Liceo Laura Bassi – a.s. 2004 – 2005
LEOPARDI A BOLOGNA
Saletta da The
Si narra che il poeta Giacomo Leopardi durante il suo soggiorno a Bologna,
invitato a Palazzo Malvezzi, trascorresse il tempo in questa sala discorrendo
di poesia con la Contessa Malvezzi della quale si dice fosse invaghito.
Rielaborazioni e riflessioni a cura delle
alunne delle classi IV A e IV H
Progetto
“Lettura, pensare l’ Italia attraverso i classici”
I azione
Analisi attraverso lezioni frontali e lavori di gruppo di brani
tratti dalle opere in bibliografia
II azione
Produzione di un dossier contenente gli articoli scritti dagli
alunni
III azione
Visita guidata ai luoghi leopardiani; Palazzo Pepoli e Palazzo
Malvezzi (23 marzo 2005)
IV azione
Evento teatrale
Titolo: Leopardi tra finito ed infinito
Sottotitolo: Drammatizzazione in tre quadri: Leopardi uomo e
amante, Leopardi filosofo, Leopardi poeta.
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INDICE
1) Bologna giacobina a cura di Elisa Pancaldi
2) Bologna durante la Restaurazione a cura di Stefania
Magnanini
3) I moti insurrezionali del 1830-31 a cura di Elisa Pancaldi
4) Leopardi a Bologna a cura di Stefania Magnanini
5) Sguardo sul mondo accanto ad un cratere - saggio di Lisa
Bignami
6) L’evoluzione del concetto di “sublime” e la concezione di
Leopardi - saggio di Stefania Magnanini
7) L’infinito desiderio del piacere - saggio di Martina Storari
8) La visione del mondo di Giacomo Leopardi - saggio di Viola
Scalcione
9) Discussione impossibile fra leopardi e alcuni personaggi del
passato...dialogo a cura di Beatrice Fiacchi
10)
Leopardi tra finito ed infinito
Drammatizzazione in tre quadri: Leopardi uomo e amante,
Leopardi filosofo, Leopardi poeta.
§ Dialogo tra la contessa Teresa Malvezzi e Giacomo Leopardi
riduzione teatrale a cura di Chiara Bignardi ed Ester
Droghetti
§ Dialogo della Moda e della Morte riduzione teatrale a cura di
Caterina Sgarzi
§ A Silvia - Evento teatrale a cura delle classi IV A e IV H
11)
Bibliografia
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Il contesto storico e biografico
Rielaborazioni sui testi analizzati
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1) BOLOGNA GIACOBINA
a cura di Elisa Pancaldi
SITUAZIONE SOCIALE, POLITICA E CULTURALE A BOLOGNA
DURANTE IL TRIENNIO GIACOBINO (1796-1799)
In seguito all’arrivo dei francesi a Bologna, verso la fine del 1796,
ebbe inizio una fiorente stagione teatrale, sbocciata in un clima
culturale profondamente segnato dal secolare rapporto, sovente
conflittuale e ostile, tra le antiche istituzioni comunali, di cui fu
rappresentante a Bologna il Senato, e l’autorità ecclesiastica.
In tale contesto il teatro divenne strumento prettamente
pedagogico, atto a raccogliere l’adesione di una classe dirigente e
di una popolazione estranee agli ideali dell’illuminismo giacobino,
propagandati attraverso una campagna pubblicitaria promossa da
Napoleone Bonaparte, al fine di liberare l’Italia dal giogo della
potenza austriaca.
Bologna, nella seconda metà del ‘700, era retta da un doppio
governo, che perdurava da secoli. Tale istituzione politica si
componeva di un governo locale, presieduto dal Senato,
espressione dell’antica tradizione comunale ed ispirato ad una
concezione politica particolaristica, e del governo del Cardinale
Legato, delegato ad esercitare il potere temporale dal Papa.
La città era formalmente posta sotto l’autorità ecclesiastica ed era
autonoma in campo economico ed amministrativo sin dal 1447.
Nel 1780 papa Pio VI tentò di estendere alla città il Piano
Economico ispirato al riformismo illuminato, varato dal governo
centrale.
In seguito all’introduzione del Catasto, operata dal Legato,
l’autonomia di cui godeva il Senato, in ambito economico, fu
drasticamente ridimensionata. L’antica istituzione comunale
perseverava ancora nella speranza di ristabilire l’originaria libertà
bolognese, vincolata e lesa dal Pontefice.
Attraverso la stampa francese, ispirata prevalentemente a
Voltaire, e per mezzo della stampa italiana, le idee dell’illuminismo
penetrarono a Bologna, ove trovarono un terreno fertile su cui
attecchire, in quanto i bolognesi manifestarono una particolare
propensione ad appoggiarle, per via dell’anticlericalismo della
città.
Nel 1794 due studenti, Zamboni, bolognese, e De Rolandis,
piemontese, tentarono di fomentare un’insurrezione popolare
distribuendo volantini all’uscita dai teatri a favore dell’Unità
d’Italia. La congiura fu scoperta e i due giacobini furono
imprigionati e condannati. Zamboni si tolse la vita in carcere e De
Rolandis fu giustiziato alla Montagnola.
Il 18 giugno 1796 Napoleone entrò negli Stati Pontifici e il giorno
seguente, durante la notte, sopraggiunse a Bologna.
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Occupò simbolicamente piazza Maggiore, gesto che designò il primo
scontro tra la cultura bolognese e quella francese.
Napoleone si stabilì a palazzo Pepoli. Convocò poi il Senato
attribuendogli il potere legislativo ed esecutivo, chiedendo il
giuramento di fedeltà alla Repubblica Francese.
Riabilitò le figure di Zamboni e De Rolandis in qualità di martiri della
libertà, esigendone la sepoltura con tutti gli onori in Montagnola.
Napoleone costrinse la nobiltà bolognese ad un profondo mutamento
culturale, le negò il diritto di proprietà feudale, che si trasformò in
proprietà privata.
Di fatti la nobiltà bolognese conduceva una vita frivola, tra vizi e
passioni, legata al gioco e alla galanteria. Il momento di incontro
ludico tra i rappresentati di una cultura ecclesiastica,
sostanzialmente corrotti, e i rappresentanti di un mondo laico,
brillante ma superficiale, insensibile ad ogni rinnovamento, veniva
denominato “Conversazione per la nobiltà”.
Il Cardinale Legato concesse agli aristocratici l’uso della maschera
durante il Carnevale, che divenne occasione di violenze impunite,
artificio dell’aristocrazia bolognese.
Napoleone pertanto promosse e operò una radicale trasformazione
non solo a livello culturale, bensì anche a livello politico, attingendo
al pensiero giacobino, che maturò prevalentemente in ambito
massonico, nel periodo tra il 1789 e il 1799.
Il “Liberatore” istituì una commissione al fine di studiare la futura
Costituzione borghese, che sarebbe sorta con l’obbiettivo di tutelare
la proprietà privata, ispirandosi a criteri censitari, sul modello della
Costituzione francese dell’anno III.
La Costituzione fu approvata in San Petronio il 4 dicembre 1796.
Si trattò dunque della prima Costituzione del nostro paese, che gettò
le basi per il fondamento di uno Stato nazionale fondato sulla
sovranità popolare.
La città in breve tempo fu piena di fermento, in quanto i bolognesi
giacobini si scagliarono contro aristocratici e preti, nonché contro lo
stesso Senato, simbolo del conservatorismo.
Il contrasto tra il governo provvisorio del Senato e i giovani estremisti
giacobini si accentuò.
I giacobini bolognesi fondarono nel 1796 il Circolo Costituzionale, che
si radunava presso l’Archiginnasio, in cui si svolgevano dibattiti sul
testo della Costituzione.
In esso confluivano intellettuali giacobini provenienti da tutta Italia,
tra i quali Ugo Foscolo.
Bologna divenne inoltre un centro giornalistico importante.
Dopo l’elezione di un Direttorio cispadano il Senato si sciolse con un
proclama del 30 ottobre 1796.
La cultura bolognese iniziò a diffondersi, tuttavia i promotori
giacobini destavano diffidenza e sospetto, più che riscuotere
simpatia e consenso. Si temeva l’esuberanza di codesti, il
mutamento sociale da essi predicato e i tumulti che ne potevano
scaturire.
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Si organizzarono banchetti per i poveri, al fine di far fronte al
problema della povertà, da parte dei nobili bolognesi.
A causa dell’ostilità dell’ambiente il problema politico si pose a
Bologna prevalentemente come problema educativo, ed è in
codesta prospettiva che nacque il Gran Circolo Costituzionale di
Bologna, riunitosi per la prima volta il 23 dicembre del 1797
all’Archiginnasio. Il Circolo aveva un proprio statuto. Gli scopi che
perseguiva vertevano sulla diffusione dell’istruzione, sulla
distruzione della superstizione e dell’ignoranza, consolidando la
libertà, e sollevando il popolo dalla povertà.
Il Circolo promosse varie iniziative pubbliche che coinvolsero la
città, tuttavia ebbe vita breve, poiché fu definitivamente chiuso con
l’ingresso degli austro-russi.
Gli appartenenti al Circolo erano di diversa estrazione sociale, in
prevalenza si trattava di coloro che oggi verrebbero definiti piccoli e
medi borghesi.
Nelle riunioni del Circolo, fra le varie tematiche politiche affrontate,
la prima fu senz’altro quella della povertà, che scisse la parte
moderata da quella estremista sui metodi per combatterla. Un altro
problema che suscitò accesi diverbi fu quello religioso.
Progressivamente fiorirono allestimenti teatrali come principale
strumento di istruzione e pubblica educazione.
Nel ‘700 il teatro letterario si sviluppò in un primo tempo in ambiti
privati, con compagnie di attori dilettanti.
A Bologna, in particolare, operò l’Albergati, bolognese e nobile di
nascita, che fu tra i più noti rappresentati della tradizione teatrale
locale.
L’Albergati scrisse prevalentemente commedie di stampo
goldoniano e, seguendo la moda francese, sferzò i vizi della
nobiltà, senza tuttavia inserirsi nella drammaturgia di tipo
giacobino.
L’Albergati non riuscì mai ad accettare la rigidità di un teatro
educativo, quale era quello giacobino, e non tollerò il ruolo
dell’intellettuale consenziente all’organizzazione politica.
Tra il 1796 e il 1799, a Milano, a Bologna, a Roma e a Napoli, si
allestirono tragedie che predisponevano il pubblico all’accettazione
di una forma di rappresentazione teatrale che diveniva strumento
di propaganda ideologica e politica, e che raccoglieva opere molto
diverse per stile, genere e tecnica drammatica. Poche opere
godevano di fama nazionale.
La prima fase, dal ’96 al ’99, del teatro giacobino coincise con
l’occupazione napoleonica e si concluse con le persecuzioni che
seguirono la partenza dei francesi.
La seconda fase fu ispirata dalla nuova politica ideologica e
culturale più moderata, anche nei confronti della Chiesa, da parte
di Napoleone.
Al teatro polemico e satirico subentrò un’arte compostamente
classica e aulica.
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L’eccessivo formalismo e la mancanza di una reale libertà finirono
con l’inaridire l’ispirazione degli autori.
Con l’entrata dei francesi, il teatro comunale e la piazza diventarono
luoghi di ritrovo patriottici.
In piazza si tenevano spettacoli e si organizzavano banchetti; in
teatro si recitavano nuovi drammi di ispirazione giacobina e si
svolgevano frequenti balli e feste.
Si aprirono nuovi e più idonei ambienti destinati a rappresentazioni
liriche o di prosa, altri vennero invece trasformati in luoghi in cui si
poteva insegnare l’amore per la patria e per la libertà, gli ideali di
uguaglianza e di fraternità.
Il modello della festa era quello francese, spesso la sua data
coincideva con una ricorrenza di rilievo per la rivoluzione.
L’obbiettivo che si prefiggeva il teatro giacobino era quello di
diffondere la cultura illuministica attraverso un coinvolgimento
sentimentale e ideale degli spettatori.
Si cercò di radicare l’adesione al giacobinismo nelle coscienze,
utilizzando il teatro come strumento di conversione del popolo.
Il Circolo Costituzionale e i giornali bolognesi acquisirono carattere
teatrale, mentre il teatro si trasformò in sede privilegiata del dibattito
politico, definendo la figura del vero patriota, colui che è “illuminato”
e non “fanatico”, ardito ma prudente, la cui parola rifugge dalla
meschinità come dalla retorica enfatica, come una scheggia che
penetra nel cuore del popolo senza ferirlo.
Fu una nuova moralità laica e democratica a prendere il posto di
quella ecclesiastica.
I giornali riportarono ed amplificarono gli avvenimenti politici e
culturali.
Il 21 gennaio 1797 si inaugurò il Teatro Civico, espressamente
chiesto dalla stampa.
