A12 305 Aquilina Sergio la libertà responsabile della ricerca Copyright © MMX ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133/A–B 00173 Roma (06) 93781065 isbn 978–88–548–3506–1 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: settembre 2010 A mia figlia Melissa la cui presenza mi fa guardare con speranza al futuro Indice 9 Presentazione di Gian Pietro Calabrò 11 Introduzione 13 Capitolo I Bioetica tra scienza e vita 1.1. Bioetica: problemi, fondamenti e principi — 1.2. Rapporto uomo natura alla radice dell’opposizione tra bioetica cattolica e laica — 1.3. Nuovi e inquietanti interrogativi di fronte alle recenti frontiere della biomedicina — 1.4. Persona e dignità umana nella nuova dimensione del vivere sociale 55 Capitolo II Libertà di ricerca e tutela della persona 2.1. Limiti per l’esercizio della libertà di ricerca — 2.2. Nozione e presupposti della sperimentazione — 2.3. La previsione costituzionale della libertà di ricerca — 2.4. Le nuove frontiere della genetica: il Progetto Genoma 109 Capitolo III Responsabilità e libertà di fronte al progresso della scienza e della tecnica 3.1. Scienza e tecnica per l’uomo o contro l’uomo? — 3.2. L’etica della responsabilità tra libertà e dignità — 3.3. Gli interrogativi sollevati dallo sviluppo della scienza —3.4. Il futuro della natura umana 7 8 La libertà responsabile della ricerca 159 Capitolo IV Scienza e regole giuridiche 4.1. Le sfide della scienza della tecnica nell’ordinamento giuridico — 4.2. Scienza, diritto e autonomia della persona — 4.3. La dignità umana come valore — 4.4. La sintesi di diritti e doveri, quale statuto della dignità umana 225 Riferimenti bibliografici Presentazione di Gian Pietro Calabrò Il tema che viene affrontato in questo lavoro di A. Sergio, che riprende e completa la sua tesi di dottorato discussa presso l’Università del Salento, è uno di quelle questioni che molto spesso vengono trattate dando per scontato significati e ambiti. La libertà di ricerca, viene qui indagata entro due coordinate, il diritto alla vita e la dignità della persona, che ne segnano sì il confine, ma nello stesso tempo ne consentono l’esercizio come “libertà responsabile”. L’itinerario seguito si snoda lungo un percorso in cui vengono sistematizzate le nozioni fondamentali che costituiscono l’architrave entro cui la libertà di ricerca è stata analizzata. Da qui la necessità di cogliere lo statuto epistemologico della bioetica e il suo necessario collocarsi entro una precisa prospettiva, pur non rinunciando al confronto e al dialogo con le altrui posizioni. La stessa distinzione tra bioetica cattolica e bioetica laica, trova la sua radice in una diversa configurazione del rapporto uomo–natura. Il che consente di cogliere le diverse “emergenze bioetiche” non tanto alla luce di un pragmatico sociologismo, che riconduce poi il tutto alla mera volontà politica anche se di maggioranza, ma piuttosto al carattere filosofico della bioetica, al suo carattere speculativo e razionale, che, in ultima istanza permette poi al biodiritto di argomentare e prendere posizione in nome e per conto dei principi supremi dell’ordinamento. In questa prospettiva prende corpo la nozione di libertà di ricerca, la cui trattazione deve avvenire con disincanto, senza arroccamenti ideologici e senza tentazioni limitative e oscurantiste. In altri termini se diritti e doveri sono la faccia della stessa medaglia, se, in ultima analisi, accanto 9 10 La libertà responsabile della ricerca alla libertà non può non coniugarsi per l’essere umano la responsabilità, allora la ricerca scientifica non può non essere intesa se non come libertà responsabile di ricerca. In questo spaccato crollano, allora, antichi e, forse, inutili steccati. Se si fa riavviare tutto il discorso bioetico attorno a quel nucleo fondante della Costituzione, la persona umana e la sua dignità, allora, lo stesso esercizio della libertà di ricerca si muove sì entro precise coordinate, ma ciò per meglio servire l’uomo e la sua vita, piuttosto che, come già avvenuta essa non diventi strumento di morte, contro l’uomo e non più per l’uomo. Introduzione Lo sviluppo della tecnologia e le grandi conquiste che ormai segnano il destino della modernità, hanno posto e ancora oggi ci pongono degli inquietanti interrogativi circa i limiti alla libertà di ricerca. Un punto questo, la cui tematizzazione indubbiamente si presta ad ambigue dissertazioni che spesso si colorano di forme ideologiche ormai largamente superate. L’uomo vede nella natura non più il regno della res, della realtà oggettiva, creata da Dio, e da questi a lui affidata perchè, come scrivono le Scritture, ne abbia cura. La natura è lo specchio deformato della volontà umana, su cui l’uomo esercita il suo potere e la sua invidia nei confronti dell’onnipotenza divina. Affrontare, perciò, il tema della libertà di ricerca, oggi, vuol dire per prima cosa sgombrare il campo da una serie di pregiudizi, che renderebbero il discorso confuso e, come tale ideologico. È necessario, infatti, pur se in modo pacato, partire da una prima distinzione tra ricerca scientifica e applicazione tecnologica, anche perché, questa distinzione consente, di contestualizzare il tema entro un percorso già a lungo tracciato e che trova nel costituzionalismo contemporaneo una sua incarnazione normativa, vale a dire la centralità della persona umana quale fine ultimo e intrascendibile di ogni attività umana e quindi, anche, della ricerca e della tecnica da essa prodotta. L’uomo di oggi, si trova di fronte a delle sconcertanti possibilità, proprio perché è stato, è, e continuerà a essere “tentato” dalla voglia di fare tutto quello che la scienza e la tecnica gli rendono possibile. Non a caso, il continuo sviluppo della ricerca scientifica e dell’applicazione tecnologica, nell’ambito della biomedicina, apre sempre nuove possibilità di intervenire artificialmente sulla vita umana e non, interventi che fino a qualche tempo fa erano impen11 12 La libertà responsabile della ricerca sabili o comunque irrealizzabili concretamente. Alla luce di ciò, occorre sottolineare che la seconda metà del XX secolo, è senza alcun dubbio, riconosciuto dalla storia come una fase di violenta e irresistibile esplosione delle scienze sperimentali e della tecnica, accompagnata da una rapida e disordinata trasformazione culturale. L’uomo, infatti, ha nelle sue mani la straordinaria potenzialità di modellare, plasmare e trasformare a sua volontà tanto l’ambiente che lo stesso uomo, in tal modo egli è pervaso, da un “delirio di onnipotenza”. Scienziati e tecnologi sono immersi in una atmosfera psicologicamente inebriante, tale da offuscare la loro capacità di riflessione e di analisi, anche nel momento in cui devono fornire delle risposte ad alcune domande che si impongono necessariamente. Ovvero qual è il reale valore di tali conquiste? Esse implicano rischi e problemi da cui l’uomo non può prescindere nel momento in cui ne valuta le possibili applicazioni? Dovrebbero, quindi, essere posti dei limiti allo sviluppo di determinate tecniche o anche di date ricerche? Esistono e si possono definire dei criteri su cui fondare tali limiti? Quali punti di riferimento devono avere tanto lo scienziato quanto il tecnologo nel momento in cui tendono di promuovere il progresso? e ancora, fin dove si estende la loro responsabilità nell’orientare le ricerche e nello svilupparne le applicazioni? Il problema dei limiti quindi, non può essere lasciato senza risposta, in quanto, in realtà si tratta di una questione di “responsabilità”, a cui nessuno può sottrarsi. È necessario allora, invitare gli scienziati a una autoresponsabilizzazione, facendo appello anche al buon senso, il che equivale a ricordare che esiste anche un altro sapere che non è il sapere sperimentale–scientifico, ma fondato nella ragione e nella capacità di riflessione che può, senza ledere la libertà della scienza e ne tanto meno ostacolarne il cammino, indicare i limiti della stessa ricerca scientifica. Capitolo I Bioetica tra scienza e vita 1.1. Bioetica: problemi, fondamenti e principi La prima parte del Novecento è stata teatro di eventi, che hanno suscitato per un verso inquietudine, mentre per l’altro, hanno determinato una rivoluzione di enorme portata tale da non poter essere lasciata senza risposta. Infatti, durante gli anni del regime nazionalsocialista, per ordine di Hitler furono effettuati una serie di esperimenti medici, che la storia ha riconosciuto come crimini contro l’umanità. Tali esperimenti, benché siano stati compiuti da medici e avessero avuto come scopo quello di accrescere la conoscenza medico–scientifica, non hanno tenuto in alcun conto, come da più parti sottolineato, della sofferenza delle persone coinvolte negli esperimenti1, si è così mostrato come scienza e medicina potevano, essere adoperate contro l’uomo e non soltanto o non sempre a suo vantaggio. A questo punto la domanda che si pone è se è lecito utilizza 1. La letteratura in materia è vastissima, qui mi limiterò a citare solo alcuni autori, Cfr., R.J. Lifton, I medici nazisti. Lo sterminio sotto l’egida della medicina e la psicologia del genocidio, Rizzoli, Milano 1996; A. Bienati, Dall’inchiostro al sangue. Quando il crimine è legalizzato, Proedi Editore Milano 2003; P. Burrin, Hitler e gli ebrei. Genesi di un genocidio, Marietti Genova 1994; Cfr., P. Burrin, L’antisemitismo nazista, Bollati Boringhieri Torino, 2004; A. Mitscherlich e F. Mielke, (a cura di) Medicina disumana, Documenti del processo di Norimberga contro i medicini nazisti, Milano, 1967; R. Olla, Le non persone, RAI ERI Roma, 1999. Inoltre Cfr., M., Latorre, La crisi del Novecento. Giuristi e filosofi del crepuscolo di Weimar, Dedalo Bari 2006. 13 14 La libertà responsabile della ricerca re l’uomo come mezzo per raggiungere ulteriori conoscenze? La risposta a tale inquietante interrogativo fu data dal processo di Norimberga, che mise in chiaro che possono esistere ordini, anche statuali, ingiusti, ai quali si può lecitamente disubbidire, ma soprattutto che l’uomo ha una sua dignità intrinseca che nessuno può ledere2. In tale contesto, un ruolo emergente è stato conquistato dai codici deontologici3, tra questi, celebre è il codice di Helsinki4, il quale, fissò le regole di comportamento cui deve attenersi chi compie sperimentazioni sull’uomo. È anche vero però che intorno agli anni sessanta, in Europa, furono effettuati studi medici su alcune categorie di persone (bambini handicappati, malati in stato comatoso, anziani dementi, ecc.) senza che i soggetti implicati nelle sperimentazioni 2. G.P. Calabrò, Valori supremi e legalità costituzionale, Giappichelli Torino 1999, pp. 129 e ss. «Dinnanzi alle acquisizioni scientifiche e tecnologiche sulla vita si pone con urgenza una ricerca di valori e principi etici in grado di orientare l’agire dell’uomo. La ricerca dei valori, afferma l’autore appare necessaria, per le scelte politiche e legislative in tema di bioetica. Davanti allo sviluppo della scienza e della tecnologia il problema etico riappare nelle società contemporanee, a dispetto di ogni sua rimozione. Il continuo progredire della tecnologia ha comportato, infatti, non pochi contrasti con la coscienza morale del singolo individuo, dando vita a numerosi dibattiti, che richiedono l’ausilio di diverse discipline, dalla medicina, alla filosofia , al diritto, e alla teologia, al fine di meglio orientarsi di fronte alle difficili situazioni che si vanno a creare». 3. I codici deontologici rappresentano l’ insieme di leggi che definiscono responsabilità e compiti di una professione. 4. La dichiarazione, adottata nella diciottesima Assemblea Generale della World Medical Association (WMA), tenutasi nel giugno del 1964 ad Helsinki in Finlandia, costituisce una dichiarazione di principi etici, il cui obiettivo è quello di fornire consigli ai medici e ad altri partecipanti alla ricerca medica, che coinvolge i soggetti umani. Questa include ugualmente la ricerca su materiale umano o su dati identificabili. Si afferma inoltre che la missione del medico è di salvaguardare la salute dell’uomo. La sua scienza e la sua coscienza sono dedicate all’adempimento di questa missione. Lo scopo della ricerca biomedica che coinvolge esseri umani deve essere il miglioramento delle procedure diagnostiche, terapeutiche e di prevenzione e la conoscenza della eziologia e della patogenesi delle malattie. Inoltre, nel campo della ricerca biomedica una fondamentale distinzione deve essere fatta tra ricerca medica il cui scopo è essenzialmente diagnostico e terapeutico per il paziente e ricerca medica il cui scopo è puramente scientifico e senza dirette implicazioni diagnostiche o terapeutiche per il soggetto della ricerca. Speciale attenzione deve essere posta nella conduzione della ricerca che può avere effetti sull’ambiente e il benessere degli animali utilizzati per la ricerca deve essere rispettato. 1. Bioetica tra scienza e vita 15 ne fossero informati e senza che fossero rispettati i principi affermati dal codice di Helsinki5. Di tali sperimentazioni “selvagge”, furono 5. I principi di base della Dichiarazione di Helsinky sono i seguenti: La ricerca biomedica sull’uomo deve conformarsi ai principi scientifici generalmente accettati e dovrebbe essere basata su sperimentazioni di laboratorio e sull’animale adeguatamente eseguite su una completa conoscenza della letteratura scientifica. Il disegno e l’esecuzione di ciascuna procedura sperimentale che coinvolge l’uomo dovrebbero essere chiaramente formulati in un protocollo sperimentale che dovrebbe essere trasmesso a un apposito comitato indipendente per l’esame, un commento e delle direttive. La ricerca biomedica sull’uomo dovrebbe essere condotta solo da persone scientificamente qualificate e sotto la supervisione di un medico clinicamente competente. La responsabilità dell’uomo oggetto della ricerca deve essere sempre di un medico e mai dello stesso uomo oggetto della ricerca, anche se egli/ella ha dato il suo consenso. La ricerca biomedica sull’uomo non può essere legittimamente eseguita se l’importanza degli obbiettivi non è proporzionale ai rischi inerenti. Ogni progetto di ricerca biomedica sull’uomo dovrebbe essere preceduta da un accurato studio dei prevedibili rischi in comparazione con i benefici che si possono anticipare per lui/lei od altri. La salvaguardia degli interessi dell’uomo oggetto della ricerca devono sempre prevalere sugli interessi della scienza e della società. Il diritto del soggetto della ricerca di salvaguardare la sua integrità deve essere sempre rispettato. Ogni precauzione va presa per rispettare la riservatezza del soggetto e per minimizzare l’impatto dello studio sulla sua integrità fisica e mentale e sulla sua personalità. II medico dovrebbe astenersi dall’iniziare progetti di ricerca sull’uomo se i soggetti della ricerca non sono d’accordo che i rischi inerenti sono prevedibili. I medici dovrebbero astenersi da qualsiasi ricerca se si trova che i rischi superano i potenziali benefici. Nella pubblicazione dei risultati della propria ricerca, il medico è obbligato a preservare l’accuratezza degli stessi risultati. Rapporti su ricerche eseguite in contrasto con i principi di questa Dichiarazione non dovrebbero essere accettati per la pubblicazione. In ogni ricerca su esseri umani, ciascun potenziale soggetto deve esser adeguatamente informato sugli scopi, i metodi, i benefici previsti e i potenziali pericoli dello studio e dei disturbi che esso può comportare. Essi dovrebbero essere informati che è libero di astenersi dal partecipare allo studio e di ritirare il suo consenso in qualsiasi momento. Il medico dopo una adeguata informazione dovrebbe ottenere un libero consenso preferibilmente scritto. Nell’ottenere un consenso informato per un progetto di ricerca il medico dovrebbe essere particolarmente cauto nel caso in cui il soggetto sia in una condizione di dipendenza o nel caso acconsenta mentre è privato della libertà. In questo caso il consenso informato dovrebbe essere ottenuto a cura di un medico che non è coinvolto nella ricerca e che è completamente indipendente da questa relazione ufficiale. Nel caso di soggetto non responsabile legalmente, il consenso informato dovrebbe essere ottenuto attraverso il tutore legale in accordo con la legislazione locale. Laddove l’incapacità fisica o mentale rende impossibile ottenere un consenso informato o quando il soggetto è un minore, il permesso del parente responsabile sostituisce quello del soggetto in accordo con la legislazione locale. Ogniqualvolta un minore è di fatto capace di dare il suo consenso, questo deve esse- 16 La libertà responsabile della ricerca da parte degli stessi medici pubblicati i dossier che contemporaneamente si autodenunciarono6. Fu proprio tale atteggiamento, a evidenziare il problema dell’equilibrio tra diritti dell’uomo e progresso scientifico. Infatti, nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale le scienze sperimentali, grazie allo stretto connubio con la tecnologia, progredirono molto più rapidamente di quanto fosse avvenuto sino ad allora, tant’è che la biologia, arricchita di tecnologie appropriate, non era più soltanto una scienza capace di descrivere ciò che l’uomo con i suoi sensi vedeva nella realtà che lo circondava, ma stava diventando una scienza capace di intervenire nei processi riproduttivi, di dominarli, di modificarli, da qui la necessità, come autorevolmente avvertito da Sgreccia, di porre delle garanzie certe a difesa dei diritti dell’uomo e del futuro della società, soprattutto in un ambito che è ritenuto oggi come il più carico di responsabilità per il futuro dell’umanità e la salvaguardia della persona7. È alla luce di tali sperimentazioni che nasce il termine bioetica, il quale pur se introdotto solo di recente nella nostra cultura, ha avuto rapida fortuna. In Italia spesso è ritenuto sinonimo di deontologia ed etica medica8, anche se letteralmente per bioetica, come osserva D’Agostino, si intende “l’etica della vita”, la cui comparsa deve essere fatta risalire al 1970 con gli interventi dell’oncologo americano V.R. Potter che coniò per primo tale sillogismo volendo così indicare l’esigenza di una riflessione morale per l’uomo contemporaneo con la funzione di “ponte” tra le scienze naturali e bio–sperimentali e le scienze umane etico–antropologiche per la sopravvivenza della specie umana, identificando le nuove forme di responsabilità dell’uomo nei confronti della vita intesa, in senso globale9. Da quel momento re acquisito in aggiunta al consenso del tutore del minore stesso. Il protocollo dovrebbe contenere sempre una dichiarazione sui problemi etici dello studio e dichiarare espressamente che i principi enunciati nella seguente Dichiarazione sono osservati. 6. A tal proposito cfr. R.J. Lifton, op. cit. Cfr. inoltre, Z. Baumann, Modernità ed olocausto, trad. it., Bologna 1989. 7. E. Sgreccia, La Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina, in «Medicina e Morale» n. 1 /1997, pp. 9–13. 8. Cfr. E Sgreccia, Manuale di bioetica, Vol. I, Vita e Pensiero, Milano 1996. 9. Cfr. V. R. Potter, Bioetica Ponte verso il futuro, trad. it., Sicania, Messina 2000. 1. Bioetica tra scienza e vita 17 in poi la bioetica si diffuse rapidamente indicando, l’etica applicata alla vita soprattutto in un ambito specifico, vale a dire, in riferimento alle questioni emergenti dal rapido incidere delle conoscenze scientifiche e delle applicazioni tecnologiche in biologia e medicina10. La definizione di bioetica alla quale spesso si fa riferimento è quella comparsa nella prima edizione della Encyclopedia of Bioethics11 del 1978, secondo la quale essa è una disciplina che studia in modo rigoroso, l’ambito della prassi umana, ovvero, i comportamenti umani e che fa riferimento alla biologia e alla medicina. Una riflessione morale, dunque, che accompagna tale scienza, al fine di proteggere contemporaneamente tanto l’uomo quanto la professione medica12. Pertanto, si potrebbe definire la bioetica come un sapere pratico teorico–applicativo che riflette sui limiti di liceità e di illiceità degli interventi dell’uomo sulla vita, dove per vita deve intendersi la vita umana e non, quella esistente e non ancora esistente13. Occorre sottolineare, però, che essa, ha come oggetto problematiche estremamente diversificate tra loro, oltre che dinamicamente in evoluzione, soprattutto, in riferimento alle nuove scoperte tecno– scientifiche. Da ciò ne consegue che il concetto di bioetica risulta essere molto ampio, rappresentando così una riflessione tra due estremi, lo “scientismo tecnologico” o “tecno scientismo”, e “l’antiscentismo” o “antitecnicismo”, con la conseguente necessità di un confronto tra scienza biomedica e normatività etica. Essa, ricerca, quindi, i criteri di regolamentazione della prassi biomedica contro la logica della realizzazione indiscriminata di tutte le azioni possibili, nel tentativo di verificare le condizioni per una mediazione ermeneutica tra libertà della scienza di progredire e rispetto dei valori riconosciuti. Alla luce di ciò, la bioetica avverte ancora D’Agostino, è 10. F. D’Agostino, L. Palazzani, Bioetica nozioni fondamentali, La Scuola, Brescia, 2007, p. 8. 11. Cfr., W.T. Reich, Encyclopedia of Bioethics, The free Press, New York 1978: «La bioetica viene definita come lo studio sistematico della condotta umana nell’area delle scienze della vita e della cura della salute, esaminata alla luce dei valori e principi morali». 12. E. Sgreccia, op. cit., p. 25. 13. Cfr. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., p. 30. 18 La libertà responsabile della ricerca una inter–disciplina14 biologia e medicina, filosofia e teologia, psicologia, sociologia, antropologia, economia, diritto e politica fanno parte , anche se in diversa misura, di quello che viene definito come il “sapere bioetico” A questo punto occorre chiedersi però, fino a che punto può spingersi lecitamente il dominio dell’uomo sull’uomo in campo medico– biologico? Tale interrogativo pone un problema molto importante, soprattutto in un’epoca come quella attuale, in cui il progresso scientifico sembra non avere frontiere fisse anzi, al contrario, tende a svincolarsi dai presupposti etici e andare ben oltre determinati confini. Di conseguenza, le stesse finalità della scienza medica, vengono messe in discussione e sempre più spesso, ci si chiede se la medicina sia una scienza diretta alla cura delle malattie oppure alla trasformazione dell’uomo. L’accelerazione del progresso scientifico, di questi ultimi decenni caratterizzato da un legame sempre più stretto tra sapere teorico e applicazione pratica, ha fatto si che se da un lato l’uomo è affascinato dai nuovi scenari che si dischiudono con inedite possibilità di interventi nei confronti della natura, dall’altro è consapevole che gli effetti di taluni interventi possono incidere sull’intima composizione della realtà, provocando l’alterazione della stessa identità umana individuale, modificando anche altre specie viventi animali e vegetali, mettendo in serio pericolo la stessa sopravvivenza della vita sul- 14. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., pp. 11 e ss. «La bioetica si costituisce nel confronto tra esperti di discipline diverse, ove interdisciplinarietà non significa giustapposizione di saperi , né riduzione di un sapere all’altro né interferenza o peggio ancora invadenza di un sapere rispetto all’altro. Interdisciplinarietà, indica metodologicamente, che ogni disciplina è chiamata ad offrire, in riferimento allo stesso oggetto di analisi, il proprio contributo alla specifica prospettiva ed in base al metodo proprio, sforzandosi di trovare una integrazione dialettica con le altre prospettive. La tecno–scienza biomedica solleva il problema descrivendo attraverso il metodo sperimentale quantitativo ed empirico, come si manifesta un determinato evento; le scienze umane contribuiscono ad offrire dati, osservati, interpretati ed elaborati in riferimento al fenomeno; la filosofia riflette sui fatti, alla luce del senso interrogandosi sul perché per po giustificare norme di comportamento generali che si rivolgono all’uomo nella prassi del suo agire concreto nella società». 1. Bioetica tra scienza e vita 19 la terra e dell’ambiente in generale15. È di fronte all’emergere di tali problematiche che si assiste a una dilatazione dell’etica della vita, la quale è dinnanzi a una sfida che va ben oltre le contingenze del momento storico attuale, in quanto sono in gioco i valori di fondo della nostra civiltà, il senso stesso che diamo alla nostra umanità e, non ultimo, alla stessa modernità occidentale”16 che davanti ai nuovi scenari, punta lo sguardo sull’uomo, per poi allargarlo oltre l’uomo, alla vita animale e vegetale. Infatti, il perno della bioetica attorno a cui ruota tutto il discorso è costituito dai valori e dai principi sui quali oltre a basare il giudizio etico, occorre tentare di fondare una distinzione giustificativa del «lecito» e del «non lecito»17. Non è sufficiente operare una scelta di valore caso per caso, c’è bisogno di una vera e propria giustificazione. La meta–etica offre questo tipo di giustificazione fondativa che è legata sia ai principi che ai valori quanto alle norme in bioetica. Quindi dalla meta–etica si passa alla meta–bioetica. Infatti, la meta bioetica deve essere in grado offrire «indicazioni e orientamenti in senso forte, sforzandosi di rendere ragione della scelta assiologica–prescrittiva rivolta tanto agli operatori sanitari, quanto agli scienziati, senza non tralasciare che esse sono utili anche all’uomo tout court soprattutto quando ci si riferisce a interventi diretti sulla vita fisica»18. Tra tutte le discussioni etiche, sino a oggi sostenute, vi sono differenti orientamenti che incidono nel dibattito bioetico quale, a esempio quello che fa riferimento alla «legge di Hume», trattata nell’opera 15. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit. «Si pensi agli interventi all’inizio della vita dell’essere umano, quali la sperimentazione sull’embrione, la procreazione medicalmente assistita, l’ingegneria genetica, la clonazione. Ma si pensi inoltre in riferimento alla fine della vita dell’essere umano, alla possibilità di sostituire meccanicamente le funzioni vitali cardiaco–respiratorie, all’accanimento terapeutico, al progresso della chirurgia dei trapianti, alla richieste eutanasiche per anticipare la morte, ma ancora agli interventi sugli animali e sull’ambiente con l’uso di tecniche sperimentali, quali le biotecnologie, l’ingegnerizzazione di nuovi organismi viventi, l’ibridazione». 16. Cfr. S. Belardinelli, Bioetica tra natura e cultura, Cantagalli, Siena 2007. 17. L. Palazzani, E. Sgreccia, Il dibattito attuale sulla fondazione etica in bioetica, in «Medicina e Morale», 1992, 5, pp. 847–870. 18. L. Palazzani, E. Sgreccia, op. cit., p. 849. 20 La libertà responsabile della ricerca Treatise of Human Nature19. Secondo tale legge esiste una separazione tra i fatti naturali e i valori morali. I primi possono essere conosciuti e sono dimostrabili scientificamente, mentre i secondi sono dei presupposti e danno origine a giudizi prescrittivi che non possono essere dimostrati scientificamente. In relazione a tale Legge, vi sono due schieramenti opposti: i «non cognitivisti», che ritengono che i valori non possono essere oggetto di conoscenza e di affermazioni qualificabili come «vere» o «false»; e i «cognitivisti» che al contrario dei primi, vogliono dare una base razionale e oggettiva ai valori e alle norme morali20. Detto ciò, è importante mettere in luce i modelli bioetici che si ispirano a questi differenti orientamenti. Il primo tra questi, è quello definito sociologico–storicistico che si ispira a un’etica puramente descrittiva21. Infatti, secondo tale orientamento, la società nella sua evoluzione produce e adatta valori e norme, in base alle proprie esigenze, così come gli esseri viventi, nella loro evoluzione biologica sviluppano organi per il miglioramento della propria vita. Si tratta, in realtà, dell’intrecciarsi di diverse teorie quali la teoria evoluzionista di Darwin con il sociologismo di Weber, e con il sociobiologismo di Heinsenk e Wilson. In pratica, l’uomo in base al suo egoismo e al suo spirito di conservazione, si adatta continuamente, e in tale ottica, il diritto e la morale fungono da espressione culturale, mentre l’etica ha il ruolo di mantene- 19. Cfr. L. Palazzani, E. Sgreccia, op. cit. 20. Cfr. G. Carcaterra, Il problema della fallacia naturalistica. La derivazione del dover essere dall’essere, Giuffrè Milano 1969; U. Scarpelli, Etica senza verità, Il Mulino, Bologna 1982; F. E. Oppenheim, Non cognitivismo, razionalità e relativismo,in «Rivista di Filosofia», 1987, 78, pp. 17–29. 21. Per il significato del termine «etica descrittiva» si veda la stessa voce di S. Privitera in S. Privitera, F. Compagnoni, G. Piana (a cura di), Nuovo dizionario di teologia morale, San Paolo, Milano 1990, pp. 354–358. Per l’esposizione del sociologismo e del biecologismo in etica si veda: E. O. Wilson, Sociobiologia. La nuova sintesi, Zanichelli, Bologna 1979; B. Chiarelli, Storia naturale del concetto di etica e sue implicazioni per gli equilibri naturali attuali, in «Federazione Medica», 1984, Problemi di bioetica nella transizione dal II al III millennio, Il Sedicesimo, Firenze 1990; F. Remotti, La tolleranza verso i costumi, in C.A. Viano (a cura di), Teorie etiche contemporanee, Bollati Boringhier, Torino 1990, pp. 165–185. 1. Bioetica tra scienza e vita 21 re l’equilibrio evolutivo, della mutazione dell’adattamento e dell’ecosistema22. Questo modello, però, tenendo presente l’evoluzionismo, presuppone anche il riduzionismo, vale a dire la riduzione dell’uomo a un momento storicistico e naturalistico del cosmo. Così come l’uomo è sottoposto a continue mutazioni, anche ogni etica e ogni valore umano viene considerato relativo, cioè immerso in un determinato momento storico, e valido solo per un periodo temporaneo. Di conseguenza, non possono essere stabiliti valori o norme validi per l’uomo in tutti i tempi. Se tutto ciò fosse vero, però, i delitti più terribili della storia, da quelli di Gengis Khan a quelli di Hitler, verrebbero considerati come tali, vale a dire, legati a un determinato momento storico e non come crimini contro l’uomo e l’umanità. Secondo questo modello, quindi, meccanismi necessari all’evoluzione e al progresso dell’uomo sono l’adattamento e la selezione. Il primo, in relazione all’ambiente e all’ecosistema, il secondo in virtù delle caratteristiche più adatte al progresso della specie, giungendo così a dare fondamento all’eugenismo sia negativo che positivo, dal momento che l’umanità è capace ora di controllare, da un punto di vista scientifico gli strumenti dell’evoluzione e della selezione biologica. Alla luce di questa teoria, a mio avviso, serve riflettere su un dato, ovvero che se alcuni elementi della società sono sottoposti a evoluzione, è anche vero però che l’uomo rimane tale in ogni tempo e in ogni dove, e la legge morale, lo accompagna in qualsiasi momento storico considerato. Il secondo modello è quello soggettivista o liberal–radicale, a cui fanno capo diverse correnti di pensiero come il neoilluminismo, l’emotivismo, il decisionismo23. 22. E. Sgreccia, Scienza, medicina, etica in A. Serra, D. Neri (a cura di), Nuova genetica. Uomo e società, Vita e Pensiero, Milano 1986, pp. 7–11. 23. All’orientamento soggettivista– decisionista si può ricondurre il pensiero di H. Kelsen e K. Popper ed in Italia questo indirizzo è presente nel pensiero di Scarpelli. Alla stessa impostazione si può ricondurre l’emotivismo di A. J. Ayer C. L. Stevenson. Lo stesso esistenzialismo nichilista di J. P. Sartre ed il libertarismo di H. Marcuse finiscono per 22 La libertà responsabile della ricerca Il presupposto da cui parte questo modello, è quello relativo alla considerazione della morale come scelta indipendente del soggetto, cioè non si basa né sui fatti, né sui valori oggettivi. In altre parole il «non cognitivismo» è la parola chiave, perché se si parla di morale non si può parlare della conoscibilità dei valori. Qui il principio fondamentale è quello di autonomia, pertanto, l’agire dell’uomo è disciplinato dalle sue scelte autonome e lo scopo etico–sociale è dato dalla liberalizzazione della società. In una siffatta prospettiva l’unico limite è rappresentato dalla libertà altrui, nel senso che viene considerato lecito ciò che è deciso liberamente, ma che allo stesso tempo non lede la libertà altrui. Ma cos’è la libertà? Per libertà in questo contesto si intende a esempio la liberalizzazione dell’aborto, scelta libera del sesso del nascituro, libertà alla richiesta di fecondazione extracorporea anche per la donna sola, ma anche libertà della sperimentazione e della ricerca. Credo, però, che in realtà, si tratta di una libertà incompleta, in quanto taluni la possono esprimere, mentre altri no, quindi si parla di “libertà da” limiti e costrizioni e non di “libertà per” un progetto di vita e di società quindi, che sia giustificato in senso finalistico24. In pratica potremmo definirla come una libertà senza responsabilità, anche perché, la libertà presuppone l’esistere per un progetto di vita, se, invece, la libertà ha come scopo quello di distruggere la vita, allo stesso tempo va contro se stessa, negando così, la responsabilità di cui è portatrice, la libertà, allora viene ridotta a semplice forza. La responsabilità alla quale qui si fa riferimento, è quella che risiede nella “libertà per” e trova sostegno nella ragione, poiché prende in considerazione gli strumenti e gli scopi per un progetto che viene raggiunto in modo libero25. confluire in questa corrente di pensiero. G. Reale, D. Antiseri, Storia del pensiero occidentale dalle origini ad oggi, La Scuola, Brescia 1983, pp. 508–779. 24. E. Sgreccia, op. cit., p. 81. 25. G.P. Calabrò, P. B. Helzel, op. cit., p. 180. «Tutto ciò afferma la Helzel, porta a considerare che tra la responsabilità e la libertà intesa come libero arbitrio, vi sia una stretta connessione». 1. Bioetica tra scienza e vita 23 Non si tratta della responsabilità di fronte alla legge civile, ma è una responsabilità interiore che ha forza di esistere anche se la legge civile non tace, e può trovarsi anche in contrasto con essa quando vengono a essere lesi i valori fondamentali e irrinunciabili della persona umana26. Il terzo modello è quello pragmatico–utilitarista, che partendo da due punti deboli quali il non–cognitivismo e la fragilità del soggettivismo sul piano sociale, che hanno determinato l’intersoggettività sul piano pragmatico, cerca di rintracciare un punto comune nell’etica pubblica, che può essere intesa come un soggettivismo della maggioranza27, senza negare, però, la fondazione individualistica della norma morale. Il punto d’incontro dei diversi orientamenti, è dato dal rifiuto del pensiero metafisico e dalla mancata fiducia nel raggiungimento di una verità universale di una norma morale valida per tutti. Il principio base è quello che prende in considerazione le conseguenze dell’azione umana in base al binomio costo/beneficio, che è valido solo in riferimento a uno stesso valore e a una stessa persona come fattore di giudizio (ad es. un medico, nella scelta di una terapia, valuta i danni e i benefici prevedibili per la vita e la salute del suo paziente). Questo principio credo che però non possa essere utilizzato per valutare beni diversi tra loro come il denaro e la vita umana, poichè in tal caso si rischierebbe di cadere nell’utilitarismo. L’utilitarismo di Hume, difatti, faceva riferimento al calcolo dei costi/benefici in relazione al giudizio piacevole/ spiacevole del singolo 26. E. Sgreccia, op. cit., p. 81. 27. Cfr. M. Mori, Utilitarismo e morale razionale, Giuffrè, Milano 1986; Id., Bioetica: una riflessione in corso, in «L’informazione Bibliografica», 1990, XVI, 3, pp. 442–452; E. Lecaldano, Il contributo di una filosofia laica, in «Biblioteca della Libertà», 1987,99, pp. 57–66; Id., Principi e basi razionali di un’etica non religiosa, in E. Berti (a cura di), Problemi di etica: fondazione, norme e orientamenti, Gregoriana, Padova 1990, pp. 23–68; Id., Etica e significato: un bilancio, in Viano (a cura di), Teorie etiche contemporanee, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. 58–86. 24 La libertà responsabile della ricerca soggetto, mentre il neoutilitarismo di Bentham28 e Mill, prospettava tre punti base: massimizzare il piacere, minimizzare il dolore e ampliare la sfera delle libertà personali per il maggior numero di persone29. È in tale ottica, che è stato formulato il concetto di “qualità della vita” (quality of life), che tende a garantire agli individui una qualità della vita più alta possibile, contrapponendolo a quello di “sacralità della vita”. Nel corso del tempo, sono state, poi, proposte una serie di formule, in relazione all’utilitarismo forte e debole per misurare l’utilità delle pratiche mediche e la convenienza economica di fondi utilizzati per curare alcune malattie. L’ACB (analisi costi/benefici); l’ACE (analisi costi/efficacia); il QUALY (quality–adjusted life years) che hanno introdotto nell’intervento terapeutico, ma anche nelle risorse finanziarie affidate al settore sanitario, i fattori economici e il recupero della produttività del malato30. Queste formule, però, prendendo in considerazione elementi diversi tra loro, come la salute e la produttività, o la terapia e la disponibilità di fondi, alla fine determinano il rifiuto delle terapie o dell’assistenza per un concetto di qualità di vita basato sulla valutazione di elementi biologici o economici31. Pertanto, al fine di mitigare l’utilitarismo forte, si è cercato di inserire l’utilitarismo della norma in relazione alle regole di equità, di imparzialità, di minimo etico, con l’obiettivo della ricerca della felicità. In tale contesto, alcuni autori hanno ridotto la persona umana a essere senziente, perché considerato l’unico in grado di percepire il piacere e il dolore. In tal modo, però, si verifica «la non considerazione nell’ambito della tutela degli interessi degli individui “insensibili”, ossia non dotati della facoltà sensitiva (qua 28. Cfr. J. Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, trad. it., UTET, Torino 1998. 29. Cfr. J.S. Mill, L’utilitarismo, trad. it., Il Mulino, Bologna 1981; J. C. Harsanyi, Utilitarismo, Il trad. it., Il Saggiatore, Milano 1988; R. M. Hare, Il linguaggio della morale, trad. it., Ubaldini, Roma 1968; Cfr., inoltre, L. Palazzani, E. Sgreccia, op. cit. 30. G. De Martino, Etica e bioetica I problemi morali della medicina e della scienza, Liguori Editore, Napol, 2008, p. 141. 31. E. Sgreccia, op. cit., p. 84. 1. Bioetica tra scienza e vita 25 li gli embrioni fino alla formazione del sistema nervoso, c.d. stria primitiva, gli individui in stato vegetativo, ecc.), la giustificazione dell’eliminazione di individui senzienti per i quali la sofferenza eccede sul piacere, o di individui che provocano negli altri quantitativamente più dolore che gioia (i diversamente abili, i feti malformati, i morenti, ecc.), nonché, la giustificazione di interventi anche soppressivi sulla vita umana con la sola condizione che si eviti la sofferenza (liceità dell’aborto, anche in stadi avanzati della gestazione, purchè con pratiche indolori per il feto)»32. In definitiva, concordo con quanto autorevolmente sostenuto dalla Zanuso, quando ritiene che l’utilitarismo, da un lato esclude gli esseri umani “insensibili”, mentre dall’altro mette sullo stesso piano animali ed esseri senzienti sulla base della capacità di sentire il dolore e il piacere33. Un altro orientamento sulla stessa scia dell’utilitarismo è il contrattualismo, anch’esso basato su un accordo intersoggettivo posto in essere da coloro che hanno capacità e facoltà di decidere, tale orientamento, rispecchia il pensiero di H. T. Engelhardt34. Secondo l’autore, infatti, non fanno parte della comunità, e di conseguenza del consenso sociale, gli embrioni, i feti e i bambini, perché i loro diritti dipendono da quelli degli adulti, ne tanto meno i malati privi di relazione sociale o i dementi non recuperabili, riducendo in tal modo la concezione della persona al solo aspetto sociologico. Altre correnti di pensiero sono l’etica fenomenologia e la teoria della comunicazione. La prima si realizza con Scheler e Hartamann, in un’apertura verso i valori etici in modo intenzionale e intuitivo. I valori, però, hanno una base emotiva e religiosa, e quindi rimangono relativizzati alla soggettività emozionale e non possono pretendere di avere validità per tutti. 32. F. Zanuso, Neminem e laedere. Verità e persuasione nel dibattito bio–giuridico, Cedam, Padova 2005, p. 111. 33. L. Palazzani, E. Sgreccia, Il dibattito attuale sulla fondazione etica in bioetica, in «Medicina e Morale», n. 5 1992, p. 862. 34. Cfr. H.T. Engelhardt, Manuale di bioetica, Il Saggiatore, Milano 1991. 26 La libertà responsabile della ricerca La seconda viene proposta da Apel e Habermas, i quali, pongono alla base del consenso sociale la comunicazione che dovrebbe consentire da una parte il superamento della «ragione calcolante»35 dell’utilitarismo e dall’altra dovrebbe aprire alla possibilità l’intesa sui contenuti e i destinatari dei valori36. I valori considerati sono quelli della veridicità, il rispetto delle opinioni, la libertà di espressione, che si pongono come base per la creazione di una norma, che a sua volta deve ricevere il consenso sociale, rischiando, però, di fondare la sua validità in relazione al consenso e non individuando i diretti interessati. L’ultimo modello è quello personalista, che risolve le contraddizioni dei modelli precedenti e fonda l’oggettività dei valori e delle norme. In primo luogo, il personalismo può essere inteso in tre modi: relazionale, ermeneutico e ontologico37. Il primo, cioè quello relazionale, viene visto in relazione al valore della soggettività e della relazione intersoggettiva; il personalismo ermeneutico, si fonda sulla coscienza soggettiva, nell’attività di interpretazione della realtà in base alla propria precomprensione, in ultimo, il personalismo ontologico, che senza negare quelli precedenti afferma che alla base della soggettività c’è un’esistenza e un’essenza costituita da un corpo animato e strutturato da uno spirito38. Alla luce di ciò la nozione di persona spirituale o semplicemente persona, in riferimento all’uomo, costituisce una evoluzione del tradizionale concetto di anima caro alle dottrine metafisiche fin dall’antichità39. Il modello personalista parte dalla concezione dell’uomo e della sua libertà. L’uomo è considerato persona poichè è l’unico essere vi 35. Cfr., J, Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, trad. it., Einaudi, Torino 2002. 36. Cfr. K.O. Apel, Comunità e comunicazione, trad. it., Einaudi Torino 1977; J. Habermas, Teoria e prassi nella società tecnologica, Laterza Bari 1978. 37. C.A. Viafora (a cura di), Vent’anni di bioetica, Fondazione Lanza, Gregoriana Libreria, Padova 1990, pp. 45–48. 38. Cfr. S. Vanni Rovighi, Elementi di filosofia, III, La Scuola, Brescia 1975; J. Hervada, Introduzione critica al diritto naturale, trad. it., Giuffrè Milano 1990; S. Cotta, Giustificazione e obbligatorietà delle norme, Giuffrè Milano 1981; A. Bausola, La cultura dell’indifferenza nell’orizzonte contemporaneo, Synesis Firenze 1991, 2/3, pp 25–38. 39. G. De Martino, op. cit., p. 126. 1. Bioetica tra scienza e vita 27 vente che ha la capacità di riflettere su se stesso, di scrutare il senso delle cose e di dare un significato alle sue manifestazioni e al suo linguaggio. In altre parole, la ragione, la libertà e la coscienza rappresentano, come afferma Popper, una «creazione emergente irriducibile al flusso delle leggi cosmiche ed evoluzionistiche»40. L’uomo è dato da una realtà corporea che è animata da uno spirito che informa e dà vita, e in ogni uomo è racchiuso il senso dell’universo e tutto il valore dell’umanità, pertanto la persona umana è un’unità, un tutto e non una parte di un tutto. Il personalismo classico, senza negare l’esistenzialismo e la capacità di scelta della persona, afferma uno statuto oggettivo e ontologico della stessa persona, in tal senso, quest’ultima è un corpo spiritualizzato che deve essere considerato in quanto tale e non solo in base alle scelte effettuate. Invece, il personalismo realista, considera la persona come un’unità, ovvero, un’unitotalità di corpo e spirito, che rappresenta il suo valore oggettivo, e l’aspetto soggettivo è intrinseco. L’aspetto oggettivo e quello soggettivo della persona, sono strettamente collegati, perché il valore etico di un atto deve tenere presente il profilo soggettivo dell’intenzionalità, ma allo stesso tempo il suo contenuto oggettivo e le sue conseguenze. Infatti, per esempio, se un chirurgo in un’operazione difficile avesse una distrazione al quale facesse seguito la morte della persona, potrebbe essere soggettivamente non imputabile, ma l’oggettività della perdita di una vita umana rimane un fatto che deve determinare lo sforzo del chirurgo a non ripetere la disattenzione. Se dunque, nel momento del giudizio sull’operato prevale la valutazione della soggettività, nel momento normativo e deontologico, prevale il valore oggettivo cui bisogna adeguare sempre meglio l’attitudine soggettiva41. Dopo questa breve disamina sui modelli che orientano il dibattito bioetico, occorre far menzione di alcuni principi costituitivi della 40. Cfr. K. Popper, J. Eccles, L’io e il suo cervello, III. vol., trad. it., Armando Editore, Roma 1982. 41. E. Sgreccia, op. cit., p. 89. 28 La libertà responsabile della ricerca bioetica, soprattutto in relazione all’intervento dell’uomo sulla vita umana in campo biomedico. Il primo tra questi è il principio di difesa della vita fisica. Per vita fisica si intende la corporeità dell’uomo che permette la sua realizzazione, di inserirsi nel tempo e nello spazio, di esprimersi e di manifestarsi, di costruire i valori come la libertà, la socialità e creare un proprio progetto futuro. Il corpo, però, da solo non ha significato d’esistere necessita della dualità con lo spirito che lo anima. Quindi tra vita fisica e spirito vi è uno stretto collegamento, infatti si parla infatti, di un bene totale e spirituale della persona42. Questo è un caso che a prima vista può sembrare contraddittorio rispetto all’inviolabilità della vita umana, ecco perché bisogna analizzare i vari tipi di soppressione della vita umana, che vanno dall’omicidio, al suicidio, all’aborto, all’eutanasia, sino al genocidio. Detto ciò non va dimenticato che il primo imperativo etico dell’uomo verso se stesso e verso gli altri è il rispetto, la difesa e la promozione della vita, infatti le diverse carte dei diritti mettono in primo piano la vita e la sua inviolabilità43. Così come, anche, la Chiesa Cattolica ha espresso in documenti ufficiali44 il valore fondamentale della vita dell’uomo. In effetti, la dottrina cattolica, più volte affermata da Papa Benedetto XVI, e dai Vescovi, non è propriamente antiscientifica e antitecnica. Oggi in realtà, la Chiesa Cattolica difende la scienza e la tecnica, quando ope 42. Cfr. G. Basti, La filosofia dell’uomo, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1995. 43. A. Cassese, I diritti umani oggi, Laterza, Roma–Bari 2005, pp.60 e ss. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo approvata e proclamata dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 all’art. 3 afferma: «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della sua persona». La Convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, proclamata a Roma il 4 novembre 1950 per la Regione Europa, all’art. 2 afferma: «Il diritto di ogni persona alla vita è protetto dalla legge». 44. La Dichiarazione della S. Congregazione per la Dottrina della Fede su l’aborto procurato così si esprime al n. 11: «Il primo diritto di una persona umana è la sua vita. Essa ha altri beni ed alcuni sono più preziosi, ma quello è fondamentale, condizione di tutti gli altri. Non è il riconoscimento da parte degli altri che costituisce questo diritto; esso esige di essere riconosciuto ed è strettamente ingiusto il rifiutarlo». 1. Bioetica tra scienza e vita 29 rano in armonia con la religione e la morale ispirata dalla Chiesa, ma soprattutto quando non ledono il bene supremo che è rappresentato dalla vita45. È in tale ambito che si inserisce il tema della difesa della salute dell’uomo, come obbligo morale e il diritto alla vita precede il diritto alla salute. Quest’ultima considerazione risulta logica, nel senso che si può parlare di salute soltanto di una persona vivente, ma il problema si pone quando per la salute di qualcuno si mette a rischio procurando l’annientamento della vita di altri, come si verifica nella legalizzazione del c.d. aborto terapeutico. Nella società occidentale, la salute è considerata come bene supremo tant’è che le spese sanitarie sono ingenti; non solo, ma il benessere economico ha procurato nuove malattie come droga, alcolismo, abusi di farmaci, disordini della vita sessuale e dell’ alimentazione, che hanno sottratto molte risorse alla spesa sanitaria, risorse che invece di essere utilizzate per la prevenzione e la cura di malattie importanti, hanno finito con l’emarginare soggetti più deboli come i diversamente abili, gli anziani e i malati incurabili, di conseguenza a mio avviso, è necessario valutare la salute in base alle necessità di ciascuno. L’Organizzazione Mondiale della Sanità si pronuncia determinando che «ogni individuo ha diritto a un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo alla alimentazione, al vestiario, all’abitazione, alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, e ha il diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia e in ogni caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. Il possesso del miglior stato di salute di cui ciascuno è capace, costituisce uno dei diritti fondamentali di tutti gli uomini, quale che sia la loro religione, razza, opinione politica, la salute di tutti i popoli è condizione fondamentale per la pace nel mondo»46. 45. G. De Martino, op. cit., p. 128. 46. Costituzione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, art. 25 (dicembre 1948). La Dichiarazione di Alma Alta o Carta dello sviluppo sanitario della regione africana, pubblicata a Maputo il 24.9.1979. 30 La libertà responsabile della ricerca Oltre al diritto alla salute, è necessario però, che gli individui siano educati all’accettazione del dolore e alla morte inevitabile anche se, studi specifici, dimostrano come dato in controtendenza la non accettazione del dolore, del sacrificio e della morte, soprattutto nei paesi ad alto sviluppo economico. Un secondo principio è quello della libertà–responsabilità come atto etico, che ha notevoli riflessi in bioetica. La prima considerazione da fare è che il diritto alla tutela della vita ha precedenza rispetto al diritto alla libertà, cioè la libertà deve essere responsabile della vita propria e di quella degli altri. Questo può trovare giustificazione nel fatto che, come osserva Sgreccia, per poter essere liberi, bisogna essere vivi, e per questo la vita diviene elemento necessario per esercitare la libertà47. Nell’etica medica, tale principio incontra molte difficoltà poiché sono tante le implicazioni come nel caso del “diritto all’eutanasia”, dove per la libertà di scelta non si può disporre della soppressione della vita, o ancora nel caso delle cure obbligatorie per i malati di mente o il rifiuto di terapie per questioni religiose, in cui entra in gioco l’obbligo morale del paziente di collaborare per la propria salute. Infatti, né la coscienza del paziente può essere turbata dal medico né quella del medico può essere forzata dal paziente, entrambi sono responsabili della vita e della salute tanto come bene personale quanto come bene sociale48. Il terzo principio è quello della totalità o principio terapeutico che afferma come il corpo umano è un tutt’uno unitario che viene fuori dall’insieme di parti distinte tra di loro, e organicamente unificate da un’esistenza unica e personale. L’inviolabilità della vita viene integrata da questo principio anche nel caso di un intervento terapeutico che provochi una mutilazione del corpo, questo perché è lecito e obbligatorio per la terapia medica intervenire per salvare la vita di un soggetto. Esistono una serie di condizioni affinché questo principio sia applicato, sia che si tratti di intervento sulla parte malata o che è direttamente causa del male, per salvare l’organismo sano, che non vi 47. E. Sgreccia, Manuale di bioetica. cit., p. 175. 48. E. Sgreccia, op. cit., p. 176. 1. Bioetica tra scienza e vita 31 siano altri modi e mezzi per ovviare alla malattia, che vi sia una possibilità buona e proporzionalmente alta per la riuscita, che vi sia il consenso del paziente. Tutto ciò è legato all’integrità fisica che è un bene implicito nella corporeità e che può essere messo in pericolo solo in virtù del bene superiore a cui esso è collegato49. Tale principio può essere però, interpretato in modi diversi, cioè da alcuni in senso organicistico, ovvero, si può ledere una parte del corpo solo se questa è necessaria al fisico del soggetto, altri in senso estensivo, cioè la totalità coincide con il benessere psicologico o psicosociale, indipendentemente dalla fisicità e dall’aspetto spirituale. Altri, ancora, intendono la totalità come connubio tra totalità fisica, spirituale e morale della persona. Infine, a questo principio si può collegare una norma definita come norma della «proporzionalità delle terapie», che sancisce la valutazione all’interno della totalità della persona, durante l’applicazione di una terapia, dei rischi, dei danni che comporta e infine dei benefici che procura. e ancora, si può fare riferimento al criterio del «volontario indiretto», e si può verificare il caso della c.d. «azione con duplice effetto», nel senso di effetto negativo e positivo(es. per curare un malato di tumore si fa ricorso alla somministrazione di morfina, per alleviare il dolore, da cui però scaturisce un effetto negativo che è l’assuefazione). Per applicare correttamente il principio del volontario indiretto intervengono una serie di condizioni, vale a dire che l’intenzione dell’agente sia informata dalla finalità positiva; che l’effetto diretto dell’intervento sia quello positivo; che l’effetto positivo sia proporzionalmente superiore o almeno equivalente all’effetto negativo; che l’intervento così complesso e collegato non abbia altri rimedi esenti da effetti negativi50. 49. B. Haring, Liberi e fedeli in Cristo, 3 voll., Ed. Paoline Roma, 1980,p. 131; M. Zalba, Totalità (principio di), voce in Dizionario enciclopedico di teologia morale, San Paolo, Milano 1981, pp. 1141–1149; Id., La portata del principio di totalità nella dottrina di Pio XI e Pio XII e la sua applicazione nei casi di violazioni sessuali, in «Rassegna di teologia», 1968, 9, pp. 225–237. 50. Per un’analisi delle condizioni che rendono lecito porre un’azione con duplice effetto si veda: A. Gunthor, Chiamata e risposta, III. voll., San Paolo Edizioni, Roma 1982, pp. 530–534. 32 La libertà responsabile della ricerca Il quarto e il quinto principio sono quelli di socialità e sussidiarietà. Il principio di socialità, afferma la realizzazione di ciascun individuo solo attraverso la realizzazione del bene degli altri individui, questo perché l’uomo è inserito in un contesto sociale e vive in relazione agli altri. In tal senso, si unisce con il principio di sussidiarietà51, che sostiene, da un lato, l’aiuto nei confronti dei soggetti più deboli da parte della comunità, dall’altro, la stessa comunità deve garantire il funzionamento delle iniziative dei singoli o dei gruppi52. I due principi di socialità e sussidiarietà, pur potendo apparire scontati, non lo sono affatto, soprattutto all’interno della società contemporanea, poiché, nei paesi più progrediti la spesa sanitaria è elevata, e bisognerebbe adottare il principio dei costi/benefici che inevitabilmente favorirebbe solo coloro che hanno capacità produttive a discapito dei malati più gravi. Ed è in questo contesto che si è sviluppata l’idea della c.d. «eutanasia sociale», motivata dalla scelta drammatica e sofferta delle società ai danni di malati incurabili, dei diversamente abili gravi, dei malati mentali53. In ultimo, sono stati formulati tre principi che costituiscono un paradigma etico, rivolto a coloro che agiscono in campo sanitario per orientarli nelle situazioni concrete. Tale paradigma è stato formulato da due autori T. L. Beauchamp e J. F. Childress54, e si fonda sul principio di autonomia beneficenza, e su quello di giustizia. 51. Il principio, o la dottrina, della sussidiarietà è stata proposta dalla Enciclica «Quadragesimo anno» (15.5.1931) di Pio XI, in Tutte le Encicliche dei Sommi Pontefici, Milano 1986, pp. 912–955, ripresa dal Concilio Vaticano ii, nella Costituzione pastorale « Gaudium et Spes», nn. 31, 63, 65, pp. 825–827, 899–901, 903–905, e, soprattutto, nelle Encicliche di Giovanni xxiii, Mater et Magistra (15.5.1961), 40–44, in Tutte le Encicliche dei Sommi Pontefici, cit., pp. 1576–1622, e Pacem in Terris, n. 74, pp 1645–1678. Si veda Haring, op. cit., p. 351; s.v. 52. Per maggiori approfondimenti su tale principio mi permetto di rinviare a quanto da me scritto Il principio di sussidiarietà tra bioetica e diritto, in G.P. Calabrò, P.B. Helzel (a cura di) La nozione di sussidiarietà tra teoria e prassi, Edizioni Scientifiche Calabresi, Rende (CS), 2009, pp. 80 e ss. 53. A. Franchini, Le grandi scoperte della medicina, in E. Agazzi (a cura di), Storia delle scienze, II, Roma 1984, p. 388. 54. Cfr. T.L. Beauchamp, J.F. Childress, Principi di etica biomedica, trad. it, Le Lettere Firenze, 1999. «Il principialismo, ha inteso raccogliere in una visione coerente principi 1. Bioetica tra scienza e vita 33 Il principio di beneficenza, viene considerato come fine primario della medicina, e si traduce nel promuovere il bene, nei confronti del paziente e della società e di evitare il male. Questo è considerato qualcosa in più rispetto al semplice principio della non maleficienza, in quanto non prevede solo l’astensione dal danno, ma comporta soprattutto di fare attivamente del bene e di prevenire il male. Il principio di autonomia fa riferimento al rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo compreso quello di autodeterminazione. Tale principio si ispira al dogma «non fare agli altri quello che non vorresti venisse fatto a te», quindi si basa sul reciproco rispetto. Infatti, in questa logica si inserisce il rapporto terapeutico tra medico e paziente e il consenso ai trattamenti diagnostici. Il principio di giustizia afferma viceversa l’obbligo di eguaglianza di trattamenti e di equa distribuzione delle risorse da parte dello stato. Ciò, non vuol dire riservare a tutti uno stesso identico trattamento, perché diverse sono le situazioni cliniche e sociali, ma semplicemente l’adesione ad alcuni dati oggettivi come, il valore della vita, e il rispetto di una proporzionalità degli interventi55. Interrogarsi, quindi, sulla leicità degli interventi tecno–scientifici dell’uomo sulla vita, significa, come osservato da D’Agostino, interrogarsi oltre che sul senso anche sul fondamento del valore della vita umana e non umana56, e ancora sui limiti della indisponibilità e della disponibilità dell’uomo rispetto alla vita propria e altrui, sui confini della libertà e della responsabilità dell’uomo nei confronti degli altri. È in tale contesto che la bioetica esige una riflessione sulla prassi etici che provengono da distinte tradizioni culturali ed etiche . Innanzitutto ha richiesto il rispetto dell’autonomia (respect of autonomy) delle decisioni personali, ma ha prescritto anche la non maleficenza (nonmaleficience), e cioè, che non si compiano in medicina atti che possano causare danni ad altri. I principialisti, ritengono inoltre, che una azione morale debba essere orientata alla beneficialità (beneficence), non basta soltanto non ledere, bisogna anche prevenire il danno, procurare assistenza e programmare l’aiuto di fronte ai rischi ed ai costi della salute. E deve essere creato un sistema sanitario che preveda la giustizia (justice)». 55. Cfr. T.L. Beauchamp, J.F. Childress, op. cit. 56. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., p. 40. 34 La libertà responsabile della ricerca della relazione tra medico e paziente, e sulla relazione dell’individuo con la società sia in ambito socio–sanitario che nel rapporto dell’uomo con la natura che lo circonda57. Tutto ciò comporta però, una chiarificazione del rapporto tra bioetica e medicina, infatti, la medicina classica si fonda su un modello insuperato che è quello ippocratico, che rappresenta in campo medico un elemento di fondamentale importanza. Si tratta del “Giuramento di Ippocrate” che per tutto il periodo classico e medioevale fino ai tempi moderni, ha ispirato la deontologia medica, ed è considerato senza timore di smentita il simbolo dell’affermazione di un’etica professionale che si basa sui valori oggettivi dell’uomo e sul rispetto assoluto della vita e della persona58. Nel momento in cui l’etica medica reclama il diritto alla vita e il rispetto della persona, opera per la libertà di tutti e in particolare per la libertà di ogni uomo in quanto tale. Questa libertà è necessaria soprattutto nella società del benessere, nel momento in cui il benessere economico ha sostituito il valore della persona, e in cui c’è posto per il rispetto della vita, della famiglia solo in funzione del benessere stesso59. 57. Ibidem. 58. Cfr. E. Sgreccia, op. cit., «Per molti secoli le regole che disciplinano il rapporto guaritore–malato si sono basate sul giuramento d’Ippocrate (460–377 a.C.), il medico di Cos a cui si deve anche il concetto di segreto professionale. L’etica che il padre della medicina moderna occidentale ha trasmesso rispecchia l’ideale del medico come filantropo al servizio di tutta l’umanità e al di sopra di qualsiasi divisione tra gli uomini. Sin dalle sue origini, il rapporto tra medico e paziente – così come si è andato configurando nel mondo occidentale con la tradizione ippocratica – si è attenuto ad un ordine preciso: il dovere del medico è fare il bene del paziente e il dovere del malato è di accettarlo. Un rapporto di tipo paternalistico, in cui la responsabilità morale del medico sta nella certezza che egli operi per il bene assoluto del malato. Il medico greco, infatti, era considerato come un mediatore tra dèi e uomini e, in virtù delle sue conoscenze, era considerato un essere dotato di privilegio, autorità morale e impunità giuridica. Questo modello di medicina corrispondeva ad una visione paternalistica della vita e della società in cui gli ideali erano ordine, tradizione e obbedienza alle leggi universali». 59. E. Sgreccia, op. cit., p. 26. «Su questa richiesta di benessere si istaura lo Stato Provvidenza che lavora volentieri allo scopo di procurare benessere, anche se ne vuole essere l’unico agente; provvede inoltre alla sicurezza, prevede e garantisce la soddisfazio- 1. Bioetica tra scienza e vita 35 Volendo riprendere e approfondire il discorso sull’etica medica, è necessario far riferimento alla dottrina morale sviluppata dalla Chiesa Cattolica, definita anche come “morale medica”, rivolta tanto ai medici e ai cittadini, quanto alle autorità. Tale dottrina, si preoccupa di ciò che deve essere tutelato quando un uomo agisce sulla vita fisica di un altro uomo o sul suo corpo. Gli anni del Pontificato di Pio XII rappresentano un periodo fondamentale, poiché lo stesso Papa, attraverso i suoi messaggi, si rivolge ai medici, facendo leva su due importanti provocazioni: da una parte la presenza dei recenti crimini nazisti, dall’altra l’avanzare di un progresso tecnologico diretto alla soppressione della vita umana. La vita infatti, può diventare oggi oggetto di fabbricazione e manipolazione, così come può essere ridotta a mero strumento e dunque a mezzo anziché fine della ricerca scientifica. Oppure essa può venir prolungata artificialmente, trasfigurando i tratti della vita “propriamente umana” in un’esistenza meramente biologica60. Non vi è dubbio che siamo di fronte a temi complessi, che toccano in profondità l’animo umano, costringendolo a ripensare con radicalità ai valori sui quali incardina la propria esistenza. Provare a riflettere seriamente su chi o che cosa sia persona, significa, infatti, porsi la domanda chi siamo e cosa vogliamo essere tanto come singoli quanto come comunità61. Alla luce di ciò, tanto il biologo quanto il medico, hanno il dovere di prospettare sentieri di bene per la condizione umana, attraverso la continua evoluzione scientifica. Queste soluzioni, però, fanno emergere molti problemi e soprattutto la necessità di confronto tra scienza ed etica. Nell’ambito di questa crisi etica la Chiesa si mostra come rappresentante della tradizione morale, in grado di trovare una soluzione ai problemi difficili e soprattutto di illuminare sui valori, che ineriscono alla persona. Nel cammino storico, la medicine dei bisogni, facilita i piaceri, pilota i principali affari; tutto allontana per togliere la fatica di pensare e la sofferenza del vivere». 