1 In questa slide sono riassunti gli obiettivi del terzo modulo. 2 In una società, come quella attuale, dominata dalla prepotente intrusione dei mass media e dalla diffusione sempre più capillare di internet e di tutti i dispositivi tecnici per mantenere un’interazione con il mondo in tempo reale attraverso la connessione alla rete, parlare di comunicazione, intesa come modalità di acquisizione e scambio di informazioni, potrebbe sembrare un tema di secondaria importanza. Eppure, proprio nell’era della globalizzazione, anche nell’ambito medico si può rischiare di perdere la vera essenza dell’essere umano, basata sulla relazione diretta e su un rapporto fiduciario che a sua volta impone un rapporto di chiarezza ed empatia tra il medico/operatore, l’“emittente”, e il paziente, il “ricevente”: l’offerta tecnologica, dunque, non può e non deve costituire un alibi per rinunciare alla fatica che comporta inevitabilmente l’atto di comunicare e cioè di “mettere in comune” o meglio in compartecipazione gli elementi. 3 Quanto esposto vale ancor più se l’interlocutore è straniero e ha necessità di acquisire ogni genere di indicazione pratica: le barriere linguistiche, gli schemi comportamentali e il differente impiego del linguaggio non verbale, il timore di prendere fisicamente contatto con le istituzioni sanitarie, il forte legame a concezioni, valori e consuetudini profondamente diverse, la scarsa dimestichezza con i percorsi di cura e con i farmaci e il vissuto personale, insieme a eventuali contesti ambientali, occupazionali e di vita quotidiana, sono soltanto alcuni dei numerosi e variegati fattori in grado di condizionare in maniera significativa la relazione tra il medico e il cittadino straniero. 4 I bisogni sanitari dello straniero non si limitano peraltro alla cura di un sintomo o di una malattia ma si spingono, ancor più rispetto a quelli di un connazionale, verso l’educazione alla prevenzione, al corretto stile di vita e alla conoscenza di criteri pratici utili a fronteggiare ogni evenienza, a partire per esempio dalla febbre, dal dolore e dalla tosse, e a impiegare i farmaci in maniera consapevole e sicura. 5 La comunicazione con il paziente migrante richiede un impegno nettamente superiore: al di là delle oggettive difficoltà espressive, sono fondamentali una raccolta il più possibile accurata delle informazioni anamnestiche e la massima chiarezza espositiva nel veicolare qualsivoglia messaggio. Non senza però trascurare che, mentre in alcune culture, quale la nostra, è scontata e doverosa l’indagine da parte del medico, in altre essa rischia di essere interpretata come un segno di impotenza. 6 A titolo di esempio, il paziente nigeriano nella sua cultura di origine ritiene che il medico sia in grado di sapere e prevedere tutto: il sapiente non chiede perché non ne ha bisogno. Altre popolazioni sono caratterizzate da un limitato accesso ai servizi sanitari: in Etiopia raramente gli uomini consultano il medico, mentre vanno da lui solo le donne, i bambini e l’uomo bianco. Eppure, una volta in Italia l’uomo etiope si adatta, “scende a compromessi”, e così molti uomini in giovane età superano questa barriera culturale, adattandosi alla nuova realtà. 7 Letteralmente comunicare, come già anticipato, significa mettere in comune, e cioè trovare un punto di incontro tra due o più individui che consenta il trasferimento di uno o più messaggi, a seconda del contesto. Perché ciò avvenga è naturalmente necessario che i protagonisti condividano un protocollo di comunicazione, ossia un linguaggio 8 Nell’ambito clinico l’atto di comunicare si caratterizza per numerose finalità e implicazioni: il medico non può rinunciare a rendere partecipe il suo paziente (o, nel caso di un minore, i suoi tutori legali) di un percorso di diagnosi e/o terapia, non può esimersi dal rispondere a domande o richieste ed è al tempo stesso obbligato ad acquisire tutte le informazioni utili a ricostruire la storia remota e recente di un individuo. 