Prima lezione
Mercoledì 10 febbraio 2010
dott.ssa A. Decataldo
1
La disciplina che studia il problema della conoscenza è la
gnoseologia.
Nella storia del pensiero occidentale sono esistiti due
modi fondamentali per affrontare il problema della
conoscenza:
a) uno è connesso alla visione platonica, secondo la quale
la mente umana è lo specchio di ciò che esiste nella
realtà (realismo gnoseologico).
In base a questa visione:
- la conoscenza suppone l’esistenza di un oggetto puro in
sé e conoscere significa riprodurre la realtà;
- il valore di verità della conoscenza è il suo grado di
corrispondenza alla realtà.
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Esistono, secondo Platone, due forme di conoscenza:
 la doxa, che è una forma di sapere mutevole e
imperfetto avente come oggetto il mondo delle cose
(conoscenza empirica), di cui possiamo fare
esperienza – si tratta di una forma di conoscenza
debole.
 L’episteme, che è una conoscenza immutabile e
stabile, avente come oggetto il mondo delle idee – si
tratta di una forma di conoscenza forte.
Le idee sono apprese attraverso una visione
intellettuale (uno sguardo della mente): l’episteme è
un ricordo poiché l’anima è stata nel mondo delle
idee prima di incarnarsi in un uomo.
Nel mondo delle idee l’anima ha raggiunto l’episteme
e ora per ri-avvicinarsi ad essa deve ricordare
quell’esperienza (mito della caverna).
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b) L’altro modo per affrontare il problema della
conoscenza è connesso alla visione aristotelica.
Anche secondo Aristotele il pensiero riflette l’essere
(realismo gnoseologico) e la conoscenza suppone
l’esistenza di un oggetto in sé.
Ma, a differenza di Platone, conoscere per Aristotele
significa fondarsi su un’esperienza sensibile.
La conoscenza, però, non si esaurisce in tale esperienza:
essa richiede uno sviluppo intellettivo tale da
consentire la formulazione di giudizi universali e veri
sul mondo.
Da questi giudizi è possibile poi ricavare ulteriori
giudizi universali e veri mediante le cosiddette
dimostrazioni necessarie.
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L’epistemologia (filosofia della scienza o meta
scienza) è la disciplina che affronta il problema della
conoscenza scientifica.
Quando si parla di conoscenza scientifica ci si può
riferire:
- al processo scientifico, ossia all’attività realizzata
dagli scienziati per produrre scienza.
Da questo punto di vista la scienza è un’attività storica
(risente delle variabili caratteristiche dell’epoca in cui
si sviluppa) e umana (è influenzata dal background
storico-sociale degli scienziati).
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- Al prodotto, cioè al risultato del processo scientifico.
Da questo punto di vista la scienza è un’attività
linguistica di tipo cognitivo.
Essa è:
1) empirica;
2) decidibile secondo modalità logico-linguistiche o
empirico-osservative: la decidibilità consiste nel
disporre di procedure in virtù delle quali un asserto
può essere accettato o rifiutato; il ricercatore si rifarà
a buone ragioni per accettare o negare un asserto,
ma non utilizzerà mai criteri di falsità o verità.
3) si realizza attraverso procedure pubbliche, ripetibili
e controllabili dalla comunità dei competenti.
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Quali sono i parametri in base ai quali un asserto viene
qualificato come scientifico?
Un asserto è scientifico quando è pubblicamente
controllabile: è scientifico ciò che può essere
assoggettato a misure di controllo.
Questo è un criterio meramente formale in quanto la
qualifica di scientifico applicata a un enunciato fa
riferimento alle modalità con cui l’asserto è stato
costruito ed esposto alla collettività, mentre non fa
riferimento al contenuto dell’enunciato stesso.
La scientificità di un enunciato è, quindi, questione di
metodo (inteso come pubblica disciplina del
procedere) e la scienza viene intesa come insieme di
regole di costruzione del discorso scientifico.
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La metodologia è la disciplina che si occupa del
problema della validità dei giudizi, delle procedure e
del linguaggio di ciascuna disciplina scientifica.
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Francis Bacon è il primo pensatore che opera una
riflessione metodologica sul modo di procedere della
scienza.
Il suo Novum Organum (1620) ha come obiettivo indicare
un nuovo metodo in grado di sostituire quello di
tradizione aristotelica.
