Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi nasce a Recanati, nelle Marche il 29 Giugno del
1798. Cresciuto in un ambiente provinciale in cui si sente presto
oppresso dalla famiglia.
Giacomo Leopardi
Il padre era il Conte Monaldo e la madre la marchesa Adelaide
Antici. Passò l’adolescenza nella biblioteca del padre, si immerse in
uno studio talmente accanito che arrivò ad acquistare una perfetta
conoscenza delle lingue classiche (latino, greco, ebraico) ma questo
studio gli provocò anche dei gravi danni alla salute come
l’incurvamento delle schiena e problemi alla vista e al sistema
nervoso.
Giacomo Leopardi
Dopo una fuga fallita, nel 1822 ottenne il permesso di recarsi a
Roma, ma questo viaggio lo deluse molto.
Giacomo Leopardi
Nel 1825 andò a Milano poi a Bologna, a Firenze e infine a Pisa. Nel
1833 si trasferì a Napoli ma le sue condizioni di salute peggiorarono
tanto che trovò la morte a soli 39 anni nel 1837.
Successivamente nelle piazza di Recanati gli fu dedicata una
statua.
Le opere
Di lui si ricordano 3 raccolte in particolare:
CANTi: iniziò a scriverli nel 1818 fino al giorno di morte. La raccolta è composta da
varie poesie, idilli,liriche per un insieme di 41 componimenti.
OPERETTE MORALi: è un’opera filosofica in prosa, parla del pessimismo di
Leopardi verso la vita.
ZiBALDONE: riflessioni, note, commenti. Tra il 1817 e il 1827.
La poetica
Nell’opera poetica di Leopardi emergono le sue riflessioni sulla vita e sull’uomo, in lotta con il
dolore e la ricerca della felicità.
Per Leopardi la ragione è importantissima perché permette all’uomo di comprendere la vita.
Secondo lui la realtà è solo materia,tutto è materia che segue un ciclo cieco e crudele designato
dalla Natura.
Per Leopardi le illusioni nascono dall’immaginazione che rende bella vita,ma purtroppo poi
subentra la ragione che le rende deludenti, e causa di false opinioni ed errori.
La Natura
La Natura da Giacomo Leopardi, nella giovinezza è vista come madre benigna perché
fa sperare in un futuro felice. Ma arrivati nell’età adulta la Natura diventa una
madre maligna perché fa crollare le speranze nel raggiungere la felicità,
ingannando l’uomo e tradendoli.
L’infinito
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e rimirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
Odo stormir tra queste piante, io quello
Infinito silenzio a questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
E le morte stagioni, e la presente
E viva, e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
E il naufragar m’è dolce in questo mare.
FINE
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