News Lavoro STUDIO MEGGIORINI CONSULENZA DEL LAVORO 12 Settembre 2013 CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO Assunzione acausale: libertà del “primo” contratto. Come noto la riforma Fornero ha previsto la libertà del “primo” contratto: il “primo” contratto a termine o il primo contratto di somministrazione di lavoro a tempo determinato può essere del tutto acausale. Non viene quindi richiesta la sussistenza delle ben note “ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” che tanto contenzioso hanno creato nella pratica. Il decreto lavoro conferma questo primo canale di acausalità, che può riguardare “qualunque tipo di mansione”, ed anzi lo rafforza, prevedendo che il (primo) contratto acausale possa essere oggetto di proroga (è stato infatti soppresso il precedente divieto di cui all’art. 4, comma 2 bis, del d. lgs. n. 368 del 2001). La durata, “comprensiva di eventuale proroga”, non può essere superiore a 12 mesi. Ciò dovrebbe significare che all’interno della “franchigia” dei 12 mesi anche la proroga sarà del tutto libera: le “ragioni oggettive” di quest’ultima (cfr. art. 4 del d. lgs. n. 368 del 2001), infatti, sarebbero difficilmente individuabili in assenza di “ragioni” originarie (in tal senso cfr. anche la circolare Min. lav. 29 agosto 2013, n. 35). Si ritiene che, in assenza di specificazioni ulteriori, la proroga possa essere soltanto una, applicandosi sul punto la disciplina generale. Il decreto prevede che le clausole di contingentamento fissate dai contratti collettivi vadano rispettate anche in caso di assunzione acausale. Assunzione acausale: le ipotesi di fonte collettiva Il decreto lavoro introduce un secondo canale di possibile assunzione acausale, prevedendo una vera e propria delega in bianco (non più, quindi, vincolata dai limiti legati ai processi organizzativi ed al limite quantitativo previsti dalla riforma Fornero) a favore della contrattazione collettiva: è infatti prevista la possibilità di assunzione acausale “in ogni altra ipotesi individuata dai contratti collettivi, anche aziendali, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”. E’ da ritenere che la contrattazione collettiva sia abilitata anche ad estendere la possibile durata massima del contratto acausale. Il riferimento alle oo.ss. esclude la possibilità di una stipulazione con la (sola) r.s.a. o r.s.u., necessitando della sottoscrizione dei sindacati territoriali. Assunzione acausale: assunzione dalla mobilità I contratti a tempo determinato stipulati con lavoratori in mobilità vengono integralmente sottratti al campo di applicazione di cui al d. lgs. n. 368 del 2001, salva l’applicazione del principio di non discriminazione e del computo nell’organico. Ferma dunque restando la possibilità di assunzione senza necessità di giustificazione (per una durata massima iniziale non superiore a dodici mesi), già prevista in precedenza, tali rapporti non soffrono i numerosi limiti e divieti di cui al d. lgs. n. 368 del 2001: se ne dovrebbe quindi dedurre, ad esempio, che tali contratti speciali (i) siano sterilizzati ai fini del computo della durata massima complessiva di 36 mesi e che (ii) nel caso in cui lo stesso soggetto venga riassunto a termine presso la stessa azienda non vi sia la necessità di rispettare alcun intervallo (in tal senso cfr. anche la circolare Min. lav. 29 agosto 2013, n. 35). Sforamento di fatto: abrogato l’assurdo obbligo di comunicazione Come noto, se il lavoro prosegue di fatto oltre la scadenza del termine originario o validamente prorogato o dopo il periodo di durata massima di 36 mesi, per alcuni giorni è dovuta soltanto una maggiorazione retributiva, mentre se la prosecuzione oltrepassa questo breve periodo “cuscinetto” il contratto si considera a tempo indeterminato a far data da tale sforamento. La riforma Fornero prevedeva che lo sforamento di fatto andasse comunicato al Centro per l’impiego, con modalità fissate dal Ministero del lavoro (cfr. Decreto Min. Lav. 10 ottobre 2012), entro la scadenza iniziale e con indicazione della durata della prosecuzione. Questo onere di comunicazione era del tutto irragionevole, perché il periodo “cuscinetto” è stato introdotto da tempo non per prosecuzioni di fatto programmate con precisione in anticipo, quanto per situazioni dovute a disguidi o a esigenze del momento per definizione incompatibili con precise comunicazioni preventive: il decreto lavoro opportunamente abroga l’indicato obbligo di comunicazione. La disciplina dell’intervallo in caso di riassunzione Il decreto lavoro stempera l’eccessivo