1
In questa slide sono riassunti gli obiettivi del terzo modulo.
2
In una società, come quella attuale, dominata dalla prepotente intrusione dei mass
media e dalla diffusione sempre più capillare di internet e di tutti i dispositivi tecnici
per mantenere un’interazione con il mondo in tempo reale attraverso la connessione
alla rete, parlare di comunicazione, intesa come modalità di acquisizione e scambio di
informazioni, potrebbe sembrare un tema di secondaria importanza.
Eppure, proprio nell’era della globalizzazione, anche nell’ambito medico si può
rischiare di perdere la vera essenza dell’essere umano, basata sulla relazione diretta e
su un rapporto fiduciario che a sua volta impone un rapporto di chiarezza ed empatia
tra il medico/operatore, l’“emittente”, e il paziente, il “ricevente”: l’offerta
tecnologica, dunque, non può e non deve costituire un alibi per rinunciare alla fatica
che comporta inevitabilmente l’atto di comunicare e cioè di “mettere in comune” o
meglio in compartecipazione gli elementi.
3
Quanto esposto vale ancor più se l’interlocutore è straniero e ha necessità di
acquisire ogni genere di indicazione pratica: le barriere linguistiche, gli schemi
comportamentali e il differente impiego del linguaggio non verbale, il timore di
prendere fisicamente contatto con le istituzioni sanitarie, il forte legame a concezioni,
valori e consuetudini profondamente diverse, la scarsa dimestichezza con i percorsi di
cura e con i farmaci e il vissuto personale, insieme a eventuali contesti ambientali,
occupazionali e di vita quotidiana, sono soltanto alcuni dei numerosi e variegati
fattori in grado di condizionare in maniera significativa la relazione tra il medico e il
cittadino straniero.
4
I bisogni sanitari dello straniero non si limitano peraltro alla cura di un sintomo o di
una malattia ma si spingono, ancor più rispetto a quelli di un connazionale, verso
l’educazione alla prevenzione, al corretto stile di vita e alla conoscenza di criteri
pratici utili a fronteggiare ogni evenienza, a partire per esempio dalla febbre, dal
dolore e dalla tosse, e a impiegare i farmaci in maniera consapevole e sicura.
5
La comunicazione con il paziente migrante richiede un impegno nettamente
superiore: al di là delle oggettive difficoltà espressive, sono fondamentali una raccolta
il più possibile accurata delle informazioni anamnestiche e la massima chiarezza
espositiva nel veicolare qualsivoglia messaggio.
Non senza però trascurare che, mentre in alcune culture, quale la nostra, è scontata e
doverosa l’indagine da parte del medico, in altre essa rischia di essere interpretata
come un segno di impotenza.
6
A titolo di esempio, il paziente nigeriano nella sua cultura di origine ritiene che il
medico sia in grado di sapere e prevedere tutto: il sapiente non chiede perché non ne
ha bisogno.
Altre popolazioni sono caratterizzate da un limitato accesso ai servizi sanitari: in
Etiopia raramente gli uomini consultano il medico, mentre vanno da lui solo le donne,
i bambini e l’uomo bianco.
Eppure, una volta in Italia l’uomo etiope si adatta, “scende a compromessi”, e così
molti uomini in giovane età superano questa barriera culturale, adattandosi alla
nuova realtà.
7
Letteralmente comunicare, come già anticipato, significa mettere in comune, e cioè
trovare un punto di incontro tra due o più individui che consenta il trasferimento di
uno o più messaggi, a seconda del contesto.
Perché ciò avvenga è naturalmente necessario che i protagonisti condividano un
protocollo di comunicazione, ossia un linguaggio
8
Nell’ambito clinico l’atto di comunicare si caratterizza per numerose finalità e
implicazioni: il medico non può rinunciare a rendere partecipe il suo paziente (o, nel
caso di un minore, i suoi tutori legali) di un percorso di diagnosi e/o terapia, non può
esimersi dal rispondere a domande o richieste ed è al tempo stesso obbligato ad
acquisire tutte le informazioni utili a ricostruire la storia remota e recente di un
individuo.
