le lavorazioni a ritocchino, purché
accompagnate da opportune opere sistematorie, sino a pendenze del 10-25% senza eccessivi rischi di erosione.
In ogni caso si deve sottolineare che un'olivicoltura intensiva non può essere realizzata in aree con pendenze
superiori al 15-20%, non solo per le difficoltà di impianto ma anche per le elevate spese di gestione di un oliveto
così conformato.
In fase di impianto ci si preoccupa anche di realizzare le diverse infrastrutture necessarie all'azienda olivicola: piste
interpoderali, scavi per l'interramento dell'impianto di irrigazione, bacini o serbatoi di raccolta delle acque, pozzi,
fabbricati e maglie frangivento. I frangiventi realizzati con specie a rapido accrescimento come eucalitti e cipressi
andrebbero impiantati due - tre anni prima di mettere a dimora gli olivi, per dar loro modo di raggiungere l'altezza
indispensabile a garantire almeno un parziale riparo dai venti; questa norma è però raramente rispettata. Come è
noto gli eucalitti assicurano il rapido raggiungimento di altezze elevate (si può stimare che l'area protetta dal vento
sia pari a 10 volte l'altezza del frangivento), hanno elevata capacità pollonifera (sono cioè capaci di emettere
vigorosi polloni dopo il taglio) e possono quindi fornire ogni 8 - 10 anni paleria minuta e legname da ardere, anche
se di modesto valore; d'altra parte competono con vigore per acqua e nutrienti e deprimono lo sviluppo delle colture
poste a meno di 6 - 10 metri dal frangivento. In definitiva gli eucalitti, disposti su due - tre file ai vertici di un triangolo
equilatero avente il lato lungo 2 - 3 m, si prestano per la realizzazione di fasce perimetrali o di maglie frangivento a
livello comprensoriale soprattutto nelle aree litoranee. Per i singoli oliveti, in particolare se di piccole dimensioni, gli
effetti negativi del vento possono essere limitati o non superiori a quelli derivanti dalla concorrenza esercitata dal
frangivento; questo, se necessario, può essere realizzato con varietà di olivo quale la Cipressino (a maturazione
tanto precoce da precedere l'apertura dei frantoi e, quindi, in progressivo abbandono), la Carolea, la Nera di
Gonnos o altre purché resistenti al vento e al cicloconio.
Tracciamento e piantumazione
Dovendo destinare un terreno a un nuovo impianto, sia in piano che in collina, occorre effettuare delle operazioni di
campagna indispensabili a garantire la regolarità del sesto, l'esatta determinazione del numero di piante
necessarie, la disposizione di opere e impianti accessori (fossi e scoline, impianti irrigui, frangiventazione, etc.). Se
si deve realizzare un oliveto irriguo occorre preliminarmente verificare la presenza di una idonea fonte di
approvvigionamento idrico e scegliere il tipo di impianto di irrigazione. Prima della messa a dimora della piante
occorre procedere alla posa in opera di quelle parti dell'impianto che necessariamente devono essere interrate.
La scelta della tipologia di impianto è condizionata dalla quantità d'acqua disponibile, dalle sue caratteristiche
chimiche e dalla natura dei terreni. La stessa disponibilità idrica condiziona poi altre scelte, quali ad esempio la
distanza tra le piante e conseguentemente il loro numero per ettaro. Completata la preparazione del terreno e prima
di effettuare la squadratura del campo e la messa a dimora delle piantine, è necessario effettuare alcune scelte
preliminari. In primo luogo occorre decidere il sesto d'impianto, la distanza tra le piante nonché l'orientamento dei
filari.
Scelta del sesto e della distanza tra le piante
Col termine "sesto" d'impianto si intende definire la disposizione geometrica e ordinata degli alberi sul terreno,
posizionati a intervalli regolari. Usualmente sono utilizzati nella moderna arboricoltura il sesto rettangolare ed il
sesto quadrato, in cui le piante sono situate, rispettivamente, ai vertici di un rettangolo o di un quadrato. Il sesto
ricorrente in Sardegna, anche nella olivicoltura tradizionale, è quello rettangolare con distanze tra le piante
oscillanti tra 8 x 10 e 10 x 12 metri.
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Nell'impiantare un nuovo oliveto, la scelta della densità d'impianto scaturisce dalla considerazione che l'arboreto
adulto raggiungerà il massimo potenziale produttivo quando gli alberi saranno disposti con la densità più elevata
che ancora consente di intercettare una quantità di luce solare sufficiente per lo sviluppo, alla periferia della chioma,
dei germogli fruttiferi. Inoltre si dovrà tenere conto della disponibilità, o meno, di acqua per l'irrigazione, continua o
solo di soccorso, oltreché ovviamente dalla pluviometria media dell'area; infatti negli ambienti semi aridi o subumidi
e in coltura asciutta, è opportuno assicurare al singolo albero un maggiore volume di terreno e, quindi, una più
consistente riserva idrica. Nel caso di impianti in irriguo la densità può essere notevolmente incrementata con l'esito
che l'elevato numero di piante garantisce, già dai primi anni, un'accettabile produzione capace di coprire parte dei
costi di impianto e i costi di esercizio; in quest'ottica rientra anche il concetto di "sesto dinamico", basato sulla messa
a dimora di un elevato numero di piante (3 x 3 m, cioè più di 1.000 piante/ha) da diradare progressivamente a sesti
di 3 x 6 e 6 x 6 m. Questo modello, che ha avuto negli anni passati una modesta diffusione nell'Italia centrale, trova il
suo limite principale nell'elevato costo delle giovani piante di olivo; inoltre è anche vanificato dal fatto che sebbene
la competizione tra gli alberi per acqua e nutrienti aumenti in funzione della densità, non riduce le dimensioni
dell'albero in misura sufficiente ad evitare il diradamento. La scelta della densità è inoltre fortemente influenzata
dalla natura del terreno, dalla forma di allevamento, dalla varietà. Queste variabili sono tutte tra loro strettamente
collegate e su ognuna si può, entro certi limiti, intervenire per giungere agli obiettivi produttivi di elevate rese
unitarie e contenimento dei costi.
Partendo da tali considerazioni, con l'utilizzo di un sesto rettangolare di 6x4 metri, che garantisce un investimento di
416 piante per ettaro, possono attendersi buone produzioni già dai primi anni, pur modeste se riferite alla singola
pianta. Un simile modello produttivo si basa su forme di allevamento contenute, poco espanse in larghezza, come il
monocono. Un sesto così dimensionato potrebbe, inoltre, comportare per l'oliveto in produzione l'inconveniente del
reciproco ombreggiamento degli alberi, problema da gestire con frequenti potature.
In alternativa ai sistemi intensivi, soprattutto in regime asciutto, è consigliabile il ricorso ad un sesto in quadrato che
può andare dal 6x6 al 7x7 metri, con un investimento rispettivamente di 277 e 204 piante; oppure di un sesto
rettangolare da 6x7 a 6x8, con un conseguente investimento per ettaro di 238 e 208 piante, soprattutto in quelle
zone in cui la minore piovosità annua è il principale fattore limitante lo sviluppo dell'impianto. Il sesto in quadrato
consente una migliore illuminazione, evitando ombreggiamenti della chiome, deleteri per la produttività. Questa
disposizione favorisce, inoltre, l'esecuzione delle lavorazioni e di tutte le altre operazioni colturali secondo entrambe
le direttrici dell'impianto. Ma, optando eventualmente per un impianto a elevata densità, l'adozione del sesto in
quadrato comporta una riduzione degli spazi di movimentazione dei mezzi meccanici, per cui, a parità di
investimento di piante per ettaro, il sesto in rettangolo consente di formare una corsia più ampia, utile per
l'esecuzione delle operazioni colturali. L'individuazione del sesto d'impianto si integra, pertanto, in maniera
fondamentale con la scelta della forma di allevamento che, negli impianti intensivi, deve rispondere a criteri di
meccanizzazione integrale delle operazioni colturali. In tutti i casi elencati si evidenzia come l'investimento
consigliato per ettaro non scende mai sotto le 200 - 250 piante, onde evitare di perdere quei vantaggi che distanze
relativamente brevi possono permettere di conseguire già dal medio - breve periodo.
Orientamento dei filari
L'olivo é specie fortemente eliofila (avida di luce), le cui produzioni fruttifere si localizzano preferibilmente sui rami
dell'anno precedente, posizionati in gran parte nella porzione più esterna della chioma sottoposta a maggiore
irraggiamento. In Sardegna questa esigenza è di norma soddisfatta, e solo per gli oliveti da impiantare in collina si
devono preferire i terreni esposti a Sud. Questi infatti sono meno soggetti a gelate e godono di un regime termico
più favorevole. Altra scelta da effettuarsi in caso di impianti con sesti rettangolari è l'orientamento da dare ai filari,
che in genere deve essere Nord-Sud per garantire la migliore illuminazione delle chiome. In pianura questa
esigenza è soddisfatta con facilità, mentre in collina va conciliata con la necessità sia di salvaguardare le pendici
dall'erosione che di meccanizzare al massimo le operazioni colturali. Pertanto nelle pendici esposte a Est e a Ovest
le due esigenze coincidono, mentre per le altre esposizioni la necessità di seguire le curve di livello impone un
orientamento dei filari lungo la direttrice Est-Ovest. In condizioni di ridotta pendenza (intorno al 5%) é possibile
effettuare l'impianto seguendo le linee di massima pendenza, favorendo la stabilizzazione della pendice nella fase
successiva all'impianto, attraverso la riduzione o eliminazione delle periodiche lavorazioni meccaniche e
l'introduzione della "non-coltivazione" (o incoltura), attuata o col ricorso al diserbo o con l'inerbimento dell'interfila da
parte di essenze erbacee già presenti nel territorio, ovvero introdotte appositamente. Come si dirà nel cap. 8, questa
soluzione è praticabile soprattutto negli oliveti irrigui.
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Messa a dimora delle piante
La piantumazione si effettua preferibilmente a fine inverno - inizio primavera oppure all'inizio dell'autunno, così da
garantire alla piantina un'adeguata espansione dell'apparato radicale prima che questo venga bloccato dallo
sviluppo dei germogli e dall'aridità estiva, nel primo caso, e dalle minime termiche invernali, nel secondo. Ma
quando i terreni sono riparati dai venti freddi invernali, non sussistano rischi di gelate ed è possibile irrigare con
adeguate quantità d'acqua, la realizzazione dell'oliveto può essere programmata pressoché in tutti i mesi dell'anno,
soprattutto se si utilizzano piante allevate in contenitore così come sta diventando prassi normale. Preliminarmente
occorre effettuare un allineamento dei filari e delimitare gli appezzamenti, individuando le linee principali,
proseguendo, poi, nella squadratura tramite picchetti e corde graduate per individuare - a seconda del sesto
prescelto - l'esatta posizione della piante tramite una canna o altro segnale.
Figura 4.3 Corretto
posizionamento in
campo di una
piantina di olivo
Al momento dell'impianto (fig. 4.3) viene realizzata una piccola buca con una zappa, appena sufficiente a contenere
la zolla posizionando la piantina in modo che il pane di terra, che contiene le radici, risulti interrato per circa 3-5 cm
(figg. 4.4, 4.5, 4.6). Il terreno intorno alla pianta dovrà essere compresso per assicurare la perfetta aderenza al pane
di terra e poi bagnato per eliminare l'aria in eccesso e favorire la fuoriuscita delle radici dal pane di terra; l'umidità
del terreno dovrà essere monitorata per tutta la stagione estiva, evitando gli eccessi idrici ma anche l'eccessiva
aridità
Figura 4.4, Figura 4.5, Figura 4.6 Illustrazione delle diverse fasi di messa a
dimora della giovane pianta
Contestualmente alla messa a dimora della pianta occorre posizionare una canna - che in tutti i casi va sostituita
dopo il primo anno da un più robusto tutore - o direttamente il palo tutore, effettuando delle legature ad otto con
laccio tubolare in plastica morbida (spaghetto o tubetto agricolo), così da evitare rischi di strozzature. Qualora
l'albero debba essere allevato su un unico asse, occorre un palo tutore di altezza fuori terra di circa 2-2,5 metri. Nel
caso, poi, venga scelta una forma di allevamento a vaso, è sufficiente un'altezza fuori terra di 1,3-1,5 metri circa, in
quanto non è necessario disporre di un palo tutore molto più lungo dell'altezza dell'impalcatura. Il palo tutore deve
svolgere efficacemente la propria funzione almeno sino al quarto anno dall'impianto, quando la struttura scheletrica
della pianta ha acquisito sufficiente rigidità. Normalmente nei nostri ambienti vengono utilizzati pali in castagno;
tuttavia in alternativa possono essere utilizzati pali in P.V.C., in bambù, in eucalitto, etc. L'operatore indirizzerà la
propria scelta sul materiale che a parità di efficienza sia più facilmente reperibile ed al minor costo.
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Per una maggiore durata è bene trattare la parte basale dei pali in legno e bambù (40-50 cm) con catrame ovvero
immergerla in soluzioni idriche concentrate di solfato di rame o di altri specifici prodotti reperibili in commercio. Più
semplicemente, la durata del tutore può essere incrementata mediante abbruciamento superficiale del tratto basale.
Durante la prima stagione vegetativa si dovrà assicurare un attento controllo delle infestanti e fornire modesti
apporti di azotati se l'accrescimento risulta meno che ottimale (ma in presenza di una sufficiente umidità del
terreno). Si deve anche tenere presente che nei primi anni il fusticino dell'olivo può subire danni da eccessiva
insolazione; si può ricorrere a specifiche protezioni (tubex, shelter, materiali cartacei, ecc.) o alla tradizionale
imbiancatura con latte di calce (biancone). Gli interventi relativi alla potatura di allevamento sono riportati nel cap.
11.
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Capitolo 5 - La scelta varietale per l'olivo da olio e da mensa
Obiettivi
Il patrimonio varietale per l'olivo da mensa e da olio è in sintesi descritto. Maggiori approfondimenti sono riportati
per le cultivar sarde.
Le numerose varietà di olivo sono oggi descritte con indicatori molecolari capaci di discriminare in misura maggiore
alle metodiche morfologiche e biochimiche.
Le principali caratteristiche delle varietà extra nazionali sono riassunte in forma tabellare. Per il patrimonio
nazionale sono descritte sei cv da mensa, sette da olio e tre a duplice attitudine. Le varietà sarde comprendono sei
cultivar. In recenti esperienze la Semidana è risultata superiore, per quantità e qualità del prodotto, alla più diffusa
Bosana.
La scelta varietale per l'olivo da olio e da mensa
La millenaria coltivazione dell'olivo e la sua diffusione in un esteso ed eterogeneo areale ha favorito la formazione
di un gran numero di varietà, in prevalenza di antica o antichissima costituzione, grazie anche alla facilità di
moltiplicazione della specie. Ne deriva che la classificazione delle cultivar è molto complessa anche per la
presenza di numerosi sinonimi. Di recente le procedure di individuazione varietale, prima basate su caratteri
morfologici e sulla fenologia, si sono arricchite di tecniche biochimiche e molecolari; in particolare l'analisi del DNA
consentirà in prospettiva di chiarire molti casi dubbi e di ripercorrere le tappe del processo di formazione della
specie. L'assetto varietale si è di recente arricchito di varietà e cloni provenienti dal processo di miglioramento
genetico che, forse avviato in ritardo, cerca ora di produrre del materiale vegetale capace di fornire prestazioni
superiori a quelle delle tradizionali cultivar. In ogni caso la valutazione delle novità vegetali, come d'altra parte
l'introduzione di cultivar esotiche (nel senso letterale del termine), deve essere condotto con grande prudenza in
ragione dello stretto rapporto tra genotipo e ambiente, nonché dell'elevato costo di impianto dell'oliveto.
Una descrizione anche sintetica delle principali cultivar comporta una trattazione necessariamente assai articolata,
problematica peraltro sviluppata di recente e in modo egregio dal COI (Catalogo mondiale delle varietà di Olivo,
2000). Pertanto ci si soffermerà sul patrimonio nazionale e, con maggiore dettaglio, sulle cultivar sarde e sui recenti
risultati che la ricerca ha conseguito nell'Isola. Alcune sintetiche informazioni a livello mondiale sono, comunque,
riportate nelle tabelle tab 5.1, tab 5.2, tab 5.3.
Il patrimonio varietale italiano
Le cultivar da mensa
ASCOLANA TENERA (sinonimi: 'Oliva dolce'): cultivar di origine italiana diffusa soprattutto nelle Marche e nell'Italia
centrale, ma con una modesta presenza anche nel Nord Africa e in California.
Molto esigente sotto il profilo ambientale, predilige terreni freschi e sciolti con buon contenuto in calcare. Entra
precocemente in produzione. La fruttificazione è elevata solo quando le condizioni agronomiche sono ottimali.
Fiorisce tardivamente e presenta un elevato numero di fiori con ovario abortito. Autoincompatibile; come
impollinatori sono stati segnalati: Santa Caterina, Itrana, Rosciola, Morchiaio e Giarraffa. La produttività è media e
costante. La maturazione precoce e la consistenza della polpa permettono di utilizzare i frutti per la produzione di
olive verdi in salamoia. Il rapporto polpa/nocciolo è pari a 6 e il distacco della polpa risulta agevole. Per questa
cultivar è stata segnalata una particolare tolleranza al freddo, all'occhio di pavone, alla rogna e alle carie del legno.
Viceversa, è risultata sensibile agli attacchi della mosca dell'olivo. Sono disponibili alcuni cloni.
Prove di confronto tra sei cultivar da mensa e duplice attitudine condotte in irriguo nei suoli calcarei del Sassarese,
hanno individuato nell'Ascolana tenera la varietà più produttiva anche in presenza di una spiccata alternanza; la
stessa ha fornito nell'Oristanese risultati molto più deludenti. In entrambi gli ambienti la cv ha confermato la sua
sensibilità alla mosca delle olive e alle manipolazioni; una sua ulteriore diffusione deve essere valutata con estrema
attenzione.
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GIARRAFFA (sinonimi: 'Becco di corvo', 'Cacata di chiccia', 'Cefalutana', 'Ciocca', 'Giardara', 'Giarrafara',
'Giarraffella', 'Giarraffu mammona', 'Pizzu di corvu', 'Raffa', 'Raffu'): diffusa in Sicilia centrale e nord-occidentale.
Cultivar che ha mostrato notevoli esigenze per le condizioni agronomiche. La rizogenesi è buona. Entra in
produzione precocemente. La fioritura è precoce e scalare. I fiori presentano un'elevata percentuale d'ovari abortiti.
Parzialmente autocompatibile si avvantaggia di impollinatori quali la 'tonda Iblea', la 'Nocellara Etnea', la 'Nocellara
del Belice', la 'Passulunara' e la 'Ascolana tenera'. A sua volta può essere impiegata come impollinatrice per gli
impianti di 'Nocellara del Belice' ed 'Ascolana tenera'. La produttività è bassa e alternante. I frutti, che maturano
precocemente, sono apprezzati sia per la preparazione in verde sia in nero. Il contenuto in olio è medio, e il distacco
della polpa dal nocciolo agevole. Il rapporto polpa/nocciolo corrisponde a 5,6. Pianta sensibile all'occhio di pavone,
alla rogna e alle condizioni di limitata disponibilità idrica nel terreno.
NOCELLARA ETNEA (sinonimi: 'Augghialora', 'Bianca', 'Forte', 'Ghiandalora', 'Janca', 'Marmarigna'. 'Marmorigna',
'Marmorina', 'Marmurigna', 'Marmurina', 'Minnullara', 'Nagghiara', 'Nocellaia', 'Nocellara', 'Nociara', 'Nucidalaria',
'Nuciddara', 'Oliva di Paternò', 'Oliva verde', 'Paisana', 'Partornese', 'Patornisa', 'Paturnisa', 'Pizzuta', 'Pizzutedda',
'Rappara', 'Tortella', 'Tortidda', 'Turtedda', 'Turtidda', 'Verdesca', 'Verdese', 'Virdisi', 'Virdisia', 'Virdusedda'): diffusa
nella Sicilia orientale. Pianta vigorosa, rustica e a rapida crescita vegetativa. E' nota dalla letteratura la particolare
difficoltà di radicazione delle talee. Entra in produzione precocemente. La fioritura è abbondante ed il polline,
prodotto in quantità elevata, germina con molta facilità. Autoincompatibile, si avvale dell'azione di impollinatori quali
'Zaituna', 'Biancolilla' e 'Moresca'. Sono stati evidenziati fenomeni di interincompatibilità con le cultivar 'Ogliarola
messinese' e 'Tonda Iblea'. La produttività è elevata e alternante. La maturazione è tardiva e la resistenza al
distacco dei frutti abbastanza elevata. La resa in olio è bassa. La pezzatura molto uniforme, la polpa consistente e
resistente alla concia, fanno considerare questa cultivar eccellente per la produzione di olive verdi da tavola. Il
rapporto polpa/nocciolo corrisponde a 6. Di questa pianta è segnalata una particolare tolleranza alla rogna, alla
mosca e alla fumaggine; viceversa sembra sensibile al cicloconio.(fig. 5.1)
Figura 5.1 Abbondante
fruttificazione della
Nocellara etnea
OLIVA DI CERIGNOLA (Sinonimi: 'Barilotto', 'Bella di Cerignola', 'Cerignolese', 'Grossa di Spagna', 'Lunga', 'Oliva a
ciuccio', 'Oliva a prugna', 'Oliva di Spagna', 'Oliva grossa', 'Oliva lunga', 'Oliva manna', Olivo dell'asino', 'Prone',
'Prugne', 'Spagnola'): diffusa in Puglia. Cultivar che ha mostrato notevoli esigenze per le condizioni agronomiche. La
rizogenesi è risultata bassa. Entra in produzione precocemente. L'epoca di fioritura è tardiva e i fiori presentano
un'elevata percentuale di ovari abortiti. Parzialmente autocompatibile, necessita comunque di idonei impollinatori
quali 'Mele', 'S. Agostino' e 'Termite di Bitetto'. La produttività è media e alternante. I frutti, che maturano
precocemente, hanno un'elevata resistenza dinamometrica. E' apprezzata per la pezzatura delle drupe, ma non per
la qualità delle polpa che risulta dura, fibrosa e di difficile distacco dal nocciolo. I frutti sono destinati alla
preparazione di olive verdi in salamoia. Il rapporto polpa/nocciolo corrisponde a 3. Il contenuto in olio è basso. E'
sensibile al cicloconio, alla rogna, alla fumaggine, alla mosca dell'olivo e al freddo. Di questa cultivar sono stati
individuati alcuni cloni.
SANT'AGOSTINO (sinonimi: 'Cazzarola', 'Oliva andriesana', 'Oliva di Andria', 'Oliva dolce di Andria', 'Oliva grossa',
'Oliva grossa andriesana', 'Oliva pane', 'Oliva senza pane'): diffusa in Puglia. Pianta poco rustica e di non facile
adattamento ai diversi areali olivicoli. Garantisce una buona produttività solo in condizioni irrigue. La capacità
rizogena è bassa. L'entrata in produzione è tardiva. Autoincompatibile, efficaci impollinatori sono risultati 'Oliva di
Cerignola', 'Mele' e 'Termite di Bitetto'. Fiorisce verso la metà di maggio e comunque dopo le più comuni varietà da
olio pugliesi. L'aborto dell'ovario è elevato. I frutti maturano precocemente, hanno pezzatura molto omogenea, sono
adatti alla produzione di olive verdi da tavola. Il rapporto polpa/nocciolo risulta molto elevato; il distacco della polpa
è agevole. La resa in olio è bassa. Poco tollerante alla rogna e ai parassiti vegetali in genere, particolarmente alla
verticilliosio, oltrechè ai freddi primaverili.
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SANTA CATERINA (sinonimi: 'Oliva di San Biagio', 'Oliva di San Giacomo', 'Oliva Lucchese'): diffusa in Toscana.
Pianta adatta ai terreni collinari freschi. Rustica, presenta un notevole sviluppo della chioma, che tende ad
espandersi in larghezza. L'attitudine rizogena è media. Entra in produzione precocemente. Fiorisce in epoca
intermedia e i fiori presentano circa il 60% di ovari abortiti. Autoincompatibile. La produttività è elevata e costante.
Le drupe presentano una resistenza media al distacco. La produzione è particolarmente adatta per la preparazione
di olive verdi da mensa anche per l'elevata resa in polpa dei frutti. La resa in olio è bassa. Il distacco della polpa dal
nocciolo è agevole. Resiste bene alle basse temperature invernali. In letteratura le indicazioni sulla tolleranza al
cicloconio sono abbastanza discordi. E' considerata sensibile alla rogna.
Le cultivar da olio
CORATINA (sinonimi: 'Cima di Corato', 'La Valente', 'Olivo a confetti', 'Olivo a grappoli', 'Olivo a racemi', 'Olivo a
racimolo', 'Olivo a raciuoppe', 'Racema', 'Racemo di Corato', 'Racioppa', 'Racioppa di Corato'): di origine italiana, è
diffusa in Puglia. Pianta di facile adattamento ai diversi ambienti olivicoli. E' molto precoce nell'entrata in
produzione. La capacità rizogena è elevata. I fiori hanno bassa percentuale di ovari abortiti. Spesso sono presenti
mignole fogliose. Nel suo areale d'origine viene utilizzata la 'Cellina di Nardò' come pianta impollinatrice. La
produttività è elevata e costante. Le drupe maturano tardivamente e sono di pezzatura molto variabile. In alcune
annate i frutti sono adatti anche per la preparazione d'olive verdi in salamoia. La resa in olio è alta; quest'ultimo è
risultato molto ricco di polifenoli. E' stata segnalata una particolare tolleranza al freddo mentre è piuttosto sensibile
alla carie.
FRANTOIO (Sinonimi: 'Bresa fina', 'Comune', 'Correggiolo', 'Crognolo', 'Frantoiano', 'Gentile', 'Infratoio', 'Laurino',
'Nostrato', 'Oliva lunga', 'Pendaglio', 'Pignatello', 'Raggio', 'Raggiolo', 'Rajo', 'Razza', 'Razzo', 'Solciaro', 'Stringona'): di
origine italiana, è diffusa specialmente Italia centrale e in numerosi paesi olivicoli. Varietà gentile, con produttività
elevata e costante è apprezzata anche per le sue capacità di adattamento ai diversi ambienti di coltivazione. Sono
stati segnalati numerosi ecotipi assimilabili a questa cultivar. La rizogenesi è elevata. Entra in produzione
precocemente. L'epoca di fioritura è intermedia e i fiori presentano una bassa percentuale di ovari abortiti.
Autocompatibile, migliora la produttività con la presenza di idonei impollinatori. L'epoca di maturazione dei frutti è
scalare e tardiva. Il contenuto in olio è medio. In Toscana questa cultivar è apprezzata per la produzione di oli
particolarmente fruttati e stabili nel tempo. E' una pianta particolarmente sensibile alla rogna e mediamente al
cicloconio, alla mosca dell'olivo e al freddo.
LECCINO (sinonimi: 'Leccio', 'Premice', 'Silvestrone'): diffusa in Toscana, Umbria e diverse zone olivicole. Pianta
vigorosa e di facile adattamento ai diversi ambienti olivicoli. La rizogenesi è elevata. Entra in produzione
precocemente. I fiori hanno bassa percentuale di ovari abortiti. Autoincompatibile, come impollinatori sono stati
segnalati: 'Pendolino', 'Moraiolo', 'Maurino', 'Frantoio', 'Morchiaio', 'Gremignolo di Bolgheri', 'Piangente', 'Razzo',
'Trillo', 'Frantoio'. La produttività è elevata e costante. La maturazione dei frutti è precoce e contemporanea, con una
ridotta resistenza al distacco. Il contenuto in olio è basso. Il distacco della polpa dal nocciolo risulta agevole. Di
questa cultivar è stata segnalata una particolare tolleranza al freddo, all'occhio di pavone, alla carie e alla rogna.
Più recentemente sono stati identificati cloni tolleranti alle basse temperature o adatti anche alla produzione di olive
da mensa.
MORAIOLO (sinonimi: 'Anerina', 'Assisano', 'Bucino', 'Carboncella', 'Cimignolo', 'Corniolo', 'Fosco', 'Migno', 'Morella',
'Morellino', 'Morello', 'Morichiello', 'Morina', 'Morinello', 'Muragliola', 'Neraiolo', 'Nerella', 'Nerina', 'Neriolo', 'Nostrale',
'Ogliolo', 'Oliva nera', 'Oliva tonda', 'Oriolo', 'Petrosello', 'Ruzzolino', 'Tondello', 'Tondolina', 'Tondorina'): diffusa
nell'Italia centrale. Pianta caratterizzata da elevata rusticità che predilige gli ambienti collinari. La capacità rizogena
è elevata. Entra precocemente in produzione. Autoincompatibile, Tra gli impollinatori sono segnalati: 'Maurino',
'Pendolino', 'Morchiaio', 'Lazzero', 'Razzaio', 'Maremmano', 'Americano', 'Rosino' e 'Mignolo'. La letteratura riporta
fenomeni di interincompatibilità nei processi fecondativi. La fioritura avviene in epoca intermedia. L'aborto
dell'ovario non supera il 20% e i fiori presentano un'elevata produzione di polline. La maturazione è graduale nel
tempo. La produttività è elevata e costante. I frutti sono spesso riuniti in grappoli. Il contenuto in olio è elevato ed è
molto apprezzato per il caratteristico sapore fruttato e per i contenuti in squalene e polifenoli. Il 'Moraiolo' presenta
resistenza media ai comuni parassiti ed elevata sensibilità al cicloconio e al freddo. Tollera i terreni a ridotta umidità
e i venti marini. Di questa cultivar sono stati individuati numerosi ecotipi.
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OGLIAROLA BARESE (sinonimi: 'Aliva baresana', 'Ascolana', 'Baresana', 'Bitontina', 'Castellaneta', 'Cima di Bitonto',
'Marinese della Capitanata', 'Marinese di Lavello', 'Nostrale di Venosa', 'Nostrana bitontina', 'Ogliarola di Bitonto',
'Ogliarola di Molfetta', 'Ogliarola di Venosa', 'Oliva ascolana', 'Olivo baresano', 'Olivo d'Ascoli', 'Olivo nostrale', 'Olivo
paesano', 'Paesana di Bitonto'): diffusa in Puglia e Basilicata. Pianta rustica e di rapida crescita. L'entrata in
produzione è media. Autoincompatibile. I fiori presentano una ridotta percentuale di aborto dell'ovario. E' spesso
utilizzata come pianta impollinatrice. La produttività è media e alternante. I frutti maturano in epoca tardiva ed hanno
un'elevata resistenza al distacco. La resa al frantoio è elevata. L'olio è molto apprezzato e caratterizza la produzione
della zona di Bitonto. La pianta è sensibile alle gelate, ai venti marini e alla rogna, ma tollera bene l'occhio di
pavone. I frutti sono facilmente soggetti agli attacchi della mosca.
PENDOLINO (sinonimi: 'Maurino fiorentino', 'Piangente'): diffusa nell'Italia centrale. Cultivar di facile adattamento a
condizioni pedologiche ed ambientali diverse. La capacità rizogena è elevata. Entra in produzione precocemente.
La fioritura è abbondante, precoce ed abbastanza prolungata nel tempo. Tale caratteristica ha favorito l'utilizzazione
di questa cultivar come impollinatore. Autoincompatibile. I fiori hanno una bassa percentuale di aborto dell'ovario.
La produttività è elevata e costante. I frutti, che maturano in epoca della stagione intermedia, presentano una ridotta
resistenza al distacco. Il contenuto in olio è basso. E' sensibile alla rogna e all'occhio di pavone. Tollera bene le
basse temperature; i frutti sono abbastanza resistenti agli attacchi della mosca.
TAGGIASCA (sinonimi: 'Gentile', 'Lavagnina', 'Olivo di Taggia', 'Pignola d'Oneglia', 'Tagliasca', 'Tagliasco'): diffusa in
Liguria. Pianta di notevoli dimensioni che da sola rappresenta l'olivicoltura della provincia d'Imperia. Si è adattata
bene sia nel territorio più prossimo al mare sia in alta collina. La rizogenesi è piuttosto bassa. Entra precocemente
in produzione e fiorisce in epoca intermedia. I fiori, parzialmente autocompatibili, presentano una bassa percentuale
di ovari abortiti. L'allegagione è alta. La produttività è elevata e costante. I frutti, che maturano tardivamente, hanno
un'elevata resa in olio; quest'ultimo caratterizza la produzione della Liguria. La pianta risente dei freddi primaverili e
delle condizioni di carenza idrica. E' sensibile agli attacchi della rogna e della mosca.
Le cultivar a duplice attitudine
CAROLEA (Sinonimi: Becco di corvo, 'Borghese', 'Calabrese', 'Camignaria', 'Caroleo', 'Catanzarese', 'Colarè',
'Convitè', 'Corbarica Coriolese', 'Cortalese', 'Cumignana', 'Marinotto', 'Muso di corvo', 'Nicastrese', 'Oliva dolce', 'Olivo
di Calabria', 'Olivo di Sorta', 'Olivona', 'Pizzu di corvu', 'Squillaciota', 'Verdella'): di origine italiana, è diffusa in
Calabria. Pianta di facile adattamento e la cui coltivazione si spinge fino agli 800 m d'altitudine. La rizogenesi è
risultata elevata. Entra in produzione precocemente. Autoincompatibile, necessita di opportuni impollinatori quali
'Nocellara messinese', 'Cassanese', 'Pidicuddara', 'Picholine' e 'Itrana'. Fiorisce precocemente ed il polline è dotato
di elevata germinabilità. La produttività è elevata e costante. La maturazione dei frutti è scalare. Il contenuto in olio è
medio. Il rapporto polpa/nocciolo corrisponde a 4,5 e il distacco della polpa risulta difficile. La produzione viene
utilizzata sia per la preparazione di olive da tavola, verdi o nere, sia per l'estrazione dell'olio. Particolarmente
tollerante alle basse temperature; ha mostrato sensibilità all'occhio di pavone e alla mosca. Di questa cultivar sono
stati identificati alcuni cloni.
ITRANA (sinonimi: 'Aitana', 'Aitanella', 'Aitanesca', 'Attanesca', 'Auliva a acqua', 'Cicerone', 'Esperiana', 'Gaetana',
'Gitana', 'Iatanella', 'itana', 'Oliva di Esperia', 'Oliva di Gaeta', 'Oliva grossa', 'Olivacore', 'Raitana', 'Reitana', 'Strano',
'Tanella', 'Trana', 'Velletrana'): diffusa nel Lazio. Pianta rustica, caratterizzata da rapida crescita. La capacità
rizogena è elevata. L'entrata in produzione è media. I fiori presentano una percentuale media di ovari abortiti.
Autoincompatibile; sono segnalati come impollinatori le varietà 'Leccino', 'Pendolino' e 'Olivastro'. La produttività è
elevata e alternate. La maturazione è scalare e tardiva, i frutti presentano un'elevata resistenza al distacco. La
produzione si presta sia per la preparazione delle olive nere (distacco della polpa dal nocciolo agevole), sia per
l'estrazione dell'olio (contenuto medio). E' stata segnalata una particolare tolleranza al freddo ed alle principali
malattie crittogamiche, mentre è sensibile agli attacchi della mosca.
NOCELLARA DEL BELICE (sinonimi: 'Aliva da salari', 'Aliva di Castelvetrano', 'Aliva tonda', 'Aliva tunna', 'Anerba',
'Aneba', 'Bianculidda', 'Mazara', 'Neba', 'Nebba', 'Nerba', 'Niciddalora', 'Nocciolara', 'Nocellaia', 'Nocellara di
Castelvetrano', 'Nociara', 'Nociddara', 'Nocillara', 'Nuciddara', 'Oliva da salari', 'Oliva di Castelvetrano', 'Oliva di
Mazara', 'Oliva tonda', 'Oliva tunna', 'Trapanese'): diffusa nella Sicilia occidentale.
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Pianta di modesta crescita e di facile adattamento a condizioni ambientali diverse. La capacità rizogena è alta. Entra
in produzione precocemente. Autoincompatibile, in genere è associata alla 'Giarraffa' e alla 'Pidicuddara' che hanno
mostrato un'efficace azione impollinatrice. I fiori hanno un numero ridotto di ovari abortiti. La maturazione è tardiva.
La produttività è elevata e costante. L'elevata consistenza della polpa rende i frutti idonei alla preparazione di olive
verdi in salamoia. Il rapporto polpa/nocciolo corrisponde a 5,6 e il distacco della polpa è agevole. L'olio è molto
apprezzato. Cultivar sensibile alla verticillosi, all'occhio di pavone, al mal del piombo e alla rogna. I frutti hanno
buona resistenza alla mosca. (fig 5.2)
Figura 5.2 - Frutti e
foglie della
Nocellara del Belice
Varietà Sarde
BOSANA (sinonimo di Palma, Tondo sassarese, Olieddu). E' la cultivar più diffusa a livello regionale,
prevalentemente nella Sardegna Settentrionale e Centrale, e, più limitatamente, con concentrazione in alcuni areali,
nella sud dell'isola. A tale varietà è riconducibile un'ampia popolazione che ha presumibilmente origine spagnola,
ed è nota con diversi sinonimi: Palma, Tondo sassarese, Sassarese, Olieddu, etc. Le zone di maggiore presenza si
ritrovano nel Sassarese e nella Nurra, in Planargia, nel Marghine, in alcune circoscritte aree del villacidrese e nel
nuorese. La sua consistenza varietale si stima che oscilli complessivamente intorno ai 3 milioni di individui, di cui
oltre un terzo presenti nel solo comprensorio di Sassari.
Caratterizzata da notevole fertilità, denota elevate produzioni per pianta, pur con una certa tendenza all'alternanza,
negli impianti tradizionali. Presenta un tipico portamento pendulo dei rami, con internodi brevi e foglie grandi di
colore verde brillante. La drupa, di forma ellittica, leggermente ovoidale, ha peso medio di poco inferiore ai tre
grammi. Ha elevata resa in olio e, talvolta, le olive di calibro superiore vengono destinate al consumo diretto con
trasformazione principalmente al nero, considerata la sua tendenza a non scolorire durante il processo tecnologico.
Il colore della drupa è verde pallido mentre a completa maturità è fortemente pigmentata nella polpa, con un colore
nero brillante dell'epidermide.
È molto sensibile alle crittogame, in particolare all'occhio di pavone; qualora, infatti, non si operi con adeguata
protezione fitoiatrica a base di rame o di specifici sistemici, le piante manifestano notevole filloptosi sino a completa
defogliazione, che è spesso contribuisce al perdurare dell'alternanza produttiva. A causa delle ridotte dimensioni
della drupa non è particolarmente attaccata dalla Mosca delle olive, che però, in annate di forti pullulazioni può
comunque causare gravi danni, qualora non vengano eseguiti i necessari interventi di difesa.
Presenta elevata suscettività a condizioni di coltivazione intensiva, adattandosi a forme monocauli che consentono
elevata densità d'investimento. Infatti ha buona attitudine a mantenere forme di allevamento poco espanse, come il
monocono, a motivo della limitata vigoria e del suo portamento. Tale forma può ottenersi con l'ausilio di semplici
interventi di potatura in fase di allevamento, curando di individuare e sostenere l'asse centrale mediante un
adeguato palo tutore. Ciò è necessario al fine di garantire la regolare crescita e il mantenimento della "funzione di
cima", necessaria all'equilibrio della forma. Una volta data l'impostazione di allevamento l'albero tende a
mantenerla in maniera equilibrata, con limitati interventi cesori. In tal modo possono essere utilizzati distanze tra le
piante tipiche delle coltivazioni intensive, con densità d'impianto superiori alle 400 piante per ettaro, che possono
dare già nei primi anni interessanti livelli produttivi. (fig. 5.3)
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Figura 5.3 Fruttificazione della
cultivar Bosana
NERA DI VILLACIDRO (Tonda di Villacidro o Terza Grande). La cv Nera (Tonda) di Villacidro, pur avendo delle
interessanti caratteristiche agronomiche ed elevata rusticità, ha una spiccata tendenza ad alternare per la notevole
tardività di maturazione. Appartiene a una popolazione eterogenea con una vasta gamma di denominazioni
riscontrabili pressoché in tutte le aree olivetate della Sardegna, e che sono riferibili - nelle loro principali
caratteristiche - a una origine comune. Molto simili a questa sono infatti la Olianedda e la Ogliastrina, la Corsicana,
ecc. Ha una complessiva consistenza numerica di diverse centinaia di migliaia di piante, che interessano i comuni
sardi con le più ampie superfici investite ad olivo, tra cui Oliena e Villacidro.
Pur essendo stata saggiata anche in condizioni intensive non ha fornito i risultati attesi denotando una tardiva
entrata in produzione e non esaltanti incrementi i produttivi. Peraltro, nonostante permanga ancora un'abitudine dei
produttori che, a causa della notevole tardività di maturazione, spinge a ritardare eccessivamente l'epoca di raccolta
al fine di aumentare le rese, con raccolte più anticipate emergono buone caratteristiche dell'olio ed un elevato livello
di qualità del prodotto. Le drupe sono di dimensione medio-piccola, rotondeggianti e provviste di un marcato
umbone; le foglie sono strette piccole e appuntite di colore verde scuro.
Questo gruppo varietale, pur non eccellendo nella precocità dei risultati quantitativi, presenta un buon adattamento
alle tecniche di allevamento dell'olivicoltura intensiva, soprattutto in riferimento alle forme di allevamento finalizzate
a consentire un maggiore investimento di piante. Pertanto, si struttura facilmente in forme monocauli con un buon
sviluppo vegetativo e impalcandosi in maniera ottimale nel monocono, senza che siano necessari interventi cesori
ripetuti e frequenti. (fig 5.4)
Figura 5.4 Rametto fruttifero
della varietà della
Nera di Villacidro
TONDA DI CAGLIARI (Manna, Tunda) Diffusa in tutto il Campidano di Cagliari, ha il suo areale principale nei
comuni di Dolianova, Serdiana, Donori, Soleminis (qui nota come 'Tunda'), nel circondario di Oristano è più nota col
sinonimo di "Manna". La consistenza varietale si aggira sulle 200.000 unità.
Il frutto si presenta di forma ellittica, leggermente allungato, di buona pezzatura con un peso medio di 5 grammi.
L'epidermide, allo stato verde, si presenta di un colore brillante con lenticelle assai evidenti e numerose. A maturità
il colore è rosso scuro, con pigmentazione di parte della polpa. Presenta un buon rapporto polpa/nocciolo,
sufficiente consistenza della polpa, resistenza alle manipolazioni, pezzatura medio-elevata, caratteristiche che la
rendono idonea alla trasformazione "al verde" al naturale, da cui si ottengono prodotti di levato pregio per
caratteristiche organolettiche e tecnologiche. Ha inoltre buona resa in olio e sufficiente precocità, consentendo il
duplice utilizzo delle drupe con l'ottenimento di un prodotto di qualità. Denota buona resistenza alle crittogame e
alla rogna, e non è particolarmente sensibile alle punture della Mosca olearia. Purtuttavia, soprattutto per le
produzioni destinate alla trasformazione da mensa, la presenza delle punture è fortemente deleteria, per cui occorre
un oculato controllo degli attacchi del parassita con i più moderni sistemi di lotta integrata, al fine di mantenere
elevati i livelli qualitativi del prodotto.
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Nei nuovi impianti la cultivar manifesta la tipica vigoria con un portamento che tende ad evidenziare insieme al
vigore anche una più marcata assurgenza, caratterizzata da angoli di inserzione dei rami abbastanza chiusi. Ciò
comporta che con l'adozione di forme di allevamento monocauli su asse unico, come nel caso del monocono, la
pianta difficilmente mantiene l'unicità dell'asse, sul quale tendono ad addossarsi i rami laterali, che esercitano forte
concorrenza sull'asse principale determinandone l'indebolimento. Viene quindi meno la funzione regolatrice della
cima e un disequilibrio dell'intera struttura, che tende a diventare globoide. Pertanto, il mantenimento di tale forma
può essere effettuata solamente con un costante controllo dell'allungamento dei rami, con frequenti tagli durante
l'anno, al fine di ridurre la concorrenza degli assi laterali rispetto all'asse centrale. Tali interventi cesori, soprattutto
se effettuati in fase di impostazione della forma nei primi anni d'impianto, oltre al costo direttamente collegato alla
numerosità degli stessi, comportano anche un allungamento del periodo improduttivo e un ritardo nell'entrata in
produzione, a causa dei continui tagli necessari alla corta impostazione della forma. Viceversa, la pianta appare
ben adattata a forma più espanse, come il vaso, sulle quali possono ottenersi accrescimenti regolari e più
equilibrati, in quanto conformati al naturale portamento della cultivar. È, comunque, una varietà che tende ad non
entrare precocemente a frutto ma che, per la notevole vigoria, ha una più spiccata tendenza vegetativa che va
adeguatamente contenuta con opportuni interventi cesori e la scelta di un'adeguata forma di allevamento (fig.5.5).
Figura 5.5 Aspetto della
fruttificazione della
Tonda di Cagliari
NERA DI GONNOS (Niedda). Diffusa nell'area ricadente tra i comuni di Gonnosfandiga, Guspini, Villacidro, ha una
consistenza numerica di circa 50.000 piante. Nell'areale di origine sono presenti moltissimi impianti secolari con
piante di grandi dimensioni. Ha elevata affinità con la cultivar "Tonda di Cagliari" descritta precedentemente, per cui
si ritiene possano essere riferite ad un'unica popolazione di origine incerta diffusa variamente in diverse zone della
Sardegna Centro-meridionale. Presenta infatti buona pezzatura dei frutti
e ottimali caratteristiche per la
trasformazione come oliva da mensa. Da un punto di vista vegeto-produttivo rispecchia esattamente le medesime
caratteristiche dalla cultivar Tonda di Cagliari. È stata ampiamente utilizzata anche per la realizzazione di nuovi
impianti, con finalità di ottenere un prodotto ottimale sia per il consumo diretto che per l'oleificazione. (fig.5.6)
Figura 5.6 - Rami e
frutti della Nera di
Gonnos
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PIZZ'E CARROGA (Bianca). Diffusa in impianti tradizionali insieme ad altre cultivar, pur valida sotto aspetti
qualitativi, presenta una serie di difetti che ne limitano l'utilizzo riferito agli impianti intensivi. Albero mediamente
vigoroso con portamento tendenzialmente espanso, presenta un colore del fogliame verde chiaro, mentre sui
giovani rami il legno manifesta una colorazione bianco-grigiastra. Da ciò si origina il sinonimo di 'Bianca', con cui è
conosciuta in diverse zone.
La drupa è asimmetrica, leggermente allungata ed appuntita, con un nocciolo che riporta la conformazione esterna
del frutto, risultando acuminato. La colorazione verde brillante dell'epidermide tende al verde pallido e poi al verde
giallastro nel momento ottimale per la raccolta finalizzata alla trasformazione al verde. Presenta un colore rosso
cupo a maturità, con polpa che difficilmente tende a colorarsi intensamente. Denota una elevata precocità di
maturazione che la rende, purtroppo, assai sensibile agli attacchi della Mosca delle olive. Accanto a questa
sensibilità al principale parassita dell'olivo, presenta elevata predisposizione agli attacchi di rogna ed all'occhio di
pavone.
E' possibile anche per questa cultivar il duplice utilizzo della drupa, ottenendosi risultati soddisfacenti sotto il profilo
quanti-qualitativo. Infatti ha una polpa molto delicata, che rimane facilmente lesa durante le comuni manipolazioni
in fase di raccolta. Poichè la fermentazione avviene in tempi piuttosto brevi (5-6 mesi contro i10-12 della Manna) è
possibile commercializzare il prodotto a partire da marzo-aprile trasformato "al verde" al naturale.
Il suo utilizzo nei nuovi impianti è stato limitato anche per un portamento vegetativo che la rendono poco idonea per
oliveti intensivi. Si adatta difficilmente a forme in volume come il vaso per il portamento disordinato e affastellato che
obbliga a frequenti interventi di potatura in fase di allevamento, per cui diventa difficoltoso creare la struttura
scheletrica della pianta, che sia idonea per successive eventuali operazioni di raccolta meccanica. Ancor più
difficoltosa appare l'adattabilità al monocono, la cui tecnica di allevamento necessita di moltissimi interventi di
potatura sia durante il periodo di emissione di nuova vegetazione che nell'usuale potatura invernale. La pianta
tende infatti a produrre sui rami che dovrebbero costituire la struttura scheletrica moltissimi succhioni e a sviluppare
rami vigorosi nella porzione centrale che tendono a competere con l'asse principale. Si rendono pertanto necessari
i frequenti interventi cesori che ritardano la strutturazione e la fruttificazione dell'impianto.(fig. 5.7)
Figura 5.7 Abbondante
fruttificazione della
Pizz'e Carroga
SEMIDANA La varietà Semidana è stata solo recentemente rivalutata tra quelle che compongono il patrimonio delle
cultivar della Sardegna. Infatti, a seguito di verifiche sperimentali e realizzazione di apposite parcelle nei campi
dimostrativi si sono recentemente acquisiti positivi dati produttivi su questa varietà, già nota da tempo e presente,
come piante sparse, in diverse zone dell'Isola, ma soprattutto nell'alto Oristanese. Ha inoltre contribuito alla scarsa
conoscenza di questa varietà anche un proliferare di denominazioni locali che hanno spesso reso difficoltosa
anche le esatte classificazioni del materiale presente negli oliveti tradizionali.
La Semidana denota, sia nei nuovi impianti ma anche in quelli tradizionali sottoposti a buone cure colturali, elevata
fertilità e sufficiente costanza di produzione. Presenta uniformità di pezzatura dei frutti, che appaiono allungati con
apice evidente e di peso medi di 3,5-4 g. La maturazione è scalare, ma particolarmente interessanti sono le
produzioni risultanti in impianti intensivi, dove le rese annuali manifestano livelli decisamente incoraggianti per
futuri sviluppi della coltivazione di questa varietà, anche per la relativa precocità di entrata in fruttificazione. Ciò è
anche in stretta correlazione con il buon adattamento alle condizioni operative degli impianti intensivi e la
rispondenza alle più utilizzate forme di allevamento. Essendo una varietà poco vigorosa si adatta molto bene anche
al monocono, rispondendo in maniera molto simile a quanto precedentemente detto per la cultivar Bosana. Infatti
sono necessari limitati interventi in fase di allevamento che rende pertanto possibili un rapido ed equilibrato
accrescimento e una precoce fruttificazione. L'equilibrata struttura scheletrica della pianta diventa pertanto una base
ottimale di partenza per futuri utilizzi di sistemi di raccolta con scuotitori al tronco.
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Pur non avendo elevata resa in olio, evidenzia un gusto leggermente amaro e piccante con una notevole
caratteristica di fruttato intenso, ed un equilibrio nei principali acidi grassi componenti l'olio.
La sensibilità ai principali parassiti e abbastanza limitata, pur segnalando una più frequente presenza di sintomi
legati ad attacchi di Piombatura, peraltro abbastanza controllabili con trattamenti rameici.
In una prova di confronto tra venti varietà avviata a Villasor (CA) nel 1985, la Semidana è risultata la più produttiva,
precedendo Bosana, Tonda di Cagliari e Nera di Gonnos. (fig. 5.8).
Figura 5.8 - Foglie
e frutti della più che
promettente
Semidana
36
Tabella 5.1 - Principali caratteristiche delle cultivar di olivo da tavola del panorama internazionale
Cultivar
Diffusione
Vigoria
Epoca di
fioritura
Produttività
Peso
frutto
Epoca di
maturazione
Sensibile (-), tollerante (+)
Aggezi Shami
Egitto
media
non
riportata
media e
costante
elevato
precoce
(-) mosca
Aloreña
Spagna
bassa
non
riportata
alta e
costante
elevato
media
(-) cicloconio
Ascolana
tenera
Italia centrale
elevata
tardiva
media e
costante
elevato
precoce
(-) mosca, (+) cicloconio,
rogna e freddo
Giarraffa
Sicilia
media
precoce
bassa e
alterna
elevato
precoce
(-) cicloconio, rogna, siccità.
(+) piombatura
Gordal de
Granada
Spagna
media
non
riportata
alta e
alterna
elevato
non riportata
(-) tubercolosi
Gordal
Sevillana
Spagna e
USA
media
non
riportata
bassa e
alterna
elevato
precoce
(-) lebbra e rogna, (+)
cicloconio
Kadesh (K12)
Israele
media
non
riportata
alta e
costante
elevato
precoce
non riportate
Loaime
Spagna
(Granada)
bassa
non
riportata
alta e
alterna
medio
precoce
(-) cicloconio
Manzanilla de
Sevilla
Spagna, USA,
Israele
media
media
alta e
alterna
elevato
precoce
(-) cicloconio, verticillosi,
mosca
Morona
Spagna
(Siviglia)
media
media
alta e
costante
elevato
precoce
(+) tubercolosi
Nocellara
Etnea
Sicilia
orientale
media
non
riportata
alta e
alterna
basso
tardiva
(-) cicloconio, (+) rogna,
mosca,
Oliva di
Cerignola
Puglia
media
tardiva
media e
alterna
elevato
tardiva
(-) cicloconio, , rogna,
mosca e freddo
Sant'Agostino
Puglia
alta
tardiva
alta e
costante
elevato
precoce
(-) rogna, verticil., , freddo.
(+) cicloconio
Santa
Caterina
Toscana
alta
intermedia
alta e
costante
elevato
precoce
(-) rogna. (+) freddo
Tabella 5.2 - Caratteristiche delle principali cultivar di olivo da olio a livello internazionale
Cultivar
Diffusione
Vigoria
Epoca di
fioritura
Produttività
Peso
frutto
Epoca di
maturazione
Sensibile (-), tollerante (+)
Arbequina
Spagna
(Catalogna)
bassa
intermedia
alta e
costante
basso
non riportata
(-) verticilliosi., mosca, (+)
cicloconio, rogna
Biancolilla
Sicilia
elevata
intermedia
alta ma
alterna
medio
non riportata
(-) mosca, (+)cicloconio
Blanqueta
Spagna
bassa
tardiva
alta e
costante
basso
media
(+) cicloconio e rogna
Bosana
Sardegna
media
intermedia
alta ma
alterna
basso
tardiva,
scalare
(-) cicloconio, (+)mosca
Canino
Lazio
elevata
non
riportata
alta, ma
alterna
basso
tardiva,
scalare
(-) cicloconio, (+) mosca
Casaliva
Veneto
elevata
precoce
alta e
costante
basso
tardiva,
scalare
(-) cicloconio, rogna,
mosca, freddo
Cellina di Nardò
Puglia
elevata
non
riportata
alta e
costante
basso
scalare
(+) mosca, cicloconio e
freddo
Chemlali de
Sfax
Tunisia
elevata
precoce
alta e
alterna
basso
tardiva
(-) rogna, (+) siccità e
salinità
Cipressino
(Frangivento)
Italia
elevata
precoce
alta e
costante
basso
precoce
(-) piombatura, mosca (+)
Coratina
Puglia
media
non
riportata
alta e
costante
elevato
tardiva
(-) e carie, (+) freddo
Cornicabra
Spagna
media
tardiva
alta e
alterna
medio
tardiva
(-) cicloconio, verticilliosi,
rogna e mosca
Dolce Agogia
Umbria
elevata
tardiva
media e
alterna
medio
precoce
(-) siccità, (+) cicloconio e
rogna
Dritta
Abruzzo
media
precoce
alta e
costante
medio
precoce
(-) carie, (+) rogna e freddo
Empeltre
Spagna e
Argentina
media
precoce
alta e
costante
medio
precoce
(-) cicloconio, rogna,
mosca, (+) verticilliosi
Farga
Spagna
elevata
precoce
alta e
alterna
medio
precoce
(-) cicloconio, verticilliosi
(+) rogna
Frantoio
Italia e altro
media
intermedia
alta e
costante
medio
tardiva,
scalare
(-) cicloconio, mosca,
rogna, freddo
Grignan
Italia
settentrionale
ridotta
non
riportata
media e
costante
basso
precoce,
contemp.
(-) mosca, (+) cicloconio,
rogna, freddo
Koroneiki
Grecia
elevata
precoce
alta e
costante
basso
medio precoce
(-) rogna
Leccino
Toscana
Umbria
elevata
non
riportata
alta e
costante
medio
precoce,
uniforme
(-) , (+) cicloconio, freddo.
Lechìn de
Granada
Spagna di
sud - est
elevata
media
alta e
alterna
medio
tardiva
(-) cicloconio, rogna e
mosca. (+) freddo
Lechìn de Sevil.
Spagna
occidentale
elevata
media
alta e
alterna
medio
precoce
(-) rogna, (+) cicloconio e
mosca
Moraiolo
Italia centrale
bassa
intermedia
alta e
costante
medio
scalare
(-) cicloconio, rogna, carie
Ogliarola
barese
Puglia,
Basilicata
media
non
riportata
media e
alterna
basso
tardiva
(-) rogna, mosca, gelate.
(+) cicloconio
Ottobratica
Calabria
elevata
precoce
alta e
alterna
basso
precoce
(+) rogna, cicloconio e
freddo
Tabella 5.3 - Caratteristiche delle principali cultivar a duplice attitudine a livello internazionale
Cultivar
Diffusione
Vigoria
Epoca di
fioritura
Produttività
Peso
frutto
Epoca di
maturazione
Sensibile (-), tollerante (+)
Barnea (K18,
novità)
Israele
alta
intermedia
alta in
irriguo
medio
media
(+) cicloconio
Carolea
Calabria
alta
precoce
alta e
costante
elevato
media
(-) cicloconio, mosca e
piombatura
Chétoui
Tunisia
bassa
media
bassa e
costante
medio
tardiva
(-) cicloconio. (+) freddo e
salinità
Erkence
Turchia
alta
precoce
media e
alterna
medio
non riportato
non riportato
Galega vulgar
Portogallo
media
media
alta e
alterna
medio
precoce
(-) lebbra, rogna, mosca
(+) verticilliosi
Gemlik
Turchia
media
media
alta e
costante
medio
precoce
(+) freddo
Haouzia
(novità)
Marocco
media
intermedia
alta e
alterna
medio
intermedia
(+) cicloconio, rognae
siccità
Hojiblanca
Spagna
media
media
alta e
alterna
elevato
tardiva
(-) cicloconio, verticilliosi,
rogna, mosca
Itrana
Lazio
alta
non
riportata
alta e
alterna
elevato
tardiva
(-) mosca, (+) freddo e
cicloconio
Kalamon
(Kalamata)
Grecia
elevata
non
riportata
alta e
alterna
elevato
tardiva
(-) caldo, (+) rogna
Konservolia
Grecia
elevata
media
alta e
alterna
elevato
media
(-) verticilliosi., (+) freddo e
rogna
Maiatica di
Ferrandina
Basilicata
alta
precoce
alta e
alterna
medio
tardiva
(-) rogna, cicloconio,
mosca
Manzanilla
Cacereña.
Spagna e
Portog.
bassa
precoce
alta e
costante
elevato
precoce
(-) verticilliosi, (+) mosca e
rogna
Manzanilla
Prieta
Spagna
bassa
media
media
costante
medio
precoce
(-) cicloconio e rogna
Mastoidis
Grecia
media
media
media e
alterna
medio
non riport.
(-) cicloconio, (+) freddo e
rogna
Memecik
Turchia
alta
media
alta e
alterna
elevato
media
(+) freddo e siccità
Menara
(novità)
Marocco
elevata
intermedia
elevata
medio
intermedia
(+) rogna
Mission
USA
(California)
alta
tardiva
media e
alterna
medio
tardiva
(-) cicloconio verticilliosi,
(+) rogna
Morisca
Spagna e
Portog.
media
non
riportata
alta e
costante
elevato
tardiva
(-) cicloconio, rogna e
mosca
Nera di
Gonnos
Sardegna
meridionale
elevata
intermedia
alta e
costante
elevato
media
(-) mosca (+) rogna
Nocellara del
Belice
Sicilia
media
non
riportata
alta e
costante
elevato
tardiva
(-) cicloconio, rogna,
verticillosi, (+) mosca
Picholine
Languedoc
Francia e
Corsica
media
media
alta e
costante
medio
tardiva
(+) cicloconio e freddo
Picholine
maroc.
Marocco
alta
intermedia
alta e
alterna
medio
non riport.
(-) cicloconio
Pizz'e carroga
Sardegna
meridionale
media
precoce
alta e
alterna
elevato
precoce
(-) rogna, cicloconio e
mosca
Tonda di
Cagliari
Sardegna
meridionale
elevata
intermedia
media e
costante
elevato
media
(-) mosca (+) rogna
Pendolino
Italia centrale
media
precoce
alta e
costante
basso
intermedia
(-) rogna, cicloconio, (+)
mosca
Picual
Spagna
media
media
alta e
costante
medio
precoce
(-) cicloconio, mosca. (+)
lebbra
Picudo
Spagna
elevata
media
alta e
alterna
elevato
tardiva
(-) cicloconio, lebbra e
rogna.
Rosciola
Italia centrale
media
intermedia
alta e
costante
medio
precoce
(-) rogna, cicloconio,
mosca. (+) freddo
Semidana
Sardegna
centro-occ.
elevata
intermedia
alta e
costante
elevato
tardiva
(-) piombatura, (+) mosca
Taggiasca
Liguria
elevata
intermedia
alta e
costante
basso
tardiva
(-) rogna, mosca, freddo e
siccità
Villalonga
Spagna e
Portogallo
media
media
alta e
costante
elevato
precoce
(-) cicloconio e rogna
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Capitolo 6 - Biologia fiorale dell'olivo
Obiettivi
Il capitolo, nel percorrere le tappe della formazione ed evoluzione di fiore e frutto, sottolinea le relazioni tra biologia
fiorale e interventi colturali.
Le gemme dell'olivo subiscono l'induzione antogena nell'estate dell'anno precedente la fioritura. La presenza di un
gran numero di frutti comporta la produzione di cospicue quantità di gibberelline e una ridotta induzione antogena
(alternanza). Soddisfatto il fabbisogno di freddo necessario per la demolizione di inibitori di natura ormonale, la
formazione del fiore si completa tra la fine dell'inverno e la primavera. In questa fase ritorni di freddo, ma anche una
carenza di precipitazioni (o di irrigazione) danneggiano le gemme e incrementano il numero di fiori maschili. Dei
circa 500.000 fiori che sono presenti sull'albero, 494.000 non vanno a frutto e cadono. I rimanenti necessitano di
impollinazione incrociata per una migliore efficienza riproduttiva, con un raggio d'azione degli impollinatori di circa
30m. La drupa si accresce secondo un modello a doppia sigmoide, con un flesso a fine luglio in coincidenza
dell'indurimento del nocciolo. Le piogge autunnali consentono alle varietà adattate agli ambienti meridionali (come
la Bosana) di recuperare in breve le dimensioni normali, ma solo in parte il tenore lipidico e glucidico.
Biologia fiorale dell'olivo
L'attuazione di una corretta tecnica colturale del terreno richiede che olivicoltori e tecnici conoscano, almeno per i
principali aspetti, come "funziona" una pianta d'olivo e soprattutto come si arriva alla formazione e allo sviluppo dei
frutti. Nelle pagine seguenti si daranno brevi cenni sulla biologia fiorale dell'olivo; quest'ultima abbraccia tutte quelle
fasi che vanno dalla induzione antogena delle gemme alla completa maturazione delle olive (fig. 6.1).
Figura 6.1 - Un
quadriennio di
osservazioni
fenologiche sulla
Bosana in agro si
Siniscola - Nuoro
(Fonte S.A.R.).
Recenti ricerche hanno dimostrato che la fioritura primaverile dell'olivo è il risultato di un lungo processo fisiologico
che si avvia nell'estate precedente, e che vede come principali interpreti le gemme presenti all'ascella delle foglie
sui germogli in accrescimento. Le gemme hanno il compito sia di rinnovare la vegetazione mediante la produzione
di nuovi germogli che di originare le infiorescenze (o mignole). Come mostra la figura 6.2 la stessa gemma è
potenzialmente capace di imboccare l'una (germoglio) o l'altra via (fiore-frutto); la decisione finale è il risultato
dell'interazione tra il patrimonio genetico dell'albero, le condizioni ambientali e le tecniche colturali messe in atto
dall'olivicoltore. Questo processo prende il nome di induzione: a fiore o a legno.
Figura 6.2 Induzione delle
gemme ascellari del
germoglio: a fiore o
a legno.
37
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Nel passato si riteneva che l'olivo si comportasse diversamente dai fruttiferi a foglia caduca; per queste specie
arboree è da tempo noto che l'induzione a fiore delle gemme avviene all'inizio dell'estate dell'anno precedente la
fioritura, e che la differenziazione del fiore, o dell'infiorescenza, si avvia dopo circa un mese, e quindi prima dei
freddi invernali. Anche per l'olivo si è appurato che l'induzione a fiore avviene quando l'intensità di crescita del
germoglio primaverile rallenta, e cioè entro 6 - 8 settimane dalla fioritura (luglio). La presenza del fiore può essere
accertata già da novembre con tecniche di analisi molto sofisticate, mentre può essere rilevata con relativa facilità
(al microscopio ottico ad esempio) a partire dal mese di febbraio. Un eventuale, secondo flusso vegetativo
autunnale, di norma meno importante di quello primaverile, potrà vedere una ulteriore induzione antogena delle
gemme ascellari dei germogli che comunque si completerà entro novembre - dicembre. Pertanto l'olivo fruttifica
(porta i frutti) sui rami di un anno, o meglio sui rami dell'anno precedente; quindi gli interventi colturali eseguiti nel
corso dell'estate non solo assecondano la produzione dell'anno, ma modificano anche i risultati della produzione
dell'anno successivo.
In questo quadro si deve tenere presente che, durante l'estate, le gemme ascellari devono competere, per
l'acquisizione delle sostanze nutritive necessarie per l'induzione, sia coi germogli (che stanno riducendo il ritmo di
crescita, ma non sono del tutto "fermi") sia coi frutti in attivo accrescimento. In questo momento è fondamentale la
disponibilità di acqua e azoto nel terreno. Nell'annata di "carica", con un gran numero di frutti sull'albero, gli
embrioni presenti all'interno dei semi producono una notevole quantità di sostanze ormonali (tra queste le
gibberelline) capaci di contrastare l'induzione antogena e di ridurre il numero di gemme ascellari che si evolvono a
fiore, e predispongono l'albero ad un'annata di "scarica". Numerose esperienze di rimozione dei frutti, ovvero di
devitalizzazione precoce degli embrioni in essi contenuti, hanno dimostrato che è possibile eliminare l'alternanza
produttiva; d'altra parte l'apporto di gibberelline nell'annata di scarica ha dato luogo nell'anno successivo a una
seconda annata di scarica. Questo meccanismo fisiologico, evidentemente risultato vincente dal punto di vista
evolutivo rispetto a una formazione annuale di un numero costante di frutti, si manifesta anche in altre specie da
frutto: mandarino, clementine, melo, ecc. Oggi, quindi, il fenomeno non è più interpretato esclusivamente su base
nutrizionale, cioè accettando la teoria che imputa al gran numero di frutti presenti sull'albero la responsabilità
dell'esaurimento delle sostanze di riserva e di una successiva annata di bassa produzione; in questo nuovo
approccio troverebbe migliore comprensione il fallimento della razionalizzazione delle diverse tecniche colturali nel
contenimento dell'alternanza e, viceversa, il successo del diradamento chimico dei frutti attuato, ad esempio, in
California sull'olivo da mensa. Chiarita l'impostazione fisiologica del fenomeno, l'entità dello stesso è funzione di
fattori genetici legati alla varietà (predisposizione della cultivar) e al singolo albero (vigoria della pianta), di
andamenti meteorologici avversi, di fattori di stress biotici (parassiti animali e vegetali) e di pratiche colturali non
razionali.
L'induzione antogena rappresenta la prima tappa del processo di formazione del fiore; lo sviluppo morfologico di
fiori perfetti, cioè completi in tutte le loro parti e quindi funzionali, richiede che durante l'inverno l'olivo sia sottoposto
a un certo numero di ore con temperature relativamente basse. Questo fenomeno, che prende il nome di
"fabbisogno di freddo" e presuppone una fase di "dormienza" delle gemme, è interpretato come una sorta di
"orologio biologico" dovuto al progressivo accumulo nelle gemme, sia indotte a fiore che a legno, di fitoregolatori (in
particolare acido abscissico) capaci di bloccare temporaneamente lo sviluppo degli apici gemmari impedendo la
comparsa "fuori stagione" di fiori e germogli; il progressivo affermarsi, nella seconda parte della stagione vegetativa,
degli ormoni inibitori sui promotori risulta, d'altra parte, indispensabile per la lignificazione del germoglio e la
maturazione dei frutti dell'anno in corso. Le ore di freddo necessarie per disattivare gli inibitori consentono all'olivo
di "misurare il trascorrere del tempo" e di germogliare e fiorire quando le condizioni ambientali sono favorevoli. Più
precisamente, una volta che il freddo invernale ha demolito gli inibitori e che il fabbisogno di freddo è soddisfatto,
l'epoca di fioritura e di germogliamento sono determinate soprattutto dalla temperatura dell'aria con un ridursi del
numero di giorni necessari per giungere all'antesi all'aumentare delle temperature primaverili(1).
Si può, quindi, affermare che soddisfatto il fabbisogno di freddo, è per l'albero necessario soddisfare un "fabbisogno
di caldo".
Tornando al fabbisogno di freddo e agli effetti di un suo mancato soddisfacimento, si segnala che in esperienze
californiane realizzate mantenendo per tutto l'inverno alberi produttivi di olivo della varietà "Mission" in serra calda a
temperature superiori a 15,5°C, si è osservata la totale assenza di fiori nella successiva primavera; di contro gli olivi
mantenuti all'aperto, ovvero una singola branca degli alberi in serra fatta fuoriuscire da un'apertura, producevano
regolarmente.
38
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Inoltre, gli alberi mantenuti alla temperatura costante di 13°C, fiorivano abbondantemente, ma i fiori erano in
prevalenza "staminiferi", col pistillo abortito e quindi incapaci di produrre. Risultati simili si sono ottenuti per
l'Ascolana. Mentre il fabbisogno di freddo è risultato nullo nelle varietà di olivo originarie del Nord Africa e di Creta,
esperienze quinquennali, condotte in Sardegna (Alghero) in pieno campo su cultivar sarde (Palma) e toscane,
hanno dimostrato che la temperatura media dell'aria del mese di gennaio è correlata in senso positivo con il
disseccamento e la cascola (caduta) preantesi delle gemme e con la percentuale di fiori che presentano aborto
dell'ovario; in particolare temperature medie superiori a 7°C influiscono negativamente sui parametri citati. Quindi,
ad inverni miti (soprattutto nella fase iniziale) corrispondono fioriture anche abbondanti ma produzioni relativamente
basse per l'assenza o il numero ridotto di fiori "femminili".
Posto che le condizioni prima citate siano soddisfatte, la gemma da inizio alla differenziazione morfologica, cioè a
quel processo continuo che tra febbraio e la fioritura ha il compito di formare il fiore. Gli abbozzi dei futuri fiori si
evolvono a partire dalle parti più esterne verso quelle interne: nell'ordine sepali, petali, stami e antere, pistillo. Le
mignole compaiono in aprile (mignolatura) mentre in maggio si ha la vera e propria fioritura, cioè l'apertura dei
singoli fiori. Particolarmente critico per l'ottenimento di fiori perfetti risulta il periodo di 8-10 settimane che precede la
fioritura; degli stress idrici o nutrizionali, una primavera con temperature particolarmente basse o elevate
condizionano la formazione del fiore e il numero di quelli correttamente formati. Infatti, benché si possa ritenere pari
a circa 500.000 il numero di fiori che un albero adulto di olivo produce annualmente, si deve avere sempre presente
che entro le due settimane successive alla fioritura circa 494.000 cadono, sia perché malformati sia perché vanno
incontro ad aborto dell'ovario(2); è comunque sufficiente che l'1 o 2% dei fiori si trasformi in frutto per ottenere una
produzione medio - alta. In alcune annate l'albero, nonostante un'abbondante fioritura, può non avere un numero
sufficiente di fiori perfetti perché quelli prodotti possono essere soprattutto "staminiferi", cioè fiori maschili capaci di
produrre solo polline; questo avviene, ad esempio, quando l'andamento meteorico primaverile risulta sfavorevole
alla formazione del fiore. In questo caso la percentuale di allegagione può salire sino al 10 - 12%.
La proporzione tra fiori perfetti e staminiferi varia in misura importante in funzione dell'albero, della branca, della
varietà e delle annate; anche nella stessa infiorescenza il numero fiori perfetti può variare a seconda della
posizione. I valori raggiunti dalla percentuale di aborto dell'ovario in alcune varietà sono talmente elevati che alcuni
Autori si spingono sino a definire l'olivo una specie "monoica", cioè con entrambi i sessi sul singolo albero ma su
fiori separati. Per quanto attiene alle varietà sarde recenti ricerche hanno rilevato percentuali di aborto dell'ovario
comprese tra il 1- 2 e il 40 - 45%; nella cv Bosana, ad esempio, si raggiunge il 25%, nella Tonda di Cagliari il 13%.
Le infiorescenze dell'olivo (fig. 6.3) portano di norma da 10 a 20 fiori, e i fiori perfetti (con pistillo e stami) hanno in
genere un calice piccolo, quattro petali, due stami e filamenti che supportano le grandi antere produttrici di polline, e
un pistillo rotondeggiante di colore verde con un corto e spesso stilo e un largo stigma (fig. 6.4).
Figura 6.3 - Struttura dell'infiorescenza
dell'olivo.
Figura 6.4 - Da sinistra a destra, sopra:
fiore completo; corolla spiegata con gli
stami; fiore senza corolla e senza stami;
stame visto posteriormente; sotto: stame
visto anteriormente; pistillo in sezione
longitudinale e trasversale; drupa in
sezione trasversale (a, epicarpo; b,
mesocarpo; c, endocarpo; d, seme); a
lato: pistillo.
39
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
I fiori perfetti si formano nella parte apicale dell'infiorescenza, e nel gruppo di 3 fiori (come avviene in molte varietà)
il fiore centrale è sovente perfetto. I fiori imperfetti sono staminiferi, con pistillo mancante o rudimentale; in alcune
cultivar si ritrovano anche fiori con antere abortite. I fiori perfetti di una stessa mignola si contendono con forza i
nutritivi derivanti dall'attività fotosintetica, per cui di norma arriva a maturazione un solo frutto per infiorescenza. Le
cosiddette olive "passerine", che in certe annate si ritrovano in gran numero sull'albero, sono dei frutti
"partenocarpici", cioè derivanti da ovari che si sono sviluppati senza essere stati fecondati; spesso presenti "a
grappoli", possono arrivare sino alla maturazione.
