Liceo Laura Bassi – a.s. 2004 – 2005 LEOPARDI A BOLOGNA Saletta da The Si narra che il poeta Giacomo Leopardi durante il suo soggiorno a Bologna, invitato a Palazzo Malvezzi, trascorresse il tempo in questa sala discorrendo di poesia con la Contessa Malvezzi della quale si dice fosse invaghito. Rielaborazioni e riflessioni a cura delle alunne delle classi IV A e IV H Progetto “Lettura, pensare l’ Italia attraverso i classici” I azione Analisi attraverso lezioni frontali e lavori di gruppo di brani tratti dalle opere in bibliografia II azione Produzione di un dossier contenente gli articoli scritti dagli alunni III azione Visita guidata ai luoghi leopardiani; Palazzo Pepoli e Palazzo Malvezzi (23 marzo 2005) IV azione Evento teatrale Titolo: Leopardi tra finito ed infinito Sottotitolo: Drammatizzazione in tre quadri: Leopardi uomo e amante, Leopardi filosofo, Leopardi poeta. 2 INDICE 1) Bologna giacobina a cura di Elisa Pancaldi 2) Bologna durante la Restaurazione a cura di Stefania Magnanini 3) I moti insurrezionali del 1830-31 a cura di Elisa Pancaldi 4) Leopardi a Bologna a cura di Stefania Magnanini 5) Sguardo sul mondo accanto ad un cratere - saggio di Lisa Bignami 6) L’evoluzione del concetto di “sublime” e la concezione di Leopardi - saggio di Stefania Magnanini 7) L’infinito desiderio del piacere - saggio di Martina Storari 8) La visione del mondo di Giacomo Leopardi - saggio di Viola Scalcione 9) Discussione impossibile fra leopardi e alcuni personaggi del passato...dialogo a cura di Beatrice Fiacchi 10) Leopardi tra finito ed infinito Drammatizzazione in tre quadri: Leopardi uomo e amante, Leopardi filosofo, Leopardi poeta. § Dialogo tra la contessa Teresa Malvezzi e Giacomo Leopardi riduzione teatrale a cura di Chiara Bignardi ed Ester Droghetti § Dialogo della Moda e della Morte riduzione teatrale a cura di Caterina Sgarzi § A Silvia - Evento teatrale a cura delle classi IV A e IV H 11) Bibliografia 3 Il contesto storico e biografico Rielaborazioni sui testi analizzati 4 1) BOLOGNA GIACOBINA a cura di Elisa Pancaldi SITUAZIONE SOCIALE, POLITICA E CULTURALE A BOLOGNA DURANTE IL TRIENNIO GIACOBINO (1796-1799) In seguito all’arrivo dei francesi a Bologna, verso la fine del 1796, ebbe inizio una fiorente stagione teatrale, sbocciata in un clima culturale profondamente segnato dal secolare rapporto, sovente conflittuale e ostile, tra le antiche istituzioni comunali, di cui fu rappresentante a Bologna il Senato, e l’autorità ecclesiastica. In tale contesto il teatro divenne strumento prettamente pedagogico, atto a raccogliere l’adesione di una classe dirigente e di una popolazione estranee agli ideali dell’illuminismo giacobino, propagandati attraverso una campagna pubblicitaria promossa da Napoleone Bonaparte, al fine di liberare l’Italia dal giogo della potenza austriaca. Bologna, nella seconda metà del ‘700, era retta da un doppio governo, che perdurava da secoli. Tale istituzione politica si componeva di un governo locale, presieduto dal Senato, espressione dell’antica tradizione comunale ed ispirato ad una concezione politica particolaristica, e del governo del Cardinale Legato, delegato ad esercitare il potere temporale dal Papa. La città era formalmente posta sotto l’autorità ecclesiastica ed era autonoma in campo economico ed amministrativo sin dal 1447. Nel 1780 papa Pio VI tentò di estendere alla città il Piano Economico ispirato al riformismo illuminato, varato dal governo centrale. In seguito all’introduzione del Catasto, operata dal Legato, l’autonomia di cui godeva il Senato, in ambito economico, fu drasticamente ridimensionata. L’antica istituzione comunale perseverava ancora nella speranza di ristabilire l’originaria libertà bolognese, vincolata e lesa dal Pontefice. Attraverso la stampa francese, ispirata prevalentemente a Voltaire, e per mezzo della stampa italiana, le idee dell’illuminismo penetrarono a Bologna, ove trovarono un terreno fertile su cui attecchire, in quanto i bolognesi manifestarono una particolare propensione ad appoggiarle, per via dell’anticlericalismo della città. Nel 1794 due studenti, Zamboni, bolognese, e De Rolandis, piemontese, tentarono di fomentare un’insurrezione popolare distribuendo volantini all’uscita dai teatri a favore dell’Unità d’Italia. La congiura fu scoperta e i due giacobini furono imprigionati e condannati. Zamboni si tolse la vita in carcere e De Rolandis fu giustiziato alla Montagnola. Il 18 giugno 1796 Napoleone entrò negli Stati Pontifici e il giorno seguente, durante la notte, sopraggiunse a Bologna. 5 Occupò simbolicamente piazza Maggiore, gesto che designò il primo scontro tra la cultura bolognese e quella francese. Napoleone si stabilì a palazzo Pepoli. Convocò poi il Senato attribuendogli il potere legislativo ed esecutivo, chiedendo il giuramento di fedeltà alla Repubblica Francese. Riabilitò le figure di Zamboni e De Rolandis in qualità di martiri della libertà, esigendone la sepoltura con tutti gli onori in Montagnola. Napoleone costrinse la nobiltà bolognese ad un profondo mutamento culturale, le negò il diritto di proprietà feudale, che si trasformò in proprietà privata. Di fatti la nobiltà bolognese conduceva una vita frivola, tra vizi e passioni, legata al gioco e alla galanteria. Il momento di incontro ludico tra i rappresentati di una cultura ecclesiastica, sostanzialmente corrotti, e i rappresentanti di un mondo laico, brillante ma superficiale, insensibile ad ogni rinnovamento, veniva denominato “Conversazione per la nobiltà”. Il Cardinale Legato concesse agli aristocratici l’uso della maschera durante il Carnevale, che divenne occasione di violenze impunite, artificio dell’aristocrazia bolognese. Napoleone pertanto promosse e operò una radicale trasformazione non solo a livello culturale, bensì anche a livello politico, attingendo al pensiero giacobino, che maturò prevalentemente in ambito massonico, nel periodo tra il 1789 e il 1799. Il “Liberatore” istituì una commissione al fine di studiare la futura Costituzione borghese, che sarebbe sorta con l’obbiettivo di tutelare la proprietà privata, ispirandosi a criteri censitari, sul modello della Costituzione francese dell’anno III. La Costituzione fu approvata in San Petronio il 4 dicembre 1796. Si trattò dunque della prima Costituzione del nostro paese, che gettò le basi per il fondamento di uno Stato nazionale fondato sulla sovranità popolare. La città in breve tempo fu piena di fermento, in quanto i bolognesi giacobini si scagliarono contro aristocratici e preti, nonché contro lo stesso Senato, simbolo del conservatorismo. Il contrasto tra il governo provvisorio del Senato e i giovani estremisti giacobini si accentuò. I giacobini bolognesi fondarono nel 1796 il Circolo Costituzionale, che si radunava presso l’Archiginnasio, in cui si svolgevano dibattiti sul testo della Costituzione. In esso confluivano intellettuali giacobini provenienti da tutta Italia, tra i quali Ugo Foscolo. Bologna divenne inoltre un centro giornalistico importante. Dopo l’elezione di un Direttorio cispadano il Senato si sciolse con un proclama del 30 ottobre 1796. La cultura bolognese iniziò a diffondersi, tuttavia i promotori giacobini destavano diffidenza e sospetto, più che riscuotere simpatia e consenso. Si temeva l’esuberanza di codesti, il mutamento sociale da essi predicato e i tumulti che ne potevano scaturire. 6 Si organizzarono banchetti per i poveri, al fine di far fronte al problema della povertà, da parte dei nobili bolognesi. A causa dell’ostilità dell’ambiente il problema politico si pose a Bologna prevalentemente come problema educativo, ed è in codesta prospettiva che nacque il Gran Circolo Costituzionale di Bologna, riunitosi per la prima volta il 23 dicembre del 1797 all’Archiginnasio. Il Circolo aveva un proprio statuto. Gli scopi che perseguiva vertevano sulla diffusione dell’istruzione, sulla distruzione della superstizione e dell’ignoranza, consolidando la libertà, e sollevando il popolo dalla povertà. Il Circolo promosse varie iniziative pubbliche che coinvolsero la città, tuttavia ebbe vita breve, poiché fu definitivamente chiuso con l’ingresso degli austro-russi. Gli appartenenti al Circolo erano di diversa estrazione sociale, in prevalenza si trattava di coloro che oggi verrebbero definiti piccoli e medi borghesi. Nelle riunioni del Circolo, fra le varie tematiche politiche affrontate, la prima fu senz’altro quella della povertà, che scisse la parte moderata da quella estremista sui metodi per combatterla. Un altro problema che suscitò accesi diverbi fu quello religioso. Progressivamente fiorirono allestimenti teatrali come principale strumento di istruzione e pubblica educazione. Nel ‘700 il teatro letterario si sviluppò in un primo tempo in ambiti privati, con compagnie di attori dilettanti. A Bologna, in particolare, operò l’Albergati, bolognese e nobile di nascita, che fu tra i più noti rappresentati della tradizione teatrale locale. L’Albergati scrisse prevalentemente commedie di stampo goldoniano e, seguendo la moda francese, sferzò i vizi della nobiltà, senza tuttavia inserirsi nella drammaturgia di tipo giacobino. L’Albergati non riuscì mai ad accettare la rigidità di un teatro educativo, quale era quello giacobino, e non tollerò il ruolo dell’intellettuale consenziente all’organizzazione politica. Tra il 1796 e il 1799, a Milano, a Bologna, a Roma e a Napoli, si allestirono tragedie che predisponevano il pubblico all’accettazione di una forma di rappresentazione teatrale che diveniva strumento di propaganda ideologica e politica, e che raccoglieva opere molto diverse per stile, genere e tecnica drammatica. Poche opere godevano di fama nazionale. La prima fase, dal ’96 al ’99, del teatro giacobino coincise con l’occupazione napoleonica e si concluse con le persecuzioni che seguirono la partenza dei francesi. La seconda fase fu ispirata dalla nuova politica ideologica e culturale più moderata, anche nei confronti della Chiesa, da parte di Napoleone. Al teatro polemico e satirico subentrò un’arte compostamente classica e aulica. 7 L’eccessivo formalismo e la mancanza di una reale libertà finirono con l’inaridire l’ispirazione degli autori. Con l’entrata dei francesi, il teatro comunale e la piazza diventarono luoghi di ritrovo patriottici. In piazza si tenevano spettacoli e si organizzavano banchetti; in teatro si recitavano nuovi drammi di ispirazione giacobina e si svolgevano frequenti balli e feste. Si aprirono nuovi e più idonei ambienti destinati a rappresentazioni liriche o di prosa, altri vennero invece trasformati in luoghi in cui si poteva insegnare l’amore per la patria e per la libertà, gli ideali di uguaglianza e di fraternità. Il modello della festa era quello francese, spesso la sua data coincideva con una ricorrenza di rilievo per la rivoluzione. L’obbiettivo che si prefiggeva il teatro giacobino era quello di diffondere la cultura illuministica attraverso un coinvolgimento sentimentale e ideale degli spettatori. Si cercò di radicare l’adesione al giacobinismo nelle coscienze, utilizzando il teatro come strumento di conversione del popolo. Il Circolo Costituzionale e i giornali bolognesi acquisirono carattere teatrale, mentre il teatro si trasformò in sede privilegiata del dibattito politico, definendo la figura del vero patriota, colui che è “illuminato” e non “fanatico”, ardito ma prudente, la cui parola rifugge dalla meschinità come dalla retorica enfatica, come una scheggia che penetra nel cuore del popolo senza ferirlo. Fu una nuova moralità laica e democratica a prendere il posto di quella ecclesiastica. I giornali riportarono ed amplificarono gli avvenimenti politici e culturali. Il 21 gennaio 1797 si inaugurò il Teatro Civico, espressamente chiesto dalla stampa. I bollettini militari delle imprese napoleoniche si alternarono alle locandine degli spettacoli teatrali. Un ostacolo non insignificante fu riscontrato dal teatro patriottico in un pubblico immaturo, composto prevalentemente da ex nobili che non gradivano essere denigrati nei propri vizi e difetti. La tematica che sembrò coinvolgere maggiormente i bolognesi fu quella della corruzione del clero. Tale argomento fu affrontato inscenando opere, come ad esempio “Il Conclave”, ponendo in risalto l’ipocrisia delle gerarchie ecclesiastiche, oppure attraverso una vasta produzione scritta. Il 23 giugno del 1800, dopo la vittoria di Marengo, i francesi fecero ritorno a Bologna, dapprima furtivamente e solo il 28 giugno ufficialmente la città fu loro consegnata. Ma lo spirito di Napoleone, divenuto I Console formalizzando il proprio potere, mutò, in quanto sul popolo si abbatterono ulteriori tasse e la mancanza di viveri fu il problema principale che il governo provvisorio dovette fronteggiare. Il 12 novembre 1801 la Consulta di Lione elaborò la nuova Costituzione; Napoleone pertanto decise di nominare la Repubblica non più Cisalpina bensì Italiana. 