9
Qualcuno potrebbe obiettare che le tecnologie disponibili consentirebbero in ogni
caso l’esercizio della professione medica: basti pensare, per esempio, al ruolo,
diventato ormai irrinunciabile, della diagnostica per immagini, e ad alcune
apparecchiature computerizzate che riducono al minimo l’intervento umano, limitato
alla loro programmazione e controllo.
La medicina, però, non può prescindere dalla persona e non può quindi rinunciare al
rapporto diretto che si instaura tra colui che deve interpretare e curare un sintomo e
chi invece deve subire (del resto è questo il significato di “paziente”) le decisioni
altrui.
Ecco perché la comunicazione, che per l’uomo è un fatto e un bisogno istintivo, per il
medico è ancor più una necessità, e deve certamente avere la priorità su qualsiasi
altro processo operativo.
10
La comunicazione si avvale di una molteplicità di canali.
Il bambino impara a comunicare attraverso i cinque sensi: riceve i segnali che gli
giungono dal mondo esterno (temperatura, rumori, odori, sapori, colori e luci) e li
elabora, strutturando via via il proprio bagaglio di esperienze e le proprie strategie
espressive finché non avrà acquisito tutti gli strumenti per poter condividere un
protocollo di comunicazione.
È evidente che nella vita comune, come sarà illustrato in dettaglio più avanti, la
comunicazione ha luogo con modalità e in contesti differenti: ascoltare una notizia
alla radio non è come apprenderla dal telegiornale o da chi l’ha vissuta
personalmente, come pure parlare al telefono o scambiarsi lettere o messaggi scritti
implica maggiori limitazioni rispetto all’incontro diretto.
Ma anche quando due persone si parlano guardandosi negli occhi possono
intervenire fattori di disturbo: per esempio il rumore di sottofondo di un bar,
un’illuminazione inadeguata o più semplicemente uno scarso livello di attenzione di
un interlocutore.
11
Il concetto di comunicazione non può che essere relativo a ogni singolo contesto:
medico e paziente non possono avere un riscontro immediato dell’efficacia del
proprio atto comunicativo, ma devono cercare – soprattutto il primo – di
massimizzare la reciproca interazione.
A tale scopo è utile sfruttare tutti i canali disponibili: le indicazioni su come impiegare
una crema, per esempio, possono essere rafforzate da una sintesi scritta e perfino da
una dimostrazione pratica utile a focalizzare la quantità da utilizzare e la modalità con
cui applicarla sull’area interessata.
12
Molte volte la comunicazione, poi, non ha soltanto l’obiettivo di veicolare un
messaggio ma anche quello di produrre un cambiamento sul ricevente.
In questo senso si tratta di comunicazione assertiva.
In pratica essa presuppone che quanto si vuole mettere in comune abbia un valore
così rilevante da non richiedere l’accettazione cosciente da parte dell’altro.
La comunicazione assertiva, pertanto, cerca spesso di modificare lo stato d’animo
dell’interlocutore oppure di facilitare l’azione di altri elementi compresenti nel
rapporto con il paziente.
Se, per esempio, la tosse in un bambino costituisce un motivo di elevata
preoccupazione per i suoi genitori, la comunicazione assertiva deve mirare a
rassicurare da un lato sull’origine e sulla benignità del sintomo e dall’altro all’impiego
della terapia, come per esempio nel caso di levodropropizina e carbocisteina sale di
lisina.
13
Levodropropizina trova indicazione nelle forme irritative e va impiegata di solito in 3
somministrazioni giornaliere a distanza di almeno 6 ore, mentre carbocisteina è un
efficace mucolitico disponibile in granulato per soluzione orale e in due sciroppi a
diversa concentrazione.
Nel caso di una famiglia con più figli in diverse fasce d’età sarà opportuno richiamare
l’attenzione sul fatto che la formulazione in sciroppo 2,7 g/10 ml e il granulato – di
solito consigliato in monosomministrazione giornaliera - sono indicati al di sopra degli
11 anni.
Un altro aspetto importante nei bambini è poi il dosaggio in rapporto al peso: le
gocce di levodropropizina agevolano in tal senso l’impiego corretto.
Devono essere invece evitate indicazioni generiche (ad es., “un cucchiaino tre volte al
giorno”, il cui volume è del tutto relativo per non dire aleatorio) ed è bene richiamare
sempre l’attenzione sul fatto che ogni farmaco deve essere gestito singolarmente,
evitando commistione di misurini o associazioni arbitrarie.