9 Qualcuno potrebbe obiettare che le tecnologie disponibili consentirebbero in ogni caso l’esercizio della professione medica: basti pensare, per esempio, al ruolo, diventato ormai irrinunciabile, della diagnostica per immagini, e ad alcune apparecchiature computerizzate che riducono al minimo l’intervento umano, limitato alla loro programmazione e controllo. La medicina, però, non può prescindere dalla persona e non può quindi rinunciare al rapporto diretto che si instaura tra colui che deve interpretare e curare un sintomo e chi invece deve subire (del resto è questo il significato di “paziente”) le decisioni altrui. Ecco perché la comunicazione, che per l’uomo è un fatto e un bisogno istintivo, per il medico è ancor più una necessità, e deve certamente avere la priorità su qualsiasi altro processo operativo. 10 La comunicazione si avvale di una molteplicità di canali. Il bambino impara a comunicare attraverso i cinque sensi: riceve i segnali che gli giungono dal mondo esterno (temperatura, rumori, odori, sapori, colori e luci) e li elabora, strutturando via via il proprio bagaglio di esperienze e le proprie strategie espressive finché non avrà acquisito tutti gli strumenti per poter condividere un protocollo di comunicazione. È evidente che nella vita comune, come sarà illustrato in dettaglio più avanti, la comunicazione ha luogo con modalità e in contesti differenti: ascoltare una notizia alla radio non è come apprenderla dal telegiornale o da chi l’ha vissuta personalmente, come pure parlare al telefono o scambiarsi lettere o messaggi scritti implica maggiori limitazioni rispetto all’incontro diretto. Ma anche quando due persone si parlano guardandosi negli occhi possono intervenire fattori di disturbo: per esempio il rumore di sottofondo di un bar, un’illuminazione inadeguata o più semplicemente uno scarso livello di attenzione di un interlocutore. 11 Il concetto di comunicazione non può che essere relativo a ogni singolo contesto: medico e paziente non possono avere un riscontro immediato dell’efficacia del proprio atto comunicativo, ma devono cercare – soprattutto il primo – di massimizzare la reciproca interazione. A tale scopo è utile sfruttare tutti i canali disponibili: le indicazioni su come impiegare una crema, per esempio, possono essere rafforzate da una sintesi scritta e perfino da una dimostrazione pratica utile a focalizzare la quantità da utilizzare e la modalità con cui applicarla sull’area interessata. 12 Molte volte la comunicazione, poi, non ha soltanto l’obiettivo di veicolare un messaggio ma anche quello di produrre un cambiamento sul ricevente. In questo senso si tratta di comunicazione assertiva. In pratica essa presuppone che quanto si vuole mettere in comune abbia un valore così rilevante da non richiedere l’accettazione cosciente da parte dell’altro. La comunicazione assertiva, pertanto, cerca spesso di modificare lo stato d’animo dell’interlocutore oppure di facilitare l’azione di altri elementi compresenti nel rapporto con il paziente. Se, per esempio, la tosse in un bambino costituisce un motivo di elevata preoccupazione per i suoi genitori, la comunicazione assertiva deve mirare a rassicurare da un lato sull’origine e sulla benignità del sintomo e dall’altro all’impiego della terapia, come per esempio nel caso di levodropropizina e carbocisteina sale di lisina. 13 Levodropropizina trova indicazione nelle forme irritative e va impiegata di solito in 3 somministrazioni giornaliere a distanza di almeno 6 ore, mentre carbocisteina è un efficace mucolitico disponibile in granulato per soluzione orale e in due sciroppi a diversa concentrazione. Nel caso di una famiglia con più figli in diverse fasce d’età sarà opportuno richiamare l’attenzione sul fatto che la formulazione in sciroppo 2,7 g/10 ml e il granulato – di solito consigliato in monosomministrazione giornaliera - sono indicati al di sopra degli 11 anni. Un altro aspetto importante nei bambini è poi il dosaggio in rapporto al peso: le gocce di levodropropizina agevolano in tal senso l’impiego corretto. Devono essere invece evitate indicazioni generiche (ad es., “un cucchiaino tre volte al giorno”, il cui volume è del tutto relativo per non dire aleatorio) ed è bene richiamare sempre l’attenzione sul fatto che ogni farmaco deve essere gestito singolarmente, evitando commistione di misurini o associazioni arbitrarie. 