I bollettini militari delle imprese napoleoniche si alternarono alle
locandine degli spettacoli teatrali.
Un ostacolo non insignificante fu riscontrato dal teatro patriottico in
un pubblico immaturo, composto prevalentemente da ex nobili che
non gradivano essere denigrati nei propri vizi e difetti.
La tematica che sembrò coinvolgere maggiormente i bolognesi fu
quella della corruzione del clero. Tale argomento fu affrontato
inscenando opere, come ad esempio “Il Conclave”, ponendo in risalto
l’ipocrisia delle gerarchie ecclesiastiche, oppure attraverso una vasta
produzione scritta.
Il 23 giugno del 1800, dopo la vittoria di Marengo, i francesi fecero
ritorno a Bologna, dapprima furtivamente e solo il 28 giugno
ufficialmente la città fu loro consegnata.
Ma lo spirito di Napoleone, divenuto I Console formalizzando il
proprio potere, mutò, in quanto sul popolo si abbatterono ulteriori
tasse e la mancanza di viveri fu il problema principale che il governo
provvisorio dovette fronteggiare.
Il 12 novembre 1801 la Consulta di Lione elaborò la nuova
Costituzione; Napoleone pertanto decise di nominare la Repubblica
non più Cisalpina bensì Italiana.
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La nuova amministrazione impose in ogni campo il rispetto assoluto
della linea politica napoleonica, ripudiando il giacobinismo.
Nel giugno del 1804, dopo la sua proclamazione ad Imperatore dei
Francesi, Napoleone, dopo averla formalmente offerta al fratello
Giuseppe che la rifiutò, assunse anche la corona del Regno d’Italia. Il
nuovo sovrano entrò nel Regno il 18 giugno 1805.
Fu la fine del periodo repubblicano.
Giovanni Battista Gaetano De Rolandis
(Castell'Alfero, 24.6.1774 - Bologna,
23.4.1796), che per le sue idee liberali e
patriottiche fu il primo martire del
Risorgimento Italiano, condannato a morte
tramite impiccagione a Bologna.
A. Appiani (incisione da),
L' incoronazione di Napoleone a Re d'Italia (da I Fasti
Napoleonici), 1805 ca., fotografia delle Civiche Raccolte di
Stampe Achille Bertarelli, Milano
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2) BOLOGNA NEL PERIODO DELLA RESTAURAZIONE
a cura di Stefania Magnanini
Dalla prima caduta di Napoleone nel 1814 le potenze d' Europa si
erano riunite a Vienna a Congresso. La fuga di Napoleone dall' Elba
le aveva brutalmente sorprese, e il Congresso era stata sciolto. Dopo
Waterloo esso fu ripreso.
Giacomo Leopardi nasce nel 1798 a Recanati, paese appartenente
allo stato pontificio,che nel periodo della restaurazione aveva il
dominio anche su Forlì, Ravenna, Ferrara e Bologna sotto il titolo di
Legislazioni; nel frattempo l'Austria voleva prendere il potere
sull'Italia per la sua posizione geografica, ma ad essa fu annesso
solo il Lombardo-Veneto.
Nella restaurazione in Italia, ritornarono gli antichi sistemi e i vecchi
codici. Cancellata l'uguaglianza dei cittadini davanti alle leggi,
riapparvero i privilegi. I Giacobini cioè i liberali furono considerati i
nemici della società e della pace, ribelli che bisognava combattere.
Lo Stato inutilmente si affannerà a coprire il vuoto della vita
nazionale, divertendo i popoli con programmi di feste e di vita
allegra. Divertire può essere un programma di governo;ma è un
programma pericoloso. Al di fuori, teatri, balli, ballerine e cantanti,
musica e accademie letterarie. Il Romanticismo, si trasforma nel
sogno di libertà, una musica allegra che diventa invocazione. Alle
condizioni generali d' Italia si uniscono le condizioni particolari dello
Stato della Chiesa e di Bologna. Lo Stato veniva diviso in quattro
Legazioni (le Romagne e Bologna), e in quindici delegazioni (Marche e
Umbria). La Legazione, era divisa in governi, retti dai governatori, e i
governi in comuni, amministrati da un consiglio comunale. Ma
politicamente nessun diritto era riconosciuto, nessuna libertà.
Il dominio Pontificio che ritornava era doppio, politico e religioso, il
sovrano era papa e re. I privilegi del clero, soppressi con tanta
violenza dalla rivoluzione, con altrettanta violenza venivano
rivendicati. E più irritante, più insopportabile di tutti questo: che solo
al clero fossero riserbate le maggiori cariche pubbliche.
Durante la restaurazione nacquero per necessità alcune sette
segrete. Con le nuove teorie filosofiche e i principi di libertà che
avevano segnato la seconda metà del settecento, sette numerose
erano già nate, prima in Inghilterra poi in Francia,che avevano
lavorato a preparare il trionfo delle nuove idee.
Fra queste più importanti furono la Carboneria e la Massoneria che
erano a titolo nobiliare. Anche a Bologna era stata fondata una
Loggia,chiamata I figli dell'onore, cui apparteneva Luigi Zamboni. Ma
la Carboneria uscì presto dai concetti astratti e filosofici,per
immedesimarsi coi bisogni del tempo; essa ebbe carattere politico e
un fine immediato:la distruzione della tirannide. Ed è per questo che
diventa argomento principale nella storia d'Italia dal 1815 al 1831.
Si diffuse a Napoli sotto il re Gioacchino Muratti e successivamente si
unì alla società dei Raggi durante la prima guerra d' indipendenza.
Negli stati ecclesiastici era diffusa la setta Carbonara dei Guelfi.
Bologna ne era il centro; essa si era innestata sulla vecchia società
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dei Raggi,e irradiava nelle Marche, a Milano, a Torino. Le
adunanze si tenevano in casa del Principe Astorre Hercolani. I
Guelfi avevano riti più semplici e meno formalità: non grandi
adunanze, ma il programma più preciso. Si proponeva
l'indipendenza d' Italia con una forma federativa, libertà di stampa
e di culto, eguaglianza di legge, di monete, di pesi, di misure.
Contro le sette carbonare dovevano naturalmente organizzarsi
altre sette occulte per combatterle, la Santa Unione e i Calderai. Le
sette furono chiamate le catacombe politiche d' Italia.
A Bologna vi era un periodo di eccezionale tranquillità.
Nei processi pubblici vi era libertà di parola, la stessa Bolla di
condanna alla Carboneria, emanata da Pio VII nel 1821, lasciò
indifferente la popolazione, e i parroci poterono liberamente
rifiutarsi di leggerla nelle Chiese, sotto pretesto di non esporre la
loro vita che il governo non avrebbe potuto garantire.
Difatti un vero osservatorio pubblico è la cronaca del Conte
Rangone, composta da 84 volumi,che vanno dal 1814 al 1845.
Tratta ogni cosa: politica, religione, governo, musica, vita
mondana, una miniera inesauribile e non del tutto esplorata, con
corredo di documenti preziosi.
Il conte Francesco Rangone poi ritiratosi a Bologna a vita privata
era un uomo di moderati sensi liberali; voleva l'ordine nella libertà,
odiava l' Austria ed amava l' Italia.
Il Rangone segna scrupolosamente i fatti: La rivolta militare dei
Carbonari a Napoli nel 1820. Egli racconta come al Congresso di
Lubiana le potenze di Europa, Austria, Russia, Francia, Due
Sicilie, Sardegna, Toscana, Stato della Chiesa, si proponessero di
guarire i popoli dal delirio della costituzione,armando la Santa
Alleanza contro i ribelli. Difatti un esercito di 80 mila soldati
austriaci comandati dal Frimont, fu mandato nel Napoletano.
Per 10 giorni, dal 10 al 19 marzo 1821, transitarono le truppe per
Bologna. E come del Napoletano, egli parla dell'insurrezione
piemontese del 21, di Vittorio Emanuele abdicatario, di Carlo
Alberto, di Santorre di Santarosa e di Carlo Felice.
Nel 1822 si era stabilito a Bologna il principe Felice Baciocchi,
vedovo di Elisa, sorella di Napoleone e Granduchessa di Toscana.
Dalla famiglia Ranuzzi egli aveva comperato il Palazzo Ruini. Il
Principe pensava d'abbellire e ingrandire il palazzo aprendolo a
feste obliose,cui conveniva tutta Bologna del nome, del censo della
cultura. L'università languiva, ma quel poco di attività intellettuale
che il tempo concedeva alla luce del sole, si era raccolto nei club
letterari e specialmente nel Circolo Felsineo; fondato nel periodo
napoleonico e ritrovo dei coltivatori delle arti e delle lettere .
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Giovanni Marchetti
Nato a Senigallia nel 1790 e morto a Bologna
nel 1852, conobbe Leopardi e lo annoverò tra
gli autori più illustri nella sua opera Cenno
intorno allo stato presente della letteratura in
Italia
Cornelia Rossi Martinetti.
Dal 1830 si trasferì definitivamente a
Bologna ed aprì la sua casa ad artisti e
letterati.
Molto amata e ammirata da tutti fu
amica, tra gli altri, di Ugo Foscolo e
del Canova e intrattenne un’affettuosa
corrispondenza con Giacomo Leopardi
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3) MOTI INSURREZIONALI DEL 1830-31
a cura di Elisa Pancaldi
Dopo la morte di Pio VII divenne papa Leone XII, che attuò
moltissime riforme positive, ma altrettante per nulla innovative,
molto legate al passato e bigotte. Curò in prevalenza l’istituzione
dell’Università, ricostituì i ghetti e obbligò gli studenti universitari a
frequentare le funzioni sacre. Restrinse il commercio dei vini e
attuò gravi provvedimenti sulle vesti delle donne. Nel frattempo
l’Italia era travagliata da una perenne battaglia fra le diverse
sette.
Nel 1824 sopraggiunse a Bologna il Cardinale Rivarola, che non
era un prete, ma solo un prelato. Fu molto severo con il popolo e
stabilì pene molto pesanti alla Carboneria ed alla Massoneria, e al
contempo inviava missionari per le strade a seminare concordia e
amore. Subì un attentato, senza vendetta. Lasciato il governo gli
successe Invernizzi.
Invernizzi è ricordato per l’Istituto della Spontanea. Costui
sosteneva di possedere una lista di tutti i partecipanti alla
Carboneria e alla Massoneria e chi si sarebbe denunciato
spontaneamente avrebbe avuto risparmiata la vita. Tra spie ed
egoisti, i morti furono numerosi. A Bologna si viveva un clima di
tensione e la setta dei Guelfi era sempre più prudente.
A Modena era asceso al potere Francesco IV, che nel 1822 per
punire i prevenuti della Carboneria aveva istituito il Processo di
Rubiera: 47 indiziati erano stati condannati a gravi pene ed uno, il
più innocente, Andreoli, alla decapitazione.
A Parma e Piacenza la situazione era maggiormente tranquilla.
In Francia con Carlo X, nel luglio del 1830, come conseguenza
dell’emanazione di quattro ordinamenti intollerabili da parte del
popolo, Parigi insorse e la Guardia nazionale si rifiutò di agire
contro gli insorti per tre giornate consecutive, il 27, 28, 29 Luglio.
Carlo X fu costretto ad abdicare e il potere andò a Filippo
d’Orleans, il cui regime di stampo oligarchico non trovò appoggio
nell’alto clero, poiché cattolicesimo e liberalismo erano
inconciliabili, nei bonapartisti di Luigi Napoleone e nei legittimisti
borbonici.
Il Belgio acquistò l’indipendenza dall’Olanda e la Polonia insorse
contro la Russia.
In Italia Misley e Ciro Menotti chiesero aiuto ad Enrico IV per una
nuova insurrezione, da cui quest’ultimo sperava di trarne
vantaggio in un eventuale espansionismo territoriale. La stampa
pubblicò opuscoli in grande quantità e anche i carbonari più restii
si unirono per questa rivolta.
Francesco IV si allontanò poi dalla rivolta di cui il bersaglio
principale era l’Austria.
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A Bologna e Modena erano iniziate diverse rivolte e, il Governo
Provvisorio, che era stato istituito a Bologna, perse quasi tutto il suo
potere.
Si diffusero sentimenti patriottici e di rifiuto verso l’autorità pontificia.
Fu costituito il Governo delle Province Italiane, composto dalle
province liberate dal dominio pontificio, la Romagna, le Marche,
Bologna.
Lo stemma era un’aquila sopra un fascio consolare, annodato da un
nastro tricolore.
Si pensava che l’Austria non avrebbe più attaccato. Anche i giovani
parteciparono; con molto coraggio, ma poca tecnica.