14
Ogni modalità comunicativa ha le sue regole: per iscritto, di solito, si specifica il
destinatario e si utilizzano espressioni e termini adeguati al suo ruolo e al contenuto
che gli si vuole trasmettere (serio, ironico, provocatorio e così via), con l’intonazione
della voce si possono attribuire alle parole e alle frasi sfumature e significati
totalmente diversi.
La mimica e la gestualità, infine, sono in grado di completare quello che non si riesce
a dire o possono addirittura smentire o tradire quello che si vuol far credere con
malcelata ipocrisia.
La comunicazione si avvale quindi di protocolli che il più delle volte sono utilizzati
istintivamente.
Aver padronanza di tali protocolli significa saper gestire in maniera proficua il
rapporto con gli altri, ricordando che nell’attività medica, anche nei casi in cui la
comunicazione è apparentemente uinidirezionale (cioè dall’operatore sanitario al
paziente), non si devono trascurare quegli elementi utili a verificare se il messaggio è
stato ben recepito.
15
Buona regola è mantenere il più possibile il contatto visivo con il proprio
interlocutore. Questo semplice accorgimento è utile al medico per diversi motivi:
• permette di cogliere lo stato d’animo del paziente o, nel caso di tratti di un
bambino, dei suoi genitori;
• fa sentire l’interlocutore al centro dell’attenzione, gratificandolo;
• consente di interrompere eventualmente il discorso o di guidare l’esposizione del
problema;
• offre l’opportunità di cogliere la strategia migliore per affrontare il contesto,
adattando il proprio comportamento alle esigenze dell’interlocutore (ad es., in caso di
difficoltà linguistiche l’invito a utilizzare i gesti e la mimica può semplificare la
trasmissione del messaggio).
16
Quanto più i protocolli sono articolati, condivisi tra gli interlocutori e coerenti tra loro
(basti pensare, per esempio, all’importanza del sottofondo musicale in uno spot
televisivo) tanto maggiori sono l’impatto della comunicazione e la veicolazione del
messaggio.
Il codice è la modalità espressiva in cui prende forma il messaggio
17
La slide riassume i principali obiettivi della comunicazione, in particolare nell’ambito
dell’attività clinica ambulatoriale.
Va da sé che con il paziente straniero l’impegno richiesto al medico è nettamente
superiore nel raggiungimento di queste finalità.
18
Non bisogna infine dimenticare che la comunicazione ha anche una funzione di ruolo,
cioè è imposta dalla situazione: anche di fronte alle domande più sconcertanti (ad es.,
in caso di una malattia infettiva appena diagnosticata) o alle ipotesi diagnostiche che
richiedono ulteriori conferme il medico è obbligato a fornire una risposta il più
possibile argomentata e credibile.
19
La comunicazione è sostanzialmente un flusso di elementi informativi.
Come insegnano le leggi della fisica e della chimica lo spostamento di qualsiasi
elemento da una parte all’altra non può avvenire senza il dispendio di energia e senza
la presenza di un “donatore” (o emittente) e di un “ricevente”.
Allo stesso modo la comunicazione impone che vi siano un soggetto trasmittente, dal
quale parte il messaggio, e un soggetto ricevente.
Il sottile legame tra i due attori è la necessità di stabilire una relazione.
Trasmittente e ricevente possono scambiarsi i ruoli, ma in medicina è frequente che
la comunicazione tenda a essere sbilanciata (la raccolta dell’anamnesi è un esempio
paradigmatico in cui il medico è il ricevente, la prescrizione della terapia lo vede
all’esatto opposto).
20
La comunicazione diretta è il modello più semplice: il flusso informativo procede in un
senso unico.
La carta stampata, i mezzi radiotelevisivi, la pubblicità, il messaggio lasciato in
segreteria telefonica, i cartelli stradali, l’avviso affisso in una bacheca o sulla porta
dell’ambulatorio, la ricetta e il certificato medico sono esempi di un flusso
unidirezionale in cui un particolare messaggio è veicolato dal trasmittente al
ricevente.