rigore della riforma Fornero in ordine alla disciplina dell’intervallo minimo che deve necessariamente sussistere nel caso di riassunzione a termine (è il periodo che nella pratica viene definito icasticamente “stop&go”), che ritorna quello tradizionale: 10 giorni nel caso di contratto di durata fino a 6 mesi, 20 giorni in caso di contratto di durata superiore a 6 mesi. Tali intervalli non trovano applicazione per le attività stagionali ed in ogni altro caso previsto dai contratti collettivi stipulati ad ogni livello dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: in dette ipotesi la riassunzione potrà avvenire senza soluzione di continuità. Computo nell’organico Il legislatore (art. 8 l. 6 agosto 2013, n. 97) ha sensibilmente modificato i criteri di computo dei lavoratori a tempo determinato. Si ricorda, per inciso, che tali criteri non valgono in via generale, ma “soltanto” ai fini di cui all’art 35 St. lav. e quindi per stabilire se l’azienda possa o meno essere “sindacalizzata” (la costituzione di r.s.a., con i relativi diritti di cui al titolo III dello Statuto dei lavoratori, può infatti avvenire soltanto presso le unità produttive con oltre 15 addetti). Sino ad ora la legge prevedeva il computo dei contratti a tempo determinato di durata superiore a 9 mesi; per il futuro andrà preso in considerazione il “numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro”. Viene fissata una disposizione di diritto intertemporale volta a chiarire che “in sede di prima applicazione” il computo con i nuovi criteri “è effettuato alla data del 31 dicembre 2013, con riferimento al biennio antecedente a tale data”. Tali criteri, si ribadisce, non sono vincolanti ai fini dell’applicazione delle diverse tutele previste dall’ordinamento in materia di licenziamento (e dunque per verificare se il datore di lavoro rientri o meno nel campo di applicazione dell’art. 18 St. lav.), con riferimento al quale permangono le tradizionali incertezze. Ai fini dell’applicazione delle norme in materia di assunzioni obbligatorie vale un criterio ancora diverso : si computano i contratti a termine di durata superiore a 6 mesi. LAVORO A CHIAMATA Il nuovo limite quantitativo Il decreto lavoro aggiunge un nuovo requisito “quantitativo” alla martoriata disciplina del lavoro a chiamata, prevedendo che il datore di lavoro non debba più preoccuparsi soltanto di rispettare le relative “causali” di stipulazione, ma anche di non sforare il nuovo limite inerente la durata massima complessiva di “400 giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari”. La sanzione per il superamento del limite è draconiana e incostituzionale: il rapporto viene considerato “a tempo pieno e indeterminato”, senza possibilità di difesa in capo al datore di lavoro. In sede di conversione sono stati eccettuati dal nuovo limite quantitativo tre settori ove si registra un diffuso utilizzo dell’istituto: turismo, pubblici esercizi e spettacolo. Viene dettata una norma di diritto intertemporale: si computano, infatti, le sole giornate di lavoro prestate dal 28 giugno 2013, data di entrata in vigore del decreto lavoro. Obbligo di comunicazione: nessuna sanatoria per la mancanza Come noto la riforma Fornero ha introdotto un pesante obbligo di comunicazione: prima di ogni chiamata o prima “di un ciclo integrato di prestazioni di durata non superiore a 30 giorni” il datore è tenuto a comunicare la durata della prestazione alla Direzione territoriale del lavoro. La sanzione amministrativa in caso di violazione dell’obbligo è pesante: da 400,00 a 2.400,00 euro per ogni lavoratore, operando una sorta di presunzione di lavoro nero in capo al lavoratore a chiamata di cui non sia stata fatta la comunicazione descritta. Il decreto legge prevedeva una sorta di possibile sanatoria, escludendo l’applicazione della sanzione per il caso in cui il datore di lavoro, pur non avendo effettuato la comunicazione obbligatoria, avesse assolto, in data precedente all’accertamento, adempimenti contributivi così facendo emergere la volontà di non occultare il rapporto alla pubblica amministrazione. Tale possibilità è stata soppressa dalla legge di conversione: la mancata comunicazione, pertanto, non consente sanatorie. Regime transitorio per i vecchi contratti Viene ampliato il regime transitorio previsto dalla legge Fornero: i contratti a chiamata stipulati sulla base delle norme abrogate da quest’ultima cessano di produrre effetti non più a far data dal 18 luglio 2013, bensì dal 1° gennaio 2014. Secondo la circolare Min. lav. 29 agosto 2013, n. 35 