La deducibilità dei c.d. «costi da reato» ALESSANDRIA, 14 NOVEMBRE 2014 AVV. PROF. ROBERTO SUCCIO Alcuni dati La relazione tecnica al d.d.l. di conversione del d.l. n. 16 del 2012 precisa che ogni anno si registrano contestazioni di costi da reato per un ammontare complessivo pari a circa 10 miliardi di euro. Origine della questione Problema nato con le indagini di «tangentopoli» unitamente con quello della imponibilità del provento illecito. Impostazione giuridica: non può assumersi a elemento del presupposto del tributo un elemento non conforme al diritto Impostazione economica: ratio sanzionatoria Cass. SS. UU. 12.11.1993 Esclude la imponibilità dei proventi illeciti (c.d. reddito da «tangente») in forza della inconciliabilità logica tra reddito e confisca: l’ammette quando la confisca non è disposta, con conseguente riabilitazione del provento illecito, per effetto della mancata ablazione da parte dello Stato Legge n. 537 del 1993 art. 14 comma 4 Stabilisce la imponibilità del provento illecito se non sottoposto a confisca. Legge n. 289 del 2002 - Inserisce nella legge del 1993 un comma 4bis che prevede la «indeducibilità dei costi e delle spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l’esercizio dei diritti costituzionalmente riconosciuti». - Contiene una evidente vaghezza testuale che ha legittimato interpretazioni particolarmente rigorose del principio di inerenza Effetto conseguente - Esclusione della deducibilità dei costi documentati da fatture soggettivamente inesistenti, ancorché aventi a oggetto prestazioni o beni effettivamente fruite o esistenti; - Esclusione della deducibilità per costi leciti ma sostenuti in concomitanza temporale con attività penalmente illecite Deroga al principio di inerenza L’Agenzia delle entrate, con circolare 26 settembre 2005, n. 42 aveva fornito alcuni chiarimenti circa la portata della disposizione precisando che, a decorrere dal 1 gennaio 2003, il legislatore tributario aveva inteso introdurre una deroga al principio dell’inerenza attraverso l’irrogazione di una sanzione indiretta nei confronti del soggetto passivo d’imposta che avesse sostenuto costi correlati ad attività penalmente rilevanti Contenuto del principio di inerenza L’inerenza rappresenta, infatti, un requisito oggettivo dei componenti economici, che consente di affermare la riferibilità degli stessi all’esercizio dell’impresa, per effetto di un rapporto di causa ad effetto. Un componente positivo o negativo di reddito potrà considerarsi inerente all’esercizio dell’impresa soltanto quando, esaminato oggettivamente, si presenti quale elemento derivante dall’esercizio dell’impresa e quindi come effetto economico, positivo o negativo, della gestione dell’impresa Segue: Il principio di inerenza – ex art. 109 TUIR - implica che: - tra il costo che si intende dedurre e i correlati proventi sussista un nesso sinallagmatico tale che - il costo deve risultare strumentale per l’esercizio dell’attività Corte Cass. Sent. 21 gennaio 2009 , n. 1465: “l’inerenza va interpretata come una relazione tra due concetti – la spesa e l’impresa – che implica un accostamento concettuale tra due circostanze, con la conseguenza che il costo assume rilevanza ai fini della quantificazione della base imponibile, non tanto per la sua esplicita e diretta connessione ad una precisa componente di reddito, bensì in virtù della sua correlazione con una attività “potenzialmente” idonea a produrre utili” Attività e sua documentazione Non deve confondersi: - la relazione del componente economico con l’attività d’impresa con - la sua documentazione contabile. Segue: Può ravvisarsi l’ipotesi in cui nonostante il documento (fattura) sia emesso da un soggetto diverso da quello che ha reso la prestazione, l’operazione documentata ed il corrispondente esborso siano reali ed inerenti all’esercizio dell’impresa, non derivando dalla irregolarità della fattura il venir meno dei presupposti della deducibilità del costo (in tal senso Cass., sez.trib., 8 settembre 2006, n. 19353, in Banca dati Fisconline) Disciplina vigente Il D.l. 16-2012 conv. in l. 44 del 2012 sostituisce il comma 4bis stabilendo che non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni e delle prestazioni di servizio «direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il Pubblico Ministero abbia esercitato l’azione penale» Premessa: Il termine «direttamente» fa ritenere che siano deducibili i costi meramente preparatori, che non sono stati utlizzati propriamente per commettere l’illecito. Agenzia Entrate, Circ. 32° del 3 agosto 2012: «non essendo all’uopo sufficiente, ai fini del recupero fiscale, che i predetti componenti, in carenza del prescritto requisito del «diretto utilizzo» siano semplicemente e genericamente relativi alla fattispecie penalmente rilevante» Prima considerazione Evidente asimmetria tra: - imposizione dei proventi derivanti da qualsiasi illecito - la indeducibilità dei costi (strumentali alla commissione di soli delitti); seconda considerazione: chi qualifica l’illecito? E’ necessario che il PM abbia esercitato l’azione penale (vaglio preventivo dell’AG); Se interviene sentenza assolutoria o di non luogo a procedere, non fondata sulla prescrizione del reato, il contribuente può chiedere il rimborso di quanto indebitamente versato; E nel caso di morte del reo, remissione di querela e amnistia? Particolare rilevanza dell’esercizio dell’azione penale - è condizione necessaria per l’applicazione del regime: prima del suo compimento il costo è deducibile; - l’avviso di accertamento, in difetto di tal condizione, anche se essa sopravviene, è illegittimo (tempus regit actum); - invita gli Uffici in tal caso a sospendere in via amministrativa l’efficacia dell’avviso di accertamento (senza dire della legittimità) dell’atto la Circ. 32 del 2012 conseguenza La relazione illustrativa al d.l. è chiara: «per effetto di tal disposizione, l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fattura o in altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi». Conforme Agenzia