Questa modalità utilizza quindi un canale privilegiato: le interferenze sono infatti
ridotte al minimo e la comunicazione acquista per lo più un carattere persuasivo o
perentorio, in quanto non lascia spazio a una risposta dell’interlocutore in tempo
reale.
21
A prescindere dai casi in cui la comunicazione diretta è imposta dalla situazione
contingente, il medico può sfruttarla soprattutto per rafforzare alcuni messaggi forniti
oralmente.
La consegna di un foglio tradotto nella lingua del paziente in cui vengono richiamati
alcuni consigli già spiegati oralmente migliora certamente la comprensione e la
compliance e riduce o evita ulteriori richieste di conferma o puntualizzazione.
Inoltre i concetti denotati dalle parole tradotte non sono sempre sovrapponibili.
Per esempio, in somalo kili significa reni; ma kili indica l’area cutanea addominale
antero-laterale.
Per l’italiano, nel gergo comune reni intende l’area dorsale latero-rachidea.
Quando un italiano dice che ha “mal di reni” intende dire che ha una lombalgia; un
somalo può voler indicare un dolore della regione del colon ascendente o
discendente.
La comunicazione diretta è anche quella del consenso informato e della
responsabilità legale del medico: cartelle cliniche, certificati e prescrizioni sono infatti
documenti di rilevanza giuridica e, proprio perché “verba manent”, devono essere
redatti con la massima attenzione.
22
La comunicazione diretta è inoltre la migliore strategia per:
• raggiungere più persone contemporaneamente;
• “standardizzare” un’informazione, per esempio all’interno dello stesso gruppo
etnico;
• demandare ad altri il rispetto di una norma o la responsabilità dell’esecuzione di un
provvedimento;
• imporre regole (ad es., la disponibilità in ambulatorio, gli orari per fissare gli
appuntamenti, i riferimenti del sostituto ecc.).
Situazioni paradigmatiche di particolare utilità della consegna di un foglio scritto,
oltre che per chiarimenti sui servizi sanitari, sono consigli sulle vaccinazioni,
suggerimenti dietetici e informazioni – eventualmente corredate da disegni – su
operazioni pratiche in particolare nei bambini, come il lavaggio delle fosse nasali e la
corretta pratica dell’aerosol.
A quest’ultimo riguardo è opportuno, a seconda delle indicazioni terapeutiche,
consigliare il tipo di apparecchiatura più adatta e non trascurare dettagli all’apparenza
irrilevanti: nell’ipotesi della prescrizione di beclometasone dipropionato, è
importante sottolineare che il flaconcino deve essere agitato energicamente prima di
versarne il contenuto nell’ampolla del nebulizzatore.
23
Il medico o il pediatra dovrebbero sempre chiedere al paziente quali farmaci ha già in
casa, per evitare confusione o sovrapposizione tra brand dello stesso principio attivo.
Va contemplata anche la possibilità di un uso arbitrario di associazioni precostituite,
come per esempio di corticosteroide/broncodilatatore nel trattamento dell’asma: in
mancanza di tale informazione, l’eventuale prescrizione aggiuntiva di una molecola
appartenente alle medesime classi farmacologiche comporterebbe infatti il rischio di
sovradosaggio.
24
La comunicazione bidirezionale presuppone che trasmittente e ricevente siano in
contatto tra loro e vi sia perciò una reciprocità di scambio informativo.
L’entità dell’interazione dipende ovviamente dalle esigenze del momento, in termini
di informazioni utili da trasferire, disponibilità di tempo e facilità di contatto.
Un’altra premessa importante è che trasmittente e ricevente utilizzino lo stesso
codice.
In questo caso, tuttavia, la relazione diretta facilita il dialogo, in quanto il linguaggio
non verbale (gesti, espressioni mimate) può compensare la difficoltà di comprensione
tra due persone che non parlano la stessa lingua.
25
La comunicazione bidirezionale può avvenire in ambulatorio ma anche per telefono,
di cui la chat può essere considerata una variante dove l’articolazione espressiva del
linguaggio parlato è sostituita dalla più fredda e categorica risposta scritta.
Un altro esempio di comunicazione bidirezionale, se pure limite, è l’internet-forum, in
cui un moderatore o un esperto rispondono in tempo reale a domande, obiezioni e
commenti del pubblico.