in questa particolare ipotesi di cessazione ex lege i datori di lavoro dovranno comunque effettuare la comunicazione di cessazione al Centro per l’impiego, ma verranno esentati dal pagamento del contributo di licenziamento. LAVORO A PROGETTO La riforma Fornero ha dato un giro di vite in materia: - - il contratto deve riportare un progetto specifico “funzionalmente collegato ad un determinato risultato finale” (eliminata la possibilità di individuare un mero programma di lavoro o una fase di esso); il progetto non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente; l’attività non può essere meramente esecutiva o ripetitiva. Tale ultimo inciso pareva superfluo in quanto da sempre la giurisprudenza al fine di discernere l’autonomia dalla subordinazione va ad indagare sulle concrete modalità di svolgimento della prestazione. Ora il decreto lavoro, in un vezzo di estrosità verbale, ha sostituito la disgiuntiva “o” con la congiuntiva “e”: il fine sarebbe quello di allentare, almeno parzialmente, la portata del divieto. A parere di chi scrive però la modifica è sostanzialmente inutile. In sede ispettiva o giudiziale non si vede quale vantaggio dia all’azienda in termini di difendibilità (la novella, praticamente, consente di ritenere che il divieto riguarda ora compiti che siano contemporaneamente esecutivi e ripetitivi, mentre prima era sufficiente uno solo dei due caratteri per far scattare la preclusione): e infatti la Min. lav. 29 agosto 2013, n. 35 si è affrettata a precisare che l’elencazione di attività vietate effettuata nella precedente circolare n. 29 del 2012 (c.d. “black list”) permane attuale. Altra modifica piuttosto stravagante riguarda l’onere della forma scritta, sino ad ora imposto (soltanto) ai fini della prova. Ora l’inciso “ai fini della prova” è stato soppresso e quindi se ne dovrebbe dedurre che la prova è imposta ai fini della validità del contratto a progetto (forma ad substantiam). La relativa mancanza, pertanto, non comporterebbe più soltanto l’impossibilità della prova testimoniale, ma la nullità del contratto a progetto. La frettolosa modifica normativa pone il problema delle conseguenze del difetto di forma, che verosimilmente parrebbe essere la conversione in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Il lavoro a progetto nei call centers Il decreto legge n. 83 del 2012 (c.d. decreto sviluppo convertito in legge n. 134 del 2012), novellando l’art. 61 del d. lgs. n. 276 del 2003, ha eccettuato dalla disciplina relativa al lavoro a progetto, in aggiunta agli agenti e rappresentanti di commercio, “le attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center «outbound»”. In realtà, poi la norma prosegue stabilendo che l’esclusione riguarda specificamente quelle attività outbound “per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento”. Ne deriva che, malgrado l’evidente imperfezione del linguaggio legislativo, non vi è alcuna esclusione en bloc della disciplina sul lavoro a progetto, fattispecie anzi espressamente richiamata, operando soltanto le due specifiche esclusioni di seguito indicate. In primo luogo il progetto, in questo settore, può essere considerato genuino anche in presenza di attività “esecutive e ripetitive”, in deroga a quanto previsto per la generalità dei rapporti. Il decreto sviluppo, poi, si propone un altro obiettivo: quello di salvaguardare gli addetti ai call centers dalla nuova, rigorosa disciplina relativa al corrispettivo dei lavoratori a progetto. Per lo specifico settore in commento il lavoro a progetto “è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento”. Pertanto, non viene imposta una valutazione comparativa con i minimi salariali dei lavoratori subordinati, ma è necessario e sufficiente che la contrattazione collettiva stabilisca in modo puntuale come deve essere determinato il compenso per questa prestazione. Il decreto lavoro pone ora in essere un’interpretazione autentica, stabilendo che l’espressione “vendita diretta di beni e servizi” si interpreta nel senso di “ricomprendere sia le attività di vendita diretta di beni, sia le attività di servizi”, ampliando quindi la portata della deroga anche, ad esempio, alle attività di mero marketing pubblicitario. Convalida delle dimissioni e della risoluzione consensuale Viene estesa anche ai collaboratori a progetto la procedura di convalida/conferma delle dimissioni e della risoluzione consensuale: la novità è irragionevole e comporterà incertezza, dovendosi stigmatizzare oltretutto la tecnica legislativa che ha ampliato la portata delle norme