Un altro ostacolo al raggiungimento di elevate percentuali di allegagione deriva dalla frequente difficoltà del polline
di una determinata varietà a fecondare l'organo femminile dello stesso fiore e quindi della stessa varietà. Questo
fenomeno prende il nome di "sterilità fattoriale" ed è presente nelle cultivar così dette "autoincompatibili". È chiaro
che le tecniche colturali potranno ben poco se viene a mancare la fecondazione dei fiori, e che è necessaria la
presenza nell'oliveto di più varietà (di norma una principale e i suoi impollinatori). Il problema diviene importante
principalmente per i nuovi impianti realizzati al di fuori dei tradizionali comprensori olivicoli. Infatti, anche se il
polline di olivo può essere trasportato dal vento a distanze che superano i 10 km, il raggio di azione
dell'impollinatore (distanza entro la quale la disseminazione del polline avviene con grande efficacia) non supera i
30 m; ciò significa che i filari degli impollinatori devono essere fra loro distanziati di non più di 60 m. Prove
sperimentali effettuate per diversi anni in Sardegna hanno evidenziato che la cultivar "Semidana" risulta
parzialmente autofertile (o autocompatibile), mentre la "Tonda di Cagliari" manifesta un più alto livello di autofertilità.
La fecondazione reciproca di queste due cultivar fà aumentare decisamente la percentuale di allegagione di
entrambe. Ad avvantaggiarsi maggiormente di questa fecondazione incrociata è, comunque, la cultivar "Semidana"
che vede aumentare con decisione la sua percentuale di allegagione.
Il ciclo di fruttificazione prosegue con la comparsa, nella prima - seconda decade di giugno, dei frutticini; questi
rappresentano ovviamente uno dei principali "bersagli" della tecnica colturale, che si deve preoccupare di
incrementare la percentuale di allegagione e favorire lo sviluppo dei frutti. Pertanto è utile conoscere come si
accresce l'oliva; questa, a partire dalla fine di giugno, si ingrossa con rapidità (soprattutto se il terreno è abbastanza
umido) sino a fine luglio-primi di agosto (fig. 6.5), quando rallenta o arresta il proprio sviluppo per la forte richiesta di
nutritivi e acqua necessari per l'indurimento del nocciolo. In questo momento, che si può collocare a sei settimane
dalla piena fioritura, l'endosperma incomincia a solidificare e inizia lo sviluppo dell'embrione che maturerà entro
settembre.
Figura 6.5 Mignolatura,
fioritura,
allegagione e
dinamica di
accrescimento del
frutto.
Questo momento è critico per l'albero anche perché si verifica nel periodo più caldo quando il terreno è poco dotato
in acqua. Se, infatti, il terreno è asciutto, lo sviluppo delle olive si può interrompere per molto tempo e i frutti perdono
acqua a favore delle foglie, diminuiscono di peso e possono anche staccarsi e cadere al suolo.
Superata più o meno facilmente la crisi dell'indurimento del nocciolo, le olive riprendono a crescere con rapidità,
soprattutto se dopo ferragosto interviene qualche acquazzone a mitigare l'aridità estiva; in caso contrario rimangono
piuttosto piccole, con poca polpa, colorano poco e in ritardo (in realtà non riescono neanche a maturare) e il poco
olio che si ottiene ha un sapore molto marcato, eccessivamente amaro e "piccante", che sconfina nella sensazione
chiamata dai degustatori "secco" o "legnoso" e che, comunque, si riduce in parte nei mesi successivi all'estrazione.
Se, invece, a una primavera e a un'estate molto aride segue un autunno relativamente piovoso, le olive recuperano
in 24 - 48 ore le loro naturali dimensioni e perdono l'aspetto sofferente; questo potrebbe far pensare che è inutile
preoccuparsi tanto delle lavorazioni al terreno ovvero di irrigare.
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di Cagliari, Oristano e Nuoro
In realtà le tecniche colturali, come già detto, sono importanti non solo per la produzione dell'anno in corso ma
anche per quella a venire; comunque, limitandoci alla produzione corrente, si osserva che questo rapido recupero
consiste semplicemente in un "gonfiarsi d'acqua" delle olive, che non guadagnano come resa in olio e come qualità
dello stesso. Infatti solo se le piogge cadono per tempo (fine agosto, settembre), il processo di maturazione può
svolgersi con sufficiente regolarità, mentre le piogge invernali risultano di scarsa utilità per le cultivar tardive anche
perché le basse temperature condizionano la funzionalità delle foglie e ne limitano la capacità di sintesi degli
"zuccheri". Olive da mensa che abbiano subito una intensa disidratazione estiva, possono raggrinzirsi durante la
trasformazione industriale anche se al momento della raccolta si presentavano turgide; proprio l'eccesso di acqua
nelle drupe provoca il loro raggrinzimento una volta che queste vengono immerse nella salamoia per la
trasformazione.
Il frutto comincia poi a cambiare colore ("invaiatura") virando dal verde intenso dovuto alla presenza della clorofilla,
al giallo paglierino per l'accumulo di sostanze coloranti dette antociani, spesso a partire dall'estremità distale o
basale. La colorazione passa, poi, dal porpora al nero (con variazioni in funzione della varietà) e va ad interessare
la polpa (mesocarpo) dell'oliva. Gli alberi con pochi frutti mostrano un anticipo di maturazione rispetto a quelli
carichi di olive così come, sullo stesso albero, le olive poste nelle parti distali e più soleggiate completano prima
l'invaiatura.
Con la raccolta si può considerare concluso il ciclo di fruttificazione; si tratta ora di esaminare come devono essere
attuati gli interventi di tecnica colturale del terreno per mantenere l'equilibrio tra attività vegetativa e produttiva.
(1) - La registrazione delle fasi fenologiche, cioè della comparsa di particolari stadi morfologici nel ciclo annuale della coltura
(germogliamento, fioritura, invaiatura, maturazione, ecc.) per comodità di calcolo sovente è eseguita col ricorso al "giorno giuliano",
metodo che assegna il numero 1 al primo Gennaio e procede con una numerazione progressiva. Pertanto se la piena fioritura è
raggiunta, poniamo, il 25 Maggio nel 2000 (primavera "calda") e il 4 Giugno (primavera "fredda") nel 2001, in giorni giuliani diremo che la
fase è comparsa rispettivamente al 145° e al 155° giorno. Molto più difficile mediare il 25 Maggio col 4 Giugno.
(2) - L'aborto dell'ovario, cioè la morte della parte femminile del fiore, deve essere considerato entro certi limiti un fenomeno naturale
utile per regolare la carica di frutti sostenibile dell'albero; la sua incidenza è molto variabile da una varietà all'altra; dal 15 al 50%. Solo
quando fattori ambientali avversi o errori tecnici innalzano in misura rilevante l'incidenza dell'aborto, si può parlare di una situazione
patologica.
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Capitolo 7 - Il clima dell'oliveto sardo
Obiettivi
Si descrive il clima della Sardegna e l'agroclima delle subregioni olivicole.
Il clima della Sardegna è classificato come "Mediterraneo interno". La descrizione svolta dal Servizio
Agrometeorologico Regionale si riferisce al trentennio 1961 - 1990. L'analisi agroclimatica è svolta per otto
subregioni olivicole. Le probabilità che si verifichino temperature critiche (per valori minimi e massimi) sono riportate
per le principali aree olivicole della Sardegna.
Il clima dell'oliveto sardo
Il clima della Sardegna viene generalmente classificato come Mediterraneo Interno, caratterizzato da inverni miti e
relativamente piovosi ed estati secche e calde. Da un punto di vista più generale, il Mediterraneo può essere
considerato come una fascia di transizione tra le zone ropicali, dove le stagioni sono definite in accordo alla
quantità di pioggia, e le zone temperate, dove le stagioni sono caratterizzate dalle variazioni di temperatura. Di
conseguenza si ha a che fare con grandi variazioni interstagionali di precipitazione accompagnate da variazioni di
temperatura, senza che però le une o le altre raggiungano i valori estremi tipici delle due aree climatiche.
Come tutti i climi, anche quello della Sardegna è soggetto a lente variazioni (soprattutto fra un secolo e l'altro) e
dunque per poter definire il suo comportamento tipico, è prassi analizzare un periodo consecutivo di trenta anni. Nel
caso del presente studio, si è scelto di prendere in considerazione il trentennio 1961-1990, utilizzando i dati
osservati dalle stazioni del Servizio Idrografico, dell'Ufficio Generale per la Meteorologia dell'Aeronautica Militare e
dell'Istituto di Agronomia e Coltivazioni Erbacee dell'Università di Sassari. In questa descrizione del clima della
Sardegna, l'attenzione si è concentrata
sulle due principali grandezze meteorologiche (precipitazione e
temperatura), caratterizzandole dal punto di vista della media annuale.
Nei paragrafi successivi si è scesi nel dettaglio delle più importanti aree olivetate della Sardegna, affinché si possa
inquadrare la parte dell'Isola verso la quale si rivolge maggiormente l'interesse. Le aree prese in considerazione
sono: Sardegna Nordoccidentale; Monte Acuto; Baronie e Barbagia del Nuorese; Ogliastra; Planargia e Montiferru;
Alto Campidano; Medio Campidano, Marmilla e Trexenta; Basso Campidano e Parteolla.
Per quel che riguarda la precipitazione, invece della suddivisone canonica in dodici mesi, si sono analizzati
separatamente i climi dei quattro periodi corrispondenti a quattro importanti fasi di sviluppo: febbraio-aprile
(formazione del fiore), maggio-giugno (fioritura e allegagione), luglio-agosto (prima fase di sviluppo del frutto e
indurimento del nocciolo) e settembre-dicembre (seconda fase di sviluppo del frutto e maturazione).
Particolare attenzione è dedicata alla variabilità del clima. Infatti il cosiddetto comportamento medio, spesso non è
altro che un valore di riferimento e non solo nei mesi tradizionalmente secchi; nella realtà lo stesso mese in anni
differenti registra valori profondamente diversi fra di loro, e l'agricoltore deve tenere conto di questo fattore in
un'attenta programmazione della coltura, non solo olivicola.
Chiude l'analisi una breve descrizione delle temperature medie nei vari mesi dell'anno con i valori medi per le aree
olivetate.
Aspetti generali del clima della Sardegna
Le temperature della Sardegna risentono di due fattori: la quota e la distanza dal mare. Mentre, come è ovvio, il
primo parametro tende a rendere più fresche le zone poste a quote più elevate, il secondo rende più miti le
temperature delle coste, smorzando gli eccessi di caldo e di freddo. Ne consegue che nelle zone costiere le
temperature minime (soprattutto d'inverno) sono generalmente meno basse rispetto all'entroterra, mentre le
massime (soprattutto d'estate) risultano meno alte. Tutto questo è ben visibile nelle figure 7.1 e 7.2, che mostrano la
media annuale della temperatura massima e della temperatura minima (in °C).
41
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Figura 7.1 - Media
annuale delle
Figura 7.2 - Media
annuale delle
temperature
massime.
temperature
minime.
Come si vede le temperature massime più elevate sono quelle della media valle del Tirso e del Goceano, del
Campidano (soprattutto nella parte centrale), della Marmilla e della Trexenta; le temperature massime più basse,
invece, sono quelle delle zone di montagna. Fra le temperature minime estreme, invece, oltre a quelle della
Barbagia e delle altre zone montuose della Sardegna, si trovano anche quelle delle zone interne, spesso a quote
medio-basse, più lontane dal mare, come (ancora una volta) la media valle del Tirso, il Goceano, il Logudoro e il
Monteacuto. Decisamente più miti le temperature minime delle coste, in particolare quella Orientale, che risulta
anche parzialmente schermata rispetto ai flussi nordoccidentali.
I fattori che influenzano la precipitazione sono in qualche modo diversi rispetto a quelli che influenzano la
temperatura. Oltre alla quota, che rende più piovose le zone più elevate, la precipitazione è legata ai tre modi con
cui le perturbazioni investono l'isola, i quali determinano tre diversi regimi di pioggia: regime nordoccidentale,
regime sudoccidentale e regime sudorientale.
Nella figura 7.3 è riportata la media del cumulato annuale di precipitazione (in mm). Si può osservare che le zone
che ricevono meno pioggia sono la Nurra, il Campidano e la costa orientale (su quest'ultimo la pioggia è però
particolarmente variabile, come verrà descritto in seguito), con valori inferiori ai 600mm annui. Le zone più piovose
sono, invece, quelle montuose le cui medie superano gli 800mm; sul Gennargentu, infine, le medie sono ancora più
elevate e raggiungono i 1000-1100mm annui. Nella successiva figura 7.4 si può trovare il numero medio di giorni
piovosi, definiti come i giorni con almeno 1mm di pioggia. Come si vede ogni anno sulle varie aree della Sardegna
si registrano fra i 50 e 100 giorni di pioggia. Il massimo si ha ancora una volta nelle zone di montagna, con valori
superiori ai 90 giorni all'anno sul Gennargentu.
Figura 7.3 - Media
Figura 7.4 - Media
annuale del numero
di giorni piovosi.
annuale del
cumulato di
precipitazione.
Un'altra caratteristica delle piogge è la maggiore frequenza nelle zone esposte al regime nordoccidentale. Si può
infatti notare che, a parità di quota, sulla costa orientale, in particolare quella di Baronia, Ogliastra, Gerrei e
Sarrabus, si hanno fra i 10 e i 20 giorni piovosi in meno.
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Le precipitazioni delle aree olivetate
Nella tabella 7.1 (tab. 7.1a - tab. 7.1a(1) - tab. 7.1b - tab. 7.1b(1) - tab. 7.1c - tab. 7.1c(1)), per ognuna delle aree
olivetate citate precedentemente è riportato l'intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione (in mm) e del
numero di giorni piovosi, sia per l'anno intero che per i quattro periodi d'interesse.
Per ogni periodo sono riportati il limite inferiore, la media e il limite superiore. I due limiti rappresentano il valore
entro cui si trovano la precipitazione e il numero di giorni piovosi dei vari periodi in poco più di due terzi delle
annate(1) . Chi è interessato alla Baronia, ad esempio, dovrà aspettarsi che da febbraio ad aprile a Galtellì piovano
globalmente fra gli 87mm e i 285mm, mentre ad Orosei fra maggio e giugno si avranno tipicamente fra i 2 e gli 8
giorni piovosi. Solo nelle annate particolarmente secche o particolarmente piovose il valore starà fuori dal suddetto
intervallo. Si tratta di un range di valori piuttosto ampio, ma che fa comprendere che il comportamento tipico delle
piogge nostrane è proprio questo irregolare alternarsi di anni secchi ed anni piovosi, con tutte le conseguenza che
ciò comporta. In Sardegna la stagione piovosa va da ottobre ad aprile. In quei sette mesi piove circa l'80% di quanto
piove nell'intero anno. I mesi secchi veri e propri sono solo luglio e agosto, mente maggio, giugno e settembre
rappresentano dei periodi di transizione fra i due periodi.
Analizzando invece i periodi d'interesse per l'olivicoltura in Sardegna, si può osservare che circa la metà del
cumulato di precipitazione dell'intero anno si ha fra settembre e dicembre, e si distribuisce su 25-35 giorni. La
variabilità di questo periodo risulta un po' più elevata sulla parte orientale dell'Isola, tuttavia non è marcata come in
altri momenti dell'anno, per cui, anche negli anni secchi, questo quadrimestre garantisce comunque un apporto
idrico considerevole ed almeno 15-20 giorni piovosi su tutta l'Isola. Ovviamente anche le piogge di febbraio-aprile,
che fanno parte integrante della stagione piovosa, sono consistenti e si distribuiscono su circa 20-25 giorni. La
variabilità risulta un po' più elevata, ma anche questi mesi garantiscono un minimo di apporto idrico ed almeno
10-20 giorni piovosi. Come detto poc'anzi, il bimestre maggio-giugno è di passaggio fra la stagione piovosa e il
periodo secco vero e proprio. Le precipitazioni vanno diradandosi, ma la loro frequenza ed intensità è diversa di
anno in anno. Alcune volte, infatti, meno di 20mm si distribuiscono in 2-4 giorni, altre volte, invece, alcune zone
vedono anche 10 giorni piovosi con un apporto di oltre 100mm. In questo periodo è sensibile anche l'effetto della
quota che garantisce una certa piovosità anche negli anni secchi. Luglio e agosto, infine, sono due mesi
generalmente secchi. Per questi due mesi il valore medio ha pochissimo senso. La gran parte delle annate, infatti,
non riceve pioggia (o quasi); mentre si hanno sporadiche annate, invece, in cui piogge relativamente abbondanti
interessano l'Isola, soprattutto ad agosto. In questi casi 5 o 6 giorni portano spesso più di 40-50mm di pioggia.
Più sensibile rispetto agli altri mesi è l'effetto quota, poiché sporadici temporali estivi sono sempre possibili in
montagna, anche in anni in cui pianure e colline non ricevono pioggia.
(1) - Per la precisione si tratta delle probabilità di stare entro ± una deviazione standard dalla media, corrispondente al 68.27%.
Le temperature delle aree olivetate.
Nella tabella 7.2 (tab 7.2a - tab 7.2b - tab 7.2c - tab 7.2d) sono riportate le medie delle temperature minime e
massime nei dodici mesi per le aree olivetate prima citate. Per ognuna di esse si sono scelte alcune località di
riferimento, in base alla disponibilità dei dati termometrici per il trentennio 1961-1990. Un'analisi della loro
variabilità, anch'essa molto importante, è stata affrontata nel paragrafo sull'agrometeorologia dell'olivo, in cui tra
l'altro sono discussi gli effetti che le temperature estreme hanno su questa coltura.
L'agrometeorologia dell'olivo.
L'olivo, essendo una specie di origine subtropicale, è sensibile alle temperature molto basse: la pianta, infatti,
comincia ad essere danneggiata quando la temperatura scende sotto -5°C, con danni che generalmente iniziano
col distacco delle foglie. In genere i frutti non dovrebbero subire danni da freddo perché nel periodo in cui
tipicamente si manifestano questi eventi termici, la raccolta dovrebbe già essersi conclusa; tuttavia, in caso di ritardo
nelle operazioni di raccolta, anche le drupe ancora pendenti possono subire l'effetto del freddo con delle alterazioni,
in ogni caso in misura limitata, che si riflettono sulla qualità del prodotto finale. In casi di temperature
particolarmente basse, inoltre, possono subire dei danni anche le branche ed il tronco.
42
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L'olivo inoltre manifesta sofferenza in condizioni di elevate temperature, che possono determinare danni sul tronco
e sulle branche quando l'ombreggiamento della vegetazione è insufficiente. Per tali ragioni nelle aree a clima
particolarmente caldo, ed in cui non si attua la pratica irrigua, è necessario non diradare eccessivamente le chiome
con la potatura. Inoltre, bruschi innalzamenti termici all'inizio dell'estate possono provocare il isseccamento dei
frutticini posti sui rami più bassi, in conseguenza dell'intenso riverbero del calore dal terreno.
Benché l'olivo, come riferito nel capitolo 4 relativo all'impianto, sia tutto sommato una specie tendenzialmente
resistente a condizioni termiche avverse, un'analisi delle temperature critiche su base climatica può fornire ulteriori
elementi per una valutazione completa della vocazionalità dei diversi areali di coltivazione.
L'analisi climatica delle temperature critiche per l'olivo si fonda sulle probabilità di ricorrenza di valori superiori o
inferiori a soglie termiche prefissate; l'elaborazione dei dati climatici relativi al territorio regionale, qui di seguito
riportata, è stata sviluppata a scala decadale per ogni singola stazione meteorologica. Il periodo di riferimento,
come per le analisi climatiche di carattere generale, è il trentennio 1961-90.
Il metodo applicato consiste nella determinazione della frequenza (espressa in percentuale sul numero di anni di
osservazione) con la quale per ciascuna decade dell'anno un determinato evento si è verificato, indipendentemente
dal numero di giorni in cui l'evento si è ripetuto all'interno della stessa decade. Il valore risultante esprime pertanto
la probabilità che, in almeno un giorno di una decade, la temperatura dell'aria sia pari od oltre il limite considerato.
Le soglie termiche inferiori prese in esame sono: -10°C, -8°C, -6°C, -4°C, 0°C, 2°C e 4°C, mentre come soglie
termiche superiori: 30°C, 33°C, 35°C, 38°C, 40°C e 43°C.
Le tabelle da 7.3 a 7.22 sono relative alle seguenti stazioni:
Stazioni Meteorologiche
tab.
7.3
Alà dei
Sardi
tab. 7.8
Cala
Gonone
tab.
7.13
Lanusei
tab.
7.18
Ottana
tab.
7.4
Ales
tab. 7.9
Corongiu
tab.
7.14
Mandas F.C.
tab.
7.19
Sanluri O.N.C.
tab.
7.5
Alghero
tab.
7.10
Cuglieri
tab.
7.15
Mogoro
(Diga)
tab.
7.20
Santa Lucia
tab.
7.6
Bidighinzu
tab.
7.11
Fertilia
tab.
7.16
Nuoro
tab.
7.21
Sassari (Serra Secca)
tab.
7.7
Bosa
tab.
7.12
Jerzu F.C.
tab.
7.17
Orosei
tab.
7.22
Villacidro F.C.
A titolo esemplificativo, esaminando la distribuzione dei valori relativa alla stazione di Villacidro (tab. 7.22), si evince
come la zona appaia indubbiamente favorevole sotto l'aspetto del regime termico invernale, dal momento che
risultano certo modeste le probabilità di gelate durante tale periodo, condizioni che consentirebbero di procrastinare
la raccolta senza che le drupe possano subire alterazioni legate alle basse temperature. Infatti nella tabella si può
osservare che nella terza decade di dicembre possono verificarsi temperature minime inferiori o uguali a 0°C
(almeno in 1 giorno della decade) con una probabilità del 2%, ovvero due anni in un secolo (ipotizzando
naturalmente l'assenza di variazioni climatiche rispetto al trentennio preso in esame). Per contro gli oliveti che
ricadono nell'areale di Alghero (tab. 7.5), sono relativamente più esposti alle gelate invernali, essendo maggiore,
nella stessa decade a cui ci si è riferiti precedentemente, la probabilità di gelate: il 25% degli anni, vale a dire
mediamente un anno ogni quattro. Una tale condizione climatica, a differenza del caso precedentemente
esaminato, suggerirebbe di non ritardare le operazioni di raccolta oltre il mese di novembre.
Naturalmente nello stabilire il miglior periodo per la raccolta, focalizzando per il momento l'analisi solo sui fattori
climatici, occorre tenere conto, oltre che del regime termico, anche della frequenza degli eventi piovosi, che incide
significativamente sui tempi disponibili per le operazioni di campo, di cui si è parlato nel capitolo 8.
43
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di Cagliari, Oristano e Nuoro
Se si esamina invece la ricorrenza dei valori termici massimi nelle due stazioni, la situazione sostanzialmente si
ribalta. Nella stazione di Villacidro si hanno buone probabilità che si verifichino valori superiori a 40 °C nel periodo
più caldo dell'estate (per esempio il 20%, cioè un anno su cinque, nell'ultima decade di luglio), mentre per lo stesso
periodo nell'algherese le probabilità sono solo del 3%. Sotto questo aspetto pertanto gli oliveti del villacidrese
appaiono maggiormente esposti all'azione del calore e necessiterebbero di una maggiore oculatezza in tutte quelle
operazioni colturali (potatura, irrigazione, etc.) capaci di mitigarne gli effetti.
Pertanto la conoscenza delle temperature critiche dei due areali presi ad esempio consentono da un lato di
esprimere una valutazione più completa della vocazionalità degli ambienti nei quali si programmano nuovi impianti,
dall'altro di avere una maggiore comprensione delle cause che intervengono nel determinare il risultato produttivo
nelle aree olivetate tradizionali.
43
Tabella 7.1a - Intervallo di variabilità del "cumulato di precipitazione" (in mm), per l'anno intero e per i quattro
periodi d'interesse nella Sardegna nord-occidentale, Monte Acuto, Baronia e Barbagia nel Nuorese.
SARDEGNA
NORDOCCIDENTALE
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
maggio-giugno
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
ALGHERO
(AEROPORTO)
104
163
221
5
36
68
0
17
39
185
302
420
426
573
720
BESSUDE (LAGO
BIDIGHINZU)
154
240
326
17
70
123
0
26
59
251
371
490
637
793
950
CARGEGHE
95
178
260
15
57
100
0
16
34
177
312
447
414
621
828
SASSARI (BANCALI)
98
154
210
8
48
88
0
19
44
196
293
391
462
572
682
SASSARI (OTTAVA)
94
141
187
7
46
84
0
22
49
182
270
359
418
530
643
SASSARI (SERRA
SECCA)
86
147
208
14
47
80
0
13
27
184
276
369
443
541
638
SENNORI
83
140
197
6
38
71
0
17
43
153
285
416
382
544
705
THIESI
150
248
346
6
61
116
0
23
54
240
367
494
599
786
972
TORRALBA
131
202
273
17
60
102
0
21
54
200
297
395
527
653
778
MONTE
ACUTO
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
ALÀ DEI
SARDI
maggio-giugno
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
189
301
413
34
87
140
7
44
80
259
413
568
732
944
1157
BARONIE E
BARBAGIA
DEL
NUORESE
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
maggio-giugno
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
CALA
GONONE
79
172
265
5
57
110
0
21
51
164
304
443
383
599
816
DORGALI
103
261
418
6
65
123
0
27
60
220
377
535
562
785
1007
GALTELLì
87
186
285
10
55
101
0
25
62
175
293
412
415
610
805
NUORO
135
223
311
27
67
106
0
29
60
200
333
467
536
710
884
OLIENA
94
239
384
15
60
104
0
21
48
183
349
515
503
739
975
OROSEI
89
162
235
5
53
101
0
21
48
154
279
405
376
561
747
Tabella 7.1a1 - Intervallo di variabilità del "numero di giorni piovosi", per l'anno intero e per i quattro periodi
d'interesse nella Sardegna nord-occidentale, Monte Acuto, Baronia e Barbagia nel Nuorese.
SARDEGNA
NORDOCCIDENTALE
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
settembre-dicembre
annuale
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
0
2
4
21
29
38
52
68
83
12
0
3
5
26
34
42
70
83
96
7
11
0
3
5
19
30
41
50
70
90
3
6
10
0
2
4
21
30
40
57
70
83
3
7
11
0
3
5
22
30
39
58
71
84
31
4
7
10
0
2
4
22
30
39
59
71
83
16
23
2
4
7
0
2
3
16
23
30
39
51
63
17
26
34
2
7
11
0
3
6
22
33
45
61
78
94
14
22
30
3
6
8
0
2
4
17
26
35
47
63
79
limite
inf.
ALGHERO
(AEROPORTO)
maggio-giugno
media
limite
sup.
limite
inf.
15
22
29
BESSUDE (LAGO
BIDIGHINZU)
20
28
CARGEGHE
14
SASSARI (BANCALI)
SASSARI (OTTAVA)
luglio-agosto
media
limite
sup.
limite
inf.
2
6
10
35
5
8
23
32
4
16
23
30
15
23
31
SASSARI (SERRA
SECCA)
15
23
SENNORI
9
THIESI
TORRALBA
MONTE
ACUTO
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
ALA' DEI
SARDI
limite
inf.
20
maggio-giugno
media
limite
sup.
limite
inf.
29
37
5
luglio-agosto
media
limite
sup.
limite
inf.
9
13
1
settembre-dicembre
annuale
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
4
7
26
33
41
70
85
101
BARONIE E
BARBAGIA
DEL
NUORESE
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
limite
inf.
CALA
GONONE
maggio-giugno
settembre-dicembre
annuale
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
0
2
4
17
25
33
47
61
75
10
0
3
5
18
26
34
49
64
79
6
9
0
2
5
17
24
31
46
59
72
9
12
0
4
7
25
33
40
71
83
96
2
6
9
0
3
5
17
23
30
42
56
71
3
5
8
0
2
4
16
23
31
43
55
68
media
limite
sup.
limite
inf.
13
20
27
DORGALI
14
21
GALTELLì
13
NUORO
20
OLIENA
OROSEI
luglio-agosto
media
limite
sup.
limite
inf.
3
7
10
28
3
6
20
27
3
28
37
6
12
19
26
12
18
24
Tabella 7.1b - Intervallo di variabilità del "cumulato di precipitazione" (in mm), per l'anno intero e per i quattro
periodi d'interesse in Oliastra, Planargia e Montiferru, Alto Campidano.
OGLIASTRA
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
maggio-giugno
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
BARISARDO
101
214
327
1
53
105
0
22
49
206
396
585
487
751
1015
JERZU
166
279
392
19
65
111
0
27
66
251
400
549
649
860
1070
LANUSEI
145
296
446
12
56
100
0
26
58
212
439
666
583
918
1253
PLANARGIA E
MONTIFERRU
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
limite
inf.
BOSA
CUGLIERI
maggio-giugno
media
limite
sup.
limite
inf.
125
181
236
150
250
350
SENEGHE
160
300
TRESNURAGHES
111
188
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
0
15
44
194
303
412
487
611
734
0
16
38
254
365
476
654
795
936
123
0
18
48
268
415
561
665
932
1200
104
0
13
32
221
316
411
535
652
769
media
limite
sup.
limite
inf.
10
48
86
15
68
120
440
12
68
265
13
59
ALTO
CAMPIDANO
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
limite
inf.
MOGORELLA
maggio-giugno
media
limite
sup.
limite
inf.
127
218
308
RIOLA
SARDO
110
186
ZEDDIANI (S.
LUCIA)
96
163
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
0
20
51
229
321
413
554
703
853
90
0
13
33
193
321
449
492
645
799
81
0
12
29
190
282
374
441
564
688
media
limite
sup.
limite
inf.
18
62
107
262
10
50
231
5
43
Tabella 7.1b1 - Intervallo di variabilità del "numero di giorni piovosi" per l'anno intero e per i quattro periodi
d'interesse in Oliastra, Planargia e Montiferru, Alto Campidano.
OGLIASTRA
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
limite
inf.
BARISARDO
JERZU
LANUSEI
maggio-giugno
media
limite
sup.
limite
inf.
9
15
21
18
26
34
17
25
33
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
0
2
5
15
20
25
37
47
57
0
3
6
22
30
37
60
75
90
0
3
6
22
30
38
59
76
92
media
limite
sup.
limite
inf.
1
4
7
4
8
11
4
7
11
PLANARGIA E
MONTIFERRU
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
maggio-giugno
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
BOSA
18
26
33
2
6
11
0
2
4
22
30
39
61
74
87
CUGLIERI
20
28
36
4
8
12
0
2
5
26
34
42
70
83
95
SENEGHE
18
27
36
4
7
10
0
2
4
24
32
40
63
78
94
TRESNURAGHES
14
22
30
3
7
11
0
2
3
22
29
36
55
68
81
ALTO
CAMPIDANO
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
maggio-giugno
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
MOGORELLA
17
25
33
3
7
11
0
2
4
22
30
37
59
72
86
RIOLA
SARDO
13
20
26
3
6
8
0
2
3
20
28
35
51
63
74
ZEDDIANI (S.
LUCIA)
16
25
33
3
6
10
0
2
4
24
32
40
61
74
87
Tabella 7.1c - Intervallo di variabilità del "cumulato di precipitazione" (in mm), per l'anno intero e per i quattro
periodi d'interesse per Medio Campidano, Marmilla e Trexenta, Basso Campidano e Parteolla.
MEDIO
CAMPIDANO,
MARMILLA
TREXENTA
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
maggio-giugno
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
ALES
132
245
357
16
63
110
0
23
59
241
357
474
597
786
975
BARADILI
100
210
320
16
52
89
0
20
48
143
339
534
459
697
935
GERGEI
129
232
336
28
62
95
0
36
76
199
284
369
539
695
850
GESICO
113
190
267
21
55
88
0
25
63
141
228
314
409
560
711
GUASILA
98
172
246
15
45
74
0
28
69
147
217
286
387
514
641
LUNAMATRONA
128
228
327
21
60
98
0
20
49
198
289
380
520
679
838
MANDAS
122
241
360
27
73
118
0
39
91
210
302
395
540
732
925
MOGORO
95
183
272
6
49
92
0
17
41
199
289
378
470
601
733
SANLURI
79
176
274
12
44
76
0
21
51
110
243
376
318
551
784
SARDARA
113
202
291
17
51
84
0
18
43
170
270
370
460
610
761
SEGARIU
110
196
281
21
55
89
0
36
76
171
251
331
460
606
751
SENORBÌ
100
175
250
18
48
78
0
24
58
159
229
300
410
533
657
VILLACIDRO
140
228
315
14
51
87
0
21
49
197
310
422
537
686
835
VILLAMAR
116
233
350
19
55
91
0
28
62
182
285
387
493
680
867
BASSO
CAMPIDANO
E PARTEOLLA
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
limite
inf.
CAPOTERRA
maggio-giugno
media
limite
sup.
limite
inf.
99
175
251
CORONGIU
95
178
DOLIANOVA
72
161
ELMAS
(AEROPORTO)
78
138
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
0
12
28
132
240
348
381
525
670
85
0
18
40
145
227
309
386
530
673
64
0
18
50
128
234
340
329
505
680
58
0
12
30
121
196
272
325
425
525
media
limite
sup.
limite
inf.
0
39
79
262
6
45
249
10
37
198
8
33
Tabella 7.1c1 - Intervallo di variabilità del "numero di giorni piovosi" per l'anno intero e per i quattro periodi
d'interesse per Medio Campidano, Marmilla e Trexenta, Basso Campidano e Parteolla.
MEDIO
CAMPIDANO,
MARMILLA
TREXENTA
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
maggio-giugno
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
ALES
17
26
35
4
7
11
0
2
5
24
32
39
61
76
92
BARADILI
13
22
31
3
6
9
0
2
5
21
28
34
51
65
79
GERGEI
15
23
30
3
6
9
0
3
6
17
26
35
50
66
82
GESICO
16
24
32
4
7
10
0
2
5
21
27
33
55
68
80
GUASILA
14
22
30
2
6
9
0
2
5
17
25
33
48
62
76
LUNAMATRONA
16
24
33
3
6
9
0
2
5
22
29
36
56
71
85
MANDAS
19
28
37
5
8
12
0
4
7
23
32
41
65
83
100
MOGORO
13
21
30
2
5
8
0
2
4
20
28
35
51
63
76
SANLURI
14
24
34
3
6
10
0
2
5
17
28
38
48
70
92
SARDARA
18
25
33
3
7
10
0
2
5
23
31
39
60
74
88
SEGARIU
16
25
33
3
7
12
0
4
7
22
30
38
59
76
92
SENORBÌ
16
23
31
4
7
10
0
3
6
20
27
34
54
68
81
VILLACIDRO
18
27
35
4
7
10
0
2
4
24
32
40
63
78
92
VILLAMAR
13
21
28
2
5
8
0
2
5
19
25
31
48
60
73
BASSO
CAMPIDANO
E PARTEOLLA
Stazione di
rilevamento
Intervallo di variabilità del cumulato di precipitazione
febbraio-aprile
maggio-giugno
luglio-agosto
settembre-dicembre
annuale
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
limite
inf.
media
limite
sup.
CAPOTERRA
14
19
25
2
4
7
0
1
3
17
23
29
45
55
66
CORONGIU
16
24
31
3
6
9
0
2
5
20
27
34
55
68
81
DOLIANOVA
13
19
26
2
5
8
0
2
4
16
25
34
45
59
73
ELMAS
(AEROPORTO)
15
21
27
3
5
8
0
2
4
20
27
34
52
62
72
Tabella 7.2a - Valori medi delle temperature minime nei dodici mesi di alcune località della Sardegna
nord-occidentale, Monte Acuto, Baronia e Barbagia del Nuorese e Ogliastra.
SARDEGNA
NORDOCCIDENTALE
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
ALGHERO (AEROPORTO)
6,2
6,3
7,1
9,0
11,8
15,3
17,7
18,0
16,2
13,1
9,7
7,4
11,5
BESSUDE (LAGO BIDIGHINZU)
3,4
3,9
5,4
7,7
10,7
13,4
15,5
15,6
13,3
10,6
7,3
4,6
9,3
SASSARI (OTTAVA)
6,2
6,3
7,0
8,8
11,7
14,8
17,3
17,8
15,9
13,3
9,4
7,0
11,3
SASSARI (SERRA SECCA)
6,0
6,2
7,2
9,4
12,5
16,0
18,9
19,1
16,7
13,6
9,4
6,9
11,8
MONTE ACUTO
Stazione di rilevamento
ALÀ DEI SARDI
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
1,6
2,0
3,3
5,1
8,5
11,8
14,6
14,6
12,1
9,0
4,9
2,8
7,5
BARONIE E BARBAGIA
DEL NUORESE
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
CALA GONONE
8,9
9,6
10,3
12,3
15,6
19,2
21,9
22,6
20,3
16,8
13,1
10,5
15,1
NUORO
3,8
3,7
4,9
7,2
10,7
14,6
17,7
17,7
15,2
11,8
7,4
4,7
10,0
OROSEI
6,6
6,9
8,0
10,0
13,3
16,9
19,7
19,8
17,3
14,4
10,3
7,9
12,6
OGLIASTRA
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
JERZU
4,6
4,5
6,0
8,1
11,5
15,8
19,8
19,6
16,1
12,1
8,3
5,6
11,0
LANUSEI
4,0
4,0
4,9
6,5
10,3
14,2
17,7
17,9
14,9
11,7
7,2
4,8
9,8
Tabella 7.2b - Valori medi delle temperature minime nei dodici mesi di alcune località della Planargia e
Montiferru, Alto Campidano, Medio Campidano, Basso Campidano e Parteolla.
PLANARGIA E
MONTIFERRU
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
BOSA
7,1
7,3
8,5
10,7
13,9
16,9
19,3
19,8
17,5
14,2
10,3
7,5
12,8
CUGLIERI
5,8
5,7
6,7
8,7
12,1
15,5
18,7
18,7
16,2
13,2
9,4
6,8
11,5
ALTO CAMPIDANO
Stazione di rilevamento
ZEDDIANI (S. LUCIA)
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
5,5
5,9
6,6
8,5
11,6
14,9
17,3
17,7
15,7
13,0
9,3
6,7
11,1
MEDIO CAMPIDANO,
MARMILLA E TREXENTA
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
ALES
2,7
3,6
4,6
6,2
9,3
13,1
15,9
16,0
13,0
10,0
6,5
3,6
8,7
MANDAS
3,9
4,1
5,1
7,0
10,3
13,8
16,6
17,2
14,8
11,7
7,7
5,1
9,8
MOGORO
6,4
7,0
8,2
10,7
14,3
18,0
20,6
20,8
18,4
14,9
10,5
7,5
13,1
SANLURI
3,9
4,2
5,2
7,3
10,1
14,0
16,7
16,9
14,9
11,5
7,8
5,4
9,8
VILLACIDRO
7,2
7,5
8,4
10,2
13,6
17,4
20,3
20,6
18,3
15,1
10,9
8,5
17,3
BASSO CAMPIDANO
E PARTEOLLA
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
CORONGIU
6,7
6,8
7,9
10,2
13,6
17,3
20,4
20,6
18,2
14,8
10,8
7,7
12,9
ELMAS (AEROPORTO)
5,7
6,2
7,2
9,2
12,3
16,1
18,6
19,0
16,9
13,7
9,4
6,8
11,8
Tabella 7.2c - Valori medi delle temperature massime nei dodici mesi di alcune località della Sardegna
nord-occidentale, Monte Acuto, Baronia e Barbagia del Nuorese e Ogliastra.
SARDEGNA
NORDOCCIDENTALE
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
ALGHERO (AEROPORTO)
13,4
13,7
14,9
17,5
21,5
25,5
28,9
28,8
26,2
22,4
17,5
14,5
20,4
BESSUDE (LAGO
BIDIGHINZU)
11,6
12,4
14,6
17,5
22,3
26,6
30,5
29,7
26,0
21,4
15,9
12,8
20,1
SASSARI (OTTAVA)
13,4
13,8
15,3
18,0
22,2
26,3
29,7
29,8
26,8
22,8
17,5
14,1
20,8
SASSARI (SERRA SECCA)
12,1
12,8
14,5
17,7
22,2
26,3
29,6
29,2
25,6
21,4
15,7
12,8
20,0
MONTE ACUTO
Stazione di rilevamento
ALÀ DEI SARDI
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
9,0
10,2
12,3
15,4
20,6
25,6
29,4
29,3
24,9
19,8
13,6
10,4
18,4
BARONIE E BARBAGIA
DEL NUORESE
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
CALA GONONE
14,6
15,3
16,2
18,4
21,9
25,7
28,7
29,3
26,9
22,9
18,9
16,1
21,2
NUORO
10,7
11,1
13,6
16,9
22,1
27,2
31,1
30,4
26,3
20,9
15,0
11,4
19,7
OROSEI
14,2
14,8
16,4
18,5
22,0
26,0
29,2
29,3
26,9
23,2
18,4
15,5
21,2
OGLIASTRA
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
JERZU
12,2
12,7
14,9
17,8
22,1
26,8
30,9
30,1
26,3
21,5
16,5
13,4
20,4
LANUSEI
12,6
12,9
14,8
17,6
21,9
26,5
30,4
30,3
25,9
21,8
16,9
13,6
20,4
Tabella 7.2d - Valori medi delle temperature massime nei dodici mesi di alcune località della Planargia e
Montiferru, Alto Campidano, Medio Campidano, Basso Campidano e Parteolla.
PLANARGIA E
MONTIFERRU
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
BOSA
15,2
15,4
17,4
19,9
24,0
27,8
31,0
30,9
28,1
23,7
18,9
15,2
22,3
CUGLIERI
10,7
11,3
13,1
15,8
20,6
25,1
29,0
28,6
25,1
20,6
15,2
11,7
18,9
ALTO CAMPIDANO
Stazione di rilevamento
ZEDDIANI (S. LUCIA)
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
13,7
14,5
16,2
19,0
23,3
27,1
30,7
30,5
27,7
23,7
18,3
14,7
21,6
MEDIO CAMPIDANO,
MARMILLA E
TREXENTA
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
ALES
11,8
13,2
15,5
17,6
22,7
28,4
32,8
32,1
27,2
22,2
17,0
13,6
21,2
MANDAS
10,3
11,0
12,9
15,5
20,5
26,1
30,2
29,8
25,9
20,6
14,9
11,4
19,1
MOGORO
12,1
13,0
14,8
17,8
22,5
26,6
29,4
28,9
25,9
21,5
16,3
13,0
20,2
SANLURI
13,3
14,1
16,0
18,7
23,3
28,4
31,8
31,7
27,7
23,0
17,7
14,1
21,7
VILLACIDRO
13,0
13,5
15,3
18,2
23,0
27,9
31,6
31,0
27,4
22,4
17,1
14,0
17,3
BASSO CAMPIDANO
E PARTEOLLA
Stazione di rilevamento
Medie di temperatura minima
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
annuale
CORONGIU
13,9
14,1
16,0
18,9
23,1
27,8
31,5
31,1
27,8
23,1
18,2
14,8
21,7
ELMAS (AEROPORTO)
14,0
14,5
16,0
18,4
22,3
26,7
29,7
29,8
26,9
22,9
18,1
15,0
21,2
Tabella 7.3 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Alà dei Sardi, 663 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
B - Soglie termiche superiori
-8
-6
-4
-2
0
2
4
1
1
6
27
69
96
100
100
1
2
1
8
31
74
97
100
100
1
3
1
7
31
74
98
100
100
2
1
1
6
27
69
96
100
100
2
2
1
5
24
65
95
100
100
2
3
1
4
20
58
92
100
100
3
1
2
14
49
89
100
100
3
2
1
7
32
77
98
100
3
3
2
14
55
95
100
4
1
5
31
82
100
4
2
3
23
71
98
4
3
2
15
55
94
1
5
1
1
5
29
76
7
1
5
2
1
9
41
14
2
5
3
1
14
27
4
1
6
1
4
47
10
3
6
2
2
79
32
12
2
6
3
1
95
58
28
5
1
7
1
99
79
47
11
3
7
2
100
88
59
16
5
7
3
100
95
73
24
7
1
8
1
100
94
72
24
8
1
8
2
100
89
63
21
7
1
8
3
98
73
41
9
3
9
1
85
37
13
2
9
2
1
68
22
7
1
9
3
1
5
46
11
3
10
1
1
4
21
20
3
1
10
2
1
4
17
51
7
1
10
3
2
12
42
82
2
11
1
4
20
59
93
11
2
2
14
46
86
99
11
3
1
7
29
69
96
100
12
1
2
12
42
83
99
100
12
2
3
16
50
88
99
100
12
3
5
24
64
95
100
100
1
30
33
35
38
40
43
Tabella 7.4 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Ales, 167 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
B - Soglie termiche superiori
-6
-4
-2
0
2
4
1
1
9
40
86
100
100
1
2
1
7
35
83
99
100
1
3
3
22
72
99
100
2
1
2
14
59
96
100
2
2
2
17
61
96
100
2
3
3
18
60
95
100
3
1
2
16
56
94
100
3
2
1
8
40
86
100
3
3
3
19
68
98
4
1
1
9
46
92
4
2
6
38
88
4
3
7
34
81
2
5
1
4
22
63
9
1
5
2
1
8
34
26
4
1
5
3
3
16
62
15
4
6
1
1
6
87
37
12
1
6
2
1
98
69
34
5
1
6
3
100
92
63
16
4
7
1
100
99
88
38
13
1
7
2
100
100
96
61
28
4
7
3
100
100
99
78
45
10
8
1
100
100
98
75
43
10
8
2
100
100
95
62
31
6
8
3
100
97
83
37
14
2
9
1
99
78
43
9
2
9
2
94
52
21
3
1
9
3
2
75
25
8
1
10
1
1
5
34
5
1
10
2
4
20
9
1
10
3
2
14
49
2
11
1
4
22
66
11
2
2
11
45
88
11
3
2
10
37
78
98
12
1
4
19
57
92
100
12
2
1
6
29
72
97
100
12
3
1
9
39
84
99
100
1
30
33
35
38
40
43
Tabella 7.5 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Alghero, 7 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
B - Soglie termiche superiori
-4
-2
0
2
4
1
2
8
29
67
94
1
2
2
10
33
71
95
1
3
2
9
33
72
96
2
1
2
8
30
68
94
2
2
1
8
29
67
94
2
3
1
7
27
65
93
3
1
1
6
24
62
93
3
2
3
14
46
85
3
3
4
23
67
4
1
1
9
41
4
2
1
6
31
4
3
4
23
5
1
1
10
3
5
2
3
11
1
5
3
1
29
4
1
6
1
43
8
2
6
2
71
21
6
6
3
90
42
15
2
7
1
97
64
30
5
1
7
2
99
78
44
9
2
7
3
100
87
54
12
3
8
1
100
84
50
10
2
8
2
99
72
34
5
1
8
3
97
50
16
1
9
1
82
21
4
9
2
70
14
2
9
3
53
8
1
10
1
29
3
10
2
1
10
1
10
3
1
5
2
11
1
2
12
11
2
2
10
35
11
3
1
5
23
59
12
1
2
9
34
73
12
2
3
14
45
83
12
3
7
25
62
92
1
30
33
35
38
40
43
Tabella 7.6 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Bidighinzu, 335 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
B - Soglie termiche superiori
-6
-4
-2
0
2
4
1
3
14
42
80
98
100
1
2
3
14
44
82
98
100
1
3
2
12
42
82
99
100
2
1
2
10
37
77
98
100
2
2
2
9
33
73
96
100
2
3
1
7
27
65
93
100
3
1
1
5
21
56
90
99
3
2
2
12
41
81
98
3
3
1
4
22
63
95
4
1
2
10
41
84
4
2
1
6
27
70
1
4
3
3
16
53
4
5
1
1
7
31
14
2
5
2
2
12
28
5
1
5
3
4
50
12
3
6
1
1
70
24
8
1
6
2
92
54
26
5
1
6
3
99
78
48
13
4
7
1
100
92
68
24
8
1
7
2
100
96
80
34
13
2
7
3
100
98
86
40
16
2
8
1
100
97
83
38
15
2
8
2
100
92
70
25
8
1
8
3
1
99
83
53
14
4
9
1
1
93
50
21
3
1
9
2
1
82
34
12
1
9
3
1
66
20
6
1
10
1
1
6
41
9
2
10
2
1
6
23
20
3
1
10
3
1
3
16
49
7
1
11
1
1
7
27
66
1
11
2
1
5
19
51
86
11
3
1
3
13
39
75
96
12
1
1
7
23
56
88
99
12
2
2
9
30
67
93
100
12
3
3
14
42
79
97
100
1
30
33
35
38
40
43
Tabella 7.7 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Bosa, 13 m s.l.m.
A- Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
-4
B - Soglie termiche superiori
-2
0
2
4
30
33
35
38
40
1
1
6
30
77
1
2
1
5
29
76
1
3
5
27
75
2
1
1
6
30
76
2
2
1
6
29
75
2
3
1
5
26
70
3
1
3
20
63
3
2
2
13
49
3
3
1
5
27
4
1
1
9
1
4
2
1
6
2
4
3
5
8
1
5
1
2
27
4
1
5
2
43
8
2
5
3
73
23
6
1
6
1
84
32
10
1
6
2
95
53
20
2
6
3
99
76
39
6
1
7
1
100
92
62
15
3
7
2
100
97
76
23
6
7
3
100
99
84
29
8
8
1
100
98
78
21
5
8
2
100
95
66
13
2
8
3
100
84
41
4
9
1
99
57
17
1
9
2
96
44
12
1
9
3
88
34
10
1
10
1
72
21
6
10
2
2
42
8
2
10
3
1
4
18
2
11
1
1
6
3
11
2
1
4
21
1
11
3
3
14
47
12
1
1
5
25
66
12
2
1
6
30
73
12
3
1
8
36
81
43
1
Tabella 7.8 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Cala Gonone, 25 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
1
1
2
1
-10
-8
-6
-4
-2
B - Soglie termiche superiori
0
2
4
30
33
35
4
24
1
7
33
3
1
6
31
2
1
1
5
27
2
2
3
20
2
3
2
16
3
1
1
12
3
2
1
6
3
3
4
1
4
2
4
3
5
1
5
2
1
5
3
2
6
1
8
6
2
37
2
6
3
70
8
1
7
1
89
16
2
7
2
96
26
3
7
3
99
41
5
8
1
100
47
7
8
2
99
50
10
8
3
98
41
7
9
1
89
18
2
9
2
67
6
9
3
36
2
10
1
13
10
2
4
10
3
1
11
1
11
2
1
11
3
4
12
1
1
9
12
2
2
13
12
3
4
22
2
38
40
43
Tabella 7.9 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Corongiu, 126 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
-4
-2
B - Soglie termiche superiori
0
2
4
1
3
22
72
1
2
4
26
78
1
3
4
29
81
2
1
4
28
79
2
2
4
26
77
2
3
3
23
71
3
1
2
17
63
3
2
1
9
46
3
3
4
30
4
1
2
17
4
2
1
11
1
4
3
1
5
2
5
1
2
8
1
5
2
18
2
5
3
43
6
1
6
1
75
20
5
6
2
95
53
20
2
6
3
100
80
42
6
1
7
1
100
93
62
12
2
7
2
100
98
76
18
4
7
3
100
99
84
22
4
8
1
100
99
79
18
3
8
2
100
95
64
10
1
8
3
100
85
40
4
9
1
99
54
15
1
9
2
94
38
9
9
3
78
21
4
10
1
45
6
1
10
2
16
1
10
3
1
3
11
1
4
1
11
2
11
3
12
2
14
1
7
31
1
1
10
44
12
2
2
13
55
12
3
2
18
67
30
33
35
38
40
43
Tabella 7.10 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Cuglieri, 484 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
1
1
2
1
3
2
1
2
2
2
-10
-8
-6
-4
B - Soglie termiche superiori
-2
0
2
4
3
20
61
95
5
23
66
96
4
24
67
97
1
5
26
68
96
1
5
26
69
97
3
3
20
61
95
3
1
1
12
50
92
3
2
5
32
81
3
3
3
22
69
4
1
2
13
51
4
2
2
11
43
4
3
1
6
29
1
5
1
2
14
5
1
5
2
4
13
2
5
3
1
32
6
2
6
1
47
12
4
6
2
76
32
12
2
6
3
91
52
24
4
1
7
1
98
73
42
10
3
7
2
99
85
56
16
5
1
7
3
100
92
67
22
7
1
8
1
100
90
63
20
6
1
8
2
99
80
49
12
3
8
3
96
59
26
4
1
9
1
80
27
7
1
9
2
67
19
5
9
3
51
13
3
10
1
29
5
1
10
2
2
10
1
10
3
1
7
2
11
1
2
12
11
2
1
8
32
11
3
3
17
55
12
1
4
25
71
12
2
1
8
37
83
12
3
3
16
55
93
1
30
33
35
38
40
43
Tabella 7.11 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Fertilia, 10 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
B - Soglie termiche superiori
-4
-2
0
2
4
1
1
7
28
67
94
1
2
1
7
28
67
95
1
3
1
5
25
65
95
2
1
4
18
54
90
2
2
4
20
56
91
2
3
4
17
51
87
3
1
3
14
47
86
3
2
1
7
30
73
3
3
2
14
52
4
1
1
6
31
4
2
2
16
4
3
1
8
1
5
1
3
5
5
2
1
15
1
5
3
34
4
1
6
1
53
10
2
6
2
84
32
10
1
6
3
96
54
19
2
7
1
99
73
32
4
7
2
100
83
42
5
1
7
3
100
90
51
7
1
8
1
100
87
47
6
1
8
2
100
76
33
3
8
3
99
57
18
1
9
1
88
24
4
9
2
76
15
2
9
3
59
8
1
10
1
38
4
10
2
23
2
10
3
3
8
1
11
1
1
8
2
11
2
1
8
30
11
3
1
4
18
52
12
1
1
8
30
71
12
2
2
11
40
80
12
3
5
22
59
92
1
1
30
33
35
38
40
43
Tabella 7.12 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Jerzu F.C., 550 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
-4
B - Soglie termiche superiori
-2
0
2
4
30
33
35
38
40
1
5
30
80
99
1
2
5
31
82
100
1
3
4
30
83
100
2
1
4
29
82
100
2
2
5
31
82
100
2
3
4
26
75
99
3
1
2
19
66
98
3
2
2
14
54
93
3
3
2
11
45
88
4
1
1
6
28
71
4
2
3
17
57
4
3
1
10
41
1
5
1
1
6
25
3
5
2
2
10
9
1
5
3
3
25
2
6
1
1
51
9
2
6
2
86
32
10
1
6
3
98
61
23
2
7
1
100
82
38
3
7
2
100
92
53
6
1
7
3
100
97
65
9
1
8
1
100
95
63
9
1
8
2
100
87
46
6
1
8
3
99
65
23
2
9
1
88
23
4
9
2
72
15
3
9
3
51
9
2
10
1
1
28
4
1
10
2
3
8
1
10
3
1
10
2
11
1
2
17
11
2
1
9
42
11
3
4
25
72
12
1
1
9
42
89
12
2
2
14
57
95
12
3
4
25
74
99
43
Tabella 7.13 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Lanusei, 595 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
-4
B - Soglie termiche superiori
-2
0
2
4
30
33
35
38
40
1
2
26
84
100
1
2
6
38
89
100
1
3
1
8
43
91
100
2
1
1
8
43
90
100
2
2
1
10
47
92
100
2
3
1
7
41
89
100
3
1
5
34
85
100
3
2
2
17
69
99
3
3
5
43
95
4
1
2
25
84
4
2
2
19
75
4
3
2
16
62
1
5
1
1
10
43
4
5
2
2
15
12
1
5
3
3
22
2
6
1
1
40
4
1
6
2
1
79
22
5
6
3
96
52
19
2
7
1
100
81
45
8
1
7
2
100
93
65
16
4
7
3
100
98
79
23
6
8
1
100
98
79
25
6
8
2
100
93
66
17
4
8
3
99
79
42
7
1
9
1
89
34
9
1
9
2
66
13
2
9
3
44
6
1
10
1
20
2
10
2
2
13
1
10
3
2
14
6
1
11
1
1
8
37
2
11
2
1
7
33
77
1
11
3
2
14
54
93
12
1
1
15
63
98
12
2
1
11
63
99
12
3
1
19
78
100
43
Tabella 7.14 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Mandas F.C., 491 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
B - Soglie termiche superiori
-4
-2
0
2
4
30
33
35
38
40
1
1
11
48
91
100
1
2
2
15
55
94
100
1
3
2
16
57
95
100
2
1
2
16
55
93
100
2
2
2
15
54
92
100
2
3
2
12
47
89
100
3
1
1
8
38
86
100
3
2
4
24
73
98
3
3
1
12
54
95
4
1
5
31
83
4
2
2
20
70
4
3
1
11
51
1
5
1
4
26
4
5
2
1
8
10
1
5
3
2
25
4
1
6
1
51
12
3
6
2
85
41
16
3
1
6
3
97
68
35
7
2
7
1
100
86
55
14
4
7
2
100
93
66
19
5
7
3
100
97
76
23
6
8
1
100
95
72
20
5
8
2
100
90
59
14
3
8
3
99
77
40
7
1
9
1
92
46
17
2
9
2
80
30
9
1
9
3
53
12
3
10
1
1
24
3
1
10
2
1
5
7
1
10
3
3
16
1
11
1
1
6
30
11
2
1
5
24
67
11
3
2
15
50
89
12
1
4
23
67
97
12
2
1
5
28
76
99
12
3
1
9
43
88
100
43
Tabella 7.15 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Mogoro (Diga), 134 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
-4
B - Soglie termiche superiori
-2
0
2
4
1
3
16
52
90
1
2
4
18
56
92
1
3
3
17
56
92
2
1
2
14
47
87
2
2
2
12
43
85
2
3
1
9
36
79
3
1
1
6
29
73
3
2
3
17
56
3
3
1
8
37
4
1
4
21
4
2
3
15
4
3
2
9
5
1
1
5
4
5
2
1
12
1
5
3
29
3
6
1
48
7
1
6
2
82
25
6
6
3
95
43
12
1
7
1
99
65
25
2
7
2
100
75
34
4
1
7
3
100
84
44
6
1
8
1
100
79
36
4
8
2
99
61
20
1
8
3
94
33
6
9
1
69
9
1
9
2
48
4
9
3
28
2
10
1
12
1
10
2
1
10
3
3
11
1
11
2
11
3
12
1
12
12
1
7
1
6
24
3
15
46
1
6
25
65
2
1
8
34
76
3
2
14
48
88
30
3
33
35
38
40
43
Tabella 7.16 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Nuoro, 545 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
B - Soglie termiche superiori
-4
-2
0
2
4
30
33
35
1
2
16
57
94
100
1
2
3
20
63
96
100
1
3
3
21
66
97
100
2
1
1
5
26
69
97
100
2
2
1
6
27
70
97
100
2
3
1
5
23
63
95
100
3
1
3
16
54
92
100
3
2
1
7
35
82
99
3
3
3
20
66
97
4
1
1
7
37
85
4
2
3
22
70
1
4
3
1
10
47
4
5
1
4
23
5
2
1
5
3
6
38
40
43
14
2
1
6
28
5
1
1
49
11
3
1
73
25
8
1
6
2
94
58
28
5
1
6
3
99
80
45
9
2
7
1
100
94
68
20
5
7
2
100
98
83
34
11
1
7
3
100
99
91
47
19
3
8
1
100
99
89
44
17
2
8
2
100
96
78
32
11
1
8
3
100
88
60
17
5
9
1
96
58
26
4
1
9
2
86
38
14
2
9
3
63
18
5
1
10
1
1
32
6
1
10
2
1
5
10
1
10
3
1
4
21
3
11
1
2
12
43
11
2
1
9
35
78
11
3
4
19
59
94
12
1
1
7
32
77
99
12
2
1
8
38
84
99
12
3
2
15
54
93
100
Tabella 7.17 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Orosei, 19 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
-4
B - Soglie termiche superiori
-2
0
2
4
1
2
11
43
86
1
2
2
12
46
88
1
3
2
12
47
89
2
1
1
9
38
83
2
2
1
8
37
82
2
3
1
6
31
77
3
1
4
25
71
3
2
2
13
52
3
3
4
26
4
1
1
9
4
2
5
4
3
4
5
1
1
5
2
2
5
3
11
6
1
30
2
6
2
58
8
1
6
3
84
19
3
7
1
96
36
7
7
2
99
58
16
1
7
3
100
72
24
1
8
1
100
71
24
1
8
2
99
60
17
1
8
3
99
47
11
9
1
91
23
3
9
2
76
12
1
9
3
50
5
10
1
25
1
10
2
7
10
3
1
3
11
1
3
1
11
2
11
3
12
2
14
1
7
33
1
2
14
51
12
2
4
22
65
12
3
9
36
81
1
30
33
35
38
1
40
43
Tabella 7.18 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Ottava, 70 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
1
1
2
1
-10
-8
-6
-4
B - Soglie termiche superiori
-2
0
2
4
4
20
59
93
4
21
61
94
3
3
18
58
93
2
1
2
15
52
91
2
2
3
18
56
92
2
3
3
18
55
91
3
1
2
15
52
91
3
2
1
7
34
80
3
3
2
15
59
4
1
1
6
37
4
2
5
29
4
3
4
22
5
1
1
10
3
5
2
3
11
1
5
3
1
28
3
6
1
48
8
1
6
2
76
21
5
6
3
94
42
12
1
7
1
99
67
28
3
7
2
100
84
47
8
1
7
3
100
93
60
11
2
8
1
100
91
57
10
2
8
2
100
82
42
5
1
8
3
99
65
23
2
9
1
92
31
7
9
2
82
22
5
9
3
65
14
3
10
1
45
7
1
10
2
2
22
2
10
3
1
8
7
11
1
3
16
1
11
2
2
11
39
11
3
1
5
24
63
12
1
1
8
33
76
12
2
1
9
38
82
12
3
3
16
53
91
1
30
33
35
38
40
43
Tabella 7.19 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Sanluri O.N.C., 68 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
B - Soglie termiche superiori
-6
-4
-2
0
2
4
30
33
35
38
40
43
1
1
6
26
64
93
100
1
2
2
10
34
73
96
100
1
3
2
11
38
78
98
100
2
1
2
9
33
72
96
100
2
2
1
8
29
68
95
100
2
3
1
6
25
62
93
100
3
1
1
5
21
59
92
100
3
2
3
14
45
84
99
3
3
1
7
30
71
97
4
1
3
16
51
89
4
2
2
10
38
80
4
3
1
5
24
65
1
5
1
2
12
42
10
1
5
2
3
19
28
4
1
5
3
1
7
61
13
3
6
1
2
85
31
9
1
6
2
98
65
29
4
1
6
3
100
90
60
16
4
7
1
100
98
84
38
14
2
7
2
100
99
92
53
24
4
7
3
100
100
96
59
27
4
8
1
100
100
93
45
15
2
8
2
100
99
84
28
7
8
3
100
95
68
16
4
9
1
99
76
38
6
1
9
2
96
56
22
3
9
3
1
82
28
8
1
10
1
2
52
9
2
10
2
2
12
21
2
10
3
1
7
30
6
11
1
1
4
17
50
1
11
2
1
3
15
43
79
11
3
2
8
29
65
93
12
1
1
3
14
43
80
98
12
2
1
3
16
47
84
99
12
3
1
6
23
59
92
100
Tabella 7.20 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Santa Lucia, 35 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
B - Soglie termiche superiori
-4
-2
0
2
4
30
33
35
1
2
10
36
76
97
1
2
2
11
39
79
98
1
3
2
9
37
79
98
2
1
1
7
29
71
97
2
2
1
6
27
68
96
2
3
1
6
25
65
95
3
1
1
5
24
65
95
3
2
1
4
20
57
91
3
3
2
12
42
84
4
1
1
5
24
66
4
2
2
15
51
1
4
3
2
10
38
4
5
1
1
4
21
5
2
1
5
3
6
38
40
43
18
3
1
7
42
9
2
2
68
22
7
1
1
80
32
11
1
6
2
93
53
23
4
1
6
3
99
74
40
8
2
7
1
100
90
61
16
4
7
2
100
96
75
25
8
1
7
3
100
98
85
34
11
1
8
1
100
98
83
33
11
1
8
2
100
95
73
24
7
1
8
3
100
88
54
11
2
9
1
98
62
24
2
9
2
95
48
16
1
9
3
87
34
10
1
10
1
69
18
5
10
2
3
41
7
1
10
3
2
11
17
2
11
1
1
4
20
3
11
2
3
13
43
1
11
3
1
8
29
68
12
1
3
16
47
85
12
2
1
5
21
57
91
12
3
2
9
33
73
97
Tabella 7.21 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Sassari (Serra Secca), 350 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
-4
B - Soglie termiche superiori
-2
0
2
4
1
1
7
38
88
1
2
1
8
43
90
1
3
1
8
44
92
2
1
1
8
42
89
2
2
1
8
41
89
2
3
1
7
37
85
3
1
5
32
82
3
2
3
20
69
3
3
1
11
50
4
1
5
32
4
2
4
23
1
4
3
2
13
3
5
1
5
13
2
5
2
1
24
4
1
5
3
43
8
2
6
1
58
13
3
6
2
85
36
13
1
6
3
96
58
25
3
1
7
1
99
76
39
6
1
7
2
100
83
47
8
1
7
3
100
90
56
10
2
8
1
100
88
53
10
2
8
2
100
79
42
7
1
8
3
98
60
23
3
9
1
81
23
5
9
2
63
12
2
9
3
46
8
1
10
1
26
3
1
10
2
1
11
1
10
3
3
3
11
1
11
2
11
1
7
1
7
30
3
3
17
55
12
1
4
24
70
12
2
4
26
76
12
3
6
34
85
30
33
35
38
40
43
Tabella 7.22 - Probabilità di eventi termici critici per la stazione di Villacidro F.C. , 213 m s.l.m.
A - Soglie termiche inferiori
mese
decade
1
-10
-8
-6
-4
-2
B - Soglie termiche superiori
0
2
4
1
3
20
65
1
2
4
24
71
1
3
3
23
70
2
1
3
20
66
2
2
3
21
67
2
3
3
19
63
3
1
2
13
54
3
2
1
6
36
3
3
2
18
4
1
6
4
2
3
4
3
1
2
5
1
1
11
1
5
2
28
4
1
5
3
60
15
4
6
1
84
34
12
1
6
2
97
67
34
6
1
6
3
100
88
58
15
4
7
1
100
97
79
30
10
1
7
2
100
99
88
41
15
2
7
3
100
100
94
51
20
3
8
1
100
99
90
40
14
1
8
2
100
97
79
27
8
1
8
3
100
91
60
14
3
9
1
98
66
29
4
1
9
2
93
46
16
2
9
3
75
22
6
10
1
41
6
1
10
2
13
1
10
3
4
11
1
11
2
1
8
11
3
3
18
12
1
4
27
12
2
1
6
35
12
3
2
15
56
1
30
1
33
35
38
40
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Capitolo 8 - Esigenze idriche e irrigazione
Obiettivi
Si descrivono gli effetti dello stress idrico e le metodiche per determinare i fabbisogni irrigui. Si analizzano i criteri di
scelta del metodo irriguo.
L'olivo ha sviluppato adattamenti morfologici e meccanismi fisiologici che lo rendono resistente alla siccità. In tali
condizioni l'accrescimento e la produzione sono modesti. In media l'irrigazione comporta incrementi produttivi del
30%. La stima dei fabbisogni è svolta, in collaborazione col Servizio Agrometeorologico Regionale, secondo il
metodo del bilancio idrico, dove l'evapotraspirazione di riferimento è stimata col metodo di Penman - Monteith. I
coefficienti colturali adottati sono quelli di fonte FAO. I consumi idrici annuali dell'olivo risultano, in Sardegna, pari a
5.500m3/ha, e quelli stagionali a 4.000m3/ha. I consumi di punta si registrano a fine luglio, e sono più elevati
nell'area meridionale. Il fabbisogno irriguo si ottiene sottraendo a quello idrico l'ammontare delle "piogge efficaci".
Poiché la risposta produttiva ad apporti crescenti d'acqua diviene, superati certi livelli, meno che proporzionale a
ogni ulteriore incremento, di norma non è conveniente soddisfare appieno il fabbisogno. Una buona efficienza
nell'uso dell'acqua si ottiene con apporti pari al 70% del fabbisogno irriguo stagionale.
Il turno di irrigazione va calcolato tenendo conto della dinamica di esaurimento dell'acqua disponibile, che nel primo
metro di un terreno franco sabbioso è pari a 125mm. L'intervento irriguo coincide con l'esaurimento del 50%
dell'acqua disponibile.
Una corretta pianificazione irrigua richiede ancora la stima dell'efficienza di applicazione dell'acqua. L'irrigazione
localizzata con microportata di erogazione rappresenta sovente la soluzione migliore per le diverse esigenze
dell'impresa olivicola.
L'olivo tollera elevati contenuti di sale e di sodio nell'acqua irrigua. Conducibilità elettrica e rapporto tra i cationi
(SAR) consentono di meglio valutare l'idoneità di un'acqua all'uso irriguo. L'uso di acque anomale richiede la
contemporanea adozione di appropriate tecniche di drenaggio e neutralizzazione al fine di non alterare stabilmente
la struttura del terreno.
Esigenze idriche e irrigazione
L'olivo è notoriamente resistente alla siccità, e quindi capace di vegetare anche in ambienti aridi o semi - aridi
grazie alla capacità di utilizzare efficacemente l'acqua del terreno e di valorizzare le precipitazioni con un apparato
radicale dalla notevole espansione. Questa specie ha infatti sviluppato, nel corso dell'evoluzione, caratteristiche
morfologiche e meccanismi fisiologici che le conferiscono una spiccata xerofilia. Le foglie, piccole e coriacee, sono
rivestite da una cuticola cerosa sulla pagina superiore e da una diffusa tomentosità su quella inferiore che
contribuiscono a limitare le perdite di acqua per traspirazione. Gli stomi, presenti solo nella pagina inferiore, sono
ospitati in depressioni del tessuto e protetti da peli stellati. Il sistema radicale molto esteso consente all'albero di
sfruttare l'umidità contenuta in un grande volume di terreno e l'elevata pressione osmotica interna lo mette in grado
di assorbire acqua anche quando il contenuto idrico del suolo si porta su valori inferiori al punto di appassimento.
La funzionalità stomatica dell'olivo è garantita, anche in condizioni di carenza idrica, da meccanismi fisiologici quali
l'aggiustamento osmotico, l'adattamento del rapporto radici/foglie, l'accumulo d'acqua nei tessuti e la capacità delle
foglie di assorbire vapore acqueo in presenza di elevata umidità relativa dell'aria.
Effetti dello stress idrico
Sebbene queste caratteristiche gli permettano di sopravvivere in condizioni di aridità, l'olivo non raggiunge elevati
livelli produttivi senza un'appropriata gestione dell'acqua: la capacità di adattamento a questa condizione avversa
non è sufficiente a garantire, nel caso di stress prolungato, lo sviluppo dell'albero e dei frutti, e un numero adeguato
di germogli recanti numerose gemme a fiore. Per quanto riguarda il rapporto acqua/pianta si ricorda che la maggior
parte del liquido assorbito si perde sotto forma di vapore con la traspirazione e solo una piccola quota è trattenuta
per contribuire alla crescita; una frazione ancora minore è utilizzata dal processo fotosintetico e dai processi
metabolici.
44
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La traspirazione, che avviene nelle foglie attraverso gli stomi, agisce come meccanismo di controllo termico della
pianta e permette la risalita e la distribuzione, attraverso i vasi legnosi, dell'acqua e degli elementi nutritivi in essa
disciolti. Condizioni di ridotta umidità nel suolo provocano una graduale chiusura degli stomi, riducono l'attività
fotosintetica e metabolica. L'olivo comunque tollera meglio la carenza idrica che i ristagni; infatti è in grado di ridurre
il consumo di circa il 35% rispetto al fabbisogno ottimale mantenendo uno stato fisiologico accettabile, mentre nei
suoli poco permeabili la ridotta aerazione riduce in breve tempo la funzionalità delle radici. L'olivo, specie
sempreverde, usa l'acqua nel corso dell'intero anno, anche se, come gli altri alberi da frutto, in alcuni momenti del
ciclo annuale risulta particolarmente sensibile a bassi valori di umidità nel suolo (tab. 8.1).
Effetti della carenza idrica
Tabella 8.1 - Fasi
dell'olivo ed effetti
dello stress idrico.
febbraio-aprile
Formazione del fiore;
germogliamento e rapido
allungamento dei germogli;
mignolatura.
Riduzione numerica delle
infiorescenze e dei fiori perfetti;
incremento dell'aborto dell'ovario;
rallentamento nella crescita dei
germogli.
maggio-giugno
Fioritura; allegagione dei frutti;
crescita dei frutti per aumento
numerico delle cellule; ulteriore
allungamento dei germogli.
Fioritura incompleta; ridotta
allegagione; cascola dei frutticini;
rallentamento della crescita dei
frutti; ridotto sviluppo dei germogli.
luglio-agosto
Indurimento nocciolo; crescita dei
frutti per distensione cellulare;
ultime fasi di allungamento dei
germogli; induzione a fiore.
Ridotta crescita, disseccamento e
caduta dei frutti; arresto anticipato
dello sviluppo vegetativo; ridotta
induzione antogena e aumento
dell'alternanza di produzione.
settembre-raccolta
Crescita dei frutti per distensione
cellulare; formazione dell'olio
nell'oliva; secondo flusso
vegetativo, soprattutto nell'annata
di scarica; accumulo di sostanze
di riserva.
Olive di piccole dimensioni; basso
rapporto polpa/nocciolo; ridotta
resa in olio; assenza del secondo
flusso vegetativo; minore quantità
di fiori nell'anno seguente.