14 Ogni modalità comunicativa ha le sue regole: per iscritto, di solito, si specifica il destinatario e si utilizzano espressioni e termini adeguati al suo ruolo e al contenuto che gli si vuole trasmettere (serio, ironico, provocatorio e così via), con l’intonazione della voce si possono attribuire alle parole e alle frasi sfumature e significati totalmente diversi. La mimica e la gestualità, infine, sono in grado di completare quello che non si riesce a dire o possono addirittura smentire o tradire quello che si vuol far credere con malcelata ipocrisia. La comunicazione si avvale quindi di protocolli che il più delle volte sono utilizzati istintivamente. Aver padronanza di tali protocolli significa saper gestire in maniera proficua il rapporto con gli altri, ricordando che nell’attività medica, anche nei casi in cui la comunicazione è apparentemente uinidirezionale (cioè dall’operatore sanitario al paziente), non si devono trascurare quegli elementi utili a verificare se il messaggio è stato ben recepito. 15 Buona regola è mantenere il più possibile il contatto visivo con il proprio interlocutore. Questo semplice accorgimento è utile al medico per diversi motivi: • permette di cogliere lo stato d’animo del paziente o, nel caso di tratti di un bambino, dei suoi genitori; • fa sentire l’interlocutore al centro dell’attenzione, gratificandolo; • consente di interrompere eventualmente il discorso o di guidare l’esposizione del problema; • offre l’opportunità di cogliere la strategia migliore per affrontare il contesto, adattando il proprio comportamento alle esigenze dell’interlocutore (ad es., in caso di difficoltà linguistiche l’invito a utilizzare i gesti e la mimica può semplificare la trasmissione del messaggio). 16 Quanto più i protocolli sono articolati, condivisi tra gli interlocutori e coerenti tra loro (basti pensare, per esempio, all’importanza del sottofondo musicale in uno spot televisivo) tanto maggiori sono l’impatto della comunicazione e la veicolazione del messaggio. Il codice è la modalità espressiva in cui prende forma il messaggio 17 La slide riassume i principali obiettivi della comunicazione, in particolare nell’ambito dell’attività clinica ambulatoriale. Va da sé che con il paziente straniero l’impegno richiesto al medico è nettamente superiore nel raggiungimento di queste finalità. 18 Non bisogna infine dimenticare che la comunicazione ha anche una funzione di ruolo, cioè è imposta dalla situazione: anche di fronte alle domande più sconcertanti (ad es., in caso di una malattia infettiva appena diagnosticata) o alle ipotesi diagnostiche che richiedono ulteriori conferme il medico è obbligato a fornire una risposta il più possibile argomentata e credibile. 19 La comunicazione è sostanzialmente un flusso di elementi informativi. Come insegnano le leggi della fisica e della chimica lo spostamento di qualsiasi elemento da una parte all’altra non può avvenire senza il dispendio di energia e senza la presenza di un “donatore” (o emittente) e di un “ricevente”. Allo stesso modo la comunicazione impone che vi siano un soggetto trasmittente, dal quale parte il messaggio, e un soggetto ricevente. Il sottile legame tra i due attori è la necessità di stabilire una relazione. Trasmittente e ricevente possono scambiarsi i ruoli, ma in medicina è frequente che la comunicazione tenda a essere sbilanciata (la raccolta dell’anamnesi è un esempio paradigmatico in cui il medico è il ricevente, la prescrizione della terapia lo vede all’esatto opposto). 20 La comunicazione diretta è il modello più semplice: il flusso informativo procede in un senso unico. La carta stampata, i mezzi radiotelevisivi, la pubblicità, il messaggio lasciato in segreteria telefonica, i cartelli stradali, l’avviso affisso in una bacheca o sulla porta dell’ambulatorio, la ricetta e il certificato medico sono esempi di un flusso unidirezionale in cui un particolare messaggio è veicolato dal trasmittente al ricevente. Questa modalità utilizza quindi un canale privilegiato: le interferenze sono infatti ridotte al minimo e la comunicazione acquista per lo più un carattere persuasivo o perentorio, in quanto non lascia spazio a una risposta dell’interlocutore in tempo reale. 