dedicate ai lavoratori subordinati “in quanto compatibili”. LAVORO ACCESSORIO Dalla definizione di lavoro accessorio (“attività lavorative di natura meramente occasionale”) viene espunta l’espressione “di natura meramente occasionale” e quindi la fattispecie ormai viene ufficialmente individuata sulla base dei soli limiti quantitativi: va infatti rispettato unicamente il limite dei 5.000,00 nell’anno solare con riferimento “alla totalità dei committenti”. Fermo il limite complessivo di 5.000,00 euro nel corso di un anno solare, se le attività lavorative sono svolte a favore di imprese commerciali o professionisti l’attività svolta a favore di ciascun singolo committente non può superare il limite di 2.000,00 euro (per tutto il 2013 il decreto sviluppo ha ripristinato il limite di 3.000,00 Euro annui per attività lavorative svolte da soggetti che beneficiano di ammortizzatori sociali con riferimento a tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali). Rimane però il dubbio se si possano effettivamente ingaggiare lavoratori e poi adibirli ad attività core business: potrebbe ad esempio un’azienda metalmeccanica compensare con i voucher un lavoratore da adibire in produzione? La soluzione, in un futuro eventuale giudizio, potrebbe comportare notevoli margini di rischio. LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO Le imprese che occupano più di 15 dipendenti nella medesima unità produttiva/nel medesimo comune o più di 60 dipendenti complessivamente, per poter intimare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo devono seguire una procedura di conciliazione preventiva (art. 7, nuovo testo, della legge n. 604 del 1966). Sono esclusi, dunque, i datori di lavoro di minori dimensioni e le organizzazioni di tendenza. La norma si riferisce in via onnicomprensiva al “licenziamento per g.m.o. di cui all’art. 3, seconda parte” della legge n. 604 del 1966 e pertanto è da ritenere che la procedura vada seguita anche per quelle vicende che, pur attenendo alla persona del lavoratore, vengono attratte dalla giurisprudenza alla nozione di motivo oggettivo in quanto idonee ad incidere negativamente sull’organizzazione produttiva (es. inidoneità fisica sopravvenuta, carcerazione preventiva, perdita di requisiti soggettivi come ad es. il ritiro della patente di guida per l’autotrasportatore o del porto d’armi per la guardia giurata etc). Si esclude l’obbligo di attivazione della procedura in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, trattandosi di fattispecie speciale (cfr. art. 2110 cod. civ.) che da tempo la giurisprudenza distingue dal g.m.o. (in tal senso, condivisibilmente, Trib. Rovigo 20 giugno 2013; Circ. Min. Lav. 16 gennaio 2013, n. 3; contra, inspiegabilmente, Trib. Milano 22 marzo 2013). Ora l’esclusione è stata ratificata dal nuovo testo dell’art. 7, comma 6, come sostituito dal decreto lavoro, che esenta dall’obbligo anche le seguenti fattispecie: (i) licenziamenti effettuati in conseguenza di cambi di appalto, in relazione ai quali sia intervenuta l’assunzione del personale dell’appaltatore uscente da parte dell’impresa subentrante in adempimento delle c.d. clausole di assorbimento sociale dei lavoratori occupati negli appalti (qui la norma è insidiosa perché nella pratica l’impresa subentrante non sempre applica un contratto collettivo che prevede l’assorbimento); (ii) licenziamenti per completamento delle attività e chiusura del cantiere nel settore delle costruzioni edili. Parimenti non sussiste l’obbligo procedurale in caso di licenziamento dei dirigenti, in quanto si tratta di lavoratori esclusi dal campo di applicazione della regola legale di giustificazione necessaria del licenziamento (cfr. in tal senso, condivisibilmente, il c.d. Vademecum del Ministero del Lavoro del 22 aprile 2013). La mancata comparizione al tentativo di conciliazione viene valutata dal Giudice come argomento di prova (cfr. art. 116, comma 2, c.p.c.). APPALTI Viene notevolmente dilatato il campo di applicazione dell’art. 29, comma 2, del d. lgs. n. 276 del 2003 concernente la responsabilità solidale del committente in ordine alle retribuzioni e contributi previdenziali dovuti con riferimento ai lavoratori impiegati dall’appaltatore e da ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori. Sino ad ora la norma riguardava i soli lavoratori subordinati, ora il decreto lavoro ne estende la portata anche “ai compensi e agli obblighi di natura previdenziale e assicurativa nei confronti dei lavoratori con contratto di lavoro autonomo”. Il committente, dunque, d’ora