Seconda lezione
Giovedì 11 febbraio 2010
dott.ssa A. Decataldo
1
Da sempre le scienze sociali soffrono di un complesso di
inferiorità rispetto alle scienze naturali dovuto:
- in parte alla pretesa esattezza delle scienze naturali
rispetto all’indeterminatezza delle scienze sociali;
- in parte alla minore controllabilità dell’oggetto di
studio delle scienze sociali.
Tale complesso può essere fatto risalire ai padri fondatori
della Sociologia (i positivisti), i quali sono convinti che
esista un solo metodo scientifico coincidente con
quello utilizzato dalle scienze naturali e che esso debba
essere esteso a tutti i campi del sapere, comprese le
scienze sociali.
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L’idea imperante durante il Positivismo è, infatti, che la
scienza sia una sola e, pertanto, anche il metodo
scientifico sia unico.
Secondo lo scientismo positivista:
- la conoscenza scientifica è l’unica forma importante di
conoscenza;
- è possibile costruire una società buona, giusta,
migliore attraverso la scienza: la sociologia, infatti,
deve essere non solo strumento di conoscenza, ma
anche ausilio per fare e per cambiare.
La sociologia rappresenta, cioè, contemporaneamente
un’impresa cognitiva, etica, morale e politica.
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Il Positivismo nasce in Francia agli inizi del XIX secolo
e prende il nome da Saint Simon che nel “Catechismo
degli industriali” del 1824 con questo nome designa un
movimento che esalta la figura dello scienziato come
eroe della modernità.
Il Positivismo, infatti, esprime l’ideologia della borghesia
industriale, ostile al conservatorismo, ma anche al
socialismo.
Per esso il progresso della scienza rappresenta la chiave
del progresso umano e di una ri-organizzazione
globale della vita in società volta ad accelerare il suo
sviluppo.
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Le tesi fondamentali del Positivismo possono essere
riassunte in cinque punti:
 lo scientismo: la scienza è l’unica forma di
conoscenza utile e valida;
 il meccanicismo: l’universo è paragonabile ad un
enorme meccanismo razionalmente e integralmente
conoscibile;
 il determinismo: questo meccanismo è regolato
ineccepibilmente da leggi necessarie;
 il monismo metodologico: il metodo delle scienze
naturali è l’unico valido;
 il riduzionismo naturalistico: il metodo delle
scienze naturali va applicato a tutti i campi del
conoscere compresi quelli che riguardano l’uomo e la
società.
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Nel Positivismo sono evidenti gli influssi di altre
correnti di pensiero, soprattutto dell’Illuminismo e
dell’Idealismo.
Il Positivismo ha forti legami con l’Illuminismo (il
Positivismo presenta anche elementi di marcata
differenza con l’Illuminismo, in particolare la
santificazione della scienza professata dai positivisti è
in netta antitesi con l’assoluta laicità della visione
illuminista):
 entrambi mostrano profonda fiducia nelle capacità
liberatorie della ragione in grado di illuminare la
vita degli uomini e liberarli dalle catene
dell’oscurantismo metafisico;
 entrambi mostrano profonda fiducia nel metodo
esprimendo la convinzione che esista una base certa
da cui avviare l’indagine; tale base è rappresentata dai
dati osservabili, i quali esistono indipendentemente
dal fatto che il ricercatore li osservi.
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I dati osservabili sono elementi indiscutibili partendo
dai quali il ricercatore dovrà analizzare le relazioni
che intercorrono fra di essi, rimanendo, però, nella
consapevolezza
che
i
fatti
esistono
indipendentemente dal ricercatore stesso.
Il ruolo del ricercatore si riduce per i positivisti a quello
di semplice notaio, il quale registra ciò che esiste
indipendentemente da lui: lo scienziato si deve
limitare a penetrare il linguaggio della natura e non
deve mai tentare di interpretarlo.
La conoscenza buona è quella scientifica poiché essa,
grazie anche al ruolo del ricercatore-notaio, è pura
oggettività e, pertanto, sinonimo di verità.