Era stato nominato papa Gregorio XVI che non sapeva purtroppo
agire a livello politico. Promise riforme e liberazioni, ma ciò non fece
altro che incrementare il numero degli oppositori. Il Cardinal
Benvenuti fu inviato ad Ancona per calmare le acque, ma fu preso in
ostaggio e rischiò di essere ucciso dai rivoltosi, se il Dott. Sarti
(oppositore, indignato per le morti insensate) non lo avesse protetto.
La Santa Sede chiese ausilio all’Austria.
I bolognesi si erano affidati alla Francia contro l’Austria, ma i
francesi rivendicarono il non intervento e non aiutarono gli italiani.
Questi ultimi da Bologna ad Ancona aumentarono la loro pressione.
L’Austria riconquistò le Legazioni e gli Italiani a Rimini tentarono di
opporsi, ma fu tutto inutile e liberarono anche il Cardinal Benvenuti.
Alcuni insorti a cui avevano concesso la libertà di emigrare
scoprirono che i patti non erano stati mantenuti e furono fermati, in
quanto erano stati traditi dall’italiano Francesco Bandiera in accordo
con gli austriaci (tra gli insorti vi era anche Carlo Pepoli).
Venne scritto il Memorandum in una riunione delle potenze
(Inghilterra, Russia, Prussia, Francia) che consisteva nell’attuazione
di riforme amministrative e giudiziarie, nell’ammissione dei laici al
Governo e in una Consulta di Stato.
Si apriva così un apparente momento di pace, anche da parte
dell’Austria.
Nel 1832 le province poterono avere un esercito proprio, tuttavia i
soldati rivendicavano lo stemma specifico della propria città e non
quello pontificio.
Le Università furono chiuse e gli insegnanti poterono solo lavorare in
privato.
Il papato costituì un esercito proprio formato perlopiù da centurioni
(volontari) e da due Reggimenti Svizzeri di cattolici. Avanzarono nelle
città della Romagna e a Bologna; fu un continuo spargimento di
sangue. Gli austriaci giunsero a Bologna in veste di liberatori.
Anche i Francesi vennero in Italia, stabilendosi nella Rocca di
Ancona e lì restarono fino a quando gli Austriaci non se ne andarono
da Bologna.
Contro le precedenti sette della Carboneria si schierò il politico
democratico Mazzini, che nel 1831 fondò la Giovine Italia, che
avrebbe dovuto comprendere anche le masse popolari.
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Le sue teorie rimasero solo a livello ideale, in quanto i moti
mazziniani fallirono. Nel ‘34 si stabilì un momento di pace sia a
livello politico che sociale.
Conte Carlo Pepoli, patriota e letterato (Bologna 1796 -1881).
Vice presidente dell’Accademia dei Felsinei, accolse Leopardi nel 1825
che ivi lesse l’epistola a lui dedicata
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4) LEOPARDI A BOLOGNA a cura di Stefania Magnanini
Dal 1817 Giacomo Leopardi fu dominato da due preoccupazioni: la
volontà di entrare a far parte del mondo dei letterati e la sua ricerca
personale d’indipendenza economica. Per quanto riguarda il primo
obiettivo, Leopardi, diciannovenne, iniziò una serie di pubblicazioni
che gli consentirono di instaurare una fitta rete di rapporti epistolari
e che lo fecero apprezzare da alcuni famosi letterati italiani tra i quali
il Giordani che diverrà suo carissimo amico. Il poeta poi cercò di
risolvere il secondo problema, quello dell'indipendenza economica,
prestando la sua opera al lavoro editoriale sollecitato che gli venne
da Roma e Milano tra il 1822 e il 1825. All'attività editoriale è legato
il suo soggiorno a Bologna. La scelta di questo soggiorno soddisfa
almeno due esigenze del poeta: la prima, allontanarsi il quanto più
possibile dall'ambiente papalino romano che gli offriva poco rispetto
alla sua Recanati; la seconda è la sua esigenza era quella di non
allontanarsi troppo dal borgo di Monte Morello, dove si trovava la sua
casa e la sua famiglia. Ecco allora che il poeta lasciò Roma, dove
aveva vissuto per sei mesi, ospite dello zio Antici , fuggendone
deluso per gli intrighi di corte. La stessa sorte toccò alla città di
Milano, considerata poco attraente e secondo il Leopardi troppo
lontana dalle sue abitudini. A Milano però Leopardi dovette tuttavia
recarsi e vi soggiornò due mesi, che era il tempo necessario per
accettare l'offerta che gli veniva fatta dall'editore Stella. Si accordò
con Stella per sorvegliare da lontano l’edizione di Cicerone a Milano,
ma la paga che gli dava ( dieci scudi al mese ) non gli bastava per
vivere di tasca propria a Bologna e quindi fu costretto a dare
ripetizioni di latino e greco a due giovanotti benestanti. Leopardi
scelse Bologna, pur avendone un'idea vaga. Leopardi considerava
Bologna una piccola città più congeniale ai suoi interessi, sia politici,
che letterari, la giudicava, infatti, più libera poiché il suo ambiente
culturale era più confacente ai suoi interessi. In essa si poteva
respirare quell'aria di classicismo da lui amata e tra i suoi abitanti
spiccava la figura del marchese Angelelli, ammirato da anni dal
poeta. Leopardi si aspettava dalle grandi città, compresa Bologna,
non solo il presente ma anche delle conferme di un passato sempre
conosciuto e ricercato sui libri. L'idea di Bologna che Leopardi si era
costruito era in parte merito del rapporto epistolare che con la città
aveva iniziato il 31 luglio 1818. Corrispondente della prima lettera fu
Pietro Giordani.
Negli otto anni che intercorsero tra la prima lettera e il suo soggiorno
bolognese quello che nei primi anni era solo definito come rapporto
casuale ben presto si trasformò in un grande sodalizio anche grazie
all'amicizia col bolognese Pietro Brighenti. In quegli anni, infatti, il
Brighenti fu compagno, sostenitore e complice di Leopardi aiutandolo
in molte situazioni difficili che esso dovette affrontare.
Il loro sodalizio prima epistolare divenne poi un forte legame
d'amicizia a partire dalla prima sosta a Bologna del poeta. A Bologna
Leopardi arrivò per la prima volta sulle ali delle due Canzoni
16
"All'Italia" e sul "Monumento di Dante", che, dopo grossi sacrifici e
a sue spese, aveva fatto stampare a Roma. Le Canzoni furono
annotate da un gruppo d'intellettuali. Leopardi fu accusato di
essere un panegirista nei confronti del Monti ossia di avere cercato
di accattivarsene le lodi. Fu accusato di menzogna. A Leopardi
quelle critiche non giunsero mai per l'amorevole "confidenza" che
ricevette dal Brighenti. Un'altra incomprensione tra il poeta e i
letterati bolognesi si ebbe in occasione della stampa del
Canzoniere (1824). Il quattro agosto 1823 il Leopardi scrive al
Giordani di aver posto insieme un tometto di versi. Nel novembre
dello stesso anno si improvvisò talent scout, poiché propose i Nobili
come stampatori della sua opera. Ancora una volta l'amico
bolognese dimostrò la sua disponibilità verso il poeta
aggiustandogli con questa sua idea la sua situazione finanziaria
che per il Leopardi fino ad allora non era stato un problema
piccolo. Mentre tutto sembrava andare per il verso giusto arrivò la
censura a dilazionare i tempi della stampa. Il 17 marzo del 1824
Brighenti informa Leopardi che "il frate Revisore" al quale aveva
mandato il libro non ne consente la stampa. Ed il 27 marzo dello
stesso anno gli dovette dare l'annuncio di un nuovo fallimento: pur
avendo fatto di tutto presso quei revisori nessuno voleva
pubblicargli l'opera. Finalmente però il 5 maggio Brighenti
annunciò a Leopardi che il nuovo revisore aveva acconsentito alla
stampa del "Canzoniere". Purtroppo le lodi del revisore e quelle del
Brighenti erano le uniche che ricevette dalla città di Bologna. Era,
infatti, preoccupato che le sue Canzoni non avessero offeso
nessuno. Quella paura gli fece addirittura pensare di lasciare il
mestiere di poeta se il caso fosse divenuto disperato. Brighenti
confermò il timore del poeta. Brighenti per quanto gli era possibile
cercò in ogni modo di aiutare Leopardi pubblicizzando il merito
della sua opera sul suo giornale "Il caffè di Petronio".
Il 17 luglio 1825 in viaggio verso Milano Leopardi effettuò un
soggiorno di dieci giorni a Bologna durante i quali poté conoscere
di persona il Brighenti e riabbracciare l'amico Giordani.
Leopardi ha vissuto a Bologna in tre momenti diversi. La prima è
stata dal17 al 26 luglio 1825( per rimettersi dalla sua malattia agli
occhi ), tornando per un periodo più intenso il 29 settembre. Per
questa volta rimane fino al 3 novembre, giorno in cui ripartirà per
la sua città natale. La terza volta sarà a Bologna dal 26 aprile al
20 giugno 1826.
A Bologna Giacomo voleva ritrovare una piccola tana, per condurre
secondo i suoi ritmi una vita finalmente guadagnata “ con la
penna”.
Arrivato per la prima volta a Bologna, Leopardi fu ospite nel
convento di S.Francesco, in Piazza Malpighi, mentre nella seconda
permanenza prese in affitto un appartamento a casa Badini,
vicino al teatro comunale. La vita del poeta si svolgeva a diretto
contatto
17
con quella del Teatro del Corso, tanto che dalla sua stanza,
confinante con la sala degli spettacoli, si doveva rassegnare ad
ascoltare le commedie, senza averne il minimo desiderio, perché in
effetti non amava molto il teatro. In quel periodo Bologna si
mostrava
particolarmente
vivace
nella
produzione
di
rappresentazioni in musica e in prosa. Poteva contare su molti teatri
pubblici e privati, in alcuni dei quali si esibivano, alternandosi,
compagnie di professionisti e di dilettanti fino a configurare
l’esistenza di un vero e proprio “sistema teatrale”.
In seguito risiederà nell’albergo della Pace, dove fece la conoscenza
di molti intellettuali. Conoscerà in particolare due grandi residenze
Senatorie come Palazzo Pepoli e Malvezzi. La sua permanenza non
durò a lungo perché la temperatura a fine ottobre raggiungeva
appena tre gradi rendendo precaria la sua salute. Infatti si ammalo
di un disturbo intestinale che gli addebitava, con una diagnosi forse
più psicologica che obiettiva, al “calore sofferto” a Milano e agli
spostamenti. Si era rinchiuso in casa per una ventina di giorni,
interrompendo le lezioni di latino e greco che dava al Papadopoli e al
Polidoros a due giovanotti benestanti che oltretutto lo annoiavano
orribilmente.
Nel suo primo impatto con Bologna, aveva avuto l’impressione che vi
dominasse un dignitoso classicismo, in mezzo al quale poteva
muoversi a suo agio. In questo periodo, infatti, Bologna vive la sua
stagione neoclassica: si moltiplicano le traduzioni dei tragici.
Durante quella breve sosta l'impressione che Leopardi ricevette di
Bologna fu ottima. Bologna gli sembrò quietissima, allegrissima e
ospitalissima, tutto ciò lo spinse ad immaginare Bologna come la
città dove poter vivere e realizzare il sogno della sua vita: vivere la
sua libertà. L'impressione sul popolo bolognese che Leopardi
comunicava al fratello Carlo da Milano non teneva in realtà conto che
in quegli anni la città stava vivendo un momento di calo della sua
attività politica. Erano gli anni della restaurazione (a farne le spese
fu l'università). Leopardi, a digiuno di politica, uomo tollerante e
docile nel rapporto umano, fu invece severo e inflessibile nel suo
giudizio quando parlava da uomo di lettere. Infatti, fu costretto a
chiedere dei classici all'editore Stella perché secondo lui Bologna ne
era sprovveduta.
Leopardi quando il tempo lo permetteva e le giornate annunciavano
primavera amava passeggiare per la città. Una sera passeggiando
per Bologna solo come sempre, arrivò in via Remorsella dove andò a
trovare Angelina che per lungo tempo era stata cameriera nella casa
a Recanati, quando lui era bambino. Dalle lettere che Leopardi inviò
da Bologna ad alcuni interlocutori, sono poco frequenti gli elementi
che si riferiscono alla vita cittadina e ad ambienti che egli
frequentava.
Ricorrenti erano invece i riferimenti al clima: gli sbalzi climatici della
città che ebbero sul suo fisico effetti devastanti.
Leopardi aveva in ogni modo verso Bologna un'attrazione particolare
perché la riteneva "La Gloriosa Università" che dona alla città una.
18
cultura letteraria e scientifica; inoltre, vi operavano alcuni dei
continuatori della "bella scuola" (Classica Romagnola).