Epoca dell'anno
Fasi di sviluppo
fenologiche
Il periodo della fioritura è sensibile a condizioni di aridità nel suolo, che però si verificano solo con andamenti
meteorologici particolarmente caldi e asciutti. Gli oliveti hanno bisogno della maggior quantità di acqua tipicamente
nei mesi di luglio e agosto, durante i quali un'insufficiente dotazione idrica del terreno riduce lo sviluppo dei
germogli e la produzione di carboidrati e, se prolungata, causa il disseccamento dei frutti. I frutti disidratati
recuperano gran parte del loro volume in seguito a precoci precipitazioni autunnali, ma possono disidratarsi di
nuovo durante la trasformazione industriale in olive da mensa; anche la dimensione finale dei frutti può essere
influenzata da una limitata produzione di carboidrati. La crescita dei germogli è fondamentale per sostituire il legno
vecchio che ha fruttificato e conseguire alte produzioni nell'anno successivo. Lo sviluppo del germoglio nell'olivo,
notevole da aprile a giugno, è ridotto da un basso contenuto idrico nel terreno, e può essere usato come un
semplice indicatore della disponibilità idrica. Un altro, meno ovvio, effetto della carenza idrica è la riduzione
dell'assorbimento dei nutrienti. L'azoto e il potassio, inoltre, possono divenire carenti nei terreni superficiali condotti
in regime asciutto o irrigati con volumi insufficienti.
Un'irrigazione eccessiva è dannosa per l'olivo come e più di una insufficiente. I suoli con drenaggio insufficiente
possono dar luogo a ristagno idrico, che comporta una insufficiente aerazione e favorisce lo sviluppo di patogeni a
carico delle radici. Questo si può verificare più di frequente in inverno e all'inizio della primavera, provocando un
ridotto sviluppo dei germogli, clorosi fogliare e, nei casi più gravi, la perdita dell'albero. I suoli saturati in acqua nella
fase successiva all'allegagione contribuiscono al raggrinzimento del frutto. Gli olivi sofferenti per danni radicali non
tollerano bene i freddi invernali, presumibilmente perché accumulano una minore quantità di carboidrati.
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Effetti dell'irrigazione
Il corretto utilizzo dell'acqua comporta innanzitutto un avvio molto precoce della stagione irrigua, e, in particolare, il
mantenimento di elevate disponibilità idriche nel terreno prima, durante e dopo la fioritura; si favorisce così la
formazione di fiori "perfetti" (v. cap. 6), si riduce l'aborto dell'ovario e si incrementa la percentuale di allegagione. La
tecnica irrigua prevede, poi, di porre particolare attenzione da un lato allo sviluppo dei germogli (indispensabili per
la produzione dell'anno successivo), dall'altro alla crescita delle olive; questa segue il modello di sviluppo già
riportato nel cap.6, dove particolarmente critico risulta il periodo di fine luglio - primi di agosto sia per l'elevata aridità
ambientale che per la concomitante fase di indurimento del nocciolo. Una buona disponibilità idrica durante la
maturazione delle drupe, infine, ne influenza il metabolismo aumentando la produzione dei lipidi e diminuendo
quella degli zuccheri.
In sostanza l'irrigazione fornisce incrementi medi del 30% rispetto alla coltura asciutta, ma non mancano esempi in
cui la produzione è stata anche raddoppiata! I risultati di esperienze condotte in Sardegna su una varietà da mensa
(Ascolana tenera) e una a duplice attitudine (Olia Manna), segnalano incrementi produttivi anche del 100%
accompagnati da un deciso miglioramento delle caratteristiche delle olive; si è inoltre rilevato che il fabbisogno
idrico rimane elevato, soprattutto per le olive da mensa, anche in settembre perché i frutti risultano ancora in attivo
accrescimento, mentre solo dopo l'invaiatura rallentano il loro sviluppo. Le ricerche hanno dimostrato che il
fabbisogno stagionale (di norma dai primi di maggio alla fine di ottobre) di un oliveto adulto da olio si aggira intorno
ai 3500 metri cubi d'acqua per ettaro, mentre è pari a circa 1500 m3/ha per un impianto di 2 - 6 anni. Come si dirà
più avanti, le condizioni ambientali e l'efficienza del metodo irriguo possono modificare in misura sensibile il
fabbisogno.
Stima dei fabbisogni idrici
Il criterio di base per la stima del consumo di acqua di una coltura agraria è quello del "bilancio idrico", che può
essere formulato secondo l'equazione:
P + F + I + ∆ = ET + pr + pp
dove gli apporti - rappresentati da precipitazioni piovose (P), apporti da falda (F), acqua di irrigazione (I), variazioni
della riserva idrica nello strato di terreno esplorato dalle radici (∆) - eguagliano il termine in uscita, costituito
dall'acqua dispersa nell'atmosfera per evapotraspirazione dal sistema terreno-pianta (ET) e dalle perdite per
ruscellamento superficiale (pr) e percolazione profonda (pp ). Risolvendo l'equazione per il termine I e valutando
l'efficienza delle piogge e dell'adacquamento, si ottiene il fabbisogno irriguo con una precisione di stima che
dipende dalla accuratezza con la quale vengono calcolati o stimati i singoli termini dell'equazione. Fra questi il più
importante è costituito dalle perdite per evapotraspirazione la cui esatta valutazione rappresenta il primo passo per
la definizione dei fabbisogni idrici di un oliveto e quindi per gestire correttamente un programma di irrigazione.
Concetto di evapotraspirazione
Il flusso evapotraspirativo è caratterizzato da due processi fondamentali: il passaggio dell'acqua dallo stato liquido a
quello di vapore e la diffusione del vapore acqueo dalla superficie vegetale all'atmosfera circostante. La fonte di
energia che consente il passaggio di stato è la radiazione solare, mentre la diffusione del vapore acqueo verso
l'atmosfera è determinata da temperatura e umidità dell'aria e dal vento. L'esatta conoscenza dei valori di queste
grandezze meteorologiche consente quindi di effettuare stime accurate del flusso evapotraspirativo. In
considerazione delle difficoltà di effettuarne una misura diretta nei diversi ambienti, la determinazione dei valori di
evapotraspirazione dal punto di vista operativo si basa essenzialmente su elaborazioni delle grandezze
meteorologiche coinvolte, con successivi adattamenti che tengono conto delle condizioni della coltura in esame
(fase del ciclo, età delle piante, densità d'impianto, etc.), attraverso una procedura che si articola in due fasi distinte.
Evapotraspirazione di riferimento
Il primo passo è la determinazione dell'evapotraspirazione di riferimento (ETo) definita come la quantità di acqua
dispersa nell'atmosfera, per evaporazione dal suolo e traspirazione della vegetazione, da una coltura standard i cui
processi fisiologici non siano limitati dalla disponibilità idrica e sia esente da altri fattori di stress.
46
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Considerando costanti le caratteristiche dell'ipotetica vegetazione, l'ETo varia perciò esclusivamente in funzione
delle condizioni meteorologiche e il suo valore può essere considerato come un'espressione della domanda
evapotraspirativa dell'atmosfera. La coltura di riferimento, schematicamente, ha le seguenti caratteristiche: una
copertura completa del suolo, un'altezza uniforme di 12 cm, un albedo (rapporto tra l'energia solare riflessa dalla
vegetazione e quella incidente) di 0,23 ed una resistenza al flusso di vapore che attraversa gli stomi di 70 s m-1 (il
parametro esprime la velocità con la quale il vapore acqueo fuoriesce dagli stomi). In pratica essa è assimilabile ad
un prato di ampia estensione di una specie autunno-vernina con caratteristiche geometriche ed ecofisiologiche
simili al loietto (Lolium perenne L.) o alla festuca (Festuca arundinacea Schrab). Sono stati proposti diversi metodi di
calcolo dell'evapotraspirazione di riferimento, dai più semplici ed immediati, basati sulla misura dell'evaporazione
dell'acqua contenuta in un'apposita vasca, ad altri, cosiddetti "climatici", che si basano su relazioni con differenti
parametri meteorologici. Tra questi ultimi si annoverano metodi con diversi livelli di complessità, passando da
semplici relazioni basate sulla sola temperatura a sistemi decisamente più complessi che elaborano i dati orari di
più parametri meteorologici e stimano il flusso dell'evapotraspirazione.
Uno dei metodi di stima sino a pochi anni fa più popolari e diffusi è quello della vasca evaporimetrica che, come
sopra accennato, è basato sulla semplice relazione di proporzionalità fra l'acqua che evapora da una vasca di
opportune dimensioni e il flusso evapotraspirativo della coltura di riferimento. Il più conosciuto è indubbiamente
quello che utilizza la cosiddetta vasca evaporimetrica di classe A. Per quanto questo metodo sia poco costoso e
relativamente semplice da gestire, l'esperienza ha mostrato come la sua affidabilità sia piuttosto scarsa. Infatti la
proporzione tra acqua evaporata ed evapotraspirazione di riferimento non è costante, ma varia in funzione delle
condizioni meteorologiche locali, delle superfici che circondano la vasca, della sua ubicazione e della sua
esposizione. Per tali ragioni e per le difficoltà di manutenzione, il metodo della vasca evaporimetrica attualmente
tende ad essere accantonato in favore degli altri metodi "climatici". Questi sono basati sulla misura delle grandezze
meteorologiche che determinano l'entità del flusso traspirativo e pur essendo più complessi in termini di
disponibilità dei dati di base e di difficoltà di calcolo, oggi possono essere più facilmente applicati anche grazie a
nuove tecnologie di misura ed elaborazione dei dati. Essi richiedono una disponibilità aggiornata di dati
meteorologici e la necessità di strumenti di calcolo adeguati, fattori che fino ad alcuni anni fa ne hanno ostacolato
l'impiego per finalità di assistenza all'irrigazione. In tempi recenti, in Sardegna, è stato istituito il Servizio
Agrometeorologico Regionale con lo scopo, tra gli altri, di fornire informazioni ed elaborazioni finalizzate
all'assistenza all'irrigazione, quali i valori dell'evapotraspirazione per le diverse colture. Grazie alla installazione di
una rete di stazioni meteorologiche distribuite nei principali comprensori agricoli del territorio isolano, il centro
operativo acquisisce quotidianamente i parametri meteorologici più significativi ed applica i metodi di calcolo più
validi.
Alla luce delle sperimentazioni eseguite negli ultimi decenni si può affermare che i "metodi combinati", basati sulla
modellizzazione fisica del processo evapotraspirativo (considerano sia l'energia richiesta per il passaggio di stato
dell'acqua, sia tutti i meccanismi che consentono la rimozione del vapore acqueo dalla vegetazione) pur
presentando maggiori difficoltà applicative, forniscono in generale stime più accurate e possono essere impiegati su
scala giornaliera. Nella tabella 8.2 vengono elencati parametri meteorologici necessari all'applicazione dei singoli
metodi, e gli intervalli di tempo minimi raccomandati.
Metodo
T
RH
u
Penman (1963)
*
*
*
FAO Penman
corretto
*
*
*
Rg
*
Rn
G
*
*
Intervallo di
tempo
N
Giornaliero
*
Giornaliero
Giornaliero o
orario
FAO Penman (c=1)
*
*
*
*
Penman-Monteith
*
*
*
*
*
Giornaliero o
orario
Priestley-Taylor
*
*
*
*
10 giorni
FAO Radiazione
*
*
Hargreaves
*
FAO Blaney-Criddle
*
*
*
*
*
10 giorni
*
10 giorni
*
5 giorni
47
Tabella 8.2 - Parametri meteorologici
necessari per l'applicazione dei metodi
di stima dell'Eto. (T temperatura
dell'aria, RH umidità relativa dell'aria, u
velocità del vento, Rg radiazione solare
globale, Rn radiazione netta, G densità
di flusso di calore nel suolo, N durata
del giorno), ed intervalli di tempo minimi
raccomandati per l'applicazione.
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Tra i diversi metodi elaborati nel corso degli ultimi anni, il metodo Penman-Monteith rappresenta attualmente la
formula più valida per la stima dell'ETo e la stessa FAO lo considera come modello di riferimento per il calcolo
dell'evapotraspirazione poiché è in grado di stimare con una buona precisione l'ETo in diverse condizioni
ambientali.
Evapotraspirazione della coltura
Il criterio più diffuso per la determinazione dell'evapotraspirazione di una data coltura (ETc), come precedentemente
accennato è rappresentato dal cosiddetto approccio a "due fasi". Nella prima fase si determina l'evapotraspirazione
di riferimento, nella seconda viene individuato un coefficiente colturale (Kc) che incorpora e sintetizza, per una
coltura i cui processi produttivi e di crescita non siano limitati dalla disponibilità idrica, tutti gli effetti
sull'evapotraspirazione derivanti dalle caratteristiche morfo-fisiologiche della specie tenendo conto della fase
fenologica e del grado di copertura del suolo. Il risultato del calcolo è rappresentato perciò dal semplice prodotto dei
due termini, in un dato intervallo di tempo, vale a dire ETc = ETo x Kc. I valori del Kc variano al variare delle
condizioni climatiche dell'agroecosistema (quindi a livello territoriale), fatto questo che impone una certa cautela al
momento di selezionare i valori più appropriati per l'ambiente in esame.
Nel caso dell'olivo i valori dei Kc (tabella 8.3) risentono delle caratteristiche xerofile della specie che determinano
una ridotta traspirazione fogliare. I valori riportati in tabella si riferiscono ad un oliveto adulto, con alberi la cui
chioma "copre" circa il 60% del terreno; nel caso si dovesse applicare il Kc ad oliveti giovani occorre ridurre
proporzionalmente i valori proposti, al fine di adattarli al minore grado di copertura, così come riportato nella figura
8.1.
Figura 8.1 Nomogramma per la
riduzione dei
coefficienti colturale
in funzione della
copertura vegetale.
Nella tabella 8.4 sono riportati i valori dell'evapotraspirazione dell'olivo per ventidue importanti comprensori agricoli
dell'Isola, ottenuti mediante l'applicazione del metodo di stima esposto precedentemente, con riferimento ai dati
meteorologici rilevati dalle stazioni del Servizio Agrometeorologico Regionale nel periodo 1995-2000. I consumi
idrici annuali dell'olivo risultano, come media "regionale", pari a circa 5.500 m3/ha, mentre quelli riferibili alle
stagioni irrigue "aprile - ottobre" ovvero "maggio - ottobre" risultano prossimi nell'ordine a 4.400 e 4.000 m3/ha; i
consumi annui più elevati si registrano in provincia di Nuoro (sono state utilizzate numerose stazioni litoranee, tra le
quali spicca S. Teodoro con 614 mm/anno), mentre quelli stagionali sono maggiori in provincia di Cagliari. I
consumi di punta si registrano nel mese di luglio con i valori più elevati nelle aree meridionali: fabbisogno
giornaliero di Samassi pari a 3,3 mm/giorno, cioè 80 - 100 litri al giorno per albero durante il mese di luglio degli
ultimi sei anni (dando per scontata l'assenza di piogge "efficaci", come d'altronde avviene di frequente nel mese di
luglio). I consumi di punta costituiscono un importante parametro progettuale per il dimensionamento dell'impianto
irriguo la cui portata deve poter soddisfare nei momenti critici le esigenze della coltura; d'altra parte l'utilizzo di
questi valori, benché consenta di realizzare un impianto perfettamente rispondente alle esigenze dell'oliveto,
innalza in misura notevole il costo dell'impianto. Pertanto si suggerisce di utilizzare come dato progettuale un valore
pari al 75% del consumo di punta.
Per quanto attiene i consumi stagionali, che possono sembrare elevati, è bene ribadire che questo è il volume
d'acqua che esclude la possibilità di incorrere in stati di stress idrico anche molto lievi, e che ad esso devono ancora
essere sottratte le piogge "efficaci" per ottenere il fabbisogno irriguo.
48
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Piogge efficaci ed evapotraspirazione reale
Una volta stimati i consumi, la determinazione degli effettivi fabbisogni irrigui di una coltura richiede la
quantificazione degli apporti naturali che (se si prescinde da eventuali falde subsuperficiali, in verità poco diffuse
negli ambienti di coltivazione dell'olivo) sono rappresentati in prevalenza dalle piogge. Infatti l'olivo, e in particolare
modo alcune cultivar, sono capaci di assorbire vapore acqueo attraverso le foglie, soprattutto in presenza di elevati
valori di umidità relativa dell'aria e di intensi stati di stress idrico; la difficoltà di determinare questi contributi e la
riduzione dell'ETo in presenza di alta umidità relativa dell'aria suggerisce di non tenerne conto durante l'esecuzione
del calcolo. Per quanto riguarda le precipitazioni, si sottolinea che gli apporti di pioggia non vengono integralmente
trattenuti nello strato esplorato dalle radici e pertanto non contribuiscono nella loro interezza ad integrare le
disponibilità idriche; bisogna perciò misurare o stimare la frazione delle piogge realmente "efficaci". Diverso infatti è
il comportamento dell'acqua piovana in relazione al grado di copertura del terreno da parte della coltura, alla
permeabilità del terreno ed al suo contenuto idrico. Infatti quando eventi piovosi di una certa consistenza si
succedono in tempi ravvicinati (o quando la pioggia segue un'irrigazione abbondante) l'acqua in eccesso viene
perduta per percolazione profonda o ruscella sulla superficie, e non può pertanto rientrare nell'ammontare di acqua
accumulata nel terreno. In linea di massima le piogge efficaci vengono stimate valutando la riserva utile del suolo
prima e dopo l'evento piovoso o quantificando l'entità dei processi di ruscellamento e percolazione. Un'ipotesi di
stima dell'acqua infiltrata è presentata nel paragrafo concetto di evapotraspirazione.
La differenza tra i consumi e le "piogge efficaci" consente di stimare l'effettivo fabbisogno irriguo della coltura, cioè
quel volume d'acqua che massimizza l'evapotraspirazione e la produzione di sostanza secca. Poiché la risposta
produttiva dell'olivo ad apporti crescenti d'acqua diviene, superati certi livelli, meno che proporzionale ad ogni
ulteriore incremento nei volumi irrigui, di norma non è conveniente spingersi con l'irrigazione sino a soddisfare in
pieno i consumi riportati in tabella 4; si deve, piuttosto, rendere più elevata possibile l'efficienza dell'uso dell'acqua
("Water Use Efficiency", WUE) che è la quantità di prodotto commerciale (in genere indicata nei manuali con Y)
ottenuta per ogni unità di acqua apportata. Se, ad esempio, un oliveto di un ettaro produce 8 tonnellate di olive in
seguito all'apporto di 3.500 m3/ha di acqua, ne consegue un WUE di 2,29, cioè 2,29 kg di olive per ogni m3 di
acqua ovvero 436 litri per kg di olive. Qualora l'olivicoltore decidesse di "forzare" l'irrigazione spingendo i volumi
irrigui sino a 4.000 m3/ha per ottenere ulteriori 500 kg/ha di incremento produttivo, il valore di WUE scenderebbe a
2,13. Quindi l'efficienza dell'uso dell'acqua è diminuita. Non è facile determinare quanto convenga "forzare" l'oliveto
con apporti elevati di acqua (e conseguentemente di fertilizzanti, fitofarmaci, interventi cesori, ecc.) perché il punto di
massima convenienza dipende da molti fattori; nell'esempio precedente, se l'agricoltore pagasse l'acqua irrigua un
tanto ad ettaro coltivato (e non invece in base ai reali consumi, situazione frequente nei comprensori irrigui della
Sardegna ancora privi di "contattori" aziendali dell'acqua), a prescindere da ogni altra considerazione troverà
conveniente spingersi sino ai 4.000 m3/ha per ottenere 8,5 t/ha di olive. Pertanto la decisione non può che essere
affidata all'imprenditore che terrà conto del costo dell'acqua e del valore della produzione, di eventuali costi
energetici per mettere in pressione l'acqua, dei costi di raccolta, dell'influenza del volume irriguo sulle caratteristiche
merceologiche delle olive (aspetto importante per quelle da mensa), ecc. Esperienze condotte in Sardegna hanno
dimostrato che il valore più elevato di WUE si ottiene apportando volumi irrigui prossimi al 70% dei consumi teorici
massimi, cioè al 70% dell'ETc.
Poiché molto di frequente risulta conveniente non "forzare" la coltura e, quindi, non restituire integralmente l'ETc, si
deve introdurre il concetto di consumo reale di acqua da parte della coltura; questa quantità è indicata come
"evapotraspirazione effettiva o reale o attuale"; tende ad affermarsi nei manuali tecnici, anche italiani, l'uso del
termine ETa sempre derivante dalla dizione anglo americana "actual".
Pianificazione irrigua
Il passo successivo consiste nel definire il turno (cioè l'intervallo di tempo intercorrente tra un'adacquata e l'altra) e il
volume d'acqua da apportare con ogni singolo intervento. Purtroppo non risultano a tutt'oggi disponibili dei metodi
che uniscano, a una sufficiente attendibilità, semplicità d'impiego e basso costo; infatti il turno e il volume irriguo
sono il più delle volte decisi dall'olivicoltore in base alla propria esperienza personale. Ma a causa degli aumenti
del costo dell'acqua, della sua diminuita disponibilità e degli alti prezzi dell'energia, il sistema di gestione dell'oliveto
necessita allo stato attuale di una programmazione dell'irrigazione basata su precise valutazioni tecnico
agronomiche.
49
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Ci sono differenti approcci per migliorare la pianificazione irrigua. Il più semplice consiste nel monitorare
manualmente i livelli di umidità del terreno semplicemente affidandosi a sensazioni tattili come da sempre fanno gli
agricoltori esperti; la stima può essere facilitata dal ricorso a trivelle e attrezzi similari. Questa strategia, se applicata
in modo regolare, può risultare efficace nel decidere il momento dell'intervento irriguo. Una tecnica simile consiste
nel determinare per "doppia pesata" il contenuto in acqua del terreno, prima e dopo l'essicazione a 105°C in stufa;
poiché richiede la disponibilità di una bilancia analitica e di una stufa ventilata da laboratorio risulta idoneo più per
l'assistente tecnico che per l'olivicoltore. L'impiego di tensiometri, capaci di misurare il vuoto formatosi all'interno di
una cannula in materiale plastico a seguito della cessione di acqua al terreno, è possibile solo con valori di umidità
del terreno molto elevati e, pertanto, pressoché inutilizzabile. Tutte queste metodiche possono anche essere
utilizzate per stimare la quota di pioggia assorbita dalla zona radicale (piogge efficaci).
Volumi e, soprattutto, turni possono essere determinati anche attraverso la valutazione dello stato idrico della
coltura; questi metodi sono, però, utilizzati soprattutto a livello di ricerca e sperimentazione: camera a pressione e
pistola all'infrarosso, ad esempio, che misurano nell'ordine la tensione dell'acqua nei tessuti fogliari e la
temperatura della chioma.
Un'altra possibilità consiste nello stimare l'uso dell'acqua da parte della coltura, come discusso in precedenza, e
quindi irrigare sino ad eguagliare le richieste secondo il metodo del bilancio idrico; questa procedura, che si va
affermando nelle aree ad agricoltura evoluta degli ambienti aridi e sub umidi, è appunto capace di rispondere alle
due più importanti domande per un'irrigazione efficiente: quando irrigare e quanta acqua distribuire. I risultati del
bilancio, in genere di portata territoriale, dovranno poi essere periodicamente controllati a livello di singola azienda
valutando saltuariamente il contenuto in acqua del terreno con le tecniche descritte.
Determinazione del contenuto di acqua disponibile
Come detto, la compilazione del bilancio richiede la conoscenza delle variazioni della riserva idrica nello strato di
terreno esplorato dalle radici, parametro di grande utilità anche a livello aziendale per gestire al meglio la risorsa
acqua. La capacità del terreno di immagazzinare acqua dipende soprattutto dalla sua tessitura: suoli a tessitura fine
trattengono più acqua di quelli a tessitura grossolana. La capacità di un terreno di incamerare acqua utile per la
pianta è definita da tre termini detti "costanti idriche". Il primo, la Capacità Idrica Massima, coincide con la quantità di
acqua contenuta in un terreno sommerso e, in prima approssimazione, con gli spazi vuoti presenti nel terreno (la
porosità); la CIM è pari a un contenuto di acqua del 35 - 40% , e del 60 - 80% in peso nei terreni sabbiosi e argillosi
nell'ordine. La seconda costante è rappresentata dalla Capacità Idrica di Campo (CIC o FC, field capacity), cioè
dall'acqua che rimane nel suolo 2 o 3 giorni dopo che è stato saturato e rappresenta la quantità di acqua che un
terreno può trattenere senza apprezzabili perdite dovute alla percolazione; si definisce "acqua gravitazionale"
quella che la forza di gravità riesce ad allontanare e "acqua capillare" quella trattenuta. La CIC è pari a un contenuto
di acqua del 10 - 15% , e del 25 - 30% in peso nei terreni sabbiosi e argillosi nell'ordine. Il terzo termine è il "punto
(o coefficiente) di appassimento permanente" (PAP o PWP, permanent wilting point), contenuto di umidità presente
nel terreno quando la pianta non riesce più ad assorbire acqua perché la stessa è trattenuta con tanta forza che una
normale coltura (ma non una specie xerofita come l'olivo) non può estrarla; il PWP è pari a un contenuto di acqua
dell'1 - 3% , e del 10 - 15% in peso nei terreni sabbiosi e argillosi nell'ordine.
L'intervallo di umidità compreso tra la Capacità Idrica di Campo e il Coefficiente di Appassimento rappresenta
l'acqua che la coltura può sottrarre con relativa facilità al terreno; esso è definito come "contenuto di acqua
disponibile" (CAD o AWC, Available Water Content) e può essere espresso come mm di acqua contenuti in un
metro di profondità di suolo. Questo valore può essere ottenuto moltiplicando per 10 la percentuale in volume
dell'acqua disponibile; poiché l'AWC può essere ritenuta pari, nell'ordine per terreni sabbiosi, franchi e argillosi, a 8,
17 e 23% in volume, è facile dedurre che il primo metro di suolo (con un contenuto di umidità pari alla capacità di
campo) può mettere a disposizione della coltura 80, 170 e 230 mm di acqua, e che quindi l'ettaro ha una riserva
d'acqua pari a 800, 1.700 e 2.300 m3 nell'ordine. La tabella 8.5 fornisce una stima dell'AWC per terreni con diversa
tessitura.
50
Tabella 8.3 - Coefficienti colturali dell'olivo. (Fonte: FAQ, 2000 - Irrigation and Drainage Paper 56)
Mese
Kc
Gennaio
0,50
Febbraio
0,50
Marzo
0,65
Aprile
0,60
Maggio
0,55
Giugno
0,50
Luglio
0,45
Agosto
0,45
Settebre
0,55
Ottobre
0,60
Novembre
0,65
Dicembre
0,50
Tabella 8.4 - Valori medi mensili dei consumi idrici (ETc) stimati impiegando i dati meteorologici del periodo
1995-2000 (ETo da Penman-Monteith)
STAZIONE
Stagione
irrigua
gen
feb
mar
apr
mag
giu
lug
ago
set
ott
nov
dic
anno
Olmedo
16,4
21,1
34,7
43,6
63,2
76,0
86,5
76,7
54,1
27,5
21,0
15,7
537
384
Sorso
20,9
24,0
38,1
47,5
63,7
73,4
84,0
73,2
54,9
37,3
26,2
19,8
563
387
Putifigari
19,4
20,4
35,4
43,7
64,6
78,1
92,3
79,9
55,8
35,4
21,9
13,9
561
406
Bonnanaro
16,3
19,9
34,9
43,5
61,8
73,8
87,6
76,6
53,2
32,1
18,9
14,4
533
385
Berchidda
12,6
18,5
31,3
40,4
59,5
71,7
81,9
69,9
48,9
29,8
14,7
10,9
490
362
Media Prov. SS
17,1
20,8
34,9
43,7
62,6
74,6
86,5
75,3
53,4
32,4
20,5
14,9
537
385
Jerzu
15,7
23,2
34,5
45,7
58,8
74,6
84,1
70,9
49,0
32,7
19,2
16,4
525
370
Modolo
20,0
21,0
35,0
44,3
63,7
72,8
83,4
76,3
54,5
34,4
22,9
18,2
547
385
Nuoro
12,8
17,8
31,3
40,0
55,8
68,7
82,4
68,8
46,8
28,0
14,7
10,1
477
351
Nurallao
16,7
22,0
37,8
45,1
63,9
80,4
97,0
88,4
59,6
38,2
20,0
15,5
585
428
Oliena
15,9
23,0
35,4
44,8
63,3
76,5
90,3
74,8
53,6
33,4
20,2
15,8
547
392
Bitti
14,6
18,8
36,2
39,9
61,5
84,8
96,4
88,4
56,8
40,1
16,8
11,9
566
428
Orosei
19,1
22,7
38,7
45,1
58,8
69,8
82,0
70,2
54,3
36,0
25,2
19,9
542
371
San Teodoro
22,2
30,6
40,8
51,1
64,1
80,7
93,4
78,6
59,4
41,4
27,7
24,1
614
418
Media Prov. NU
17,1
22,4
36,2
44,5
61,2
76,0
88,6
77,1
54,3
35,5
20,8
16,5
550
393
Provincia di Sassari
Provincia di Nuoro
Provincia di Oristano
Allai
10,7
16,8
28,7
38,5
56,5
66,5
73,4
64,2
44,0
27,4
14,4
10,2
451
332
Milis
20,7
23,1
37,4
47,1
70,1
81,9
97,2
88,8
61,1
39,0
22,0
17,8
606
438
Scano di
Montiferro
19,1
17,9
32,6
39,9
58,2
70,9
86,7
80,4
51,0
33,7
19,6
15,3
525
381
Media Prov. OR
16,8
19,3
32,9
41,8
61,6
73,1
85,8
77,8
52,0
33,4
18,7
14,4
528
384
Samassi
20,0
24,0
39,4
47,3
69,6
83,2
102,0
90,8
61,3
41,2
23,1
16,3
618
448
Sardara
19,2
22,9
36,8
45,7
68,7
84,7
100,3
91,5
61,8
42,8
23,0
15,9
613
450
Villacidro
14,9
20,3
35,3
44,4
64,0
74,8
89,2
75,9
50,6
33,3
19,4
13,1
535
388
Siurgus Donigala
14,9
20,8
32,8
42,1
60,8
75,6
97,5
85,5
55,1
34,4
17,4
12,5
549
409
Dolianova
15,7
21,3
36,3
45,8
64,8
75,6
86,0
73,9
48,3
30,2
16,4
13,0
527
379
Guasila
16,8
20,6
33,8
44,0
66,3
76,7
90,9
81,2
55,1
35,0
20,0
14,3
555
405
Media Prov. CA
15,8
20,9
34,3
44,0
64,0
76,0
91,5
80,2
52,8
33,2
17,9
13,3
544
398
Media Sardegna
17,0
21,4
35,3
44,1
62,8
76,0
89,3
78,4
54,1
34,7
20,2
15,2
548
395
Provincia di Cagliari
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Tessitura del
terreno
Campi di variazione
(mm/m)
Acqua disponibile
(mm/m)
Grossolana sabbiosa
42-104
75
Franco sabbiosa
104-146
125
Franco limoso
argillosa
125-192
158
Argillosa
133-208
175
Tabella 8.5 - Valori del contenuto in
acqua disponibile per terreni di
differente tessitura.
La minore capacità di immagazzinamento dei suoli sabbiosi rispetto a quelli limosi e limo argillosi è dovuta sia alla
loro ridotta porosità totale sia alla maggiore dimensione dei singoli pori; ciò si traduce in una minore capacità di
trattenere l'acqua che quindi può essere prelevata con facilità dalle radici della pianta ma con altrettanta facilità
allontanata dalla forza di gravità. I suoli argillosi possiedono una alta porosità totale e trattengono molta acqua,
tuttavia, un'alta percentuale dei loro pori sono piccoli e quindi capaci di trattenerla con forza.
Usando i valori medi riportati in tabella o citati nel testo, l'agricoltore può ottenere una stima grossolana dell'acqua
totale disponibile per i suoi oliveti moltiplicando l'AWC del suo terreno per la profondità della zona radicale. Pare
opportuna un'esemplificazione per chiarire la procedura di calcolo; come riportato in tabella 5, un terreno di
tessitura franco sabbiosa con un'umidità pari alla capacità di campo trattiene, nel primo metro di suolo, una quantità
di "acqua facilmente disponibile" pari a 125 mm (1.250 m3/ha), e se si ritiene che le radici esplorino il terreno per
una profondità pari a 1,2 m, si dovrebbero apportare 150 mm di acqua (125 mm/m x 1,2 m) per ricostituire la riserva
idrica del suolo se l'iniziale contenuto d'acqua fosse stato pari al punto di appassimento permanente. L'olivicoltura
intensiva irrigua consente di sottrarre la coltura alle limitazioni produttive di stress così severi in quanto la forza di
suzione richiesta alle radici aumenta all'allontanarsi del contenuto idrico del terreno dalla capacità di campo.
Questo è dovuto al fatto che prima che l'acqua sia estratta - dapprima dai pori più grandi, quindi da quelli più piccoli
- i pori assumono due funzioni: immagazzinamento e conduzione dell'acqua che si muove tra il suolo e le radici
della pianta. I pori piccoli trattengono meno acqua, e la trattengono con maggiore forza; pertanto la conduzione
verso le radici è più lenta. Insieme, questi fattori limitano l'assorbimento dell'acqua man mano che il suolo si
asciuga. Questo meccanismo rallenta lo sviluppo della coltura prima che l'intera zona radicale raggiunga il punto di
appassimento.
Si tratta, quindi, di riesaminare, alla luce di quanto detto nel paragrafo precedente a proposito dell'efficienza dell'uso
dell'acqua, quale grado di esaurimento della riserva idrica sia ammissibile o conveniente. Esso dipende da diversi
fattori che includono la profondità delle radici, la tessitura del suolo, il tempo meteorologico e la stagione, nonché il
costo dell'acqua e il valore del prodotto. Per la definizione del turno, e quindi del momento di intervento, di norma si
suggerisce di irrigare quando l'umidità del terreno è scesa al 50% dell'acqua disponibile; questa frazione, indicata
come "acqua facilmente disponibile", risulta quindi pari alla metà di AWC. Pertanto, nel precedente esempio si
dovrebbe intervenire quando l'ETc cumulata indica che sono stati usati 75 mm (150 x 0.5) a partire dall'ultimo
intervento. Nei periodi più sensibili allo stress, come durante la fioritura e l'accrescimento del frutto, gli olivicoltori
dovrebbero mantenere l'acqua disponibile su valori del 60 - 70%. I concetti di acqua disponibile sono importanti
soprattutto per i sistemi di irrigazione di superficie (solchi, conche) e ad aspersione (pioggia) poiché l'irrigazione
localizzata (goccia, microspruzzatori) è progettata per reintegrare l'ETc con intervalli che vanno dal giornaliero al
settimanale, senza che il terreno sia usato come un serbatoio di accumulo e conservazione dell'acqua irrigua.
Efficienza di applicazione e metodi irrigui
Quanto precedentemente detto ci consente di stimare il tempo che deve trascorrere tra un'irrigazione e la
successiva e la quantità di acqua richiesta per ripristinare la riserva idrica del terreno. L'ultimo fattore di cui
l'olivicoltore e il tecnico devono preoccuparsi per concludere il calcolo del fabbisogno irriguo, consiste nel valutare
la cosi detta "efficienza di applicazione", termine che comprende sia l'efficienza idrica del metodo irriguo utilizzato,
sia le diverse perdite imputabili alle condizioni di ventosità e alle tecniche di gestione dell'acqua. EA è definita come
la percentuale di acqua applicata con l'irrigazione che è conservata nella zona radicale, e pertanto disponibile per
l'uso da parte della coltura; essa è strettamente correlata con l'uniformità di distribuzione dell'acqua nell'oliveto.
51
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
L'irrigazione può essere realizzata con modalità molto diverse, e l'individuazione del metodo ottimale non è
possibile se non in riferimento alle singole aziende olivicole. In generale si può affermare che i metodi irrigui sono
molto cambiati dagli Anni Cinquanta a oggi, soprattutto sotto la spinta dei crescenti costi della manodopera,
dell'acqua e della sempre minore disponibilità idrica. La tradizionale irrigazione "a solchi" e "a conche" si
caratterizza per la necessità di una perfetta sistemazione del terreno, esigenza che ne limita l'impiego ai soli oliveti
pianeggianti e ne eleva i costi di gestione; inoltre l'efficienza del metodo è modesta perché molta acqua si perde per
evaporazione e per infiltrazione profonda nel terreno, tanto che si calcola che su 100 litri distribuiti solo 70÷80 e
65÷75 arrivino agli apparati radicali rispettivamente per le conche e i solchi. L'impiego di acque relativamente
salmastre non è consigliabile perché i sali si depositano alla superficie del terreno dopo che l'acqua evapora, e si
infiltrano con la successiva adacquata; anche il controllo delle erbe infestanti è reso difficile per la presenza di
solchi, arginelli e conche. Potrebbe risultare ancora conveniente nel caso di aziende di piccole dimensioni a
conduzione diretta, ben dotate in acqua a basso costo e con suoli dotati di buona capacità di ritenzione idrica.
L'irrigazione a pioggia (aspersione sopra e sottochioma) svincola l'azienda dalla perfetta sistemazione del terreno e
ne consente l'introduzione anche in collina; è, inoltre, possibile limitare l'impiego di manodopera e migliorare
l'efficienza di uso dell'acqua (75-85%); il soprachioma comporta maggiori perdite d'acqua sia perché vengono
bagnate le chiome che per la maggiore sensibilità all'azione dei venti. Consente, tuttavia, di distribuire insieme
all'acqua fertilizzanti fogliari e fitofarmaci, e di abbassare rapidamente la temperatura delle foglie (irrigazione
climatizzante). Richiede, inoltre, l'impiego di pressioni maggiori rispetto al sottochioma e quindi più elevati costi
energetici, e non favorisce l'utilizzo di acque relativamente salmastre perché i sali si depositerebbero sulle foglie
dopo l'evaporazione dell'acqua; d'altra parte la maggiore gittata degli erogatori consente di ridurne il numero con
parziali economie e minori ostacoli al movimento delle macchine all'interno dell'oliveto. Sia il sopra che il
sottochioma risultano parzialmente automatizzabili con valvole e/o timer consentendo un'ulteriore riduzione di
manodopera. In sintesi pochissimo utilizzato risulta il soprachioma, mentre il sottochioma trova buone possibilità
d'impiego nelle aziende di dimensioni medio-grandi, ben dotate di acqua e dove la stessa sia posta sotto pressione
(almeno 3 atmosfere) a monte dell'azienda (come nel caso di Consorzi di Bonifica, laghetti collinari con
conseguente pressione per caduta naturale, ecc.).
L'irrigazione localizzata, o a basso volume o microirrigazione, rappresenta comunque il metodo irriguo oggi
preferito (fig. 8.2); consente, infatti, di:
operare anche su terreni non sistemati;
ridurre in misura cospicua i costi di gestione;
incrementare l'efficienza di applicazione sino all'85-95%;
mantenere su valori ottimali lo stato idrico della coltura;
limitare lo sviluppo delle erbe infestanti;
distribuire i concimi insieme all'acqua (fertirrigazione);
utilizzare acque relativamente salmastre.
Figura 8.2 Principali tipi di
erogatori per
apparati localizzati.
Classico esempio di microirrigazione è la goccia, caratterizzata da erogatori con portate comprese tra 2 e 8 litri per
ora distribuiti in numero di 2-4 intorno alla pianta.
52
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
L'impiego di un maggior numero di gocciolatoi è da preferirsi per le piante adulte, soprattutto se in precedenza non
irrigate ovvero irrigate a solchi o a pioggia; il posizionamento di 4 (più raramente 8) gocciolatoi per pianta si può
ottenere o disponendo due ali gocciolanti per albero (ciascuna con 2-4 gocciolatoi in prossimità del tronco) ovvero
interrompendo l'ala a monte di ogni pianta e giuntandola con un raccordo a T al fine di ottenere un anello di
erogatori intorno al tronco. Se, poi, la linea adacquatrice corre interrata al centro del filare e da essa si dipartono (in
corrispondenza di ciascuna coppia di piante) due spezzoni che fuoriescono dal suolo in prossimità del tronco,
l'anello portante i gocciolatoi risulta sollevato da terra e prende il nome di "minigonna". L'interramento dell'ala
adacquatrice al centro del filare, con derivazioni che raggiungono le singole piante, può anche prevedere l'impiego
di microspruzzatori; in tal caso l'ala avrà un diametro non inferiore ai 25 millimetri e sullo spezzone finale che serve
la singola pianta sarà montato un tratto di tubo lungo 50-100 cm recante 2-4 microjet (irrigazione "a baffo", fig. 8.3)
Figura 8.3a -
Figura 8.3b -
Il ricorso al
Immagine
"baffo"
consente di
ravvicinata del
"baffo".
espandere il
fronte di
umidità nel
terreno.
Il sempre più frequente ricorso all'interramento delle ali adacquatrici ovvero alla loro sospensione alle prime
branche delle piante o al di sopra delle chiome col ricorso a una struttura di pali e fili metallici (fig. 8.4), sono motivati
dalla libera circolazione dei mezzi meccanici che non risultano limitati nei loro movimenti dalla presenza
dell'impianto di irrigazione.
Figura 8.4 - La
sospensione delle
ali adacquatrici
agevola la
circolazione dei
mezzi meccanici.
Di norma si consiglia di realizzare ali gocciolanti di lunghezza non superiore a 100 metri, perché le perdite di carico
(riduzione della pressione dell'acqua e, quindi, della portata dei gocciolatoi) comporterebbero forti differenze nella
quantità di acqua che fuoriesce dal primo ovvero dall'ultimo gocciolatoio; per lo stesso motivo è opportuno
posizionare in testa alle ali adacquatrici dei regolatori di portata e, nelle situazioni più difficili (aree collinari dove la
pendenza aumenta la portata del gocciolatoio posto a valle) utilizzare erogatori autocompensanti, cioè capaci di
mantenere costante la loro portata anche al variare della pressione.
Qualità dell'acqua
Ora non rimane che da sottolineare l'importanza della qualità dell'acqua utilizzata per irrigare; ci si riferisce in modo
particolare al fenomeno della salinità, cioè alla sempre più diffusa presenza di falde e pozzi con acque ricche di sali.
Infatti i sempre più frequenti periodi di aridità e i crescenti consumi di acqua hanno favorito sia un eccessivo
sfruttamento delle falde sotterranee dolci che poggiano su falde salate che un costante incremento delle ricerche
idriche mediante perforazione nelle aree litoranee. La salinità dell'acqua è molto pericolosa per tutte le colture,
anche se alcune resistono più di altre: cotone, barbabietola e lattuga tra le erbacee; olivo, vite su americano 1103 P
e agrumi su mandarino "Cleopatra" tra le arboree. L'olivo, quindi, conferma anche sotto questo particolare aspetto la
sua rusticità e capacità d'adattamento.
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di Cagliari, Oristano e Nuoro
La salinità dell'acqua è misurata, nei laboratori d'analisi, facendo passare un flusso di corrente elettrica nel liquido:
maggiore sarà il suo contenuto salino, più facilmente la corrente attraverserà l'acqua; questo parametro prende il
nome di "conducibilità elettrica dell'acqua" (ECw) ed è espresso sia come millisiemens per centimetro (mS/cm) sia
come mmho/cm a 25°C. È, poi, sufficiente moltiplicare la conducibilità, espressa in mS/cm, per 0,7 per ottenere il
contenuto per mille di sali disciolti nell'acqua (il "residuo fisso"). L'acqua a uso irriguo può essere, così, divisa in
quattro categorie:
C1: salinità bassa, inferiore a 0,16 ‰ -> 0,16 g/l (EC=0,10÷0,25 mS/cm);
C2: salinità media, inferiore a 0,48‰ -> 0,48 g/l (EC=0,25÷0,75 mS/cm);
C3: salinità alta, fino a 1,44‰ -> 1,44 g/l (EC=0,75÷2,25 mS/cm);
C4: salinità molto alta, fino a 3,20‰ -> 3,20 g/l (EC=2,25÷5,00 mS/cm)
Una più completa trattazione dell'argomento richiede, però, che sia anche chiarita la natura e l'origine della salinità
che può essere dovuta alla presenza di diversi sali: di sodio, molto pericolosi, di magnesio, di calcio. Più in
particolare si deve stimare il rapporto esistente nell'acqua fra l'elemento più dannoso, il sodio, e gli altri due
elementi, cioè il cosiddetto SAR (Sodium Adsorption Ratio):
Pertanto l'acqua di irrigazione deve essere valutata sia sotto il profilo della salinità che della sodicità; tra le tante
classificazioni proposte, quella dell'USSL (U.S. Salinity Laboratory, 1954) ha avuto notevole diffusione; essa
propone di suddividere l'acqua irrigua in quattro classi di salinità e quattro di sodicità riportate in tabella 8.6.
CLASSI
RISCHIO DI SALINITA'
RISCHIO DI SODICITA'
prima
(C1, S1)
Si possono usare senza
particolari cautele tranne
che nei suoli argillosi dove,
col tempo, si può avere
accumulo e la necessità di
"leaching."
Si possono usare senza
particolari cautele tranne che
per le colture molto sensibili al
Na. L'olivo non ha, quindi, alcun
problema.
seconda
(C2,S2)
Si possono usare senza
problemi per le specie
tolleranti come l'olivo.
Si possono usare in suoli
organici o grossolani, mentre il
rischio aumenta in quelli
argillosi o poveri di Fe. L'olivo
non ha di norma problemi.
terza
(C3, S3)
Non possono essere usate
nei suoli con scarso
drenaggio. L'olivo può
ancora tollerarle,
soprattutto se si migliora il
drenaggio e si attua il
"leaching".
Incrementano a livelli pericolosi
il Na scambiabile, e i suoli
necessitano di correttivi quali
drenaggio, leaching, apporti di
sostanza organica e gessature.
quarta
(C4, S4)
Non adatte per l'irrigazione,
se non per specie tolleranti
come l'olivo ubicato su
suoli drenanti e col ricorso
al "leaching".
Non adatte per l'irrigazione, se
non per specie tolleranti come
l'olivo ubicato su suoli a bassa
salinità e in presenza di correttivi
quali apporti di sostanza
organica e gessature.
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Tabella 8.6 - Classificazione dell'acqua
irrigua per salinità e sodicità (rielaborato
da Landi, 1999).
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Un'acqua irrigua con discrete caratteristiche dovrebbe avere un SAR inferiore a 21-25 se è dolce, e inferiore a circa
12 se è salmastra. Ora è certo che l'olivo può essere irrigato con acque che combinino insieme le prime due classi
di ciascuna graduatoria (C1-S1; C1-S2; C2-S1; C2-S2), mentre i primi problemi si avvertono con le classi C3 anche
se non mancano esempi felici di utilizzo di acque C4-S2 e C4-S3; l'irrigazione a goccia risulta di grande aiuto, così
come una buona piovosità invernale.
Ripetute distribuzioni di acque saline possono portare a un accumulo di salinità nel suolo. Inoltre la presenza di sali
aumenta la tensione della soluzione circolante e rende quindi difficile alle piante l'assorbimento di acqua
predisponendole a uno stato di stress idrico. La distribuzione di acqua irrigua in quantità superiori a quelle ritenute
sufficienti a coprire il deficit idrico (leaching, lisciviazione) consente di sopperire a questo inconveniente perché
permette il dilavamento dei sali che sono così trascinati in profondità. La bonifica dei terreni salini è quindi
apparentemente un processo molto semplice in quanto i sali possono essere rimossi con la lisciviazione. Nei terreni
argillosi e poco permeabili, i sali tendono a persistere a lungo anche nei climi umidi. La loro lisciviazione è possibile
soltanto dopo aver migliorato la permeabilità attraverso le sistemazioni idrauliche di superficie (affossatura e dreni
sotterranei). Nelle zone con clima arido la bonifica dei terreni salini è possibile soltanto ricorrendo all'irrigazione.
Anche in questo caso si rende necessaria l'esecuzione di tutte quelle opere agronomiche ed idrauliche che
migliorano la permeabilità e favoriscono la rimozione delle acque di drenaggio dagli strati più superficiali del
terreno. Gli stessi interventi devono essere attuati anche sui terreni normalmente soggetti ad irrigazione per evitare
l'accumulo di sali disciolti nelle acque.
Allo scopo di lisciviare un terreno originariamente salino, o reso tale a causa dell'irrigazione, deve essere
somministrata una quantità di acqua in eccesso, rispetto a quella necessaria a bagnare lo strato di terreno
interessato dalle radici. Questo eccesso, espresso come percentuale dell'acqua occorrente per una irrigazione
normale, viene chiamato fabbisogno di lisciviazione (Leaching Requirement) e la sua entità dipende dalla quantità
di sali presenti nel terreno, dalla salinità dell'acqua usata, nonché dalla salinità residua consentita nello strato di
terreno considerato dopo l'irrigazione, la quale è in funzione delle specie da coltivare. Teoricamente il fabbisogno di
lisciviazione può essere calcolato mediante l'espressione:
dove ECw è la salinità dell'acqua irrigua ed ECe quella accettabile per quella coltura o per quel terreno. Di
conseguenza il Volume totale (Fabbisogno della coltura + fabbisogno di lisciviazione) sarà Vt= Fc / (1- LR).
Un esempio sembra utile per chiarire meglio il procedimento; supposto un fabbisogno irriguo stagionale dell'olivo
pari a 350 mm e la disponibilità di un'acqua di irrigazione con ECw pari a 1,5 mS/cm è possibile calcolare il
fabbisogno di lisciviazione prevedendo (1) nessuna riduzione produttiva (2,2 mS/cm) ovvero (2) una produzione
ridotta al 90% (2,8 mS/cm).
1. LR = 1,5 / [5(2,2) - 1,5] = 0,16 per ottenere una produzione non ridotta
2. LR = 1,5 / [5(2,8) - 1,5] = 0,12 per contenere entro il 10% il calo produttivo.
Pertanto l'acqua da distribuire nel corso della stagione irrigua sarà pari a 417 e 398 mm nel primo e secondo caso
nell'ordine. La lisciviazione dei sali è effettiva se il suolo è attraversato dalle acque lungo tutto il profilo. Non sempre
ciò avviene perché la presenza di fessurazioni convoglia l'acqua in percorsi preferenziali. Pertanto si dovrà tenere
conto dell'efficienza della lisciviazione; questa è molto elevata nei terreni con ottimo drenaggio (0,8 - 1,0) e ridotta in
quelli più pesanti o mal sistemati (0,3 - 0,6). Il calcolo del volume totale di irrigazione dovrà essere realizzato anche
in funzione di questo fattore.
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Capitolo 9 - La gestione del terreno
Obiettivi
Sono descritti i sistemi di gestione del terreno olivetato, dalla tradizionale arido coltura al diserbo e all'inerbimento.
Le tradizionali tecniche di arido coltura hanno consentito alla specie di diffondersi in ambienti da sub umidi a semi
aridi. La conservazione della fertilità del terreno richiede l'adozione di sistemi di gestione sostenibili, spesso in
contrasto con l'esecuzione di frequenti e profonde lavorazioni meccaniche. Le diverse forme di aratura sono
sconsigliate in particolare per l'olivicoltura collinare e per i terreni pesanti, dove danno luogo nell'ordine a erosione
idrica e formazione di una suola di lavorazione.
Il diserbo chimico accompagna la naturale tendenza dell'olivo a localizzare l'apparato radicale in prossimità della
superficie del terreno, facilita le operazioni di raccolta, anticipa la ripresa vegetativa primaverile e incrementa i livelli
produttivi. L'impiego di diserbanti residuali in pre emergenza rappresenta la soluzione più efficiente per gli oliveti
asciutti, ma le molecole impiegate possono raggiungere con facilità la falda freatica nei suoli sabbiosi ovvero essere
fissate per lunghi periodi in quelli argillosi. Gli oliveti irrigui possono ricorrere a diserbanti sistemici da impiegare su
limitate superfici dove insistono infestanti poliennali di difficile controllo.
L'inerbimento controllato incrementa comunque i consumi idrici del sistema oliveto e risulta idoneo per gli oliveti
irrigui ovvero in forte pendenza. Il cotico erboso incrementa il contenuto in sostanza organica del suolo e la sua
porosità sul medio - lungo periodo. Le infestanti possono accentuare la mobilità e l'assorbimento radicale di taluni
nutrienti in terreni con grado di reazione anomalo.
I sistemi di gestione complessi (lavorazioni primaverili e inerbimento naturale invernale, lavorazioni + diserbo in
pre-raccolta, inerbimento dell'interfila e lavorazioni/diserbo sulla fila, ecc.) possono rappresentare le soluzioni
ottimali per coniugare efficienza agronomica e sostenibilità del modello.
La gestione del terreno
La corretta applicazione delle tecniche colturali richiede in primo luogo la conoscenza dell'ambiente in cui si opera
(inteso soprattutto come tipo di clima e di terreno), delle caratteristiche della specie e della varietà e della tipologia
merceologica che ci si è proposti di ottenere. Quest'ultimo obiettivo non può prescindere dal mantenimento della
fertilità del terreno e della salubrità ambientale, premesse indispensabili per un'attività agricola "sostenibile" e
finalizzata ad elevati livelli di qualità e tipicità. Le agro-tecniche comprendono in sostanza le lavorazioni, le tecniche
alternative di controllo delle infestanti, la nutrizione minerale e l'irrigazione; questi ultimi due aspetti saranno trattati
più avanti in capitoli specifici.
Le lavorazioni possono essere suddivise in fondamentali o d'impianto (di cui si è parlato nel capitolo 4) e ordinarie,
cioè quelle che si eseguono dopo la realizzazione dell'oliveto.
Per quanto riguarda gli impianti già in produzione, i diversi modelli di coltivazione hanno come obiettivo la gestione
della risorsa suolo-acqua-albero, agroecosistema che deve essere utilizzato nel rispetto di criteri di "sostenibilità",
quindi senza intaccare con un eccessivo o irrazionale sfruttamento l'integrità delle risorse ambientali.
Le lavorazioni ordinarie
Si eseguono annualmente al fine sia di contenere lo sviluppo delle erbe infestanti sia di valorizzare le precipitazioni;
la corretta esecuzione di questi interventi meccanici è fondamentale per gli oliveti asciutti, mentre perde importanza
in quelli irrigui. Negli oliveti di pianura o, comunque, localizzati in aree con pendenze tali da non escludere la
meccanizzazione, e con suoli che garantiscono nel tempo un adeguato drenaggio, è possibile attuare la così detta
"arido coltura" (fig. 9.1); questa prevede un'articolata serie di lavorazioni che aumentano la porosità del suolo e, di
conseguenza, la velocità di infiltrazione dell'acqua.
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Figura 9.1 Accurate
lavorazioni
superficiali sono
alla base
dell'arido-coltura.
Quindi un terreno lavorato assorbe più rapidamente e in maggiori quantità l'acqua piovana rispetto a uno condotto
con tecniche di "non-lavorazione". Successivamente al momento di accumulo, l'esecuzione di frequenti lavorazioni
superficiali elimina le infestanti impedendole di attingere all'acqua presente nel terreno. L'arido coltura prende avvio
con un'aratura autunno-vernina relativamente profonda (15-20 cm) per facilitare l'infiltrazione delle piogge nel
terreno, seguita da alcune erpicature primaverili-estive per distruggere prima che vadano a seme le erbe infestanti e
sminuzzare lo strato superficiale del suolo, separandolo dalla parte sottostante più umida; così facendo i primi 10
cm si asciugano rapidamente, ma in profondità il terreno mantiene più a lungo la sua umidità
Gli attrezzi da utilizzarsi saranno, quindi, gli aratri (normali o a dischi, e con un numero variabile di vomeri) per la
lavorazione autunno-vernina, e gli erpici e i frangizolle per gli interventi primaverili-estivi. La discatura consente, di
norma, di ridurre i tempi di esecuzione dell'intervento e risulta più adatta per i terreni superficiali e ricchi di scheletro.
Nei terreni ricchi di materiali fini (limo e argilla) va bandito l'uso della fresa che amminutando e comprimendo il
terreno sottostante allo strato lavorato favorisce la formazione nel suolo di uno strato impermeabile all'aria e
all'acqua che prende il nome di "suola di lavorazione". Per tutti questi motivi, e per l'alto costo delle lavorazioni, si
sono ricercati modelli alternativi all'arido coltura, in sostanza riconducibili alla "non lavorazione" (tab. 9.1);
AGROTECNICHE
VANTAGGI
SVANTAGGI
LAVORAZIONI
MECCANICHE
Controllo delle malerbe e
riduzione dei consumi idrici
per efficiente
conservazione delle
piogge invernali e
primaverili. Interramento
concimi.
Incremento dell'erosione idrica ed eolica,
con un'incidenza proporzionale alla
pendenza e alla sabbiosità; formazione
della suola di lavorazione, soprattutto nei
terreni pesanti. Forzato approfondimento
delle radici. Il maggior contenuto idrico
del suolo a fine inverno può ritardare il
riscaldamento primaverile del terreno e
l'avvio dell'assorbimento radicale; i
germogli risulteranno più corti.
INERBIMENTO
CONTROLLATO
Forte riduzione della
erosione idrica e eolica.
Aumento della portanza e
porosità del suolo che
risulta meglio strutturato.
Aumento del contenuto in
sostanza organica del
terreno e riduzione dei
nitrati residui. Espansione
delle radici dell'albero sino
alla superficie.
Aumento dei consumi in azoto e acqua,
soprattutto se dura tutto l'anno e interessa
tutta la superficie dell'oliveto. Deprime lo
sviluppo nei giovani impianti se esteso
sino al piede dell'albero.
DISERBO
CHIMICO
Parziale riduzione
dell'erosione, incremento
della produzione e
agevolazione delle
operazioni di raccolta.
Riduzione dei costi di
gestione del suolo.
In collina, su suoli crostosi, può dar luogo
a ruscellamento ed erosione. Non
compatibile con le produzioni
"biologiche" e solo in parte con le
"integrate".
57
Tabella 9.1 Differenti modalità
di gestione del
terreno nell'oliveto.
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in particolare i rilievi mossi all'arido coltura si possono così riassumere:
a. costringe le radici a svilupparsi in profondità (se, infatti, si arano i primi 20 cm, in questi non ci potranno mai
essere radici) modificando così la tendenza del sistema radicale dell'olivo a svilupparsi quasi per intero negli
strati superficiali del terreno. In questa fascia di suolo le radici troverebbero condizioni ideali per il loro
sviluppo perché:
vi è una maggiore abbondanza di aria e pertanto di ossigeno;
la fertilità è elevata perché vi si concentrano i residui organici provenienti dall'oliveto (foglie, rami,
frutti) e dalle infestanti; queste ultime non solo lasciano nel suolo grandi quantità di materia organica
derivante dal continuo rinnovo dei loro estesissimi apparati radicali, ma assorbono dal suolo alcuni
nutrienti (fosforo e potassio soprattutto) e li rilasciano in forme facilmente assorbibili dalle radici
dell'olivo (chelati naturali). Inoltre i concimi minerali, interrati con le lavorazioni o distribuiti in
superficie, sono presenti soprattutto in questo primo strato
per quanto sopraddetto, vi è un'elevata presenza di microrganismi che facilita la vita e la funzionalità
degli apparati radicali.
b. Le lavorazioni degradano la struttura del terreno e ne riducono la fertilità, perché l'eccessiva circolazione di
aria e il continuo rivoltamento degli strati provocano perdite di sostanza organica per l'esposizione diretta del
suolo all'azione del sole e dell'aria. Nelle aree pendenti favoriscono fenomeni di erosione idrica, mentre
quella eolica (che di norma non è percepita dall'agricoltore) può svolgere un ruolo importante nei terreni
sabbiosi.
c. nei terreni ricchi di materiali fini, l'aumento di permeabilità conseguente alla lavorazione meccanica è solo
momentaneo; infatti le prime piogge autunnali trasportano verso il basso le minute particelle di suolo
formatesi in seguito alla lavorazione e le depositano nel punto di passaggio tra terreno lavorato e non
lavorato formando la già ricordata suola di lavorazione. Numerose esperienze hanno dimostrato che la
quantità complessiva di acqua assorbita nella stagione autunno-vernina dal terreno agrario da tempo gestito
con tecniche di non-lavorazione (e soprattutto con l'inerbimento) può risultare superiore a quella accumulata
con l'arido coltura.
d. il maggior approfondimento degli apparati radicali e il contenuto eventualmente più elevato d'acqua nel
terreno alla fine dell'inverno, fa si che le radici dell'olivo si trovino all'inizio della stagione vegetativa in un
ambiente pedologico con temperature inferiori a quelle riscontrabili nel terreno non lavorato; ne consegue
un accorciamento della stagione vegetativa e, in definitiva, un minor accrescimento dell'albero. In
esperienze poliennali condotte su numerose aziende dell'Andalusia, il confronto tra la tradizionale gestione
del suolo e il diserbo eseguito in pre emergenza con formulati residuali chimico ha comportato un vantaggio
produttivo del 16% a favore di quest'ultimo.
e. Le lavorazioni possono provocare delle ferite sulle radici e originare non solo dei danni diretti ma anche
indiretti perché attraverso i tagli possono penetrare all'interno delle radichette numerosi agenti patogeni.
Per tutti questi motivi in olivicoltura si va sempre più sviluppando la citata "non - coltivazione", anche se spesso
introdotta in sistemi di gestione misti dove le lavorazioni sono ridotte al minimo, e integrate col diserbo e/o con
l'inerbimento invernale dell'oliveto.
Il diserbo chimico
L'olivo è una delle colture arboree che si è avvicinata con maggiore ritardo e con un limitato coinvolgimento alla
pratica del diserbo, in quanto l'olivicoltura mediterranea è ancora condotta in prevalenza senza apporti irrigui e in
ambienti semi aridi o sub umidi, dove un efficace controllo delle infestanti si ottiene con un numero limitato di
lavorazioni. Tuttavia numerose esperienze hanno dimostrato che il diserbo, soprattutto se attuato con erbicidi di
preemergenza ad azione residuale, è capace di aumentare in misura importante le produzioni e contenere i loro
costi; inoltre nel terreno diserbato è più agevole la raccolta delle olive. Questa tecnica conosce un'ampia diffusione
non solo in importanti aree olivicole, come la Spagna e la California, ma è da lungo tempo impiegata anche nella
Sassarese (e in minor misura nel Montiferru) per agevolare la raccolta su reti in materiale plastico (abbinata o meno
allo scuotitore); la discatura autunnale, seguita da un trattamento a base di simazina, risulta infatti fondamentale per
evitare che le reti siano infiltrate e bloccate dalla vegetazione infestante. Ampie prospettive, poi, si aprono per il
diserbo nel contesto dell'olivicoltura intensiva e irrigua, in quanto l'eliminazione o riduzione delle lavorazioni
meccaniche asseconda la naturale tendenza dell'albero a sviluppare il proprio apparato radicale nei primi 50 cm di
terreno. In questi moduli produttivi l'olivicoltura applica di norma le tecniche già collaudate in agrumicoltura.
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Di contro un freno all'impiego dei diserbanti, e in particolare di quelli ad azione residuale che hanno una maggiore
persistenza nel suolo e quindi un più elevato impatto ambientale, proviene dalle normative comunitarie e dai relativi
incentivi finanziari (Reg. CEE 2078/92 e 1257/99) e dall'accresciuta sensibilità dei consumatori ai prodotti così detti
"biologici"; lo stesso Programma Regionale Agro - ambientale per le Produzioni Integrate, sviluppato dal Servizio di
Assistenza Tecnica, consente l'uso di erbicidi di postemergenza a rapida degradazione, come glifosate, glufosinate
ammonio e glifosate trimesio, ma vieta l'impiego della simazina. Poiché l'accettazione delle regole della produzione
integrata comporta l'erogazione, a compenso della "contrazione" del reddito dell'olivicoltore, di idoneo "premio"
annuo, può risultare conveniente impiegare i nuovi diserbanti a più basso impatto ambientale (vedi normativa
allegata al volume).
La gestione delle infestanti punta a ridurre l'impatto negativo delle erbe sull'albero, a prevenire la formazione di una
flora infestante di difficile controllo e a facilitare la raccolta limitando i residui vegetali presenti sul suolo dell'oliveto.
D'altra parte l'inerbimento permanente o la coltivazione sul "sodo" possono essere opportuni, particolarmente se si
opera in un terreno declive. I sistemi radicali delle erbe infestanti, specialmente quelli delle annuali, possono
penetrare gli strati sottostanti e migliorare in molti terreni la percolazione profonda dell'acqua. In tal modo le piante
erbacee favoriscono la formazione di un terreno dalla superficie più stabile rispetto a quello lavorato
meccanicamente e consentono l'accesso nell'oliveto nel corso dell'intero anno. Esse aiutano anche a ridurre
l'erosione e la formazione di croste superficiali. Peraltro le infestanti, se non gestite adeguatamente, possono creare
problemi all'oliveto competendo con gli alberi per l'acqua, i nutrienti e la luce, specialmente nei giovani oliveti e nei
suoli superficiali. I nuovi impianti con una forte presenza di infestanti ritardano l'entrata in produzione, mentre la
competizione può essere tollerata a partire dal 3 - 4 anno quando l'oliveto si è ormai assestato; non va, però,
dimenticato che molte infestanti, specialmente quelle perenni come la gramigna (Cynodon dactylon), il cipero
(Cyperus esculentus), la sorghetta da rizoma (Sorghum halepense, al momento poco diffuso negli oliveti della
Sardegna) e altre, possono ridurre la produttività anche dell'oliveto adulto. Gli arboreti invasi dalle infestanti
possono, poi, vedere aumentare l'attività di agenti parassitari perché il cotico erboso fornisce protezione o siti di
svernamento a diversi patogeni; inoltre le erbe aumentano il rischio di incendio.
Le infestanti dell'oliveto possono essere raggruppate in annuali, biennali e perenni. Le annuali germinano,
crescono, fioriscono, e vanno a seme in un solo anno. Il ciclo può essere completato in alcuni mesi in qualsiasi
momento dell'anno, in funzione della specie, ma molte annuali sono classificate in genere come annuali estive o
invernali. Le biennali sviluppano le parti vegetative nella prima stagione e i fiori e i semi nella seconda. Le perenni
vivono 3 anni o anche di più, spesso disseccando durante l'inverno e ricacciando in primavera dalle parti
sotterranee.
La gestione differisce per ogni oliveto e dipende dalle infestanti presenti, dal metodo irriguo eventualmente
impiegato e dal grado di controllo che si desidera ottenere. Per esempio, le annuali invernali (in prevalenza
graminacee, leguminose e composite) non esercitano una spinta competizione perché in quella stagione c'è di
solito abbastanza umidità per sostenere le infestanti e gli alberi; pertanto il controllo si esegue in primavera con
lavorazioni, sfalci con trincia erba o trincia sarmenti e applicazione di erbicidi. Le infestanti estive (annuali, biennali
e perenni) richiedono, invece, un attento controllo per ridurre la competizione con gli olivi. Già in fase di pre impianto si deve dare inizio a programmi di controllo delle infestanti. Infatti il terreno prescelto per l'oliveto può
ereditare da una precedente coltura, o dalla vegetazione naturale, una flora infestante. Le specie annuali si
possono controllare con discature o con erbicidi di postemergenza, quelle perenni come la gramigna e il cipero
effettuando ripetute discature e mantenendo asciutto il suolo durante l'estate (se il sito non è irrigato); le plantule
delle infestanti possono comunque essere controllate anche dopo la realizzazione dell'oliveto.
La gestione delle infestanti è molto più difficile nei giovani impianti. Per evitare danni da diserbanti, molti agricoltori
preferiscono non applicare erbicidi nei due anni susseguenti alla piantagione ed eseguire interventi manuali di
ripulitura intorno agli alberi per diverse volte durante la primavera e l'estate abbinati alla lavorazione meccanica
dell'interfilare. Le scerbature localizzate potrebbero essere sostituite con film di polietilene o poliestere in funzione
pacciamante posti intorno ai giovani alberi, ma la tecnica risulta costosa e poco pratica. E' comunque importante
lavorare prima che le infestanti vadano a seme. Per controllare le plantule delle infestanti, si possono applicare
erbicidi di preemergenza dopo aver effettuato l'impianto, distribuiti sia in quadrato che in circolo attorno ad ogni
olivo (controllando almeno 120 - 160 cm complessivamente) ovvero diserbando la striscia corrispondente al filare.
Le infestanti tra i filari possono essere controllate con trinciature o discature. Negli oliveti irrigui la trinciatura può
essere richiesta, in funzione del metodo irriguo, da 4 a 6 volte durante la primavera e l'estate, intervenendo quando
le infestanti hanno un'altezza di 20 - 25 cm. E' bene tenere a mente che un'eventuale discatura di terreni bagnati
può creare aree di compattazione che riducono la percolazione dell'acqua.
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Negli oliveti adulti il controllo delle infestanti può essere realizzato con diversi sistemi che vanno dal ricorso
esclusivo ai diserbanti a modelli misti, dove gli erbicidi si alternano con un ridotto numero di lavorazioni
meccaniche. L'esclusione di queste ultime e il ripiego sui soli erbicidi può richiedere sia l'applicazione di sostanze
in preemergenza su tutto l'oliveto (in prevalenza simazina) con trattamenti successivi in postemergenza a macchia
(ad esempio con glifosate), sia la "mietitura chimica" (usando basse dosi di erbicidi di postemergenza tre o quattro
volte durante l'anno per sopprimere la vegetazione). In ogni caso la distribuzione dei prodotti va effettuata su tutta la
superficie e, quindi, con introduzione nell'ambiente di quantità maggiori di erbicidi. Il totale affidamento agli erbicidi
presenta alcuni svantaggi. Nessun singolo erbicida controlla tutte le erbe annuali; pertanto per mantenere il suolo
libero da infestanti è opportuno adottare la combinazione di più erbicidi, eseguendo i trattamenti in sequenza o con
la miscelazione di formulati di preemergenza più postemergenza. Negli arboreti ubicati in aree collinari, se i terreni
sono mantenuti privi di infestanti col diserbo, l'erosione del suolo può divenire un problema anche se in misura
minore a quanto avverrebbe con le lavorazioni meccaniche. Ancora, in alcuni suoli il diserbo prolungato nel tempo
può dar luogo a fenomeni di compattazione con successivo sviluppo di uno strato superficiale sottile e limoso, che
impedisce l'infiltrazione dell'acqua; una lavorazione leggera e superficiale o la scarificazione della superficie del
suolo, effettuate anche con cadenze di 3 - 5 anni, possono risolvere il problema.
Per quanto attiene la scelta dei prodotti chimici, si ricorda che si può puntare su erbicidi di pre o di postemergenza. I
primi (tab. 9.2) non controllano le infestanti già insediate che, in assenza di annuali, si diffondono con rapidità come
nel caso della gramigna e del convolvolo; i trattamenti in preemergenza sono, invece, utili per controllare i semi
delle infestanti in germinazione.
Gli erbicidi di preemergenza devono essere trasportati dall'acqua (di irrigazione o dalla pioggia) nei primi 3 - 10 cm
del terreno, dove i semi delle infestanti stanno germinando. Alcuni erbicidi devono essere incorporati entro una
settimana, altri possono sostare sulla superficie del suolo e aspettare che una pioggia li faccia penetrare negli strati
superficiali del terreno. Esempi di erbicidi di preemergenza sono il diuron, la simazina e l'oxyfluorfen. Gli erbicidi di
preemergenza possono risultare efficaci per un periodo compreso tra diverse settimane e un anno, in funzione della
piovosità annuale, della solubilità del principio attivo, delle proprietà del suolo, del turno di irrigazione,
dell'infestante e del dosaggio applicato. Prolungate condizioni di umidità, come in prossimità di erogatori a basso
volume (goccia e similari), stimolano la disattivazione e il dilavamento degli erbicidi. La suddivisione dei trattamenti
di preemergenza in due applicazioni (con lo stesso dosaggio totale) può prolungare il controllo sulle infestanti,
soprattutto nelle aree a maggiore piovosità, negli oliveti su suoli sabbiosi, negli oliveti trattati all'inizio dell'autunno,
oppure negli oliveti con un forte sviluppo di annuali estive. Il trattamento può essere diviso usando dalla metà a 2/3
della quantità totale del diserbante in autunno e la rimanente parte nella primavera successiva. Un dato dosaggio di
erbicida da impiegarsi in preemergenza è più fitotossico nei suoli sabbiosi o nei suoli con un basso contenuto di
sostanza organica piuttosto che in quelli con molta argilla o materiale organico. Inoltre gli erbicidi percolano dalla
superficie del suolo sabbioso più rapidamente che in quelli argillosi, il che permette alle infestanti di crescere dopo
che l'erbicida è stato allontanato dalla pioggia o dall'acqua di irrigazione. Negli oliveti su suoli sabbiosi, il
trattamento suddiviso da luogo a un più lungo controllo residuale ed è più sicuro per gli alberi. Poiché gli erbicidi di
preemergenza possono persistere nel suolo da pochi mesi a un anno e più, il loro uso dovrebbe essere interrotto
uno o due anni prima di eliminare l'arboreto. Nel caso si dovesse sostituire un olivo, si deve apportare nella buca
del terreno non trattato da porre attorno alle radici del nuovo albero.
Gli erbicidi di postemergenza (tab. 9.3) sono applicati sulle foglie delle giovani infestanti presenti nell'oliveto o (nel
caso del glifosate) sulle perenni in fase di prefioritura.
I due tipi di erbicidi di postemergenza differiscono nel loro modo di azione. Quelli di contatto uccidono solo le parti
della pianta che sono state effettivamente bagnate; risultano perciò essenziali una buona copertura e l'uniforme
bagnatura della vegetazione infestante. Un esempio di questi erbicidi è il paraquat. Un singolo trattamento elimina
le annuali sensibili; un secondo intervento è necessario se sono presenti erbe perenni capaci di ricacciare ovvero
se le annuali si insediano di nuovo a partire dai semi. Un erbicida di contatto è più efficace quando viene applicato
a plantule o giovani erbe, perché è più facile ottenere una buona copertura ed è necessaria una minore quantità di
prodotto. I sistemici (glifosate, glufosinate ammonio, glifosate trimesio e fluazifop) non richiedono una copertura
completa poiché il materiale è trasportato dalle parti toccate dal diserbante al resto della pianta, ivi comprese le
radici e i rizomi. Essi sono perciò più efficaci nel controllare le perenni di quanto non lo siano gli erbicidi di contatto.
Poiché i diversi erbicidi agiscono in differenti modi e su diverse infestanti, le combinazioni di erbicidi risultano
talvolta opportune, come oxyfluoren più glifosate per controllare un largo spettro di erbe annuali e a foglia larga. E'
fondamentale seguire con attenzione le indicazioni riportate in etichetta.
60
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di Cagliari, Oristano e Nuoro
L'inerbimento
Un'altra tecnica alternativa alle lavorazioni meccaniche è quella dell'inerbimento, consistente nello sviluppo di un
cotico erboso permanente (formato dalle normali infestanti ovvero ottenuto mediante apposita semina) esteso a tutto
l'interfilare, mentre sovente ne rimane del tutto priva la striscia del filare (fig. 9.2).