60. Cfr. Aa.Vv., Dire persona, oggi, in «Hermeneutica», Annuario 2006, Morcelliana, Brescia 2006. 61. Cfr. V. Possenti, Il Principio Persona, Armando Editore, Roma 2006. 36 La libertà responsabile della ricerca na e la religione percorrono quindi, strade parallele. Le malattie e le infermità avevano infatti, una rilevanza religiosa, ossia erano considerate la conseguenza di un atteggiamento sfavorevole a Dio62. Visto lo stretto legame che intercorreva tra la malattia e il peccato, anche la guarigione era considerata come un atto religioso63. A questo punto spezzare il rapporto che lega la medicina alla religione significherebbe distinguere e staccare l’anima dal corpo. 1.2. R apporto uomo-natura alla radice dell’opposizione tra bioetica cattolica e bioetica laica. Di fronte all’entità dei processi manipolativi, specialmente di quelli resi possibili dai rapidi sviluppi della tecnologia in ambito biomedico, è legittimo, o forse sarebbe a mio parere più opportuno, come già avvertito da Piana, fissare un netto spartiacque tra ciò che è lecito fare e ciò che invece va rifiutato64. Inoltre, in tale sede credo sia indispensabile chiedersi, se può il concetto di natura essere lo strumento per la determinazione di tale spartiacque? La cultura moderna è ormai contrassegnata dal ripudio di tale concetto, poiché considerato, a causa della sua staticità, un fattore di freno per il progresso. Il concetto di natura al quale si è opposto il pensiero moderno, era un concetto fissista di stampo rigidamente naturalistico, basato cioè sul rispetto delle dinamiche che presiedono allo sviluppo biologico dell’essere umano, dinamiche alle quali il comportamento dell’uomo doveva incondizionatamente sottostare. La tradizione filosofica dell’Occidente non conosce però solo tale concezione. Il pensiero greco, infatti, è fin dalle origini caratterizzato dalla presenza di due 62. A. Di Renzo Mannino, F. De Felice, La persona tra bioetica e diritto, Edizioni Goliardiche Trieste, 2005, p. 64. 63. Cfr., S. Natoli, L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale, II ed. Feltrinelli, Milano 2004. 64. Cfr., G. Piana, Bioetica tra scienza e Morale, Utet Universitaria Torino, 2007. Cfr., inoltre G. Carcaterra, Sui fondamenti teorici della bioetica, in F. Riccobono, (a cura di) Nuovi diritti nell’età tecnologica, Giuffrè Milano 1991. 1. Bioetica tra scienza e vita 37 diverse definizioni di natura umana: la prima risalente ai presocratici di stampo cosmocentrico, la quale considerando l’uomo un microcosmo, non concepisce la natura umana come essenzialmente diversa da quella degli altri esseri, e per tanto ritiene che l’uomo debba adeguare la propria condotta, e a ciò si fa riferimento quando si parla di «legge naturale», l’altra concezione introdotta da Socrate65 e successivamente approfondita da Aristotele, di ordine radicalmente antropocentrico che partendo dalla considerazione dell’uomo quale essere qualitativamente diverso dal cosmo66, colloca la specificità della natura umana nella coscienza o nella ragione, in quanto capacità di conoscere la realtà e intervenire su di essa, conferendo di conseguenza alla legge naturale un carattere dinamico67. Questa duplice interpretazione della natura sarà presente anche nella tradizione cristiana, infatti, i Padri della Chiesa ripropongono una visione statica di legge di natura. Tale concetto di legge naturale può essere applicato all’uomo solo analogicamente in quanto egli è dotato di una struttura ontologica aperta che in un certo senso giustifica il suo intervento trasformatore. Con il nominalismo sostenuto da Berkeley e da Hume, il concetto di natura, però, viene recuperato su basi volontaristiche e puramente formali68. Questa concezione esteriore e assolutistica, porta in ogni caso ad una profonda crisi dell’idea di natura. A questo, punto bisogna allora chiedersi se tutto ciò che è tecno– scientificamente possibile in ambito biomedico è anche eticamente lecito? La risposta è situata al limite tra il “potere” di azione, reso possibile dallo sviluppo della scienza e della tecnologia e il “dovere” prescritto dalla norma morale69. Nell’ambito della riflessione morale, il dibattito sulla bioetica si è incentrato, intorno alla cosiddet 65. Sull’argomento rinvio a M. Montuori, Socrate fisiologia di un mito, Vita e Pensiero Milano, 1998. 66. Cfr. U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica: l’uomo nell’età della tecnica : opere XII, Feltrinelli Milano, 2002. 67. G. Piana, Etica scienza e società, i nodi critici emergenti, Cittadella editrice Trieste, 2002, p. 16. 68. Ibidem. 69. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., pp. 11 e ss. 38 La libertà responsabile della ricerca ta questione del rapporto tra bioetica “laica” e bioetica “cattolica” o più in generale “cristiana” o “religiosa”. Tale dibattito filosoficamente è spesso stato ricondotto alla questione del rapporto tra rifiuto scettico della verità e affermazione dogmatica della verità, e soprattutto in Italia, si è venuto configurando nella contrapposizione tra “laici” e “cattolici”; e ciò è dovuto, principalmente, alla forte presenza della cultura cattolico–cristiana. Per “laicità”, in bioetica non si intende un’etica che parta dalla negazione di Dio, bensì un’etica razionale, che si rifà al brocardio groziano etis Deus non daretur, ossia in assenza di Dio, mettendo tra parentesi la fede e la teologia, anche se a ben vedere, la bioetica “laica” non si limita ad affermare che l’etica razionale debba mettere tra parentesi il discorso su Dio70. Infatti, per caratterizzare la bioetica “laica”, o meglio la bioetica che si definisce in tal modo, non è sufficiente considerarla un’etica razionale, poiché va ulteriormente precisato che cosa si intende per “razionalità” in tale prospettiva di pensiero, soprattutto in relazione alla concezione della conoscenza, della natura, dell’uomo e della morale. In questo senso, è opportuno partire dal rapporto tra bioetica “laica” e verità, che è identificabile nella negazione della esistenza della conoscibilità della verità oggettiva71. È proprio su tali basi che la bioetica “laica” si fa portavoce della possibilità per l’uomo di intervenire sulla natura modificandola sulla base di decisioni soggettive, ispirate al criterio della “qualità della vita”. In breve, per i “laici”, è possibile disporre della vita, propria e altrui, sulla base di scelte individuali e sociali al fine di migliorarne la qualità, evitando o diminuendo le sofferenze c.d. “inutili” . La bioetica di corrente cattolica o religiosa come dir si voglia, considera la coscienza una realtà essenziale relativa a Dio, alla legge divina e alla Voce di Dio verso l’uomo libero e intelligente. In questo contesto, l’insegnamento del Magistero della Chiesa ha come obiettivo quello di arricchire la bioetica nel suo aspetto di scienza diretta alla formazione della vita, 70. V. Possenti, Dibattito sulla Bioetica, Vita e Pensiero, Milano 1990, 2, p. 145 ss.Cfr. F. Todescan, Etiamsi daremus. Studi sinfonici sul diritto naturale, Cedam, Padova 2003. 71. U. Scarpelli, La bioetica. Alla ricerca dei principi, s.v.; anche il dibattito in Aa.Va., Per una bioetica laica, in «MicroMega», 1997, 2, pp. 25–91. 1. Bioetica tra scienza e vita 39 attraverso il processo educativo del cristiano. Pertanto, ci troviamo dinanzi alla pedabioetica72, ovvero, a un’indagine scientifica relativa alla funzione educativa della Chiesa, dal punto di vista morale riguardo il futuro e la posizione della qualità della vita dell’uomo nel mondo. Il contenuto di questa indagine scientifica parte dal considerare l’uomo nell’universo della bioetica, fino a giungere alle domande sulla qualità della vita, passando da quelle che oggi vengono definite le “grandi questioni” della bioetica, alle conseguenze socio–politiche per la promozione di una cultura della vita73. Dal punto di vista medico, l’opera educativa sanitaria, non si prefigge la semplice prevenzione delle malattie, ma la rappresentazione del futuro ideale della natura umana così come esso può essere costruito nel presente. La bioetica “cattolica”, per come sin qui esposto viene spesso accusata di dogmatismo, di irrazionalità e di confessionalità, poiché si rivolge solo ai credenti74. Il punto di partenza, infatti, è l’affermazione, contro il pensiero postmoderno, dell’esistenza e della conoscibilità della verità oggettiva, in altre parole, la bioetica ha bisogno di ritrovare il suo fondamento nell’antropologia affinché possa fondare validamente un’etica della vita75. A mio avviso, solo facendo riferimento a un bene oggettivo integrale, come quello della persona, si può evitare il grosso rischio di sfociare nel più assoluto relativismo e riduzionismo etico76. Dietro l’aggettivazione “cattolico” si evidenzia, a ben vedere, una prospettiva (filosoficamente) cognitivistica, in base alla quale, indipendentemente dalla condivisione di una credenza religiosa, alla ragione dell’uomo è riconosciuto un compito “forte”; la ragione non impone dogmaticamente una verità, come la verità compiuta e de- 72. A. Di Renzo, F. De Felice, op. cit., pp. 11 e ss. 73. Ibidem 74. H.T. Enghelardt jr., Dibattito: bioetica laica e bioetica religiosa, in «Bioetica. Rivista interdisciplinare» n. 1–, 1994, pp. 126–150. 75. L. Palazzani, E. Sgreccia, Il dibattito attuale sulla fondazione etica in bioetica, in «Medicina e Morale», n. 5/1992 pp. 847–870. 76. Cfr., L. Palazzani, E. Sgreccia, op. cit. 40 La libertà responsabile della ricerca finitiva, ma si sforza di interpretare, progressivamente, il significato iscritto intrinsecamente nella natura, anche perché dalla natura si può trarre un indicazione di comportamento, purché non ci si fermi alla fattualità estrinseca, ma si ricerchi l’essenza, la ragione d’essere o il fine. Detto ciò è evidente la contrapposizione tra bioetica “laica” e “cattolica”, per cui è possibile rintracciarne due diverse linee di pensiero, una che ammette la possibilità di disporre della vita dell’essere umano, l’altra che al contrario ritiene la vita dell’essere umano, in ogni sua manifestazione, un bene indisponibile per l’uomo. Ci troviamo dinanzi a due diverse etiche l’una della “disponibilità” e l’altra della “indisponibilità” della vita umana. Al di là della contrapposizione che spesso risulta essere equivoca tra bioetica “laica” e bioetica “cattolica”, e che, come osserva la Zanuso, porta solo a ulteriore vaghezza, ciò che vale la pena mettere in luce, è la diversa considerazione del valore riconosciuto o attribuito alla vita dell’essere umano, sulla base del quale si determina il confine tra liceità o illiceità degli interventi manipolativi biomedici resi possibili dalla tecnoscienza77. A questo punto, concordo con chi afferma che se la vita umana è un valore forte, gli interventi saranno sempre e comunque illeciti, nella misura in cui danneggiano o distruggono la vita, viceversa se la vita rappresenta un valore debole o addirittura alcun valore, gli interventi saranno leciti, secondo diverse modalità e gradazioni78. In questo senso, allora, è possibile ricercare una nuova prospettiva dalla quale esaminare il dibattito metabioetico. Una prospettiva filosofica, potrebbe essere quella di distinguere le diverse teorie in base alle giustificazioni del valore che l’uomo riconosce e attribuisce alla vita propria e altrui79. Non si tratta, dunque, come osserva la Palazzani, di rifiutare scetticamente ogni verità o di affermare dogmaticamente la verità, bensì di ricercare filosoficamente quale valore abbia la vita (umana e non umana), in al 77. F. Zanuso, op. cit., p. 25. 78. Cfr. F. Zanuso, op. cit., pp. 29 e ss. Cfr. inoltre, M. La Torre, M. Lalatta, Costerbosa, A. Scerbo, (a cura di), Questioni di vita o morte, Giappichelli, Torino 2007 79. Cfr. U. Fadini, Sviluppo tecnologico e identità personale. Linee di antropologia della tecnica, Laterza, Bari 2000. 1. Bioetica tra scienza e vita 41 cune fasi o nellintero sviluppo, di fronte alle nuove possibilità di manipolazioni aperte dalla tecno–scienza80. 1.3. Nuovi e inquietanti interrogativi di fronte alle recenti frontiere della biomedicina. Oggi l’uomo si trova di fronte a delle sconcertanti possibilità, proprio perché è stato, è, e continuerà a essere “tentato” dalla voglia di fare tutto quello che la scienza e la tecnica gli rendono possibile. Il continuo sviluppo della ricerca scientifica e dell’applicazione tecnologica, nell’ambito della biomedicina, apre difatti sempre nuove possibilità di intervenire artificialmente sulla vita umana e non, interventi che fino a qualche tempo fa erano impensabili o comunque irrealizzabili concretamente. L’uso della tecnologia ha dato alla scienza la possibilità di conoscere la struttura e il funzionamento della vita organica e inorganica in modo più approfondito. Questo stretto rapporto tra scienza e tecnologia, soprattutto nell’ambito della medicina, da una parte ha fornito la possibilità di fare enormi passi avanti, dall’altro, comunque, ha aperto scenari sconcertanti dal punto di vista della sperimentazione. La possibilità sempre più reale di intervenire sulla vita umana affascina, ma nello stesso tempo angoscia e turba l’uomo. Non a caso, l’epoca contemporanea è caratterizzata da una particolare sensibilità nei confronti di tutti quei problemi suscitati proprio dalla possibilità di intervenire artificialmente sull’uomo, e quindi sono oggi sempre più frequenti interventi sulla vita tanto nella fase iniziale, quanto in quella finale e sulla c.d. vita marginale81. 80. L. Palazzani, Introduzione alla biogiuridica, Giappichelli, Torino 2002, pp. 5–18. 81. L. Palazzani, Il concetto di persona tra bioetica e diritto, Giappichelli, Torino 1996, pp. 6 e ss. « Nel primo caso si fa riferimento, ad esempio, alla possibilità di produrre e clonare zigoti ed embrioni in vitro a scopo esclusivamente sperimentale, all’uso sempre più diffuso delle tecniche di fecondazione artificiale omologa ed eterologa, alla possibilità di fecondazione interspecifiche, alla diffusione della maternità surrogata, e così via. Nel secondo caso si fa riferimento, ad esempio, alla possibilità di sostituire meccanicamente determinate funzioni vitali, al progresso della chirurgia dei trapianti, alla possibilità di usa- 42 La libertà responsabile della ricerca Di fronte a una siffatta situazione ci si chiede se la vita può essere creata, manipolata e distrutta o contrariamente esistono dei limiti al potere dell’uomo sulla stessa. Da qui la necessità sempre più urgente di dare una risposta ai diversi interrogativi. La nascita della bioetica, non a caso coincide come precedentemente sottolineato con la necessità di stabilire il confine tra lecito e illecito delle innovazioni scientifiche e tecnologiche. Anche se lo scopo della bioetica non è quello di liberalizzare o ostacolare il progresso scientifico e tecnologico, ma semplicemente quello di regolamentare la prassi e le norme che disciplinano il comportamento dell’uomo, in particolare nel momento in cui questo interviene sulla vita. Si tratta, come si può immaginare, di un compito molto difficile. La bioetica cerca di individuare i limiti etici dello sviluppo del progresso tecnologico e scientifico in biomedicina. Ma la determinazione di questi limiti oltre alla bioetica chiama in causa anche il biodiritto o la biogiuridica, e mentre la bioetica fa immediato riferimento all’etica, il biodiritto si occupa della necessità di stabilire regole per la convivenza sociale. La peculiarità del biodiritto, è quella di formulare le regole giuridiche relative ai problemi che emergono dal progresso scientifico e tecnologico nell’ambito biomedico. Il problema fondamentale consiste, come avvertito dalla Palazzani, nel fatto che, nonostante la bioetica sia nata molto tempo prima rispetto il biodiritto, ancora oggi non sono stati individuati né l’oggetto, né i metodi, né tanto meno le finalità e i compiti dei due ambiti di ricerca. La questione è senz’altro importante perché ci permette di definire l’orizzonte entro il quale possono muoversi e soprattutto stabilire che cosa ci si può aspettare da una discussione bioetica e biogiuridica82. Per quanto riguarda la situazione della bioetica, questa risulta essere poco chiara. Infatti, al suo interno vi è una spaccatura tra colore nuovi metodi per controllare e programmare la morte ritardandola, e così via. Mentre, nell’ultimo caso si fa riferimento alla possibilità di pianificare l’eliminazione di feti malformati attraverso la diagnosi genetica prenatale, alla possibilità di predire il verificarsi di determinate malattie incurabili, alla possibilità di disporre di soggetti umani per la sperimentazione e così via». 82. Cfr. L. Palazzani, op. cit. 1. Bioetica tra scienza e vita 43 ro i quali ritengono che la bioetica si occupi esclusivamente di risolvere i singoli casi concreti, e altri che invece ritengono che la bioetica determina i modelli e i criteri necessari per risolvere i problemi etici, e ancora coloro i quali, ritengono che i problemi etici in bioetica non si possono risolvere facendo riferimento alla morale, ma la stessa morale deve per forza porsi una serie di domande fondamentali83. Altrettanto problematica è la situazione del biodiritto, anche in tal caso, non vi è unanimità di vedute, poichè alcuni ritengono che il diritto non debba occuparsi dei problemi bioetici, ma debba garantire solo l’esercizio dell’autonomia individuale, proprio perché i problemi bioetici, sono di natura morale e quindi chiusi nella sfera privata dell’individuo, all’opposto, altri sostengono che il diritto debba tradurre la volontà politica, infine, c’è chi ritiene fondamentale formulare norme giuridiche in bioetica giustificate dal carattere strutturale del diritto. Tutto ciò dimostra che la situazione tanto della bioetica quanto del biodiritto è molto complessa, nonostante entrambi nascono per dare risposta agli interrogativi etici e giuridici che emergono dalla prassi biomedica84. Da quanto detto, ne consegue, che è alquanto difficile offrire una soluzione definitiva a un problema che interessa tanto l’etica quanto il diritto. A tal proposito, l’unica strada percorribile in grado di individuare l’identità e la rilevanza della bioetica e del biodiritto, è quella che passa attraverso la filosofia. Innanzitutto è doveroso chiarire che la bioetica e il biodiritto, nonostante abbiano metodi diversi, hanno, però, entrambi un carattere filosofico, in quanto si tratta di discipline che, non avendo un oggetto definito, tendono sempre verso la ricerca della verità85. Di conseguenza fare filosofia in bioetica e in biodiritto significa essere 83. Ibidem. 84. L. Palazzani, op. cit., p. 12. «La bioetica rispecchia, da una parte le tentazioni dell’etica moderna dirette alla chiusura nell’ambito delle singole situazioni, dall’altra l’esigenza di apertura ad impianti teoretici fondativi; mentre il biodiritto risente, da una parte delle tentazioni del diritto odierno verso il libertarismo soggettivistico, dall’altra delle tendenze dirette ad un recupero del giusnaturalismo». 85. L. Palazzani, op. cit., pp. 20 ess. 44 La libertà responsabile della ricerca consapevoli del fatto che la ragione umana non ha la possibilità di possedere una conoscenza assoluta e totale della verità, ma solo di avvicinarsi, gradualmente e progressivamente, alla conoscenza della stessa. La filosofia si sforza di recuperare la fiducia nella ragione e nella capacità di ricercare il senso della realtà, attraverso il confronto con le ragioni altrui, ossia attraverso il dialogo. Occorre quindi, che, da una parte la bioetica si apra alla sfera speculativa, dall’altra il biodiritto, individui nei propri principi la via per dare una giustificazione alle risposte relative alle domande che emergono, in biomedicina, dal progresso scientifico e tecnologico, e anche se il crescente sviluppo tecnologico e scientifico ha proposto, all’etica e al diritto, sempre nuove e diverse domande, la filosofia ha risposto alle stesse utilizzando concetti generali, discussi ormai da secoli. Rispondendo a tali interrogativi forse sarà possibile giustificare la delimitazione degli interventi tecnologici e scientifici sull’uomo, per meglio dire la scienza e la tecnica possono intervenire sulla vita solo se non ledono la dignità e i diritti della persona che, come affermato da Calabrò, rappresentano la ratio essendi dello stesso ordinamento giuridico86. Relativamente ai problemi nuovi che sono stati posti dallo sviluppo del sapere scientifico e tecnologico in biomedicina, la bioetica e il diritto quindi, si rivolgono rispettivamente alla filosofia morale e alla filosofia del diritto al fine di cercare un fondamento del valore e dei diritti dell’uomo87. Tale questione, che possiamo definire la questione della prassi bioetica, è strettamente connessa alla questione teoretica, ossia alla questione relativa al fatto che per sapere come bisogna trattare la vita, è necessario prima conoscere che cos’è la vita, anche perché, la questione della vita, ma soprattutto del suo significato e del suo valore, non 86. Cfr. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, Il sistema dei diritti e dei doveri, Giappichelli Torino, 2007. 87. L. Palazzani, op. cit., pp. 14 e ss.« Si parla di questione pratica della bioetica per indicare la questione morale e giuridica, ossia la questione che riguarda la sfera assiologia, deontologica e normativa e che si occupa di rendere ragione del comportamento nei confronti della vita, nell’ambito dei recenti problemi bioetici». 1. Bioetica tra scienza e vita 45 può che occupare un posto di primo piano nell’ambito della bioetica. Tutto ciò principalmente a causa dell’avanzamento tecnologico in ambito biomedico, che porta a interventi sempre più manipolatori dalla fase di insorgenza a quella terminale88. Appunto per questo, la filosofia, intesa come riflessione sul senso della vita, sull’identità dell’uomo, sul suo valore e sui suoi diritti, attraverso la ragione, entra a pieno titolo nella discussione bioetica e biogiuridica. In particolare, la filosofia in bioetica deve sforzarsi di rivisitare concetti e problemi tradizionali, alla luce dei dati concreti e innanzitutto del progresso tecnologico e scientifico. Di conseguenza, la filosofia deve necessariamente adattarsi alle nuove esigenze e dimensioni della realtà, e il filosofo deve avere il coraggio di applicare la teoria fino in fondo anche a costo di rinunciarvi nel momento in cui questa non è più in grado di spiegare la realtà o entra in contrasto con la prassi. Tutto ciò non vuol dire sottomettere la filosofia ai fatti, ma che occorre una integrazione tra la teoria e la prassi, anche se quest’ultima spinge senz’altro la teoria a confrontarsi con i dati della realtà. 1.4. Persona e dignità nella nuova dimensione del vivere sociale L’incertezza in cui è nata e continua vivere la bioetica può essere sinteticamente descritta, con le seguenti domande: «di quale uomo si occupa la bioetica»? e «quale etica per la bioetica»? Tali domande sollevano la questione se la nuova scienza sia realmente capace di porsi al servizio della persona e non piuttosto dell’uomo “ridotto” dalla pretese della biologia89. Resta senz’altro valido il progetto potteriano di una riflessione etica capace di coniugare il sapere biologico con quello etico, impedendo, però, al contempo che sia l’incontrollato sviluppo tecno–scientifico a determinare il futuro dell’uomo. Pertanto, il primo e decisivo problema della bioetica è rappresentato dalla precisazione dei concetti fondamentali tanto di vita uma- 88. G. Piana, op. cit., p. 19. 89. M. Aramini, Bioetica, Portalupi Editore Casale, Monferrato 2003, p. 10. 46 La libertà responsabile della ricerca na quanto di persona e dignità90. Come osservato da Tarantino, il concetto di persona si muove all’interno di tre ambiti differenti: filosofico, politico e giuridico91. Probabilmente la prima domanda da porsi, è se essi coincidono oppure se comportino differenziazioni92. Indubbiamente, non si può negare che ogni scienza abbia i propri strumenti, in relazione ai propri campi di indagine, ma non sembrerebbe accettabile che termini uguali assumano caratterizzazioni diverse a seconda degli ambiti cui vengono utilizzati. A tal proposito, Tarantino, indica una via che merita di essere presa in considerazione93, in quanto propone di definire prima di ogni altra cosa lo statuto biologico dell’embrione, con la prospettiva, poi di giungere a considerare quello umano. Infatti, se c’è un postulato indiscusso nel dibattito contemporaneo, esso riguarda, innegabilmente, il valore universalmente conferito alla categoria di persona. Che ci si riferisca agli ambiti della filosofia e della teologia, o a quelli più specializzati del diritto e della bioetica, la persona, resta la fonte di legittimazione per ogni discorso teoricamente corretto94. Ciò spiega perché uno dei concetti filosofici utili nella determinazione del riconoscimento o dell’attribuzione del valore vita, è proprio il concetto di persona . Gran parte degli autori che si occupano di bioetica, fanno riferimento a una nozione di vita di tipo biologico, utile esclusivamente a identificare il campo che è oggetto di studio, senza far riferimento alla vita intesa quale valore95. Questa configurazione è prevalente nella cultura liberale, che tende a scorporare le questioni bioetiche da quelle morali, spesso emarginando praticamente quest’ultime. Anche perché, mentre la dimensione biologica della vita non pone questioni, e come tale risulta essere di facile accoglienza, vicever 90. M. Aramini, op. cit., p. 11. 91. Cfr., A. Tarantino, Sul fondamento dei diritti del nascituro: alcune considerazioni bioetica–giuridiche, in «Medicina e Morale» n. 45 /1998. 92. P.A. Iacobelli, Bioetica della nascita e della morte, storia incompiuta dell’esistere umano, Città nuova, Roma 2008, p. 9. 93. P.A. Iacobelli, op. cit., p. 10. 94. R. Esposito, Terza persona. Politica della vita e filosofia dell’impersonale, Giappichelli, Torino 2007, p. 7. 95. Ibidem. 1. Bioetica tra scienza e vita 47 sa, l’accezione morale della categoria vita, diventa un problema specialmente nel contesto del pluralismo etico. Sulla base di ciò, se si vuole mettere in pratica una riflessione etica capace di orientare la tecnoscienza è indispensabile riprendere e ritrovare quell’accezione morale della categoria vita. In tal senso, parafrasando Callahan, non possiamo non affermare che «la bioetica per essere seria deve porsi domande dure», a volte persino sconvenienti96. Tali domande, sono quelle relative alla “bontà morale” delle decisioni bioetiche e al legame tra vita umana, concetto di persona e dignità. Da ciò emerge che un’etica della vita che non includa la dimensione morale della categoria “vita umana” risulti essere priva di senso. Sul significato da attribuire alla categoria vita, si sono, poi, contrapposte in Italia, come abbiamo già visto l’etica laica, sostenitrice del concetto di qualità della vita, e l’etica cattolica, con l’affermazione della sacralità della vita. Un corretto approccio etico alla bioetica richiede quindi, che sia noto e ci sia accordo sulla nozione di persona e il correlativo concetto di dignità, intesa come il fondamento dell’indisponibilità del bene vita, in quanto essa è strettamente legata all’unicità e irripetibilità di ciascun essere umano97. In realtà, il concetto di persona è divenuto di uso comune nell’ambito del dibattito bioetico, anche se spesso se ne fa un uso alquanto ambiguo, in quanto si mette lo stesso termine al servizio delle più diverse esigenze pratiche98. Nel contesto attuale, è possibile individuare due tendenze opposte sul modo di concepire l’essere “persona” in riferimento alla vita, una prima tendenza definita “separazionista” di chi argomenta a favore di una separabilità o di una separazione del concetto di persona dall’essere umano e dalla vita umana99, e una tendenza detta “personalista” 96. D. Callahan, Why America accepted Bioethics, in «Hasting Center Report» 23/6 / 1993, Special Supplement. 97. G. Piana, op cit., p. 34. 98. M. Aramini, op. cit., p. 12. 99. Cfr. V. Pocar, Sul ruolo del diritto in bioetica, in Sociologia del diritto, 1999 «È questa una teorizzazione che ha dei precedenti. Già lo schiavismo, il colonialismo, il razzismo, il nazismo, il maschilismo, erano teorie separazioniste, in quanto ritenevano che lo schiavo rispetto al libero, il colonizzato rispetto al colonizzatore, l’individuo appartenente ad una razza rispetto ad un’altra razza, l’ebreo rispetto all’ariano, la donna rispetto al maschio, 48 La libertà responsabile della ricerca di chi giustifica una intrinseca coincidenza tra persona ed essere umano. È evidente che le teorie “separazioniste” , escludendo dal riconoscimento personale alcune fasi di sviluppo della vita umana, ritengono leciti interventi manipolativi, e sono le etiche della “disponibilità” o “qualità della vita umana”. Le teorie, invece, che riconoscono la presenza della persona in ogni manifestazione della vita umana considerano illecite le manipolazioni e ammettono alcuni interventi solo a determinate condizioni, quali a esempio le condizioni terapeutiche, queste ultime infatti, sono le etiche della “indisponibilità” o “santità” della vita umana100. Solo se poniamo alla base di tale ragionamento il fatto che tutti gli esseri umani sono persone e quindi hanno una soggettività101, possiamo riconoscere una serie di principi già precedentemente analizzati quali la difesa della vita, dunque la sua intangibilità e indisponibilità; il principio terapeutico, per il quale ogni intervento sulla vita è giustificato solo se ha il fine di guarire il soggetto su cui si interviene; il principio di libertà e di responsabilità, dove la libertà riconosce come limite oggettivo il rispetto della libertà dell’altro; il principio di socialità e sussidiarietà, ossia il raggiungimento del bene comune attraverso il bene del singolo e la solidarietà verso chi ha bisogno102. La nozione di persona fa parte della tradizione culturale dell’occidente, e svolge una funzione di supporto nella fondazione del rispetto e tutela dell’essere umano. È noto a tutti l’etimologia del termine persona, che corrisponde alla traduzione del termine greco prósopon,che indicava la maschera usata nelle rappresentazioni teatrali per distinguere i vari personaggi, seguendo la metafora è persona colui che è riconoscibile e qualificabile come soggetto di azione, colui che è causa del proprio agire. Pertanto, nella cultura greca precristiana, tale termine non aveva alcuna connotazione antropologica, anche se, la maschera teatrale, quale segno esterno che permette di riconoscere l’identità benché esseri umani, non fossero persone. La peculiarità della bioetica è l’introduzione di queste separazioni nell’arco del ciclo della vita umana, rispetto alle diverse fasi di sviluppo psico–fisico». 100. Cfr. L. Palazzani, op. cit. 101. Cfr. E. Agazzi, op. cit. 102. Cfr. E. Sgreccia, op. cit. 1. Bioetica tra scienza e vita 49 del personaggio, poteva prestarsi a indicare la soggettività umana. È attraverso la riflessione teologica cristiana che questo termine assume alcuni dei significati tuttora presenti nel suo uso ordinario entrando a far parte anche dell’antropologia filosofica103. La nascente teologia cristiana trovò, dunque, nel termine persona un’espressione lessicale utilissima per focalizzare, in modo ottimale, il suo dogma centrale, ovvero quello trinitario, e l’unicità di Dio da questo dogma viene coniugata nella trinità del suo agire. Un solo Dio si rivela all’uomo come tre persone104. In una prospettiva di teologia rivelata, l’uomo è persona sia perché è stato creato a immagine di Dio, sia perché è stato chiamato da Dio ad agire come soggetto libero e responsabile105. Il concetto di persona è stato variamente inteso ed elaborato nella storia del pensiero filosofico106, e le diverse concezioni oggi presenti, possono essere raggruppate in due tipologie fondamentali. La prima, rappresenta uno sviluppo della concezione “classica” secondo la formula di Severino Boezio cui la persona è «sostanza individuale di natura razionale», ossia un individuo concreto dotato di una certa natura ontologica, la quale si manifesta in una serie di capacità, attività e funzioni ma non è riducibile a esse107. Pertanto, un certo 103. Cfr. A. Pavan, A. Milano, (a cura di) Persona e personalismi, Edizioni Dehoniane Napoli 1987, s.v. inoltre, V. Melchiorre, (a cura di) L’idea di persona, Vita e Pensiero, Milano 1996; M. Bettiol, Della persona umana: interpretazioni e questioni aperte, in Aa. Vv., Metafisica e modernità, Cedam, Padova 1993. 104. Cfr. A. Milano, La persona nella novità cristiana dell’Incarnazione e della trinità, in «Studium», n. 91/1995. 105. Secondo la splendida espressione di Tommaso D’Aquino, nel prologus della Prima Secundae della Summa Theologiae. I, q. 29, a.1; Su questo tema si veda anche C. Vigna, Sostanza e relazione. Un’aporetica della persona, in V. Melchiorre, op. cit, pp. 175–203. 106. Per un attento studio storico sul personalismo s.v. A. Rigobello, Il personalismo, Città Nuova, Roma 1978. 107. Sulla concezione di persona in Boezio, e soprattutto sulle “ricadute” in ambito giuridico e le conseguenze di tali ricadute nel passaggio fra concezione classica e moderna dell’esperienza giuridica Cfr., P. Sommaggio, Il volto e la maschera, concezione classica e moderna della persona nell’esperienza giuridica, Cedam, Padova 1999; Cfr. inoltre F. Botturi, Embrione umano e persona, in “Per la filosofia”, IX–1992. 50 La libertà responsabile della ricerca individuo può possedere la natura razionale108 (ed essere con ciò stesso persona) anche senza manifestare tutte, sempre e nel grado massimo tali caratteristiche. Secondo una diversa concezione, elaborata particolarmente da alcuni autori moderni, quello di persona è, invece, un concetto definito da un certo insieme di proprietà o funzioni come la capacità di riflessione, d’autocoscienza, d’autodeterminazione, di comunicazione intersoggettiva, di rappresentazione simbolica109. Come tutti i concetti esso determina, in astratto, una classe di enti i quali, indipendentemente dalla loro natura ontologica, possono essere dichiarati persone in base alla definizione di persona così stipulata, purché siano capaci di esercitare le funzioni descritte nella stipulazione. Dal momento che un dato essere può esercitare le funzioni a cui viene ridotta la persona in quantità variabile e in gradi diversi, ne consegue che si può essere più o meno persona, che si può diventarlo e cessare di esserlo, e che, mentre è possibile che certi esseri umani non siano persone, possono esserlo, sia pure in maniera ridotta, vari animali. Al limite, perfino degli artefatti (come i robots) potrebbero essere considerate persone se, un giorno, riuscissero a esibire comportamenti del tipo di quelli elencati nella definizione di persona. Entrambe le concezioni sono state oggetto di analisi e discussione. Alcuni hanno ritenuto di non poter accogliere la seconda concezione perché reintroduce, di fatto, la legittimità di una discriminazione fra gli esseri umani, sulla base del possesso di certe capacità o funzioni, anche se, almeno apparentemente, si tratta delle capacità più alte e caratterizzanti della natura umana, resta pur sempre vero che la natura umana non si riduce a esse, e che gli esseri umani verrebbero, quindi, discriminati non sulla base di ciò che sono, ma di ciò che hanno o possono fare, secondo un catalogo di requisiti aperto al libero arbitrio. Si è riconosciuto quindi, che 108. S.v. a tal proposito, P. Sommaggio, La definizione di persona nell’opera di Severino Boezio: un principio fondamentale del pensiero giuridico moderno, in «Nuovo Sviluppo», n. 2, 2004, pp. 71–84. 109. Cfr., P. Singer, Ripensare la vita , trad. it. S. Rini, Il Saggiatore, Milano 2000; Cfr. inoltre, H. T. Engelhardt, op. cit. 1. Bioetica tra scienza e vita 51 l’essere persona, in senso ontologico, è una semplice conseguenza del possedere la natura razionale e che, essendo la razionalità un requisito di cui gode la natura umana, implica per ogni individuo umano il fatto di essere persona anche se determinate caratteristiche più complesse di questa natura razionale possono manifestarsi soltanto dopo un processo evolutivo adeguato, essere più o meno ampiamente impedite da circostanze accidentali, e in taluni casi addirittura attenuarsi o scomparire. Nel contesto delle discussioni filosofiche, il rispetto dovuto agli esseri umani viene spesso fondato sulla particolare dignità che spetta alla persona, in nome dell’elevatezza della sua natura, o di particolari funzioni di cui essa è capace110. Tutto ciò, a mio avviso può aiutarci a comprende, come già osservato da Pessina, la complessità della questione111 riguardante la nozione di persona e di persona umana, in particolar modo permette di mostrare l’equivoco in cui si incorre quando si intende separare la nozione di essere umano da quello di persona, generando senza alcun dubbio confusioni e riportando ripercussioni pratiche nella comprensione dei diritti e dei doveri che si debbono esercitare nell’ambito della ricerca e della prassi biomedica112. Alla luce di ciò, la riscoperta dell’etica nel contesto del dibattito filosofico attuale, in particolare proprio nell’ambito dei problemi posti dal progresso della scienza e dalla tecnica biomediche, ha mostrato, difatti, l’importanza e la necessità di fare riferimento al concetto di persona. Anche se è indispensabile evidenziare che tale concetto non è stato elaborato ad hoc per le recenti esigenze emerse dalla prassi ma è un concetto che entra nel dibattito bioetico e biogiuridico già con un bagaglio di significati, accumulati durante una lunga e complessa evoluzione, ciò perché il termine persona, afferma la Palazzani, evoca una valenza etica e giuridica, ovvero la persona indica il soggetto degno di un qualche rispetto e meritevole di una qualche 110. Cfr. F. Zanuso, op. cit. 111. A. Pessina Bioetica. L’uomo sperimentale, Mondadori, Milano 1999, p. 85. 112. Ibidem. 52 La libertà responsabile della ricerca tutela113. «Che cosa è persona?» e «Chi è persona?». Anche in questo caso vi sono diverse concezioni. La posizione funzionalistico–attualistica, cerca di definire la persona a partire da sue operazioni ritenute particolarmente qualificanti114. Questa posizione si potrebbe anche denominare empiristica o relativistica, in senso lato, perchè ritiene in diverso modo empiricamente accertabile l’esser persona e il divenir persona, attraverso la verifica della presenza di alcuni caratteri, che sono stati assunti come rilevanti per definire la stessa115. L’altra posizione è quella del personalismo ontologico, che ricerca una determinazione sostanziale prima che attualistica dell’essere persona. La posizione attualista, non ritiene che l’esser persona o il divenirlo siano accertabili solo funzionalmente o empiricamente, ma argomentabili razionalmente entro una concezione dell’essere e dei suoi gradi di perfezione116. Secondo l’impostazione kantiana, tale interpretazione è fondata sui “valori”, infatti la dignità viene vista come valore interiore assoluto, perché, diversamente da ogni altra cosa che fa parte della natura, l’uomo è una persona e, di conseguenza, possiede una dignità, cioè un valore intrinseco117. Ma se non vogliamo cadere in un circolo vizioso, definendo persona ogni soggetto che possiede dignità e qualificando la dignità come attributo esclusivo e specifico delle persone è necessario, definirne l’identità, in modo univoco e condiviso, senza ricorrere a presupposti assiologici. Fino ad alcuni anni fa questo compito non risultava particolarmente complesso perché essere umano e persona apparivano espressioni sinonimiche, al punto che riflessione antropologiche e riflessione personalistiche si sono venute a identificare. Sembra pero, che nel contesto culturale attuale, questa identificazione non possa più darsi per scontata, l’idea di 113. L. Palazzani, op.cit., p. 22. Cfr. inoltre, S. Cotta, Legge naturale e persona umana, in Persona umana e medicina, in Atti del Convegno di Etica Medica, Bari 1985. 114. Cfr. F. Botturi, op cit. 115. F. Zanuso, op. cit., pp. 80 e ss. 116. Cfr. L. Palazzani, Introduzione alla biogiuridica, cit. 117. F. Zanuso, op. cit., pp. 131 e ss. Inoltre per una critica della interpretazione di Kant, Cfr. P. Faggiotto, La metafisica kantiana dell’analogia, in Verifiche, Trento 1996 1. Bioetica tra scienza e vita 53 persona, infatti, sembra entrata in profonda crisi, il che dipende dalla stessa idea di soggettività umana, e dalla stessa crisi dell’io. Porre l’essere umano come valore in sé, risulta secondo quanto affermato da Pessina, condizione fondamentale per qualsiasi riflessione morale, oltre a stabilire quel rispetto reciproco che i sostenitori dell’etica pubblica sono soliti designare con il termine di tolleranza118. Non accettando questa base, non si possono escludere reciproche forme di discriminazioni oltre a innescarsi quella logica dell’homo homini lupus di hobbesiana memoria di cui l’Occidente non si è mai liberato. Tutto ciò ovviamente, ha non poche ricadute in ambito bioetico. Da qui, dunque, la necessità di porre o meno, dei limiti all’esercizio della libertà di ricerca. Da questo concetto di centralità dell’essere umano, a mio sommesso parere, occorre ripartire per meglio comprendere il nesso che lega la libertà di ricerca alla persona umana. 118. A. Pessina, op. cit., p. 93. Capitolo II Libertà di ricerca e tutela della persona 2.1. I limiti per l’esercizio della libertà di ricerca La più grande fortuna dell’uomo è conservare il senso del limite e della conseguente misura, inteso come un impegno necessario di ricerca della verità e della connessa coerenza per evitare le più diverse tragedie1. In tal senso è attraverso la ricerca del limite, o meglio tra l’essere limitati o illimitati, che nasce la lacerazione tra un agire immoderato che rifiuta il limite, e un essere limitato che emerge in tutta la sua fragilità, vivendo così in una sorta di contraddizione2. Non a caso infatti, la seconda metà del XX secolo, è senza alcun dubbio, riconosciuto dalla storia come una fase di violenta e irresistibile esplosione delle scienze sperimentali e della tecnica, oltre che essere accompagnata da una rapida e disordinata trasformazione culturale. L’uomo ha nelle sue mani la straordinaria potenzialità di modellare a volontà l’ambiente e lo stesso uomo, e la cultura finisce per essere pervasa, così, come affermato da Judson, da un senso di onnipotenza3. Tuttavia, tale onnipotenza è espressione, ma soprattutto convinzione di chi ha solo una vaga conoscen- 1. G. Calambrogio, Il senso del limite, in «Laòs», anno XII–2005, n. 1.gennaio–giugno, p. 19. 2. Ibidem. 3. Cfr. H.F. Judson, L’ottavo giorno della creazione. La scoperta del DNA, Editori Riuniti, Roma 1982. 55 56 La libertà responsabile della ricerca za degli enormi limiti del sapere e del potere che una vera scienza e una vera tecnologia, rispettivamente devono riconoscere4. Scienziati e tecnologi si trovano, così, immersi in una atmosfera psicologicamente inebriante, tali da indurli a una mancanza di capacità di riflessione e di analisi, dal momento che si trovano a dover rispondere a domande che si impongono necessariamente. Ovvero qual è il reale valore di tali conquiste? Esse implicano rischi e problemi da cui l’uomo, che pensa, non può prescindere nel momento in cui ne valuta le possibili applicazioni? Dovrebbero, quindi, essere posti dei limiti allo sviluppo di determinate tecniche o anche di date ricerche? Esistono e si possono definire dei criteri su cui fondare tali limiti? Quali punti di riferimento devono avere tanto lo scienziato quanto il tecnologo, nel momento in cui tendono di promuovere il progresso? e ancora, fin dove si estende la loro responsabilità nell’orientare le ricerche e svilupparne le applicazioni? A tali interrogativi, sicuramente non riescono a dare risposta né le scienze sperimentali, né le tecnologie più avanzate, in quanto né le une, né le altre, possono trovare nella propria metodologia e nei contenuti delle proprie ricerche e dei propri risultati gli elementi necessari per elaborare risposte appropriate5. È proprio da qui, che nasce l’esigenza che le altre scienze si lascino stimolare dai nuovi impulsi provenienti dai progressi talvolta sconcertanti, della scienza e della tecnica. Queste scienze sono la filosofia, la teologia, il diritto, alle quali per le caratteristiche metodologiche di ricerca e di analisi, ma soprattutto per il contenuto, compete indagare e mettere in luce i principi essenziali da cui dedurre le risposte desiderate. Pertanto, il problema dei limiti non può essere lasciato senza risposta, in quanto si tratta in realtà di una questione di “responsabilità”, a cui nessuno si può sottrarre. Allora, è necessario invitare gli scienziati a una autoresponsabilizzazione, facendo appello anche al buon senso, il che equivale a ricordare che esiste anche un altro sapere che non è 4. A. Serra, E. Sgreccia, M.L. Di Pietro, Nuova genetica ed embriopoiesi umana. Prospettive della scienza e riflessioni etiche, Vita e Pensiero, Milano 1990, p. 16. 5. Ibidem. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 57 il sapere sperimentale–scientifico, ma è quello fondato nella ragione e nella capacità di riflessione, che può senza ledere la libertà della scienza ostacolarne quindi il cammino, indicare i limiti alla stessa ricerca scientifica6. L’elemento fondamentale di questo sapere è rappresentato dalla nozione di persona nei suoi diritti e doveri7. Anche se però, è proprio su questo che manca la convergenza, in quanto la riflessione scientifica odierna, pur ponendo l’uomo al suo vertice, lo limita e costringe nella sua reale essenzialità. Occorre pertanto ritrovare una nuova morale basata su una differente e più vera definizione dell’uomo. Ma prima di proseguire nell’analisi sui limiti che necessitano al sapere scientifico, occorre se pur brevemente, soffermarci su cosa si intende per ricerca, soprattutto ricerca relazionata all’ambito biomedico. Nel preambolo delle ultime International Ethical Guedlines for Biomedical Research Involving Subeject,8 si legge che «il termine “ricerca” si riferisce a una classe di attività rivolte a sviluppare o a contribuire a ottenere conoscenze generalizzabili. Tali conoscenze consistono in teorie, principi o relazioni, o nell’accumulazione di informazioni su cui si fondano, che possono essere corroborate da accreditati metodi scientifici di osservazioni e inferenze. Il termine “ricerca” viene in genere modificato dall’aggettivo “biomedica” per indicare la sua relazione con la salute»9. La ricerca biomedica, appartiene alla ricerca scientifica e utilizza metodi e strategie che appartengono alla moderna alla stessa. Si tratta di un’attività umana e intelligente, che, partendo dall’accumulazione di informazioni raccolte con metodi scientifici accreditati e valicati nonché ottenute mediante l’osservazione di eventi spontanei o evocati da situazioni sperimentali, produce conoscenze che hanno un valore generale. La conoscenza ottenuta, infatti, rappresenta l’in 6. A. Serra, E. Sgreccia, M.L. Di Pietro, op. cit., p. 92. 7. Cfr. J. Herranz, La dignità della persona umana e il diritto, in «Pontificia Accademia Pro–vita». VIII, febbraio 2002. 8. Tali linee guida sono state pubblicate nel 2002 dal Council for International Organizations of Medical Sciences (CIOMS) in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). 9. M. Eandi, Bioetica della ricerca, in «Archivio Teologico Torinese», Anno XIV, 2008 n. 1, p. 27. 58 La libertà responsabile della ricerca sieme dei singoli fenomeni indagati mediante relazioni, principi e teorie che hanno un valore e una applicazione generale10. In tal senso, si assiste a un vero e proprio dominio pervasivo della tecnoscienza nella gestione della salute umana, spesso a scapito del senso stesso del curare o del prendersi cura del paziente. Il dominio, a volte, acritico della tecno–medicina è dovuto ai successi ottenuti dalla ricerca biomedica, applicata alla salute dell’uomo e dall’evidente progresso registrato nella cura e nella prevenzione delle malattie. Come ogni libertà, però, anche quella della scienza non va intesa come un valore assoluto, ovvero, sciolto da qualsiasi limite e regolamentazione, ciò significa che il punto di vista scientifico non accetta niente dogmaticamente o per autorità, ammette solo ciò che è evidente, sperimentalmente o logicamente provato ed è perciò conoscenza critica e comunicabile11, anche se autonomia non è autosufficienza. Alla luce di ciò, la necessità di proteggere i valori costituzionali dell’essere umano, ha spinto la dottrina giuridica a introdurre la regolamentazione di alcune tecnologie al fine di far conciliare il bisogno di progresso con l’esigenza di tutelare quei diritti di cui la persona è portatrice12. Anche perché, come affermato dalla Zanuso, è dalla dimenticanza del limite invalicabile dell’esistenza che nasce in effetti il modello dell’uomo tecnico, di quell’uomo che, come dice Anassagora intelligente perché ha le mani grazie all’attività manipolativa egli tende di dominare il mondo, trasformandolo in base a un suo puntuale progetto13. L’esigenza di una maggiore tutela, comunque, non si pone solo per i valori tradizionali, riconosciuti nella nostra Carta costituzionale, ma anche per tutte le vicissitudini poste dalla so 10. Ibidem. 11. Cfr., F. Zanuso, op. cit. 12. A. Baldassarre, Le biotecnologie e il diritto costituzionale, in M. Volpi, Le biotecnologie certezze ed interrogativi, Bologna 2001, p. 15 e ss; s.v. inoltre D. Castellano, Il problema della persona umana nell’esperienza giuridico politica: (I) Profili filosofici, in «Diritto e società», Padova n.1/1988. 13. Per maggiori approfondimenti sull’argomento s.v. F. Zanuso ( a cura di), Il filo delle parche. Opinioni comuni valori condivisi nel dibattito biogiuridico, FrancoAngeli, Milano 2009, p. 12. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 59 cietà, in relazione a una sua rapida evoluzione, sebbene alcune previsioni costituzionali non godano di una specifica protezione, come a esempio il diritto del singolo a un patrimonio genetico non manipolato, il diritto alla unicità, il diritto a una morte dignitosa esente da ogni accanimento terapeutico14. È un’illusione, quindi, se si ritiene che il problema della salvaguardia dei diritti si possa risolvere definitivamente all’interno di un testo normativo, anche se attraverso l’individualizzazione, di limiti sostanziali e procedurali alla manipolazione della vita dell’uomo, e agli strumenti a tutela dei suoi diritti, si può arrivare ad avere una più accurata protezione del valore della persona umana, che deve rappresentare quel faro che orienti i complessi processi scientifici15. Il tema sulla libertà di ricerca nel campo biomedico, viene, inoltre, ripreso ed esaminato dall’art. 32 che sancisce il diritto alla salute. La discussione grava soprattutto sui rischi per l’integrità fisica dell’individuo oltre che per la stessa dignità umana di un ricorso da parte della scienza medica a tecniche in precedenza sperimentate dai medici nazisti durante la seconda guerra mondiale, come a esempio la sperimentazione “eugenica”16. Alla luce di ciò, come affermato da Sommaggio, una delle prime denunce di un tale rischio si deve al premio Nobel Salvador Luria, il quale si pone la domanda «se il progetto nazista per eliminare gli ebrei e altri geni inferiori attraverso l’omicidio di massa non fosse per caso stato tradotto in un programma più gentile per perfezionare gli esseri umani correggendo i loro geni»17. 14 Comitato Nazionale di Bioetica, 25 maggio 2001 Orientamenti bioetici per l’equità nella salute. 15. M. Eandi, op. cit., p. 39. Per maggiori approfondimenti sulla tutela e salvaguardia dei diritti fondamentali Cfr., A. Cassese, I diritti umani oggi, Laterza, Roma–Bari 2005. 16. Cfr. Intervento dell’On. A. Moro effettuato nell’adunanza plenaria della Commissione per la Costituzione del 28 gennaio 1947 in atti dell’Assemblea Costituente, op. cit. Vol. IV, pag. 204, e dell’On. G. Martino, in atti dell’Assemblea Costituente seduta del 24 Aprile 1947, in op. cit. Vol. II, p. 1222. 17. P. Sommaggio, Una filosofia per la genetica. Due forme di intervento: somatica e germinale. Tra approcci all’umano: materiale , eugenico, metafisico, in F. Zanuso, ( a cura di) Il filo delle parche, cit., p. 178; s.v. inoltre S. Luria, Lettere, in «Science», n. 247, 1990, p. 283. 60 La libertà responsabile della ricerca In tale contesto, nel corso degli anni, sono sorte alcune perplessità circa l’uso dei termini scienza e ricerca, che ritengo in tale contesto utili definire. Per “scienza” s’intende generalmente «il risultato delle operazioni del pensiero»18, cioè l’insieme delle conoscenze che si posseggono intorno a un determinato ordine di fenomeni. Il concetto di scienza è, quindi, adoperato per raffigurare lo sforzo prodotto dal ricercatore che dà origine a nuovi risultati e a una conoscenza scientifica.19 Per “ricerca” s’intende l’effetto del “ricercare”20, e ciò si sostanzia essenzialmente nell’individuare il momento dinamico del fenomeno in questione, ovvero, l’azione dove la mente umana è protesa all’acquisizione di nuove conoscenze. La ricerca scientifica non si riferisce, dunque, soltanto alle scienze esatte sperimentali, ma anche a ogni attività volta a allargare i margini della conoscenza dell’uomo, nei confronti delle quali pubblici poteri hanno dovere di promozione. La ricerca, sicuramente si differenzia dalla sperimentazione, intesa invece, come verifica delle teorie che hanno come scopo quello di saggiarne la praticabilità, e cioè «l’esistenza obiettiva dei fatti del mondo», dalla sperimentazione, si distingue infine la tecnica, che rappresenta la regola consolidata nella pratica in seguito a una verifica sperimentale. Mentre la sperimentazione richiede particolari cautele e maggiore responsabilità per i ricercatori21, l’applicazione tecnica, invece, è più libera poiché non comporta alcuna conseguenza giuridica per il sanitario che abbia mantenuto un comportamento adeguato. Pertanto, la scienza, intesa come esposizione ragionata e sistematica di concetti attorno a una materia22, ha inizio nel momento in cui si 18. G. Devoto, G.C. Oli, Dizionario della lingua italiana, Firenze 1974. 19. J.D. Bernal, Storia della scienza, Editori Riuniti, Roma 1965, p. 22. 20. In tal senso cfr. Il nuovo Zingarelli, cit., e il Dizionario garzanti della Lingua Italiana. 21. In Enciclopedia Italiana di scienze, lettere ed arti, a cura dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, cit. Vol. XXXIII. 22. P. Nuvolone, Il problema dei limiti della libertà di pensiero nella prospettiva logica dell’ordinamento in Legge penale e libertà di pensiero Atti III, Convegno di diritto penale, ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 61 avvia una ricerca che abbia un suo obiettivo e sia diretta a una riflessione metodica, e il metodo si identifica come lo strumento in virtù del quale la scienza si è venuta a materializzare. Ed è proprio il metodo a comprovarne la natura prettamente scientifica in modo da consentire a questa espressione del pensiero umano, di godere della particolare tutela assicurata dal testo fondamentale23. Non può essere messo in dubbio che le libertà scientifiche costituiscano aspetti e forme” della libertà di manifestazione del pensiero, e la carta costituzionale, evidenzia gli ambiti di tutela di queste libertà. La realizzazione del miglioramento della qualità della vita, è legata all’avanzare delle conoscenze nel campo della medicina, della biologia, in modo da incidere sul benessere dell’individuo24. Alla luce di ciò ricerca e scienza, diventano, quindi, sinonimi di progresso e di avanzamento del sapere umano. Non a caso, una della grandi parole che caratterizza il mondo occidentale è proprio la libertà della ricerca, che se da una parte ha fatto si che si raggiungesse una posizione privilegiata nell’ambito dell’umanità, dall’altra il suo diritto è incondizionato, ovvero entra in conflitto con altri diritti. Il problema che qui si pone è allora quello di stabilire se la scienza interferisce con la morale. A un primo impatto sembra che non vi sia alcuna interferenza tra scienza ed etica, e ciò perché, l’unico valore per la scienza è il sapere ed il suo unico obiettivo è quello di raggiungerlo, anche se tutto ciò impone il rispetto di alcune regole di comportamento25. Bressanone, 1965, Padova 1966, p. 360. Si veda inoltre G. Bettiol, Sui limiti penalistici alla libertà di manifestazione di pensiero, in Riv. it. dir. proc. pen. , 1965, 641, e in Legge penale e libertà del pensiero (Atti del III Convegno di diritto penale, Bressanone, 1965), Padova, 1966, p. 9, «secondo cui la scienza è quella attività che raccoglie i fatti, li descrive, li cataloga, e li interpreta secondo certe determinate leggi e criteri». 23. E. Spagna Musso, Lo stato di cultura nella Costituzione Italiana, Napoli 1965, p. 136. 24. U. Pototsching, Insegnamento (libertà di), in Enc Dir, vol. XXI, Milano, 1971, p. 736. 25. H. Jonas, op cit., p. 67. «Cioè attenersi alle regole del metodo e della dimostrazione, non barare, cioè non imbrogliare né se stessi né gli altri, ad esempio con conclusioni azzardate oppure esperimenti poco precisi, per non parlare della falsificazione dei risultati; ossia onestà e rigore intellettuale». 62 La libertà responsabile della ricerca Tutto ciò fa si che la moderna scienza della natura deve necessariamente essere sottoposta a un esame etico, soprattutto in considerazione del fatto che nello stesso momento in cui si acquisisce la conoscenza, viene meno la differenza tra pensiero e azione. È proprio da tale punto di vista che si pone il problema della libertà della ricerca. In tale contesto, necessita far riferimento alla ricerca biomedica, un campo fertile per i problemi relativi alla libertà della ricerca, basti pensare alla ricerca sul DNA ricombinante, in cui il rapporto tra teoria e prassi, trova il suo momento culminante26. Visti i pericoli e le minacce che un uso scorretto delle tecniche e quindi uso scriteriato della natura27 potrebbe arrecare ai valori fondamentali della persona, lo Stato è obbligato a discutere la questione relativa ai limiti da porre alle opportunità offerte dal progresso scientifico. La nostra Costituzione si basa da una parte su una concezione utilitarista dell’essere umano, dall’altra su una ideologia informata a uno scientismo che considera il desiderio di conoscenza un obiettivo da raggiungere a qualunque costo28. L’indirizzo “utilitarista”, arriva fino al punto di giustificare lo sfruttamento del corpo umano mediante l’uso di tecniche sperimentali sull’uomo, nel momento in cui queste sono in grado di beneficiare più individui di quanti ne possano danneggiare. Nel bilanciamento, tra il danno per la persona sottoposta alla sperimentazione e il beneficio per la collettività, prevale l’interesse collettivo. L’utilitarismo, prende in considerazione la proporzione tra i costi e i benefici della ricerca, quindi ricorrendo a un calcolo matematico, prevarrà quella attività idonea a massimizzare il benessere e a ridurre il sacrificio29. 26. Ibidem. 27. A. Di Giandomenico, Percorsi di Bioetica, Aracne, Roma 2005, p. 45, «Il termine scriteriato, l’autrice lo intende non in senso valutativo, ma letterale , ovvero “senza criterio”». 28. Cfr. F. Zanuso, op. cit., pp. 127 e ss. 29. Cfr. F. Zanuso, op. cit., p. 129. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 63 Inoltre, la concezione scientista, ricorre a conclusioni più radicali, in quanto pone la ricerca al di sopra di qualsiasi altro interesse30. In base a questa concezione, il desiderio di conoscenza prevale su qualsiasi altra esigenza, facendo sì che l’umano lasci il posto al post–umano, suscitando ulteriori inquietanti interrogativi sulla apprezzabilità della nuova umanità mutante31. In tal senso, allo scientista, interessa solo ed esclusivamente il progresso scientifico, indipendentemente dal fatto se questo sia buono o cattivo per l’umanità32. Da queste considerazioni possiamo rilevare che le teorie utilitariste e scientiste, entrano in contrasto con il “progetto di società” previsto dalla nostra Costituzione. In questo progetto, l’uomo e il suo benessere, sono considerati dei valori assoluti e sono posti al centro dell’ordinamento giuridico. Pertanto, la persona non può essere utilizzata come strumento per raggiungere obiettivi individuali, ma può essere considerata un fine in sé per sé. Quindi è necessario agire in modo tale da non considerare l’uomo come mezzo per raggiungere degli scopi, ma l’essere umano ha una dignità attraverso la quale costringe gli altri al rispetto di se stesso. In questo senso, concordo con quanto autorevolmente sostenuto da D’Agostino, che è la ricerca che deve agire in funzione dell’uomo e dei suoi valori e non viceversa33. A questo punto è importante evidenziare che il rispetto della persona costituisce quindi, un limite invalicabile per il desiderio di conoscenza. Ogni nuovo metodo che, direttamente o 30. F. Zanuso, op. cit., pp. 34 e ss. 31. F. Zanuso, Il filo delle parche, cit., p. 14. 32. F. Zanuso, op. cit., p. 37. 33. Per un maggior approfondimento sull’argomento s.v. F. D’Agostino, op. cit.; Cfr. P. Zatti, Verso un diritto per la bioetica: risorse e limiti del discorso giuridico, in «Rivista di diritto civile», 1995, 1, pp. 50–51. «Secondo l’autore, il diritto dovrà trovare la giusta misura nella tutela dell’essere umano, oltre a riuscire a non separare l’essere umano dalla persona. Tale separazione viene utilizzata per distinguere la scena della realtà, in cui l’uomo si muove nella sua nudità, e che interessa gli altrui saperi, dalla scena del diritto, in cui l’uomo compare in tanto in quanto il diritto lo considera e lo riveste di status: homo consideratus cum statu suo». 64 La libertà responsabile della ricerca indirettamente, vada a ledere tale diritto non potrà essere considerato lecito, soprattutto poiché, nella gerarchia dei valori, il vertice è rappresentato dai diritti dell’individuo, la vita fisica e spirituale34. L’allargamento delle conoscenze mediche è possibile allora, solo quando si rispettino l’inviolabilità dell’integrità psicofisica, nel caso contrario, ossia quando i mezzi per realizzarlo arrecano pregiudizio ad altri interessi, esso è del tutto escluso, anche perchè come precedentemente sottolineato, non tutto quello che è scientificamente possibile è anche moralmente lecito35. Per quanto riguarda il trattamento medico, indipendentemente dal fatto se questo venga realizzato attraverso una terapia ormai consolidata o attraverso una terapia sperimentale, dovrà essere diretto a un vantaggio per la vita e la salute del paziente, di conseguenza, l’attività di ricerca medica, sarà lecita solo se rispetta tali limiti. Sulla base di ciò, lo sviluppo scientifico, ma soprattutto quello biotecnologico induce a ripensare i tradizionali principi morali deontologici e politici della responsabilità e della solidarietà civile36, mediante la redifinizione dei tradizionali diritti umani37, e il loro rispetto è costituito dall’humanum, cioè dalla sostanza razionale come struttura della stirpe umana, la quale ha come suoi costitutivi la vita e la libertà38. 