8 La nuova amministrazione impose in ogni campo il rispetto assoluto della linea politica napoleonica, ripudiando il giacobinismo. Nel giugno del 1804, dopo la sua proclamazione ad Imperatore dei Francesi, Napoleone, dopo averla formalmente offerta al fratello Giuseppe che la rifiutò, assunse anche la corona del Regno d’Italia. Il nuovo sovrano entrò nel Regno il 18 giugno 1805. Fu la fine del periodo repubblicano. Giovanni Battista Gaetano De Rolandis (Castell'Alfero, 24.6.1774 - Bologna, 23.4.1796), che per le sue idee liberali e patriottiche fu il primo martire del Risorgimento Italiano, condannato a morte tramite impiccagione a Bologna. A. Appiani (incisione da), L' incoronazione di Napoleone a Re d'Italia (da I Fasti Napoleonici), 1805 ca., fotografia delle Civiche Raccolte di Stampe Achille Bertarelli, Milano 9 2) BOLOGNA NEL PERIODO DELLA RESTAURAZIONE a cura di Stefania Magnanini Dalla prima caduta di Napoleone nel 1814 le potenze d' Europa si erano riunite a Vienna a Congresso. La fuga di Napoleone dall' Elba le aveva brutalmente sorprese, e il Congresso era stata sciolto. Dopo Waterloo esso fu ripreso. Giacomo Leopardi nasce nel 1798 a Recanati, paese appartenente allo stato pontificio,che nel periodo della restaurazione aveva il dominio anche su Forlì, Ravenna, Ferrara e Bologna sotto il titolo di Legislazioni; nel frattempo l'Austria voleva prendere il potere sull'Italia per la sua posizione geografica, ma ad essa fu annesso solo il Lombardo-Veneto. Nella restaurazione in Italia, ritornarono gli antichi sistemi e i vecchi codici. Cancellata l'uguaglianza dei cittadini davanti alle leggi, riapparvero i privilegi. I Giacobini cioè i liberali furono considerati i nemici della società e della pace, ribelli che bisognava combattere. Lo Stato inutilmente si affannerà a coprire il vuoto della vita nazionale, divertendo i popoli con programmi di feste e di vita allegra. Divertire può essere un programma di governo;ma è un programma pericoloso. Al di fuori, teatri, balli, ballerine e cantanti, musica e accademie letterarie. Il Romanticismo, si trasforma nel sogno di libertà, una musica allegra che diventa invocazione. Alle condizioni generali d' Italia si uniscono le condizioni particolari dello Stato della Chiesa e di Bologna. Lo Stato veniva diviso in quattro Legazioni (le Romagne e Bologna), e in quindici delegazioni (Marche e Umbria). La Legazione, era divisa in governi, retti dai governatori, e i governi in comuni, amministrati da un consiglio comunale. Ma politicamente nessun diritto era riconosciuto, nessuna libertà. Il dominio Pontificio che ritornava era doppio, politico e religioso, il sovrano era papa e re. I privilegi del clero, soppressi con tanta violenza dalla rivoluzione, con altrettanta violenza venivano rivendicati. E più irritante, più insopportabile di tutti questo: che solo al clero fossero riserbate le maggiori cariche pubbliche. Durante la restaurazione nacquero per necessità alcune sette segrete. Con le nuove teorie filosofiche e i principi di libertà che avevano segnato la seconda metà del settecento, sette numerose erano già nate, prima in Inghilterra poi in Francia,che avevano lavorato a preparare il trionfo delle nuove idee. Fra queste più importanti furono la Carboneria e la Massoneria che erano a titolo nobiliare. Anche a Bologna era stata fondata una Loggia,chiamata I figli dell'onore, cui apparteneva Luigi Zamboni. Ma la Carboneria uscì presto dai concetti astratti e filosofici,per immedesimarsi coi bisogni del tempo; essa ebbe carattere politico e un fine immediato:la distruzione della tirannide. Ed è per questo che diventa argomento principale nella storia d'Italia dal 1815 al 1831. Si diffuse a Napoli sotto il re Gioacchino Muratti e successivamente si unì alla società dei Raggi durante la prima guerra d' indipendenza. Negli stati ecclesiastici era diffusa la setta Carbonara dei Guelfi. Bologna ne era il centro; essa si era innestata sulla vecchia società 10 dei Raggi,e irradiava nelle Marche, a Milano, a Torino. Le adunanze si tenevano in casa del Principe Astorre Hercolani. I Guelfi avevano riti più semplici e meno formalità: non grandi adunanze, ma il programma più preciso. Si proponeva l'indipendenza d' Italia con una forma federativa, libertà di stampa e di culto, eguaglianza di legge, di monete, di pesi, di misure. Contro le sette carbonare dovevano naturalmente organizzarsi altre sette occulte per combatterle, la Santa Unione e i Calderai. Le sette furono chiamate le catacombe politiche d' Italia. A Bologna vi era un periodo di eccezionale tranquillità. Nei processi pubblici vi era libertà di parola, la stessa Bolla di condanna alla Carboneria, emanata da Pio VII nel 1821, lasciò indifferente la popolazione, e i parroci poterono liberamente rifiutarsi di leggerla nelle Chiese, sotto pretesto di non esporre la loro vita che il governo non avrebbe potuto garantire. Difatti un vero osservatorio pubblico è la cronaca del Conte Rangone, composta da 84 volumi,che vanno dal 1814 al 1845. Tratta ogni cosa: politica, religione, governo, musica, vita mondana, una miniera inesauribile e non del tutto esplorata, con corredo di documenti preziosi. Il conte Francesco Rangone poi ritiratosi a Bologna a vita privata era un uomo di moderati sensi liberali; voleva l'ordine nella libertà, odiava l' Austria ed amava l' Italia. Il Rangone segna scrupolosamente i fatti: La rivolta militare dei Carbonari a Napoli nel 1820. Egli racconta come al Congresso di Lubiana le potenze di Europa, Austria, Russia, Francia, Due Sicilie, Sardegna, Toscana, Stato della Chiesa, si proponessero di guarire i popoli dal delirio della costituzione,armando la Santa Alleanza contro i ribelli. Difatti un esercito di 80 mila soldati austriaci comandati dal Frimont, fu mandato nel Napoletano. Per 10 giorni, dal 10 al 19 marzo 1821, transitarono le truppe per Bologna. E come del Napoletano, egli parla dell'insurrezione piemontese del 21, di Vittorio Emanuele abdicatario, di Carlo Alberto, di Santorre di Santarosa e di Carlo Felice. Nel 1822 si era stabilito a Bologna il principe Felice Baciocchi, vedovo di Elisa, sorella di Napoleone e Granduchessa di Toscana. Dalla famiglia Ranuzzi egli aveva comperato il Palazzo Ruini. Il Principe pensava d'abbellire e ingrandire il palazzo aprendolo a feste obliose,cui conveniva tutta Bologna del nome, del censo della cultura. L'università languiva, ma quel poco di attività intellettuale che il tempo concedeva alla luce del sole, si era raccolto nei club letterari e specialmente nel Circolo Felsineo; fondato nel periodo napoleonico e ritrovo dei coltivatori delle arti e delle lettere . 11 Giovanni Marchetti Nato a Senigallia nel 1790 e morto a Bologna nel 1852, conobbe Leopardi e lo annoverò tra gli autori più illustri nella sua opera Cenno intorno allo stato presente della letteratura in Italia Cornelia Rossi Martinetti. Dal 1830 si trasferì definitivamente a Bologna ed aprì la sua casa ad artisti e letterati. Molto amata e ammirata da tutti fu amica, tra gli altri, di Ugo Foscolo e del Canova e intrattenne un’affettuosa corrispondenza con Giacomo Leopardi 12 3) MOTI INSURREZIONALI DEL 1830-31 a cura di Elisa Pancaldi Dopo la morte di Pio VII divenne papa Leone XII, che attuò moltissime riforme positive, ma altrettante per nulla innovative, molto legate al passato e bigotte. Curò in prevalenza l’istituzione dell’Università, ricostituì i ghetti e obbligò gli studenti universitari a frequentare le funzioni sacre. Restrinse il commercio dei vini e attuò gravi provvedimenti sulle vesti delle donne. Nel frattempo l’Italia era travagliata da una perenne battaglia fra le diverse sette. Nel 1824 sopraggiunse a Bologna il Cardinale Rivarola, che non era un prete, ma solo un prelato. Fu molto severo con il popolo e stabilì pene molto pesanti alla Carboneria ed alla Massoneria, e al contempo inviava missionari per le strade a seminare concordia e amore. Subì un attentato, senza vendetta. Lasciato il governo gli successe Invernizzi. Invernizzi è ricordato per l’Istituto della Spontanea. Costui sosteneva di possedere una lista di tutti i partecipanti alla Carboneria e alla Massoneria e chi si sarebbe denunciato spontaneamente avrebbe avuto risparmiata la vita. Tra spie ed egoisti, i morti furono numerosi. A Bologna si viveva un clima di tensione e la setta dei Guelfi era sempre più prudente. A Modena era asceso al potere Francesco IV, che nel 1822 per punire i prevenuti della Carboneria aveva istituito il Processo di Rubiera: 47 indiziati erano stati condannati a gravi pene ed uno, il più innocente, Andreoli, alla decapitazione. A Parma e Piacenza la situazione era maggiormente tranquilla. In Francia con Carlo X, nel luglio del 1830, come conseguenza dell’emanazione di quattro ordinamenti intollerabili da parte del popolo, Parigi insorse e la Guardia nazionale si rifiutò di agire contro gli insorti per tre giornate consecutive, il 27, 28, 29 Luglio. Carlo X fu costretto ad abdicare e il potere andò a Filippo d’Orleans, il cui regime di stampo oligarchico non trovò appoggio nell’alto clero, poiché cattolicesimo e liberalismo erano inconciliabili, nei bonapartisti di Luigi Napoleone e nei legittimisti borbonici. Il Belgio acquistò l’indipendenza dall’Olanda e la Polonia insorse contro la Russia. In Italia Misley e Ciro Menotti chiesero aiuto ad Enrico IV per una nuova insurrezione, da cui quest’ultimo sperava di trarne vantaggio in un eventuale espansionismo territoriale. La stampa pubblicò opuscoli in grande quantità e anche i carbonari più restii si unirono per questa rivolta. Francesco IV si allontanò poi dalla rivolta di cui il bersaglio principale era l’Austria. 