CAPITOLO 4. GLI ASSETTI ORGANIZZATIVI - Francesco Virili
GLI ASSETTI ORGANIZZATIVI - Strutture, sistemi operativi, comportamenti (titolo
provvisorio)..........................................................................................................................................1
1. Concetti di base....................................................................................................................1
1.1. La pluralità delle prospettive teoriche..........................................................................1
1.2. Le origini e l'essenza dell'organizzazione: la divisione del lavoro ..............................4
1.3. Coordinamento e interdipendenze ...............................................................................7
1.4. L'assetto organizzativo...............................................................................................10
1.5. Organigrammi, dimensioni strutturali e collegamenti orizzontali .............................15
2. Progettazione organizzativa ...............................................................................................19
2.1. Strutture di riferimento...............................................................................................19
2.2. Progettazione della macrostruttura.............................................................................23
2.3. Progettazione della microstruttura .............................................................................26
3. Sistemi operativi ................................................................................................................29
3.1. Sistema di gestione del personale ..............................................................................29
3.2. Sistema di pianificazione e controllo .........................................................................29
3.3. Sistema informativo ...................................................................................................32
4. Persone e comportamenti ...................................................................................................34
4.1. Introduzione: tratti della personalità, atteggiamenti, valori .......................................34
4.2. Cultura organizzativa .................................................................................................37
4.3. Gruppi di lavoro .........................................................................................................40
5. Riferimenti bibliografici ....................................................................................................42
GLI ASSETTI ORGANIZZATIVI
1. Concetti di base
1.1.
La pluralità delle prospettive teoriche
Gli studi organizzativi, pur se relativamente giovani, sono caratterizzati da una molteplicità di
prospettive, che traggono ispirazione da una varietà di autori e scuole di pensiero.
Figura 1: Prospettive e fonti di ispirazione e della teoria organizzativa. Rielaborazione da (Hatch 1999), pag.
7.
La Figura 1 rappresenta uno dei possibili modi di tracciare una linea evolutiva nel pensiero organizzativo, individuando quattro grandi fasi: la prima (prospettiva classica) di circa 50 anni, la se1
conda (prospettiva modernista) di circa 30 anni, la terza e la quarta (prospettive simbolico interpretativa e postmoderna) di circa un decennio ciascuna. Sopra a ciascuna prospettiva sono indicate le
discipline di riferimento; in basso alcuni degli autori di maggiore rilievo. Le aree di interesse e di
studio dei primi classici (economia: Smith, Marx; ingegneria: Taylor; sociologia: Durkheim,
Weber; scienze politiche e dell'amministrazione: Fayol, Barnard) si sono presto evolute in nuove direzioni ed estese ad una molteplicità di ulteriori discipline di riferimento, come la scienza dei sistemi, la biologia, l'ecologia e l'antropologia sociale, fino a giungere alle contaminazioni più recenti
con la linguistica, la filosofia contemporanea, la teoria letteraria, le scienze della complessità. Una
visione teorica unificata e completa delle organizzazioni è probabilmente impossibile1, sia per la
complessità intrinseca del fenomeno organizzativo, sia per la sua stessa natura, cioè per il fatto che
l'organizzazione è una costruzione sociale. Sul primo punto (la complessità intrinseca), la Hatch illustra la situazione attraverso il racconto indiano degli uomini ciechi di fronte ad un oggetto a loro
sconosciuto, che in realtà è un elefante2. Dopo averne toccato ciascuno una parte, sono indotti a
concludere, ciascuno con certezza, che esso somiglia ad una grande foglia (l'orecchio), ad un muro
(il fianco), ad un albero (la zampa), ad una lancia (una zanna), ad una corda (la coda), ad un serpente (la proboscide). Come i ciechi di fronte all'elefante, gli studiosi di organizzazione sono di fronte
ad un fenomeno complesso, che sono costretti ad esplorare con strumenti analitici necessariamente
parziali e inadeguati a offrire una comprensione globale. Si pensi ad esempio alla semplificazione
radicale che siamo costretti ad operare quando assumiamo che le persone siano agenti più o meno
razionali ed informati, e che i loro comportamenti siano più o meno immuni all'influenza del caso,
del tempo, dell'umore, delle infinite sfumature degli stati emotivi ed affettivi, dei sentimenti e delle
relazioni.
Sul secondo punto (la natura stessa dell'organizzazione), l'impossibilità di avere un'unica teoria
nasce dal fatto che secondo alcuni l'organizzazione non è una pura realtà fisica e oggettiva: essa è
anche una convenzione sociale che è costruita e plasmata da esperienze e convinzioni, e dunque dalle teorie stesse. Quindi "[l]'adozione di molteplici prospettive può aiutare a scoprire modi diversi di
costruire la propria realtà e di capire la realtà degli altri, ma non può garantire un livello di conoscenza più elevato o più efficace perché non esiste un criterio universale con cui misurare il valore
delle conoscenze" (Hatch 1999, pag. 11).
In conseguenza di questa necessaria pluralità di approcci teorici allo studio dell'organizzazione,
emergono due aspetti da sottolineare: il primo è che risulta difficile, se non impossibile, dimostrare
la superiorità di una teoria su di un'altra ugualmente rigorosa e corretta, ma basata su prospettive diverse; il secondo è che spesso le teorie più recenti non sostituiscono le precedenti, ma le completano
e le arricchiscono.