34. Cfr. M. Eandi, op. cit., 35. Cfr. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit. 36. Cfr., H. Jonas, op. cit. 37. L. Lippolis, Dai diritti dell’uomo ai diritti dell’umanità, Giuffrè, Milano 2002, p. 49. 38. L. Lippolis, op. cit., pp. 49–50. «Sui costitutivi dell’uomo come diritti fondamentali la letteratura è vastissima. Tali costitutivi sono proposti nel nostro secolo come diritti fondamentali nell’art. 3 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 dove si legge: “ogni individuo ha diritto alla vita, la libertà e la sicurezza della propria persona”». ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 65 2.2. Nozione e presupposti della sperimentazione L’esigenza di giustificazione e di legittimazione etica, che, da alcuni decenni a questa parte ha posto la bioetica in riferimento agli interventi in campo medico e biologico, si è manifestata soprattutto in relazione alla sperimentazione sull’uomo, prima che in relazione alla pratica clinica generalmente intesa. Ciò ci riporta al Codice di Norimberga, ovvero, all’indomani della sentenza emessa dal Tribunale Internazionale contro i medici nazisti che avevano eseguito esperimenti criminali sui prigionieri, su donne e bambini39. È da questo momento in poi che vengono per la prima volta40 solennemente affermati i fondamentali principi etici alla cui osservanza va subordinata inderogabilmente ogni sperimentazione clinica sull’uomo, vale a dire il principio che sancisce il rispetto dei soggetti e del loro diritto a compiere scelte autonome. La sperimentazione, in generale, rappresenta quella fase del fenomeno scientifico nella quale il ragionamento umano viene tradotto in un’azione materiale volta alla verifica della serietà dell’ipotesi elaborata dal ricercatore, e tale attività può interessare un qualsiasi settore della scienza medica41, nel senso che può essere volta a mettere a punto tecniche biomediche e presidi farmacologici scientificamente 39. Cfr., sull’argomento A.J. Katolo, La medicina disumana. Politica sanitaria del terzo Reich come negazione dei principi morali della medicina, Gaudium, Lublin 2009, p. 10. «Esperimenti nazisti svolti nei diversi campi di concentramento con un una terribile sequenza metodologica di una scienza medica sorretta non più dall’Ippocratica difesa della vita, ma asservita all’idea della razza». 40. A tal proposito s.v. M.T. Scarpa, Etica della ricerca in chirurgia e medicina, in G. Macellari, L. Battaglia (a cura di) Bioetica chirurgica e medica, Essebiemme Edizioni, Noceto, Parma 2002, p. 194; s.v. inoltre A.J. Katolo, op. cit. 41. L. Chieffi, Ricerca scientifica e tutela della persona, ESI, Napoli 1993, p. 181. «Allo scopo di evidenziare e documentare le conseguenze sull’organismo umano del ricorso a certe pratiche invasive, ovvero in considerazione delle possibili conseguenze di natura farmacologia, la portata terapeutica di singoli farmaci o di associazioni di farmaci, i loro eventuali effetti collaterali tossici, nonché le loro caratteristiche di assorbimento, di distribuzione e di metabolismo». 66 La libertà responsabile della ricerca convalidati, e tale attività è non solo lecita, ma doverosa.42 Al contempo però, essa è suscettibile di dar luogo a difficili problemi di contemperamento tra valori e interessi potenzialmente confliggenti43. Negli ultimi tempi, infatti, la capacità sperimentale è aumentata con il progresso tecnologico tanto nel campo della biologia genetica, molecolare quanto nella vita embrionale, sfuggendo come sembra avvenire oggi a ogni forma di controllo democratico, risultando esclusivamente affidata alla logica del profitto e del mercato44. L’attività sperimentale, si differenzia dagli interventi terapeutici per il grado di incertezza dei risultati, nel primo caso gli esiti del trattamento sono del tutto sconosciuti, mentre nel secondo caso le conseguenze positive sono conosciute o almeno prevedibili45. Nel caso di sperimentazione sul malato è necessario distinguere la sperimentazione a scopo terapeutico volta a curare il malato, dalla sperimentazione clinica pura volta ad accertare i dinamismi del farmaco46. Il legislatore oggi, a seguito delle esperienze naziste, dimostra maggiore interesse per tale attività, poiché l’uso non precauzionale di alcune tecniche sofisticate della scienza medica costituisce una minaccia per i valori fondamentali della persona umana. Si è determinata, così, una normativa più compiuta tanto a livello nazionale quanto interna- 42. Tale espressione ricorre nel documento del 17 novembre 1992 del CNB su la sperimentazione dei farmaci, p. 11. 43. In tal senso s.v. P. Borsellino, op. cit., p. 195. 44. Cfr. P. Borsellino, op. cit., p. 196. 45. Cfr. E. Sgreccia, op. cit.; s. v. inoltre L. Chieffi Ricerca scientifica e tutela della persona, ESI, Napoli 1993, «La sperimentazione, rappresenta quella fase del fenomeno scientifico nella quale il ragionamento umano viene tradotto in un’azione materiale volta alla verifica della serietà dell’ipotesi elaborata dal ricercatore, tale attività può interessare un qualsiasi settore della scienza medica. L’attività sperimentale, si differenzia però, dagli interventi terapeutici per il grado di incertezza dei risultati, nel primo caso gli esiti del trattamento sono del tutto sconosciuti, mentre nel secondo caso le conseguenze positive sono conosciute o almeno prevedibili». 46. Per maggiori approfondimenti rinvio a A. Orso Battaglini, Libertà scientifica, libertà accademica e valori costituzionali, Giuffrè, Torino 1995, p. 98. s. veda inoltre sull’argomento E. Sgreccia, op. cit., pp. 632–633. «Il primo caso di sperimentazione su soggetti volontari va rintracciato in Occidente alla fine del 700 con il tentativo riuscito di vaccinazione antivaiolosa del Dr. Jenner». ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 67 zionale. Lo stesso Codice di Norimberga emanato nel 1947, con l’obiettivo di porre limiti espliciti a qualsiasi intervento sperimentale sugli esseri umani, sanciva solennemente i principi che la ricerca deve essere condotta nel rispetto di rigorosi criteri di scientificità, limitando al massimo i rischi per i soggetti non prescindendo, inoltre, dal loro consenso volontariamente prestato, e affidando il rispetto di tali principi alla correttezza deontologica dello sperimentatore47. Negli anni Sessanta sull’onda della profonda eco suscitata dalla vicenda del talidomide48, la Dichiarazione di Helsinki del 1964 adottata dall’assemblea medica mondiale con il titolo Raccomandazioni guida dei medici nella ricerca clinica49, e ritenuta la magna carta della ricerca biomedica50, introduceva per la prima volta il principio della opportunità di una garanzia esterna aggiuntiva fornita da un comitato indipendente, cui spettava il compito di esaminare il protocollo dello studio e di fornire eventualmente commenti e suggerimenti allo sperimentatore51. La ricerca medica si attua soprattutto attraverso uno strumento delicato, e per certi versi insidioso, anche se assolutamente indispen- 47. Cfr., P. Borsellino, op. cit., p. 197. 48. «Il talidomide al momento della sua introduzione avvenuta nel 1957, fu riconosciuto come farmaco utile alle donne in gravidanza per limitare la tipica nausea dei primi mesi di gestazione e facilitarne il riposo. Ma a partire dal 1961, contemporaneamente in diverse parti del mondo si registrarono numerosi casi di neonati affetti dalla malformazione nota come focomelia, ed entro il 1962 si vietò in tutti i paesi la commercializzazione del talidomide; questa vicenda portò all’attenzione della comunità scientifica la necessità di effettuare test di tossicità su tutti i prodotti di nuova introduzione». 49. «Il testo nel preambolo distingue la sperimentazione terapeutica da quella non terapeutica, prescrive inoltre che ogni protocollo di sperimentazione clinica venga sottoposto alla valutazione di un comitato etico, che venga condotta da personale esperto scientificamente e sotto sorveglianza di altro personale medico competente, che ci sia proporzione tra scopo e rischio della ricerca; riguardo alla sperimentazione non terapeutica il documento afferma il medico deve essere protettore della vita e della salute del soggetto coinvolto e che i soggetti devono essere volontari, e che l’attività di sperimentazione deve essere sospesa in vista di un grave danno per il soggetto». Cfr. M. Torrelli, Le medicine et le droits, Berger–Levrault, Parigi 1983. 50. Sull’argomento s.v. I. Carrasco De Paula, Etica della ricerca biomedica: la virtù oltre l’utile, in «Medicina e Morale» n. 5/2000, p. 871. 51. CNB La sperimentazione dei farmaci, p. 11. 68 La libertà responsabile della ricerca sabile quale è la sperimentazione con l’uomo52. L’inevitabile coinvolgimento di soggetti umani conferisce a tale ricerca un particolare profilo etico. La sperimentazione umana, infatti, se da una parte è utile per combattere gravi malattie, dall’altra entra in conflitto con i valori fondamentali. In particolare, lo svolgimento di questa attività, fa entrare in contrasto due diversi valori, entrambi di rango costituzionale, ossia la tutela della persona e la libertà di ricerca. Tale contrasto impone al legislatore e all’interprete la necessità di individuare un punto di equilibrio. Dalla normativa costituzionale, infatti, è possibile dedurre in via interpretativa, i limiti alla sperimentazione, anche se tuttavia, si tratta di una normativa frammentaria ed episodica53. Alla luce di ciò, la necessità di proteggere i valori costituzionali dell’essere umano ha spinto la dottrina giuridica a introdurre una regolamentazione in alcune tecnologie al fine di far conciliare il bisogno di progresso, con l’avvertita esigenza di tutelare i diritti della persona. Nel nostro ordinamento giuridico, come in tutti quegli ordinamenti che hanno come fondamento il valore supremo della persona, non è possibile sottoporre il paziente a un intervento chirurgico indipendentemente dalla possibilità di esprimere il diritto di accettare o rifiutare di sottoporsi alle cure. Questo vale soprattutto per le attività mediche in cui elevato è il pericolo per la vita e l’incolumità fisica del soggetto, e considerato che si tratta di valori connessi strettamente alla persona, è solo quest’ultima che può disporre della propria libertà. Il diritto di disporre del proprio corpo, infatti, viene pregiudicato nel momento in cui si pretende di utilizzare l’uomo come strumen 52. Cfr. I. Carrasco De Paula, op. cit., p. 869. 53. Cfr. L. Chieffi, op. cit., p. 184. «A tal proposito si possono citare l’art. 162 del T.U. delle leggi sanitarie n. 1265 del 1934 sulla produzione ed il commercio delle specialità medicinali, che pone l’obbligo di corredare la domanda di registrazione con le pubblicazioni scientifiche elaborate allo scopo di dimostrare l’efficacia del medicamento; ancora, l’art. 1 lett. l) della legge n. 519 del 1973, che attribuisce all’Istituto Superiore della sanità il compito di accertare la composizione e la innocuità dei prodotti farmaceutici; e così via». ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 69 to o oggetto, allo scopo di perseguire finalità a lui estranee. La necessità di ottenere il consenso informato da parte del paziente, costituisce una garanzia per la tutela del diritto alla disposizione del proprio corpo54. Nel nostro ordinamento, infatti, tale diritto è riconosciuto dall’ex art. 5 cod.civ. e la norma, che peraltro, esplicitamente esclude la disponibilità quando l’atto cagioni una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando gli atti di disposizione siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume55. Un punto certo, è che gli atti che portano un danno grave irreversibile della integrità personale non sono consentiti, la disciplina esclude ogni disposizione del bene vita. Infatti, il principio della indisponibilità della persona umana si estrinseca in quattro proposizioni: salvaguardia della vita, della integrità fisica e psichica (art. 32 Cost., art. 5 cod. civ.), salvaguardia della dignità umana (artt. 3/1, 27/3, 32–41 Cost.), garanzia di eguaglianza degli esseri umani (art. 3 Cost.), validità del consenso del soggetto (art. 13 Cost. art. 1 L. 180/78, art. 33 L. 833/1988). È anche vero però, che nel nostro ordinamento giuridico, non esiste una normativa statale volta a fissare i requisiti minimi necessari per esprimere un valido consenso all’attività sperimentale. La legislazione statale, infatti, ha concentrato l’attenzione solo su alcuni trattamenti sanitari che non sono neanche a contenuto sperimentale56 e poiché non esiste una specifica normativa, l’obbligo del consenso si può ricavare in via interpretativa dalla norma 54. P. Moro, Dignità umana e consenso all’atto medico . I diritti fondamentali del paziente e il problema della volontà, in F. Zanuso (a cura di), op. cit., p. 133. «Peraltro, anche quando è eseguito con il consenso dell’avente diritto, l’intervento del medico di regola incide sui diritti fondamentali come la vita la salute l’integrità fisica, che sono generalmente riconosciuti come irrinunciabili, indisponibili. Tali diritti sono i diritti soggettivi fondamentali ai quali la persona umana non può rinunciare tramite l’autodeterminazione della propria volontà. Essi sono tutelati dall’art. 2 della Costituzione e dalle norme che limitano la validità dell’autodeterminazione individuale». 55. Cfr, P. D’Addino Serravalle, Atti di disposizione del corpo e tutela della persona umana, ESI, Napoli 1983, pp. 145 ss.. 56. Sul punto s.v. L. Chieffi, op. cit., pp. 195 e ss. «Quali, ad esempio, la legge sul trapianto del rene n. 458 del 1967; la legge n. 107 del 1990 relativa alla disciplina della attività trasfusionali del sangue umano e dei suoi componenti; la legge n. 135 del 1990 recante un programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro l’AIDS, che 70 La libertà responsabile della ricerca tiva vigente57. Il consenso è escluso nei casi in cui il malato si trova nella condizione di non poter esprimerlo e in tal caso l’operatore sanitario può intervenire indipendentemente dall’esito, ma non può assolutamente compiere alcun trattamento ai fini della ricerca. In quest’ultima situazione, il medico che voglia eseguire sul corpo del paziente un rischioso intervento, ha il dovere di informare quest’ultimo affinché possa manifestare il suo consenso. Lo stesso consenso è valido solo quando manifestato personalmente dal paziente e quando è preceduto da una informazione adeguata e sufficientemente chiara da permettere allo stesso di valutare non solo i benefici, ma anche e soprattutto le conseguenze negative58. Di conseguenza, il paziente ha il diritto di chiedere al medico tutte le informazioni necessarie allo scopo di decidere se prestare il proprio consenso o meno. Nel caso contrario, non può essere considerato valido un consenso prestato sulla base di informazioni inadeguate e confuse59. È importante sottolineare il fatto che il consenso informato è si un requisito indispensabile, ma in alcuni casi non è sufficiente in esclude la possibilità di sottoporre l’individuo ad analisi dirette ad accertare l’infezione da HIV, indipendentemente dal consenso dello stesso». 57. Cfr. P. Borsellino, op. cit., p. 195. «A differenza di altri paesi europei come ad esempio Spagna o Francia che si sono dotati di una legge sul farmaco, rispettivamente nel 1982 e 1988 del secolo scorso, l’Italia non ha percorso la strada dell’emanazione di una disciplina legislativa organica in tema di sperimentazione. Tuttavia a partire dagli anni 90 si è assistito all’emanazione di importanti decreti ministeriali che hanno recepito le direttive comunitarie in cui sono contenute le norme di buona pratica clinica nell’ambito della sperimentazione, nonché i decreti che hanno sancito il ruolo fondamentale dei comitati etici». 58. Cfr. P. B. Helzel, Il rapporto medico–paziente, in «Le corti Calabresi» VI, n. 3, 2007, p. 617. 59. Per maggiori approfondimenti Cfr. L. Chieffi, op. cit., pp. 199 e ss.; «Da qui, l’esigenza avverte l’autore di adottare cautele particolari nell’impiego di quei metodi sperimentali definiti del cieco semplice e del doppio cieco, che sono realizzate ricorrendo a schemi di randomizzazione, mediante somministrazione di un farmaco. Si tratta di tecniche che potrebbero porre nel nulla uno dei requisiti irrinunciabili di una valida attività sperimentale sul corpo umano, e cioè l’adesione libera e volontaria, cosciente e responsabile del soggetto passivo della ricerca, ossia il diritto dello stesso di apprendere quello che si fa sul suo corpo». ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 71 quanto necessita dell’assistenza di altre garanzie. Oltre alla necessità che sia assicurata una proporzionalità tra i rischi e i benefici, è necessario che il soggetto sottoposto al trattamento abbia la possibilità di trarre dallo stesso un beneficio terapeutico60. Nonostante il gesto di colui che decide di sottoporsi volontariamente a un trattamento sperimentale, per il bene della collettività, abbia un contenuto a carattere solidaristico, ne consegue che non è consentito un trattamento sperimentale che possa determinare un danno alla salute o alla integrità fisica del soggetto a esclusivo vantaggio della collettività. Alla luce di ciò, all’ampliamento della libertà di ricerca non corrisponde, quindi, uno stesso grado di tutela per le sue applicazioni, e una eccessiva espansione della sperimentazione rischia di violare i beni garantiti dal nostro testo costituzionale (vita, salute, dignità umana) attraverso un uso distorto di mezzi e risultati della ricerca61. Il consenso si ritiene validamente espresso nel momento in cui il soggetto ha la capacità d’agire e non si trova in condizioni di incapacità previste dalla legge o di costrizioni psicologiche. Quando si tratta, invece, di un’attività medica particolarmente rischiosa, il consenso deve necessariamente essere personale e reale, consenso che potrà venir meno nel caso di assoluta impossibilità, da parte del paziente, di manifestare la sua volontà o nel caso di un grave pericolo per la sua vita e la sua salute. In tal caso il medico ha il dovere di intervenire in base alla sua coscienza e nell’interesse del malato, di conseguenza, la salute e l’integrità fisica, sono considerati beni prioritari e prevalenti rispetto allo sviluppo delle conoscenze che si persegue attraverso la sperimentazione62. Tutto ciò ovviamente, ha aperto tan 60. Ibidem. 61. Ibidem. 62. Cfr. P. Moro, op. cit., p. 135: «Per evitare il conflitto tra diritti personalissimi del paziente costituzionalmente protetti (l’autodeterminazione terapeutica considerata disponibile da un lato, la vita e l’integrità fisica dall’altra considerate indisponibili), la più recente giustificazione dell’attività sanitaria accolta dalla giurisprudenza si fonda sul principio di auto legittimazione. Seconda questa tesi, l’attività del medico trova legittimazione costituzionale non tanto nel consenso del paziente , che è comunque necessario, ma nella concreta funzione attribuita al professionista sanitario di realizzare il diritto di ciascuno alla salute. Pur commettendo, quindi, lesioni di beni fondamentali del pazien- 72 La libertà responsabile della ricerca to in bioetica quanto in biogiuridica, un dibattito sulla possibilità di sottoporre a pratiche sperimentali colui che non è ancora dotato di capacità d’agire, vale a dire è una persona solo potenziale, come nel caso del feto o dell’embrione. Più volte l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa ha rivolto agli Stati membri “Raccomandazioni” allo scopo di adottare normative che assicurassero una protezione giuridica a esseri ritenuti meritevoli di tutela63. Anche in tal caso, l’azione umana nel campo biomedico suscita conflitti di valori, nel senso che se, da una parte si ha la possibilità di utilizzare gli embrioni nelle ricerche allo scopo di sconfiggere malattie gravi, dall’altra si avverte la necessità di non sottoporre questi esseri, che ancora persone non sono, a indagini sperimentali che negano la loro dignità. Dare una soluzione a tale problema presuppone la necessità che venga individuato dal punto di vista etico e scientifico, il momento in cui inizia la vita umana, quel momento a partire dal quale, l’uomo potenziale può essere considerato meritevole di tutela giuridica64. Dal punto di vista giuridico, non è stata trovata alcuna sistemazione a questa materia e le poche leggi che se ne sono occupate, hanno raggiunto tale obiettivo solo attraverso regolamentazioni provvisorie. Anche nel nostro paese il settore della ricerca sugli embrioni, è privo di una disciplina giuridica adeguata, nonostante i ripetuti inviti da parte degli organismi comunitari. Indipendentemente dalle norme del codice civile, le quali riconoscono al concepito, diritti soprattutto di natura patrimoniale, una te, come l’integrità fisica, l’atto del medico sarebbe comunque lecito perché giustificato dal rispetto della libertà personale e inviolabile di prestare il consenso informato nonché dall’adempimento del dovere costituzionale di tutela della salute che, per converso, è un diritto fondamentale della persona sottoposta a trattamento sanitario». 63. In tal senso rinvio a L. Chieffi, op. cit., pp. 208 e ss. «Innanzitutto dobbiamo ricordare la raccomandazione n. 934 del 1982 relativa all’utilizzazione degli embrioni e dei feti umani per esperimenti di ingegneria genetica a fini diagnostici, terapeutici, industriali e commerciali. In seguito, sono intervenute la raccomandazione n. 1046 del 1986 che pone dei limiti all’uso di tecniche manipolatrici e infine la più recente raccomandazione n. 1100 del 1989 che concentra l’attenzione sul problema dei limiti dell’utilizzazione degli embrioni e dei feti nella ricerca scientifica». 64. Cfr. F. Zanuso, op. cit., p. 80. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 73 prima tappa fondamentale, relativa all’affermazione del diritto alla vita e alla salute di colui che persona ancora non è, è stata segnata dalla sentenza della Corte Costituzionale del 1975. Tale sentenza, individuava il fondamento di questa tutela in quella norma costituzionale che prevede la protezione dell’infanzia e della maternità, e in quella più generale che garantiva i diritti inviolabili dell’uomo. Si fa riferimento, nel primo caso, al secondo comma dell’art. 31 Cost. e, nel secondo caso all’art. 2 Cost. È importante sottolineare il fatto che la salvaguardia del nascituro non può essere subordinata al perseguimento di altri interessi, salvo nel caso in cui questo interesse entra in contrasto con altri beni, come il diritto alla salute della madre che si trova in una situazione di grave pericolo a causa della gravidanza. In tal caso, l’interesse per il concepito è minore rispetto al diritto alla salute della madre, il c.d. bilanciamento di valori65. Successivamente a questa pronuncia della Corte Costituzionale, la tutela del concepito è stata più volte confermata in alcune leggi, e di conseguenza, l’orientamento si è affermato anche in dottrina. Alla luce di quanto detto, ogni attività di ricerca, posta in essere al solo scopo di aumentare le conoscenze scientifiche in questo settore, comporta una degradazione della vita umana a oggetto, privo di dignità. Il medico, oltre che ottenere il consenso del paziente, è sottoposto anche a limiti oggettivi relativi alle modalità e ai metodi di esecuzione delle indagini. In tal senso, si fa riferimento a una serie di garanzie sperimentali che hanno lo scopo di ridurre il prodursi di danni alla salute, alla vita e all’integrità psicofisica del paziente. Affinché la sperimentazione possa essere svolta in modo lecito è necessario che questa venga preceduta da accertamenti di laboratorio allo scopo di simulare gli effetti sui pazienti. A tal proposito, una direttiva della Commissione Europea del 1991 prevede, che le prove cliniche e sperimentali siano precedute da prove tossicologiche e farmacologiche effettuate sugli animali66, pertan 65. Cfr. A. Baldassarre, Le biotecnologie e il diritto costituzionale, cit., p. 45; Cfr. A. D’Atena, In tema di principi e valori costituzionali, in Giurisprudenza costituzionale 1997. 66. Cfr. L. Chieffi, op. cit., p. 219. Si tratta della direttiva n. 91/507. 74 La libertà responsabile della ricerca to, la corretta esecuzione di qualsiasi ricerca medica, condotta sul corpo umano necessita di una previa sperimentazione su animali in laboratorio o in vitro. Il trattamento sanitario potrà, quindi, essere eseguito solo da quei ricercatori che facciano esclusivo riferimento al metodo scientifico, ovvero a quell’insieme di norme tecniche, accorgimenti e precauzioni suggeriti dall’esperienza, allo scopo di accompagnare le attività di ricerca evitando, così, il sorgere di gravi complicazioni per lo stato di salute del paziente e la sua integrità fisica67. A tal proposito, la Corte di Cassazione prevede che gli operatori sanitari hanno l’obbligo di rispettare queste norme tecniche, altrimenti saranno chiamati a rispondere del proprio comportamento colposo. Al contempo il nostro ordinamento giuridico avverte la necessità di tener presenti alcuni requisiti di procedibilità allo scopo di assicurare la tutela della salute generale dei cittadini. Quindi, pur non esistendo in Italia, una specifica normativa è possibile però individuare i limiti all’attività del ricercatore in un insieme di norme che pongono divieti per qualsiasi tipo di attività medica. In particolare la normativa penalistica ritiene che la sperimentazione sull’uomo è illecita, e comporta una responsabilità dell’operatore sanitario che abbia compiuto l’intervento senza il consenso del paziente stesso68. In tal caso, il ricercatore sarà sottoposto a una responsabilità contrattuale e dovrà rispondere per i reati di violenza privata o di riduzione in stato di incapacità di intendere e di volere. Il comportamento posto in essere allo scopo di perseguire finalità di conoscenza, disponendo del diritto alla vita e all’integrità fisica altrui, è contrario ai principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico69. Invero, si parla di trattamento sperimentale contrario all’ordi 67. Alla ricerca scientifica la Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina dedica il capitolo 5, che contiene quattro articoli: art. 15 “Regola generale”; art. 16, «Tutela delle persone che si prestano ad una ricerca»; art. 17, «Tutela delle persone che non hanno capacità di consentire ad una ricerca»; art. 18, «Ricerca sugli embrioni in vitro». 68. In questo caso ci si riferisce all’art. 62 del c.p. che al punto 1 recita: «Attenuano il reato, quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze attenuanti speciali, le circostanze seguenti: l’aver agito per motivi di particolare valore sociale o morale». 69. Cfr. L. Chieffi, op. cit., pp. 224 e ss. «Ad esempio, l’opposizione espressamente manifestata dal paziente ad un determinato trattamento medico da cui era derivata la morte dello stesso, ha indotto un giudice d’appello a condannare un chirurgo per omici- ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 75 ne pubblico e al buon costume, nel momento in cui tale intervento ha determinato una diminuzione permanente di parti del corpo umano. Tutto ciò comporta che nel momento in cui il medico si assuma l’obbligo di assistere un ammalato, egli è obbligato a tenere un comportamento diligente, al contrario, quando il medico non tenga tale comportamento, si parlerà di inadempimento dello stesso. Inoltre, la sperimentazione eseguita senza il rispetto dei limiti precedentemente indicati, comporta non solo delle sanzioni civili e penali, ma anche delle misure amministrative e disciplinari70. La stessa inosservanza dei limiti oggettivi e soggettivi, previsti dalla normativa statale e regionale, potrebbe indurre gli organi competenti a non rilasciare alcuna autorizzazione a coloro che hanno posto in essere un comportamento lesivo dei diritti altrui71. Nel nostro paese non esiste una normativa specifica relativa al risarcimento dei danni da sperimentazione, ma ciò non esclude che il soggetto sottoposto alla sperimentazione, che abbia subito un danno, possa essere tutelato. In questo caso, il giudice adito ha il compito di accertare la sussistenza di un nesso di causalità tra l’esperimento e gli effetti dannosi subiti dal soggetto. Di conseguenza, l’esecutore dell’intervento medico, che abbia posto in essere un comportamento non adeguato alla tutela e alla salvaguardia della salute del paziente, sarà considerato responsabile delle conseguenze negative. Nel caso in cui non vengano rispettati i presupposti di procedibilità, il soggetto sottoposto a un trattamento dio preterintenzionale, quale ulteriore conseguenza penale di un comportamento in sé integrativo di lesioni personali volontarie». 70. Cfr. L. Chieffi, op. cit., p. 229. «A parte le sanzioni irrogate dal dirigente del presidio o dal coordinatore sanitario nei confronti dei dipendenti del ruolo sanitario delle A.S., l’art. 38 del D.P.R. n. 221 del 1950 prescrive, nei confronti dei sanitari che si fossero resi colpevoli di abusi o di fatti disdicevoli al loro dovere professionale, la sottoposizione ad un procedimento disciplinare da parte del Consiglio dell’Ordine o Collegio della Provincia nel cui Albo risultano iscritti. Procedimento che potrà essere promosso d’ufficio, su richiesta del Prefetto o del Procuratore della Repubblica». 71. Sul punto s.v. M, Scudiero, La Corte Costituzionale e l’identificazione dei principi fondamentali nella legislazione statale, Giappichelli, Torino 1987, pp. 479–480. 76 La libertà responsabile della ricerca sperimentale avrà diritto al risarcimento del danno subito, comprendente gli effetti della lesione del diritto alla salute. Accanto al risarcimento del c.d. danno biologico, notevole importanza assume il risarcimento dei pregiudizi morali. Si tratta dei casi in cui il soggetto può chiedere il risarcimento dei danni subiti alla propria dignità, provocati da un comportamento illecito altrui. Il biologo e il medico quindi, prospettano vie di bene per la condizione umana, attraverso la continua evoluzione scientifica. Queste soluzioni, però, fanno emergere molti problemi, ma soprattutto l’esigenza di confronto tra scienza ed etica. 2.3. La previsione costituzionale della libertà di ricerca Nel momento in cui il ragionamento scientifico si trasforma in un’attività materiale diretta a immettere nella società le creazioni del ricercatore, è necessario prevedere dei limiti allo scopo di salvaguardare i beni sanciti dalla Costituzione. Tali beni raffigurati da vita dignità e libertà, potrebbero subire un pregiudizio dall’uso distorto dei mezzi e dei risultati della ricerca, di conseguenza, quest’ultima dovrebbe essere diretta esclusivamente all’affermazione degli interessi supremi dell’individuo72. Nell’ambito degli ordinamenti personalisti, che pongono la persona al centro, è necessario che la libertà di ricerca, come tutte le altre libertà, trovi il proprio limite nell’esercizio della libertà altrui, questo perché, come già detto, non sempre il ragionamento scientifico si esaurisce nel pensiero, ma in molti casi necessita di una verifica sperimentale. Inoltre, il bisogno dello scienziato di verificare il proprio ragionamento porta a una manipolazione dell’oggetto, ossia a un’alterazione dello stato naturale delle cose. Tutti i problemi connessi all’enorme progresso in ambito biomedico hanno spinto la giurisprudenza a introdurre un apparato di garanzie giuridiche, allo scopo di salvaguardare l’uomo dalle minacce 72. Cfr. L. Chieffi, op. cit. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 77 provenienti da una società tecnologicamente avanzata73. A questo punto la domanda è quale il compito del diritto in siffatto contesto? Senza dubbio il diritto deve mantenere il suo scopo e quindi il suo fine a partire così, come affermato da Calabrò, da quella teorizzazione hobbesiana dello Stato74, che è quello di tutelare dalle aggressioni esterne i beni fondamentali della persona, la sua dignità, ma soprattutto la vita. Di conseguenza, è opportuna una regolamentazione giuridica adeguata, e lo stesso Stato si è impegnato ad assicurare il perseguimento di una condizione di benessere psicofisica dell’uomo attraverso la Costituzione che pone la persona al vertice della gerarchia dei valori75. Quest’ultimi, infatti, hanno una loro storicizzazione e positivizzazione tale da essere ormai divenuti «coessenziali all’esperienza politica dell’uomo»76. Anche se l’esperienza del nostro secolo dimostra come la scienza, anziché perseguire l’utilità dell’uomo, si è posta al servizio del desiderio di potenza espresso tanto dalla collettività quanto dai singoli individui,77 è anche vero però, che 73. Cfr. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., p. 70. «Il biogiurista, è chiamato infatti, a difendere attraverso il diritto, la dignità dell’essere umano come bene indisponibile (sottratto all’arbitrio del più forte) proibendo ogni forma di strumentalizzazione del corpo umano e violazione della vita». 74. Cfr. E. Sgreccia, G.P. Calabrò, (a cura di ) I diritti della persona nella prospettiva bioetica e giuridica, Lungro (CS) 2002; T. Hobbes, Leviatano, trad. it., G. Micheli, Firenze 1976, p. 124. s.v. inoltre sull’argomento F. Cavalla, Diritto alla vita, diritto sulla vita. Alle origini delle discussioni sull’eutanasia, in F. Zanuso (a cura di) op. cit., p. 69. 75. Cfr. G.P. Calabrò, op. cit., p. 125. «La persona e la sua dignità unitamente al rispetto dei suoi valori intangibili ed inalienabili rappresentano i criteri regolativi della vita politica, e questi valori non possono essere fondati sulle mutevoli maggioranze di opinioni, ma solo sul riconoscimento di una legge morale oggettiva, inscritta nei nostri cuori che diventa criterio normativo della stessa legge civile». 76. M. Luciani, Commento al messaggio presidenziale del Presidente della Repubblica sulle riforme istituzionali, in «Giurisprudenza costituzionale» n. 5, 1991,p. 3285. 77. Cfr. L. Chieffi, op. cit., p. 117. «Una conferma di ciò è rappresentata dall’impiego bellico delle tecnologie legate alla scienza atomica e nucleare che, per molti decenni, hanno sottoposto il mondo all’influenza politco–militare delle due grandi potenze (USA e URSS), e, inoltre, dalle sterilizzazioni e dalle sperimentazioni effettuate a fini eugenetici e razziali durante al seconda guerra mondiale dai medici nazisti. Infine, dai metodi di condizionamento mentale utilizzati dalle giustizie e dalle polizie degli Stati totalitari allo scopo di ottenere delle confessioni». 78 La libertà responsabile della ricerca l’interesse alla salute è considerato un valore supremo, sia come diritto fondamentale dell’individuo, che come dovere costituzionale degli organi dello Stato. Il valore “salute” è stato garantito sin dagli anni Settanta nel momento in cui iniziarono ad avvertirsi i pericoli per l’incolumità degli individui, provocati da un progresso tecnologico incontrollato78. Contrariamente a coloro che consideravano l’art. 32 della Costituzione una norma programmatica priva di valore giuridico, si diffuse l’idea che tale articolo dovesse essere interpretato proprio in connessione ai principi fondamentali che impongono allo stato la salvaguardia e lo sviluppo della personalità umana. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti, ritengono oggi che il valore tutelato dall’art. 32 Cost. contiene una pretesa di astensione nell’ambito dei rapporti tra privati, nel senso che nessuno deve porre in essere comportamenti che possano ledere o interferire il diritto a mantenere intatta la propria integrità fisica79. In tutti gli ordinamenti giuridici fondati sul valore della persona umana, è necessario che la tutela vada oltre i rapporti con il potere pubblico e si estenda anche a quelli privati. In altri termini il diritto alla salute, considerato dal punto di vista della difesa dell’integrità psicofisica della persona di fronte alle aggressioni dei soggetti terzi, si configura come un diritto erga omnes, garantito immediatamente dalla Costituzione e direttamente azionabile dai soggetti legittimati80. Oggi l’art. 32 Cost. sembra prevedere una tutela estesa del diritto di salute, intesa come benessere biologico e psichico dell’uomo e non ristretta solo alla difesa dell’integrità fisica. Il considerare, quindi, la salute un diritto individuale, significa garantire l’integrità fisica del singolo nei confronti di qualsiasi altra attività umana. Salvaguardare l’integrità fisica e la personalità degli individui rappresenta, così, la ragion d’essere dello Stato che, da una parte deve predisporre forme adegua- 78. Cfr. F. Palermo Fabris, Diritto alla salute e trattamenti sanitari nel sistema penale, Cedam, Padova 2000. 79. Cfr. F. Palermo Fabris, op cit., p. 11. 80. Cfr. R. Romboli, La libertà, in Comm.c.c., Padova 1979, cit., p. 353. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 79 te di tutela e dall’altra misure idonee ad assicurare un adeguato risarcimento nel caso di lesione da parte di soggetti terzi81. Alla luce di tutto ciò, si afferma che gli atti di disposizione del proprio corpo non possono comportare una diminuzione permanente dell’integrità fisica del soggetto passivo. Ne consegue che, qualsiasi trattamento sanitario è consentito solo se a scopi terapeutici, ossia solo se diretto a perseguire la salute della persona, la cura e la prevenzione delle malattie82. Questa disposizione non può essere derogata neanche nel caso di espresso consenso del soggetto interessato, il quale potrà solo consentire atti invasivi del proprio corpo che non comportino una diminuzione notevole del valore sociale della persona, ma non potrà rinunciare a quelle che vengono definite cure proporzionali, qualiper esempio l’idratazione e la respirazione83. Di contro, i limiti che, implicitamente o esplicitamente, si ricavano dalla Costituzione prevedono che siano vietati quegli interventi che possano alterare lo sviluppo della personalità del singolo, anche se non ne pregiudicano la salute fisica, la c.d. sproporzionalità delle cure84, sono inoltre ammesse quelle attività dirette a migliorare il benessere del soggetto, solo nel caso in cui il beneficio superi l’eventuale danno. In questo caso, sono considerati legittimi gli atti di disposizione che, pur comportando una diminuzione permanente dell’integrità fisica, sono necessari per evitare un danno maggiore. L’interprete, nel bilanciamento tra l’integrità fisica da una parte e la libertà di disporre del proprio corpo dall’altra, deve individuare, caso per caso, il punto di equilibrio ideale85. Ci troviamo, quindi, di fronte ad una situazione giuridica da un lato positiva e dall’altro di segno negativo. Nel primo caso la perso 81. Cfr. A. Vallini, Il valore del rifiuto di cure “non confermabile” dal paziente alla luce della Convenzione di Oviedo sui diritti umani e la biomedicina, in Diritto Pubblico, 2003. 82. In particolare, l’art. 5 del Codice Civile recita: «Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico ed al buon costume». 83. Cfr. M-. Calipari, Curarsi e farsi curare, San Paolo, Milano 2005, p. 32. 84. Sull’argomento s.v. M. Calipari, op. cit., p. 33. 85. Cfr. P. D’Addino Serravalle, op. cit., p. 152. 80 La libertà responsabile della ricerca na gode del diritto all’autodeterminazione personale perché può liberamente decidere se accettare o rifiutare le cure, nel secondo caso si tratta di non subire invasioni sul proprio corpo da parte di soggetti estranei. È in tale ambito che rientra il diritto di rifiutare le cure, lasciando che la malattia segua il suo corso.86 Questa decisione è coerente con la scelta del nostro costituente che ha attribuito al soggetto la possibilità di disporre liberamente del proprio corpo, ossia la possibilità di decidere se accettare le cure o rifiutarle e lasciare, così, che la natura faccia il suo corso. Occorre ribadire però, che bisogna escludere, a priori, quei trattamenti che vengono imposti a fini sperimentali per conseguire lo sviluppo delle conoscenze scientifiche, anche perché, molte volte il singolo, spinto da un intento solidaristico e umanitario, potrà essere indotto a disporre del proprio corpo a favore del benessere altrui. Questo intento altruistico, potrà giustificare quei prelievi, da soggetti viventi, di parti rigenerabili e non del corpo umano a scopo di trasfusioni o di trapianti87. Ciò rappresenta una deroga al divieto generale, così come i trattamenti sanitari obbligatori. Nei casi in cui un soggetto potrebbe essere portatore di una malattia capace di compromettere la salute, la vita o la sicurezza dei consociati, l’autonomia del singolo subirà delle deroghe, ovvero non sarà in grado di decidere a quali trattamenti sanitari sottoporsi. Da qui l’esigenza di contrastare gli effetti eccezionali di alcuni fenomeni devastanti, allo scopo di fornire uno standard minimo di garanzia. Un trattamento sanitario può essere imposto obbligatoriamen- 86. Cfr. L. Chieffi, op. cit., p. 149. «Questo non significa un riconoscimento di un diritto positivo al suicidio, ma solo una conferma che la salute non è un bene che possa essere imposto coattivamente al soggetto interessato dal volere o, peggio, dall’arbitrio altri, dovendo fondarsi esclusivamente sulla volontà dell’avente diritto, trattandosi di una scelta che riguarda la qualità della vita e che lui e lui solo può legittimamente fare». 87. Cfr. L. Chieffi, op. cit., p. 153. «A tal proposito si fa riferimento alla legge n. 107 del 1990 che disciplina le attività trasfusionali di sangue umano e dei suoi componenti oltre che la produzione di plasma–derivati». Per maggiori approfondimenti sull’argomento s. v. inoltre P. Zangani, P. Avecone, Mancata trasfusione di sangue, da negato consenso, in paziente testimone di Geova, seguita in nesso causale dal decesso. Aspetti medico–legali e giuridici, in «Bioetica», 2000; si veda inoltre sull’argomento A. Vallini, Il significato giuridico–penale del previo dissenso verso le cure del paziente in stato di incoscienza, in Giust.pen., 1998. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 81 te dalla legge solo quando non esistono rimedi alternativi e quando sia in grado di assicurare un miglioramento o la conservazione dello stato di salute del soggetto passivo e degli altri consociati, e non possono essere imposti quei trattamenti che non hanno superato la fase sperimentale e che comunque non rispettano la persona umana. Allorchè si produca un danno alla salute del soggetto sottoposto a un trattamento sanitario obbligatorio, non rientrando nell’ambito della responsabilità del medico, questo ha diritto a un equo risarcimento. La libertà di disporre del proprio corpo, incontra, quindi, un limite invalicabile nel rispetto della dignità umana. Il secondo comma dell’art. 32 cost. infatti oltre a prevedere la salvaguardia della vita e della salute, introduce il principio relativo al rispetto della persona umana, e di quel diritto definito previo quale è appunto la vita88. Tale principio vuole tutelare l’individuo da comportamenti che potrebbero ridurlo a oggetto o mero strumento, anche se non ne pregiudicano l’integrità fisica89. Oggi, più che mai, l’integrità fisica e morale del soggetto è esposta ai pericoli che derivano da una scienza capace di programmare e manipolare i caratteri genetici dell’essere umano. Ad esempio, la manipolazione genetica, è da considerarsi arbitraria e ingiusta quando è in grado di ridurre la vita a oggetto, dimenticandosi di avere di fronte persone libere e intelligenti. Il progresso scientifico e tecnico dovrebbe garantire il rispetto dei valori morali allo scopo di salvaguardare la dignità della persona umana90, e il rispetto della dignità umana esige che ogni individuo sia trattato come persona dotata di diritti. Questo bene è sempre più 88. Cfr. G.P. Calabrò, P. Helzel, op. cit., p. 74. 89. Cfr. L. Chieffi, op. cit., p. 159. «Questa condizione si determinerà nel momento in cui, il corpo del paziente venisse sottoposto, come una cavia, ad un trattamento che non desse prova di particolare affidamento». 90. Cfr. sull’argomento L. Chieffi, op. cit., p. 161. «Così, ad esempio, non sarebbe rispettoso della persona umana il comportamento di quel ricercatore che privando l’individuo dell’opportunità di manifestare attraverso il consenso consapevole, la volontà di sottoporsi ad un trattamento medico, lo assoggettasse al proprio volere o al perseguimento di finalità a lui estranee. Come non sarebbe rispettoso dell’individuo il comportamento di un medico che pretendesse di protrarre artificialmente l’esistenza dell’essere umano, nonostante il definitivo arresto del sistema nervoso centrale». 82 La libertà responsabile della ricerca condizionato dall’evoluzione delle tecniche mediche, che provocano, all’interno della società, incertezze e divisioni tra pericoli e speranze, questa evoluzione fa si che si possa considerare illecito quello che un tempo era considerato innocuo e viceversa. La dignità umana in questo contesto non può essere considerata come una formula etica suscettibile di essere riempita di diverso contenuto giuridico, ma si tratta invece di un valore che ritrova il suo pregio proprio nella capacità di adattarsi alle trasformazioni che avvengono nell’ambiente circostante. La rilevanza della dignità umana fu sottolineata, già, durante i lavori dell’Assemblea Costituente, dove si diffuse l’idea che uno Stato democratico poteva essere considerato tale solo se ispirato ai criteri di autonomia, libertà, ma soprattutto dignità dell’individuo. La Costituzione, accanto alla salvaguardia della vita e della salute, introduce un altro principio, il rispetto della persona umana. Tale principio tende a tutelare l’individuo da quei comportamenti che lo riducono a semplice strumento, ed esige che ciascun individuo sia trattato come persona91 dotata di diritti, da far valere nei confronti delle altre persone. L’affermazione della dignità della persona è considerata come un bene primario contenuto in molte carte costituzionali92. I Costituenti erano preoccupati del fatto che l’essere umano potesse divenire oggetto di esperimenti scientifici, indipendentemente dal suo consenso93, pertanto, l’inserimento nella Costituzione del limite del rispetto della persona e della dignità umana, a cui avrebbero dovuto riferirsi i comportamenti di tutti i consociati, era diretto a prevenire trattamenti mostruosi come gli esprimenti scientifici com- 91. Cfr. G.P. Calabrò, op cit., p. 126. 92. Cfr. A. Pace, Problematiche delle libertà costituzionali, parte generale, Cedam, Padova 1992., p. 159, s.v. inoltre per maggiori approfondimenti su tale questione, U. Cerroni, Regole e valori nella democrazia, stato di diritto, stato sociale, stato di cultura, Editori Riuniti, Roma 1989, p. 71. 93. Cfr. L. Chieffi, op. cit., p. 166. «Enorme impressione avevano provocato le notizie, emerse dalle tenebre della seconda guerra mondiale, di pratiche sperimentali o di sterilizzazioni compiute a fini razziali». ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 83 piuti durante il regime nazista sulla persona94. Non era possibile imporre al singolo alcun trattamento sanitario contro la sua volontà, esclusi quelli obbligatori ritenuti necessari per salvaguardare la salute della collettività. Il compito dei costituenti era quello di elaborare, così, una Costituzione che garantisse il completo rispetto della persona, escludendo leggi che potessero pregiudicare la dignità dell’individuo. La persona è sacra e inviolabile, per questo nessuno può essere sottoposto a trattamenti e a pratiche sanitarie che ledano la dignità della stessa, da qui la necessità di eliminare, dal testo fondamentale, ogni traccia di quelle politiche lesive della persona umana. Già durante i lavori preparatori della Costituzione fu posta in essere la necessità di affermare l’autonomia della persona umana, non a caso, il compito fondamentale dell’ordinamento giuridico è quello di consacrare il valore supremo della persona95. L’uomo esisteva già prima dello Stato e questo poteva essere qualificato come democratico solo quando avesse avuto come fine supremo la dignità, l’autonomia e la libertà della persona. Lo stesso concetto di persona, durante i lavori preparatori della Costituzione, permise l’avvicinamento delle diverse ideologie e delle forze politiche contrapposte. La concezione personalistica è stata più volte affermata in molte norme costituzionali quali, per esempio, gli articoli 2 e 3. Il primo individua i beni che costituiscono il patrimonio inviolabile della persona, il secondo riconosce a ogni individuo il diritto di realizzare lo sviluppo della propria personalità96. Si tratta di un quadro ancora oggi valido e accettato dalla maggior parte dei consociati. Nel nostro paese, il valore della dignità è richiamato nella legislazione statale, in quella regionale e nei codici di deontologia medi 94. Cfr. A. J. Katolo, I principi di bioetica personalista, in «Theologos Theological revue», Presovska Univerzita Presove Greckokatolìka teologikà fakulta, n. 2/2008. 95. G. P. Calabrò, op. cit., pp. 126 e ss. 96. Sul punto s.v. L. Chieffi, op. cit., p. 125. «Infatti, costante appare il richiamo da parte della Costituzione all’esigenza di rispettare la persona umana soprattutto se prendiamo in considerazione l’art. 13, sulla tutela della libera disponibilità dell’essere umano comprensiva dell’inviolabilità del proprio corpo, e l’art. 32, che riconosce la salute come uno degli aspetti fondamentali dell’individuo». 84 La libertà responsabile della ricerca ca. In particolare, la legislazione regionale, invita il personale medico, paramedico e amministrativo, durante il trattamento sanitario, a tenere un comportamento che non induca in stato di soggezione l’utente, allo scopo di rispettarne la dignità umana e civile, nonché le sue convinzioni politiche, religiose e personali. Per far si che ciò avvenga, è necessario garantire al paziente oltre il mantenimento delle relazioni familiari, una informazione adeguata soprattutto sul suo stato di salute, sulla prognosi e sulle terapie da effettuare. In tale contesto emerge, inoltre, la necessità di tutelare la privacy relativa ai valori della personalità, tra i quali rientra anche la dignità umana, il che impone agli operatori sanitari di non rivelare ad altri lo stato di salute del paziente. Il problema relativo all’utilizzazione dei dati e delle informazioni sulle condizioni di salute del paziente, oggi ha assunto un particolare rilievo che è legato alle possibilità offerte dall’ingegneria genetica di indagare nell’intimo umano, fino al punto di conoscere in anticipo le malattie cui sarà affetto la persona in futuro, anche se in tal modo si rischia, però, che i dati personali possano essere usati in modo discriminatorio. Accanto alla dignità, anche la libertà di ricerca, trova il proprio fondamento di legittimazione in diverse norme della Costituzione, infatti come anzidetto, gli articoli 9 e 33 della stessa, stabiliscono il dovere della Repubblica di tutelare la salute sia del singolo che della collettività97. La Costituzione, quindi, attribuisce alla libertà scientifica98 una diversa tutela e il costituente tende, così a distinguere sotto il profilo della tutela giuridica i processi di cognizione che riguardano l’espressione del pensiero culturale, arte, scienza, ricerca, da un’ampia categoria rappresentata dalla manifestazione del pensiero genericamente considerata. La consacrazione nella Costituzione della li- 97. Cfr. F. Mantovani, op. cit., p. 15 98. Cfr. S. Labriola, Libertà di scienza e promozione della ricerca, Cedam, Padova 1979, p. 8. L’autore, richiama, con riferimento alla Costituzione italiana, questa tematica che si complementa nella lettura coordinata dell’art.33, comma 1 Cost. «l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento» con l’art.9, comma 1 Cost. «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica», abbracciando in tal modo la nozione di “attività scientifica”. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 85 bertà di esprimere il pensiero scientifico, ha rappresentato il ripudio dello stato di assenteismo della cultura, della volontà e della ideologia della classe politica dominante imposto durante il periodo fascista, tant’è che l’atteggiamento del fascismo nel campo delle scienze era diretto a esaltare la ricerca scientifica, senza tener conto, però, del rispetto dei diritti fondamentali dell’individuo99. Durante i lavori preparatori della Costituzione, venne introdotto, l’art. 27, diretto a garantire la libertà dell’arte e della scienza100, che erano infatti, considerati come elementi di crescita culturale e spirituale dell’umanità101. La nostra Costituzione, aveva provveduto quindi, a proclamare in modo solenne la libertà di manifestazione di pensiero con ogni mezzo. I costituenti davano molta importanza all’ampliamento delle conoscenze scientifiche, cosicché la Repubblica, si era impegnata a promuovere la ricerca scientifica e la sperimentazione tecnica al fine di incoraggiarne lo sviluppo. La Costituzione afferma contemporaneamente, quindi, tanto i valori personalistici quanto la libertà di ricerca, ciò però impone la necessità di individuare il bene prevalente, nel momento in cui l’esercizio dell’uno possa pregiudicare il godimento dell’altro. Infatti, se da una parte la ricerca scientifica è in grado di assicurare il benessere dell’uomo, dall’altra può minacciarlo ponendolo in pericolo a causa di un’attività investigativa condotta senza alcuna precauzione. In questo caso, attraverso il bilanciamento dei valori è possibile stabilire qual è la condizione preliminare indispensabile per l’esercizio di ulteriori diritti. È rilevante al fine del nostro discorso sottolineare il fatto che tanto il diritto della libertà di ricerca quanto i valori personalistici sono comunque beni di rilievo costituzionali, pertanto, entrambi devono essere considerati attentamente. Nonostante questa valenza che accomuna i due valori, l’importanza riconosciuta al valore della per 99. Cfr. A. J. Katolo, op. cit. 100. Cfr. C. Marchesi, Principi costituzionali riguardanti la culturale la scuola, Relazione presentata all’esame della Prima sottocommissione materiali della Repubblica, Assemblea Costituente, Vol. I: documentazione in generale, Tomo II: Relazioni, progetto e discussioni generali, Reggio Emilia 1991, p. 62. 101. In Atti Assemblea costituente, seduta 30 Aprile 1947, p. 1331. 86 La libertà responsabile della ricerca sona potrà comportare una limitazione a tutte quelle indagini che rischiano di pregiudicare il benessere fisico della stessa. In un ordinamento personalista, nel quale i beni della vita e della salute si pongono al di sopra di ogni altro bene, non si può assolutamente sacrificare il singolo allo scopo di ampliare le conoscenze scientifiche102. Questo serve, ancora una volta, a evidenziare il fatto che deve essere sempre la scienza al servizio dell’uomo e non l’uomo al servizio di questa103. Per assicurare una serena convivenza tra i membri di uno stesso gruppo sociale è necessario che l’esercizio di una libertà possa essere limitato ogni volta che da ciò derivi un pregiudizio per un’altra figura giuridica di vantaggio. Ciò emerge palesemente nell’ambito del settore sanitario, nel quale l’attività medico–chirurgica, di sicuro preziosa e con un alto valore sociale, deve svolgersi nel rispetto di alcuni principi fondamentali. Nel momento in cui tale attività va oltre i suoi limiti, sconfina nell’illecito, trasformandosi in violenza, ossia nella lesione di alcuni beni fondamentali dell’individuo. 2.4. Le nuove frontiere della genetica: il Progetto Genoma L’etica filosofica moderna si è posta il compito di distinguere con chiarezza l’agire pratico umano, dal comportamento propriamente religioso. Se nel mondo antico e medioevale, la religiosità connotava una classe specifica di azioni orientate alla ritualità e al sacro, nel mondo moderno la religiosità, a opera soprattutto del cristianesimo, avrebbe assunto una forma razionale divenendo una sorta di finalità aggiuntiva dell’agire sociale104. In tal senso, la religiosità moderna pur contemplando Dio, agisce in relazione con i suoi simili e verso la natura105, è quindi, in riferimento all’altro rendendo fondatezza e concretezza all’azione. 102. Cfr. L. Chieffi, op. cit. 103. Cfr. F. D’Agostino, op. cit. 104. Cfr. G. De Martino, op, cit., p. 25. 105. Cfr. Aa.Vv., Salvarsi l’anima. L’ozio della religione (a cura di) G. De Martino, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2007. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 87 La proposta teorica e tecnica della scienza moderna, che prese l’avvio con la rivoluzione scientifica da Copernico a Galileo sino a Newton106, si è sviluppata creativamente per tutto il Settecento e l’Ottocento. Indubbiamente vi è stato un continuo rimodellamento dei paradigmi scientifici tanto in campo fisico, quanto in quello chimico e biologico, si pensi al darwinismo, giungendo a una espansione delle conquiste tecnologiche e della capacità di intervento umano sulle strutture della materia e della natura107. Agli inizi del ‘900 la scienza classica e la sua sistematizzazione positivista, vengono messe radicalmente in discussione, si afferma la meccanica quantistica e la relatività, entrano in crisi i fondamenti della matematica e viene ristrutturato il sapere medico con Freud e la psicoanalisi, oltre a svilupparsi la genetica con Morgan, Watson e Crick. Tutto ciò, portò al sorgere di nuovi problemi soprattutto epistemologici, sviluppandosi così, un ampio dibattito tra filosofia e scienza108. Con l’inoltrarsi del secolo il rapporto fra scienza e tecnica si sarebbe fatto sempre più intenso. Da pochi anni si è giunti in biologia alla mappatura del genoma che ha ampliato le possibilità di intervenire sulla materia vivente, modificandone il funzionamento e la riproduzione, senza per questo distruggerne la vitalità109. Verso la fine degli anni ottanta, l’attenzione degli scienziati si spostò dall’elemento biologico a quello informazionale, ossia alla decifrazione e mappatura delle sequenze che contraddistinguono il patrimonio genetico uma- 106. Cfr. A. Di Giandomenico, op. cit., p. 96. «A provocare l’implosione dell’impianto meccanicistico sono proprio quelle nuove conoscenze acquisite ed avvalorate secondo criteri squisitamente cartesiani». 107. Cfr. G. De Martino, op. cit., pp. 26 e ss. 108. Per maggiori approfondimenti sull’argomento Cfr. E. Cassirer, Storia della filosofia moderna, vol. IV, trad. it. Einaudi, Torino 1958; L. Geymonat, Filosofia e filosofia della scienza, Feltrinelli, Milano 1960; E.H. Hutten, Einstein e Freud. Creatività nella scienza, Armando, Roma 1976. «Il dibattito novecentesco tra filosofia e scienza riguardò essenzialmente le evoluzioni epistemologiche del sapere scientifico, ed alcune correnti filosofiche come l’empirismo e il neo–positivismo riuscirono, ad integrare i nuovi modelli scientifici nel sistema della conoscenza». 109. Vedi Le scienze, edizione italiana di Scientific American, 20 anni di Genoma, dicembre 2007, n. 472. 88 La libertà responsabile della ricerca no110. La mappatura del genoma ha, sicuramente, rappresentato una svolta epocale non solo nella storia della medicina, ma nell’intera storia dell’umanità, in quanto vista come premessa per la liberazione dell’uomo dal più grave dei suoi condizionamenti, la malattia111. Anche se un momento rilevante nel confronto fra la filosofia e la scienza, si sarebbe verificato negli anni Sessanta quando la scienza e la tecnica, raggiunsero notevoli risultati, e tali successi furono utilizzati soprattutto per far dimenticare l’immagine negativa del progresso scientifico e tecnico evidenziatasi durante i conflitti mondiali112. Da quanto fin qui premesso, emerge con chiarezza, come il ricercatore ha il dovere di trasmettere i propri risultati alla comunità scientifica, allo scopo di conferire alla morale interna alla scienza una dimensione pubblica e sociale. L’intercomunicazione diviene così, un requisito importante per permettere al ricercatore di ottenere buone prestazioni nella scienza. Tutto ciò era vero, però, nelle epoche pre–moderne, quando la teoria non invadeva la pratica, il sapere veniva considerato un bene privato che non era in grado di provocare danni a nessuno perché si trattava di un sapere posseduto interiormente113. Il compito di un tale sapere era, infatti, quello di conoscere le cose senza modificarle, e visto che i pubblici poteri consideravano la sua diffusione pericolosa per il bene degli altri, la sua ricezione era limitata a pochi114. Tutto ciò cadde nel vuoto all’inizio dell’epoca moderna quando emersero le scienze naturali, in cui il rapporto tra teoria e prassi, si dirigeva sempre verso una più stretta fusione. Verso la metà del secolo scorso si assiste a un vero e proprio straripare dalla teoria alla prassi celandosi sotto il nome di tecnica scientifica. Improvvisamente il compito che era stato affidato allo studio della natura, ossia far 110. Sul punto s.v. P. Sommaggio, op. cit., p. 178. 111. Cfr. P. Borsellino, Bioetica tra “morali” e diritto, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009, p. 270. 112. Cfr. A.C. Clarke, Le nuove frontiere del possibile, trad. it. Rizzoli, Milano 1965. 113. Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, Torino 1990. 114. Ibidem. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 89 riferimento a un potere sulla natura che riuscisse a sollevare le condizioni dell’umanità, divenne verità. Assistiamo così, come avvertito da Jonas, all’inizio della problematica tra “scienza ed etica” . Ma quando si prende in considerazione il potere, di conseguenza emerge il problema della moralità, ciò è dovuto anche al fatto che coloro che esaltano i benefici della scienze si chiedono se le proprie opere sono benefiche, così che, se da una parte alla scienza vengono attribuiti i meriti delle attività scientifiche, dall’altra deve esserle affidata anche la colpa dei danni, così il ricercatore che non ha alcun potere sull’applicazione delle sue opere, non può essere responsabile del loro abuso. Infatti, va sottolineato che l’utilizzo del sapere scientifico non ha padrone, ognuno può impossessarsene e utilizzarlo per scopi buoni o cattivi, oppure lasciarlo stare115. Alla luce di ciò, i conflitti tra teoria e prassi, sono oggi diventati indefiniti, questo perché ogni scoperta relativa alle scienze naturali trova applicazione pratica116. Le scienze naturali (matematica, fisica, biologia) quindi, attraverso la tecnica, avrebbero invaso l’ambito delle conoscenze pratiche (etica, politica, diritto), e alcune discipline tecnoscientifiche come la sociobiologia, la cibernetica e la genetica si sarebbero proposte come portatrici di una più efficacia descrizione dell’umano e dei suoi comportamenti117. Tale invadenza della scienza in un certo senso spiazzò, la filosofia, e la dimensione dell’innato biologico e genetico si affermò come una valida alternativa alla descrizione delle forme trascendentali della conoscenza e dell’azione118. È vero anche che l’ir- 115. Un’indicazione in questo senso è costituita dai conflitti di coscienza degli scienziati nucleari dopo Hiroshima. H. Jonas, op. cit., p. 70. 116. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 71. «L’unica eccezione è la cosmologia: l’universo che si espande, la sua origine e la sua meta, lo sviluppo della Via Lattea e i buchi neri sono argomenti soltanto del pensiero ed escludono ogni intervento ed ogni applicazione pratica». 117. Cfr. J. Varela, Un know–how per l’etica, Laterza, Roma–Bari, 1992. 