L’impiego della comunicazione bidirezionale in medicina non ha praticamente confini
e può trovare numerose e varie declinazioni in rapporto agli obiettivi che di volta in
volta orientano il flusso informativo.
26
Il feedback costituisce la risposta o meglio la reazione al messaggio inviato dal
trasmittente.
Può quindi essere considerato come la conferma, spontanea o in qualche modo
estrapolata, dell’avvenuta ricezione, che consente al trasmittente di verificare la
chiarezza del messaggio e di tarare eventualmente la comunicazione in modo da
ottimizzarne l’efficacia.
Un esempio di feedback è il televoto, sempre più utilizzato in convegni e corsi
formativi per verificare il livello di apprendimento raggiunto: la comunicazione resta
unidirezionale, ma i relatori raccolgono in questo modo un riscontro utile a modulare
il successivo percorso tematico.
La retroazione configura invece una risposta del ricevente tale da modificare
l’elaborazione del messaggio del trasmittente.
27
La retroazione è il vero supporto che consente a quest’ultimo di adattare e
personalizzare la comunicazione.
La retroazione, naturalmente, può inserirsi anche nel contesto di uno scambio di ruoli
tra ricevente e trasmittente.
Anche una domanda dell’interlocutore può denotare l’avvenuta comprensione di un
messaggio, come nell’esempio riportato nella pagina a fronte.
La retroazione è utile, per non dire necessaria, negli ambienti soggetti a notevoli
fattori esterni di disturbo oppure quando si comunica al telefono ed è opportuno
accertarsi che l’interlocutore abbia ben compreso un’istruzione importante, quale per
esempio la modificazione della dose di un farmaco o la somministrazione/variazione
di una terapia complessa (purché gestibile a distanza).
Un esempio semplice di feedback è l’annuimento, che può essere spontaneo o
indotto, osservando per esempio l’interlocutore come a chiedere conferma
dell’avvenuta comprensione del proprio discorso.
È un utile sistema di verifica se trasmittente e ricevente utilizzano senza difficoltà lo
stesso codice, è invece meno attendibile se il ricevente (ad es., una mamma
extracomunitaria) simula di aver capito per pura compiacenza.
28
La retroazione, a differenza del feedback, è una risposta del ricevente tale da
modificare la comunicazione.
Può essere spontanea, come nel caso illustrato, in cui un paziente ripete a se stesso e
al medico il messaggio, oppure indotta, come è utile fare per esempio nei casi in cui
una difficoltà linguistica può indurre il medico a dubitare dell’effettiva comprensione.
29
In natura sono in genere favorite le specie caratterizzate da migliori capacità di
adattamento.
Allo stesso modo è vincente la tecnica comunicativa più flessibile, in grado cioè di
mantenere trasmittente e ricevente al massimo livello di interazione attentiva ed
emotiva.
Se si pensa infatti al suo ruolo nella gestione di una condizione patologica, il medico si
trova nella condizione di mediare o meglio trovare una sintesi tra due componenti: la
conoscenza tecnica da un lato e il vissuto emozionale dall’altro.
In altri termini egli deve guidare i genitori o il suo paziente, se sufficientemente
grande, verso un processo di razionalizzazione della malattia trovando un giusto
livello di equilibrio tra informazione (relativamente a diagnosi, decorso, terapia e
prognosi) e contenimento dell’ansia suscitata dalla malattia stessa.
Quali sono le strategie per raggiungere, almeno in parte, questo obiettivo?
Una comunicazione adattabile è quella che sfrutta innanzitutto il canale, il paradigma
e il protocollo migliori nello specifico contesto, senza peraltro fossilizzarsi su una
modalità unica, e tiene in debita considerazione l’influenza di fattori di disturbo (ad
es., rumori, elementi di distrazione), i tempi ottimali compatibili con la capacità di
concentrazione dell’interlocutore e il rilevante impatto mnemonico dell’immagine.
30
Il rapporto di reciproca fiducia tra medico e paziente diventa ancor più rilevante nella
relazione col paziente straniero, che presuppone un rapporto improntato anche a un
atteggiamento transculturale da parte del medico.