1
In proposito Mary Jo Hatch scrive: "...trovo in qualche modo ironico chiamare questo campo di indagine «teoria
delle organizzazioni». Questo termine suggerisce l'esistenza di un'unica, integrata e onnicomprensiva teoria delle organizzazioni - cosa che è ben lungi dall'essere vera: in realtà esistono molte teorie, e non necessariamente in accordo
fra loro. Alcuni studiosi vedono questa diversità come un ostacolo perché, secondo loro, se una disciplina accademica
non può offrire un insieme di conoscenze condivise, allora non può offrire proprio niente. Altri cercano di giustificare
questa diversità dicendo che la teoria delle organizzazioni è un campo relativamente nuovo che nel tempo riuscirà a
conciliare le differenze interne e a sviluppare una singola prospettiva, come dovrebbe succedere (secondo loro) a tutte
le discipline mature. La mia opinione è completamente diversa. Io credo, insieme ad altri teorici dell'organizzazione,
che la teoria delle organizzazioni sia stata e sempre resterà un campo d'indagine multiforme ed eterogeneo - sia perché
le discipline da cui trae ispirazione sono molte e tutte diverse tra loro, sia perché ritengo che sia impossibile spiegare
le organizzazioni con un'unica teoria. [...] Mi rendo conto che può sembrare stravagante prendere in considerazione i
contributi di discipline tanto diverse fra loro, ma vi chiedo: da dove, se non da una enorme varietà di discipline, avrebbe potuto trarre ispirazione la teoria delle organizzazioni? Se voi, come me, siete affascinati dalle idee, allora questo
campo è fatto per voi, perché non ne conosco altri così ricchi di spunti e di prospettive diverse" (Hatch 1999, pag. 6)
2
Il racconto è anche oggetto di un poemetto di John Godfrey Saxe, poeta americano del 1800, riportato integralmente
on line con testo originale e illustrazioni sul sito www.wordinfo.info, "A Dictionary of Latin and Greek Words used in
Modern English Vocabulary" all'indirizzo http://www.wordinfo.info/words/index/info/view_unit/1/?letter=B&spage=3.
2
Non si vuole dunque, né del resto si potrebbe, offrire in questa sede una panoramica completa
della teoria e della pratica organizzativa3. Obiettivo di questo capitolo è invece introdurre lo studente ad alcuni temi significativi della teoria e della pratica organizzativa, accompagnandolo nel primo
passo di un affascinante percorso di esplorazione di quelle capacità organizzative che sono ormai
considerate uno dei fattori cruciali che condizionano il successo aziendale (Nacamulli 1994). I semplici flash tematici qui proposti saranno comunque in qualche misura arricchiti da riferimenti, puntatori e spunti di approfondimento per il lettore interessato ad andare oltre la superficie.
[Riquadro] Varietà e ricchezza degli studi organizzativi: cinque manuali e un sito Web
La varietà delle impostazioni e degli approcci riscontrabili negli studi organizzativi confermano
la poliedricità dell’oggetto d’analisi. All’interno della vasta letteratura possiamo citare, a titolo di
esempio, alcuni manuali organizzativi, sia nazionali che molto conosciuti in Italia: Costa e Gubitta
(2004), Grandori (1999), Daft (2005), Scott (2004) e Hatch (1999). Questi manuali si distinguono
per differenti approcci, impianti teorici e focus d’analisi. In essi è di volta in volta sottolineata la
dimensione aziendale dell'organizzazione (Costa e Gubitta); il ruolo centrale del pensiero economico e degli studi cognitivi (Grandori); la dimensione sociologica e istituzionale (Scott); l'approccio
contingente alla progettazione organizzativa (Daft).
Costa e Gubitta (2004) con un approccio snello e progettuale a cui si ispira fortemente la struttura e l'impostazione di questo contributo, dedicano una prima parte ai modelli concettuali (attori,
ambiente, relazioni e forme di governo) e una seconda alla progettazione delle organizzazioni (macrostrutture, microstrutture e forme organizzative IT-enabled e knowledge intensive). Il testo è concepito, per dimensioni, linguaggio, unitarietà e accessibilità, per un uso didattico di base.
Tra i classici di impostazione economica, Grandori (1999) è essenzialmente basato su un'idea di
"chimica dell'organizzazione", in cui gli atomi sono gli attori organizzativi (persone o gruppi). Secondo questo approccio, ogni forma organizzativa è semplicemente una tra le possibili combinazioni e configurazioni di meccanismi di coordinamento tra attori titolari di diversi diritti e obblighi (azione, informazione, decisione, controllo, ricompensa e proprietà). La parte centrale del testo consiste dunque in cinque capitoli dedicati ai meccanismi di coordinamento. Essa è preceduta da due capitoli dedicati agli attori organizzativi e seguita da cinque capitoli che passano in rassegna le conseguenti forme organizzative possibili.