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Il Positivismo ha forti legami con l’Idealismo:
 entrambi presentano l’idea di un universo tendente a
un miglioramento processuale secondo un susseguirsi
unilineare di stadi progressivamente migliori;
 il Positivismo sostiene la divinità del dato così come
Hegel ha sostenuto che è reale ciò che è razionale ed è
razionale ciò che è reale;
 sia l’Idealismo sia il Positivismo sostengono un deciso
anti-individualismo a favore di un maggiore interesse
per gli aspetti sovra-individuali.
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La scienza positivista
Secondo la visione positivista la scienza deve seguire
il modello induttivista.
L’induzione, come visto, è un tipo di inferenza, cioè di
connessione di una proposizione ad un’altra,
ampliativa, tale per cui si parte dai casi particolari per
giungere ad una generalizzazione.
Essa è legata ad aspetti probabilistici.
La teoria dell’induzione è stata sistematizzata per la
prima volta da Bacone nel 1620 nell’opera “Novum
Organum”, in cui stabilisce le regole dell’inferenza
induttiva.
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Secondo l’idea baconiana l’inferenza induttiva parte da
fatti puri e il suo modello può essere sintetizzato con
la seguente formula:
Oi
Hp
Oc
Hc
Oi = osservazione iniziale
Hp = ipotesi provvisoria
La prima parte del modello rappresenta il cosiddetto
contesto della scoperta, all’interno del quale si
realizza la genesi di una teoria attraverso atti intuitivi,
procedure non controllabili.
La dinamica generativa di una scoperta non è
ispezionabile.
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Questo contesto è regolato dalla eccezionalità e
riservato ai pochi che inventano qualcosa.
Oc = osservazione controllata
Hc = ipotesi controllata
La seconda parte del modello rappresenta il cosiddetto
contesto della giustificazione, all’interno del quale
si controllano e si argomentano pubblicamente le
giustificazioni a supporto della teoria.
Tale contesto è accessibile a tutti poiché le dinamiche
per la giustificazione di una scoperta sono
ispezionabili.
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Il modello induttivista si basa sui seguenti assunti:
 la scienza si basa sui fatti, che sono dati di realtà
incontrovertibili ed esistono indipendentemente
dalle convinzioni del ricercatore;
 la scienza consta di un processo che parte
dall’osservazione di un certo numero di casi
singoli per arrivare ad affermazioni generali
espresse sotto forma di teorie, ipotesi, leggi; queste
ultime, una volta confermate, valgono come regola
vincolante per tutti i casi possibili;
 il contesto della giustificazione, cioè la seconda
parte del modello,
definisce il
ricorso
all’esperimento come una parte fondamentale e
risolutiva del processo scientifico.
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Da quanto detto discende che la scienza secondo i
positivisti:
 a differenza della conoscenza comune, è un’attività
che produce un tipo di conoscenza certa,
dimostrata, impersonale e universale;
 la conoscenza che produce è completamente
razionale, costruita in base alla ragione, e non lascia
spazio alla soggettività dello scienziato, ossia alle sue
opinioni personali, alle sue preferenze o ai suoi pregiudizi;
 i fatti con cui lavora sono nettamente distinti
dalle teorie ed esercitano il controllo su di esse: il
lavoro della scienza consiste nel produrre un
disvelamento, nel permettere, cioè, allo scienziato di
attingere alla realtà;
 è un’impresa cumulativa, un processo lineare che
avanza senza fratture.
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Auguste Comte (1798-1857) è il teorizzatore del
Positivismo.
Egli è unanimemente considerato il padre della
sociologia.
Egli viene ricordato principalmente per due teorie:
 la legge dei tre stadi: secondo Comte tale legge
governa tutte le attività umane, compresa quella
scientifica; le discipline scientifiche si evolvono,
infatti, attraversando le seguenti tre fasi:
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 nella prima, detta stadio teologico, gli uomini
trovano nelle entità sovrannaturali le cause dei
fenomeni che caratterizzano la realtà; le
spiegazioni alle quali giungono in questo modo
sono fittizie e provvisorie perché non sono basate
su dati empirici.