Quest’ultimo in genere è abituato a trattare pazienti simili per territorio e
provenienza culturale e a spostare il piano diagnostico verso l’oggettivazione
strumentale. Abitudini che nell’interagire con il migrante si rivoluzionano
completamente.
La fede religiosa diversa, il substrato etnico, il tessuto interiore tradizionale,
l’imprinting culturale della propria origine comportano che l’individuo malato
interpreti la sofferenza che lo colpisce in modo particolare.
Il medico d’altronde valuta il malato non solo con la propria professionalità, ma anche
e soprattutto con il proprio bagaglio di cultura, spesso poco incline a “cogliere”
messaggi così eterogenei e dissonanti rispetto a quelli a cui è abituato. Inoltre
generalmente l’immigrato non mette in atto strategie preventive, ma si rivolge ai
servizi socio-sanitari solo in caso di urgenza o di malattia conclamata, quando cioè
non può farne a meno.
31
Un’altra considerazione riguarda la conservazione del patrimonio di salute: si è già
accennato al fenomeno del migrante sano per cui nel momento della partenza si
selezionano gli individui più giovani e forti.
È fondamentale conoscere le tipologie di malattie ed evitare che il loro “patrimonio di
salute” si dissolva per l’esposizione successiva a una serie di fattori di rischio, quali
infezioni contratte nel Paese ospite, malessere psicologico legato alla condizione di
migrante, mancanza di lavoro e reddito, sottoccupazione in lavori rischiosi o poco
tutelati, degrado abitativo, assenza di supporto affettivo-familiare, clima e abitudini di
vita diverse, discriminazione nell’accesso ai servizi sanitari.
Per tale ragione il medico, che già conosce la realtà sociale, sanitaria e ambientale del
proprio territorio, deve prestare attenzione alle cosiddette “malattie da degrado” tra
cui: patologie da raffreddamento con continue recidive, da cattiva alimentazione,
malattie traumatiche, da aggressioni o accidentali, disturbi acuti delle vie aeree,
dell’apparato digerente, del sistema osteo-articolare, di interesse genito-urinario,
odonto-stomatologico, dermatologico. Inoltre si possono individuare malattie non
specifiche ma indicanti uno stato di estrema emarginazione: pediculosi e affezioni
micotiche, virali e veneree.
32
Nella gestione del paziente immigrato gli aspetti più critici rispetto alla popolazione
residente, che saranno richiamati nel modulo 5, possono essere riassunti nei punti
seguenti:
• tassi di mortalità perinatale, ancora elevati tra i figli di straniere immigrate, con
grande aumento dei casi di interruzioni volontarie di gravidanza;
• incidenti in ambito lavorativo;
• condizioni patologiche come disagio psichico e malattie infettive, importanti non
per frequenza ma per l’attenzione che meritano in questo contesto;
• condizioni sociali come detenzione e prostituzione, che si rivelano vere e proprie
noxae patogenae per l’immigrato.
33
Spesso, più delle parole, parlano i gesti. L’accoglienza in ambulatorio, il tono della
voce, il modo di atteggiarsi, muoversi, vestirsi, sedersi e concedere libertà e spazio ai
pazienti sono elementi particolarmente ricchi di espressioni, contenuti e significati a
valenza emotiva, pragmatica e simbolica.
Il linguaggio non verbale è tutto questo: un sistema indipendente dalla parola e il più
delle volte influenzato da modelli comportamentali trasmessi dal proprio mondo di
vita.
Oltre a completare il messaggio orale, il linguaggio non verbale è immediato: varie
ricerche dimostrano che il 70-80% delle informazioni raggiunge il cervello attraverso
gli occhi e soltanto il 10-15% attraverso l’udito.
I movimenti del corpo possono essere responsabili fino al 70-90% della trasmissione
di un messaggio: questo non sorprende se si considera che l’espressività del nostro
corpo sfugge spesso al controllo della volontà e manifesta il nostro stato emotivo.
Una mamma, per esempio, che cerca di rimanere impassibile ma non riesce a tener
ferme le dita della mano tradisce un’ansia ingovernabile, mentre un medico che in
apparenza presta attenzione ma lancia frequenti occhiate furtive all’orologio o
maschera qualche sbadiglio rivela disinteresse.
