QUADERN
/ SABATO, 18 MAGGIO 2013
ILCASODELGIORNO
PRIMOPIANO
Il costo eccessivo o
antieconomico non
“chiama in causa”
l’inerenza
Confermata la sospensione della
prima rata dell’IMU per le
abitazioni principali
/ Alberto MARCHESELLI
Se, al 31 agosto, non risulterà attuata la riforma della tassazione
immobiliare, si dovrà pagare entro il 16 settembre
Oltre ai disorientamenti e incertezze, relativi all’inquadramento
generale del concetto di inerenza e la ripartizione del relativo
onere della prova (si veda “La
«prova» dell’inerenza dei costi
compete al contribuente” del 9
maggio) molteplici sono le difficoltà che si incontrano nella prassi, quando si tratta del concreto
accertamento di tale requisito dei
costi.
Molto spesso, infatti, quelli che
sono indizi che possono servire a
dimostrare l’estraneità del costo
alla sfera professionale o imprenditoriale, o, più in generale, precludere la deduzione di un costo,
vengono erroneamente trasformati in caratteri, connotati e contenuti dell’inerenza, con effetti
assolutamente abnormi, sia concettualmente che operativamente.
Non deve infatti mai perdersi di
vista [...]
/ Arianna ZENI
Nella riunione di ieri, il Consiglio dei Ministri
ha approvato il DL recante “Interventi urgenti
in tema di imposta municipale propria, di ammortizzatori sociali in deroga, di proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le
pubbliche amministrazioni e di riduzione dei costi della politica”.
Oltre alle novità in materia di imposta municipale propria, di cui si dirà meglio, come riporta
il comunicato di Palazzo Chigi, il provvedimento prevede l’eliminazione degli stipendi di Ministri, Viceministri e Sottosegretari che siano
membri del Parlamento e introduce disposizioni
in materia di ammortizzatori sociali in deroga
e di contratti di lavoro subordinato a tempo determinato.
Tornando all’IMU, in attesa che venga riformata la disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare (si veda “In arrivo la riforma della tassazione immobiliare” di ieri), il
versamento prima rata dell’IMU, che per la
generalità degli immobili dovrà avvenire entro il
17 giugno 2013 (in quanto il 16 è domenica), è
sospeso per:
A PAGINA 2
INEVIDENZA
Abuso del diritto, possibili insidie per la cessione di
quote rivalutate
Anche i commercialisti convocati al tavolo sulla
normativa antiriciclaggio
I vizi della relazione sulla gestione non invalidano il
bilancio
Dall’ANC la proposta di una Cassa unica per tutti i
professionisti
- le abitazioni principali e le relative pertinenze, ad esclusione degli immobili iscritti in
Catasto nelle categorie A/1 (abitazioni signorili), A/8 (ville) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici o storici), vale a dire nelle
categorie preposte al censimento dei fabbricati di maggior pregio;
- le unità immobiliari delle cooperative edilizie a proprietà indivisa adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dai soci
assegnatari;
- gli alloggi degli IACP (Istituti Autonomi per
le Case Popolari) o degli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati,
con le stesse finalità degli IACP;
- i terreni e i fabbricati rurali di cui all’art.
13, commi 4, 5 e 8 del DL n. 201/2011.
In sostanza, viene riproposto quel che in passato era stato previsto per l’ICI che, si ricorda, era stata abolita dall’art. 1 del DL n.
93/2008 sulle abitazioni principali a partire
dall’anno 2008, con l’esclusione delle abitazioni “di pregio”.
Si ricorda che, ai sensi dell’art. [...]
A PAGINA 4
FISCO
Acquista punti la
retroattività del
“nuovo” redditometro
/ Alfio CISSELLO
Alcune sentenze di merito (in particolare, si
tratta delle pronunce della C.T. Prov. di Reggio E. del 18 aprile 2013 n. 74/2/13 e della
C.T. Prov. di Rimini del 21 marzo 2013 n.
41/2/13, sulla quale si veda “Ancora illegittimo il «vecchio» redditometro” del 26 aprile
2013) hanno affermato che il “nuovo” redditometro è applicabile retroattivamente, in
quanto strumento di determinazione sintetica del reddito maggiormente evoluto rispetto
[...]
A PAGINA 5
ancora
IL CASO DEL GIORNO
Il costo eccessivo o antieconomico non
“chiama in causa” l’inerenza
Può essere indizio di non inerenza qualitativa solo in casi marginali, perché di norma
prova elusione o fittizietà
/ Alberto MARCHESELLI
Oltre ai disorientamenti e incertezze, relativi all’inquadramento generale del concetto di inerenza e la ripartizione del
relativo onere della prova (si veda “La «prova» dell’inerenza dei costi compete al contribuente” del 9 maggio) molteplici sono le difficoltà che si incontrano nella prassi, quando
si tratta del concreto accertamento di tale requisito dei costi.