13 A Bologna e Modena erano iniziate diverse rivolte e, il Governo Provvisorio, che era stato istituito a Bologna, perse quasi tutto il suo potere. Si diffusero sentimenti patriottici e di rifiuto verso l’autorità pontificia. Fu costituito il Governo delle Province Italiane, composto dalle province liberate dal dominio pontificio, la Romagna, le Marche, Bologna. Lo stemma era un’aquila sopra un fascio consolare, annodato da un nastro tricolore. Si pensava che l’Austria non avrebbe più attaccato. Anche i giovani parteciparono; con molto coraggio, ma poca tecnica. Era stato nominato papa Gregorio XVI che non sapeva purtroppo agire a livello politico. Promise riforme e liberazioni, ma ciò non fece altro che incrementare il numero degli oppositori. Il Cardinal Benvenuti fu inviato ad Ancona per calmare le acque, ma fu preso in ostaggio e rischiò di essere ucciso dai rivoltosi, se il Dott. Sarti (oppositore, indignato per le morti insensate) non lo avesse protetto. La Santa Sede chiese ausilio all’Austria. I bolognesi si erano affidati alla Francia contro l’Austria, ma i francesi rivendicarono il non intervento e non aiutarono gli italiani. Questi ultimi da Bologna ad Ancona aumentarono la loro pressione. L’Austria riconquistò le Legazioni e gli Italiani a Rimini tentarono di opporsi, ma fu tutto inutile e liberarono anche il Cardinal Benvenuti. Alcuni insorti a cui avevano concesso la libertà di emigrare scoprirono che i patti non erano stati mantenuti e furono fermati, in quanto erano stati traditi dall’italiano Francesco Bandiera in accordo con gli austriaci (tra gli insorti vi era anche Carlo Pepoli). Venne scritto il Memorandum in una riunione delle potenze (Inghilterra, Russia, Prussia, Francia) che consisteva nell’attuazione di riforme amministrative e giudiziarie, nell’ammissione dei laici al Governo e in una Consulta di Stato. Si apriva così un apparente momento di pace, anche da parte dell’Austria. Nel 1832 le province poterono avere un esercito proprio, tuttavia i soldati rivendicavano lo stemma specifico della propria città e non quello pontificio. Le Università furono chiuse e gli insegnanti poterono solo lavorare in privato. Il papato costituì un esercito proprio formato perlopiù da centurioni (volontari) e da due Reggimenti Svizzeri di cattolici. Avanzarono nelle città della Romagna e a Bologna; fu un continuo spargimento di sangue. Gli austriaci giunsero a Bologna in veste di liberatori. Anche i Francesi vennero in Italia, stabilendosi nella Rocca di Ancona e lì restarono fino a quando gli Austriaci non se ne andarono da Bologna. Contro le precedenti sette della Carboneria si schierò il politico democratico Mazzini, che nel 1831 fondò la Giovine Italia, che avrebbe dovuto comprendere anche le masse popolari. 14 Le sue teorie rimasero solo a livello ideale, in quanto i moti mazziniani fallirono. Nel ‘34 si stabilì un momento di pace sia a livello politico che sociale. Conte Carlo Pepoli, patriota e letterato (Bologna 1796 -1881). Vice presidente dell’Accademia dei Felsinei, accolse Leopardi nel 1825 che ivi lesse l’epistola a lui dedicata 15 4) LEOPARDI A BOLOGNA a cura di Stefania Magnanini Dal 1817 Giacomo Leopardi fu dominato da due preoccupazioni: la volontà di entrare a far parte del mondo dei letterati e la sua ricerca personale d’indipendenza economica. Per quanto riguarda il primo obiettivo, Leopardi, diciannovenne, iniziò una serie di pubblicazioni che gli consentirono di instaurare una fitta rete di rapporti epistolari e che lo fecero apprezzare da alcuni famosi letterati italiani tra i quali il Giordani che diverrà suo carissimo amico. Il poeta poi cercò di risolvere il secondo problema, quello dell'indipendenza economica, prestando la sua opera al lavoro editoriale sollecitato che gli venne da Roma e Milano tra il 1822 e il 1825. All'attività editoriale è legato il suo soggiorno a Bologna. La scelta di questo soggiorno soddisfa almeno due esigenze del poeta: la prima, allontanarsi il quanto più possibile dall'ambiente papalino romano che gli offriva poco rispetto alla sua Recanati; la seconda è la sua esigenza era quella di non allontanarsi troppo dal borgo di Monte Morello, dove si trovava la sua casa e la sua famiglia. Ecco allora che il poeta lasciò Roma, dove aveva vissuto per sei mesi, ospite dello zio Antici , fuggendone deluso per gli intrighi di corte. La stessa sorte toccò alla città di Milano, considerata poco attraente e secondo il Leopardi troppo lontana dalle sue abitudini. A Milano però Leopardi dovette tuttavia recarsi e vi soggiornò due mesi, che era il tempo necessario per accettare l'offerta che gli veniva fatta dall'editore Stella. Si accordò con Stella per sorvegliare da lontano l’edizione di Cicerone a Milano, ma la paga che gli dava ( dieci scudi al mese ) non gli bastava per vivere di tasca propria a Bologna e quindi fu costretto a dare ripetizioni di latino e greco a due giovanotti benestanti. Leopardi scelse Bologna, pur avendone un'idea vaga. Leopardi considerava Bologna una piccola città più congeniale ai suoi interessi, sia politici, che letterari, la giudicava, infatti, più libera poiché il suo ambiente culturale era più confacente ai suoi interessi. In essa si poteva respirare quell'aria di classicismo da lui amata e tra i suoi abitanti spiccava la figura del marchese Angelelli, ammirato da anni dal poeta. Leopardi si aspettava dalle grandi città, compresa Bologna, non solo il presente ma anche delle conferme di un passato sempre conosciuto e ricercato sui libri. L'idea di Bologna che Leopardi si era costruito era in parte merito del rapporto epistolare che con la città aveva iniziato il 31 luglio 1818. Corrispondente della prima lettera fu Pietro Giordani. Negli otto anni che intercorsero tra la prima lettera e il suo soggiorno bolognese quello che nei primi anni era solo definito come rapporto casuale ben presto si trasformò in un grande sodalizio anche grazie all'amicizia col bolognese Pietro Brighenti. In quegli anni, infatti, il Brighenti fu compagno, sostenitore e complice di Leopardi aiutandolo in molte situazioni difficili che esso dovette affrontare. Il loro sodalizio prima epistolare divenne poi un forte legame d'amicizia a partire dalla prima sosta a Bologna del poeta. A Bologna Leopardi arrivò per la prima volta sulle ali delle due Canzoni 16 "All'Italia" e sul "Monumento di Dante", che, dopo grossi sacrifici e a sue spese, aveva fatto stampare a Roma. Le Canzoni furono annotate da un gruppo d'intellettuali. Leopardi fu accusato di essere un panegirista nei confronti del Monti ossia di avere cercato di accattivarsene le lodi. Fu accusato di menzogna. A Leopardi quelle critiche non giunsero mai per l'amorevole "confidenza" che ricevette dal Brighenti. Un'altra incomprensione tra il poeta e i letterati bolognesi si ebbe in occasione della stampa del Canzoniere (1824). Il quattro agosto 1823 il Leopardi scrive al Giordani di aver posto insieme un tometto di versi. Nel novembre dello stesso anno si improvvisò talent scout, poiché propose i Nobili come stampatori della sua opera. Ancora una volta l'amico bolognese dimostrò la sua disponibilità verso il poeta aggiustandogli con questa sua idea la sua situazione finanziaria che per il Leopardi fino ad allora non era stato un problema piccolo. Mentre tutto sembrava andare per il verso giusto arrivò la censura a dilazionare i tempi della stampa. Il 17 marzo del 1824 Brighenti informa Leopardi che "il frate Revisore" al quale aveva mandato il libro non ne consente la stampa. Ed il 27 marzo dello stesso anno gli dovette dare l'annuncio di un nuovo fallimento: pur avendo fatto di tutto presso quei revisori nessuno voleva pubblicargli l'opera. Finalmente però il 5 maggio Brighenti annunciò a Leopardi che il nuovo revisore aveva acconsentito alla stampa del "Canzoniere". Purtroppo le lodi del revisore e quelle del Brighenti erano le uniche che ricevette dalla città di Bologna. Era, infatti, preoccupato che le sue Canzoni non avessero offeso nessuno. Quella paura gli fece addirittura pensare di lasciare il mestiere di poeta se il caso fosse divenuto disperato. Brighenti confermò il timore del poeta. Brighenti per quanto gli era possibile cercò in ogni modo di aiutare Leopardi pubblicizzando il merito della sua opera sul suo giornale "Il caffè di Petronio". Il 17 luglio 1825 in viaggio verso Milano Leopardi effettuò un soggiorno di dieci giorni a Bologna durante i quali poté conoscere di persona il Brighenti e riabbracciare l'amico Giordani. Leopardi ha vissuto a Bologna in tre momenti diversi. La prima è stata dal17 al 26 luglio 1825( per rimettersi dalla sua malattia agli occhi ), tornando per un periodo più intenso il 29 settembre. Per questa volta rimane fino al 3 novembre, giorno in cui ripartirà per la sua città natale. La terza volta sarà a Bologna dal 26 aprile al 20 giugno 1826. A Bologna Giacomo voleva ritrovare una piccola tana, per condurre secondo i suoi ritmi una vita finalmente guadagnata “ con la penna”. Arrivato per la prima volta a Bologna, Leopardi fu ospite nel convento di S.Francesco, in Piazza Malpighi, mentre nella seconda permanenza prese in affitto un appartamento a casa Badini, vicino al teatro comunale. La vita del poeta si svolgeva a diretto contatto 17 con quella del Teatro del Corso, tanto che dalla sua stanza, confinante con la sala degli spettacoli, si doveva rassegnare ad ascoltare le commedie, senza averne il minimo desiderio, perché in effetti non amava molto il teatro. In quel periodo Bologna si mostrava particolarmente vivace nella produzione di rappresentazioni in musica e in prosa. Poteva contare su molti teatri pubblici e privati, in alcuni dei quali si esibivano, alternandosi, compagnie di professionisti e di dilettanti fino a configurare l’esistenza di un vero e proprio “sistema teatrale”. In seguito risiederà nell’albergo della Pace, dove fece la conoscenza di molti intellettuali. Conoscerà in particolare due grandi residenze Senatorie come Palazzo Pepoli e Malvezzi. La sua permanenza non durò a lungo perché la temperatura a fine ottobre raggiungeva appena tre gradi rendendo precaria la sua salute. Infatti si ammalo di un disturbo intestinale che gli addebitava, con una diagnosi forse più psicologica che obiettiva, al “calore sofferto” a Milano e agli spostamenti. Si era rinchiuso in casa per una ventina di giorni, interrompendo le lezioni di latino e greco che dava al Papadopoli e al Polidoros a due giovanotti benestanti che oltretutto lo annoiavano orribilmente. Nel suo primo impatto con Bologna, aveva avuto l’impressione che vi dominasse un dignitoso classicismo, in mezzo al quale poteva muoversi a suo agio. In questo periodo, infatti, Bologna vive la sua stagione neoclassica: si moltiplicano le traduzioni dei tragici. Durante quella breve sosta l'impressione che Leopardi ricevette di Bologna fu ottima. Bologna gli sembrò quietissima, allegrissima e ospitalissima, tutto ciò lo spinse ad immaginare Bologna come la città dove poter vivere e realizzare il sogno della sua vita: vivere la sua libertà. L'impressione sul popolo bolognese che Leopardi comunicava al fratello Carlo da Milano non teneva in realtà conto che in quegli anni la città stava vivendo un momento di calo della sua attività politica. Erano gli anni della restaurazione (a farne le spese fu l'università). Leopardi, a digiuno di politica, uomo tollerante e docile nel rapporto umano, fu invece severo e inflessibile nel suo giudizio quando parlava da uomo di lettere. Infatti, fu costretto a chiedere dei classici all'editore Stella perché secondo lui Bologna ne era sprovveduta. Leopardi quando il tempo lo permetteva e le giornate annunciavano primavera amava passeggiare per la città. Una sera passeggiando per Bologna solo come sempre, arrivò in via Remorsella dove andò a trovare Angelina che per lungo tempo era stata cameriera nella casa a Recanati, quando lui era bambino. Dalle lettere che Leopardi inviò da Bologna ad alcuni interlocutori, sono poco frequenti gli elementi che si riferiscono alla vita cittadina e ad ambienti che egli frequentava. Ricorrenti erano invece i riferimenti al clima: gli sbalzi climatici della città che ebbero sul suo fisico effetti devastanti. Leopardi aveva in ogni modo verso Bologna un'attrazione particolare perché la riteneva "La Gloriosa Università" che dona alla città una. 18 cultura letteraria e scientifica; inoltre, vi operavano alcuni dei continuatori della "bella scuola" (Classica Romagnola). A prova di questo abbiamo le parole