Figura 9.2 Trinciatura del
cotico erboso
presente
nell'interfila e sulla
fila.
Anche questa soluzione è di rado utilizzata nell'olivicoltura degli ambienti da semi aridi a subumidi perché comporta
un forte aumento dei consumi di acqua e sostanze nutritive, ma non si deve dimenticare che durante la stagione
autunno - vernina i nostri oliveti sono sovente inerbiti dalle erbe spontanee. L'estensione di questa tecnica all'intero
anno è possibile solo in irriguo e quando non vi sia carenza d'acqua; il cotico erboso, comunque, va periodicamente
sfalciato con apposite macchine quali i trincia - erba o trincia- sarmenti che sminuzzano finemente le erbe
rilasciandole sul posto perché incrementino il contenuto in sostanza organica del suolo. Risulta idoneo in modo
particolare agli oliveti irrigui delle aree collinari, dove può contribuire a eliminare del tutto l'erosione e a innalzare il
grado di fertilità del terreno. Sulla fila le erbe infestanti possono essere controllate con apposite lavorazioni
meccaniche della striscia ovvero col diserbo.
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Tabella 9.2 - Prodotti, dosi, epoche e modalità di impiego, sensibilità delle infestanti per gli erbicidi di
preemergenza utilizzabili in olivicoltura (rielaborato da Elmore, 1994 e Rapparini, 1996).
Principio
attivo
Diclobenil
Diuron
50%
80%
Diuron+
Clorprofam
Simazina
Terbutilazina
50%
Dosi di
prodotto
commerciale
l/ha o kg/ha
80 - 120
6-8
4-7
8 - 10
6-8
4
5-7
Epoca di
applicazione
autunno-inverno
fine
estate-autunno
aut.-prim.
autunno
fine
estate-autunno
fine
estate-autunno
Periodo
di
sicurezza
gg
60
Specie
sensibili
le annuali, e
Rumex e
artemisia
60
Setaria,
digitaria e altre
gram. annuali.
Amaranto,
Solanum e
portulaca
60
Graminacee e
amaranto,
chenopodio,
portulaca,
Rumex,
Stellaria, ecc.
30
Azione
graminicida e
dicotiledonicida
(capsella,
chenopodio,
Rumex,
senecio, ecc)
-
Azione
graminicida e
dicotiledonicida
(amaranto,
capsella,
Rumex,
senecio, ecc
Specie
tolleranti
Modalità di impiego
gramigna,
convolvolo,
sorghetta e
potentilla
Non trattare su terreni sciolti e
ciottolosi, ma su suoli umidi e
lavorati; da utilizzare dopo il
5° anno d'impinato
senecio,
piantaggine
e tarassaco
Impiegare 300 - 500 l/ha di
acqua. Non trattare su terreni
sciolti e ciottolosi, e non
lavorare il terreno dopo
l'applicazione. Trattare su
suolo lavorato privo di
infestanti. Utile il trattamento
frazionato tra fine autunno e
inizio primavera
-
Impiegare 300 - 500 l/ha di
acqua. Non trattare su terreni
sciolti e ciottolosi, e non
lavorare il terreno dopo
l'applicazione. Trattare su
suolo lavorato e livellato, privo
di infestanti
-
Impiegare 300 - 500 l/ha di
acqua. Trattare su suolo
lavorato privo di infestanti.
Sconsigliato nei terreni sciolti,
calcarei e poveri di sostanza
organica. Eventuali
lavorazioni dopo
l'applicazione profonde non
più di 5 cm.
-
Impiegare 300 - 500 l/ha di
acqua. Trattare su suolo
lavorato privo di infestanti.
Sconsigliato nei terreni sciolti,
calcarei e poveri di sostanza
organica. Eventuali
lavorazioni dopo
l'applicazione profonde non
più di 5 cm.
Tabella 9.3 - Prodotti, dosi, epoche e modalità di impiego, sensibilità delle infestanti per gli erbicidi di
postemergenza utilizzabili in olivicoltura (rielaborato da Elmore, 1994 e Rapparini, 1996).
Principio
attivo
Dosi di
prodotto
commerciale
l/ha o kg/ha
Epoca di
applicazione
Paraquat
+
bagnante
3-5
0,3 - 0,5%
primavera, estate,
autunno
Paraquat+
Diquat+
bagnante
4-7
0,3 - 0,5%
primavera, estate,
autunno
Glufosinate
ammonio
Glifosate
Glifosate+
simazina
(p.c. 12,6%
+ 12,6%)
Glifosate
trimesio +
solf. di
amm.
Fluazifop P- butile+
bagnante
5-8
da 2 a 8
7 - 10
4,5 - 12
2%
1,5 - 2,5
0,3 - 0,5%
primavera, estate,
autunno
aut.-prim.
annuali,prim.-estate
ann. e perenni,
estate perenni
primavera
aut.-prim. annuali,
prim.-estate ann. e
perenni, estate
perenni
primavera -estate
Periodo
di
sicurezza
gg
30
Graminicida
30
Graminicida e
dicotiledonicida
-
Dose minore:
dicotiledoni
annuali allo stadio
di plantula; dose
elevata: piante
adulte e
temperature
basse.
-
gramigna,
parietaria, Rumex,
senecio, rovo,
cipero, phragmites,
ecc
-
Azione
graminicida e
dicotiledonicida
molto ampia
-
Dose minore:
infestanti ann. e
bien. allo stadio di
plantula; dose
elevata: ann. e
bien., con sol.
amm. adulte e
temperature basse
30
Specie
tolleranti
Specie sensibili
Graminacee
annuali e perenni
Modalità di impiego
-
Impiegare 400 - 800 l/ha
di acqua. Disseccanti ad
azione di contatto, il
paraquat esercita azione
graminicida mentre il
diquat dicotiledonicida.
-
Applicare con ugelli
schermati e a bassa
pressione nelle ore meno
luminose del giorno
papavero
Impiegare 200 - 600 l/ha
di acqua. Disseccante ad
azione di contatto e in
parte traslocabile con
azione dicotiledonicida.
Trattare con temperature
superiori a 10 °C. In
condizioni difficili
aggiungere solfato
ammonico.
convolvolo
Impiegare 100 - 300 l/ha
di acqua. Applicare con
ugelli schermati e a bassa
pressione, evitare effetti di
deriva e rispettare un
intervallo di 6 ore da una
pioggia.
-
Adottare le stesse
precauzioni di impiego
indicate per i singoli
principi attivi
-
Impiegare 200 - 300 l/ha
di acqua. Applicare con
ugelli schermati e a bassa
pressione, evitare effetti di
deriva e rispettare un
intervallo di 6 ore da una
pioggia. Le dosi suggerite
si riferiscono al formulato
con 160 g/l di principio
attivo
-
Impiegare 400 - 600 l/ha
di acqua. Trattare durante
le ore più umide della
giornata su infestanti in
pieno rigoglio vegetativo
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di Cagliari, Oristano e Nuoro
Capitolo 10 - Esigenze nutritive e concimazione
Obiettivi
Si riportano cenni sulla fisiologia dell'assorbimento dei nutrienti, sulle esigenze nutritive, sulle metodiche per la loro
determinazione e sulla pianificazione della concimazione.
La sostenibilità del sistema oliveto richiede che le problematiche della nutrizione minerale siano affrontate su base
scientifica. La demolizione del glucosio risultante dalla fotosintesi produce, nelle oleacee, il mannitolo piuttosto che
il fruttosio o il saccarosio. Ai valori di latitudine della Sardegna, la massima capacità fotosintetica è raggiunta dalla
foglia d'olivo in coincidenza di un'intensità luminosa pari al 30% di quella di "pieno sole".
Le esigenze dell'olivo sono in larga parte soddisfatte attraverso meccanismi insiti nei cicli naturali: dotazione di
fondo del suolo, fissazione di azoto atmosferico, restituzione dei nutrienti contenuti nelle foglie prima della loro
caduta, mineralizzazione della sostanza organica derivante da foglie, rami, residui di potatura e infestanti, emissioni
radicali di mucillagini. Anche l'acqua di irrigazione apporta quantità rilevanti di nitrati.
La valutazione dei fabbisogni può essere svolta mediante l'esame visivo dell'intero albero e delle foglie, l'analisi
chimica dei tessuti fogliari svolta in momenti e con tecniche appropriate (diagnostica fogliare) e l'analisi del terreno.
Quest'ultima risulta utile soprattutto in pre impianto. La combinazione delle tre tecniche fornisce i migliori risultati.
La risposta all'azoto risulta la più pronta e la più vistosa per le componenti l'attività vegetativa e produttiva, più
difficile risulta riscontrare sintomi di carenza per il fosforo e risposte positive al suo apporto. Importante il ruolo del
potassio, anche per la sintesi dei grassi nelle drupe.
La disponibilità della sola analisi del terreno suggerisce di stimare le esigenze, in modo approssimato, come
differenza tra i valori di riferimento e i risultati delle analisi.
Esigenze nutritive e concimazione
La gestione sostenibile dell'agroecosistema "oliveto" e la conservazione della fertilità chimica e biologica del
terreno, premesse indispensabili per il mantenimento di livelli produttivi e qualitativi capaci di dare competitività alla
coltura, richiedono che l'olivicoltore e il tecnico di campo siano in possesso di una base conoscitiva di fisiologia
vegetale e agronomia.
Cenni su Fotosintesi e Respirazione
Sedici elementi chimici sono considerati essenziali per la crescita e lo sviluppo delle piante. Due, carbonio e
idrogeno, provengono dall'atmosfera; gli altri sono forniti dal suolo. In ordine di entità dei consumi da parte delle
piante si ha carbonio (C), idrogeno (H), ossigeno (O), azoto (N), fosforo (P), potassio (K), zolfo (S), calcio (Ca),
magnesio (Mg), ferro (Fe), manganese (Mn), rame (Cu), boro (B), zinco (Zn), molibdeno (Mo) e cloro (Cl). I primi
nove sono definiti macronutrienti perché richiesti in grande quantità; i rimanenti sette sono conosciuti come
micronutrienti perché richiesti in minime quantità. Solo le piante verdi e alcuni batteri hanno la capacità di
convertire, per mezzo della fotosintesi, le sostanze inorganiche in organiche (contenenti carbonio). In questo
processo l'energia proveniente dal sole è intrappolata nei pigmenti verdi presenti nelle foglie (la clorofilla) ed è
usata per trasformare l'anidride carbonica (CO2 ) e l'acqua in carboidrati semplici, liberando nel processo ossigeno.
Nel processo inverso, la respirazione, questi carboidrati sono decomposti con conseguente liberazione di acqua e
anidride carbonica, e rilascio di energia. La respirazione è fondamentale per tutte le piante e gli animali viventi e, al
contrario della fotosintesi, può verificarsi in assenza di luce e clorofilla.
Nella fotosintesi sei molecole di CO2 si combinano con sei molecole di acqua per formare una molecola di glucosio
e sei molecole di ossigeno. Il glucosio è poi trasformato in altri zuccheri semplici come fruttosio, saccarosio e
mannitolo. Quest'ultimo è lo zucchero più importante traslocato nell'olivo e in molte Oleacee; la manna di biblica
memoria è prodotta (oltre che da alcune specie di licheni diffuse nelle aree desertiche dell'Asia) appunto da una
oleacea, il frassino, per incisione della corteccia. Il mannitolo è anche un importante prodotto di riserva che viene
accumulato nel tronco e nell'apparato radicale dell'olivo. Il glucosio, comunque, serve come mattone di costruzione
per altri carboidrati quali amido, cellulosa, emicellulosa, pectine e gomme.
62
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La CO2 , che costituisce circa lo 0,03% dell'atmosfera terrestre, penetra nelle foglie dell'olivo attraverso gli stomi,
aperture specializzate poste nella pagina inferiore delle foglie. Per permettere l'ingresso della CO2 , gli stomi
consentono la fuoriuscita dell'acqua (assorbita dal terreno per mezzo delle radici e distribuita attraverso il sistema
vascolare nelle diverse parti dell'albero) nell'atmosfera sotto forma di vapore acqueo; il processo prende il nome di
traspirazione. L'apertura degli stomi è attivamente regolata per permettere l'ingresso nella foglia della quantità di
CO2 necessaria perché la fotosintesi non si fermi. Se il contenuto in acqua del terreno è basso, gli stomi tendono a
chiudersi per ridurre le perdite e la fotosintesi va progressivamente riducendosi (fig. 10.1).
Figura 10.1 Esemplificazione
dei rapporti tra
diponibilità idrica ed
efficienza
fotosintetica.
Una foglia di olivo esposta in pieno sole può usare solo una parte della luce per la fotosintesi. Infatti, alle latitudini
della Sardegna (il 40° parallelo Nord passa su Oristano), la luce è disponibile in quantità superiori alle potenzialità
della foglia di olivo, che durante la stagione vegetativa viene con frequenza "saturata" dalla luce raggiungendo così
la sua massima capacità fotosintetica per un'intensità luminosa pari a circa il 30% di quella disponibile con
condizioni di "pieno sole". D'altra parte solo le foglie poste alla periferia della chioma sono sempre esposte in pieno
sole, e questo solo per una porzione del giorno poiché il sole si sposta da est a ovest nel suo movimento attraverso
il cielo. Perciò la fotosintesi, per la maggior parte del giorno, non è svolta da tutte le foglie con la massima efficienza;
la luce, poi, diviene sempre più limitante man mano che si procede verso l'interno della chioma. Anche la
temperatura dell'aria influisce sull'efficienza della fotosintesi; nell'olivo, in particolare, i valori termici ottimali della
foglia sono quelli compresi tra 15 e 30 °C.
Da quanto detto si capisce che la produzione di fotosintetati (in prima battuta di glucosio) è correlata, tra l'altro, alla
superficie fogliare esposta alla luce; la totale area fogliare di un albero divisa per la superficie di terreno che l'albero
ombreggia è chiamato Indice di Area Fogliare o LAI (dall'inglese Leaf Area Intensity) ed è un criterio utile per
stimare la produttività di un determinato oliveto. Il LAI ottimale si verifica quando tutte le foglie possono contribuire
all'acquisizione di carbonio. Poiché, come detto, l'intensità della luce e l'entità della superficie fogliare
rappresentano i fattori critici per l'ottimizzazione della fotosintesi, un ruolo importante nella progettazione dell'oliveto
deve essere assegnato alle distanze di piantagione, all'orientamento dei filari, alla forma di allevamento e alla
potatura; come già detto, le nostre latitudini assicurano una più che sufficiente quantità di energia radiante, ma
questo non significa che il problema debba essere del tutto trascurato, non fosse altro che per le implicazioni
fitosanitarie di un eccessivo ombreggiamento delle chiome. Questo problema assume maggiore importanza nei
nuovi impianti intensivi, spesso caratterizzati dal tentativo di anticipare l'entrata in produzione con l'aumento della
densità delle piante e ridotti interventi cesori nella fase di allevamento (come nel "cespuglio" ad esempio). Infatti non
appena le chiome incominciano a sovrapporsi il LAI cresce, ma l'efficienza della fotosintesi diminuisce e i costi della
potatura possono risultare eccessivi. Durante l'estate, in una foglia di olivo con buona esposizione al sole l'apertura
degli stomi aumenta in proporzione all'incremento di disponibilità luminosa, e raggiunge il suo massimo nelle ore
centrali della mattinata; poiché sovente le temperature pomeridiane estive risultano troppo elevate (soprattutto in un
oliveto condotto in asciutto), gli stomi tendono allora a restringersi o a chiudersi in risposta all'accresciuta domanda
evapotraspirativa e per prevenire le perdite d'acqua.
L'olivo accumula nella foglia come mannitolo molti dei prodotti derivanti dalla fotosintesi, e solo alcuni sono
traslocati per usi diversi ovvero conservati in altre parti della pianta. Le foglie adulte, che restano sull'albero per due
anni, sono la principale sorgente di fotosintetati. I germogli, gli apici radicali e i frutti in accrescimento utilizzano
grandi quantità di questi fotosintetati, e sono noti come "punti di richiamo-accumulo"o, più in breve, sinks.
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Le foglie giunte a metà della loro espansione risultano molto efficienti sotto il profilo fotosintetico, ma hanno bisogno
di trattenere molti dei fotosintetati per la loro crescita; pertanto queste foglie sono sia una sorgente (source) che un
punto di accumulo (sink). Nell'anno di carica, l'elevata domanda di fotosintetati che proviene dai frutti in crescita si
traduce in uno ridotto sviluppo vegetativo poiché il mannitolo depositato nelle foglie è traslocato verso i frutti in
crescita. I fotosintetati fuoriescono dalle foglie attraverso il "floema" (i vasi della pianta in cui si muove il flusso
discendente della linfa) e si dirigono verso i germogli e i rami. Il flusso di linfa ascendente, che trasporta alle foglie
l'acqua e i nutrienti assorbiti dalla soluzione circolante nel suolo, percorre, invece, dei vasi detti "xilema" (e quindi
xilematici, ma anche legnosi) contenenti un gran numero di elementi vascolari.
Nella respirazione, l'inverso della fotosintesi, i fotosintetati sono demoliti con l'aiuto dell'ossigeno per liberare
energia chimica e CO2 . Questa energia è usata per sostenere il metabolismo nelle diverse parti della pianta.
In definitiva il Carbonio, assunto come CO2 durante la fotosintesi, è convertito in carboidrati che sono trasportati alle
varie parti della pianta. Questi servono come sorgenti di energia per la respirazione ovvero come materiali di
costruzione delle nuove parti della pianta. Il C è perso per tre vie: attraverso la raccolta delle olive, in seguito alla
potatura e alla caduta delle foglie, e in conseguenza di malattie e attacchi parassitari.
Ciclo dell'azoto nell'oliveto
L'azoto è l'elemento più spesso carente nella soluzione circolante nel terreno e quello sul quale è basata la maggior
parte dei programmi di fertilizzazione. L'atmosfera terrestre è costituita da azoto per il 78%. L'azoto atmosferico non
è in realtà disponibile per le piante in quanto deve essere preliminarmente convertito nelle diverse forme organiche
ed inorganiche che si ritrovano nei suoli. Questo processo di conversione è noto come "fissazione dell'azoto".
Mentre una parte della fissazione avviene nell'atmosfera in seguito a reazioni fotochimiche (che coinvolgono la
luce) e alle scariche elettriche provocate dai fulmini, la maggior parte di essa si verifica nel suolo, grazie alla
presenza di tutta una serie di microrganismi terricoli. Essi convertono l'azoto atmosferico in materiale proteico e ione
ammonio (NH4 +). L'azoto così fissato entra a far parte della sostanza organica del suolo e rimane in forma
semistabile. La mineralizzazione della sostanza organica (cioè la sua scomposizione con rilascio dei minerali),
consente alle piante di assorbire l'azoto liberatosi nel suolo, elemento che ritornerà poi nel terreno con i residui
della coltura; questo processo continuo è conosciuto come "ciclo dell'azoto".
L'azoto può essere perso dal suolo attraverso la raccolta delle produzioni, la potatura, la denitrificazione, la
volatilizzazione e il ruscellamento superficiale delle acque. Nella denitrificazione, i nitrati sono ridotti dai
microrganismi a ossidi volatili di azoto e ad azoto elementare. Le perdite sono maggiori in condizioni di carenza di
ossigeno e di grande abbondanza di nitrati. I nitrati, una volta penetrati nelle radichette assorbenti, sono ridotti dalle
cellule radicali a ione ammonio che reagisce immediatamente con gli acidi organici e i sottoprodotti della
respirazione per formare diversi composti azotati. I più semplici di questi sono gli amminoacidi, il materiale di base
per la costruzione delle proteine.
Il ruolo del terreno nell'assorbimento dei nutrienti
Il terreno agrario è un sistema complesso dove interagiscono le particelle del suolo, la soluzione circolante, la
sostanza organica e gli organismi biologici. Le piante ottengono la maggior parte dei loro nutrienti minerali dal velo
d'acqua che si muove all'interno dei pori del terreno (la soluzione circolante), ma ciascuno degli altri componenti
influenza la facilità con cui i nutrienti possono essere assorbiti dalle radici. L'olivo è più tollerante rispetto alla
maggior parte dei fruttiferi ad alti livelli di calcio, magnesio, sodio e boro nel terreno, e in genere a substrati pietrosi,
aridi e poco fertili. D'altra parte la specie mal si adatta a terreni poco drenanti dove si possono verificare fenomeni di
ristagno. La programmazione degli interventi fertilizzanti non può basarsi sulla disponibilità dei singoli nutrienti,
bensì sulle complesse interazioni che si attivano fra di loro, in sostanza su un bilancio complessivo tra assimilazione
e consumo. Infatti l'attività vegetativa e quella produttiva saranno, di volta in volta, limitate dall'elemento che è
carente o, in alcuni casi, troppo abbondante e quindi tossico; sino a che la concentrazione dell'elemento non sarà
incrementata (o ridotta in presenza di tossicità), lo sviluppo sarà meno che normale. Comunque le esigenze
dell'albero non richiedono che tutti i nutrienti essenziali siano apportati attraverso le concimazioni poiché la maggior
parte degli stessi è presente in quantità adeguate nei terreni agrari. Inoltre, solo piccole quantità di diversi nutrienti
essenziali sono allontanate con la raccolta, la potatura e le altre pratiche colturali. Infine, le foglie degli alberi da
frutto, prima di cadere, restituiscono all'albero molti di questi nutrienti essenziali. I nutrienti possono essere contenuti
nella soluzione circolante nel terreno ovvero aderire alle particelle dei minerali (in particolare argillosi) o della
sostanza organica, ma le radici delle piante assorbono la maggior parte dei nutrienti minerali dalla soluzione
circolante.
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I nutrienti sono presenti in soluzione come molecole con carica elettrica positiva (cationi) o negativa (anioni), o
senza carica elettrica (specie neutre). Alcuni nutrienti, come l'azoto, si rinvengono in entrambe le tipologie: positiva
e negativa. I cationi aggiunti al suolo tendono a essere fissati, grazie alla loro carica elettrica positiva, sulle superfici
delle particelle argillose dove "affiorano" cariche elettriche negative: i poli opposti si attraggono. In tal modo i cationi
si sottraggono momentaneamente sia all'assorbimento radicale sia alla lisciviazione (dilavamento verso gli strati più
profondi del terreno); solo al momento del loro ritorno in soluzione potranno essere assorbiti o dilavati. Questa
capacità di trattenere e scambiare i cationi è chiamata "Capacità di Scambio cationico" (CSC), proprietà del suolo
che esprime la capacità di trattenere i cationi contro la lisciviazione operata dalla pioggia o dall'acqua di irrigazione.
I terreni agrari con più alta CSC (>25) sono tipicamente più fertili poiché essi hanno una maggiore capacità di
immagazzinamento dei nutrienti minerali. Lo scambio cationico si verifica soprattutto sulla superficie delle particelle
argillose e sui siti attivi della sostanza organica. Lo scambio si verifica perché le particelle di argilla e la sostanza
organica hanno cariche elettriche negative che devono essere bilanciate dai cationi a carica positiva. Le
concentrazioni di Ca, Mg, K e Na sono in buona sostanza controllate dallo scambio cationico. La forza con cui
questi cationi sono trattenuti dipende dalle quantità di argilla e sostanza organica presente nel terreno. I suoli molto
sabbiosi hanno una piccola capacità di trattenere questi nutrienti e le perdite per lisciviazione possono essere
cospicue. D'altra parte, i nutrienti aggiunti ai suoli sabbiosi possono essere rapidamente assorbiti dalle radici delle
piante. Nei terreni argillosi, la penetrazione di certi fertilizzanti (come il K) può risultare problematica per colture con
apparati radicali profondi in quanto le particelle a carica negativa bloccano il catione e lo sottraggono alla soluzione
circolante. Un altro meccanismo che il terreno mette in atto per trattenere nutritivi importanti(come ad esempio il
fosforo) è quello dell'adsorbimento specifico (passaggio di un determinato ione dalla fase liquida a quella solida)
fenomeno altamente selettivo. I nutrienti sono trattenuti sulla superficie delle particelle del suolo (adsorbiti) da forze
molto più forti di quelle dovute all'attrazione elettrica che lega i cationi scambiabili. Infatti l'aggiunta d'acqua non è
sufficiente a superare queste forze e riportare i nutrienti in soluzione. L'adsorbimento specifico aiuta a controllare il
P nella soluzione circolante. Nei suoli da neutri ad acidi, il P è specificamente adsorbito sulla superficie di particelle
minerali argillose o di particelle contenenti ossidi di Fe e di Al. Questo effetto si accentua quando il pH si abbassa
per cui, nei suoli acidi, si verifica una progressiva indisponibilità del P. L'adsorbimento specifico svolge un ruolo
importante anche nel controllo della disponibilità di Cu e Zn; ne consegue che essi siano meno disponibili nei
terreni alcalini. In definitiva le piante agiscono come un sistema pompante, riciclando di continuo i nutrienti presenti
nella superficie del suolo. I fertilizzanti tendono ad essere fissati dalle particelle del terreno, nelle quali essi
rimpiazzano i nutrienti rimossi per via radicale dalla soluzione circolante. Quando la pianta muore e si decompone, i
nutrienti sono di nuovo rilasciati sulla superficie del suolo. E' per questo che nei suoli naturali la maggior parte dei
nutrienti è concentrata vicino alla superficie. Quando la superficie del terreno è rimossa dall'erosione ovvero
dall'uomo che esegue movimenti di terra (ad esempio in fase di impianto dell'oliveto), la maggior parte dei nutrienti
viene allontanata. Inoltre le radici dell'albero e delle erbe infestanti eventualmente presenti emettono molte
sostanze, ivi compresa anidride carbonica (che forma acido carbonico nella soluzione circolante) e sostanze
organiche, che tendono ad abbassare il pH del terreno nella zona a loro adiacente. Fatta eccezione per i suoli acidi,
questo fatto tende ad aumentare la disponibilità di nutrienti per la coltura. Alcune delle sostanze organiche escrete
possono formare complessi con micronutrienti come zinco ferro (chelati naturali), sottraendoli all'azione bloccante
del terreno e al dilavamento e facilitandone l'assorbimento.
Valutazione del fabbisogno e ruolo dei principali nutrienti
L'ottenimento di rese elevate e costanti nel tempo richiede che sia restituito al terreno non solo quello che la coltura
asporta per le formazioni vegetative e produttive annuali, ma anche la quota di fertilizzanti trattenuta dal terreno
ovvero allontanata dalle piogge dagli strati superficiali del suolo. Pertanto l'impostazione di un corretto piano di
concimazione presuppone che si tenga conto di:
presenza, all'interno del ciclo annuale, di momenti "critici" in corrispondenza dei quali la mancanza o
l'insufficiente presenza di uno o più elementi nutritivi risulti particolarmente dannosa (fioritura, allegagione,
indurimento del nocciolo, ecc.);
situazione complessiva dell'oliveto (le produzioni ottenute negli ultimi anni, la loro qualità, le tecniche
colturali adottate, la particolare sensibilità a determinate malattie, ecc.);
caratteristiche del terreno ospitante l'oliveto (tessitura, grado di reazione, presenza dei principali elementi
nutritivi, ecc.);
microclima del territorio perché, ad esempio, piogge intense dilavano il suolo impoverendolo delle sostanze
azotate non trattenute con sufficiente forza.
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di Cagliari, Oristano e Nuoro
Si capisce pertanto che la concimazione costituisce un problema molto complesso, dato che la scelta del concime,
delle dosi e dell'epoca di distribuzione deve tenere conto non solo di tanti aspetti diversi ma anche del fatto che
questi parametri interagiscono fra loro in modo variabile da un anno all'altro. Le metodologie a disposizione
dell'olivicoltore e del tecnico possono in sostanza ricondursi a tre: diagnostica per sintomi visivi (sull'albero e
sull'ambiente); analisi dei tessuti e analisi del terreno e delle acque. Tutte e tre le procedure hanno punti di forza e
di debolezza; la scelta dipende dal problema che deve essere risolto.
Analisi visiva
Un approccio ai problemi di diagnostica nutrizionale consiste nel ricercare sintomi anormali nelle foglie o
nell'accrescimento di germogli e rami. La diagnosi visiva è il modo più veloce e meno costoso per identificare
fenomeni di carenza o tossicità. In tal senso fondamentale risulta l'esperienza dell'osservatore che, se
adeguatamente preparato, può riconoscere i sintomi della maggior parte delle carenze e tossicità (tab.10.1).
Assenza
di
Albero
Germogli
Foglie
Frutto
Zinco
normale
Normali
foglie giovani verde chiare
Azoto
taglia ridotta e
chioma rada,
imponente
defogliazione,
resa ridotta
non più lunghi
di 25 cm,
sviluppo
generale
ridotto,
seccume
piccole e clorotiche,
intensa defogliazione
pochi frutti in
apparenza
normali
taglia ridotta,
come per
l'assenza di
azoto
disseccamenti
apicali, con
successivi
ricacci laterali,
necrosi finale
dell'intero
germoglio
accartocciamento
dell'apice fogliare che
ingiallisce, necrosi
puntiformi e caduta della
foglia, foglie basali
normali per dimensione e
colore.
fruttificazione
rada ma con
frutti normali
per
dimensione,
senza clorosi
evidente
Magnesio
taglia normale e
buona
produzione
sviluppo di
lunghi
germogli,
nessuna
necrosi delle
gemme apicali
foglie basali che tendono
alla clorosi e cadono.
Foglie apicali normali per
colore e dimensione.
Strisce clorotiche
di apparenza
clorotica, ma
non così
estesa come
nella carenza
di Fe
Potassio
aspetto da salice
piangente (non
verticale), le
branche
mancano di
vigoria. La taglia
è normale.
internodi corti,
crescita ridotta.
Il numero totale
di nodi può
essere
normale.
pallide, clorotiche come
nella fase iniziale della
carenza di N. Poco più
piccole del normale,
ridotta defogliazione.
di colore
normale
crescita dei
germogli
normale
di dimensioni ridotte; di
colore pallido, le foglie
apicali cadono e il
germoglio dissecca.
Assenza di necrosi
fogliare. Clorosi
internervale
frutti con
pronunciato
aspetto
clorotico
Calcio
Ferro
taglia normale,
rese modeste
con leggeri
sintomi fogliari
maturazione
precoce
Le carenze nutritive erano registrate dopo aver sospeso per 5 anni ogni singolo minerale da una soluzione
nutriente apportata a piante allevate in vaso su sabbia. Questo non significa che un elemento non sia
essenziale se un albero mostra uno sviluppo normale.
66
Tabella 10.1 Sintomi visivi di
carenze di nutrienti
minerali nella
cultivar
"Manzanillo" in
condizioni
sperimentali (da
Ferguson, Sibbett e
Martin, 1994).
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Più difficile risulta interpretare uno stato di carenza dovuto all'insufficienza di più di un elemento, anche perché altri
problemi, oltre alla nutrizione, possono causare sintomi simili. Comunque, la diagnosi visiva può rappresentare un
importante supporto per l'interpretazione delle analisi del terreno o delle foglie, soprattutto se le osservazioni sono
ripetute periodicamente. Tra le principali limitazioni alla diagnosi rientra il fatto che una carenza può provocare una
data sintomatologia nella prima parte della stagione, mentre l'insufficienza di un altro elemento può manifestarsi a
stagione avanzata. Inoltre si deve essere consapevoli dell'azione dei fattori ambientali e della loro influenza sugli
alberi; per esempio, anormalità nei frutti e nella chioma possono essere ricondotti a una tecnica irrigua irrazionale o
a problemi nel terreno. Un eccesso d'acqua può indurre carenza di ferro; un apporto insufficiente, di contro, limita
l'accrescimento, riduce l'intensità del colore nelle foglie, e abbassa i livelli produttivi.
Analisi dei tessuti
L'analisi dei tessuti coinvolge le parti dell'albero capaci di esprimere le reali concentrazioni in nutrienti. Le foglie
sono tra i migliori indicatori dello stato di nutrizione dell'albero anche se la loro composizione varia in funzione
dell'età, delle condizioni climatiche al momento del prelievo, della disponibilità di elementi minerali nel suolo, delle
pratiche colturali e di altri fattori. D'altra parte il livello di minerali nutritivi nella foglia integra l'azione di tutti questi
fattori e così riflette il complessivo stato nutritivo dell'olivo. Le concentrazioni ottimali di differenti elementi, i livelli
critici al di sotto dei quali si verifica la carenza e i livelli al di sopra dei quali si può sviluppare tossicità sono stati tutti
determinati per l'olivo sia con prove di campo sia con allevamento di alberi in contenitore (tab. l0.2).
I risultati delle analisi fogliari possono essere confrontati con questi valori standard per determinare l'attuale stato
nutritivo e le future esigenze. L'esempio della tabella l0.2 segnala per la varietà Bosana una grave carenza per
fosforo e potassio, di cui solo la prima può essere riconducibile alla naturale povertà in questo elemento dei suoli
calcarei del Sassarese. L'analisi fogliare può aiutare a confermare un sintomo visivo o ad identificare un problema
potenziale che non si è ancora manifestato. I risultati dell'analisi fogliare sono meglio utilizzati in un programma di
fertilizzazione a lungo termine o per prevenire un problema che va sviluppandosi. Nell'interpretare le analisi fogliari,
si deve essere a conoscenza del modello di utilizzo stagionale dei nutrienti da parte dell'albero. Alla schiusura della
gemma in primavera, quando l'attività radicale è minima, molti elementi accumulati nel fusto e nelle radici
divengono disponibili per le gemme in attiva crescita. La gran parte di N, P, K e Zn si muove dai tessuti di riserva
(per es. dalle foglie più vecchie) verso i punti di crescita. In questa fase risulta importante l'N che l'albero ha
accumulato nell'autunno precedente: presumibilmente più N è stato accumulato, maggiore è la quantità disponibile
per l'allegagione. Quando l'attività radicale si intensifica nel corso della primavera, l'N, così come gli altri elementi,
viene estratto dal terreno con ritmi crescenti. Lo stesso processo si attiva per la maggior parte del P e dello Zn che si
va accumulando nelle foglie in attivo accrescimento. Pertanto questi elementi, come l'N, devono inizialmente essere
prelevati dai tessuti di riserva. Invece il Ca, essenziale per la formazione delle pareti cellulari, non è ridistribuito ma
proviene direttamente dal terreno attraverso l'assorbimento radicale; con il progredire della stagione si accumula
nelle foglie e raggiunge i suoi livelli più elevati a fine estate. Anche Mg, B, Cl e Na tendono ad aumentare, ma in
misura minore rispetto al Ca. Pertanto la concentrazione di nutrienti minerali nelle foglie varia in funzione dell'età e
dimensione del lembo fogliare, ma le variazioni sono minime (foglie stabilizzate) nel periodo compreso tra fine
giugno e primi di agosto. I campioni di foglie di olivo dovrebbero essere quindi prelevati in questo intervallo di
tempo poiché i livelli critici di riferimento sono stati definiti per questa fase del ciclo annuale. D'altra parte se il
campionamento ha come obiettivo la comparazione dello stato nutritivo di alberi in condizioni ottimali con altri non
in buone condizioni, il prelievo può essere fatto in qualsiasi momento purché si sia consapevoli della dinamica
stagione.
Le foglie da utilizzare per le analisi sono quelle adulte presenti nella parte centrale di germogli non fruttiferi, con
prelievi eseguiti tra la fine di giugno e l'inizio di agosto. E' sufficiente un campione di 80 - 100 foglie se relativo a un
blocco omogeneo di alberi. Questo significa che alberi di differenti varietà o differente età, alberi su differenti
tipologie di terreno e alberi sottoposti a metodi irrigui diversi, dovrebbero essere campionati separatamente. I
campioni saranno costituiti da poche foglie prelevate dal numero più alto possibile di alberi, scelti a caso
nell'oliveto. Si dovranno scartare tutte le foglie che si presentino anormali o le foglie provenienti da alberi anormali,
a meno che questo non sia il problema che si vuole risolvere. In quest'ottica, le foglie o gli alberi anormali
dovrebbero essere campionati separatamente.
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Analisi del terreno
Le colture arboree, compreso l'olivo, hanno un sistema radicale molto espanso che occupa un volume di terreno più
ampio di quello impegnato dalla maggior parte delle colture annuali. Poiché, soprattutto in Sardegna, il suolo può
variare di molto entro un'area non tanto ampia, può essere difficile prelevare un campione di terreno che
rappresenti con precisione la zona esplorata dalle radici e i livelli di nutrienti a loro disposizione. In aggiunta a ciò, i
valori di riferimento per l'interpretazione delle analisi del terreno agrario in relazione alla coltivazione dell'olivo, e
dei fruttiferi in genere, non sono ancora del tutto definiti. Perciò è difficile diagnosticare la maggior parte degli
squilibri nutritivi servendosi esclusivamente dell'analisi del suolo. Questa, comunque, è di aiuto nel valutare, in fase
di pre impianto, eventuali fenomeni di carenza o tossicità, nel quantificare gli apporti degli ammendanti (correttivi),
nell'integrare i risultati dell'analisi visiva e fogliare. La tabella 10.3 e la tabella l0.4 riportano gli standard di
riferimento per i principali elementi nutritivi per una generica coltura agraria.
In generale, i campioni di terreno possono essere prelevati per l'analisi in qualsiasi momento, poiché il livello dei
nutrienti nel suolo è relativamente stabile. Vi sono, comunque, delle avvertenze di cui tenere conto; in condizioni di
persistente umidità del suolo l'N è soggetto a perdite per denitrificazione e il suo livello dopo una lunga stagione
piovosa può essere più basso di prima. In molti terreni i nitrati, il cloro e in una qualche misura il boro possono
essere dilavati dalle piogge invernali e dall'irrigazione. Un cambiamento nella fonte di approvvigionamento idrico
può, in breve tempo, modificare il contenuto in sali solubili dei primi centimetri di terreno. L'interpretazione delle
analisi del terreno per gli elementi minerali dovrà, quindi, tenere da conto questi cambiamenti. La procedura di
campionamento dipende dal problema cui si vuole dare una risposta e dall'entità della superficie coinvolta; in linea
di massima si dovrebbero campionare da 3 a 10 punti in ogni oliveto. Poiché, inoltre, la composizione del terreno
cambia in funzione della profondità, è opportuno prelevare separatamente il campione superficiale (da 15 a 30 cm),
e i successivi strati per intervalli di profondità di prelievo di 30 cm. I campioni prelevati alla stessa profondità, ma
provenienti da differenti distanze dal tronco, devono essere riuniti, mentre le differenti profondità di prelievo devono
essere mantenute separate. I campioni dovrebbero rappresentare la composizione dell'effettivo profilo di suolo
esplorato dalle radici. L'impiego di una trivella può semplificare di molto il prelievo; di solito un campione di un litro
di terreno è sufficiente per le esigenze del laboratorio.
Ruolo dei diversi nutrienti e tecniche di concimazione
Il comportamento nel suolo di ogni nutriente o gruppi di nutrienti è riassunto qui appresso. I nutrienti aggiunti come
fertilizzanti, quando entrano nella soluzione circolante, si comportano esattamente allo stesso modo di un nutriente
di origine organica; le radici della pianta non sono in grado di distinguere se un nutriente proviene da una sorgente
organica o inorganica.
Azoto e principali fertilizzanti
Come detto, la maggior parte dell'N è presente nel terreno in forma organica risultando indisponibile per le radici
delle piante. La mineralizzazione della sostanza organica fa sì che l'N sia lentamente rilasciato alla soluzione
circolante da dove le radici possono assorbirlo. La quantità rilasciata, comunque, è di solito insufficiente per
rimpiazzare l'N perso dall'albero attraverso la raccolta e la potatura. L'N si trova nella soluzione circolante
principalmente come nitrato (NO3 -), ammonio (NH4 +), ed urea (NH2 -CO-NH2 ). Il nitrato, essendo un anione, è molto
solubile e non è adsorbito dalle particelle del suolo, così che può muoversi rapidamente verso le radici della pianta.
Esso può essere anche lisciviato dal terreno quando l'acqua lo porta oltre la zona radicale. Anche l'urea risulta
piuttosto mobile. L'ammonio, d'altra parte, ha una carica positiva ed è adsorbito come un catione scambiabile sulla
superficie dei minerali argillosi carichi negativamente; pertanto la sua mobilità è limitata. L'ammonio eventualmente
presente alla superficie del terreno si decompone come gas ammoniaca e può essere perso nell'atmosfera;
l'interramento del fertilizzante riduce evidentemente le perdite. L'ammonio applicato alla superficie del terreno non
compie nel suolo grandi spostamenti, eccetto che in quelli molto sabbiosi. L'olivo, come le altre colture, risponde
prontamente alle concimazioni azotate, ma se si esagera la pianta è più facilmente soggetta ad attacchi parassitari
e all'alternanza produttiva. L'azoto nitrato (NO3 -N) presente nell'acqua di falda può fornire significative quantità di
azoto alle colture e di esso si dovrebbe tenere conto quando si programma il piano di concimazione; gli oliveti
irrigati con acque sotterranee, o ancor di più con acque reflue o con acque di vegetazione (come previsto dalla
legge n° 574 del 11/11/1996), possono ricevere per tale via quantità importanti di nutrienti.
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Un'altra importante fonte di N è data dall'acqua di irrigazione che può apportare N in quantità variabili tra 6 e 60
kg/ha/anno in riferimento ai primi 30 cm di suolo irrigato. I livelli di N influenzano direttamente l'allegagione, le rese
e l'accrescimento dei germogli. Molte prove di campo svolte nelle più diverse aree olivicole hanno segnalato
incrementi di produzione e sviluppo nell'olivo a seguito della concimazione azotata. La risposta della coltura è tanto
maggiore quanto minore era la disponibilità di N nel terreno e nelle foglie. Le fertilizzazioni fogliari, per il loro basso
costo, sono di norma utilizzate per correggere carenze momentanee di N. La concimazione di produzione applicata
attraverso il terreno può servirsi di una articolata gamma di fertilizzanti, da quelli semplici (contenenti solo N come
l'urea o i diversi nitrati) a quelli ternari, ancora molto diffusi, dove l'N si accompagna a P e K.
A fianco dei tradizionali fertilizzanti si collocano altre due categorie di concimi: gli azotati a lento effetto e gli
organo-minerali. I primi sono capaci di cedere lentamente e continuativamente l'N evitando le perdite per
lisciviazione e come ammoniaca gassosa e assicurando alla coltura la costante disponibilità del nutriente; tra di essi
rientrano i concimi a bassa solubilità come l'urea formaldeide, i fertilizzanti incapsulati con cere, polimeri o zolfo, e
quelli incorporati in matrici quali argille e cere. I secondi sono ottenuti o da sostanze organiche di scarto (stallatico,
pollina, alghe marine, borlande, ecc.) sottoposte a fermentazione, ovvero da sostanze umiche miscelate con
differenti elementi nutritivi. Sia i concimi azotati a lento effetto che gli organo-minerali hanno un costo di gran lunga
superiore a quello dei tradizionali fertilizzanti; i secondi hanno evidenziato una sinergia tra la quota organica e
quella minerale che, in frutticoltura e viticoltura, ha indotto positive ricadute sulla qualità organolettica della
produzione.
Una nuova frontiera della fertilizzazione organica è la così detta "concimazione verde" relativa al modello agricolo
"biologico" (Reg. CEE n° 2092/91). Essa prevede di conservare la fertilità del terreno mediante l'inserimento di
colture intercalari e consociate, ovvero con il riciclaggio di materiale organico prodotto dalla stessa azienda o da
aziende "biologiche" al fine di evitare l'introduzione nel sistema di metalli pesanti, residui di erbicidi, fitofarmaci,
antibiotici, ecc. Poiché in ambiente mediterraneo queste tecniche non sono sovente in grado di conservare la
fertilità del terreno, diventa indispensabile il ricorso ai fertilizzanti ausiliari, definibili come quei prodotti "non
derivanti direttamente dal comprensorio (o sistema) agroecologico considerato ma da sistemi differenti non
funzionalmente collegati a questo". La normativa europea che regola i metodi di produzione biologica prevede la
possibilità di utilizzare i fertilizzanti ausiliari, dettando al contempo specifiche limitazioni nella loro composizione e
nelle condizioni di impiego. L'elenco dei prodotti ammessi e le limitazioni poste compaiono nell'Allegato II, parte A
del già citato Reg. CEE 2092/91 e successive modifiche; poiché le denominazioni dei prodotti non sempre
corrispondono a quanto riportato nella normativa nazionale (L. 748/84), alcuni formulati "biologici" non trovano
corso in Italia. Il principio di fondo resta, comunque, che ogni mezzo tecnico impiegato in agricoltura biologica deve
essere autorizzato per l'agricoltura generale, mentre non è ovviamente accettabile l'opposto. L'unità fertilizzante
"ausiliare" raggiunge costi sovente ancora più elevati dei concimi a lento effetto e organo-minerali. La tabella l0.5 e
la tabella l0.6 propongono due tra le tante opzioni percorribili per la concimazione di base e di produzione
dell'oliveto "biologico"; si ricorda che l'olivicoltura integrata e biologica ha grande diffusione in Sardegna, soprattutto
tra le aziende di dimensioni medio - piccole.
Per quanto attiene il dosaggio dei fertilizzanti (sia tradizionali che innovativi), la pianificazione dovrebbe prevedere
il ricorso sistematico all'analisi fogliare per monitorare i cambiamenti annuali nei livelli di N e aiutare a programmare
le future concimazioni. Si deve, comunque, tenere presente che l'N deve essere assorbito dall'albero entro febbraio
per influenzare positivamente la formazione del fiore, la schiusura delle gemme, il germogliamento e l'allegagione.
E' pratica diffusa applicare l'N durante l'inverno subito dopo la raccolta; in tal caso si deve tenere presente che
l'assorbimento radicale di N è più basso in inverno. Inoltre se si dovesse ricorrere all'urea, che notoriamente offre il
più basso costo per unità fertilizzante, si può perdere N sotto forma ammoniacale se la concimazione non è seguita
da una leggera lavorazione, o da un'irrigazione o da una pioggia di buona intensità. L'obiettivo dei fertilizzanti
azotati è quello di mantenere i livelli fogliari tra 1,5 e 1,8 per cento. Questo comporta un adeguato (ma non
eccessivo) sviluppo dei germogli che si mantengono tra i 25 - 60 cm di lunghezza e costituiscono le premesse per
un'ottimale fioritura e allegagione. Negli oliveti irrigui da mensa, come quelli californiani, è pratica comune applicare
da 450 a 900 g di N (elemento) per albero; ciò comporta, con 250 alberi/ha, la distribuzione di quantità di elemento
comprese tra 113 e 225 kg/ha/anno. Queste dosi sembrano eccessive e sono certo superiori a quelle utilizzate in
ambiente mediterraneo, anche in irriguo; inoltre, apporti così elevati sottintendono un diverso modello di gestione
dell'oliveto dove, ad esempio, la potatura è frequente ed intensa.
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di Cagliari, Oristano e Nuoro
Si ricorda a tale proposito che il Programma regionale agro-ambientale della Sardegna per le produzioni integrate
(Reg. 2078/92 della CEE) prevede per l'olivo apporti di N,P e K nell'ordine pari a 84, 60, 60 in coltura irrigua e 70,
50 e 50 in quella condotta in asciutto (tabella l0.7).
Fosforo
La disponibilità di P dipende sia dal pH del terreno sia dalla quantità di P presente. Un pH dal neutro al subacido
(da 7 a 6) incrementa la disponibilità di P. Risulta molto meno mobile nel terreno dell'azoto (tranne che nei suoli
sabbiosi) e quindi poco esposto al dilavamento; di contro sia nei terreni calcarei, dove di frequente è inserito l'olivo
(Sassarese, Bosano, Trexenta, ecc.) che in quelli acidi (terreni granitici) viene bloccato dal calcio, nei primi, o da
ferro e alluminio, nei secondi, e reso disponibile in quantità modesta e solo dopo lungo tempo (anche un anno dalla
concimazione). Per questo motivo assume grande rilevanza la concimazione "di base", cioè quella effettuata in
preimpianto che deve comprendere forti apporti sia di fosforo che di potassio abbinati alla sostanza organica per
favorire l'assorbimento dei due citati elementi chimici (tabella l0.5 , tabella l0.8 e tabella l0.9). I concimi più
importanti sono dati dai fosfati solubili, anch'essi largamente soppiantati dai concimi ternari e limitati di norma alla
sola concimazione "fondamentale". In questo caso si deve utilizzare un fosfatico a reazione acida (come il perfosfato
minerale, che contiene il 50% di solfato di calcio) nei terreni alcalini, ovvero a reazione alcalina (come le scorie
Thomas, che contengono il 45% di ossido di calcio) nei suoli acidi. Si ricorda che un eccesso di fosforo, legato a forti
concimazioni, ostacola l'assorbimento dell'azoto, così come un frequente ricorso ai nitrati può provocare un
acidificazione del suolo e maggiori difficoltà di assunzione per quasi tutti gli elementi chimici. Altri importanti
formulati sono dati dai perfosfati concentrati con titoli compresi tra il 35 e il 45% di anidride fosforica solubile in
acqua (forma sotto la quale la pianta assorbe il fosforo), e dai metafosfati con titoli anche del 65%. L'analisi del
terreno determina il contenuto in fosforo sotto forma di "anidride fosforica assimilabile", ma il certificato di analisi
deve esprimere il risultato (a norma della G.U. n. 248 del 21/10/99) come elemento (il valore di P si ottiene
dividendo la P2 O5 per 2,29); l'interpretazione dei risultati deve essere svolta in funzione del pH (che modifica anche
la scelta dell'estraente), della tessitura e della CSC (tabella l0.4).
Potassio
Le piante richiedono una grande quantità di K che viene prelevato dalla soluzione circolante; qui la concentrazione
del K è normalmente molto bassa (di norma l'1%) con valori tanto più bassi quanto maggiore è la presenza di
minerali argillosi. Il terreno, al fine di mantenere l'equilibrio, rilascia il K alla soluzione circolante man mano che la
coltura lo assorbe. Poiché la mobilità del K nel terreno è abbastanza bassa, la fertilizzazione nei suoli ricchi di
minerali argillosi può risultare difficile. Il K applicato alla superficie del terreno tende ad essere fissato nei primi cm
di suolo. Il potassio migliora l'arido-resistenza delle colture, favorisce l'accumulo di zuccheri e grassi aumentando
pertanto la resa in olio delle olive. Non va però dimenticato che un eccesso di potassio ostacola l'assorbimento di
calcio e magnesio, e viceversa.
Bassi livelli di K nelle foglie e sintomi di carenza sono di norma registrati solo negli oliveti su terreni superficiali e
poco fertili. I livelli di K nel suolo non sono ben correlati con i livelli registrabili nelle foglie o con i sintomi di carenza
(tab. l0.1). Comunque, le sintomatologie fogliari dovute alla carenza di K possono manifestarsi anche molto dopo
che i livelli fogliari hanno raggiunto valori critici. Quindi è importante monitorare questo nutriente negli oliveti
realizzati su suoli sabbiosi o dove sono stati fatti importanti movimenti di terra poiché i fruttiferi mostrano in queste
condizioni sintomi di carenza di K. Ricerche a livello mondiale hanno trovato una correlazione tra alte produzioni e
alti livelli di K fogliare. I livelli di K nelle foglie differiscono tra l'annata di carica e quella di scarica, ma sono sempre
al di sopra dei livelli critici in un oliveto sottoposto a normali fertilizzazioni. La carenza di K può essere corretta più
facilmente nei suoli sabbiosi piuttosto che in quelli argillosi o limosi. Applicazioni di solfato di K (K2 SO4 ) eseguite
all'inizio dell'inverno alle dosi di 5 - 10 kg/albero dovrebbero essere sufficienti per diversi anni. Il cloruro di K (KCl) è
meno costoso, ma a causa del Cl esso non dovrebbe essere usato nei suoli sabbiosi o sabbio limosi. Anche apporti
fogliari di nitrato di K possono risultare utili in caso di carenza, così come i formulati specifici da apportare per
fertirrigazione.
Benché molti terreni sardi siano ben dotati in potassio, la presenza per molti anni di una coltura agraria in uno
stesso terreno può ridurre questa dotazione naturale rendendo indispensabile la concimazione chimica. I principali
concimi potassici sono il solfato di potassio (a reazione acida e quindi da preferirsi nei terreni alcalini) e il nitrato di
potassio a reazione pressoché neutra.
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Anche il potassio viene di norma apportato al terreno mediante i concimi complessi, in particolare i ternari. Come
già segnalato per il P, l'analisi del terreno valuta il contenuto di potassio come "ossido di potassio scambiabile" ma il
certificato lo riporta come K (per passare da K2 O a K si divide per 1,205); nel valutare la disponibilità di questo
catione, si deve fare riferimento alla CSC del terreno (tabella l0.3 e tabella 10.4) e ai rapporti con altri importanti
cationi. In definitiva il K deve coprire il 2 - 4% dei siti della CSC e fornire un rapporto magnesio/potassio compreso
tra 2 e 5.
Calcio e magnesio
Ca e Mg sono strettamente correlati poiché il loro chimismo nel suolo è simile. Dei 14 nutrienti essenziali, Ca e Mg
sono quelli che si ritrovano nella soluzione circolante nella più grande quantità. La loro disponibilità è largamente
controllata dal processo di scambio cationico in quanto occupano di norma dall'80% al 90% dei siti scambiabili dei
terreni produttivi. Gli ioni di Ca possono occupare sino all'80% di questi siti. Nei suoli molto acidi, Ca e Mg sono di
solito lisciviati, e i siti in precedenza occupati dal Ca sono impegnati da altri cationi come H e Al. La correzione si
realizza con l'apporto di calce (carbonato di Ca) o calce dolomitica (carbonato di Ca e Mg, CaMg (CO3 )2 ); la
quantità di calcio da somministrare al terreno può essere così valutata:
(grado di reazione ritenuto ottimale - grado di reazione rilevato dall'analisi) (quantità di argilla rilevata dall'analisi + 5
volte la quantità di sostanza organica indicata sempre dall'analisi del terreno) (0,25).
Pertanto se il grado di reazione ottimale è 7 e il grado rilevato nell'oliveto è 6, e se il terreno ha un contenuto
d'argilla pari al 30% e un 2% di sostanza organica si avrebbe:
(7 - 6) (30 + 5 x 2) (0,25) = 1 x 40 x 0,25 = 1 tonnellata di calce viva per ettaro.
Se, invece, il terreno è già occupato dall'oliveto, è preferibile utilizzare la calce "spenta" o idrata; nei casi meno gravi
è sufficiente, come già ricordato, utilizzare concimi ricchi di calcio, come il nitrato di calcio, le scorie Thomas, i fosfati
naturali o specifici prodotti per la calcitazione contenenti sia calce idrata che carbonato di calcio finemente
macinato. Il calcio può essere presente anche in quantità eccessiva; infatti, benché l'olivo sia in grado di tollerare
valori molto elevati di calcare ( terreni alcalini con grado di reazione compreso tra 7,5 e 8,0), l'accrescimento rallenta
per valori superiori anche perché con pH prossimi a 9 è probabile la presenza di un eccesso di magnesio e/o di
sodio. Una saturazione della CSC in Mg e Na per percentuali nell'ordine superiori a 12 e 2% (tabella l0.3)
compromette la struttura del terreno, ostacola l'assorbimento dell'acqua, riduce lo sviluppo e le produzioni.
La pericolosità del sodio va, comunque, valutata in rapporto al contenuto in calcio del terreno, nel senso che una
forte presenza di quest'ultimo elemento limita l'influenza negativa del sodio. Come già ricordato a proposito
dell'irrigazione il problema "sodio" ha assunto in questi ultimi anni un'importanza crescente per l'ingresso di acqua
marina nelle falde in seguito a sfruttamenti eccessivi abbinati ad annate siccitose; in questo contesto l'olivo può
rappresentare una valida alternativa colturale per la sua elevata resistenza sia alla salinità totale che alla sodicità,
soprattutto se si utilizzano alcune varietà locali. Ma anche la rusticità dell'olivo ha dei limiti, ovvero richiede degli
aiuti che di norma consistono in abbondanti irrigazioni per dilavare il sodio (ovviamente con acque non salmastre),
uso di concimi a reazione acida e in modo particolare apporto di gesso. Il gesso infatti è formato da solfato di calcio
che, interagendo col sodio, forma solfato di sodio, sostanza insolubile e quindi poco attiva e poco pericolosa.
Occasionalmente, la deficienza di Mg si manifesta negli oliveti su terreni neutri sabbiosi. La fertilizzazione con
solfato di Mg corregge questa carenza.
Zolfo
Lo S si trova in soluzione come ione solfato (SO4 2-). C'è una piccola tendenza del solfato ad essere adsorbito sulle
particelle del terreno in certi suoli acidi, ma in genere risulta mobile. Molto di frequente si utilizzano fertilizzanti
contenenti S (come solfato di ammonio, superfosfato, fertilizzanti miscelati) che soddisfano le esigenze delle colture.
Notevoli quantità di S sono anche rilasciate nel suolo dalle piogge. Le sorgenti di questo S atmosferico includono le
emissioni delle ciminiere industriali, gli scarichi automobilistici e i vulcani.
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Ferro e manganese
La disponibilità di Fe e Mn è in larga parte controllata dalla solubilità dei loro ossidi. Nei suoli ben aerati, la forma
ossidata ferrica, che ha una bassa solubilità, è dominante. Lo ione manganoso (Mn2+) si ossida dopo esser
precipitato, producendo diossido di Mn. La solubilità degli ossidi di Fe e di Mn dipende dal pH: la solubilità decresce
rapidamente all'aumentare del pH. La maggior parte dei suoli contengono Fe e Mn a sufficienza per la crescita delle
piante. Le carenze si verificano perché questi elementi sono indisponibili per le piante nei suoli con i pH più elevati.
La via più facile per porre rimedio è quella di correggere il suolo con S, che è quindi convertito in acido solforico dai
microrganismi.
L'esaurimento dell'O nei suoli (sovente per ristagno idrico) provoca condizioni riduttive nel terreno. Quando questo
si verifica, l'ossido ferrico e il diossido di Mn possono essere ridotti per produrre alte concentrazioni di ioni ferroso e
manganoso. Un eccesso di questi ioni risulta tossico per le radici delle piante. L'olivo è una delle specie arboree
coltivate più resistenti alla clorosi ferrica, cioè all'indisponibilità del Fe per una presenza eccessiva di calcare.
Zinco e rame
Probabilmente i processi di adsorbimento specifico dominano la disponibilità di Zn e Cu. La loro quantità nel suolo
è di gran lunga inferiore a quella di Fe e Mn, ma come quegli elementi essi sono fortemente adsorbiti ai pH più alti,
meno a quelli più bassi. Un suolo con un pH prossimo a 6,5 rappresenta il punto di passaggio: a pH più elevati la
disponibilità può essere seriamente compromessa. Anche le quantità presenti e l'estensione di superficie che li può
specificatamente assorbire influenzano la loro disponibilità in un dato terreno. Quando si verifica una carenza, è
spesso difficile correggerla aggiungendo materiali con Cu o Zn a causa della loro immobilità nel suolo. Come col Fe
e il Mn, può essere utile acidificare il suolo.
Boro
Il B si trova nella soluzione del terreno come acido borico neutro (H3 BO3 ) e, nella stessa quantità, come anione
borato (H2 BO3-) nei suoli a pH basico. L'intervallo di concentrazione del B che da luogo a un buon accrescimento
delle colture è limitato: se la concentrazione nella soluzione circolante è al di sotto di questo valore, si verifica una
carenza, se è al di sopra tossicità. La tossicità da B non è frequente nell'olivo, mentre più diffusa risulta la carenza
che provoca difficoltà di allegagione, fioriture ridotte e forte cascola estiva dei frutticini. I problemi possono essere
facilmente risolti con l'apporto di borace al piede delle piante nella quantità di 200- 400 g/albero.
Molibdeno e cloro
La quantità di Mb richiesta dalle piante è davvero piccola. Si ritrova nel suolo come ione molibdato (MoO4 2-). Nei
suoli acidi è allontanato dalla soluzione circolante mediante adsorbimento specifico, come già visto per il fosfato. Le
esigenze in Cl dell'olivo sono anch'esse molto piccole. Si ritrova nel suolo come il più mobile ione cloruro (Cl-). Il Cl
è aggiunto all'atmosfera dagli aerosol marini trasportati dai venti. Il suolo riceve dalle piogge una quantità di Cl
sufficiente a soddisfare le esigenze delle piante. La tossicità da Cl è un problema più serio della carenza, ma poiché
lo ione cloruro è abbastanza mobile, esso è lisciviato con facilità dal profilo esplorato dalle radici in presenza di
quantità adeguate di acqua.
Conclusioni
Un ettaro di oliveto asporta ogni anno 25 kg di azoto, 11 di anidride fosforica e 30 di ossido di potassio, valori
inferiori a quelli della maggior parte dei fruttiferi commerciali. La produzione di una tonnellata di olive richiede,
invece, 9 kg di azoto, 2 di fosforo e 10 di potassio; và però sottolineato che non ci si può limitare alla sola
restituzione delle quantità asportate, perché così facendo non si terrebbe conto delle perdite dovute alle piogge, che
trasportano in profondità soprattutto l'azoto, all'azione bloccante del terreno, che trattiene soprattutto fosforo e
potassio rendendoli indisponibili per le radici, all'assunzione dei nutrienti da parte di erbe infestanti presenti durante
la stagione autunno-vernina, ecc.
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Poiché nel contesto regionale l'analisi fogliare è pressoché sconosciuta, mentre una certa diffusione ha avuto di
recente l'analisi del terreno, si ritiene opportuno suggerire un metodo "approssimato" di stima delle esigenze che, se
unito alla diagnostica visiva e aggiustato ogni anno sulla base dei risultati quanti-qualitativi forniti dall'oliveto, può
risultare di una certa utilità. Si tratta di calcolare gli apporti (fig. l0.2) in base alle differenze tra le soglie ottimali di
nutrienti del suolo e i valori osservati all'analisi del terreno per lo strato esplorato dalle radici.
Figura 10.2 - Metodo di stima delle
esigenze nutritive sulla base dell'analisi
del terreno.
Per gli olivicoltori che non disponessero neanche dell'analisi del terreno si propone una tra le tante possibili formule
di concimazione, dando la preferenza a quei formulati più facilmente reperibili sul mercato regionale e di più basso
costo (tabella l0.6). Oggi l'olivicoltore o, più probabilmente il tecnico, possono anche utilizzare degli specifici
software per calcolare le formule di concimazione in base a modelli capaci di predire gli effetti di una o più variabili
con effetti quantificabili sulle produzioni; il modello richiede un ampio panorama di conoscenze sull'equilibrio delle
disponibilità produttive, sulla mineralizzazione della sostanza organica, sul sistema biologico, sul clima dell'area
interessata, ecc. Le applicazioni pratiche, soprattutto in olivicoltura, sono sporadiche.
La concimazione fogliare, infine, ha mostrato di essere utile solo in presenza di carenze di microelementi (piuttosto
rare in olivicoltura) ovvero di oliveti che non ricevevano apporti fertilizzanti, avevano contenuti di N fogliare molto
bassi e ricadevano su suoli superficiali e poco fertili.
Decisamente positivi, invece, i risultati dell'applicazione di tecniche di fertirrigazione. Gli oliveti dotati di impianto di
irrigazione localizzata possono apportare tutti gli elementi in fase liquida ovvero limitarsi al solo azoto, dando
fosforo e potassio in forma tradizionale. Per gli oliveti intensivi dotati di impianti di irrigazione localizzata è possibile
apportare la totalità dei nutrienti esclusivamente per fertirrigazione col ricorso ad appositi fertilizzanti liquidi (la cui
unità fertilizzante ha un costo elevato) ovvero con l'utilizzo della più economica urea, apportando 50 - 100 g di urea
per pianta con cadenza mensile già da novembre - dicembre e sino ad agosto-settembre. L'esteso ricorso alla
fertirrigazione è motivato dalla localizzazione dei fertilizzanti in prossimità delle radici che si concentrano al di sotto
degli erogatori, con conseguente riduzione delle perdite e dei costi di spandimento.
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Tabella 10.2 - Linee guida per l'interpretazione delle analisi fogliari e valori osservati sulla Bosana (g/100 g di
s.s.)(1).
Elemento
Concentrazione
di riferimento
Sintomi visivi di carenza
Bosana, media di un
biennio
Azoto
Carente al di sotto
di
1,4%
Adeguato
1,5 - 2,0 %
foglie piccole e giallognole, germogli corti
1,42
0,1 - 0,3%
sconosciuti
0,06
Carente al di sotto
di
0,4%
foglie verde-chiaro con apice necrotico
0,31
Adeguato
>0,8%
>1,0%
sconosciuti
1,92
>0,1%
sconosciuti
0,17
Fosforo
Adeguato
Potassio
Calcio
Adeguato
Magnesio
Adeguato
Sodio
Eccessivo se
>0,2%
0,16
Boro
Carente al di sotto
di
14 ppm
frutti deformi, foglie piccole con apice secco, corteccia
ruvida
non determinato
Adeguato
19 - 150 ppm
Eccessivo se
>185 ppm
>4 ppm
sconosciuti
27,5
Adeguato
>20 ppm
sconosciuti
41,3
carente al di sotto
di
sconosciuto
sconosciuti
13,8
sconosciuto
sconosciuti
13,8
Rame
Adeguato
Manganese
Zinco
carente al di sotto
di
(1)Foglie prelevate con tecniche standard nel mese di luglio. I dati della Bosana si riferiscono a un tradizionale oliveto del Sassarese su suoli calcarei aridi
e superficiali
Tabella 10.3 - Valori standard per l'interpretazione dell'analisi del terreno agrario (G. U. n. 248 del 21/10/99).
Sostanza organica:
20 - 25‰
Azoto totale:
1,0 - 1,5‰
Rapporto C/N:
~ 10 (>10, bassa mineralizzazione; <10, alta mineralizzazione)
Fosforo assimilabile:
12 - 40 ppm
Potassio assimilabile:
70 - 140 ppm
% Calcio nella CSC:
65 - 88%
% Potassio nella CSC:
2 - 4%
% Magnesio nella CSC:
6 - 12%
% Sodio nella CSC:
fino al 2%
Rapporto Calcio / Magnesio:
6 - 12
Rapporto Magnesio / Potassio:
2-5
CSC totale:
10 - 20; <10, cationi troppo mobili; >20, cationi poco mobili
Microelementi
Fe:
da 5 a 30 ppm
Mn:
da 2 a 10 ppm
Zn:
da 1 a 10 ppm
Cu:
da 0,5 a 1 ppm
Tabella 10.4 - Valori di riferimento per l'interpretazione dei contenuti in fosforo, potassio, calcio e magnesio.
Interpretazione dei livelli di nutrienti fosforici nel suolo (ppm)
Estrazione Olsen
Estrazione simultanea
(SOL-TANPOUR e SCHWABB)
molto alta
> 25
> 12
alta
18 ÷ 25
8 ÷ 11
media
10 ÷ 17
5÷7
bassa
5÷9
2÷5
molto bassa
<5
<2
Classe
Valori di riferimento per Potassio, Magnesio e Calcio (ppm)
Tessitura
CSC Bassa
(terreni
grossolani)
CSC Media
CSC Media
franchi)
CSC Alta
(terreni
pesanti)
CSC
meq/ 100 g
Interpretazione
quasi 5
molto alta
alta
media
bassa
molto bassa
> 100
60 ÷ 100
30 ÷ 60
15 ÷ 30
< 15
> 60
25 ÷ 60
10 ÷ 25
5 ÷ 10
<5
> 800
500 ÷ 800
200 ÷ 500
100 ÷ 200
< 100
quasi 15
molto alta
alta
media
bassa
molto bassa
> 300
175 ÷ 300
100 ÷ 175
50 ÷ 100
< 50
> 180
80 ÷ 180
40 ÷ 80
20 ÷ 40
< 20
> 2400
1600 ÷ 2400
1000 ÷ 1600
500 ÷ 1000
< 500
quasi 25
molto alta
alta
media
bassa
molto bassa
> 500
300 ÷ 500
150 ÷ 300
75 ÷ 150
< 75
> 300
120 ÷ 300
60 ÷ 120
30 ÷ 60
< 30
> 4000
3000 ÷ 4000
2000 ÷ 3000
1000 ÷ 2000
< 1000
K
Fonte: FAO - Soil and Plant Testing. Fao Soils Bullettin, 38/2, 1980
Mg
Ca
Tabella 10.5 - Concimazione di impianto dell'oliveto "biologico".
SOSTANZE ORGANICHE
I.
II.
III.
Sostanza organica: Letame maturo da allevamenti "biologici" nell'ordine di 50 t/ha, oppure
Stallatico umificato pellettato (distribuibile con spandiconcime; 3% N, P2 O5 e K2 O; sost. org. 40%; microel.; vit.;
ammin.) oppure
Pollina pellettata (distribuibile con spandiconcime; 3% N, P2 O5 e K2 O; sost. org. 70% ; microel.; vit.; ammin.,
microrganismi) oppure
IV.
Sovescio di leguminose (favino, veccia, pisello) oppure
V.
Cuoio e pelli idrolizzate: 8-7-7 +2 MgO+8 SO3+21C (complessi, con N org. a lenta cessione, cessione
graduale, "scagliettato") oppure
VI.
Residui urbani
MINERALI
ogni fosfato naturale tenero (cd < 90 mg/kg di P2 O5 ) oppure
Fosforo:
Potassio:
fosfato naturale G27 (28 P + 45 CaO): 0,8 t/ha, oppure
fosfato naturale di Gafsa (27% P2 O5 + 45% CaO + 2% MgO): O,8 t/ha
sale grezzo di potassio (38% K2 O): 0,5 t/ha oppure
solfato di potassio (50% di K2 O): 0,4 t/ha
Magnesio:
solfato di magnesio (16% di MgO): 0,1 t/ha
Ammendanti:
calce agricola (Ca 70-95; Mg 10 - 20): 0,2 - 0,4 t/ha a seconda dell'acidità
del terreno per 3 - 5 anni. Gesso: 0,5 - 2,0 t/ha in funzione dell'alcalinità
Tabella 10.6 - Ipotesi di concimazione di produzione dell'oliveto asciutto sia tradizionale che condotto con
sistemi "biologici" (t/ha).
EPOCA DI
INTERVENTO
ANNATA
DI CARICA
ANNATA
DI SCARICA
PRODUZIONI BIOLOGICHE
Carica
Scarica
Fine Inverno
0,3 t di 20:10:10
0,3 t di
11:22:16
1,0 t di Letame
Maturo
0,5 t di Letame
maturo
Prefioritura
0,1 t di Nitrato di ammonio
Nessun
apporto
0,3 t di Pollina
0,1 t di Pollina
Giugno-Agosto
(solo in irriguo)
0,1 t di Urea
(frazionato in 5 volte con cadenza
quindicinale)
Nessun
apporto
0,2 t di Pollina
(in due volte)
Nessun apporto
Tabella 10.7 - Quantitativi di fertilizzanti chimici prescritti dal "Programma regionale agro-ambientale" per la
produzione integrata.
AZOTO
kg/ha/anno
FOSFORO
kg/ha/anno
POTASSIO
kg/ha/anno
ARANCIO-LIMONE
100
80
120
PER TUTTE
OLIVO in asciutto
70
50
50
LE COLTURE
OLIVO in irriguo
84
60
60
VITE
80
50
80
Glifosate
PESCO
150
70
150
Glufosinate ammonio
CILIEGIO
120
70
150
Glifosate trimesio
SUSINO
100
70
150
MELO - PERO
80
70
120
SPECIE
DISERBANTI
Principio attivo
Tabella 10.8 - Differenti proposte per la concimazione di impianto dell'oliveto su terreni subacidi.
SOSTANZA ORGANICA:
1. letame maturo nell'ordine di 50 t/ha, oppure
2. pollina (distribuibile con lo spandiconcime) oppure
3. sovescio di leguminose (favino, veccia, pisello) oppure
4. residui animali o residui urbani.
CONCIMI CHIMICI:
FOSFORO: (P)
POTASSIO: (K)
TERNARIO a basso titolo di azoto
1. scorie Thomas (18 P + 45 CaO) : 1 - 1,2 t/ha, oppure
2. fosfato naturale G28 (28 P + 45 CaO): 0,8 t/ha, oppure
3. fosfato bicalcico (40 P + 46 CaO): 0,6 t/ha.
1. salino potassio (38 K2 0): 0,5 t/ha, oppure
2. cloruro di potassio (61 K2 0): 0,3 t/ha.
(8:24:24): 0,8 t/ha
Ammendanti: 1. calce agricola (Ca 70-95; mg 10 - 20): 0,2 - 0,4 t/ha a seconda dell'acidità' del terreno per 3 - 5 anni
Tabella 10.9 - Differenti proposte per la concimazione di impianto dell'oliveto su terreni subalcalini.
SOSTANZA ORGANICA:
1. letame maturo nell'ordine di 50 - 100 t/ha oppure
2. pollina (distribuibile con lo spandiconcime)
3. sovescio di leguminose (favino, veccia, pisello) oppure
4. residui animali o residui urbani
CONCIMI CHIMICI:
FOSFORO: (P)
POTASSIO (K)
TERNARIO a basso titolo di azoto
1. perfosfato minerale (18 P + 40 CaSO4 ) : 1,0 - t/ha oppure
2. fosfato biammonico (18-46): 0,5 t/ha
1. salino potassio (38 K2 O): 0,5 t/ha oppure
2.: solfato potassico
(8:24:24S): 0,8 t/ha oppure
(11: 22:16S): 0,4 - 0,6 t/ha
AMMENDANTI: 0,5 - 0,2 t/ha di gesso (CaSO4 ) in relazione ai risultati dell'analisi del terreno
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Capitolo 11 - Potatura e forma di allevamento
Obiettivi
Sono riportate le principali operazioni di potatura e un'analisi delle forme di allevamento, quest'ultima rapportata
alle esigenze delle varietà sarde.
La potatura ha l'obiettivo di mantenere in equilibrio attività vegetativa e produttiva, e di esaltare l'efficienza
fotosintetica della chioma. I rami fruttiferi sono quelli di un anno, purché non troppo vigorosi ma nemmeno troppo
deboli, sui quali compaiono le mignole. I principali interventi cesori comprendono il raccorciamento e la
soppressione di rami o branche; l'inclinazione, piegatura e curvatura dei rami; l'incisione e decorticazione anulare;
la cimatura e la slupatura.