 Nella seconda, denominata stadio metafisico,
iniziano ad incrinarsi le certezze teologiche
accumulate nello stadio precedente, ma ancora gli
uomini non sono in grado di giungere a
spiegazioni scientifiche: essi, infatti, per spiegare
la realtà si richiamano a entità astratte e a principi
generali universalmente validi, quali la libertà,
l’uguaglianza, la giustizia, ecc.
 Nella terza, chiamata stadio positivo, gli uomini
cercano e riescono a formulare leggi generali
empiricamente verificabili.
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La legge generale, secondo Comte, deve essere
empiricamente osservabile e non corrisponde alla
somma dei dati empirici ai quali si riferisce; essa non
si limita a mettere in relazione i singoli fatti che vuole
spiegare, ma bensì coglie l’ordine razionale del
mondo.
Nessuno degli stadi di evoluzione di una scienza può
essere considerato un periodo di errore perché ogni
disciplina deve necessariamente passare per ognuno
di essi al fine di raggiungere la piena maturazione
(ottenibile solo nell’ultima fase).
Ciascuna scienza, passando attraverso i tre stadi, si va
costituendo come creazione collettiva, alla quale
danno forma modi collettivamente condivisi di
percepire.
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 La classificazione delle scienze: Comte individua






sei scienze fondamentali (ad esse possono essere
ricondotte tutte le altre discipline) e le classifica
secondo il seguente ordine gerarchico ascendente:
matematica;
astronomia;
fisica;
chimica;
biologia;
sociologia.
La biologia e la sociologia sono prossime tra di loro
perché entrambe vantano un contatto diretto con
l’uomo ed è proprio ciò a renderle particolarmente
complesse; al contrario, la matematica è la scienza in
assoluto più distante dall’uomo.
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Comte ritiene che la scienza debba essere un sapere
unitario e coordinato, un’impresa collettiva entro la
quale i singoli saperi si fondono.
Essa, coerentemente con la visione positivista, deve
riuscire a trasformare e migliorare il società.
Proprio alla sociologia spetta il compito di
coordinare i vari campi del sapere scientifico e
coronare il progetto di unificazione della scienza: essa
sarà in grado di espletare questa funzione quando
giungerà allo stadio positivo.
Ma perché la sociologia ancora non è giunta allo stadio
di massima evoluzione?
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18
Comte
riconosce
l’importanza
delle
teorie,
attribuendole un duplice compito, orientativo ed
esplicativo: esse, infatti, servono ad orientare
l’osservazione e successivamente ad argomentare le
rilevanze empiriche.
La sociologia, purtroppo, secondo questo autore
dispone di molti fatti da osservare, ma manca ancora
di teorie atte ad orientare l’osservazione stessa:
questo è il motivo per cui non è ancora in grado di
coordinare tutti gli ambiti del sapere e non è giunta
allo stadio positivo.
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L’importanza attribuita da Comte alla teoria permette
di notare come, pur essendo egli un positivista, abbia
una visione di scienza più matura rispetto ai suoi
contemporanei: egli ritiene, infatti, che la scienza si
basi su un modello ipotetico-deduttivo (il quale
passa dalle teorie ai fatti empirici che le confermano)
e non su quello induttivista di matrice baconiana (il
quale dai fatti fa derivare le teorie) imperante durante
il Positivismo.
La scienza per Comte deve giungere ad un sistema
complessivo di conoscenza nel quale sia possibile
controllare i nessi fra i fenomeni della realtà empirica
attraverso leggi empiricamente verificabili.
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John Stuart Mill (1806-1873) è il logico del Positivismo.
Egli è un fenominista ed un empirista radicale: ritiene
che l’esperienza sia l’unica fonte della
conoscenza scientifica.
Interpreta l’esperienza come una serie di eventi o
stati discreti, legati fra di loro da rapporti di
contemporaneità o di successione, ciascuno dei quali
costituisce, in quanto elemento concreto, il
riferimento essenziale del discorso scientifico.