Daft (2005) è basato sull'idea, tipica delle teorie contingentiste, che l'organizzazione e la sua
progettazione dipenda dalle condizioni del contesto: egli ne individua cinque (strategia, ambiente,
tecnologia, dimensioni e cultura) dedicando un capitolo a ciascuna di esse, completando poi l'analisi
con una parte dedicata alle strutture organizzative e alla gestione dei processi (innovazione e cambiamento, decisioni, conflitti, e potere). La semplicità del linguaggio e degli schemi di analisi lo
rende più spesso apprezzato come strumento didattico di base che come manuale di riferimento.
Scott (2004) propone una delle più estensive disamine della letteratura organizzativa: con 38
pagine di bibliografia si avvicina alle 2000 citazioni. Più che alla progettazione l'autore è interessato
all'analisi sistematica del pensiero organizzativo, rispondendo in chiave sociologica ad una grande
domanda di fondo: qual è il ruolo e la rilevanza sociale delle organizzazioni? Scott individua in letteratura tre grandi prospettive: l'organizzazione come sistema razionale; come sistema naturale; come sistema aperto. Queste tre prospettive forniscono chiavi di lettura dei grandi temi del pensiero
organizzativo, affrontati nella seconda parte del manuale: le concezioni dell'ambiente, della struttura, dei settori periferici, dei fini organizzativi. Una parte finale è dedicata ai rapporti tra organizzazione e società, focalizzandosi sulle patologie e sull'efficacia organizzativa.
Il manuale di Mary Jo Hatch (1999), infine, propone una rassegna più selettiva e concisa della
letteratura organizzativa rispetto a quello di Scott, ponendo però maggiore attenzione agli aspetti
3
Per una rassegna ad ampio raggio dei contributi della ricerca organizzativa rinviamo piuttosto al "Manuale di Organizzazione Aziendale" (Costa e Nacamulli 1996-98). L'opera è composta di 5 volumi e sfiora le 3.000 pagine.
3
operativi e di progettazione organizzativa. La Hatch individua quattro fasi nella storia nel pensiero
organizzativo: quella classica, quella moderna, quella simbolica e quella postmoderna. L'evoluzione
del pensiero organizzativo ha gradualmente evidenziato le molte dimensioni (in alcuni casi contrastanti) che caratterizzano i concetti chiave della teoria organizzativa ai quali è dedicata la prima parte del manuale: ambiente, strategia, tecnologia, struttura fisica e sociale, cultura. Nella seconda parte del manuale si mostra come le quattro prospettive di pensiero abbiano affrontato da punti di vista
diversi alcune delle grandi questioni organizzative: processi decisionali, potere e politiche; conflitto;
controllo; cambiamento e apprendimento organizzativo.
Il progetto "lenzuolo" (http://www.lenzuolo.net/) consente di visualizzare ed esplorare on line
l'evoluzione degli studi organizzativi in parallelo a quella dell'information technology e delle principali teorie di sviluppo di sistemi informativi. Alcune delle idee e delle metafore più significative
sono illustrate sul sito con romanzi e scene di film.
1.2.
Le origini e l'essenza dell'organizzazione: la divisione del lavoro
Anche se la teoria e la pratica organizzativa contemporanea hanno certamente compiuto notevoli
progressi, i fondamenti essenziali del pensiero organizzativo, su cui ancora oggi si basa l'organizzazione moderna sono nati con i contributi dei classici. Ci riferiamo in particolare all'analisi sistematica dei criteri di divisione del lavoro, da cui si origina il problema organizzativo fondamentale del
coordinamento, cioè della gestione delle dipendenze tra attività. L'essenza del problema organizzativo è infatti quella della divisione del lavoro e del coordinamento. I grandi temi che verranno introdotti nel seguito, come la progettazione delle strutture e dei sistemi di gestione del personale, di pianificazione e controllo di gestione, insieme agli aspetti comportamentali come la personalità, la cultura organizzativa e la gestione dei gruppi e delle relazioni, non sono altro che la declinazione dei
principi e delle pratiche per la soluzione del problema della divisione del lavoro e del coordinamento che la storia e il pensiero organizzativo ci hanno tramandato nel tempo.
Come suggeriscono alcuni studi recenti, la tendenza alla divisione del lavoro nasce probabilmente con l'uomo stesso, condizionandone il successo evolutivo in maniera determinante. Secondo un'ipotesi non priva di fascino recentemente avanzata da alcuni ricercatori, l'homo sapiens avrebbe prevalso sull'uomo di Neanderthal proprio grazie alla sua capacità di specializzarsi applicando primitivi criteri di divisione del lavoro (The Economist, 2005). Il problema organizzativo sembra dunque
essere connaturato all'esistenza umana, trovando sin dalle origini ampia applicazione in termini di
suddivisione dei compiti, produzione e scambio. Alle radici del sapere occidentale, la divisione del
lavoro fu oggetto di analisi teorica già nella Repubblica di Platone (V secolo a.c.). Secondo alcuni
Platone fu un grande analista della questione della divisione del lavoro, più pertinente dello stesso
Aristotele, e di gran lunga insuperato fino al diciottesimo secolo (Hulsmann 2007).
Quando Adam Smith, nel 1776, contribuirà a stabilire i fondamenti del pensiero economico moderno con la "Ricchezza delle Nazioni", dedicherà proprio l'inizio del primo libro alla divisione del
lavoro, di cui è rimasto celebre l'esempio della fabbrica degli spilli riportato nel riquadro che segue.