Molto spesso, infatti, quelli che sono indizi che possono servire a dimostrare l’estraneità del costo alla sfera professionale o imprenditoriale, o, più in generale, precludere la deduzione di un costo, vengono erroneamente trasformati in caratteri, connotati e contenuti dell’inerenza, con effetti
assolutamente abnormi, sia concettualmente che
operativamente.
Non deve infatti mai perdersi di vista quello che è l’oggetto
dell’accertamento: può escludersi la deduzione (o detrazione IVA) solo se il costo è erogazione di ricchezza, solo cioè
se, in termini economici, esso è consumo, se esso è illecito
(e quindi la deduzione è vietata), se esso è abusivo, oppure,
e ovviamente, se il costo è fittizio.
Dalla confusione di questi diversi piani nasce, come primo
corollario abnorme che andiamo ad esaminare, la nozione di
pretesa c.d. inerenza quantitativa, ovvero la pretesa
preclusione della deduzione di costi eccessivi o
antieconomici, in quanto non inerenti alla fisiologia della
impresa.
Quando un costo eccessivo (rispetto alla ritenuta normalità)
non è deducibile?
Il problema si pone, ovviamente, nelle ipotesi in cui il divieto non sia sancito da norme espresse (come per esempio
quelle che impongono la valutazione a valori normali nelle
ipotesi di transfer pricing).
La risposta va individuata in modo lucido e netto: l’eccessività di un costo può essere un indizio del fatto che: (spesso)
il costo è finto; (abbastanza spesso) che il costo è vero ma
strumentale al risparmio, e può essere abusivo; il costo risponde a finalità personali.
Nel primo caso (costo possibilmente finto), si tratta di distinguere tra l’ipotesi di fatto dell’imprenditore malaccorto
e quella dell’imprenditore fraudolento. Un costo abnorme,
magari associato a prove sulla retrocessione del pagamento o
non effettività dello stesso, consente certamente di disonoscerne la deduzione. Ma l’inerenza non c’entra nulla: il problema dell’inerenza si pone solo per i costi veri, quelli finti
non si deducono per una ragione ben più solida: che essi non
ci sono.
/ EUTEKNEINFO / SABATO, 18 MAGGIO 2013
Nel secondo caso (costo possibilmente abusivo), si tratta di
si tratta di distinguere, ancora, tra un imprenditore malaccorto, un imprenditore che agisce per allocare ricchezza tra più
società del proprio gruppo, o l’imprenditore che abusa delle
regole tributarie, aggirandone lo spirito. Nei primi due casi
(errore gestionale o pianificazione di gruppo), salve norme espresse che prevedano la tassazione a valori normali e
contrariamente a quel che opina una giurisprudenza del tutto
scentrata e disorientata sul concetto di abuso del diritto, la
deduzione è del tutto legittima. Se non si abusa delle regole
e l’operazione è vera possono darsi solo due casi: o si
compiono errori o si risparmiano imposte. Il diritto tributario
tassa la ricchezza effettiva e non punisce gli errori
imprenditoriali, né impone di pagare più tasse possibili.
Se, invece, si abusa delle regole (che vuol dire che si agisce
solo per vantaggio fiscale e si viola lo spirito della legge,
non basta che si agisca solo per risparmio) la deduzione va
disconosciuta. Ma è in gioco l’inerenza qui? Proprio per
niente. Il problema dell’elusione o abuso presuppone che la
spesa sia inerente. Se non è inerente, il problema dell’abuso manco si pone e non si può porre: la deduzione è già
esclusa a monte, perché la spesa è estranea all’impresa.
Frammischiare inerenza e abuso, come talvolta fa la giurisprudenza, è una confusione concettuale: è come confondere, nel diritto penale, tra alibi e mancanza di colpa.
Se l’imputato non era sulla scena del delitto, non c’è da accertare il suo elemento soggettivo: è estraneo ai fatti. L’inerenza non è un concetto morale o etico: non è inerente ciò
che, essendo finalizzato a finalità “extra” imprenditoriali ed
essendo “consumo”, non diminuisce l’ammontare della ricchezza prodotta, ma la presuppone. L’abuso corrisponde invece a una logica imprenditoriale sì, ma “malata”, che è cosa completamente diversa.
Il concetto di inerenza quantitativa non ha molto senso
Nel terzo caso (costo eccessivo perché personale), effettivamente è in gioco una questione di inerenza, ma è un’ ipotesi di scuola, quella in cui un costo sia sostenuto in modo del
tutto abnorme per soddisfare la megalomania dell’imprenditore e quindi per una soddisfazione personale.
Ne consegue che l’eccessività o antieconomicità di un costo
può essere un valido indizio di evasione e abuso, ma che il
concetto di inerenza quantitativa non ha molto senso.
