Giacomo Leopardi nacque a Recanati nel 1798 dalla famiglia dei conti Leopardi. D’ingegno precocissimo,incompreso dai familiari, acquisì una prodigiosa cultura con studi intensissimi (“Lo studio matto e disperatissimo”) che gli rovinarono la salute. Maggiore di dieci fratelli ricevette la sua prima educazione dai precettori ecclesiastici. Leopardi non ha mai vissuto un’infanzia felice, perchè al contrario di altri bambini, che vedevano le cose con il cuore, lui vedeva tutto con il lume della ragione. Dai 10 ai 17 anni,Leopardi, risoluto a studiare da solo, si chiuse nella biblioteca paterna,dove studiò soprattutto la filologia greca e latina (versione della Batracomiomachia di Omero), imparò l’ebraico e le lingue moderne, e fece la storia “Storia dell’Astronomia” e il “Saggio sopra gli errori popolari degli antichi”, e compose un “Inno a Nettuno”, che finse di aver scoperto in un antico manoscritto. Ma in questi 7 anni di “Studio matto e disperatissimo” la sua salute ne soffrì, tanto che a 18 anni pensando di morire presto, scrisse il suo primo carme “Appressamento alla morte”. Ben presto ,però,si riebbe dal suo abbattimento: Egli aveva tradotto il secondo libro dell’Eneide, lo inviò ai più importanti letterati del tempo; il Giordani ,non solo esaltò il giovane autore agli italiani, ma andò a fargli visita a Recanati. S’innamorò della cugina Geltrude,alla quale scrisse una lirica:”Il primo amore”, e dopo poco s’innamorò di Teresa Fattori, figlia del suo cocchiere, alla quale dedicò anni dopo “A Silvia” Ormai Recanati era diventata troppo picccola per le ambizioni di Giacomo e allora tentò una fuga (“Voglio piuttosto essere infelice che piccolo,e soffrire piuttosto che annoiarmi”), ma la fuga fu sventata, e fu sottoposto a rigida vigilanza. Appartengono a questo periodo: L’Infinito,La sera del dì di festa,Alla luna,Ultimo canto di Saffo … Dopo vari tentativi di ottenere un impiego per lasciare Recanati, Leopardi aiutato dallo zio materno, riuscì a trasferirsi a Roma. Ma rimase deluso da una città così frivola e poco ospitale. Non riuscendo ad ottenere un impiego fu costretto a tornare a Recanati. Successivamente, fu a Milano, a Bologna, a Firenze, e a Pisa. Nel 1828 rimasto privo di mezzi, dovette tornare a Recanati. Nel 1830 l’aiuto di alcuni amici toscani, consentirono a Giacomo di allontanarsi definitivamente da Recanati. A Firenze strinse una forte amicizia con A.Ranieri e visse un amore infelice per Fanny Targioni Tozzetti. Leopardi,con l’amico Ranieri si trasferì a Napoli,dove,per il suo clima dolce, trovò molto giovamento per la sua salute. Nel 1837 mentre si preparava per lasciare la città a causa del colera, moriva improvvisamente, forse di mal di cuore, invocando come Coethe la luce. Fu sepolto a Fuorigrotta accanto alla chesa di San Vitale, nel 1839 fu trasferito presso la tomba di Virgilio a Posillipo. Leopardi segna la crisi del Romanticismo. Egli inizia da una premessa eroica: La gloria (lettera al padre quando tentò la fuga); L’amore (lirica “Primo Amore”); La patria (canzone “All’Italia). Ma man mano che procedeva sperimenta la vanità dei suoi ideali, vede intorno a lui il deserto e conclude in uno sconsolato scetticismo (lirica “A se stesso” che è come l’epigrafe del poeta ”Or poserai per sempre-stanco mio cor”). Tutto il reale si riduce a materia e forza : la forza che agita le materie,ha generato il mondo e continuamente lo distrugge mediante il moto, così che il moto circolare della terra è la condizione della sua esistenza e della sua distruzione (ironia delle cose) [Operette Morali]. Ne consegue il concetto della natura matrigna(“Il brutto-poter che,ascoso,a comun danno impara”): essa procede secondo leggi cieche e meccaniche senza badare all’uomo; questo è calpestato e la sua aspirazione alla felicità è un’illusione irraggiungibile (“La Ginestra”). L’uomo potrebbe evitare il dolore a patto di spogliarsi della sua umanità: Con il suicidio (“Ultimo canto di Saffo”); Con il sonno (Alcune “Operette Morali”); Essere incosciente,infatti l’animale incosciente non soffre (“Passero Solitario”). Benché per il contenuto, il Leopardi