21 A prescindere dai casi in cui la comunicazione diretta è imposta dalla situazione contingente, il medico può sfruttarla soprattutto per rafforzare alcuni messaggi forniti oralmente. La consegna di un foglio tradotto nella lingua del paziente in cui vengono richiamati alcuni consigli già spiegati oralmente migliora certamente la comprensione e la compliance e riduce o evita ulteriori richieste di conferma o puntualizzazione. Inoltre i concetti denotati dalle parole tradotte non sono sempre sovrapponibili. Per esempio, in somalo kili significa reni; ma kili indica l’area cutanea addominale antero-laterale. Per l’italiano, nel gergo comune reni intende l’area dorsale latero-rachidea. Quando un italiano dice che ha “mal di reni” intende dire che ha una lombalgia; un somalo può voler indicare un dolore della regione del colon ascendente o discendente. La comunicazione diretta è anche quella del consenso informato e della responsabilità legale del medico: cartelle cliniche, certificati e prescrizioni sono infatti documenti di rilevanza giuridica e, proprio perché “verba manent”, devono essere redatti con la massima attenzione. 22 La comunicazione diretta è inoltre la migliore strategia per: • raggiungere più persone contemporaneamente; • “standardizzare” un’informazione, per esempio all’interno dello stesso gruppo etnico; • demandare ad altri il rispetto di una norma o la responsabilità dell’esecuzione di un provvedimento; • imporre regole (ad es., la disponibilità in ambulatorio, gli orari per fissare gli appuntamenti, i riferimenti del sostituto ecc.). Situazioni paradigmatiche di particolare utilità della consegna di un foglio scritto, oltre che per chiarimenti sui servizi sanitari, sono consigli sulle vaccinazioni, suggerimenti dietetici e informazioni – eventualmente corredate da disegni – su operazioni pratiche in particolare nei bambini, come il lavaggio delle fosse nasali e la corretta pratica dell’aerosol. A quest’ultimo riguardo è opportuno, a seconda delle indicazioni terapeutiche, consigliare il tipo di apparecchiatura più adatta e non trascurare dettagli all’apparenza irrilevanti: nell’ipotesi della prescrizione di beclometasone dipropionato, è importante sottolineare che il flaconcino deve essere agitato energicamente prima di versarne il contenuto nell’ampolla del nebulizzatore. 23 Il medico o il pediatra dovrebbero sempre chiedere al paziente quali farmaci ha già in casa, per evitare confusione o sovrapposizione tra brand dello stesso principio attivo. Va contemplata anche la possibilità di un uso arbitrario di associazioni precostituite, come per esempio di corticosteroide/broncodilatatore nel trattamento dell’asma: in mancanza di tale informazione, l’eventuale prescrizione aggiuntiva di una molecola appartenente alle medesime classi farmacologiche comporterebbe infatti il rischio di sovradosaggio. 24 La comunicazione bidirezionale presuppone che trasmittente e ricevente siano in contatto tra loro e vi sia perciò una reciprocità di scambio informativo. L’entità dell’interazione dipende ovviamente dalle esigenze del momento, in termini di informazioni utili da trasferire, disponibilità di tempo e facilità di contatto. Un’altra premessa importante è che trasmittente e ricevente utilizzino lo stesso codice. In questo caso, tuttavia, la relazione diretta facilita il dialogo, in quanto il linguaggio non verbale (gesti, espressioni mimate) può compensare la difficoltà di comprensione tra due persone che non parlano la stessa lingua. 25 La comunicazione bidirezionale può avvenire in ambulatorio ma anche per telefono, di cui la chat può essere considerata una variante dove l’articolazione espressiva del linguaggio parlato è sostituita dalla più fredda e categorica risposta scritta. Un altro esempio di comunicazione bidirezionale, se pure limite, è l’internet-forum, in cui un moderatore o un esperto rispondono in tempo reale a domande, obiezioni e commenti del pubblico. L’impiego della comunicazione bidirezionale in medicina non ha praticamente confini e può trovare numerose e varie declinazioni in rapporto agli obiettivi che di volta in volta orientano il flusso informativo. 