118. Cfr. I. Kant, Critica della ragion pura, Laterza, Roma–Bari 2000, a cura di C. Esposito, pp. 237–238. «Immanuel Kant, si servì del termine trascendentale distinto da trascendente, per indicare le forme a priori dell’intelletto che rendono intelligibile l’esperienza. Successivamente con Husserl e Merleau–Ponthy il termine trascendentale subì un progressivo slittamento verso la coscienza e la corporeità vissuta fino ad indicare la di- 90 La libertà responsabile della ricerca ruzione della scienza e della tecnica nell’umano avrebbero creato un nuovo spazio per le religioni, che si sarebbero fatte banditrici di una crociata morale per la difesa dei valori e dell’identità dell’uomo contro le pretese razionalistiche della scienza, assumendo così le forme di una battaglia epocale contro l’incalzante materialismo e lo strapotere dello scientismo119. L’etica, tentò, così, di ampliare l’orizzonte verso le nuove dimensioni della corporeità, relazionalità, e delle interazioni con la tecnologia, ponendosi tutta una serie di domande circa le finalità delle applicazioni della fisica e della genetica alla società120. Uno dei punti qualificanti dell’interrogazione bioetica nei confronti della scienza e della tecnica è rappresentata, dunque, dalla consapevolezza come elemento costitutivo del sapere scientifico e non come suo limite121. Difatti, la scienza e la tecnica formano un dispositivo potente ed efficace in cui, però, non è del tutto assente la dimensione della pericolosità e dell’incertezza predittiva. Tale dimensione dell’incertezza nelle bioscienze deriva in parte, dalla rapidità con la quale sotto l’impulso degli interessi economici, giungono allapplicazione le nuove metodiche biotecnologiche e i prodotti di sintesi. Già a partire dai primi anni Settanta quando lo sviluppo della biologia molecolare permetteva di porre in essere le prime tecniche sperimentali capaci di intervenire sul DNA delle cellule viventi, il controllo genetico dell’uomo poneva problemi nuovi. Alla luce di quanto appena detto, il nostro primo dovere etico è quello della prudenza e responsabilità, visto che si mettono in discussione l’immagine e la natura dell’uomo. Gli stessi sviluppi di diversi settori della tecnologia hanno fatto emergere una nuova dimensione etica, ovvero la necessità di individuare criteri di valutazione che, oltre a limita- mensione interna all’esperienza, capace di unire aspetti della sensibilità e l’attività razionale, nella forma tipicamente umana della soggettività senziente e aperta all’alterità». 119. Cfr. G. De Martino, op. cit., p. 33. 120. Cfr. G. De Martino, La nuova stagione della filosofia della pratica in Educazione permanente n. 1–2, Arezzo, 1993. 121. Sull’argomento s.v. G. De Martino, op. cit., p. 35. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 91 re e regolamentare la ricerca genetica, orientano la stessa conferendole senso, significato e funzione sociale122. La situazione di imprevedibilità e incertezza della teoria scientifica in quanto tale, ha determinato in bioetica la formulazione del principio di precauzione allo scopo di proteggere tanto l’ambiente quanto l’uomo, da conseguenze applicative non attese né gradite123. Tale principio si pone oggi al fianco dei più tradizionali principi etici di prudenza e responsabilità nel disciplinare la produttività della scienza e della tecnica. Senza dubbio, il principio di precauzione sollecita la società ad assumere un approccio cautelativo rispetto all’imprevedibilità dell’avanzamento del progresso tecnico–scientifico, pertanto, la società attraverso tale principio, come osserva De Martino, in un certo senso, viene responsabilizzata ad adottare le opportune strategie economiche oltre che formulare i princìpi di un biodiritto che vadano ben oltre l’approccio economicistico e l’ottimismo scientista ponendo, in tal senso, limiti ragionevoli all’evoluzione tecno–scientifica e sollecitando l’attenzione critica verso le ricadute della tecnologizzazione sulla vita sociale124. Il principio di precauzione, quindi, si confronta con i doveri di responsabilità che la filosofia raccomanda all’uomo, affinchè si prenda cura della natura125. Esso, inoltre, sollecita a differire o regolamentare alcune procedure scientifiche e tecniche, non abbandonarle, ma controllarle proporzionalmente alla gravità del rischio che inducono. In tal modo, esso, precisa i confini del principio di responsabilità che sia per ragioni morali che di solidarietà, potrebbe non legittimare alcune filiere di ricerca e sperimentazione anche in assenza di rischi potenziali126. Riguardo il fondamento del principio di precauzione esso, consiste nella necessità di un atteggiamento di cautela, ovvero, nell’an- 122. Ibidem. 123. Cfr. E. Al Mureden, Principio di precauzione, tutela della salute e responsabilità civile, Bonomo Editore, Bologna 2008. 124. Cfr., G. De Martino, op. cit., p. 37. 125. L. Labruna, La bioetica e il biodiritto nei percorsi formativi universitari, in Aa.Vv., Ricerche di bioetica, II, Giannini, Napoli 2002, pp. 73 e ss. 126. Cfr. G. De Martino, op. cit., p. 38. 92 La libertà responsabile della ricerca ticipazione preventiva del rischio di fronte all’incertezza epistemologica del sapere scientifico. Prendere atto dell’impossibilità della scienza e della tecnologia contemporanea di conseguire risultati certi in ogni contesto o circostanza, non significa la negazione della ricerca e della sperimentazione, qualora queste, non siano in grado di calcolare, prevedere e controllare tutte le conseguenze di determinate applicazioni, quanto piuttosto sottolinea la necessità e soprattutto l’obbligo morale, di predisporre strategie di risposta a situazioni di emergenza e di rischio probabili nel futuro al fine di evitare o ridurre il danno da esse derivanti. Si avverte quindi l’esigenza di responsabilizzare la scienza al contenimento dei danni in proporzione ai benefici sociali ottenibili, configurando il principio di precauzione, come uno strumento biogiuridico di regolamentazione della scoperta e dell’innovazione127. Anche se l’obbligo di attenersi alla logica precauzionale non deve divenire ostacolo all’applicazione di tecniche scientifiche, tuttavia è necessario garantire qualora vengano messi in discussioni determinati beni della vita una tutela anticipata, allorché ricorrano delle condizioni di rischio e di incertezza128. In tale ottica, il principio di precauzione diviene un mezzo giuridico che può essere applicato dall’interprete quale strumento di carattere anticipatorio, quindi, diverso dagli strumenti di tutela successivi come quello risarcitorio, che consente tanto all’interprete, quanto più in generale alle istituzioni, di agire prima che si verifichi un danno129. Da punto di vista bioetico, il principio di precauzione va letto nel senso di proteggere apriori dal male, e come tale, rappresenta ciò che si deve a un essere umano130. Il principio serve, da guida oltre che per migliorare il processo decisionale nel campo scientifico e tecno- 127. Ibidem. 128. Cfr. G. Tomarchio, Il Principio di precauzione come norma generale, in Il principio di precauzione tra filosofia Biodiritto e bipolitica, L. Marini, L. Palazzani (a cura di) Edizioni Studium, Roma 2008, p. 153. 129. Ibidem. 130. Cfr. C. Vigna, Responsabilità e precauzione, in L. Marini, L. Palazzani (a cura di), op. cit., p. 27. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 93 logico, in un contesto sempre più complesso e incerto, ma anche da stimolo al progresso scientifico e alle forme sostenibili di sviluppo, al fine di tutelare le generazioni presenti e future.131 Esso delinea, come avverte la Palazzani, la necessità di un atteggiamento di cautela intesa come anticipazione preventiva del possibile rischio, di fronte all’incertezza del sapere scientifico132. La presa d’atto della relatività del pensiero scientifico, con la conseguente difficoltà di calcolare prevedere e controllare le conseguenze negative involontarie di talune applicazioni tecnologiche e che tali conseguenze negative possono causare gravi danni tecnicamente irreparabili, configura l’esigenza etica, giuridica e politica di fondare così un obbligo di precauzione. È una esigenza quest’ultima che emerge a causa dei potenziali pericoli dischiusi dalle conoscenze scientifiche e dalle applicazioni biotecnologiche per la salute dell’uomo133. Il principio di precauzione fonda dunque, il dovere di saggia e sapiente prudenza nell’avanzamento tecnoscientifico, nella previsione di eventuali danni futuri, nello sforzo di affrontare le minacce prima che si realizzino. Nell’ambito dell’attuale discussione tanto bioetica che biogiuridica si registra un accordo pratico sulla necessità di fissare dei limiti al progresso tecnoscientifico al fine di proteggere la salute dell’uomo, bilanciando anticipatamente i rischi potenziali e prevedibili rispetto ai benefici ottenibili. Tale riflessione è particolarmente urgente oggi, di fronte alla diffusione e all’ampliamento delle possibilità di applicazione delle nuove tecnologie sulla vita umana e non umana, con particolare riferimento alle manipolazioni genetiche134. La genetica, quale scienza che studia i caratteri ereditari e la loro trasmissione muove i suoi primi passi con le osservazioni di Mendel 131. E. Augius, Precauzione tra presente e futuro, in L. Marini, L. Palazzani (a cura di), op. cit., p. 48. 132. Cfr. L. Palazzani, Biotecnologie e precauzione: teorie bioetiche a confronto, in L. Marini, L. Palazzani (a cura di), op. cit., p. 60. 133. Cfr. L. Palazzani, op. cit., pp. 61 e ss. 134. Ibidem. 94 La libertà responsabile della ricerca e i suoi famosi esperimenti sui piselli lo portarono a individuare le costanti con cui determinati aspetti (i cosiddetti fattori dominanti e recessivi) potevano o non, passare da una generazione all’altra. Da allora la genetica ha subìto trasformazioni ed estensioni enormi, riuscendo attraverso tecnologie sempre più raffinate a identificare le basi molecolari del patrimonio genetico135. Essa rappresenta, sicuramente, un nuovo orizzonte per la bioetica e la mappatura del genoma umano costituisce una svolta epocale molto importante. Si tratta, in particolare, di una procedura diretta ad analizzare l’essere vivente ed assimilarlo ad un insieme d’informazioni che possono essere sia utilizzate che modificate. Si è passati infatti, da una impostazione prevalentemente osservativa a fasi più articolate sperimentali, esplicative e manipolative, fino ad arrivare all’ultima frontiera della cosiddetta ingegneria genetica, che permette di produrre in laboratorio nuove forme di viventi o di modificare come nel caso degli animali transgenici parte del patrimonio genetico di una specie, “correggendolo” con geni di un’altra specie136. In questa sede è opportuno fare qualche cenno alla ricchissima storia della nuova genetica, al fine di comprendere in un secondo momento, le questioni etiche che essa solleva. La scoperta più rilevante è stata l’individuazione delle basi biochimiche con cui è costituita la vita di ogni cellula, e quindi, di ogni organismo. Nel 1953 viene definita la struttura a doppia elica del DNA; nel 1956 si definisce il cariotipo umano; nel 1966 si decifra il codice genetico; nel 1972 si introduce la tecnica per determinare la sequenza completa del DNA; nel 1982 si genera il cosiddetto “super topo” , iniettando il gene dell’ormone della crescita in una cellula uovo fecondata di un topo; nel 1982 si riesce a produrre insulina umana all’interno dei 135. Cfr. A. Pessina, op. cit., p. 101; s.v. inoltre sull’argomento, A. Di Giandomenico, op. cit., p. 118. 136. Ibidem. «Per animali transgenici si intendono quegli animali che contengono, oltre ai geni della loro specie, geni inseriti dall’uomo. Queste tecniche vengono utilizzate per studiare le malattie ereditarie dell’uomo (per esempio introducendo o togliendo geni dal topo per cercare di spiegare l’origine di malattie come la fibrosi cistica), o i meccanismi genetici alla base del cancro, potrebbero aprire la possibilità di trapianti di organi, geneticamente modificati, da animali». ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 95 batteri, attraverso la tecnica del DNA ricombinante, nel 1987 si inaugura il progetto per la sequenza dell’intero genoma umano137. Con questo progetto come è stato per la fisica anche la biologia diventa una big science , entrando a far parte di quelle scienze che per le risorse impiegate hanno bisogno della collaborazione e della sinergia di tutti i principali centri di ricerca del mondo138. Tutto ciò, dal punto di vista bioetico, solleva una serie di questioni etiche piuttosto rilevanti. Innanzitutto, si fa riferimento alla determinazione del rapporto rischio/beneficio che ha come destinatario non solo l’uomo, ma anche gli altri organismi viventi e l’ambiente in generale139. In tal senso, la ricerca genetica occupa una parte fondamentale e importate nell’ambito della bioetica. Nel momento in cui si affronta il problema dell’etica della ricerca scientifica si incorre nel rischio di addentrarsi nel dibattito relativo ai limiti da stabilire all’operato dei ricercatori. Si tratta di un dibattito poco interessante visto che è viziato dalla distinzione tra ricerca scientifica pura e ricerca applicata. Con riferimento alla prima è indispensabile che ne venga sempre garantita la libertà, mentre per quanto riguarda la seconda, questa deve essere sottoposta a pesanti controlli etici e politici. Ciò perché, nel momento in cui l’ipotesi scientifica da atto si trasforma in prassi, perde definitivamente la sua purezza. Lo stesso sapere scientifico è unitario e autonomo e chiede di essere preso in considerazione come sistema. In realtà, non è che la scienza non ammetta limiti, ma si tratta di limiti intrinseci, nel senso che è la stessa ad autolimitarsi nel momento in cui ritiene opportuno farlo. Uno dei principi che facilmente possono adattarsi alla ricerca scientifica è quello secondo cui «qualsiasi cosa può andar bene». Tale principio, non deve essere inteso nel senso che qualsiasi opera degli scienziati è insindacabile anzi, al contrario, gli scienziati e 137. Molti sono i siti che ci permettono di conoscere i progetti di mappatura del genoma con i conseguenti problemi etici, tra gli indirizzi www.htpp:w/www.oml.gov/TechResources/HumanGenome/genetics.html; per gli aspetti etici s.v. Dichiarazione dell’UNESCO sulla protezione del genoma umano. Inoltre sull’argomento si rinvia a A. Di Giandomenico, op. cit., p. 119. 138. A. Pessina, op. cit., p. 102. 139. Cfr. E. Sgreccia, op. cit. 96 La libertà responsabile della ricerca le loro opere sono sindacabili in nome della loro appartenenza al sistema sociale e per ciò, diviene necessario che gli scienziati rispettino le leggi che lo stesso sistema sociale impone loro. Altri sistemi avranno il compito di selezionare ciò che può essere utilizzato e quello che non può esserlo. Il problema che si pone, relativamente a ciò, è quello sul chi debba concretamente esercitare tale selezione, anche se in tal senso si tratta di un problema politico e non etico; anche perché il pensiero scientifico rappresenta oggi il paradigma del pensiero umano e di conseguenza, è ritenuto l’unico luogo adeguato per una integrazione dei popoli. Ne consegue che la ricerca è etica poiché contribuisce al bene dell’umanità, viene definita utile, anche se oggi, non è così in quanto la scienza ha il più delle volte una capacità distruttiva140. Questo perché una ricerca che rispetto a un’altra non conduce a risultati utili, ma che amplia l’orizzonte del sapere, sarà meno remunerativa di quella, ma non meno etica. Il tema dell’utilità anche se non fornisce la risposta al nostro problema, ci permette però di impostarlo adeguatamente. Una riflessione etica approfondita prende in considerazione i principi dell’autonomia, della libertà e dell’integrità dell’individuo. La genetica considera l’umanità come un soggetto naturale alla pari dei singoli individui, e come tale è titolare di diritti. A tal proposito, Tarantino osserva, che la violazione dei diritti genetici ed ecologici procura un danno sia alle generazioni presenti, che a quelle future141. Di conseguenza, lo Stato deve presentarsi come uno strumento giuridico–politico capace di regolare e tutelare i diritti dei soggetti naturali, siano essi individui o comunità etniche142. Il progetto della genetica solleva, quindi, una questione squisitamente filosofica, e precisamente quella dell’identità ontologica dell’uomo e della sua posizione nel cosmo143. 140. 141. 142. 1996. 143. 176 e ss. Cfr. F. D’Agostino, op. cit., p. 50. Cfr. A. Tarantino, Culture giuridiche e diritti del nascituro, Giuffrè, Milano 1997. Cfr. A. Tarantino, Per una dichiarazione dei diritti del nascituro, Giuffrè, Milano A. Pessina, op. cit., p. 97; s.v. inoltre sull’argomento P. Sommaggio, op. cit., pp. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 97 Negli ultimi anni lo sviluppo della ricerca genetica ha fatto emergere la necessità di concentrare l’attenzione anche sui problemi relativi al segreto medico e alla tutela della privacy. A tal proposito, l’art. 22 autorizza il trattamento dei dati solo dopo aver ottenuto il consenso del soggetto interessato e previa autorizzazione del garante. Di conseguenza, la raccolta dei dati sensibili relativi alla salute e alla vita sessuale di una persona, è soggetta a particolare attenzione. Saranno le osservazioni di Jonas, a permettere di orientare la riflessione bioetica sui problemi sollevati dalla stessa ricerca genetica. In particolare, si prendono in considerazione tre tipi di problemi che possiamo classificare in base alla natura: problemi di natura etico–filosofica, di natura etico–normativa e di natura etico–giuridica. Per quanto riguarda i problemi etico–filosofici, si fa riferimento a una serie di interrogativi che necessitano di essere chiariti dal punto di vista concettuale144. In particolare, la richiesta e la concessione del brevetto, hanno riacceso le polemiche sulla possibilità, da un punto di vista etico, di estendere la tutela brevettuale anche agli organismi viventi. Tale tutela, attribuisce all’inventore il monopolio relativo allo sfruttamento dell’invenzione brevettata, garantendogli l’esclusività dei diritti di sfruttare i risultati apprezzabili da un punto di vista industriale. Nel 1980, la tutela brevettuale è stata estesa ai microrganismi geneticamente modificati prima e agli organismi pluricellulari poi. Sulla base di questo principio, il criterio giuridico che permette il distinguo tra quello che è brevettabile da quello che non lo è, va riscontrato nella distinzione tra ciò che esiste per natura e ciò che è inventato dall’uomo, successivamente, la protezione giuridica garantita al procedimento, viene estesa anche ai prodotti che si ottengono dal procedimento stesso. 144. Cfr. A. Bompiani, Consiglio d’Europa, diritti umani e biomedicina. Genesi della Convenzione di Oviedo e dei Protocolli, Studium, Roma 2009, (Collana quaderni LUMSA), «Un esempio è rappresentato dalla concessione del brevetto agli “animali transgenici” ottenuti in laboratorio con le tecniche dell’ingegneria genetica. Si tratta di animali nel cui patrimonio genetico è stato inserito un gene esogeno, ossia un gene proveniente da una specie biologica diversa “transgene”». 98 La libertà responsabile della ricerca Riguardo all’approccio etico–giuridico che ha accompagnato questa normativa non considera solo la possibilità, dal punto di vista etico, di concedere o meno il brevetto agli organismi viventi, ma soprattutto la questione relativa ai criteri di determinazione della distinzione tra il vivente naturale e il vivente artificiale. Si pensi a tal proposito a ciò che si pone in riferimento al materiale genetico umano. In molti laboratori di ricerca, ormai da diverso tempo, vengono posti in essere esperimenti di inserzione e attivazione di informazione genetica umana in microrganismi o organismi pluricellulari, che hanno come obiettivo il progresso delle conoscenze genetiche. Dal punto di vista etico, questo tipo di ricerca viene legittimato dalla sua destinazione al servizio del progresso sociale e umano145. A tal proposito, il problema che si pone è quello relativo al valore specifico da attribuire all’informazione genetica umana e alle condizioni etiche del suo utilizzo sperimentale. In relazione all’ambito dei problemi etico–formativi che riguardano la regolamentazione della ricerca genetica di base e di quella applicata, oltre alla necessità di prendere in considerazione l’affidabilità delle tecniche di ingegneria genetica, è importante valutare le conseguenze di determinate ricerche e sperimentazioni, visto che non esiste alcuna ricerca scientifica senza sperimentazione. Infatti, l’etica delle conseguenze ha assunto un’importanza fondamentale nella ricerca genetica e biomedica146 ed è all’origine dell’esigenza normativa che 145. Sull’argomento rinvio a A. Bompiani, Nuova genetica, nuove responsabilità, San Paolo, Milano 1997, p. 75. «Ad esempio, lo sviluppo della tecnologia transgenica è destinato ad apportare benefici e vantaggi alla ricerca biologica fondamentale, in diversi ambiti di utilità umana, a cominciare dal progresso delle conoscenze genetiche in generale fino a tutte le possibili applicazioni di interesse farmaceutico, terapeutico e agro–alimentare». 146. Cfr. A. Bompiani, op. cit., p. 76. «Ad esempio, nel 1983 due ricercatori dell’Università di Berkeley in California, scoprirono che la formazione di gelo sulle foglie di determinate colture agricole pregiate, quali cereali, patate, fragole, lamponi, pomodori, è favorita dalla presenza di una proteina sintetizzata da uno specifico ceppo batterico, abbastanza diffuso sulle foglie di molte piantagioni. A temperatura inferiore ai 5° C, all’interno dei tessuti elle foglie si formano dei cristalli di ghiaccio che danneggiano irreversibilmente le strutture cellulari. I due ricercatori, dopo aver identificato il gene re- ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 99 emerge nello stesso campo. In tale contesto, i comitati etici, hanno elaborato delle direttive allo scopo di prevenire le possibili conseguenze dannose che potrebbero ripercuotersi negativamente sull’ambiente, sulla società e sugli stessi soggetti umani coinvolti. Anche se i più complessi problemi etici, si pongono nell’ambito della ricerca genetica e biomedica condotta sugli esseri umani, ciò fa emergere una profonda contraddizione, poiché, da una parte la sperimentazione sull’uomo è moralmente necessaria per i vantaggi e i benefici che questa apporta alla società, dall’altra, essa è immorale in considerazione dell’autonomia della persona umana, e sicuramente tale questione etica non è facile da gestire. Per quanto riguarda i problemi etico–giuridici, questi prendono in considerazione sia lo statuto ontologico dell’embrione e i relativi diritti di tutela, sia lo statuto giuridico dei materiali biologici e genetici utilizzati in ambito sperimentali147. La tutela giuridica dei dati genetici si basa sulla necessità di salvaguardare il diritto di ogni individuo di non far conoscere la propria costituzione e la propria identità genetica a soggetti terzi. A tal proposito, la riflessione bioetica si è preoccupata di elaborare dei criteri necessari per impostare in modo corretto il rapporto tra ricerca genetica ed etica. Dall’analisi del Progetto Genoma Umano, emerge però, che non è la genetica a rientrare nell’ambito dell’etica, ma la ricerca genetica intesa come attività umana diretta al progresso delle conseguenze e al loro uso sociale. Di conseguenza, è importante sottolineare il fatto che ogni attività umana persegue degli obiettivi ed è orientata da valori. sponsabile della sintesi della proteina e ricorrendo alla tecnica del DNA ricombinante, realizzarono in laboratorio un ceppo batterico antigelo capace di impedire la formazione di cristalli di ghiaccio sulle foglie di alcune colture». 147. Cfr. A. Bompiani, op. cit., p. 77. «Quali, ad esempio, la “Dichiarazione di Ginevra” del 1948, la “Dichiarazione di Helsinki” del 1964, le recenti “Direttive etiche internazionali per la ricerca biomedica condotta su soggetti umani” elaborate nel 1993 dal Consiglio delle Organizzazioni Internazionale delle Scienze Mediche, in collaborazione con l’Organizzazione Mondiale della Sanità». 100 La libertà responsabile della ricerca I centri di ricerca coinvolti sono consorziati nel Human Genome project che ha come obiettivo quello di mettere i risultati a disposizione dell’intera umanità. Uno dei tre istituti trainanti148 del Progetto nel 2000, ha annunciato di aver portato a termine la caratterizzazione della sequenza di basi che compongono il genoma. Terminata la prima fase del lavoro, bisogna identificare a quale porzione di questa catena corrisponde ogni singolo gene e determinare il ruolo di ciascuno di essi. In particolare, il DNA è una grande molecola composta di due filamenti di forma elicoidale che corrono in senso inverso, si tratta della famosa doppia elica149. I due filamenti sono tenuti uniti da coppie di base, ossia da composti chimici particolari. Le basi nucleotidiche composte prevalentemente da azoto, sono quattro: Adenina, Guanina, Citosina e Timina, e la loro sequenza e disposizione cambia a seconda dal modo in cui si sistemano, e tutta l’informazione presente nel genoma umano corrisponde a una successione di circa tre miliardi di caratteri. Quindi, in tutte le svariate migliaia di miliardi di cellule che compongono il nostro organismo, è contenuto un “libretto” di istruzioni che assegna a ogni cellula la sua specializzazione, così da permettere la costruzione e il funzionamento dell’intero individuo150. Appare evidente come molti e incalcolabili sono i vantaggi che si traggono dalla realizzazione del progetto genoma. Sicuramente ad avvantaggiarsene sarà la medicina, e grazie alla realizzazione di tale Progetto si riuscirà a diagnosticare precocemente, da una parte le malattie genetiche ed ereditarie difficilmente individuabili, e dall’altra la predisposizione genetica alle malattie. Anche dal punto di vista terapeutico si potranno raggiungere risultati oggi inimmaginabili. Sarà possibile modificare un gene difettoso, parlando così di correzione genetica a fini terapeutici. Tale intervento potrà 148. Gli istituti trainanti sono due pubblici ed un privato: National Istitute of Health, USA, Dipartimento dell’energia, Celera Genomics, Maryland, USA. 149. La famosa doppia elica è stata scoperta da Watson e Crick nel 1953, con cui i due ottennero il Premio Nobel. 150. A. Pessina, op. cit., p. 103. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 101 essere effettuato dal punto di vista somatico, modificando le caratteristiche dell’individuo soggetto all’intervento, oppure dal punto di vista germinale, trasformando anche le caratteristiche della discendenza dell’individuo stesso. Si spera che la ricerca riesca a individuare l’esatto alfabeto molecolare che evidenzi la predisposizione, dell’individuo, a un certo tumore, così da intervenire evitando l’insorgere dello stesso. Conoscere la propria predisposizione è positivo perché riduce la mortalità ed è utile per progettare un tipo di vita o lo svolgimento di alcune attività che possano ridurre il rischio di rendere nociva la predisposizione151. La conoscenza del genoma e la sempre crescente disponibilità di informazione ad alto valore morale pongono non pochi problemi etici. Il particolare tipo di informazione fa sì che gli interessi finanziari siano enormi, rendendo la questione particolarmente delicata. Alla domanda, a chi debba appartenere quest’informazione, si può rispondere prendendo in considerazione l’art. 1 della Dichiarazione universale sul genoma umano e i diritti dell’uomo dell’UNESCO il quale dichiara che il genoma è “patrimonio dell’umanità”. A tal proposito, molte sono le domande152 che si pongono, e per dare risposte alle stesse l’ordinamento giuridico predispone mezzi e soluzioni. Anche se emerge la necessità di creare un garante che si propone come importante punto di riferimento, capace di vigilare, in modo critico, sulle questioni relative al genoma umano e alle problematiche connesse. Molte sono le sfide lanciate dalla conoscenza e dalla 151. Questo discorso vale per l’ipertensione, il diabete, le malattie psichiatriche come la schizofrenia e le sindromi maniaco–depressive, i difetti cardiovascolari, i tumori, il morbo di Alzheimer, le malattie reumatiche, le osteoporosi. 152. Ad esempio: un genitore o una coppia di genitori hanno o no il diritto di sottoporre il figlio a test genetici di sorta? I datori di lavoro, le università, le imprese, le scuole possono stabilire di selezionare i propri dipendenti e i propri studenti sulla base di considerazioni legate all’esame del corredo genetico? Qualcuno ha il diritto di divulgare informazione genetica che riguarda qualcun altro? Lo Stato ha il diritto di imporre il test genetico ai suoi cittadini? Se una coppia di genitori vorrà programmare il colore degli occhi del figlio e, se la tecnologia lo permetterà, vorremo permetterlo o no? 102 La libertà responsabile della ricerca disponibilità tecnologica dalle quali non si può sfuggire, ma, al contrario, forse, andrebbero affrontate in modo sereno. Accanto al Progetto Genoma, nel corso del tempo, si sono sviluppati altri progetti con l’obiettivo di prendere in considerazione i genomi di altre specie biologiche. A questo punto è importante fare la distinzione e chiarire tra mappaggio e sequenziamento del genoma. Nel primo caso si tratta di stabilire un insieme di punti di riferimento che ci permettono di determinare come sono organizzati i diversi geni e le diverse strutture del DNA. Di conseguenza, una mappa completa contiene tutti i punti di riferimento, il cromosoma sul quale si trovano e la loro posizione nell’ambito dello stesso. Si tratta di mappe che possono essere più o meno dettagliate. Mentre, il sequenziamento di un gene è la definizione di tutti i nucleotidi che compongono quella particolare sequenza di DNA153. Dal punto vista scientifico–tecnologico, il Progetto Genoma Umano è da considerare un’impresa della biologia contemporanea. Nell’ambito dello stesso, sono in gioco interessi conoscitivi, culturali, ma anche economici, politici e sociali. Tutto ciò fa si che la ricerca biologica come anzidetto entri a far parte della big science, ossia della politica della scienza diretta a incentivare quei settori della ricerca scientifico–tecnologica che promettono vantaggi economico–sociali. Anche se il Progetto Genoma, si presenta come un’impresa tecnologica, in realtà si tratta di un progetto di ricerca il cui fine è quello di identificare, mappare e sequenziare i geni umani. L’eventuale uso sociale delle tecniche e conoscenze acquisite, va al di là delle finalità scientifiche dello stesso che rientra nell’ambito della ricerca genetica di base e non applicata. La comunità scientifica internazionale e l’opinione pubblica non hanno dubbi sul valore e l’utilità di tale progetto, tanto dal punto di vista scientifico, quanto dal punto di vista etico–sociale, nel primo caso, per i contributi apportati al progresso della biologia fondamen 153. Cfr. A. Bompiani, op. cit., p. 79. In tal caso, il sequenziamento dell’intero genoma umano consisterebbe nel sequenziamento di 24 cromosomi, cioè dei 22 autosomi e dei 2 cromosomi sessuali, detti X e Y. Tuttavia è possibile limitare parzialmente il sequenziamento alle sole porzioni codificanti, ossia ai geni, ottenendo in questo modo una notevole quantità di informazioni con il sequenziamento di circa il 5–10 % del genoma. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 103 tale, nel secondo caso per i vantaggi e i benefici ricavati dall’intera umanità. per esempio, dal punto di vista della ricerca biologica fondamentale, il sequenziamento del genoma umano contribuirà ad acquisire sempre maggiori conoscenze scientifiche relative alla organizzazione, allo sviluppo e all’evoluzione degli organismi viventi. Lo sviluppo del progetto, potrebbe essere molto utile per chiarire un altro fenomeno biologico molto importante, ossia quello relativo alla presenza di una varietà genica nella sequenza dei geni omologhi di diversi individui. Tutto ciò conferisce all’individuo una sua specificità in modo da renderlo diverso dagli altri154. Gli sviluppi della tecnologia genetica hanno permesso di identificare e isolare numerosi geni normali, responsabili di malattie ereditarie155, in tale ambito, la terapia genetica umana si trova in una fase di sperimentazione avanzata. Inoltre, lo sviluppo del Progetto Genoma, attraverso l’identificazione di geni umani che determinano il sorgere di diverse malattie, ha permesso alla medicina di prevenire gravi malattie ereditarie. Infine, si prevede che lo sviluppo di tale Progetto, possa comportare dei progressi anche nell’ambito della ricerca dei meccanismi genetici e molecolari che stanno alla base del cancro. Quest’ultimo, sembra essere l’insieme di una serie di alterazioni genetiche che provocano una disfunzione dei meccanismi di controllo della crescita, della divisione e della moltiplicazione cellulare. Non a caso, le cellule cancerogene si dividono e si moltiplicano in modo incontrollato. La 154. Cfr. A. Bompiani, op. cit., p. 80. «Su questo fenomeno, si fonda il “test del DNA”, utilizzato in sede di medicina legale e praticato relativamente a sequenze nucleotidiche note: il DNA in esame viene analizzato con una sonda specifica per un gene, dopo frantumazione con enzimi di restrizione». 155. Cfr. A. Bompiani, op. cit., p. 81. «Infatti, negli ultimi anni sono stati evidenziati i geni responsabili di malattie ereditarie di importanza sociale quali la fibrosi cistica, la sindrome dell’X fragile, la corea di Huntington. Inoltre sono stati individuati altri geni quali il gene dell’ormone della crescita, la cui disfunzione causa il nanismo ipofisario, il gene dell’insulina, i geni che regolano le reazioni immunitarie dell’organismo, e così via». 104 La libertà responsabile della ricerca ricerca oncologica è riuscita a identificare due categorie di geni la cui disfunzione provoca la comparsa di elementi cellulari neoplastici156. Attraverso l’applicazione delle tecniche di sequenziamento dell’informazione genetica al genoma delle cellule neoplastiche, è possibile preparare sonde specifiche capaci di localizzare i siti oncogeni e identificare quelli attivi, in tal senso, si tratterebbe di una diagnosi tumorale precoce. Dopo aver analizzato le caratteristiche scientifiche del Progetto genoma, ritengo sia interessante analizzarne anche gli aspetti etici. Nell’ambito della stessa comunità scientifica internazionale si è aperto un dibattito relativo alle implicazioni etiche e sociali dello sviluppo del Progetto Genoma Umano, problemi etici che ne condizionano lo sviluppo stesso. Tale Progetto, se da una parte garantisce vantaggi in campo biologico e medico–chirurgico, dall’altra ha delle conseguenze negative sulla cultura e sulla vita. A tal proposito, nella ricerca genetica si vengono, sempre più spesso, a creare situazioni di conflitto tra i valori perseguiti dal progetto e i valori violati dalle sue conseguenze. Nel caso in cui questi valori sono omogenei, il problema può essere risolto attraverso il bilanciamento tra i costi e i benefici, al contrario, nel caso in cui i valori in gioco sono equivalenti, soprattutto nell’ambito della ricerca genetica umana, i conflitti sono talmente gravi che diviene necessario frenare la ricerca stessa. Le conseguenze del Progetto Genoma comportano una serie di problemi etici particolarmente complessi. Tra questi, quello più discusso è quello relativo alla pretesa neutralità morale delle conoscenze genetiche, cioè queste conoscenze sarebbero prive di qualsiasi valenza etica. Il fatto che la scienza contemporanea possa avere un forte impatto sulla cultura, sui valori e sulla vita non dipende solo dal sapere scientifico ma anche da fattori economici, politici e sociali, nel senso che è il valore stesso delle conoscenze a conferire legittimità etica alla ricerca scientifica. Sulla base di questo criterio, si ritiene che il Progetto Genoma Umano, debba es- 156. Cfr. L.R. Kass, La sfida della bioetica. La vita, la libertà e la difesa della dignità umana, Lindau, Torino, 2007, pp. 171 e ss. ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 105 sere perseguito senza alcuna limitazione. In realtà, questa pretesa delle conoscenze scientifiche si basa sulla considerazione che la scienza è una realtà autonoma e indipendente dal contesto sociale e umano. Il problema però è più complesso e deve essere affrontato prendendo in considerazione la natura scientifica di queste conoscenze e del contesto sociale in cui vengono elaborate. Esso deve essere affrontato riflettendo sul significato vero e proprio dell’impresa scientifico–tecnologica157. A tal proposito, la ricerca scientifica dovrebbe avere un orientamento etico, in base al quale le conoscenze non vengono perseguite in ragione del loro valore intrinseco, ma in funzione della loro utilità sociale, in tal modo, è l’intenzionalità umana a conferire valenza etica alle stesse conoscenze scientifiche. Di conseguenza, i vantaggi e i benefici del Progetto Genoma non sono sufficienti a giustificare uno sviluppo incontrollato. La sua realizzazione dovrebbe essere guidata, dall’inizio alla fine, da criteri etici158, solo in tal modo si potrebbe evitare il rischio che il perseguimento delle conoscenze scientifiche sia condizionato dalla logica del profitto. Per evitare questo rischio è necessario, quindi, porre in essere delle attente valutazioni sulla valenza morale delle conoscenze genetiche. I ricercatori dovrebbero, inoltre, avere la capacità di intuire l’insieme delle possibilità di utilizzare le nuove conoscenze genetiche, oltre a essere rispettato il criterio delle priorità in base alla diversa utilità sociale delle conoscenze genetiche159. Un altro aspetto importante dello sviluppo del Progetto Genoma è quello relativo all’impatto sociale dell’analisi dell’informazione genetica umana. Questo aspetto può essere analizzato prendendo in considerazione le possibili utilizzazioni delle nuove conoscenze. 157. Ibidem. 158. Cfr. A. Bompiani, op. cit., p. 84. «Lo esigono l’ampiezza delle sue dimensioni, la consistenza dei costi e il manifesto impatto antropologico e sociale conseguente al suo sviluppo». 159. Cfr. A. Bompiani, op. cit., p. 84. «Ad esempio, dovrebbero essere favorite quelle ricerche sul genoma umano che hanno l’obiettivo di identificare, mappare e sequenziare geni di particolare rilevanza clinica e terapeutica. Questo non significa che devono essere esclusi altri filoni di ricerca». 106 La libertà responsabile della ricerca Queste nuove conoscenze genetiche, possono essere applicate in diverso modo. per esempio, l’identificazione dell’informazione genetica umana e il sequenziamento del genoma, potrebbero permettere l’elaborazione di una “carta d’identità genetica” individuale. Accanto a questi, e ad altri vantaggi, è necessario però, prendere in considerazione i rischi e i pericoli insiti nell’utilizzo delle analisi del genoma umano, rischi che non possono essere ignorati. Si pensi, per esempio, allo screening dei lavoratori, diretto a accertare la loro predisposizione a determinate malattie, con la conseguenza di usare queste analisi come strumento discriminatorio al momento dell’assunzione160. Anche l’utilizzo delle tecnologie genetiche nella diagnosi prenatale, da una parte comporta una serie di vantaggi, anche se dall’altra fa emergere nuovi interrogativi. L’uso di queste nuove tecnologie genetiche, comportano infatti, il rischio di un incremento della medicalizzazione della società con conseguente aumento degli oneri economici. Tutti questi esempi dimostrano che è necessario calcolare prima i rischi e i pericoli dell’uso di tecniche di terapia genetica. A tal proposito, il Parlamento Europeo nel 1989, ha approvato una “Risoluzione” contente i principi e le condizioni da rispettare nell’impiego di tecnologie genetiche. Per quanto riguarda i principi, viene sancita la libertà della ricerca e della scienza, libertà condizionata però, dai diritti dei terzi, tra i quali rientra a pieno titolo la dignità dell’uomo e dell’intera umanità, mentre per quanto riguarda l’uso delle tecniche genetiche, è necessario rispettare determinate condizioni. Innanzitutto, il loro scopo deve essere il benessere dei pazienti e delle famiglie e non devono essere usate con l’intento di aumentare il pool genetico della popolazione, in secondo luogo, è necessario 160. Cfr. A. Bompiani, op. cit., p. 85. «Ad esempio, l’analisi genetica nel campo delle assicurazioni, analisi che potrebbe includere la predisposizione a determinate anomalie genetiche e indurre l’ente assicurativo a pretendere un aumento del premio in ragione della maggiorazione dei rischi; oppure, l’applicazione delle tecniche di analisi genomica in ambito giuridico per l’accertamento della paternità o per l’individuazione di responsabilità penali, e così via». ii. Libertà di ricerca e tutela della persona 107 che venga rispettato il principio individuale della autodeterminazione del soggetto sottoposto ad analisi. Per ultimo, è necessario vietare l’elaborazione, la memorizzazione e l’utilizzazione di schede genetiche individuali da parte di autorità pubbliche e di enti privati, e infine vi è l’esigenza che le informazioni genetiche individuali siano attendibili. Capitolo III Responsabilità e libertà di fronte al progresso della scienza e della tecnica 3.1. Scienza e tecnica per l’uomo o contro l’uomo? Come annotava Albert Einstein, «la ricerca della verità è più preziosa del possederla» e subito dopo aggiungeva, «l’immaginazione vale più della conoscenza»1. Questi aforismi, apparentemente contraddittori, delineano un discorso sull’intrinseco valore della ricerca, che va al di là delle sue applicazioni “pratiche” e che, a differenza delle ideologie, connota un innato impulso, l’essenza stessa del genere umano vale a dire la curiosità. Va da sé, sopratutto in una società così complessa come la nostra, che la ricerca scientifica, e ancora di più quella biomedica, non può certo essere ridotta a un mero diletto del ricercatore, in quanto le ricadute di una scoperta scientifica possono essere devastanti. La scienza è animata da un’intenzione tecnica che guarda il mondo per modificarlo. «Scientia est potentia», diceva Bacone2. È da qui che nasce l’esigenza di conciliare l’insopprimibile necessità di una ricerca libera, con le ricadute che questa ha sulla società. È in tal senso che sorge la necessità di stabilire un contatto tra cultura scientifica e umanistica, secondo quella visione di memoria potteriana di bioe 1. Cfr. A. Einstein, Autobiografia scientifica, trad.it., A. Gamba, Universale Scientifica Boringhieri, Torino 1979. 2. Cfr. S. Vanni Rovighi Filosofia della conoscenza, Edizioni Studio Domenicano, 2007. S.v. inoltre F. Cavalla, Scientia, sapientia ed esperienza sociale / La ricerca della verità come fondamento del pensiero giuridico–politico di S. Agostino, Cedam, Padova 1974. 109 110 La libertà responsabile della ricerca tica3, osservando in modo privilegiato temi fondamentali per la salute e l’identità psicofisica dell’uomo quali nascita, vita, malattia, morte, ma soprattutto quelli resi sempre più attuali dal progresso biomedico caratterizzati da clonazione, biotecnologie, medicina genica. Sulla base di tale ragionamento è necessario guardare all’essere umano come singolo dotato di individualità specifica e come parte di un sistema, naturale e sociale, con il quale è in continua interazione4. In un momento in cui la scienza sembra essersi definitivamente sostituita all’economia e alla politica come motore della storia, è doveroso, capire quale sia il rapporto tra ricerca scientifica e qualità della vita. Anche perché, nessuna epoca della storia ha conosciuto un progresso scientifico neppure lontanamente comparabile, per velocità e risultati, a quello attuale5. Se da una parte, quindi, inimmaginabili confini sono stati raggiunti e nuove straordinarie prospettive per la ricerca sono state aperte anche in biomedicina, dall’altra, si sono estesi grandi orizzonti anche in ambito terapeutico. Le ricadute tecnologiche di queste scoperte, hanno però creato circuiti di business non sempre virtuosi. Giorno per giorno infatti, emergono sempre nuovi problemi etici, spesso angosciosi per il futuro della società, e per una “qualità” della vita non solo “nominalmente” umana6. D’altra parte l’innovazione è spesso così rapida da non concedere il tempo per una riflessione etico/filosofica realmente meditata, resa peraltro difficile, nella nostra società complessa, dal contrasto di riferimenti antropologici divergenti, oltre che per il relativismo etico sempre più presente7. 3. Cfr. V.R. Potter, op. cit. 4. Cfr. G. Tarro, Ricerca scientifica: dove siamo, dove andiamo? in Medicina e Bioetica: per informarsi, capire, discutere. www.aiac–cli.org/pubblicazioni/tarro/ricerca. 5. Cfr. G. Tarro, op. cit. 6. Cfr. F. Reggio, La vita come danno. Alcune note in margine ad una recente sentenza in tema di “diritto a non nascere”, in F. Zanuso (a cura di), op. cit., p. 165. «La categoria concettuale della qualità della vita, invocata solitamente dalla bioetica pro–choice, contrapposta alla sacralità della vita. Ciò che occorre mettere in evidenza è che laddove la qualità della vita funge da indicatore della sua dignità, vi è il rischio concreto che la vita in difetto di tale requisito venga appiattita al livello di altre realtà biologiche solitamente trattate alla stregua di oggetti pienamente disponibili». 7. Cfr Giovanni Paolo ii, Evangelium vitae, Libreria editrice Vaticana, Roma, 1995, nn. 68–74. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 111 Pertanto, ai fini di una più precisa chiarificazione del nostro discorso si rende necessaria una iniziale delucidazione terminologica dei termini tecnica e scienza, in modo tale da comprendere come questi, hanno subìto una evoluzione nel panorama occidentale, tanto da un punto di vista storico antropologico, quanto socio culturale. La tecnica nasce con l’uomo, il termine, nel tempo, ha avuto numerosi significati, indicando regole e metodi pratici che presiedono a un’arte, professione, mestiere, attività intellettuale, sportive, attività pratiche, basate su norme acquisite con l’esperienza, nelle varie epoche e aree, oltre a procedimenti per lavorare i materiali o produrre oggetti8. In senso più generale e culturale, il termine «tecnica» indica, invece, le forme di attività che producono i mezzi volti a migliorare le condizioni di vita e di lavoro, mentre il termine «tecnologia» assume diversi significati, tra i quali studio degli strumenti per risolvere problemi pratici, ottimizzazione delle procedure, scelte e decisioni strategiche volte a raggiungere dati obiettivi, insieme di elaborazioni teoriche e sistematiche volte a pianificare e razionalizzare gli interventi produttivi, analisi scientifica delle tecniche più progredite in un dato settore di ricerca o produzione, conoscenze della natura costitutiva dei materiali e dei loro usi e impieghi ecc. Con riguardo, invece, a realtà come impianti, oggetti, cose, oggi si preferisce parlare di «sistemi». Per «sistema tecnologico» infatti, s’intende in senso generale, un insieme di elementi umani, concettuali e materiali, coordinati fra loro per formare un complesso organico funzionale soggetto a proprie regole, viceversa in senso particolare, un insieme di elementi coordinati, secondo determinati metodi, per attuare certe operazioni. Per «cultura tecnologica» s’intende l’insieme di idee, sentimenti, stili di vita, atteggiamenti e comportamenti che caratterizzano le socioculture tecnologizzate. In tal senso, cultura «tecnologica» e «tecnoscientifica» sono sinonimi9. 8. Cfr. G. Gismondi, Tecnologia, in Documentazione interdisciplinare di Scienze e fede, a cura di G. Tanzella–Nitti, A. Strumia, Urbaniana University Press, Città Nuova Editrice, Roma 2002. 9. Cfr. G. Gismondi op. cit. 112 La libertà responsabile della ricerca È indispensabile a questo punto considerare insieme scienza e tecnica, in quanto esse si possono distinguere ma non separare10, pur sollevando complessi problemi sia all’Occidente che alle altre aree del mondo. Riguardo alle relazioni fra «tecnologia» e «scienza», quest’ultima viene intesa come attività umana che indaga cause, leggi ed effetti di determinati fenomeni, mediante elaborazioni teoriche e verifiche sperimentali. Essa, però, è implicita nella tecnologia che è, insieme, scienza tecnica e scienza della tecnica ed, attualmente, si caratterizza per tre elementi specifici: a) sistemi sempre più vasti e complessi, b) crescente potenziale energetico, c) aumento di efficienza operativa. Inoltre, vanno rilevati i suoi tre caratteri di progettualità, materialità, permanenza strutturale. Sono proprio questi elementi e caratteri, che in buona parte la differenziano dalla scienza. La rendono molto affine, invece, alle procedure razionali, ovvero definire i problemi in termini empiricamente controllabili, analizzare rigorosamente le condizioni per le loro soluzioni, elaborare strategie necessarie per attuare tali condizioni, coordinare le conoscenze, per farne efficaci strumenti strategici11. La tecnologia rappresenta, quindi, un ambito di realtà con specifiche scienze progettuali (ingegneria), volte a trasformare le situazioni esistenti in situazioni desiderate12. Ciò significa che non è esatto ridurla a pura applicazione delle conoscenze scientifiche (scienza applicata), ed è coerente fino in fondo con l’ideale moderno della scienza, che non era contemplativo bensì pratico, ovvero conoscere l’operare della natura, per imitarla, riprodurla e correggerla, dominare le leggi che “fanno” le cose per produrre cose nuove13. Le scienze definite “pure” sono anch’esse intrinsecamente tecnologiche, in quanto le loro osservazioni, misurazioni, calcoli ed esperimenti esigono 10. Ibidem. 11. Cfr. E. Agazzi, La questione del realismo scientifico, in C. Mangione (a cura di), Scienza e filosofia, Garzanti, Milano 1985, pp. 15–16. 12. Cfr. G. Gismondi, op. cit. 13. Cfr. F. Borrelli, Martin Heiddeger la tecnica moderna e la questione ambientale, in «ENEA Notiziario Energia, Ambiente, Innovazione», Anno 36, n. 2/3 febbraio–marzo 1990. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 113 strumenti capaci di produrre anche artificialmente i fenomeni da osservare e misurare e con cui verificare ipotesi e teorie14. La cultura moderna, dunque, è caratterizzata da una scienza divenuta tecnica e una tecnica divenuta scienza (tecnologia). Uomo scientifico e tecnologico, collaborano strettamente fino a unirsi. Vide bene, quindi, Heidegger definendo la tecnica, non una pura applicazione dei risultati scientifici, ma la forma della scienza che traduce il pensiero da teoretico a produttivo15. Pure gli storici, hanno dimostrato che l’idea di scienza pura non esisteva in passato, ma è una creazione recente.16 Una buona cultura tecnologica, quindi, deve riconoscere che l’uomo inventò tecniche e scienze, per varie ragioni, come soddisfare necessità primarie, produrre tecnologie complesse in funzione dell’aumento delle sue esigenze, nonché, creare sistemi tecnologici per liberarsi dalle urgenze naturali o biologiche e dedicarsi a compiti più umani ed esigenze più spirituali e culturali17. Alla luce di ciò, l’Enciclica Veritatis splendor esordisce, sottolineando che «lo sviluppo della scienza e della tecnica, splendida testimonianza delle capacità, dell’intelligenza e della tenacia degli uomini, non dispensa l’umanità dagli interrogativi religiosi ultimi, ma piuttosto la stimola ad affrontare le lotte più dolorose e decisive, quelle del cuore e della coscienza morale»18. La concezione umanistico–antropologica, evidenzia, quindi, che un valido discorso sulla tecnologia non può limitarsi ai rapporti, dipendenze e priorità con scienze, economia e produzione. Esso va inserito, invece, in un ampio contesto umanistico e socioculturale, che riguardi pure la liberazione dell’uomo dai limiti e condizionamenti della sua materialità. Appare quindi, decisivo riflettere sul significato antropologico della “tecnicità originaria” 14. E. Agazzi, Il bene il male e la scienza, Rusconi, Milano 1992, pp. 75 e ss. 15. Cfr. M. Heiddeger, La questione della tecnica, in Saggi e discorsi, Mursia Milano 1976 s.v. inoltre Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo (1938), in Sentieri interrotti, La Nuova Italia Firenze, 1968. S. v. sull’argomento, E. Severino, Il destino della tecnica, BUR, Milano 2009. 16. Sull’argomento s.v. M. Jacob, Il significato culturale della rivoluzione scientifica, Einaudi, Torino 1992, p. 163. 17. Cfr. G. Gismondi, op. cit. 18. Cfr. Giovanni Paolo ii, Enciclica Veritatis Splendor, 1993 n. 1. 114 La libertà responsabile della ricerca dell’uomo, aperta alla “progettualità” e alla “speranza”. Quel «principio speranza» sottolineato da Bloch, prova infatti, l’esigenza di un umanesimo tecnologico, aperto alla riflessione filosofica, antropologica, etica e teologica19. In tal senso, si apre, quindi, un discorso sui fini, i significati fondamentali e i valori culturali globali, che superano il puro ambito tecnoscientifico20. Ma giunti a questo punto occorre se pur brevemente, fare un passo indietro e provare a ricostruire il progredire della tecnica partendo dal tempo della sua nascita. Nell’antica Grecia, si trovava la tecnica in un stato di inferiorità rispetto a quella che i che i greci chiamavano la necessità che vincola la natura21. Nuove esigenze, sempre più complesse e diverse richiedevano però, nuovi sviluppi tecnici. Tuttavia, le innovazioni medievali, per quanto numerose e importanti, rimasero a livello della tecnica, senza divenire scienza o tecnologia. Fu il Rinascimento ad aprire il periodo faustiano della tecnica, all’insegna del brocardo baconiano, scientia et potentia in unum coincidunt nel senso che conoscenza e potere coincidono22, il sapere come potere doveva così condurre al paradiso tecnologico dotato di tutte le invenzioni23. In tale contesto, Cartesio, 19. Cfr. E. Block, Principio speranza, Garzanti, Milano, 2005; Cfr. inoltre sull’argomento G. Gismondi, Cultura tecnologica e speranza cristiana, Ed. Ancora, Milano 1995, pp. 6–7, 150–151. 20. Cfr. G. Gismondi, Nuova evangelizzazione e cultura, Il Mulino, Bologna 1993, pp. 243 e ss. inoltre si veda dello stesso autore, Fede e cultura scientifica, Il Mulino, Bologna 1993, pp. 20–22. 21. S.v. M. Calloni, Il nuovo e le innovazioni: dalle teologie alle biotecnologie. Quale ruolo per l’etica pubblica? in G. Ardrizzo, (a cura di), Governare l’innovazione responsabilità etica, Rubbettino, Soveria Manelli 2003, p. 96. «La nozione di tecnica nella Grecia antica non viene concepita in termini di progresso, nonostante sia riconosciuta come parte costitutiva delle facoltà umane, infatti Aristotele concepisce come correlate alcune dimensioni dell’agire umano: tecne, poiesis e praxis. Tale tripartizione verrà poi ripresa da Hanna Arendt la quale, teorizza la condizione umana come fondata sull’attività lavorativa, sull’operare ovvero quella dimensione non naturale dell’esistenza umana e sull’azione ovvero quella attività che pone in relazione gli esseri umani senza la mediazione delle cose naturali». A tal proposito Cfr., sull’argomento H. Arendt, Vita Activa. La condizione umana, trad. it., Bompiani, Milano 2000. 22. Cfr. M.G. Moretti, Scienza ed epistemologia in Francesco Bacone. Dal Novum organum alla New Atlantis, Studium, Roma 2004. 23. Cfr. H. Jonas, op. cit. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 115 proponeva di tralasciare gli aspetti teorici, per attuare una scienza utile al dominio della natura24 e alla vita migliore. Il sapere passava da “disinteressato” a “utile”, contrapponendo la natura manipolabile dall’uomo alla creazione biblico–cristiana e ai fini stabiliti da Dio.25 Lo spirito “prometeico” ispirava la cultura tecnologica moderna e preparava i giganteschi sistemi volti a costruire il mondo di un uomo dominatore dell’universo26. Scienze esatte, naturali e tecniche, stringevano rapporti sempre più stretti. L’ingegno tecnologico si espandeva, favorito da più condizioni quali la riscoperta della scienza greca, i fermenti intellettuali e sociali, l’accumulo di ingenti risorse finanziarie. Nasceva così, il dominio pratico sulla natura, mediante quella che viene definita razionalità tecnologica27. Nel secolo XX, questa eccezionale crescita, le idee che l’hanno accompagnata e le conseguenze che essa ha provocato, vengono sottoposte a una riflessione sistematica. Alcuni prevedevano miglioramenti radicali delle condizioni di lavoro, la fine dei suoi aspetti meno gratificanti e la riduzione della fatica, mentre, altri vedevano nel progresso tecnologico il perfezionamento degli individui. I critici, invece, sottolineavano la rottura dell’antica alleanza fra uomo, tecnica e natura, operata dalla tecnologia moderna, da cui ne conseguiva lo sfruttamento e la distruzione della natura, legato ai progetti scientifici, tecnologici e industriali.28 24. Cfr. H. Jonas, op. cit. 25. Cfr. E. Garin, Vita e opere di Cartesio, Laterza, Bari 1999. 26. Cfr. M. Calloni, op. cit., p. 97. «Con l’età moderna raffigurata con le sembianze di quel Prometeo, che era riuscito a slegarsi dalle catene, con cui gli Dei gli avevano impedito la libertà, indica invece il corso progredente che la storia avrebbe dovuto seguire. Le capacità umane la libertà di pensiero e di azione, così come le abilità tecniche, divengono segno dello sviluppo continuo dell’umanità». Per maggiori approfondimenti sull’argomento, Cfr. F. Zanuso, Il filo delle parche, cit., p. 12. Come scrive l’autrice « è dalla dimenticanza del limite invalicabile dell’esistenza che nasce il modello dell’uomo tecnico , dell’uomo che come dice Anassagora è intelligente perché ha le mani, grazie all’attività manipolativa egli pretende di dominare il mondo, trasformandolo in base ad un suo puntuale progetto». 27. Cfr. G. Gismondi, Cultura tecnologica, cit. 28. Ibidem. 116 La libertà responsabile della ricerca Da questa, se pur breve disamina storica, emerge chiaramente come l’uomo nel corso dei secoli si sia sempre più servito della tecnica per migliorare la sua qualità di vita29. Il secolo XX, ha sviluppato come avverte Gismondi, una «futurologia scientifica» che, dapprima, ha cercato di capire il futuro per orientare il presente, non riuscendovi, allora ha tentato di capire il presente per anticipare il futuro, ma anche qui con nuovi insuccessi.30 Alla luce di ciò, oggi i rapporti sono rovesciati, la scienza da strumento utilizzato dall’uomo per raggiungere degli scopi è diventata essa stessa il primo scopo, e nella sua ascesa, ha messo in crisi i valori etici31. Non a caso, nella Enciclica, Centesimus annus si legge che «è necessario lasciarsi guidare da un’immagine integrale dell’uomo, che rispetti tutte le dimensioni del suo essere e subordini quelle materiali e istintive a quelle interiori e spirituali» per cui «l’obbedienza alla verità su Dio e sull’uomo è la condizione prima della libertà, consentendogli di ordinare i propri bisogni, i desideri e le modalità del loro soddisfacimento secondo una giusta gerarchia»32. Inoltre, in linea con quanto ricordato dalla Gaudium et Spes, che valuta con equilibrio gli aspetti positivi e negativi della tecnologia, il pensiero cristiano privilegia gli approcci antropologici, umanistici e culturali33. Il citato documento del Concilio Vaticano II, riconosce che la tecnologia apre nuove vie, contribuisce a migliorare la vita e diffonde la cultura pur sottolineando tuttavia, che non sempre essa persegue veri valori umani34, poiché se da un lato la tecnica apre nuovi orizzonti contribuendo a migliorare la vita, dall’altro è capace altresì di trasformare e plasmare la natura35. L’equilibrio fra lo sviluppo tecno–scientifico e tali valori, quindi, è uno dei compi 29. Cfr. G. Gismondi, op. cit. 30. Cfr. G. Gismondi, Critica ed etica nella ricerca scientifica, Marietti, Torino 1978. 31. Cfr. G. Tarro, op. cit. 32. Cfr. in tal senso, Giovanni Paolo II, Enciclica Centesimus annus, nn. 36, 41–42, 1991. 33. Cfr. G. Gismondi, Fede e cultura scientifica, cit. 34. E. Sgreccia, C. Paolozzi, Manuale di bioetica Ed. 4, Vita e Pensiero, Milano 2007, p. 971. 35. Ibidem. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 117 ti più urgenti nelle attuali culture tecnologiche. Pertanto, la ricerca scientifica e le trasformazioni tecniche possono consentire sia una miglior convivenza sociale che una maggiore responsabilità.36 Vi è così, il rischio di un percorso scandito in quattro tappe37: 1) la tecnica apre nuove possibilità, prima impensabili o impraticabili; 2) esse accendono desideri inediti; 3) i desideri tendono a essere considerati diritti; 4) si scatena la battaglia per il loro riconoscimento giuridico. Occorre sottolineare che in questo quadro, la funzione direttiva è esercitata non dal diritto, e nemmeno dalla politica, bensì dalla tecnica, il che comporta la morte stessa del concetto di diritto e di etica, per dirla con Hobbes «Auctoritas, non veritas facit legem», è la forza quindi, a dettare la legge e non più il riferimento alla verità delle cose.38 Com’è noto, negli ultimi anni la possibilità di manipolare il corredo genetico degli organismi, anche a fini preventivi, ha determinato lo strutturarsi di un acceso dibattito che verte sulla liceità o meno di adottare per il DNA gli stessi criteri adottati per identificare gli organismi e, cioè, la contrapposizione tra una lettura prettamente analitica e una storica. Da queste due letture, scaturiscono due direttive tra esse incompatibili. La prima, vede il DNA come un qualcosa che è lecito “riparare” e “migliorare” al fine di evitare all’organismo dell’individuo tutta una serie di “malfunzionamenti”, la seconda, invece, operando una lettura evolutiva del DNA, legge anche la presenza, in alcuni individui, di DNA “irregolare”, e quindi causa di malattie, come il prodotto di un complesso processo evolutivo dell’intera specie che non è ancora del tutto conosciuto e che, anche per tale motivo non è lecito manipolare. 36. Cfr. Papa Paolo vi, Gaudium et spes, Libreria Editrice Vaticana, Roma 1965. «I padri conciliari posero l’attenzione della Chiesa sulla necessità di aprire un proficuo confronto con la cultura e con il mondo. L’intento era quello di riallacciare profondi legami con “gli uomini e le donne di buona volontà”, soprattutto nell’impegno comune per la pace, la giustizia, le libertà fondamentali, e la scienza». 37. Cfr. G. Tarro, op. cit. 38. Cfr. F. Gentile, Intelligenza politica e ragion di stato, Giuffrè, Milano 1983, p. 381. 118 La libertà responsabile della ricerca Finora le rudimentali ricerche diagnostiche, avevano posto problemi etici principalmente nel caso dell’individuazione di gravi tare genetiche nell’organismo di un nascituro, con la conseguente ipotesi di aborto terapeutico. Una drammatica decisione che spettava unicamente ai genitori, senza l’interferenza di alcuna autorità se non quella delle loro convinzioni morali39. Più complesse sono invece, le implicazioni etiche, quando vengono accertate predisposizioni genetiche verso altri morbi quali, per esempio la corea di Huntington, i cui sintomi compaiono intorno ai quarant’anni. Nulla esclude, infatti, che tra quarant’anni questa malattia possa essere facilmente curata40. In ogni caso, queste opportunità diagnostiche, sono da guardare positivamente in quanto spingono l’individuo verso attività di prevenzione che, come è noto, rappresentano una formidabile arma per la cura del cancro. È, altresì vero, però, che la conoscenza di un rischio aumentato farà aumentare lo stato d’ansia in persone psichicamente più labili, ma, comunque, anche in questo caso spetterà esclusivamente al medico gestire la salute fisica e psichica dei propri pazienti. Molto più complesse sono invece, le implicazioni etiche dell’estendersi dei test diagnostici in campi quali, ad esempio, quello delle assicurazioni o delle assunzioni di personale. La questione, è quindi molto complessa e mette in discussione, il ruolo del medico legale che, se da una parte, come medico, è tenu- 39. Cfr. G. Tarro, op. cit. S. v. inoltre F. Cavalla, Diritto alla vita diritto sulla vita, op. ult. cit., p. 75. L’autore afferma «che è sempre la volontà del singolo o dello Stato che è sollecitata ad affermare il proprio potere sulla vita attraverso l’uso spregiudicato di mezzi tecnici. In ogni caso quando si pensa solo ad un diritto sulla vita, anziché alla vita , quando si pensa che la durata dell’esistenza costituisca un fenomeno sottoposto, anziché sottratto, alla volontà dell’uomo, necessariamente si perde la convinzione che comunque la soppressione di una vita costituisca un gravissimo illecito». 