si può considerare un Romantico, per la forma derivata dagli scrittori classici,egli si riteneva ed è ritenuto tale. L’uomo è sempre alla ricerca del piacere mediante l’immaginazione per compensare l’infelicità reale. Questa è una realtà parallela, in cui l’uomo trova l’illusorio appagamento al suo bisogno d’infinito in tutto ciò che è vago,ignoto. L’ottimismo leopardiano traspare nella sua ultima opera :”La Ginestra”, che è un grido alla speranza, speranza che questo fiore, pur essendo fragile resista a ciò che lo circonda. La stessa speranza che dovrebbe animare gli uomini ad unirsi tra di loro nelle angosce comuni. Il Leopardi nella sua prima giovinezza aveva tradotto dal greco la “Batracomiomachia” (battaglia delle rane e dei topi) un poemetto burlesco. Negli ultimi anni della sua vita, ne compose una fantastica prosecuzione “Paralipòmeni” (casi omessi nel primo racconto). Egli narra della infelice insurrezione dei liberali napoletani del 1821 (i topi = liberali; le rane = i conservatori; i granchi, venuti in aiuto delle rane = austriaci). L’autore deride tutti: il suo pessimismo, non gli consentiva ormai nessun interesse alla lotta per il Risorgimento. Per concludere, vi propongo un articolo di Erlinda Guida, che spiga la natura, con le parole di Giacomo Leopardi. Una volta, in sogno, mi chinai verso il suo orecchio, lui stava scrivendo qualcosa, curvo sulla sua scrivania a lume di candela, e gli sussurrai piano: Giacomo… che cos’è il male?”Lui smise di scrivere, non si voltò verso di me, guardava in avanti verso un punto indefinito, e poi chinando di nuovo il capo mi rispose a labbra strette: “Tutto è male. Cioè tutto quello che è, è male: che ciascuna cosa esiste è un male; ciascuna cosa esiste per fin di male; …” [ Zibaldone, pag. 4174 ] Vide da lontano un busto grandissimo; che da principio immaginò dovere essere di pietra, e a somiglianza degli ermi colossali veduti da lui, molti anni prima, nell’isola di Pasqua. Ma fattosi più da vicino, trovò che era una forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi; …” [ “Dialogo della Natura e di un Islandese" ] ‘Dialogo della Natura e di un Islandese’. Io per fortuna, l’ho sentito spiegare da una delle insegnanti più brave della ‘Sapienza’. Lei parlava, e io mi persi nelle sue parole. Il mondo intorno a me scomparve e vidi immediata e precisa l’immagine della Natura, sotto forma di donna, terribile eppure incredibilmente affascinante. Simbolo del male per l’uomo ( secondo Giacomo ), sedeva in una posa elegante, quasi fatale, col volto più bello degli angeli e appunto per questo immobile ed inquietante nella sua ultraterrena bellezza. Un po’ come Lucifero, simbolo del male più assoluto eppure di una perfezione stupefacente. Poggiava il gomito su una montagna, con disinvoltura toccava ciò che essa stessa aveva creato, ciò che da sempre era stato suo perché nato da lei. È la storia di un uomo che fugge, cercando ciò che in realtà non esiste: la libertà. La storia di un uomo che racconta la storia di tutti gli uomini… Poi mi scuoto dai miei pensieri, ascolto il suono del vento tra le foglie, e un lontano cinguettio di uccelli. Mi consolo pensando che non può essere tutto lì, non può essere tutto una facciata, non è possibile che sia quello il nostro destino. “Giacomo allora come fare? Rinnegare ogni cosa, rinnegare la Natura ?” Lui si voltò, mi guardò negli occhi severo e rassegnato e con voce decisa mi rispose: “… è manifesto che colui che ignora una parte, o piuttosto una qualità una faccia della natura … ignora un’infinità di rapporti, e quindi non può non ragionar male, non veder falso, non iscuoprire imperfettamente, non lasciar di vedere le cose le più importanti, le più necessarie ed anche le più evidenti. Scomponete una macchina complicatissima, toglietele una gran parte delle sue ruote, e ponetele da parte senza pensarvi più; quindi ricomponete la macchina, e mettetevi a ragionare sopra le sue proprietà, i suoi mezzi, i suoi effetti: tutti i vostri ragionamenti saranno falsi, la macchina non è più quella, gli effetti non sono quelli che dovrebbero …” [ Zibaldone pag 3236 ]