A prova di questo abbiamo le parole del Leopardi, in una lettera
allo zio Carlo Antici, del 3 Agosto 1825: "Il soggiorno di Bologna
sarebbe per me molto più grato e più profittevole che quel di Roma,
perché in Roma non potrei conversare se non con letterati stranieri
(giacche non vi sono letterati romani), il che è cosa molto difficile
per me, che non sono esercitato nelle loro lingue: laddove Bologna
è piena di letterati nazionali, e tutti di buon cuore, e prevenuti per
me molto favorevolmente".
Oltre a essere meravigliato per la vita bolognese, l'autore descrive
le persone con ammirazione, dicendo :" Sono stato accolto con
carezze ed onori ch'io ero tanto lontano d'aspettarmi, quanto sono
dal meritare…in Bologna gli uomini vespe senza pungolo…e la
bontà di cuore vi si trova effettivamente, anzi vi è comunissima".
In un'altra lettera Leopardi confessa di avere contratto più
amicizie, in nove giorni a Bologna, che a Roma in cinque mesi. Ma
tornando alle lettere scritte nel 1825, Leopardi da Milano scrive:
"Milano non ha che far niente con Bologna, Milano è una specimen
di Parigi, ed entrando qui, si respira un'aria della quale non si può
avere idea senza esservi stato. In Bologna nel materiale e nel
morale tutto è bello, e niente è magnifico: ma in Milano il bello che
vi è in gran copia, è guastato dal magnifico e dal diplomatico,
anche nei divertimenti."
Quando Leopardi viene ospitato nel convento di S. Francesco,
insieme con il padre Luigi Poni compagno di viaggio da Recanati
intravede la possibilità dell'impiego in qualità di segretario
dell'Accademia delle Belle Arti, ma l’incarico verrà assegnato ad
un certo Tognetti.
Successivamente, il 9 novembre, una notizia influisce sul proposito
di rimanere a Bologna. “si vogliono stampare qui tutte quante le
mia opere, e ciò mi rallegra per cui io posso soggiornare
pacificamente a Bologna”.
In effetti l’attività letteraria eseguita nel periodo bolognese gode di
grande fama.
Dai suoi scritti,la critica leopardiana considera l'importanza di
Bologna attraverso la scuola scientifica e l'ambiente dello studio.
Bologna aveva già ospitato grandi personaggi come Canova e
Foscolo,ma il mondo letterale,dopo la restaurazione era
cambiato:nell'ambiente bolognese la cultura letteraria aveva stretto
rapporto con la cultura scientifica.
Fu il Giordani ad introdurre Leopardi nell'ambiente bolognese;la
sua prima produzione era in linea con le aspirazioni della scuola
classica romagnola. Il 27 novembre Leopardi scrive a Giordani e
forse questo è il preannuncio alle operette morali dove manifesta
chiaramente il desiderio di uscire da Recanati.
In questo periodo Bologna vive la sua stagione neoclassica:si
moltiplicano le traduzioni dei tragici. Non sono lontani i modelli che
Leopardi eleggerà nello Zibaldone immersi nel conflitto tra ragione
e poesia.
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Un altro argomento da considerare nel soggiorno bolognese di
Leopardi è l'accenno ai rapporti tra le Legazioni dello Stato
Pontificio;la censura di Roma "era nella pratica molto più facile che
nella massima,è qui suffragata la tesi del soggiorno bolognese come
conseguenza del tentativo di fuga da Recanati,poiché il periodo
romano realizzerà solo in parte l'aspirazione di libertà.
Alla fine di Luglio del1820 si apre il secondo capitolo della fortuna
bolognese di Leopardi che tratta di un edizione bolognese delle
Canzoni che solo qui verranno pubblicate per intero. Pare evidente
che Leopardi fosse interessato ai giudizi dei letterati bolognesi e le
correzioni apposte alle edizioni successive delle Canzoni
costituiscono una riprova dell'attenzione del poeta alle critiche
rivoltegli in materia di linguistica e di retorica.
Il 1° marzo 1826 viene recapitato a Leopardi un volume
dell’antologia speditogli dall’amico e fondatore del volume
Vieusseux; esso conteneva un saggio di tre Operette Morali. Il 12
luglio viene nominato socio dell’Accademia dei Felsinei, alla quale
parteciperà con grande entusiasmo.
La cosa più bella di Bologna di cui Leopardi parla in una delle lettere
che scrisse al padre (18 luglio 1826) è la "Festa degli Addobbi" che lo
sorprese piacevolmente. Con l'inizio della primavera Leopardi torna
nel mondo dei letterati. Per la prima volta cominciò a frequentare
accademie e concerti e la sempre più assidua frequentazione della
casa privata Pepoli. A proposito delle sue frequentazioni femminili
molto è stato scritto, ma non c'è nulla di certo sui suoi amori
bolognesi. Leopardi si rifiutò inoltre di frequentare il teatro: dopo
esserci stato una sola volta si rifiutò di tornarci, gli spettacoli teatrali
al quanto diceva lo facevano solo sbadigliare. Leopardi il teatro non
lo ama perché troppo fedelmente riproduce una realtà che costringe
gli uomini ad essere attori. L'Accademia dei Felsinei invitò Leopardi a
intervenire il lunedì di Pasqua e gli concesse di recitare una sua
cantica. La serata gli riservava una sorte inaspettata. Il pubblico
presente in sala, già stanco per lo svolgimento della serata, non
resse alla sua lirica ispirata solo a malinconiche considerazioni.
In altre lettere scritte al fratello egli parla delle sue preoccupazioni
per la violenza che avveniva nelle ore notturne nella città.
Leopardi si recava spesso, durante il suo soggiorno, in visita alla
famiglia Tommasini.
Il capo-famiglia era Giacomo Tommasini:
letterato, filosofo, scrittore vivace ed elegante, dall’eloquenza
pregevole e carismatica, scienziato dalla grande conoscenza medica,
affidabile, modesto, sensibile, sempre pronto ad aiutare tutti,
incapace di nuocere a chiunque, privo di arroganza e uomo di grande
semplicità.
Era nato da una famiglia borghese; nel 1769,viene nominato
professore di Clinica medica all'Università di Bologna al posto di
Antonio Testa. Dimostrò grande coraggio nel propagandare e
sostenere le proprie posizioni scientifiche in quel particolare momento
politico,di proclamare una dottrina medica nuova e italiana
significava dare
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alla medicina una connotazione anche patriottica,ciò commuoveva
gli animi di tutti quelli studenti che numerosi accorrevano alle sue
lezioni.
Durante il soggiorno bolognese tra il 1814 e 1829,ebbe modo di
incontrare il conte Giacomo Leopardi. La naturale semplicità del
professore conquistò Leopardi che diventò ben presto non solo il
suo paziente,ma anche suo affettuosissimo amico.
Leopardi si recava spesso in visita alla famiglia Tommasini per
affidarsi alle competenti cure del professor Giacomo e alle
affettuose attenzioni di sua moglie Antonietta e sua figlia Adelaide.
La famiglia Tommasini diventò la sua famiglia di adozione,quella
in cui sarebbe voluto nascere e crescere dal punto di vista morale e
civile; gli affettuosissimi Tommasini furono sempre presenti con il
loro affetto e la loro incondizionata amicizia anche quando furono
fisicamente lontani, come testimoniano le numerosissime lettere
che il poeta inviava per colmare il suo grosso vuoto affettivo.
Un’altra figura estremamente importante durante il soggiorno di
Leopardi fu quella che incontrò presso Casa Baldini, cioè la
Contessa Teresa Carniani Malvezzi, verso la quale provò un
grande amore.
Dalle poesie del Leopardi si comprende che lui nella sua
permanenza conobbe due donne distinte, la seconda, fu
identificata
successivamente
in
Madama
Padovani,sua
coinquilina. Ma da tutte due rimase deluso.
In una lettera del Leopardi, spedita ad amici e parenti, egli fa
riferimento alla M.ma Padovani, facendole dei complimenti. Il poeta
partì poi per Recanati, dove, solo dopo quattro mesi, per lettera,
chiese notizie della donna. Fu l'ultimo accenno a lei, ma è chiaro
che non è il caso di pensare ad una corrispondenza diretta, infatti,
dalle lettere dell'autore non traspare alcun sentimento verso la
donna.
Invece un forte sentimento lo provava nei confronti della Malvezzi:
una donna che, pur non sdegnando l'ammirazione che poteva
suscitare la sua grazia femminile, viveva soprattutto di questa sua
passione letteraria.Una donna in cui la vita intellettuale finiva col
prevalere prepotentemente su quella affettiva.
Teresa Carniani Malvezzi nacque a Firenze nel 1785 da Cipriano
Carniani ed Elisabetta Fabbroni; a soli 16 anni sposò il conte
Francesco Malvezzi De' Medici, di antica famiglia Felsinea.
Il matrimonio fu celebrato dal padre di Francesco, Giuseppe. A
Bologna dal 1802 la donna decise di completare gli studi, troppo
presto interrotti per volere materno, che l’aveva indirizzata ad
attività considerate più femminili.
Con l'aiuto di maestri importanti come l'abate Giuseppe Biamonti,
Giuseppe Mezzofanti, arrivò in breve tempo a buone conoscenze di
letterature classiche e di lingue straniere, segnatamente l'inglese,
divenne una poetessa dilettante e si cimentò in liriche e persino in
un poemetto storico di tema medievale ("La Cacciata del tiranno
Gualtieri, accaduta in Firenze l'anno 1343").
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"Bionda la chioma in vaghe trecce avvolta ed alta fronte ov'è
l'ingegno espresso; vivace sguardo, che ha modestia accolta, non in
tutto nemica al viril sesso;bocca soave in che l'Arno s'ascolta lo bello
stile, ond'ha fama il permesso; agil persona, dolci modi e vezzi, i
pregi son della gentil Malvezzi" (Vincenzo Monti).
Il 3 novembre 1826 Leopardi tornò a Recanati.
I motivi furono diversi, in particolare il clima di Bologna, gli inverni
rigidi, non gli permisero una permanenza ulteriore in questa pur
tanto amata città.
Ritratto di Massimiliano Angelelli
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Le tematiche poetiche e filosofiche
di Giacomo Leopardi
Emozioni e riflessioni
L’Albergo del Corso in via S. Stefano n.37, (secondo decennio del secolo XIX incisione in rame,
Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio). Durante il primo soggiorno bolognese, fra il 18 e il 27 luglio
1825 , Leopardi è ospite del convento di S. Francesco, in piazza Malpighi; nella seconda
permanenza, dal 29 settembre 1825 al 3 novembre 1826 prende alloggio, a pensione completa,
presso la famiglia del tenore Vincenzo Aliprandi in casa Badini, contigua al Teatro del Corso nella
centralissima e animata via S. Stefano, dove si trovava anche l’omonimo Caffè, ritrovo
degl’intellettuali bolognesi dell’epoca. Dal 26 aprile fino al 20 giugno 1827 risiede invece all’Albergo
della Pace, sempre in via del Corso, oggi Santo Stefano.
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5) SGUARDO SUL MONDO ACCANTO AD UN CRATERE - saggio di
Lisa Bignami
Sono la Speranza a cui aneli. Io ti guardo, uomo di tutti i tempi, e
so quando tu aspiri al mio odore intenso. Riconosco che la Natura
con te è stata crudele, non ha pensato nemmeno un istante alla
tua felicità. Ma non ti ha creato per cattiveria, la sua è stata solo
inconsapevole indifferenza.
Non volendo ha prodotto per te un mondo di infelicità del quale tu,
a quanto pare, sei l’infelice imperatore. Il tuo destino non è stato
calcolato, non è stato costruito, non fa parte di un progetto
organizzato. Sei in balia di te stesso. Una piuma trascinata da un
vento che non riesce a sfamarti.
Ti comprendo se non la chiami più “madre”…è una matrigna
distratta che non ti accudisce come un figlio. Non si comporta come
dovrebbe fare un genitore: e così non ti senti amato, non ti senti
protetto, non ti senti al sicuro. La Natura non si è mai impegnata a
disegnare con una matita benevole la gioia della tua vita. Sei un
cane randagio, un passero solitario e abbandonato proprio da chi
ha prodotto la tua vita. Ma tu ritieni questa vita proprio un dono?
Io ti guardo, uomo di tutti i tempi, da questa cima di fuoco: sei
infelice. Vivi nell’affanno, nella ricerca incessante del piacere, ma
quando cerchi di carpirlo ne ricavi soltanto ulteriore dolore. E
nessun piacere riesce mai a soddisfarti perché, quanto più ti senti
di avere raggiunto il Bene, tanto più ne ricerchi un altro e la tua
avidità insaziabile non ha mai termine: Sei la vittima di un
malefico meccanismo, di un mondo che non ha interesse ad
accoglierti. Fai parte di un continuo morire e rinascere che non
ritiene rilevante la tua felicità ma soltanto la tua funzionalità al
mantenimento dell’Universo. Ancora quella matrigna spietata: la
natura sopravvive solo grazie a un’interminabile catena di
distruzioni e patimenti. E tu rientri in questo vortice infinito: La
strega crudele di trucchi ne conosce molti e raggiungere il suo
obiettivo fa vivere il genere umano con inconsapevolezza e tu, come
gli altri, inganni te stesso, piegandoti ad ogni menzogna pur di
conservare la vita e di crederla lieta: Osservo come ti affanni per
ottenere la pienezza i quel piacere che possa renderti
definitivamente soddisfatto e appagato. Ma ciò non avverrà mai:
conseguito un determinato piacere l’anima non cessa mai di
desiderarne un altro. Il tuo desiderio è incolmabile e crea in te un
senso perenne di vuoto.