La necessità di abbreviare la fase improduttiva giovanile impone, in potatura di allevamento, di limitare gli interventi
di taglio e riduzione delle chiome. I germogli e i rami destinati a formare la struttura scheletrica dovranno sempre
essere privilegiati.
Le operazioni cesorie su alberi in fruttificazione mantengono una superficie fogliare proporzionale alla potenzialità
vegetativa e produttiva dell'olivo, in relazione anche alla fertilità dell'agro ecosistema.
La potatura di riforma, comprensiva di interventi estesi di taglio, si applica su oliveti invecchiati o da adattare alle
esigenze della raccolta meccanica.
La forma di allevamento deve consentire elevate produzioni e la facile esecuzione degli interventi colturali. In ogni
caso non deve essere interpretata con eccessivo schematismo, ma ogni modello va adattato al contesto ambientale
e aziendale in cui si opera. Le forme più diffuse sono rappresentate, in Sardegna, dal vaso e, in minor misura, dal
globo. Il monocono, che esalta l'efficienza dello scuotitore al tronco, si adatta a cultivar non eccessivamente
vigorose come la Bosana e la Semidana, e si applica con sufficiente facilità alla Nera di Villacidro e all'Olianedda.
Maggiori difficoltà si riscontrano sulle vigorose Nera di Gonnos e Tonda di Cagliari, dove l'asse centrale è di
continuo minacciato dai getti laterali.
Potatura e forme di allevamento
La potatura abbraccia i differenti interventi tecnici realizzati sulla chioma o sullo scheletro che, superata la fase di
allevamento delle piante, sono rivolti a mantenere il giusto equilibrio tra vegetazione e produzione al fine di
conseguire il massimo rendimento economico.
Su un piano di ordine generale la potatura, ma anche la scelta della forma di allevamento in funzione delle
caratteristiche ambientali, hanno come obiettivo l'esaltazione dell'efficienza fotosintetica della chioma; questa deve
divenire una sorta di "trappola" per la luce nell'intento di ottenere la maggiore quantità possibile di "zuccheri" nelle
foglie, e questi devono essere destinati in giusta proporzione a rami - germogli e fiori - frutti (v. cap. 10).
Sotto il profilo operativo si deve preliminarmente ricordare che i rami fruttiferi dell'olivo sono quelli di un anno purché
non eccessivamente vigorosi ma nemmeno troppo deboli (in media da 20 a 60 cm di lunghezza). Pertanto i
germogli e le mignole si formano sui rametti dell'anno precedente e la vegetazione tende, anno dopo anno, ad
allontanarsi dal centro e a occupare uno spazio sempre maggiore. Al contempo, in assenza di adeguati interventi di
potatura, la chioma si infittisce e riduce la penetrazione della luce e dell'aria, limitando fortemente la produzione e
favorendo lo sviluppo di insetti e funghi; è quindi necessario diradare periodicamente la vegetazione anche per
favorire l'attività fotosintetica. Il diradamento svolge anche un'altra importante funzione, quella di rinnovare con
periodicità la chioma eliminando le branchette ormai esaurite e stimolando l'emissione di nuovi germogli. Tutto ciò
nel rispetto della forma di allevamento prescelta, e avendo sempre presente che i risultati produttivi non dipendono
solo dalla potatura ma bensì dall'insieme di tutti gli interventi colturali realizzati in quel particolare contesto
ambientale.
La necessità di frequenti e razionali interventi cesori si scontra, purtroppo, sia con il costo crescente della
manodopera sia con la difficoltà di reperire potatori effettivamente capaci; in particolare si segnala che gli interventi
cesori sono preceduti, nella graduatoria dei costi di produzione, dalla sola raccolta.
74
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Pertanto le considerazioni più avanti esposte potranno, di volta in volta, essere modificate in funzione
dell'organizzazione e competitività della singola azienda; è noto, ad esempio che il maggior valore delle olive da
mensa consente di sopportare oneri maggiori purché, ovviamente, finalizzati a migliorare l'efficienza produttiva,
mentre le tecniche cesorie da adottarsi nella più estensiva olivicoltura da olio dovranno essere necessariamente più
contenute.
Principali operazioni di potatura
In questo paragrafo sono riportate in maniera sintetica e schematica le principali operazioni che il potatore può
eseguire per indirizzare correttamente la pianta in fase di allevamento e per garantire l'equilibrio tra la vegetazione
di neoformazione e i rami che porteranno e sosterranno la fruttificazione.
Raccorciamento e soppressione di rami o branche
Col raccorciamento del ramo si asporta la porzione distale (più lontana dall'inserzione) di questo, di norma per
favorire lo sviluppo di germogli laterali dalle gemme poste immediatamente al di sotto del taglio. Il ramo è, invece,
asportato dalla base quando si voglia sfoltire una parte di chioma, ovvero quando lungo la branca si realizza uno
squilibrio nello sviluppo dei diversi rami con zone più o meno rivestite. Gli interventi sulle branche sono, in genere,
operazioni eccezionali di norma finalizzate al recupero di impianti senescenti ovvero fortemente danneggiati da
gelate. Il raccorciamento prevede la preliminare individuazione del ramo o della branchetta di sostituzione; il taglio,
da eseguirsi con arnesi ben affilati, non deve lasciare monconi (che ostacolerebbero la cicatrizzazione) ma
nemmeno intaccare il cercine posto nel punto di inserzione del ramo o della branchetta sulla branca. Le branche
più grosse devono essere eliminate progressivamente con 2-3 interventi al fine di evitare "scosciature", cioè il
distacco violento di strisce di corteccia; in tal caso è preferibile intaccare la branca, o il grosso ramo, con un taglio
dal basso in alto che interessi circa la metà del diametro e poi concludere l'operazione intervenendo dall'alto verso
il basso. E' opportuno ricoprire i tagli molto grossi con mastici cicatrizzanti o paste rameiche al fine di disinfettare la
ferita e favorire la cicatrizzazione.
Talora, la soppressione delle branche principali può essere vantaggiosamente sostituita dal taglio al piede delle
piante (ceduazione) con successivo sfruttamento delle notevoli capacità rigenerative dell'olivo per una rapida
formazione della nuova chioma.
Inclinazione, piegatura e curvatura
L'inclinazione è una tecnica tipica dell'allevamento a vaso, finalizzata a spostare l'angolo di inserzione dell'asse
(ramo o branca). Di norma un germoglio inserito sul ramo in posizione verticale, ovvero un ramo su una branca,
mostrano intensi accrescimenti e tardiva comparsa di gemme a fiore (come nel caso di polloni e succhioni), mentre i
rami inclinati o curvati si indeboliscono in breve e consentono la comparsa di fiori e getti laterali. Poiché l'olivo è una
specie basitona (anche se con differenze tra le varietà), dove cioè i germogli basali sono quelli che raggiungeranno
il massimo sviluppo, tali tecniche accentuano semplicemente la naturale tendenza della specie. Peraltro, mentre
risultano di largo impiego nella potatura di allevamento dei fruttiferi, sono meno utilizzate per l'olivo anche per
l'eccessivo costo dell'intervento; solo nella potatura di allevamento del vaso si ricorre talora all'inclinazione delle
branche in formazione.
Incisione e decorticazione anulare
Consiste nell'incidere la corteccia ad anello lungo l'intero perimetro del ramo o della branca (più raramente del
tronco), ovvero nell'effettuare due incisioni distanti qualche centimetro per asportare il tratto intermedio di corteccia.
Queste operazioni interrompono il sistema conduttore della pianta e impediscono alla linfa che si muove dall'alto in
basso di superare il taglio; pertanto il tratto di ramo o di branca soprastante ha una maggiore disponibilità di
nutrienti. Nel caso dell'incisione l'effetto dura una-due settimane perché con la cicatrizzazione si ripristina anche la
continuità dei vasi, mentre gli effetti della decorticazione sono molto più duraturi. Tali trattamenti si eseguono, talora,
nell'olivicoltura da mensa su piante molto vigorose, operando in prefioritura per aumentare la percentuale di
allegagione. Non hanno, comunque, mai avuto grande rilevanza pratica in olivicoltura.
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Cimatura
Prevede l'asportazione dell'apice del germoglio che, così, cessa di svilupparsi e tende ad emettere, qualora sia
eseguita precocemente su germogli in attiva crescita, getti laterali,. Se attuata verso la parte finale della stagione
vegetativa non stimola ricacci ma favorisce la maturazione del legno e la comparsa di gemme a fiore. Più
frequentemente viene attuata in fase di allevamento per limitare la crescita dell'asse principale e favorire la
formazione di branche utili alla costituzione dello scheletro.
Slupatura
Intervento limitato a vecchi impianti dove l'azione di varie specie di funghi (prevalentemente quelle tipiche del
marciume del legno, v. cap. 14) hanno provocato la carie del legno. L'intervento prevede l'eliminazione del legno
deteriorato, con appositi strumenti, sino a raggiungere il legno integro e sano. La tecnica è certo utile, ma anche
molto costosa.
Potatura di allevamento
L'evoluzione delle tecniche cesorie riconosce, anche in olivicoltura, la necessità di ridurre quanto più possibile il
periodo improduttivo susseguente all'impianto, estendendo alla specie tecniche e concetti già da tempo recepiti in
frutticoltura. In questa ottica la potatura di allevamento, che comincia già dalle pratiche operative di vivaio (fig. 11.1),
tende a ridurre al minimo gli interventi cesori sia per avere la massima superficie fogliare, e quindi un'elevata
produzione di sostanze nutritive, sia per anticipare la comparsa di numerose gemme a fiore. Infatti i tagli stimolano i
ricacci di nuova vegetazione e la formazione di germogli vigorosi non predisposti a fiore.
Figura 11.1 Giovane pianta
allevata in vivaio su
asse unico, idonea
per la realizzazione
di un oliveto
intensivo.
Nei primi anni occorre, per quanto possibile, tagliare solo il minimo indispensabile per evitare di allungare la fase
vegetativa ed il periodo improduttivo, ritardando così la messa a frutto della pianta Limitati interventi cesori sono,
comunque, opportuni per indurre un precoce irrobustimento della pianta e il rapido raggiungimento della forma di
allevamento prescelta (fig. 11.1)
La potatura di allevamento comprende le operazioni che modificano la forma naturale della vegetazione esaltando
il vigore o limitando lo sviluppo dei rami, ed ha come finalità principale quella di dare alla pianta una forma
adeguata e conseguire un buon adattamento di questa alle finalità produttive dell'impianto. In quest'ottica si tende a
far raggiungere all'albero, nel più breve tempo possibile, le dimensioni proprie della forma prescelta, pur non
applicando rigidamente e in modo geometrico i concetti propri del sistema d'allevamento adottato. Si tende,
pertanto, a formare un'impalcatura robusta, compatibile col sesto di impianto prescelto, che dovrà essere il supporto
per gli organi vegetativi così come lo sarà della fruttificazione durante la vita produttiva della pianta.
La struttura dovrà quanto più possibile consentire la meccanizzazione integrale della coltivazione. Per quanto
attiene la meccanizzazione della raccolta, questa può risolversi, allo stato attuale delle conoscenze, con l'utilizzo di
vibratori da applicare al tronco la cui efficienza operativa è strettamente legata, oltre che alla carica unitaria media,
al numero di tronchi su cui intervenire e alla struttura dell'albero.
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Un'impostazione strutturale non corretta tende a limitare la percentuale di caduta dei frutti (v. cap. 12). Pertanto si
suggerisce di impalcare ad altezza compatibile con le esigenze della raccolta meccanica, limitando, se possibile,
l'asporto di eventuali branchette soprannumerarie; queste potranno essere sfruttate per alcuni anni e solo in seguito
eliminate anche perché la raccolta meccanica potrà essere attuata solo dal 6°-7° anno.
I germogli e i rami destinati a formare la struttura scheletrica di base dovranno sempre essere privilegiati rispetto ai
rimanenti, controllando e contenendo la crescita di quelli che tendono a sopraffare i principali; le branche e i rami
fruttiferi dovranno occupare lo spazio libero delimitato dalle strutture scheletriche principali, collocandosi nello
spazio in modo da intercettare nel miglior modo possibile la radiazione solare in arrivo.
Le varietà da mensa potranno essere, eventualmente, impalcate piuttosto basse, utilizzando anche forme di
allevamento libere, il cui successo è strettamente legato alla tendenza ad assecondare il naturale modo di vegetare
della varietà; ciò può avvenire adottando, con potature di allevamento sempre molto leggere, sistemi a siepone,
cespuglio, etc. per le cultivar a portamento più raccolto, e forme monocauli "a tutta cima", come il monocono, per le
varietà a sviluppo più assurgente.
Potatura di produzione
Prende avvio una volta conclusa la fase di formazione degli olivi e in coincidenza con la messa a frutto delle piante;
pertanto si sovrappone, almeno in una fase iniziale, a quella di allevamento.
Le operazioni cesorie attuate su alberi in attiva fruttificazione tendono a mantenere sulla pianta quella quantità di
foglie che risulta proporzionale alla potenzialità vegetativa e produttiva dell'olivo in modo da ottenere un volume
ottimale di chioma, che è legato alla natura e fertilità del terreno e alla disponibilità di acqua nel suolo. Un eccessivo
volume di chioma può comportare la riduzione delle dimensione dei frutti, minore resa in olio delle olive, e può
incidere negativamente sulla quantità e regolarità delle produzione a motivo del più rapido consumo dell'acqua del
terreno e per la ridotta efficienza nell'illuminazione della chioma fruttificante. Il deficit idrico conseguente può portare
oltre che a una riduzione nella dimensione dei frutti anche alla cascola dei medesimi, con forte compromissione
degli esiti produttivi.
È, pertanto, necessario mantenere un corretto equilibrio tra attività vegetativa e produttiva, evitando sia di eliminare
con la potatura una quantità eccessiva di rami che provocherebbe un notevole rigoglio vegetativo e lo sviluppo
degli improduttivi succhioni, sia di lasciare troppo vestita la pianta poiché ciò provocherebbe oltre ai fenomeni sopra
descritti, dopo alcuni anni, ombreggiamento delle parti interne, scarsa attività vegetativa, produzioni via via
decrescenti e sviluppo di parassiti.
L'eliminazione di una giusta quantità di ramaglia contribuisce, quindi, all'ottenimento di livelli produttivi proporzionali
alle capacità della pianta.
La potatura ordinaria, quindi, si realizza intervenendo sui rametti sia asportandoli alla base che semplicemente
raccorciandoli; nel primo caso si "schiarisce" un ramo con vegetazione troppo fitta, nel secondo si asporta il tratto
terminale del rametto divenuto troppo lungo. I tagli stimolano la vegetazione e mantengono sempre giovane la
chioma; quest'obiettivo può essere ancora meglio seguito, su piante poco vigorose, raccorciando "a sperone" il
rametto come uno sperone di vite , mantenendo due o quattro nodi, così che dalle gemme poste alla base delle
foglie si sviluppino nuovi getti.
L'intensità della potatura di produzione è legata soprattutto alla vigoria e al portamento della varietà e della singola
pianta da potare; si possono infatti distinguere varietà a "portamento assurgente", con germogli pressoché verticali e
sempre vigorosi, e varietà a "portamento pendulo", con rami tendenzialmente orizzontali, o rivolti verso il basso, e di
poco vigore. L'utilizzo della branchetta fruttifera (ramo con rametti che, a loro volta, sostengono dei germogli) come
termine di riferimento porta ad alcune modalità di intervento. Nel caso si stia operando su una branchetta pendula, il
rametto tende, nel tempo, ad allungarsi portandosi fuori dalla chioma ed esaurendosi, come del resto avviene
all'intero ramo. Questa tipologia di branchetta emette, nel tratto curvilineo, dei germogli diritti che rappresentano la
naturale rinnovazione della branchetta; basterà raccorciare le cime della branchetta per accentuare lo sviluppo del
rametto di sostituzione che, allungandosi, tenderà in breve a divenire curvilineo (anche per il peso dei frutti e dei
successivi germogli).
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Nel corso degli anni si otterrà una serie continua di archi, che rallenteranno il flusso basipeto della linfa, favorendo
la fruttificazione. Qualora, invece la branchetta fosse diritta, si deve eliminare il germoglio centrale che costituisce il
naturale prolungamento della branchetta, e si speronano i rametti laterali per ottenere un assetto più slargato e
meno verticale. Se la branchetta fosse anche molto fitta, sarà opportuno diradare i rametti.
In ogni caso occorre preliminarmente accertarsi della regolarità della forma per procedere alla eventuale correzione
della stessa, contenendo o favorendo con gli opportuni tagli lo sviluppo delle branche e reimpostando la
conformazione della struttura scheletrica, a suo tempo individuata. Qualora sia necessario eliminare i succhioni in
soprannumero occorre mantenere quelli che possono sostituire organi eventualmente compromessi o danneggiati
e, pertanto, da sostituire. Le cime vanno governate con gli opportuni tagli di ritorno e l'alleggerimento dell'eccessivo
affastellamento.
Nel caso, poi, ci siano forti riscoppi di polloni, la cui presenza è maggiore nelle piante innestate su selvatico, occorre
provvedere al loro taglio; talora l'intervento può essere realizzato anche con diserbanti (sistemici quali il glifosate) a
dosi opportunamente ridotte.
Potatura di riforma
Negli oliveti ormai invecchiati o che hanno subito gravi danni come, ad esempio, il passaggio del fuoco, è
necessario intervenire con opportune pratiche di rinnovo della struttura e il ripristino della funzionalità vegetativa. In
taluni casi l'intervento di potatura straordinaria serve a rendere adatte le strutture del fusto alle operazioni di raccolta
meccanica, ovvero ad abbassare con tagli di ritorno alberi di altezza eccessiva incompatibile con l'esecuzione di
molti interventi colturali.
Forme di allevamento
La forma, o sistema di allevamento, ha come obiettivo l'ottenimento di una struttura e di un assetto della pianta che
consenta elevate produzioni e la facile esecuzione delle operazioni colturali; tra queste particolare rilievo assume la
raccolta, sia meccanica che manuale, ma anche l'efficacia dei trattamenti di difesa e le lavorazioni del terreno
possono essere facilitate dall'adozione della forma di allevamento più idonea a particolari e specifiche situazioni
aziendali.
Pertanto, nelle fasi antecedenti l'impianto occorre programmare l'impostazione della forma di allevamento in
funzione delle caratteristiche di fertilità del suolo, della disponibilità idrica del terreno, degli obiettivi produttivi
(olio-mensa) e da ultimo degli aspetti varietali. Particolare attenzione va posta nell'individuare la forma in funzione
del grado di meccanizzazione adottabile, soprattutto per quelle operazioni, come la raccolta, che dalla
meccanizzazione più o meno elevata possono conseguire forti economie gestionali. Qualora, poi, si proceda ad
effettuare una scelta valutando solo alcuni dei parametri indicati, eventuali modifiche della forma di allevamento
precedentemente scelta non saranno mai indolori e tenderanno a pregiudicare per un periodo non breve gli esiti
produttivi dell'oliveto.
Qualunque sia l'orientamento verso cui si indirizza la scelta della forma occorre sottolineare che questa non deve
mai essere interpretata in maniera geometrica e con eccessivo schematismo, ma ogni situazione va riferita alle
condizioni ambientali e all'organizzazione aziendale, alla fertilità del suolo e alla disponibilità di manodopera, ma
soprattutto deve essere gestibile in termini economici limitando gli interventi non necessari. Di seguito si riportano le
forme l'allevamento più diffuse
Vaso
È tra i più antichi e tradizionali sistemi di allevamento di molte specie arboree, imperniato sull'allevamento di 3-5
branche inclinate a 40-45° in modo da ottenere un cono rovesciato, a forma di imbuto o, appunto, di vaso. La forma
ha subìto nel tempo diverse modifiche riconducibili a due diverse esigenze: anticipare l'entrata in produzione e
ridurre i costi della potatura di allevamento, da un lato, esaltare la produttività della raccolta meccanica riducendo
l'inclinazione delle branche, dall'altro. E' una delle forme più diffuse nell'Italia centro - meridionale, e molti dei nuovi
impianti realizzati in Sardegna negli anni Novanta hanno scelto questa forma di allevamento.
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Una particolare variante del vaso consiste nel passaggio dalla chioma a parete continua (dove, cioè, la vegetazione
portata dalle diverse branche confluisce a formare una sola cortina) alla chioma multipla o poliforme, e pertanto al
"vaso policonico" (fig.11.2).
Figura 11.2 Potatura su olivo
allevato a vaso
policonico.
In tal caso l'olivo porta 3-4 branche ben separate (branca-chioma) ciascuna formata da un asse inclinato di 45° nel
primo tratto e poi pressoché verticale; ogni branca è ben rivestita di rametti diretti in prevalenza verso l'esterno, ma
anche verso l'interno, sempre comunque di maggior sviluppo nel tratto basale della branca e via via decrescenti
procedendo verso l'alto. Pertanto guardando la singola branca si deve avere l'impressione di vedere una piramide o
un cono. Il vaso policonico richiede una potatura continua e minuziosa, ed è oggi considerato poco efficiente e
competitivo.
Il vaso si ottiene impalcando, con un taglio della cima, la giovane piantina a 80-100 cm da terra, e individuando i 3 4 germogli che dovranno costituire le future branche; questi devono svilupparsi vigorosamente e per questo
vengono lasciati inizialmente verticali e solo successivamente inclinati. I germogli concorrenti sarebbe preferibile
non fossero eliminati per avere più elevata superficie fogliare, ma andrebbero ripiegati e fissati al tronco per essere
indeboliti: tale pratica può però avere validità solo in piccoli appezzamenti, mentre non è proponibile nel caso di un
oliveto di dimensioni e in cui si tendano a razionalizzare e economizzare gli impegni di manodopera. Nell'anno
successivo si inclinano le tre branchette principali con l'aiuto di divaricatori e tiranti, si eliminano eventuali succhioni
in posizione dorsale che vanno sviluppandosi nella parte interna della branchetta e che minacciano la cima. La
branca deve terminare con un rametto eretto e vigoroso capace di controllarne lo sviluppo. La potatura di
produzione prevede l'eliminazione delle branchette esaurite, il riequilibrio tra rami interni ed esterni e la riduzione
delle branchette poste nella parte terminale della branca per evitare che ombreggino le sottostanti. Nel caso si
preveda di raccogliere con scuotitori è bene eliminare o ridurre i rami a portamento pendulo e irrigidire la struttura
raccorciando le branchette.
Essendo una forma che nel tempo tende ad allargarsi necessita di spazi sufficientemente ampi e pertanto le
distanze del sesto prescelto per l'impianto possono oscillare dai 5 ai 7 m sulla fila e 6-7 tra le fila in dipendenza di
cultivar, fertilità del suolo, disponibilità di mezzi tecnici, ecc.
Globo
Tra le forme di allevamento in volume è quella che consente di proteggere con l'ampia chioma il tronco e le branche
dall'eccesso di radiazione solare. Inoltre asseconda la naturale tendenza di molte cultivar di olivo ad assumere
forme globose, richiedendo pertanto modesti interventi di potatura di allevamento. La freccia, o cima, viene
mantenuta integra sino al terzo anno quando si taglia il prolungamento per ottenere 3-4 branche principali distanti
lungo il tronco, almeno 20 cm l'una dall'altra e orientate in diverse direzioni; in tal modo la chioma si sviluppa in
modo omogeneo e le branche, allungandosi, danno alla pianta il tipico aspetto globoso. Il ridotto numero dei tagli
necessari per impostare l'olivo consente una rapida messa a frutto, con drupe localizzate nella parte più esterna
della chioma là dove maggiore è l'illuminazione. La potatura di produzione prevede l'eliminazione delle branchette
esaurite, di quelle interne ombreggiate e di polloni e succhioni; il mantenimento della forma di allevamento si
ottiene con periodici tagli di ritorno su getti laterali. E' un sistema sovente utilizzato per le olive da mensa, soprattutto
nei comprensori irrigui meridionali; i sesti di impianto oscillano tra m 6x6 e m 7x8.
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Vaso cespugliato
Nato come sistema di allevamento per gli olivi dell'Italia centrale colpiti dalle gravi gelate del 1956, può essere
realizzato a partire da una sola pianta oppure da tre poste molto vicine in modo da dar luogo a una sola chioma (fig
11.3).
Figura 11.3 Allevamento a vaso
cespugliato.
Nel primo caso l'olivo va reciso a livello del terreno e lasciato sviluppare indisturbato per 2-3 anni, a formare una
sorta di cespuglio, che recenti esperienze hanno dimostrato essere precocemente fruttificante; in seguito la potatura
di produzione, comunque molto contenuta, agirà in modo da ottenere un vaso policonico con impalcatura piuttosto
bassa. Nel secondo caso si piantano tre olivi ai vertici di un triangolo equilatero avente il lato lungo un metro;
successivamente ciascuna pianta darà origine ad una branca del vaso policonico a bassa impalcatura. I sesti di
impianto sono compresi tra il 5x5 e il 7x7 m . E' ritenuta una forma superata per l'alto costo iniziale e l'inefficienza in
fase di raccolta meccanica con vibratori al tronco.
Siepone
Come dice il nome, questa forma di allevamento sfrutta la naturale tendenza dell'olivo (e soprattutto di alcune
varietà) ad assumere una forma cespugliosa che, nel caso di piante poste molto vicine sulla fila, comporta
l'ottenimento di un'unica siepe o parete di vegetazione (fig. 11.4).
Figura 11.4 Parete continua di
vegetazione nel
siepone.
Molto utilizzata per le varietà da mensa, soprattutto nei territori irrigui delle regioni meridionali, si realizza con pochi
interventi cesori poiché le giovani piante sono lasciata sviluppare pressoché liberamente; anche per questo motivo
si registra la comparsa dei frutti già dal secondo-terzo anno, produzioni che diventano in breve interessanti per
l'elevata densità di impianto (400-800 piante/ha in relazione a sesti di m 5-7 x 2,5-3,5). Spesso questa forma di
allevamento si adotta anche per varietà a portamento assurgente, quale la "Frangivento" o "Cipressino", appunto
per costituire siepi e barriere frangivento. Intorno al decimo anno di vita le chiome sono sovente eccessivamente
fitte e richiedono l'apertura di "finestre" nella siepe e il diradamento dei rami; in caso contrario la produzione va
rapidamente calando, mentre difficile risulta il controllo della fumaggine e delle cocciniglie.
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Monocono
Forma di allevamento che esalta l'efficienza della raccolta meccanica, risulta diffusa soprattutto nei nuovi oliveti
dell'Italia centrale, talora anche con "sesto dinamico". Le piante sono allevate, sin dal vivaio, su un unico asse
centrale, peraltro ben rivestito sin dalla base di rametti laterali; in ogni caso si deve garantire la prevalenza della
freccia (prolungamento dell'asse) sui germogli laterali, a motivo della sua funzione equilibratrice e regolatrice dello
sviluppo, indispensabile per la corretta impostazione della pianta (fig.11.5).
Figura 11.5 Giovane olivo
allevato a
monocono.
La potatura di allevamento si limita all'eliminazione progressiva dei rami più bassi per favorire lo sviluppo in altezza
delle giovani piantine. Di contro, le branche permanenti si inseriranno a spirale sull'asse centrale a partire da circa
un metro di altezza per favorire il compito dello scuotitore; come detto, però, nei primi anni saranno accompagnate
da branchette basali di sfruttamento da eliminare progressivamente. A partire da un metro di altezza le branche
permanenti dovranno svilupparsi con lunghezza decrescente procedendo dalle più basse a quelle inserite più in
alto; in tal modo la pianta assume la forma conica con la base slargata rivolta verso terra. La potatura di allevamento
del monocono prevede il periodico alleggerimento della cima mediante diradamento dei germogli e mantenimento
di quello verticale meglio inserito; una cima fitta, infatti, ombreggia le branche sottostanti impedendone il corretto
funzionamento. Inoltre si dovranno sopprimere le branchette e i rami esauriti, quelli ombreggiati e mal posizionati,
ovvero favorire il rafforzamento dei rami a frutto ben aerati e illuminati e, qualora le branche basali o intermedie
tendano a rinvigorirsi eccessivamente, le si devia lateralmente su getti tendenzialmente orizzontali, in modo da
ridurre l'eccessiva intensità vegetativa.
La sua corretta impostazione è comunque fortemente condizionata dalla vigoria della varietà e dal portamento dei
rami: varietà vigorose e caratterizzate da una notevole chiusura degli angoli di inserzione dei rami sulle branche
hanno scarsa tendenza a sviluppare in maniera ordinata e regolare la struttura scheletrica precedentemente
descritta. Ad esempio l'impostazione a monocono di varietà quali Tonda di Cagliari e Nera di Gonnos presenta
alcune difficoltà a causa della scarsa robustezza dell'asse che, seppure ancorato al palo tutore, risulta indebolito dai
getti laterali anch'essi con portamento assurgente; tutto ciò si traduce in una frequente sostituzione della cima. Su
queste varietà si forma, quindi, un notevole numero di rami con lunghi tratti privi di vegetazione e un nutrito
affastellamento nella zona distale. Ciò obbliga a frequenti interventi cesori con conseguenti ulteriori ricacci che, non
consentendo l'instaurarsi dell'equilibrio vegeto-produttivo, ritardano l'entrata in produzione.
L'adozione di questa forma di allevamento richiede un'attenta scelta delle distanze d'impianto per evitare, dopo
pochi anni dalla piantagione, ombreggiamento delle chiome e chiusura delle pareti fruttificanti; ciò imporrebbe tagli
drastici e stroncature delle piante, a tutto discapito della produttività dell'oliveto.
Su varietà a portamento poco assurgente e a limitata vigoria la forma a monocono può invece essere agevolmente
utilizzata.
Indispensabile risulta comunque la presenza del tutore, che deve accompagnare la crescita del pianta almeno sino
al 4°-5° anno; il palo, con un'altezza fuori terra mai inferiore a 2 metri, dovrà essere posizionato sopravvento al fine
di garantire la costante presenza di un asse centrale robusto e ben strutturato.
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A tale struttura, che consente l'adozione di sesti particolarmente fitti, appaiono adattarsi alcune varietà sarde quali
Bosana e Semidana, che tendono in tal modo ad anticipare l'entrata a frutto; in altre, quali Nera (Tonda) di Villacidro
e Olianedda, tale forma è comunque agevolmente realizzabile, pur non emergendo aspetti di precoce fruttificazione
che appaiono più legati a specifiche caratteristiche varietali. Tra le cultivar nazionali saggiate negli ambienti olivicoli
isolani, buon adattamento al monocono si manifesta in Nocellara del Belice, Frantoio e Leccino. Dalle esperienze
condotte nell'Italia centrale emerge che le maggiori produzioni degli oliveti a monocono con "sesti ridotti",
confrontate con quelle di impianti condotti con la stessa forma di allevamento ma con distanze di piantagione
definitive sin dalla piantagione, sono superiori ma, non sempre, in misura tale da compensare i maggiori costi
sostenuti.
Cespuglio e forme libere
La riduzione degli interventi cesori e l'adozione di forme non riferibili a quelle già note è strettamente collegata al
crescente costo della manodopera, soprattutto di quella qualificata per l'esecuzione della potatura. Ciò si è reso
particolarmente evidente soprattutto in impianti medio grandi e con l'utilizzo di cultivar da mensa e a duplice
attitudine, che in genere presentano elevata vigoria ed accentuano al meglio la precocità di fruttificazione qualora
vengano limitati gli interventi cesori in fase di allevamento. In tal modo vengono ridotti i costi gestionali di esercizio e
si favorisce un più rapido ammortamento dei costi di impianto.
Nell'allevamento a cespuglio, l'albero è lasciato sviluppare liberamente, con interventi limitati e tesi, da un lato, a
sollevare progressivamente la vegetazione mediante l'eliminazione di eventuali polloni, dei germogli e dei rami
inseriti nei primi 50 - 80 centimetri, e, dall'altra, a un leggero sfoltimento delle chiome con asportazione dei
succhioni e dei germogli male inseriti perché diretti verso l'interno. La pianta tenderà, nel tempo, ad assumere una
conformazione della chioma "a cespuglio" simile a quelle già descritte (globo, vaso cespugliato), e come queste
deve essere gestita. E' ipotizzabile, poiché mancano esaurienti informazioni su impianti in produzione, che la
riduzione degli interventi in fase di allevamento si traduca in una minore efficienza nel caso di raccolta con
scuotitori, o nella totale impossibilità ad eseguirla. Di contro, la raccolta di olive da mensa con brucatura,
direttamente da terra, ovvero con pettini o rastrelli manuali o pneumatici e reti a terra per varietà a duplice utilizzo o
da olio, dovrebbe potersi eseguire con livelli di produttività del lavoro non dissimili da quelli rilevabili per altre forme
di allevamento. In alcune prove di confronto tra cespuglio e monocono, condotte in Toscana, si sono registrate
analoghe produzioni cumulate, ma una più precoce entrata in produzione e una più elevata efficienza economica
per il cespuglio.
Tra queste proposte innovative si inserisce quella del "ceduo" di olivo, modello che prevede di gestire l'oliveto con
turni di ceduazione (taglio al piede delle piante) di 10 anni. In questo intervallo di tempo gli interventi colturali sono
pressoché assenti. La riduzione dei costi di esercizio e il reddito ottenibile dalla vendita della legna compenserebbe
la minore produttività osservata negli ultimi anni del ciclo a confronto con un impianto gestito con tecniche
tradizionali.
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Capitolo 12 - Difesa: Fitofagi dell'olivo
Obiettivi
Sono descritti i principali fitofagi dell'olivo e le tecniche di lotta integrata impiegate per il loro contenimento.
Del centinaio di specie di insetti e acari fitofagi che colpiscono la specie, in Sardegna ne sono presenti circa un
quarto: una ventina di specie di insetti e cinque di acari. Solo tre specie superano con una certa frequenza la soglia
di danno economico (la mosca delle olive, la cocciniglia mezzo grano di pepe e la tignola), le altre sono considerate
fitofagi secondari.
La femmina della mosca perfora con l'ovodepositore le drupe di olivo e olivastro per deporre le uova. La larvetta
scava una galleria tortuosa e superficiale e, passata attraverso tre età, si dirige verso il nocciolo che è, comunque,
sempre rispettato. Le generazioni possono essere anche sei all'anno. Il Dipartimento di Protezione delle Piante
dell'Università di Sassari, in collaborazione col Servizio Agrometeorologico Regionale, ha sviluppato un modello
matematico della dinamica di popolazione. E' così possibile prevedere l'andamento dell'infestazione estivo
autunnale sulla base della percentuale di olive colpite a inizio stagione e dei valori orari di temperatura dell'aria. La
lotta biologica alla mosca delle olive è stata condotta sperimentalmente con liberazioni di 100 individui per pianta
dell'imenottero braconide Opius concolor, ma l'unico metodo impiegato efficacemente nella pratica si basa
sull'impiego di trappole impregnate con un insetticida dall'alto potere abbattente e contenenti attrattivi alimentari e
sessuali. Le prove condotte in Sardegna su circa 130mila olivi (con una trappola/albero) hanno dimostrato
un'efficacia pari alle esche proteiche avvelenate.
La lotta chimica si basa su trattamenti insetticidi irrorati a tutta chioma in funzione larvicida (lotta curativa) al
raggiungimento di una soglia economica di intervento di 10-15% di olive infestate da stadi giovanili, ovvero
apportati in maniera localizzata in miscela a esche proteiche per colpire gli adulti (lotta preventiva). La prima
impiega insetticidi endoterapici, ad azione citotropica. Il dimetoato è ancora molto utilizzato perché unisce all'alta
efficacia l'idrosolubilità, con conseguente passaggio dell'insetticida nelle acque di vegetazione e riduzione dei suoi
residui nell'olio a meno di un terzo della dose iniziale riscontrata nelle olive.
La tignola dell'olivo è un lepidottero considerato in alcune aree olivicole del Mediterraneo dannoso quanto la mosca
delle olive ma che in Italia causa perdite di produzione economicamente rilevanti solo nelle varietà da mensa.
Attacca i diversi generi della famiglia delle oleacee: olivo e olivastro, lillà, gelsomino, ligustro e fillirea. Le tre
generazioni di tignola colpiscono, come larve, i fiori (generazione antofaga), i frutti (gen. carpofaga) e le foglie (gen.
fillofaga). La lotta può essere condotta con preparati a base di Bacillus thuringiensis, batterio tossico solo per le
larve dei lepidotteri. Il bersaglio è rappresentato dalle generazioni antofaghe e fillofaghe.
La cocciniglia mezzo grano di pepe (o cocciniglia nera dell'olivo) è rappresentata, nell'area mediterranea, da soli
individui di sesso femminile che si riproducono per partenogenesi. Le specie vegetali più colpite sono, oltre all'olivo,
gli agrumi e l'oleandro. L'emissione di melata zuccherina favorisce la formazione di "fumaggine", croste nerastre
formate da funghi microscopici. Gli insetticidi anticoccidici (oli leggeri, polisolfuri, esteri attivati) sono poco efficaci
contro le femmine giovani e ovideponenti, e il bersaglio della lotta sono le neanidi di 1° età presenti sulla pianta nel
pieno dell'estate.
Tra i fitofagi secondari rientrano il pidocchio nero dell'olivo, il cotonello dell'olivo, la cocciniglia grigia, la margaronia,
l'oziorrinco e il fleotribo.
Introduzione
Del centinaio di specie di insetti ed acari fitofagi che attaccano l'olivo in tutto il mondo, ne sono conosciuti in
Sardegna circa un quarto, di cui una ventina appartenenti agli insetti e cinque agli acari. Non tutte queste specie
però sono da ritenersi sempre dannose, e solamente la mosca delle olive (Bactrocera oleae), la tignola (Prays
oleae) e la cocciniglia mezzo grano di pepe (Saissetia oleae) possono raggiungere densità di popolazioni superiori
alla soglia di danno economico.
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Altre specie sono considerate come fitofagi secondari, insetti cioè che possono causare danni saltuariamente e solo
in particolari situazioni. Le errate pratiche colturali o l'abuso di insetticidi a largo spettro d'azione, alterando gli
equilibri biologici dell'agroecosistema, possono determinare pullulazioni di insetti ed acari le cui popolazioni
normalmente sono tenute a freno da un complesso veramente imponente di nemici naturali. Fra questi, i predatori
sono rappresentati da diverse specie di Acari, Emitteri, Neurotteri e Coleotteri, e i parassiti da oltre 300 specie di
Imenotteri.
Fitofagi principali
In questa categoria vengono inclusi gli insetti dannosi che costituiscono un rischio continuo per le produzioni
olivicole della Sardegna.
Mosca delle olive
La mosca delle olive, il cui nome scientifico è Bactrocera oleae (Gmel.), appartiene alla famiglia dei Ditteri Tefritidi,
di cui fanno parte alcuni degli insetti più dannosi all'agricoltura. Ben conosciute agli agricoltori sardi sono, ad
esempio, altre due specie di Tefritidi, la mosca mediterranea della frutta e la mosca delle ciliegie.
Descrizione
L'adulto di Bactrocera oleae è leggermente più piccolo della mosca domestica e misura 4-5 mm. Le due ali sono
incolori e trasparenti, con una macchia scura all'apice.
La femmina è dotata di un ovopositore di sostituzione (volgarmente chiamato trivella), formato dagli ultimi segmenti
addominali e terminante ad aculeo (fig. 12.1). Il maschio si distingue dalla femmina per l'addome arrotondato
all'estremità .
Figura 12.1 Femmina di
Bactrocera oleae.
La larva appena nata è lunga circa 1 mm e si sviluppa passando attraverso 3 stadi larvali (fig. 12-2). Raggiunto il
completo sviluppo, la larva si trasforma in pupa all'interno del pupario (fig. 12.3), dove avviene la metamorfosi e da
esso sfarfallerà la nuova mosca, che ricomincerà il ciclo.
Figura 12.2 -
Figura 12.3 -
Larva di
Bactrocera
Pupario di
Bactrocera
oleae.
oleae.
Biologia
Bactrocera oleae attacca esclusivamente le drupe di piante del genere Olea e quindi, in Sardegna, solamente l'olivo
e l'olivastro.
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Gli adulti sono molto longevi e possono sopravvivere anche per alcuni mesi. Essi hanno necessità di nutrirsi per
tutto il tempo della loro vita e, mentre trovano con facilità sulle piante alimenti zuccherini (ad esempio, melata di
cocciniglie o melata vegetale), più difficoltoso sembra essere il reperimento di sostanze proteiche (ad es., polline,
escrementi di uccelli, etc.).
L'accoppiamento avviene quando gli adulti hanno qualche giorno di vita, ed è preceduto dall'emissione di odori
sessuali (feromoni) da particolari ghiandole localizzate nel retto di ambedue i sessi. Il feromone sessuale, che è
strettamente specifico perché attrae solo i maschi della mosca delle olive, è stato sintetizzato in laboratorio ed è
disponibile in commercio per l'utilizzazione come esca nelle trappole per il monitoraggio degli adulti o per la lotta
diretta con il metodo della confusione sessuale o delle catture massali.
Le femmine portano a maturazione le prime uova dopo 6-8 giorni dalla nascita e possono deporne alcune centinaia
durante tutta la vita. Il periodo di preovideposizione e la fecondità giornaliera sono molto influenzate dalle
condizioni climatiche e dalla disponibilità di drupe. In Sardegna le temperature invernali risultano troppo basse per
permettere la maturazione delle uova e la fecondità è ridotta anche nei mesi più caldi, quando, a temperature
superiori a 30 °C, si manifesta un riassorbimento dei follicoli ovarici. La maggior parte delle mosche non ha inoltre
gli ovari maturi in giugno-luglio (cosiddetto "periodo bianco"), se non sono presenti olive recettive. Le temperature
ottimali per l'ovideposizione si situano fra 20 e 30 °C e la produzione giornaliera di uova per femmina è di qualche
unità in luglio-agosto, ma può arrivare a 10-20 in settembre-ottobre.
Sull'olivo le femmine scelgono le olive in cui deporre sulla base di alcuni caratteri quali la forma, la grandezza, il
colore e, probabilmente, l'odore. Le prime ovideposizioni si riscontrano sulle drupe che hanno raggiunto le
dimensioni di un cece. La puntura provoca una macchia a contorni netti, di forma generalmente triangolare e di
color brunastro. E' molto importante saper riconoscere le olive punte (fig. 12.4), cioè con la ferita di ovideposizione,
dato che l'efficacia della lotta curativa dipende dalla tempestività del trattamento, che deve essere eseguito sugli
stadi più sensibili della mosca (uovo e larva neonata) e prima che si manifesti il danno compiuto dalle larve più
grandi (fig. 12.5).
Figura 12.4 -
Figura 12.5 -
Olive punte.
Olive bacate.
L'uovo schiude dopo 2-3 giorni in estate e dopo una decina di giorni in autunno e la larvetta scava subito una
galleria tortuosa e superficiale, riconoscibile esternamente per l'aspetto traslucido. Successivamente la larva, che
passa attraverso 3 età, si approfondisce all'interno dell'oliva scavando una galleria di dimensioni gradatamente
crescenti, ma rispettando comunque il nocciolo. In estate, le larve si sviluppano in 10-13 giorni e si impupano
all'interno dell'oliva, dopo aver preparato la via d'uscita per l'adulto, intaccando la polpa fino all'epicarpo. In autunno
e inverno lo sviluppo larvale si compie in una ventina di giorni e anche più e le larve mature, perforata interamente
la buccia, si lasciano cadere nel terreno dove si impupano ad una profondità di qualche centimetro. La durata del
periodo pupale varia da un minimo di una decina di giorni in agosto, fino ad un massimo di 4 mesi in
autunno-inverno (pupe svernanti).
Dinamica di popolazione
In Sardegna, la mosca delle olive si trova allo stadio di adulto durante tutto l'anno, con due periodi di massima
densità: aprile-maggio e settembre-novembre, cioè in presenza rispettivamente delle olive che restano sulle piante
all'uscita dall'inverno e dei nuovi frutti dell'annata.
L'attacco si manifesta inizialmente nelle zone pianeggianti, irrigue o con terreni freschi e profondi e sulle cultivar a
frutto grosso e succoso, per passare successivamente alle colture con piante provviste di olive minute, dando
origine a quattro generazioni che possono portare ad un'infestazione pressoché totale delle olive.
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Gli adulti della terza e quarta generazione fanno la loro comparsa da marzo a maggio; in presenza di olive rimaste
sulle piante essi daranno vita ad una quinta e talvolta sesta generazione. In ogni caso però anche gli adulti nati
dalle pupe svernanti, in numero molto ridotto, sono in grado di sopravvivere fino all'estate, quando saranno presenti
drupe recettive della nuova produzione.
In Sardegna è stato sviluppato un modello matematico di simulazione della dinamica di popolazione del fitofago
relativo ad un periodo di 10 anni, che consente, sulla base dei valori orari di temperatura e della valutazione
dell'infestazione iniziale sulle olive, di riprodurre la probabile dinamica dell'infestazione delle generazioni
estivo-autunnali. Le simulazioni del modello, tenendo conto dei più importanti parametri fisiologici dell'insetto quali
ad esempio la mortalità, lo sviluppo, la fecondità, consentono anche una migliore comprensione della dinamica di
popolazione della specie, vista soprattutto in funzione delle variazioni termiche dell'ambiente.
Fattori naturali di limitazione
Diversi fattori abiotici (climatici) e biotici (parassiti e predatori) possono contribuire a mantenere basse le
popolazioni della mosca delle olive e determinare mortalità che, in alcune annate e a seconda delle generazioni
possono anche superare il 90% dell'insieme degli stadi preimmaginali.
Le basse temperature invernali possono in alcune zone decimare le popolazioni della mosca delle olive, ma in
Sardegna, esse non raggiungono generalmente mai punte minime tali da risultare letali per le pupe svernanti nel
terreno.
Molto più importanti risultano le alte temperature estive che agiscono congiuntamente ai bassi tenori di umidità
relativa dell'aria, sia limitando la maturazione delle uova negli ovari sia uccidendo le uova e le larve giovani della
prima generazione, particolarmente sulle olive da olio. Mortalità elevate (fino ad oltre l'80%) si osservano quando le
temperature superano 30-33 °C per diverse ore della giornata, soprattutto in coincidenza di prolungata siccità nella
fase fisiologica di lignificazione del nocciolo. La mortalità, oltre che dalle alte temperature, è senza dubbio
determinata dalla struttura fibrosa del mesocarpo delle olivine di alcune varietà da olio (ad es. Bosana), che
favorisce l'incistidamento dell'uovo e della larva neonata. Le varietà da tavola sono, in generale, poco resistenti
all'attacco della prima generazione estiva di Bactrocera e la loro suscettibilità dipende dalla velocità di
ingrossamento della drupa. In ogni caso, una buona disponibilità idrica, dovuta ad irrigazione o a precipitazioni ben
distribuite in primavera-estate, rende più turgide le olive e limita la mortalità delle larvette, anche in condizioni di
elevate temperature.
Anche alcuni insetti utili (predatori e parassiti) collaborano attivamente nel limitare le popolazioni della mosca. Le
larve cadute al suolo e le pupe nel terreno in inverno e primavera possono essere distrutte in gran numero
dall'azione congiunta dei predatori terricoli (formiche, Coleotteri) e dai fattori abiotici. Quest'azione letale
contribuisce a tenere basse le popolazioni della mosca che attaccheranno la nuova produzione all'inizio dell'estate.
Alcuni parassiti attaccano le uova e le larve nelle olive, in estate e in autunno, ma la loro azione, seppure importante
nel rallentare le infestazioni non è sufficiente ad evitare gravi perdite economiche. Occorre ricordare che nella fascia
meridionale dell'Isola a clima subtropicale è presente l'Imenottero Braconide Opius concolor Szepl che parassitizza
le larve mature della mosca (fig. 12.6).
Figura 12.6 Femmina di Opius
concolor.
Fattori di regolazione delle infestazioni
Il fattore di gran lunga predominante nel regolare le popolazioni di B. oleae in Sardegna è rappresentato dalla
quantità di olive prodotte, con il suo tipico andamento biennale di scarica e carica.
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Nelle annate di elevata produzione, l'infestazione risulta quasi sempre molto modesta e ritardata per la lenta
crescita del frutto, tanto da toccare solo marginalmente le aree olivicole poste nei rilievi. Le numerose olive che
rimangono sulle piante consentono alle larve ibernanti di superare senza forti decimazioni il periodo avverso e
soprattutto consentono lo svolgimento delle generazioni primaverili della mosca. Nell'annata di scarsa produzione
si avrà quindi una elevata abbondanza di popolazione di B. oleae contro un basso numero di olive che, di
conseguenza, maturano prima e sono più precocemente e rapidamente attaccabili. L'attacco della mosca in questo
caso determinerà la caduta totale delle drupe ad autunno inoltrato e ciò impedirà lo sviluppo delle generazioni
invernali e primaverili. L'anno successivo di alta produzione coinciderà con una popolazione molto ridotta con
conseguente bassa infestazione.
Nel prevedere le infestazioni occorre tener conto anche delle grandi possibilità di spostamento degli adulti della
mosca, che migrando dalle zone di pianura a quelle di collina, sono in grado di attraversare facilmente uno spazio
non olivetato di 2 Km.
Danni
I danni sulle olive da tavola possono essere molto gravi in quanto per ottenere un prodotto di alta qualità mercantile
le drupe devono risultare esenti da punture che, anche in assenza di stadi vivi della mosca, possono deturpare
notevolmente l'aspetto estetico dell'oliva. La soglia di tolleranza per la commercializzazione delle olive da mensa
prevede il 2% di infestazione.
Sulle olive da olio il danno causato dalla mosca viene distinto in 3 tipi:
1. perdita di raccolto in seguito alla caduta precoce di olive attaccate (settembre-novembre);
2. riduzione della resa in olio;
3. peggioramento della qualità dell'olio.
La perdita di raccolto dipende, oltre che dalla intensità dell'attacco, dalla sua precocità e dalla tecnica di raccolta.
La larva di B. oleae può divorare da 1/5 a 1/10 della polpa delle olive a seconda della grandezza della drupa; la
riduzione di resa dell'olio varia quindi in conseguenza.
Il danno più grave è rappresentato però dal peggioramento qualitativo dell'olio dovuto ad un decadimento
organolettico e ad una sua minore conservabilità. L'infestazione della mosca delle olive causa infatti alterazioni dei
principali parametri chimico-fisici dell'olio determinando un aumento dell'acidità, del numero di perossidi, delle
costanti spettrofotometriche e una forte riduzione del contenuto in polifenoli.
Sulla qualità dell'olio ha una notevole influenza la tecnica di raccolta e il periodo di conservazione delle drupe
prima dell'estrazione. Infatti, olive totalmente attaccate, raccolte dalla pianta e immediatamente sottoposte a
frangitura, possono dare oli che, per acidità e numero di perossidi, rientrano nella classificazione degli extravergini
ma già infestazioni del 40% delle drupe determinano il superamento dei limiti ammessi per le costanti
spettrofotometriche. L'acidità dell'olio ottenuto da olive bacate aumenta però notevolmente col tempo di
permanenza delle drupe a terra o in frantoio e può superare facilmente anche il 10%.
Mezzi di rilevamento
La complessità dei fattori che influenzano il momento e l'andamento dell'infestazione non rende facile la scelta dei
periodi di intervento contro la mosca delle olive e pertanto da lungo tempo sono stati messi a punto sistemi di
monitoraggio degli adulti e metodi di campionamento delle olive.
Il rilevamento degli adulti, particolarmente importante quando esista una rete di monitoraggio a livello
comprensoriale e quando si intervenga con il metodo di lotta preventivo, permette di acquisire informazioni sulla
presenza dell'insetto in ogni determinato momento e di seguire l'entità delle popolazioni e le sue variazioni nel
tempo. Esso viene effettuato con trappole a diverse caratteristiche, la cui scelta dipende dalle condizioni ambientali
e dalla impostazione dei diversi programmi di lotta. Le trappole vanno appese alle piante a partire da giugno e le
catture rilevate e trascritte ogni settimana in appositi moduli. Il numero minimo di trappole per singolo oliveto, da
aumentare nel caso di grandi piantagioni, è di 6 per le trappole gialle e di 3 per le trappole innescate con attrattivi
sessuali (feromoni).
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Le trappole gialle sono costituite da lastre di plastica o di plexiglass di colore giallo limone di 15x20 cm, spalmate
con vischio entomologico (fig. 12.7).
Figura 12.7 Trappola gialla per
monitoraggio della
popolazione di
Bactrocera oleae.
La loro efficienza è poco influenzata dai fattori climatici e la buona correlazione trovata fra catture e infestazione ha
permesso di formulare equazioni matematiche che consentono di prevedere l'infestazione conoscendo il numero
medio di femmine catturate per trappola per settimana e la temperatura media della settimana di cattura. Si riesce in
questo modo a stabilire necessità e periodi degli interventi insetticidi nella lotta curativa e in quella preventiva.
Queste trappole non sono però selettive e possono catturare un grande numero di specie di insetti che, sporcando
le trappole, le rendono inefficaci dopo un massimo di 2-3 settimane.
Più di recente sono entrate nell'uso trappole a feromoni, che sono altamente specifiche nei confronti dei maschi di
Bactrocera oleae. Ne esistono in commercio vari tipi, a capannina, a Delta o formate da cartelle gialle, che vengono
fornite con 1-3 erogatori di feromone. Il feromone di B. oleae è però fortemente volatile per cui è necessario
sostituire l'erogatore frequentemente (almeno una volta al mese). Le trappole a feromoni sono dotate di alta
efficacia e di un grande raggio d'attrazione ed inoltre per la loro selettività sono di facile impiego. Purtroppo le
catture sono molto influenzate dalle condizioni climatiche e dal ricambio del feromone per cui non è stato ancora
possibile trovare una relazione fra catture ed infestazione, ma soltanto riferire (calibrare) le catture a quelle delle
trappole gialle L'efficacia di cattura relativa è molto variabile durante la stagione e si aggira su 3-10 volte quella
delle trappole gialle (fig. 12-8).
Figura 12.8 - Catture di adulti di
Bactrocera oleae con trappole gialle e
feromoni, in un oliveto della cultivar
Bosana. Le trappole gialle sono state
sostituite ogni settimana, mentre la
capsula di feromone è stata sostituita
ogni mese. Le frecce indicano le date
dei trattamenti curativi, che, però, sono
stati eseguiti sulla base dell'andamento
dell'infestazione sulle drupe.
Un metodo pratico per stabilire l'infestazione consiste nell'esaminare un campione di olive, prelevando a caso (cioè
senza scegliere) 1 oliva per pianta (100-200 olive/ha). Negli oliveti di grandi dimensioni basta prendere diversi
campioni di olive per aree omogenee, mentre per le varietà da tavola, soprattutto con piante di piccole dimensioni,
l'esame può essere fatto direttamente sulle olive senza staccarle. E' molto importante quantificare le olive punte
(distinguendo se possibile l'infestazione attiva e cioè la presenza di uova o larve vive) da quelle bacate (cioè olive
con larve grandi, pupe o gallerie abbandonate e quindi irrimediabilmente danneggiate).
Lotta
L'importanza dell'insetto nell'economia agraria dell'Italia e degli altri paesi del Bacino del Mediterraneo ha spinto,
già dalla fine del secolo scorso, a ricercare e sperimentare diversi metodi di lotta. Alcuni di questi, ad esempio la
tecnica del maschio sterile, sono stati sperimentati con successo ma sono stati poi momentaneamente abbandonati
per problemi tecnico-economici e organizzativi. Nella scelta delle varietà dovrebbe essere tenuta in debito conto la
suscettibilità all'attacco di certe cultivar, le cui drupe possono essere gravemente deformate dalle punture ed essere
deprezzate commercialmente nonostante la difesa chimica (ad es., Ascolana tenera).
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In linea generale le varietà sarde sono più resistenti di quelle di nuova introduzione. Per alcune varietà da tavola, il
numero dei trattamenti può essere ridotto anticipando la raccolta delle olive a fine settembre, per evitare l'attacco
degli adulti di B. oleae presenti in massa nella prima quindicina di ottobre. Anche per le varietà da olio la raccolta
anticipata può contribuire a ridurre i danni. La raccolta anticipata consente di sfuggire ai massicci attacchi tardivi
(ottobre-novembre); d'altra parte gli incrementi in olio ottenibili in questo periodo non sono tali da compensare i forti
rischi di perdita quantitativa e qualitativa del prodotto (fig. 12.9).
Figura 12.9 Andamento della
cascola,
dell'inolizione, del
peso secco delle
olive e dell'olio
raccoglibile nella
cultivar Bosana.
La meccanizzazione della raccolta, ove possibile, permette di intervenire tempestivamente e di ottenere oli di
pregio. E' buona norma cercare di raccogliere quante più olive possibile, in modo da non lasciare frutti pendenti in
primavera che potrebbero favorire lo sviluppo della mosca in questo periodo.
Lotta biologica
Si basa sulla salvaguardia dei parassiti del B. oleae già presenti, che viene soprattutto ottenuta con l'impiego di
tecniche di lotta e/o di fitofarmaci selettivi, e sul metodo inondativo con la liberazione di numerosi individui di Opius
concolor allevati in laboratorio. Diverse sperimentazioni nel passato, su vasta scala e anche in Sardegna (Bosa),
hanno dimostrato che è possibile ottenere olive da olio "agrariamente sane", cioè senza perdite economiche, con
liberazioni di centinaia di Opius per pianta. Recentemente, in Sardegna, la realizzazione di un allevamento massale
del parassitoide ha permesso di sperimentare la lotta biologica in diverse aree dell'isola. Nonostante le elevate
percentuali di parassitizzazione ottenute in alcuni campi sperimentali, questa tecnica di lotta non è ancora
direttamente applicabile dagli olivicoltori per gli elevati costi di produzione degli O. concolor.
Lotta biotecnica
Il metodo delle catture massali apre buone prospettive per la difesa dell'olivo senza l'impiego sulla pianta di
insetticidi ma, prima che ne possa essere consigliata un'estensione dell'impiego a largo raggio, la sua efficacia
deve ancora essere dimostrata in varie situazioni ambientali ed inoltre ne deve essere valutata la convenienza
economica in rapporto agli altri metodi di lotta.
Il progressivo miglioramento degli attrattivi e dei mezzi di cattura e/o di abbattimento di B. oleae ha portato negli
anni recenti ad applicazioni su vasta scala del metodo delle catture massali. L'utilizzazione di trappole
cromotropiche per la difesa delle olive dagli attacchi della mosca, sperimentati una trentina di anni fa, è stata
abbandonata sia per la mancanza di selettività nei confronti degli insetti utili sia per gli alti costi dovuti all'elevato
numero di trappole per ettaro e alla necessità della loro periodica sostituzione. Questi problemi sono stati in parte
superati con l'adozione di trappole di legno compensato non colorate che vengono impregnate con un insetticida a
forte potere abbattente (deltametrina) e innescate con attrattivi alimentari (proteine idrolizzate o sali ammoniacali) o
feromone sessuale (fig. 12.10).
Figura 12.10 Trappola in legno
impregnata di
Deltametrina per la
lotta alla mosca con
la tecnica della
cattura massale.
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Le trappole hanno dimostrato una buona azione per contatto anche dopo cinque mesi di esposizione in campo e
pertanto, dopo essere state appese agli olivi all'inizio dell'estate, di norma non vengono sostituite, anche se è
consigliabile un loro trattamento a metà stagione con soluzione insetticida direttamente in campo. Le prove di lotta
condotte in Sardegna su circa 130.000 olivi, impiegando una trappola per pianta, hanno dato risultati comparabili
alla difesa effettuata con esche proteiche avvelenate. Le trappole usate finora venivano preparate artigianalmente
ma recentemente la Vioryl commercializza una trappola preparata industrialmente (Ecotrap) che è stata
sperimentata con buoni risultati in alcune aree olivicole in Italia e all'estero.
Lotta chimica
Si basa sull'uso di insetticidi irrorati su tutta la pianta in funzione larvicida (lotta curativa) oppure dati in maniera
localizzata e mescolati ad esche proteiche in funzione adulticida (lotta preventiva).
La lotta antidacica curativa si effettua con insetticidi endoterapici, ad azione citotropica (cioè capaci di penetrare i
tessuti delle olive), che permettono di raggiungere le larve all'interno della drupa. I prodotti utilizzati sono a base di
esteri fosforici come Dimetoato, Fenitrotion, Fention, Fosfamidone e devono essere impiegati alle dosi minime
consigliate, anche perché diversi esperimenti hanno dimostrato la possibilità di controllare B. oleae anche con dosi
dimezzate, soprattutto in presenza di uova e larve neonate, purché venga bagnata bene tutta la pianta. L'insetticida
maggiormente impiegato è il Dimetoato, perché alla sua notevole efficacia aggiunge anche la proprietà di avere
un'alta idrosolubilità, per cui all'atto della frangitura passa in gran parte nelle acque di vegetazione e i residui di
esso nell'olio si riducono a meno di un terzo della rispettiva concentrazione riscontrata nelle olive. Il Dimetoato può
risultare fitotossico per alcune varietà, soprattutto quando sia impiegato ad alte dosi o con pompe a basso volume. I
trattamenti curativi si effettuano al superamento di una soglia economica di intervento del 10-15% di olive punte
(infestazione attiva) per le varietà da olio e del 5% per quelle da tavola. Sono state anche stabilite nella Sardegna
nord-occidentale soglie pratiche d'intervento per le olive da olio basate sulle catture alle trappole gialle e cioè 10
mosche/trappola/settimana ai primi di settembre e 30 alla fine del mese o in ottobre. Con questo metodo non si
eseguono quindi trattamenti cadenzati (cosiddetti a calendario) che coprono la pianta di insetticida per tutto il
periodo di probabile infestazione, ma solo quando esiste il rischio di perdita economica.
Il numero di trattamenti necessari col metodo curativo può variare da 1 a 3, in dipendenza dell'andamento climatico
e della varietà; nelle zone più esposte agli attacchi della mosca essi vengono eseguiti normalmente in agosto,
settembre e ottobre-novembre.
La lotta preventiva si effettua con trattamenti a base di esche proteiche avvelenate con l'aggiunta di un insetticida a
media-lunga persistenza (Fention, Dimetoato, Deltametrina), che mirano ad eliminare gli adulti di B. oleae
attraendoli su un settore limitato della chioma. Le dosi comuni di impiego dell'esca proteica sono di kg 0,5-1 per 100
litri d'acqua e quelle degli insetticidi rispettivamente di 300 grammi per preparati con Dimetoato al 20% di principio
attivo, di 250 g con Fention al 50% di principio attivo e di 100 g con Deltametrina al 2,8% di principio attivo. La
quantità di miscela impiegata per pianta varia da 0,3 a 1 litro a seconda delle dimensioni della chioma e può essere
spruzzata vantaggiosamente con pompe trasportate, avendo cura di chiudere parte degli ugelli e passando
alternativamente fra i filari in modo da bagnare un solo lato di ogni pianta. La durata d'azione di un trattamento con
esche avvelenate che è stata stimata in 20-30 giorni dipende molto dalla piovosità, che può rendere necessaria la
ripetizione del trattamento nel caso di una pioggia dilavante. I trattamenti, che devono aver inizio prima che parta
l'attacco della mosca, vengono effettuati al raggiungimento di una soglia di intervento di 2-3 femmine catturate alle
trappole gialle in media per settimana in presenza di olive suscettibili all'attacco. Il loro numero può andare da 3-4
sulle olive da olio fino a 5-6 su quelle da tavola. In alcuni casi, come ad esempio nelle zone con alte popolazioni di
B. oleae e con andamento climatico piovoso, può essere conveniente trattare con le esche avvelenate in estate ed
effettuare un trattamento curativo in autunno (lotta mista).
I vantaggi del metodo preventivo rispetto a quello curativo consistono nel minor inquinamento dell'ambiente e nei
più bassi residui tossici nelle olive e nell'olio, dato che vengono utilizzate quantità di insetticida per ettaro inferiori di
circa 10 volte, ed in una maggiore salvaguardia dei parassiti e predatori che non vengono attratti dalle esche ed
hanno a disposizione una parte della pianta non trattata. Il metodo delle esche deve essere considerato il miglior
metodo di difesa chimica delle olive da tavola, perché permette di ottenere olive immuni da punture, che anche se
curate con larvicidi possono deturpare il prodotto. Il metodo non solo risulta il più efficace, ma consente anche di
ridurre il numero dei trattamenti e i costi, nel caso di programmi di lotta a livello di comprensori, previsti d'altronde
anche dalla legislazione europea e nazionale.
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Grande interesse stanno suscitando in questi ultimi anni i prodotti insetticidi che sono compatibili con l'agricoltura
biologica. In particolare un estratto vegetale, l'olio di neem, ha mostrato, in alcune prove, una buona azione di
controllo della mosca delle olive. Il suo principale componente, il limonoide azadirachtina, ha infatti un'azione
insetticida, repellente e fagodeterrente. Attualmente sono in commercio diversi prodotti a base di questo principio
attivo ma ancora non esistono evidenze sperimentali che confermino la loro efficacia contro B. oleae. Anche i
prodotti rameici con le loro proprietà batteriostatiche possono interferire con le associazioni batteriche presenti nel
canale alimentare delle larve di B. oleae determinandone la morte. Trattamenti con poltiglia bordolese alla dose di 1
kg/hl di acqua hanno determinato, in alcune prove, una forte mortalità larvale ma sono necessarie ulteriori
sperimentazioni per verificarne la reale efficacia.
Tignola
La tignola dell'olivo, scientificamente chiamata Prays oleae Bern., è un Lepidottero appartenente alla famiglia
Yponomeutidae, considerato in alcune aree olivicole del Mediterraneo dannoso quanto la mosca delle olive.
Descrizione
L'adulto di Prays oleae è una farfallina di medie dimensioni con una apertura alare di 13-14 mm. Le ali anteriori
sono di colore grigio perla finemente frangiate e con due macchie nere a contorno irregolare, quelle posteriori sono
un poco più chiare e presentano una frangia più lunga (fig. 12.11).
Figura 12.11 Adulto di Prays
oleae.
La larva neonata è di color nocciola con capo e placca anale bruni ed è lunga 0,65 mm. Essa si sviluppa attraverso
5 età ed a maturità misura 7-8 mm di lunghezza (fig. 12.12).
Figura 12.12 Larva di Prays
oleae.
Biologia
Il Prays oleae si sviluppa solamente su piante della famiglia Oleaceae quali olivo, olivastro, gelsomino, ligustro e
fillirea. Durante il giorno l'adulto resta in riposo sotto le foglie e riprende l'attività al crepuscolo. Dopo
l'accoppiamento, che avviene subito dopo lo sfarfallamento, ed è preceduto dall'emissione da parte della femmina
di un feromone sessuale, questa depone, al crepuscolo e a temperature superiori a 12°C, 200-300 uova. La
deposizione può durare quasi un mese, ma il ritmo è più elevato nella prima settimana di vita.
La tignola dell'olivo compie 3 generazioni, di cui una sui fiori (gen. antofaga), una sui frutti (gen. carpofaga) ed una
sulle foglie (gen. fillofaga). In mancanza di fiori e quindi di frutti può svolgere le sue generazioni esclusivamente
sulle foglie. Il rilevamento del volo dei maschi con le trappole a feromoni ha messo in luce che gli adulti della tignola
sono presenti in Sardegna in tre periodi, aprile-maggio, giugno-metà luglio e settembre-metà novembre, in
corrispondenza con le tre generazioni (fig. 12.13).
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Figura 12.13 Catture di maschi di
Prays oleae con
trappole a feromoni
(la freccia indica il
periodo ottimale per
il trattamento contro
la generazione
carpofaga).
Le femmine nate in primavera depongono circa 200 uova durante 10-30 giorni di vita. Le uova di questa
generazione antofaga vengono deposte di norma singolarmente sul calice, ma negli anni di forte infestazione
possono trovarsi numerose anche sui petali. Lo sviluppo embrionale dura 1-2 settimane e, alla nascita, la larvetta
penetra nel boccio erodendolo a partire dalla base del guscio dell'uovo a contatto col fiore, e si nutre a spese delle
antere fiorali. Essa può penetrare in diversi bocci e, divenuta più grande (2-3 mm), passa a rodere i fiori dall'esterno,
imbrigliandoli con sottili fili sericei e formando una sorta di glomerulo.
Le mignole attaccate sono facilmente riconoscibili perché all'allegagione i petali rimangono sospesi ai fili di seta.
Ogni larva può distruggere 10-20 fiori, con punte massime di 30-40. Lo sviluppo dura circa un mese e a maturità la
larva si impupa tra gli stessi fiori attaccati o sulle foglie. L'adulto sfarfalla dopo 1-2 settimane dall'impupamento.
Gli adulti della generazione antofaga compaiono ai primi di giugno e le femmine iniziano a deporre sui calici delle
olivine appena formate presso l'attacco del peduncolo, dando origine alla generazione carpofaga. Le uova vengono
deposte sulle olive da olio a partire dalla seconda settimana di giugno (da quando hanno raggiunto la grossezza di
un chicco di grano) e fino alla prima di luglio, e su quelle da tavola con un certo anticipo.
Normalmente si riscontra un solo uovo per oliva, ma negli anni di forte infestazione il loro numero può arrivare
anche a 5-6 e alcune possono essere deposte, oltre che sul calice, anche su qualsiasi punto della superficie della
drupa.
L'incubazione dura circa una settimana e la larva neonata penetra direttamente nell'olivina attraverso la faccia
ventrale del guscio dell'uovo. Essa si addentra quindi nel nocciolo, restando fra l'endocarpo e la mandorla, ancora
in fase acquosa, nutrendosi di questa e sviluppandosi lentamente.
Durante la penetrazione all'interno può deteriorare i tessuti che collegano il frutto al peduncolo tanto da provocare il
disseccamento e la caduta delle olivine (cascola estiva), determinando la propria morte.
Le olive infestate rimaste sulla pianta consentono alla larva di giungere a maturazione. Essa, dopo essersi nutrita a
spese del seme, scava una galleria d'uscita attraverso il nocciolo ormai indurito e fuoriesce aprendo un foro
circolare (2 mm di diametro) in corrispondenza dell'inserzione del peduncolo, causando il distacco di un'ulteriore
quota di olive.
L'impupamento avviene sulle foglie se l'oliva non cade durante la fuoriuscita dell'insetto, nel caso contrario la larva
cerca un riparo nel terreno. Le olive attaccate sono comunque destinate a cadere. Il periodo di questa cascola
estivo-autunnale dipende dalla varietà: nelle olive da tavola essa inizia in luglio e in quelle da olio a fine agosto,
proseguendo per tutto settembre. L'impupamento dura circa 2 settimane e gli adulti si riscontrano dall'inizio di
settembre fino a metà novembre.
Le uova della generazione fillofaga vengono deposte sulla pagina superiore delle foglie e l'incubazione dura una
decina di giorni. Le larve neonate penetrano direttamente nel tessuto fogliare, scavando una galleria serpentiforme
(mina), tra la pagina superiore e quella inferiore. Dopo la muta, la larva di 2 età fuoriesce, in gennaio-febbraio,
dall'estremità della galleria per penetrare in un'altra foglia, dove scava una mina a forma di C. Le larve di 3 e 4 età
scavano altre gallerie rispettivamente a forma di C allargata o a piazzuola. La larva di ultima età a causa delle sue
dimensioni, non può più essere contenuta nello spessore fogliare e pertanto rode le foglie esternamente nella
pagina inferiore, rispettando l'epidermide superiore. Nel mese di marzo, essa rode i germogli penetrando talvolta
all'apice dei rametti e arrestandone la crescita.
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Fattori naturali di limitazione
Le popolazioni della tignola sono soggette a variazioni notevoli negli anni in dipendenza di numerosi fattori
climatici, biotici e colturali.
I fattori climatici risultano importanti soprattutto sulla generazione carpofaga, perché le alte temperature (superiori a
30 °C) collegate a bassa umidità (inferiore al 60%) possono determinare il disseccamento delle uova e forti
mortalità delle larve neonate.
Nel nostro ambiente però parassiti e predatori sembrano più importanti dei fattori climatici nel limitare le popolazioni
di Prays oleae. I parassiti, per lo più Imenotteri, sono numerosi ed attivi soprattutto sulle larve e crisalidi della
generazione antofaga della tignola, su cui possono causare fino al 60% di mortalità. Anche alcuni predatori, in
particolare i Neurotteri Chrysoperla carnea Steph.(fig. 12.14) e Dichochrysa nonché alcuni Rincoti Antocoridi e
Miridi, possono predare le larve della generazione antofaga della tignola e distruggere alte percentuali di uova di
quella carpofaga.
Figura 12.14 Adulto di
Chrysoperla carnea.
Un fattore importante di riduzione della popolazione carpofaga del Prays è costituito dalla cascola fisiologica delle
olivine in post-allegagione (luglio) che comporta una notevole perdita di larve di I età, che non possono
chiaramente portare a termine il loro sviluppo sulle drupe cadute.
Nel complesso, il tasso naturale di riduzione delle popolazioni di tignola può facilmente superare il 90%, ma non
sempre i fattori di limitazione riescono a controllare la crescita dell'insetto, che in alcuni casi può arrecare seri danni
alla produzione.
Danni
I danni della tignola sulle foglie sono considerati di nessuna importanza economica, a meno che non interessino
giovani impianti o vivai. Anche i danni causati dalla generazione antofaga sono di solito irrilevanti sulla gran parte
delle varietà, dotate di abbondante fioritura e scarsa allegagione.
I danni della generazione carpofaga dipendono da svariati fattori, quali l'intensità di ovideposizione, il tasso di
predazione delle uova e di mortalità delle larve, l'importanza della cascola fisiologica e la varietà di olivo.
Le varietà da olio manifestano una notevole resistenza alla tignola, per cui una buona parte delle larvette è
destinata a perire durante la penetrazione. Anche la caduta naturale delle olive in estate, che avviene
preferenzialmente per le olive attaccate, condiziona notevolmente il danno da Prays. Con la cascola estiva la pianta
si libera delle olive infestate e quindi indebolite, ma a questo fenomeno non corrisponde (almeno fino ad un certo
livello) una perdita di produzione, dato che le varietà da olio possono recuperare perdite di olive fino al 20%,
aumentando il peso delle olive rimaste e la resa in olio. Sulla base di queste considerazioni e dopo una lunga
sperimentazione in cui sono state messe a confronto le produzioni di piante trattate e non, è stato possibile fissare
per la cv Bosana una soglia di tolleranza del 40-50 % di olive infestate (larve in penetrazione). Questi livelli di
infestazione, oltre i quali risulta conveniente effettuare la lotta contro la tignola, vengono però raggiunti raramente,
per cui risultano normalmente ingiustificati i trattamenti ripetuti annualmente.