40. Cfr. A.M. Vallegiani Panigada (a cura di), La corea di Huntington in DM n. 117 – febbraio 1995. «La malattia di Huntington o MH è una malattia degenerativa del sistema extrapiramidale che rientra nel capitolo delle sindromi ipercinetiche. La malattia è stata descritta nel 1872 da George Huntington. Tale patologia si presenta con caratteristiche quali ereditarietà, disturbi del movimento, fra cui còrea (dal greco, danza), disturbi cognitivi e del comportamento. L’età d’esordio si colloca attorno ai 40–50 anni». iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 119 to al giuramento di Ippocrate41 che lo vincola al segreto professionale, d’altra parte, in molti casi, lavorando su commissione non già del paziente ma di una compagnia di assicurazione, è obbligato a violare tale segreto. Come già detto, la questione è già spinosa, ma lo diventerà ancora di più nei prossimi anni con l’estendersi di test diagnostici capaci di individuare i geni predisponenti alle più diffuse cause di morte quali il diabete, l’ipertensione, il cancro42. Nel campo della prevenzione, un dibattito ancora più acceso è quello sollevato dalla moderna eugenetica43. Questo termine inteso come disciplina tesa a migliorare le caratteristiche delle varie popolazioni umane risale al 1883 con gli studi di Galton, anche se finirono, ben presto per alimentare tesi razziste pseudoscientifiche, traducendosi nella Germania nazista nelle famigerate leggi sulle restrizioni matrimoniali e sulla sterilizzazione obbligatoria per particolari portatori di handicap44. Nonostante queste catastrofiche applicazioni, l’eugenetica, negli ultimi anni, sta conoscendo un rinnovato interesse a seguito della mappatura del patrimonio 41. Cfr. L. Di Cioccio, Il giuramento di Ippocrate, CESI, Milano 2007. «Per molti secoli le regole che disciplinano il rapporto medico–paziente si sono basate sul giuramento d’Ippocrate (460–377 a.C.), il medico di Cos a cui si deve anche il concetto di segreto professionale. L’etica che il padre della medicina moderna occidentale ha trasmesso, rispecchia l’ideale del medico come filantropo al servizio di tutta l’umanità e al di sopra di qualsiasi divisione tra gli uomini. A partire dal XVI secolo, si assiste a una emancipazione della persona: le grandi rivoluzioni politico–religiose e i grandi pensatori da Locke a Kant, trasformeranno infatti, questa sudditanza in rispetto reciproco in cui ogni persona è un individuo autonomo e indipendente, in grado di servirsi della propria ragione». 42. Cfr. G. Tarro, op. cit. 43. «Sebbene il concetto di eugenetica fosse già abbozzato nella Repubblica di Platone, il termine moderno si diffuse nella seconda metà del XIX secolo e negli anni trenta fu usato strumentalmente dai nazisti per giustificare lo sterminio della popolazione ebraica e di altri gruppi etnici. Alla base dell’interesse per l’eugenetica vi erano due convinzioni filosofiche diffuse: la fede crescente nella scienza come forma di conoscenza più utile e affidabile, e la convinzione della perfettibilità della specie umana». in “Eugenetica” Microsoft Encarta Enciclopedia Online 2009. Cfr inoltre A. Galli, Nietzsche, profeta dell’eugenetica, in «Avvenire», 21 settembre 2005. 44. Cfr. G. Widmann, Origini e breve storia dell’eugenetica, in «Humanitas», IV, Morcelliana, Brescia 2004, p. 669. 120 La libertà responsabile della ricerca genetico umano45. Fino a ora l’eugenetica, avvalendosi degli studi di genetica di popolazioni, si è limitata a prevedere quali tipi di incroci sarebbero più adatti per eliminare o diminuire geni indesiderabili dalle popolazioni umane. È evidente che il discorso su quali siano le caratteristiche desiderabili da riprodurre e quali quelle da eliminare è molto complesso. Sempre concordi sul voler eliminare cecità, sordità e simili anomalie, non lo si è più quando si debba stabilire quali siano i caratteri psicosomatici da incentivare. Come osservato da Tarro, scartate le velleità di “migliorare” l’umanità selezionando una “razza eletta”, fino a oggi l’eugenetica si è posta lo scopo di prevenire la trasmissione dei geni ritenuti indesiderabili con vari metodi, che vanno dallo sconsigliare i portatori di tare genetiche (ad esempio Anemia falciforme) a prolificare, fino alla sterilizzazione degli stessi comprendendo anche il cosiddetto aborto eugenico46. Come è ovvio, l’irrompere sulla scena della genetica molecolare47 e, quindi della possibilità di manipolare il corredo genetico dei gameti ha ridato voce ai fautori di una eugenetica come potenziale artefice di un “miglioramento” di alcuni genotipi umani48. L’ingegneria genetica e più in generale le nuove tecnologie della riproduzione e quelle biomediche, producendo innovazioni totalmente nuove, al di fuori degli schemi precedenti, hanno finito così per scardinare, sia nel campo laico che in quello religioso, valori e punti di riferimento tradizionali49. La possibilità di manipolare la vita, come mai era stato concesso all’uomo, pone nelle nostre mani quindi, una immensa responsabilità delineando al contempo un futuro gravido di scenari positivi ma per certi versi anche di catastrofe50. 45. 46. 47. p. 51. 48. 49. 50. Cfr. G. Widmann, op. cit., pp. 670 e ss. Cfr. G. Tarro, op. cit. Cfr. M.C Tallacchini, F. Terragni, Le biotecnologie, Mondadori, Milano 2004, Sul punto s.v. J. Habermas, op. cit., pp. 23 e ss. Cfr. G. Tarro, op. cit. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 172. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 121 Jonas, che già alla fine degli anni Settanta aveva fatto appello a un nuovo principio di responsabilità per gli uomini del mondo contemporaneo, ha esaminato con chiarezza e precisione la novità della tecnica biologica in rapporto alla restante tecnica o ingegneria. In tale contesto, di fronte alla minaccia costituita dall’uso sconsiderato della tecnica e al fatto che, con il controllo biologico dell’uomo, in particolare con il controllo genetico, oggi è perfino la natura dell’uomo a ricadere nella sfera di potere degli interventi umani, il primo precetto da seguire diventa, la prudenza51. La vera scienza, assumendosi in pieno le sue responsabilità e anche altre che non le competono immediatamente e direttamente, può rivestire il ruolo di protagonista autorevole52 in una società apparentemente democratica, che si serve, invece, delle tecnologie o delle paure a esse correlate, per imporre un’omologazione totalitaria di culture, mercati e standard di vita. Ma anche qui, come si pone la ricerca scientifica, le cui motivazioni di fondo oscillano ormai senza pudore dal generico bene dell’umanità, al ben più concreto risvolto economico? Naturalmente a tutto vantaggio di tecnocrazia e predominio dei ricchi (c.d. plutocrazia) già imperanti53. Nell’era della civiltà tecnica il primo dovere del comportamento umano collettivo è il futuro dell’umanità.54 Nell’ambito di tale responsabilità rientra anche il futuro della natura, ciò è dimostrato dal fatto che l’uomo è diventato pericoloso per se stesso e per l’intera biosfera55. Questi due aspetti non possono essere separati fino al punto di dover considerare i due doveri come se fosse uno, parlando quindi, in generale, di dovere verso l’uomo56. Anche perché, dal pun 51. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 145. 52. Cfr. R. Azzaro Pulvirenti, Etica e politica della ricerca in «Analisys. Rivista di cultura e politica scientifica», n. 4/2001, Dicembre 2001. 53. Cfr. R. Azzaro Pulvirenti, op. cit. 54. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 156. 55. Cfr. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., pp. 186 e ss. 56. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 175. «Infatti anche se i due aspetti fossero separabili, cioè anche se in un ambiente devastato fosse possibile una vita umana, la pienezza vitale della terra affidataci, avrebbe diritto alla nostra tutela. Ma visto che i due aspetti non 122 La libertà responsabile della ricerca to di vista umano, la natura ha una dignità propria che si contrappone al nostro potere, pertanto è necessario, considerarsi debitori verso tutto ciò che la natura ha creato per il semplice fatto che siamo stati generati dalla stessa57. Occorre in tal senso, prendersi cura quindi al tempo stesso della natura e dell’umanità, «umanità intesa come soggetto che vive nell’estensione dei secoli»58. Improvvisamente la vita e il mondo, nonché gli stessi uomini, vengono minacciati dal nostro modo di agire e tale pericolo genera così un nuovo dovere, che spinge verso la conservazione, la protezione e la prevenzione. Nell’epoca in cui viviamo, caratterizzata come più volte in questa sede ribadito dalla totale minaccia per il futuro dell’umanità, si è costretti così a fare un passo indietro e ritornare, come avverte la Helzel, alla questione relativa al dover essere dell’uomo59. In tale contesto, la prima cosa che un’etica dell’emergenza dovrebbe fare per il futuro, è quello di tradurre il «no al non essere» in«sì all’essere». È facile capire che viviamo in una situazione in cui, come osservato da Jonas, se lasciamo che le cose seguano il loro corso è imminente una catastrofe universale. Il pericolo scaturisce soprattutto dalle smisurate dimensioni che la civiltà tecnoscientifica e industriale hanno raggiunto, in particolare la stessa minaccia della catastrofe proviene dal successo tecnologico ormai divenuto smisurato60. sono separabili, l’interesse dell’uomo coincide con quello del resto della vita in quanto sua dimora». 57. Ibidem 58. Cfr. L. Lippolis, Dai diritti dell’uomo ai diritti dell’umanità, Giuffè, Milano 2003, p. 152. 59. Per maggiori approfondimenti rinvio a G.P. Calabrò, P. B. Helzel, op. cit., pp. 191 e ss. «La nuova morale, avverte la Helzel, consisterà in un venir meno dell’attuale reciprocità dei diritti e dei doveri, poiché l’uomo di oggi ha tutta una serie di doveri verso l’umanità di domani». 60. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 179. «Per successo biologico, intende invece, l’incremento demografico esponenziale della popolazione. Tale successo se da una parte mette in discussione quello economico, dall’altra minaccia di provocare una catastrofe naturale e umana gigantesca. Il rischio di una esplosione demografica costringe l’umanità a saccheggiare il pianeta. È difficile immaginare in che modo un residuo di umanità potrà ricominciare su una terra devastata dalla catastrofe. Per successo economico, inve- iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 123 È necessario, quindi, prendere coscienza del fatto che è possibile far fronte al potere solo con uno stadio ulteriore di potere e non rinunciando allo stesso, tanto da essere arrivati sino al punto di aver perso l’autocontrollo, e di non essere in grado né di difendere l’uomo da se stesso, né la natura dall’uomo. Entrambi hanno bisogno di tutela. Lo stesso potere per riuscire a dominare la natura non ha fatto altro che sottomettersi a se stesso, da qui la necessità, seguendo il ragionamento di Jonas, di un potere sul potere, capace di autolimitare il proprio dominio61. Il potere è quindi condizionato dal fatto che i soggetti guidati sono disponibili a lasciarsi guidare, e il terrore diventerà un mezzo utile per il raggiungimento di tale scopo. La sede del concetto di “progresso”, la si può trovare proprio nella sfera morale e personale62 e ciò è dimostrato dal fatto che l’individuo è capace di migliorare in quanto l’idea di progresso è una caratteristica insita nell’uomo63. Visto che la persona nasce dal nulla e deve venire a conoscenza di tutto, il progresso rappresenta, quella legge evolutiva cui ognuno deve far parte. Il problema che qui si pone, è se questo tendere verso il meglio, perduri o meno anche dopo aver conseguito la maturità biologica64. L’etica, su questo punto, si è sempre espressa positivamente, ritenendo che fino alla morte il sapere e la capacità non devono arrestarsi65. In riferimento al progresso nella civiltà, secondo la concezione jonasiana, non vi sono dubbi che esista un progresso nella civiltà che va al di là della vita singola, infatti, in tutto, ha luogo un progresso che tende al me- ce, intende, un incremento della produzione di beni pro capite, nonché la diminuzione dell’impiego di lavoro umano e crescente aumento del benessere di molti, e tutto ciò comporta il rischio di un supersfruttamento delle risorse naturali». 61. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 181. «Visto che il potere di primo grado , che si orientava verso una natura inesauribile, si è trasformato in un potere di secondo grado, che la sottrae al controllo dell’uomo, l’autolimitazione del dominio è diventata competenza di un potere di terzo grado». 62. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 208. «Già Socrate dava per scontato che la virtù cresce con la virtù, essendo il prodotto di un’educazione progressiva nella quale giocano giusta compagnia, pratica, conoscenza e aspirazione costante». 63. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 211 64. Ibidem. 65. Cfr. H. Jonas, op. cit., pp. 215 e ss. 124 La libertà responsabile della ricerca glio, così come può verificarsi un’ascesa, un regresso66. Ma per tutto questo progresso c’è un prezzo da pagare, ossia per avere tutto ciò bisogna cedere qualcosa di prezioso, costi umani e animali sono molto elevati e destinati ad aumentare. La situazione relativa al progresso della scienza e della tecnica, è dunque chiara e non pone dubbi. Tutto lascia pensare che si tratti di un progresso indefinito che continuerà nel futuro senza alcuna interruzione e il suo carattere ascendente, in base al quale ciò che segue è superiore a ciò che lo precede, è un dato di fatto incontestabile. La questione relativa al suo costo risulta, invece, meno chiara, lo svolgimento della scienza non rappresenta solo un diritto, ma anche un dovere del soggetto conoscente. Tale soggetto non è più rappresentato dallo spirito individuale, ma da quello collettivo della società. In questo caso, è importante individuare il costo del progresso scientifico che prende il nome di “specializzazione”, e che determina una frammentazione del sapere complessivo a disposizione dei suoi seguaci. L’individuo per poter collaborare al processo deve sacrificare la sua compartecipazione a tutto ciò che va al di là della sua sfera di competenza. Così facendo però, se da una parte aumenta il sapere globale, dall’altra il sapere del singolo si frammenta. La situazione cambia se si prende in considerazione la tecnica, che a differenza del progresso, può avere a che fare con l’utopia, proprio perché modifica il mondo determinando le condizioni reali e le modalità della convivenza umana. Tant’è vero che le diverse utopie includono la tecnica nei loro progetti. La differenza fondamentale tra la tecnica e la scienza consiste, quindi, nel fatto che nella tecnica il progresso può anche essere indesiderato. Entrambe sono però accomunate dal fatto che nel progresso tutto ciò che segue è sempre superiore a ciò che lo ha precedu- 66. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 209. «Ossia nella scienza e nella tecnica, nella sicurezza e nella comodità della vita, nell’organizzazione diretta a provvedere ai bisogni, nello stato giuridico, nei costumi, ovvero nelle usanze della convivenza umana che possono essere più rozze o più raffinate, più rigide o più flessibili, più violente o più pacifiche». iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 125 to67, per di più, sia nel caso della tecnica che in quello della scienza, la loro storia, è fatta di successi in grado di suscitare l’aspettativa di altri successi. Dal punto di vista della morale, allora scienza e tecnica, sono strettamente connessi. La scienza potrebbe avere effetti morali su tutti coloro che la praticano, ma di sicuro non può averli in virtù del suo progresso, la stessa collettività non viene coinvolta dalla scienza, ma dalla tecnica e in particolare da tutto ciò che questa immette nel mondo. L’incidere, quindi, della scienza e della tecnica nel Novecento, sarebbe stato molto forte, e i confini tra cultura scientifica e saperi umanistici e pratici, sarebbero crollati. Per tale motivo, le scienze naturali avrebbero invaso l’ambito delle conoscenze pratiche, e alcune discipline tecnico scientifiche quali, cibernetica, sociobiologia, genetica, si sarebbero proposte come portatrici di una più efficace descrizione dell’umano e dei suoi comportamenti.68 È necessario, allora, porre a fondamento dell’etica umana quella forma di imperativo morale che è rappresentata secondo la formula jonasiana dalla responsabilità. Oggi si considera l’uomo nella sua materialità, la sua stessa natura è mutata, pertanto ne consegue un cambiamento della concezione della morale. Domina un pluralismo sempre più dilagante, e la mancanza di un ethos condiviso da tutti69, ovvero quello che nella ermeneutica di Heiddeger significa soggiorno, luogo dell’abitare ovvero ciò che 67. Cfr. H. Jonas, op.cit., p. 212. «Ad esempio si può disapprovare l’invenzione di una bomba atomica dotata di potenziale distruttivo ancora maggiore e ritenerla una violazione dei valori umani, ma così facendo si disapprova il fatto che essa è tecnicamente migliore e che in tal senso la sua invenzione costituisce purtroppo un progresso». 68. Cfr. N. Wiener, Introduzione alla cibernetica, Boringhieri, Torino 1970; Cfr., inoltre sull’argomento, J. Varela, Scienza e tecnologia della cognizione, Hopeful Monster, Firenze 1987. 69. «L’ethos è inteso come quell’insieme di principi morali e comportamenti condivisi da una comunità, praticati e professati da tutti i suoi componenti, in tal senso, l’etica è la scienza di ciò che l’uomo deve fare dei valori che deve realizzare. Lo stesso incessante sviluppo della scienza e della tecnica ha contribuito così a determinare una riscoperta dell’etica». A tal proposito s.v. E. Sgreccia, op. cit, p. 153; G.P. Calabrò, Ordine e libertà. Diritto e morale nell’ordine democratico, Lungro–Cosenza 1996, pp.119 e ss. 126 La libertà responsabile della ricerca contiene e custodisce l’avvento di quello che appartiene all’uomo nella sua essenza70. Tutto questo ha determinato nell’uomo contemporaneo il bisogno di una riflessione etica in grado di fornire argomenti e valutazioni circa la liceità e l’opportunità di alcuni interventi sull’essere umano. In tal senso, se la ricerca ha un ethos, è perché da essa tutti gli uomini possono sentirsi provocati e grazie a essa accomunati71. Tutto ciò in considerazione del fatto che la natura ha finito per perdere la sua aurea di sacralità, e ci appare baconianamente «costretta e tormentata rimossa a forza dal suo stato ordinario premuta e forgiata mediante l’arte e il ministero umano».72 Ciò è stato possibile, in quanto gli effetti della tecnica, come osservato dalla Arendt, se per un verso possono essere meravigliosi, dall’altro possono diventare difficilmente gestibili73. Lo sconfinato potere che la tecnica ha dato all’uomo ha portato così alla celebrazione di un uomo nuovo, in cui il singolo è la fedele riproduzione dell’identico, e la scienza finisce con il divenire uno «strumento di terrificante potere» che permette ai suoi detentori di migliorare la realtà di «rimodellarla secondo i piani e i progetti umani assecondandola verso l’autoperfezionamento»74. La tecnica, in definitiva, ha trasformato in oggetto il suo stesso autore75. Da ciò ne consegue che il potere sempre crescente della tecnologia di intervenire sul corpo e sulla mente umana, rischia di annullare l’uomo. E allora l’uomo di oggi, afferma la Zanuso, rischia di essere parcellizzato, mercificato, tanto da esse- 70. Cfr. M. Heiddeger, Lettera sull’umanesimo, Segnavia, trad. it. Milano 1987, p. 306. 71. Cfr. F. D’Agostino, Bioetica nella prospettiva della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino, 1996, p. 50. 72. Cfr. F. Bacone, Instauratio Magna, in Scritti filosofici, UTET, Torino 1975, p. 539. Cfr. M.A. Foddai, Sulle tracce della responsabilità. Idee e norme dell’agire responsabile, Giappichelli, Torino 2005. 73. Cfr. H. Arendt, Vita activa. cit, pp. 162 e ss. «La vita activa, ovvero il bios politikon, viene dunque alimentata dalle diverse capacità d’azione degli esseri umani e dal loro libero sviluppo». 74. In tal senso cfr. Z. Bauman, Modernità ed Olocausto, trad. it., il Mulino, Bologna 1999, p. 106. 75. Cfr. H. Arendt, op. cit., p. 170. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 127 re concepito e utilizzato come un mezzo, come parte in un processo di assemblaggio di organi od ancora come un pezzo di ricambio76. L’uomo finisce, così, per essere l’oggetto della stessa tecnica con la pretesa di trasformare se stesso e la natura. La scienza e la tecnica hanno la pretesa di disporre dell’inizio così come della fine della vita dell’uomo manipolando la natura con il fine di dominarla77. Il rapporto tra scienza tecnica ed etica è da ricercarsi indietro nel tempo ma oggi occorre rintracciare un limite che possa contenere l’inarrestabile progredire della scienza e della tecnica, ponendo un freno a quelle che vengono definite delle verità inopinabili78. Tutte le società contemporanee seguono il ritmo incessante del progresso tecnologico moderno allo scopo di conquistare la natura e alleviare le sofferenze della condizione umana. Da ciò ne consegue che la medicina moderna diventa sempre più potente nella lotta contro la malattia e la morte, grazie ai brillanti risultati della scienza e delle tecnologie biomediche. C’è da considerare però, che alcune applicazioni del potere biotecnologico, vanno oltre i tradizionali obiettivi della medicina, e la natura umana rischia così di essere rimodellata e alterata. Pertanto se si vuole salvaguardare la dimensione umana si deve agire responsabilmente, tenendo ben presente che il fine della tecnica deve essere per prima cosa la persona79. Tutto ciò era già stato previsto tre generazioni fa da Huxley, quando presentò a tutti quello che definiva un incubo80, descrivendo come la condizione umana da qui a sette secoli. La manipolazione genetica, l’impiego di sostanze psicoattive hanno permesso all’umanità di sconfiggere le malattie, la guerra, le sofferenze, il dolore, l’invidia e l’ansia. Tutto ciò, ha però, determinato un prezzo enorme, il mondo è popolato da creature “spiritualmente ritar- 76. Cfr. F. Zanuso, op.cit., pp. 28–30 77. Ibidem. 78. Cfr. F. Zanuso, op. cit., pp. 30 e ss. 79. Cfr. G. De Martino, op. cit., pp. 16 e ss. 80. Per maggiori chiarimenti cfr. A. Huxley, Il mondo nuovo, Mondadori, Milano 1946. Julian Huxley è inoltre, membro storico della Eugenics Society, della quale diviene presidente nel 1962. 128 La libertà responsabile della ricerca date” per le quali conta solo la salute fisica e la gratificazione immediata, creature disumanizzate che non riescono a capire ciò che hanno perso81. Questa condizione divide l’umanità, da una parte gli scienziati, gli imprenditori che finanziano e gli appassionati di fantascienza, dall’altra coloro, e rappresentano la maggior parte, che sono seriamente preoccupati da tale situazione. Nonostante questa dia preoccupazione, nessuno ha ancora fatto niente per impedire tutto ciò, probabilmente, perché se ne apprezzano solo i benefici o ancora perché si ritiene di non poter fermare l’ingegneria umana. Ma in questo modo non facciamo altro che essere complici del nostro stesso degrado82. Non a caso, i progressi medici degli ultimi tempi, non solo non hanno soddisfatto la generazione attuale, ma per di più hanno provocato il malcontento generalizzato. A tal proposito, Huxley afferma, che la via intrapresa dall’umanità grazie alle biotecnologie, se percorsa fino in fondo porta al degrado umano83, tanto che, quella che Tolstoj definiva “vita reale”, è stata sostituita da un’esistenza vuota e disconnessa84. L’aspetto cruciale, di tutto ciò, è rappresentato dalla considerazione che non possiamo essere certi che le nostre paure si realizzeranno, ma allo stesso tempo, non siamo certi che ciò non avvenga. La sfida del nostro tempo, allora viene soprattutto, dalla biologia molecolare, dalla genetica comportamentale e dalla psicologia evolutiva. 81. Cfr. A. Huxley, op. cit. «Il mondo immaginato da Huxley, è solo fantascienza, ma le analogie con il nostro sono a dir poco sconvolgenti, anche perché in realtà il suo romanzo rivela come potrebbe essere il mondo nel momento in cui il progresso tecnologico raggiunge la maturità, anche se tutto avviene sotto il controllo di uno stato onnipotente, mentre nella nostra società questa condizione può essere raggiunta solo a seguito di una nostra scelta, poiché porterà a ciò che noi desideriamo». 82. Cfr., A. Huxley, op. cit. 83. s.v. A. Huxley, op. cit., «La perfezione del corpo è ottenuta a prezzo di un abbruttimento dell’anima. Le gioie ed i dolori legati agli affetti e ai successi umani sono sostituiti da estasi fittizie indotte da pillole. La produzione ha preso il posto della procreazione, i legami familiari sono assenti e le persone dividono il proprio tempo tra un lavoro insignificante e divertimenti senza senso». 84. Cfr. L. Tolstoj, op.cit. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 129 Infatti, da oltre quarant’anni, ci troviamo nel mezzo di una rivoluzione biologica e culturale, il cui fine è quello di trasformare il nostro modo di concepirci come esseri umani. Tutto ciò è giustificato dal progresso scientifico che sostituisce l’idea di uomo come creatura nobile, preziosa e simile a Dio, come idea di uomo come semplice materia prima, e come tale può essere manipolata85. La nostra crisi etica, deriva proprio da questo, in quanto non abbiamo più un punto di riferimento saldo, considerata la nostra adesione a una visione della vita umana legata al tecnologico, ma se non abbiamo il coraggio di guardare in faccia il vero significato umano della nostra nuova impresa tecnologica, siamo destinati a diventarne schiavi. È necessario, di conseguenza fissare un confine morale in grado di contenere i danni causati dal progresso tecnologico, occorre cioè difendere meglio i principi della dignità umana, pur continuando a cogliere i frutti che la tecnologia genetica produce, riuscendo nel contempo ad adoperare la scienza per l’uomo e non contro l’uomo. 3.2. L’etica della responsabilità tra libertà e dignità L’etica è quella parte della filosofia che si interroga sulle possibilità comportamentali dell’uomo, inteso come individuo membro di una società, capace di scelte ragionevoli oltre che di emotività86. L’etica, quindi, valuta le azioni umane sulla base del loro valore, vale a dire per la loro capacità di migliorare la qualità dell’esistenza umana, sia per chi le compie, che per chi ne subisce gli effetti87. Il comportamento etico va differenziato dagli altri comportamenti, e ciò che interessa all’etica è l’aspetto relazionale dell’agire, le sue ri 85. Cfr. N. Bobbio, Teoria generale della politica, a cura di M. Bovero, Einaudi, Torino 1999. «La tecnologia sarebbe diventata non solo uno strumento del potere economico, bensì un mezzo di sostegno per lo stesso dominio politico, ed il progresso scientifico sarebbe più veloce di quello morale, oltre al fatto che il potere scientifico ha fornito all’uomo uno strumento per esercitare con maggiore efficacia la sua volontà di potenza». 86. Cfr. G. De Martino, Etica e bioetica cit., p. 3. 87. Ibidem. 130 La libertà responsabile della ricerca cadute sull’altro, riflettendo sull’intenzione di chi ha agito. Le azioni eticamente valide saranno dette giuste, ragionevoli, e altruistiche, in particolar modo, nella misura in cui esalteranno la capacità umana e civile di chi le compie, incrementando la dignità, e la soddisfazione morale di chi le avrà ricevute88. Il termine etica, dal greco antico, êthos, e dal latino mos, indica il metodico perfezionamento del comportamento e del costume umano nella sua globalità, e tale perfezionamento era inteso come un insieme di disposizioni naturali e di atteggiamenti artificiali guidati dall’intelletto89. L’êthos poteva essere modificato sulla base di appropriati condizionamenti derivanti dalla nostra esperienza di vita (virtù etiche) e non attraverso stimoli direttamente intellettuali (virtù dianoetiche).90 L’etica antica era un’etica della cura di sé e non dell’adempimento di un qualche dovere, si basava quindi, su abitudini da acquisire con metodo, oltre che sul controllo delle passioni. Da questa visione, si discostarono Socrate e Platone, in quanto posero come scopo del comportamento umano l’agire morale che va differenziato dalla condotta etica, poiché l’agire morale conduce l’uomo all’identificazione con il bene. Per questo auspicarono una condotta morale che fosse distinta dalle altre forme della vita etica e pratica separando il bene (oggetto della morale) dalla felicità, dal piacere che erano finalità dell’etica91. Diedero, quindi, alla morale un impianto prescrittivo e cognitivo, pensando, che il bene fosse conoscibile attraverso il ragionamento e che conoscere il bene fosse qualcosa di benefico per l’uomo. In tal senso, la morale era l’adempimento dei doveri che potevano salvare l’uomo dal suo destino 88. Cfr. G. De Martino, op. cit., pp. 4 e ss. 89. Per maggiori approfondimenti sull’argomento vedi Aristotele, Etica Nicomachea, Bompiani, Milano 2000, inoltre cfr. C.A. Viano, Politica, Rizzoli, Milano 2002. Sull’argomento s.v. inoltre, G. Angelini, F. Cavalla, E. Lecaldano, Problemi di etica: fondazione, norme, orientamenti, Gregoriana, libreria Editrice, Roma 1990. 90. Cfr. A. Da Re, Filosofia morale. Storia, teorie, argomenti, Mondadori, Milano 2003. 91. Cfr. C. Dario, La parola etica. Pedagogia, democrazia e insegnamento nei dialoghi giovanili di Platone, CLUEB, Bologna, 2007. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 131 mortale. A ben vedere, ciò divideva la morale dall’etica che era solo la cura di se stessi attraverso l’esercizio saggio delle virtù. In bioetica si usano i termini ethics e morals quasi fossero sinonimi per indicare la demarcazione fra i compiti e le questioni della prassi e quelli della scienza, ma con l’affacciarsi della modernità, ritorna l’esigenza di diversificare il significato dei due termini separandone l’uso. La morale indicava una marcata connessione con la religione, l’etica, invece, portava in primo piano la dimensione terrena, politica ed economica, delle scelte e della condotta di vita. Da quest’ultimo aspetto prende le mosse la responsabilità personale (il c.d. libero arbitrio) . La responsabilità etica e morale, riguarda l’uomo nella sua integralità di vita e di esistenza, di volontà e passione, di mente e corpo. Da ciò, l’agire e il valutare in senso bioetico, diventano parte del comportamento morale anche per i progressi della scienza e della tecnica. Nel Novecento l’impresa scientifica ha raggiunto una straordinaria efficacia potenziando il suo impatto sul mondo biologico e sull’ambiente e ciò ha determinato sia nuove possibilità per la vita dell’uomo, sia riflessi problematici per la sua esistenza92. La tecnica moderna ha introdotto azioni, oggetti e conseguenze di dimensioni così nuove che l’ambito dell’etica tradizionale non è più in grado di abbracciarli93. Il Coro dell’Antigone94 che esaltava la stupefacen 92. Sull’argomento rinvio a G. De Martino, op. cit., pp. 23 e ss. «Per vita umana si intende il fenomeno biologico per il quale la sopravvivenza degli individui e della specie umana sono possibili sul Pianeta. La vita comprende: la strutturazione dell’organismo, la relazione tra la specie e la presenza di una biosfera terrestre idonea. Per esistenza si intende, invece, la dimensione vissuta e consapevole del vivere degli uomini: la relazionalità, l’appartenenza alla società e la riflessione sul senso della vita e della morte, sul legame fra i sessi e fra le generazioni». Si veda inoltre sull’argomento A. Argiroffi, L. Avitabile, Responsabilità, rischio, diritto e postmoderno. Percorsi di filosofia fenomenologica, giuridica e morale, Giappichelli, Torino 2008. 93. Cfr. G. Piana, Bioetica tra scienze e morale, UTET Universitaria, Torino 2007, p. 81. Cfr., sull’argomento F. Viola, Dalla natura ai diritti. I luoghi dell’etica contemporanea, Laterza, Roma–Bari 1997. 94. «Nell’Antigone tragedia di Sofocle, Antigone, figlia di Edipo e della madre Giocasta, dopo essere rimasta a fianco del padre cieco fino al momento della sua morte, fa ritorno a Tebe. Lì, il re Creonte non vuole dare sepoltura a Polinice, fratello di Antigone, 132 La libertà responsabile della ricerca te potenza dell’uomo, oggi nel segno di una enormità di tutt’altro tipo, dovrebbe acquistare un altro significato, e l’ammonimento rivolto al singolo di onorare le leggi non sarebbe più sufficiente. Certo le antiche norme dell’etica del “prossimo”, le norme di giustizia, misericordia, onestà, continuano a essere valide, nella loro immediatezza, per la sfera più prossima e quotidiana dell’intenzione umana. Tuttavia, tale sfera è oscurata da quella dell’agire collettivo, nel quale l’attore, l’azione e l’effetto non sono più gli stessi, ed essa impone all’etica una nuova responsabilità, soprattutto a seguito dell’intervento tecnico dell’uomo nei confronti della natura95. Ciò evidenzia che la natura dell’agire umano si è de facto modificata e che un oggetto di ordine completamente nuovo, ovvero la biosfera del pianeta è stato aggiunto al novero delle cose per cui occorre essere responsabili96. Compito dell’etica e/o della morale è allora, quello di valutare la qualità delle azioni degli uomini in una società iper–tecnologizzata oltre al loro influsso sul tessuto sociale. Ne consegue che la funzione della bioetica è di valutare in che modo tecnica e scienza stiano intervenendo sulla materia vivente in ambito biomedico e biotecnologico, e se tale intervento fisico induca o meno un beneficio morale per l’esistenza umana. Numerosi testi del Magistero della Chiesa cattolica sulla cultura tecnoscientifica, il progresso tecnologico e i valori della coscienza esortano a un approccio “umanistico” alla tecnologia non a caso nel discorso agli scienziati e agli studenti nella Cattedrale di Colonia Giovanni Paolo II osserva che «non esiste alcun motivo per concepire la cultura tecnico–scientifica in opposizione con il mondo della creazione di Dio. Ma non ci possono essere dubbi riguardo alla direzione verso perché ha combattuto contro la propria città. Solo Antigone osa sfidare il tiranno e provvede a seppellire il fratello; per questo viene rinchiusa in una caverna dove si toglie la vita impiccandosi. Il coro dell’Antigone mette in evidenza come l’uomo, unico tra i viventi sia un essere stupendo dotato di sapere e di ingegno; questi possono essere volti al bene, se l’uomo accorda le leggi della terra con la giustizia divina, ma anche al male laddove le leggi non vengano rispettate». 95. Cfr. sull’argomento, F. Viola, Le trasformazioni della responsabilità, in «Studi Cattolici» n. 388/1993.. 96. Cfr. H. Jonas, op. cit. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 133 cui guardare per distinguere il bene dal male. La tecno–scienza, diretta alla trasformazione del mondo, si giustifica in base al servizio che reca all’uomo e all’umanità»97, e ancora «lo sviluppo tecnologico caratteristico del nostro tempo soffre infatti di un’ambivalenza di fondo: mentre da una parte consente all’uomo di prendere in mano il proprio destino, lo espone, dall’altra, alla tentazione di andare oltre i limiti di un ragionevole dominio sulla natura, mettendo a repentaglio la stessa sopravvivenza e integrità della persona umana».98 Perciò, seguendo ancora le parole di Giovanni Paolo II, «siamo confrontati da una grande sfida morale che consiste nell’armonizzare i valori della tecnologia, con i valori della coscienza»99 «bisogna mobilitare le coscienze e congiungere le forze vive della scienza e della religione per preparare i contemporanei alle sfide dello sviluppo integrale»100. Ciò significa che bisogna superare i limiti e difetti più gravi della cultura tecnologica, per poter recuperare i valori e significati fondamentali della tecnologia. Più esplicitamente, si tratta di superare l’oblio dell’essere e ridimensionarne i falsi assoluti, riscoprire la “presenza nascosta” e recuperare la trascendenza, riproporre un discorso sui valori umanistici e i significati antropologici della tecnicità, nonché, rivalutarne l’autentica verità dell’uomo, le esigenze etico–morali e le istanze di libertà. Il compito è indubbiamente difficile, ma è sollecitato da una rinascente sensibilità verso i valori più profondi. In ciò, le filosofie dell’esistenza hanno manifestato la necessità di uscire dalle “gabbie di acciaio” (scientismo, razionalismo, irrazionalismo, immanentismo, ecc.), che imprigionano il pensiero e soffocano le coscienze101. È significativo che il «principio speranza» sia germogliato in un autore come Bloch, esponente della 97. Cfr. Giovanni Paolo ii, Discorso agli scienziati e agli studenti nella Cattedrale di Colonia, n. 4. 98. Cfr. Giovanni Paolo ii, Discorso ai partecipanti a due congressi medici, 27 ottobre 1980, Insegnamenti, III, 2, p. 1007. 99. Cfr. Giovanni Paolo ii, Discorso al CERN, Ginevra, 15 giugno 1982, Insegnamenti, V, 2, p. 2322. 100. Cfr. Giovanni Paolo ii, Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 29 ottobre 1990, n. 7. 101. Cfr. G. Gismondi, op. cit. 134 La libertà responsabile della ricerca cultura tecnicistica più preclusiva e negatrice della trascendenza102, che nel XX secolo cercò di imporre al mondo i suoi progetti di totale immanenza. Per superare questa crisi e recuperare la speranza si deve quindi, ritornare a riconoscere e rispettare ogni altro103. Riguardo alla natura, ciò significa la fine di ogni dominio, manipolazione e sfruttamento indiscriminato di energie e risorse, mentre riguardo all’uomo, significa il riconoscimento della sua verità, dignità, libertà e delle sue ineliminabili dimensioni ed esigenze spirituali, relazionali e di comunione. Riguardo a Dio, significa rivalutare integralmente l’essenziale dimensione spirituale, religiosa ed etica di persone, culture e società, che lo riconoscono Signore, Creatore e Salvatore universale. Questi riconoscimenti costituiscono gli itinerari di speranza che concordano con la saggezza antica e l’autentico umanesimo. Essi sostengono il rispetto verso l’altro, inteso come eguale o come inferiore (natura), partendo dal rispetto per l’Altro che è superiore (Dio)104. La teoria della responsabilità, afferma Jonas, deve prendere in considerazione da una parte l’aspetto oggettivo, ossia la legittimazione che sta alla base della pretesa del dovere e dall’altra l’aspetto soggettivo, ossia il fatto che l’obbligo diviene per il soggetto la causa che determina il suo agire. L’aspetto oggettivo ha a che fare con la ragione, mentre quello soggettivo con il sentimento. Affinché l’appello possa stimolare la volontà del soggetto è necessario che questo sia emotivamente recettivo nei confronti del richiamo al dovere. I filosofi morali hanno sempre sostenuto che il sentimento deve venire in soccorso alla ragione, ciò, per far si che il bene oggettivo possa esercitare un potere sulla nostra volontà. Tale idea si trova in ogni dottrina della virtù, indipendentemente dalla determinazione del sentimento105. La maggior parte dei sentimenti sono ispirati a 102. Cfr. E. Block, Il principio speranza, Garzanti, Milano 2005 pp. 122 e ss. 103. E. Lévinas, Autrement qu’ être ou au–delà de l’essence, trad. it. M.T. Aiello, S. Petrosino, Altrimenti che essere o al di là dell’essenza, Jaca Book, Milano 1983. pp. 5–26. 104. Cfr. G. Gismondi, Cultura tecnologica e speranza cristiana cit., p. 177. 105. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 110. «Si prendono in considerazione, ad esempio, come modi per definire l’elemento affettivo dell’etica: il “timor di Dio” ebraico, l’eros platonico, la carità cristiana, l’amor dei intellectualis di Spinoza, la benevolenza di Shaftesbury, il rispetto di Kant, il piacere della volontà di Nietzsche ed altri». iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 135 un “sommo bene”, ossia un oggetto dotato di valore supremo. L’obiettivo dell’etica tradizionale è far si che il proprio stato si conformi al sommo bene. L’oggetto della responsabilità è il passeggero ossia il “transeunte” per definizione e la sua superbia è intesa come semplice differenza nel suo diritto originario che non può essere superata mediante un’assimilazione di me a lui e di lui a me. Tale oggetto deve essere in grado di indurre l’uomo a mettere a disposizione la sua persona. Questi atteggiamenti etici, orientati verso l’oggetto, si contrappongono a quelle modalità prive di oggetto nelle quali il tema della norma è rappresentato dalla forma e dallo spirito della stessa azione. Quello che conta davvero non, è, dunque, il contenuto, ma il modo in base al quale si esercita l’azione. A tal proposito possiamo sottolineare che la differenza tra l’etica dell’intenzione e l’etica della responsabilità sta nel fatto che nel caso della prima, si prendono in considerazione l’agire per il raggiungimento di un fine, incurante di tutte le conseguenze e del prezzo da pagare, mentre l’etica della responsabilità permette di calcolare le conseguenza e i costi. Se da una parte, Kant, tende a sottolineare l’oggettività della legge morale universale, dall’altra attribuisce al sentimento un ruolo necessario nell’adattare la volontà alla legge. La particolarità è che, tale sentimento è valido per la stessa legge ma non per l’oggetto materiale. Il filosofo di Konisberg, intuì appunto, che affinché la legge morale acquisti potere sulla nostra volontà è necessario che, accanto alla ragione, entri in gioco il sentimento. Tale sentimento è richiamato in noi dalla legge morale ed è per questo che si parla di sentimento del rispetto, dove per rispetto, lo stesso Kant, intendeva quello dinanzi alla legge. In questo caso, la ragione deve essere intesa come principio universale al quale la volontà deve conformarsi sulla base della sua forma. Questa forma interna della volontà costituisce il contenuto dell’imperativo categorico. Il senso di tale imperativo è rappresentato dall’autolimitazione della libertà attraverso la regola in base alla quale, la volontà deve essere coerente con se stessa nel perseguimento dello scopo. Di conseguenza l’idea di Kant non fa altro che condurre a una autolimitazione della libertà per rispetto dell’idea di autolimitazione della libertà stessa. Egli, riuscì, però, a recuperare il puro formalismo 136 La libertà responsabile della ricerca dell’imperativo categorico attraverso un principio di comportamento che deriva da esso, ossia il rispetto per la dignità delle persone in quanto fini in se stessi106. Quello che conta, sono gli obiettivi e non la volontà stessa, perché gli obiettivi impegnando la volontà diventano scopi per il soggetto. L’osservanza della regola della volontà rappresenta la condicio sine qua non affinché uno scopo possa essere considerato morale o immorale. La legge non può essere considerata né causa, né oggetto del rispetto che è generato dallo stesso essere. Il senso di responsabilità è in grado di suscitare in noi la disponibilità di favorire il diritto di esistere dell’oggetto, attraverso le nostre azioni107. A questo punto è opportuno analizzare la categoria della responsabilità. Si parla di responsabilità per indicare il fatto che il soggetto agente è tenuto a rispondere delle sue azioni ossia deve farsi carico delle conseguenze del suo comportamento, deve riparare il danno arrecato nel momento in cui egli è la causa attiva dello stesso. Tutto ciò ha un significato prettamente giuridico e non morale108. All’idea della riparazione giuridica si lega quella della punizione che ha, invece, un significato morale. Nel caso in cui una pena venga commisurata a un crimine, a essere punite non sono le conseguenze ma l’azione stessa. Ecco perché sarà necessario, in questo caso, analizzare l’azione posta in essere. Le pene inflitte possono servire non solo a riparare il danno subito, ma anche a ristabilire l’ordine morale che è stato turbato. La differenza tra responsabilità morale e responsabilità legale si rifà alla distinzione tra diritto penale e diritto civile, accomunati dal fatto che la responsabilità fa riferimento alle azioni commesse. La stessa responsabilità rappresenta la condizione preliminare della morale. È possibile indicare un diverso concetto di responsabilità che non è legato a ciò che è stato compiuto ma alla determinazione del da farsi, in tal senso, una persona si sente responsabile non per il suo comportamento, 106. I. Kant, op. cit., p. 25. 107. H. Jonas, op. cit., p. 115. «La preoccupazione per le generazioni future è spontanea da non aver bisogno che si invochi la legge morale, perché costituisce la forma originaria di coincidenza tra responsabilità oggettiva e senso soggettivo di responsabilità». 108. Ibidem. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 137 ma per la causa che gli impone di agire. In questo caso, il “per che cosa” sta al di fuori della persona, ma attribuisce il potere al soggetto attraverso la volontà morale. Il potere diviene, quindi, responsabile per quello che gli viene affidato. A questo punto è fondamentale chiedersi che cosa si intende per “agire irresponsabile”, oltre che chiarire se possa esserci responsabilità tra persone, all’interno di una determinata situazione. Si parla di “irresponsabilità”, quando manca la capacità di rispondere di qualcosa. Può agire in modo irresponsabile solo chi ha una responsabilità109 e solo quando si esercita un potere senza adempiere al dovere. Inoltre, quando più persone vengono a trovarsi nella stessa situazione ognuno deve poter contare sull’altro e tutti devono rispondere gli uni degli altri. La responsabilità naturale, cioè quella stabilita dalla natura, non dipende da alcun consenso è irrevocabile e non negoziabile, mentre quella detta contrattuale è limitata sia con riferimento al contenuto che alla durata110. Soltanto in riferimento a una tale responsabilità si può parlare di un comportamento contrario al dovere, ma non di un comportamento irresponsabile. La responsabilità incondizionata e irrevocabile è solo quella fissata dalla natura, ossia quella esistente per natura. Prendendo come punto di riferimento l’essere umano, esso presenta la precarietà, la vulnerabilità e la revocabilità, tipiche di ogni essere umano. Ogni essere umano è fine a se stesso e non ha bisogno di altra giustificazione. Ognuno non è superiore agli altri salvo, nel caso in cui si è responsabili anche per loro allo scopo di salvaguardare il loro essere fine a se stessi111. In questo modo i fini dei suoi simili e il fine in se della loro esistenza possono confluire nel suo proprio fine. Si tratta di un rapporto reversibile e reciproco nel senso che l’uomo, responsabile di qualche altro uomo, vivendo fra esseri umani è oggetto della responsabilità di qualcun altro. Da ciò risulta evidente l’intreccio della responsabilità con tutto ciò che 109. s.v. H. Jonas, op. cit., p. 118. 110. Cfr. H. Jonas, op. cit., p. 120. «Per fare un esempio, chi è incaricato di riscuotere le tasse e si è fatto assegnare l’incarico, è responsabile del suo adempimento, indipendentemente dal giudizio di valore su questo o quel sistema fiscale». 111. H. Jonas, op. cit., pp. 187 e ss. 138 La libertà responsabile della ricerca è animato. Questo dimostra che oggetto di responsabilità può essere solo ciò che è vivente. Tale responsabilità è insita nell’uomo, nel senso che è soltanto l’uomo che può avere una responsabilità112. Il primo comandamento è l’esistenza dell’umanità, e gli uomini vivendo tale esistenza hanno sempre la precedenza su tutto. Pertanto, tutto ciò vale anche per le cose inanimate, senza che queste siano al servizio di uno scopo diretto a promuovere la vita113. La responsabilità comanda all’uomo di agire in modo che le conseguenze delle sue azioni siano sempre compatibili con la permanenza di una autentica vita umana sulla terra e non distruggano la possibilità della vita futura di nuove generazioni, in tal senso il principio responsabilità è entrato nel dibattito bioetico114. Sono due a grandi linee, le accezioni fondamentali del concetto di responsabilità, la prima risale al modello giuridico dell’imputazione115, la seconda discende da un vincolo affidatario, che può essere assunto formalmente o meno116. Il modello classico della responsabilità consiste nell’assumere il soggetto come la causa o il principio delle sue azioni, alla luce di determinati requisiti quali, l’intenzionalità, la conoscenza, e infine la libertà, in quanto senza la libertà la responsabilità è destinata a rimanere una parola vuota117. L’uomo è responsabile delle proprie azioni, che sono proprie del soggetto quando il soggetto liberamente le vuole e liberamente le attua118. La responsabilità rappresenta, come avverte la Helzel, un concetto fondamentale del nostro apparato morale. Essa si presta però a una 112. Cfr. H. Lenk, La responsabilità nella tecnica, in «Intersezioni. Rivista di storia delle idee», n. 2–1993. 113. Ibidem. 114. Cfr. G. De Martino, op. cit., p. 328. 115. Cfr. V. Franco, Figure della responsabilità, in Le parole dell’etica, a cura di S. Borutti, Mimesis, Milano 2000, p. 41. 116. M. Monaldi, Tecnica, vita responsabilità. Qualche riflessione su Hans Jonas, Guida Editori, Napoli 2000, p. 17. 117. Cfr. M. Dorato, Futuro aperto e libertà. Un introduzione alla filosofia del tempo, Laterza, Roma–Bari 1997. 118. Per maggiori approfondimenti s.v. R. Ingarden, Sulla responsabilità, trad. it. La Nuova Agape, Bologna 1982, p. 25. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 139 polisemia di significati, e ciò fa si che sia difficile individuarne una origine ben precisa119. Come suggerisce Coccopalmerio, responsabilità, potrebbe derivare dal verbo latino respondeo, respondere120, in tal senso, la responsabilità implica una risposta che a sua volta presuppone una chiamata121. Chiamare e rispondere, includono la dimensione dell’altro, di conseguenza essa si esercita nell’ambito dei rapporti interpersonali, Io e Tu122. La responsabilità, quindi, dovrebbe caratterizzare la condotta individuale indirizzandola verso quel dovere che ogni essere umano ha nei confronti dell’altro in quanto è un Tu, un soggetto è responsabile «se ha o aveva un dovere di comportamento»123. In altri termini, come ben osservato da Viola, la responsabilità è il volto che ha assunto il dovere all’interno dell’etica contemporanea124. Ciò dimostra come a ogni singolo individuo, alla sua singola responsabilità è demandato il compito di rispettare i doveri.125 È utile ai fini di questo lavoro, sottolineare come il concetto di responsabilità, appartenga al pensiero moderno, infatti la cultura greca lo ignorava considerandolo del tutto irrilevante. Il dovere di rispondere ai propri atti era considerato qualcosa di naturale, nel senso che è stabilito dall’ordine che governa l’universo umano. Il concetto di responsabilità, così come inteso oggi, sorge dunque in epoca moderna ed è legato a una serie di eventi che hanno segnato un cambiamento radicale e irreversibile nei destini dell’umanità126. L’uomo ha finito per alterare l’equilibrio esistente con la natura fino al punto di mettere in pericolo la sua stessa vita 119. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., p. 178. 120. Si veda sulla derivazione del termine responsabilità dal latino rispondere, C. Maiorca, voce Responsabilità, in Enciclopedia del diritto XXXIX, Milano 1998, pp. 1004–1041. 121. Cfr. D. Coccopalmerio, Siderea Cordis, Cedam, Padova 2004, p. 131. 122. Sull’argomento s.v. A. Da Re, Filosofia morale, Mondadori, Milano 2008, p. 155. 123. U. Scarpelli, Riflessioni sulla responsabilità politica. Responsabilità, libertà, visione dell’uomo, in R. Orecchia (a cura di), La responsabilità politica. Diritto e tempo, Giuffrè, Milano 1982, p. 44. 124. Cfr. F. Viola, Dalla natura ai diritti, Laterza, Roma–Bari 1997, p. 338. 125. Cfr. A. Pisanò, Una teoria comunitaria dei diritti umani, Giuffrè, Milano 2004, p. 196. 126. Cfr. M.A. Foddai, Sulle tracce della responsabilità. Idee e norme dell’agire responsabile, Giappichelli, Torino 2005. 140 La libertà responsabile della ricerca sulla terra127, e tutto ciò, ha fatto si che l’etica tradizionale, caratterizzata dalla datità della condizione umana, in cui l’agire e la responsabilità erano rigorosamente circoscritti nello spazio umano, è venuta meno. È necessario perciò che la responsabilità con tutte le sue profonde trasformazioni assurga a categoria morale centrale del nostro tempo. Ed è proprio per queste continue trasformazioni che non si può definire in modo unitario tale concetto128. Si è passati da una libertà, intesa come diritto negativo a non subire il dominio dei tiranni, a una libertà, intesa come diritto positivo all’espressione e affermazione. Il problema che si pone in relazione a ciò, è quello sulla ricerca della dignità umana, della quale è indispensabile articolarne il significato. Nel tentativo, di dare una definizione della nozione di dignità, ci si rende subito conto che si tratta di un compito difficile poichè siamo di fronte a un’astrazione. Proprio per questo, molti esperti di bioetica considerano il concetto di “dignità” un valore simbolico, nel senso che non è reale. Questo ostacolo però, può essere superato, anche se è proprio qui che nascono i problemi, visto che non tutti sono d’accordo sulla natura della dignità129. Secondo l’etimologia del termine, per dignità si intende valore, elevazione, onore, ossia eccellenza o virtù, si tratta di una parola che implica distinzione, nel senso che non è qualcosa che tutti gli esseri umani possiedono130. Per gli antichi Greci, la “dignità” era intesa come tributo reso all’eccellenza e alla virtù131. Nonostante ciò, il problema fondamentale consiste nel fatto che non esiste un’idea di dignità umana accessibile e condivisa universalmente. 127. S.v. P.B. Helzel, La natura della «nuova» etica in Hans Jonas, in «Coscienza storica», n. 9, 1993, pp. 93–100. 128. Ibidem. 129. Cfr. L. Kass, op. cit., pp. 26 e ss. 130. Ibidem. 131. Cfr. L. Kass, op. cit., p. 27. «Nel mondo eroico celebrato dai poeti, l’uomo veramente completo, i cui attestati di dignità erano gli allori ed i premi, dimostrava il proprio valore con gesti nobili e gloriosi. La sua virtù suprema era il coraggio, il desiderio di affrontare la morte in battaglia, armato solo della propria prodezza, scontrandosi con un nemico altrettanto valoroso che, come lui, cercava la vittoria non solo sull’avversario ma sulla morte stessa». iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 141 Nella tradizione filosofica occidentale, il riferimento va alla dottrina kantiana del rispetto per la persona che lo merita per il semplice fatto di condividere la partecipazione alla sfera etica e alla capacità di vivere secondo la legge morale132. Il progetto di Kant è diretto quindi, a preservare e cercare un posto sia per la libertà che per la dignità umana. Dal principio kantiano dell’autonomia umana, discende così, il rispetto per la persona. Tale concezione della dignità è inadeguata perché è disumana, in quanto istituisce il concetto di “individualità” in contrapposizione con la natura e il corpo133. Questa individualità è un qualcosa di distinto dalle nostre esistenze di esseri incarnati, per questo motivo la dignità che deriva dalle nostre scelte razionali, non prende in considerazione quella conferita dai nostri affetti e desideri. Il concetto di dignità umana che a noi interessa è, però diverso, rispetto al concetto di dignità individuale, precedentemente accennato. A tal proposito è necessario, descrivere la dignità della “vita reale”, ovvero, la vita quotidiana, quella vita vissuta normalmente134. Una vita sempre in stretto legame con la necessità, allo scopo di fronteggiarla, perché solo la spinta della necessità ci permette di compiere il nostro percorso esistenziale con dignità e umanità. Compito della bioetica personalista, sarà proprio quello di cercare di mantenere umana anche la vita, trovare cioè delle risposte valide a quegli interrogativi che spontaneamente sorgono135. La prima sfida della nuova biologia, proviene infatti, proprio dal pensiero scientifico. La moderna biologia, per rispondere alle esigenze della 132. I. Kant, Critica della ragion pratica, a cura di S. Landucci, Carocci Editore, Roma 1993, p. 23, s.v. inoltre, Lezioni di etica trad. it. A. Guerra, Laterza Roma–Bari 1988, pp. 39–41. 133. Ibidem. 134. Cfr. L. Tolstoj, Il Vangelo, a cura di I. Mancini, trad. it. R. Martelli, Quattroventi, Urbino 1983. 135. L. Kass, op. cit., p. 31. «Interrogativi quali: dov’è la dignità della nostra condizione di esseri incarnati? Dov’è la dignità intrinseca nella procreazione umana? Dov’è la dignità dell’essere un frutto del caso, anziché di un progetto razionale? Dov’è la dignità di un corpo soggetto a malattie e degrado? Cosa c’è di dignitoso nel fatto che, a causa del nostro involucro di carne, siamo destinati a morire senza lasciare traccia sulla terra»? 142 La libertà responsabile della ricerca vita umana, ha immaginato la natura del corpo organico, non come qualcosa di animato, ma come materia inattiva in movimento. Tale riduzionismo scientifico, ha conferito agli uomini poteri enormi, rimettendo in causa la visione di noi stessi come creature ricche di dignità, incapaci di riconoscere i pericoli derivanti dai progressi della biologia. Di conseguenza, abbiamo bisogno di una biologia più ricca e naturale, capace di rendere giustizia al valore dell’unione di anima e corpo. Nonostante ciò, la dignità umana può ancora avere un futuro, necessita però, di un incoraggiamento e di una voce per esprimere quello che molte persone sentono. Alla luce di quanto detto, la vita ci mette di fronte a tante situazioni difficili che devono essere affrontate con coraggio e generosità. Le dimostrazioni di dignità offerte da eroi comuni ci devono incoraggiare a difendere la dignità umana soprattutto contro le minacce delle nuove biotecnologie. Guardando alla situazione attuale e a quella immaginata per il futuro dalla conoscenza e dalla tecnologia genetica, è impressionante quanta strada è stata percorsa da quando Watson e Crick, scoprirono la struttura del DNA, da quel momento in poi, gli scienziati iniziarono a discutere delle prospettive future della terapia e dell’ingegneria genetica, senza immaginare con quale velocità si sarebbe affermata la tecnologia genetica. Tecnologia genetica che non è fine a se stessa, ma è strettamente legata a tutte le tecniche usate per intervenire sul corpo e sulla mente umana136. 136. «A tal proposito, l’aspetto maggiormente innovativo proposto dalla Ricerca e sviluppo di GSK consiste in un modello organizzativo che sia in grado di catturare e beneficiare dei vantaggi offerti dalla grande organizzazione di cui dispone, senza rinunciare all’agilità, alla rapidità di decisione e al continuo perseguimento dell’eccellenza propria di organizzazioni più piccole. In quest’ottica sono stati creati i Centri di eccellenza per la scoperta e sviluppo di nuovi farmaci (Centres of Excellence for Drug Discovery, CEDD). Infatti, le malattie psichiatriche vengono considerate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità tra le principali cause di disabilità futura ed il bisogno di cure efficaci ed appropriate sta aumentando in sempre più vaste fasce della popolazione mondiale.Ansia, depressione, disturbo bipolare, schizofrenia e malattie ad esse correlate, come disturbi del sonno, comportamenti compulsivi e dipendenza da sostanze di abuso, sono le aree di attività scientifica del CEDD per le Neuroscienze». iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 143 Alla luce di ciò, è importante rispondere ancora una volta a una serie di interrogativi, primo fra tutti quello che tende a chiarire in che cosa consiste la diversità della tecnologia genetica. Anche se, a prima vista, la tecnologia genetica non sembra diversificarsi dalle altre tecnologie, in realtà lo è profondamente, perché se la medicina può curare solo gli individui esistenti, l’ingegneria genetica è capace di apportare dei cambiamenti che possono essere trasmessi alle generazioni future, quelle generazioni per le quali, già Jonas, avvertiva preoccupazione137. Inoltre, l’ingegneria genetica potrebbe creare nuove capacità umane e nuovi parametri di salute e forma fisica, anche se, al momento, può soltanto diagnosticare e curare meglio le malattie delle persone esistenti. Indipendentemente dalle preoccupazioni legate all’ingegneria genetica, il fatto stesso di conoscere il proprio patrimonio genetico, provoca non poche ansie e timori. È già stato più volte affermato che, nel momento in cui soggetti estranei siano a conoscenza dei difetti genetici di un individuo, si potrebbe paventare un ostacolo alla ricerca di un lavoro o alla stipulazione di un contratto di assicurazione. Il problema più importante, legato a tale questione, è quello relativo ai rischi e alle deformazioni connesse al vivere quotidiano conoscendo in anticipo il proprio destino clinico, anche se è vero che in alcuni casi sarebbe utile essere a conoscenza del proprio profilo genetico allo scopo, di curare o prevenire malattie. Forse è proprio questo che ha indotto Jonas, in una discussione sulla clonazione umana, a esaltare il “diritto all’ignoranza”, quell’ignoranza che è la condizione dell’agire autentico138. Tutti coloro che sono favorevoli a 137. H. Jonas, op. cit., pp. 201 e ss. 138. L. Kass, op. cit., p. 179. «Anche se tutti ricordano che Prometeo era il dio filantropo che donò agli uomini il fuoco e le arti, spesso ci si dimentica che egli fece loro anche un dono più grande, “la cieca speranza”, proprio perché sapeva che ignorare il futuro è indispensabile per coltivare aspirazioni e ottenere risultati. Prometeo dunque, rappresenta colui che traccia una netta linea di demarcazione tra il presente ed il passato oscuro, portando la luce, e la luce rappresenta l’inizio stesso del mondo. Ovvero, consegna all’umanità uno strumento che produrrà conseguenze imprevedibili, arrecherà progresso in termini di vita consociata (dalla possibilità di riscaldare le caverne, alla cottura dei cibi) , ma introdurrà nel contempo innovazioni di tipo “strumentale” (dalla manipolazi- 144 La libertà responsabile della ricerca una maggiore conoscenza, sono comunque preoccupati per il potere, sempre più crescente, di genetisti, e ingegneri genetici. Gli esperti di tecnologia genetica, sicuramente, non si riconosceranno in questo ritratto, poiché sono convinti che l’utilizzo del potere si limita a fornire migliori conoscenze tecniche che la persona può liberamente scegliere di utilizzare o meno. Di fatto però, si tratta di un’affermazione ingannevole e uno tra i tanti esempi è rappresentato dalla scelta di praticare lo screening genetico e la selezione dei geni, scelta che non è stata effettuata dall’opinione pubblica, ma dagli stessi scienziati. Poche sono le persone informate sino al punto da assumere liberamente decisioni genetiche, di fatto la maggior parte della popolazione è soggetta alla “tirannia” degli esperti, perché come afferma Kass, le scelte di un soggetto sono influenzate dalle preferenze di chi consiglia. Le preoccupazioni più profonde sono quelle relative alle minacce alla dignità umana, che possono insorgere anche da un uso libero di tali tecniche. Si percepisce il timore e la paura che l’uomo “giochi a fare Dio”, si tratta di una preoccupazione piuttosto sottovalutata dagli scienziati e dai non credenti, ma molto importante perché la realtà è caratterizzata da uomini che stanno diventando creatori della vita. Oggi, gli scienziati sono visti come creatori, giudici e salvatori, e a noi non resta che prostrarci ai loro piedi come creature indegne, e nonostante ciò possa apparire un’esagerazione, la preoccupazione è reale139. one di materiali vari fino alla costruzione di lance e strumenti da guerra). Prometeo, eroe dell’illuminismo che rappresenta la ragione del progresso e che è insieme l’emblema della sconsiderata volontà umana di vincere ogni limite». S.v. a tal proposito, M. Calloni, op. cit., p. 94. Per maggiori approfondimenti sull’argomento si rinvia a H. Jonas, Organismo e libertà. Verso una biologia filosofica, Einaudi, Torino 1999; A. Di Giandomenico, op. cit., p. 128. 