del Leopardi, in una lettera allo zio Carlo Antici, del 3 Agosto 1825: "Il soggiorno di Bologna sarebbe per me molto più grato e più profittevole che quel di Roma, perché in Roma non potrei conversare se non con letterati stranieri (giacche non vi sono letterati romani), il che è cosa molto difficile per me, che non sono esercitato nelle loro lingue: laddove Bologna è piena di letterati nazionali, e tutti di buon cuore, e prevenuti per me molto favorevolmente". Oltre a essere meravigliato per la vita bolognese, l'autore descrive le persone con ammirazione, dicendo :" Sono stato accolto con carezze ed onori ch'io ero tanto lontano d'aspettarmi, quanto sono dal meritare…in Bologna gli uomini vespe senza pungolo…e la bontà di cuore vi si trova effettivamente, anzi vi è comunissima". In un'altra lettera Leopardi confessa di avere contratto più amicizie, in nove giorni a Bologna, che a Roma in cinque mesi. Ma tornando alle lettere scritte nel 1825, Leopardi da Milano scrive: "Milano non ha che far niente con Bologna, Milano è una specimen di Parigi, ed entrando qui, si respira un'aria della quale non si può avere idea senza esservi stato. In Bologna nel materiale e nel morale tutto è bello, e niente è magnifico: ma in Milano il bello che vi è in gran copia, è guastato dal magnifico e dal diplomatico, anche nei divertimenti." Quando Leopardi viene ospitato nel convento di S. Francesco, insieme con il padre Luigi Poni compagno di viaggio da Recanati intravede la possibilità dell'impiego in qualità di segretario dell'Accademia delle Belle Arti, ma l’incarico verrà assegnato ad un certo Tognetti. Successivamente, il 9 novembre, una notizia influisce sul proposito di rimanere a Bologna. “si vogliono stampare qui tutte quante le mia opere, e ciò mi rallegra per cui io posso soggiornare pacificamente a Bologna”. In effetti l’attività letteraria eseguita nel periodo bolognese gode di grande fama. Dai suoi scritti,la critica leopardiana considera l'importanza di Bologna attraverso la scuola scientifica e l'ambiente dello studio. Bologna aveva già ospitato grandi personaggi come Canova e Foscolo,ma il mondo letterale,dopo la restaurazione era cambiato:nell'ambiente bolognese la cultura letteraria aveva stretto rapporto con la cultura scientifica. Fu il Giordani ad introdurre Leopardi nell'ambiente bolognese;la sua prima produzione era in linea con le aspirazioni della scuola classica romagnola. Il 27 novembre Leopardi scrive a Giordani e forse questo è il preannuncio alle operette morali dove manifesta chiaramente il desiderio di uscire da Recanati. In questo periodo Bologna vive la sua stagione neoclassica:si moltiplicano le traduzioni dei tragici. Non sono lontani i modelli che Leopardi eleggerà nello Zibaldone immersi nel conflitto tra ragione e poesia. 19 Un altro argomento da considerare nel soggiorno bolognese di Leopardi è l'accenno ai rapporti tra le Legazioni dello Stato Pontificio;la censura di Roma "era nella pratica molto più facile che nella massima,è qui suffragata la tesi del soggiorno bolognese come conseguenza del tentativo di fuga da Recanati,poiché il periodo romano realizzerà solo in parte l'aspirazione di libertà. Alla fine di Luglio del1820 si apre il secondo capitolo della fortuna bolognese di Leopardi che tratta di un edizione bolognese delle Canzoni che solo qui verranno pubblicate per intero. Pare evidente che Leopardi fosse interessato ai giudizi dei letterati bolognesi e le correzioni apposte alle edizioni successive delle Canzoni costituiscono una riprova dell'attenzione del poeta alle critiche rivoltegli in materia di linguistica e di retorica. Il 1° marzo 1826 viene recapitato a Leopardi un volume dell’antologia speditogli dall’amico e fondatore del volume Vieusseux; esso conteneva un saggio di tre Operette Morali. Il 12 luglio viene nominato socio dell’Accademia dei Felsinei, alla quale parteciperà con grande entusiasmo. La cosa più bella di Bologna di cui Leopardi parla in una delle lettere che scrisse al padre (18 luglio 1826) è la "Festa degli Addobbi" che lo sorprese piacevolmente. Con l'inizio della primavera Leopardi torna nel mondo dei letterati. Per la prima volta cominciò a frequentare accademie e concerti e la sempre più assidua frequentazione della casa privata Pepoli. A proposito delle sue frequentazioni femminili molto è stato scritto, ma non c'è nulla di certo sui suoi amori bolognesi. Leopardi si rifiutò inoltre di frequentare il teatro: dopo esserci stato una sola volta si rifiutò di tornarci, gli spettacoli teatrali al quanto diceva lo facevano solo sbadigliare. Leopardi il teatro non lo ama perché troppo fedelmente riproduce una realtà che costringe gli uomini ad essere attori. L'Accademia dei Felsinei invitò Leopardi a intervenire il lunedì di Pasqua e gli concesse di recitare una sua cantica. La serata gli riservava una sorte inaspettata. Il pubblico presente in sala, già stanco per lo svolgimento della serata, non resse alla sua lirica ispirata solo a malinconiche considerazioni. In altre lettere scritte al fratello egli parla delle sue preoccupazioni per la violenza che avveniva nelle ore notturne nella città. Leopardi si recava spesso, durante il suo soggiorno, in visita alla famiglia Tommasini. Il capo-famiglia era Giacomo Tommasini: letterato, filosofo, scrittore vivace ed elegante, dall’eloquenza pregevole e carismatica, scienziato dalla grande conoscenza medica, affidabile, modesto, sensibile, sempre pronto ad aiutare tutti, incapace di nuocere a chiunque, privo di arroganza e uomo di grande semplicità. Era nato da una famiglia borghese; nel 1769,viene nominato professore di Clinica medica all'Università di Bologna al posto di Antonio Testa. Dimostrò grande coraggio nel propagandare e sostenere le proprie posizioni scientifiche in quel particolare momento politico,di proclamare una dottrina medica nuova e italiana significava dare 20 alla medicina una connotazione anche patriottica,ciò commuoveva gli animi di tutti quelli studenti che numerosi accorrevano alle sue lezioni. Durante il soggiorno bolognese tra il 1814 e 1829,ebbe modo di incontrare il conte Giacomo Leopardi. La naturale semplicità del professore conquistò Leopardi che diventò ben presto non solo il suo paziente,ma anche suo affettuosissimo amico. Leopardi si recava spesso in visita alla famiglia Tommasini per affidarsi alle competenti cure del professor Giacomo e alle affettuose attenzioni di sua moglie Antonietta e sua figlia Adelaide. La famiglia Tommasini diventò la sua famiglia di adozione,quella in cui sarebbe voluto nascere e crescere dal punto di vista morale e civile; gli affettuosissimi Tommasini furono sempre presenti con il loro affetto e la loro incondizionata amicizia anche quando furono fisicamente lontani, come testimoniano le numerosissime lettere che il poeta inviava per colmare il suo grosso vuoto affettivo. Un’altra figura estremamente importante durante il soggiorno di Leopardi fu quella che incontrò presso Casa Baldini, cioè la Contessa Teresa Carniani Malvezzi, verso la quale provò un grande amore. Dalle poesie del Leopardi si comprende che lui nella sua permanenza conobbe due donne distinte, la seconda, fu identificata successivamente in Madama Padovani,sua coinquilina. Ma da tutte due rimase deluso. In una lettera del Leopardi, spedita ad amici e parenti, egli fa riferimento alla M.ma Padovani, facendole dei complimenti. Il poeta partì poi per Recanati, dove, solo dopo quattro mesi, per lettera, chiese notizie della donna. Fu l'ultimo accenno a lei, ma è chiaro che non è il caso di pensare ad una corrispondenza diretta, infatti, dalle lettere dell'autore non traspare alcun sentimento verso la donna. Invece un forte sentimento lo provava nei confronti della Malvezzi: una donna che, pur non sdegnando l'ammirazione che poteva suscitare la sua grazia femminile, viveva soprattutto di questa sua passione letteraria.Una donna in cui la vita intellettuale finiva col prevalere prepotentemente su quella affettiva. Teresa Carniani Malvezzi nacque a Firenze nel 1785 da Cipriano Carniani ed Elisabetta Fabbroni; a soli 16 anni sposò il conte Francesco Malvezzi De' Medici, di antica famiglia Felsinea. Il matrimonio fu celebrato dal padre di Francesco, Giuseppe. A Bologna dal 1802 la donna decise di completare gli studi, troppo presto interrotti per volere materno, che l’aveva indirizzata ad attività considerate più femminili. Con l'aiuto di maestri importanti come l'abate Giuseppe Biamonti, Giuseppe Mezzofanti, arrivò in breve tempo a buone conoscenze di letterature classiche e di lingue straniere, segnatamente l'inglese, divenne una poetessa dilettante e si cimentò in liriche e persino in un poemetto storico di tema medievale ("La Cacciata del tiranno Gualtieri, accaduta in Firenze l'anno 1343"). 21 "Bionda la chioma in vaghe trecce avvolta ed alta fronte ov'è l'ingegno espresso; vivace sguardo, che ha modestia accolta, non in tutto nemica al viril sesso;bocca soave in che l'Arno s'ascolta lo bello stile, ond'ha fama il permesso; agil persona, dolci modi e vezzi, i pregi son della gentil Malvezzi" (Vincenzo Monti). Il 3 novembre 1826 Leopardi tornò a Recanati. I motivi furono diversi, in particolare il clima di Bologna, gli inverni rigidi, non gli permisero una permanenza ulteriore in questa pur tanto amata città. Ritratto di Massimiliano Angelelli 22 Le tematiche poetiche e filosofiche di Giacomo Leopardi Emozioni e riflessioni L’Albergo del Corso in via S. Stefano n.37, (secondo decennio del secolo XIX incisione in rame, Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio). Durante il primo soggiorno bolognese, fra il 18 e il 27 luglio 1825 , Leopardi è ospite del convento di S. Francesco, in piazza Malpighi; nella seconda permanenza, dal 29 settembre 1825 al 3 novembre 1826 prende alloggio, a pensione completa, presso la famiglia del tenore Vincenzo Aliprandi in casa Badini, contigua al Teatro del Corso nella centralissima e animata via S. Stefano, dove si trovava anche l’omonimo Caffè, ritrovo degl’intellettuali bolognesi dell’epoca. Dal 26 aprile fino al 20 giugno 1827 risiede invece all’Albergo della Pace, sempre in via del Corso, oggi Santo Stefano. 