Smith individua e analizza tre fondamentali benefici collegati alla divisione del lavoro:
1) L'incremento di destrezza dell'operaio nello svolgere le attività che gli sono affidate, dovuto alla riduzione, semplificazione e ripetizione delle stesse;
2) il vantaggio in termini di risparmio del tempo impiegato nel passare da un tipo di lavoro ad un
altro;
3) la più elevata possibilità di automazione con impiego di macchinari, grazie alla suddivisione
del processo in attività elementari.
[Riquadro] Divisione del lavoro: La fabbrica di spilli di Adam Smith
"Io ho visto una piccola manifattura...dove erano impiegati soltanto dieci uomini e dove alcuni
di loro, di conseguenza, compivano due o tre operazioni distinte. Ma, sebbene fossero molto poveri
e perciò solo mediocremente dotati dei macchinari necessari, erano in grado, quando ci si metteva4
no, di fabbricare, fra tutti,...più di quarantottomila spilli al giorno. Si può dunque considerare che
ogni persona, facendo la decima parte di quarantottomila, fabbricasse quattromilaottocento spilli al
giorno. Se invece avessero lavorato tutti in modo separato e indipendente e senza che alcuno di loro
fosse stato previamente addestrato a questo compito particolare, non avrebbero certamente potuto
fabbricare neanche venti spilli per ciascuno" (La Ricchezza delle Nazioni - Grandi Tascabili Economici
Newton, Roma, 1995, pp. 67)
Su Adam Smith vedi anche la raccolta di documenti pubblicata dall'Adam Smith Institute,
http://www.adamsmith.org/smith/, che comprende anche il testo integrale originale delle opere più
famose.
I primi contributi di matrice filosofica ed economica, rappresentano in un certo senso una delle
due anime del pensiero organizzativo: quella speculativa che sistematizza le conoscenze e le pratiche correnti in termini "alti" e teorici. Questa anima speculativa si gioverà in seguito del contributo
fondamentale dei grandi sociologi come Emile Durkheim, che nella "Divisione del lavoro sociale"
(1893) estenderà ulteriormente l'analisi anche sul piano della struttura sociale, apportando inoltre
importanti contenuti metodologici; e come Max Weber, che affronterà nella "Teoria dell'organizzazione sociale ed economica" (1924) i temi dell'autorità, della burocrazia e dei principi primi della
scienza sociale e amministrativa.
Accanto alla componente teorico-speculativa, il pensiero organizzativo ha però anche una seconda anima, quella applicativa che deve molto ai contributi provenienti dagli ingegneri come Frederick Winslow Taylor e dei "practitioner" come Chester Barnard. Se i contributi di filosofi, economisti e sociologi erano necessari per definire i principi primi che guidano l'analisi organizzativa, il
contributo di Taylor e in generale delle discipline e degli approcci ingegneristici è invece orientato
ad individuare ed applicare le conoscenze scientifiche per ottenere risultati concreti.
Una parte rilevante delle pratiche organizzative contemporanee ha infatti origine proprio nel contributo di Taylor. Con Taylor e il suo movimento di "Scientific Management" si attua una divisione
formale del lavoro su base gerarchica e chiaramente definita, con una separazione netta tra attività
operative e supervisione. Il nuovo sistema di gestione e direzione è basato su quattro pratiche fondamentali: 1) Sviluppo di conoscenze su basi scientifiche; 2) Selezione scientifica della manodopera; 3) preparazione e perfezionamento dei lavoratori su basi scientifiche; 4) intima e cordiale collaborazione fra dirigenti e manodopera. Non è difficile riconoscere come la prima sia il fondamento
della moderna progettazione delle mansioni, la seconda e la terza trovino oggi impiego nei sistemi
operativi di gestione del personale, mentre la quarta possa rappresentare un primo timido approccio
alla gestione degli aspetti relazionali e comportamentali, certo insufficiente e particolarmente trascurato specie dai discepoli di Taylor, tanto da divenire in seguito la principale fonte di critica del
taylorismo. Il riquadro che segue lancia uno sguardo su un altro aspetto particolarmente controverso
del contributo di Taylor, le forme di controllo e di incentivazione.
[Riquadro] Taylor: alla ricerca dell'efficienza
"Difficilmente si trova un dipendente di una grande azienda che non spenda una parte considerevole del proprio tempo a pensare quanto lentamente possa fare il proprio lavoro riuscendo a convincere il proprio datore di lavoro che sta lavorando ad un buon ritmo”.
E’ il “lamento del manager anziano”, come espresso da Frederick W. Taylor, l’ingegnere industriale padre del cosiddetto management scientifico, che ispirò il mito dell’efficienza nei primi anni
del ’20 secolo.
Taylor riteneva inoltre che i dipendenti potessero essere motivati solo mediante il denaro, con
un sistema a cottimo. Con un ammontare fisso ogni giorno, non avrebbero alcun incentivo a produrre più del giorno precedente.
5
Taylor, che nel 1874 decise di fare l’apprendista meccanico invece che andare ad Harvard, riteneva che i lavoratori potessero essere visti come macchine, ed i loro meccanismi fisici e psichici ricalibrati per il raggiungimento di una maggiore efficienza.
