E. Morin, Introduzione al pensiero complesso, tr. it. Sperling e Kupfer, Milano 1993 (1990) “La complessità non potrà mai essere definita in modo semplice e prendere il posto della semplicità. La complessità è una parola problema e non una parola soluzione” p. 25. • E. Morin L’industria culturale, Il Mulino , Bologna 1963(62) Il mondo della complessità nasce con la terza cultura: è la cultura di massa dei media, “un corpo complesso di norme, simboli, miti e immagini che penetrano l’individuo nella sua intimità, ne strutturano gli istinti, ne orientano le emozioni” un corpo di simboli policulturali non autonomi, uno specchio delle culture che va studiato di per sé, per comprendere la complessità. In essa la creazione è diventata una produzione di cultura realizzata da team. Ciò porta nella creazione di un’opera una dialettica globale antinomica di produzione e consumo, dove il difficile compito diventa più che altro sapere quanto risponda il prodotto al gusto del pubblico. La produzione crea il consumatore, disse Marx, qui si crea il pubblico di massa (p.44), un pubblico globale (la targettizzazione riguarda solo i singoli programmi). Elementi comuni rilevabili sono: il sincretismo; la contaminazione di reale e immaginario; l’omogeneizzazione dei costumi; la standardizzazione che non esclude l’individualizzazione dell’opera; l’ inevitabile volgarizzazione (Adorno e la scuola di Francoforte l’hanno sostenuto per tempo); la semplificazione; la manicheizzazione; l’attualizzazione; l’acclimatazione; il conformismo di stili di vita divi e prodotti di consumo; l’erotismo della merce. I valori d’oggi vivono questo sistema universale di folklore cosmopolita (p.176) che si allaccia anche troppo al fondo arcaico della mente e dell’immaginario, una mitologia terrena e manichea in cui ai corpi si sostituiscono immagini in linguaggio audiovisivo (immagine suono parola scrittura movimento). Va analizzato coi criteri del romanzo popolare. Comprendere tutto ciò può solo essere fatto da una logica arborescente logica sinfonica (Scienza con coscienza, Angeli, Milano 1988-2 (1979), p. 184). Tutto cambia perché le nuove tecnologie hanno aperto il tempo del loisir – il tempo libero diverso da quello delle feste, dove benessere e vita privata, gioco e divertimento, gioco della vacanze, gioco dei media sono il problema più difficile da affrontare. L’uomo spettatore cerca la felicità, sottolinea l’amore, esalta valori femminili e giovanili e si cimenta con un mondo radicalmente cambiato. Edgard Morin, La testa ben fatta, Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Cortina 1999 Oggi una pedagogia della complessità può ricordare che la formazione è incoraggiare l’autodidattica vale a dire l’esperienza e la conformazione: la missione del docente si compie «destando, suscitando, favorendo l’autonomia dello spirito». Lo specialismo non può cogliere «gli insiemi complessi, le interazioni e le retroazioni tra le parti e il tutto, le entità multidimensionali, i problemi essenziali» che diventano perciò invisibili. «La separazione delle discipline rende incapaci di cogliere ‘ciò che è tessuto insieme’, cioè, secondo il significato originario del termine, il complesso. La sfida della globalità è dunque nello stesso tempo una sfida di complessità (…) La conoscenza pertinente è quella capace di collocare ogni informazione nel proprio contesto e se possibile nell’insieme in cui s’inscrive». «Thomas Eliot diceva ‘dov’è la conoscenza che perdiamo nell’informazione?’ La conoscenza è conoscenza solo in quanto organizzazione, solo in quanto messa in relazione e in contesto delle informazioni (…) L’informazione è una materia prima che la conoscenza deve padroneggiare e integrare; la conoscenza deve essere costantemente rivisitata e riveduta dal pensiero; il pensiero è oggi più che mai il capitale più prezioso per l’individuo e per la società» pp. 3-11. Persino l’economista F. Hayek parlando della teoria dei fenomeni complessi (in Nuovi studi di filosofia politica, economia e storia delle idee, Armando 1988) dice che nessun economista è grande se è settoriale. La pedagogia della complessità parte dalla coscienza dell’errore e perciò dalla critica della sensazione - come fece Maine de Biran; prosegue con la nosologia, la “scienza consacrata alla sfera dell’immaginario, dei miti, degli dei, delle idee, cioè alla noosfera” (p.52) e con la filosofia della vita che insegni la qualità poetica dell’esistenza. “La via esteriore sarebbe l’introduzione alla conoscenza dei media. Poiché i ragazzi si trovano immersi precocemente nella cultura mediatica (televisione, giochi, video, annunci pubblicitari ecc.), di conseguenza il ruolo del maestro non è quello di denunciare, ma di far conoscere i modi di produzione di questa cultura. Si dovrebbe mostrare come il trattamento delle immagini filmiche o televisive, specialmente attraverso il montaggio, può dare un’impressione arbitraria della realtà” p. 80. L’inizio può essere alla scuola elementare, ma nella scuola secondaria il paragone con le serie televisive può dare luogo ad interessanti percorsi sulla natura delle letterature nel tempo (metodo: il principio ologrammatico e quello dell’anello ricorsivo che unisce ordine e disordine). All’Università poi si “dovrebbe istituire una facoltà della conoscenza, che riunirebbe l’epistemologia, la filosofia della conoscenza e le scienze cognitive” p. 87. L’insegnamento si caratterizza per 1. l’Eros, la missione e la fede caratterizzano l’insegnante che provvede a 2. una cultura capace di distinguere e contestualizzare 2. preparare le menti alla sfida della complessità 3. preparare all’incertezza del cosmo ed all’intelligenza strategica 4. educare alla comprensione umana 5. educare all’affiliazione alla terra d’origine 6. insegnare la cittadinanza terrestre.