23 5) SGUARDO SUL MONDO ACCANTO AD UN CRATERE - saggio di Lisa Bignami Sono la Speranza a cui aneli. Io ti guardo, uomo di tutti i tempi, e so quando tu aspiri al mio odore intenso. Riconosco che la Natura con te è stata crudele, non ha pensato nemmeno un istante alla tua felicità. Ma non ti ha creato per cattiveria, la sua è stata solo inconsapevole indifferenza. Non volendo ha prodotto per te un mondo di infelicità del quale tu, a quanto pare, sei l’infelice imperatore. Il tuo destino non è stato calcolato, non è stato costruito, non fa parte di un progetto organizzato. Sei in balia di te stesso. Una piuma trascinata da un vento che non riesce a sfamarti. Ti comprendo se non la chiami più “madre”…è una matrigna distratta che non ti accudisce come un figlio. Non si comporta come dovrebbe fare un genitore: e così non ti senti amato, non ti senti protetto, non ti senti al sicuro. La Natura non si è mai impegnata a disegnare con una matita benevole la gioia della tua vita. Sei un cane randagio, un passero solitario e abbandonato proprio da chi ha prodotto la tua vita. Ma tu ritieni questa vita proprio un dono? Io ti guardo, uomo di tutti i tempi, da questa cima di fuoco: sei infelice. Vivi nell’affanno, nella ricerca incessante del piacere, ma quando cerchi di carpirlo ne ricavi soltanto ulteriore dolore. E nessun piacere riesce mai a soddisfarti perché, quanto più ti senti di avere raggiunto il Bene, tanto più ne ricerchi un altro e la tua avidità insaziabile non ha mai termine: Sei la vittima di un malefico meccanismo, di un mondo che non ha interesse ad accoglierti. Fai parte di un continuo morire e rinascere che non ritiene rilevante la tua felicità ma soltanto la tua funzionalità al mantenimento dell’Universo. Ancora quella matrigna spietata: la natura sopravvive solo grazie a un’interminabile catena di distruzioni e patimenti. E tu rientri in questo vortice infinito: La strega crudele di trucchi ne conosce molti e raggiungere il suo obiettivo fa vivere il genere umano con inconsapevolezza e tu, come gli altri, inganni te stesso, piegandoti ad ogni menzogna pur di conservare la vita e di crederla lieta: Osservo come ti affanni per ottenere la pienezza i quel piacere che possa renderti definitivamente soddisfatto e appagato. Ma ciò non avverrà mai: conseguito un determinato piacere l’anima non cessa mai di desiderarne un altro. Il tuo desiderio è incolmabile e crea in te un senso perenne di vuoto. Ma tu, di questo, devi essere consapevole: è una consapevolezza che ingombra e appesantisce il tuo animo, ma è necessario che tu ti rassegni al tuo destino infelice che sempre ti ha atteso e sempre ti attenderà. Talvolta tenti di sfuggirgli, ma il male ti viene a cercare in ogni anfratto. La natura ti perseguita e posa in ogni istante il suo alito caldo e minaccioso sul tuo collo inerme. Non rimane che accettare il dolore di un’intera vita. 24 La madre impietosa non ti donerà le risposte che cerchi: lei è sempre e dovunque indifferente, se non ostile, è soltanto capace di regalarti una felicità illusoria, velata. Anche Salomone, uno dei tuoi è di questa idea: il piacere è effimero, una continua illusione e il dolore è l’unica vera realtà. L’essere consapevoli e il possedere la saggezza porta solo altra sofferenza. Le speranze spezzate muoiono senza consolazione. Il principio del mondo è il nulla. Nessuna cosa è veramente necessaria. Nessuna cosa è veramente. La felicità non esiste, è solo l’irrealtà delle illusioni, è solo un sogno, una speranza futura, un dolce ricordo di delusioni antiche. L’unica realtà è il dolore che, nel mezzo di un nebulosa di vaghe certezze e speranze, può darti una concretezza a cui aggrapparti. La realtà non si adeguerà mai ai tuoi desideri, alle tue illimitate aspirazioni, tutto finisce. E allora ti è stato fatto proprio un dono? Ma una soluzione c’è ed io sono il germoglio adatto ad indicartela. Prendi atto dell’infelicità di ciascun uomo e crea un rapporto di solidarietà coi tuoi fratelli nel dolore. Combattete insieme contro l’unica vera nemica: la Natura! Io sono la Ginestra e questo è il messaggio che ti porto: uomo di tutte le epoche sono io il tuo giallo spiraglio di speranza. Tenace e robusta sono la sola a germogliare sulla lava solitaria: Sì, sono l’amante della solitudine e dell’abbandono. Mi offro a te, emanando il mio profumo intenso per consolare i deserti e la tua anima. Ho la missione di darti sollievo, colui che mi manda è un artista sensibile, che vive il proprio turbamento con rassegnazione e creandomi ha cercato di uscire da un pessimismo cupo per ribellarsi e lottare senza illudersi di poter vincere. Sono io, l’umile ginestra che aspetta la distruzione senza illusioni e senza domande, pronta a piegarmi al mio destino, al crudele destino a cui mi ha condannato la Natura distruttrice di tutto ciò che lei stessa ha fatto nascere. Una colata bollente mi sta coprendo, come una trapunta leggera: è mia madre che dice “buonanotte” con un viscido bacio sui miei steli. 25 6) L’EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI “SUBLIME” E LA CONCEZIONE DI LEOPARDI - saggio di Stefania Magnanini Il concetto di “sublime” era già esistente presso i Greci ed era inteso come un armonica proporzione del corpo; era quindi paragonabile al “bello”, a ciò che allieta la vista, a qualcosa di perfetto che si può anche raggiungere tramite le sole forze possedute dell’uomo. Nel corso dei secoli il sublime subirà svariate interpretazioni e diventerà un tema ricorrente tra i filosofi e soprattutto in epoca illuminista, dove la rivalutazione dell’uomo porta i letterati, i poeti e i filosofi stessi a interrogarsi sui limiti della ragione; il concetto di sublime non sarà più sinonimo di “bello”, ma di qualcosa che spaventa l’uomo appunto perché va oltre i limiti della ragione , oltre ciò che può essere controllato. Quindi è il “vero”! Costituisce quindi una minaccia per l’uomo appunto perché ciò che non è conosciuto suscita timore, paura, sofferenza, ma nello stesso tempo costituisce l’insorgere di un sentimento di curiosità verso questo infinito così vasto e ignoto. Si ricordano infatti viaggiatori inglesi che si recavano nei pressi del Vesuvio per osservare le sue eruzioni mantenendosi a una distanza intermedia tra pericolo e sicurezza. Ciò costituiva una sfida con se stessi, con i propri limiti, con il sublime. Arrivando fino all’epoca romantica-decadente, dai documenti letterari rimasti si può capire come la concezione del sublime assuma due forme. La prima va inserita sotto il profilo della ferita che coincide con la perdita del senso di vivere (tema principale dell’epoca decadente).In alcuni scrittori come Fitzgerald,, questa strada si esprime nel concetto del nulla , inteso proprio come “un non fare nulla” per nessuno, perché niente merita di essere fatto, dal momento che ogni cosa mortale esistente sulla terra è destinata a tornare polvere. Anche lo scrittore Thomas Mann parlerà di sublime come ferita ma la assocerà alla bellezza perché non c’è nient’altro che possa ferire come essa, che possa essere contemporaneamente perfetto e spietato, piacevole e agghiacciante, meraviglioso e soggiogante! La seconda strada invece intende il sublime sotto il profilo della sproporzione e ha le proprie radici nel periodo barocco e nella nuova antropologia , che non inserisce più l’uomo al centro dell’universo come sostenne Pascal ne “I pensieri”. La matrice dell’infinito Leopardiano è da ricercarsi proprio nella filosofia di Pascal che sostenne che”l’uomo è sospeso tra i due abissi dell’infinito e del nulla, a metà tra il niente e il tutto, infinitamente lontano dall’abbracciare gli estremi; incapace di vedere il nulla da cui è stato tratto e l’infinito dal quale è inghiottito”. Questi echi filosofici pascaliani si ritrovano in molti bassi dello Zibaldone, dove Leopardi annotava ciò che più lo tormentava, lo sgomentava e lo spingeva ad interrogarsi sul perché dell’esistenza umana, così vana e crudele! 26 Infatti in uno di questi passi scriverà che “L’uomo è smarrito nella vastità incomprensibile dell’esistenza”. Anche in uno dei grandi Idilli “canto notturno di un pastore errante dell’Asia” il poeta affronterà questo tema. Egli si immedesima in questo pastore che chiede alla luna il perché della sua esistenza, qual è il senso della vita dell’uomo e dell’universo in generale. Il pastore , quindi il poeta, non capisce perché l’uomo dopo una vita di sofferenza, di ricerca continua di un piacere che mai lo sazia, arrivi finalmente alla sua meta, cioè alla morte nella quale sprofonderà in un abisso di oblio. Decide di interrogare la luna, perché lei dall’alto può vedere ogni cosa e, sicuramente, se potesse parlare, gli spiegherebbe perché l’uomo, al contrario degli altri esseri viventi è destinato al dolore, a un desiderio di piacere mai appagato; solo la luna potrebbe spiegargli il senso di tutto ciò che lo circonda. Il concetto pascaliano più in sintonia con il poeta è “la noia”, vista come il più sublime dei sentimenti umani coincidente con un senso di vuoto che deriva dalla mancanza di piacere. Infatti l’uomo ama talmente se stesso che è alla continua ricerca di qualcosa che l’appaghi. Questa ricerca però è destinata ad non avere termine perché , soddisfatto un piacere l’uomo ne ricercherà uno sempre più grande. Sarà quindi eternamente insoddisfatto e infelice perché non può esistere un piacere che lo appaghi completamente. Questa è un’altra tematica ricorrente ed essenziale per comprendere il pensiero Leopardiano, a livello poetico la rappresentazione più chiara del sublime si ha nell’idillio “l’infinito”. L’infinito presenta contemporaneamente uno scenario ed uno stato d’animo: il poeta si trova su un colle, che gli è caro e gli provoca una sensazione di piacere nel vederlo e nel ricordarlo. Quindi nel ripetersi dell’esperienza. Il poeta siede sul colle e ammira il paesaggio, ma solo parzialmente perché la vista è limitata da una siepe. La siepe è un elemento fisico che costituisce uno stimolo all’immaginazione e sembra alludere alla sua stessa limitata condizione fisica che però non gli impedisce di inseguire ciò che c’è al di là della siepe e quindi di cogliere ciò che non è possibile percepire con i sensi. Leopardi vive drammaticamente la sua sproporzione fisica che diventa un fattore esistenziale, ma ciò lo apre alla grandezza e alla nobiltà dell’uomo. La vista limitata mette in moto l’immaginazione, producendo una sospensione dal reale che lo immerge “in una profondissima quiete e in silenzi sovrumani”. Una nuova percezione però lo riporta alla realtà e lo fa riflettere sull’infinità del tempo e sul breve vissuto umano. E’ lo stormire del vento che lo riporta al presente. Possiamo considerare questo infinito il suo sublime, come un viaggio della mente nello spazio e nel tempo senza dare confini all’immaginazione. Questo abbandono è un’esperienza di piacere, infatti secondo la teoria Leopardiana l’uomo “naturalmente” pensa e desidera senza limiti. Il viaggio però si conclude con un naufragio, che è però positivo: “il naufragar me dolce in questo mare”. In seguito alla paura si può sondare il sublime. 27 La capacità dell’intelletto e dell’animo umano di uscire dai limiti circoscritti dai sensi è una risposta al perché l’uomo, per natura infelice , senta il bisogno di trascendere dalla sua condizione. Questa trascendenza non è intesa in chiave metafisica, perché leopardi, pur condividendo molti pensieri di Pascal , rifiuta le sue conclusioni cristiane. Anche nella concezione pessimista del poeta si nasconde la speranza. 