Ma tu, di questo, devi essere consapevole: è una consapevolezza
che ingombra e appesantisce il tuo animo, ma è necessario che tu
ti rassegni al tuo destino infelice che sempre ti ha atteso e sempre
ti attenderà. Talvolta tenti di sfuggirgli, ma il male ti viene a
cercare in ogni anfratto. La natura ti perseguita e posa in ogni
istante il suo alito caldo e minaccioso sul tuo collo inerme. Non
rimane che accettare il dolore di un’intera vita.
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La madre impietosa non ti donerà le risposte che cerchi: lei è sempre
e dovunque indifferente, se non ostile, è soltanto capace di regalarti
una felicità illusoria, velata.
Anche Salomone, uno dei tuoi è di questa idea: il piacere è effimero,
una continua illusione e il dolore è l’unica vera realtà. L’essere
consapevoli e il possedere la saggezza porta solo altra sofferenza. Le
speranze spezzate muoiono senza consolazione. Il principio del
mondo è il nulla. Nessuna cosa è veramente necessaria. Nessuna
cosa è veramente. La felicità non esiste, è solo l’irrealtà delle
illusioni, è solo un sogno, una speranza futura, un dolce ricordo di
delusioni antiche. L’unica realtà è il dolore che, nel mezzo di un
nebulosa di vaghe certezze e speranze, può darti una concretezza a
cui aggrapparti. La realtà non si adeguerà mai ai tuoi desideri, alle
tue illimitate aspirazioni, tutto finisce. E allora ti è stato fatto proprio
un dono?
Ma una soluzione c’è ed io sono il germoglio adatto ad indicartela.
Prendi atto dell’infelicità di ciascun uomo e crea un rapporto di
solidarietà coi tuoi fratelli nel dolore. Combattete insieme contro
l’unica vera nemica: la Natura! Io sono la Ginestra e questo è il
messaggio che ti porto: uomo di tutte le epoche sono io il tuo giallo
spiraglio di speranza. Tenace e robusta sono la sola a germogliare
sulla lava solitaria: Sì, sono l’amante della solitudine e
dell’abbandono. Mi offro a te, emanando il mio profumo intenso per
consolare i deserti e la tua anima. Ho la missione di darti sollievo,
colui che mi manda è un artista sensibile, che vive il proprio
turbamento con rassegnazione e creandomi ha cercato di uscire da
un pessimismo cupo per ribellarsi e lottare senza illudersi di poter
vincere. Sono io, l’umile ginestra che aspetta la distruzione senza
illusioni e senza domande, pronta a piegarmi al mio destino, al
crudele destino a cui mi ha condannato la Natura distruttrice di tutto
ciò che lei stessa ha fatto nascere. Una colata bollente mi sta
coprendo, come una trapunta leggera: è mia madre che dice
“buonanotte” con un viscido bacio sui miei steli.
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6) L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI “SUBLIME” E
LA CONCEZIONE DI LEOPARDI - saggio di Stefania
Magnanini
Il concetto di “sublime” era già esistente presso i Greci ed era
inteso come un armonica proporzione del corpo; era quindi
paragonabile al “bello”, a ciò che allieta la vista, a qualcosa di
perfetto che si può anche raggiungere tramite le sole forze
possedute dell’uomo. Nel corso dei secoli il sublime subirà svariate
interpretazioni e diventerà un tema ricorrente tra i filosofi e
soprattutto in epoca illuminista, dove la rivalutazione dell’uomo
porta i letterati, i poeti e i filosofi stessi a interrogarsi sui limiti
della ragione; il concetto di sublime non sarà più sinonimo di
“bello”, ma di qualcosa che spaventa l’uomo appunto perché va
oltre i limiti della ragione , oltre ciò che può essere controllato.
Quindi è il “vero”! Costituisce quindi una minaccia per l’uomo
appunto perché ciò che non è conosciuto suscita timore, paura,
sofferenza, ma nello stesso tempo costituisce l’insorgere di un
sentimento di curiosità verso questo infinito così vasto e ignoto. Si
ricordano infatti viaggiatori inglesi che si recavano nei pressi del
Vesuvio per osservare le sue eruzioni mantenendosi a una
distanza intermedia tra pericolo e sicurezza. Ciò costituiva una
sfida con se stessi, con i propri limiti, con il sublime. Arrivando fino
all’epoca romantica-decadente, dai documenti letterari rimasti si
può capire come la concezione del sublime assuma due forme. La
prima va inserita sotto il profilo della ferita che coincide con la
perdita del senso di vivere (tema principale dell’epoca
decadente).In alcuni scrittori come Fitzgerald,, questa strada si
esprime nel concetto del nulla , inteso proprio come “un non fare
nulla” per nessuno, perché niente merita di essere fatto, dal
momento che ogni cosa mortale esistente sulla terra è destinata a
tornare polvere. Anche lo scrittore Thomas Mann parlerà di
sublime come ferita ma la assocerà alla bellezza perché non c’è
nient’altro che possa ferire come essa, che possa essere
contemporaneamente
perfetto
e
spietato,
piacevole
e
agghiacciante, meraviglioso e soggiogante!
La seconda strada invece intende il sublime sotto il profilo della
sproporzione e ha le proprie radici nel periodo barocco e nella
nuova antropologia , che non inserisce più l’uomo al centro
dell’universo come sostenne Pascal ne “I pensieri”. La matrice
dell’infinito Leopardiano è da ricercarsi proprio nella filosofia di
Pascal che sostenne che”l’uomo è sospeso tra i due abissi
dell’infinito e del nulla, a metà tra il niente e il tutto, infinitamente
lontano dall’abbracciare gli estremi; incapace di vedere il nulla da
cui è stato tratto e l’infinito dal quale è inghiottito”. Questi echi
filosofici pascaliani si ritrovano in molti bassi dello Zibaldone, dove
Leopardi annotava ciò che più lo tormentava, lo sgomentava e lo
spingeva ad interrogarsi sul perché dell’esistenza umana, così
vana e crudele!
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Infatti in uno di questi passi scriverà che “L’uomo è smarrito nella
vastità incomprensibile dell’esistenza”.
Anche in uno dei grandi Idilli “canto notturno di un pastore errante
dell’Asia” il poeta affronterà questo tema. Egli si immedesima in
questo pastore che chiede alla luna il perché della sua esistenza,
qual è il senso della vita dell’uomo e dell’universo in generale. Il
pastore , quindi il poeta, non capisce perché l’uomo dopo una vita di
sofferenza, di ricerca continua di un piacere che mai lo sazia, arrivi
finalmente alla sua meta, cioè alla morte nella quale sprofonderà in
un abisso di oblio. Decide di interrogare la luna, perché lei dall’alto
può vedere ogni cosa e, sicuramente, se potesse parlare, gli
spiegherebbe perché l’uomo, al contrario degli altri esseri viventi è
destinato al dolore, a un desiderio di piacere mai appagato; solo la
luna potrebbe spiegargli il senso di tutto ciò che lo circonda.
Il concetto pascaliano più in sintonia con il poeta è “la noia”, vista
come il più sublime dei sentimenti umani coincidente con un senso di
vuoto che deriva dalla mancanza di piacere. Infatti l’uomo ama
talmente se stesso che è alla continua ricerca di qualcosa che
l’appaghi. Questa ricerca però è destinata ad non avere termine
perché , soddisfatto un piacere l’uomo ne ricercherà uno sempre più
grande. Sarà quindi eternamente insoddisfatto e infelice perché non
può esistere un piacere che lo appaghi completamente. Questa è
un’altra tematica ricorrente ed essenziale per comprendere il
pensiero Leopardiano, a livello poetico la rappresentazione più chiara
del sublime si ha nell’idillio “l’infinito”. L’infinito presenta
contemporaneamente uno scenario ed uno stato d’animo: il poeta si
trova su un colle, che gli è caro e gli provoca una sensazione di
piacere nel vederlo e nel ricordarlo. Quindi nel ripetersi
dell’esperienza. Il poeta siede sul colle e ammira il paesaggio, ma
solo parzialmente perché la vista è limitata da una siepe. La siepe è
un elemento fisico che costituisce uno stimolo all’immaginazione e
sembra alludere alla sua stessa limitata condizione fisica che però
non gli impedisce di inseguire ciò che c’è al di là della siepe e quindi
di cogliere ciò che non è possibile percepire con i sensi. Leopardi vive
drammaticamente la sua sproporzione fisica che diventa un fattore
esistenziale, ma ciò lo apre alla grandezza e alla nobiltà dell’uomo.
La vista limitata mette in moto l’immaginazione, producendo una
sospensione dal reale che lo immerge “in una profondissima quiete e
in silenzi sovrumani”. Una nuova percezione però lo riporta alla
realtà e lo fa riflettere sull’infinità del tempo e sul breve vissuto
umano. E’ lo stormire del vento che lo riporta al presente. Possiamo
considerare questo infinito il suo sublime, come un viaggio della
mente nello spazio e nel tempo senza dare confini all’immaginazione.
Questo abbandono è un’esperienza di piacere, infatti secondo la
teoria Leopardiana l’uomo “naturalmente” pensa e desidera senza
limiti. Il viaggio però si conclude con un naufragio, che è però
positivo: “il naufragar me dolce in questo mare”. In seguito alla
paura si può sondare il sublime.
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La capacità dell’intelletto e dell’animo umano di uscire dai limiti circoscritti
dai sensi è una risposta al perché l’uomo, per natura infelice , senta il
bisogno di trascendere dalla sua condizione. Questa trascendenza non è
intesa in chiave metafisica, perché leopardi, pur condividendo molti
pensieri di Pascal , rifiuta le sue conclusioni cristiane. Anche nella
concezione pessimista del poeta si nasconde la speranza.
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7) L’INFINITO DESIDERIO DEL PIACERE - saggio di Martina Storari
Se l’uomo del ‘700 aveva avuto fede nel potere assoluto della
Ragione che aveva scoperto verità definitive, l’individuo romantico
rifiuta tale mito e non crede più nell’idea di progresso. E’ una nuova
generazione, eternamente inquieta e “disadattata”, che ha una
reazione critica nei confronti della società del suo tempo e della
rivoluzione industriale di cui intuisce gli aspetti negativi per la
qualità della vita dell’uomo moderno,:costretto a piegarsi ad esigenze
non sue.
La realtà più autentica si sottrae al dominio della ragione e si
esprime nell’ebbrezza, nell’esperienza sensibile dell’irrazionale, nella
costante ricerca del piacere. Molti autori hanno affrontato
quest’ultimo argomento, giungendo a conclusioni differenti.
Lo Zibaldone leopardiano contiene lunghe riflessioni sul piacere, che
concentrano l’attenzione del lettore sull’incolmabile contrasto tra il
desiderio di felicità e la possibilità del suo effettivo conseguimento. “
il desiderio stesso è cagione a sé medesimo di non poter essere”
quindi, per sua natura, non può essere appagato, condannando
l’uomo a una dolorosa ricerca che avrà fine con l’oblio della morte.
Questa frase suona come una terribile maledizione che grava sul
genere umano eternamente infelice che tende sempre verso un
‘armonia futura alla quale , però, non approderà mai.
Antonio prete sostiene che il desiderio di leopardi “che termina
solamente con la vita”, non è altro che quella pulsione chiamata da
Freud libido. L’Eros, inteso come una spinta che proviene dal nostro
Es, non potrà mai essere appagato in quanto rappresenta il motore
stesso della nostra esistenza ovviamente chi non è in grado di
sublimare i propri impulsi avrà degli scompensi e soffrirà. “piacere
vuole eternità di tutte le cose, vuole profonda eternità” anche
Nietzsche sosteneva che il piacere fosse uno stimolo per l’essere
umano che mosso da continue emozioni può vincere sul dolore se
prevalgono i sentimenti positivi. Secondo la concezione di Nietzsche il
“super uomo” è una nuova generazione che ha riconosciuto il suo
dolore ed è ugualmente in grado di andare avanti. L’illusione è solo
un anestetico per tale male. Il ”super uomo” si scrolla dalle spalle il
pesante carico del dolore del passato acquistando una nuova
consapevolezza e sa affrontare al vita serenamente.