in poi sopporterà la responsabilità solidale – entro il termine di decadenza di due anni dalla cessazione dell’appalto – anche con riferimento ai compensi dovuti dall’appaltatore o dal subappaltatore a propri collaboratori autonomi utilizzati nell’esecuzione dell’appalto; responsabilità solidale che, come detto, si estende anche al versante contributivo. Secondo la circolare Min. lav. 29 agosto 2013, n. 35 “il riferimento ai lavoratori con contratto di lavoro autonomo è limitato sostanzialmente ai co.co.co./co.co.pro. impiegati nell’appalto e non anche a qui lavoratori autonomi che sono tenuti in via esclusiva all’assolvimento dei relativi oneri” contributivi. Tale iterpretazione riduttiva, sia pure basata sulla suggestiva motivazione addotta, pare discutibile in quanto la legge si riferisce – senza ulteriori aggettivazioni – ai “lavoratori con contratto di lavoro autonomo” e quindi non solo ai parasubordinati menzionati nella circolare, ma anche ai prestatori d’opera tout court. Il decreto lavoro pone in essere una sorta di interpretazione autentica relativamente a due temi molto discussi nella pratica. In primo luogo chiarisce che eventuali deroghe collettive all’art. 29, comma 2, della c.d. legge Biagi possano riguardare soltanto il profilo retributivo, non quello contributivo e assicurativo. In secondo luogo prevede che il regime di solidarietà in commento non si applichi laddove committente sia una pubblica amministrazione. In materia di appalti si ricorda che il precedente c.d. decreto del fare (d.l. 22 giugno 2013, n. 69, convertito con legge n. 98 del 2013) ha soppresso il previgente regime di responsabilità sanzionatoria (in capo al committente che non avesse controllato i versamenti effettuati dall’appaltatore) e solidale (in capo all’appaltatore che non avesse controllato i versamenti effettuati dal subappaltatore) in ordine all’Iva (il regime viene invece mantenuto con riferimento alle ritenute fiscali sui redditi da lavoro dipendente). Il medesimo decreto del fare ha poi alleggerito gli obblighi di sicurezza prevedendo che il committente, nei settori di attività “a basso rischio infortunistico”, possa – in alternativa rispetto all’elaborazione del DUVRI – individuare un proprio incaricato con funzioni di preposto alla collaborazione prevenzionale (i settori di attività a basso rischio dovranno essere individuati con decreto del Ministro del lavoro). L’obbligo del DUVRI viene escluso – oltre che per i servizi di natura intellettuale, per le mere forniture di materiale o attrezzature, per i servizi la cui durata non sia superiore ai “cinque uomini giorno”, salvo per alcune attività considerate a rischio elevato (per “uomini giorno” il legislatore intende “l’entità presunta dei lavori … rappresentata dalla somma delle giornate di lavoro necessarie all’effettuazione die lavori … considerata con riferimento all’arco temporale di un anno dall’inizio dei lavori”). DISTACCO La legge di conversione ha introdotto una modifica rilevantissima all’interno della c.d. “legge Biagi” (d.lgs. n. 276 del 2003), ampliando le maglie del possibile ricorso al distacco di personale tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete. Per cogliere la portata della modifica occorrono due premesse. La prima premessa è la seguente: il distacco è un istituto di grande rilevanza, regolato dall’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003, che consente ad un datore di lavoro di porre temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività. Il distacco può essere operato solamente qualora ricorra un interesse del datore di lavoro distaccante. In caso contrario (quando cioè tale interesse non sussista), o comunque quando difettino gli ulteriori requisiti della temporaneità e specifica attività, il lavoratore distaccato può chiedere al giudice la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del distaccatario/utilizzatore, oltre alle ulteriori sanzioni (amministrative e penali) per la somministrazione irregolare. La seconda premessa riguarda il “contratto di rete”, figura contrattuale avviata nel 2009 e poi arricchita a più riprese, con cui due o più imprese si obbligano ad esercitare in comune una o più attività economiche rientranti nei rispettivi oggetti sociali allo scopo di accrescere la reciproca capacità innovativa e la competitività sul mercato (es. accordi di filiere). Il contratto di rete deve essere stipulato per atto pubblico oppure per scrittura privata autenticata o per atto firmato digitalmente, deve avere un contenuto necessario (che prevede, tra