L’inerenza, intanto, è sempre e solo qualitativa (la correla/ 02
ancora
zione del costo a finalità personali, familiari o comunque
“extra”) e, comunque, l’eccessività del costo può essere indizio di non inerenza (qualitativa) del costo solo in casi assolutamente marginali. Di norma, l’eccessività o antieconomicità di un costo prova altro: elusione o fittizietà, che sono
cose completamente diverse e distinte dall’inerenza.
La precisazione non è importante solo per ragioni di limpidezza concettuale, ma per ragioni assai pratiche: trattandosi
/ EUTEKNEINFO / SABATO, 18 MAGGIO 2013
di concetti completamente diversi e incompatibili tra loro,
essi non sono interscambiabili e gli avvisi che li confondano
e li affianchino sono radicalmente nulli e tali sono e devono
essere riconosciute anche le sentenze che pretendano di
sostituire l’uno (ad esempio, la fittizietà), posto a base
dell’avviso, con l’altro (ad esempio il difetto di inerenza),
individuato solo in giudizio.
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ancora
FISCO
Confermata la sospensione della prima rata
dell’IMU per le abitazioni principali
Se, al 31 agosto, non risulterà attuata la riforma della tassazione immobiliare, si dovrà
pagare entro il 16 settembre
/ Arianna ZENI
Nella riunione di ieri, il Consiglio dei Ministri ha approvato il DL recante “Interventi urgenti in tema di imposta
municipale propria, di ammortizzatori sociali in deroga, di
proroga in materia di lavoro a tempo determinato presso le
pubbliche amministrazioni e di riduzione dei costi della
politica”.
Oltre alle novità in materia di imposta municipale propria, di
cui si dirà meglio, come riporta il comunicato di Palazzo
Chigi, il provvedimento prevede l’eliminazione degli stipendi di Ministri, Viceministri e Sottosegretari che siano
membri del Parlamento e introduce disposizioni in materia
di ammortizzatori sociali in deroga e di contratti di lavoro
subordinato a tempo determinato.
Tornando all’IMU, in attesa che venga riformata la disciplina dell’imposizione fiscale sul patrimonio immobiliare
(si veda “In arrivo la riforma della tassazione immobiliare”
di ieri), il versamento prima rata dell’IMU, che per la generalità degli immobili dovrà avvenire entro il 17 giugno
2013 (in quanto il 16 è domenica), è sospeso per:
- le abitazioni principali e le relative pertinenze, ad esclusione degli immobili iscritti in Catasto nelle categorie A/1
(abitazioni signorili), A/8 (ville) e A/9 (castelli, palazzi di
eminenti pregi artistici o storici), vale a dire nelle categorie
preposte al censimento dei fabbricati di maggior pregio;
- le unità immobiliari delle cooperative edilizie a proprietà
indivisa adibite ad abitazione principale e relative pertinenze dai soci assegnatari;
- gli alloggi degli IACP (Istituti Autonomi per le Case Popolari) o degli enti di edilizia residenziale pubblica, comunque denominati, con le stesse finalità degli IACP;
- i terreni e i fabbricati rurali di cui all’art. 13, commi 4, 5
e 8 del DL n. 201/2011.
In sostanza, viene riproposto quel che in passato era stato
previsto per l’ICI che, si ricorda, era stata abolita dall’art. 1
del DL n. 93/2008 sulle abitazioni principali a partire
dall’anno 2008, con l’esclusione delle abitazioni “di
pregio”.
/ EUTEKNEINFO / SABATO, 18 MAGGIO 2013
Si ricorda che, ai sensi dell’art. 13 comma 2 del DL
201/2011, conv. L. 214/2011, l’abitazione principale è definita come “l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.
Riproposta l’esclusione in passato prevista per l’ICI
Ai fini dell’IMU, inoltre, ai sensi dell’art. 13 comma 2 del
DL 201/2011, si intendono pertinenze dell’abitazione principale (accedono di conseguenza al regime di favore accordato rispetto a quest’ultima e, quindi, possono beneficiare
della sospensione dal versamento della prima rata scadente il
prossimo 17 giugno) esclusivamente:
- un’unità immobiliare classificata come C/2 (cantina, soffitta o locale di sgombero), sempre che non esista già un locale avente le stesse caratteristiche tipologiche censito unitamente all’abitazione come vano accessorio di quest’ultima;
- un’unità immobiliare classificata come C/6 (posto auto o
autorimessa);
- un’unità immobiliare classificata come C/7 (tettoia).
Il DL approvato, inoltre, introduce una clausola di salvaguardia secondo cui, entro il 31 agosto 2013, dovrà essere
attuata la riforma della disciplina dell’imposizione fiscale
sul patrimonio immobiliare sopra citata, ivi compresa la modifica della disciplina della TARES e la deducibilità
dell’IMU ai fini della determinazione del reddito di impresa
pagata per gli immobili utilizzati per le attività produttive,
nel rispetto degli obiettivi programmatici indicati nel documento di economia e finanza 2013, come risultante dalle relative risoluzioni parlamentari e in coerenza con gli impegni
assunti dall’Italia in ambito europeo.