Le soglie economiche d'intervento per le varietà da tavola, caratterizzate da una minor resistenza alla tignola e da
una cascola fisiologica ridotta, sono molto più basse e si aggirano sul 5% nelle annate di alta produzione e sul 10%
in quelle di scarica.
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Mezzi di rilevamento
Le popolazioni della tignola possono essere stimate con l'esame di un campione rappresentativo degli organi
attaccati dalle rispettive generazioni. L'attacco della generazione carpofaga può essere rilevato osservando al
microscopico stereoscopio le ovideposizioni o le larvette in penetrazione su un campione casuale di 100-200 olive
per ettaro. L'agricoltore, per la difficoltà di rilevare le piccolissime uova senza l'ausilio di una lente di ingrandimento,
può con una certa approssimazione prevedere la probabile infestazione sui frutti basandosi sull'entità dell'attacco
della precedente generazione sui fiori. Le trappole a feromoni permettono di seguire il volo dei maschi della tignola
e di dare utili indicazioni sul momento più adatto per l'intervento insetticida. Il trattamento deve essere effettuato
tempestivamente la settimana successiva al picco di catture, per la difficoltà di colpire le larve una volta penetrate
nel nocciolo (fig. 12.13). Non è stato invece possibile finora stabilire soglie d'intervento basate sulle catture alle
trappole.
Figura 12.13 Catture di maschi di
Prays oleae con
trappole a feromoni
(la freccia indica il
periodo ottimale per
il trattamento contro
la generazione
carpofaga).
Lotta
Contro le larve della tignola dell'olivo possono essere impiegati diversi preparati a base di Bacillus thuringiensis
kurstaki, un batterio tossico per le larve dei lepidotteri ma non per gli insetti utili e per gli animali a sangue caldo. I
trattamenti con questo preparato risultano efficaci sulla generazione fillofaga e antofaga, mentre non possono
essere utilizzati su quella carpofaga le cui larve risultano protette all'interno del nocciolo. L'intervento di lotta deve
essere condotto quindi sui fiori, in modo da ridurre il numero di adulti che deporranno successivamente sulle olive. I
trattamenti microbiologici hanno il vantaggio di ridurre l'inquinamento ambientale e di salvaguardare gli insetti utili
che in estate hanno il periodo di massima presenza sull'olivo. Sulla generazione carpofaga, nel caso in cui venga
raggiunta la soglia di intervento, si ricorre efficacemente all'impiego di esteri fosforici, come Dimetoato, Fenthion,
Triclorphon etc. Si tratta di insetticidi citotropici, cioè dotati di un debole potere di penetrazione nella pianta, che
riescono a raggiungere le larvette di tignola nell'oliva prima che queste penetrino all'interno del nocciolo.
Cocciniglia mezzo grano di pepe
Il nome scientifico di questo Rincoto, chiamato anche cocciniglia nera dell'olivo, è Saissetia oleae Oliv. Nel Bacino
del Mediterraneo non sono presenti i maschi di questa specie, che quindi si riproduce per partenogenesi.
Descrizione
Le femmine adulte non ancora capaci di riprodursi hanno un corpo ovale, leggermente convesso, con 3 carene sul
dorso che nell'insieme configurano una lettera H o doppia croce di Lorena (fig. 12.15). Il colore è grigio, ma diventa
nero nella femmina adulta.
Figura 12.15 Adulto di Saisetia
oleae con adulto di
Chilocorus
bipustulatus.
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Le uova di color giallo aranciato sono deposte sotto il corpo della femmina e sono visibili come una polverina gialla
sollevando una cocciniglia ovideponente. Dall'uovo nasce una neanide che si sviluppa attraverso 3 età,
distinguibili, oltre che da caratteri microscopici, anche dalla lunghezza.
Ciclo biologico
Pur essendo estremamente polifaga, questa cocciniglia raggiunge alte densità soprattutto su olivo, oleandro e
agrumi, sui quali attacca foglie e rami di diversa età sottraendo linfa con l'apparato boccale pungente succhiante.
In Sardegna essa svolge normalmente 1 generazione all'anno e solo pochissimi individui possono arrivare a
compierne 2. Le femmine ovideponenti si trovano a partire da maggio e fino ai primi di agosto, con massima
presenza in giugno. Le neanidi di I età si riscontrano con massima densità in luglio-agosto, in settembre quelle di II
età che, insieme ad una piccolissima percentuale di femmine, costituiranno la massa degli stadi svernanti.
Ogni femmina depone in media un migliaio di uova durante una quindicina di giorni, da cui dopo altri 15-20 giorni
nascono le neanidi che si disperdono attivamente sulla chioma alla ricerca di un punto in cui fissarsi. In questa fase
possono essere trasportate su altre piante dal vento. Le neanidi temono l'insolazione diretta e tendono a fissarsi
soprattutto nella pagina inferiore delle foglie, da cui si spostano raramente. Solamente a fine inverno le femmine
giovani riprendono la mobilità, andando in parte a fissarsi sui rametti. Le femmine deponenti non si spostano più e
anzi dopo la morte i corpi secchi possono restare sulla pianta e divenire riparo per altri insetti (ad es., il Pidocchio
nero).
Fattori di limitazione
Le neanidi di I età in fase di fissazione vanno incontro a fortissime mortalità, anche superiori al 90%. Inoltre,
l'insolazione diretta, le temperature estive elevate collegate a basse umidità, i venti caldi e i temporali estivi riducono
ulteriormente le popolazioni delle giovani neanidi. Una parte di neanidi svernanti può perire durante gli inverni rigidi
ed una perdita di femmine giovani può verificarsi durante la fase di spostamento a fine inverno.
Un'azione rilevante di controllo della cocciniglia viene esercitata anche da numerosi insetti utili, parassitoidi e
predatori. I parassitoidi sono rappresentati da 4 specie di Calcididi appartenenti al genere Metaphycus, minuscole
vespine le cui larve si sviluppano all'interno del corpo della cocciniglia nelle diverse età. Le cocciniglie
parassitizzate sono facilmente riconoscibili dal foro di sfarfallamento che il parassita apre nel corpo dell'ospite. I
predatori sono costituiti soprattutto da Coleotteri Coccinellidi, i più frequenti dei quali sono Chilocorus bipustulatus L
(fig. 12.15) ed Exocomus quadripustulatus (L.), e da Imenotteri Calcidoidei quali Scutellista cyanea Mot.
Figura 12.15 Adulto di Saisetia
oleae con adulto di
Chilocorus
bipustulatus.
L'aumento rapido delle popolazioni (pullulazioni) della cocciniglia dipende oltre che da condizioni geografiche
(zone umide) o climatiche (estati non troppo calde) anche dalle pratiche colturali: 1) abbondanti e squilibrate
concimazioni azotate; 2) eccessivo ombreggiamento dovuto a fittezza della chioma; 3) trattamenti con insetticidi a
vasto spettro d'azione che eliminano i nemici naturali della cocciniglia.
Danni
Le piante attaccate dalla cocciniglia mezzo grano di pepe subiscono danni diretti, causati dalla sottrazione di linfa e
dall'immissione di saliva tossica, e indiretti dovuti alla produzione di melata ed al conseguente sviluppo di
fumaggine. La melata è emessa dalla cocciniglia sotto forma di escrementi liquidi dolciastri che cadono in
goccioline sulla parte medio bassa della chioma, e su cui si sviluppano funghi microscopici che formano croste
nerastre (fumaggine).
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Le piante fortemente attaccate da cocciniglie e fumaggine rallentano la germogliazione, vanno incontro a
defogliazione e possono presentare produzioni fortemente ridotte per diversi anni successivi.
Lotta
Gli insetticidi anticoccidici (oli leggeri, polisolfuri, esteri fosforici, piretroidi) risultano poco efficaci contro le femmine
giovani ed ovideponenti della cocciniglia. La lotta chimica va pertanto effettuata in estate (15 luglio-15 agosto)
contro le neanidi di I età, che sono lo stadio più sensibile su cui un trattamento determina mortalità superiori al 90%,
oppure in autunno o fine inverno (marzo) contro le neanidi di II e III età, su cui l'efficacia degli insetticidi si aggira sul
50%.
La soglia di intervento è stata fissata intorno alle 5-10 neanidi per foglia a fine luglio - primi di agosto, allorquando la
maggior parte delle uova sono schiuse. Il rilevamento delle neanidi va effettuato con l'ausilio di una lente di
ingrandimento su almeno 100 foglie prese a caso da 10 piante per ettaro. Una stima indiretta dell'infestazione estiva
può essere ottenuta contando il numero di femmine ovigere in giugno. In questo caso la soglia di intervento può
essere fissata in 60 femmine per 100 rametti di 20 cm di lunghezza (a partire dall'apice) prelevati casualmente per
ogni ettaro di oliveto.
Quando si raggiunge la soglia di intervento è consigliabile intervenire a fine luglio con olio bianco alla dose
dell'1-1,5% (miscelando eventualmente anche ossicloruro di rame contro la fumaggine), insetticida che
salvaguardia in parte gli insetti utili. Nel caso di infestazioni ancora maggiori è necessario ricorrere ad insetticidi
molto più tossici ed inoltre poco selettivi per parassitoidi e predatori, come alcuni esteri fosforici. Con un ulteriore
campionamento in settembre si potrà prendere la decisione di intervenire nuovamente nei casi in cui l'infestazione
non sia diminuita oppure di trattare per la prima volta.
Gli interventi di fine inverno sono i più selettivi, in quanto vengono effettuati in un periodo in cui sono praticamente
assenti gli insetti utili, ma essendo anche poco efficaci devono essere riservati alle situazioni in cui la cocciniglia
non rappresenta ancora un problema, ma in cui si cominciano ad osservare sintomi di crescita delle popolazioni
(oltre 30 neanidi per 100 rametti in febbraio). In questo periodo in sostituzione dell'olio leggero o degli esteri fosforici
può essere impiegato il polisolfuro di bario (1 Kg per hl d'acqua con formulati al 45-47% di principio attivo).
La lotta alla cocciniglia risulta abbastanza difficoltosa nel caso di forti pullulazioni e pertanto il suo controllo deve
essere possibilmente mirato ad impedire l'insorgere delle infestazioni favorendo i fattori naturali di mortalità.
Soprattutto la potatura, eseguita correttamente ad intervalli regolari, risulta un efficace metodo colturale di
prevenzione perché permette di eliminare i rami fortemente colpiti e di modificare in senso sfavorevole alla
cocciniglia il microclima della pianta. Deve essere perseguita anche la salvaguardia dei nemici naturali, evitando fin
dove è possibile l'impiego di insetticidi a largo spettro su tutta la chioma dell'olivo.
Fitofagi secondari
In questo gruppo sono stati inseriti gli insetti che solo raramente possono determinare danni alle produzioni
olivicole sarde anche se occasionalmente possono costituire un problema per particolari oliveti.
Pidocchio nero dell'olivo
Chiamato anche Liotripide dell'olivo o Liothrips oleae, è un Tisanottero nero, con ali frangiate con lunghe setole,
lungo 2-3 mm. Al contrario dell'insetto che è difficilmente visibile sulla pianta, sono facilmente riscontrabili i danni
sulle foglie, che appaiono tipicamente contorte e deformate (a forma di falce). La specie compie 3 generazioni
all'anno con svernamento allo stadio di adulto, che trova riparo nei rami forati da Coleotteri Scolitidi o sotto i corpi
morti della cocciniglia mezzo grano di pepe. La lotta si effettua solo in casi eccezionali, quando l'insetto compare in
gran numero determinando arrossatura e disseccamenti sulla parte alta della chioma, aborto e cascola dei fiori e
tacche irregolari nerastre sui frutti.
Cotonello dell'olivo
Chiamata anche Bambacella dell'olivo o Euphyllura olivina è un Rincoto Psilloideo che sverna allo stadio di adulto
e depone in primavera su germogli e infiorescenze. Gli stadi giovanili vivono su questi organi ricoprendosi di
abbondante cera, sintomo che ne permette il facile riconoscimento (fig. 12.16).
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Figura 12.16 Euphyllura olivina
(mignole coperte di
cera prodotta dalle
nenanidi.
I danni sono normalmente trascurabili, considerando che la specie è fortemente controllata dai nemici naturali, ma
in ambienti umidi ed in alcune annate, per evitare l'intristimento dei germogli e la perdita di fiori e frutticini può
essere necessario ricorrere a trattamenti con oli bianchi distribuiti a getto pesante.
Cocciniglia Grigia
Questa cocciniglia chiamata anche Parlatoria dell'olivo o Parlatoria oleae è un Rincote Diaspino con il rivestimento
(che forma una specie di scudo ricoprente l'insetto) di color grigio biancastro di mm 2,3x1,8. Sverna allo stadio di
adulto e presenta 2 generazioni, con comparsa di neanidi mobili in aprile e giugno.
La cocciniglia grigia attacca rami, foglie e drupe, determinando una macchia rosso-violacea nel punto di
insediamento di ciascuna femmina, dovuta all'immissione della saliva. I danni possono essere molto gravi per
alcune cv da tavola (ad es. Ascolana), su cui si possono tollerare solo bassissime infestazioni sui frutti.
Il controllo di questa cocciniglia può essere effettuato con l'introduzione di efficaci parassitoidi indigeni (2phytis
maculicornis (Masi)) ed esotici (2phytis paramaculicornis Debach e Rosen e Coccophagoides utilis Doutt.) oppure
con trattamenti con oli semplici od attivati in primavera-estate. Alcune rare pullulazioni osservate recentemente in
Sardegna, sono da collegare ad eccessive concimazioni azotate o a trattamenti con insetticidi ad ampio spettro di
azione.
Margaronia
Chiamata anche tignola verde o Palpita unionalis è allo stadio di adulto una farfalla di color bianco con margine
costale nocciola (fig. 12.17).
Figura 12.17 Adulto di Palpita
unionalis.
Compie 4-5 generazioni all'anno e le larve, presenti dalla primavera all'autunno, erodono le foglie più tenere nella
parte apicale dei germogli. I danni sono di solito insignificanti sulle piante adulte non irrigate in quanto gli attacchi
sono normalmente localizzati sui polloni, mentre possono assumere un certo rilievo su piante irrigue, in cui la
germogliazione è prolungata. Sulle piante giovani l'attacco di questo Lepidottero può compromettere lo sviluppo
vegetativo rendendo la chioma molto affastellata e ritardando il raggiungimento della forma di allevamento
prescelta. In caso di necessità la specie può essere controllata con trattamenti con preparati a base di Bacillus
thuringiensis oppure con esteri fosforici.
Oziorrinco
L'Otiorrhynchus cribricollis è un coleottero Curculionide lungo circa 7-8 mm di colore bruno in qualche caso
rossastro che attacca l'olivo, gli agrumi, le piante da frutto e le ornamentali (fig. 12.18).
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Figura 12.18 Adulto di Oziorrinco.
L'insetto compie una generazione all'anno e sverna allo stadio di larva nutrendosi di radici di piante erbacee come
ad esempio l'erba medica. Gli adulti, presenti in campo a partire da fine maggio, durante il giorno si nascondono nel
terreno mentre la notte si portano sulle piante provocando delle caratteristiche erosioni sul parenchima fogliare. A
partire da settembre iniziano le ovideposizioni sul terreno. Questo Curculionide causa seri danni solo in vivaio o nei
giovani impianti dove l'adulto, determinando una defogliazione totale ed erodendo anche la corteccia dei germogli,
può portare a morte le piante. Per combattere questo fitofago vengono impiegati insetticidi a base di fosforganici o
mezzi fisico-meccanici come gli anelli di colla o fasce di fibre sintetiche applicati al tronco che impediscono la
risalita dell'adulto sulla chioma.
Fleotribo
Il Phloeotribus scarabaeoides è un piccolo Coleottero Scolitide di forma ovale e di color marrone, lungo 2-2,5 mm
(fig. 12.19).
Figura 12.19 Adulto di Fleotribo.
Gli adulti, che svernano riparati in piccole gallerie scavate all'ascella di giovani rametti, facilmente individuabili
perché sormontati da una masserella di rosura, in marzo si portano su piante deperite, su rami rotti dal vento e
soprattutto sui rami tagliati con la potatura. Qui scavano, sotto la corteccia, le gallerie di riproduzione in cui si
sviluppano 50-80 larve. I nuovi adulti sfarfallano in giugno, bucando la corteccia, e danno successivamente origine
ad altre due generazioni in luglio-settembre e ottobre-novembre. Gli adulti si nutrono scavando gallerie di
alimentazione poco profonde ("covacci"), generalmente alla biforcazione di giovani rametti.
I danni causati dagli adulti con le loro gallerie di nutrizione, che provocano il deperimento ed il disseccamento dei
rametti fruttiferi, possono essere abbastanza gravi soprattutto in oliveti vicini ai paesi o comunque vicini ad ammassi
di legno d'olivo. Anche le piantine messe a dimora da poco ed in crisi di trapianto possono subire attacchi molto
forti. La lotta consiste nel mantenere le piante in buone condizioni vegetative, nel non lasciare mai per lungo tempo
in campo la legna di potatura e nel metodo dei rami esca. Questo consiste nel lasciare i rami di potatura affastellati
in campo per attirare gli adulti in fase riproduttiva; dopo qualche settimana questa ramaglia deve essere allontanata
dall'oliveto oppure bruciata sul posto, in modo da evitare in tutti i casi che i nuovi adulti nati diano origine ad un
focolaio di infestazione.
Fitofagi di importanza minore
Numerose altre specie possono causare danni di importanza molto limitata. Tra esse citiamo il rodilegno giallo (
3euzera pyrina), le cocciniglie cotonose (Philippia follicolaris, Lichtensia viburni), la cocciniglia tubercolata (Pollinia
pollini), diverse altre cocciniglie (2 spidiotus nerii, Lepidosaphes spp., etc), il punteruolo (4 hynchites cribripennis),
alcuni acari (2ceria oleae, Oxycenus max5elli).
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gestione fitosanitaria dell'oliveto
I moderni orientamenti dell'olivicoltura hanno portato alla produzione di oli extravergini di oliva di elevate
caratteristiche organolettiche ottenuti con l'ottimizzazione delle tecniche agronomiche e di estrazione dell'olio e con
un'adeguata difesa fitosanitaria. L'impiego degli insetticidi di sintesi, applicati per salvaguardare le caratteristiche
qualitative dell'olio, ne possono però deprezzare le qualità non immediatamente percettibili con la presenza di
residui tossici. Questo aspetto assume un'importanza sempre maggiore in un periodo di crescente interesse sui
problemi dell'inquinamento ambientale e per la richiesta da parte dei consumatori di prodotti "biologici". Le
conoscenze acquisite in tempi recenti sulla bio-ecologia dei fitofagi, sui mezzi di monitoraggio, sulle soglie di
danno, sui metodi di lotta colturale, biologica, biotecnica e chimica, hanno permesso di formulare programmi di lotta
guidata e integrata.
La lotta integrata, che oltre al controllo chimico prevede l'utilizzazione di quello biologico, biotecnico e colturale,
presuppone per l'applicazione di alcune tecniche l'esistenza di adeguati servizi di assistenza a livello consortile, ma
può essere attuata almeno nelle forme più semplici anche dai singoli olivicoltori. Essa si basa sui seguenti elementi:
1. rilevamento delle popolazioni degli insetti nocivi e possibilmente dei loro antagonisti, che va effettuata
almeno in alcuni periodi critici;
2. applicazione delle azioni di lotta solo al superamento delle soglie economiche di intervento;
3. utilizzazione dei metodi di controllo più razionali, dando la precedenza ai metodi di lotta colturali, biologici e
biotecnici, quando siano compatibili con l'economicità della coltura;
4. individuazione delle epoche ottimali per gli interventi di lotta;
5. scelta dei fitofarmaci non solo sulla base del costo e dell'efficacia, ma prendendo in considerazione anche le
caratteristiche tossicologiche e la selettività nei confronti degli insetti utili.
Lo schema di lotta integrata con i metodi di monitoraggio, le soglie e le modalità di intervento contro i principali
fitofagi, riportato in Tabella 12.1, consente la protezione delle produzioni olivicole evitando l'eccessivo uso degli
antiparassitari.
Più problematica appare invece la difesa delle produzioni in oliveti dove si attua l'agricoltura biologica secondo il
Reg. CEE 2092/91. Infatti, sebbene siano disponibili efficaci tecniche ecocompatibili di difesa contro le cocciniglie
ed i lepidotteri, si incontrano notevoli difficoltà nel contenimento delle popolazioni di Bactrocera oleae. Il Reg. CE
1488/97 consente però, in casi di necessità riconosciuta dall'organismo di controllo o dall'autorità di controllo, l'uso
di prodotti a base di Azadiractina e di Rotenone e, in deroga fino al 31 marzo 2002, l'impiego di trappole impregnate
di deltametrina, il rame e gli oli minerali. Come visto nei capitoli riguardanti i singoli fitofagi, questi mezzi possono
consentire di ridurre a livelli accettabili gli attacchi entomatici e rendere conveniente la produzione biologica
qualora il mercato premi con prezzi superiori i prodotti così ottenuti.
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3tadio vegetativo
o periodo
dell'anno
Fitofago
Fleotribo
Controllo
Visuale senza
campionamento
Interventi
consigliati
3oglie di intervento
-
Rami esca
Cocciniglia
n. di neanidi su
100 rametti
Oltre 30 neanidi
Potatura, olio
bianco,
metidathio,
polisolfuro di
Bario
Liotripide
% di gemme
infestate su un
campione di 100
gemme
Oltre il 10% di gemme
infestate
Endosulfan
Tignola
% di
infiorescenze
infestate su 100
campionate a
caso
Olive da tavola: oltre il
10 % di infiorescenze
infestate
Olive da olio: oltre il
40 %
Bacillus
thuringiensis
Frutticini
Tignola
% di olivine
infestate su 100
campionate a
caso
Voli degli adulti
con trappole a
feromoni
Olive da tavola: 5-10
% di olive infestate
Olive da olio: 40% di
olive infestate
Dimetoato,
triclorfon
(nella
settimana
dopo il picco
di cattura)
Giugno
Cocciniglia
n. di femmine su
100 rametti
Oltre 60 femmine
-
Fine luglio
Cocciniglia
n. di neanidi su
100 foglie
5-10 neanidi per
foglia
Olio bianco
Ingrossamento
dei frutti
Mosca
Catture di
femmine alle
trappole gialle
% di
infestazione
attiva su 100
frutti prelevati a
caso
Settembre-Ottobre
Mosca
Come sopra
Riposo vegetativo
Riposo vegetativo
e prefioritura
Fioritura
1-2/trappola/settimana
Olive da tavola:
presenza di
infestazione attiva
Olive da olio: 10-15 %
di infestazione attiva
Come sopra
100
Esche
proteiche
avvelenate
oppure
trattamento
curativo
(dimetoato,
fosfamidone,
fenthion)
Come sopra
Tabella 12.1 3chema di lotta
integrata
nell'oliveto.
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Capitolo 13 - Difesa: avversità non parassitarie
Obiettivi
Le cause naturali di stati di sofferenza sono nella maggior parte dei casi attribuibili ad avverse condizioni climatiche.
Si riportano indicazioni utili per evitare o limitare i danni.
L'espansione dell'olivicoltura sia in termini di longitudine che di altimetria è limitata, tra l'altro, dal verificarsi di
situazioni di rischio in rapporto ad avversi eventi meteorici.
Gli eccessi di caldo sono aggravati da insufficiente disponibilità idrica nel terreno, e provocano ustioni su foglie
branche e tronco. Gli eccessi termici di inizio estate colpiscono in primo luogo i frutticini localizzati sui rami più bassi.
La scelta di opportune forme di allevamento e la moderazione nell'intensità degli interventi cesori limitano
l'estensione dei danni.
Gli eccessi di freddo sono dannosi piuttosto in primavera e inverno che non in autunno. I primi danneggiano gli
alberi se la temperatura si porta al di sotto di -7 °C. Le lesioni provocate dal freddo favoriscono la penetrazione del
batterio agente della "rogna".
Anche le microlesioni indotte dalla grandine possono facilitare la diffusione della "rogna" e realizzare le condizioni
ambientali opportune per lo sviluppo di infezioni fungine, come il così detto "occhio di pavone".
Difesa: avversità non parassitarie
Le cause naturali di stati di sofferenza sono nella maggior parte dei casi a attribuibili ad avverse condizioni
climatiche: più spesso ad eccessi di caldo o di freddo.
Queste situazioni limitano l'olivicoltura a Sud e a Nord (ovvero a certe altitudini) ma, talvolta, anche negli ambienti
tipici propri del bacino del Mediterraneo e della Sardegna in particolare, possono determinare situazioni di rischio,
in rapporto ad avversi eventi meteorici, in zone particolarmente predisposte.
Eccessi di caldo
Gli effetti delle alte temperature si manifestano, soprattutto se la mancanza di una adeguata disponibilità idrica a
livello del suolo (conseguenti a prolungati periodi di siccità, ovvero alla mancanza di interventi irrigui) consentono
l'innalzamento della temperatura superficiale delle varie parti della pianta, determinando ustioni sia a livello
fogliare, sia sul tronco e sulle branche, specie quando gli stessi non sono adeguatamente ombreggiati dalla
vegetazione; pertanto esistono stretti legami tra forme di allevamento e intensità degli interventi cesori, da un lato, e
la frequenza e la gravità del danno, dall'altro. I bruschi innalzamenti termici all'inizio dell'estate provocano spesso il
disseccamento dei frutticini localizzati sui rami più bassi, per l'effetto dell'irradiazione dal terreno. Inoltre, un
contemporaneo prolungato periodo di siccità aggrava la situazione, tenuto conto che quest'ultimo, già da solo, può
essere un grave fattore di danno. In questo contesto, merita allora una indicazione su situazioni contrarie alle
precedenti, relative a lunghi periodi di elevata umidità del suolo, spesso dovute a precipitazioni anormalmente
copiose e prolungate. In tali situazioni sono molto facili e frequenti le alterazioni a livello radicale, quasi sempre
complicate da interventi da parte di miceti terricoli, sia patogeni, sia opportunistici.
Eccessi di freddo
Circa gli effetti del freddo v'è da dire che quelli precoci autunnali non sono generalmente dannosi, anche se,
talvolta, determinano parziali disidratazioni ed appassimenti delle drupe (di un certo interesse nelle olive da
mensa); più preoccupanti sono invece quelli invernali e primaverili. I primi, che generalmente si verificano quando
le piante si sono gradualmente adattate al progressivo abbassamento termico, sono dannosi se i limiti vanno oltre i
-7°, in particolare sui rami di due o tre anni, più raramente su quelli di maggiore età, in ambienti particolarmente
umidi (valli chiuse, ove si possono raggiungere tali temperature per la formazione di ristagni di freddo), a seconda
della varietà, età e condizione dell'individuo (alberi giovani, cattivo stato di nutrizione).
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In questi casi si può avere la morte dei rami e di intere branche ma, nei nostri ambienti, quasi mai la morte dell'intera
pianta; situazioni queste, che, comunque, obbligano l'agricoltore ad eseguire tagli importanti per il rinnovo della
chioma.
Nei nostri ambienti è da tenere conto che, in frequenti casi, la temperatura invernale si mantiene mite e, di
conseguenza, non consente alle piante quel completo adattamento di riposo, come in altre zone; pertanto, il
sopravvenire di temperature inferiori a quelle solite dell'ambiente può indurre danni molto più gravi di quanto ci si
possa attendere dal limite minimo termico raggiunto e può anche favorire infezioni di "rogna", che di solito sono
indotti da lesioni causate dai freddi primaverili. In questi ultimi casi, se tardivi, gli effetti sono i più gravi, non tanto per
l'entità dell'abbassamento termico quanto per la velocità con cui questo si verifica; esso produce lesioni nei tessuti
esterni (spesso non molto vistose) già di per se dannose, ma che promuovono estese infezioni da parte del batterio
agente della "rogna" e di cui si dirà più avanti.
E' importante sottolineare che altri fenomeni meteorologici possono direttamente o indirettamente influenzare lo
stato di sanità della pianta e creare, da un lato, situazioni favorevoli alle infezioni di organi sensibili (per esempio le
lesioni, anche non visibili, prodotte dalla grandine permettono, alla pari di quelle indotte dal freddo, l'ingresso
dell'agente della "rogna"), e dall'altro, un ambiente favorevole alla diffusione degli organelli di propagazione degli
agenti patogeni ed alla conseguente infezione (come nei casi di molte malattie fungine ed in particolare dell'"occhio
di pavone").
Ulteriori quadri sintomatologici possono essere causati da differenti fattori abiotici e, in particolare da quelli edafici,
in rapporto ad anormali situazioni nutrizionali. A parte le varie sindromi indotte da carenze di elementi nutrizionali
(di azoto più frequentemente, se connessa a scarsa disponibilità idrica) che sono riconoscibili e che si ripercuotono
sulla produzione, sono stati segnalati ingiallimenti delle foglie seguiti da distacchi prematuri ed accompagnati da
necrosi di tessuti corticali, spesso al colletto del fusto. Tali sindromi sono in genere attribuite ad alte concentrazioni
di magnesio e di conseguenza ad un elevato rapporto Mg/K e basso rapporto Ca/Mg. Per quanto concerne
fenomeni di boro-carenza, pur possibili, non sono state segnalate in Sardegna forme sintomatiche significative.
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capitolo 14 - Difesa: Malattie parassitarie dell'olivo
Obiettivi
Gli agenti patogeni che attaccano l'olivo sono numerosi, ma solo alcuni rappresentano un reale problema per la
coltura. Si discutono le possibili forme di lotta diretta (fitoiatrica) e indiretta (tecnico agronomica).
Tra le malattie che colpiscono, in Sardegna, l'olivo, un ruolo di primo piano è occupato dalla rogna o tubercolosi.
Essa è dovuta al batterio Pseudomonas savastanoi pv savastanoi. La manifestazione più tipica ed evidente consiste
nella presenza di escrescenze di un iniziale colore verde pallido, poi più scure, con disseccamento del tratto di
ramo soprastante il tubercolo. Il batterio penetra nei tessuti veicolato dall'acqua. La lotta, non facile, consiste in
trattamenti a tutta chioma con prodotti rameici subito dopo gli eventi meteorici che interrompono la continuità dei
tessuti corticali: grandinate e gelate in primo luogo. Anche la disinfezione degli attrezzi usati per la potatura rallenta
la diffusione della malattia.
L'occhio di pavone, o vaiolo, è dovuto all'azione del fungo microscopico Spilocaea oleagina. È presente negli areali
con più elevata umidità relativa dell'aria e dove sono diffuse varietà sensibili, come la Bosana. I sintomi si rilevano
con maggiore frequenza sulle foglie, ma talora anche sui peduncoli delle drupe e sulle drupe medesime. La
defogliazione è il sintomo più evidente, con manifestazioni anche massicce nella tarda estate. Anche durante
l'inverno, con temperature comprese tra -0,5°C e 2,5°C, si assiste a un'estesa caduta delle foglie. La riduzione della
superficie fotosintetizzante limita, nel Tondo di Sassari, la produzione di mignole a un terzo, e quella dei frutti a un
quarto rispetto ai valori di piante protette. La lotta agronomica prevede l'arieggiamento della chioma e dell'oliveto,
quella chimica si basa sui prodotti cuprici che, facendo cadere le foglie infette, riducono le possibilità di nuove
infezioni. L'intervento eradicante si effettua a febbraio/marzo, seguito da un secondo ad aprile/maggio.
La piombatura è una malattia non grave che provoca sulle foglie macchie color grigio piombo e, nelle annate con
estati miti, anche macchie violacee sui frutti. Queste ultime sono state osservate principalmente sulla Pizz'e carroga.
Difficilmente è necessario intervenire perché i trattamenti contro l'occhio di pavone controllano anche questa
malattia.
La lebbra è importante per i danni che può provocare ai frutti, di estensione significativa solo in limitati areali isolani.
Elevata umidità e temperature miti sono condizioni che facilitano l'infezione. Anche in questo caso gli interventi
cuprici contro l'occhio di pavone risultano efficaci per controllare la lebbra.
La verticilliosi provoca il deperimento delle piante talvolta accompagnata da una prematura defogliazione. Poco
diffusa in Sardegna, sono soprattutto gli alberi giovani che mostrano sintomi riferibili a detta malattia. Si deve evitare
l'impianto dell'oliveto su terreni che in precedenza hanno ospitato specie suscettibili al fungo: pomodoro,
melanzana e peperone. I seccumi dei rami sono imputabili ad altre specie fungine.
I marciumi delle drupe, oltre che alla lebbra e alla piombatura, possono essere dovute a altre specie micetiche, non
rilevate in Sardegna.
I giallumi dell'intera chioma, o di parte di essa, se non imputabili a squilibri nutrizionali possono essere dovuti
all'azione di forme virali e/o fitoplasmatiche. Queste ultime paiono le più probabili.
I marciumi radicali sono in genere favoriti dalla siccità o da prolungata umidità del suolo. In queste condizioni
diverse specie di funghi patogeni e/o opportunisti possono colpire gli apparati radicali. Particolare rilevanza assume
la Phytophthora megasperma.
La carie è un'alterazione del legno che provoca lo svuotamento del tronco e delle branche. L'alterazione è presente
in tutta l'Isola, ma soprattutto nella parte settentrionale. La lotta è soprattutto preventiva e tecnico agronomica,
dovendosi evitare i ristagni d'acqua nel terreno e gli stati di sofferenza idrica e nutrizionale. È anche opportuna la
disinfezione dei tagli di potatura con anticrittogamici ad ampio spettro e la copertura di quelli di rilevanti dimensioni
con mastici e vernici.
La fumaggine, favorita dall'alta umidità ambientale, è spesso collegata alla presenza della cocciniglia mezzo grano
di pepe. I funghi che formano le croste nerastre non stabiliscono rapporti nutrizionali diretti coi tessuti fogliari e dei
frutti, e la loro azione negativa si concretizza in una perdita di efficienza fotosintetica. Il controllo dell'ambiente e
della cocciniglia rappresenta la premessa per ogni azione di lotta.
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La presenza di virus, virosi e malattie simil-virali è ritenuta responsabile di 14 quadri sintomatologici, di scarsa
rilevanza operativa soprattutto in Sardegna. La selezione sanitaria propedeutica alla certificazione del materiale di
propagazione rappresenta l'unica strategia di lotta oggi adottabile.
La lotta integrata prevede l'impiego di sistemi di controllo biologico, agronomico, biotecnico e, come ultima
alternativa, il ricorso a interventi chimici. Allo stato attuale non pare possibile la definitiva eliminazione dei
fitofarmaci, mentre è possibile una razionalizzazione del loro uso con notevoli riduzioni dei principi attivi distribuiti.
Difesa: Malattie parassitarie dell'olivo
Gli agenti patogeni che attaccano l'olivo sono numerosi, ma solo alcuni rappresentano un reale problema per la
coltura.
La rogna o tubercolosi
Sintomatologia
È una malattia causata da un microrganismo appartenente al gruppo dei batteri fitopatogeni denominato
Pseudomonas savastanoi pv savastanoi.
Il quadro sintomatologico è caratterizzato dalla presenza di escrescenze (tubercoli) di colore verde pallido e poi più
scuro, sui rami di differente età e talvolta anche sulle grosse branche. Tali tubercoli, di dimensioni variabili, da
giovani hanno la superficie liscia che con l'età si fessura in modo irregolare (fig. 14.1).
Figura 14.1 - Attacchi gravi di rogna su
giovani rami.
Molto spesso i rami di uno o più anni possono disseccarsi nella porzione soprastante un tubercolo, mentre nei vivai
sono stati segnalati danni anche all'apparato radicale. In generale la malattia si riflette negativamente sull'attività
vegetativa e produttiva delle piante. Generalmente l'incidenza economica della malattia è in relazione con l'entità
delle infezioni e con gli effetti necrotizzati sui rami, richiedendo questi ultimi maggiori spese per la rimonda e con il
minore risultato quali-quantitativo del prodotto.
Biologia
Il patogeno non ha la capacità di penetrare attivamente nei tessuti dell'ospite ma, veicolato dall'acqua, vi si può
introdurre attraverso le aperture rappresentate da qualsiasi lesione quali le sedi di distacco anticipato delle foglie,
dovute alle infezioni indotte dall'agente dell'occhio di pavone; le ferite causate da insetti o altri animali, da eventi
meteorici quali abbassamenti termici, grandine, vento, ecc., nonché quelle conseguenti ad operazioni colturali
(potature, lavorazioni, raccolta tramite abbacchiatura, ecc.).
È importante sottolineare che situazioni ambientali, anche microclimatiche, caratterizzate da elevata umidità
atmosferica, possono giocare un ruolo importante nel promuovere l'infezione; infatti, la malattia risulta
particolarmente grave quando le lesioni sono accompagnate dall'elevata umidità o da una prolungata bagnatura,
dovuta alle piogge od anche copiose bagnature della rugiada.
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In tutti i casi, dopo un periodo di incubazione, variabile da uno a tre mesi, necessario al batterio per moltiplicarsi e
diffondersi nei tessuti interni, compariranno i tipici tubercoli.
La diagnosi della rogna si basa, innanzitutto, sull'accertamento diretto dei caratteristici sintomi. La presenza dei
tubercoli in evoluzione esprime la fase attiva della malattia e, quindi, la presenza del patogeno nei tessuti di
neoformazione e, con buona probabilità, in quelli strettamente in contatto con essi. In altre circostanze, ed in
considerazione della situazione sanitaria generale dei singoli impianti, ove l'assenza assoluta dei sintomi è stata
verificata attraverso ripetute e specifiche osservazioni, esistono buone probabilità (ma non la certezza) che il
patogeno, coi suoi ceppi virulenti, non sia presente, ovvero lo sia con popolazioni di scarsa densità. Tuttavia, ciò
non consente di poter escludere a priori un'eventuale contaminazione epifita del patogeno. L'assenza di sintomi (e,
quindi, di una fase attiva della malattia) può essere la conseguenza della mancanza di situazioni favorevoli (di
carattere sia climatico-meteorico, sia tecnico agronomico) che non hanno consentito l'infezione da parte del
patogeno.
Al momento, non esistono precise indicazioni circa la resistenza alla malattia delle diverse varietà; ciò,
probabilmente, a causa della variabilità genetica esistente tra i diversi individui nell'ambito di una stessa varietà, e
della loro capacità di resistere a fattori meteorici avversi, in particolare agli effetti delle basse temperature. Tra le
cultivar presenti in Sardegna si dimostrano suscettibili la Pizz'e carroga ed il complesso varietale della Bosana (con
i ritenuti cloni Palma, Tondo sassarese e Olieddu).
Difesa
La lotta contro la rogna non è agevole. Le possibilità di controllo sono ridotte, da un lato, dal divieto di impiego in
agricoltura di specifiche sostanze battericide (ad es. antibiotici) e dalla mancanza di sperimentazione di appropriati
prodotti traslocabili all'interno della pianta con effetti battericidi, dall'altro dalla scarsa affidabilità dei trattamenti
preventivi con prodotti rameici. Inoltre, il ricorso a tali prodotti è condizionato dall'imprevedibilità degli eventi
meteorici ed dalla difficoltà ad intervenire in campi resi impraticabili; queste situazioni riducono spesso le residue
possibilità di controllo. Laddove, invece, fosse possibile, può essere consigliato un trattamento con prodotti rameici
(poltiglia bordolese all' 1,5% o ossicloruri di rame allo 0,6%) da eseguirsi sia immediatamente dopo gli eventi
climatici predisponenti la malattia (non oltre 3-5 giorni), sia in seguito ad interventi cesori. Pur non essendo certa
l'efficacia, si consiglia, comunque, allo scopo di non diffondere la malattia, di disinfettare gli attrezzi usati per la
potatura immergendoli in soluzioni a base di composti di rame. Nei vivai notevole importanza riveste l'utilizzazione
di materiale di propagazione assolutamente sano.
L'occhio di pavone o vaiolo
È certamente la malattia dell'olivo più nota e diffusa, presente, seppure con forme di intensità differenziata, in quasi
tutte le località olivicole italiane.
Poiché la diffusione, la possibilità di infezione e la recettività sono largamente sostenute dalle condizioni meteoriche
e microclimatiche dei diversi ambienti e dallo stato colturale proprio di ogni singolo oliveto, è possibile che accanto
o anche entro estese superfici, ove la malattia è poco o niente rappresentata, vi siano areali (talvolta molto modesti)
dove, invece, essa infierisce in maniera molto grave. Peraltro, in zone dove la malattia è sempre presente, seppur in
forme meno gravi, è anche facile rilevare singoli oliveti che ne sono assolutamente esenti. Ciò evidenzia due
diverse serie di fattori che modificano le situazioni prevalenti e sottolineano, innanzitutto, l'importanza delle
caratteristiche di sensibilità, ovvero, di tolleranza o resistenza delle diverse varietà ed inoltre, da un lato l'influenza
favorevole alla malattia di particolari zone o ambienti microclimatici e dall'altro che un'accurata esecuzione delle
pratiche colturali dell'oliveto risultano sempre positive nel ridurre la possibilità di infezione.
Sintomatologia
I sintomi della malattia sono prevalentemete riscontrabili nelle foglie (fig. 14.2 e fig. 14.3), pur essendo talvolta
presenti in altri organi verdi quali i peduncoli delle drupe e le drupe medesime.
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Figura 14.2 - Occhi di pavone: sintomo
classico della malattia.
Figura 14.3 - Occhio di pavone:
macchie numerose di occhio di pavone,
la foglia è invecchiata precocemente,
ma le aree infette sono attive nella
fotosintesi (effetto delle citochinine).
Le foglie infette non mostrano subito i sintomi, in quanto il microrganismo infettante ha bisogno di un certo periodo
di tempo (periodo di incubazione) per invadere i tessuti sensibili, in particolare quelli epidermici della pagina
superiore. In queste zone, il fungo si estende utilizzando acqua e nutrimento a spese della foglia, e la sua presenza
è rilevabile solamente attraverso particolari trattamenti che favoriscono la diagnosi precoce. Solo quando l'area
invasa è sufficientemente sviluppata è visibile ad occhio nudo, cioè quando il patogeno ha perforato la cuticola
fogliare, liberando gli "organelli di propagazione" (conidi) che produrranno le successive infezioni. Queste ultime
avverranno prevalentemente sugli organi sensibili della stessa piante, ma anche di piante contigue, se forti correnti
d'aria saranno in grado di farvi giungere minute goccioline d'acqua, inglobanti i conidi ancora attivi.
In questa fase, con un'attenta osservazione, è possibile scorgere una macchia rotonda bruna o bruno-violacea,
leggermente vellutata in superficie, su un tessuto leggermente decolorato nella sua parte centrale. Più avanti,
quando la stagione decorre favorevolmente, dette macchie si estendono mantenendo, a seconda della varietà, o le
stesse caratteristiche iniziali, oppure segnando il proprio sviluppo con anelli concentrici di diverso colore. Questi
ultimi richiamano quelli tipici delle penne del pavone dalle quali ha preso il nome la malattia.
In rapporto alle diverse e variabilissime condizioni di ciascun ambiente, le infezioni, nei diversi periodi, possono
interessare un differente numero di foglie e ciascuna foglia con un numero differente di macchie di infezioni. Si
potranno così avere foglie che mostreranno solo una o poche macchie, anche di dimensioni considerevoli (sino a
10 mm di diametro), o foglie con macchie tanto numerose da interessare l'intera superficie.
La defogliazione cui è soggetta la pianta affetta è la manifestazione più evidente e più grave; può verificarsi già
all'inizio dell'estate, ma le manifestazioni più evidenti, in rapporto anche alle condizioni meteorologiche si mostrano
a partire dalle fine dell'estate, per proseguire in crescendo nel periodo autunno-vernino (fig. 14.4). In particolare in
inverno, in concomitanza di minime termiche tra -0.5°C e 2.5°C, le foglie infette sono oggetto di un massiccio
contemporaneo distacco. In altre situazioni, invece, specie nelle piante dove l'infezione non si è estesamente
diffusa, il distacco può, talvolta, passare inosservato.
Figura 14.4 - Occhio di pavone: la
cuticola delle parti infette delle foglie si
distacca dall'epidermide (con
conseguente espressione di
"argentatura" se la temperatura scende
a 0°C).
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Biologia
La malattia, causata da un fungo microscopico [Spilocaea oleagina (Cast.) Hughes, ma ancor oggi noto con la
vecchia denominazione di Cycloconium oleaginum Cast.] si diffonde esclusivamente attraverso i conidi che si
formano sugli organi colpiti. Affinché possano essere distaccati dalla loro sede di formazione e trasportati su altri
organi e per operare un'ulteriore infezione, necessitano di una abbondante bagnatura (in seguito a piogge, o
prodotta durante prolungati periodi di precipitazioni occulte) e temperature adeguate. Il vento può avere una certa
importanza nella diffusione dei conidi dell'agente patogeno, specie se questi si trovano inglobati in goccioline
d'acqua.
L'evoluzione del ciclo biologico del patogeno è favorito da gamme di temperatura sufficientemente ampie, varianti
da sopra 3°C sino a circa 28°C. Dalla penetrazione alla comparsa dei sintomi, in rapporto alle situazioni
meteorologiche ed alle risposte delle diverse varietà, può trascorrere un periodo di latenza anche superiore a tre
settimane. L'applicazione di tecniche di laboratorio per la diagnosi precoce della malattia è molto utile e talvolta
necessaria per effettuare validi interventi fitoiatrici.
In casi di infezioni fogliari precoci primaverili evidenzianti macchie ben formate già nell'estate, si può avere, nel
corso della stagione, un arresto dello sviluppo delle medesime macchie. Lo sviluppo, tuttavia, può riattivarsi in
autunno con il ritorno di temperature e condizioni di umidità ottimali. In certi casi i tessuti, in corrispondenza della
macchia, possono addirittura disseccarsi nella parte centrale, ma mantenersi vitali in un sottile anello periferico,
capace, comunque, di consentire una ripresa vegetativa del fungo durante l'autunno.
Le infezioni a carico delle drupe, pur meno frequenti, possono, in particolari annate, interessare la maggior parte se
non addirittura tutti i frutti e sono sempre deleterie in quanto oltre a provocare una cascola anticipata, rendono i frutti
qualitativamente non utilizzabili e ciò sia per le lesioni evidenti (nel caso delle olive da mensa), sia per l'elevata
acidità che conferiscono all'olio prodotto. Le infezioni ai peduncoli provocano o la caduta prematura della drupa,
oppure il suo avvizzimento; quelle sui rametti, invece, non rivestono, in generale, importanza pratica.
Per quanto riguarda le foglie, che sono gli organi più importanti sotto i diversi punti di vista, la suscettibilità decresce
con l'età. In genere, le infezioni primaverili-estive interessano tutte o molte delle foglie nate durante la primavera e
l'inizio dell'estate; esse possono mostrare sintomi già a partire dal mese di maggio.
In differenti aree olivicole sarde è stato osservato che durante l'estate, mentre molte foglie della vegetazione
dell'anno mostrano già palesi macchie di infezione, oppure risultano infette in fase ancora latente, le sottostanti
foglie della vegetazione dell'anno precedente, ancora presenti sullo stesso ramo, risultano completamente esenti
da sintomi attribuibili alla malattia.
Da quanto premesso, appaiono evidenti due situazioni: da un lato che le foglie giovani sono quelle sempre più
suscettibili e che con l'età le foglie delle stesse piante acquisiscono una maggiore resistenza all'infezione, e
dall'altro che nelle varietà sensibili, in presenza di foglie infette sugli alberi, se le condizioni stagionali decorrono
favorevolmente (pioggia, alta umidità conseguenti a prolungati periodi di precipitazioni occulte e temperature
adeguate) le infezioni sui vari organi possono verificarsi tutto l'anno.
Particolare recettività all'infezione si manifesta durante la primavera, in coincidenza con l'emissione della nuove
foglie, sino a tutto maggio o anche la metà di giugno; ovvero, in autunno, da settembre in poi. Peraltro, in inverno (in
concomitanza di temperature piuttosto rigide) ed in estate (quando la frequente prolungata siccità è anche
accompagnata da temperature piuttosto elevate) potranno registrarsi flessioni nell'entità e nell'evoluzione delle
infezioni, ma non la scomparsa della malattia.
Difesa
Il danno provocato dal distacco prematuro delle foglie è certamente più consistente quanto più è anticipata la
caduta, in rapporto al notevole squilibrio dell'attività vitale che deriva alla pianta. Dati recenti ottenuti da pluriennali
osservazioni, con particolare riferimento alla cv "Tondo sassarese", hanno messo in evidenza e quantificato i
notevoli effetti prodotti dal distacco prematuro delle foglie. Rapportando i dati ottenuti da piante lasciate libere alle
infezioni del patogeno, con quelli ottenuti da altrettante piante parzialmente protette con non più di due interventi
anticrittogamici, è stato evidenziato che, globalmente, la produzione di mignole è ridotta ad un terzo e quella dei
frutti a circa un quarto, rispetto alle produzioni ottenute dalle piante protette.
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Finalità principale degli interventi contro questa malattia è quindi quella di evitare quanto possibile l'infezione delle
foglie suscettibili e, al limite, ritardarne il distacco. Poiché nelle aree olivicole classiche si ha a che fare con
situazioni precostituite, gli interventi dovrebbero essere avviati su due precise direzioni: una preminentemente di
carattere tecnico-agronomico, l'altra di carattere strettamente fitoiatrico.
Con la prima serie di interventi si dovrebbe tendere ad eliminare, ovvero a ridurre al minimo, le influenze negative
dell'ambiente. Certamente utili sono alcuni interventi volti a modificare la chioma e a mantenerla in condizioni di
massima aereazione, evitando di creare condizioni favorevoli al ristagno di umidità e, particolarmente, la
formazione di abbondante e perdurante condensazione acquosa sulle foglie.
Nelle aree ove la malattia è presente sempre in forma grave l'unico mezzo di lotta attuabile è quello chimico. Tra i
prodotti finora usati, i rameici hanno risposto sempre in maniera adeguata, in particolare per la loro persistenza,
superiore a quella di altri prodotti "acuprici" (privi di rame), che pure hanno mostrato una buona attività. I composti a
base di rame sono stati più frequentemente raccomandati perché essi (sotto forma di poltiglia bordolese o
ossicloruri) accelerano la caduta delle foglie infette. Questo fenomeno è, talvolta, mal visto dagli agricoltori in
quanto, nei casi più gravi, le piante possono spogliarsi completamente nel giro di pochi giorni. Queste situazioni,
invece, debbono essere interpretate favorevolmente, in quanto esse portano ad una repentina e drastica riduzione
delle possibilità di nuove infezioni sugli organi ancora presenti ed, in particolare su quelli di neo formazione.
Un'irrorazione con un anticrittogamico a base rameica, effettuata prima della ripresa vegetativa (febbraio/marzo),
determinerebbe il distacco delle foglie vistosamente macchiate, facendo aumentare, di conseguenza, le probabilità
che le foglie di nuova formazione riescano a sfuggire all'infezione. Questo trattamento a fini "eradicanti" potrebbe,
comunque, non riuscire pienamente nell'intento, se al momento dell'intervento sono presenti, anche se in
percentuali modeste, foglie con infezioni latenti che costituirebbero successivamente nuove sorgenti di infezione ed
un pericolo potenziale per le giovani foglie in via di accrescimento. Provvedendo all'esecuzione di un secondo
trattamento (aprile-maggio a seconda dell'andamento stagionale, ma, comunque non in coincidenza con l'apertura
dei fiori) con gli stessi prodotti rameici, eventualmente addizionati con altri a base di Dodina, tale evento potrà
essere evitato (fig. 14.5). Ciò facendo, si riduce ulteriormente l'inoculo (presente sulle ultime foglie infette
appartenenti al precedente ciclo vegetativo) e si proteggono le foglie della nuova vegetazione. Pertanto, potrebbero
non rendersi necessari gli interventi autunnali che di solito vengono raccomandati.
Figura 14.5 - Occhio di pavone: la
pianta mostra branche ricche di foglie
(in seguito a interventi localizzati con
fitofarmaci) rispetto alla restante parte
della chioma defogliata a causa di
attacchi di occhio di pavone.
È chiaro che quanto sopra indicato si rende necessario se si interviene per la prima volta; di seguito però, quando la
situazione si è normalizzata, anche con gli auspicati interventi di carattere agronomico, uno o pochi trattamenti dettati dall'esperienza maturata localmente e, se il caso, integrati con quelli insetticidi - dovrebbero garantire in
maniera più che adeguata il controllo della malattia. È utile sottolineare che quanto suggerito è frutto si esperienza
maturata in aree ove esistevano, e purtroppo tuttora esistono, condizioni ambientali e tecnico-agronomiche molto
svantaggiose e quindi in situazioni molto favorevoli alla malattia
Il discorso deve essere impostato in maniera diversa se, invece, si vogliono considerare prospettive di
rinnovamento o di espansione in nuove aree: le considerazioni di base valgono soprattutto in questi casi, ove
necessiterà un esame attento ed approfondito della scelta sia ambientale, sia tecnico-agronomica, con particolare
riferimento alle varietà e quindi alla finalizzazione produttiva. In questo ambito dovranno prendersi in
considerazione aspetti legati a possibili caratteri di resistenza alla malattia di nuove varietà o di cloni appartenenti a
varietà preesistenti. Sotto quest'ultimo aspetto, l'individuazione di cloni resistenti, oppure tolleranti alla malattia, è
una via da seguire specialmente negli areali olivicoli dove prevalgono varietà di notevole importanza economica
ma che, purtroppo, sono anche sensibili alla malattia. Verifiche sperimentali relative alla sopra detta cultivar "Tondo
sassarese", hanno indicato la possibilità di poter procedere seguendo questa via.
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Piante clone tolleranti possono essere individuate monitorando il comportamento reattivo nei confronti dell'entità
delle infezioni, della percentuale di distacchi prematuri delle foglie e della migliore risposta delle piante alla fioritura
ed alla fruttificazione, e ciò al fine di costituire una base per la loro propagazione e diffusione in possibili futuri
impianti.
Per quanto concerne la lotta, certamente ancora difficile, è da augurarsi che, in un futuro non lontano, possano
essere utilizzati nuovi composti chimici con una spiccata capacità di azione curativa (oltre che preventiva) tale da
poter controllare l'evoluzione del patogeno all'interno dei tessuti invasi. Ciò facendo ricorso a composti ad azione
sistemica, similmente a quanto già viene fatto per il controllo di malattie simili quali le "ticchiolature". In questo
campo esistono dei risultati che sono molto incoraggianti, e se gli aspetti tossicologici risponderanno alle esigenze
delle normative in vigore, è probabile che per "l'occhio di pavone" si possano aprire nuove buone prospettive per un
suo efficace controllo.
Nell'ipotesi di trattamenti in un oliveto adulto, si consiglia l'utilizzo di irrorazioni rameiche su una base di circa 1000
litri ad ettaro con le dosi di 1,4-1,5 kg ogni 100 litri di acqua di poltiglia bordolese oppure 0,6-0,7 kg di ossicloruro di
rame.
Per quanto riguarda le cultivar sarde una certa sensibilità all'occhio di pavone si è riscontrato nel complesso
varietale "Tondo sassarese", "Palma" e "Bosana" in differenti aree della parte centro-settentrionale dell'isola, di
"Manna" nell'oristanese e di "Pizz'e Carroga" in diverse zone del cagliaritano.
La piombatura
È così detta in quanto le foglie colpite dall'agente della malattia (fungo microscopico Mycocentrospora
cladosporioides Sacc.) mostrano sulla pagina inferiore macchie di colore grigio piombo che possono estendersi
sull'intera superficie, determinando corrispondenti decolorazioni, anche intense, su quella superiore e
successivamente il distacco anticipato della foglia. Queste, prima di cadere, possono disseccarsi in corrispondenza
dell'area infetta (fig. 14.6 e fig. 14.7).
Figura 14.6 - Piombatura: particolare di
una branca sintomatica.
Figura 14.7 - Piombatura: foglie affette
dalla malattia mostrano i sintomi
(piombatura nella parte inferiore).
È una malattia non particolarmente grave: colpisce le foglie già adulte, in condizioni di temperatura mite ed umidità
piuttosto elevata; il loro eventuale distacco si produrrebbe in periodi di molto posteriori a quelli indicati per l'occhio
di pavone; vengono così meno, rispetto a quest'ultima malattia, gli effetti deleteri conseguenti una mancata
differenziazione a frutto delle gemme. In genere, l'entità delle defogliazioni attribuibili a questa malattia - almeno per
quanto concerne le indicazioni note per le aree olivicole meridionali ed insulari - non ha mai destato
preoccupazioni. Gravi, invece, sono gli effetti nei vivai.
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Di un certo interesse, invece, sono le infezioni che possono verificarsi, anche se in forma sporadica e decisamente
localizzata, a carico dei frutti (fig. 14.8).
Figura 14.8 - Piombatura: drupa affetta
da piombatura mostra la parte
sintomatica: si intravedono i frutti del
patogeno.
Esse sono state osservate, dopo estati miti, a carico di drupe ancora immature e, con una maggiore frequenza, più
tardi in autunno poco prima dell'inizio della raccolta. I frutti colpiti mostrano delle macchie bruno-violacee, poi
nettamente più scure infossate, irregolari nella forma e di dimensioni sino a circa un centimetro di diametro.
All'interno di queste zone si formano col tempo dei corpuscoli bruni che rappresentano le forme di moltiplicazione
del fungo patogeno. Le olive colpite tendono a marcire contribuendo a far perdere loro la qualità in particolare se
trattasi di olive da mensa.
La malattia è presente in Sardegna un po' dappertutto nella sua fase fogliare, mentre l'attacco a carico dei frutti è
stato riscontrato principalmente sulla varietà "Pizz'e carroga". In questo specifico caso le condizioni di giacitura delle
piante, e quelle conseguenti microclimatiche sono certamente favorevoli al decorso della malattia. Nel caso della
piombatura, ancor più che nel caso dell'occhio di pavone un razionale mantenimento delle piante sarebbe
sufficiente ad evitarne effetti dannosi. Laddove, poi, si faccia ricorso all'irrigazione, i fenomeni - almeno quelli fogliari
- possono essere più frequenti, ma in genere non sono tanto dannosi da richiedere interventi chimici specifici.
Peraltro, quando in un oliveto viene praticata con una certa regolarità la lotta contro l'occhio di pavone, gli stessi
trattamenti controllano adeguatamente anche questa malattia.
La lebbra
È una malattia che, pur infettando organi diversi della pianta, è importante per gli effetti conseguenti alle infezioni
dei frutti. Le maculature, i successivi raggrinzimenti della drupa e il conseguente marciume sono tipiche fasi
dell'evoluzione della malattia che compromette l'utilizzazione del prodotto (fig.14.9).
Figura 14.9 - Lebbra: drupa sintomatica
ove la porzione interessata è imbrunita e
disidratata.
La malattia, più nota in altre aree olivicole delle regioni continentali italiane (in particolare della Calabria e della
Sicilia), ha fatto la sua comparsa in Sardegna circa trent'anni addietro, in un limitato areale olivicolo. Ma sia in
Sardegna, sia nelle altre regioni che sono state interessate da una fase epidemica, la lebbra è andata
gradualmente regredendo, tanto che oggi ha un certo significato solo in poche e limitate zone. L'infezione, causata
da un fungo microscopico (più noto come Gleosporium olivarum Alm.), induce un graduale deterioramento del frutto
già sull'albero ed una forma più rapida di marciume se l'oliva cade a terra.
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Molto spesso il distacco è facilitato dall'infezione al ramo portante. Una situazione analoga può verificarsi attraverso
il picciolo di foglie infette. Le infezioni dirette sui frutti e sulle foglie si realizzano sempre a mezzo di propaguli
disseminati da forme di propagazione (dette "acervoli"), in particolare da quelle abbondanti e persistenti, formatesi
sulle olive infette non cadute. All'evoluzione di tali situazioni concorrono condizioni ambientali favorevoli quali
l'elevata umidità relativa dell'aria e le temperature miti. Le foglie infette, mostranti spesso macchie color cuoio,
possono distaccarsi anticipatamente, mentre le infezioni ai rami (in genere non di grosse dimensioni) possono
indurre fenomeni di avvizzimento e conseguente disseccamento. Questi ultimi aspetti, così come possibili infezioni
su drupe verdi (poco frequenti) sono stati messi in relazione ad una diversa sensibilità delle varietà alla malattia.
Indicazioni al riguardo esistono in quelle regioni (come la Calabria) dove la lebbra ha infierito in modo grave e per
diversi anni, permettendo di analizzare il comportamento delle diverse varietà.
In quegli stessi ambienti, per un efficace controllo della malattia, oltre agli indispensabili interventi agronomici
(largamente basati su operazioni di rimonda) erano richiesti, nelle annate più favorevoli alla malattia, anche
interventi chimici (in particolare prodotti anticrittogamici a base rameica) con 2 o 3 trattamenti a partire dalla fine di
settembre. In Sardegna, come si è detto, la malattia non si è diffusa, ma ove esistesse questa possibilità gli interventi
eseguiti contro malattie altrettanto gravi e diffuse (come, ad esempio, l'occhio di pavone) sarebbero sufficienti a
controllare adeguatamente anche la lebbra.
La verticillosi
La malattia prende nome dall'agente che la causa, il fungo microscopico Verticillium dahliae Kleb. Essa si esprime
con una complessa forma di deperimento, accompagnata, talvolta, da una prematura defogliazione, conseguenti
all'azione di due particolari ceppi del patogeno (defogliante e non defogliante) e può interessare le piante con una
differente intensità. La malattia può evolversi con una forma cronica a carico di piante vecchie in areali olivicoli
classici ed una forma acuta su alberi giovani, più frequentemente in impianti irrigui. In questi ultimi casi i primi
sintomi compaiono sui rami più giovani, le cui foglie, in primavera, tendono ad assumere un colore giallo e poi
brunastro, a ripiegare i bordi verso il basso e poi distaccarsi dalle loro sedi; in molti casi fanno eccezione le ultime
4-5 foglie del ciuffo apicale che, anche se secche, non cadono. I rametti interessati si disseccano e questo
fenomeno può estendersi talvolta anche ad intere branche (fig. 14.10). Durante questa fase possono formarsi sulla
corteccia dei rami striature brunastre più o meno estese e depresse, mentre il legno può assumere, nei settori
interessati dall'alterazione della corteccia, una colorazione dal giallastro al bruno.
Figura 14.10 - Pianta affetta da
tracheoverticilliosi con evidente
tentativo dir ipresa e produzione di nuovi
getti basali.
Anche se le manifestazioni della malattia sono prevalentemente a carico della chioma, l'infezione causata dal fungo
avviene attraverso le radici; da qui si diffonde attraverso i vasi conduttori, per raggiungere le parti periferiche, dove
esprime la sua dannosità. Talvolta, i sintomi non sono tali da consentire una diagnosi sicura; quest'ultima è
possibile solo con l'isolamento in coltura artificiale del patogeno dagli organi presunti infetti. Questa operazione è
più facile quando il tempo è moderatamente buono e senza forti fluttuazioni della temperatura. Può verificarsi anche
che forme di disseccamenti delle porzioni apicali dei rami di giovani piante, associate alla presenza di galleria
ascellari prodotte da insetti (Phloeotribus scaraboeoides e Hylesinus oleperda), e verosimilmente attribuiti agli effetti
del loro parassitismo, siano associati alla presenza del micete patogeno. In questa circostanza è molto probabile
che l'azione dei detti parassiti sia stata promossa e facilitata dai rametti previamente indeboliti dalle precedenti
affezioni primarie.
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Attualmente, in Sardegna la malattia non costituisce un problema di notevole gravità; solo in rare circostanze alberi,
in particolare quelli di giovane età, mostranti sintomi riferibili alla verticilliosi hanno dato riscontro positivo alla
diagnosi biologica. Infatti, uno dei più efficaci interventi "integrati" è il precoce accertamento del patogeno nella
pianta e ciò oggi, anche attraverso l'applicazione di metodologie molecolari. Quindi, dovendo considerare le
situazioni relative all'impianto di un nuovo oliveto, notevole importanza assumerà l'accertamento della sanità del
materiale di propagazione e lo stato del terreno se si opera su appezzamenti precedentemente coltivati con specie
suscettibili al fungo (pomodoro, melanzana, peperone).
Il controllo chimico della malattia non è facile. Dati sperimentali molto recenti indicano che interventi con
Phosethyl-Al (Fosetil alluminio) esprimono una certa efficacia nel contenere le infezioni, sia attraverso iniezioni al
tronco, sia con trattamenti alla chioma. Al momento tale prodotto non risulta però tra quelli autorizzati per l'uso
comune in olivicoltura. Anche il Benomyl iniettato sembra esprimere una certa efficacia.
Seccume dei rami
Come è noto, l'olivo mostra di frequente disseccamenti rameali, talvolta attribuiti su base sintomatologica alla
tracheoverticilliosi, ma che, invece, sono ben differenziati da questa dal punto di vista eziologico. In Sardegna,
alterazioni a carico dei rami di due o tre anni sono state rilevate con una certa frequenza, ma, in generale, con una
intensità piuttosto bassa. Possibili agenti sono differenti specie fungine tra le quali, più frequente è la Phialophora
parasitica Ajello, George & Wang.
Altre forme di marciume dei frutti
Oltre ai casi di marciume delle drupe indotte dalla lebbra e dalla piombatura i frutti dell'olivo possono essere oggetto
di infezioni e di conseguenti forme di marciume causate da altre specie fungine. I danni indotti da Camarosporium
dalmatica (Sphaeropsis dalmatica) sono da tempo ben noti in particolare in alcune zone olivicole della Sicilia.
Più recentemente, in particolare in alcune zone della Puglia, sono state segnalate nuove forme a carico di drupe
mature e site nella parte più bassa della chioma e rappresentate da discolorazioni bruno-scure, generalmente
associate con il prematuro distacco del frutto e prodotte da infezioni locali da parte di Phytophthora nicotianae
(Breda) de Haan. Un altro tipo di marciume localizzato attorno al peduncolo e mostrante i tessuti raggrinziti si ritiene
che possa essere indotto dalla specie micetica Pyrenochaeta quercina K e B. Non si hanno informazioni circa la
presenza di tali alterazioni in Sardegna.
Giallumi
In quest'ultimo decennio, in varie località olivicole isolane sono state segnalate varie forme di giallumi (non riferibili
a sindromi carenziali) che interessavano, il più delle volte, tutta la chioma, o branche isolate della stessa, tanto di
piante giovani, quanto di adulte.
I sintomi cromatici non si differenziavano da quelli segnalati in altre parti d'Italia, attribuiti a forme virali e/o fitoplasmi
(sono organismi microscopici unicellulari che non hanno una forma stabile e definita, essendo delimitati da una
membrana, ma non dotati di una parete rigida). Allo stato attuale degli studi, le forme riscontrate in Sardegna non
sembrano essere legate ad eziologie virali; mentre non sono escluse quelle di origine fitoplasmica o di altra natura.
Nei casi di affezioni fitoplasmiche i giallumi sono spesso accompagnati da un raccorciamento degli internodi dei
rametti, da aborto delle gemme e da scarsa vegetazione.
I marciumi radicali
Alterazioni radicali piuttoisto complesse possono verificarsi nelle regioni meridionali ed interessare, in particolare,
giovani piante di recente impianto. Il più delle volte tali alterazioni sono conseguenti a fattori edafici abiotici (siccità
e/o elevata e prolungata umidità del suolo) e sono complicate ed aggravate dal'azione patogena e/o opportunistica
di un elevato numero di miceti terricoli, in particolare da Phytophthora megasperma, P. irregulare, P. palmivora
assieme ad un nutrito nomero di specie appartenenti ai generi Cylindrocarpon sp., Fusarium ssp., Macrophomina
phaseolina, Sclerotium rolfsii, tra i più frequenti. In questo contesto e con particolare riferimento a P. megasperma,
tenuto conto della sua alta frequenza e la sua dipendenza per la patogenicità dell'alto contenuto di acqua nel suolo,
si ritiene che tale specie possa giocare un importante ruolo sulla sensibilità delle giovani piante all'asfissia radicale.
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Analoghi deperimenti possono verificarsi su piante adulte ed il loro aggravamento può essere anche attribuito alla
contemporanea azione da parte di specie di nematodi parassiti dell'olivo Forme gravi di marciumi radicali in piante
adulte sono indotte da infezioni di Armillaria sp. e da Dematophora (Rosellinia) necatrix.
La carie
La carie è una alterazione del legno che porta ad un imponente svuotamento del tronco e delle branche a causa del
processo degenerativo e del disfacimento del legno stesso. In Sardegna l'alterazione è molto diffusa in tutti gli areali
di tradizione olivicola, anche se sembra più frequente in quelli della parte settentrionale dell'Isola.
Al marciume del legno tipico della carie si associa sempre un deperimento generale della vegetazione, in
particolare quando l'azione degenerativa, avviatasi nella parte più vecchia ed interna del legno, si avvicina al legno
giovane più esterno. La causa di tale alterazione viene attribuita all'azione di varie specie di funghi
(prevalentemente le specie tipiche del marciume del legno) che si ritrovano costantemente nel legno alterato e che
raggiungerebbero quelle parti di tessuto non funzionante, trasportati da infiltrazione d'acqua introdottasi attraverso
tagli o altre lesioni.
Per prevenire l'insorgenza della carie è opportuno che i nuovi oliveti siano realizzati secondo i dettami della tecnica
razionale. In particolare bisogna evitare i ristagni d'acqua nel terreno e gli stati di sofferenza idrica e nutrizionale
delle piante, perché sono ritenuti fattori di predisposizione all'alterazione. Inoltre, quale norma di carattere generale,
è da prescrivere la disinfezione dei tagli di potatura con prodotti anticrittogamici ad ampio spettro e, quando i tagli
siano di diametro rilevante, la loro copertura con mastici o vernici. Per quanto concerne la cura di piante ammalate,
mediante l'asportazione del legno cariato (slupatura), bisogna dire che l'intervento è tecnicamente possibile, anche
se fortemente limitato da considerazioni di ordine economico.
La fumaggine
La cosiddetta fumaggine è un'alterazione molto diffusa in quasi tutti gli ambienti olivicoli, ma particolarmente più
grave nelle bassure non ventilate e soggette a forti ristagni di umidità. Non si tratta di una malattia vera e propria in
quanto le svariate specie di funghi microscopici che causano la formazione di strati fuligginosi non sembra che
stabiliscano coi tessuti della pianta un rapporto nutrizionale.
Nella stragrande maggioranza dei casi lo sviluppo della fumaggine è in stretta relazione con le infestazioni della
cocciniglia mezzo grano di pepe (Saissetia oleae Bern.) le cui forme giovanili si diffondono su tutta la chioma. In
seguito alla loro attività alimentare liberano sostanze prevalentemente zuccherine effettuando una specie di
"filtrazione" dei succhi tratti dagli organi attaccati; queste sostanze costituiscono la "melata". Quest'ultima può essere
anche prodotta dalle stesse piante ("melata fisiologica") quando si trovino in stato di sofferenza per fatti nutrizionali
ed idrici anormali. Qualunque sia l'origine della melata, su di essa si depositeranno casualmente le forme di
moltiplicazione dei funghi della fumaggine formando poi la caratteristica copertura fuligginosa . Questi funghi pur
non avendo rapporti nutrizionali diretti con gli organi vegetativi della pianta compromettono, come conseguenza
della loro copertura, la funzionalità delle foglie accelerandone altresì l'invecchiamento; anche i frutti possono essere
ricoperti dalla fumaggine, situazione particolarmente grave per le olive da mensa.
In definitiva, fatte le dovute eccezioni, la fumaggine è solo un problema secondario e la sua soluzione dipende dalle
possibilità del controllo dei fattori che ne permettono l'insediamento. Una lotta diretta è possibile con l'aiuto di
prodotti anticrittogamici o con miscele di sostanze fungicide e scrostanti; ma ciò è pur sempre un fatto aleatorio se
non vengono attivati tutti quei mezzi indicati per il controllo dell'ambiente e delle pericolose infestazioni di
cocciniglie.
Virus, virosi e malattie simil-virali
Il primo suggerimento circa la possibile esistenza di virosi dell'olivo venne dal Lazio nel 1939. Le ricerche
successive hanno portato alla descrizione di 14 diversi quadri sintomatologici di cui è stata sospettata (o accertata)
la natura virale. Le virosi accertate sono pochissime e si riferiscono ai "frutti bitorzoluti" accompagnati da sintomi
fogliari indotte dal virus della "maculatura anulare" della fragola (SLRSV); ai giallumi nervali con deperimenti, indotti
dal potexvirus OYVV proprio dell'olivo, e da TMV (agente del mosaico del tabacco).
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Le presunte virosi sono riferibili a tre categorie: malattie riprodotte su olivo mediate trasmissione per innesto, ma i
cui agenti non sono stati identificati (foglie falciformi, sferosi, giallumi fogliari); malattie non riprodotte su olivo ma
alle quali sono associati agenti che inducono sintomi su ospiti diversi di O. europaea (paralisi parziale,
malformazioni fogliari); malattie caratterizzate da modificazioni degli organi assili (corteccia fessurata) e dei frutti
(vaiolatura), che ricordano alterazioni di possibile natura virale, ma delle quali non è stata dimostrata la
trasmissibilità per innesto.
Per quanto riguarda le alterazioni cromatiche, che sono le più e vistose in Sardegna è plausibile che, in alcuni casi
particolari, abbiano una origine infettiva, sostenuta da una pluralità di agenti (virus, ovvero fitoplasmi di cui si è fatto
cenno in precedenza), solo alcuni dei quali sono stati a tutt'oggi isolati ed identificati. Comunque, la rilevata bassa
incidenza delle infezioni farebbe ritenere che ad una intrinseca resistenza dell'ospite si accompagni una modesta
ed occasionale frequenza di episodi infettivi. Tuttavia, rimane il fatto che i virus, invadendo sistemicamente le piante,
permangono nel materiale di propagazione che pertanto rappresenta il principale veicolo di diffusione di tali agenti.
Al momento, la selezione sanitaria propedeutica alla certificazione è l'unica strategia di lotta adottata contro i virus
dell'olivo. Peraltro, si deve anche dire che in carenza di efficienti supporti diagnostici, la selezione di per sé, per
quanto sia accurata, non garantisce livelli di sanità tranquillizzanti. Infatti, l'esame visivo da solo non è soddisfacente
in rapporto alla presenza di infezioni latenti, in piante chiaramente asintomatiche. Pertanto, l'esecuzione di saggi
per rilevare la presenza di dsRNA virali è fondamentale.