28 7) L’INFINITO DESIDERIO DEL PIACERE - saggio di Martina Storari Se l’uomo del ‘700 aveva avuto fede nel potere assoluto della Ragione che aveva scoperto verità definitive, l’individuo romantico rifiuta tale mito e non crede più nell’idea di progresso. E’ una nuova generazione, eternamente inquieta e “disadattata”, che ha una reazione critica nei confronti della società del suo tempo e della rivoluzione industriale di cui intuisce gli aspetti negativi per la qualità della vita dell’uomo moderno,:costretto a piegarsi ad esigenze non sue. La realtà più autentica si sottrae al dominio della ragione e si esprime nell’ebbrezza, nell’esperienza sensibile dell’irrazionale, nella costante ricerca del piacere. Molti autori hanno affrontato quest’ultimo argomento, giungendo a conclusioni differenti. Lo Zibaldone leopardiano contiene lunghe riflessioni sul piacere, che concentrano l’attenzione del lettore sull’incolmabile contrasto tra il desiderio di felicità e la possibilità del suo effettivo conseguimento. “ il desiderio stesso è cagione a sé medesimo di non poter essere” quindi, per sua natura, non può essere appagato, condannando l’uomo a una dolorosa ricerca che avrà fine con l’oblio della morte. Questa frase suona come una terribile maledizione che grava sul genere umano eternamente infelice che tende sempre verso un ‘armonia futura alla quale , però, non approderà mai. Antonio prete sostiene che il desiderio di leopardi “che termina solamente con la vita”, non è altro che quella pulsione chiamata da Freud libido. L’Eros, inteso come una spinta che proviene dal nostro Es, non potrà mai essere appagato in quanto rappresenta il motore stesso della nostra esistenza ovviamente chi non è in grado di sublimare i propri impulsi avrà degli scompensi e soffrirà. “piacere vuole eternità di tutte le cose, vuole profonda eternità” anche Nietzsche sosteneva che il piacere fosse uno stimolo per l’essere umano che mosso da continue emozioni può vincere sul dolore se prevalgono i sentimenti positivi. Secondo la concezione di Nietzsche il “super uomo” è una nuova generazione che ha riconosciuto il suo dolore ed è ugualmente in grado di andare avanti. L’illusione è solo un anestetico per tale male. Il ”super uomo” si scrolla dalle spalle il pesante carico del dolore del passato acquistando una nuova consapevolezza e sa affrontare al vita serenamente. Per il triste Leopardi la situazione è invece diversa: “il genere umano, che ha creduto e crederà a tante scempiaggini, non crederà mai ne di non saper nulla ne di non aver nulla a spere” (Operette Morali). Per conoscere e capire il mondo, nonché la situazione umana è necessario avere forza d’animo e coraggio, condizioni che portano con sé una rinuncia alla felicità. Talvolta il poeta però è in grado di placare momentaneamente il dolore, attraverso la percezione della grande differenza tra ciò che finito e ciò che è infinito. Sente la profonda sproporzione tra il piccolo, finito, imperfetto e l’assoluto infinito che rappresenta il tutto di fronte alla sue insignificante persona. Nel suo più famoso idillio”L’infinito” egli si trova seduto su un colle dietro una siepe che gli impedisce al vista 29 di ciò che c’è oltre si può abbandonare all’immaginazione, alle sensazioni vaghe e indefinite, al piacere. L’eterno infinito che Leopardi ha di fronte lo può intimorire ma fa crescere in lui anche un processo immaginativo che gli permette di riflettere sul concetto di infinito, partendo dalla sua condizione limitata. Egli capisce che la sua vita di dolore non è nulla se confrontata con l’immensità dell’universo. L’animo umano, secondo Kant è in grado di superare l’esperienza sensibile e quindi di trascendere le nostre facoltà sensoriali attraverso l’immaginazione. Possiamo infatti immaginare ciò che “è assolutamente grande… ciò che è grande al di là di ogni comparazione“ anche se siamo incapaci di percepirlo, come sembra fare Leopardi “la semplice grandezza di esso anche quando è considerato informe ci può dare piacere” dice Kant, ma può anche provocare in noi sensazioni malinconiche. La percezione della differenza tra incommensurabilmente grande e infinitamente piccolo è chiamata da Kant senso del sublime , dal quale spesso l’animo è turbato. In conclusione posso affermare che l’immaginazione è una delle più importanti facoltà umane ma spesso, proprio questa fantastica peculiarità, è capace si trasportarci in una dimensione ultraterrena, causa di profonda felicità ma anche di smarrimento. IMMANUEL KANT 30 8) LA VISIONE DEL MONDO DI GIACOMO LEOPARDI - saggio di Viola Scalcione Nell’analisi delle varie esperienze che l’uomo affronta nel corso della sua vita, Leopardi è mosso dalla considerazione che il piacere è connesso ala vita dell’uomo e a quella di tutti gli esseri viventi, poiché deriva dall’amore che ognuno, intrinsecamente, prova per se stesso. Alla radice di ogni movimento verso il piacere, c’è il desiderio. In particolare Leopardi sostiene che il piacere si possa trovare nell’attesa (come si vede nella poesia: Il sabato del villaggio) o nella cessazione del dolore( come si vede nella poesia: La quiete dopo la tempesta). Ciò che più caratterizza il piacere è che si tratta di qualcosa di illimitato, che non si potrà mai spegnere e che, soprattutto, non si configurerà mai in qualcosa di ben definito. Questo perché, conseguito un piacere l’anima non cessa di desiderarne altri. Si tratta di qualcosa che non si esaurisce mai, che finisce solo con il terminare della vita. La condizione umana di infelicità deriva anche da questo. L’uomo desidera il bene, senza limiti, e ciò lo porta a non smettere mai di desiderare. Nessun piacere può soddisfare il vivente. Si possiede il desiderio assoluto di felicità e non una particolare felicità e questo desiderio di piacere senza limiti non potrà essere mai appagato. L’uomo quindi non potendo mai essere soddisfatto non può che essere predestinato al dolore. Il piacere infinito non si può trovare nelle realtà, ma nell’immaginazione dalla quale derivano la speranza, le illusioni… Il pensiero del Leopardi è quindi caratterizzato dalla consapevolezza dei limiti dell’esperienza umana e di ogni gioia. L’immaginazione compensa la sofferenza dell’uomo che vede sempre frustrata la sua ambizione al piacere. Ricorderei a questo proposito, la poesia “ L’infinito” dove il poeta si rappresenta nell’atto di fantasticare con lo sguardo perduto oltre la siepe. Qui il poeta percorre la dolce esperienza dell’annullamento dell’io attraverso il superamento del limite spazio-temporale e della paura di fronte all’eternità. Il poeta si perde nell’immensità, ma dolcemente. Tutto ciò che pare sciolto dalla realtà, che è lontano, antico è per Leopardi un ‘attimo di piacere e sinceramente…credo che valga un po’ per tutti noi… A fronte di questa positiva bellezza c’è l’infelicità, necessaria e costituzionale per l’uomo e per tutte le creature. Niente e nessuno può evitare il dolore perché la natura è “matrigna”. L’universo non è fatto per l’uomo ma dominato dall’irrazionalità. Perché la natura è matrigna? è semplice l’uomo ha in sé il desiderio di una felicità infinita che la natura stessa gli impedisce di realizzare. La sua condizione è triste perché la vita gli promette qualcosa senza mai dargliela Secondo me la domanda sostanziale sarebbe: è giusto vivere di illusioni? In fondo … come anche leopardi afferma… e quando ci. 31 illudiamo che siamo felici… possiamo credere che si possa raggiungere tutto… poi subentra la ragione che, a poco a poco sgretola tutte le nostre speranze. E’ vero, le illusioni finiscono ma possiamo davvero dire di essere felici senza di queste? Pensiamoci un attimo…non sono forse loro che ci danno quella spinta, quegli input che ci portano ad andare avanti? In uno dei suoi grandi idilli “il canto notturno di un pastore errante dell’Asia” il poeta illustra la sua concezione del piacere immedesimandosi in un pastore che paragona la sua esistenza consapevole a quella inconsapevole del suo gregge. Il pastore chiede alla luna il perché la condizione umana sia così diversa da quella degli altri viventi, infatti non comprende il motivo per cui il suo gregge è pago semplicemente di mangiare e di riposare mentre lui in ogni momento di tranquillità quando riposa sotto l’ombra di un albero si lascia andare a interrogativi inquietanti: qual è il senso della vita e dell’universo in genere? E non trova mai, turbato da questi pensieri un attimo di vero piacere. E’ come se nulla gli bastasse mai… 32 Drammatizzazioni Riduzioni teatrali e interviste impossibili Ercole Gasparini (1771-1829) Teatro del Corso: sezione per il largo del palco scenario e sue adiacenze; decorazione del prospetto esterno del teatro penna e acquerello policromo Gabinetto disegni e stampe, Disegni di vari autori, carta. II, n. 355 Il teatro del Corso fu costruito tra il 1802 e il 1805 nell'attuale via S. Stefano, presso la chiesa di S. Giovanni in Monte, su progetto di Francesco Santini e di Ercole Gasparini. La facciata era caratterizzata da un portico con 15 arcate sostenute da colonne, secondo una licenza tipica dell'architettura bolognese. I lavori di ristrutturazione eseguiti nel 1903 interessarono i cinque ordini dei palchetti per gli spettatori ed altri locali di servizio, ma non il palcoscenico che, bloccato dalla chiesa retrostante, non poté mai essere ampliato. Il Teatro del Corso (secondo, per importanza, soltanto al Comunale), fu distrutto durante l'ultima guerra. 33 9) DISCUSSIONE IMPOSSIBILE FRA LEOPARDI E ALCUNI PERSONAGGI DEL PASSATO...dialogo a cura di Beatrice Fiacchi Ripercorrendo il passato, dai filosofi antichi fino a Leopardi, abbiamo immaginato un’intervista impossibile, basandoci su pensieri e riflessioni che abbiamo reperito nello “Zibaldone”. C=conduttrice L=Leopardi P=Pascal A=S. Agostino E=Epicuro AR=Aristotele C: Buonasera a tutti i lettori! Il tema di questa serata è “La felicità: sogno o realtà?”. Abbiamo ospiti d’eccezione che animeranno il nostro studio di “Ce ne importa”; dalla poesia, passeremo alla filosofia, ma non vi dico altro. .. Facciamo entrare il primo ospite che è un poeta, ma anche un filosofo(pausa): il signor Giacomo Leopardi! APPLAUSI C: Innanzitutto buonasera. L: Buonasera. C: La ringraziamo di essere venuto a questo importante appuntamento di notevole spessore. Prima di entrare nello specifico del suo pensiero, vorrei chiederle se lei ha mai trovato la felicità, che tanto ha decantato, perché gli italiani continuano a spendere soldi nell’acquisto di “ricettari” per la felicità e ne rimangono sempre delusi; che cosa ne pensa di questo fenomeno? L: Innanzitutto vorrei che lei fosse più precisa; se gli italiani cercano una felicità nella realtà, allora io non posso aiutarli perché non esiste e di conseguenza io non l’ho mai trovata. C: Ma cosa intende per felicità aldilà del reale? L: E’ semplice. La mia felicità nell’illusione e nella speranza. risiede nell’immaginazione, C: Beh, è un po’ scontato(con tutto il rispetto). Nei sogni tutto è permesso ... 34 L: E’ meno scontato di quanto lei creda, in quanto io nell’immaginazione trovo il piacere assoluto, illimitato, infinito. I piaceri insignificanti della vita quotidiana non mi interessano, anzi mi provocano solo sofferenza; i piaceri effimeri, ti fanno solo pensare alla tua finitezza. Io, nel sogno e nell’immaginazione trovo pace e divengo felice... Che cos’è la realtà in fondo? Si può scegliere di viverla come di non viverla. Io non la vivo e così trovo appagamento personale. Il desiderio ci spinge a trovare il piacere e quindi è positivo da un lato; dall’altro però ci rende insofferenti, in quanto vorremmo sempre di più di ciò che possediamo. C: Quindi non c’è un vero e proprio antidoto contro l’infelicità? L: No. . . l’unico consiglio che posso dare agli italiani è di non cancellare l’immaginazione dalla loro vita; bisogna imitare i bambini e gli antichi. I bambini perché non hanno dimenticato il sogno, gli antichi perchè usavano la fantasia per far comprendere cose grandi con parole piccole. Non sempre il progresso, inteso come perdita di illusione e sfruttamento della natura, conduce ad esiti positivi... C: La ringrazio per il suo intervento, dopo torneremo a parlare con lei. Ora facciamo entrare il secondo ospite: il filosofo francese Blaise Pascal! APPLAUSI C: Buonasera P: Bon soir. C: Dalla regia, abbiamo il traduttore simultaneo?(pausa). Possiamo iniziare. Ha ascoltato da dietro le quinte il discorso di Leopardi? Qual è la sua posizione rispetto alla ricerca della felicità? P: La mia posizione ha qualche analogia con la concezione del signor Leopardi. Anch’io vedo la condizione dell’uomo molto tragica, ma non per la sua assenza di felicità. Ritengo che la causa della perenne insoddisfazione umana risieda nella posizione che occupa l’uomo nell’universo: fra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. L’uomo è un essere intermedio, è sapienza ed insipienza, miseria e nobiltà. L’uomo non è Dio e nemmeno il nulla, quindi vive in una costante incertezza ed ignoranza. Ma la sua fortuna è, che è come una canna, si piega, ma non si rompe. Ha la possibilità di reagire se lo vuole. 