Bacone pone le basi dell’induttivismo moderno: egli, infatti,
definisce interpretazione della natura quel ragionamento
che parte dall’osservazione sui fatti e ne estende
progressivamente la portata fino a generalizzare tali
osservazioni in teorie ampiamente comprensive.
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Attraverso questo processo, secondo Bacone, si
perviene a cognizioni dimostrate e indubitabili.
Bacone non intende semplicemente affrancare la
scienza dal deduttivismo, ma anche da quel
induttivismo che procedeva per enumerazione
semplice.
Elencare casi simili al fine di inferire da un certo
numero di osservazioni la conclusione che quel
dato fenomeno si produrrà anche in futuro in
presenza di condizioni simili non elimina, infatti,
la possibilità di trovare in futuro un caso contrario
e, pertanto, falsificante.
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L’induzione autentica si realizza attraverso un
procedimento di eliminazione, che consiste nella
progressiva esclusione nell’osservazione di un
fenomeno degli elementi accidentali fino
all’individuazione di quelli costitutivi ed essenziali.
Il nuovo metodo possiede, dunque, due principali
caratteristiche:
1)
la cauta gradualità dell’induzione;
2)
la procedura di esclusione.
Compito dello scienziato è di accertare le correlazioni
fra gli aspetti di un fenomeno, scartando quelle
accidentali.
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Per far questo non è sufficiente l’esperienza empirica.
L’esperienza, infatti, deve essere guidata e organizzata
dall’intelletto.
Lo scienziato deve essere guidato dall’intelletto, che
permetterà un lavoro di inventario e catalogazione delle
istanze, cioè delle circostanze in cui si verifica un
fenomeno.
Tale operazione avviene con l’ausilio tabulae (praesentiae,
declinationis sive absentiae in proximo, graduum) e
permette di scartare le correlazioni accidentali e di
isolare quelle essenziali.
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Questo primo livello di generalizzazione viene
successivamente sottoposto ad una serie di controlli
attraverso le istanze prerogative e quelle cruciali (veri e
propri controlli sperimentali).
Il modello di Bacone implica una netta separazione tra
teoria e osservazione: l’osservazione avviene prima e
permette di raccogliere e catalogare i fenomeni, mentre
la teoria interviene quando sono stati raccolti tutti i dati
e serve per spiegarli.
Compito dell’induzione è estrapolare dalla totalità dei dati
raccolti le loro “qualità” pure ed essenziali, cioè la
cosiddetta forma del fenomeno (ciò tradisce la distanza
di Bacone dal quantitativismo moderno).
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Galileo Galilei fa riferimento ad un metodo scientifico
costruito su due fondamenti decisivi:
1)
le sensate esperienze, quelle che il ricercatore
compie direttamente con i propri sensi (esse
rinviano al momento osservativo e induttivo del
metodo);
2) le dimostrazioni necessarie, che esemplificano la
componente
ipotetico-deduttiva
della
speculazione razionale.
Le prime implicano un costante riferimento alle
seconde di modo che l’esperienza che entra nel
procedimento scientifico è il risultato di un
processo di selezione e ri-elaborazione concettuale,
condotto con l’ausilio di ipotesi e teso alla
costituzione di modelli e leggi.
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In sostanza, le sensate esperienze sono costantemente
guidate dalla teoria, mentre le dimostrazioni
necessarie presuppongono l’esperienza dalla quale il
ricercatore trae lo spunto pragmatico per la
formulazione delle ipotesi.
Per
Galileo l’esperienza è theory-laden, ossia è
costantemente concettualizzata alla luce di un
problema intellettuale.
Le ipotesi, infine, attendono di essere veri-ficate, cioè
rese vere dal confronto specifico con l’esperienza.
Ciò non vuol dire che ogni affermazione di una teoria
necessiti di una verifica diretta e immediata, ma
devono essere direttamente verificabili, tramite
l’esperienza, le conseguenze da esse dedotte.
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Quando la generalità degli assunti o la mancanza di
strumentazione impediscono una verifica puntuale,
Galileo impiega un procedimento metodologico che
consiste nel simulare un “laboratorio ideale”
(esperimenti mentali).
La natura è sempre uguale a se stessa, tanto che a una
determinata causa corrisponde sempre un
determinato effetto: su questo principio di
determinismo fisico si fonda la possibilità di
estendere le relazioni scoperte a tutti i casi possibili
e di dedurre da ipotesi astratte conseguenze a carico
dei fenomeni.