26 Il feedback costituisce la risposta o meglio la reazione al messaggio inviato dal trasmittente. Può quindi essere considerato come la conferma, spontanea o in qualche modo estrapolata, dell’avvenuta ricezione, che consente al trasmittente di verificare la chiarezza del messaggio e di tarare eventualmente la comunicazione in modo da ottimizzarne l’efficacia. Un esempio di feedback è il televoto, sempre più utilizzato in convegni e corsi formativi per verificare il livello di apprendimento raggiunto: la comunicazione resta unidirezionale, ma i relatori raccolgono in questo modo un riscontro utile a modulare il successivo percorso tematico. La retroazione configura invece una risposta del ricevente tale da modificare l’elaborazione del messaggio del trasmittente. 27 La retroazione è il vero supporto che consente a quest’ultimo di adattare e personalizzare la comunicazione. La retroazione, naturalmente, può inserirsi anche nel contesto di uno scambio di ruoli tra ricevente e trasmittente. Anche una domanda dell’interlocutore può denotare l’avvenuta comprensione di un messaggio, come nell’esempio riportato nella pagina a fronte. La retroazione è utile, per non dire necessaria, negli ambienti soggetti a notevoli fattori esterni di disturbo oppure quando si comunica al telefono ed è opportuno accertarsi che l’interlocutore abbia ben compreso un’istruzione importante, quale per esempio la modificazione della dose di un farmaco o la somministrazione/variazione di una terapia complessa (purché gestibile a distanza). Un esempio semplice di feedback è l’annuimento, che può essere spontaneo o indotto, osservando per esempio l’interlocutore come a chiedere conferma dell’avvenuta comprensione del proprio discorso. È un utile sistema di verifica se trasmittente e ricevente utilizzano senza difficoltà lo stesso codice, è invece meno attendibile se il ricevente (ad es., una mamma extracomunitaria) simula di aver capito per pura compiacenza. 28 La retroazione, a differenza del feedback, è una risposta del ricevente tale da modificare la comunicazione. Può essere spontanea, come nel caso illustrato, in cui un paziente ripete a se stesso e al medico il messaggio, oppure indotta, come è utile fare per esempio nei casi in cui una difficoltà linguistica può indurre il medico a dubitare dell’effettiva comprensione. 29 In natura sono in genere favorite le specie caratterizzate da migliori capacità di adattamento. Allo stesso modo è vincente la tecnica comunicativa più flessibile, in grado cioè di mantenere trasmittente e ricevente al massimo livello di interazione attentiva ed emotiva. Se si pensa infatti al suo ruolo nella gestione di una condizione patologica, il medico si trova nella condizione di mediare o meglio trovare una sintesi tra due componenti: la conoscenza tecnica da un lato e il vissuto emozionale dall’altro. In altri termini egli deve guidare i genitori o il suo paziente, se sufficientemente grande, verso un processo di razionalizzazione della malattia trovando un giusto livello di equilibrio tra informazione (relativamente a diagnosi, decorso, terapia e prognosi) e contenimento dell’ansia suscitata dalla malattia stessa. Quali sono le strategie per raggiungere, almeno in parte, questo obiettivo? Una comunicazione adattabile è quella che sfrutta innanzitutto il canale, il paradigma e il protocollo migliori nello specifico contesto, senza peraltro fossilizzarsi su una modalità unica, e tiene in debita considerazione l’influenza di fattori di disturbo (ad es., rumori, elementi di distrazione), i tempi ottimali compatibili con la capacità di concentrazione dell’interlocutore e il rilevante impatto mnemonico dell’immagine. 