35 C: E c’è una soluzione a questa devastante situazione? P: Ci sono due possibilità o vivere abbandonato ai divertissement, piaceri effimeri che aiutano a non pensare e a distrarsi dalla propria miseria, ma che non recano soddisfazione, o rivolgersi a Dio. C: Lei parla di Dio come soluzione all’infelicità umana, ma è una teoria che si avvicina molto al pensiero cristiano, è così? P: Se lei si riferisce alla figura di Dio, confermo, ma io ho avanzato una teoria che è valida anche per gli atei o gli scettici. Ho proposto la scommessa su Dio. C: Lei ritiene che credere in Dio rechi comunque vantaggio, non è vero? P: Esattamente; se non esiste, l’uomo ha comunque dato uno scopo alla sua vita e quindi è stato felice in terra e ha rinunciato solo a piaceri finiti; se esiste ci si guadagna la vita eterna, quindi doppia felicità con bene infinito. C: Tornando agli argomenti sostenuti da Leopardi, anche lei ritiene che l’immaginazione sia la via di fuga e la salvezza dell’uomo? P: Assolutamente no. L’immaginazione e la maggiore fonte d’inganno che esista perché ingigantisce le cose piccole e minimizza quelle grandi. Crea solo illusioni e falsità e quindi idee errate. E anche l’amor proprio, che Leopardi giudica come piacere, in realtà nasconde all’uomo i propri difetti e lo rende incapace di conoscere se stesso. C: La ringrazio. Adesso torno a fare qualche domanda al poeta Giacomo Leopardi. Che cosa ne pensa delle teorie argomentate da Blaise Pascal? L: Riguardo ai divertissement sono d’accordo, ma sulla figura di Dio mi discosto. C: Si discosta per quale motivo? L: Sono cresciuto, lei lo dovrebbe sapere, in un ambiente familiare soffocante e terribilmente bigotto. Mia madre era una donna molto severa, soprattutto con me; appartenendo ad una famiglia aristocratica e c’era bisogno di qualcuno che amministrasse i beni della famiglia e quel qualcuno era mia madre. L’escatologia cristiana non ha alcun valore per me, chiamatemi materialista, ma ritengo che il piacere assoluto per essere tale debba essere presente in terra e non in una vita futura. Il pensiero cristiano trasferisce il desiderio in un’altra vita e lo trasforma in aspirazione, speranza e la mancanza come privazione temporanea. 36 La felicità cristiana è inconsistente e astratta e non è il sentimento di cui necessita l’uomo. Comunque ritengo che l’unico piacere che possa recare la promessa cristiana sia il carattere del vago e dell’indefinito che accattivano il desiderio e il pensiero. C: E riguardo alla scommessa su Dio, Pascal ha detto che è una scommessa anche per i non-credenti? L: Beh, è come un gioco d’azzardo; si rischia di perdere una somma limitata e circoscritta per una infinita, no? Questo va bene anche per me; anche il piacere assoluto è infinito. C: Pascal l’ha criticata per la sua idea di immaginazione, cosa risponde? L: Questa domanda è inutile, in quanto il signor Pascal si focalizza sul fatto che l’uomo debba essere consapevole della propria miseria, ma l’immaginazione che attuo io ha un fine differente: rendere felice l’uomo. C: Grazie per l’intervento significativo. Ora, visto che ci siamo inoltrati nell’ambito della religione cristiana, possiamo fare entrare il nostro terzo ospite. Avete capito di chi si tratta?(pausa)Vi do un indizio, prima di avvicinarsi alla fede cristiana era un manicheista, quindi vedeva i principi di male e bene separati, capitanati il primo da Satana e il secondo da Dio. Ecco S. Agostino! APPLAUSI C: Buonasera. A: Buonasera. C: Avendo ascoltato le posizioni di Leopardi e di Pascal che cosa si sente di dire a difesa della religione cristiana? A: Intanto sia Pascal che Leopardi sono venuti dopo di me nel tempo, quindi alcune idee mi appartengono, ma per quanto riguarda la mia fede... beh, ho compreso all’età di trent’anni circa, che la concezione manicheista era troppo semplicistica e non riassumeva la complessità dell’universo. Con il dialogo interiore con Dio ho capito che seguendolo, da uomini vecchi si può divenire uomini nuovi e scegliendo Dio, l’uomo sceglie il bene e rinuncia a ciò che è imperfetto. L’uomo ha il libero arbitrio e non può scegliere il male perché questo è privazione di essere, ma solo scegliere male e incorrere nel peccato. C: E’ vero che l’uomo cerca solo il piacere materiale e non quello astratto, secondo il parere di Leopardi? 37 A: Assolutamente no. L’uomo sente il bisogno di Dio e nella materialità non troverà mai la felicità. Inoltre, Leopardi ha preferito chiudere gli occhi davanti alla realtà, rifugiandosi nell’immaginazione. La religione cristiana guarda la realtà e vede che essa è piena di dolori e sacrifici che non c’è modo di eliminare, li si può solo alleviare con la fede in Dio e sperando nella felicità ultraterrena. L’immaginazione è solo un modo per non pensare, perché l’atto del pensare implica autocritica e ripensamento sui propri principi. C: Grazie per la partecipazione. Leopardi, ha qualcosa da dire? L: No, la mia tesi l’ho già sostenuta. C: Bene. E ora abbiamo con noi il personaggio che rappresenta, forse erroneamente, il piacere e la ricerca della felicità; con la sua filosofia edonistica ed il suo tetrafarmaco consolò molti infelici... Facciamo entrare Epicuro! APPLAUSI C: Epicuro, non c’era occasione migliore che questa per incontrare il nostro pubblico! Abbiamo poco tempo, ci dica in poche parole il suo segreto sulla felicità! E: Innanzitutto il titolo di re dei piaceri non mi si addice. Io non sono colui che si abbandona smisuratamente ai piaceri, sia ben chiaro. Io ho soltanto dato alcune regole per non essere infelici, ho ricercato il piacere, ma moderato. Ci sono i piaceri buoni e quelli cattivi, quelli che provocano turbamento sono da evitare, quelli positivi invece, come l’amicizia e la solidarietà sono da inseguire. C: E quali erano pure le “sostanze” del suo tetrafarmaco? E: Beh, innanzitutto la consapevolezza che il piacere è possibile per tutti e il dolore insieme al male sono di breve durata; poi non bisogna avere paura della morte perché quando c’è lei non c’è più vita, quindi non percepiamo più attraverso i sensi. Infine, oggi è superata questa teoria, non bisogna temere gli déi in quanto non si interessano all’uomo e di conseguenza non si vendicano neanche. C: Allora la felicità è proprio realtà ed è anche semplice da raggiungere... E: Nulla di più semplice... è sufficiente seguire i miei consigli. C: Un applauso ad Epicuro ed alla sua filosofia illuminante. 38 Mi dicono dalla regia che abbiamo un collegamento telefonico con un filosofo che non è potuto venire in trasmissione. Ma prima vorrei sentire Leopardi, Epicuro lo vede come una figura positiva e tranquillizzante? L: Troppo facile... parla di cose grandi in modo troppo semplicistico; non si può modificare la mente così, con quattro regole e basta... C: Siamo in diretta telefonica con un filosofo... ma non so chi sia... PRONTO... PRONTO... XXX: Pronto. C: Chi parla? XXX: Sono il filosofo dell’atto e della potenza... e anche della scienza... C: Aristotele! A: Sono proprio io! Con la mia età, non sono potuto venire in trasmissione. C: Ha una dichiarazione importante da fare? A: Più che una dichiarazione, mi sono sentito in dovere di fare un po’ di ordine nel caos che avete creato; ho ascoltato posizioni abbastanza estremiste... il pessimista... il suo compare che parla della scommessa su Dio, S. Agostino e anche Epicuro, il più vicino a me... Solo una cosa volevo dire, un dato che mette in comune i miei contemporanei di allora, della filosofia classica: la felicità non la si può trovare con regole pratiche, ma si trova sempre “nel mezzo” in ogni cosa ed ognuno deve cercarsela da sè evitando gli eccessi... C: Come attualmente succede, non è così? A: Già... sono un po’ deluso dall’andamento di questo mondo e soprattutto dalla cecità che l’uomo dimostra quando negli eccessi spera di trovare la felicità. C: Si ritorna alla prima domanda che ho rivolto a Leopardi chiedendogli il motivo per cui gli italiani continuano ad affidarsi a regole fittizie per raggiungere la felicità, che si approfittano dei desideri della gente... A: E’ così. Grazie ancora per avermi fatto intervenire in questo dibattito. 39 C: E’ stato un piacere. Concludiamo questa serata salutando tutti gli ospiti che gentilmente sono venuti a farci compagnia: Giacomo Leopardi, Blaise Pascal, S. Agostino, Epicuro e infine Aristotele. APPLAUSI Blaise Pascal Sant ’Agostino Epicuro Aristotele 40 Leopardi tra finito ed infinito Drammatizzazione in tre quadri Leopardi uomo e amante, Leopardi filosofo, Leopardi poeta. A cura delle classi IV A e IV H del Liceo Laura Bassi di Bologna 41 I QUADRO- LEOPARDI AMANTE DIALOGO TRA LA CONT.SSA T. MALVEZZI E G.LEOPARDI a cura di Chiara Bignardi ed Ester Droghetti Narratore (Selena Faranna) riassume bevente la storia dell’amicizia tra Giacomo Leopardi e Teresa Malvezzi. Teresa (Sara Scoccimarro) e Leopardi (Marco Gotti) dialogano nel salottino della Contessa (vedi testo allegato). accompagnate alternativamente dalla chitarra (Ilaria Mazzari) tema della Contessa e dalla viola (Claudia Chelli) tema di Leopardi Il Narratore racconta poi al pubblico la triste conclusione dell’amicizia tra Giacomo e Teresa. Narratore: Teresa Carniani, sposa del conte Francesco Malvezzi de’ Medici, di antica famiglia felsinea, era una nobildonna proveniente da un colto ambiente famigliare, che amava molto le lettere classiche, le lingue straniere e la poesia. Frequentò letterati di rango (come il Monti, che fu ripetutamente accolto nel suo salotto) e venuta a conoscenza della presenza di Giacomo Leopardi a Bologna non si fece scappare l’occasione di conoscerlo e di domandargli un suo parere sulle opere da lei scritte. Siamo nel maggio del 1826, Leopardi ne apprezza l’erudizione e i lavori, e non esita a raccomandare una traduzione ciceroniana della dama, affinché approdasse alla stampa, all’editore Antonio Fortunato Stella. Ma oltre che dall’erudizione di Teresa Malvezzi, Giacomo Leopardi, nonostante la differenza di età (28 lui , 41 lei) rimase colpito dalla sua avvenenza. Nell’aprile del 1827 Leopardi, dopo una breve permanenza a Recanati, fece ritorno a Bologna. Soggiornando a Palazzo Malvezzi ebbe il piacere di conversare con la sua amata Contessa. Leopardi: “Sono lusingato che Voi,mia cara Contessa ,abbiate accettato il mio invito. Per me è un immenso piacere rivedervi dopo la mia lunga assenza da Bologna .Immagino abbiate molte novità e siate ansiose di parlarmene,ma prima di ogni vostra parola Vi prego di ascoltarmi. Ciò che mi sento di dirle è per me di grandissima importanza. Non abbiamo mai parlato di Amore, se non per scherzo, ma viviamo insieme in un’amicizia tenera e sensibile, con un interesse scambievole e un abbandono, che , a mio avviso, è come un Amore senza Inquietudine. Ricordo con piacere le giornate passate assieme, le nostre confidenze e le sarò grato per avermi fatto scoprire piaceri che io credevo impossibili” La Contessa: “Mio caro amico le vostre parole mi riempiono il cuore di gioia, nella mia vita ho ricevuto molte lusinghe da poeti che mi stimano per la mia dote letteraria, ma io non ho mai udito parole come le vostre e proprio perché siete Voi a pronunciarle non potrò mai dimenticarle” Leopardi: “ I primi giorni che vi conobbi vissi una specie di delirio e di febbre che hanno resuscitato il mio cuore da un sonno, anzi una morte completa durata per tanti anni” 42 La Contessa stupefatta rispose: “Vi prego di controllare le vostre parole che pur essendo incantevoli mi feriscono” Leopardi: “ Non potete dirmi questo poiché di giorno in giorno la forza e la sensibilità dell’Amore smanioso ch’io porto cresce sempre più e che per tanto tempo è stato l’unico segno di vita dell’anima mia” La Contessa: “Vi prego di capire, questa vostra tenerezza e sensibilità nei miei riguardi ci porta a inutili sofferenze, in quanto la mia cara metà si adombra di tutte le visite che mi vengono