139. L. Kass, op. cit., p. 184. «Coloro i quali praticano la diagnosi prenatale, eseguono già uno screening su una lunga lista di malattie e anomalie genetiche, dalla sindrome di Down al nanismo. I bambini potenzialmente affetti da questi problemi, secondo loro, non meritano di vivere. Le persone che riescono ancora a nascere in tali condizioni, sfuggendo in qualche modo alle maglie della rilevazione e dell’aborto eugenetico, sono considerati “errori”, creature inferiori che non sarebbero dovute nascere. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 145 È vero che la tecnologia genetica potrebbe curare disturbi e malattie menomanti e invalidanti, ma è anche vero che per fare ciò, devono aumentare le manipolazioni e gli interventi. per esempio, con la fecondazione artificiale, è possibile produrre bambini sani e dotati, ma seguendo questa strada arriveremo direttamente e inevitabilmente a un mondo di bambini su ordinazione. Tutto ciò porterà, da una parte a una continua disumanizzazione, e dall’altra alla perdita di quel concetto di identità che caratterizza ogni essere umano come appartenente a una specie140. Il problema che qui si pone, dunque, è quello di stabilire quali sono i principi che animeranno gli ingegneri genetici. Probabilmente il principio della salute, anche se il concetto di salute sta diventando molto vago soprattutto da quando è entrata in scena la valorizzazione genetica.141 Con il processo di secolarizzazione del moderno, gli ordini morali, sociali, politici ed economici vengono a differenziarsi distinguendosi sempre più gli uni dagli altri, entrando talvolta in tensione e lasciando così spazio a nuovi quesiti. In particolare si vengono a porre due gravosi problemi di natura etica: è cioè prioritaria la libertà della ricerca scientifica o l’ossequio dei dettami della morale tradizionale? Perché 140. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., pp. 208 e ss. Il concetto di identità come avverte la Helzel, si colloca a più crocevia, nel senso che interessa più discipline, essa rappresenta un prisma attraverso il quale tutti gli altri aspetti di spicco della vita contemporanea vengono individuati compresi ed esaminati. Anche se l’identità è un dialogo incessante tra l’io e l’altro. Il termine identità deriva dal latino idem con cui vuole intendersi la stessa cosa, l’essere identifico, l’assoluta uguaglianza, l’insieme dei caratteri fisici e psicologici che rendono una persona quella che è, unica e diversa dagli altri. Per maggiori approfondimenti sull’argomento s.v. Z. Bauman, La società individualizzata. Come cambia la nostra esperienza trad. it. G. Araganese, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 177. 141. “Valorizzazione” intesa secondo Kass, come sinonimo di “miglioramento”, dà l’idea di un qualcosa di buono, migliore ed ottimo. I “valorizzatori”, come i terapisti e i tecnologi genetici, non mirano ai beni concreti, ma all’effettiva eliminazione del male. Tutto ciò nasconde l’obiettivo di un’esistenza senza dolore e soprattutto immortale. Da ciò consegue che anche gli ingegneri genetici più modesti, lavorano al servizio dell’immortalità. Coloro che sono entusiasti, non si rendono conto che, in realtà tale progetto, non eliminano le sofferenze, ma le spostano semplicemente in avanti, op. cit, pp. 185 e ss. 146 La libertà responsabile della ricerca bisogna evitare che la tecnica finalizzata alla sola conoscenza formale o alla produzione remunerativa perda di vista il “senso” del’umanità? 3.3. Gli interrogativi sollevati dallo sviluppo della scienza A buon diritto Galileo, può essere preso come il significativo emblema delle controverse problematiche relative all’autonomia della scienza e alla responsabilità del ricercatore142. Con la richiesta di autonomia dello scienziato rispetto tanto al potere religioso quanto a quello politico si viene a porre una specifica problematica tuttora rilevante, ovvero la questione della responsabilità dello scienziato rispetto al suo operato e alle conseguenze che ne derivano. Ma chi è colui o qual è l’istituzione che ha il potere di imporre tali limiti in un mondo secolarizzato, in cui vige il pluralismo delle morali religiose e dell’idea di bene? Come può lo scienziato valutare deontologicamente il punto limite della propria libertà di indagine? E ancora ci devono essere elementi normativi condivisi (come nel caso delle carte costituzionali, e dei diritti umani) che stabiliscono limiti alla ricerca e allo sviluppo scientifico? Inoltre, quale connessione può esistere tra sapere, ricerca scientifica, sviluppo tecnoscientifico e mondo della vita? Tale questione venne sollevata per la prima volta da Husserl, che prese proprio Galileo definito un genio che scopre e insieme occulta” a simbolo della progressiva crisi delle scienze europee. 142. Cfr. M. Calloni, op. cit., p. 98. «Nel processo intentatogli contro dalla Chiesa, Galileo mette in luce una delle questioni più rilevanti non solo per l’auto–comprensione della modernità, bensì per le problematiche stesse concernenti il progresso e l’innovazione. Pone infatti in rilievo il rapporto tra scienza e religione, o meglio la questione dell’autonomia della conoscenza rispetto alla teologia. Nella lettera a Madama Cristina di Lorena, Galileo scrive infatti: «ciò mi pare che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi di Scritture, dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie». Indicando così la diversa natura che caratterizza la scienza e la teologia, Galileo sottolinea l’impossibilità di un contrasto fra indagine scientifica e finalità religiosa. Di contro il cardinale Bellarmino, riteneva che il progresso scientifico fosse una minaccia per la morale». iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 147 Galileo, infatti, avrebbe rivendicato l’autonomia della scienza rispetto alla teologia, ma contemporaneamente avrebbe contribuito a “staccare” il pensiero scientifico, formalizzandolo, dal “mondo della vita”.143 Ciò che emerge chiaramente dalle parole di Husserl, è una critica serrata contro quelle forme di sapere, di progresso tecno–scientifico che hanno perso di vista il senso della loro azione e il referente stesso del proprio operare, cioè, l’umanità144. Gli uomini di oggi, infatti, sono posti di fronte ai numerosi problemi sollevati dall’evolversi delle conoscenze nel campo scientifico–tecnologico e fra questi, forse in modo particolare, quelli emergenti nel settore delle scienze biologiche, alle quali molti studiosi riconoscono ormai, a partire dalla seconda metà del novecento, quel ruolo guida che era sempre stato tradizionalmente attribuito alla fisica145. Tali problemi, tra l’altro, non sembrano risolvibili né attraverso l’estrema specializzazione dei saperi e delle relative competenze settoriali, né per mezzo della sterminata quantità di notizie che, diffuse dai grandi mezzi di comunicazione, riescono spesso più a disorientare e ad allarmare che a informare in maniera seria ed efficace146. Si potrebbero citare a tale proposito, le riflessioni di Stephen Hawking il quale suggerisce di modificare il DNA umano, ossia creare uomini con un DNA più complesso per evitare di essere sopraffatti dagli automi intelligenti. Insomma, una specie di “superuomini” da affiancare ai “normali” esseri umani147. Oppure, si potrebbe pensare al dibattito suscitato dalle notizie diffuse sulla volontà conclamata di procedere alla clonazione di esseri umani da parte di alcuni autorevoli ricercatori, annunciando esperimenti in tal sen 143. Cfr. E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it. Il Saggiatore, Milano 1961, pp. 82–85. 144. Cfr. E. Husserl, op. cit., p. 86. 145. M. Casini, Prospettive ed interrogativi sollevati dallo sviluppo biotecnologico in C. Dal Canto, M. Paoli, G. Volpi, Bioetica: La qualità della vita e la dignità della persona: aspetti scientifici, etico–giuridici e filosofici, Edizioni del Cerro, Pisa 2002, p. 59. 146. Cfr. M. Casini, op. cit., pp. 60 e ss. 147. S. Hawking, Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo, BUR, Rizzoli, Bologna 2007. 148 La libertà responsabile della ricerca so che avrebbero coinvolto donne di varie nazionalità, oppure citare la notizia relativa alla prima clonazione di un embrione umano avvenuta nel novembre del 2001 a opera di una società privata di biotecnologia con sede a Worcester nel Massachussetts e quella del parziale sviluppo di un embrione umano all’interno di un utero artificiale, anche in vista di un impianto sull’uomo in maniera da rendere interscambiabile il ruolo materno tra maschi e femmine, realizzato alla Cornell Un’versity da un gruppo di scienziati statunitensi. Si tratta, come rilevabile anche da questi pochi riferimenti, di questioni bioetiche di grande importanza dalle quali non possono prescindere tutti coloro che intendono maturare una autonomia di pensiero in vista di scelte libere e responsabili. Certo, si potrebbe pensare che, tutto sommato, «non c’è niente di nuovo sotto il sole» come affermato da Norberto Bobbio, dal momento che l’uomo e il mondo sono sempre stati sostanzialmente gli stessi e che abbiamo sempre avuto un rapporto ambivalente e problematico con la natura148. Se ciò è in parte vero, ci sembra altrettanto vero che l’epoca attuale si caratterizza per alcune novità radicali. In particolare, si fa riferimento a una ricerca scientifica sempre più spinta ai confini della vita con una violenza che, amplificata dal sistema massmediatico, rischia di far dimenticare quell’ethos che permette agli uomini di sentirsi se stessi. Mai come oggi ci troviamo di fronte al rischio di fare della tecnica un idolo e che davanti a noi si pongono necessità del tutto nuove rispetto alle quali, principi dati per scontati da millenni, non sono più facilmente applicabili149. Questa nuova fase epocale, ha contribuito a spingere alcuni studiosi ad approfondire tale settore. Come ci ha suggerito il padre della prima bambina francese nata in provetta, Jacques Testart, siamo forse per la prima volta di fronte alla «necessità di definire una soglia, ovvero, quella che rende l’uomo intollerabile all’uomo»150 . 148. Cfr. T. Greco, Noberto Bobbio. Un itinerario intellettuale tra filosofia e politica, Donzelli Roma 2000 Cfr. inoltre sull’argomento A. Punzi (a cura di) Omaggio a Norberto Bobbio, (1909–2004) Metodo, linguaggio, scienza del diritto, Giuffrè, Milano 2007. 149. Cfr. A. Bazzi, P. Vezzoni, Biotecnologie della vita quotidiana, Laterza, Bari 2000. 150. Cfr. J. Testard, L’uovo trasparente, Bompiani, Torino 1988. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 149 Un tale scenario rischia di essere ulteriormente aggravato anche dal depotenziamento della metafisica e dal conseguente prevalere di un «pensiero debole» che ha condotto a un certo smarrimento dell’identità ontologica dell’uomo, del senso della sua esistenza e all’apertura di un orizzonte di tipo nichilistico151. Ma affrontare tematiche di bioetica come quelle legate alle manipolazioni genetiche e alle biotecnologie, ai trapianti di organi, alla fecondazione artificiale, al trattamento degli embrioni o all’accanimento terapeutico, vuol dire anche fare chiarezza tra i vari ambiti dei saperi che entrano in gioco e imparare a distinguere tra ciò che appartiene all’ambito della tecnica, ciò che invece, riguarda il campo scientifico e quello che viceversa attiene al dominio dei principi filosofici ed etici152. In particolare, in relazione alla complessa questione del rapporto tra scienza e tecnica la diffusa concezione secondo la quale la scienza si occuperebbe di questioni teoretiche e la tecnica delle conseguenti applicazioni pratiche, appare quantomeno semplicistica153. Infatti, la scienza come osserva Galimberti non ha «uno sguardo puro, non guarda il mondo per contemplarlo come fa il poeta ma per trasformarlo» e l’intenzione manipolatrice è già insita «nello stesso atto di nascita dello sguardo scientifico»154, allora, appare problematica una distinzione tra ricerca pura e sue applicazioni pratiche, da considerarsi buone o cattive in base ai risultati perseguiti, quindi, l’impresa tecnico–scientifica non è un procedimento neutrale, ma occorre collocare le scelte etiche in un momento anteriore alla ricerca con la necessità di «una riflessione pluridisciplinare sul significato stesso della produzione scientifica»155. Riguardo agli interrogativi sollevati dallo sviluppo biotecnologico, occorre unire l’aspetto scientifico con quello tecnologico perché 151. Cfr. E. Sgreccia, C. Paolozzi, op. cit. 152. Cfr. G. Gismondi, op. cit. 153. M. Mori, Bioetica: una risposta ai nuovi interrogativi, in C. Dal Canto, M. Paoli, G. Volpi, op. cit., pp. 81 e ss. 154. Cfr. E. Boncinelli, U. Galimberti, G.M. Pace, E ora? La dimensione umana e le sfide della scienza, Einaudi Torino, 2000. 155. Cfr. E. Boncinelli, U. Galimberti, G.M. Pace, op. cit. 150 La libertà responsabile della ricerca scienza e tecnologia si sono intrecciate fino al punto di diventare indispensabili l’una per l’altra. Non è un caso che alcuni studiosi, definiscono l’era attuale come “l’era tecnologica”156. La biotecnologia, infatti, sta facendo enormi passi avanti, e di fronte a questo incessante sviluppo sono molte le domande che sorgono nell’uomo, tra le tante, quella che appare pressare maggiormente l’opinione pubblica è se tutto ciò che è tecnicamente possibile sia anche eticamente lecito. Il problema che si pone, infatti, è quello di stabilire quale tipo di etica utilizzare per far fronte alle sfide lanciate dal progresso tecnico–scientifico. L’urgenza di una tale sfida è evidente, soprattutto, nella medicina che sta sempre più diventando una “medicina dei desideri”, con un medico che interviene sempre di più sull’uomo. Tale impostazione vuole essere una sfida per costruire un ponte tra natura e persona, intendendo ogni essere umano fin dal concepimento, ma ancora un ponte tra fede e ragione, allo scopo di superare, nella ricerca di una visione comune dell’uomo, l’opposizione tra laici e cattolici, ma anche un ponte tra etica e diritto, a tal proposito, la biogiuridica nasce proprio allo scopo di far fronte allo sviluppo biotecnologico, al fine di proteggere da una sorta di svalutazione della corporeità e difendere il futuro della natura umana dal dominio della tecnica e della scienza 3.4. Il futuro della natura umana Il concetto di natura ha subito numerose evoluzioni nella sua definizione, a seconda dei sistemi culturali e filosofici entro cui l’uomo nel corso della storia ha circoscritto la sua esistenza e la sua relazione con il mondo e il tempo157. In ogni caso, la natura può essere definita in due modi: positivamente, come l’insieme di tutti gli enti, compreso l’uomo, caratterizzati dall’avere la cau- 156. Cfr.M. Casini, op.cit., p. 60. 157. Sul punto rinvio a A. Di Giandomenico, op. cit., p. 48. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 151 sa della propria generazione in sé stessi e non nell’opera di altri; negativamente, come l’insieme di tutti gli enti che non sono stati artefatti dall’uomo. I progressi della genetica trascinano, così, nell’ambito della stessa ingegneria genetica ciò che viene definito “naturale”, giungendo a una oggettivizzazione tecnica e quindi artificializzazione della natura umana158. Infatti, tra i temi più dibattuti di questi ultimi anni troviamo senz’altro quelli relativi alla ricerca genetica, alla manipolazione del DNA, alla produzione della vita in laboratorio, (c.d. autopoiesi) poiché proprio in laboratorio si dà origine anche alla vita umana159. Libertà della scienza, dignità della vita umana sono i due valori entro cui si gioca l’intervento dell’uomo160. Alla luce di ciò, la contrapposizione tra naturale e artificiale è così il risultato dell’azione poietica dell’essere umano, ma quale siano le differenze tra le due componenti, o cosa significhi comprenderne il rapporto e soprattutto, studiarne i ruoli nel contemporaneo, potrebbe richiedere un lavoro di analisi più complesso e articolato del previsto161. Se pensiamo all’accezione comune dell’aggettivo “artificiale” scorgiamo immediatamente la caratteristica portante dell’essere artificio in quanto il mondo naturale viene imitato, riproposto, sostituito, fungendo da esemplare per un’azione di ri–produzione.162 La tecno–tecnologia rappresenta, il mezzo che permette tale rapporto, è il catalizzatore, nonché, lo strumento necessario 158. J. Habermas, op. cit., p. 26. 159. Cfr. D. Neri, La Bioetica in laboratorio, cellule staminali, clonazione e salute umana, Laterza, Bari 2005; s.v. inoltre F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit. 160. Cfr. E. Sgreccia, M. Lombardi Ricci (a cura di), La vita e l’uomo nell’età delle tecnologie riproduttive. Una domanda di sapienza e di agire responsabile, Vita e Pensiero, Milano 1997. 161. Cfr. S. Pratesi, Verso una Bioetica artificiale?, in Verso una bioetica artificiale? Riflessioni sull’era cyborg, in Tecnica etica e diritti umani a cura di A.C. Amato Mangiameli, Aracne, Roma 2003. 162. Per un’analisi dell’artificiale cfr. M. Negrotti (a cura di), Artificialia, Artificiale. La riproduzione della natura e le sue leggi, Laterza, Roma–Bari 2000. 152 La libertà responsabile della ricerca al passaggio dallo stato naturale alla dimensione dell’artificiale, nella quale, però, non esaurisce tutto il suo potere poietico, bensì solo quello che ha come fine la mimesi. La realtà artificiale, quindi, rappresenta l’immagine della produzione umana che tenta di riproporre il naturale, ma informata dall’azione dell’uomo e quindi modificata e riprogrammata163 . Questa distinzione, permette di svelare la natura dell’artificiale, frutto dell’attività del homo faber, ma soprattutto il suo tentativo di modificare l’ambiente naturale riproponendolo, e quindi, non solo l’agire tecnico dell’uomo sull’ambiente umano, ma il prodotto di una tecnologia mimetico–imitativo–trasformativa. L’artificiale, così proposto, è l’effetto diretto della trasformazione dell’azione tecno– tecnologica e quindi fondamento di quel binomio uomo–macchina segno di quest’epoca, provocatoriamente definita (per quanto un processo in continua mutazione possa essere de–finito) cyborg164. L’artificiale svela l’ontologia del cyborg, mostrandone il carattere naturoide165, il suo essere parte della realtà naturale ma, contemporaneamente, totalmente altro, sua immagine riprodotta ma tendenzialmente modificata, altro quindi dall’uomo in quanto prodotto, ma parte dell’uomo in quanto riproduzione. Ed è questo il potere disvelativo dell’ artificio, essendo l’essenza del cyborg, il punto focale del binomio macchinico–biologico o biologico ingegnerizzato, che si pone al vivente come alterità, ma anche come riproposizione e mutazione del paradigma umano, e quindi come esigenza di un pensiero nuovo, intorno alle scelte, alla prassi e alla vita dell’uomo166. La bioetica artificiale, quindi, è solo l’esempio del bisogno di una nuova sensibilità, di un insieme di cammini percorribili nell’epoca in cui il “tutto possibile” acquista il carattere della doverosità e dove il lecito o è un ter- 163. Cfr. M. Negrotti, op. cit., p. 38. «L’artificiale, oltre una certa soglia di complessità, tende a trasformare o arricchire l’esemplare e le sue prestazioni sia per ragioni intrinseche al suo essere comunque macchina, sia perché approfondisce le caratteristiche isolate dell’esemplare dal contesto» 164. Cfr. S. Pratesi, op. cit., 165. W.T. Reich, op. cit., p. 21. 166. Cfr. S. Pratesi, op. cit. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 153 mine privo di senso, o diviene il “vicolo cieco” dello sviluppo umano. In tale contesto,concordando con quanto autorevolmente affermato da Lombardi Vallauri, è necessario, ripensare il ruolo sapienziale della conoscenza167, attraverso una nuova contemplazione dell’umano168, oltre a una rivisitazione della categoria di progetto169, ovvero un ritorno a quello che Potter denominava “la nuova saggezza” 170, un superamento dell’antropocentrismo verso un nuovo modello critico171, una “transdisciplinarietà forte” contrapposta a un “interdisciplinarietà debole” capace di osservare il sistema uomo–mondo senza perderne la complessità compositiva172, e infine, un sapere scientifico che, scevro da riduzionismi di ogni sorta, possa «essere ascolto poetico della natura e contemporaneamente processo naturale nella natura, processo aperto di produzione e di invenzione, in un mondo aperto, quindi, produttivo e inventivo»173. Tant’è che, in un epoca in cui si è modificata la relazione esistente tra prâxis, téchne e physis, in cui l’agire e il fare non trovano più nella natura il limite del loro potere, e in cui, spesso, il fare tecnico ha fagocitato l’agire pratico174, è la stes 167. Cfr. L. Lombardi Vallauri, Terre. Terra del nulla, terra degli uomini, terra dell’oltre, Vita e Pensiero, Milano 1990, p. 414. «È chiaro che se la sapienza è la risposta meno inadeguata possibile alla domanda “grande” dell’uomo sul senso della vita, risposta non soltanto formulata in termini intellettuali, come accade nella maggior parte delle filosofie accademiche ed ideologie, ma pervadenti tutti i livelli mentali e fisici della persona, allora il raggiungimento della sapienza, e l’agire ed il comunicare fondati sulla sapienza, sono il fine stesso della vita umana e la sua perfezione». 168. Cfr. L. Lombardi Vallauri, Diritto e vita biologica, in «Democrazia e Diritto», 1988, n. 2. 169. Ibidem. 170. Cfr. V.R. Potter, op. cit., p. 39. 171. Per un antropocentrismo critico si veda R. Marchesini, Post–human, Bollati Boringhieri, Torino 2002, pp. 148–150. 172. Cfr. A. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza, trad. it., P. D. Napolitani, Einaudi, Torino 1999, p. 287. «Dobbiamo imparare a non giudicare più la varie forme di sapere, di pratica e di cultura prodotte dalle società umane, ma a incrociarle, a stabilire nuovi canali di comunicazione. Soltanto in questo modo possiamo venire incontro alle richieste senza precedenti del nostro tempo». 173. Ibidem. 174. Cfr. U. Galimberti, Psiche e Techne, L’uomo nell’età della tecnica: opere XII, Feltrinelli, Milano 2002. 154 La libertà responsabile della ricerca sa “etica dell’intenzione” intesa nel senso “agisco da giusto, dunque la mia azione sarà giusta” a dover essere rivisitata, dovendo affrontare caratteri del nostro tempo quali la difficile definibilità dei soggetti, l”imprevedibilità del futuro, la non proporzionalità tra causa ed effetto e la non linearità dello sviluppo. Ma, la risposta weberiana175, oltre a quella fornitaci da Jonas, come la proposta di un’“etica della responsabilità” intesa come essere responsabile degli effetti prevedibili della mia azione, sembra cadere sotto le stesse difficoltà, e a essere oppressa dal peso dell’imprevedibilità, infatti, la responsabilità dell’azione si dissolve, gli effetti retroattivi del fare tecno–tecnologico ne rendono inefficace la soluzione che è costretta, così, a fermarsi davanti a una epistemologia della paura, cioè arenarsi alla dimensione istintuale, unico limite in un’epoca che ha smarrito il senso del limite.176 La natura deve, quindi, essere intesa come una entità che comprende armonicamente tanto l’uomo quanto la totalità degli altri enti viventi sulla terra, dei quali egli non deve considerarsi il dominatore, ma il custode che se ne serve rispettandoli.177 I due poli, quelli di natura e tecnica, che nel corso del tempo sono stati avvertiti come contrapposti, progressivamente appaiono sempre meno lontani quasi in 175. Cfr. M. Weber, Il lavoro intellettuale come professione, trad. it., Einaudi, Torino 1971. 176. U. Galimberti, op. cit., p. 467. «Ben interpreta Galimberti questa perdita di efficacia dei modelli etici: “Dove il fare tecnologico, crescendo su se stesso per autoproduzione, genera conseguenze che sono indipendenti da qualsiasi intenzione diretta, ed imprevedibili quanto ai loro esiti ultimi, sia l’etica dell’intenzione, sia l’etica della responsabilità assaporano una nuova impotenza, che non è più quella tradizionale misurata dalla distanza tra l’ideale ed il reale, ma quella ben più radicale che si incontra quando il massimo della capacità si accompagna al minimo di conoscenza intorno agli scopi». s.v. inoltre per maggiori approfondimenti F. Zanuso, op. cit., p. 16. «L’indisponibile afferma l’autrice, deve proporsi non tanto nella sua mole di ostacolo, quanto nella sua struttura di limite. Nell’era moderna, il concetto del limite appare qualcosa di estraneo, in quanto , in quanto l’idea di limite si è trasformato nel concetto di ostacolo, a causa del rigetto o rimozione del trascendente operata dalla modernità». 177. Il riferimento è alla Genesi (II), 15–12–17 s.v. inoltre A. Tarantino, La problematica odierna della natura delle cose, Giuffrè, Milano 2008. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 155 relazione, un continuo e proficuo intrecciarsi178. Alla luce di ciò, vi è senza dubbio, l’esigenza di recuperare un’etica dell’uomo in stretta correlazione con la risposta alla domanda su chi è, e che cosa sia realmente l’uomo, atteso che tale interrogativo e la relativa soluzione costituiscano la premessa fondamentale per potere poi approcciarsi a una corretta prospettiva etica179. In tal senso, nessuna azione normativa e/o politica, che concerne la vita dell’uomo, ovvero la sua naturalità ontologica, può darsi in assenza di una valutazione etica, dell’azione medesima, ovvero, senza una filosofia del diritto alla vita. Al centro del discorso, quindi, sta sempre il rapporto tra progresso e uomo, tra artificio e natura, la cui dimensione altra, rispetto a quella della mera corporeità, non può certo essere sottaciuta o messa da parte rispetto alla supremazia della scienza e della tecnica, soprattutto in considerazione della totalità e radicalità dell’essere umano180. Il progresso, inteso come il miglioramento della qualità della vita, rappresenta il paradosso della modernità, nel senso che esso, sic et sempliciter uccide il senso di appartenenza, e ogni individuo pur sentendosi proiettato in un mondo più comodo, è sicuramente privo di qualsivoglia finalità superiore al puro esistere. Detto ciò, non si può disconoscere che la nuova schiavitù, si chiama tecnocrazia, la quale non è figlia della scienza in senso proprio, ma per dirla con la Zanuso, dello scientismo dilagante della nostra epoca181. Tale scientismo, è caratterizzato dal nichilismo e dal dominio della tecnica o tecnoscienza, ed è qui che si pone con forza il problema fondamentale dell’uomo, ovvero, il suo essere persona. Si assiste in tale contesto, all’eliminazione della dimensione religiosa da par- 178. Cfr. A. D’Atri, Vita e artificio. la filosofia di fronte a natura e tecnica, Rizzoli, Bologna, 2008. 179. G. Di Rosa, Biodiritto. Itinerari di ricerca, Giappichelli, Torino 2009 op. cit., p. 29. 180. Sul rapporto tra ruolo della scienza e relative applicazioni tecniche s.v. S. Amato, Biopolitica biodiritto e biotecnologie, in Nuove biotecnologie. Biodiritto e trasformazioni della soggettività, a cura di L. Palazzani, Studium, Roma 2007, pp. 25 e ss. 181. F. Zanuso, op. cit., p. 39. 156 La libertà responsabile della ricerca te dello scienziato, secondo il modello dell’ideologia dell’ateismo182 contro la convinzione che esistano fattori non suscettibili di fondamento razionale, così come risultante dalla corretta interpretazione della frase eisteiniana «la scienza senza religione è zoppa, la religione senza scienza è cieca», allora la scienza non può avanzare se non è sorretta da una coscienza della trascendenza e viceversa183. Oggi il problema più grave è quello di un mondo che ha perso il reale significato e il relativo interesse, ossia lo smarrimento del senso stesso della vita184. Siamo in presenza di una sistematica alterazione della natura, che pone inquietanti interrogativi non solo nel dibattito bioetico185, ma soprattutto in quello biogiuridico. Occorre quindi, come evidenziato da Bobbio, proporre una sorta di Carta dei diritti della natura, intesa non meccanicisticamente, ma teleologicamente186, ovvero, finalizzata a evolversi in base alla sua estrinseca essenza, mantenendo l’identità, in quanto la natura dell’uomo, è «la misura del nostro essere e del nostro agire»187. 182. Cfr. R. Dawkins, L’illusione di Dio. Le ragioni per non credere, trad. it., L. Serra, Mondadori, Milano 2007. 183. G. Israel, Povertà intellettuale e declino scientifico, in «L’Osservatore Romano», n. 19, Roma 2007. 184. In tal senso, emblematico è un passaggio del Libro Verde sul futuro del modello sociale diffuso nel luglio 2008 dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali in cui al paragrafo dedicato a La visione: la vita buona nella società attiva, si legge che «la crisi del modello sociale italiano, è, prima di ogni altra cosa, una crisi culturale e di valori, a partire dal misconoscimento della centralità della persona, dalla insufficiente attenzione alla primaria difesa della vita, dalla ricorrente negazione del ruolo della famiglia». Questa tesi vuole essere la risposta alle ricorrenti visioni nichiliste di una società nella quale molti sembrano aver smarrito appunto il senso stesso della vita. 185. G. Di Rosa, op. cit., p. 34. «Del resto, che l’azione scientifica non sembra avvertire la necessità di un’eteronomia fondatrice risulta dai dati di fatto, atteso che la linea di sviluppo è quella di una sistematica alterazione della natura, come risulta da recenti esperimenti condotti sui topi al fine di ottenere il definitivo superamento dei limiti di età nella procreazione, consentendo in futuro che sperma ed ovuli vengano ricavati dalle cellule staminali della pelle; l’obiettivo dichiarato è quello del superamento dei tempi biologici così da consentire alle donne di vivere una seconda giovinezza, diventando madri anche dopo la menopausa». 186. N. Bobbio, Natura e diritto, in «Civiltà delle macchine», XXII, 5–6, pp. 15–19. 187. F. D’Agostino, Filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 1997 p. 58. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 157 Questo tipo di ragionamento non pone dubbi sul fatto che l’attività scientifica, se vuole porsi come tale, deve essere animata dal principio ineludibile del rispetto e della promozione della persona, tenendo presente tanto la sacralità della vita quanto l’unicità e irripetibile dignità della stessa che assurge a valore cardine dell’intero ordinamento188. Se la persona rappresenta, come è stato dimostrato dalla dottrina dominante189, il criterio che legittima l’intero ordinamento giuridico, allora anche la libertà di ricerca deve potersi piegare al suo cospetto. Da ciò, allora, il suo rapporto con il diritto e, quindi, la sua trasfigurazione in libertà responsabile. 188. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., pp. 78–79. «Il diritto deve recuperare, dunque, la dimensione etica e valoriale, la persona deve essere considerata non più come individuo isolato ed atomistico, ma come titolare di quella classe di diritti fondamentali, che si collocano quali principi di legittimazione dell’ordine giuridico, recuperando così, le istanze etiche e religiose». 189. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., s.v. inoltre sull’argomento, A. Baldassarre, op.cit. Capitolo IV Scienza e regole giuridiche 4.1. Le sfide della scienza e della tecnica nell’ordinamento giuridico Sono molte le questioni bioetiche che ormai da tempo richiedono una disciplina giuridica adeguata, attenta e aggiornata. Tra queste rientrano, come abbiamo già visto, l’ingegneria genetica, la libertà di ricerca e di cura, ma anche i rischi di discriminazione genetica1. In questo contesto, tanto la bioetica quanto il biodiritto sono caratterizzati dal fatto di essere sistemi aperti e plurali, ovvero caratterizzati dall’interazione di una pluralità di fonti differenti oltre che a diversi livelli. I numerosi problemi bioetici, che emergono continuamente esigono, allora, un’adeguata regolamentazione giuridica, sia a livello nazionale, che internazionale. Il passaggio dalla riflessione bioetica a quella biogiuridica è inevitabile, anche se nella realtà si sta verificando una situazione paradossale in quanto, più si accelerano i tempi della ricerca scientifica, più si allungano i tempi giuridici, creando così un vuoto legislativo2. Alla luce di ciò, è impellente il bisogno di riflettere sul rapporto bioetica/biodiritto, abbandonando i due estremi che riducono o 1. Cfr. M. Volpi, Biotecnologie, op. cit., pp. 20 e ss. 2. Cfr. L. Palazzani, Corpo e persona: i percorsi filosofici della bioetica e della biogiuridica, in Aa.Vv., Il corpo de–formato. Nuovi percorsi dell’identità personale, a cura di F. D’Agostino, Giuffrè, Milano 2002. 159 160 La libertà responsabile della ricerca l’etica al diritto, o il diritto all’etica3, questo, poiché, tale rapporto è oramai tanto stretto che «il biodiritto senza la bioetica è cieco e la bioetica senza il biodiritto è vuota»4. Alcuni orientamenti tendono a escludere dal diritto ogni riferimento etico per tentare di essere neutrali rispetto a ogni scelta di valore. È proprio a seguito delle nuove esigenze della tecnomedicina, che si avverte il pericolo di un diritto ridotto a mero strumento della volontà, sia essa individuale o politica. Anche perché, la tecnica per sua essenza non mira a scopi escludenti, bensì alla crescita infinita della propria potenza. Tant’è che lo scenario epocale aperto dalla contemporaneità è, quello di una tecnica tendente all’onnipotenza5. La tecnica rivela, però, una sua concretezza, poiché essa è la forma della produzione reale degli scopi, produzione che concorre all’aumento indefinito dell’apparato scientifico–tecnologico e da ciò ne consegue che la tecnica è non trascendente, come in fondo pensa Irti, bensì, trascendentale. La dominazione della tecnica, allora sottolinea Severino è un «processo tuttora in atto», non elimina la norma, ma la subordina a sé. Un esempio concreto è rappresentato dalla manipolazione genetica, dalla sua capacità di trasformare la normatività tradizionale a vantaggio della potenza della tecnica. Questa, “distrugge” e sostituisce l’onnipotenza di Dio, instaurando un predominio che si presenta come la forma rigorosa della “follia” estrema dell’Occidente6, solo rispetto al divenir altro delle cose del mondo, degli enti, infatti, può costituirsi una qualsiasi forma di volontà di realizzare scopi. Alla luce della tesi dell’intrascendibilità del diritto, Irti, riprende il filo del suo discorso insistendo sul fatto che tanto il capitalismo, quanto la tecnica, necessitano di un costitutivo bisogno di diritto. A suo giudizio la tecnica in Severino assume, con «inattesa movenza kelsenia- 3. Cfr. L. Palazzani, op. cit. 4. In tal senso s.v. D. Gracia, Fondamenti di bioetica, sviluppo storico e metodo, San Paolo, Milano 1993. 5. Cfr. N. Irti, E. Severino, Dialogo su diritto e tecnica, Laterza, Roma–Bari, 2001, p. 35. 6. Cfr. N. Irti, E. Severino, op. cit., p. 40. Cfr., inoltre C. Faralli, G. Finocchiaro, Diritto e nuove tecnologie, GEDIT, Bologna, 2007. iv. Scienza e regole giuridiche 161 na», quei caratteri della Grundnorm, (norma fondamentale da cui ogni altra norma deriva)7. Egli ritiene però, che anche la stessa tecnica, ovvero, la normatività tecnologica, non possa non presentare un carattere escludente e contenutistico. Il rapporto quindi, tra il diritto e la tecnica, che deve essere pensato sul piano del “prevalere storico” , sarebbe stravolto da Severino, sulla base di un “rovesciamento logico” e dall’eliminazione della differenza tra principio regolatore, che è rappresentato dal diritto, e il c.d. regolato che è appunto la tecnica. Si assisterebbe così a una derivazione di norme politico–ideologiche dalla Grundnorm tecnologica8. Essa, in quanto «forma di volontà mirante per raggiungere scopi non escludenti, escluderebbe tutti gli scopi contrastanti con la propria infinita capacità di raggiungere scopi»9. In tal senso, Irti, intende sostenere, con acutezza, che la tecnica ha pur sempre uno scopo, ossia proprio quello di realizzare scopi, e quindi deve negare il suo opposto, che viene definito “anti–tecnica”10. Nella sua prospettiva il diritto, finisce così, per condividere alcuni connotati propri della tecnica, il diritto, infatti, si potrebbe definire come quell’infinita capacità di rendere efficaci (ed escludenti) volontà o proposizioni, ideologiche politiche, economiche. Il presunto giustecnicismo severiniano, come osservato da Irti, si dovrebbe ridurre a ipotesi politico–ideologica in conflitto con le altre, costretta, se vuole imporsi, a “scorrere” in quelli che vengono definiti “nomodotti”, ovvero, canali procedurali del diritto. Anche la tecnica, con linguaggio forense, sarebbe una parte in causa agli occhi del giurista e non qualcosa intesa come super partes. La tecnica dunque, o è teleologicamente astratta oppure è un’ipotesi contendente tra le altre. Severino, replica a tale conclusione, argomentando a un livello più profondo, in quanto, egli nega che il contenuto delle norme sia ricavabile dalla volontà della tecnica di incrementare la propria potenza, piuttosto il diritto, o quant’altro, sono destinati a sottostare alla regola imposta dalla tecnica, pertanto il diritto diviene un “mezzo” della tecni 7. Cfr. H. Kelsen, Teoria generale del diritto e dello Stato, trad it. S. Cotta e G. Treves, ETAS, Milano, 1994 . 8. Cfr. N. Irti, E. Severino, op. cit., p. 51. 9. Cfr. N. Irti, E. Severino, op. cit., pp. 52 e ss. 10. Cfr. N. Irti, E. Severino, op. cit., pp. 54 e ss. 162 La libertà responsabile della ricerca ca11. Nella filosofia di Severino, quindi, la tecnica si sviluppa sull’impossibilità dell’esistenza di limiti assoluti dell’agire e questa è la prospettiva decisiva dischiusa dal pensiero contemporaneo. È sì possibile dire che la tecnica “prevale storicamente”, ma in ciò avviene anche quel fondamentale “rovesciamento”, che Irti, considera puramente logico, per cui la tecnica stessa diviene scopo, regola, secondo necessità o destino, in ogni caso è mantenuta quella differenza tra regola e regolato. Riguardo al contenuto delle norme che rappresentano dei mezzi, questo non è annullato, cambia semplicemente, il loro contenuto, inoltre non è deducibile dalla “legge” della tecnica, con la quale invece è possibile una sintesi. La tecnica rappresenta, dunque, la figura di un “nuovo Dio” che domina il diritto e di conseguenza, se la titolarità dei diritti non è riconosciuta, ma attribuita, è una titolarità mutevole e in alcuni casi negata, il diritto, allora, può essere usato contro l’uomo. Ciò, rappresenta una minaccia per l’uomo che regredisce verso una condizione di insicurezza, ma anche di indeterminatezza12. Da qui l’esigenza di una nuova logica e di una nuova razionalità, mediante le quali si riesca a comprendere noi stessi e il nostro mondo13. Pertanto, nell’elaborazione di discipline che riguardano fenomeni come le pratiche mediche o la ricerca scientifica, occorre che il legislatore approfondisca i dati della scienza che di fatto costituiscono i presupposti del suo intervento. Anche se la necessità di una corretta valutazione del dato scientifico, che sta alla base del regolato, vieta al legislatore di intervenire ponendo limitazioni arbitrarie in settori, come per esempio, quello medico, nei quali entrano in gioco proprio i diritti fondamentali14. 11. Sull’argomento rinvio a N. Irti, E. Severino, op. cit., p. 54. 12. Per maggiori approfondimenti s.v. E. Baglioni (a cura di) Ospiti del futuro, Giappichelli, Torino, 2000. Cfr. inoltre, A. Punzi, L’ordine giuridico delle macchine. La Mettrie Helvetius d’Holbach. L’uomo–macchina verso l’intelligenza collettiva, Giappichelli, Torino 2003. 13. Cfr. S. Armellini, Ospitalità e diritto, in E. Baglioni (a cura di), op. cit., p. 142. 14. Cfr. G. Vaccari, Diritto scienza e costituzione . Tutela della salute e rilievo del dato scientifico nelle giurisprudenze costituzionali, in «Forum biodiritto», Convegni, 2008. iv. Scienza e regole giuridiche 163 Il ventesimo secolo come abbiamo più volte detto, si è caratterizzato per lo sviluppo e il progresso scientifico che come in una “reazione a catena” hanno dato vita ad altre tecnologie. Tutto ciò ha determinato il sorgere di quella che, a giusta ragione è stata definita come una «nuova religione del progresso tecnico», una sorta di credo secondo cui ogni problema, qualunque sia la sua natura, può essere risolto in virtù delle nuove competenze acquisite in campo tecno–scientifico15. È proprio in questo contesto di boom scientifico, che nasce l’esigenza di una seria regolamentazione, in grado di legittimare la stessa scienza definendo ciò che possa o meno essere fatto e in che situazioni16. Un tale tentativo di disciplinare tanto la scienza, quanto la tecnica, fa sorgere il problema di cercare di fondere due concezioni e due tipi di cultura totalmente opposti: da un lato la cultura scientifica, generalmente orientata su una concezione galileiana dell’universo inteso come un libro di cui bisogna capirne la scrittura per afferrarne l’essenza e dall’altro quella umanistica, soprattutto di stampo religioso, che, invece, vuole riferirsi a uno schema superiore e irraggiungibile del mondo, ponendo dei forti limiti oltre i quali non è giusto che l’uomo si spinga17. L’aumento smisurato del potere della scienza e la sua alleanza con la tecnica hanno determinato , nel novecento l’esigenza di coniugare scienza e saggezza, considerato che la scienza rappresenta una preoccupazione per l’etica del futuro, soprattutto alla luce della dimensione utopica della tecnologia moderna18. Non dobbiamo dimenticare però, che questa esigenza è insita nell’“idea originaria di bioetica” tanto che Potter19, scriveva che «l’umanità ha urgente bisogno di una nuova saggezza che fornisca la consapevolezza di come 15. M. Caserta, op. cit., Cfr. inoltre C. Schmitt, L’epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni, trad. it., in Le categorie del politico, Bologna 1972. 16. Cfr. N. Romanò, Bioetica e diritto: come regolamentare la scienza? in «Molecularlab, Rivista on–line». 17. Cfr. N. Romanò, op. cit. 18. Cfr. G. Russo, Enciclopedia di bioetica e sessuologia, Elledieci, Roma 2004 , p. 1554. 19. Cfr. V.R. Potter, op cit. 164 La libertà responsabile della ricerca usare la conoscenza per la sopravvivenza dell’uomo e per il miglioramento della qualità della vita»20. Un tale concetto di saggezza inteso come guida dell’azione potrebbe essere denominato scienza della sopravvivenza. Infatti, sempre seguendo l’oncologo americano, la scienza senza la saggezza rischia di procedere alla cieca, pertanto la saggezza indicherà le regole della nuova etica e la bioetica dal canto suo, utilizzerà la scienza biologica per migliorare la qualità della vita21, cercando di comprendere al meglio, la natura dell’uomo e del mondo. Anche perché, lo studio scientifico della vita, modernamente inteso come studio dei fenomeni biochimici, nel momento stesso in cui ha raggiunto i più brillanti risultati, mettendo nelle mani dell’uomo eccezionali strumenti di intervento sulla vita, di fatto ha mostrato l’insufficienza della comprensione della vita come fenomeno esclusivamente biologico22 con la conseguente necessità di riferirsi a un paradigma filosofico antropologico e giuridico, non solo per recuperare il senso del limite dell’approccio scientifico, ma anche per demolire quell’idea della conoscenza scientifica, come di un valore normativo sul piano etico. Non va dimenticato, che è stata proprio la cultura moderna a distinguere i fatti dai valori23, a delimitare cioè, i confini tra scienza che conosce il mondo com’è, rispetto alla morale che ha, invece, il compito di valutare come deve essere24. L’enorme rilevanza sociale delle questioni affrontate dalla bioetica rende necessaria, dunque, l’adozione di dispositivi legislativi che fissino con chiarezza possibilità e limiti degli interventi.25 È anche vero che il compito della legge civile non può essere quello dell’etica, in quanto il diritto non ha alcuna competenza nell’ambito delle scelte private, e non può quindi proporsi di orientare le 20. Ibidem. 21. Cfr. G. Russo, op. cit., p. 1555. 22. Cfr. P. Borsellino, Bioetica tra autonomia e diritto, ZADIG, Milano 2003, p. 47. 23. Ibidem. Cfr. inoltre E. Fazzalari, Conoscenza e valori, Giappichelli, Torino 2004, pp. 7–8 . Sul piano dei valori non è consentito operare distinzioni fra le specie di conoscenze cui essi risalgono, né circoscrivere il discorso alle scienze, o addirittura a quelle i cui risultati siano verificabili. 24. Cfr. P. Borsellino, op. cit., p. 51. 25. Cfr. G. Piana, op. cit., p. 71. iv. Scienza e regole giuridiche 165 coscienze, ma limitarsi solo a salvaguardare il bene pubblico e la determinazione delle condizioni per lo sviluppo di una convivenza ordinata. Ciò però, non significa che tra ordine giuridico e ordine morale, debba esservi una totale estraneità26, anche perché, il rapporto tra diritto e etica è inevitabile soprattutto se si considera che la fissazione delle regole giuridiche non può avvenire che in base a un giudizio di valori,27 facendo attenzione soprattutto alle istanze che scaturiscono dall’ethos comune della società28. La totale separazione del diritto dall’etica, è in tale contesto, inaccettabile, in quanto la necessità di individuare principi che concorrono a definire positivamente ciò che deve essere salvaguardato per la dignità dell’uomo e per il bene della specie umana rende necessario il riferimento a un parametro etico. Allora etica e diritto, non vanno pensati come realtà estranee, bensì come grandezze che devono entrare in un rapporto di interazione29. Di conseguenza, l’autonomia del diritto non può essere illimitata, poiché 26. Cfr. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit p. 97, «In altre parole, come affermato da Calabrò, la distinzione principi dell’ordinamento e principi del diritto mantiene il distacco dualistico tra norma positiva e principi, in quanto quest’ultimi essendo ancorati nella struttura ontologica dell’uomo e fuori dell’ordinamento restando quindi ad un livello debole, possono acquisire valenza però allorché vengono positivizzati dal legislatore. La loro funzione resta a quel livello normativo che è proprio dell’etica abbandonata alla libera scelta dello stesso legislatore. Tale impostazione lascia fuori però, la peculiarità dell’ordinamento giuridico, proprio dello stato di diritto costituzionale, in cui appunto la separazione tra l’ordine giuridico e quello morale sembra essere colmata. In tal senso tra ordine ed ordinamento non vi è separatezza ma distinzione, in altri termini, se l’ordinamento presuppone un insieme ordinato di regole che siano collocate a sistema secondo quell’impostazione kelseniana, esso si configura come l’ordito di quell’ordine giuridico che collocandosi in alto mostra e realizza il fine dell’ordinamento». Cfr. inoltre M. Barberis, Etica per i giuristi, Laterza, Roma–Bari 2006. 27. Cfr. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., p. 101. «Come afferma Calabrò, è proprio nella giurisprudenza il locus entro cui prendono corpo e si manifestano i principi. Nell’attività giurisprudenziale i principi si manifestano e si positivizzano, entrando così nella sfera del diritto positivo». Inoltre sull’argomento s.v. M. Jori, Il giuspositivismo analitico italiano prima e dopo la crisi, Giuffrè, Milano 1987. 28. Cfr. G. Piana, op. cit., p. 71. 29. Cfr. F. D’Agostino, Bioetica, Giappichelli, Torino 1996, p. 122; sull’argomento si rinvia inoltre a T. Serra, op. cit., p. 64; s.v. inoltre U. Pagallo, Alle fonti del diritto. Mito, scienza, filosofia, Giappichelli, Torino 2002. 166 La libertà responsabile della ricerca le questioni che toccano il destino dell’uomo non sono risolvibili in chiave puramente tecnica, ma esigono il ricorso all’etica, in altre parole, devono fare appello a un preciso quadro valoriale30. Tuttavia, il nodo critico, oggi è rappresentato dalle modalità con le quali recuperare tali valori per porli alla base della produzione normativa31. In tal senso quindi, come sostenuto dall’Armellini, bisogna che l’uomo ritrovi il diritto, così come il diritto ritrovi l’uomo, l’uomo reale, con il suo bene e con il suo male, nella concretezza del suo vissuto32. La ricerca di un minimo denominatore etico, al quale fare appello per rifondare il diritto, deve avvenire tenendo in dovuta considerazione la situazione attuale, e soprattutto il pluralismo culturale che la caratterizza33. Fondamentale, è l’adozione di una metodologia induttiva che prenda l’avvio da un vero confronto tra diverse posizioni, indispensabile non solo al fine di trovare forme concrete di incarnazione dei valori, ma soprattutto per il rispetto della specificità di quell’ordine giuridico34 che dovendo fare i conti con i criteri della validità e dell’efficacia, non può riflettere immediatamente alcun ordine morale, ma deve entrare in dialogo con la realtà e proporre ordinamenti in grado di incidere su quest’ultima35. Il ricorso, quindi, a riferimenti oggettivi di natura antropologica ed etica appare la strada per restituire al diritto la funzione di difesa del singolo e della convivenza civile36. 30. Cfr. F. D’Agostino, op. cit., pp. 125 e ss. 31. Cfr. G. Piana, op. cit., p. 72 32. Cfr. S. Armellini, op. cit., p. 144. 33. Come osservava Weber si tratta di un «politeismo di valori» s.v. per maggiori approfondimenti sull’argomento, C. Trigilia, Introduzione a Max Weber, Storia economica, Donzelli, Roma 1993, p. 8. 34. Cfr. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., p. 103. «Si tratta di cogliere la struttura valoriale e stabilire quella necessaria gerarchia per offrire al sistema artificiale del diritto lo scopo del suo essere. La ratio essendi che consente di dare ordine e legittimare i comandi». Cfr. inoltre C. Martinez Sicluna y Sepulveda, Legalità e legittimità. La teoria del potere, trad. it., Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2006. 35. Cfr. G. Piana, op. cit., p. 73. 36. Cfr. G. Piana, op. cit., p. 74. iii. Responsabilità e libertà di fronte a scienza e tecnica 167 Nel tracciare quindi, un modello possibile di intervento legislativo, si potrebbe approdare a una cornice giuridica,37 che nell’assicurare un minimo ordine pubblico, tenga conto della natura delle relazioni intercorrenti, tanto tra ricercatore e paziente, quanto tra ricerca e società. In tal senso, è possibile delineare, convenzionalmente, all’interno del rapporto tra ricercatore e paziente, quelle condizioni minime e irrinunciabili, che la cornice giuridica dovrebbe assicurare, per delimitare il campo entro cui aspettative e interessi possano convivere38. Occorre sottolineare, però, che a fronte dei molti problemi sollevati dai rapporti che vedono coinvolti temi quali, “ricerca, persona e società” il diritto positivo appare, nella maggior parte delle circostanze insufficiente. Spesso è silenzioso, non regolamentando nello specifico alcune attività, quali per esempio, la terapia genica né le pratiche realizzate sull’uomo sano, dimenticando che gran parte della sperimentazione, che indica come proprio fine la salute pubblica, avviene al di fuori delle strutture pubbliche senza alcun controllo. Allora non è allarmismo affermare che la scienza abbia effettivamente sopravanzato il diritto incapace di regolamentare in anticipo tali processi39. In questo momento, il diritto ha solo bisogno di essere messo alla prova, sulle poche normative già esistenti, soprattutto in tema di bioetica e persona, quindi bisognerebbe verificarne l’efficacia e colmarne le lacune attraverso nuove leggi. Anche se di fronte ai rapidi cambiamenti, prodotti dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche, una disciplina giuridica difficilmente potrà apparire 37. Sull’argomento s.v. L. Davack, Ordine giuridico e ordine tecnologico, Giappichelli, Torino 1998, p. 86. «Per trasformare il fatto giuridico, il diritto dovrebbe operare dando vita a concetti nuovi e nuove categorie attraverso cui il corpo umano divenga non oggetto di diritto ma soggetto del diritto. In questo senso si è parlato del ricorso ad una disciplina leggera portata ad affrontare soprattutto problemi concreti, che sarebbero di difficile soluzione, con strumenti diversi da quelli giuridici. Altra strada indicata, è stata quella degli “statuti”: lo statuto dell’embrione, lo statuto del morente, ecc.». 38. Cfr. E. Sreggia, op. cit. 39. Cfr. F. Zanuso, op. cit., pp. 87 e ss. 168 La libertà responsabile della ricerca compatibile40. L’opportunità di regolamentare giuridicamente le innovazioni scientifiche e tecnologiche riguardanti l’uomo è condizionata da almeno tre esigenze, ovvero, che una tale normativa risponda realmente a un’utilità sociale, migliorando la qualità della vita di un numero rilevante di cittadini, garantendoli contro possibili abusi e sanando, nei limiti del possibile, disparità e ineguaglianze economiche e sociali41; che tale normativa, basata su alcune regole imperative di ordine pubblico, crei un quadro minimo di sicurezza per i diritti dell’uomo42. Naturalmente non possiamo nascondere in una prospettiva de iure condendo, le molteplici difficoltà che incontra il legislatore nel suo lavoro. Infatti, vige una diffusa confusione a diversi livelli che genera equivoci sulla liceità o meno dell’atto sperimentale e sui metodi attraverso i quali il diritto deve cogliere siffatta esperienza. Tale confusione, sembra provenire, innanzitutto, dal carattere vago e indeterminato del senso delle parole usate, quali natura, ricerca, scienza, conoscenza e anche sperimentazione, oltre che dalla varietà del fenomeno sperimentale in se stesso, dalle varietà delle finalità che si perseguono, così come delle diversità dei soggetti umani presi come oggetto delle sperimentazioni43. I diversi approcci alle relazioni tra diritto dell’uomo, tecnologia e potere medico, hanno determinato il sorgere di ampi dibattiti su varie argomentazioni, per esempio, quello che riguarda la possibilità dell’uomo, in nome della propria assoluta libertà di 40. Sull’argomento s.v. B. Troisi, Diritto civile. Lezioni, ESI, Napoli 2004, p. 144. Cfr. sul problema del diritto nell’era della tecnologia, Cfr. V. Frosini, Il diritto nella società tecnologica, Giuffrè, Milano 1981. 41. È stata di recente, ammessa anche in giurisprudenza l’esistenza di un principio generale di tutela inibitoria dei diritti fondamentali, sulla base del combinato disposto degli artt. 2–24 cost., il primo qualifica “inviolabili” i diritti in questione, il secondo stabilisce il principio dell’effettività della tutela dei diritti. s. v. a tal proposito B. Troisi, op. cit., p. 144. 42. Cfr. L. D’Avack, op. cit. p.87. 43. Cfr. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., p. 171. iv. Scienza e regole giuridiche 169 scelta, di disporre di se stesso, fino a rivendicare il potere di obbligare altri a utilizzarlo, o in caso limite, a sopprimerlo44. Il legislatore non può non tener conto di questi nuovi elementi, e far si che la regolamentazione auspicata emerga sia da un confronto parlamentare tra principi tradizionali e nuovi (principio della tutela della personalità, principio di solidarietà, principio del rispetto dei progressi della medicina e della libertà di ricerca), che da una valutazione attenta degli interessi a volte in apparenza contrapposti (interessi del paziente del minore, della donna, della famiglia, della società), sia, da un bilancio costi/benefici per ogni soluzione. Ben diversa è l’analisi giuridica del potere di disporre del vivente, come le cellule, i gamete, i tessuti e gli organi45. È possibile ricondurre, da una parte, questo potere allo schema classico del diritto soggettivo (rapporto tra creditore, debitore, oggetto) e attribuire, dall’altra a esso la qualifica di jus in re (diritto opponibile a tutti e la facoltà di disporre liberamente di s) ciò comporta il restringerlo nella signoria assoluta del volere, identificarlo nel diritto di proprietà e darne una visione che suscita perplessità, forse poco rigorosa e certamente priva di quella immaginazione giu 44. Basta pensare al dibattito sempre più acceso sul tema dell’eutanasia o dolce morte. Il problema è collegato alle nuove e diverse tecnologie della vita o della sopravvivenza e alla ricerca farmacologica e che coinvolge anch’esso primariamente la dignità della persona, oggetto di un maggiore o minore accanimento terapeutico. Ha fatto scalpore, in tal senso, il pronunciamento della Commissione Ambiente e Sanità del Parlamento Europeo, che ha votato nell’estate del ’91 un testo sull’Assistenza ai malati terminali nel quale in nome del rispetto della vita, si invita il medico ad acconsentire alla istanza del paziente che chiede di interrompere un’esistenza che per lui ha perso ogni dignità. (art. 8). Sul problema s. v. il Parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sulla proposta di risoluzione sull’istanza ai pazienti terminali ( 6 settembre 1991). L’argomento è stato affrontato nel volume Aa. Vv., Eutanasia e diritto alla vita, a cura di A. Tarantino, M.L. Tarantino, Ed. Del Grifo, Lecce 1994. Cfr., L. Eusebi, Tra indisponibilità della vita e miti di radicale disponibilità della medicina: il nodo dell’eutanasia, in C. Viafora (a cura di), Quando morire?, Cedam, Padova 1996; s.v. inoltre A. Acocella, Elementi di bioetica sociale, Napoli, 1998, «il quale argomenta, una volta che l’eutanasia è divenuta un principio etico sociale, con la possibilità di accoglimento nell’ordinamento giuridico, esso diviene la sanzione definitiva alla responsabilità dell’umano vivere e convivere». 45. P. Becchi, Quando finisce la vita. La morale e il diritto di fronte alla morte, Aracne, Roma 2009. 170 La libertà responsabile della ricerca ridica oggi tanto auspicata per la regolamentazione del fenomeno stesso46. L’attuale incapacità, presente a livello legislativo, in molti ordinamenti giuridici, di pensare il diritto del corpo vivente depersonalizzato, è una delle ragioni primarie del caos che regna in tale disciplina, oltre alla difficoltà riscontrata dalla società, nell’affrontare questioni pratiche, che si pongono ormai con una certa assiduità. Nel dibattito sulla bioetica, oltre alla scienza e alla filosofia, un ruolo fondamentale è rivestito dal diritto, che fissa delle regole dirette a condizionare i comportamenti umani, non a caso, il legislatore per fare ciò, deve valutare non solo la realtà sociale, ma 46. Per maggiori approfondimenti s.v. F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Foro italiano, Roma, 1940, p. 206. «La dottrina italiana in tema di acquisizioni staccate dal proprio corpo, fin dalla prima metà del nostro secolo si è divisa sostenendo diverse tesi che meritano di essere ricordate. La più antica è identificabile nella concezione dello ius in se ipsum che vuole il diritto di proprietà, che qualsiasi persona può vantare sulla propria integrità fisica, ricomprendere anche le parti che si separano dal corpo». Tale tesi ha suscitato molte critiche ed in epoca più recente si è sostenuto non residuare alcun diritto di proprietà sul soggetto la cui parte viene spiantata, in modo che questa equivalga sotto il profilo giuridico, ad una res nullius suscettibile di approvazione s. v. inoltre, C.M. Bianca, Diritto civile, 1, Giuffrè, Milano 1987, p. 163. Un’altra posizione vede la parte staccata, uscire dalla sfera giuridica strettamente personale, per entrare immediatamente in quella patrimoniale facente capo alla stessa persona, senza passare per la condizione di res nillius s. v. A. De Cupis, I diritti della personalità, Giuffrè, Milano, 1982 p. 168. «Si è osservato criticamente come la tesi proposta non sia sufficiente a spiegare quale sia il presupposto legale sulla cui base essa attribuisca al “distacco” il valore di titolo legittimo per divenire proprietario delle separate parti del proprio corpo. Così si è sollevato lo schema della fruttificazione, in modo tale che le parti staccate dal corpo umano, possano rientrare nella più ampia definizione di frutti ai sensi dell’art. 820 c.c. e il titolo di acquisto nel disposto dell’art. 821 c.c., secondo cui i frutti, una volta separati, appartengono al proprietario della cosa che li produce» s. v. inoltre G. Criscuolo, L’acquisto delle parti staccate dal proprio corpo e gli art. 820 e 821 c.c., in Il diritto di famiglia, 1985. «Contro l’idea del corpo come oggetto di una tutela patrimoniale estrema della persona e della sua personalità e quella che, utilizzando la teoria dei beni, considera il corpo e l’integrità fisica del soggetto come attributi della persona»; si sono con autorevolezza pronunciati P. Perlingieri, La personalità umana nell’ordinamento giuridico, ESI, Napoli, 1972, p. 314; D. Messinetti, Oggetto e integrità fisica, in Enciclopedia del diritto, XXIX, Milano, 1979, p. 825. iv. Scienza e regole giuridiche 171 anche prendere in considerazione le istanze economiche e in particolare la dignità della persona umana47. Sempre a riguardo, è importante esaminare alcuni documenti emanati in materia di bioetica. Innanzitutto, il parere espresso dal Comitato Nazionale di Bioetica sull’impiego delle biotecnologie, il quale riconosce la necessità dell’intervento del legislatore, affinché lo sviluppo scientifico–tecnologico rispetti l’ambiente e tuteli la salute pubblica, facendo riferimento a quei documenti internazionali volti a garantire il livello di rischio accettabile che le novità tecnologiche comportano48. È necessario, inoltre, analizzare il limite entro il quale il soggetto può essere “immerso” in una situazione rischiosa, allo scopo di ottenere un certo beneficio49. Altro elemento importante, evidenziato dal Comitato Nazionale di Bioetica, è quello relativo alla necessità di definire centri pubblici e privati attivi nei settori delle biotecnologie. Occorre inoltre, menzionare la Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina50, che all’art. 1 afferma che «le parti tutelano l’essere umano nella sua integrità e nella sua dignità e garantiscono a ogni persona il rispetto della sua integrità e degli altri diritti e libertà fondamentali rispetto all’utilizzazione della biologia e della medicina»51. La Convenzione, prende in considerazione il principio del consenso, che deve essere libero e consapevole a proposito di qualsia 47. Cfr. M. Zana, Il pensiero giuridico di fronte alla sfida delle biotecnologie in C. Dal Canto, Bioetica. La qualità della vita e la dignità della persona: aspetti scientifici, etico–giuridici e filosofici, Edizioni Del Cerro, Pisa 2002, p. 119. 48. Comitato Nazionale di bioetica (CNB), Considerazioni etico giuridiche sull’impiego delle biotecnologie del 30/11/2001. 49. Cfr. M. Zana, op. cit, p. 120. «Pensiamo, ad esempio, ad un’attività come quella respiratoria che viene compiuta quotidianamente a contatto con i prodotti tecnologici i quali, inevitabilmente, provocano un danno all’organismo e quindi si tratterà di vedere fino a che punto si può far correre un rischio di questo tipo». Sull’argomento inoltre Cfr. P. Becchi, Il principio dignità umana, Morcelliana, Brescia 2009. 50. Convenzione sui Diritti dell’Uomo e la biomedicina Oviedo, 4 aprile 1997, Gli Stati membri dei Consiglio d’Europa, gli altri Stati e la Comunità Europea sono i firmatari della presente Convenzione. 51. Cfr. M. Zana op. cit., p. 121. 