30 Il rapporto di reciproca fiducia tra medico e paziente diventa ancor più rilevante nella relazione col paziente straniero, che presuppone un rapporto improntato anche a un atteggiamento transculturale da parte del medico. Quest’ultimo in genere è abituato a trattare pazienti simili per territorio e provenienza culturale e a spostare il piano diagnostico verso l’oggettivazione strumentale. Abitudini che nell’interagire con il migrante si rivoluzionano completamente. La fede religiosa diversa, il substrato etnico, il tessuto interiore tradizionale, l’imprinting culturale della propria origine comportano che l’individuo malato interpreti la sofferenza che lo colpisce in modo particolare. Il medico d’altronde valuta il malato non solo con la propria professionalità, ma anche e soprattutto con il proprio bagaglio di cultura, spesso poco incline a “cogliere” messaggi così eterogenei e dissonanti rispetto a quelli a cui è abituato. Inoltre generalmente l’immigrato non mette in atto strategie preventive, ma si rivolge ai servizi socio-sanitari solo in caso di urgenza o di malattia conclamata, quando cioè non può farne a meno. 31 Un’altra considerazione riguarda la conservazione del patrimonio di salute: si è già accennato al fenomeno del migrante sano per cui nel momento della partenza si selezionano gli individui più giovani e forti. È fondamentale conoscere le tipologie di malattie ed evitare che il loro “patrimonio di salute” si dissolva per l’esposizione successiva a una serie di fattori di rischio, quali infezioni contratte nel Paese ospite, malessere psicologico legato alla condizione di migrante, mancanza di lavoro e reddito, sottoccupazione in lavori rischiosi o poco tutelati, degrado abitativo, assenza di supporto affettivo-familiare, clima e abitudini di vita diverse, discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari. Per tale ragione il medico, che già conosce la realtà sociale, sanitaria e ambientale del proprio territorio, deve prestare attenzione alle cosiddette “malattie da degrado” tra cui: patologie da raffreddamento con continue recidive, da cattiva alimentazione, malattie traumatiche, da aggressioni o accidentali, disturbi acuti delle vie aeree, dell’apparato digerente, del sistema osteo-articolare, di interesse genito-urinario, odonto-stomatologico, dermatologico. Inoltre si possono individuare malattie non specifiche ma indicanti uno stato di estrema emarginazione: pediculosi e affezioni micotiche, virali e veneree. 32 Nella gestione del paziente immigrato gli aspetti più critici rispetto alla popolazione residente, che saranno richiamati nel modulo 5, possono essere riassunti nei punti seguenti: • tassi di mortalità perinatale, ancora elevati tra i figli di straniere immigrate, con grande aumento dei casi di interruzioni volontarie di gravidanza; • incidenti in ambito lavorativo; • condizioni patologiche come disagio psichico e malattie infettive, importanti non per frequenza ma per l’attenzione che meritano in questo contesto; • condizioni sociali come detenzione e prostituzione, che si rivelano vere e proprie noxae patogenae per l’immigrato. 33 Spesso, più delle parole, parlano i gesti. L’accoglienza in ambulatorio, il tono della voce, il modo di atteggiarsi, muoversi, vestirsi, sedersi e concedere libertà e spazio ai pazienti sono elementi particolarmente ricchi di espressioni, contenuti e significati a valenza emotiva, pragmatica e simbolica. Il linguaggio non verbale è tutto questo: un sistema indipendente dalla parola e il più delle volte influenzato da modelli comportamentali trasmessi dal proprio mondo di vita. Oltre a completare il messaggio orale, il linguaggio non verbale è immediato: varie ricerche dimostrano che il 70-80% delle informazioni raggiunge il cervello attraverso gli occhi e soltanto il 10-15% attraverso l’udito. I movimenti del corpo possono essere responsabili fino al 70-90% della trasmissione di un messaggio: questo non sorprende se si considera che l’espressività del nostro corpo sfugge spesso al controllo della volontà e manifesta il nostro stato emotivo. Una mamma, per esempio, che cerca di rimanere impassibile ma non riesce a tener ferme le dita della mano tradisce un’ansia ingovernabile, mentre un medico che in apparenza presta attenzione ma lancia frequenti occhiate furtive all’orologio o maschera qualche sbadiglio rivela disinteresse. Ovviamente il linguaggio non verbale è particolarmente utile per descrivere quello che le parole non riescono a dire o per mimare comportamenti o situazioni. Più il linguaggio non verbale è coerente con il messaggio detto a voce, maggiore sarà la comprensione tra i due interlocutori. 