Galileo non è interessato all’essenza delle cose, ma a
stabilire determinazioni quantitative di esse.
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Alla base di questa novità introdotta da Galileo vi sono le
convinzioni della superiorità del conoscere
matematico
e
della
struttura
matematica
dell’universo.
A
differenza dei neopitagorici, per Galileo la
corrispondenza tra numero e fenomeno è stabilita
sulla base di un’operazione logico-empirica di
misurazione.
La strumentazione matematica, pertanto, rappresenta sia
la possibilità di schematizzazione concettuale sia un
linguaggio capace di consentire controllabilità e
rigore.
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Renè Descartes si preoccupa di identificare regole del
procedere scientifico inequivocabili e facili nella
convinzione che il metodo sia necessario per
cercare la verità.
L’applicazione di tali regole permette ad un’intelligenza
qualunque, correttamente orientata e guidata, di
penetrare il grande meccanismo dell’universo.
Cartesio postula la macchina come principio
interpretativo generale e, pertanto, ritiene che ogni
aspetto della realtà possa essere rappresentato
unicamente come struttura di corpi in movimento.
Il modello meccanicista rinvia ad una realtà di cui
rappresenta la natura vera ed autentica.
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Pensare il mondo come un meccanismo consente di
rintracciarvi
ineludibili
regolarità
di
funzionamento, integralmente governabili dalla
ragione.
Tutto ciò costituisce una trama ricostruibile di cause ed
effetti costantemente in azione e riconoscibili
all’interno di un determinismo rigoroso.
Tutti i mutamenti dei corpi possono essere intesi come
movimenti necessari della natura ed essere
espressi attraverso equazioni matematiche.
La costanza della natura e gli elementi meccanici in cui
essa si manifesta dipendono dall’azione creatrice di
Dio, che ha immesso nel mondo una data quantità
di moto subordinato a regole non smentibili.
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Il tentativo di maggior rilievo di Cartesio consiste nel
giustificare e sostenere il modello meccanicista
all’interno di una fondazione rigorosa del sapere,
fondata sull’assoluta indubitabilità del cogito.
Il cogito e l’autonomia della ragione sono fondati sulla
veracità di Dio, che non inganna e garantisce la
permanenza dell’evidenza.
Il modello di scienza prefigurato da Cartesio, a
differenza di quello baconiano, parte da intuizioni
in sé evidenti dalle quali discendono,
deduttivamente, conclusioni necessarie (percorso
inverso rispetto a quello teorizzato da Bacone).
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Isaac Newton, in polemica con Cartesio, ripropone
l’intreccio fra procedimento induttivo e deduzione
già sostenuto da Galileo.
Il riferimento alla realtà empirica costituisce allo stesso
tempo:
il punto di partenza dal quale lo scienziato trae lo
spunto per il proprio lavoro induttivo-deduttivo;
il termine di confronto cui rapportare le leggi
generali costruite per generalizzazione.
Newton aderisce a un modello meccanicista e
determinista.
L’obiettivo generale di Newton è la costituzione di un
modello di scienza inteso in termini di descrizione
della realtà.
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Per Newton (a differenza di Galileo) la matematica
rappresenta solo un mezzo per lo studio
dell’universo.
Infatti, qualunque cosa non sia deducibile dai fenomeni
va chiamata hypothesis e va scartata.
Bisogna, però, precisare che le ipotesi alle quali fa
riferimento Newton sono interpretazioni di un
fenomeno alla luce di una visione totalizzante della
realtà.
Le leggi generali non sono risultati definitivi, ma
provvisori, costantemente rivedibili in relazione
all’osservazione di altri fenomeni e al
ragionamento condotto su di essi.
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Da ciò discende il progetto newtoniano di integrazione
del momento di interrogazione della natura con
quello
razionale
di
interpretazione
e
concettualizzazione operato sulle osservazioni.
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John Locke è un fermo difensore dell’empirismo
radicale: ogni idea deriva dall’esperienza, che
l’uomo recepisce in termini di sostanziale passività.
L’attività della ragione consiste nell’elaborare e
comporre le idee semplici ricavate dall’esperienza
in idee complesse.
L’esperienza costituisce un limite e la realtà empirica
rappresenta, realisticamente, il fondamento di
ogni contenuto mentale.
L’esperienza svolge, inoltre, una funzione di controllo
rispetto alle elaborazioni razionali.
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David Hume parte dalla distinzione fra affermazioni
relative a relazioni fra idee e proposizioni relative a
relazioni fra fatti.