172 La libertà responsabile della ricerca si intervento, principi in materia di tutela del genoma umano, ecc52. Da ciò, ne consegue che il legislatore, dovrà tener presente il problema relativo ai test genetici che possono essere utilizzati per fini discriminatori, e per poter eliminare un tale rischio, è stato predisposto un disegno di legge diretto a regolamentare la possibilità di utilizzare determinate informazioni53. A detti interventi va aggiunta, nel 1998, la direttiva n. 44 del Parlamento Europeo sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche54, in cui all’art. 2 è riportata una definizione di materiale biologico, inteso come «un materiale contenente informazioni genetiche autoriproducibile o capace di riprodursi in un sistema biologico che lo contiene, oppure un procedimento attraverso il quale viene prodotto». L’articolo successivo prevede che siano brevettabili le nuove invenzioni che comportano un’attività inventiva e sono suscettibili di applicazione industriale. Il documento afferma, ancora, che il corpo umano non può costituire oggetto per il mercato. Nell’ambito di questi principi generali, fissati a livello internazionale, è possibile individuare delle regole dirette a garantire il rispetto della dignità umana55. Non a caso, nel nostro ordinamento giuridico il principio fondamentale è rappresentato in modo specifico dal rispetto della dignità umana nell’ambito della tutela della salute e di tutte le attività dirette a garantire al soggetto un equilibrio psicofisico56. In altre parole, è necessario tutelare la salute, rispettando in ogni caso la dignità della persona. Infatti 52. Cfr., inoltre in particolare sul principio del consenso, P.B. Helzel, Il rapporto medico–paziente, in «Le corti calabresi» VI, n. 3, 2007. 53. Cfr. L. Pomodoro, Test genetici e riflessi etico–giuridici nell’applicazione ai minori e agli adolescenti, in «Zadig» n. 4. 2002. s. v. inoltre, Delega al Governo in materia di protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche, Senatore Antonio Del Pennino disegno di legge n. 1745. 54. La direttiva n. 44 del Parlamento Europeo sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche è stata adottata il 6 luglio 1998. 55. Cfr. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., p. 70. 56. Il concetto di salute prevede non solo il benessere fisico, ma anche quello psichico e sociale, pertanto, la cura presuppone il “prendersi cura” della sua persona nella sua integralità. Cfr. M. Ingrosso, F. Montuschi, S. Spinsanti, Salute/malattia. Etica e cultura del benessere, Cittadella Editrice, Assisi 1996. iv. Scienza e regole giuridiche 173 uno degli angoli privilegiati di osservazione del rapporto tra i più rilevanti soggetti del diritto, è senza alcun dubbio costituito dalla soluzione normativa per la tutela giuridica della persona umana57. Sotto tale profilo, il discorso può articolarsi, secondo quanto osservato da Di Rosa, partendo, da un importante confronto a livello di fonti di produzione delle regole giuridiche, con particolare riferimento alla relazione tra fonti nazionali e sopranazionali o comunitarie58. La nostra Carta Costituzionale, pone a fondamento del nostro ordinamento, il rispetto, la tutela e la promozione della persona umana, e a questa tutela, promozione, rispetto, la stessa scienza è debitrice non dal punto di vista squisitamente morale, ma dal punto di vista giuridico, soprattutto, in attuazione della gerarchia dei valori giuridicamente rilevanti59. Ai documenti sin qui menzionati va aggiunto anche il Codice di Deontologia Medica, che non ha valore di norma, ma contiene una serie di regole relative ai rapporti tra medico e paziente e tra gli stessi medici, stabilendone comportamenti e responsabilità60. È da precisare che, nel momento in cui viene violata una norma di deontologia, il giudice non potrà sanzionare tale comportamento, ma potrà solo tenerne conto ai fini di un’eventuale responsabilità civile. La verità però, è che, la realtà è talmente varia da non poter essere cristallizzata in una norma, per questo motivo, il legislatore, in alcuni casi, deve ricorrere alle c.d. clausole generali. Queste, comportano una valutazione caso per caso, e di conseguenza una scelta diversa da persona a persona. Se il legislatore imponesse delle regole precise, metterebbe in seria difficoltà gli operatori medici, ma anche il giudice nel momento in cui dovrà valutarne lo svolgimento61. L’introduzione di una disciplina giuridica nel campo 57. Cfr. G. Di Rosa, op. cit., p. 125. 58. Cfr. G. Di Rosa, op. cit., S.v. inoltre sull’argomento L. Marini, Codice del diritto internazionale e comunitario della bioetica, Giappichelli, Torino 2009. 59. Per maggiori approfondimenti sul punto rinvio a P. Perlingeri, Riflessioni sull’inseminazione artificiale e sulla manipolazione genetica, in La persona e i suoi diritti, problemi di diritto civile, ESI, Napol, 2005, p. 170. 60. Cfr. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., p. 61. 61. Cfr. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., pp. 62 e ss. 174 La libertà responsabile della ricerca della biomedicina dovrebbe limitarsi quindi, a regolamentare i metodi e le applicazioni della scienza e della tecnica62. L’esigenza di una regolamentazione giuridica delle possibili applicazioni tecnologiche offerte dalla scienza in grado di pregiudicare il valore della persona umana è stata ripetutamente manifestata anche a livello comunitario, attraverso l’individuazione di alcune linee guida il cui obiettivo era essenzialmente quello di assicurare l’uniformità delle discipline all’interno degli stati membri63. L’indirizzo favorevole a una maggiore presenza del diritto nel campo della ricerca biomedica, è stato espresso dagli organismi comunitari a partire dall’inizio degli anni Ottanta, attraverso una molteplicità di atti sollecitatori i quali, essendo privi di efficacia obbligatoria, consentono agli stati membri di adottare liberamente la disciplina ritenuta più adeguata alle proprie esigenze64. Gli interventi della Comunità Europea, hanno essenzialmente interessato alcuni settori della ricerca biomedica, quali quello dell’ingegneria genetica, della fecondazione artificiale, materie, queste ultime, che per la delicatezza dei valori coinvolti, hanno sollecitato anche i legislatori nazionali a introdurre, rapidamente, un’adeguata regolamentazione giuridica65. Il compito irrinunciabile di ciascun legislatore nazionale è quello di individuare il giusto punto di equilibrio tra «il principio della libertà della ricerca e il rispetto della dignità umana inerente a ogni vita e gli altri aspetti della tutela dei diritti dell’uomo»66. 62. Cfr., C. Dal Canto, op. cit., p. 14. 63. Ibidem. 64. Cfr. A. Bompiani, A. Loreti Beghè, L. Marini, Bioetica e diritti dell’uomo nella prospettiva del diritto internazionale e comunitario, Giappichelli, Torino 1996, p. 47. 65. Cfr. C. Casonato, Bioetica e pluralismo nello Stato costituzionale, in «Quaderni costituzionali». S.V. inoltre sull’argomento, M. Barberis, Europa del diritto, Il Mulino, Bologna 2008. 66. S.v. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit. p. 194. «L’essere umano ha infatti il dovere assoluto di rispettare la vita umana, poichè in quanto tale, essa è intangibile, un bene indisponibile che deve essere tutelato. Alla luce di ciò è necessario agire doverosamente al fine di tutelare appunto la vita». iv. Scienza e regole giuridiche 175 La necessità di adottare delle cautele è quindi fondamentale affinché i risultati della ricerca non vengano utilizzati in maniera impropria. Anche se le perplessità avanzate da una parte della dottrina sull’opportunità di introdurre una regolamentazione legislativa per le materie che riguardano la sfera intima dell’individuo, non potrebbero riguardare con la stessa intensità qualunque nuova applicazione introdotta dal progresso scientifico67. L’affannosa corsa, verso un’illusoria condizione di certezza del diritto nel settore della ricerca non è un obiettivo sempre auspicabile, e soprattutto realizzabile, anche perché, quanto più la legge viene ritenuta inadatta a causa della lentezza nel seguire la rapida evoluzione della società e della scienza, tanto più insistente diventa la ricerca, cosicché il giudice, per trovare soluzioni ai casi posti dalla scienza, dovrà fare ricorso a doti quali intuito, immaginazione e fantasia68. Il ricorso alla sede giurisdizionale è ritenuto, per altro, una scelta necessaria per quei settori della ricerca che difficilmente potrebbero essere irrigiditi all’interno di una legge. Ma tutto ciò non significa che il giudice abbia una risposta a ogni domanda e in questi frangenti l’autorità giurisdizionale potrebbe non avere né risposte né certezze, ma potrebbe, viceversa manifestare la propria inadeguatezza69. La presenza di un vuoto normativo in molti settori della ricerca biomedica, esprime dunque, una tendenza da parte dello Stato a rimanere estraneo a quelle questioni che riguardano la sfera privata e personale dell’individuo. Anche se per i valori legati alla persona umana, si ritiene indispensabile il ricorso a una disciplina giuridica la quale, una volta preso conoscenza delle innovazioni tecnologiche introdotte dalla ricerca medica, delimiti e regolamenti il loro successivo impiego. 67. Cfr. L. Palazzani, op. cit. 68. Cfr. P. Grossi, I diritti di libertà ad uso di lezioni, Giappichelli, Torino 1991, p. 62. 69. Cfr. A. Motroni Onorato, Il caso Devis: alcune riflessioni sulla tutela etico–giuridica dell’embrione, Dir. e società, 1990, n. 1 cit. p. 185. 176 La libertà responsabile della ricerca Il diritto, in considerazione delle incertezze che dominano alcuni settori innovativi della biomedicina, dovrebbe dunque, farsi promotore di un atteggiamento informato a una particolare tolleranza delle posizioni assunte da ciascun protagonista del rapporto medico, dal ricercatore al paziente, in modo da assicurare loro, per quanto sia possibile, un’ampia libertà di azione, almeno fino al momento in cui tali azioni non rechino danni a terzi70. Si tratta, quindi, soprattutto di prevenire, attraverso una regolamentazione minimale, le possibili conseguenze pregiudizievoli per l’essere umano. Tale disciplina dovrebbe limitarsi ad assicurare adeguate forme di tutela alla salute e alla integrità psicofisica dei soggetti. Per ovviare alle inevitabili difficoltà che sicuramente la legislazione incontra nel disciplinare materie particolarmente tecniche e specialistiche, è rilevante la previsione in molti paesi, di sedi privilegiate di riflessione tanto scientifiche quanto etico – giuridiche, su questioni riguardanti le scienze biomediche, infatti la presentazione di relazioni e l’espressione di pareri da parte degli esperti del settore, consentirebbe forse una visione più chiara dei diversi problemi sollevati dalle tecnologie sia per i soggetti abilitati ad approvare la legge che per colore che ne saranno i destinatari71. Nel nostro paese l’esigenza di assicurare la partecipazione dei ricercatori a una fase preparatoria, “prelegislativa”, è stata realizzata attraverso la costituzione di varie commissioni dotate di compiti semplicemente consultivi o di elaborazione di schemi di legge su questioni specifiche. A tal proposito riveste una funzione particolarmente importante il Comitato Nazionale per la Bioetica72, la cui attività costituisce un signifi 70. Cfr. L. D’avack, I figli del 2000 tra regole di comportamento e norme giuridiche, in F. Riccobono (a cura di), Nuovi diritti dell’età tecnologica, cit. p. 34; F. Riccobono, I diritti e lo Stato, Giappichelli, Torino 2004. 71. Cfr. F. D’Agostino, Bioetica, op. ult. cit. 72. Il CNB istituito con decreto del presidente del Consiglio dei Ministri il 28 marzo 1990 ha sede presso la presidenza del Consiglio dei Ministri ed è composto da 40 esperti dei più diversi settori delle scienze umane. Il Comitato ha dato attuazione ai numerosi inviti provenienti da organismi comunitari, che sollecitavano gli stati membri a creare istanze nazionali incaricate di informare la collettività e i pubblici poteri dei progressi iv. Scienza e regole giuridiche 177 cativo canale di informazione per l’opinione pubblica che, attraverso le relazioni, i rapporti e le raccomandazioni periodicamente adottate, può avere un quadro più chiaro su questioni di ordine scientifico, etico e giuridico connesso a quei filoni di ricerca in grado di incidere sui valori fondamentali della persona73. Una bioetica che vuole riaprire la riflessione sulle questioni ultime non può, quindi, non andare oltre la saggezza, sforzandosi di individuare una misura del sapere/potere della scienza e della tecnica, che sia adeguata a una immagine non riduttiva dell’uomo, ma soprattutto della vita, provando a regolamentare attraverso il dato normativo il rapporto che intercorre tra scienza e diritto, visto alla luce di quel concetto chiave costituito dall’autonomia della persona. 4.2. Scienza, diritto e autonomia della persona La parola diritto indica l’insieme di norme o regole, la locuzione positivo non indica il non –negativo, ma si collega, attraverso la tarda latinità, al participio passato del verbo ponere. Diritto positivo è dunque, il diritto posto, e posto dagli uomini nella storicità del loro vivere74. Già la tradizione più antica lo distingue dal diritto divino o naturale o razionale, che al contrario è immutabile e permanente e rispetto al quale il diritto positivo può conformarsi o collidere75. Anche se occorre che il diritto positivo abbia una giustificazione che lo renda giusto, in quanto, altrimenti da solo non sarebbe autosufficiente. scientifici e tecnici compiuti nella ricerca e nella sperimentazione biologica, di orientare e controllare le possibilità di applicazione, valutare i risultati, i vantaggi e gli inconvenienti anche sotto il profilo dei diritti dell’uomo, della dignità umana e degli altri valori umani. Tra i compiti svolti dal Comitato Nazionale, oltre ad elaborare un quadro di programmi, obiettivi e risultati della ricerca e della sperimentazione nel settore delle scienze biomediche, formula anche pareri e indica soluzioni sia alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, sia al Parlamento. 73. Cfr. F. D’Agostino, Bioetica, nella prospettiva della filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 1996, pp. 60 e ss. Per maggiori approfondimenti sul termine diritto s.v. A. Catania, Metamorfosi del diritto. Decisione e norma nell’età globale Laterza, Roma–Bari 2008. 74. Cfr. N. Irti, E. Severino, op. cit., p.5. 75. Cfr. N. Irti, E. Severino, op. cit., p. 6. 178 La libertà responsabile della ricerca Si sbaglierebbe però, a credere che alla domanda se il diritto sia da considerarsi strumento idoneo per disciplinare le questioni bioeticamente rilevanti, tutti sarebbero portati, oggi forse più di ieri, a darne una risposta affermativa. Il problema sorgerebbe nel momento in cui si va alla ricerca del tipo di regolazione e degli strumenti giuridici appropriati alla materia bioetica. Ciò ci riporta al problema dei cosiddetti “avversari” dell’intervento del diritto nelle questioni della bioetica, si tratta di un partito composito e omogeneo, di cui fanno parte soggetti, i cui dubbi, perplessità e timori sono dettati da esigenze diversificate, e incompatibili fra loro. Ne fanno parte clinici e ricercatori portati a scorgere nel diritto non un utile strumento nel quale trovare così come nella deontologia e nell’etica medica, i criteri ai quali improntare il loro operare quotidiano, bensì un pesante marchingegno sanzionatorio dal quale porsi al riparo con la pratica della c.d. “medicina difensiva”76. All’opposto un atteggiamento di cautela, se non di vera e propria diffidenza, nei confronti della “giuridicizzazione” della materia bioetica, è stato assunto anche da chi propendendo per la tesi che le questioni bioetiche vadano totalmente, o in parte collocate nello spazio della libertà morale di ciascuna persona, ha intravisto il pericolo che alla regolazione giuridica di quelle questioni si accompagni la limitazione di libertà individuali, considerate non solo fondamentali, ma irrinunciabili77. Passando a coloro che, invece, ritengono che non vi siano dubbi riguardo al ruolo che il diritto è destinato a svolgere in relazione alle questioni bioetiche, ci si imbatte in una gamma di posizioni diversificate. Si va infatti, dalla posizione di chi rifiuta l’idea di un vuoto giuridico poiché, ritiene che nel diritto vi siano regole e principi, che interpretati dalla giurisprudenza, risultano più che sufficienti a fornire una adeguata disciplina giuridica a ogni intervento sul corpo umano78, alla posizione di chi invece pur guardan 76. Cfr. C. Casonato, Introduzione al biodiritto. La bioetica nel diritto costituzionale comparato, in «Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche dell’Università di Trento», Alcione, Trento 2006, p. 10. 77. Cfr. E. Lecaldano, Bioetica. Le scelte morali, Laterza, Roma–Bari 1999, p. 34. 78. Cfr. sull’argomento P. Borsellino, op. cit., p. 48. iv. Scienza e regole giuridiche 179 do con favore all’elaborazione di categorie giuridiche adeguate alla nuova materia, suggerisce che in mancanza di ampi consensi circa le linee alle quali devono essere improntati gli interventi legislativi sulle più scottanti questioni, l’unica strada oggi percorribile, sia quella del diritto a impronta giurisprudenziale. In altre parole, una regolazione delle grandi questioni bioetiche affidata prevalentemente ai giudici79, nella quale si ritiene che possa giocare un ruolo di primo piano quella che viene definita l’interpretazione estensiva, fin dove possibile, delle norme esistenti, e soprattutto il riferimento a quei principi sanciti dalla Costituzione80 e da importanti documenti sopranazionali. Alla luce di ciò, emerge che comunque il diritto è inevitabilmente chiamato in causa dalle questioni bioetiche. Una linea di frattura, che non appare facilmente colmabile, c’è ma non è certo quella tra diritto legislativo e diritto giurisprudenziale, bensì fra diritto da una parte e morale dall’altra (l’antico dilemma tra diritto naturale e diritto positivo), problema quest’ultimo da sempre al centro della riflessione tanto filosofica–morale, quanto filosofico–giuridica81. 79. Cfr. A. Satosuosso, G. Gennari, (a cura di) Le questioni bioetiche davanti alle corti le regole sono poste dai giudici?, in «Notizie di Politeia», n. 62, 2002. 80. Cfr. G. Visentini, Lezioni di teoria generale del diritto, Cedam, Padova 2008, p. 212. «L’attività d’interpretazione delle norme è sicuramente alla base dello studio del diritto, in quanto cerca di andare oltre il semplice significato letterale delle parole usate per cogliere gli aspetti fondamentali di una norma ed applicarla alle svariate situazioni concrete per cui è stata creata; già da queste prime battute ci accorgiamo che interpretare una legge è un’attività più complessa di quello che appare, perché il semplice coordinamento delle parole di cui è composta, pur costituendo un fondamentale punto di partenza, non basta. Inoltre le disposizioni legali sull’interpretazione sono destinate a regolare il rapporto tra l’autorità legislativa e l’autorità giudiziaria, perciò sono regole sostanzialmente di ordine costituzionale». 81. Cfr. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., pp. 155–157 « Infatti, come affermato dalla Helzel, il diritto positivo in quanto scienza esclude dal proprio ambito i giudizi di valore poiché essa vuol essere una conoscenza puramente oggettiva della realtà, mentre i giudizi in questione sono sempre soggettivi, pertanto anche dinanzi al diritto il giurista positivista assume un atteggiamento scientifico, in quanto egli studia il diritto qual è e non come dovrebbe essere, il positivismo rappresenta quindi, il diritto come fatto e non come valore, egli quindi, studia il diritto senza chiedersi se oltre ad esso esista un diritto ideale come quello naturale e soprattutto senza far dipendere la validità del diritto reale 180 La libertà responsabile della ricerca Che il diritto sia strumento per la coesistenza dei soggetti portatori di diversi interessi, attraverso il quale si mira a realizzare la giustizia e a garantire la dignità degli esseri umani, non è certo qualcosa di difficile da sottoscrivere. Ma in cosa consiste la giustizia82 e quando è garantita la dignità umana? Per quel che concerne la dignità si tratta di una nozione tanto frequentemente messa in campo per giustificare le posizioni di cui ci si fa sostenitori, quanto raramente riempita di contenuti condivisi.83 Per quanto, invece, concerne la giustizia, non hanno perso attualità le considerazioni di Kelsen, il quale preso atto che vi sono « interessi e quindi conflitti di interessi, che, o soddisfa un interesse contro l’altro, oppure stabilisce un accordo, un compromesso tra gli interessi contrastanti»84, e che «per la via della conoscenza razionale non si può certo stabilire se l’uno o l’altro ordinamento abbia un valore assoluto e se sia cioè “giusto”»85, e quindi, «se vi fosse una giustizia nel senso in cui si suole invocare la sua esistenza quando si vuole che prevalgono certi interessi di fronte a altri, il diritto positivo sarebbe allora del tutto superfluo e la sua esistenza del tutto inconcepibile. Allora dinanzi alla «presenza di un ordinamento sociale assolutamente buono risultante dalla natura o dalla ragione o dalla divina volontà», dalla sua corrispondenza con quello ideale. In tal senso tra diritto e morale vi sono tutta una serie di connessioni di fondamentale importanza, anche se bisogna tenere sempre presente che tanto il diritto quanto la morale, vanno considerati sistemi normativi dotati di una rispettiva coerenza intrinseca». Sull’argomento rinvio inoltre tanto a S. Cotta, Il diritto di fronte alla morale, in Aa.Vv. Ordine morale ed ordine giuridico. Rapporto e distinzione tra diritto e morale, Ed. Dehoniane, Bologna 1985, p. 13. 82. Cfr. sull’argomento A. Jellamo, Il cammino di Dike. L’idea di giustizia da Omero a Eschilo, Donzelli, Editore, Roma 2005, rinvio inoltre a C. Martinez Sicluna y Sepulveda, op. cit., 83. Cfr. L. Palazzani, Introduzione alla biogiuridica, Giappichelli, Torino 2002, pp. 90 e ss. 84. Per maggiori approfondimenti rinvio a H. Kelsen, Lineamenti di dottrina pura del Diritto, trad. it. Einaudi, Torino 2000, p. 58. Sul problema della giustizia rinvio inoltre a G. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., p. 169. 85. Cfr. H. Kelsen, L’anima ed il diritto, trad. it., Ed. Lavoro, Roma 1989, p. 93. iv. Scienza e regole giuridiche 181 l’attività del legislatore statale risulterebbe quanto meno « l’insensato tentativo di illuminare artificialmente la splendente luce solare»86. Coloro, invece, che sono sostenitori della biogiuridica, non sembrano avere dubbi sulla connotazione oggettiva della giustizia, né esitazioni in relazione ai contenuti in grado di sostanziarla, poiché in realtà si compiono delle scelte senza esplicitarle e presentarle come tali87. Si parla di diritto giusto e in quanto tale, oggettivamente legittimato, «nella misura in cui garantisce la relazionabilità universale degli uomini88. Ma considerando le specifiche soluzioni normative, ritenute conformi a giustizia, ci si trova di fronte a proposte, anzi a richieste, di regolazione giuridica delle diverse situazioni bioeticamente rilevanti inevitabilmente caratterizzate dalla prevalenza assegnata agli interessi di determinati soggetti rispetto a quelli di altri e costantemente contrassegnate dalla preoccupazione di controllare e contrastare, il più possibile, l’estensione degli ambiti di libertà e di autonomia degli individui, i cui piani di vita vengono spesso condizionati rispetto a scelte personali e determinanti quali sono, a esempio le scelte relative alla procreazione, ai modi della cura o alle fasi finali della vita. In tale contesto, il diritto, eticamente configurato, si risolve così, in un diritto che mette i suoi strumenti coercitivi al servizio di una determinata prospettiva etica sostanziale, identificabile nella morale di impronta personalista prevalente anche se non esclusiva nella cultura cattolica, attraverso interventi normativi, nei quali prevale l’imposizione di modelli di nascita, salute, vita e morte conformi a precisi valori morali realizzata ricorrendo alla tecnica 86. Cfr. H. Kelsen, op. cit., pp. 58 e ss. 87. Cfr. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., p. 168 , «In senso assai ampio il termine giusto indica una qualsiasi conformità o congruenza (osservazione giusta, misura giusta, operazione giusta). Si ricava un concetto di uguaglianza, di adeguazione. In senso ancora largo, il termine giusto indica conformità di un fatto con una norma. Pertanto tutte le esigenze etiche, tutte le virtù vengono ad inserirsi nel concetto così largo di giustizia intesa come forma etica. Il problema della giustizia si pone nello stesso tempo come un problema giuridico e morale, essendo la dottrina della giustizia al centro dell’azione, ogni normatività dell’agire ha un problema del giusto». Cfr. inoltre G. Gonella, Diritto e morale, Giuiffrè, Milano 1960, pp. 80 e ss. 88. Cfr. L. Palazzani, op. cit., p. 92. 182 La libertà responsabile della ricerca dei divieti89. Il risultato è sovente quello di interventi legislativi che esprimono modelli normativi molto rigidi e dal carattere fortemente eteronomico rispetto ai soggetti coinvolti, e che appaiono poco idonei ad assolvere la funzione di redimere i conflitti a causa della delegittimazione di posizioni etiche, pur significativamente rappresentate nella società90. Passando all’ambito giurisprudenziale non è difficile d’altra parte, imbattersi in pronunce dalle quali emerge l’intento di riaffermare principi morali ritenuti imprescindibili, quale in particolare, il principio della sacralità e dell’indisponibilità della vita. Per limitarsi a un solo esempio, si può fare menzione all’ordinanza con cui il G.i.p. presso il tribunale di Roma ha disposto il rinvio a giudizio del Dott. Riccio per omicidio del consenziente91 in relazione alla vicenda della sospensione del trattamento di sostegno vitale rifiutato da Welby92. Alla base del provvedimento è stato posto l’argomento che il diritto alla vita «pur in assenza di una specifica previsione costituzionale costituisce un diritto previo, precondizione di tutti gli atri diritti»93. 89. Cfr. P. Borsellino, op. cit., p. 67. 90. A tal proposito s.v. S. Rodotà, Per un nuovo statuto del corpo umano, in A. Di Meo, C. Mancina (a cura di), Bioetica, Laterza, Roma–Bari 1989, pp. 41–68. Rodotà osserva che una tale legislazione appare funzionale allo scopo di sbarrare il più possibile la strada alla novità, a tutto ciò che appare artificiale. 91. L’ordinanza è pubblicata in Bioetica. Rivista interdisciplinare, 2, 2007, pp. 165– 172. 92. Il dottor Riccio è stato successivamente prosciolto dall’imputazione nella sentenza n. 2049 del 23/07/2007 del G.u.p. del Tribunale di Roma, con la motivazione che il rifiuto di un trattamento salvavita costituisce esercizio di un diritto soggettivo del paziente, e che la sospensione del trattamento, se pur causativa della morte costituisce condotta tenuta in adempimento di un dovere, e quindi non punibile. 93. Cfr. G.P. Calabrò, Valori supremi, cit., rinvio inoltre a F. D’Agostino, Biopolitica: fondamenti filosofico politici, «Medicina e Morale», LIX/2,2009, pp. 255–264, nonché A. Bompiani, Biopolitica e tutela della vita umana, Relazione al Corso di Bioetica, Modena, 18 novembre 2009. «Il valore morale, giuridico e politico del “potere che la stessa vita” se pienamente tutelata esercita nella costruzione dello Stato ed ancor più nell’armonico sviluppo della società civile, qualora tale benefica influenza non venga conculcata, ma anzi generosamente promossa. La manipolabilità così facile, ormai, della vita corporale ci ricorda la fragilità della nostra “carne”, concetto biblico ed evangelico che si integra con iv. Scienza e regole giuridiche 183 Alla base di una regolazione giuridica così intesa vi è la fiducia in un’unica morale degna di prevalere e di essere affermata a qualunque costo, oltre alla convinzione che il pluralismo etico, sia il prodotto di un disorientamento etico transitorio e rimediabile proprio per mezzo del diritto. Ma nella società contemporanea il pluralismo etico, si è andato sempre più configurando, tanto a livello nazionale quanto internazionale,94 come un elemento caratterizzante. A ciò si aggiunge la considerazione che il processo di secolarizzazione di cui è stato profondamente segnato lo sviluppo della società moderna, ha conferito maggiore consistenza all’opinione che non spetti al diritto, ma alla morale rendere virtuosi i soggetti che ne osservano le norme. Funzioni fondamentali del diritto saranno, piuttosto, quelle di orientare i comportamenti degli individui per mezzo di regole che forniscono modelli di condotta il più possibile determinati e suscettibili di essere osservati, e che permettono, come tali una soddisfacente composizione dei conflitti, legittimando, al contempo, la partecipazione dei soggetti capaci, alle decisioni che li riguardano, nonché, la loro partecipazione all’esercizio del potere95. Una siffatta concezione del diritto porta a imposizioni di certezze morali che la società caratterizzata da un politeismo di valori non ha. Occorre per di più sottolineare, che la scienza non è in grado di offrirci dati sicuri e inoppugnabili sulla natura96, dando vita così, come osservato dalla Zanuso, a un circolo vizioso tra medico o ricercatore, giurista e filosofo, nel momento in cui occorre ricercare quel limite necessario all’attività scientifica97. Nello stesso tempo però, non è possibile prescrivere la leicità o illeicità di interventi biomedici sul corpo, senza partire da una concezione scientifica del corpo e da una riflessione antropologica della corporeità e quello di “corpo” biologico aprendosi alla dimensione psicologica e spirituale, così da orientare il recupero di una superiore saggezza per la medicina post–moderna». 94. Cfr. P. Borsellino, op. cit., p. 68. 95. Cfr. V. Ferrari, Funzioni del diritto, Laterza, Roma–Bari, 1987. 96. Cfr. D. Neri, La Bioetica in laboratorio, cit., p. 176. 97. Cfr. F. Zanuso, op. cit., p. 19. 184 La libertà responsabile della ricerca della persona98. Non a caso, l’appello ai diritti dei soggetti, appartenenti a diverse categorie (dei malati, dei minori, dei bambini, del concepito) ha costituito e costituisce tuttora, una delle modalità più frequentemente utilizzate per giustificare la critica all’introduzione od alla richiesta di determinate soluzioni normative relativamente ai diversi ambiti bioeticamente rilevanti. A ciò si aggiunge che nella fase storica in atto da alcuni decenni a questa parte , non a caso definita da Bobbio con l’espressione “età dei diritti”99, ha avuto luogo una vera e propria proliferazione dei documenti che sanciscono i “diritti” rispetto a possibili interventi della medicina e della biologia. La ragione di una tale diffusa presenza può consistere nel fatto che l’appello ai diritti inviolabili dell’uomo suggerisce l’idea del ricorso a «una risorsa decisiva, ovvero a qualcosa che non può essere rifiutato e che deve essere riconosciuto. È innegabile che nel momento in cui si afferma o si rivendica un “diritto” , ci si riferisce come osservato da Scarpelli, a una parola che « si è caricata nella storia della cultura di una forza emotiva favorevole e intensa, sino a costituire uno strumento retorico di notevole efficacia»100. Al fine però di valutare se l’appello ai diritti possa effettivamente rappresentare un buon criterio per l’intervento del diritto in ambito scientifico, non ci si può limitare a sottolinearne la sola valenza di strategia argomentativa, ma occorre puntare l’attenzione alla difesa della centralità dei diritti tanto nell’etica quanto nel diritto. Riguardo ai diritti fondamentali che si pretendono dotati di un fondamento assoluto, le considerazione fatte da Bobbio, il quale ne sottolineava alcuni problematici aspetti, rimangono tutt’oggi insuperati.101 Tali aspetti, giustificano il dubbio circa la loro idonei 98. Cfr. L. Palazzani, Corpo e persona: i percorsi filosofici della bioetica e della biogiuridica, in Aa.Vv., Il corpo de–formato. Nuovi percorsi dell’identità personale, F. D’agostino (a cura di), Giuffrè, Milano 2002, p. 116. 99. Sull’argomento s.v. N. Bobbio, L’età dei diritti, op. cit. 100. Cfr. U. Scarpelli, Diritti positivi, diritti naturali: un’analisi semiotica, in S. Capriolo, F. Treggiari, Diritti umani e civiltà giuridica, Centro Studi Giuridici e Politici, Perugina, 1992, p. 40. 101. N. Bobbio, op. cit. iv. Scienza e regole giuridiche 185 tà a funzionare da criteri per l’intervento del diritto in ambito bioetico. Il primo aspetto è rappresentato dalla vaghezza della nozione102. In altre parole, l’ambiguità sottesa al valore diritto dell’uomo a cui appellarsi per affrontare le sfide delle bioetecnologie, appare evidente non appena si pongono alcune domande: chi è il titolare dei diritti umani, quale diritto spetta a esempio all’embrione? Alla luce di ciò, emerge quella netta distinzione che rappresenta l’emblema del dibattito bioetico tra individuo e persona, riconoscendoli titolari di diversi diritti, a seconda della concezione antropologica che li fonda103. Sulla base di detta distinzione, posto che a essere qualificati come fondamentali non possono essere i diritti che si pretendono assoluti in quanto iscritti nella natura umana, e a fronte della difficoltà di orientamento nella grande varietà di caratterizzazioni proposte in differenti ambiti disciplinari, la definizione che sembra meglio soddisfare i requisiti di chiarezza e precisione concettuale, è quella proposta da Ferrajoli, il quale connette la fondamentalità dei diritti con la loro universalità, « nel senso, cioè di spettanza a tutti gli esseri umani in quanto dotati dello status di persone o di cittadini, o di persone capaci di agire»104. La messa in campo di diritti qualificati come fondamentali quando si tratta di regolamentare giuridicamente le questioni bioetiche, può rappresentare un’utile strategia, necessaria per porre al riparo da un diritto che rispondendo a logiche di potere e di profitto, mantenga 102. Cfr. F. Zanuso, op. cit., p. 46. 103. Cfr. F. Zanuso, op. cit., pp. 48 e ss. rinvio inoltre sull’argomento a D. Tettamanzi, Nuova bioetica cristiana, Piemme Editore Casale Monferrato 2000. «Contro la visione riduttiva del puro pragmatismo scientifico, che l’essenza ed il futuro della bioetica e conseguentemente del biodiritto– è proprio questo: promuovere e garantire nelle esperienze scientifiche il rispetto e la tutela della vita umana e della sua dignità, in tutte le sue tappe esistenziali. Questa non è un’opzione scientifica o filosofica di carattere religioso, basata cioè sulla sola morale cristiana. Non si tratta come alcuni intellettuali laicisti sostengono di una “bioetica cattolica” contrapposta ad una “bioetica laica”. Si tratta invece di un’esigenza di carattere universale e al tempo stesso scientifica, etica e giuridica, perché basata sulla realtà ontologica universale della natura umana che è uguale per tutti e dei suoi i diritti inalienabili che pongono giusti limiti e al tempo stesso aprono ampie prospettive al lodevole sviluppo della genetica e della biotecnologia». 104. Cfr. L. Ferrajoli, Diritti fondamentali, Laterza, Roma–Bari 2001, pp. 18 e ss. 186 La libertà responsabile della ricerca o introduca ingiustificate situazioni di disuguaglianza giuridica105. La strada alternativa alla legislazione bioetica che tende di imporre, attraverso il diritto, una particolare prospettiva morale, investita come osserva la Borsellino, della valenza di unica “Morale” , è costituita dal considerare i diritti come strumenti che possono sottrarre il diritto a «una politica senza principi o fortemente connotata da un unilateralismo religioso o ideologico economico»106 alla sola condizione di essere finalizzati alla «libera costruzione della personalità»107, da realizzarsi senza comunque perdere di vista le conseguenze collegate all’introduzione delle norme, comprese quelle che attribuiscono diritti108. La direzione alternativa prospettabile quindi, per l’intervento del diritto nelle grandi questioni della bioetica, è per un verso, quella nella quale si attribuisce il più ampio rilievo all’autonomia individuale, di cui la costruzione della personalità ne rappresenta la «proiezione estrema»109 e questo è possibile solo se si riesce a mettere definitivamente da parte l’idea di una sorta di incompatibilità strutturale tra diritto e valorizzazione dell’autonomia. Per l’altro verso, invece, è quella che a suo fondamento pone la convinzione che alla bioetica nella specificazione giuridica «il condizionamento maggiore viene dall’esigenza di porsi riguardo al diritto in una prospettiva di responsabilità»110. Una direzione che lungi dall’essere neutrale, approda in un ben definito orizzonte etico, ovvero, quello di un’etica della responsabilità appunto, che in una prospettiva attenta alle conseguenze, orienta a scelte capaci di massimizzare l’utilità, o se si preferisce, il benessere dei soggetti coinvolti, ma che al contempo, assegna ai valori, alle convinzioni e alle preferenze dei soggetti, il maggior spazio possibile consentito dal 105. Cfr. L. Ferrajoli, op. cit., p. 23. 106. Cfr. S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano 2006, p. 32. 107. Cfr. S. Rodotà, op. cit., p. 18. In tale contesto, l’A. «fa riferimento alle norme della Costituzione italiana e tedesca che confermerebbero il collegamento dei diritti con tale fine». 108. Cfr. L. Ferrajoli, op. cit. 109. Cfr. S. Rodota, op. cit., p. 24. 110. U. Scarpelli, La bioetica. Alla ricerca dei principi, in «Biblioteca della libertà», 99, 1987, p. 31. iv. Scienza e regole giuridiche 187 le circostanze e dall’assenza di un prevedibile danno ad altri111. Da qui l’idea di un modello di regolazione giuridica delle grandi questioni della bioetica, che per un verso continua a confidare nella legge, purchè si tratti di una legge “leggera” e “sobria”112, vale a dire una legge il più possibile povera di contenuti morali, che non privilegi un unico punto di vista morale, o un’unica ideologia, di una legge senz’altro però, capace di interventi severi e incisivi a fronte della garanzia dei diritti individuali dei soggetti coinvolti, ma volta a regolare gli aspetti tecnici e procedurali dei diversi tipi di prassi definendo con precisione i ruoli spettanti ai diversi soggetti coinvolti, piuttosto che proclamare dei valori che non possono essere realizzati, od imporre divieti la cui giustificazione è esclusivamente ideologica113. Si tratta di un modello di diritto, che tende a legittimare la partecipazione dei soggetti capaci di autonomia, sulle scelte e sulle decisioni che li riguardano, stabilire le condizioni affinché coloro che lo desiderano si avvantaggino al meglio delle nuove frontiere della ricerca biomedica, dare certezze di cui oggi sono spesso privati non solo i singoli cittadini , ma anche i ricercatori e gli operatori sanitari. Infine, stabilire dei limiti, ispirandosi al principio che individua nella necessità di impedire danni, concretamente prospettabili ad altri, l’unica valida ragione per restringere, o addirittura sopprimere, l’autonomia e dunque il potere di decisione e azione degli individui114. Una strada questa che cerca di pervenire a un diritto “giusto” non affidando al legislatore il difficile compito di imporre attraverso le leggi delle verità morali assolute, ma aperta al confronto con l’esperienza e la revisione, nel rispetto di quei diritti, quali la libertà e l’uguaglianza, in assenza dei quali perde di significato ogni discorso sulla dignità umana, intesa non solo come valore ma diritto/dovere della persona. 111. Cfr. U. Scarpelli, op. cit., p. 34. 112. Cfr. A. Santosuosso, Un ambito di discussione per i problemi della medicina oggi, in «Politica del diritto», 1994, pp. 96 e ss. 113. Cfr. P. Borsellino, op. cit., p. 75. 114. Cfr. P. Borsellino, op. cit., p. 77. 188 La libertà responsabile della ricerca 4.3. La dignità umana come valore In epoca precristiana, la dignità umana era un concetto strettamente connesso al “ruolo” proprio della persona115. La «dignitas», in quanto concetto nella sfera politico–sociale anche della civitas romana dell’età repubblicana, indica due profili, ovvero il distinguo di ogni uomo dall’altro ritenuto inferiore, e soprattutto, il rango sociale di un uomo. Se la dignità presuppone la virtus, si evidenzia allora, un merito effettivo, se invece la dignitas denota il rango, la posizione pubblica di un romano, allora c’è una forma superiore o inferiore di umana dignità, onore, e considerazione116. Si può anzi dire addirittura, che per il romano in generale non vi è altro scopo nella vita che l’accrescimento della sua dignià. La dignità quindi, «ha un assoluto bisogno di confermarsi nella prestazione»117. Tale “interpretazione” del concetto “sociale” della dignità lo si ritrova anche nei secoli successivi, e soprattutto nell’epoca in cui viviamo. Il “Dizionario critico di filosofia”118, riporta la definizione di dignità, «come condizione di nobiltà in cui l’uomo è posto dal suo grado, dalle sue intrinseche qualità, dalla sua stessa natura di uomo e che egli deve a se stesso». Infatti, anche nel linguaggio comune, è diffuso il concetto di “tutelare la propria dignità”, o quello di “persona priva di dignità” Ma il concetto di dignità, si applica anche all’aspetto e all’atteggiamento preso in pubblico (ad esempio un volto esprimente alta dignità) o al ruolo, all’ufficio civile o ecclesiastico rivestito (ad esempio dignità vescovile, ecc.)119. Tuttavia nell’epoca classica, anche per questa “dignità interna” (come già per quella “dignità esterna”) non si fa riferimento a un concetto giuridico, bensì solo filosofico–ideologico120. 115. Cfr. F. Bartolomei, La dignità umana come concetto e valore costituzionale, G. Giappichelli, Torino 1987. 116. Ibidem. 117. Cfr. F. Bartolomei, op. cit., p. 88. 118. Cfr. A. Lalande, Dizionario critico di filosofia, Isedi, Milano 1971. 119. Cfr. A. Bompiani, op. cit. 120. Cfr. F. Bartolomei, op. cit. pp. 89 e ss.; s. v. inoltre sull’argomento J. Maritain L’uomo e lo stato, Marietti Editore, Torino 2003. «L’uomo è dotato meravigliosamente di intelletto, di volontà e di libero arbitrio. Prima dell’era cristiana Aristotele già aveva posto l’enfasi sulla dignità della persona umana, insistendo che la felicità risiedeva negli individui e che lo stato è fat- iv. Scienza e regole giuridiche 189 È in epoca cristiana che la dignità diviene elemento specifico della natura umana (oppure, nella più tarda concezione cristiana, un dono della grazia, che rende capaci di atti meritori), e a partire da questo momento a tutti gli uomini spetta la stessa identica dignità121. Costante è l’esaltazione della dignità umana su base teologica nella tradizione ebraico–cristiana, e in questo contesto autorevole è l’espressione122 Giovanni Paolo II, il quale afferma che la dignità dell’uomo è strettamente collegata alla sacralità della vita. L’argomentazione pontificia parte dalla affermazione che «la vita è sempre un bene. È, questa, una intuizione o addirittura un dato di esperienza, di cui l’uomo è chiamato a coglierne la ragione profonda»123. Perché la vita è un bene? Tale interrogativo attraversa tutta la Bibbia e fin dalle sue prime pagine ne trova una risposta efficace e mirabile. La vita che Dio dona all’uomo è diversa e originale di fronte a quella di ogni altra creatura vivente, in quanto egli, pur imparentato con la polvere della terra124, è nel mondo manifestazione di Dio, segno della sua presenza, orma della sua gloria125. All’uomo è donata quindi, un’altissima dignità, che ha le sue radici nell’intimo legame che lo unisce al suo Creatore, e sempre nell’uomo risplende un riflesso della stessa realtà di Dio. Ciò viene affermato nel libro della Genesi nel Primo racconto delle origini, in cui l’uomo è posto al vertice dell’attività creatrice di Dio, come suo coronamento, al termine di un processo che dall’indistinto caos porta alla creatura più perfetta126. to per l’uomo e non l’uomo per lo stato. Una volta accertato il grande principio dell’uomo sulla base di questi due grandi fondamenti: creazione e dignità, deriva la stretta relazione dignità dell’uomo e diritti umani. Una delle prime applicazioni che derivano da questo fondamento sta nel fatto che essendo l’uomo una creatura con grande dignità, egli dovrà essere trattato nel rispetto di questa dignità: ogni persona umana propone ed esalta la dignità ed il carattere sacro di ogni essere umano. La dignità della persona, dunque, rappresenta la base di tutti i diritti umani». 121. Cfr. F. Bartolomei, op. cit., p. 91. 122. Lettera Enciclica Evangelium Vitae n. 34, 1995. 123. Ibidem. 124. Cfr. Gn 2, 7; 3, 19; Gb 34, 15; Sal 103 [102], 14; 104 [103], 29. 125. Cfr. Gn 1, 26–27; Sal 8, 6. 126. Libro della Genesi, 1. 190 La libertà responsabile della ricerca Si riafferma, così, il primato dell’uomo sulle cose, esse sono finalizzate a lui e affidate alla sua responsabilità, mentre, per nessuna ragione egli può essere asservito ai suoi simili e ridotto al rango di cosa. Nella narrazione biblica, dunque, la distinzione dell’uomo dalle altre creature è evidenziata soprattutto dal fatto che, la sua creazione è presentata come frutto di una speciale decisione da parte di Dio, di una deliberazione che consiste nello stabilire un legame particolare e specifico con il Creatore: «facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza»127. La vita che Dio offre all’uomo è un dono con cui Dio partecipa qualcosa di sé alla sua creatura. La tradizione cattolica128, riconosce, per quanto riguarda la persona umana, una dignità di tre tipi: la prima è intrinseca, naturale, inalienabile, ed è una donazione o dono; la seconda egualmente intrinseca, ma è una conquista, non un dono, una conquista resa possibile, data la realtà del peccato originale e i suoi effetti, soltanto dall’inesauribile grazia di Dio; la terza è ancora una dignità intrinseca, ma è allo stesso tempo un dono, che di gran lunga trascende la natura umana e che, letteralmente, la rende divina; inoltre, è concessa come fosse un bene molto prezioso, che l’uomo deve saper custodire e coltivare e che egli può perdere, qualora scelga in piena libertà di commettere peccati gravi129. Il primo tipo di dignità, proprio degli esseri umani, è quella che appartiene a essi semplicemente in virtù del fatto che fanno parte della specie umana, che Dio ha chiamato alla vita quando, in prin 127. Gn 1, 26. 128. Cfr. J. Seifert, Il diritto alla vita e la radice quadrupla della dignità umana, in J. De Dios Vial Correa, E. Sgreccia, La natura e la dignità della persona umana come fondazione del diritto alla vita: Le sfide del contesto culturale contemporaneo, Atti dell’8ª Assemblea della Pontificia Accademia per la Vita, Città del Vaticano, 25–27 Febbraio 2002 , Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2003, pp. 194–215, In questo utile ed eccellente saggio, di Seifert, l’A. distingue una radice «quadrupla» della dignità umana (o 4 tipi di dignità umana ), s. v. inoltre per maggiori approfondimenti sull’argomento A. Bausola, Il fondamento del diritto alla vita, in A. Tarantino (a cura di), Per una Dichiarazione dei diritti del nascituro, Giuffrè, Milano 1996, pp. 113–114. Cfr. inoltre Aa.Vv., La tutela della dignità dell’uomo, a cura di E. Ceccherini, Editoriale Scientifica, Napoli 2008. 129. Cfr. W.E. May, Dignità umana e ricerca biomedica: Le rispettive posizioni dell’oggetto della ricerca e del ricercatore in IX Assemblea Generale PAV, febbraio 2003. iv. Scienza e regole giuridiche 191 cipio, Egli «creò l’uomo a sua immagine e somiglianza maschio e femmina li creò»130. Ogni essere umano è un’immagine vivente di Dio santissimo e, quindi, può essere giustamente definito come una “parola creata” di Dio, la “parola creata” in cui si è trasformato il suo Mondo non Creato ed esiste proprio per rivelarci quanto Dio ci ama131. Il cristianesimo offrirà in tal modo, un potente incentivo all’affermazione del valore universale della dignità umana132. Anche se non si può dimenticare che l’istituto giuridico della schiavitù persisterà ancora a lungo nel mondo cristiano, è infatti con la dottrina dei Padri della Chiesa, che l’idea veterotestamentaria dell’uomo come “immagine di Dio” verrà estesa dal popolo eletto a tutti gli uomini. Ed è proprio la somiglianza dell’uomo con Dio a spiegare ora la sua posizione del tutto speciale nella natura. Dio ci ha creati tutti a sua immagine, onorandoci con questo di una dignità trascendente. Un’idea rafforzata dal farsi uomo di Dio in Gesù Cristo, che avrà una sorprendente resistenza ben oltre il Medioevo, anche se per l’epoca moderna, intrisa di secolarizzazione, non sarà più il dato della rivelazione il punto di partenza133. Seppure, l’idea della dignità umana acquisti particolare rilevanza nell’umanesimo italiano, il primo tentativo di fondare in modo secolare la dignità umana lo si avrà con uno degli autori più importanti del giusnaturalismo moderno, quale è Pufendorf. Egli non prende le mosse da una qualche qualità naturale dell’uomo, quale il possesso della ragione e/o inerente il suo status sociale e non si riallaccia neanche alla tradizione cristiana, bensì parte dall’idea della libertà che contraddistingue l’essere umano134. Tale libertà è il presupposto 130. Genesi 1,27. 131. Cfr. W.E. May, op. cit. 132. Cfr. sul punto Aa.Vv., Colloqui sulla dignità umana, a cura di A. Argiroffi, P. Becchi, D. Anselmo, Aracne, Roma 2008. 133. Cfr. M. Nussbaum, Giustizia sociale e dignità umana. Da individui a persone, Il Mulino, Bologna 2002. 134. Cfr. M.A. Cattaneo, Giusnaturalismo e dignità umana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2006. 192 La libertà responsabile della ricerca per l’esistenza di un ordine morale che Pufendorf separa nettamente dall’ordine naturale. È l’idea della libertà morale dell’uomo, non la sua natura in quanto tale, a conferirgli dignità. L’uomo infatti, è l’unico essere in grado di porre autonomamente dei limiti al proprio agire, di sottomettersi a leggi che egli stesso si è dato. Alla luce di ciò, la dignità dell’uomo non ha quindi, un carattere ontologico, che gli compete per la posizione speciale che egli occupa nella natura, bensì deontologico, nel senso che è un titolo etico–giuridico che ogni essere umano può rivendicare in quanto destinatario di norme universalmente vincolanti135. Pufendorf, certo, non contesta che l’uomo nel mondo naturale si caratterizzi per la capacità di pensare, ma la sua dignità non consiste in questo, bensì in quella facoltà morale che sola rivela la sua vera essenza136. Non vi è dubbio che questa idea pufendorfiana, anticipi quella più nota e fortunata che troviamo al culmine dell’illuminismo europeo nell’opera di Immanuel Kant137. La distinzione pufendorfiana tra entia physica e entia moralia, ovvero, quella (distinzione tra ordine morale e ordine naturale) corrisponde alla distinzione kantiana tra regno della natura e regno dei fini, in tal senso la dignità umana non spetta all’uomo per la posizione che egli occupa al vertice del regno della natura, ma per la sua appartenenza a un regno di fini. Per Kant, come già per Pufendorf, dignità significa dunque, che l’uomo è un essere capace di agire nel rispetto di leggi morali138. È l’uomo in quanto capace di moralità ad avere dignità. Egli possiede un valore intrinseco assoluto non già in quanto animal rationale bensì in quanto portatore di un imperativo morale incondizionato. Non è il mero fatto biologico a costituire il fondamento della sua dignità, ma il “fatto della ragione” della legge morale, una ragione dunque “moralmente pratica”, che ci comanda di trattare l’umanità, sia nella propria persona sia in quella di ogni altro «sempre anche 135. 136. 137. 138. Cfr. M.A. Cattaneo, op. cit. Cfr. S. Pufendorf, Elementi di giurisprudenza universale, 1660. Cfr. I. Kant, Metafisica, cit., p. 250. I. Kant, op. cit. iv. Scienza e regole giuridiche 193 come fine e mai semplicemente come mezzo»139. Nel pensiero moderno, la nozione di dignità è fondata sui “valori” e la più nota interpretazione chiama in causa il rapporto fra valore e dignità, proclamato proprio da Kant140. Qui il concetto di valore, portato in auge dall’economia allora nascente, costituiva in un certo senso lo sfondo del concetto filosofico. “Valore” era la stima di una cosa in relazione a un’altra. Alcuni “valori” potevano perciò essere considerati equivalenti tra loro e dunque nello scambio, essere tradotti in un “prezzo di mercato” . Ora, il valore che non può essere scambiato con nessun altro, quello che non ha prezzo, non essendo equivalente a nulla, è il valore assoluto (o anche interno) di qualcosa. Esso conferisce a tutto il resto un valore derivato. Per Kant, un tale insostituibile “valore interno”, cioè la “dignità”, è posseduto da un solo ente al mondo, la persona dotata di identità morale, responsabilità razionale–pratica verso se stesso e capacità di autodeterminazione141. La dignità dell’uomo, in quanto valore in sé che non può essere sostituito da nulla, si distingue per il fatto di dovere questa prerogativa al necessario riconoscimento da parte di tutti quelli che di essa partecipano. Nessun “essere ragionevole del mondo” può negare un ordinamento che ha al suo vertice quel rispetto di se stessi, nel quale tutti i soggetti sono uguali. Alla dignità di ogni persona deve essere quindi, concesso quel riconoscimento incondizionato che è cosa del tutto naturale pretendere per se stessi. Chi disprezza l’altro disprezza se stesso poiché non può negare la comunanza di genere con l’altro: l’Ego e l’Alter si identificano».142 Ma l’uomo inteso come persona è innalzato al di sopra di ogni prezzo, «perché come tale egli deve essere riguardato non come mezzo per raggiungere i fini degli altri e nemmeno i suoi 139. Sull’argomento s.v. I. Kant, Critica della ragion pratica, Laterza, Roma –Bari, 2006. 140. Cfr. I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, a cura di V. Mathieu, Rusconi Ed. Milano, 1994. 141. I. Kant., op. cit, . Per maggiori approfondimenti tanto sul concetto di responsabilità quanto su quello di identità, rinvio a G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., p. 204– 208. 142. F. Bartolomei, op. cit., p. 82. 194 La libertà responsabile della ricerca propri, ma come un fine in sé, vale a dire egli possiede una dignità (un valore interiore assoluto), per mezzo della quale costringe al rispetto di se stesso tutte le altre creature ragionevoli del mondo ed è questa dignità che gli permette di misurarsi con ognuna di loro e di stimarsi loro uguale»143. Come “principio della dignità umana” s’intende l’esigenza enunciata da Kant come seconda formula dell’imperativo categorico: «Agisci in modo da trattare l’umanità, tanto nella tua persona come nella persona di ogni altro, sempre anche come un fine e mai unicamente come un mezzo»144. Tale imperativo, stabilisce infatti, che ogni uomo, anzi ogni essere ragionevole, come fine in se stesso, possiede un valore non relativo, ma intrinseco, come è appunto la dignità145. Soprattutto nella Fondazione della metafisica dei costumi, Kant fece uso non solo dei concetti di “mezzo” e “fine”, ma anche della relazione fra “valore” e “dignità”. Nel sistema kantiano, quindi, il dovere di rispettare gli altri uomini non è un dovere giuridico perché non può essere imposto con la forza, o meglio non può essere espresso attraverso un atto esteriore, ma lo si traduce in una massima d’agire. Si tratta di un dovere di virtù, un vero e proprio “dovere negativo”, ossia il dovere di non sopraffare l’altro146. Kant con ciò, rinvia al principio etico secondo il quale l’uomo è soggetto e non dovrebbe dunque essere un oggetto per la scienza. Ugualmente si può collegare il volontarismo kantiano a ciò che è fondamento dell’etica della responsabilità e cioè che la libertà dell’individuo è parte integrante della sua dignità e che ciò impone di assumersi la sua parte nell’evoluzione della società. Tutto ciò ovviamente non comporta che l’uomo non possa anche farsi mezzo per la realizzazione di scopi a lui estrinseci, bensì che non venga mai ridotto solo ed esclusivamente a mezzo. Poco tempo dopo, Hegel, contrariamente a Kant, ritiene che essere una persona 143. 144. 145. 146. Cfr. I. Kant, op. cit. I. Kant, op. cit. Cfr. N. Abbagnano, Dizionario filosofico, Utet, Torino 1961, voce «Dignità». Cfr. I. Kant, Fondazione della metafisica dei costumi, cit. iv. Scienza e regole giuridiche 195 e rispettare gli altri come persone, sia un imperativo giuridico147. Il rispetto della dignità umana, diviene a tutti gli effetti un dovere giuridico. Ma il considerare tale dovere un dovere giuridico, comporta non poche difficoltà. Il dovere di rispettare la dignità umana sta a significare, il dovere di trattare gli altri come titolari di diritti e doveri, trasformando il divieto di strumentalizzazione in un diritto a poter detenere diritti e doveri. Questa istanza umanitaria è sicuramente in sintonia con le celebri dichiarazioni settecentesche dei diritti dell’uomo e del cittadino, anche se il concetto di dignità umana non compare né nella Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 26 agosto 1789, né nella Declaration of Independence deliberata dagli Stati Uniti d’America una decina d’anni prima (il 4 luglio 1776), e neppure nelle Carte dei diritti che, a cominciare da quella della Virginia, vengono in quel periodo proclamate nel Nordamerica148 . Storicamente il primo documento è, infatti, la Declaration of Rights della Virginia del 1776, che comincia con l’enunciazione dei “diritti inerenti” (inherent rights) di cui gli uomini «entrando nello stato civile, non possono, mediante convenzione, privare o spogliare la loro posterità, cioè il godimento della vita, della libertà, mediante l’acquisto e il possesso della proprietà, e il perseguire e ottenere felicità e sicurezza». Anche se l’idea è già presente, come si noterà, non compare ancora l’aggettivo “inalienabili”, che invece si ritrova all’inizio della Declaration of Independence: «Noi riteniamo queste verità autoevidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali; che essi sono dotati dal loro Creatore di certi diritti inalienabili (inalienable rights); che tra questi diritti vi sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità»149. Poco dopo (il 28 settembre 1776) nella Costituzione della Pennsylvania si aggiunge anche laggettivo naturale. Nella Déclaration des droits de l’homme et du citoyen si consolida la locuzione “diritti naturali e imprescrittibili dell’uomo” (droits naturels et imprescriptibles 147. Cfr. G. F. Hegel, Lineamenti di filosofia del diritto, a cura di A. Plebe, Laterza, Bari 1954. 148. Per maggiori approfondimenti rinvio a A. Facchi, Breve storia dei diritti umani, Il Mulino, Bologna 2007, pp. 43 e ss., rinvio inoltre a A. Cassese, op. cit. 149. A. Facchi, op. cit., p. 49. 196 La libertà responsabile della ricerca de l’homme). Questi diritti sono ora identificati nella “libertà”, “proprietà”, “sicurezza” e “resistenza all’oppressione”, mentre la “ricerca della felicità” non viene menzionata. Bisognerà, osserva ancora Becchi, infatti, attendere la fine della seconda guerra mondiale, nonostante qualche sporadico riferimento si incontri in documenti normativi anche prima, per trovare una piena legittimazione giuridica, ovvero, una “giuridificazione”, della dignità umana150. A partire dallo Statuto (o Carta) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (1945), dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo (1948) e dalla Legge fondamentale della Repubblica Federale Tedesca (1949) sono molteplici i documenti giuridici in cui si trova un richiamo alla dignità umana . Di fronte al disastro delle due guerre mondiali, la Carta riaffermava la «fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana» e la Dichiarazione si apriva con il «riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali e inalienabili». E non è certo un caso che proprio la Legge fondamentale tedesca, vale a dire la Costituzione di un paese in cui la sistematica persecuzione degli uomini per la loro fede religiosa, le loro opinioni politiche e persino perché affetti da inguaribili malattie mentali, era diventata legge dello Stato, si presenti come uno dei primi documenti in cui il riferimento alla dignità umana, come reazione agli orrori perpetrati dal regime nazionalsocialista, acquista un ruolo di assoluta preminenza151. 150. Cfr. P. Becchi, Il principio della dignità umana, Morcelliana, Brescia, 2009. 151. Cfr. F. Bartolmei, op. cit., p. 89. «Nel testo della Costituzione tedesca, si precisa anche il ruolo tutelare dello Stato nei riguardi della dignità umana, e anche il “dovere” del cittadino di rispettare la dignità umana, propria e degli altri: la giurisprudenza costituzionale afferma che la dignità umana è un valore oggettivo, indisponibile, alla cui tutela lo stato è obbligato; né il singolo può “abusare della libertà per auto–degradarsi” come non sussiste neppure una “tutela dei diritti fondamentali contro se stessi”. “D’altronde, anche se il concetto di dignità può suggerire un ampliamento della sfera di autonomia, poiché tuttavia si tratta di autonomia e non di completa libertà, l’estensione della sfera di autonomia non solo non può essere illimitata, ma neppure può dipendere esclusivamente dal soggetto». iv. Scienza e regole giuridiche 197 Il riconoscimento della dignità umana, diventa una sorta di Grundnorm di kelseniana memoria152, posta al vertice dell’intero ordinamento giuridico, una norma giuridica oggettiva, non essa stessa un diritto soggettivo fondamentale, e proprio per questo incondizionata, non sottoponibile a differenza dei diritti fondamentali a ponderazioni e limitazioni. L’art. 1 infatti, al comma 1 recita che «la dignità dell’uomo è intangibile. Rispettarla e proteggerla è obbligo di tutto il potere statale» e al comma 2 aggiunge: «Il popolo tedesco professa perciò i diritti umani inviolabili e inalienabili come fondamento di ogni comunità umana, della pace e della giustizia nel mondo». Un nuovo aggettivo viene ora introdotto per qualificare la dignità umana. Rispetto ai diritti fondamentali che sono “inviolabili e inalienabili”, la dignità è “intangibile”153. Dai due commi risulta evidente il rapporto di derivazione che sussiste per la Costituzione tedesca tra la dignità umana e i diritti fondamentali. Proprio dal momento che l’uomo possiede una dignità, che lo contraddistingue rispetto a qualsiasi altro essere vivente, egli è titolare di diritti fondamentali154. Riemergono così nella Costituzione tedesca, come pure negli atti internazionali poc’anzi citati, tutti quegli elementi propri della dottrina giusnaturalistica moderna e che ora acquistano una sorta di positività normativa. Non deve quindi sorprendere che il tema del rispetto della dignità umana, sia collegato a quello della rinascita del diritto naturale e se su entrambi proprio nella Germania di quegli anni il dibattito risulti particolarmente fecondo155. Che ogni essere umano debba anzitutto valere come persona uguale a qualsiasi altra è stato il motivo dominante di quella stagione postbellica156. Essere trattati come persone e riconoscere a ciascun altro essere umano in- 152. Cfr. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit. p. 101. 153. Cfr. F. Bartolomei, op. cit., pp. 91 e ss. 154. Cfr. A. Cassese, op. cit., p. 20 155. Cfr. A.M. Cattaneo, Giusnaturalismo e dignità umana, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2006. 156. Cfr. P. Becchi, Il dibattito sulla dignità umana:tra etica e diritto in E. Furlan, Bioetica e dignità umana. Interpretazioni a confronto a partire dalla Convenzione di Oviedo, FrancoAngeli, Milano 2009. 