Nel caso in cui la riforma non venga attuata entro il predetto
termine, la prima rata dell’IMU sospesa dovrà essere versata entro il 16 settembre 2013.
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ancora
FISCO
Acquista punti la retroattività del “nuovo”
redditometro
Ma la tesi della giurisprudenza si scontra con il dato normativo, in particolare con l’art.
22 del DL 78/2010
/ Alfio CISSELLO
Alcune sentenze di merito (in particolare, si tratta delle pronunce della C.T. Prov. di Reggio E. del 18 aprile 2013 n.
74/2/13 e della C.T. Prov. di Rimini del 21 marzo 2013 n.
41/2/13, sulla quale si veda “Ancora illegittimo il «vecchio»
redditometro” del 26 aprile 2013) hanno affermato che il
“nuovo” redditometro è applicabile retroattivamente, in
quanto strumento di determinazione sintetica del reddito
maggiormente evoluto rispetto al precedente.
La tesi esposta si scontra però con il dato normativo, poiché
l’art. 22 del DL 78/2010 stabilisce che le nuove disposizioni
operano per gli accertamenti relativi ai redditi per i quali il
termine di dichiarazione non è ancora scaduto alla data di
entrata in vigore del presente decreto, perciò a decorrere
dall’annualità 2009.
Il dato normativo, condivisibile o meno, sembra parlare
chiaro in ordine al momento di applicabilità del nuovo
strumento. Per questo motivo, è arduo sostenere che il
giudice possa stabilire che il DM 24 dicembre 2012 operi
anche per il passato.
Nel nostro sistema di gerarchia delle fonti, l’unica maniera
per sostenere ciò è invocare l’incostituzionalità dell’art. 22
del DL 78/2010 nella parte in cui non prevede che il nuovo
strumento si appplichi ante 2009.
Ciò, comunque, avrebbe una sua logica, siccome, al pari di
quanto detto dalla richiamata giurisprudenza, lo stesso Legislatore ha affermato che il nuovo redditometro scaturisce
dall’esigenza di adeguare l’accertamento sintetico al nuovo
contesto socioeconomico, quindi è discutibile, sul piano della “tenuta costituzionale” del sistema, inibirne la
retroattività.
Se, invece, fosse stato il solo DM 24 dicembre 2012 a imporre l’irretroattività del nuovo accertamento, le cose sarebbero state diverse: la Commissione tributaria, senza necessi-
/ EUTEKNEINFO / SABATO, 18 MAGGIO 2013
tà alcuna di coinvolgere la Corte Costituzionale, avrebbe potuto disapplicare il decreto ai sensi dell’art. 7 del DLgs.
546/92, in quanto atto di normazione secondaria.
Per contro, è palese che al giudice, nel sistema di civil law,
non sia attribuito il potere di disapplicazione della legge.
L’unica è sollevare il problema alla Consulta
Il problema deve essere visto sotto una diversa ottica per ciò
che riguarda il vizio procedurale concernente l’omessa instaurazione preventiva del contraddittorio.
Alcuni giudici hanno stabilito che l’accertamento è nullo se
non preceduto dal contraddittorio e hanno richiamato anche il “nuovo” art. 38 del DPR 600/73, in tal modo affermandone, implicitamente, la “retroattività”.
La ratio decidendi in questa ipotesi può essere non condivisa, ma ha una tenuta all’interno del nostro sistema di gerarchia delle fonti.
Infatti, anche prima dell’avvento del DL 78/2010, da più
parti si sosteneva la necessità del preventivo contraddittorio
e, magari richiamando precedenti della giurisprudenza comunitaria e/o la giurisprudenza di Cassazione in tema di
studi di settore, si era evidenziato che altresì per il
“redditometro” è necessario il confronto tra le parti.
Pertanto, non si tratta, tecnicamente, di applicare in maniera
retroattiva il nuovo strumento, ma di rendere cogente un
principio (la necessità del contraddittorio), che già prima
esisteva e che il DL 78/2010 altro non ha fatto che ribadire.
Tanto detto, è palese che l’Agenzia delle Entrate continuerà
a sostenere che solo dal 2009 è applicabile il decreto del
2012 e a ciò può porre rimedio solo il Legislatore, oltre che,
come detto, il Giudice delle Leggi.
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FISCO
Abuso del diritto, possibili insidie per la
cessione di quote rivalutate
Da valutare i rischi di riqualificazione della cessione dell’intero capitale sociale in
cessione d’azienda, a registro proporzionale
/ Gianluca ODETTO
La procedura di rideterminazione del costo o valore d’acquisto delle partecipazioni non quotate con assolvimento
dell’imposta sostitutiva del 2% o del 4% è normalmente finalizzata ad azzerare le plusvalenze che emergono da una
cessione delle quote sociali da effettuare in prossimità
dell’operazione (o, fattispecie che si verifica molto spesso,
che è già stata effettuata alla data di asseverazione della perizia).
