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La comunicazione ordinaria si svolge per lo più in forma orale, ma è fortemente
condizionata dalla forma interiorizzata della scrittura.
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Le culture fortemente influenzate dalla scrittura sono dette a oralità ristretta
diversamente da quelle del passato, dette a oralità primaria ( per es. l’Impero
precolombiano degli Inka, prima della conquista spagnola, o il regno del Dahomey,
oggi Repubblica del Benin, in Africa occidentale, prima della colonizzazione francese).
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La scrittura incominciò a diffondersi dal III millennio a.C., a iniziare da quella
cuneiforme, per pervenire, verso il 1500 a.C., a quella alfabetica dei Fenici.
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In larga parte del mondo non esistono quasi più culture ad oralità primaria, in quanto
la scrittura influenza in vari modi anche quelle in cui essa è poco diffusa. Per queste
si usa l’espressione: culture ad oralità diffusa.
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Gli studiosi sottolineano come ci sia notevole diversità tra il sistema di pensiero
legato all’oralità diffusa e quello legato all’oralità ristretta:
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Gli appartenenti alla cultura dell’oralità ristretta per rappresentarsi il concetto di buono
finiscono per rappresentarselo come parola scritta, e definizione concettuale di essa.
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Gli appartenenti alla cultura dell’oralità diffusa si rappresentano, per es., il concetto di
buono attraverso immagini, metafore, perifrasi. E nella trasmissione di storie, leggende,
miti ricorrono a stratagemmi mnemonici che consentono di mantenerne l’integrità
sostanziale per lunghe generazioni: vedi
o i
subsahariana occidentale.
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Tuttavia si è notato come nelle società ad oralità ristretta, a causa dell’influsso dei
mezzi audiovisivi si stia verificando un impoverimento del bagaglio lessicale e delle
conoscenze linguistiche.
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Per le culture ad oralità diffusa, e più ancora per quelle ad oralità primaria, la parola
non ha alcuna esistenza visiva: essa esiste solo come suono nel momento in cui viene
pronunciata e acquista pregnanza attraverso il tono della voce, l’enfasi con cui la si
pronuncia, la gestualità e i movimenti del corpo che l’accompagnano.
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Nelle
in certe circostanze (formule magiche, miti, discorsi morali,
racconti) le parole si caricano di un
, come se dire equivalesse a fare.
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Questo spiega perché nomi di persone, di divinità, anche di semplici cose siano
spesso ritenuti dotati di potere sulle cose e sugli essere umani.
• Presso gli Aborigeni australiani si ritiene che gli antenati
crearono il mondo, le cose, le piante, gli animali e gli esseri
umani con la forza della parola, cantando il nome di essi.
• I Baruya della Nuova Guinea attribuiscono un potere
straordinario ai nomi e alla loro pronuncia, soprattutto
nell’accompagnare le attività agricole.
• Nella Bibbia viene attribuito un potere creativo alla parola
(Logos, Verbum) di Dio.
• I Dogon del Mali vedono nella parola quasi una proiezione
sonora nello spazio della personalità dell’uomo.
• Comunque, sia nelle società ad oralità ristretta, sia in quelle ad
oralità diffusa, particolare rilevanza ha la parola cantata:
comunicazione musicale (per es, canzoni, opere liriche in
Occidente, voce ed arpa presso gli Azande dell’Africa
subsahariana).
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Dagli anni ’70 si è verificata una vera rivoluzione culturale con la diffusione dei
a livello planetario, in modo particolare della
media è emerso quanto segue:
. Dagli studi sugli effetti dei
Italiano: Scrivere
Giapponese: Kaku
Italiano: Scrivere
Giapponese: Kaku
Alla fine degli anni Settanta dello scorso secolo, gli antropologi
e
confrontando le terminologie dei colori di 26 lingue, accertarono che il numero dei termini
fondamentali dei colori presenti in esse variava da un minimo di 2 a un massimo di 11.
Questi termini fondamentali o di base sono quelli che riflettono i fenomeni di percezione del
colore negli esseri umani e non hanno bisogno di ulteriori specificazioni per essere compresi.
In seguito a ciò i due studiosi pervennero alle seguenti conclusioni:
Bianco
Porpora
Verde
Rosa
Rosso
Blu ---- Marrone
Giallo
Nero
Arancione
Grigio
Rosso, Verde, Giallo, Blu, Marrone, Porpora, Rosa, Arancione, Grigio.
Bianco, Nero,
Statua della libertà progettata dai francesi Frédéric Auguste Bartholdi e Gustave Eiffel,
costruita tra il 1880-1886
Nel 1920 lo studioso svedese
in un saggio sostenne l’idea
che nelle società primitive il tempo è
considerato «puntiforme», legato cioè
a fatti naturali (avvicendarsi delle
stagioni, delle fasi lunari…) o sociali
(semine, raccolti, feste, mercati…).
Nelle società occidentali, per contro,
si è affermata la necessità di una
misurazione oggettiva del tempo
dettata dalla necessità di stabilire
quanto di esso è da dedicare al
riposo, quanto al lavoro, quanto al
tempo libero, ecc.
Ciò non toglie che anche nella nostra società e nella nostra
tradizione il tempo non possa avere valenze diverse a
seconda dello stato d’animo del soggetto.
Inoltre, è da notare come anche per noi ricorrenze
periodiche scandiscono i cicli annuali:
Secondo il britannico
, i primitivi,
così come capita ai bambini in età «
» (fino
agli 8 anni), non sono in grado di cogliere le
(esempio dei contadini algerini
illetterati), perché
e non sull’astrazione, come conferma Luria.
Per questa ragione essi non sanno dire se
(vedi figura accanto)
.
Quanto accade ai contadini algerini, per contro,
non accade ai popoli alfabetizzati che sono in
grado di cogliere
che sono
percepiti come
, per cui
.
Quanto osservato per i contadini algerini, non si verifica col
popolo illetterato
dell’isola di
,
, il
quale
,
proprio come si fa presso di noi con gli atleti che nella
corsa partono da punti diversi a seconda della posizione
della pista, di modo che la distanza da percorrere sia
uguale per tutti.
Pertanto,
.
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Comunicazione e Conoscenza