Ovviamente il linguaggio non verbale è particolarmente utile per descrivere quello
che le parole non riescono a dire o per mimare comportamenti o situazioni.
Più il linguaggio non verbale è coerente con il messaggio detto a voce, maggiore sarà
la comprensione tra i due interlocutori.
34
A questo punto il quesito che si pone è come migliorare la comunicazione.
È vero che una maggiore disponibilità di tempo è importante, ma non è l’unico fattore
da tenere presente.
La comunicazione, per esempio, può essere resa più efficace dal medico attraverso
l’adozione di alcune strategie, tra cui:
• utilizzare un linguaggio semplice e con esempi pratici che i movimenti del corpo
possono descrivere;
• trasmettere un numero limitato di messaggi, cioè di informazioni (non meno di
quattro e non più di sette per ogni visita);
• non eccedere in ogni caso con la gestualità e mantenere sempre il contatto visivo;
• chiedere conferma al paziente (o ai suoi genitori) per verificare se ha compreso il
messaggio e chiedere eventualmente di ripetere quello che ha capito;
• dimostrare in maniera chiara sul paziente come assumere una terapia (ad es.,
mostrando l’orologio per far comprendere l’intervallo tra le assunzioni).
35
Nell’esperienza del contatto medico-paziente immigrato sono state identificate tre
fasi.
La prima, cosiddetta dell’esotismo, in cui il medico si aspetta o teme di trovare un
paziente affetto da strane e subdole malattie: ogni sintomo rischia così di essere
interpretato al di fuori della normalità, e si fa ricorso alle indagini più complesse nel
timore di lasciarsi sfuggire rare malattie esotiche.
Questo atteggiamento sfocia anche in un comportamento eccessivamente
allarmistico e protettivo nei confronti della prevenzione, che può tradursi per
esempio in un lavaggio più frequente delle mani o nell’adozione di maggiori
precauzioni igieniche.
36
La fase successiva è quella dello scetticismo.
La domanda di cura viene interpretata come ipocondria nell’assenza di un modello
interpretativo della malattia culturalmente condiviso da entrambi: il paziente
comunica la sua malattia essenzialmente con il corpo, indicando per esempio la sede
del dolore.
Può essere così equiparato a un malato immaginario, a un “lavativo” o un
“perditempo”.
La mancata conferma dei sospetti diagnostici iniziali pone inoltre il medico nella
condizione frustrante di mettere in dubbio l’utilità del proprio servizio.
Nelle prime due fasi il divario culturale di aspettative (del medico ma anche del
paziente, affascinato dal mito dell’alta tecnologia con diagnosi e cure rapide ed
efficaci) è enorme.
37
La terza fase, superato lo scetticismo, ha inizio con l’ascolto critico in cui il medico si
accorge che – per lo più – nel paziente non è inconsueta la malattia ma la percezione
del corpo, della salute e della malattia.
Qui si attua una lenta e faticosa revisione dei propri criteri di giudizio. Si oltrepassano
le immagini preformate dell’altro (il povero, lo sfruttato, l’untore ecc.) e si va incontro
al soggetto, interprete assoluto di una cultura, una storia, una realtà peculiare.
38
Nel rapporto medico occidentale-paziente immigrato le difficoltà di comprensione
non sono solo di ordine linguistico o etnico, ma comprendono anche le aspettative
reciproche: il paziente vive ambiguamente la situazione di distacco da un passato che
non viene mai definitivamente abbandonato, d’altra parte non riesce a esaudire il
desiderio di integrazione nella nuova società.
Le sue aspettative verso il medico occidentale non sono quelle di un ritorno alle
pratiche mediche tradizionali.
Attirato dal mito della modernità, egli aspira a essere curato dalla medicina
occidentale, basata su un uso estremo della tecnologia.
Ecco perché, ancora una volta, nella comunicazione con il cittadino migrante è
necessaria un’anamnesi attenta, che sappia cogliere non soltanto i sintomi ma anche
gli effettivi bisogni di salute alla luce della logica interpretativa dello stato di malattia
e dei timori del singolo paziente in rapporto alla sua cultura di provenienza e alle sue
pregresse esperienze.
39
Scarica

Modulo 3 - Comunicazione e gestione del paziente migrante in