Per il triste Leopardi la situazione è invece diversa: “il genere umano,
che ha creduto e crederà a tante scempiaggini, non crederà mai ne di
non saper nulla ne di non aver nulla a spere” (Operette Morali). Per
conoscere e capire il mondo, nonché la situazione umana è
necessario avere forza d’animo e coraggio, condizioni che portano
con sé una rinuncia alla felicità. Talvolta il poeta però è in grado di
placare momentaneamente il dolore, attraverso la percezione della
grande differenza tra ciò che finito e ciò che è infinito.
Sente la profonda sproporzione tra il piccolo, finito, imperfetto e
l’assoluto infinito che rappresenta il tutto di fronte alla sue
insignificante persona. Nel suo più famoso idillio”L’infinito” egli si
trova seduto su un colle dietro una siepe che gli impedisce al vista
29
di ciò che c’è oltre si può abbandonare all’immaginazione, alle
sensazioni vaghe e indefinite, al piacere. L’eterno infinito che
Leopardi ha di fronte lo può intimorire ma fa crescere in lui anche
un processo immaginativo che gli permette di riflettere sul concetto
di infinito, partendo dalla sua condizione limitata. Egli capisce che
la sua vita di dolore non è nulla se confrontata con l’immensità
dell’universo.
L’animo umano, secondo Kant è in grado di superare l’esperienza
sensibile e quindi di trascendere le nostre facoltà sensoriali
attraverso l’immaginazione. Possiamo infatti immaginare ciò che “è
assolutamente grande… ciò che è grande al di là di ogni
comparazione“ anche se siamo incapaci di percepirlo, come
sembra fare Leopardi “la semplice grandezza di esso anche
quando è considerato informe ci può dare piacere” dice Kant, ma
può anche provocare in noi sensazioni malinconiche. La percezione
della differenza tra incommensurabilmente grande e infinitamente
piccolo è chiamata da Kant senso del sublime , dal quale spesso
l’animo è turbato.
In conclusione posso affermare che l’immaginazione è una delle
più importanti facoltà umane ma spesso, proprio questa fantastica
peculiarità, è capace si trasportarci in una dimensione
ultraterrena, causa di profonda felicità ma anche di smarrimento.
IMMANUEL KANT
30
8) LA VISIONE DEL MONDO DI GIACOMO LEOPARDI - saggio di
Viola Scalcione
Nell’analisi delle varie esperienze che l’uomo affronta nel corso della
sua vita, Leopardi è mosso dalla considerazione che il piacere è
connesso ala vita dell’uomo e a quella di tutti gli esseri viventi,
poiché deriva dall’amore che ognuno, intrinsecamente, prova per se
stesso. Alla radice di ogni movimento verso il piacere, c’è il desiderio.
In particolare Leopardi sostiene che il piacere si possa trovare
nell’attesa (come si vede nella poesia: Il sabato del villaggio) o nella
cessazione del dolore( come si vede nella poesia: La quiete dopo la
tempesta). Ciò che più caratterizza il piacere è che si tratta di
qualcosa di illimitato, che non si potrà mai spegnere e che,
soprattutto, non si configurerà mai in qualcosa di ben definito.
Questo perché, conseguito un piacere l’anima non cessa di
desiderarne altri. Si tratta di qualcosa che non si esaurisce mai, che
finisce solo con il terminare della vita.
La condizione umana di infelicità deriva anche da questo. L’uomo
desidera il bene, senza limiti, e ciò lo porta a non smettere mai di
desiderare. Nessun piacere può soddisfare il vivente. Si possiede il
desiderio assoluto di felicità e non una particolare felicità e questo
desiderio di piacere senza limiti non potrà essere mai appagato.
L’uomo quindi non potendo mai essere soddisfatto non può che
essere predestinato al dolore. Il piacere infinito non si può trovare
nelle realtà, ma nell’immaginazione dalla quale derivano la
speranza, le illusioni…
Il pensiero del Leopardi è quindi caratterizzato dalla consapevolezza
dei limiti dell’esperienza umana e di ogni gioia. L’immaginazione
compensa la sofferenza dell’uomo che vede sempre frustrata la sua
ambizione al piacere. Ricorderei a questo proposito, la poesia “
L’infinito” dove il poeta si rappresenta nell’atto di fantasticare con lo
sguardo perduto oltre la siepe. Qui il poeta percorre la dolce
esperienza dell’annullamento dell’io attraverso il superamento del
limite spazio-temporale e della paura di fronte all’eternità. Il poeta si
perde nell’immensità, ma dolcemente.
Tutto ciò che pare sciolto dalla realtà, che è lontano, antico è per
Leopardi un ‘attimo di piacere e sinceramente…credo che valga un
po’ per tutti noi…
A fronte di questa positiva bellezza c’è l’infelicità, necessaria e
costituzionale per l’uomo e per tutte le creature. Niente e nessuno
può evitare il dolore perché la natura è “matrigna”. L’universo non è
fatto per l’uomo ma dominato dall’irrazionalità. Perché la natura è
matrigna? è semplice l’uomo ha in sé il desiderio di una felicità
infinita che la natura stessa gli impedisce di realizzare. La sua
condizione è triste perché la vita gli promette qualcosa senza mai
dargliela
Secondo me la domanda sostanziale sarebbe: è giusto vivere di
illusioni? In fondo … come anche leopardi afferma… e quando ci.
31
illudiamo che siamo felici… possiamo credere che si possa
raggiungere tutto… poi subentra la ragione che, a poco a poco
sgretola tutte le nostre speranze. E’ vero, le illusioni finiscono ma
possiamo davvero dire di essere felici senza di queste? Pensiamoci
un attimo…non sono forse loro che ci danno quella spinta, quegli
input che ci portano ad andare avanti?
In uno dei suoi grandi idilli “il canto notturno di un pastore errante
dell’Asia” il poeta illustra la sua concezione del piacere
immedesimandosi in un pastore che paragona la sua esistenza
consapevole a quella inconsapevole del suo gregge. Il pastore
chiede alla luna il perché la condizione umana sia così diversa da
quella degli altri viventi, infatti non comprende il motivo per cui il
suo gregge è pago semplicemente di mangiare e di riposare mentre
lui in ogni momento di tranquillità quando riposa sotto l’ombra di
un albero si lascia andare a interrogativi inquietanti: qual è il
senso della vita e dell’universo in genere? E non trova mai, turbato
da questi pensieri un attimo di vero piacere. E’ come se nulla gli
bastasse mai…
32
Drammatizzazioni
Riduzioni teatrali e interviste impossibili
Ercole Gasparini (1771-1829)
Teatro del Corso: sezione per il largo del palco scenario e sue
adiacenze; decorazione del prospetto esterno del teatro
penna e acquerello policromo
Gabinetto disegni e stampe, Disegni di vari autori, carta. II, n. 355
Il teatro del Corso fu costruito tra il 1802 e il 1805 nell'attuale via S.
Stefano, presso la chiesa di S. Giovanni in Monte, su progetto di
Francesco Santini e di Ercole Gasparini. La facciata era caratterizzata
da un portico con 15 arcate sostenute da colonne, secondo una
licenza tipica dell'architettura bolognese. I lavori di ristrutturazione
eseguiti nel 1903 interessarono i cinque ordini dei palchetti per gli
spettatori ed altri locali di servizio, ma non il palcoscenico che,
bloccato dalla chiesa retrostante, non poté mai essere ampliato. Il
Teatro del Corso (secondo, per importanza, soltanto al Comunale),
fu distrutto durante l'ultima guerra.
33
9) DISCUSSIONE IMPOSSIBILE FRA LEOPARDI E ALCUNI PERSONAGGI DEL
PASSATO...dialogo a cura di Beatrice Fiacchi
Ripercorrendo il passato, dai filosofi antichi fino a Leopardi, abbiamo
immaginato un’intervista impossibile, basandoci su pensieri e
riflessioni che abbiamo reperito nello “Zibaldone”.
C=conduttrice
L=Leopardi
P=Pascal
A=S. Agostino
E=Epicuro
AR=Aristotele
C: Buonasera a tutti i lettori!
Il tema di questa serata è “La felicità: sogno o realtà?”.
Abbiamo ospiti d’eccezione che animeranno il nostro studio di “Ce ne
importa”; dalla poesia, passeremo alla filosofia, ma non vi dico altro.
..
Facciamo entrare il primo ospite che è un poeta, ma anche un
filosofo(pausa): il signor Giacomo Leopardi!
APPLAUSI
C: Innanzitutto buonasera.
L: Buonasera.
C: La ringraziamo di essere venuto a questo importante
appuntamento di notevole spessore. Prima di entrare nello specifico
del suo pensiero, vorrei chiederle se lei ha mai trovato la felicità, che
tanto ha decantato, perché gli italiani continuano a spendere soldi
nell’acquisto di “ricettari” per la felicità e ne rimangono sempre
delusi;
che cosa ne pensa di questo fenomeno?
L: Innanzitutto vorrei che lei fosse più precisa; se gli italiani cercano
una felicità nella realtà, allora io non posso aiutarli perché non esiste
e di conseguenza io non l’ho mai trovata.
C: Ma cosa intende per felicità aldilà del reale?
L: E’ semplice. La mia felicità
nell’illusione e nella speranza.
risiede
nell’immaginazione,
C: Beh, è un po’ scontato(con tutto il rispetto). Nei sogni tutto è
permesso ...
34
L: E’ meno scontato di quanto lei creda, in quanto io
nell’immaginazione trovo il piacere assoluto, illimitato, infinito. I
piaceri insignificanti della vita quotidiana non mi interessano, anzi
mi provocano solo sofferenza; i piaceri effimeri, ti fanno solo
pensare alla tua finitezza. Io, nel sogno e nell’immaginazione trovo
pace e divengo felice...
Che cos’è la realtà in fondo? Si può scegliere di viverla come di non
viverla. Io non la vivo e così trovo appagamento personale. Il
desiderio ci spinge a trovare il piacere e quindi è positivo da un
lato; dall’altro però ci rende insofferenti, in quanto vorremmo
sempre di più di ciò che possediamo.
C: Quindi non c’è un vero e proprio antidoto contro l’infelicità?
L: No. . . l’unico consiglio che posso dare agli italiani è di non
cancellare l’immaginazione dalla loro vita; bisogna imitare i
bambini e gli antichi. I bambini perché non hanno dimenticato il
sogno, gli antichi perchè usavano la fantasia per far comprendere
cose grandi con parole piccole. Non sempre il progresso, inteso
come perdita di illusione e sfruttamento della natura, conduce ad
esiti positivi...
C: La ringrazio per il suo intervento, dopo torneremo a parlare con
lei. Ora facciamo entrare il secondo ospite: il filosofo francese
Blaise Pascal!
APPLAUSI
C: Buonasera
P: Bon soir.
C: Dalla regia, abbiamo il traduttore simultaneo?(pausa). Possiamo
iniziare.
Ha ascoltato da dietro le quinte il discorso di Leopardi? Qual è la
sua posizione rispetto alla ricerca della felicità?
P: La mia posizione ha qualche analogia con la concezione del
signor Leopardi.
Anch’io vedo la condizione dell’uomo molto tragica, ma non per la
sua assenza di felicità. Ritengo che la causa della perenne
insoddisfazione umana risieda nella posizione che occupa l’uomo
nell’universo: fra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo.
L’uomo è un essere intermedio, è sapienza ed insipienza, miseria e
nobiltà.
L’uomo non è Dio e nemmeno il nulla, quindi vive in una costante
incertezza ed ignoranza. Ma la sua fortuna è, che è come una
canna, si piega, ma non si rompe. Ha la possibilità di reagire se lo
vuole.
35
C: E c’è una soluzione a questa devastante situazione?
P: Ci sono due possibilità o vivere abbandonato ai divertissement,
piaceri effimeri che aiutano a non pensare e a distrarsi dalla propria
miseria, ma che non recano soddisfazione, o rivolgersi a Dio.
C: Lei parla di Dio come soluzione all’infelicità umana, ma è una
teoria che si avvicina molto al pensiero cristiano, è così?
P: Se lei si riferisce alla figura di Dio, confermo, ma io ho avanzato
una teoria che è valida anche per gli atei o gli scettici. Ho proposto la
scommessa su Dio.
C: Lei ritiene che credere in Dio rechi comunque vantaggio, non è
vero?
P: Esattamente; se non esiste, l’uomo ha comunque dato uno scopo
alla sua vita e quindi è stato felice in terra e ha rinunciato solo a
piaceri finiti; se esiste ci si guadagna la vita eterna, quindi doppia
felicità con bene infinito.
C: Tornando agli argomenti sostenuti da Leopardi, anche lei ritiene
che l’immaginazione sia la via di fuga e la salvezza dell’uomo?
P: Assolutamente no. L’immaginazione e la maggiore fonte d’inganno
che esista perché ingigantisce le cose piccole e minimizza quelle
grandi. Crea solo illusioni e falsità e quindi idee errate. E anche
l’amor proprio, che Leopardi giudica come piacere, in realtà nasconde
all’uomo i propri difetti e lo rende incapace di conoscere se stesso.