In molti contesti la cessione della totalità delle quote rivalutate, sino a pochi anni fa effettuata “a cuor leggero”, viene
ora attentamente ponderata per effetto della copiosa giurisprudenza che nell’ultimo periodo fa leva sul c.d. “abuso del
diritto”.
I rischi di elusione “propria” (ovvero, quella attivabile ai
sensi dell’art. 37-bis del DPR 600/73) sono stati esclusi dalla stessa Amministrazione finanziaria: con il parere n. 16 del
20 ottobre 2003, il Comitato Consultivo per l’applicazione
delle norme antielusive aveva ritenuto del tutto lecita la rivalutazione delle partecipazioni e la sua immediata cessione senza realizzo di alcuna plusvalenza per effetto della
coincidenza tra il valore di perizia e il corrispettivo di cessione, in quanto il risparmio di imposta ha natura lecita e non
indebita (esso deriva, infatti, dalla mera applicazione di una
norma agevolativa, e non dall’aggiramento di obblighi previsti dall’ordinamento tributario) e sui maggiori valori delle
partecipazioni rispetto al loro costo fiscalmente riconosciuto
(per meglio dire, sul valore delle partecipazioni stesse alla
data di riferimento della valutazione) viene comunque assolta l’imposta del 2% o del 4%.
Le possibili insidie nei rapporti con l’Amministrazione potrebbero venire, come già in altre situazioni, dalla fiscalità
indiretta: alcuni uffici, infatti, tendono a riqualificare in
cessione d’azienda la cessione della totalità delle azioni o
quote della società; tale fatto, se confermato in sede contenziosa, renderebbe l’operazione estremamente onerosa,
specialmente se nel patrimonio della società sono presenti
beni immobili (si passerebbe, infatti, da una tassazione fissa
nella misura di 168 euro a una tassazione proporzionale che,
nella migliore delle ipotesi, graverebbe nella misura del 3%
del valore dell’azienda).
Nell’eventualità di contestazioni, tralasciando le azioni di difesa di carattere “generale” previste per tutti gli accertamenti fondati sull’abuso del diritto (ovvero, il fatto che secondo
la giurisprudenza maggioritaria essi, così come quelli con-
/ EUTEKNEINFO / SABATO, 18 MAGGIO 2013
dotti ai sensi dell’art. 37-bis del DPR 600/73, debbano essere preceduti da apposita richiesta al contribuente e, una
volta notificati, debbano contenere una motivazione “rafforzata”, volta a “smontare” le controdeduzioni fornite dal
contribuente stesso) si può, in prima battuta, fare leva sul fatto che il legislatore ha previsto un regime di favore per la
cessione di partecipazioni, anche nell’ambito
dell’imposizione indiretta, e che la cessione dell’azienda
avrebbe quali parti soggetti diversi (non è, infatti, la persona
fisica che detiene le quote, bensì la società che detiene i
beni, a cedere l’azienda).
Elementi validi per la difesa sono contenuti nello Studio del
Consiglio Nazionale del Notariato n. 170-2011/T del 1° marzo 2012 che, riassumendo gli orientamenti maggioritari in
tema, evidenzia come cessione d’azienda e cessione di quote abbiano effetti economici similari, ma effetti giuridici
molto diversi: se, infatti, il prezzo convenuto per l’azienda
può non essere molto diverso da quello previsto per le quote,
diversa è la posizione di chi acquisisce una partecipazione
da chi acquisisce un’azienda a livello di iscrizione in bilancio delle attività, futura tassazione delle plusvalenze e minusvalenze, diverso regime in materia di concorrenza, responsabilità per i debiti della passata gestione, anche fiscali
ai sensi dell’art. 14 del DLgs. 472/97 e così via. Per questo,
conclude il Notariato, non ha senso tale riqualificazione,
ove si consideri che le due operazioni sono poste dall’ordinamento tributario su un piano di completa alternatività.
Operazioni con effetti economici similari, ma effetti
giuridici diversi
Va poi detto che neanche sotto il profilo economico le due
operazioni sono equivalenti, in quanto in via ordinaria la
valutazione delle quote sociali tiene sempre in debita
considerazione la fiscalità latente, che viene trasferita al
cessionario.
Pur non sottovalutando i rischi di riqualificazione sopra indicati si può, quindi, concludere nel senso della liceità della
cessione totalitaria delle quote rivalutate, in quanto atto posto in essere da un soggetto (la persona fisica proprietaria
delle partecipazioni) che intende riorganizzare il proprio
patrimonio privandosi di quelle specifiche attività, e non
invece mantenerle in portafoglio, “spogliate” però dei loro
beni.