l’altro, la specificazione degli obiettivi strategici ed il programma di rete), può presentare una serie di elementi facoltativi (tra cui la previsione di un fondo patrimoniale, di un organo comune, un diritto di recesso e la possibilità di modificare, a maggioranza, il programma di rete) e deve essere annotato nel registro delle imprese presso cui è iscritta ciascuna impresa partecipante. Il legislatore ha, nel tempo, introdotto vari incentivi per lo sviluppo di questo tipo di contratti, in particolare prevedendo, con il d.l. n. 78 del 2010 (conv. dalla legge n. 122 del 2010), una sospensione d’imposta per le imprese che conferiscano una parte degli utili nel fondo patrimoniale comune di una rete al fine di realizzare gli investimenti previsti nel programma comune di rete e, poi, con la legge n. 134 del 2010, la possibilità per i consorzi per l’internazionalizzazione di svolgere la loro attività beneficiando dei relativi contributi statali anche stipulando contratti di rete con piccole e medie imprese, pur non consorziate. Il decreto lavoro introduce ora l’importante precisazione in base alla quale “l’interesse del distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità del lavoratore previste dall’art. 2103 c.c. Inoltre per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso”. Questa nuova norma introduce dunque due importantissime novità: in primo luogo il distacco tra imprese che abbiano stipulato un contratto di rete diventa automaticamente e a priori legittimo, senza che debba essere dimostrata la sussistenza di un interesse del datore di lavoro distaccante (la circolare Min. lav. n. 35 del 2013 è netta sul punto prevedendo che “ai fini della verifica dei presupposti di legittimità del distacco, il personale ispettivo si limiterà a verificare l’esistenza di un contratto di rete”). In secondo luogo viene concessa la “codatorialità” dei dipendenti “ingaggiati” (assunti) con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso. Questa seconda parte della norma, per la verità non del tutto chiara, sembra significare che in relazione a tale personale il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun imprenditore che partecipa al contratto di rete, se ed alle condizioni previste nel contratto di rete medesimo. CONTRATTI DI PROSSIMITÀ La legge di conversione ha soppresso l’assurdo obbligo di deposito dei contratti di prossimità presso la DTL “competente per territorio”. INCENTIVO ALL’ASSUNZIONE DI DISOCCUPATI La legge di conversione ha soppresso l’assurdo obbligo di deposito dei contratti di prossimità presso la DTL “competente per territorio”. INCENTIVO ALL’ASSUNZIONE DI DISOCCUPATI A chi assume a tempo pieno ed indeterminato lavoratori che fruiscono dell’Aspi viene riconosciuto, per ogni mensilità di retribuzione corrisposta al lavoratore, un contributo mensile pari al 50% dell’indennità mensile residua che sarebbe stata corrisposta al lavoratore. Viene prevista una norma antiabuso al fine di evitare che dell’incentivo si avvalgano aziende dagli assetti proprietari sostanzialmente coincidenti con quelli dell’azienda che ha licenziato il lavoratore. APPRENDISTATO Una novità è immediatamente operativa: il decreto lavoro, modificando il T.U. Apprendistato, prevede ora la possibilità di trasformare il contratto di apprendistato per la qualifica o diploma professionale in apprendistato professionalizzante o di mestiere. In un’ottica programmatica, poi, si stabilisce che entro il 30 settembre 2013 la Conferenza StatoRegioni dovrà emanare delle apposite linee guida. Nell’ambito di tali linee guida, che secondo il legislatore dovrebbero essere volte a restituire all’apprendistato professionalizzante il ruolo di “modalità tipica di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro”, potrà essere derogata la disciplina di cui al d.lgs. n. 167 del 2011 (T.U. Apprendistato) nei seguenti limiti: a) obbligatorietà del piano formativo individuale solo con riferimento alla formazione volta all’acquisizione di competenze tecnico-professionali e specialistiche (formazione on the job); b) registrazione della formazione e della qualifica contrattuale acquisita effettuata in un documento avente i contenuti del libretto individuale formativo del cittadino, come da modello allegato al decreto interministeriale del 10 ottobre 2005; c) possibilità per le imprese aventi articolazioni produttive in regioni diverse (c.d. imprese multi localizzate) di far svolgere la formazione nel rispetto della disciplina della Regione in cui si trova la sede legale (trattasi di semplificazione