198 La libertà responsabile della ricerca dipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla lingua, dalla religione o dalle opinioni politiche, dalle condizioni di nascita, economiche e sociali, il diritto a un eguale trattamento significava recuperare quel concetto di humanitas esplicitamente combattuto dall’ideologia nazista con l’introduzione della categoria di subumano e con la mitologia della razza ariana157. Il nuovo ordine internazionale sorto dalle macerie del totalitarismo, trova così nel riconoscimento della dignità umana, come valore assoluto e incondizionato, il suo punto di partenza158. Quando si sente parlare dunque, della dignità della persona come valore supremo e universale, e si considera ciò che avviene nel mondo contemporaneo, torna alla mente il famoso incipit del Contratto sociale di Rousseau («L’uomo è nato libero, ma ovunque è in catene») e si è tentati di adattarlo, affermando che la dignità dell’uomo pur se per sua natura, intangibile, ovunque è calpestata159. Una dose di sano pessimismo è necessaria per evitare che le discussioni sulla dignità umana e su altri valori supremi finiscano per assegnare alla stessa, un significato così ampio e comprensivo da facilitare, contro le intenzioni dei suoi entusiasti sostenitori, una lettura interamente “relativistica” . Un relativismo estremo in questo campo, da una parte avrebbe il vantaggio di non identificare la dignità, come valore universale, con particolari dottrine religiose, filosofiche o politiche, ma presenterebbe, d’altra parte, il rischio di consentire progressive erosioni del suo contenuto essenziale, con la giustificazione di non voler escludere “culture” diverse da quella occidentale. Queste ultime possono avere, della dignità, visioni molto distanti dalla tradizione storica e dal bagaglio teorico primo tra tutti l’insegnamento kantiano, che stava alle spalle dei Costituenti europei del secondo dopoguerra, alla metà del XX secolo, e che gli stessi tentavano di recuperare dopo l’immane tragedia della seconda guerra mondiale. 157. Cfr. B. Becchi, op. cit. 158. A. Cassese, op. cit., p. 23 159. Cfr. L. G. Crocker, Il Contratto sociale di Rousseau, Einaudi, Torino 1971. iv. Scienza e regole giuridiche 199 Premessa necessaria alla precisazione del valore della dignità è innanzitutto il riconoscimento dell’anteriorità dell’uomo rispetto allo Stato160. Nell’Assemblea costituente italiana ciò fu affermato esplicitamente nell’ordine del giorno Dossetti, ispirato a una visione cristiana dell’uomo, presentato, con l’approvazione anche di opposte sponde politiche161. La dignità possiede un plusvalore, in quanto è il cuore del principio personalista, che, assieme a quello egualitario, sorregge il grande edificio del costituzionalismo contemporaneo. Questa affermazione generale ha come conseguenza logica e giuridica che la dignità, in quanto presupposto assiologico dei diritti fondamentali, prende il posto, come ha rilevato Häberle, della stessa sovranità popolare, nel senso che lo stesso popolo sovrano non possiede il potere giuridicamente fondato di intaccare la dignità della persona162. La supremitas della dignità la innalza a criterio di bilanciamento di valori, senza che essa stessa sia suscettibile di riduzioni per effetto di un bilanciamento. Essa non è effetto di un bilanciamento, ma è la bilancia medesima. Alla luce di ciò, sia che la dignità trovi posto nella Costituzione per mezzo di una disposizione esplicita, come avviene, ad esempio, nella Costituzione tedesca, sia che la stessa sia un implicito presupposto della tutela dei diritti inviolabili dell’uomo163, come avviene nella Costituzione italiana, il punto fondamentale è che la sua intangibilità entrerebbe in contraddizione con l’essere considerata frutto di una volizione soggettiva, fosse anche del potere costituente. La dignità dell’uomo si conserva, e quindi deve essere tutelata, al di là della vita e della morte164. La Corte costituzionale italiana, nella sentenza n. 293 del 2000, ha affermato che «quel 160. Cfr. J. Maritain, op. cit. 161. Nella seduta del 9 settembre 1946. s.v. inoltre C. Esposito, La Costituzione italiana, Cedam, Padova 1954, pp. 1 e ss. 162. Cfr. P. Haberle, Diritto e Verità, FrancoAngeli, Milano 2000; s.v. anche D. Quaglioni, La sovranità, Laterza, Roma–Bari 2004. 163. Cfr., sul punto P. Haberle, Linee di sviluppo della giurisprudenza della corte costituzionale federale tedesca in materia di diritti fondamentali, in «Giurisprudenza costituzionale», 1996, n. 4. 164. Cfr. S. Panunzio, La dignità umana, Seminario su: I diritti fondamentali e le corti in Europa in «Osservatorio Costituzionale» Bollettino n. 4/2003. 200 La libertà responsabile della ricerca lo della dignità della persona umana è un valore costituzionale che permea di sé il diritto positivo». Come tutti i principi generali, essa è caratterizzata, come ha osservato Betti, da una perenne eccedenza assiologica rispetto alle norme giuridiche che tendono a realizzarla. Sarebbe, però, riduttivo limitarsi a considerarla solo la fonte della tutela dei diritti fondamentali previsti dalle Costituzioni positive. La dignità della persona, deve sempre riferirsi alla persona umana concreta, quale essa è e non quale dovrebbe essere secondo punti di vista religiosi, filosofici o ideologici. La dignità implica che l’identità specifica di ciascun individuo venga preservata e considerata, come emerge nella sentenza n. 13 del 1994 della Corte costituzionale italiana, «un bene in sé medesima, indipendentemente dalla condizione personale e sociale, dai pregi e dai difetti del soggetto, di guisa che a ciascuno è riconosciuto il diritto a che la sua individualità sia preservata«. La dignità non appartiene a chi se la merita, secondo criteri di valutazione assunti dalle leggi dello Stato o risultanti dalla cultura dominante, ma a tutte le persone, qualunque sia o sia stato il loro comportamento165. Essa non è soltanto una “dote” dell’essere umano, ma si identifica con la persona, per il semplice motivo che un individuo privato della sua dignità soffre della negazione della sua stessa umanità. Un esempio, è dato dall’art. 32 della nostra Costituzione che ammette che la legge possa prevedere trattamenti sanitari obbligatori, ma impone altresì che «in nessun caso» essi possono violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Anche quando l’interesse pubblico giunge al massimo grado di intensità, il nucleo essenziale della dignità deve rimanere intatto. Tale nucleo essenziale, cui si ispirano le Costituzioni moderne, è racchiuso proprio nella nozione di “rispetto”, che si presenta come una sintesi di riconoscimento e di pari considerazione del valore dei singoli individui 165. Cfr. G. Silvestri, Considerazioni sul valore costituzionale della dignità della persona Intervento al Convegno trilaterale delle Corti costituzionali italiana, portoghese e spagnola, tenutosi a Roma il 1° ottobre 2007. «La persona come valore, cioè la personalità, costituisce quindi la parte caratterizzante l’ordinamento giuridico sì da garantirne l’unitarietà». A tal proposito s.v. P. Perlingeri, La personalità nell’ordinamento giuridico, cit. iv. Scienza e regole giuridiche 201 e delle formazioni sociali ove si sviluppa la loro personalità166. Compito di una Corte costituzionale non è soltanto quello di eliminare dall’ordinamento quelle norme che si pongono in palese contrasto con questo valore fondamentale, ma anche quello di rimediare, nei limiti degli strumenti tecnico–giuridici offerti dall’ordinamento, alle omissioni e alle violazioni indirette tutte le volte in cui la prassi quotidiana degli operatori del diritto faccia emergere situazioni dalle quali deriva una lesione della dignità167. La tutela della dignità richiede che vi sia un’equa ripartizione delle risorse disponibili, in modo da non privare alcuni soggetti o categorie di soggetti di beni e servizi essenziali, senza i quali la vita non è più “dignitosa”168. Il concetto di dignità è dunque tanto connesso al ruolo che ogni cittadino è chiamato a svolgere all’interno della società, quanto al fatto che lo Stato deve assicurare a ciascuno la possibilità di svolgerne dignitosamente uno. La dignità non è soltanto qualcosa che va difesa da comportamenti che potrebbero lederla, ma qualcosa che va promossa e su cui si commisura la crescita sociale. Adoperando, quindi, il linguaggio della teoria dei sistemi, si potrebbe dire che la dignità umana in proiezione dei rapporti economici è da collocarsi nella visione di un orizzonte del passato che Bartolomei, definisce l’input, mentre la dignità umana binomizzata con la libertà della persona umana è da collocarsi nella visione di un orizzonte futuro l’output. Un esempio di ciò è appunto la Costituzione tedesca dove, se da una parte vi sono rinchiuse le tenebre di morte dei campi di sterminio nazisti dall’altra le speranze di un futuro migliore169. 166. Tuttavia da un certo bilanciamento politico può derivare una diminuzione delle tutele che scende al di sotto di soglie minime, oltre le quali si ritiene leso, ad esempio, «il nucleo irriducibile del diritto alla salute protetto dalla Costituzione come ambito inviolabile della dignità umana» (sentenza n. 111 del 2005, confermata dalla sentenza n. 162 del 2007). Cfr. inoltre sull’argomento, G. Peces–Barba, Teoria dei diritti fondamentali, trad. it., Milano 1993. 167. Cfr. G. Silvestri, op. cit. 168. G. Silvestri, op. cit. 169. Cfr. F. Bartolomei, op. cit., p. 32. 202 La libertà responsabile della ricerca Dunque, mentre nella Costituzione tedesca “dignità” è un valore assoluto che riguarda astrattamente la persona in sé e per sé, nella nostra Costituzione è un valore relativo che riguarda la sua concreta collocazione nel tessuto sociale170. Laddove il primo significato di dignità è culturalmente in debito verso il giusnaturalismo moderno il secondo invece, ci riporta all’antica nozione di dignità che emergeva, come sottolineato in precedenza, dal mondo romano. Anche se ora la dignità non riguarda più, come nell’antica Roma, soltanto quegli uomini che si sono contraddistinti per le cariche pubbliche che hanno ricoperto, ma tutti i cittadini con quella “pari dignità sociale” che loro deriva dal (dover) contribuire con il lavoro al progresso della società, si tratta in fondo di quella stessa idea di dignità umana connessa al ruolo sociale che ricompare con forza nella Costituzione italiana. Anche la nostra Costituzione conosce quindi, il significato assoluto della dignità, quando l’art. 2, riconoscendo e garantendo i «diritti inviolabili dell’uomo» non solo in quanto facente parte di una formazione sociale «ove si svolge la sua personalità», ma anche «come singolo» rinvia implicitamente all’art. 32, comma 2, ove si afferma che «nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario se non per disposizione di legge» e che persino «la legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana»171. Il concetto di dignità comunque, ha assunto oggi nuovi significati, principalmente deve essere inteso come il diritto alla vita e all’integrità fisica di ogni essere umano dal momento del concepimento sino alla morte172. Già la nostra Corte Costituzionale, all’inizio della sua attività nel 1956, ha affermato nell’art 2 Cost. il principio del riconoscimento dei 170. Cfr. F. Bartolomei, op. cit., pp. 35 e ss. 171. Sull’argomento s.v. F. Bartolomei, La dignità umana come concetto e valore costituzionale, G. Giappichelli, Torino 1987, pp. 22 e ss. 172. F. Bartolomei, op. cit., p. 43. iv. Scienza e regole giuridiche 203 diritti fondamentali del cittadino173. Successivamente, la stessa Corte si è preoccupata di precisare che tali diritti, costituiscono patrimonio della personalità umana appartenente all’uomo in quanto essere libero. In tal modo la Corte ha inteso sganciare la nozione di diritto fondamentale dal concetto di cittadino per estenderla all’uomo in quanto tale174. Tale affermazione si riferisce alla libertà personale quale diritto soggettivo perfetto, nella misura in cui la Costituzione impedisce allo Stato di esercitare la propria potestà nel rispetto del principio di legalità175. Con riferimento alla dignità umana, però, non si parla di un di 173. La sent. n. 1 del 1956 costituisce un importante passaggio in relazione all’effettività dei principi costituzionali (e dunque alla normatività della costituzione), giacché le scelte di fondo in essa affermate hanno costituito delle costanti nella successiva giurisprudenza costituzionale. Su tale problematica s.v. S. Bartole, Interpretazione e trasformazioni della Costituzione repubblicana, Il Mulino, Bologna 2004, p. 41 ss. 174. F. Bartolomei, op. cit., pp. 9–10 175. Cfr. A. Baldassarre, Diritti della persona e valori costituzionali, Giappichelli, Torino, 1997, pp. 35 e ss. «Secondo Baldassarre i diritti inviolabili possono essere distinti in “originari” (che rappresentano condizioni logicamente necessarie per la democrazia) e “derivati” (che costituiscono invece condizioni positivamente necessarie per la democrazia). In altri termini, mentre l’assenza dei primi (definiti anche “generali”) determina l’impossibilità di esistenza dello stesso sistema democratico, il grado di attuazione dei secondi (definiti anche “speciali”) costituisce criterio di qualificazione (e di significato) della democrazia. Al primo gruppo appartengono i “diritti dell’uomo e del cittadino”, mentre al secondo sono ricompresi “altri diritti fondamentali che, pur condizionando l’esistenza stessa della democrazia, ne caratterizzano in modo determinante il particolare significato che la Costituzione le ha voluto assegnare”. L’appartenenza all’uno o all’altro gruppo discende dalla «diversa forma di “pregiudizialità” logica di un determinato diritto rispetto al concetto della democrazia pluralistica». Dei diritti sociali riconosciuti in Costituzione alcuni ricadono nel primo gruppo ed altri nel secondo; e questo spiega perché, pur riconoscendone la natura di diritti costituzionali inviolabili, alcuni diritti possano rimanere, anche per lunghi periodi, inattuati: la democrazia, pur risentendone in termini qualitativi, non ne viene a subire un vulnus radicale. Ma tale distinzione (come anticipato dalla stessa dottrina che l’ha proposta) non va “assolutizzata” giacché tutti tali diritti possono ritenersi coessenziali ad una democrazia pluralistica, fondata sul valore della dignità dell’uomo e che voglia, allo scopo di garantire e rendere effettivo il principio democratico, assicurare a tutti i cittadini (oltre alla partecipazione alla vita economica, politica e sociale del paese) una piena consapevolezza di tale partecipazione e del proprio ruolo in un ordinamento pluralistico e democratico. Ed allora emerge chiaramente come tale distinzione, che serve a “qualificare” i diritti costituzionali, non sia basata su una differenza strutturale degli stessi, ma solo sul rapporto fra essi e il principio democratico. Ma allora, anche da tale prospettiva, riemerge la centralità di tale aspetto: l’effettiva realizzazione del principio democratico che, in una democrazia plu- 204 La libertà responsabile della ricerca ritto garantito dalla Costituzione, ma di un vero e proprio “valore” che vede lo Stato come suo garante e custode. In quanto tale, la dignità umana, implica la sua tutela contro i pubblici poteri e da parte dello Stato contro gli attacchi esterni. Infatti, i diritti che si volevano garantire all’uomo erano diretti alla sua salvaguardia contro l’arbitrio del potere pubblico. In altre parole si cercava di assicurare una sfera intangibile di libertà dell’individuo nei confronti dello Stato. La norma costituzionale quindi, che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo rappresenta un elemento fondamentale in quanto si pone come clausola generale di tutela della persona umana176. La storia dei diritti inviolabili vede ampliare la sfera della dignità umana177. La necessità di tutelare integralmente e totalmente la persona umana ha portato parte della dottrina a negare l’esistenza di una pluralità di diritti inviolabili e a considerare un unico diritto alla personalità che ha come oggetto la persona umana intesa come valore unitario e indivisibile178. Nel nostro ordinamento giuridico il riferimento alla pluralità dei diritti fondamentali si spiega infatti, in relazione ai diversi interessi fondamentali dell’uomo. A tal proposito, è importante precisare che vengono definiti fondamentali, quei diritti aventi un’importanza particolare in quanto determinano la posizione fondamentale dell’individuo. In particolare, fondamentale può essere considerato il diritto alla salute (art 32 Cost.) che è al tempo stesso un interesse individuale e collettivo. La connessione di questi diritti di libertà, fa si, che sia possibile individuarli coordinando l’art. 2 ralistica, non si può esaurire in una mera forma ma si riempie di molteplici contenuti e sull’esigenza di un reciproco rispetto». Cfr., inoltre L. Ferrajoli, Diritti fondamentali. Un dibattito teorico, Laterza, Roma–Bari, 2002; Cfr. F. Riccobono, Legittimazione attraverso i diritti umani?, in L. D’Avack (a cura di), Sviluppo dei diritti dell’uomo e protezione giuridica , Guida, Napoli, 2003 176. Cfr. F. Bartolomei, La dignità umana cit., p. 11; inoltre cfr. V. Ferrari, Funzioni del diritto. Saggio critico costruttivo, Laterza, Roma–Bari 1992. 177. Cfr. F. Bartolomei, op. cit., p. 13. «Ad esempio, la presenza di questa “clausola generale” costituzionale ha, tra l’altro, consentito di recente, alla giurisprudenza, di riconoscere protezione giuridica al diritto alla riservatezza, sebbene tale diritto non sia specificatamente menzionato nella normativa costituzionale». Per maggiori approfondimenti rinvio a S. Gambino (a cura di), Costituzione italiana e diritto comunitario, Milano, 2002. 178. Cfr. A. Baldassarre, op. cit. iv. Scienza e regole giuridiche 205 Cost. con gli altri articoli relativi alle singole situazioni giuridiche soggettive. In tal modo, molte volte, si è tentato di negare il carattere inviolabile dei diritti fondamentali, ammettendo la possibilità di restrizioni.179 Lidea moderna di dignità umana, che ci vieta in sostanza di ridurre la persona a cosa, non ci consente, in altri termini, come osservato da Becchi, di comprendere situazioni in cui la lesione della dignità180 viene a dipendere dal fatto che la vittima può sentirsi offesa nel rispetto di se stessa tutte le volte che la sua autorappresentazione viene messa pubblicamente in discussione181. Per la dignità umana è avvenuto nel corso della seconda metà del secolo scorso qualcosa di simile a quello che si è verificato per i diritti umani. Se da principio essi riguardavano l’uomo in astratto, come ente generico, indipendentemente da qualsiasi determinazione concreta (sesso, colore, lingua, ecc.) riservando a ciascun uomo il diritto a essere trattato come qualsiasi altro uomo, in seguito si è passati a considerare l’uomo in concreto nella specificità dei suoi diversi status, differenziati a seconda del sesso, dell’età, delle condizioni fisiche o sociali182. Basta gettare uno sguardo alle diverse Carte dei diritti che si sono susseguite nel corso degli anni per rendersi subito conto di un simile sviluppo. Questo processo di proliferazione dei diritti umani ha riguardato diritti a contenuto economico e sociale (come a esempio il diritto al lavoro, il diritto alla salute, all’istruzione, a un minimo di sussistenza vitale)183, diritti che si riferiscono a individui considerati non in quanto singoli, ma in quanto appartenenti a gruppi e infine, diritti che si riferiscono all’uomo nelle diverse fasi della vita o nelle sue particolari condizioni fisiche. 179. Cfr. F. Bartolomei, op. cit., p. 35; per maggiori approfondimenti sul nucleo intangibile dei principi o valori supremi incardinati nel testo costituzionale, G.P. Calabrò Diritto alla sicurezza, cit; s.v. inoltre P. Perlingeri, Interpretazione e qualificazione: profili dell’individuazione normativa, in Scuole tendenze e metodi, Napoli, 1988, p. 29 ; nonché, S. Regasto, L’interpretazione costituzionale. Il confronto tra valori e principi in alcuni ordinamenti costituzionali, Rimini 1997, pp. 82 e ss. 180. Cfr. P. Becchi, Il principio di dignità, op. ult. cit. 181. Cfr. P. Becchi, op. ult. cit. 182. Cfr. N. Bobbio, L’età dei diritti, cit. 183. Cfr. N. Bobbio, op. cit., p. 78. 206 La libertà responsabile della ricerca È questo processo che ha fatto spostare l’accento dall’uomo considerato in astratto uguale a qualsiasi altro uomo, all’uomo considerato in concreto, con tutte quelle diversità che gli derivano dal far parte di un gruppo piuttosto che un altro o dal trovarsi in una fase della vita piuttosto che un’altra. Più recentemente l’accento si è spostato sulle diverse fasi della vita prenatale (in connessione alle tecniche di procreazione medicalmente assistita e alla manipolazione genetica) e sulle diverse fasi che accompagnano un morire sempre più sottoposto al controllo tecnologico184. Diritti dell’embrione e/o del feto e diritti del malato terminale (a partire dal riconoscimento del “testamento biologico”) sono oggi al centro del dibattito. E spesso, proprio in questi ultimi contesti, è frequente il richiamo alla dignità umana185, non solo intesa come diritto, ma sovente intesa come dovere. Alle Carte dei diritti sopra citate, ne sono seguite altre in cui la proclamazione dei diritti umani è fatta precedere dal riconoscimento del valore della dignità umana. Il richiamo alla dignità viene fatto tanto nel senso della tutela della persona in astratto quanto nel senso della tutela dell’individuo concreto. Per rendersene subito conto è sufficiente prendere in considerazione il Capo I della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata solennemente a Nizza nel dicembre del 2000, e metterlo a confronto con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali186, entrata in vigore nel settembre 1953. È significativo osservare come nella Convenzione non compaia mai un esplicito riferimento alla dignità umana e persino laddove il riferimento è implicito, come esso riguardi 184. Cfr. R. Barcaro, Dignità della morte, accanimento terapeutico ed eutanasia, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2001, pp. 25 e ss. 185. Cfr. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit. 186. Cfr. A. Manzella, P. Melograni, E. Paciotti, S. Rodotà, Riscrivere i diritti in Europa. Introduzione alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il Mulino, Bologna 2001, p. 10 e ss; s.v. per maggiori approfondimenti sull’argomento A. Facchi, I diritti nell’Europa multiculturale, Laterza, Roma–Bari 2001; Cfr. inoltre A. Loiodice, Centralità della persona umana nella Carta di Nizza e nella Convenzione Europea, in L. Leuzzi, C. Mirabelli (a cura di), Verso una Costituzione Europea, Lungro–Cosenza 2003. iv. Scienza e regole giuridiche 207 l’uomo in astratto, mentre nella più recente Carta dei diritti fondamentali è proprio l’elemento individuale ad acquisire un particolare rilievo. L’intero Capo I della Carta, intitolato “dignità”, dopo aver riaffermato, usando gli stessi termini della Legge fondamentale tedesca, il valore “intangibile” della dignità umana («essa deve essere rispettata e tutelata») ripropone la dignità umana come tutela della dignità della persona in quanto persona, proibendo torture e pene o trattamenti inumani e degradanti (art. 4) così come schiavitù, lavori forzati e tratta di esseri umani (art. 5), ma lasciando altresì emergere tutta l’importanza della tutela della dignità della persona in quanto individuo concreto187. Non solo proibendo la pena capitale (sia sotto forma di esecuzione che di semplice condanna), ma altresì vietando nell’ambito della biomedicina tutte quelle pratiche (come l’eugenetica, la commercializzazione del corpo umano, la clonazione riproduttiva) ritenute lesive dell’«integrità fisica e psichica» di «ogni individuo» (art. 3). La Carta, dunque, fornisce una protezione a tutto campo della dignità umana: è il primo documento giuridico in cui essa compare in piena autonomia rispetto ad altri valori come la libertà e l’uguaglianza a cui tradizionalmente veniva associata188. Questa rilevanza della dignità umana è connessa, come risulta in particolare dall’art. 3, alle possibili applicazioni biotecnologiche sull’uomo ed è estremamente significativa perché riprende e aumenta la centralità a essa attribuita da un documento, di poco precedente, che si occupa specificamente di tali applicazioni: la cosiddetta Convenzione di Oviedo del Consiglio d’Europa. Nel titolo stesso di questo documento la dignità viene associata alla protezione dei diritti dell’uomo, anche se nel preambolo vi è perlomeno un passaggio in cui essa compare autonomamente, laddove si afferma «la ne 187. Cfr. A. Manzella, Dal mercato ai diritti, in A. Manzella, P. Melograni, E. Paciotti, S. Rodotà, op. cit., p. 31. s.v. L. Albino, La carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Tra presente e passato, in «Queste istituzioni», n. 124, 2001. 188. Cfr. G. Zagrebelsky (a cura di), Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, Laterza, Roma Bari, 2003. Cfr. inoltre sul tema R. Rolli, Brevi osservazioni in tema di diritti fondamentali nell’ordinamento comunitario, in S. Gambino (a cura di), op. cit. 208 La libertà responsabile della ricerca cessità di rispettare l’essere umano sia come individuo sia per la sua appartenenza alla specie umana» e si riconosce «l’importanza di assicurare la sua dignità». È qui tra l’altro evidente l’uso del vocabolo nei due significati sopra sottolineati: la dignità dell’uomo come ente generico e come ente individuale. La Convenzione di Oviedo, costituisce quindi, il primo documento giuridico internazionalmente vincolante che riguardi in modo specifico le possibili applicazioni sull’uomo dei progressi della medicina e della biologia e parte dalla presa di coscienza che «un uso improprio della biologia e della medicina può portare ad atti che mettono in pericolo la dignità umana».189 È di fronte a una siffatta situazione che la Convenzione si propone di adottare le «misure necessarie per garantire la dignità umana nonché i diritti e le libertà fondamentali dell’individuo». L’art. 1 afferma che le parti firmatarie si impegnano a proteggere «la dignità e l’identità di tutti gli esseri umani» e a garantire «a ciascun individuo, senza discriminazione, il rispetto della sua integrità e dei suoi diritti e libertà fondamentali nei confronti delle applicazioni della biologia e della medicina». La Convenzione, associando la dignità all’identità, ha comunque voluto indicare un limite invalicabile, quello dato dalla manipolazione del patrimonio genetico, con il fine deliberato di pianificare la creazione di esseri umani con caratteristiche migliori di quelle esistenti. Questa spiegazione è confermata dagli artt. 11–14 dedicati al genoma umano. Anche se in quel contesto non si incontra la locuzione “dignità umana”, è evidente che la tutela dell’identità genetica è fondata proprio sull’intangibilità della dignità umana, da intendersi tanto nel senso di un diritto di tutti gli esseri umani e quindi della specie umana in quanto tale, all’integrità del patrimonio genetico, quanto di un diritto di ciascun individuo all’unicità del suo genotipo, a non subire discriminazioni a causa di esso190. Interpretata in tal modo, la nozione di dignità umana potrebbe costituire un ottimo presidio nei confronti di tutte le tentazioni (a partire dalla clonazione ripro- 189. Cfr. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit . 190. s.v. G. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., pp. 190 e ss. iv. Scienza e regole giuridiche 209 duttiva) cui oggi ci espongono le biotecnologie applicate alla specie umana191. A essere minacciata non è più, infatti, soltanto la dignità dei singoli uomini o di gruppi di uomini, che anzi oggi trovano sicuramente più tutele che in passato, ma la dignità della specie cui appartengono, nella misura in cui essi stessi intendono manipolarla192. E tuttavia, anche su questo punto, nel dibattito bioetico attuale vi è meno accordo di quanto sembrerebbe a prima vista. Questa difesa integrale della sacralità della vita, lega la dignità troppo strettamente al diritto alla vita . Ma la dignità è un valore addirittura superiore alla vita stessa, a tal punto che in alcuni casi ci può far ritenere che sia più dignitosa la morte che non la prosecuzione di una vita priva di senso. La nozione di dignità come dote rischia così di sfuggire alla soluzione di difficili (e a volte angosciosi) problemi, quale lo stato vegetativo o ancora gli embrioni congelati, cui sempre più spesso ci pone oggi la vita umana nei suoi diversi stadi ed, inoltre, non ci consente di spiegare tutte quelle situazioni in cui l’individuo può perdere la sua dignità perché viene messa in crisi la sua autorappresentazione o viene impedito il dispiegarsi delle sue capacità193. D’altro canto, seguendo l’altro approccio, pare piuttosto difficile parlare di dignità umana con riferimento a (alcune di) quelle situazioni in cui l’essere umano non è ancora o non è più in grado di autorappresentarsi o di esprimere le proprie capacità194. In tal contesto, la bioetica manifesta la richiesta di valori universali rinviandola ancora alla ideologia dei diritti dell’uomo e agli ideali kantiani. Kant, tende in effetti a che ogni individuo operi in modo che tutte le sue azioni possano erigersi verso una morale universale.195 A questo punto cosa deve fare la bioetica per assicurare il rispetto di tali valori? In tale spirito il primo obiettivo della bioetica è quello di assicurare il rispetto del primato della persona umana che traduce il «riconoscimento della di- 191. 192. 193. 194. 195. Cfr. C. Volpi, L’utopia della stabilità tecnocratica, Bulzoni, Roma 1977. Cfr. A. Tarantino, Per una dichiarazione dei diritti del nascituro, op. cit. Cfr. P. Borsellino, op. cit. Cfr. F. Zanuso, op. cit. Cfr. I. Kant, op. cit. 210 La libertà responsabile della ricerca gnità propria».196 Infatti, e esiste una parola chiave, amata dai filosofi tanto quanto dai giuristi e dai bioeticisti: è la parola dignità197. La nozione di dignità quindi, è qualcosa che bisogna spesso ridefinire poiché è continuamente sottoposta a un rischio di implosione in grado di svuotarla completamente. Necessita, in altre parole, di una costante rivisitazione allo scopo di adeguarlo al mutare dei contesti, e tanto la filosofia quanto la bioetica sono chiamati a compiere tale sforzo198. Ciò porta all’idea di una protezione dell’individuo in quanto essere umano, ma anche a una presa di coscienza dell’appartenenza di tutti alla specie umana che va dall’homo abilis, all’homo erectus, all’homo sapiens,199 confrontata con una comunità di destini che obbliga a definire nuove forme di solidarietà fra gli uomini.200 Tutto ciò, all’interno di quella rete normativa composta, come affermato da Calabrò, dal sistema dei diritti e dei doveri, che costituisce la possibilità di una vita sì libera, ma ordinata201. Pertanto, il diritto, come osservato da Irti, si deve dissolvere nel generale dominio della tecnica riprendendo nelle proprie mani il destino dell’uomo, e il biodiritto e la giuridificazione del bios devono essere posti al centro del nostro pensiero202. Alla luce di ciò, l’essenza del diritto e della volontà normativa deve essere rivolta a dirigere e coercire la condotta umana attraverso un orientamento 196. Cfr. A. Bompiani, op. cit.; Cfr., inoltre G. Dalla Torre, Le frontiere della vita. Etica bioetica e diritto, Roma 2007. 197. Cfr. F. D’Agostino, Bioetica e dignità dell’essere umano, in C. M. Mazzoni (a cura di), Un quadro europeo per la bioetica, Leo Olschki ed., Firenze 1998. 198. Cfr. F. D’Agostino, op. cit., p. 153. s.v. inoltre a tal proposito, A. Bompiani, A. Loreti Beghè, L. Marini, op. cit., p. 60. 199. Cfr. A. Tarantino, Diritti umani e questioni di bioetica naturale, Milano 2003, p. 128. 200. Ibidem. 201. Cfr. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., p. 217; rinvio inoltre a D. Castellano, L’ordine politico–giuridico «modulare» del personalismo contemporaneo, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 2007. 202. Cfr. N. Irti, Il diritto nell’età della tecnica, Editoriale scientifica, Napoli 2007, p. 64. iv. Scienza e regole giuridiche 211 etico oltre a quel principio di responsabilità che va trasfuso non solo a chi, ma principalmente, per chi verrà dopo di noi203. 4.4. La sintesi di diritti e doveri, quale statuto della dignità umana Il nostro tempo non risulta essere ancora pronto per comprendere l’idea di persona, tanto da equivocarla alla radice. Comprensione ed equivoco, che condividono il medesimo oggetto/soggetto, la persona appunto. Ciò rappresenta, un paradosso epocale, ma forse intrinseco e fisiologico a ogni tempo, che a suo modo, con le proprie caratterizzazioni, accende il dibattito sull’essere umano204. Infatti, l’evoluzione delle scienze e dei saperi aggiunta all’ampliarsi spasmodico della conoscenza, ci mette di fronte a innovazioni tecnologiche nuovi, percorsi, scoperte e sperimentazioni al limite dell’ipotizzabile, creando così, tensioni verso la ricostruzione e riappropriazione di identità, accanto all’esigenza di riposizionare l’essere umano in una propria identità originaria. Tale contesto, estremamente mobile, con forti connotazioni di multiculturalità e biodiversità, generano il fenomeno complesso del “ripensamento della condizione umana”, a fronte di quello straripamento dei confini dell’ingegneria genetica, delle biotecnologie, con definizioni dell’umano molto più vicini alla robotica, gli organismi clonati, o geneticamente modificati205. In un apparato scenico impensabile fino a qualche anno fa, la domanda ricorrente è come poter recuperare quel concetto di persona, non riducibile solo al suo manifestato, ma riconsiderata invece come la nuova misura, la parola chiave non unicamente dell’etica, ma della bioetica e del diritto. Anche perché, tra i compiti della bioetica rientra quello di indicare le finalità e i limi 203. Cfr. H. Jonas, op. cit. 204. Cfr. G. Limone, Persona la pietra scartata da costruttori di teorie. La padoxia di una idea radicale come contraddizione virtuosa, in «Rivista di Filosofia neo–scolastica», Aprile 2006, n. 2, Università Cattolica del Sacro Cuore. 205. Cfr. C. Punzo, Coscienza e criticità dell’umano, in «Colloquionline», n. I, 2, 2008, p. 3. 212 La libertà responsabile della ricerca ti delle c.d. scienze della vita , ovvero, dell’intervento dell’uomo sul corso della vita dall’inizio alla fine, di identificare i valori di riferimento nonché, i criteri per una condotta ìsostenibile” al fine di metterlo in guardia contro i rischi derivanti dalle possibili applicazioni delle nuove tecnologie biomediche206. In un tale scenario è la bioetica a richiamare l’attenzione del diritto sulla molteplicità di interventi sul corpo umano che il progresso scientifico e tecnologico della medicina, rende possibile, ledendone la dignità. Non esiste, infatti, ai nostri giorni, concetto del lessico giuridico, morale e bioetico più importante e problematico come la nozione di dignità umana207. Essa infatti, sembra riassumere la giustificazione ultima della vita morale inglobando l’immagine di fondo dell’essere umano che è alla base delle legislazioni e dell’organizzazione degli stati democratici. Non a caso la dignità è assunta in bioetica come punto di riferimento critico per distinguere tra pratiche accettabili e inaccettabili. Allo stesso tempo la nozione di dignità umana, appare a molti un mero artificio retorico od un concetto irrimediabilmente vago, come dimostrano alcuni dibattiti bioetici (come, a esempio, quello sull’eutanasia e il suicidio assistito) in cui i diversi contendenti argomentano a partire da essa sino a giungere a conclusioni normative diametralmente opposte208. Occorre a questo punto chiederci cosa intendono coloro che utilizzano tale nozione? Quella di dignità umana è una nozione univoca o esistono diverse accezioni del termine dignità209 che poi vengono frettolosamente raggruppate sotto la stessa etichetta210? Il richiamo quindi, alla dignità si presenta senza dubbio alcuno, come la formula più usata 206. Si veda per maggiori approfondimenti A. Bompiani, A. Loreti Beghè, L. Marini, op. cit., p. 24. 207. Cfr. E. Furlan, Bioetica e dignità umana. Interpretazioni a confronto a partire dalla Convenzione di Oviedo, FrancoAngeli, Milano 2009. 208. Cfr. E. Furlan, op. cit. s.v. inoltre P. Becchi, L’idea Kantiana di dignità umana e le sue attuali implicazioni in ambito bioetico, in P. Becchi, G. Cunico, O. Meo (a cura di), Kant e l’idea d’Europa, Il Melangolo, Genova 2005, pp. 15 e ss. 209. Cfr. P. Becchi, op. cit. 210. Cfr. sull’argomento K. Seelmann, Dalla bioetica al biodirito, a cura di P. Becchi, Bibliopolis, Napoli 2007, p. 50. iv. Scienza e regole giuridiche 213 per dare immediata evidenza e consistenza alle scelte, alle decisioni, alle linee di azione da considerarsi approvabili e meritevoli di essere adottate nelle varie situazioni211. a ogni modo molti problemi e controversie, sorgono quando si cerca di capire ciò che veramente si deve intendere oggi per dignità umana, visto che molti si fanno paladini e spesso in modo alternativo e contraddittorio di politiche difensive della dignità212. La nozione di dignità umana in primis sembrerebbe riferirsi alla capacità di un individuo di essere e fare conformemente ciò che meglio si sente di dover fare. Ma possiamo veramente affermare, che il criterio di distinzione della dignità di un soggetto umano, dipenda dalla capacità di fare tutto ciò che ciascuno pensa e sente di fare? Al contrario, la dignità, andrebbe riferita all’eccellenza e nobiltà della persona umana, alla sublimità della sua natura, poiché ancor oggi nessuno pensa di poter giudicare qualcuno nobile o eccellente semplicemente perché fa ciò per cui si sente più inclinato. Il concetto di dignità è associato di conseguenza, con una qualche comprensione della bontà o dell’eccellenza. Ma come possono in tal modo un neonato, o un paziente in coma, essere considerati degni se non sono abili a manifestare azioni nobili e buone? Pertanto, la dignità che si riferisce all’essere umano deve avere una fonte di diversa natura rispetto alle azioni nobili realizzate dall’individuo, in tal senso, vi è anche una dignità che è data o conferita, non acquisita213. Ogni persona umana ha una intrinseca dignità che deve essere rispettata e in nessun modo violata, anche quando tale individuo può non essere pienamente capace di sé o possa aver agito secondo vie scorrette214. Qualche anno fa, Rodotà scriveva che, pur ammettendo la libertà di accesso alle tecnologie riproduttive, da questo non discende che una tale libertà si traduca anche nel diritto di predeterminare le caratteristiche del nascituro, di intervenire quindi, nel suo materiale genetico215. 211. 212. 213. 214. 215. 2006. Cfr. A. Bompiani, A. Loreti Beghè, L. Marini, op. cit, .pp. 38 e ss. Cfr. J.M. Hass, Voce Dignità umana, in G. Russo, Enciclopedia di Bioetica cit., p. 627. Cfr. J.M. Hass, op. cit., Cfr. J.M. Hass, op. cit., p. 628. Cfr. S. Rodotà, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Feltrinelli, Milano 214 La libertà responsabile della ricerca In questo genere di argomentazioni viene tuttavia rimossa una questione cruciale, ovvero perché l’uomo non potrebbe prendere nelle proprie mani il destino della sua evoluzione visto che è ormai nelle condizioni di poterlo fare, invece di continuare ad affidarsi al caso? Proprio da un punto di vista laico vi è chi ciò lo sostiene apertamente. Da qui quindi, non si può non tenere in considerazione il fatto che se da una parte la manipolazione genetica è il futuro dell’uomo, dall’altra emerge il rischio di una genetica definita da Habermas liberale216. Anche se non è possibile in questa sede un confronto tra le due opposte prospettive, è importante come affermato da Becchi, sottolineare come, di fronte al problema della manipolazione genetica, da parte di coloro che intendono metterne in evidenza i pericoli, proprio il ricorso all’idea dell’uomo come “immagine di Dio” continui ancora a mostrare, nonostante la sua apparente fragilità, tutta la sua forza217. Resta tuttavia da chiedersi sin dove possa spingersi questa difesa dell’immagine dell’uomo, senza correre il rischio di trasformarsi nella difesa di una sua determinata immagine. Il settore a tale riguardo certo più problematico è quello della riproduzione assistita, dove non è affatto detto che l’obiettivo sia quello di creare l’uomo nuovo, ma forse di evitargli alcune malattie. Difendere una determinata immagine dell’uomo potrebbe avere conseguenze difficilmente accettabili per uno Stato liberale dal momento che ciò potrebbe implicare una perdita da parte dell’individuo del potere di definire la propria immagine. L’ambito di applicazione della dignità umana può infatti estendersi di molto quando si passi dalla tutela dell’immagine dell’uomo alla tutela dell’immagine di ciascun uomo e non sempre è facile stabilire quando si debba tutelare l’una piuttosto che l’altra. Le singole azioni dell’uomo divengono testimonianza della sua concezione di vita improntata a scelte di valore, e tali azioni riflettono il senso individuale di dignità218. 216. Cfr. J. Habermas, op. cit. 217. Cfr. P. Becchi, op. cit. 218. Cfr. E. Caterini, Lineamenti di diritto civile Itaoloeuropeo, Edizoni Scientifiche Italiane, Napoli 2009, p. 77. iv. Scienza e regole giuridiche 215 Ma che cosa si intende per “essere umano”, quando comincia la sua vita e quando finisce? Come si pone il problema della dignità umana in connessione a questi due eventi della condizione umana, la vita e la morte, oggi sempre più sottoposti al dominio tecnologico219? Il richiamo alla dignità umana assume sensi diversi a seconda dell’orientamento in cui ci si muove. La domanda su cosa sia l’uomo, non è certo nuova, ma credo che oggi sia diventata la domanda decisiva, poiché stiamo avanzando sempre più verso modelli di esistenza definita postumana (il postorganico, il cyborg, il bionico) che stanno fortemente sbriciolando il concetto stesso di umanità220. La diagnosi, formulata da Anders, ovvero, di un passaggio dall’homo faber all’homo creator, si sta in un certo senso rivelando profetica221. D’altro canto non si possono condannare le biotecnologie se ci aiutano a sconfiggere le malattie genetiche o a vivere meglio con l’aiuto di protesi o organi artificiali, l’importante è però che, non ci trasformino in esseri artificiali, snaturando lo stesso concetto di uomo, portando cioè a una radicale alterazione della natura umana, sino ad arrivare alla totale artificializzazione dell’umano222. Anche su questo, il dibattito oggi è particolarmente acceso, e non c’è discussione al riguardo che non passi attraverso un riferimento alla dignità umana, che viene spesso chiamata in causa persino per sostenere posizioni tra loro opposte. Più recentemente il problema della dignità umana è stato sollevato anche in connessione a quella condizione clinica definita “morte cerebrale” a partire dalla quale oggi è possibile prelevare gli organi a scopo di trapianto. Ma è con riferimento ai problemi di inizio vita che oggi la discussione è particolarmente accesa: 219. Cfr. P. Borsellino, op. cit., pp. 81–82. 220. Cfr. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., p. 171. Si tratta di progettare un uso delle biotecnologie non solo a scopo diagnostico o terapeutico ma anche a scopo sperimentale, al fine di trasformare l’uomo per realizzare il suo potenziamento, ossia il perfezionamento e miglioramento, mediante la manipolazione genetica sia somatica che germinale del corpo. 221. Cfr. G. Anders, L’uomo è antiquato, Bollati Boringhieri, Torino, 2007 222. Cfr. G. Anders, op. cit. 216 La libertà responsabile della ricerca si può parlare di “dignità umana” anche riguardo alla vita umana prenatale e quali conseguenze possono da ciò scaturire per il problema della manipolazione genetica? Per quanto concerne le problematiche di fine vita entrambi gli schieramenti (laici e cattolici) fanno riferimento alla dignità umana per sostenere posizioni persino opposte, circa le problematiche di inizio vita, vi è chi considera il richiamo al principio della dignità umana come un freno all’utilizzazione e alla manipolazione degli embrioni umani prodotti attraverso le tecniche di procreazione medicalmente assistita e chi invece dubita fortemente che sia possibile affrontare tali problematiche facendo ricorso a quel principio223. Questa discrepanza non è difficile da spiegare, dal momento che coloro i quali contestano l’uso del principio della dignità umana nell’ambito delle problematiche di inizio vita lo fanno perché considerano tale principio esclusivamente in connessione alle capacità individuali di autorappresentarsi oltre al rispetto di sé224. Sottolineando unilateralmente questo aspetto, è evidente che la vita umana prenatale non risulterebbe tutelabile tramite il principio della dignità umana, dal momento che gli embrioni, in quanto tali, non sono certo dotati di quell’autonomia propria delle persone adulte. Semplicemente in un caso estremo la dignità umana rientrerebbe in gioco, ovvero quando le tecniche di manipolazione genetica degli embrioni avessero come scopo la produzione di esseri umani privi di una propria individualità. Se la dignità, infatti, si identifica con la libertà e l’autonomia degli individui, è chiaro che la programmazione intenzionale di esseri umani privi di quelle predisposizioni sarebbe in forte contrasto con essa225. Da qui emerge il problema della clonazione riproduttiva, dal momento che, anche qualora si volesse replicare l’eccellenza umana, il clone anche fisicamente sarebbe privato della propria immagine, rappresentandone qualcun’altra già esistente. Ecco perché a differenza del caso della clonazione terapeutica vi è 223. Per maggiori approfondimenti s.v. P. Borsellino, op. cit., p. 269. 224. Cfr. F. Zanuso, op. cit. 225. Cfr. P. Becchi, op. cit. iv. Scienza e regole giuridiche 217 largo consenso sul divieto di clonazione riproduttiva226, anche muovendo da una nozione di dignità che la collega strettamente all’individualità, la clonazione riproduttiva, può considerarsi come una violazione della dignità umana, dal momento che l’uomo duplicato è stato leso nella singolarità del suo destino, nel suo diritto all’unicità227, nel non essere la copia di un altro individuo. D’altronde, se si insiste unilateralmente sulla dimensione individuale della dignità in connessione alle capacità e alle prestazioni, si apre, secondo quanto osservato da Becchi, un grosso problema, nel senso che non solo non verrebbero in genere tutelati gli embrioni, ma tutti gli esseri umani viventi, per non parlare ovviamente dei defunti che non sono ancora, o non sono più in grado di autorappresentarsi quali partner dell’interazione228. Ciò che ritengo vada sottolineato è che la dignità umana spetta all’uomo in quanto tale, indipendentemente da tutti quegli elementi empirici che caratterizzano le sue diverse condizioni di vita, e dunque si riferisce all’uomo sin dal momento del concepimento e persino oltre la sua morte. Pur tuttavia questo approccio se, per un verso, statuendo un divieto di stru 226. P. Borsellino, op. cit., pp. 274 e ss.«Riguardo alla clonazione riproduttiva la linea prevalsa nelle normative nazionali e sopranazionali e quella rigidamente proibitiva. Già vietata dal Consiglio d’Europa del 1986 Racc. n. 1046 e nel 1988, Doc. A2–372/88, la clonazione umana a fini riproduttivi è stato oggetto dopo il “caso Dolly” , di una vera e propria messa al bando. In Italia la clonazione riproduttiva è proibita all’art. 13 comma 3 l. 40/2004 (norme in materia di procreazione medicalmente assistita) che estende il divieto, corredato da un apparato di sanzioni, anche la clonazione a fini di ricerca ed ogni forma di selezione a scopo eugenetico degli embrioni e dei gameti». 227. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., pp. 208 e ss. «L’identità rappresenta “l’individualità biologica di ogni singolo soggetto”, poiché non esiste alcuna individualità umana senza l’esistenza di un soggetto biologico. Anche se l’ambiguità semantica del termine identità rinvia ad una polivalenza che ne sottolinea la natura meta–categoriale, tanto da essere costretti oggi più che mai a parlare di identità biologica, politica, giuridica, psichica, ontologica. Essa quindi rappresenta un prisma attraverso il quale tutti gli altri aspetti di spicco della vita contemporanea vengono individuati, compresi ed esaminati». Per maggiori approfondimenti sul tema dell’identità inteso come dovere rinvio inoltre a F. D’Agostino, La bioetica, le biotecnologie e il problema dell’identità della persona, in A. Pavan (a cura di), Dire persona, Bologna, 203, p. 137, e a Z. Bauman, La società individualizzata, trad. it., Bologna, 2002, p. 117. 228. Cfr. P. Becchi, op. cit. 218 La libertà responsabile della ricerca mentalizzazione, consente di tutelare integralmente la vita umana, per l’altro si porta dietro quel peccato di astrattezza che sin dall’origine lo contraddistingue. Non resta, quindi, che muoversi alla ricerca di un nuovo approccio che, sappia fare incontrare l’assoluto di cui l’uomo è la traccia con il contingente in cui sempre di nuovo si esprime la sua condizione. Ciò porta a considerare il secondo tipo di dignità propria delle persone umane, una dignità intrinseca ma che è una conquista (resa possibile soltanto in virtù dell’inesauribile grazia di Dio) e non un dono. Questo secondo tipo di dignità è quella alla quale siamo chiamati in quanto persone intelligenti e libere, capaci di decidere delle nostre vite, con le proprie libere scelte. Questa è la dignità che siamo invitati a dare a noi stessi, scegliendo liberamente di attuare le nostre scelte e le nostre azioni secondo la verità, ossia in accordo con la legge eterna di Dio, alla quale noi prendiamo parte attraverso la legge naturale229. Come ha affermato Giovanni Paolo II, «l’uomo scopre nel suo cuore una legge scritta da Dio la sua dignità sta nell’obbedire a questa legge e secondo questa egli sarà giudicato»230. Questa dignità, che possiamo definire la nostra dignità, proprio in quanto figli di Dio, è un bene prezioso, che ci viene affidato e che possiamo perdere scegliendo liberamente di compiere delle azioni molto gravi. Esiste uno stretto legame tra questo tipo di dignità e la nostra dignità, proprio in quanto agenti morali. La dignità degli esseri umani intesi come persone è il principio cardine che regola la ricerca biomedica su soggetti umani. Come affermato da Papa Giovanni Paolo, la norma etica, fondata sul rispetto della dignità della persona umana, dovrebbe illuminare e disciplinare tanto la fase della ricerca, quanto l’applicazione dei risultati ottenuti grazie a essa231. 229. Cfr. J. Finnis, Legge naturale e diritti naturali, Giappichelli, Torino, 1996. 230. Lettera Enciclica Gaudium et Spes n. 16. 231. Giovanni Paolo ii, Discorso ai rappresentanti della Società Italiana di Medicina e alla Società Italiana di Chirurgia Generale, 27 ottobre 1980, in «Insegnamenti» III/2, 1009, n. 3. iv. Scienza e regole giuridiche 219 Al vecchio imperativo categorico kantiano subentra il nuovo imperativo dell’età tecnologica232, che Jonas racchiude mirabilmente nella formula: «Agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di una autentica vita umana sulla terra», oppure, «non compromettere le condizioni di una permanenza illimitata dell’umanità sulla terra»233. Dignità e diritti umani, raffigurano dunque, due concetti ormai strettamente correlati, soprattutto nelle grandi sfide che pone la scienza alla odierna società. Con l’evoluzione dei diritti fondamentali, alcuni dei quali divengono diritti costituzionali, il concetto di dignità umana acquista sempre più valore di riferimento non solo “etico” ma anche pregiuridico234. Proclamato solennemente nel Preambolo della Carta delle Nazioni Unite il 26 giugno 1945, il principio della dignità della persona umana è in effetti alla base della protezione dei diritti fondamentali che i grandi testi internazionali e le costituzioni emanate nel dopoguerra vogliono garantire235. Anche il Preambolo del Patto delle Nazioni Unite relativo ai diritti civili e politici del 1966 fa derivare i diritti in tale documento riconosciuti dalla dignità inerente alla persona umana. Occorre anche precisare il ruolo tutelare dello Stato nei riguardi della dignità umana, e anche il “dovere” del cittadino di rispettare la dignità umana, propria e/o degli altri: la giurisprudenza costituzionale afferma che la dignità umana è un valore oggettivo, indisponibile, alla cui tutela lo Stato è obbligato, né il singolo può «abusare della libertà per autodegradarsi», come non sussiste neppure una «tutela dei diritti fondamentali contro se stessi»236. Ai principi fondamentali se ne aggiungono ora ancora di nuovi, come quelli che derivano dal- 232. G.P. Calabrò, P.B. Helzel, op. cit., p. 192. «Secondo l’autrice, il nuovo imperativo ordina di sacrificarsi per una umanità ipotetica che i nostri occhi non vedranno più e chiama in causa una diversa coerenza rispetto a quella che si concludeva nell’atto con se stesso, ora si pensa agli effetti ultimi della permanenza dell’agire in futuro». 233. H. Jonas, op. cit., p. 16. 234. Ibidem. 235. J. Herranz, La dignità della persona umana e il diritto, in PAV. 236. F. Bartolomei, op. cit., p. 90 e ss. 220 La libertà responsabile della ricerca la designazione del genoma umano quale “patrimonio dell’umanità”, una nozione è comunque ispirata alla dignità umana».237 Oggi, in una società come quella occidentale, dove la scienza ha acquisito un ruolo di preminenza rispetto alla natura dell’uomo, risulta insoddisfacente e di poco aiuto una definizione negativa di dignità umana, da qui la necessità di formulare in termini positivi il diritto di essere trattato dagli altri nel rispetto della dignità umana. A tal proposito, Seelmann, prende in considerazione la c.d. “regola aurea” , in base alla quale, nella distribuzione di beni e di danni l’altro deve essere trattato allo stesso modo di come noi vorremmo essere trattato da lui238. Non si può sottovalutare quindi, come i diritti dell’uomo, o più semplicemente la dignità della persona, abbiano dei significati multipli, e sono spesso l’oggetto di interpretazioni radicalmente opposte, se non addirittura equivoche239. Così la dignità umana può divenire l’alibi per ogni genere di sperimentazione, per ogni sorta di barbarie, o al contrario, per opporsi all’utilizzo degli strumenti messi a servizio della scienza240. Ci troviamo dinnanzi alla situazione in cui alcuni principi tradizionali, costitutivi della persona umana e della sua personalità giuridica, quali l’indivisibilità e l’inviolabilità del corpo e la sua limitata disponibilità, non sono più in grado di fornire risposte univoche, sia alle istanze individualistiche e liberitarie, e sia alle nuove spinte di mercato, 237. A. Bompiani, A. Loreti Beghè, L. Marini , op. cit., p. 159. 238. K. Seelmann, op. cit., p. 88. 239. Sull’errata convinzione che possa esistere un qualche fondamento assoluto dei diritti dell’uomo si veda N. Bobbio, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna 1984; in AA.VV., Crisi della democrazia e neo–contrattualismo, Editori Riuniti, Roma 1968, pp.116 e ss.; S. Cotta, Attualità e ambiguità dei diritti fondamentali, in “Iustitia”n. 1 marzo 1997. Sui problemi etici giuridici e pratici, che sono sorti a seguito del riconoscimento dei diritti umani, soprattutto nelle società tecnologiche, s.v. V. Frosini, L’uomo artificiale. Etica e diritti nell’era planetaria, Spirali editore Milano, 1986, pp. 165 e ss. Sullo sviluppo dei “nuovi” diritti fondamentali nella nostra giurisprudenza costituzionale, Cfr., inoltre F. Modugno, I “nuovi diritti” nella giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, Torino , 1995. 240. K. Seelmann, op. cit., pp. 91 e ss. iv. Scienza e regole giuridiche 221 verso l’utilizzazione incondizionata di quanto la scienza ci offre241. Alla luce di quanto detto, si pone un problema, ovvero, quello di individuare il “nucleo essenziale” della singola situazione giuridica soggettiva che può essere configurata come diritto di libertà. Di conseguenza, anche per la dignità umana va individuato il nucleo essenziale, in una società in continua evoluzione che sembrerebbe voler comprimere e addirittura robotizzare l’individuo242. La dignità umana, non può quindi, essere ricondotta a un diritto che è per lo più qualificabile come diritto soggettivo, anche perché lo schema del diritto soggettivo è visto come riduttivo rispetto all’esigenza di tutelare integralmente tale dignità. È necessario, dunque, garantire, in modo pieno e assoluto, la dignità della persona, poiché, in quanto concetto, astratto è imprescindibile una sua concretizzazione, ma per fare ciò, è fondamentale stabilire delle relazioni con il mondo economico–sociale, culturale, e politico243. Il concetto di dignità umana, deve essere, quindi, frantumato in fattispecie normative di grado ordinario, poiché, una tale rottura permette di proiettarlo in una svariata pluralità di fattispecie che potranno apparire in futuro244. Occorre che vi sia una interpretazione particolare dei propri vincoli, i quali devono essere intesi in un duplice senso, ossia in senso negativo, in quanto diretti a restringere l’azione del legislatore in tutti quei casi in cui, tale dignità, possa essere compromessa, in senso positivo, allo scopo di sollecitare quelle norme dirette alla salvaguardia della stessa dignità. E ancora è necessario, rapportare la nozione di dignità umana all’ordinamento giuridico tipico delle società tecnologicamente avanzate, questo perché gli interventi tecnologici sull’uomo, sollevano gravi problemi morali e conseguenze dannose per l’intera società. È proprio in nome della dignità che la 241. Cfr. A. Bompiani, Bioetica, cit., p. 38. 242. F. D’Agostino, L. Palazzani, op. cit., p. 172 s. v. inoltre J. Habermas, Il futuro della natura umana, cit., pp. 43–44. 243. F. Bartolomei, op. cit., p. 39. 244. F. Bartolomei, op. cit., pp. 39 e ss. «Ad esempio, nel mondo del lavoro la dignità non è correlata solo alla retribuzione, ma va riguardata in riferimento ai soggetti lavoratori , nonché ai luoghi in cui viene svolta l’attività lavorativa». 222 La libertà responsabile della ricerca bioetica riesce a dire di no nel momento in cui scienza e tecnologia impongono all’uomo di fare qualcosa. La stessa bioetica adotta il linguaggio della dignità, linguaggio che, come già sottolineato è soggetto a continue revisioni245. Possiamo prendere in considerazione diverse tesi. Una di queste afferma che non può essere sostenuta una bioetica che affida alla scienza l’obbligo di trovare al suo interno le ragioni che dovrebbero spingerla ad autolimitarsi. Questa tesi indica quelli che sono i criteri che gli scienziati dovrebbero adottare per poter autolimitare il proprio potere, soprattutto fa affidamento sulla buona volontà e alla responsabilità degli stessi. Altra tesi, è quella relativa al fatto che i problemi bioetici devono essere valutati sulla base del calcolo dei costi e dei benefici246, in tal senso, diventa importante promuovere la ricerca utile e limitare quella dannosa. La difficoltà che si incontra in questo caso è quella di come è realmente possibile calcolare i costi e i benefici in un contesto complesso come il nostro. L’impossibilità materiale di mettere in atto questa tesi giustifica il fatto che la maggior parte dei bioeticisti, per risolvere i problemi etici, fanno riferimento a valori etici comuni, tutti rientranti nel concetto di dignità umana. Tutto ciò è possibile solo a due condizioni: la prima fa riferimento alla possibilità di determinare il contenuto di questi valori, mentre la seconda alle condizioni per le quali questi valori possono essere condivisi a livello universale. Entrambe le ipotesi sembrano difficilmente realizzabili soprattutto in Italia dove questi valori non sono condivisibili a livello universale. Tutto ciò ci permette di concludere che l’etica risulta pericolosa soprattutto nelle società particolarmente complesse come la nostra, pericolosa perché mette in moto conflitti che non è in grado di risolvere247. La bioetica italiana cerca di rispondere a queste difficoltà tentando di creare una nuova etica dotata di alcune caratteristiche quali la diffidenza nei confronti di tutte quelle teorie che richiedono valori fondamentali, attenzione verso i 245. Cfr. A. Bompiani, Dignità della persona umana nella recente bioetica internazionale in «30 giorni nella Chiesa e nel mondo», settembre 2000. 246. E. Sgreccia, Manuale, cit., pp. 43 e ss. 247. Sull’argomento s.v. P. Borsellino, op. cit., p. 75. iv. Scienza e regole giuridiche 223 problemi etici emergenti, particolare propensione alla elaborazione di norme a carattere processuale per la risoluzione dei conflitti e in fine specifico riferimento all’autonomia e alla informazione di quei soggetti che sono coinvolti nelle questioni della bioetica248. Si delinea così, una bioetica che si illude di poter superare i problemi tipici di una società tecnologica, basti il riferimento ai diritti umani. È importante sottolineare però, che accanto a una normatività bioetica generale si stanno moltiplicando diverse forme di sotto–normatività bioetica, e la bioetica si trova di fronte alla difficoltà, da una parte di muoversi partendo da paradigmi che prescindono da vincoli sociali e dall’altra di sentirsi chiamata a proporre forme nuove di regolamentazione249. Sarebbe opportuno quindi elaborare un modello di pensiero capace, sia di non sottovalutare l’autonomia delle persone e l’eticità della ricerca scientifica, sia di non cedere alla conclusione che in bioetica le scelte individuali e l’opera degli scienziati non possono essere sindacati. Da ciò deriva che sia i singoli, sia gli scienziati possono essere sindacati in nome della loro appartenenza al sistema sociale250. Se si considera il fatto che tutti siamo persone che apparteniamo a un sistema, di conseguenza tutti siamo sottoposti a quei vincoli che i sistemi sociali ci impongono allo scopo di garantire la stessa sopravvivenza251. Il riferimento alla dignità dell’uomo è determinante quindi, per il buon sviluppo della società e la tutela dei diritti dell’uomo, e questo è il messaggio che ci trasmettono i più recenti documenti della bioetica internazionale. Non è l’etica intrinseca della scienza che può indurre a tale rispetto, non è nemmeno l’etica utilitaristica252 ma l’etica personalistica. Tuttavia, bisogna trasportare questa ispirazione etica in valori che abbiano spessore e significato normativo. In altre parole, lo sforzo che la comunità internazionale compie per indivi 248. P. Borsellino, op. cit., p. 77. 249. Cfr. R. Mordacci, Ragioni personali. Saggio sulla normatività morale, Carocci, Roma 2008. 250. G. Piana, op. cit., p. 74. 251. Ibidem. 252. F. D’Agostino, Bioetica e Dignità, cit., p. 154. 224 La libertà responsabile della ricerca duare valori fondanti e condivisi, che si riferiscono tutti alla “dignità umana”, è meritevole e “plausibile” dove si possa far riferimento a determinazioni obiettive dei contenuti materiali di tali valori. La nostra Costituzione largamente ispirata alla “dignità umana” traduce in norme giuridiche valori che a tale ispirazione si riconnettono. Forse dovremmo fare maggiore attenzione, a livello politico, parlamentare e sociale, alle formulazioni contenute nei documenti che in questa sede sono stati sommariamente analizzati, al fine di riuscire nella costruzione del bene comune, riflettendo sulla centralità della persona, fine e non mezzo del potere tecno–scientifico. Pertanto, politica, diritto ed economia pur nella loro irriducibile particolarità sono tra di loro collegati da un unico referente che è l’uomo253, in tal senso occorre recuperare il ruolo del diritto nella sua correlazione con la morale riconoscendo tuttavia l’importanza e il ruolo delle regole254. Tutto ciò al fine di salvaguardare la vita e la sopravvivenza dell’intero mondo umano nella sua complessità, riscattando la responsabilità dell’uomo di fronte al proprio mondo, facendo riemergere lo scopo del diritto che è non solo quello di ordinare la comunità, come magistralmente ipotizzato da Hobbes, lo Stato nasce per difendere il summum bonum, ovvero la vita che rappresenta la ratio essendi dello stesso ordinamento giuridico. 253. Per maggiori approfondimenti sull’argomento s. v. T. Serra, op. cit., p. 65. 254. T. Serra, op. cit., p. 139. Riferimenti bibliografici Aa. Vv., Lo splendore della vita : vangelo scienza ed etica Prospettive della bioetica a dieci anni da Evangelium Vitae, a cura di Melina L., Sgreccia E., Kampowski S., Libreria Editrice Vaticana, Roma 2006. ——, Dire persona, oggi, in «Hermeneutica», Annuario 2006, Morcelliana, Brescia 2006. ——, Salvarsi l’anima. L’ozio della religione, a cura di G. 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