La lotta integrata
Le indicazioni che possono essere suggerite per stilare un completo programma di lotta integrata, non sono
numerose. Ciò dipende da un lato dalla ancora insufficiente conoscenza degli aspetti biologici ed epidemiologici di
molte malattie, e, dall'altro, dalla limitata disponibilità, almeno per quanto concerne l'Italia di composti chimici di cui
sia consentito l'uso in agricoltura.
Nel suo più ampio ambito, e con particolare riferimento alla difesa dai fitofagi, la lotta integrata prevede l'impiego di
sistemi di controllo biologico, agronomico, biotecnico e, come ultima alternativa, il ricorso ad interventi chimici. Allo
stato attuale, comunque, è difficile ipotizzare una definitiva eliminazione dell'impiego di questi prodotti; tuttavia, è
attuabile una razionalizzazione della difesa dell'oliveto con notevoli riduzioni dei principi attivi distribuiti.
Tuttavia, tenendo conto delle affezioni di natura crittogamica, che hanno un notevole impatto sull'economia della
coltura, è importante prendere in considerazione gli aspetti tecnico-agronomici generali piuttosto che quelli più
strettamente fitoiatrici, ma che, ovviamente, assieme a questi ultimi, possono completare e rendere più efficace il
quadro degli interventi. Pertanto, in tutti i casi, è fondamentale che non vengano a mancare le pratiche colturali, per
mantenere le piante nel migliore stato vegetativo e per evitare possibili situazioni che, direttamente o indirettamente,
favoriscano gli agenti patogeni nelle differenti, successive fasi del processo patogenetico.
A parte le lavorazioni del terreno e le concimazioni che dovranno essere effettuate con regolarità, notevole
importanza riveste la potatura. Essa, pur nella sua periodicità, dovrà consentire sempre la massima aerazione della
chioma per evitare il ristagno dell'acqua, sia quella piovana, sia, soprattutto, quella di condensazione che
favorirebbero l'evoluzione di malattie molto gravi quali sono l'occhio di pavone, la rogna e la lebbra nelle aree dove
è ancora grave. In particolare per quanto riguarda le due ultime malattie, e segnatamente per la "lebbra", anche
l'allontanamento delle parti infette attraverso operazioni di rimonda, potrebbe risultare di un certo ausilio.
Sempre in ambito colturale e come è stato indicato nel caso della tracheoverticilliosi, è molto importante evitare le
consociazioni con specie suscettibili all'agente patogeno, e la costituzione di nuovi impianti su terreni che hanno
ospitato, in precedenza, colture erbacee e arboree suscettibili, e ciò se dette specie erano state oggetto di infezioni
da parte dello stesso agente. In questo contesto, la lotta contro le infestanti può contribuire al mantenimento della
sanità dell''oliveto nei confronti della stessa malattia. In tali ambienti si ritiene che l'applicazione di alcune tecniche
di "solarizzazione" al terreno, ovvero direttamente alla chioma delle piante affette, possano offrire favorevoli
prospettive.
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Contrariamente a quanto noto nei riguardi dei fitofagi, contro i quali esiste una vasta applicazione, molto scarse
sono, invece, le indicazioni sulla possibilità di interventi di lotta biologica. Comunque, meritano di essere citati gli
studi sulle possibilità dell'impiego come antagonosti, sia di alcuni ceppi batterici saprofiti contro l'agente della
"rogna", sia di alcune specie fungine, presenti nel filloplano, nel controllo di S. oleagina. Inoltre, anche contro V.
dahliae, agente della tracheosi, potrebbero avere buone prospettive i tentativi con le specie fungine nel suolo
infetto.
Quando, però, l'intervento chimico non potrà essere evitato, sarà fondamentale l'individuazione dei periodi ottimali
per l'effettuazione di tali interventi. Una particolare attenzione dovrà essere rivolta alla scelta dei fitofarmaci.
Entrambi gli aspetti sono strettamente collegati ed ai medesimi devono fare riferimento i dosaggi da usare; in questo
contesto i volumi da distribuire saranno condizionati dalle forme di allevamento e dalle dimensioni delle singole
piante. A questo riguardo, in molti casi, le normative vigenti limitano l'uso di composti chimici nella lotta contro i più
pericolosi agenti patogeni. Di conseguenza, le possibilità di contrastarli sono demandate ad un ridotto numero di
sostanze chimiche ad azione protettiva. Esse, appunto per questa loro caratteristica, dovranno essere usate durante
ben individuati periodi al fine di ottenere, assieme alla massima efficacia, una limitazione del numero di interventi.
Ciò si ripercuoterà favorevolmente su un minore impatto ambientale e sulla economia della coltura. A tal fine, in
ciascun ambiente, sarà necessario acquisire il massimo delle informazioni sulle caratteristiche biologiche delle
piante, sul comportamento dei patogeni e sui differenti rapporti ospite/patogeno, in funzione dell'evoluzione dei
relativi processi infettivi.
Per quanto concerne i nuovi impianti, altrettanta notevole importanza rivestirà la conoscenza delle caratteristiche
climatico-meteoriche e pedologiche dell'areale che dovrà ospitare l'impianto. Particolare attenzione dovrà essere
rivolta all'andamento termometrico generale e quello più particolare della zona, specie dove la presenza di aree
chiuse faciliterebbero la formazione di ristagni di freddo e ristagni di umidità. In questi casi, rapide e prolungate
escursioni termiche verso le minime, di per sé dannose, lo sarebbero maggiormente quando, creando soluzioni di
continuità dei tessuti, creerebbero i presupposti per infezioni da parte di entità batteriche e fungine che, altrimenti,
non sarebbero in grado di infettare o lo sarebbero con minore efficacia. Inoltre, dovrà essere considerata la
possibilità di utilizzare varietà e/o cloni di una medesima varietà resistenti o tolleranti. Ciò, ovviamente, dopo aver
valutato la situazione generale anche in rapporto alla loro adattabilità nel nuovo ambiente ed alle esigenze del
mercato. In questo contesto è molto importante che le giovani piante provengano da strutture vivaistiche oggetto di
controlli dal punto di vista sanitario.
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capitolo 15 - La raccolta delle olive
Obiettivi
ll costo di raccolta assorbe, nelle aziende tradizionali, dal 50 all'80% del valore del prodotto, e l'80% della
manodopera necessaria per tutte le operazioni colturali. La raccolta dalla pianta aumenta la qualità dell'olio, la
meccanizzazione riduce i costi di produzione.
La meccanizzazione della raccolta rappresenta una via obbligata per la competitività della coltura, ma la
predisposizione di modelli efficienti richiede non solo l'adeguamento delle macchine ma anche quello della strutture
arboree. La raccolta può realizzarsi direttamente dalla pianta oppure da terra. Il primo metodo è generalizzato nel
caso delle olive da mensa, opzionale per quelle da olio. La raccolta da terra comporta il peggioramento della
qualità degli oli, anche se la predisposizione di reti sotto chioma può rallentare il deterioramento delle drupe. La
raccattatura meccanica impiega spazzolatrici e raccattatori pneumatici.
La raccolta dalla pianta si realizza con macchine agevolatrici e scuotitrici. Tra le prime rientrano i pettini oscillanti e
le spazzole rotanti montate su aste metalliche collegate a motori ovvero alla presa di forza di una trattrice. La
capacità di lavoro è di circa 150 kg/ora di prodotto, da 2 a 3 volte superiore alla raccolta manuale. Le scuotitrici sono
riconducibili a tre categorie: semoventi, modulari o portate, e scuotiraccoglitrici. L'ultima tipologia è dotata di telaio
intercettatore.
In Sardegna il sistema di intercettazione più diffuso è rappresentato da reti in plastica stese al suolo.
L'organizzazione del cantiere di raccolta prevede tre fasi fondamentali: distribuzione dei contenitori vuoti in campo,
raccolta del prodotto, carico e trasporto dei contenitori pieni. I valori di prodotto raccolto, come kg/h/addetto, sono
pari a 70 (scuotitrice modulare con reti sottochioma), 313 (scuotitrice modulare con intercettatore a bobine), 517
(scuotitrice semovente con intercettatore a bobine) e 107 (scuotitrice con intercettatore portato). Distanze di impianto
inferiori ai 6m comportano gravi limitazioni per alcune tipologie di scuotitrici.
La raccolta delle olive
La scarsa competitività del settore olivicolo, è dovuta, in larga parte, all'elevato costo di raccolta delle olive,
operazione che si riflette sul prezzo finale dell'olio e sulle sue possibilità di competere con le altre sostanze grasse.
E' ben noto che la raccolta rappresenta la voce che incide maggiormente sui costi di produzione, arrivando ad
assorbire, nel caso di quella tradizionale, dal 50 all'80% del valore del prodotto e l'80% della manodopera
necessaria per tutte le operazioni colturali.
Allo stato attuale delle conoscenze la raccolta delle olive può essere meccanizzata razionalmente aumentando così
la produttività della manodopera e nel contempo salvaguardando le caratteristiche qualitative del prodotto ottenuto.
Non vi è dubbio, però, che la macchina da sola non possa risolvere tutti i problemi della raccolta; è, quindi,
indispensabile adeguare il cantiere di raccolta alla realtà operativa e l'albero alle caratteristiche funzionali del
mezzo meccanico. Solo così, infatti, la macchina non lavora al di sotto della soglia di capacità raggiungendo
l'obiettivo economico dell'intervento.
Metodi di raccolta
La raccolta delle olive può avvenire sostanzialmente in due modi: direttamente dalla pianta oppure da terra. Il primo
metodo è adottato, in ogni caso, per le olive da mensa mentre quelle destinate alla produzione dell'olio si possono
raccogliere impiegando entrambi i metodi; raccogliendo l'intera produzione con ciascun metodo oppure prima con
uno e completando con l'altro. Le macchine presenti sul mercato, sviluppate con la continua sperimentazione, sono
in grado di assolvere razionalmente l'intervento garantendo efficienza e affidabilità.
Raccolta da terra
Questo metodo di raccolta ("raccattatura" a mano) deve essere scoraggiato per le negative ripercussioni che ha
sulla qualità dell'olio, in particolare modo con le varietà a maturazione scalare (come ad esempio la "Bosana"). In
queste la cascola naturale del prodotto avviene in un arco di tempo piuttosto ampio: di conseguenza, le olive cadute
sul terreno vi permangono fintanto che non sia presente una quantità di prodotto che giustifichi economicamente
l'intervento dei raccoglitori.
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Nel frattempo, il prolungato contatto della drupa con il terreno e con gli agenti atmosferici portano ad un
deterioramento delle sue caratteristiche che inesorabilmente si ripercuote sull'olio ottenuto.
Per la raccattatura meccanica si fa uso di spazzolatrici e di raccattatori. Le prime sono vere e proprie spazzole a
pettine, in materiale sintetico, che con un movimento traslatorio provvedono a disporre le olive in andane o cumuli,
favorendo la raccolta. Le macchine impiegate sono generalmente di tipo semovente e hanno potenze oscillanti tra i
3 e i 5 kW. I raccattatori effettuano la raccolta delle olive da terra, per mezzo dell'azione pneumatica che si ottiene da
una camera di depressione alla quale sono collegati uno o più tubi aspiratori, che prelevano le olive direttamente
dal terreno; le drupe sono quindi trasferite su un dispositivo selezionatore-cernitore e successivamente su una
tramoggia di carico. L'operatrice può essere di tipo semovente, portata o trainata ed impiega una potenza di circa 6
kW, per le semoventi e le trainate, mentre per le portate la potenza al motore della trattrice è di 20 - 25 kW. Per
migliorare l'efficienza di raccolta del mezzo meccanico si preparano apposite piazzole sotto le piante da realizzarsi
o con l'uso di diserbanti, o con mezzi meccanici. Il cantiere di raccolta può prevedere l'impiego di scope metalliche
(ramazzatura) con produttività media di circa 157 kg/h/addetto, ovvero di spazzole meccaniche (spazzolatura) con
valori di 650 kg/h/addetto. In ogni caso i due cantieri sono completati dall'aspirazione pneumatica dei frutti (147
kg/h/addetto) e dalla cernita in campo delle olive con separatori meccanici, ottenendo delle rese di 275
kg/h/addetto. Quest'ultimo si rende necessario in quanto, oltre alle olive, l'aspiratrice raccoglie del materiale
estraneo (foglie, pietre, rami, etc.).
Solo nelle aree produttive meno evolute della Sardegna è ancora diffusa la pratica della stesura di reti sottochioma
(fig.15.1) in modo tale che le olive cadano direttamente sul terreno. Ciò porta solo degli esigui vantaggi economici
legati soprattutto alla maggiore rapidità di raccolta delle olive da parte della manodopera, ma lascia inalterati i
problemi qualitativi. In fondo pur non essendo la drupa a diretto contatto del terreno subisce, seppure in un tempo
più lungo, gli effetti negativi del suolo e degli agenti atmosferici.
Figura 15.1 - La sistemazione di reti
sottochioma per l'intero periodo della
cascola delle olive porta sicuramente ad
un aumento della produttività della
manodopera ma non consente
l'ottenimento di oli di qualità
Raccolta dalla pianta
Fra i due metodi è certamente quello che riveste il maggiore interesse per l'elevata qualità dell'olio che si ottiene;
infatti le olive non vanno a contatto con il terreno e quindi non si deteriorano. La raccolta a mano dalla pianta viene
utilizzata soprattutto per le olive da mensa, realizzando sia interventi di "brucatura" che di "pettinatura", qualora si
impieghino rastrelli, pettini e strumenti similari per incrementare la produttività. La raccolta meccanica prevede due
tipologie di macchine: le agevolatrici e le scuotitrici (vibratrici, scuotiraccoglitrici). Le "macchine agevolatrici",
sostenute dall'operatore e azionate da un motore o dalla presa di potenza della trattrice, sono in genere costituite da
pettini oscillanti o da spazzole rotanti sistemate nella parte terminale di un asta rigida o di un braccio telescopico.
Vengono indirizzate e strisciate sulla chioma della pianta da uno o più addetti; il distacco delle drupe avviene per
strappo, provocato dal contatto diretto tra pettini (o spazzole) e i frutti, per mezzo delle vibrazioni che gli stessi pettini
imprimono ai rami. Questi attrezzi, dotati di una soddisfacente capacità di lavoro, mediamente pari a circa 148 kg/h,
da due a tre volte superiore rispetto alla raccolta a mano, rappresentano una valida alternativa ai metodi di raccolta
da terra, soprattutto negli ambienti dove non è possibile ricorrere alla meccanizzazione integrale a causa, ad
esempio, dell'irregolare orografia del terreno.
Il relativamente basso costo d'acquisto, unito alla facilità di trasporto e alla semplicità di manutenzione, ne rendono
economico l'impiego anche in aziende di modeste dimensioni. Alla luce delle attuali conoscenze e nonostante i
numerosi tentativi fatti dalle case costruttrici di macchine agricole verso la messa a punto di tecniche di raccolta
innovative, il sistema vibratorio a mezzo di macchine scuotitrici rimane fra tutti i metodi di raccolta meccanica delle
olive dalla pianta quello in grado di conseguire i risultati più soddisfacenti. Tra le nuove macchine hanno riscosso
particolare interesse il «Picchio», bacchiatore di grandi dimensioni portato dalla trattrice e particolarmente adatto
per piante con chioma molto sviluppata ed elevata produzione.
117
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Sul mercato esistono diversi modelli di scuotitrici, raggruppabili sinteticamente in tre categorie:
a. Semoventi, se lo scuotitore è dotato di un proprio vettore;
b. Modulari o portate, se lo scuotitore è applicato a trattrici agricole;
c. Scuotiraccoglitrici, se oltre dello scuotitore sono munite di un dispositivo di intercettazione.
Nelle scuotitrici semoventi e in quelle modulari, per l'intercettazione del prodotto è necessario disporre sotto la
chioma degli alberi da due a sei reti, mosse da una squadra di quattro-sei addetti, oppure utilizzare appositi telai
mobili di intercettazione. La scuotiraccoglitrice, invece, è generalmente composta da una testata vibrante e da un
telaio intercettatore (fig.15.2).
Figura 15.2 - La scuotiraccoglitrice
(scuotitrice con intercettatore portato) è
una macchina completa che permette,
con il solo conducente, di eseguire tutte
le fasi dell'operazione di raccolta delle
olive dalla piantaa
In Sardegna, data l'estrema eterogeneità della realtà olivicola in cui si opera, spesso l'impiego delle
scuotiraccoglitrici trova qalche difficoltà, soprattutto a causa della presenza dell'intercettatore troppo "rigido" e
ingombrante. Le scuotitrici semoventi sono costituite da (fig.15.3):
a. carro motorizzato di potenza 75-95 kW, con caratteristiche costruttive tali da consentire facile manovrabilità
anche in spazi ristretti;
b. braccio scuotitore di lunghezza variabile;
c. testata vibrante dal peso variabile tra 500 e 800 kg;
d. pinza di serraggio.
Figura 15.3 - Le scuotitrici semoventi
sono costituite da un carro motorizzato e
da una testa vibrante. La maggior parte
di queste macchine impiega la
vibrazione multidirazionale e in virtù
della maggior potenza del mezzo, può
operare anche su piante di rilevanti
dimensioni.
Le scuotitrici modulari hanno la testata vibrante più leggera (200-400 kg) e vanno applicate a comuni trattrici
agricole di potenza compresa tra 40 e 60 kW (fig.15.4). Lateralmente è visibile l'intercettatore a bobine che
provvede, dopo la vibrazione, al riavvolgimento meccanico delle reti per il trasferimento del prodotto cascolato nel
cassone.
Figura 15.4 - La scuotitrice modulare in
fase di aggancio dello scuotitore nella
parte alta del fusto. Lateralmente è
visibile l'intercettatore a bobine che
provvede, dopo la vibrazione, al
riavvolgimento meccanico delle reti per
il trasferimento del prodotto cascolato
nel cassone.
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La trasmissione del moto alla testata vibrante può avvenire sfruttando sistemi oleodinamici, pneumatici o meccanici.
La testata vibrante, situata all'estremità di un braccio articolato, rappresenta l'organo fondamentale della macchina:
genera le vibrazioni e le trasmette alla pianta attraverso un sistema di aggancio. Normalmente del tipo ad inerzia, è
costituita da un corpo principale e da un dispositivo di aggancio alla pianta. Il corpo principale contiene al suo
interno le masse eccentriche che producono una vibrazione di tipo multidirezionale o orbitale.
L'ampiezza della vibrazione varia da 40 a 60 mm, la frequenza da 10 a 40 Hz. Il sistema di aggancio è formato da
due ganasce ricoperte da materiale plastico elastico che assicura una perfetta aderenza al tronco o alla
ramificazione principale della pianta, senza procurare alcun danno ai tessuti vegetali. La testata vibrante è collegata
al braccio elevatore mediante catene ed anelli al fine di impedire che durante la vibrazione il moto si trasmetta alla
macchina. Le sollecitazioni indotte dal moto oscillatorio, che determinano il distacco della drupa nel suo punto di
articolazione col peduncolo, sono riconducibili a sforzi di tensione, flessione e torsione.
Intercettazione del prodotto
Le operazioni di raccolta si completano intercettando i frutti distaccati dalla pianta e accumulandoli in appositi
contenitori, per essere così inviati, nel più breve tempo possibile, alla trasformazione in oleificio. Il sistema di
intercettazione più diffuso consiste nella stesura, direttamente sul terreno e sotto la chioma della pianta, di reti in
plastica di dimensioni superiori alla proiezione della stessa chioma. Una squadra di sei - sette addetti provvede alla
loro movimentazione durante il trasferimento da una pianta all'altra e allo svuotamento del prodotto cascolato in
recipienti di accumulo. La bassa capacità di lavoro (2-4 piante/h per addetto) e alcuni inconvenienti di ordine
qualitativo (inquinamento con la terra e schiacciamento delle olive da parte degli organi di dislocamento delle
scuotitrici) stanno spingendo gli operatori più qualificati ad abbandonare definitivamente tale metodo a favore di
soluzioni più moderne ed efficaci.
L'obiettivo a cui si è mirato, sin dalle prime proposte degli anni settanta, è stata la meccanizzazione dell'operazione
in generale con mezzi indipendenti dallo scuotitore, in modo da ridurre i tempi operativi e massimizzare la capacità
operativa. Tra i numerosi dispositivi immessi sul mercato quelli che attualmente riscuotono il maggiore interesse,
per prestazioni tecniche ed economiche, sono: gli intercettatori ad ombrello e gli intercettatori a bobine.
L'intercettatore ad "ombrello rovescio", (fig. 15.2) portato da una trattrice, è formato da una serie di elementi disposti
a cono rovescio la cui estremità inferiore avvolge il fusto della pianta, lasciando lo spazio necessario per
l'applicazione del vibratore. Le drupe, una volta intercettate vengono convogliate in un contenitore di capacità
variabile. L'impiego di questo attrezzo richiede la presenza di due operatori e garantisce un'elevata capacità di
lavoro ed un'ottima qualità del prodotto.
Questo tipo di intercettatore può essere portato direttamente dalla macchina scuotitrice che provvede sia
all'intercettazione del prodotto sia alla vibrazione con l'apposito scuotitore. Entrambi sono gestiti direttamente dallo
stesso conduttore: è il caso delle scuotiraccoglitrici. L'intercettatore a bobine (fig. 15.4) è costituito da un rimorchio,
trainato da una trattrice, su cui sono posizionati, ai lati, due rulli longitudinali attorno ai quali sono avvolti due ampi
teli.
Tre o quattro addetti provvedono a distendere le reti sotto la chioma degli alberi in corrispondenza dei quali si è
posizionata la macchina ed in seguito ne agevolano il riavvolgimento meccanico sollevandone il bordo.
Lo stesso rimorchio può fungere da contenitore per il trasporto delle olive al centro aziendale e/o all'oleificio,
altrimenti, se è dotato di nastro trasportatore longitudinale, collocato al centro del cassone, le olive potranno essere
trasferite su un altro recipiente.
Organizzazione del cantiere di raccolta
I vantaggi della meccanizzazione della raccolta possono essere conseguiti con diverse metodologie di
organizzazione del lavoro; in ogni caso la raccolta delle olive si espleta in tre fasi principali:
1. Distribuzione dei contenitori vuoti in campo.
2. Raccolta del prodotto.
3. Carico e trasporto dei contenitori pieni.
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La 1°e la 3°fase avvengono con l'impiego di una trattrice e un carrello agricolo che all'occorrenza può essere
anche un autocarro mentre la 2° fase, ossia la raccolta vera e propria avviene con caratteristiche differenti a
seconda del tipo di macchina scuotitrice impiegata. Il cantiere di raccolta da allestire con le scuotiraccoglitrici è
piuttosto semplice in quanto si impiega un solo addetto: cioè il solo conduttore della macchina. Però in caso di
elevata produzione per pianta si può aggiungere un secondo operaio in quanto, data la presenza di una maggiore
quantità di prodotto raccolto, è necessario scaricare frequentemente la tramoggia di accumulo del prodotto presente
sulla macchina. Se ciò viene effettuato dal conducente della scuotiraccoglitrice si interrompe la continuità del lavoro
dell'operatrice. In campo la sequenza delle fasi è la seguente:
a.
b.
c.
d.
e.
f.
avvicinamento alla pianta ed apertura del telo raccoglitore;
adattamento del vibratore e presa della branca con la pinza;
vibrazione;
distacco della pinza;
chiusura del telo raccoglitore ed allontanamento dalla pianta;
trasferimento ad altra pianta.
Più complesso è certamente il cantiere di raccolta con le scuotitrici soprattutto per l'intercettazione del prodotto
cascolato; queste non sono, infatti, dotate di un proprio sistema di intercettazione che occorre pertanto costituire
sintonizzandolo alla velocità dell'operatrice. Attualmente il sistema più diffuso (fig 15.5) consiste nel disporre, sotto
le piante e da parte di sei o sette addetti, sei reti affiancate per tre in modo tale da coprire la proiezione della chioma
sul terreno.
Figura 15.5 - La sequenza delle fasi
per la raccolta delle olive dalla pianta,
nel cantiere scuotitrice + reti
sottochioma, ha inizio con la stesura di
sei reti, in modo da servire le prime
piante.
Appena disposte le reti, la scuotitrice si avvicina alla pianta ed effettua la vibrazione, in un unica soluzione,
afferrando il fusto oppure in più applicazioni afferrando le branche principali. Terminata la vibrazione la scuotitrice
rieffettua le manovre per operare sulla pianta successiva. Nel frattempo gli addetti provvedono allo spostamento
delle reti da una pianta all'altra e il prodotto caduto su di esse viene accumulato e trasferito sulle reti successive
sfruttando la loro sovrapposizione. Raggiunto un adeguato quantitativo viene scaricato immediatamente nelle
cassette. Più "snello" è certamente il cantiere con l'intercettatore a bobine, in quanto i 4 addetti srotolano le reti
posizionandole sotto la chioma delle piante. Dopo la vibrazione le stesse reti vengono riavvolte meccanicamente
sulle bobine e il prodotto cascolato viene versato direttamente nel cassone (tab.15.1).
L'intercettazione delle olive può avvenire anche con i telai intercettatori che se, da un lato, consentono la riduzione
dei perditempi (la manodopera non deve movimentare le reti come invece avviene con la scuotitrice), dall'altro
comportano un maggiore investimento che talvolta non è giustificato dalla produzione presente. In realtà la
diminuzione del numero degli addetti permette una migliore organizzazione del cantiere di raccolta ed anche una
più costante capacità di lavoro. La sequenza delle fasi in campo con l'intercettatore a bobine è la seguente:
a.
b.
c.
d.
e.
f.
posizionamento delle reti sotto la pianta,
adattamento e presa del fusto da parte dello scuotitore (fig. 15.6),
vibrazione,
distacco scuotitore,
riavvolgimento delle reti,
trasferimento telaio ad altra pianta.
120
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Figura 15.6 - L'adattamento e la presa
della branca o del fusto da parte dello
scuotitore può avvenire
simultaneamente al posizionamento del
telaio intercettatore sotto la chioma della
pianta.
Considerazioni finali
In definitiva il confronto tra i diversi cantieri di raccolta meccanica dalla pianta (tab. 15.2) e da terra (tab. 15.3)
evidenzia i seguenti valori medi di prodotto raccolto per ora dal singolo addetto:
scuotitrice modulare con reti sottochioma: 70 kg/h;
scuotitrice modulare con intercettatore a bobine: 313 kg/h;
scuotitrice semovente con intercettatore a bobine: 517 kg/h;
scuotitrice con intercettatore portato: 107 kg/h;
In conclusione si può affermare che come in ogni altro settore produttivo così anche in quello olivicolo la raccolta
meccanica delle olive è rallentata dai consueti problemi legati alle difficoltà di adattamento nel rapporto fra la
macchina e la pianta. Se, da un lato, si chiede alla macchina un avvicinamento alle caratteristiche vegetative
dell'albero altrettanto, seppure più limitatamente, deve esserci da parte di quest'ultimo nei confronti del mezzo
meccanico. E' vero anche che trattandosi di una pianta arborea a ciclo poliennale le sue "correzioni" sono sempre
più lente di quanto non lo siano quelle effettuabili sulla macchina, che spesso, però, non è ulteriormente
perfezionabile sulla base delle attuali conoscenze tecniche.
Nel caso specifico della raccolta meccanica delle olive tale rapporto risulta particolarmente sensibile con le
macchine vibratrici al tronco, il cui obiettivo finale è quello di vincere la resistenza che l'oliva oppone al distacco dal
peduncolo affinché cascoli. Il valore di questa forza resistente varia nel tempo, raggiungendo le punte massime nel
mese di novembre (più di 900 g circa) per arrivare ai minimi (meno di 300 g) nel mese di marzo-aprile. Di
conseguenza effettuando la raccolta quando le olive sono ancora verdi, e quindi trattenute con un'elevata forza di
distacco, è necessario che la pianta recepisca efficacemente la vibrazione. In diverse ricerche, finalizzate alla
riduzione della forza di distacco, si è fatto uso di sostanze cascolanti che accelerano il processo di separazione
della drupa dal peduncolo per favorirne la caduta in seguito ad una sollecitazione a carico della pianta. La
distribuzione di questi prodotti, oltre a richiedere ulteriori tempi di intervento e quindi aumento di costi, presenta un
certo rischio che è insito nella velocità di azione del prodotto. In definitiva, se allo scadere del periodo di efficacia
del prodotto non si interviene con un mezzo per la raccolta, questo, a seguito dell'azione sfavorevole di un
qualsivoglia agente atmosferico, cascola compromettendo l'efficacia del metodo. Pertanto i cascolanti non sono più
usati.
Le continue ricerche ci portano però ad affermare che è sufficiente intervenire sulla pianta con un adeguato sistema
di potatura, che tenga conto delle modalità di distribuzione della vibrazione, per ottenere una maggiore percentuale
di prodotto staccato in seguito all'azione di scuotimento (fig.15.7).
Figura 15.7 - La conformazione
ricorrente della pianta di olivo presenta
una zona della chioma con rami penduli
che non subiscono l'effetto della
vibrazione. Di conseguenze le olive
presenti non cadono. Quindi per evitare
di ottenere una bassa percentuale di
raccolta la pianta deve avere un fusto
unico con altezza alla prima
impalcatura, non inferiore a 1,0 m, e
rami assurgenti.
121
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Pur non essendo facile definire la conformazione ottimale, tuttavia si può affermare che per ottenere la migliore resa
di raccolta è indispensabile che la pianta sia di tipo assurgente, cioè con i rami secondari non molto lunghi e
piuttosto ravvicinati alla branca principale (vedi vaso e monocono).
Peraltro, durante la vibrazione cascolano certamente le olive situate all'interno della zona di distacco mentre le altre,
qualunque sia la forza impressa dal vibratore al tronco della pianta, rimangono sulla stessa.
Fra gli altri problemi vi è anche quello delle distanze di piantagione, aspetto che diviene preponderante in relazione
al tipo di macchina da raccolta da impiegare. Per le macchine scuotitrici al tronco, semoventi e modulari, la
dimensione del sesto può essere piuttosto contenuta in relazione alla loro facilità di manovra che non viene meno
operando anche con telai intercettatori automatici. Prove in oliveti con distanze di m 7 x 7 hanno evidenziato una
eccellente operatività di questi mezzi; disposizioni più ravvicinate sulla fila non comportano particolari limitazioni.
Distanze di piantagione inferiori ai 6 metri comportano, invece, importanti impedimenti operativi ad alcune tipologie
di scuotiraccoglitrici che non riescono ad aprire e movimentare razionalmente il telaio perché ostacolato dalla
vicinanza delle chiome.
Infine vi è la possibilità di danno che l'albero può subire in seguito all'intervento della macchina, e questo si verifica
principalmente per inesperienza del conduttore del mezzo od anche per le precarie condizioni strutturali della
pianta. L'inesperienza del conducente si manifesta puntualmente all'atto di presa del fusto, che non deve essere
afferrato né alla base della biforcazione principale né vicino al colletto della pianta. Nel primo caso si ottiene una
inconsistente vibrazione con possibile spaccatura di una delle due branche; nel secondo caso si sollecita
eccessivamente la parte basale della pianta. I danni maggiori si verificano in presenza di una struttura fatiscente, in
particolare con una diffusa presenza di carie. L'immediata conseguenza si ha durante il serraggio della pinza che,
data la notevole pressione esercitata, provoca il cedimento della branca o del fusto. In questi casi è preferibile
desistere dall'intervento con il mezzo meccanico.
122
Tabella 15.1 - Valori dell'incidenza media delle singole operazioni elementari nei diversi cantieri
CANTIERE
Trasferimento
tra le piante
(%)
Spostamento
reti*
Estensione reti**
Apertura
intercettatore***
(%)
Adattamento
vibratore
(%)
Vibrazione
(%)
Distacco
vibratore
(%)
Avvolgimento
reti*
Chiusura
intercettatore**
(%)
Scuotitrice Reti
sottochioma
15,6
*53,5
11,2
9,4
10,3
-
Scuotitrice
Intercettatore a
bobine
16,7
**39,3
2,0
4,3
1,7
*36,0
Scuotiraccoglitrice
19,0
***45,9
11,2
14,1
-
**9,9
Tabella 15.2 - Risultati ottenuti in prove di raccolta meccanica delle olive dalla pianta.
Unità
di misura
Scuotitrice
reti sottochioma
Scuotitrice semovente
Intercettatore a bobine
Scuotitrice semovente
Intercettatore a bobine
Scuotiraccoglitrice
minimo
medio
massimo
minimo
medio
massimo
minimo
medio
massimo
minimo
medio
massimo
Produzione
kg/pianta
14,5
39,7
70,0
18,1
22,4
29,1
13,9
14,3
14,7
12,3
28,9
44,2
Capacità
cantiere
pianta/h
13,1
27,3
57,5
30,0
35,6
40,0
30,0
34,7
38,0
9,6
12,5
15,8
kg/h
328
487
625
386
518
682
260
313
350
109
249
378
Produttività
manodopera
pianta/h-ad
1,9
3,9
7,3
6,0
7,1
8,0
6,0
6,9
7,6
4,8
6,1
7,6
kg/h-addetto
46,1
69,7
89,3
77,2
103,6
136,4
52,0
62,6
70,0
54,5
107,2
185,2
Resa di
raccolta
%
61,3
65,6
62,8
71,6
Consuma di
conbustibile
kg/h
5,7
14,6
12,2
6,8
Addetti
n°
7
5
5
2
Tabella 15.3 - Risultati medi ottenuti in prove di raccolta meccanica delle olive da terra.
Unità di
misura
Produttività
manodopera
kg/h-addetto
Ramazzatura
a mano
Spazzolatura
meccanica
Aspirazione
Cernita
a mano
157
650
147
275
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Capitolo 16 - Aspetti qualitativi dell'olio di oliva
Obiettivi
Si analizza la struttura del frutto e la composizione chimica dell'olio. Il capitolo riporta anche la classificazione
merceologica e la disamina dei fattori che influenzano la qualità degli oli.
L'olio di oliva è estratto da frutti e non da semi, e in particolare dal mesocarpo delle drupe: è quindi un succo di
frutta. L'olio è costituito per il 98 - 99% da una miscela di trigliceridi, formati dall'alcool trivalente glicerolo e da acidi
grassi. Se a causa di un'alterazione gli acidi grassi vengono liberati, l'acidità dell'olio aumenta. L'acido oleico, che
rappresenta dal 56 all'85% degli acidi grassi, è monoinsaturo, ha cioè un solo doppio legame; questo rappresenta
un punto di debolezza nella struttura molecolare, incrementando però la digeribilità dell'olio di oliva. Infatti al doppio
legame può fissarsi (irrancidimento) dell'ossigeno, dando luogo alla formazione di perossidi e odori sgradevoli. I
fenoli catturano l'ossigeno, e incrementano la conservabilità dell'olio e il suo valore nutrizionale. L'olio di oliva
contiene anche vitamina E.
La classificazione merceologica, fondata su esami analitici e sensoriali, distingue gli oli vergini, ottenuti mediante
processi meccanici o fisici, da oli raffinati, oli di oliva, oli di sansa di oliva greggi, oli di sansa di oliva raffinati e oli di
sansa di oliva.
La qualità degli oli è influenzata da numerosi fattori fra loro interagenti: varietà e ambiente pedoclimatico, tecniche
colturali, grado di maturazione e stato sanitario dei frutti, modalità di trasporto, stoccaggio e tempi di conservazione
delle olive, sistemi di estrazione.
Le norme di conservazione dell'olio prevedono un'accurata igiene, il controllo della temperatura ambientale,
l'assenza di contatto tra olio, da una parte, e luce e aria, dall'altra. Anche l'esecuzione di periodici travasi
rappresenta un mezzo importante per mantenere inalterato il livello qualitativo.
La composizione dell'olio
L'olio è il risultato della lavorazione del frutto dell'olivo detto "drupa", essenzialmente costituito da tre porzioni che
partendo dall'esterno verso l'interno sono l'epicarpo, il mesocarpo e il nocciolo.
Figura 16.1 Sezione trasversale
di una drupa di
olivo.
L'epicarpo o buccia è una pellicola di modesto spessore, di colore inizialmente verde che con il progredire della
maturazione diviene rossastra e poi viola a seconda della cultivar; costituisce l'1-3% del frutto.
Il mesocarpo o polpa è la parte preponderante della drupa che inizialmente si presenta di colore verde;
successivamente, con il progredire della maturazione, impallidisce virando al rosso e al violaceo. Rappresenta il
70-80% della polpa.
L' endocarpo o nocciolo è la componente più interna. Risulta di consistenza legnosa e al suo interno è racchiuso il
seme; in media rappresenta il 20-30% in peso della drupa.
L'epicarpo e il mesocarpo dell'oliva contengono mediamente il 35-40% di acqua, il 15-30% di olio e il 20-50% di
sansa.
123
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La maggior parte delle sostanze grasse è di origine vegetale e quasi tutti gli oli estratti da semi e frutti sono
commestibili. Tra i diversi oli destinati all'alimentazione umana l'olio di oliva ha un valore particolare in quanto
estratto dai frutti e non da semi come la gran parte degli altri oli. Esso presenta caratteristiche e pregi singolari ed
occupa un posto di primo piano fra gli alimenti grassi dei popoli mediterranei.
Per trattare gli aspetti qualitativi dell'olio occorre preliminarmente, seppure in forma sintetica, esaminare la sua
composizione chimica che risulta dalla tab 16.1.
Dal punto di vista analitico l'olio d'oliva risulta quindi costituito da numerosi componenti; circa il 98-99% è
rappresentato da una miscela di trigliceridi, chiamata generalmente " frazione saponificabile"; il restante 1-2%
risulta formato da una miriade di composti detti nel complesso "frazione insaponificabile" o componenti minori.
I gliceridi sono costituiti dall'unione di una sostanza, il "glicerolo" (alcool trivalente), con altre chiamate "acidi
grassi"; si distinguono monogliceridi, digliceridi e trigliceridi a seconda del numero di molecole di acidi grassi legati
al glicerolo.
I gliceridi che si trovano normalmente in natura, nei grassi che non hanno subito nessuna alterazione, sono i
trigliceridi.
Tavola 16.1 - Formazione di gliceride a
diverso peso molecolare
Quando gli acidi grassi sono uniti alla glicerina formano quindi il gliceride, che è un prodotto neutro cioè privo di
acidità. Se a causa di alterazione come ad esempio, l'azione degli enzimi lipolitici a seguito di attacchi parassitari,
gli acidi grassi vengono liberati, cioè si staccano dal glicerolo, si verifica un aumento di acidità dell'olio, che risulterà
tanto più elevato quanto più numerosi saranno gli acidi grassi liberatisi.
Gli acidi grassi più diffusi nell'olio d'oliva sono riconducibili a 8-10 "tipi", che si diversificano a seconda del numero
di atomi di carbonio (C) che li compongono.
L'acido grasso più rappresentato nell'olio d'oliva è quello oleico, che presenta 18 atomi di carbonio e può costituire
dal 56 all'85% degli acidi grassi totali. Tra gli altri acidi grassi presenti nell'olio di oliva i più importanti,
qualitativamente e quantitativamente, sono:
124
Tabella 16.1 - Composizione chimica degli oli di oliva; nelle diverse classi di compsti vengono riportati quelli più
significativi(1)
(1) Fonti Varie
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acido palmitico
7,5-20 %
acido linoleico
3,5-20 %
acido stearico
0,5-3,5 %
acido palmitoleico
0,3-3-5 %
acido linolenico
0 -1,5 %
Alcuni di questi, come l'acido linoleico, vengono definiti "essenziali" perché l'organismo umano non è in grado di
sintetizzarli; essendo indispensabili per il controllo di importanti meccanismi biochimici devono quindi essere
assunti con gli alimenti. Gli acidi grassi differiscono tra loro, oltre che per il numero di atomi di Carbonio, anche per il
tipo di "unione", cioè del legame presente nella molecola; a motivo di questo fatto vengono distinti tra saturi e
insaturi. Gli acidi grassi saturi sono caratterizzati dalla presenza di legami semplici [*] (ad esempio, acido palmitico e
stearico):
CH3-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2 ............CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*COOH
In quelli insaturi sono invece presenti doppi legami, come nel caso dell'acido oleico, che avendo un solo doppio
legame [**] viene detto monoinsaturo:
CH3-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH**=CH-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*CH2-*COOH
acido oleico.
La presenza e il numero delle due tipologie di legame (semplice e doppio) all'interno della molecola dell'acido
rappresenta un aspetto importante perché determina le sue caratteristiche.
Contrariamente a come potrebbe sembrare, il doppio legame [**] rappresenta un punto di fragilità della struttura, in
quanto è un legame più debole di quello semplice [*].
Ad esempio, nel caso dell'alterazione dell'olio, indicata col termine "irrancidimento", in posizione adiacente al
doppio legame si inserisce l'ossigeno, dando luogo a un composto chiamato idroperossido. Questo composto è
molto instabile e da luogo a sua volta a una serie di reazioni a catena che si concludono con la formazione di
composti di odore sgradevole, che conferiscono all'olio il caratteristico odore di rancido. Questa reazione viene
favorita da alte temperature e dalla presenza di aria.
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Ecco perché, per preservare le buone caratteristiche organolettiche di un olio, occorre conservarlo in ambiente
fresco (15-18°C) nonché in recipienti possibilmente colmi, al fine di contenere gli scambi d'aria e quindi l'azione
dell'ossigeno.
La presenza di acidi grassi insaturi conferisce quindi all'olio poca stabilità, ma allo stesso tempo ne migliora le
caratteristiche nutrizionali, aumentandone, ad esempio, la digeribilità.
Ciò è tanto più valido per gli acidi grassi che presentano un solo doppio legame (monoinsaturi), come nel caso di
quelli precedentemente visti, presenti nell'olio d'oliva.
Oltre ai gliceridi,nella composizione dell'olio di oliva, come già visto, figura un'altra frazione chiamata
"insaponificabile" o "componenti minori" che è principalmente costituita da composti fenolici, pigmenti, steroli, alcoli,
tocoferoli, metalli e idrocarburi.
Composti fenolici
La stabilità di un olio è legata alla presenza di tali composti, caratterizzati da una spiccata azione protettrice sui
fenomeni di ossidazione che possono portare all'irrancidimento.
I polifenoli, infatti, catturano l'ossigeno, evitando il manifestarsi della suddetta alterazione e, quindi, contribuiscono
alla stabilità e durata dell'olio.
Il loro contenuto nell'olio, variabile tra 50 e 500 milligrammi per litro, è in relazione a diversi fattori; tra i principali la
cultivar, l'epoca di maturazione e raccolta dei frutti e il sistema di estrazione.
Questi composti svolgono quindi un importante ruolo sulla stabilità e sulle caratteristiche biologiche e nutrizionali
dell'olio di oliva oltreche sulle caratteristiche organolettiche.
Pigmenti
Il colore verde dell'olio è dovuto alla presenza di clorofilla e quindi è correlato con il grado di maturazione del frutto
al momento della raccolta. Questa sostanza assume un comportamento differente a seconda dell'ambiente di
conservazione dell'olio. Se l'olio infatti viene conservato al buio la clorofilla, in sinergia con i fenoli, si comporta da
antiossidante, mentre in presenza di luce favorisce i processi di irrancidimento.
L'olio giovane, ricco di questi composti, è pertanto molto sensibile alla luce, e occorre quindi porre una particolare
attenzione durante la conservazione.
Sostanze aromatiche
Sono stati identificati circa 150 componenti (chetoni, aldeidi, alcoli, etc.) che partecipano al complesso che
costituisce l'aroma di un olio, in grado di influenzare in modo particolare la sensibilità olfatto-gustativa dell'uomo. è
importante precisare che il "flavor" (insieme di sensazioni olfattive, gustative e tattili) di un olio è dovuto ai rapporti
relativi di tutte queste sostanze nel complesso, e non ai singoli valori.
Per alcuni di questi composti la sensibilità olfatto-gustativa dell'uomo è più elevata rispetto agli strumenti di
laboratorio. Da qui la grande importanza rivestita dall'analisi sensoriale dell'olio e quindi dagli assaggiatori dell'olio.
Tocoferoli
La maggior quota della componente tocoferolica dell'olio di oliva, 90% circa, è nella forma a che è quella nota come
vitamina E. Anche i tocoferoli sono una frazione antiossidante capace quindi di rallentare il processo di ossidazione
dell'olio. La quantità di tocoferoli nell'olio è molto variabile in funzione di diversi fattori quali la varietà, il momento
della raccolta e la tecnologia adottata per l'estrazione dell'olio.
La classificazione merceologica
La normativa comunitaria, recepita da quella nazionale, che attualmente disciplina il commercio dell'olio d'oliva è
quella prevista dal Regolamento CEE 2568/91 e successive modificazioni e integrazioni che, ai fini della
classificazione prevede sia determinazioni fisico - chimiche che organolettiche (Panel Test).
Le denominazioni e le definizioni ufficiali degli oli di oliva e degli oli di sansa di oliva sono riportate nella tavola
16.2. Secondo le leggi vigenti, possono essere confezionati per il consumo soltanto i tipi: "olio extra vergine di
oliva", "olio di oliva vergine", "olio di oliva" e "olio di sansa di oliva"; i rimanenti tipi possono essere commercializzati
solo all'ingrosso.
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Tavola 16.2 - Denominazione e
Oli di oliva vergini
Oli ottenuti dal frutto dell'olivo soltanto mediante processi meccanici o altri definizione degli oli di oliva e degli oli di
processi fisici, in condizioni, segnatamente termiche, che non causano sansa di oliva.
alterazioni dell'olio stesso, e che non hanno subito alcun trattamento
diverso dal lavaggio, dalla decantazione, dalla centrifugazione e dalla
filtrazione. È escluso l'olio ottenuto mediante solvente o con processi di
riesterificazione e qualsiasi miscela con oli di altra natura.
a. Olio extravergine di oliva: olio di oliva vergine il cui punteggio
organolettico è uguale o superiore a 6,5, la cui acidità libera
espressa in acido oleico è al massimo di 1 g. per 100 g e avente le
altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria;
b. Olio di oliva vergine (il termine "fino" può essere usato nella fase
della produzione e del commercio all'ingrosso): olio di oliva vergine
il cui punteggio organolettico è uguale o superiore a 5,5, la cui
acidità libera espressa in acido oleico è al massimo di 2 g per 100
g e avente le altre caratteristiche conformi a quelle previste per
questa categoria;
c. Olio di oliva vergine corrente: olio di oliva vergine il cui punteggio
organolettico è uguale o superiore a 3,5, la cui acidità libera
espressa in acido oleico è al massimo di 3,3 per 100 g e avente le
altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria;
d. Olio di oliva vergine lampante: olio di oliva vergine il cui punteggio
organolettico è inferiore a 3,5, e/o la cui acidità libera espressa in
acido oleico è superiore a 3,3 per 100 g e avente le altre
caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria;
Olio di oliva raffinato
È l'olio di oliva ottenuto dalla raffinazione di oli di oliva vergini, la cui acidità
libera espressa in acido oleico non può eccedere 0,5 g e avente le altre
caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria;
Olio di oliva
È l'olio di oliva ottenuto da un taglio di olio di oliva raffinato e di oli di oliva
vergini diversi dall'olio lampante, la cui acidità libera espressa in acido
oleico non può eccedere 1,5 g e avente le altre caratteristiche conformi a
quelle previste per questa categoria;
Olio di sansa di oliva greggio
È l'olio ottenuto mediante trattamento al solvente della sansa di oliva,
esclusi gli oli ottenuti con processi di riesterificazione e qualsiasi miscela
con oli di altra natura e avente le altre caratteristiche conformi a quelle
previste per questa categoria;
Olio di sansa di oliva raffinato
È l'olio ottenuto dalla raffinazione di olio di sansa di oliva greggio, la cui
acidità libera espressa in acido oleico non può eccedere 0,5 g e avente le
altre caratteristiche conformi a quelle previste per questa categoria;
Olio di sansa di oliva
È l'olio ottenuto da un taglio di olio di sansa di oliva raffinato e di oli di
oliva vergini diversi dall'olio lampante, la cui acidità libera espressa in
acido oleico non può eccedere 1,5 g e avente le altre caratteristiche
conformi a quelle previste per questa categoria;
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I parametri analitici previsti dalla normativa e maggiormente correlati con la qualità dell'olio sono l'acidità, il numero
di perossidi, gli assorbimenti specifici nell'ultravioletto e la valutazione organolettica.
La successiva tabella (tab 16.2) riporta i valori che, per ciascuna categoria, possono assumere i predetti parametri:
CATEGORIA
Acidità(%)
Numero dei
perossidi (meq
O2/Kg)
K232
K270
Valutazione
organolettica
(panel-test)
Olio di oliva
vergine extra
M 1.0
M 20
M 2.50
M 0.20
m 6.5
Olio di oliva
vergine
M 2.0
M 20
M 2.60
M 0.25
m 5.5
Olio di oliva
vergine corrente
M 3.3
M 20
M 2.60
M 0.25
m 3.5
Olio di oliva
vergine
lampante
m 3.3
M 20
M 3.70
M 0.25
< 3.5
Tabella 16.2 Valori limite previsti
dalla normativa
(Reg. CEE 2568/91 e
successive
integrazioni) per la
individuazione della
categoria
commerciale di
appartenenza di un
olio vergine di oliva.
M = massimo, m = minimo, < = minore
L'analisi sensoriale
Il metodo utilizzato per l'esame organolettico è chiamato Panel test ed è stato adottato dall'Unione Europea dopo
che lo stesso, in numerosi ring test, ha dimostrato la sua attendibilità.
Gli assaggiatori attraverso una serie di selezioni vengono allenati a riconoscere le sensazioni caratteristiche
dell'olio (pregi e difetti) e a individuarne l'intensità (fig. 16.2).
Figura 16.2 - Sala per l'analisi
sensoriale degli oli di oliva presso il
Consorzio Interprovinciale per la
Frutticoltura. Villasor (CA).
Utilizzando una scheda guida (tab.16.3), gli assaggiatori, in modo separato ed autonomo, accertano la presenza e
l'intensità delle sensazioni di base e, in funzione di queste, individuano la valutazione numerica più appropriata in
una scala di punteggio predisposta con valori da 1 a 9. I punteggi così ottenuti vengono mediati e tale valore medio
costituisce la valutazione della qualità sensoriale. È stata quindi individuata una correlazione fra le caratteristiche
olfatto-gustative previste dalla classifica e le valutazioni del metodo, nel senso che tutti gli oli che ottengono un
punteggio che va' da 7 a 9 (cioè oli assolutamente privi di difetti) sono classificati di categoria "extra vergine"; in
considerazione però che l'errore statistico del metodo è di 0,5 si è assegnato a tale categoria un punteggio minimo
di 6,5. All'altra categoria ammessa al consumo diretto, cioè agli oli definiti semplicemente "vergini di oliva" è stato
assegnato un limite minimo di 5,5, che, secondo il metodo, corrisponde ad un olio che presenta difetti appena
percettibili.
Alla categoria degli "vergini correnti", commercializzati all'ingrosso, è stato assegnato un ampio intervallo di
punteggio del Panel Test, da 3,5 a 5,5, in modo da permettere di immettere al consumo, con opportuni tagli e
miscele, anche quella produzione che presenta difetti percettibili ma tollerabili.
Punteggi inferiori a 3,5, infine, classificano gli "vergini lampanti"; cioè quei prodotti che presentano difetti così
evidenti e gravi da non poter essere tollerati. Tali oli sono destinati alla rettifica e, dopo essere stati addizionati di
una parte di olio vergine, vengono immessi al consumo con il nome "olio di oliva".
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Nella successiva tavola 16.3 vengono riportate le definizioni relative ai principali attributi (pregi e difetti) dell'olio di
oliva come riportate nel vocabolario del metodo del Panel Test messo a punto dal Consiglio Oleicolo Internazionale
e nella tabella 13.4 si riporta la scheda di valutazione sensoriale utilizzata dai degustatori.
Tavola 16.3 - Attributi positivi e
ATTRIBUTI POSITIVI
negativi dell'olio di oliva.
Fruttato
Insieme di sensazioni olfattive caratteristiche dell'olio, dipendente dalla
varietà delle olive, proveniente da frutti sani e freschi, verdi o maturi,
percepite per via diretta o retronasale.
Amaro
Sapore caratteristico dell'olio ottenuto da olive verdi o invaiate.
Piccante
Sensazione tattile pungente caratteristica di oli prodotti all'inizio della
campagna, principalmente da olive ancora verdi.
ATTRIBUTI NEGATIVI
Riscaldo
Flavor caratteristico dell'olio ottenuto da olive ammassate che hanno
sofferto un avanzato grado di fermentazione anaerobica.
Muffa - Umidità
Flavor caratteristico dell'olio ottenuto da olive nelle quali si sono sviluppati
abbondanti funghi e lieviti per essere rimasti stoccati molti giorni in
ambienti umidi.
Morchia
Flavor caratteristico dell'olio rimasto in contatto con i fanghi di
decantazione in depositi sotterranei e aerei.
Avvinato - Inacetito
Flavor caratteristico di alcuni oli che ricorda quello del vino o dell'aceto. È
dovuto fondamentalmente a un processo fermentativo delle olive che
porta alla formazione di acido acetico, acetato di etile e etanolo.
Metallico
Flavor che ricorda il metallo. È caratteristico dell'olio mantenuto a lungo in
contatto con superfici metalliche, durante i procedimenti di macinatura,
impastatura, pressione o stoccaggio.
Rancido
Flavor degli oli che hanno subito un processo ossidativo.
Fattori che influenzano la qualità
Nel caso dell'olio d'oliva di pregio è quanto mai vera l'affermazione che la "qualità nasce in campo" e al frantoio,
così come alla successiva fase di conservazione si chiede soltanto di conservarla nella maniera più integra
possibile. L'olio vergine di oliva, infatti, è l'unico grasso alimentare che proviene da un frutto, per semplice
spremitura e separazione dalle acque di vegetazione, direttamente commestibile all'atto della sua produzione
senza ulteriore manipolazione. E' pertanto da considerare un succo di frutta, e come tale è particolarmente pregiato
poiché, a differenza degli altri oli vegetali, conserva inalterate le peculiari caratteristiche chimiche, fisiche ed
organolettiche che aveva all'interno del frutto. La qualità di un olio rappresenta una caratteristica che dipende da
numerosi fattori legati a cascata e fondamentalmente da quelli di seguito riportati:
varieta' e ambiente pedoclimatici;
tecniche colturali;
grado di maturazione e stato sanitario del prodotto;
trasporto, stoccaggio e tempi di conservazione delle olive;
sistemi di estrazione;
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Varietà e ambiente pedoclimatico
Essendo l'olio il prodotto del metabolismo della pianta, è evidente che la varietà dalla quale deriva ne determina le
caratteristiche. È difficile tuttavia indicare le varietà che producano un olio ottimo in assoluto, anche perchè la stessa
varietà coltivata in ambienti pedoclimatici diversi può dar luogo a oli con caratteristiche differenti. Per quanto
riguarda l'influenza sulle caratteristiche degli oli, è molto difficile scindere il binomio varietà - ambiente ed attribuire
quindi con certezza all'uno o all'altro fattore i dati analitici ed organolettici. Varietà ed ambiente sono i fattori che, più
di tutti gli altri, concorrono a determinare le specificità e peculiarità dell'olio; in definitiva, la sua tipicità.
Tecniche colturali
Le tecniche colturali (concimazione, irrigazione, potatura, difesa fitosanitaria ecc.) influenzano in maniera differente
la qualità dell'olio: alcune in maniera più marcata di altre.
Tra le principali, si pone certamente la difesa fitosanitaria soprattutto per quanto attiene alla lotta alla mosca delle
olive. Questo insetto, tra i diversi che attaccano l'olivo, è certamente il più pericoloso per quanto riguarda la qualità
del prodotto. Infatti, in corrispondenza delle gallerie scavate dalle sue larve, gli enzimi presenti nel frutto, iniziano la
loro attività, determinando un aumento dell'acidità e dei perossidi. E' necessario quindi prevenire e, comunque,
combattere gli attacchi parassitari con i diversi mezzi a disposizione dell'olivicoltore (agronomici, chimici e biologici).
Se le olive sono bacate, si può contenere il danno raccogliendo anticipatamente il prodotto e lavorandolo in tempi
molto celeri.
Grado di maturazione e stato sanitario del prodotto
Durante la formazione del frutto e il suo accrescimento si verificano in esso profonde modificazioni nella
composizione chimica, che portano alla formazione dei diversi composti conferenti all'olio caratteristiche di pregio.
Il contenuto di queste sostanze cresce fino a raggiungere un valore ottimale, dopo di che si ha una riduzione con
scadimento delle caratteristiche organolettiche dell'olio che si ottiene. La raccolta delle olive, finalizzata
all'ottenimento di olio di qualità, deve avvenire in epoca opportuna e deve essere effettuata in modo da preservare
la loro qualità. E' necessario, pertanto, che lo stato di maturazione sia quello che assicuri la qualità chimica ed
organolettica dell'olio, così come la si desidera, e che dalle olive si ottenga una resa in olio soddisfacente.
Non sempre, dalla raccolta delle olive, è possibile conseguire i migliori risultati qualitativi e quantitativi, tuttavia,
nella maggior parte dei casi, in dipendenza della varietà e delle condizioni climatiche, si può raggiungere un
accettabile compromesso che salvaguardi la qualità dell'olio senza penalizzare la quantità.
Dalle numerose esperienze effettuate sulla tematica, in molte zone olivicole e per molte varietà, l'epoca migliore di
raccolta è risultata quella che corrisponde allo stato di semi-invaiatura delle drupe, a cui corrisponde il massimo
contenuto di polifenoli e di sostanze volatili aromatiche. A tale epoca corrisponde, in genere, anche la massima
inolizione delle olive, poiché la quantità di olio che si accumula nelle cellule della polpa aumenta fino ad una certa
data (a seconda dell'energia disponibile per l'attività fotosintetica), oltre la quale la sintesi dei trigliceridi si riduce
notevolmente, fino ad arrestarsi. E' illusorio, pertanto, ritenere che si possa ottenere una maggiore quantità di olio
ritardando la raccolta delle olive, poiché se la resa in olio sembra aumentare, in realtà ciò è solo dovuto al fatto che
le olive, maturando, perdono acqua (e peso) e, di conseguenza, la quantità di olio presente (sempre la stessa
quantità), rapportata al peso delle olive (che diminuisce) appare aumentare. Che questo sia un fenomeno fittizio,
infatti, si dimostra calcolando la percentuale di olio presente nelle olive rispetto al peso secco (senza acqua) della
drupa. In tal modo si potrà notare che, da una certa data in poi, dipendente dalla varietà delle olive e
dall'andamento climatico, la percentuale di olio presente assume valori sensibilmente costanti, non più variabili nel
tempo.
Una volta raggiunto un grado di inolizione soddisfacente, la raccolta delle olive deve essere finalizzata ad ottenere
un olio con le caratteristiche chimiche ed organolettiche desiderate, con particolare riferimento al contenuto di
antiossidanti naturali e di sostanze volatili aromatiche. Il tenore di tali sostanze nelle olive ha un andamento a
campana che passa per un massimo, in genere coincidente con uno stato di parziale maturazione, e tende,
successivamente, a diminuire con il procedere della maturazione. Da ciò consegue che da olive poco mature si
otterranno oli con un più intenso fruttato verde-erbaceo, più amari e piccanti, mentre da olive molto mature si
estrarranno oli con fruttato meno intenso, tendenti al dolce.
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Metodi di raccolta delle olive
La moderna olivicoltura deve avere come obiettivo principale la qualità dell'olio che si può conseguire solo se tutte
le operazioni che si effettuano sulle olive, dalla coltivazione alla lavorazione in frantoio, sono razionali, opportune
ed efficaci. In particolare, la raccolta delle olive, sane e giustamente mature, deve essere effettuata dall'albero, a
mano o con mezzi meccanici, evitando la raccolta da terra o dalle reti. Ciò avviene, generalmente, per necessità,
dovuta alle dimensioni degli alberi che non consentono la raccolta a mano o meccanicamente, ma anche, in
qualche caso, per usi e consuetudini irrazionali.
La raccolta delle olive dall'albero a mano, utilizzando opportuni attrezzi, come pettini o forbici dentate, richiede un
notevole impiego di manodopera, la cui economicità dipende dalla forma di allevamento dell'albero e dalla
produttività delle piante. La raccolta, infatti, viene agevolata dalla presenza di rami penduli, che consentono di
evitare, o limitare, l'uso delle scale, e da una abbondante produzione di olive che facilita ed accelera il lavoro degli
operai. Tali condizioni non sempre si verificano e, pertanto, si è diffusa, ove possibile, la meccanizzazione
dell'operazione al fine di rendere più economico il processo. Attualmente la olivicoltura da reddito richiede, per la
raccolta, l'impiego di mezzi meccanici che sono, essenzialmente, rappresentati da scuotitori, vibratori e macchine
agevolatrici meglio descritte nel capitolo relativo alla raccolta. Il razionale utilizzo di tali macchine ed attrezzature,
consentendo una maggiore tempestività delle operazioni di raccolta, oltre ad un deciso contenimento dei costi di
produzione, può determinare vantaggi anche dal punto di vista qualitativo.
Trasporto, stoccaggio e tempi di conservazione delle olive
Per ottenere olio d'oliva vergine di pregio, occorre raccogliere le olive sane direttamente dall'albero, a mano o con
mezzi meccanici, e trasportarle in giornata al frantoio affinché siano poste al più presto in lavorazione.
Il mezzo più idoneo, da utilizzare per il trasporto delle olive e per il successivo stoccaggio è rappresentato dalle
cassette di materiale plastico provviste di opportune finestrature. Queste ultime permettendo la circolazione dell'aria
evitano l'eventuale riscaldamento delle olive derivante dall'attività catabolica dei frutti che compromette la qualità
dell'olio. Generalmente si utilizzano cassette di capacità variabile da 20 a 30 Kg, che consentono di limitare lo
spessore dello strato di olive riducendo il pericolo di schiacciamento. Tali cassette rappresentano anche un idoneo
mezzo di stoccaggio delle olive in attesa della loro lavorazione.
Per il trasporto delle olive si posssono utilizzare anche le casse di plastica di maggiori dimensioni, fino a 250-300
Kg. che possono essere movimentate facendo ricorso ad adeguati mezzi meccanici di sollevamento. Questo tipo di
contenitore viene utilizzato molto frequentemente come mezzo di stoccaggio negli oleifici di dimensioni
medio-grandi, dotati di opportune macchine, con motore elettrico, per la loro movimentazione (fig. 16.3).
Figura 16.3 - Cassoni forati di plastica
per il trasporto e lo stoccaggio delle
olive.
Assolutamente da sconsigliare risulta, invece, il trasporto delle olive utilizzando i sacchi di iuta, o di materiale
plastico, poiché in tali condizioni è inevitabile lo schiacciamento delle drupe dovuto al peso del carico soprastante.
Tale pericolo è ancora più grave quando le olive sono mature poiché minore è la loro resistenza meccanica e più
facilmente si determinano lesioni della polpa con conseguente danno alla qualità dell'olio.
Le olive, una volta pervenute in oleificio, devono essere lavorate al più presto, specie se sono in avanzato stato di
maturazione. Tuttavia, ciò non è sempre possibile per il verificarsi, specie nelle annate di carica, di un afflusso al
frantoio di una quantità di olive che supera la capacità di lavorazione degli impianti. In tal caso si rende necessario
lo stoccaggio che deve comunque essere di breve durata, in ambiente idoneo (olivaio) e da realizzarsi in modo
razionale al fine di preservare la qualità dell'olio.
Un altro sistema per conservare le olive in modo razionale è quello di disporle, in olivaio, su pavimento lavabile ed
in strati di piccolo spessore (20-30 cm), in ambiente coperto, arieggiato e fresco.
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Il modo più irrazionale per conservare le olive in attesa della lavorazione, come è stato già visto, è quello
rappresentato dall'uso dei sacchi, di iuta o di plastica. Le olive conservate in queste condizioni, infatti, tendono a
schiacciarsi con la conseguente rottura delle cellule che pone a contatto l'olio e l'acqua di vegetazione. Queste
condizioni sono favorevoli per lo sviluppo delle azioni enzimatiche che innescano i processi fermentativi di
degradazione della sostanza organica, con produzione di sostanze di neo-formazione. Le reazioni di fermentazione
sono esotermiche, con sviluppo di calore che causa l'aumento della temperatura delle olive. Da ciò il nome di
"riscaldo" dato al difetto organolettico dell'olio ottenuto da olive conservate per diversi giorni nelle predette
condizioni.
Il deterioramento della qualità dell'olio è molto rapido e si manifesta con l'incremento del'acidità libera e del numero
dei perossidi e con la diminuzione del punteggio relativo alla valutazione organolettica dell'olio. Anche il contenuto
di trans-2-esenale, composto che determina il sentore erbaceo-fresco, e di polifenoli totali si riduce in breve tempo,
mentre aumenta il contenuto di alcool iso-amilico, la cui quantità, insieme a quella del n-ottano, è correlata con il
difetto di "riscaldo", al quale contribuisce anche l'acido lattico che si forma dalla fermentazione degli zuccheri ad
opera dei batteri lattici.
Da quanto esposto si evince che lo stoccaggio delle olive dovrebbe essere evitato o, in caso di necessità, ridotto al
minimo tempo indispensabile, adottando le condizioni più razionali di conservazione. Le olive sane e non molto
mature possono anche essere conservate per 1-2 giorni, nelle migliori condizioni, senza che ciò comporti danni
gravi alla qualità dell'olio. Le olive molto mature e quelle attaccate dalla mosca delle olive, invece, non devono
essere sottoposte a stoccaggio perché soggette a deteriorarsi con facilità in tempi molto brevi.
Sistemi di estrazione
Dopo l'arrivo in frantoio le olive, nel tempo più breve possibile, vengono immesse nel ciclo lavorativo che ha inizio
con le operazioni di defogliazione e lavaggio. Le due operazioni hanno lo scopo di allontanare tutto il materiale
estraneo, sia proveniente dalla pianta sia dal terreno che dagli eventuali trattamenti fitoiatrico eseguiti in campo. Lo
scopo è quello di proteggere le macchine da eventuali danni derivanti dalla presenza di corpi estranei che di
eliminare le cause di possibili inquinamenti del prodotto. Queste operazioni sono effettuate di norma da una sola
macchina provvista di un aspiratore, per l'allontanamento delle foglie e dei piccoli rametti, e di una vasca, a
circolazione forzata di acqua, per il lavaggio delle olive. La macchina, inoltre, può avere, disposti in idonea
posizione, delle calamite per separare corpi estranei di materiale ferroso, che risultano pericolosi e dannosi per
l'impianto. Nel successivo ciclo di lavorazione delle olive possiamo distinguere le seguenti fasi:
frangitura;
gramolazione;
estrazione;
separazione.
Le modalità con cui queste fasi vengono realizzate, nelle diverse tipologie degli impianti di lavorazione, possono
influenzare i parametri che determinano le caratteristiche degli oli. Con la frangitura viene realizzata la rottura, più o
meno spinta, delle cellule della polpa contenenti l'olio che si trova racchiuso nei vacuoli. E' l'operazione preliminare
che porta all'ottenimento di una pasta adatta alle lavorazioni successive. I frangitori utilizzati sono
fondamentalmente riconducibili alle due tipologie: molazze e martelli.
Il frantoio a molazze (fig 16.4), generalmente utilizzato negli impianti che adottano il sistema della pressione, è
costituito da 2-3 (ma anche 4-6) macine di granito (molazze), da un bacino in materiale metallico e da una macina di
fondo, anch'essa in granito. Completano l'impianto i raschiatori delle molazze e della vasca, le pale mescolatrici e
quelle per lo scarico delle paste e gli organi di movimento.
Figura 16.4 - Vista d'insieme
dell'oleificio sperimentale del Consorzio
Interprovinciale per la Frutticoltura che,
nella fase di frangitura, può utilizzare
anche il frangitore a molazze.
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I frangitori metallici a martelli possono essere di tipo fisso oppure mobili ed hanno, rispetto alle molazze, una
capacità oraria di lavorazione molto superiore ma anche un impatto sulle olive più aggressivo.
Relativamente all'incidenza di questa fase di lavorazione sulla qualità dell'olio estratto , le attuali conoscenze
possono essere così sintetizzate:
la frangitura a martelli provoca una più spinta rottura delle olive che comporta anche una maggiore
estrazione di colore;
le molazze, operando una frangitura più soft, sono in grado di fornire oli più armonici, meno amari e piccanti.
Le paste ottenute dalla frangitura vengono poi sottoposte all'operazione di gramolatura che viene effettuata dalle
gramole. Scopo di tale operazione che consiste nel rimescolare le paste attraverso nastri elicoidali e palette è
quello di favorire l'aggregazione delle minutissime goccioline di olio in grandi gocce che potranno poi essere più
facilmente separate.
Le gramole sono serbatoi di forma semicilindrica costruite in acciaio inossidabile e sono provviste di un sistema per
il riscaldamento delle paste realizzato con circolazione di acqua in apposita camicia esterna.
Quando il processo estrattivo si propone di conservare ai massimi livelli la qualità intrinseca del prodotto i tempi di
gramolazione sono generalmente compresi nell'intervallo da 15 a 60 minuti e le temperature contenute sotto i 30°
C.
La gramolazione può avere un'importante incidenza negativa sulla qualità dell'olio sia sotto l'aspetto compositivo
(contenuto in polifenoli e in sostanze aromatiche, numero dei perossidi ecc) che organolettico. Ai fini qualitativi i
parametri tecnologici della gramolazione da tenere sotto controllo risultano quindi la sua durata nonché la
temperatura della pasta.
Le paste "gramolate" vengono quindi avviate alla successiva fase di estrazione che realizza la separazione delle
fasi liquide(olio - acqua) da quella solida (sansa). Tale operazione, che nel tempo ha subito notevoli evoluzioni, può
essere condotta secondo diversi sistemi riconducibili, al momento, quasi esclusivamente alla pressione e alla
centrifugazione; una modesta quota di olio tuttavia viene ottenuto col sistema del "percolamento".
L'estrazione dell'olio dalle olive mediante il sistema della pressione, è basata sul principio fisico della forza
premente che, per molti secoli, ha rappresentato l'unico mezzo per ottenere olio vergine d'oliva. La pressione viene
esercitata sulla pasta di olive che, in opportune condizioni, lascia separare le fasi liquide (olio e acqua di
vegetazione) dalla fase solida costituita dalla sansa.
Il diagramma di lavorazione delle olive con il sistema della pressione unica è riportato nella figura 16.5.
Figura 16.5 - Diagranmma di
lavorazione delle olive con il sistema
della pressione (pressione unica).
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Come già detto in precedenza, per ottenere una buona resa in olio è necessario rendere libera la maggior parte
dell'olio contenuto nei vacuoli delle cellule del mesocarpo delle olive, e, pertanto, la prima operazione che si
effettua, dopo la defogliazione ed il lavaggio, è quella della molitura delle olive, che determina la rottura delle
cellule.
Per estrarre l'olio con il sistema della pressione è necessario disporre, in maniera opportuna, la pasta di olive
gramolata sui diaframmi filtranti fino a formare una torre, utilizzando un apposito carrello dotato di guida centrale,
alternando strati di pasta di olive (sui fiscoli), a dischi metallici. Generalmente tra 2 dischi metallici si pongono 3-5
diaframmi filtranti con pasta di olive. La torre, una volta formata, viene trasferita sotto la pressa che, nella forma più
moderna (super-pressa) è rappresentata da una incastellatura monoblocco aperta e da un pistone, avente diametro
di 35-40 cm (14"-16"), che agisce dal basso verso l'alto.
Il sistema ha subito molte migliorie nel corso del tempo e, tra queste, va ricordata l'introduzione della guida centrale
forata (foratina), che consente la fuoruscita del liquido anche dalla parte centrale della torre e, quindi, un più spinto
esaurimento della pasta. Ai fini del miglioramento della qualità dell'olio, inoltre, ha contribuito la sostituzione dei
diaframmi filtranti in fibra vegetale (cocco) con quelli di fibra sintetica (nylon).
Il rendimento in olio che il sistema della pressione determina dipende da molti fattori, tra cui anche la pressione
finale che la pressa può raggiungere. Le super-presse con pistone da 35 cm (14") e da 40 cm (16") raggiungono
una pressione finale variabile da 350 a 450 Kg/cm2, a cui corrisponde una pressione specifica reale sulla sansa di
120-200 Kg/cm2. Il rendimento in olio dipende anche dalle caratteristiche delle olive che, se risultano "difficili" da
lavorare, consentono di estrarre non più dell'80% dell'olio contenuto.
Alla fine degli anni '60, comparve sul mercato il primo decanter centrifugo che realizzava in modo continuo la
separazione dell'olio, dalle altre fasi liquide e solide della pasta di olive, per effetto della forza centrifuga. Tale
realizzazione era il risultato di pluriennali ricerche e rappresentava un notevole progresso, rispetto al sistema della
pressione, poiché introduceva nell'oleificio tradizionale un alto grado di automazione che riduceva il lavoro
manuale ed i relativi costi. La lavorazione delle olive mediante il sistema della centrifugazione continua si realizza
secondo il diagramma riportato nella figura 16.6.
Figura 16.6 - Diagranmma di
lavorazione delle olive con il sistema
della centrfugazione (a 3 fasi).
La pasta di olive gramolata, miscelata con opportuna quantità di acqua tiepida (40-70 l/100 Kg olive), viene avviata
al decanter centrifugo ad asse orizzontale rotante ad alta velocità (3.200-3.500 rpm) che, per effetto della forza
centrifuga esalta la differenza dei pesi specifici delle fasi liquide immiscibili (olio e acqua) e della fase solida
(sansa).
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In tal modo l'olio e l'acqua di vegetazione si separano ed escono da appositi ugelli mentre la sansa, rimossa da una
coclea interna rotante ad una velocità leggermente superiore (10-20 rpm) a quella del tamburo esterno, viene
continuamente espulsa dal decanter. L'estrazione dell'olio, pertanto, diventa una operazione continua.
L'estrazione dell'olio dalle olive con il sistema del percolamento è basata sulla differenza della tensione superficiale
tra l'olio e l'acqua di vegetazione. Questa differenza fa sì che quando una lamina di acciaio viene immersa nella
pasta di olive ne esce bagnata, in modo preferenziale, di olio che, quindi, sgocciola e si separa dalle altre fasi.