Ogni conoscenza è di natura empirica, anche gli
assiomi della matematica e della logica.
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Il generale rappresenta solo un artificio classificatorio
per denotare simultaneamente e ricordare molti fatti
particolari.
Mill, quindi, ha una visione atomizzata della realtà
ritenendo che ciascun elemento di essa possa essere
elemento di conoscenza.
In ciò risiede la prima netta differenza rispetto a Comte:
mentre quest’ultimo riteneva che una legge non
potesse corrispondere alla somma dei fatti singoli dei
quali tratta, per Mill le leggi sono la somma di
questioni particolari, conosciute in rapporto al
genere, ma innumerevoli rispetto al numero.
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Le leggi, quindi, sono la somma di dati reali, evidenti,
certi: la realtà è esattamente come la vede lo
scienziato, il quale è solo un notaio della scienza che
si limita a osservare e svelare i contenuti della natura,
senza apportare nulla di soggettivo.
Due sono gli aspetti per i quali Mill viene ricordato:
1) la teoria dell’induzione: secondo Mill la
deduzione e il modello ipotetico-deduttivo (qui
risiede la seconda differenza rispetto a Comte) non
accrescono la conoscenza poiché le conclusioni
sono già contenute nelle premesse del
ragionamento.
L’induzione, al contrario, è una procedura ampliativa, le
cui conclusioni sono più estese delle premesse.
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L’induzione è un’operazione che permette di scoprire e
provare proposizioni generali, cioè permette di
generalizzare l’esperienza attraverso un procedimento di
passaggio dal noto all’ignoto.
Il
procedimento induttivo permette di giungere a
conclusioni certe perché si basa su induzioni vere (quelle
che permettono la scoperta e la sua eventuale
giustificazione) e non su pseudo induzioni (come le
induzioni per enumerazione semplice che aveva già
criticato Bacone).
Queste ultime si hanno quando il ricercatore non è riuscito a
osservare un numero considerevole di casi conducono
solo a conclusioni probabili, le quali non sono vere e
proprie induzioni, ma generalizzazioni approssimate e,
pertanto, possono essere accettate provvisoriamente fino a
quando non si raggiungono conclusioni certe.
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Occorre fissare regole certe che permettano di
stabilire induzioni corrette.
Le regole del procedimento induttivo sono cinque e
vengono definite da Mill canoni:
a) canone della concordanza: se due o più casi del
fenomeno investigato hanno solo una circostanza in
comune essa è la causa del fenomeno stesso;
b) canone della differenza: se un caso in cui il fenomeno
investigato si verifica e un altro in cui non si verifica
hanno tutte le circostanze in comune tranne una e
questa si verifica solo nel primo caso, essa è la causa
del fenomeno;
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c) canone congiunto della concordanza e della differenza:
rappresenta un incrocio dei due canoni appena descritti;
d) canone dei residui: se si sottrae da un fenomeno la parte
che precedenti induzioni ci hanno fatto conoscere come
effetto di certi antecedenti, il residuo del fenomeno è
l’effetto degli antecedenti rimanenti;
e) canone delle variazioni concomitanti: se un fenomeno
varia ogni volta che varia un altro fenomeno, esso è causa
oppure effetto di quel fenomeno (questo canone può
essere utilizzato solo quando i due fenomeni sono
contemporanei).
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Secondo Mill ciò che conferisce legittimità al processo
induttivo risiede nel principio di uniformità della
natura - ignorando le posizioni espresse in proposito
da Hume -, secondo il quale la natura si comporta
sempre nello stesso modo (si tratta di una
generalizzazione, frutto della combinazione di
molteplici uniformità parziali) e, pertanto,
conoscendo alcuni elementi di essa è possibile
operare delle generalizzazioni.
Sebbene sia uniforme, il corso della natura è anche
estremamente
vario
e,
quindi,
bisogna
distinguere fra uniformità vere e uniformità
apparenti.