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ancora
PROFESSIONI
Anche i commercialisti convocati al tavolo
sulla normativa antiriciclaggio
Il recepimento della IV Direttiva comunitaria potrebbe essere un’opportunità per
correggere le attuali incongruenze
/ Savino GALLO
ROMA - Ci saranno anche i commercialisti al tavolo di lavoro informale che a breve verrà convocato dal Dipartimento del Tesoro per discutere dell’imminente adozione della IV
Direttiva comunitaria in tema di antiriciclaggio. A confermarlo è Giuseppe Maresca, Dirigente generale della
Direzione V Dipartimento del Tesoro, intervenuto al
convegno “La normativa antiriciclaggio e la collaborazione
dei commercialisti”, organizzato dagli ODCEC di Roma,
Milano, Torino, Firenze e Bologna, e tenutosi ieri nella
capitale.
A margine dell’evento, Maresca ha ricordato che, sul tema,
si è svolta recentemente una riunione in sede europea e che,
a breve, se ne terrà una seconda: “Prima di quell’appuntamento – ha sottolineato – convocheremo il tavolo di lavoro
per relazionare su quanto sta accadendo a Bruxelles e chiedere nuovamente commenti e contributi da parte di tutti i
soggetti interessati, a cominciare da banche e professionisti”.
La parola d’ordine, dunque, è collaborazione. Non solo riguardo al recepimento della nuova Direttiva, ma anche e soprattutto nell’applicazione della normativa stessa: “Solo in
questo modo – ha spiegato Maresca – tali disposizioni potranno essere efficaci. Se puntiamo sulle sanzioni non avremo mai la collaborazione che a noi serve. Potremo averla se
i soggetti interessati non percepiranno più le disposizioni antiriciclaggio solo come un obbligo, ma si renderanno conto
che stiamo tutti dalla stessa parte: noi proteggiamo il
sistema finanziario, i professionisti proteggono il loro nome,
difendendo la propria credibilità”.
Un contributo che i commercialisti, ricorda nella sua relazione introduttiva Gerardo Longobardi, ex Presidente dell’ODCEC di Roma, “sono ben disposti a dare”, nella consapevolezza di avere “il dovere e la responsabilità di agire nell’interesse pubblico”. A patto, però, che ci si possa rapportare
con “disposizioni chiare, che non diano luogo ad
interpretazioni contrastanti, che non generino adempimenti
inutili e offrano tutela della riservatezza in caso di
segnalazioni di operazioni sospette”.
Finora, ha rimarcato il leader della lista “Insieme per la professione”, non è stato così: “Il non corretto recepimento, da
parte del nostro legislatore, della Direttiva 2005/60/CE e delle raccomandazioni GAFI ha prodotto inique discrasie
nell’applicazione della norma interna rispetto a quanto
previsto per i professionisti di altri Paesi dell’Ue”.
/ EUTEKNEINFO / SABATO, 18 MAGGIO 2013
Ma ad oggi – ha sostenuto, tra gli altri, Gabriele Bonoli,
commercialista in Firenze – esistono disparità di trattamento anche rispetto ad altre categorie professionali italiane: “È vero che la normativa non fa una distinzione sul nomen juris di chi effettua la prestazione, ma in realtà altri professionisti hanno obblighi meno stringenti dei nostri e, sembra, anche una considerazione diversa da parte degli organi
di controllo. Nel 2013, ad esempio, sono previste delle ispezioni all’interno degli studi dei commercialisti. Non mi
sembra di aver sentito la stessa cosa in riferimento ad altre
professioni”.
Insomma, c’è bisogno di cambiare, e l’emanazione della IV
Direttiva comunitaria può rappresentare un’importante occasione per fare chiarezza. In particolare, i commercialisti
chiedono che, nel recepire i contenuti della Direttiva nell’ordinamento interno, venga data una “chiara definizione” del
concetto di titolare effettivo (e della sua identificazione), di
reato fiscale ai fini della normativa di prevenzione e degli
obblighi in capo ai professionisti.
In più, si propone di creare un canale di comunicazione privilegiato e istituire un tavolo di consultazione per avviare
una riforma del sistema sanzionatorio e degli obblighi di
registrazione dei professionisti. Obblighi che, per i commercialisti, dovrebbero essere circoscritti alle sole prestazioni che hanno per oggetto operazioni potenzialmente utilizzabili con finalità di riciclaggio, come già previsto per notai e
avvocati. Quanto, infine, all’adeguata verifica, Andrea Coloni, commercialista in Verona, lancia l’idea di un protocollo
d’intesa con l’ABI, finalizzato allo scambio di
informazioni.
Il convegno sull’antiriciclaggio è stato il primo di una serie
di iniziative che i cinque grandi ODCEC hanno intenzione di
realizzare per sopperire all’assenza della governance di categoria. A ribadirlo, ieri, è stato Mario Civetta: “In questo momento di difficoltà – ha detto il Presidente dell’ODCEC di
Roma – cerchiamo di renderci utili, ripartendo dalle cose da
fare. C’è, però, bisogno al più presto di una governance per
una categoria tenuta sotto scacco dai ricorsi presentati alla
giustizia amministrativa, che impediscono di andare a nuove elezioni. È necessario che la giustizia faccia il suo corso,
ma i tempi sono incompatibili con la necessità di tornare
subito alle elezioni. Dobbiamo adoperarci in questa
direzione, affidandoci al lavoro degli Ordini territoriali”.