L'apparecchio consiste in una vasca semicilindrica che ha le pareti costituite da una grata forata attraverso cui si
muovono delle lamelle di acciaio. Il movimento delle lamelle è lento e, pertanto, quando si immergono nella pasta di
olive, continuamente rimossa, si bagnano di olio che, poi, fanno sgocciolare all'esterno dell'apparecchio.
Il movimento della pasta di olive e delle lamelle è generato da un braccio meccanico che ruota alla velocità di 7,5
rpm, spingendo continuamente la pasta contro la parete forata.
Il rendimento di estrazione in olio con il sistema del percolamento dipende dalle caratteristiche reologiche delle
olive e, in particolare, dal contenuto di acqua e di solidi idrofili. Aumentando la quantità di acqua delle paste di olive,
il rendimento di estrazione diminuisce, mentre se si incrementa la quantità di solidi idrofili, che fanno aumentare la
consistenza della pasta, il rendimento in olio tende ad aumentare.
La diffusione del sistema della centrifugazione (a 3 fasi o a 3 uscite) delle paste di olive gramolate in tutti i paesi
olivicoli ha comportato notevoli vantaggi, non solo per l'economia di esercizio che il sistema determina, ma anche
per il miglioramento della qualità dell'olio specie nelle zone dove la qualità delle olive risulta mediocre a causa
della sovramaturazione conseguente alla ritardata raccolta che viene effettuata, spesso, dalle reti o da terra.
Tuttavia, il sistema continuo di centrifugazione (a 3 fasi) presenta anche degli svantaggi, tra cui i principali sono da
individuare nell'elevato volume di acqua di vegetazione prodotto, il cui smaltimento, specie nel passato, risultava
difficoltoso ed oneroso, e nella riduzione degli antiossidanti naturali degli oli, conseguente alla necessaria
diluizione della pasta di olive con acqua calda, che riduce la stabilità degli oli stessi durante la conservazione.
L'industria costruttrice di impianti oleari aveva già iniziato lo studio di soluzioni meccaniche che riducessero gli
svantaggi del decanter convenzionale a 3 fasi e così, agli inizi degli anni Novanta, sono comparsi sul mercato i primi
decanter che, operando senza l'aggiunta dell'acqua alla pasta di olive, non producevano acqua di vegetazione.
Questi nuovi decanter non differivano sostanzialmente dai precedenti, poiché le variazioni apportate riguardavano
soprattutto alcune parti interne, come i livelli degli ugelli di uscita dei liquidi.
Negli anni successivi si è assistito ad un proliferare di tali impianti, il cui funzionamento, attualmente, si può
ricondurre alle seguenti tipologie :
decanter integrali (a 2 uscite), che operano senza l'aggiunta di acqua alla pasta di olive e che non
producono acqua di vegetazione;
decanter a 3 uscite (innovativo), che operano con ridotta (o nulla) quantità di acqua aggiunta alla pasta di
olive e che producono un ridotto quantitativo di acqua di vegetazione che si può separare dall'olio e dalla
sansa.
Il primo tipo di decanter (integrale a 2 uscite), molto diffuso in Spagna, ha la caratteristica di produrre sanse molto
umide (65-70%), di difficile collocazione presso il sansificio.
Il secondo tipo di decanter (detto anche impropriamente a 2 fasi e mezzo) ha la caratteristica di produrre una sansa
vergine d'oliva con umidità accettabile (55-60%), che può essere conferita al sansificio (fig. 16.7).
Figura 16.7 - Centrifuga ad asse
orizzontale (decanter).
La qualità merceologica degli oli, estratti con i due decanter a confronto, non risulta diversa, tuttavia, il contenuto di
polifenoli totali ed il valore del tempo di induzione sono significativamente più alti negli oli ottenuti con il decanter
innovativo che richiede solo una ridotta quantità di acqua aggiunta alla pasta di olive.
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In tal modo l'olio non viene impoverito delle sostanze fenoliche naturali, poiché l'effetto del dilavamento con acqua è
ridotto e, pertanto, conserva il patrimonio di antiossidanti naturali che aveva originariamente e che dipende dalla
varietà, dalla sanità e dallo stato di maturazione delle olive. Si può, pertanto, concludere che i nuovi decanter
centrifughi, che operano senza o con poca acqua aggiunta alle paste di olive, presentano i vantaggi del sistema
della pressione e del sistema della centrifugazione convenzionale a 3 fasi, senza averne gli svantaggi.
Dalla lavorazione delle paste di olive, nel corso dell'operazione di separazione delle fasi liquide da quella solida, si
può ottenere una miscela di liquidi (olio e acqua di vegetazione) se si impiegano i sistemi della pressione e del
percolamento, o due liquidi separati (olio con poca acqua e acqua di vegetazione con poco olio) se si adotta il
sistema della centrifugazione.
L'operazione finale che si effettua in oleificio, per ottenere olio vergine d'oliva commestibile, è quella della
separazione dell'olio dal mosto oleoso che richiede l'impiego di una macchina centrifuga ad asse verticale. In realtà,
nel passato, ed anche ora in alcune zone olivicole non progredite, si ricorreva alla decantazione naturale della
miscela costituita dai due liquidi immiscibili (olio e acqua di vegetazione) sfruttando il loro diverso peso specifico
che risulta variabile tra 0,910-0,920 per l'olio e tra 1,010-1,090 per l'acqua di vegetazione. La separazione per
decantazione naturale, tuttavia, è parziale, di scarsa efficacia e richiede un lungo tempo di contatto tra i due liquidi,
con possibili inconvenienti di natura organolettica per l'olio.
Attualmente vengono impiegate delle macchine, i separatori che sono centrifughi sono costituiti da un tamburo
conico e da una serie di dischi ravvicinati, a forma di cono, tra i quali viene inviato il mosto che dà origine,
nell'interspazio, ad un flusso centripeto, di olio, e ad un flusso centrifugo, di solidi e di acqua di vegetazione. Con
opportuni e distinti tubi di efflusso, l'olio e l'acqua di vegetazione escono dalla macchina da bracci di scarico
separati.
I pregi di queste macchine risiedono nella continuità del lavoro e nell'alta portata oraria, ed anche l'inconveniente
principale, rappresentato fino a qualche tempo fa dall'esigenza di fermare la centrifuga per la pulizia dei coni,
intasati dai residui solidi presenti nei mosti oleosi, è stato superato dalle moderne centrifughe autopulitrici. Esse
infatti effettuano, in movimento, lo scarico automatico dei fanghi azionando il comando per l'apertura di una serie di
fori periferici esistenti sul tamburo.
La conservazione dell'olio di oliva
Condizione indispensabile per una buona conservazione del prodotto è la perfetta pulizia dei contenitori, che non
devono comunicare odori e sapori estranei, né dar luogo a fenomeni di cessione, né lasciarsi corrodere dagli acidi
grassi liberi dell'olio; devono inoltre essere impermeabili all'ossigeno dell'aria e all'umidità, assicurare protezione da
escursioni termiche e non lasciarsi attraversare dalla luce, non dar luogo a fenomeni di trasudamento o di
imbibizione. Il materiale più indicato è oggi l'acciaio inox, che risponde perfettamente alle diverse esigenze
determinate da un prodotto così facilmente alterabile.
Le temperature, la luce e l'aria possono essere i maggiori "nemici" dell'olio durante la sua conservazione. La
temperatura ottimale di conservazione si aggira intorno ai 15 - 16 °C; valori prossimi ai 4-5°C possono provocare
fenomeni di margarinizzazione, cioè solidificazione di alcuni componenti dell'olio a basso punto di fusione; questo
fenomeno potrebbe creare dei problemi al momento dei travasi. Inoltre si ha in parte la perdita delle sostanze
aromatiche e quindi un generale scadimento delle caratteristiche organolettiche.
Se, al contrario, la temperatura dell'ambiente di conservazione è elevata, si creano le condizioni ottimali per
l'irrancidimento, processo favorito dalla contemporanea presenza di luce e ossigeno.
Tra le cure da apportare all'olio particolare importanza rivestono i periodici travasi, al fine di allontanare il deposito
(morchia o fondame) che si forma sul fondo dei contenitori, questo è costituito essenzialmente da residui di acqua di
vegetazione delle olive, contenente sostanze glucidiche e proteiche, residui vegetali ed enzimi.
Se questa operazione non viene eseguita o si effettua molto tardi, dette sostanze possono iniziare a fermentare,
conferendo all'olio sapore di "morchia" o di "putrido". I travasi devono essere eseguiti con attenzione, curando in
maniera particolare la pulizia dei contenitori e dei locali, evitando in questi ultimi presenza di fumi o l'uso di solventi,
poichè l'olio, comportandosi come una spugna, assorbe facilmente tutti gli odori dell'ambiente.
136
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Nel caso in cui lo stoccaggio dell'olio viene effettuato in contenitori sopraelevati provvisti di un fondo tronco-conico,
di solito l'eliminazione dei fondami avviene attraverso l'apertura delle apposite valvole situate nella parte più bassa
del fondo; è da tenere presente tuttavia che questa operazione non assicura il totale allontanamento dei fondami,
poiché una parte di essi rimane aderente alla superficie del cono, e soltanto dopo lo svuotamento completo del
contenitore è possibile effettuare una pulizia totale.
Durante i travasi è inoltre necessario evitare l'eccessivo arieggiamento e sbattimento dell'olio, al fine di assicurare
una più lunga conservazione.
In definitiva, è necessario mettere in risalto l'esigenza di porre grande cura in tutte le varie fasi operative che portano
ad estrarre l'olio dalle olive ed è indispensabile possedere un notevole bagaglio di conoscenze tecnico-scientifiche
e pratico-operative dei diversi fattori che intervengono a determinare i parametri qualitativi dell'olio.
Ciò consente di ottenere produzioni di elevato livello qualitativo, privo dei difetti più comunemente riscontrabili e di
prevenire difetti alterativi che frequentemente si manifestano nell'olio, quali sono l'irrancidimento e l'inacidimento.
Il primo fenomeno si manifesta in genere dopo una conservazione prolungata o irrazionale ed è determinato - come
già visto - dalla ossidazione degli acidi grassi a contatto con l'aria e in concomitante presenza di luce e calore.
L'irrancidimento rappresenta la più grave alterazione che possa verificarsi durante la conservazione: l'odore
diviene sgradevole, il sapore acre e disgustoso, l'olio diventa incommestibile.
Nel secondo caso, quando le olive non sono sane o vengono irrazionalmente conservate, la leggera acidità
contenuta nell'olio ottenuto dal frutto maturo, aumenta sensibilmente e incrementa i suoi valori in maniera tanto più
rapida quanto più è elevata inizialmente. Tale processo viene accelerato dalla presenza, nell'olio, di acqua di
vegetazione in emulsione.
L'ottenimento e il perdurare di elevate caratteristiche qualitative negli oli è pertanto legato sinergicamente a tutti i
fattori più sopra esposti, ma soprattutto a buone tecniche di lavorazione e conservazione, che, quando non ben
condotte, possono irrimediabilmente compromettere tutto il lavoro agronomico precedentemente fatto per ottenere
un prodotto sano e di alto valore biologico.
Il percorso che porta all'ottenimento di un buon olio è pieno di difficoltà e solo il rispetto di precise regole operative
può consentire di arrivare al mercato con un prodotto di eccellenza.
137
Tabella 16.3 - Scheda di valutazione delle caratteristiche organolettiche dell'olio vergine di oliva (Reg. CE
2568/91 - Allegato XII)
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Appendice: Norme e Regolamenti Legislativi
Introduzione
In questa appendice, certamente non esaustiva, si è inteso riportare alcune delle norme in vigore che hanno
ricaduta legislativa sulla coltivazione dell'olivo. Alcune delle Norme riportate nell'appendice risalgono a diversi
decenni orsono, ma per la loro specificità legislativa sono state, in anni recenti, riconfermate in sede di Corte
Costituzionale. Importante è stato inoltre l'emanazione della legge sullo smaltimento dei reflui di frantoio, che ha
consentito di dare adeguata risposta a un annoso problema di difficile soluzione.
Con più dettaglio si sono riportate le norme che deteminano gli indirizzi operativi in olivicoltura sulle pratiche di
utilizzo dei metodi di agricoltura "biologica" e di quelli di gestione in "integrato", che tendono a valorizzare
qualitativamente le produzioni e a ridurre l'impatto ambientale in una più ampia logica di rispetto dell'ecosistema
agricolo.
L'appendice, parte dal D.L. Luogotenenziale n. 475 del 1945, che tende a tutelare gli alberi di olivo disciplinandone
l'abbattimento. La presente appendice riporta anche la normativa sull'utilizzazione agronomica delle acque reflue
(L. n°. 574/96).
Particolare rilievo assume la normativa comunitaria sia sulle produzioni "integrate" e "biologiche" (Reg. CE
n°.2078/92) che sullo sostegno allo sviluppo rurale (Reg. CE n°.1257/99).
Divieto di abbattimento di alberi di olivo
Decreto Legislativo Luogotenenziale. N°. 475 del 27/07/1945
1. È vietato l'abbattimento degli alberi di olivo oltre il numero di cinque ogni biennio, salvo quanto è previsto
nell'art. 2. Il divieto riguarda anche le piante danneggiate da operazioni belliche o in stato di deperimento
per qualsiasi causa, sempre che possano essere ricondotte a produzione con speciali operazioni colturali(1).
2. L'abbattimento degli alberi di olivo per i quali sia accertata la morte fisiologica ovvero la permanente
improduttività, dovute a cause non rimovibili, e di quelli che, per eccessiva fittezza dell'impianto, rechino
danno all'oliveto, può essere autorizzato dalla Camera di commercio, industria e agricoltura, che provvederà
con deliberazione della Giunta camerale, a seguito di accertamento sull'esistenza delle condizioni stesse,
eseguito dall'Ispettorato provinciale dell'agricoltura(2).
3. La Camera di commercio, industria ed agricoltura, su proposta dell'Ispettorato provinciale dell'agricoltura ha
facoltà di imporre, con deliberazione della Giunta camerale ai proprietari o conduttori di fondi ove si trovino
gli alberi di olivo da abbattere, l'obbligo di impiantare, anche in altri fondi di loro proprietà o da essi condotti,
altrettanti alberi di olivo in luogo di quelli da abbattere, stabilendo le modalità ed il termine del reimpianto(3).
4. Chiunque abbatte alberi di olivo senza averne ottenuta la preventiva autorizzazione, o nel caso previsto
dall'art. 3, non esegue il reimpianto con le modalità e nel termine prescritti, è punito con la sanzione
amministrativa per un importo uguale al decuplo del valore delle piante abbattute, considerate però in piena
produttività, da stabilirsi dall'Ispettorato provinciale dell'agricoltura(4).
5. Il presente decreto entra in vigore il giorno successivo a quello della pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale
del Regno. Nei territori non ancora restituiti all'Amministrazione italiana, entrerà in vigore dalla data di tale
restituzione o da quella in cui esso divenga esecutivo con ordinanza del Governo Militare Alleato.
(1) Così sostituito dall'articolo unico della L. 14 febbraio 1951, n. 144.
(2) Così, da ultimo, sostituito dall'art. 71, D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987.
(3) Così sostituito dall'art. 72, D.P.R. 10 giugno 1955, n. 987.
(4) La Corte costituzionale, con ordinanza 14-23 dicembre 1998, n. 437 (Gazz. Uff. 30 dicembre 1998, n. 52, Serie speciale), ha
dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, sollevata in riferimento all'art. 3, primo comma,
della Costituzione.
A-I
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Nuove norme in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e di
scarichi dei frantoi oleari
L. 11 novembre 1996 n° 574
1 - Utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e delle sanse umide
1. Le acque di vegetazione residuate dalla lavorazione meccanica delle olive che non hanno subìto alcun
trattamento né ricevuto alcun additivo ad eccezione delle acque per la diluizione delle paste ovvero per la
lavatura degli impianti possono essere oggetto di utilizzazione agronomica attraverso lo spandimento
controllato su terreni adibiti ad usi agricoli.
2. Ai fini dell'applicazione della presente legge le sanse umide provenienti dalla lavorazione delle olive e
costituite dalle acque e dalla parte fibrosa di frutto e dai frammenti di nocciolo possono essere utilizzate
come ammendanti in deroga alle caratteristiche stabilite dalla legge 19 ottobre 1984, n° 748, e successive
modificazioni. Lo spandimento delle sanse umide sui terreni aventi destinazione agricola può avvenire
secondo le modalità e le esclusioni di cui agli articoli 4 e 5. Le norme di cui alla presente legge relative alle
acque di vegetazione di cui al comma 1 si estendono anche alle sanse umide di cui al presente comma ad
esclusione di quanto previsto dall'articolo 6 (1).
2 - Limiti di accettabilità
1. L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione ai sensi dell'articolo 1 è consentita in osservanza del
limite di accettabilità di cinquanta metri cubi per ettaro di superficie interessata nel periodo di un anno per le
acque di vegetazione provenienti da frantoi a ciclo tradizionale e di ottanta metri cubi per ettaro di superficie
interessata nel periodo di un anno per le acque di vegetazione provenienti da frantoi a ciclo continuo.
2. Qualora vi sia effettivo rischio di danno alle acque, al suolo, al sottosuolo o alle altre risorse ambientali,
accertato a seguito dei controlli eseguiti ai sensi del comma 2 dell'articolo 3, il sindaco con propria ordinanza
può disporre la sospensione della distribuzione al suolo oppure ridurre il limite di accettabilità (1).
3 - Comunicazione preventiva
1. L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione è subordinata alla comunicazione da parte
dell'interessato al sindaco del comune in cui sono ubicati i terreni, almeno entro trenta giorni prima della
distribuzione, di una relazione redatta da un agronomo, perito agrario o agrotecnico o geologo iscritto nel
rispettivo albo professionale, sull'assetto pedo-geo-morfologico, sulle condizioni idrologiche e sulle
caratteristiche in genere dell'ambiente ricevitore, con relativa mappatura, sui tempi di spandimento previsti e
sui mezzi meccanici per garantire un'idonea distribuzione.
2. L'autorità competente può, con specifica motivazione, chiedere ulteriori accertamenti o disporre direttamente
controlli e verifiche(1)(2).
4 - Modalità di spandimento
1. Lo spandimento delle acque di vegetazione deve essere realizzato assicurando una idonea distribuzione ed
incorporazione delle sostanze sui terreni in modo da evitare conseguenze tali da mettere in pericolo
l'approvvigionamento idrico, nuocere alle risorse viventi ed al sistema ecologico.
2. Lo spandimento delle acque di vegetazione si intende realizzato in modo tecnicamente corretto e
compatibile con le condizioni di produzione nel caso di distribuzione uniforme del carico idraulico sull'intera
superficie dei terreni in modo da evitare fenomeni di ruscellamento (1).
A - II
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di Cagliari, Oristano e Nuoro
5 - Esclusione di talune categorie di terreni
1. È vietato in ogni caso lo spandimento delle acque di vegetazione e delle sanse, ai sensi dell'articolo 1, sulle
seguenti categorie di terreni:
a) i terreni situati a distanza inferiore a trecento metri dalle aree di salvaguardia delle captazioni di acque
destinate al consumo umano ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio
1988, n. 236;
b) i terreni situati a distanza inferiore a duecento metri dai centri abitati;
c) i terreni investiti da colture orticole in atto;
d) i terreni in cui siano localizzate falde che possono venire a contatto con le acque di percolazione del
suolo e comunque i terreni in cui siano localizzate falde site ad una profondità inferiore a dieci metri;
e) terreni gelati, innevati, saturi d'acqua e inondati(1).
6 - Stoccaggio
1. Lo stoccaggio delle acque di vegetazione deve essere effettuato per un termine non superiore a trenta giorni
in silos, cisterne o vasche interrate o sopraelevate all'interno del frantoio o in altra località, previa
comunicazione al sindaco del luogo ove ricadono.
2. Restano ferme le disposizioni in materia di edificabilità dei suoli (1).
7 - Competenze delle regioni e delle province autonome
1. Le regioni e le province autonome possono redigere un apposito piano di spandimento delle acque di
vegetazione con l'indicazione di ulteriori precisazioni tenuto conto delle caratteristiche dell'ambiente
ricevitore, della presenza di zone di captazione di acqua potabile, minerale e termale e dei limiti di
concentrazione delle sostanze organiche.
2. Il piano, redatto sulla base della valutazione delle diverse situazioni territoriali, deve riguardare comprensori
omogenei, individuati con riferimento alle caratteristiche della produzione olivicola, alla distribuzione ed
intensità degli oliveti nonché alla collocazione territoriale ed alle dimensioni degli impianti di molitura.
3. Copia del piano viene inviata al Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali e al Ministero
dell'ambiente (3).
8 - Sanzioni
1. Chiunque proceda allo spandimento di acque di vegetazione senza procedere alla preventiva
comunicazione di cui all'articolo 3 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire
cinquecentomila a lire un milione.
2. La stessa sanzione di cui al comma 1 si applica a chiunque proceda allo spandimento di acque di
vegetazione con inosservanza dei modi di applicazione di cui all'articolo 4, comma 2. Se la violazione
riguarda la mancata osservanza delle precauzioni previste dal comma 1 dello stesso articolo 4, si applica la
sanzione amministrativa da lire un milione a lire tre milioni, salvo che il fatto non sia previsto dalla legge
come reato.
3. A chiunque proceda allo spandimento delle acque di vegetazione con inosservanza del limite di accettabilità
di cui all'articolo 2 si applica la sanzione amministrativa da lire un milione a lire tre milioni, aumentabile sino
ad un terzo in caso di violazione di particolare gravità del suddetto limite di accettabilità.
4. Chiunque proceda allo spandimento delle acque di vegetazione in violazione dei divieti di cui all'articolo 5 è
punito con la sanzione amministrativa da lire un milione a lire cinque milioni.
5. Per l'accertamento delle violazioni previste nel presente articolo e per l'irrogazione delle relative sanzioni è
competente l'autorità comunale, salve le attribuzioni affidate dalla legge ad altre pubbliche autorità (2)(3).
A - III
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9 - Controlli
1. L'Agenzia nazionale per la protezione dell'ambiente e le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente,
laddove esistenti, procedono alla verifica periodica delle operazioni di spandimento delle acque di
vegetazione a fini di tutela ambientale.
2. Ogni tre anni a partire dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro delle risorse agricole,
alimentari e forestali, sentito il Ministro dell'ambiente per le parti di competenza, trasmette, entro il 31
dicembre, al Parlamento una relazione sulla applicazione della presente legge, sullo stato delle acque, del
suolo, del sottosuolo e delle altre risorse ambientali venute a contatto con le acque di vegetazione, nonché
sulle più recenti acquisizioni scientifiche in materia di utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e
di scarichi dei frantoi oleari (3).
10 - Disposizioni finali
1. L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione ai sensi dell'articolo 1, non è subordinata
all'osservanza da parte dell'interessato delle prescrizioni, dei limiti e degli indici di accettabilità previsti dalla
legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modificazioni (2).
2. È abrogato il decreto-legge 26 gennaio 1987, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo
1987, n. 119 (2).
3. Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici
sorti sulla base dell'articolo 4, commi 2 e 3, del D.L. 29 aprile 1995, n. 140, del D.L. 28 giugno 1995, n. 256,
del D.L. 28 agosto 1995, n. 358, del D.L. 27 ottobre 1995, n. 445, del D.L. 23 dicembre 1995, n. 546, del D.L.
26 febbraio 1996, n. 81, del D.L. 26 aprile 1996, n. 217, del D.L. 25 giugno 1996, n. 335, e del D.L. 8 agosto
1996, n. 443 (2).
4. Non sono punibili per i fatti commessi in data anteriore a quella di entrata in vigore della presente legge in
violazione della legge 10 maggio 1976, n. 319 , e successive modificazioni, coloro che abbiano adempiuto
agli obblighi previsti dai commi 1, 2 e 5 dell'articolo 1 e dal comma 2-bis dell'articolo 2 del decreto-legge 26
gennaio 1987, n. 10, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 1987, n. 119, e successive
modificazioni (2).
5. La presente legge entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica italiana.
(1) La Corte costituzionale con ordinanza 12-18 febbraio 1998, n. 20 (Gazz. Uff. 4 marzo 1998, n. 9, Serie speciale), ha dichiarato la
manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, 8 e 10, commi 1, 2, 3 e 4, sollevate in riferimento agli
artt. 3, 9, secondo comma, 32, 41 e 41, secondo comma della Costituzione.
(2) Il D.L. 29 aprile 1995, n. 140, il D.L. 28 giugno 1995, n. 256, il D.L. 28 agosto 1995, n. 358, il D.L. 27 ottobre 1995, n. 445, il D.L.
23 dicembre 1995, n. 546, il D.L. 26 febbraio 1996, n. 81, il D.L. 26 aprile 1996, n. 217, il D.L. 25 giugno 1996, n. 335, e il D.L. 8
agosto 1996, n. 443, non sono stati convertiti in legge.
(3) Con sentenza 27 novembre-11 dicembre 1997, n. 380 (Gazz. Uff. 17 dicembre 1997, n. 51, Serie speciale), la Corte costituzionale
ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli da 1 a 9, nella parte in cui prevedono la propria applicazione immediata e diretta nel
territorio delle province autonome di Trento e di Bolzano.
A - IV
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Commento e stralci dei Regolamenti comunitari relativi alle produzioni olivicole con
i metodi "integrato" e "biologico"
Nell'ambito della riforma dei fondi strutturali collegata agli orientamenti della politica agraria comune (PAC),
delineati nel cosiddetto ""Piano Mac Sharry", sono stati emanati diversi regolamenti del Consiglio, di cui alcuni
particolarmente importanti e rientranti tra le "misure di accompagnamento", che individuano interventi a
completamento del disegno di riassetto della politica agraria comune. Tra questi particolare ruolo è stato svolto
dalle regolamento del Consiglio n° 2078/92 del 30 Giugno 1992 relativo a metodi di produzione agricola
compatibile con le esigenze dell'ambiente e con la cura dello spazio naturale, le cui misure operative sono state
riprese, sempre nell'ambito delle fasi di riforma dei Fondi strutturali comunitari, dal Reg. CE n°1257/99 e successive
modifiche. Esso si impernia fondamentalmente in quanto espresso dal Reg. del Consiglio n°1260/99, recante
disposizioni generali su detti Fondi.
Il Reg. n°1257/99 del Consiglio del 17 maggio 1999 sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del Fondo europeo
agricolo di orientamento e di garanzia (FEAOG) e che modifica ed abroga taluni regolamenti, oltre a sopprimere in
toto alcuni precedenti regolamenti, riprende al suo interno quelli costituenti il primo nucleo legislativo che ha
instaurato la riforma dei Fondi Strutturali, e che, mediante il Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia (FEAOG),
ha consentito di erogare e razionalizzare diverse tipologie di intervento in ambito rurale.
Uno dei principali obiettivi nell'attuazione delle politiche comunitarie, come previsto nel trattato che istituisce la
Comunità Europea agli articoli 158 e 160, è la coesione economica e sociale e le misure destinate allo sviluppo
rurale dovrebbero contribuire a tale politica nelle regioni in ritardo di sviluppo (Obiettivo n° 1) e nelle regioni con
difficoltà strutturali (Obiettivo n° 2), definite dal Reg. 1260/99.
Già in precedenza, con l'adozione del Reg. CE 2052/88 relativo alle missioni dei Fondi Strutturali, alla loro efficacia
e al coordinamento dei loro interventi e di quelli della Banca Europea per gli investimenti e degli altri strumenti
finanziari esistenti, sono stati posti obiettivi prioritari, volti a promuovere lo sviluppo rurale accelerando l'adattamento
delle strutture agrarie nell'ambito della riforma della polita agricola comune. Inoltre, come riportato in premessa,
nell'ambito della riforma della PAC, sono stati adottati nel 1992 alcuni fondamentali regolamenti che istituiscono le
cosiddette misure di accompagnamento, tra cui, il Reg. CE n° 2078/92, relativo a metodi di produzione agricola
compatibili con le esigenze di protezione dell'ambiente e con la cura dello spazio naturale.
Tali provvedimenti sono considerati strumenti finalizzati in maniera prioritaria alla promozione di uno sviluppo
sostenibile per le zone rurali e di risposta alla crescente domanda di servizi nel settore ambientale. Pertanto la
prosecuzione del sostegno agroambientale previsto dal Reg. CE n°2078/92 per misure ambientali mirate è stata
effettuata tenendo conto dell'esperienza acquisita nell'applicazione di tale regime secondo quanto descritto dalla
relazione presentata dalla Commissione a norma dell'art. 10 di detto regolamento. Il regime di aiuti agroambientali
dovrebbe, infatti, continuare a incoraggiare gli agricoltori ad operare nell'interesse dell'intera società, introducendo
o mantenendo metodi di produzione compatibili con le crescenti esigenze di tutela e miglioramento dell'ambiente,
delle risorse naturali, del suolo e della diversità genetica, nonché con la necessità di salvaguardare lo spazio
naturale e il paesaggio.
Nei paragrafi seguenti si riportano i punti salienti del regolamento della Commissione n° 1257/99, che come già
detto, ha abrogato e sostituito il Reg. 2078/92 nelle componenti che intervengono sulle misure di promozione
agroambientale. L'attuazione di detta normativa è avvenuta con l'adozione del regolamento del Commissione n°
1750/99 recante disposizioni di applicazione del Reg. CE n° 1257/99 e con successive modifiche previste dal
regolamento della Commissione n° 2075/2000.
A-V
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio del 17 maggio 1999 sul sostegno allo
sviluppo rurale da parte del Fondo europeo agricolo di orientamento e di garanzia
(FEAOG) e che modifica ed abroga taluni regolamenti.
Gazzetta Ufficiale n. L 160 del 26/06/1999 PAG. 0080 - 0101
IL CONSIGLIO DELL UNIONE EUROPEA, visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare gli articoli
36 e 37, {.....OMISSIS.....}
HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:
TITOLO I
Ambito di Applicazione e Obiettivi
Articolo 1
1. Il presente regolamento definisce il quadro del sostegno comunitario per uno sviluppo rurale sostenibile.
2. Le misure per lo sviluppo rurale accompagnano e integrano altri strumenti della politica agricola comune e
contribuiscono in tal modo al conseguimento degli obiettivi previsti dall'articolo 33 del trattato.
3. Le misure di sviluppo rurale:
sono inserite nelle misure volte a promuovere lo sviluppo e l'adeguamento strutturale delle regioni in
ritardo di sviluppo (obiettivo n° 1)
accompagnano le misure di sostegno alla riconversione socioeconomica delle zone con difficoltà
strutturali (obiettivo n° 2) nelle regioni interessate, tenendo conto dei fini specifici del sostegno
comunitario nell'ambito di tali obiettivi, quali previsti degli articoli 158 e 160 del trattato e dal
regolamento (CE) n° 1260/1999, e alle condizioni stabilite dal presente regolamento.
Articolo 2
Il sostegno allo sviluppo rurale, legato alle attività agricole e alla loro riconversione, può riguardare:
il miglioramento delle strutture nelle aziende agricole e delle strutture di trasformazione di
commercializzazione dei prodotti agricoli,
la riconversione e il riorientamento del potenziale di produzione agricola, 1'introduzione di nuove tecnologie
e il miglioramento della qualità dei prodotti,
I'incentivazione della produzione non alimentare,
uno sviluppo forestale sostenibile,
la diversificazione delle attività al fine di sviluppare attività complementari o alternative,
il mantenimento e il consolidamento di un tessuto sociale vitale nelle zone rurali,
lo sviluppo di attività economiche e il mantenimento e la creazione di posti di lavoro, allo scopo di garantire
un migliore sfruttamento del potenziale esistente,
il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita,
il mantenimento e la promozione di sistemi di coltivazione a bassi consumi intermedi,
la tutela e la promozione di un alto valore naturale e di un'agricoltura sostenibile che rispetti le esigenze
ambientali,
l'abolizione delle ineguaglianze e la promozione della parità di opportunità fra uomini e donne, in particolare
mediante il sostegno a progetti concepiti e realizzati da donne.
Articolo 3
È concesso un sostegno a favore delle misure di sviluppo rurale definite al titolo II e alle condizioni ivi previste.
A - VI
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
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TITOLO II
Misure di Sviluppo Rurale
{.....OMISSIS.....}
CAPO VI
Misure Agroambientali
Articolo 22
Il sostegno a metodi di produzione agricola finalizzati alla protezione dell'ambiente e alla conservazione dello
spazio naturale (misure agroambientali) contribuisce alla realizzazione degli obiettivi delle politiche comunitarie in
materia agricola e ambientale.
Tale sostegno è inteso a promuovere:
forme di conduzione dei terreni agricoli compatibili con la tutela e con il miglioramento dell'ambiente, del
paesaggio e delle sue caratteristiche, delle risorse naturali, del suolo e della diversità genetica,
I'estensivizzazione, favorevole all'ambiente, della produzione agricola e la gestione dei sistemi di pascolo a
scarsa intensità,
la tutela di ambienti agricoli ad alto valore naturale esposti a rischi,
la salvaguardia del paesaggio e delle caratteristiche tradizionali dei terreni agricoli,
il ricorso alla pianificazione ambientali nell'ambito della produzione agricola.
Articolo 23
1. Gli agricoltori ricevono un sostegno in compenso di impegni agroambientali della durata minima di cinque
anni. Ove necessario, può essere fissato un periodo più lungo per particolari tipi di impegni a causa degli
effetti di tali impegni sull'ambiente.
2. Gli impegni agroambientali oltrepassano l'applicazione delle normali buone pratiche agricole. Essi
procurano servizi non forniti da altre misure di sostegno, quali il sostegno dei mercati o le indennità
compensative.
Articolo 24
1. Il sostegno agli impegni agroambientali viene concesso annualmente ed è calcolato in base ai seguenti
criteri:
il mancato guadagno,
i costi aggiuntivi derivanti dall'impegno assunto e
la necessità di fornire un incentivo.
Nel calcolo dell'importo annuo di sostegno si può tenere conto anche del costo degli investimenti non
remunerativi necessari all'adempimento degli impegni.
2. Gli importi annui massimi che possono beneficiare del sostegno comunitario figurano nell'allegato. Tali
importi sono basati sulla superficie dell'azienda a cui si applicano gli impegni agroambientali.
{.....OMISSIS.....}
CAPO X
Modalità di Applicazione
Articolo 34
Dettagliate modalità di applicazione del presente titolo sono adottate secondo la procedura di cui all'articolo 50,
paragrafo 2 del regolamento (CE) n. 1260/1999. Tali modalità possono riguardare, in particolare:
{.....OMISSIS.....}
1. le condizioni che disciplinano l'assunzione di impegni agroambientali (articoli 23 e 24)
{.....OMISSIS.....}
A - VII
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Articolo 42
I piani di sviluppo rurale si estendono su un periodo di sette anni a decorrere dal 1° gennaio 2000.
Articolo 43
1. I piani di sviluppo rurale comprendono.
una descrizione quantificata della situazione attuale, che indichi le disparità, le carenze e il
potenziale di sviluppo, le risorse finanziarie impiegate e i principali risultati delle azioni intraprese nel
precedente periodo di programmazione, in base ai risultati delle valutazioni disponibili,
una descrizione della strategia proposta, i suoi obiettivi quantificati, i progetti di sviluppo rurale
selezionati e la zona geografica interessata,
una valutazione, che indichi gli effetti previsti dal punto di vista economico, ambientale e sociale,
compreso l'impatto sull'occupazione,
una tabella finanziaria generale indicativa, che rechi una sintesi delle risorse finanziarie nazionali e
comunitarie impiegate e corrispondenti a ognuno degli obiettivi prioritari di sviluppo rurale previsti dal
piano e, allorché il piano riguardi zone rurali dell'obiettivo 2, individui gli importi indicativi per le
misure in materia di sviluppo rurale di cui all'articolo 33 in queste zone,
una descrizione delle misure previste ai fini dell'attuazione dei piani e, in particolare, dei regimi di
aiuto, comprendente gli elementi necessari per valutare le norme relative alla concorrenza,
se del caso, dati relativi ad eventuali studi, progetti dimostrativi, azioni di formazione o di assistenza
tecnica necessari per la preparazione, la realizzazione o l'adeguamento delle misure previste,
l'indicazione delle autorità competenti e degli organismi responsabili,
provvedimenti che garantiscano l'attuazione efficace e corretta dei piani, compresi il controllo e la
valutazione, una definizione degli indicatori quantificati per la valutazione, delle disposizioni relative
al controllo e alle sanzioni, nonché di pubblicità adeguata,
i risultati delle consultazioni e l'indicazione delle autorità e organismi associati, nonché le parti
economiche e sociali ai livelli appropriati.
2. Nei loro piani gli Stati membri:
predispongono misure agroambientali sul loro territorio e secondo le loro specifiche esigenze,
garantiscono il necessario equilibrio tra le varie misure di sostegno.
{.....OMISSIS.....}
TITOLO IV
Aiuti di Stato
Articolo 51
1. Salvo disposizione contraria prevista dal presente titolo, agli aiuti concessi dagli Stati membri per misure di
sostegno allo sviluppo rurale si applicano gli articoli da 87 e 89 del trattato. Tuttavia, gli articoli da 87 e 89
del trattato non si applicano ai contributi finanziari accordati dagli Stati membri per misure che beneficiano
del sostegno comunitario ai sensi dell'articolo 36 del trattato e secondo le disposizioni del presente
regolamento.
2. Sono vietati gli aiuti agli investimenti nelle aziende agricole che superano le percentuali di cui all'articolo 7.
Tale divieto non è applicabile agli aiuti destinati
ad investimenti realizzati principalmente nell'interesse pubblico in relazione alla conservazione dei
paesaggi tradizionali modellati da attività agricole e forestali o al trasferimento di fabbricati aziendali;
ad investimenti in materia di tutela e miglioramento dell'ambiente;
ad investimenti intesi a migliorare le condizioni di igiene e di benessere degli animali.
3. Sono vietati gli aiuti di Stato concessi agli agricoltori per compensare gli svantaggi naturali nelle regioni
svantaggiate, se non soddisfano le condizioni di cui agli articoli 14 e 15.
4. Sono vietati gli aiuti di Stato a favore degli agricoltori in compenso di impegni agroambientali che no
soddisfano le condizioni di cui agli articoli 22,23,24 . Possono tuttavia essere accordati aiuti supplementari
che superino gli importi fissati a norma dell'articolo 24, paragrafo 2, purché siano giustificati a norma del
paragrafo 1 di detto articoli. In casi eccezionali debitamente motivati, si può derogare alla durata minima di
tali impegni, conformemente all'articolo 23, paragrafo 1.
{.....OMISSIS.....}
A - VII
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Articolo 55
1. Sono abrogati i seguenti regolamenti:
regolamento (CEE) n. 4256/88,
regolamenti (CE) n. 950/97, (CE) n. 951/97, (CE) n. 952/97 e (CEE) n. 867/90,
regolamenti (CEE) n. 2078/92, (CEE) n. 2079/92 e (CEE) n. 2080/92,
regolamento (CEE) n. 1610/89.
2. Sono abrogate le seguenti disposizioni:
articolo 21 del regolamento (CEE) n. 3763/91(29),
articolo 32 del regolamento (CEE) n. 1600/92(30),
articolo 27 del regolamento (CEE) n. 1601/92(31),
articolo 13 del regolamento (CEE) n. 2019/93(32).
3. I regolamenti e le disposizioni abrogate rispettivamente ai sensi dei paragrafi 1 e 2 rimangono applicabili
alle azioni approvate dalla Commissione ai sensi dei regolamenti interessati anteriormente al 1° gennaio
2000.
4. Le direttive del Consiglio e della Commissione relative all'adozione di elenchi di zone svantaggiate, o alla
modifica di tali elenchi a norma dell'articolo 21, paragrafi 2 e 3, del regolamento (CE) n. 950/97, rimangono
in vigore, tranne se ulteriormente modificate nell'ambito dei programmi.
{.....OMISSIS.....}
ALLEGATO
Tabella degli importi
Articolo
8 (2)
12 (1)
15 (3)
16
24 (2)
Oggetto
Aiuti all'insediamento
Tabella A.1 -
Euro €
Tabella degli Importi
25000
15000(*)
per cedente e all'anno
importo totale
150000
per cedente
3500
per lavoratore e all'anno
35000
importo globale per
lavoratore
indennità compensativa minima
25(**)
per ettaro di terreni agricoli
indennità compensativa massima
200
per ettaro di terreni agricoli
Pagamento massimo
200
per ettaro
Colture annuali
600
per ettaro
Colture perenni specializzate
900
per ettaro
Altri usi dei terreni
450
per ettaro
Prepensionamento
Premio annuale massimo per compensare le perdite di reddito provocate
dall'imboschimento:
31 (4)
32 (2)
per gli imprenditori agricoli o le loro
associazioni
725
per ettaro
per le altre persone di diritto privato
185
per ettaro
Pagamento minimo
40
per ettaro
Pagamento massimo
120
per ettaro
(*) In base all'importo totale per cedente i pagamenti annuali massimi possono essere aumentati sino al doppio tenendo conto della
struttura economica delle aziende nei territori e dell'obiettivo dell'accelerazione dell'adattamento delle strutture agricole.
(**) questo importo può essere ridotto per tenere conto della situazione geografica particolare o della struttura economica delle aziende
in taluni territori e per evitare compensazioni eccessive a norma dell'articolo 15, paragrafo 1, secondo trattino.
A - IX
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Attualmente, a seguito dell'abrogazione del Reg. CE 2078/92 a motivo dell'attuazione del Reg. CE 1257/99, la
Regione Autonoma della Sardegna nell'applicazione della nuova normativa, ha provvisoriamente previsto
l'acquisizione delle sole domande di conferma annuale degli imprenditori agricoli alle misure agroambientali,
riferentesi al Programma Regionale Agro-ambientale approvato ai sensi del Regolamento CE 2078/92, e relative ad
eventuali aggiornamenti. Ha riservato, quindi, l'accettazione degli impegni annuali a coloro che già nelle precedenti
annate hanno adottato gli appositi piani su base quinquennale, secondo le tipologie di impegno previste
nell'articolo 2 dell'ex Reg. CE 2078/92l, con le sei diverse Sottomisure di riferimento che la RAS aveva stabilito di
assumere. Al momento è in fase di definizione la stesura del nuovo Programma Regionale Agroambientale che
conterrà, altresì, le tabelle relative alle misure provvisionali legate al sostegno in compenso di impegni
agroambientali derivati dall'allegato al Reg. 1257/99. Di seguito si allegano le norme tecniche aggiornate,
contenute nel Piano Regionale di Produzione Integrata, relativo all'adozione di tecniche di produzione integrata
(denominata Sottomisura A1) secondo quanto disposto dal Reg. CE 2078/92. Tali norme potranno essere
completate da quelle eventualmente aggiornate nel nuovo testo inerente le coltivazioni in "integrato" e afferenti al
Reg. CE 1257/99. In riferimento, poi, all'introduzione di metodi di agricoltura biologica, secondo quanto previsto con
l'adozione della Sottomisura A3, tutta la normativa vigente nell'intera UE, relativamente all'adozione dell'agricoltura
biologica come metodo di produzione, deriva dall'adozione del Reg. CE 2092/91 e successive modifiche. Pertanto,
gli imprenditori agricoli che hanno introdotto, all'interno delle loro intera superficie aziendale, i metodi di produzione
biologica hanno nel Reg. CE 2092/91 un precisa normativa comunitaria da rispettare; da questa scaturiscono i
disciplinari di produzione previsti dall'organismo di controllo nazionale, al quale i medesimi imprenditori hanno
prescelto di aderire tra quelli riconosciuti dal MI.P.A.F.
A-X
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Reg. (CEE) n. 2078/92 del Consiglio del 30 Giugno 1992 relativo a metodi di
produzione agricola compatibile con le esigenze dell'ambiente e con la cura dello
spazio naturale.
Norme tecniche generali di applicazione della Sottomisura A1 del Programma
regionale agro-ambientale della Regione Autonoma della Sardegna (Impegno "A"
Reg., CEE 2078/92) Allegato 1 del Programma Regionale Agro-ambientale.
(........OMISSIS........)
Norme Generali Connesse all'Applicazione della Misura
Obiettivi generali
Le seguenti norme tecniche sono redatte in conformità con i criteri generali approvati con Decisione Comunitaria n®
C(96) 3864 del 31-12-1996, con diminuzione dell'uso di fitofarmaci e diserbanti e per diffondere l'utilizzo di strategie
e prodotti rispettosi dell'ambiente. La difesa fitosanitaria e il controllo delle infestanti devono essere attuati
impiegando nella minore quantità possibile (quindi solo se necessario) e al minor impatto verso l'uomo e l'ambiente
scelti fra quelli aventi caratteristiche di efficacia sufficienti ad ottenere la difesa delle produzioni a livelli
economicamente accettabili Le norme tecniche proposte assumono, come punto di riferimento, le linee guida
contenute nel documento "Integrated Production - Principles and technical guidelines", nel bollettino - IOBC/WPPRS
- vol. 19 (1)1993.
Modalità di adesione
Le domande di adesione devono essere presentate all'ERSAT presso le sedi competenti per territorio, mediante
compilazione, in ogni sua parte dell'apposito modello di domanda.
Alla domanda deve essere allegata la seguente documentazione:
dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà con cui si dichiara il titolo di proprietà o di possesso del terreno
per la durata dell'impegno assunto;
certificato o visura catastale;
documentazione giustificativa del diritto di possesso se diverso da quello indicato nel certificato catastale;
eventuale delega nel caso di più comproprietari;
estratto di mappa o planimetria catastale (di tutti i corpi aziendali, sia in proprietà che in affitto);
codice fiscale e/o partita IVA;
piano aziendale agro-ambientale da presentare inizialmente e confermare o rinnovare annualmente;
analisi del terreno;
registro aziendale da consegnare ogni fine anno all'Ufficio Istruttore
Il beneficiario è inoltre tenuto al rispetto di tutte le norme tecniche riportate nei disciplinari di produzione integrata.
Vincoli e obbligazioni
Il beneficiario si impegna a:
effettuare l'analisi del terreno (granulometrica e chimica) ogni cinque anni; è ammessa la presentazione
dl un referto analitico antecedente non oltre un periodo massimo di quattro di far data dalla
presentazione della domanda;
garantire una superficie minima coltivata di 2,00 Ha per le coltivazioni erbacee specializzate, anche se
di diverse specie, e 0,50 Ha per le coltivazioni arboree specializzate anche se di diverse specie e per le
colture protette;
annotare tutte le operazioni relative al processo produttivo su registro aziendale;
presentare il piano aziendale agro-ambientale all'atto della presentazione della domanda di adesione;
presentare il piano di rotazione per le colture erbacee e protette all'atto della presentazione della
domanda di adesione;
adottare e realizzare annualmente almeno una delle misure ecologiche;
dare tempestiva comunicazione di eventuali modifiche della situazione aziendale (vendita/acquisto
terreni, cambio conduttore, variazioni colture, variazione rotazione, ecc.);
A - XI
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di Cagliari, Oristano e Nuoro
tutte le indicazioni evidenziate in grassetto e corsivo sia nei paragrafi che nelle tabelle "Diserbo" e
"Difesa" assumono carattere vincolante e obbligatorio.
Le Misure Ecologiche
Le Misure Ecologiche si distinguono in:
A - mezzi e metodi alternativi di difesa fitosanitaria;
B - cure del terreno mediante mantenimento e miglioramento della fertilità.
Le misure ecologiche sono:
1. Applicazione dei metodi di lotta guidata mediante l'uso di trappole cromo e chemiotropiche, a livello
aziendale, allo scopo di monitorare l'entità demografica dei parassiti e prevedere, al superamento della
soglia d'intervento, le più adeguate tecniche di difesa adottabili;
2. Applicazione di metodi di lotta biologica attraverso la diffusione di insetti predatori e parassitoidi o di altri
artropodi; in questo caso si deve tenere conto della selettività dei fitofarmaci nei confronti degli ausiliari; la
scelta di questa misura ecologica esclude l'utilizzo di prodotti chimici contro lo stesso parassita;
3. Applicazione di mezzi biotecnici mediante l'uso di attrattivi di tipo nutrizionale (esche avvelenate) o sessuali
(feromoni) finalizzate all'abbattimento della popolazione del parassita (mass trapping); la scelta dl questa
misura ecologica esclude l'utilizzo dl prodotti chimici contro lo stesso parassita;
4. Applicazione di mezzi di lotta microbiologica mediante l'impiego di batteri e funghi, purché regolarmente
registrati e autorizzati dagli Organi competenti; la scelta di questa misura ecologica esclude l'utilizzo di
prodotti chimici contro lo stesso parassita;
5. Applicazione di mezzi fisici quali la tecnica della solarizzazione o pacciamatura riscaldante mediante
copertura del suolo con un film plastico trasparente per la disinfezione del terreno; la scelta dl questa
misura ecologica esclude l'utilizzo dl diserbanti e/o geodisinfestanti;
6. Applicazione di mezzi meccanici (es. utilizzo di reti "anti- insetto", spazzolatura e potatura di risanamento);
7. Applicazione della tecnica della "falsa semina" sulle colture erbacee. Consiste nell'irrigazione anticipata del
terreno da destinare alla coltivazione e nella lavorazione dello stesso dopo l'emergenza delle erbe
infestanti. L'adozione dl questa misura ecologica esclude l'utilizzo dl diserbanti e/o geodisinfestanti;
8. Copertura del suolo mediante inerbimento naturale o indotto, o attraverso pacciamatura verde o artificiale
(impiego di film in PVC o PE); per l'inerbimento e la pacciamatura verde è obbligatorio lo sfalcio e ne è
vietato l'uso a fini zootecnici;
9. Concimazione verde mediante interramento (sovescio) di erbai coltivati; la scelta di questa misura
ecologica permetterà, per quanto concerne la concimazione della specie coltivata interessata, il
completamento, fino al raggiungimento del quantitativo massimo consentito dal disciplinare di
produzione della specie, delle unità fertilizzanti In difetto tramite l'apporto di concimi chimici;
10. Utilizzo di fertilizzanti naturali, previsti dall'allegato 11 al Reg. CEE n. 2092191 e successive modifiche e
integrazioni, quali: letami humificati (compost), liquami (purché nei limiti delle norme vigenti in materia di
smaltimento dei reflui), scarti di macellazione (cornunghia, farina di carne, ecc.), materia organica
compostata di diversa natura (vegetale, da reflui agro-industriali, ecc.); l'adozione di questa misura
ecologica esclude la possibilità dl ricorrere, per la concimazione, all'uso dl concimi chimici;
11. Realizzazione di superfici di compensazione ecologica su almeno il 3% della S.A.U. aziendale, per ogni
anno di applicazione, tramite l'impianto di siepi erbacee, arbustive e/o arboree; la riduzione della SAU non
deve essere concentrata in un solo appezzamento, ma distribuita uniformemente su tutta la superficie
aziendale interessata dalla misura; l'attuazione di questa misura ecologica ha lo scopo di rinforzare la
diversità biologica incrementando il grado di stabilità dell'ecosistema;
Si chiarisce che l'adozione delle misure ecologiche è obbligatoria perché consente la giustificazione ecologica
ed economica dell'impegno assunto, in quanto il costo sostenuto per l'applicazione della misura ecologica
comporta una riduzione di reddito per l'imprenditore.
Qualora sl verificassero eventi fitopatologici eccezionali e, dl conseguenza, si rendessero indispensabili
interventi non previsti dai disciplinari tecnici delle coltura interessata, il titolare dell'azienda aderente al Piano
regionale di produzione integrata è tenuto a darne tempestiva comunicazione al tecnico ERSAT incaricato di
effettuare i controlli. Entro cinque giorni dal ricevimento della comunicazione, il tecnico rilascerà per iscritto
l'autorizzazione ad effettuare l'intervento richiesto o l'indicazione di soluzioni alternative, utilizzando In ogni
caso principi attivi già inseriti nelle norme tecniche approvate.
A - XII
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Norme Tecniche di Carattere Generale
Le norme tecniche di seguito riportate riguardano sia la difesa fitosanitaria che il controllo delle infestanti.
Sono da escludere formulati classificati "Molto tossici, Tossici o Nocivi" (ex prima e seconda classe) qualora
dello stesso principio attivo siano disponibili anche formulati classificati "Irritanti" o "Non classificati" (ex terza
e quarta classe).
Possono essere impiegati solo i principi attivi e ausiliari indicati nelle tabelle di difesa o di diserbo. I principi
attivi possono essere impiegati solo contro le avversità o le infestanti indicate nelle relative tabelle di difesa o
di diserbo e non contro altre avversità o infestanti.
I principi attivi utilizzabili sono solo quelli indicati nelle linee tecniche.
Possono essere utilizzate solo le dosi di diserbante riportate nelle apposite tabelle, con la possibilità di
impiegare anche formulati di diversa concentrazione purché la quantità di prodotto sia calcolata in
proporzione.
Possono essere impiegati i prodotti di cui all'allegato II del Reg. (CEE) n.2092/91 a condizioni che siano
registrati in Italia.
E' vietato l'impiego di geodisinfestanti e di fitoregolatori chimici ad eccezione di quanto specificatamente
indicato nelle singole colture.
Le soglie di intervento, qualora esplicitamente riportate nelle tabelle difesa, sono da ritenersi obbligatorie.
Il Controllo delle Infestanti
Criteri Fondamentali
Nel controllo delle infestanti si dovrà tenere conto dei seguenti parametri di valutazione:
1. Previsione della composizione fioristica:
Si basa su osservazioni fatte nelle annate precedenti e/o su valutazioni di carattere zonale sulle infestanti
maggiormente diffuse sulle colture praticate. Tale approccio risulta indispensabile per l'impostazione di
eventuali interventi di diserbo e pertanto deve essere esplicitato nel piano aziendale agro-ambientale.
2. Valutazione della flora infestante effettivamente presente:
E' da porre in relazione alla previsione e serve per verificare il tipo di infestazione effettivamente presente e
per la scelta delle soluzioni e dei prodotti da utilizzare, in particolare nei trattamenti di post-emergenza. In
tale evenienza, anche questa valutazione deve essere ricompresa nel piano aziendale agro-ambientale.
3. Impostazione dei piani di rotazione colturale.
Devono essere predisposti in base alle esigenze economiche dell'azienda, tenuto conto dell'esigenza di
evitare la specializzazione delle infestanti e partendo dal presupposto obbligatorio che le specie
depauperanti non possono tornare sullo stesso suolo per almeno un triennio. Il piano di rotazione
colturale è obbligatorio per tutte le specie erbacee.
4. Diserbo chimico.
Qualora il diserbo chimico si renda necessario, tenuto conto degli aspetti trattati ai punti 1., 2., 3., possono
essere utilizzati esclusivamente i principi attivi diserbanti riportati nelle tabelle. La distribuzione del p.a. deve
avvenire in funzione della presenza di erbe infestanti (e quindi si privilegia il trattamento in post-emergenza)
o con trattamenti cautelativi in pre-emergenza, da privilegiare ai trattamenti in pre-semina. Qualora questi
ultimi siano ritenuti indispensabili si dovrà intervenire con principi attivi a bassa persistenza. E' consigliabile
effettuare la preparazione anticipata del letto di semina e attuare la tecnica della "falsa semina".
Disciplinari Tecnici per il controllo delle Infestanti
(.... OMISSIS.......)
Coltivazioni Arboree
Si riportano le norme tecniche valide per il controllo delle infestanti delle seguenti specie:
Agrumi e fruttiferi (drupacee e pomacee)
Olivo da olio e da mensa
Vite da vino e da tavola
A - XIII
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Sono da privilegiare l'applicazione delle tecniche di gestione del suolo quali l'inerbimento e lo sfalcio delle
infestanti. E' necessario limitare le lavorazioni meccaniche pur preferendole all'intervento chimico. Quando si pratica
il diserbo chimico deve essere esplicitamente prevista nel piano aziendale agro-ambientale lo studio della
composizione floristica. I trattamenti sono ammessi limitatamente ad interventi lungo la fila.
Controllo delle infestanti negli oliveti
Infetanti
Monocotiledoni
e Dicotiledoni
Criteri di
intervento
Non
ammessi
interventi
chimici
nelle
interfile
Principi
attivi
Tabella A.2 -
Dosi
massime
ammesse
Glifosate
(30,4%)
3 l/ha
Glifosate
trimesio
(13,1%)
5 l/ha
Glufosinate
ammonio
(11,33%)
5 l/ha
Limitazioni d'uso e note
Controllo delle
infestanti negli
oliveti
E' ammesso un impiego
proporzionale della combinazione
dei tre p.a. Sono consentiti
massimo 2 interventi/anno
indipendentemente dall'erbicida
utilizzato Le dosi si intendono
per ettaro di superficie
effettivamente trattata, che deve
essere sempre inferiore almeno
al 50% della superficie
complessiva Le lavorazioni
meccaniche dell'interfilare non
devono essere mai profonde in
areali dove è presente la
tracheoverticillosi. Alternare le
frese con strumenti discissori.
Utilizzare attrezzature ben tarate
ed impiegare bassi volumi
Difesa Fitosanitaria
Criteri Fondamentali
Nell'individuazione delle strategie di difesa integrata si dovrà tenere conto dei seguenti principi:
1. Gli interventi di difesa dovranno essere mirati alla lotta delle fitopatie effettivamente presenti o per le quali si
manifestino condizioni climatiche predisponenti. Pertanto qualsiasi intervento fitosanitario (biologico,
agronomico o chimico) dovrà derivare da una attenta valutazione della presenza di fitoparassiti nella
coltivazione in atto attraverso l'attuazione di modelli previsionali per le malattie crittogamiche e l'utilizzo di
sistemi per il monitoraggio (visivi, trappole cromotropiche e chemiotropiche) del parassita più frequente e
dannoso.
2. Qualora si renda necessario intervenire, è da privilegiare l'impiego di mezzi di difesa biologici (lancio di
insetti utili, lotta microbiologica, ecc.) biotecnici (impiego di esche avvelenate, mass trapping, ecc.),
agronomici (solarizzazione, rotazione colturale, ecc.) o fisici (utilizzo di reti antinsetto, pacciamatura, ecc.).
3. Qualora i sistemi di difesa sopraccitati non manifestino efficacia o non siano disponibili e il parassita superi
la soglia di danno, si può intervenire con l'adozione di tecniche di lotta chimica. In ogni caso sono
impiegabili esclusivamente i principi attivi riportati nelle tabelle di difesa fitosanitaria per le colture
interessate, limitatamente alle fitopatie per i quali sono registrati e con le limitazioni riportate nell'apposita
colonna.
4. I principi attivi inseriti nelle norme tecniche di difesa fitosanitaria sono stati selezionati secondo i seguenti
parametri:
ridotta tossicità per l'uomo, intesa come appartenenza alle classi tossicologiche "molto tossici,"
"tossici o nocivi". Eventuali deroghe sono espressamente riportate nelle norme tecniche per coltura.
elevato grado di selettività nei confronti degli organismi utili. Allo scopo sono state utilizzate le tabelle
di selettività IPM e le risultanze delle sperimentazioni condotte dal BIOLAB di Cesena.
bassa persistenza e rapida degradazione del principio attivo.
A - XIV
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Norme Techine di Difesa Fitosanitaria
(.... OMISSIS.......)
Coltivazioni Arboree
Si riportano le norme tecniche per la difesa fitosanitaria integrata delle seguenti specie:
Albicocco
Agrumi
Ciliegio
Mandorlo
Melo
Olivo da olio e da mensa
Pero
Pesco
Susino
Vite da vino e da tavola
E' da privilegiare l'applicazione delle tecniche di lotta biologica e biotecnica quali il lancio di insetti utili, l'impiego di
B. thuringiensis, tecniche di confusione sessuale, mass trapping. E' necessario inoltre effettuare correttamente le
operazioni di potatura. Le strategie di difesa fitosanitaria previste saranno strettamente connesse alla misura
ecologica prescelta e dovranno essere riferite alle singole colture e illustrate nel piano aziendale agro-ambientale,
con particolare dettaglio per le avversità maggiormente ricorrenti.
Tabelle A.3, Difesa e Note Esplicative
Norme Tecniche di Fertilizzazione
Per l'assunzione dell'impegno alla Sottomisura A1, i beneficiari dovranno allegare alla domanda il piano aziendale
agro?ambientale, che si compone di un piano di fertilizzazione, del piano di difesa fitosanitaria, del piano di
rotazione colturale e dell'indicazione della misura ecologica prescelta. Il piano di fertilizzazione costituisce
l'impegno alla distribuzione degli apporti fertilizzanti secondo le modalità stabilite dai singoli disciplinari di
produzione integrata, in linea con quanto previsto dal "Codice della buona pratica agricola" e nel rispetto della
normativa vigente in materia di salvaguardia delle acque. In linea di principio, la fertilità dei suoli deve essere
salvaguardata attraverso l'adozione di tecniche agronomiche, quali il sovescio, il riciclo di sostanza organica
prodotta in azienda (compost di vegetali, letame maturo, ecc.), inerbimento e programmi di rotazione colturale,
riducendo al minimo l'apporto di inputs energetici esterni (fertilizzanti minerali di sintesi). Si ricorre alla
fertilizzazione chimica solo qualora l'adozione delle tecniche agronomiche sopra citate risulti insufficiente a
mantenere un livello minimo di contenuto in elementi nutritivi. In ogni caso tale esigenza deve essere esplicitata
tramite un "piano di fertilizzazione aziendale", redatto e sottoscritto da un tecnico abilitato, che deve prevedere:
il fabbisogno nutrizionale delle colture (almeno per i tre principali elementi: Azoto, Fosforo, Potassio) in
relazione alla resa attesa;
le caratteristiche fisico?chimiche dei suoli;
le caratteristiche dei fertilizzanti da utilizzare;
le epoche di distribuzione in relazione alle fasi fenologiche corrispondenti ad un più accentuato
assorbimento di elementi nutritivi. E' obbligatorio il frazionamento nella fertilizzazione azotata e fosfatica;
le modalità di distribuzione più efficienti;
gli eventuali apporti derivanti da mineralizzazione di sostanza organica (tramite sovesci, successioni
colturali, ecc.);
le eventuali influenze derivanti dall'adozione della misura ecologica prescelta.
Qualora venga adottata come misura ecologica l'apporto di fertilizzanti naturali (intesi come quelli previsti
dall'Allegato 11 del Reg. CEE n. 2092/91) viene bandito l'impiego di fertilizzanti minerali di sintesi.
Tutte le operazioni di fertilizzazione devono essere esplicitamente riportate nel registro aziendale.
Eventuali interventi di fertilizzazione fogliare devono essere preventivamente autorizzati dall'Ufficio Istruttore.
A - XV
Tabelle Difesa
Note Esplicative sulla Lettura delle tabelle "difesa"
Le tabelle "difesa" riportate nelle seguenti norme tecniche si compongono di quattro colonne:
Colonna 1: Avversità - identifica l'avversità (crittogamica o da fitofagi) controllata dai principi attivi e dai criteri d'intervento riportati
nella medesima riga;
Colonna 2: Criteri d'intervento - Individua i criteri agronomici, biologici e chimici da seguire; le soglie di danno e i criteri individuati
in neretto e corsivo assumono carattere vincolante e/o di obbligazione;
Colonna 3: Principi attivi - identifica i principi attivi utilizzabili per il controllo delle infestanti. tra parentesi è riportata la
concentrazione del formulato di riferimento; è ammesso l'utilizzo dei soli principi attivi riportati nell'apposita colonna.
Colonna 4: Note e limitazioni d'uso - identifica le limitazioni d'uso e i consigli sul corretto impiego dei principi attivi e delle tecniche
di difesa consigliate.
tabella di esempio
Avversità
CRITTOGAME
occhio di
pavone
(Spilocaea
oloeaginea)
Principi
attivi e
ausiliari
Criteri d'intervento
Agronomico:
- potature frequenti e disinfezioni delle ferite da taglio;
- eliminare con potature la vegetazione in eccesso della
chioma;
- concimazioni equilibrate.
Limitazioni d'uso e note
Dodina(**) (**) massimo 1 trattamento
Composti all'anno.
rameici(*) (*) massimo 2 trattamenti annui
indipendentemente
dall'avversità controllata.
Chimico:
- interventi eradicanti che causano la caduta delle foglie
colpite, in base a osservazioni in campo e con l'ausilio del
metodo della diagnosi precoce.
Tutto ciò che in tabella viene evidenziato in neretto e corsivo (ad esempio (*) utilizzabile solo per trattamenti localizzati) assume
carattere vincolante e di obbligazione.
Risultano inoltre esplicitamente riportati gli interventi per i quali si richiede l'autorizzazione preliminare del tecnico ERSAT.
Ai principi attivi contrassegnati con l'asterisco (*) è correlata una nota o una limitazione d'uso specifica.
DIFESA OLIVO (da olio e da tavola)
Avversità
FITOFAGI
Mosca olearia
(Bactrocera
oleae)
Criteri d'intervento
Agronomico:
- potature razionali
- raccolta anticipata
- raccolta completa anche nelle annate di
scarica.
Monitoraggio:
- monitoraggio del fitofago attraverso trappole a
feromoni
- campionamento delle drupe e valutare le
punture fertili, 2% olive da mensa e 10-15%
olive da olio per giustificare l'intervento.
Biotecnici:
- massima efficacia con interventi comprensoriali
- con tavolette avvelenate e con attrattivi
alimentari per ciascuna pianta per la cattura
massale.
Biologici:
- lancio di predatori (Opius concolor).
Principi attivi e
ausiliari
Deltametrina(1)
Opius concolor
Dimetoato(*)
Formotion(*)
Fosfamidone(*)
Triclorfon(**)
Dimetoato(**2)
Formotion(**)
Limitazioni d'uso e note
(1) da impiegare esclusivamente
per avvelenare le tavolette.
(*) per avvelenare le esche
proteiche per la distribuzione
localizzata.
(*) massimo 5 interventi con
esche proteiche avvelenate.
(**) indipendentemente
dall'avversità controllata
massimo 2 trattamenti curativi
per cvs da olio e 3 trattamenti per
cvs da mensa.
(2) per il Dimetoato dosi massime
di (40 gr. di p.a./Hl).
Chimici:
Metodo preventivo
- massima efficacia con interventi comprensoriali;
- esche proteiche avvelenate localizzate su 1/4 di
chioma;
- soglia di intervento: 2 femmine/trappola per
settimana luglio-agosto, 10 femmine/trappola per
settimana a settembre, 30 femmine/trappola per
settimana a ottobre.
Metodo misto
- trattamento con esche proteiche avvelenate e
successivamente 1 o 2 trattamenti curativo;
Metodo curativo
- intervenire al superamento della soglia di
intervento del 10-15% di punture fertili per
olive da olio e del 2% per cultivars da mensa;
- intervento con principi attivi a dosaggio minimo.
Tignola
(Prays oleae)
Monitoraggio:
- impiego di trappola a feromoni e
determinazione del picco di catture;
Biologici:
- in natura sono presenti numerosi nemici
naturali della tignola;
- controllo della generazione antofaga con
bioinsetticidi B. thuringiensis.
Fenitrotion(*)
Dimetoato(*)
Triclorfon(*)
Formotion(*)
(*) massimo 1 trattamento annuo
con prodotti chimici di sintesi
contro questo fitofago, efficaci
anche contro la Rinchite.
Oli minerali
bianch(*)
Buprofezin(*)
(*) massimo un trattamento
annuo
Chimici:
- trattamenti curativi esclusivamente contro la
generazione carpofaga al superamento della
soglia di intervento del 15% di infestazione attiva
per olive da olio e del 5% per olive da mensa.
Cocciniglia
nera
(Saissetia
oleae)
Agronomici:
- razionalizzare la concimazione azotata;
- potature frequenti per arieggiare la vegetazione
e permettere l'insolazione dei rami;
- eliminare i rami più colpiti con la potatura;
Biologici:
- proteggere l'entomofauna utile limitando i
trattamenti a tutta la chioma
Chimici:
- intervenire contro le neanidi di 1° e 2° età
perché più vulnerabili dopo la valutazione della
% di infestazione (5-10 neanidi per foglia nel
periodo estivo).
Margaronia
(Palpita
unionalis)
Agronomico:
- eliminazione dei polloni che risultano focolai di
infezione;
Bacillus
thuringiensis
Biologico:
- salvaguardia dell'entomofauna utile;
- intervenire con Bacillus thuringiensis
- di norma non è necessario intervenire negli
oliveti adulti.
CRITTOGAME
occhio di
pavone
(Spilocaea
oloeaginea)
Agronomico:
- potature frequenti e disinfezioni delle ferite da
taglio;
- eliminare con potature la vegetazione in
eccesso della chioma;
- concimazioni equilibrate.
Chimico:
Dodina(**)
Composti rameici(*)
(**) massimo 1 trattamento
all'anno.
(*) massimo 2 trattamenti annui
indipendentemente dall'avversità
controllata.
- interventi eradicanti che causano la caduta
delle foglie colpite, in base a osservazioni in
campo e con l'ausilio del metodo della diagnosi
precoce.
Batteriosi
(Palpita
unionalis)
Agronomico:
- eliminare con la potatura i rami colpiti;
- disinfezione delle ferite da taglio della potatura.
Biologico:
- trattare esclusivamente in caso di forti attacchi e
dopo il verificarsi di fattori predisponenti
(grandinate).
Composti rameici
(*) massimo 2 trattamenti annui
indipendentemente dall'avversità
controllata.
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
L'Analisi del Terreno.
Il piano di fertilizzazione viene ammesso solo previa presentazione e verifica da parte dell'Ufficio Istruttore del
referto di analisi fisico?chimica allegato alla domanda di adesione. L'analisi dovrà essere effettuata da laboratori
autorizzati secondo le metodiche in uso a livello nazionale, utilizzando campioni prelevati a diversa profondità e in
diverse zone dell'appezzamento aziendale. La scelta dei punti di prelievo può essere effettuata secondo le note
modalità di campionamento (irregolare, sistematico o composto pluriforme). All'interno del territorio aziendale
dovranno essere individuate e identificate in planimetria aree omogenee per tipologia prevalente di suolo (origine
geologica, tessitura, morfologia e struttura) e per ordinamento colturale e/o indirizzo produttivo. Per ogni
appezzamento dovranno essere determinati almeno i seguenti parametri: granulometria, pH, calcare totale, calcare
attivo, azoto totale, fosforo assimilabile, ossido di potassio scambiabile, Sostanza Organica. Limitatamente ai
parametri chimici, l'analisi dovrà essere ripetuta almeno una volta nell'arco del quinquennio (tra il terzo e il quarto
anno) o, qualora sussistano dubbi, in qualunque momento del periodo d'impegno dietro richiesta dell'Ufficio
Istruttore. Va altresì evidenziato che il calcolo delle Unità fertilizzanti da apportare deve tenere conto delle
successioni colturali proposte nel piano di rotazione colturale (obbligatorio per le colture erbacee annuali). ï¿œin
ogni caso vietato superare i limiti massimi previsti dai disciplinari tecnici per coltura e disattendere eventuali ulteriori
limiti riportati nelle norme tecniche. Il piano di fertilizzazione deve essere obbligatoriamente adeguato ogni anno per
le colture erbacee, mentre è facoltativo per le colture arboree. Qualora per queste ultime non si presentino
modifiche entro l'inizio dell'annata agraria è implicita la riconferma dei livelli di fertilizzanti dichiarati nell'annualità
precedente. Qualunque variazione potrà essere apportata solo previa approvazione da parte dell'Ufficio Istruttore.
Norme Tecniche di Fertilizzazione delle colture arboree
Le norme tecniche appresso riportate sono relative a coltivazioni arboree in produzione (almeno al terzo anno
d'impianto), non essendo nuovi impianti ammissibili a fruire degli aiuti previsti dalla Sottomisura A1 del Programma
Regionale Agro?ambientale. Tuttavia, poiché sussiste il vincolo di aderire alla Sottomisura con la totalità della
superficie aziendale coltivata, anche sui nuovi impianti devono essere applicate le norme del presente Piano
Regionale di Produzione Integrata. Pertanto su queste superfici la fertilizzazione sarà autorizzata previa
presentazione di referto analitico dei suoli e del conseguente plano di fertilizzazione. In ogni caso nei nuovi
impianti la distribuzione dei fertilizzanti dovrà essere localizzata e l'apporto dl azoto dovrà essere frazionato
per quantitativi superiori ai 60 kg di Azoto. Eventuali deroghe debitamente documentate, dovranno essere
esaminate ed autorizzata dal Comitato Regionale di Controllo. Le norme tecniche che seguiranno riguardano le
principali coltivazioni arboree praticate in Sardegna; nello specifico interessano coltivazioni specializzate di vite,
olivo, agrumi, principali drupacee (pesco, mandorlo, susino, albicocco) e pomacee (melo, pero). Le norme tecniche
sono state redatte tenendo conto dei seguenti aspetti:
1. Sono stati fissati i quantitativi massimi di elementi fertilizzanti da apportare annualmente tramite la
concimazione minerale;
2. Nei terreni a bassa dotazione di sostanza organica è preferibile l'apporto parziale o totale delle unità
fertilizzanti tramite la concimazione organica. In ogni caso, il quantitativo di unità fertilizzanti derivanti dalla
somma della frazione organica e di quella minerale non potrà superare il limite massimo stabilito per coltura;
3. La quantità di fertilizzante deve avvenire in base alle asportazioni ed alla dotazione in elementi nutritivi del
suolo;
4. Effettuare gli interventi fertilizzanti nei periodi di maggior assorbimento assecondando le esigenze della
coltura. In ogni caso le componenti azotate, dovranno essere frazionate.
Quantitativi massimi
in asciutto:
- 70 Kg di azoto
- 50 Kg di P2O5
- 50 Kg di K2O
con irrigazione:
- quantitativi superiori del 20%
rispetto ai precedenti
Consigliato
Obblighi
- praticare interventi di
concimazione organica
- localizzare la distribuzione
negli oliveti giovani;
- concimazione
fosfo-potassica autunnoinverno;
- concimazione azotata alla
ripresa vegetativa.
- non superare i quantitativi
massimi consentiti
- non distribuire oltre 40
unità di azoto per volta
- frazionare la
concimazione azotata;
- Concimare in base alle
asportazioni
A - XV
Tabella A.4 Fertilizzazione
oliveti specializzati
(minimo 70
piante/ha)
Consorzio Interprovinciale per la Frutticoltura
di Cagliari, Oristano e Nuoro
Bibliografia
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Manuale di Olivicoltura. - Dipartimento di Economia e Sistemi Arborei