34 A questo punto il quesito che si pone è come migliorare la comunicazione. È vero che una maggiore disponibilità di tempo è importante, ma non è l’unico fattore da tenere presente. La comunicazione, per esempio, può essere resa più efficace dal medico attraverso l’adozione di alcune strategie, tra cui: • utilizzare un linguaggio semplice e con esempi pratici che i movimenti del corpo possono descrivere; • trasmettere un numero limitato di messaggi, cioè di informazioni (non meno di quattro e non più di sette per ogni visita); • non eccedere in ogni caso con la gestualità e mantenere sempre il contatto visivo; • chiedere conferma al paziente (o ai suoi genitori) per verificare se ha compreso il messaggio e chiedere eventualmente di ripetere quello che ha capito; • dimostrare in maniera chiara sul paziente come assumere una terapia (ad es., mostrando l’orologio per far comprendere l’intervallo tra le assunzioni). 35 Nell’esperienza del contatto medico-paziente immigrato sono state identificate tre fasi. La prima, cosiddetta dell’esotismo, in cui il medico si aspetta o teme di trovare un paziente affetto da strane e subdole malattie: ogni sintomo rischia così di essere interpretato al di fuori della normalità, e si fa ricorso alle indagini più complesse nel timore di lasciarsi sfuggire rare malattie esotiche. Questo atteggiamento sfocia anche in un comportamento eccessivamente allarmistico e protettivo nei confronti della prevenzione, che può tradursi per esempio in un lavaggio più frequente delle mani o nell’adozione di maggiori precauzioni igieniche. 36 La fase successiva è quella dello scetticismo. La domanda di cura viene interpretata come ipocondria nell’assenza di un modello interpretativo della malattia culturalmente condiviso da entrambi: il paziente comunica la sua malattia essenzialmente con il corpo, indicando per esempio la sede del dolore. Può essere così equiparato a un malato immaginario, a un “lavativo” o un “perditempo”. La mancata conferma dei sospetti diagnostici iniziali pone inoltre il medico nella condizione frustrante di mettere in dubbio l’utilità del proprio servizio. Nelle prime due fasi il divario culturale di aspettative (del medico ma anche del paziente, affascinato dal mito dell’alta tecnologia con diagnosi e cure rapide ed efficaci) è enorme. 37 La terza fase, superato lo scetticismo, ha inizio con l’ascolto critico in cui il medico si accorge che – per lo più – nel paziente non è inconsueta la malattia ma la percezione del corpo, della salute e della malattia. Qui si attua una lenta e faticosa revisione dei propri criteri di giudizio. Si oltrepassano le immagini preformate dell’altro (il povero, lo sfruttato, l’untore ecc.) e si va incontro al soggetto, interprete assoluto di una cultura, una storia, una realtà peculiare. 38 Nel rapporto medico occidentale-paziente immigrato le difficoltà di comprensione non sono solo di ordine linguistico o etnico, ma comprendono anche le aspettative reciproche: il paziente vive ambiguamente la situazione di distacco da un passato che non viene mai definitivamente abbandonato, d’altra parte non riesce a esaudire il desiderio di integrazione nella nuova società. Le sue aspettative verso il medico occidentale non sono quelle di un ritorno alle pratiche mediche tradizionali. Attirato dal mito della modernità, egli aspira a essere curato dalla medicina occidentale, basata su un uso estremo della tecnologia. Ecco perché, ancora una volta, nella comunicazione con il cittadino migrante è necessaria un’anamnesi attenta, che sappia cogliere non soltanto i sintomi ma anche gli effettivi bisogni di salute alla luce della logica interpretativa dello stato di malattia e dei timori del singolo paziente in rapporto alla sua cultura di provenienza e alle sue pregresse esperienze. 39