In un primo esperimento, in una media azienda produttrice di acciaio a Philadelphia, tutte le
mansioni sono state cronometrate (spesso con un orologio nascosto) e decomposte nei loro elementi
costitutivi. Utilizzando regole scientifiche, il management identificò “il modo migliore” per condurre ogni mansione. Dopo che tutte le mansioni furono standardizzate, tutti i valori furono portati ad
unità al fine di identificare il contenuto di una “adeguata giornata di lavoro”.
La seconda parte del sistema di Taylor si fondava su una struttura salariale con bonus legati alle
singole mansioni. A ciascun dipendente veniva dato un target giornaliero, al raggiungimento del
quale percepiva un compenso più elevato per ogni unità ulteriore. In caso peraltro di mancato raggiungimento dell’obiettivo, il compenso unitario diminuiva. Gli scettici dubitavano del fatto che la
migliore produttività avrebbe compensato i più elevati salari, ma Taylor assicurò che se il suo studio
sui tempi era corretto, sarebbe stato molto difficile per i dipendenti superare gli obiettivi forniti.
Taylor persuase molte grandi aziende ad adottare il suo sistema, con vari gradi di successo. E’
stato un processo lungo e doloroso quello di convincere i lavoratori soltanto a fare, e non a pensare.
Molti lavoratori del settore manifatturiero erano immigrati dalla Germania e dall’Inghilterra, ove
tradizionalmente il lavoro era associato a attività artigianali libere, creative e indipendenti. I sindacati denunciarono il taylorismo di inumanità, e furono introdotte leggi per vietare l’uso di cronometri nel settore pubblico.
(fonte: Wall Street Journal, 6 Novembre 2006, di Cynthia Crossen)
La versione originale completa dell'opera più famosa di Taylor, Principles Of Scientific
Management è online su http://www.bus.ualberta.ca/yreshef/orga417/taylor.htm, con un ampio
commentario e utili indicazioni per la lettura e l'interpretazione. La bibliografia e l'inventario completo del materiale lasciato da Taylor è on line tra le "Special Collections" delle Stevens Institute of
Technology: http://www.lib.stevens-tech.edu/collections/fwtaylor/guide/preface.html.
Il perseguimento dell'efficienza operativa attraverso metodi scientifici e con risultati misurabili
costituirà, da Taylor in poi, una costante più o meno presente in tutti i contributi organizzativi. In
particolare, si distinguono oggi le economie di specializzazione, le economie di raggio d'azione e le
economie di scala.
Le economie di specializzazione sono generate dai benefici derivanti dalla divisione del lavoro o
dall'impiego di risorse dedicate. Essi, come osservato negli studi dei classici, sono legati ad effetti
di apprendimento e automatismo, che permettono di conseguire una più elevata destrezza, abilità,
competenza e naturalezza nelle operazioni ripetute di frequente; vi è infatti una tendenza alla riduzione dell'incertezza e alla reazione rapida e istintiva che le persone tendono a sviluppare nel tempo.
Inoltre, la specializzazione permette spesso di impiegare tecnologie e macchinari per l'automazione
delle operazioni ripetitive, solitamente con una riduzione dei costi di manodopera ed un aumento
della produttività.
L'eccessiva specializzazione può a volte avere conseguenze negative: in alcuni casi il costo congiunto di produzione di due beni è inferiore alla somma dei singoli costi di produzione. In questi casi conviene de-specializzare e produrre congiuntamente per conseguire le cosiddette economie di
raggio di azione. Quando insomma due attività sono molto simili tra di loro, specializzarsi eccessivamente porta ad una duplicazione di costi di apprendimento, di comunicazione e di coordinamento, spesso associati anche a rigidità operative e riduzione del potenziale di innovazione.
Le economie di scala si verificano quando aumentando il volume di produzione si ottiene una riduzione del costo per unità di prodotto. Ciò è dovuto al fatto che all'aumentare della produzione i
costi fissi non aumentano: ad esempio un forno a legna in una pizzeria richiederà all'incirca una
quantità costante di legna ogni sera: se in una sera si producono un numero doppia di pizze rispetto
6
alla sera prima, le pizze aggiuntive saranno prodotte senza nessun ulteriore costo di forno e saranno
dunque più economiche.
Dunque, la divisione del lavoro permette di conseguire varie forme di economie. Il fondamentale
problema organizzativo che ne consegue è che le attività specializzate, svolte da attori diversi per
conseguire un fine organizzativo comune, hanno bisogno di una "regia". Si tratta del problema del
coordinamento.
1.3.
Coordinamento e interdipendenze
Come attuare concretamente la divisione del lavoro conseguendo economie? Se ogni individuo
decidesse di svolgere in modo completamente autonomo e/o casuale le proprie attività lavorative di
ogni giorno, senza alcuna consapevolezza o indicazione, senza avere obiettivi da conseguire e in assenza di controllo, si produrrebbe facilmente il caos.