Le prime sono relazioni che possono essere stabilite
direttamente dal pensiero, indipendentemente da
alcun confronto con la realtà empirica, ma
esclusivamente in base a un processo di
derivazione logica basata sul principio di non
contraddizione.
Tali asserzioni sono non contraddittorie e certe, per
intuizione e per dimostrazione (come, ad esempio,
le asserzioni della matematica).
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Le
seconde, invece, sono tratte esclusivamente
dall’esperienza, affermano o negano qualcosa che
può essere continuamente smentito dall’esperienza
successiva.
Hume traccia in questo modo una demarcazione fra le
affermazioni certe della matematica e gli asserti
provvisori delle scienze empiriche.
In questo contesto di empirismo radicale si inserisce la
critica
humeana
della
rappresentazione
tradizionale della relazione causale.
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Tre tipi di relazioni sono essenziali all’idea di causa:
1)
contiguità spaziale di due fenomeni;
2)
continuità temporale di due fenomeni;
3)
connessione necessaria di due fenomeni.
Le prime due sono isolabili tramite l’esperienza, mentre
la terza appare nell’esperienza solo in termini di
successione costante.
L’esperienza, inoltre, consente di argomentare solo per
il passato, ma non consente alcuna inferenza circa
il futuro.
La relazione causale è, quindi, solo una successione
uniforme che l’esperienza mostra costante e alla
quale, senza nessuna giustificazione razionale,
l’uomo attribuisce un carattere di necessità.
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Ciò che determina tale convinzione di necessità è:
esclusivamente l’abitudine nel constatare la
successione di due fenomeni;
conseguentemente una necessità psicologica
dell’uomo di credere (belief) che la natura sia
governata da un principio di uniformità
inderogabile.
L’argomentazione per cui l’esperienza permette di
argomentare solo rispetto al passato è alla base
anche della critica humeana all’induzione.
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28
Immanuel Kant rappresenta una mediazione fra gli
orientamenti appena visti (empirismo e
razionalismo).
Kant pone il problema di una teoria della conoscenza.
Il suo criticismo è volto ad un’esplorazione delle
possibilità e dei limiti della ragione, nonché della
validità delle sue conclusioni.
Obiettivo di Kant è stabilire una conoscenza scientifica
valida, capace di formulare asserti dotati di
necessità e universalità.
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Propri della prospettiva razionalista sono i giudizi
analitici.
Essi:
-
-
sono ricavati deduttivamente in base al principio di
non contraddizione;
si riferiscono al rapporto fra concetti;
possiedono i requisiti fondamentali della necessità
e dell’universalità.
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Propri della prospettiva empirista sono i giudizi
sintetici, ricavati dall’esperienza.
Essi:
-
-
ampliano la conoscenza essendo costruiti
induttivamente ;
non possiedono i requisiti fondamentali della
necessità e dell’universalità.
Entrambi i tipi di giudizio sono quindi inadatti a
costituirsi come giudizi scientifici in senso proprio.
I giudizi scientifici, infatti, devono essere dotati delle
caratteristiche dell’universalità e della necessità ed
essere ampliativi di conoscenza.
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La soluzione offerta da Kant per pervenire a questo tipo
di giudizi prende le mosse dalla considerazione che
la conoscenza muove da due facoltà principali:

l’intuizione – spazio e tempo costituiscono le
forme pure dell’intuizione, cioè le condizioni a
priori dell’esperienza;

l’intelletto.
In questo modo si può giungere a formulare giudizi
sintetici a priori, cioè relativi alla realtà empirica,
ma universali e necessari.
I giudizi sintetici a priori sono possibili in quanto
l’elemento di universalità e necessità proviene loro
dalle modalità con cui l’intelletto tratta il materiale
di esperienza – ossia attraverso le categorie,
processualità operanti a priori.
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Esse costituiscono il linguaggio attraverso il quale i dati
d’esperienza sono interpretati e decodificati.
La realtà risulta, pertanto, forzata nelle forme a priori
attraverso le quali la conoscenza si attua.
Si pone, naturalmente, un problema di validità della
conoscenza.
L’oggetto in sé, il cosiddetto noumeno non può
diventare oggetto di esperienza e si attualizza come
fenomeno in rapporto all’uomo.
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L’oggettività del conoscere dipende dal fatto che il
fenomeno è strutturato in conformità alle categorie
(in quanto leggi proprie del conoscere).
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