/ 07
ancora
CONTABILITÀ
I vizi della relazione sulla gestione non
invalidano il bilancio
Le irregolarità del documento di “corredo” possono determinare solo l’annullamento
per vizio del procedimento di approvazione
/ Maurizio MEOLI
Le “comunicazioni” contenute nella relazione sulla gestione, seppure carenti o inveritiere, non possono costituire il
presupposto di una pronuncia di nullità della delibera di approvazione del bilancio d’esercizio per illiceità dell’oggetto,
ma solo condurre ad una pronuncia di annullamento per vizio del procedimento di approvazione; è fatto salvo, peraltro,
il caso delle “informazioni” (come quelle relative alla situazione finanziaria) in grado di rendere non intellegibile o,
addirittura, di falsare il bilancio.
A precisarlo, a conferma di propri precedenti interventi (del
7 gennaio 2010, del 7 novembre 2003 e del 20 ottobre 1997),
è il Tribunale di Milano nella sentenza 25 febbraio 2013 n.
2613.
Una società, in qualità di socia di minoranza di una spa,
chiedeva la declaratoria di nullità della delibera di approvazione del bilancio d’esercizio (relativo al 2008), assumendo
che le relative risultanze e le informazioni sull’andamento
della stessa dovessero reputarsi insufficienti, contraddittorie e non idonee a fornire ai soci una rappresentazione chiara e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria, nonché del risultato economico dell’esercizio.
Ciò soprattutto con riguardo agli esorbitanti costi per servizi
forniti dalla società capogruppo in virtù di un risalente contratto di assistenza tecnica e di servizi, che avrebbe dovuto
considerarsi come una mera apparenza attraverso la quale
il socio di maggioranza percepiva notevoli somme di denaro
senza erogare effettive prestazioni, ovvero erogandone di
valore non comparabile al costo.
Nel ricorso, in particolare, si contestava la carenza di informazioni nella relazione sulla gestione, in merito ai rapporti
intercorsi con la controllante, e sugli effetti che la suddetta attività avrebbe avuto sull’esercizio dell’impresa e sui suoi
risultati, in violazione dell’art. 2497-bis comma 5 c.c., nonché l’assenza in Nota integrativa di un dettagliato prospetto riepilogativo dei dati essenziali dell’ultimo bilancio della
controllante, in violazione dell’art. 2497-bis comma 4 c.c. Il
Tribunale di Milano, anche alla luce dei citati precedenti,
reputa infondate la censure.
La relazione sulla gestione “correda” il bilancio d’esercizio e deve contenere “un’analisi fedele, equilibrata ed esauriente della situazione della società e dell’andamento e del
risultato della gestione, nel suo complesso e nei vari settori
in cui essa ha operato” (art. 2428 comma 1 c.c.). La norma
specifica l’oggetto dell’analisi e le informazioni che dalla
relazione devono risultare; informazioni che, in caso di atti/ EUTEKNEINFO / SABATO, 18 MAGGIO 2013
vità di direzione e coordinamento, sono ampliate dall’art.
2497-bis comma 5 c.c., ai sensi del quale “gli amministratori devono indicare i rapporti intercorsi con chi esercita l’attività di direzione e coordinamento e con le altre società che
vi sono soggette, nonché l’effetto che tale attività ha avuto
sull’esercizio dell’impresa sociale e sui suoi risultati”. Le informazioni da inserire nella relazione sulla gestione sono state ulteriormente ampliate – con particolare riguardo alla situazione finanziaria della società – dal DLgs. 32/2007.
Anche se le “comunicazioni” da inserire nella relazione sulla gestione devono essere complete e corrette, in funzione
dell’informazione dovuta ai soci (e non solo ad essi, stante il
deposito del documento presso il Registro delle imprese),
deve comunque considerarsi che esse attengono ad un documento che, per espressa indicazione normativa, “correda” il
bilancio, ma non ne rappresenta una parte costitutiva,
escludendosene un’approvazione da parte dell’assemblea. Di
conseguenza, quand’anche dette “comunicazioni” dovessero
rivelarsi carenti, o inveritiere, non si potrebbe addivenire ad
una pronuncia di nullità della delibera di approvazione del
bilancio per illiceità dell’oggetto, ravvisandosi unicamente il
presupposto per l’annullamento per vizio del procedimento di approvazione.