Con la scelta di specializzarsi per conseguire insieme un risultato comune si origina dunque un
naturale fabbisogno di ordine nel sistema collettivo delle attività e dei comportamenti. Nelle organizzazioni esso viene soddisfatto attraverso il coordinamento. Il coordinamento in senso lato costituisce l'essenza dell'organizzazione, in quanto comprende qualsiasi strumento e intervento organizzativo atto a indirizzare e ordinare efficacemente comportamenti e attività: "La nozione di coordinamento implica un concetto di efficacia, un ordinamento dei comportamenti di più parti diverso e migliore di altri o di combinazioni casuali" (Grandori 1999, p. 16). Tradizionalmente lo studio
del coordinamento prende le mosse da una semplice osservazione: in un sistema di attori che svolgono delle attività, le singole attività hanno bisogno di coordinamento quando sono interdipendenti,
cioè quando sono in qualche modo in relazione tra loro. In questo senso, il coordinamento è la gestione delle dipendenze tra le attività4. Uno dei primi studi sulle interdipendenze è quello di Thompson (1967), che le classifica secondo una convenzione ancora oggi molto diffusa5:
1. Interdipendenze generiche (deboli): le attività fanno parte dello stesso sistema di azione, tipicamente con un obiettivo comune, ma non sono collegate tra loro in modo rigido. Esempio: due ciclisti che corrono per lo stesso team e si supportano a vicenda.
2. Interdipendenze sequenziali (moderate): l'attività B deve essere svolta dopo l'attività A, che
ne è un prerequisito essenziale. Esempio: Il calcio di un rigore dipende sequenzialmente dal
fischio dell'arbitro.
3. Interdipendenze reciproche (forti): se A e B sono in interdipendenza reciproca, esse vanno
svolte congiuntamente, in continua interazione. Esempio: le attività collegate di una pattinatrice e del suo partner durante l'esecuzione di una figura.
Secondo questo semplice approccio, coordinare vuol dire essenzialmente individuare le attività
interdipendenti e trovare il modo più efficace perché vengano eseguite ordinatamente. A tal fine,
nell'ambito della progettazione dell'assetto organizzativo, che verrà illustrata nel seguito, trovano
impiego i cosidetti meccanismi di coordinamento.
La Figura 2 che segue illustra tre categorie di meccanismi di coordinamento, rappresentate nella
parte alta della figura: supervisione diretta, adattamento reciproco e standardizzazione6. Nella parte
inferiore della figura ciascuno di essi è collegato con una delle forme oggetto della più recente e ap-
4
Vedi (Crowston 1997, p. 159), che fornisce e discute numerose altre definizioni.
Gli studi più recenti sulla teoria del coordinamento hanno individuato nuove e più complesse forme di interdipendenza. Oltre ai contributi di (Camuffo 1997) e (Grandori 1999, cap. 9, sez. 2.7), è utile far riferimento ai lavori del
gruppo MIT che hanno dato luogo all'Handbook for Organizational Processes (Malone, Crowston et al., 1999). La nozione base di interdipendenza accolta in quella sede include, oltre al concetto di attività, anche quello di risorsa. Essa
comprende le dipendenze di tipo flow (l'attività A produce una risorsa necessaria all'attività B), share (A e B fanno uso
della stessa risorsa) e fit (A e B producono la stessa risorsa). Una rassegna comparativa delle più recenti classificazioni
delle interdipendenze è offerta in (Bolici 2007), nell'ambito dell'analisi dei meccanismi di coordinamento delle comunità di sviluppo di software Open Source.
6
Questa classificazione è dovuta alla nota sistematizzazione di Mintzberg (1983), operata sulla base dei contributi
tradizionali sul tema del coordinamento, tra cui (March e Simon 1958) e (Thompson 1967).
5
7
profondita analisi di Grandori (1995;1999), rispettivamente autorità e agenzia, gruppo e negoziazione, norme e regole.
Standardizzazione
Adattamento
•Processi
Supervisione
•Output
•Conoscenze
Figura 2: Alcuni tra i principali meccanismi di coordinamento. Ciascuna delle tre tipologie classiche evidenziate in alto (supervisione, adattamento reciproco e standardizzazione: Mintzberg 1983) è messa in relazione con
una delle forme analizzate in Grandori (1999).
L'adattamento reciproco è nel contempo la forma di coordinamento più naturale ma anche la più
costosa. Infatti esso si fonda sulla naturale propensione dell’essere umano a coordinare la sua azione con quelle degli altri esseri con cui interagisce. In tal senso, tale forma di coordinamento non richiede sovrastrutture. Per contro, l’indifferenziazione dei compiti svolti da ciascuno degli operatori
aziendali determina un elevatissimo fabbisogno di informazioni perché il coordinamento sia assicurato: occorre, in pratica, che ciascuno dei soggetti (o sistemi elementari) abbia una tempestiva e approfondita conoscenza dello stato degli altri soggetti (o sistemi elementari) per poter regolare il proprio comportamento in modo coordinato con i comportamenti degli altri. Questa caratteristica costituisce nel contempo la forza e la debolezza di questa forma di coordinamento: la forza sta nella sua
flessibilità intrinseca, assicurata dalla assenza di vincoli imposti al comportamento dei sistemi elementari da eventuali sovrastrutture; la debolezza sta essenzialmente nel suo costo relativamente elevato, legato in particolare al peso relativo delle attività di comunicazione, negoziazione e decisione
(colloqui, riunioni, discussioni, ecc.) su tutte le altre.