C: La ringrazio. Adesso torno a fare qualche domanda al poeta
Giacomo Leopardi.
Che cosa ne pensa delle teorie argomentate da Blaise Pascal?
L: Riguardo ai divertissement sono d’accordo, ma sulla figura di Dio
mi discosto.
C: Si discosta per quale motivo?
L: Sono cresciuto, lei lo dovrebbe sapere, in un ambiente familiare
soffocante e terribilmente bigotto. Mia madre era una donna molto
severa, soprattutto con me; appartenendo ad una famiglia
aristocratica e c’era bisogno di qualcuno che amministrasse i beni
della famiglia e quel qualcuno era mia madre. L’escatologia cristiana
non ha alcun valore per me, chiamatemi materialista, ma ritengo che
il piacere assoluto per essere tale debba essere presente in terra e
non in una vita futura. Il pensiero cristiano trasferisce il desiderio in
un’altra vita e lo trasforma in aspirazione, speranza e la mancanza
come privazione temporanea.
36
La felicità cristiana è inconsistente e astratta e non è il sentimento
di cui necessita l’uomo. Comunque ritengo che l’unico piacere che
possa recare la promessa cristiana sia il carattere del vago e
dell’indefinito che accattivano il desiderio e il pensiero.
C: E riguardo alla scommessa su Dio, Pascal ha detto che è una
scommessa anche per i non-credenti?
L: Beh, è come un gioco d’azzardo; si rischia di perdere una
somma limitata e circoscritta per una infinita, no? Questo va bene
anche per me; anche il piacere assoluto è infinito.
C: Pascal l’ha criticata per la sua idea di immaginazione, cosa
risponde?
L: Questa domanda è inutile, in quanto il signor Pascal si focalizza
sul fatto che l’uomo debba essere consapevole della propria
miseria, ma l’immaginazione che attuo io ha un fine differente:
rendere felice l’uomo.
C: Grazie per l’intervento significativo.
Ora, visto che ci siamo inoltrati nell’ambito della religione cristiana,
possiamo fare entrare il nostro terzo ospite. Avete capito di chi si
tratta?(pausa)Vi do un indizio, prima di avvicinarsi alla fede
cristiana era un manicheista, quindi vedeva i principi di male e
bene separati, capitanati il primo da Satana e il secondo da Dio.
Ecco S. Agostino!
APPLAUSI
C: Buonasera.
A: Buonasera.
C: Avendo ascoltato le posizioni di Leopardi e di Pascal che cosa si
sente di dire a difesa della religione cristiana?
A: Intanto sia Pascal che Leopardi sono venuti dopo di me nel
tempo, quindi alcune idee mi appartengono, ma per quanto
riguarda la mia fede... beh, ho compreso all’età di trent’anni circa,
che la concezione manicheista era troppo semplicistica e non
riassumeva la complessità dell’universo. Con il dialogo interiore
con Dio ho capito che seguendolo, da uomini vecchi si può divenire
uomini nuovi e scegliendo Dio, l’uomo sceglie il bene e rinuncia a
ciò che è imperfetto. L’uomo ha il libero arbitrio e non può scegliere
il male perché questo è privazione di essere, ma solo scegliere
male e incorrere nel peccato.
C: E’ vero che l’uomo cerca solo il piacere materiale e non quello
astratto, secondo il parere di Leopardi?
37
A: Assolutamente no. L’uomo sente il bisogno di Dio e nella
materialità non troverà mai la felicità. Inoltre, Leopardi ha preferito
chiudere
gli
occhi
davanti
alla
realtà,
rifugiandosi
nell’immaginazione.
La religione cristiana guarda la realtà e vede che essa è piena di
dolori e sacrifici che non c’è modo di eliminare, li si può solo alleviare
con la fede in Dio e sperando nella felicità ultraterrena.
L’immaginazione è solo un modo per non pensare, perché l’atto del
pensare implica autocritica e ripensamento sui propri principi.
C: Grazie per la partecipazione. Leopardi, ha qualcosa da dire?
L: No, la mia tesi l’ho già sostenuta.
C: Bene. E ora abbiamo con noi il personaggio che rappresenta, forse
erroneamente, il piacere e la ricerca della felicità; con la sua filosofia
edonistica ed il suo tetrafarmaco consolò molti infelici... Facciamo
entrare Epicuro!
APPLAUSI
C: Epicuro, non c’era occasione migliore che questa per incontrare il
nostro pubblico!
Abbiamo poco tempo, ci dica in poche parole il suo segreto sulla
felicità!
E: Innanzitutto il titolo di re dei piaceri non mi si addice. Io non sono
colui che si abbandona smisuratamente ai piaceri, sia ben chiaro. Io
ho soltanto dato alcune regole per non essere infelici, ho ricercato il
piacere, ma moderato. Ci sono i piaceri buoni e quelli cattivi, quelli
che provocano turbamento sono da evitare, quelli positivi invece,
come l’amicizia e la solidarietà sono da inseguire.
C: E quali erano pure le “sostanze” del suo tetrafarmaco?
E: Beh, innanzitutto la consapevolezza che il piacere è possibile per
tutti e il dolore insieme al male sono di breve durata; poi non bisogna
avere paura della morte perché quando c’è lei non c’è più vita, quindi
non percepiamo più attraverso i sensi. Infine, oggi è superata questa
teoria, non bisogna temere gli déi in quanto non si interessano
all’uomo e di conseguenza non si vendicano neanche.
C: Allora la felicità è proprio realtà ed è anche semplice da
raggiungere...
E: Nulla di più semplice... è sufficiente seguire i miei consigli.
C: Un applauso ad Epicuro ed alla sua filosofia illuminante.
38
Mi dicono dalla regia che abbiamo un collegamento telefonico con
un filosofo che non è potuto venire in trasmissione. Ma prima vorrei
sentire Leopardi, Epicuro lo vede come una figura positiva e
tranquillizzante?
L: Troppo facile... parla di cose grandi in modo troppo
semplicistico; non si può modificare la mente così, con quattro
regole e basta...
C: Siamo in diretta telefonica con un filosofo... ma non so chi sia...
PRONTO... PRONTO...
XXX: Pronto.
C: Chi parla?
XXX: Sono il filosofo dell’atto e della potenza... e anche della
scienza...
C: Aristotele!
A: Sono proprio io! Con la mia età, non sono potuto venire in
trasmissione.
C: Ha una dichiarazione importante da fare?
A: Più che una dichiarazione, mi sono sentito in dovere di fare un
po’ di ordine nel caos che avete creato; ho ascoltato posizioni
abbastanza estremiste... il pessimista... il suo compare che parla
della scommessa su Dio, S. Agostino e anche Epicuro, il più vicino
a me... Solo una cosa volevo dire, un dato che mette in comune i
miei contemporanei di allora, della filosofia classica: la felicità non
la si può trovare con regole pratiche, ma si trova sempre “nel
mezzo” in ogni cosa ed ognuno deve cercarsela da sè evitando gli
eccessi...
C: Come attualmente succede, non è così?
A: Già... sono un po’ deluso dall’andamento di questo mondo e
soprattutto dalla cecità che l’uomo dimostra quando negli eccessi
spera di trovare la felicità.
C: Si ritorna alla prima domanda che ho rivolto a Leopardi
chiedendogli il motivo per cui gli italiani continuano ad affidarsi a
regole fittizie per raggiungere la felicità, che si approfittano dei
desideri della gente...
A: E’ così. Grazie ancora per avermi fatto intervenire in questo
dibattito.
39
C: E’ stato un piacere. Concludiamo questa serata salutando tutti gli
ospiti che gentilmente sono venuti a farci compagnia: Giacomo
Leopardi, Blaise Pascal, S. Agostino, Epicuro e infine Aristotele.
APPLAUSI
Blaise Pascal
Sant ’Agostino
Epicuro
Aristotele
40
Leopardi tra finito ed infinito
Drammatizzazione in tre quadri
Leopardi uomo e amante, Leopardi filosofo, Leopardi poeta.
A cura delle classi IV A e IV H
del Liceo Laura Bassi di Bologna
41
I QUADRO- LEOPARDI AMANTE
DIALOGO TRA LA CONT.SSA T. MALVEZZI E G.LEOPARDI
a cura di Chiara Bignardi ed Ester Droghetti
Narratore (Selena Faranna) riassume bevente la storia dell’amicizia tra
Giacomo Leopardi e Teresa Malvezzi.
Teresa (Sara Scoccimarro) e Leopardi (Marco Gotti) dialogano nel salottino
della Contessa (vedi testo allegato). accompagnate alternativamente
dalla chitarra (Ilaria Mazzari) tema della Contessa e dalla viola (Claudia
Chelli) tema di Leopardi
Il Narratore racconta poi al pubblico la triste conclusione dell’amicizia tra
Giacomo e Teresa.
Narratore: Teresa Carniani, sposa del conte Francesco Malvezzi de’
Medici, di antica famiglia felsinea, era una nobildonna proveniente da un
colto ambiente famigliare, che amava molto le lettere classiche, le lingue
straniere e la poesia. Frequentò letterati di rango (come il Monti, che fu
ripetutamente accolto nel suo salotto) e venuta a conoscenza della
presenza di Giacomo Leopardi a Bologna non si fece scappare l’occasione
di conoscerlo e di domandargli un suo parere sulle opere da lei scritte.
Siamo nel maggio del 1826, Leopardi ne apprezza l’erudizione e i lavori, e
non esita a raccomandare una traduzione ciceroniana della dama,
affinché approdasse alla stampa, all’editore Antonio Fortunato Stella.
Ma oltre che dall’erudizione di Teresa Malvezzi, Giacomo Leopardi,
nonostante la differenza di età (28 lui , 41 lei) rimase colpito dalla sua
avvenenza.
Nell’aprile del 1827 Leopardi, dopo una breve permanenza a Recanati,
fece ritorno a Bologna. Soggiornando a Palazzo Malvezzi ebbe il piacere di
conversare con la sua amata Contessa.
Leopardi: “Sono lusingato che Voi,mia cara Contessa ,abbiate accettato il
mio invito. Per me è un immenso piacere rivedervi dopo la mia lunga
assenza da Bologna .Immagino abbiate molte novità e siate ansiose di
parlarmene,ma prima di ogni vostra parola Vi prego di ascoltarmi.
Ciò che mi sento di dirle è per me di grandissima importanza.
Non abbiamo mai parlato di Amore, se non per scherzo, ma viviamo
insieme in un’amicizia tenera e sensibile, con un interesse scambievole e
un abbandono, che , a mio avviso, è come un Amore senza Inquietudine.
Ricordo con piacere le giornate passate assieme, le nostre confidenze e le
sarò grato per avermi fatto scoprire piaceri che io credevo impossibili”
La Contessa: “Mio caro amico le vostre parole mi riempiono il cuore di
gioia, nella mia vita ho ricevuto molte lusinghe da poeti che mi stimano
per la mia dote letteraria, ma io non ho mai udito parole come le vostre e
proprio perché siete Voi a pronunciarle non potrò mai dimenticarle”
Leopardi: “ I primi giorni che vi conobbi vissi una specie di delirio e di
febbre che hanno resuscitato il mio cuore da un sonno, anzi una morte
completa durata per tanti anni”
42
La Contessa stupefatta rispose: “Vi prego di controllare le vostre parole
che pur essendo incantevoli mi feriscono”
Leopardi: “ Non potete dirmi questo poiché di giorno in giorno la forza e la
sensibilità dell’Amore smanioso ch’io porto cresce sempre più e che per
tanto tempo è stato l’unico segno di vita dell’anima mia”
La Contessa: “Vi prego di capire, questa vostra tenerezza e sensibilità nei
miei riguardi ci porta a inutili sofferenze, in quanto la mia cara metà si
adombra di tutte le visite che mi vengono fatte frequenti e lunghe, ed è per
questo che non vi ho mai scritto nei cinque mesi che avete trascorso a
Recanati.”
Leopardi: “Contessa mia, io cerco di capirvi, ma il sentimento che io provo
nei vostri riguardi è talmente forte da accecarmi la ragione”
Contessa Malvezzi: “Ascoltatemi, mio caro amico, vi ricordate delle parole
che vi dissi l’ultima volta che ebbi il piacere di vedervi?”