È fatto salvo, peraltro, il caso in cui la carenza dell’informazione di “corredo” risulti tale da rendere non chiaramente intellegibile o, addirittura, tale da falsare sul punto il bilancio
stesso. Si pensi, ad esempio, alle “informazioni” relative
alla situazione finanziaria della società che necessariamente devono essere contenute nella relazione in questione; situazione finanziaria che è oggetto, anch’essa, della rappresentazione veritiera e corretta che il bilancio deve rendere, ex
art. 2423 comma 2 c.c. In tal caso, la carenza si potrebbe
tradurre in un vizio del bilancio e, quindi, dell’oggetto della
delibera di approvazione.
Quanto alla violazione dell’art. 2497-bis comma 4 c.c., i giudici milanesi osservano come, conformemente alla prevalente interpretazione, l’informazione in concreto fornita debba
reputarsi idonea, constando: quanto allo Stato patrimoniale,
dei totali delle immobilizzazioni e delle disponibilità a breve e lungo termine (attivo), nonché dei valori complessivi
del capitale, delle riserve, dei fondi e dei debiti (passivo);
quanto al Conto economico, della differenza tra il valore ed
i costi di produzione, del totale dei proventi ed oneri
straordinari, delle imposte correnti, differite ed anticipate e,
infine, dell’utile e della perdita di esercizio.
/ 08
ancora
PROFESSIONI
Dall’ANC la proposta di una Cassa unica per
tutti i professionisti
La questione è stata affrontata al convegno nazionale svoltosi ieri a Torino, nel corso
del quale si è parlato anche di apprendistato e formazione
/ Angela CAGNETTA
Previdenza, apprendistato e formazione sono stati gli argomenti al centro del convegno nazionale organizzato
dall’ANC e dall’Associazione Commercialisti Piemonte e
Valle d’Aosta, svoltosi ieri a Torino.
Ad intervenire sull’argomento sono stati Marco Cuchel, presidente dell’ANC, Cesare Damiano del PD, Paolo Saltarelli,
presidente della CNPR, il professor Mauro Scarpellini, docente di finanza previdenziale, e Gregorio Tito, direttore
regionale del’INPS Piemonte.
Hanno dato il via ai lavori sono stati Walter Cavrenghi, presidente dell’Associazione Commercialisti del Piemonte e Aldo Milanese, presidente dell’ODCEC Torino. Entrambi hanno sottolineato il bisogno di unità fra tutte le istituzioni di
categoria e la necessità di creare delle sinergie, sia per il
momento che stiamo vivendo sia perché, per quanto riguarda
la questione previdenza, esistono delle incongruenze che
vanno risolte.
La questione delle Casse previdenziali ha suscitato un vivace dibattito, segno evidente che l’argomento è molto sentito
all’interno della categoria e che oggi più che mai è necessario trovare una soluzione.
Sulla questione, l’onorevole Damiano, presidente della
Commissione lavoro della Camera, è stato diretto, affermando che questa non è certamente, almeno in questo momento,
una delle priorità del Governo.
Pur apprezzando la schiettezza di Damiano, Cuchel, presidente dell’ANC, ha fatto notare che in realtà qualcosa si può
e si deve fare, anche perché la questione è “una priorità sociale, dal momento che a risentirne saranno non solo gli
iscritti ma anche le loro famiglie”. Due gli interventi necessari per porre rimedio: innanzitutto la creazione di una sorta
di “supercassa”, ossia una Cassa unica che raccolga tutti gli
iscritti di tutte le Casse professionali e che, avendo più iscritti e dunque maggiori versamenti di contributi, riuscirà a gestire meglio la previdenza. Seconda questione su cui intervenire, secondo Cuchel, è quella di “andare ad incidere sui diritti acquisiti, che purtroppo mettono in conflitto diverse
generazioni di iscritti”.
Secondo il professor Scarpellini, le cause degli attuali problemi delle Casse sarebbero da imputare sì al fatto che i contributi versati sono diminuiti, ma anche alle difficoltà della
finanza. A ciò si aggiungono anche alcuni provvedimenti del
Governo piuttosto contraddittori, come il decreto che ha
consentito all’ISTAT di inserire le Casse (private) nella lista
degli enti pubblici, assoggettandole così ad adempimenti che
non hanno nulla a che fare con la loro ragion d’essere.
D’accordo su questo punto anche Saltarelli, secondo il quale è fondamentale risolvere la questione dell’“ibrido”: le
Casse sono enti pubblici o privati? Il fine, ha detto il presidente della Cassa Ragionieri, è sicuramente pubblico, ma la
gestione deve essere privata ed è giusto che la categoria rivendichi questo aspetto. Concorde anche lui, poi, sulla necessità di dare vita ad un sistema fortemente integrato che
sostituisca quello attuale delle Casse singole.
La questione resta dunque aperta e necessita di interventi
urgenti perché, come ha sottolineato Cuchel, allo stato attuale “il futuro della previdenza è tutt’altro che positivo e
l’adeguatezza delle prestazioni previdenziali è a rischio”.
Direttore Responsabile: Michela DAMASCO
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Il costo eccessivo o antieconomico non “chiama in causa