La supervisione diretta si caratterizza per una differenziazione dei contenuti di attività (e quindi
dei ruoli) fra i diversi componenti dell’organizzazione. I compiti routinari, facilmente prevedibili e
per affrontare i quali è sufficiente un limitato repertorio di capacità e competenze, vengono assegnati a operatori la cui preparazione è adeguata a gestire la normalità. Vengono poi istituiti ruoli formali di supervisione diretta, assegnati a un ristretto numero di operatori che, avendo accumulato attraverso l’esperienza lavorativa e la formazione scolastica un repertorio di risposte particolarmente
ampio, possono supportare gli altri operatori (meno qualificati ed esperti) nella gestione di situazio8
ni particolarmente complesse o poco frequenti (eccezioni). È il caso del/la maestro/a nella tradizione delle tessiture: essi/e sono chiamati a intervenire a supporto degli altri operatori meno esperti di
fronte a mal funzionamenti dei telai e in genere a problemi di produzione che costoro non sanno affrontare efficacemente. Tale separazione di ruoli determina una minore esigenza di addestramento e
di preparazione allo svolgimento del proprio compito da parte degli operatori di livello inferiore,
che sono chiamati ad apprendere un repertorio limitato di risposte e la cui formazione è dunque poco costosa7.
Standardizzare significa ricondurre a norma, cioè ridurre la varietà (e per tale via, il numero di
eccezioni). Considerando una azienda (o una unità organizzativa) come ente di trasformazione, oggetto di standardizzazione possono dunque essere i processi di trasformazione, i risultati attesi ovvero i fattori produttivi impiegati. Ne derivano altrettante forme base di coordinamento. La standardizzazione dei processi è uno dei pilastri portanti del paradigma fordista: attraverso la predefinizione dei compiti si ordina il comportamento di un sistema elementare, consentendone in tal
modo il coordinamento con altri sistemi. Esempi di standardizzazione dei processi di trasformazione sono riscontrabili nelle più diverse attività aziendali: dai reparti di produzione (dominati dai cicli
di trasformazione) agli uffici amministrativi (governati mediante procedure). La standardizzazione
dei risultati attesi consente il coordinamento fra le diverse unità, definendo in anticipo la qualità e
quantità dei risultati che verranno prodotti da ciascun operatore (o unità elementare) e consentendo
dunque ad altri operatori (unità) di poter fondare i propri comportamenti sulla legittima aspettativa
che quei risultati attesi verranno prodotti. Questa forma di coordinamento si sviluppa in due fasi: la
fase della definizione dei risultati attesi (obiettivi) e la fase della misurazione dei risultati prodotti.
Esempi di standardizzazione dei risultati attesi si hanno in tutti quei casi in cui anziché pre-definire
in modo stretto e rigido una sequenza di micro-attività (procedura), si concede all’operatore maggiore autonomia discrezionale, vincolando meno i suoi comportamenti ma impegnandolo sui risultati da produrre, in quantità e qualità. Si pensi al caso dei venditori, per i quali pare improponibile una
proceduralizzazione dell’attività di vendita, giacché proprio nella sua capacità di adattarsi al contesto del cliente sta una delle chiavi di volta dell’azione di vendita. In tali circostanze quello che si
può fare è definire con chiarezza delle politiche aziendali che comunichino in modo chiaro ciò che
deve essere fatto dal venditore (per esempio promuovere i prodotti più nuovi, anche se più difficili
da vendere) e ciò che non deve essere fatto (per esempio promettere concessioni che poi non potranno essere mantenute). All’interno di tali limiti, l’azione, pur ispirata dalle politiche e dai valori
aziendali, è lasciata alle capacità e alla discrezionalità del venditore, il quale, in cambio di tale autonomia (e della remunerazione che riceve), si impegna a raggiungere determinati traguardi di vendita. La standardizzazione dei risultati è certamente più flessibile di quella dei processi. Tuttavia, nei
casi in cui le attività quotidiane non si prestino facilmente ad una programmazione e ad una misurazione dei risultati, le due forme di standardizzazione sin qui esaminate mostrano rilevanti limiti di
funzionalità. Si pensi al caso dei processi di ricerca e sviluppo di lungo periodo: poco programmabili per il loro contenuto innovativo e nel contempo difficili da misurare. In tali circostanze è ancora
7
Al crescere del numero e della frequenza di eccezioni, il coinvolgimento del supervisore diviene sempre più elevato
e determinante per il buon funzionamento dell’organizzazione, ma nel contempo il numero di eccezioni gestibili
nell’unità di tempo da parte di un supervisore è limitato. Ipotizzando, per semplicità espositiva, che, dato un certo contesto, mediamente il numero di eccezioni sia proporzionale al numero di operatori coordinati, ne discende un criterio
razionale di dimensionamento dell’unità organizzativa assegnata a un supervisore: il numero di operatori assegnati a un
supervisore ne definisce il cosiddetto span of control (ampiezza della supervisione). In tale prospettiva, al crescere della
varietà e variabilità del contesto ambientale (e dunque del numero di eccezioni) si dovrebbe ridurre l'ampiezza della supervisione. Ciò porta negli anni ad un aumento del numero di posizioni di supervisione e dei livelli gerarchici. In molte
organizzazioni contemporanee si registra oggi una tendenza a combattere questa tendenza naturale alla "verticalizzazione", riducendo fortemente le linee manageriali intermedie, con una richiesta di maggiore professionalità in cambio di
maggiore autonomia, potere decisionale e libertà di azione. Un intervento di questo genere verrà discusso nel caso proposto alla fine di questa sezione.