Leopardi: “Certo, come avrei potuto dimenticarle, mi diceste cosi
chiaramente che la mia conversazione da solo a sola va annoiava che non
mi lasciaste luogo e nessun pretesto per ardire di continuarvi la frequenza
delle mie visite”
La Contessa rispose: “Spero che queste parole da me pronunciate non vi
abbiano offeso…ma è ciò che penso riguardo alla nostra relazione”
Leopardi: “Non crediate ch’io mi chiami offeso; se volessi dolermi di
qualche cosa, mi dorrei che i vostri atti e le vostre parole, benché chiare
abbastanza, non fossero anche più chiare ed aperte. Ma mia contessa,
ormai il dolore che mi affligge è cosi forte che alla notte non riesco a
prendere sonno ed ecco che sono pronto ad aprirle il mio cuore”
A questo punto la contessa presa dall’agitazione decide di suonare il
campanellino per chiamare il domestico, all’arrivo di quest’ultimo la
contessa ordina:
“Mi porti un bicchiere d’acqua per il Signor Conte”
Da quest’ultimo momento gli incontri tra Leopardi e la Contessa
cessarono, tanto che nel 1830 Leopardi si fermò, dal 3 al 9, a Bologna
senza porre piede in casa Malvezzi. Saputa la notizia, la Contessa
scrisse, in nome proprio e della famiglia, il dolore che le aveva messo
nell’animo questo vedersi cosi posta in tanta dimenticanza. Ma
nonostante ciò essa non fu dimenticata dal poeta, poiché egli, a Firenze,
nell’agosto 1827, volle dall’amico Domenico Paoli un esemplare
dell’Egloga del Pope tradotta da lei.
43
Inoltre non vi sarà anima colta e sensibile che, visitando le sale del
Palazzo Malvezzi, non ricordi l’amicizia del sommo poeta e della donna
gentile.
SCALA MONUMENTALE DEL PALAZZO MALVEZZI
44
II QUADRO - LEOPARDI FILOSOFO
DIALOGO DELLA MODA E DELLA MORTE
Adattamento dell’Operetta Morale a cura di Caterina Sgarzi (vedi testo
allegato).
Anita Selvaggi (la Moda) e Caterina Sgarzi (la Morte) recitano il dialogo su
un palcoscenico nudo accompagnate alternativamente dalla chitarra
(Ilaria Mazzari) tema della Moda e dalla viola (Claudia Chelli) tema della
Morte.
A metà del Dialogo (paragrafo 20) stacco musicale con canto (Sara
Scoccimarro): “Almeno tu nell’universo” accompagnato dalla musica
(chitarra e viola).
Alla fine del dialogo la Morte urta con violenza e noncuranza la Moda che
cade sconfitta
Stacco con percussioni e viola: Eugenio Pastanella e Claudia Chelli.
Nel febbraio 1824 Giacomo Leopardi si trovava a Recanati e componeva
dialoghi filosofici che chiamò “Operette morali”. Vi presentiamo una nostra
interpretazione del dialogo tra Moda e la Morte. In esso si intrecciano due
motivi: la satira della Moda, che per sua natura appare assurda e
irragionevole all’intelletto, e la satira della vita contemporanea che è così
frivola da essere simile alla morte.
Moda: “Madama Morte , Madama Morte” (Enunciato come sorta di
richiamo)
Morte: “Aspetta che sia l’ora e verrò senza che tu mi chiami”
Moda: “Madama Morte” (Pronunciato con un tono incisivo)
Morte: “Vattene al diavolo, te l’ho già detto , verrò quando meno te lo
aspetti!”
Moda: “Guardami, io ti sembro una persona mortale?”
Morte: “Ti sto guardando, cosa dovrei capire?”
Moda: “Non mi conosci?”
Morte: “No, perché dovrei conoscerti?”
Moda: “Come perché? Io sono la Moda, tua sorella!”
Morte: “Non farmi ridere…”
Moda: “Si, io sono proprio tua sorella, non ti ricordi che siamo entrambe
figlie della caducità?”
45
Morte: “Come faccio a ricordarmi, che sono nemica capitale della
memoria!”
Moda: “Io invece me lo ricordo molto bene, e so anche che tutte e due
miriamo a cambiare di continuo le cose anche in maniera diversa…”
Morte: “Alza di più la voce e scolpisci meglio le parole se vuoi che ti
capisca, perché l’udito non mi serve quanto la vista, dato che non guardo
e non ascolto nessuno…non so se mi capisci?”
Moda: “ Va bene, parlerò come vuoi…dico solo che tu ti preoccupi di
gettarti sulle persone e rendere fine alla loro vita, mentre io mi accontento
di cambiare acconciature, abiti e cose simili, senza fare loro del male,
come invece tu fai!”
Morte: “Si, mi hai convinto, ti credo…e riconsiderando la nostra parentela
ti prometto che quando giungerà la mia ora, ti lascerò tutti i miei averi
(Detto con tono ironico) e poiché tu sei nata dal corpo di mia madre
sarebbe giusto che in qualche modo tu mi fossi utile”
Moda: “Lo sono già stata…più di quanto tu pensi…perché non ho mai
impedito a nessuno di morire”
Morte: “Sarà…ma tu, da buona sorella, dovresti aiutarmi a far soffrire gli
uomini a ancor meglio a farli morire”
Moda: “Te lo ripeto io in un modo o nell’altro ti ho già aiutata , e sono
convinta che la nostra unione possa fare le forza contro il genere umano”
Morte: “Le tue parole finalmente mi sembrano sagge e rispecchianti la
verità…grazie alla nostra coesione da ora un nuovo cammino ci
attende…”
Ed escono dalla scena.
-FINE –
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III QUADRO – LEOPARDI POETA –
A SILVIA
La lettura dell’idillio composto da Leopardi nel 1826 ha suscitato in noi
una molteplicità di emozioni che vorremmo esprimere non con le parole,
ma con musica e danza.. I versi iniziali si associano per noi al sentimento
della purezza, che regna sovrana nei pensieri di Silvia intenta a sognare
un felice futuro.
Immaginiamo la Purezza vestita di bianco, che si muove dolcemente
intorno alla fanciulla. Giacomo Leopardi, intento nei suoi studi, resta
affascinato dal canto melodioso di Silvia. Nonostante il dolce rammentare,
la Solitudine aleggia inesorabilmente tra loro; essa danza, vestita di nero,
nel vano tentativo di creare un legame tra due persone che potrebbero
incontrarsi, ma che sono condannate a soffrire.
Nella poesia si percepisce chiaramente il cambiamento dello stato d’animo
di Leopardi. Un cupo velo di tristezza appanna il suo animo ed i suoi
versi. Anche noi ci immedesimiamo nella sua disperazione: una fanciulla,
vestita di rosso, gli danza attorno come un’emanazione del suo
turbamento.
Alla fine del canto Silvia perisce, insieme alla speranza del poeta,
sconfitta dalla morte, che l’avvolge col suo nero mantello.
La Morte e la Disperazione accompagnano vincitrici il poeta verso il suo
infelice destino.
Il palcoscenico è diviso in due parti: a sinistra Leopardi (Marco Gotti)
seduto alla sua scrivania legge e scrive in silenzio, dando le spalle a
pubblico, sulla scrivania la luce fioca di una candela; a destra, illuminata
da un riflettore Silvia (Anita Selvaggi) ricama il suo corredo e ogni tanto
alza gli occhi e rimane ferma un attimo a contemplare i suoi sogni.
Una voce fuori campo amplificata (Lucia Accorsi) recita i versi dell’Idillio:
vv. 1 -14 – La lettura è accompagnata da chitarra e viola (tema della
purezza e della speranza)
Stacco: La Purezza (Eleonora Passarella) vestita di bianco, danza intorno
a Silvia, accompagnata da viola e chitarra.
vv. 15 -34 - La lettura è accompagnata da viola e chitarra (tema della
solitudine e del dolore).
Stacco: Solitudine (Eleonora Santi) vestita di nero danza,attraversando il
palcoscenico nell’inutile tentativo di creare un legame tra le due solitudini
di Giacomo e Silvia.
vv. 35 – 55 – Lettura accompagnata da viola e chitarra (tema della
Disperazione)
Stacco: La Disperazione (Carlotta Gelli), vestita di rosso, danza intorno a
Giacomo.
vv. 56 -63 - La lettura è accompagnata da un crescendo di percussioni
(tema della morte incombente)-- (Eugenio Pastanella).
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Danza conclusiva della Morte (Eleonora Santi) vestita di nero e della
Disperazione (Carlotta Gelli) vestita di rosso che uccidono la Speranza
(Eleonora Passarella) vestita di bianco e travolgono Silvia,coprendola con
un velo nero: Il riflettore si spegne..
Tutti escono, tranne la Disperazione e la Morte che incombono immobili.
Leopardi resta da solo sul palcoscenico. Si alza lentamente, soffia sulla
candela e si allontana in silenzio, la Disperazione e la Morte lo
accompagnano fuori scena.
FINE
Regia Scene e Dialoghi: Sara Scoccimarro, Chiara Bignardi, Caterina
Sgarzi, Ester Droghetti, Giulia Caprivi, Mayra Nunez e Anita Selvaggi.
Regia Coreografia: Eleonora Santi e Carlotta Gelli.
Musiche originali di Silvia Stori, Eugenio Pastanella, Ilaria Mazzari e
Claudia Chelli.
Lucia Accorsi, Sara Scoccimarro e Anita Selvaggi hanno già recitato con
Paolo Billi (Dialoghi ed altre iniziative dell’Assbloom – Culture e teatri –)
Eleonora Santi e Carlotta Gelli frequentano un corso di danza.
Eugenio Pastanella frequenta un corso di strumento
Lo spettacolo durerà circa un’ora e sarà allestito nella
Sala della ex chiesa di S. Mattia, via S. Isaia 14 il
29.03.2005 alle ore 17.30
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Bibliografia
Rolando Damiani – Vita di Leopardi – Mondadori – Milano 1992
Emanuele Severino – Il Nulla e la Poesia – Rizzoli –Milano 1990
Lucio Lombardo Radice – L’infinito – Editori riuniti, Libri di base –
Roma 1981
Antonio Prete – Il pensiero poetante – Feltrinelli –Milano 1980
Emanuele Kant – Critica del Giudizio – Laterza Bari 1984
Luigi Magnani – Goethe, Beethoven e il demonico – Einaudi –
Torino 1976
Giacomo Leopardi – Operette morali – Mondadori – Milano 1950
Giacomo Leopardi – Lo Zibaldone –
Giacomo Leopardi – I Canti –
Dante Alighieri – Il Paradiso a cura di Natalino Sapegno – La
Nuova Italia – Firenze 1957
Goethe – Faust – Parte I e II – Mondadori – Milano 1970
Marina Calore – Libertà cara, sei troppo amabile (1796-1805) –
Bologna 1996 – Lo Scarabeo
Bibliografia relativa alla vita di Leopardi a Bologna, compilata con
la collaborazione della biblioteca Sala Borsa, del Museo Carducci,
del Centro nazionale di studi leopardiani di Recanati.
-Attilio Brilli “In viaggio con Leopardi”- Il Mulino, intersezioni,
Bologna, 2000
-Giacomo Leopardi “ Questa benedetta Bologna”- impressioni e
annotazioni su Bologna tratte dall’Epistolario con alcuni appunti
tratti dallo Zibaldone- Massimiliano Boni editore, Bologna 2002
-Giacomo Leopardi e Bologna- libri immagini documenti- a cura di
Cristina Bersani e Valeria Roncuzzi Monaco- Patron editore
Bologna, 2001
-Valeria Roncuzzi Roversi Monaco- "Giacomo Leopardi e Bologna.
Libri immagini e documenti. Una mostra all'Archiginnasio nel
bicentenario della nascita" Strenna storica bolognese, 48-1998
-Giuseppe Lipparini "Leopardi a Bologna" Strenna storica
bolognese 1928
-Centro Nazionale di studi leopardiani “Le città di Giacomo
Leopardi” Atti del Convegno Internazionale di studi leopardiani –
Recanati 16-19 novembre 1987- editore Leo Olschki Firenze
-Giuseppina Gandolfi, “La contessa Teresa Malvezzi e il suo
salotto” Zanichelli, Bologna- 1900
-Antonio Marchello- Giacomo Leopardi “Passeggiando per Bologna,
solo come sempre…”
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Alcuni brani tratti dalle opere citate in bibliografia sono stati
analizzati in classe e altri sono stati analizzati e rielaborati da gruppi
di alunni, in orario scolastico o da alunne singole, in orario
extrascolastico.
Le immagini inserite nel lavoro sono state reperite tra le illustrazioni
delle opere citate o tratte da Internet. I docenti referenti hanno avuto
una funzione di supporto e supervisione, ma hanno lasciato agli
alunni piena libertà di esprimere i loro reali sentimenti e la loro
personale creatività.
Nel lavoro confluiscono anche conoscenze e abilità derivanti da
interessi e attività che non riguardano l’ambito scolastico.
La Bibliografia proposta è stata integrata dagli alunni anche
mediante l’utilizzo di testi in loro possesso.
Docenti referenti:
Prof.ssa Maria Cuccia
Prof.ssa Emanuela Cataluddi
Prof.ssa Teresa Vitale
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