fatte frequenti e lunghe, ed è per questo che non vi ho mai scritto nei cinque mesi che avete trascorso a Recanati.” Leopardi: “Contessa mia, io cerco di capirvi, ma il sentimento che io provo nei vostri riguardi è talmente forte da accecarmi la ragione” Contessa Malvezzi: “Ascoltatemi, mio caro amico, vi ricordate delle parole che vi dissi l’ultima volta che ebbi il piacere di vedervi?” Leopardi: “Certo, come avrei potuto dimenticarle, mi diceste cosi chiaramente che la mia conversazione da solo a sola va annoiava che non mi lasciaste luogo e nessun pretesto per ardire di continuarvi la frequenza delle mie visite” La Contessa rispose: “Spero che queste parole da me pronunciate non vi abbiano offeso…ma è ciò che penso riguardo alla nostra relazione” Leopardi: “Non crediate ch’io mi chiami offeso; se volessi dolermi di qualche cosa, mi dorrei che i vostri atti e le vostre parole, benché chiare abbastanza, non fossero anche più chiare ed aperte. Ma mia contessa, ormai il dolore che mi affligge è cosi forte che alla notte non riesco a prendere sonno ed ecco che sono pronto ad aprirle il mio cuore” A questo punto la contessa presa dall’agitazione decide di suonare il campanellino per chiamare il domestico, all’arrivo di quest’ultimo la contessa ordina: “Mi porti un bicchiere d’acqua per il Signor Conte” Da quest’ultimo momento gli incontri tra Leopardi e la Contessa cessarono, tanto che nel 1830 Leopardi si fermò, dal 3 al 9, a Bologna senza porre piede in casa Malvezzi. Saputa la notizia, la Contessa scrisse, in nome proprio e della famiglia, il dolore che le aveva messo nell’animo questo vedersi cosi posta in tanta dimenticanza. Ma nonostante ciò essa non fu dimenticata dal poeta, poiché egli, a Firenze, nell’agosto 1827, volle dall’amico Domenico Paoli un esemplare dell’Egloga del Pope tradotta da lei. 43 Inoltre non vi sarà anima colta e sensibile che, visitando le sale del Palazzo Malvezzi, non ricordi l’amicizia del sommo poeta e della donna gentile. SCALA MONUMENTALE DEL PALAZZO MALVEZZI 44 II QUADRO - LEOPARDI FILOSOFO DIALOGO DELLA MODA E DELLA MORTE Adattamento dell’Operetta Morale a cura di Caterina Sgarzi (vedi testo allegato). Anita Selvaggi (la Moda) e Caterina Sgarzi (la Morte) recitano il dialogo su un palcoscenico nudo accompagnate alternativamente dalla chitarra (Ilaria Mazzari) tema della Moda e dalla viola (Claudia Chelli) tema della Morte. A metà del Dialogo (paragrafo 20) stacco musicale con canto (Sara Scoccimarro): “Almeno tu nell’universo” accompagnato dalla musica (chitarra e viola). Alla fine del dialogo la Morte urta con violenza e noncuranza la Moda che cade sconfitta Stacco con percussioni e viola: Eugenio Pastanella e Claudia Chelli. Nel febbraio 1824 Giacomo Leopardi si trovava a Recanati e componeva dialoghi filosofici che chiamò “Operette morali”. Vi presentiamo una nostra interpretazione del dialogo tra Moda e la Morte. In esso si intrecciano due motivi: la satira della Moda, che per sua natura appare assurda e irragionevole all’intelletto, e la satira della vita contemporanea che è così frivola da essere simile alla morte. Moda: “Madama Morte , Madama Morte” (Enunciato come sorta di richiamo) Morte: “Aspetta che sia l’ora e verrò senza che tu mi chiami” Moda: “Madama Morte” (Pronunciato con un tono incisivo) Morte: “Vattene al diavolo, te l’ho già detto , verrò quando meno te lo aspetti!” Moda: “Guardami, io ti sembro una persona mortale?” Morte: “Ti sto guardando, cosa dovrei capire?” Moda: “Non mi conosci?” Morte: “No, perché dovrei conoscerti?” Moda: “Come perché? Io sono la Moda, tua sorella!” Morte: “Non farmi ridere…” Moda: “Si, io sono proprio tua sorella, non ti ricordi che siamo entrambe figlie della caducità?” 45 Morte: “Come faccio a ricordarmi, che sono nemica capitale della memoria!” Moda: “Io invece me lo ricordo molto bene, e so anche che tutte e due miriamo a cambiare di continuo le cose anche in maniera diversa…” Morte: “Alza di più la voce e scolpisci meglio le parole se vuoi che ti capisca, perché l’udito non mi serve quanto la vista, dato che non guardo e non ascolto nessuno…non so se mi capisci?” Moda: “ Va bene, parlerò come vuoi…dico solo che tu ti preoccupi di gettarti sulle persone e rendere fine alla loro vita, mentre io mi accontento di cambiare acconciature, abiti e cose simili, senza fare loro del male, come invece tu fai!” Morte: “Si, mi hai convinto, ti credo…e riconsiderando la nostra parentela ti prometto che quando giungerà la mia ora, ti lascerò tutti i miei averi (Detto con tono ironico) e poiché tu sei nata dal corpo di mia madre sarebbe giusto che in qualche modo tu mi fossi utile” Moda: “Lo sono già stata…più di quanto tu pensi…perché non ho mai impedito a nessuno di morire” Morte: “Sarà…ma tu, da buona sorella, dovresti aiutarmi a far soffrire gli uomini a ancor meglio a farli morire” Moda: “Te lo ripeto io in un modo o nell’altro ti ho già aiutata , e sono convinta che la nostra unione possa fare le forza contro il genere umano” Morte: “Le tue parole finalmente mi sembrano sagge e rispecchianti la verità…grazie alla nostra coesione da ora un nuovo cammino ci attende…” Ed escono dalla scena. -FINE – . 46 III QUADRO – LEOPARDI POETA – A SILVIA La lettura dell’idillio composto da Leopardi nel 1826 ha suscitato in noi una molteplicità di emozioni che vorremmo esprimere non con le parole, ma con musica e danza.. I versi iniziali si associano per noi al sentimento della purezza, che regna sovrana nei pensieri di Silvia intenta a sognare un felice futuro. Immaginiamo la Purezza vestita di bianco, che si muove dolcemente intorno alla fanciulla. Giacomo Leopardi, intento nei suoi studi, resta affascinato dal canto melodioso di Silvia. Nonostante il dolce rammentare, la Solitudine aleggia inesorabilmente tra loro; essa danza, vestita di nero, nel vano tentativo di creare un legame tra due persone che potrebbero incontrarsi, ma che sono condannate a soffrire. Nella poesia si percepisce chiaramente il cambiamento dello stato d’animo di Leopardi. Un cupo velo di tristezza appanna il suo animo ed i suoi versi. Anche noi ci immedesimiamo nella sua disperazione: una fanciulla, vestita di rosso, gli danza attorno come un’emanazione del suo turbamento. Alla fine del canto Silvia perisce, insieme alla speranza del poeta, sconfitta dalla morte, che l’avvolge col suo nero mantello. La Morte e la Disperazione accompagnano vincitrici il poeta verso il suo infelice destino. Il palcoscenico è diviso in due parti: a sinistra Leopardi (Marco Gotti) seduto alla sua scrivania legge e scrive in silenzio, dando le spalle a pubblico, sulla scrivania la luce fioca di una candela; a destra, illuminata da un riflettore Silvia (Anita Selvaggi) ricama il suo corredo e ogni tanto alza gli occhi e rimane ferma un attimo a contemplare i suoi sogni. Una voce fuori campo amplificata (Lucia Accorsi) recita i versi dell’Idillio: vv. 1 -14 – La lettura è accompagnata da chitarra e viola (tema della purezza e della speranza) Stacco: La Purezza (Eleonora Passarella) vestita di bianco, danza intorno a Silvia, accompagnata da viola e chitarra. vv. 15 -34 - La lettura è accompagnata da viola e chitarra (tema della solitudine e del dolore). Stacco: Solitudine (Eleonora Santi) vestita di nero danza,attraversando il palcoscenico nell’inutile tentativo di creare un legame tra le due solitudini di Giacomo e Silvia. vv. 35 – 55 – Lettura accompagnata da viola e chitarra (tema della Disperazione) Stacco: La Disperazione (Carlotta Gelli), vestita di rosso, danza intorno a Giacomo. vv. 56 -63 - La lettura è accompagnata da un crescendo di percussioni (tema della morte incombente)-- (Eugenio Pastanella). 47 Danza conclusiva della Morte (Eleonora Santi) vestita di nero e della Disperazione (Carlotta Gelli) vestita di rosso che uccidono la Speranza (Eleonora Passarella) vestita di bianco e travolgono Silvia,coprendola con un velo nero: Il riflettore si spegne.. Tutti escono, tranne la Disperazione e la Morte che incombono immobili. Leopardi resta da solo sul palcoscenico. Si alza lentamente, soffia sulla candela e si allontana in silenzio, la Disperazione e la Morte lo accompagnano fuori scena. FINE Regia Scene e Dialoghi: Sara Scoccimarro, Chiara Bignardi, Caterina Sgarzi, Ester Droghetti, Giulia Caprivi, Mayra Nunez e Anita Selvaggi. Regia Coreografia: Eleonora Santi e Carlotta Gelli. Musiche originali di Silvia Stori, Eugenio Pastanella, Ilaria Mazzari e Claudia Chelli. Lucia Accorsi, Sara Scoccimarro e Anita Selvaggi hanno già recitato con Paolo Billi (Dialoghi ed altre iniziative dell’Assbloom – Culture e teatri –) Eleonora Santi e Carlotta Gelli frequentano un corso di danza. Eugenio Pastanella frequenta un corso di strumento Lo spettacolo durerà circa un’ora e sarà allestito nella Sala della ex chiesa di S. Mattia, via S. Isaia 14 il 29.03.2005 alle ore 17.30 48 Bibliografia Rolando Damiani – Vita di Leopardi – Mondadori – Milano 1992 Emanuele Severino – Il Nulla e la Poesia – Rizzoli –Milano 1990 Lucio Lombardo Radice – L’infinito – Editori riuniti, Libri di base – Roma 1981 Antonio Prete – Il pensiero poetante – Feltrinelli –Milano 1980 Emanuele Kant – Critica del Giudizio – Laterza Bari 1984 Luigi Magnani – Goethe, Beethoven e il demonico – Einaudi – Torino 1976 Giacomo Leopardi – Operette morali – Mondadori – Milano 1950 Giacomo Leopardi – Lo Zibaldone – Giacomo Leopardi – I Canti – Dante Alighieri – Il Paradiso a cura di Natalino Sapegno – La Nuova Italia – Firenze 1957 Goethe – Faust – Parte I e II – Mondadori – Milano 1970 Marina Calore – Libertà cara, sei troppo amabile (1796-1805) – Bologna 1996 – Lo Scarabeo Bibliografia relativa alla vita di Leopardi a Bologna, compilata con la collaborazione della biblioteca Sala Borsa, del Museo Carducci, del Centro nazionale di studi leopardiani di Recanati. -Attilio Brilli “In viaggio con Leopardi”- Il Mulino, intersezioni, Bologna, 2000 -Giacomo Leopardi “ Questa benedetta Bologna”- impressioni e annotazioni su Bologna tratte dall’Epistolario con alcuni appunti tratti dallo Zibaldone- Massimiliano Boni editore, Bologna 2002 -Giacomo Leopardi e Bologna- libri immagini documenti- a cura di Cristina Bersani e Valeria Roncuzzi Monaco- Patron editore Bologna, 2001 -Valeria Roncuzzi Roversi Monaco- "Giacomo Leopardi e Bologna. Libri immagini e documenti. Una mostra all'Archiginnasio nel bicentenario della nascita" Strenna storica bolognese, 48-1998 -Giuseppe Lipparini "Leopardi a Bologna" Strenna storica bolognese 1928 -Centro Nazionale di studi leopardiani “Le città di Giacomo Leopardi” Atti del Convegno Internazionale di studi leopardiani – Recanati 16-19 novembre 1987- editore Leo Olschki Firenze -Giuseppina Gandolfi, “La contessa Teresa Malvezzi e il suo salotto” Zanichelli, Bologna- 1900 -Antonio Marchello- Giacomo Leopardi “Passeggiando per Bologna, solo come sempre…” 49 Alcuni brani tratti dalle opere citate in bibliografia sono stati analizzati in classe e altri sono stati analizzati e rielaborati da gruppi di alunni, in orario scolastico o da alunne singole, in orario extrascolastico. Le immagini inserite nel lavoro sono state reperite tra le illustrazioni delle opere citate o tratte da Internet. I docenti referenti hanno avuto una funzione di supporto e supervisione, ma hanno lasciato agli alunni piena libertà di esprimere i loro reali sentimenti e la loro personale creatività. Nel lavoro confluiscono anche conoscenze e abilità derivanti da interessi e attività che non riguardano l’ambito scolastico. La Bibliografia proposta è stata integrata dagli alunni anche mediante l’utilizzo di testi in loro possesso. Docenti referenti: Prof.ssa Maria Cuccia Prof.ssa Emanuela Cataluddi Prof.ssa Teresa Vitale 50