Per individuare le uniformità vere è necessario
distinguere l’esistenza di leggi di natura, causali,
universali e necessarie.
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2)
L’elaborazione del concetto di causa: il
procedimento induttivo è tale quando permette di
trarre leggi di natura; esso stabilisce relazioni causali.
Si tratta di cause fisiche perché anche la causa è un
fenomeno e, pertanto, deve essere acquisita attraverso
l’esperienza.
Mill distingue due nozioni di causa:
a) causa come invariabile successione temporale
tra causa ed effetto, cioè come antecedente
invariabile incondizionale del fenomeno-effetto, ossia
di quel fenomeno per il quale possa essere escluso il
ruolo determinante di un’altra circostanza.
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Per individuare questa causa si deve, in primo luogo,
individuare il susseguente effetto come fenomeno
isolato e determinato; successivamente occorre
identificare isolatamente tutti gli antecedenti cooccorrenti.
L’individuazione delle cause si rivela in questo caso
un’operazione descrittiva, limitata all’individuazione
di catene causali date in sé.
b) causa come rapporto tra un conseguente e una
serie di antecedenti, un sistema di condizioni; in
questa nozione la vera causa del fenomeno è il
complesso degli antecedenti e tutte le condizioni
sono altamente indispensabili.
L’enunciazione delle condizioni deve essere completa
ed esse devono essere elencate nella loro totalità.
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Come abbiamo visto, la matematica e la geometria
rappresentano per i Positivisti le discipline che prima
e meglio delle altre sono state in grado di raggiungere
il massimo sviluppo ed arrivare, così, all’espressione
di proposizione vere.
La geometria euclidea, conosciuta anche come
geometria piana, si erige su un numero limitato di
definizioni che vengono trattate in ognuno dei
tredici libri che compongono l’opera originaria di
Euclide.
Esse sono:
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 cinque assiomi: si tratta di proposizioni comuni,
vere per evidenza e valide in generale (come, ad
esempio, “l’intero è maggiore della parte”);
 cinque postulati: sono affermazioni vere per
evidenza.
Tutte le altre affermazioni delle geometria euclidea
sono ricavate da queste proposizioni primitive per
via deduttiva.
L’unico dei cinque postulati euclidei a porre dei
problemi di ammissibilità (perché non evidente)
ancora nel XVIII secolo è il quinto, il quale afferma
che “esiste una e una sola retta parallela a una retta
data e passante per un punto dato”.
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Nel 1733 Girolamo Saccheri tenta di dimostrare il
quinto postulato applicando un ragionamento “per
absurdum”, ma il suo tentativo fallisce: pur
ragionando come se il postulato sia falso, egli non
giunge a risultati internamente contraddittori, ma
semplicemente a sistemi geometrici diversi da
quello euclideo e incompatibili con esso.
In questo modo, però, Saccheri giunge alla scoperta
delle geometrie non euclidee.
La scoperta (o invenzione) delle geometrie non
euclidee porta con se una serie di assunzioni che
determinano la crisi della certezza nutrita dai
positivisti che la scienza sia in grado di attingere alla
“verità”.
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A questo punto, infatti, diviene innegabile che:
 non è possibile assumere assiomi e postulati come
primitivi certamente veri, dal momento che altri
sistemi, pur partendo da premesse diverse, non
conducono a risultati internamente contraddittori;
 assiomi e postulati devono essere re-interpretati,
pertanto, non più come primitivi necessari, bensì
come semplici punti di partenza, accettati solo in
via ipotetica;
 quanto appena detto vuol dire che i primitivi sono
oggetto di scelta, convenzioni, regole;
 le proposizioni derivate, se è vero quanto sostenuto
al punto precedente, pur essendo correttamente
dedotte
dai
primitivi,
possono
rivelarsi
empiricamente non vere nel momento in cui i
primitivi stessi siano frutto di una scelta errata;
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 in conclusione, se la scelta dei primitivi non è
governata da una logica di necessità, ma è una
semplice scelta, può succedere che, se i primitivi
sono stati selezionati male, il sistema risulti
incoerente.
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