già prevista dall’art. 7, comma 10, d.lgs. 167 del 2011 a mente del quale “i datori di lavoro che hanno sedi in più Regioni possono fare riferimento al percorso formativo della Regione dove è ubicata la sede legale”). Nell’ipotesi in cui la Conferenza Stato Regioni non provveda ad adottare le linee guida entro il termine del 30 settembre 2013, le misure derogatorie sopra elencate troveranno diretta applicazione, salva la possibilità di un intervento “tardivo” della Conferenza Stato Regioni ovvero delle singole Regioni. STAGE La Conferenza Stato – Regioni, in data 24 gennaio 2013, ha adottato apposite linee guida, con l’impegno da parte delle Regioni di recepirne il contenuto entro il termine di sei mesi. In sintesi, le linee guida forniscono standard minimi di riferimento, uniformi per tutto il territorio nazionale e disciplinano aspetti generali quali la durata, l’indennità da corrispondere al tirocinante (€ 300,00 al mese), ed il relativo regime sanzionatorio. Non tutte le Regioni hanno però rispettato l’impegno nel predetto termine. Il decreto legge, al fine di evitare pericolosi vuoti normativi, offriva alle Regioni “inadempienti” la possibilità di ricorrere comunque ai tirocini formativi e di orientamento, fino al 31 dicembre 2015, nel rispetto delle disposizioni contenute nell’art. 18 della l. n. 196 del 1997 e nel decreto interministeriale 25 marzo 1998, n. 142. In sede di conversione tale disciplina “transitoria” è stata soppressa. A fronte di tale soppressione, è da ritenere che ci si possa attualmente avvalere di tirocini formativi soltanto nelle Regioni che si siano già adeguate alle linee guida oppure che comunque avessero legiferato in precedenza in materia. ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE Numero massimo di associati: le nuove deroghe La riforma Fornero, come noto, ha imposto in materia un vero e proprio giro di vite stabilendo che il numero di associati in partecipazione, qualora il loro apporto consista anche in una prestazione di lavoro, non possa essere superiore a tre (3). Il decreto lavoro introduce ora due deroghe al richiamato limite quantitativo, prevedendo che esso non si applichi (i) alle cooperative con riferimento agli associati individuati mediante elezione da parte dell’assemblea, il cui contratto sia stato certificato, nonché (ii) al rapporto tra produttori e artisti, esecutori, interpreti finalizzato alla realizzazione di registrazioni audiovisive. LA STABILIZZAZIONE La legge di conversione ha introdotto la possibilità di procedere alla “stabilizzazione” dei contratti di associazione in partecipazione stipulati e/o attuati in violazione della rigida disciplina di riferimento. La (sostanziale) sanatoria potrà essere attuata sino al 30 settembre 2013 anche da parte delle aziende già colpite da provvedimenti amministrativi o giurisdizionali (non definitivi, ovviamente) di riqualificazione del rapporto. La procedura è piuttosto articolata e, sulla falsariga di quella introdotta qualche tempo addietro in materia di collaborazioni a progetto, prevede il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali e dell’Ente previdenziale. Le aziende interessante dovranno in via preliminare stipulare con le oo.ss. comparativamente più rappresentative sul piano nazionale un contratto collettivo volto a prevedere la “conversione” dei contratti di associazione in partecipazione in contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato (compreso l’apprendistato). Contestualmente all’assunzione è prevista la sottoscrizione di un verbale di conciliazione in sede protetta volto alla definitiva rinuncia, da parte del lavoratore, delle pretese connesse alla precedente fase di collaborazione. Viene imposta, in chiave antifraudolenta, una stabilità relativa nei sei mesi successivi all’assunzione: il lavoratore, infatti, non potrà essere licenziato per motivi economici, ma soltanto per motivi disciplinari. La sanatoria viene supportata da due importanti incentivi: sul piano contributivo è previsto soltanto il versamento di un contributo straordinario pari al 5% della contribuzione a carico degli associati per i periodi di vigenza dei contratti di associazione in partecipazione e comunque per un periodo non superiore a 6 mesi (contributo da pagare, ovviamente, per ogni lavoratore stabilizzato); in secondo luogo l’azienda, previa verifica della completezza e regolarità di tutti gli incombenti da parte dell’Inps, ottiene l’agognato effetto dell’estinzione degli illeciti connessi all’indebito utilizzo della tipologia contrattuale in discorso.