Entrate, Circ. n. 32° del 2012. Agenzie Entrate n. 32°E del 2012 «…i costi relativi all’acquisizione dei beni o servizi che, ancorché documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non siano stati utilizzati per il compimento di alcun reato, sono deducibili, ove ovviamente ricorrano i requisiti di deducibilità» previsti dal TUIR. Esempi di costi deducibili Costi per l’esecuzione di un appalto aggiudicato a seguito di dazioni di denaro corruttive o truffaldine; Costi per la gestione di uno studio medico nel caso di esercizio abusivo della professione, o di prescrizione di «dopanti»; Indeducibilità limitata alle «attività» Commissione Tributaria Regionale di Milano (sent. 15 dicembre 2010, n. 102 e n. 103) I costi riconducibili a reati sono indeducibili solo qualora siano riferiti ad attività da cui derivano ricavi illeciti con la conseguenza che nella fattispecie esaminata le somme per la retribuzione di manodopera fornita in maniera illecita sono state riconosciute come deducibili perché correlate a redditi leciti. Ulteriori prime applicazioni Commissione Tributaria Provinciale di Milano (sent. 22 maggio 2012, n. 146/03/12) I costi e l’iva relativi a fatture soggettivamente inesistenti sono, rispettivamente, deducibili dal reddito imponibile e detraibili dall’imposta dovuta; ciò, in forza della retroattività disposta dall’art. 8, terzo comma, del decreto n. 16 del 2012. La commissione, in forza dello ius superveniens, ha quindi ritenuto che la fattispecie sottoposta al suo esame rientrasse nella «nuova» disciplina dei costi in parola. Relazione al d.d.l. di conversione Per effetto di questa disposizione, l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, ferme restando le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e in tema di deduzione previste dal testo unico delle imposte sui redditi, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917. Segue: «…pertanto, ove del caso, l’indeducibilità dei costi rappresentati in documenti emessi da soggetti che in tutto o in parte non hanno effettivamente posto in essere l’operazione, sarà, comunque, rilevabile per effetto delle altre disposizioni normative eventualmente applicabili e connesse ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità dei componenti negativi». Quindi: Ciò significa che ai soggetti terzi - alla cui categoria appartiene la società contribuente nel caso di spese - coinvolti nelle frodi carosello non è più contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilità dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, venduti . Pertanto: Sicché non è più sufficiente il coinvolgimento (anche consapevole) dell’acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costì relative alle predette operazioni. Resta comunque aperto il problema della concreta deducibilità dei costi in relazione ai principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità: ma di un siffatto accertamento non vi è traccia nel giudizio. Conferma della Corte Suprema Cassazione, Sez. trib., Sent. 20 giugno 2012 (13 marzo 2012), n. 10167 - Pres. Adamo - Rel. Botta. In tema di imposte sui redditi, a norma dell’art. 14, comma 4-bis, della legge n. 537/1993, nella formulazione introdotta con l’art. 8, comma 1, del D.L. n. 16/2012, sono deducibili per l’acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti….. Segue: …. per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una cd. frode carosello, anche per l’ipotesi che l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del T.U.I.R. siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità. Onere probatorio Incombe all’Erario dar prova della sussistenza dei requisiti della indeducibilità. Non sono costi di cui si contesta l’inerenza – nel qual caso l’onere è del contribuente – ma di costi inerenti di cui si contesta la deducibilità in ragione della disposizione di cui all’art. 14 comma 4bis ricitato Circ. n. 32 E del 2012 par. 2.1 «Le ragioni giuridiche e gli elementi di fatto idonei a fondare l’indeducibilità dei costi e delle spese, direttamente utilizzati per il compimento dell’attività delittuosa non colposa posta in essere dal contribuente, devono essere adeguatamente descritti in sede di motivazione dell’atto recante la pretesa tributaria predisposto dall’ufficio» Diversamente: Se così non fosse il contribuente sarebbe onerato da una probatio negativa del non diretto utilizzo di un dato fattore nella commissione dell’illecito. Pertanto la prova sarà agevole se l’attività è interamente o in gran parte illecita, meno agevole se così non è. Inapplicabilità delle sanzioni e rimborso delle medesime la dichiarazione, in virtù della determinante rilevanza dell’iniziativa del Pubblico Ministero, nasce e resta fedele; l’obbligo di restituzione in caso di assoluzione riguarda anche le sanzioni (Circ. n. 32° del 2012 par. 2.5 Conclusivamente La deducibilità dei costi da reato pare strumento idoneo a garantire il rispetto dell’art. 53 Cost., consentendo di ricostruire in modo quanto più aderente alla realtà la capacità contributiva del soggetto; La deducibilità dei costi da reato non risulta – e forse non ne aveva l’intenzione – strumento idoneo a fungere da disincentivo per le attività criminali, che devono essere diversamente represse e per le quali le conseguenze tributarie di certe azioni non paiono rilevare. Relazioni proc. trib. e proc. penale Le relazioni tra processo tributario e processo penale rimangono delicate e le questioni di diritto oscure restano tali: l’interesse a punire – colpendo chi evade nella libertà personale – non può consentire all’ordinamento di duplicare la sanzione incidendo con il prelievo su una capacità contributiva «lorda» (negando la deducibilità dei costi da reato) e neppure duplicando la sanzione (c.d. «bis in idem» sostanziale – Corte EDU casi Grande Stevens sent. 2 marzo 2014 e Glanz c Finlandia sent. 20 maggio 2014 + 3) oppure triplicando il profilo afflittivo (art. 322 – ter c.p. e art. 1 c. 143 L. 244/07 c.d. «confisca per equivalente»): altrimenti…. Grazie per l’attenzione