9
possibile una forma di standardizzazione/certificazione di conoscenze e competenze, che riguarda il
grado di professionalità richiesto per gli attori coinvolti.
In definitiva, dunque, i meccanismi di coordinamento che possono essere impiegati per "fare ordine" e rendere efficace la divisione del lavoro possono basarsi sull'adattamento reciproco, sulla supervisione diretta e sulla standardizzazione. Quest'ultima può agire sulla programmazione dettagliata e il controllo analitico delle attività (standardizzazione dei processi), ovvero su meccanismi di
definizione di obiettivi e misurazione dei risultati (standardizzazione degli output), o ancora su
meccanismi di creazione, diffusione e rinforzo di talune capacità e di prescelti valori di fondo
dell’organizzazione (standardizzazione/certificazione di conoscenze e competenze). Per una trattazione analitica molto più ricca e approfondita, rinviamo all'analisi delle forme di coordinamento individuate in (Grandori 1999): alle tre forme base illustrate in Figura 2 (autorità e agenzia, gruppo e
negoziazione, norme e regole) si aggiunge in quella sede quella dei meccanismi di voto e negoziazione8.
1.4.
L'assetto organizzativo
I meccanismi di coordinamento organizzativo agiscono per "fare ordine" a vari livelli: sui singoli
individui, su gruppi di individui, sull'intera organizzazione e anche a livello sociale. Una degli
schemi concettuali che ci permette di capire come questo avvenga è quello di assetto organizzativo9. L'assetto organizzativo è "l'insieme delle variabili che configurano l'organismo personale e che
definiscono, indirizzano e coordinano i comportamenti delle persone che lo compongono" (Airoldi
1989 p. 471).
8
L'analisi in (Grandori 1999) integra e sintetizza in modo originale la teoria del coordinamento organizzativo, individuando gli elementi essenziali su cui si basa in ultima analisi ogni organizzazione: la definizione delle modalità e delle espressioni possibili dei diritti e obblighi di azione, informazione, decisione, controllo, ricompensa e proprietà. Con
questo approccio di sintesi, l'economia, il coordinamento e la governance aziendale vengano trattati in modo unificato.
In precedenza il pensiero organizzativo, nella classificazione delle tre forme classiche rappresentate in Figura 2 (supervisione (autorità/agenzia), aggiustamento (negoziazione/gruppi) e standardizzazione (norme/regole)), includeva implicitamente nell'accezione di coordinamento la sola definizione dei diritti e obblighi di azione e di alcuni tra i possibili diritti e obblighi di informazione, decisione e controllo. L'inclusione esplicita di una vasta gamma di modalità e diritti/obblighi di decisione tra gli elementi costitutivi del coordinamento ha permesso di introdurre, accanto alle tre forme
classiche di coordinamento illustrate in Figura 2, una quarta modalità, poco trattata nella letteratura organizzativa sul
coordinamento: quella dei sistemi di prezzo e voto, presi in esame nel capitolo IV di (Grandori 1999).
9
L'introduzione e lo sviluppo del concetto di assetto organizzativo è dovuta principalmente a Giuseppe Airoldi: (Airoldi 1980; Airoldi 1989).
10
SISTEMI OPERATIVI
STRUTTURA
ORGANIZZATIVA
Sistema di gestione
del personale
Macrostruttura
Sistema di programmazione
e controllo
Microstruttura:
ruoli e mansioni
Sistema informativo
VARIABILI INDIVIDUALI, SOCIALI, DI CONTESTO
Variabili individuali:
Competenze, valori, bisogni
Variabili sociali:
Gruppi, coesione/conflitto, cultura
Variabili di contesto:
Ambiente, strategia, tecnologie, dimensioni
Figura 3. L'assetto organizzativo.
La Figura 3 illustra le principali componenti dell'assetto organizzativo: la struttura organizzativa
e i sistemi operativi, rappresentati in alto, sono in relazione con una serie di variabili individuali,
sociali e di contesto.
Convenzionalmente si individuano in ogni struttura organizzativa due dimensioni distinte: la
macrostruttura e la microstruttura. La macrostruttura di un'organizzazione non è direttamente osservabile come, ad esempio, la struttura di un edificio. Essa viene spesso rappresentata attraverso
l'organigramma aziendale, un grafico che individua le persone (posizioni) raggruppandole in unità
organizzative (organi) collegate tra loro da relazioni di dipendenza gerarchica. La microstruttura
permette, attraverso il sistema di mansioni, ruoli e profili professionali, di associare a ciascuna delle
posizioni organizzative una serie di attività tipiche, che in molti casi si possono distinguere in operazioni elementari. Si pensi alle operazioni da effettuare ad uno sportello bancario per l'incasso di
un assegno o la stampa di un estratto conto: esse fanno parte dei compiti affidati ad un impiegato di
banca. L'insieme dei compiti di una posizione prende appunto il nome di mansione. Il mansionario
è il documento scritto che descrive formalmente la mansione di ogni posizione organizzativa. Non
tutte le attività sono in effetti standardizzate e descritte compiutamente nei mansionari: ad esempio
il direttore di uno stabilimento di produzione si muove tipicamente entro un sistema di azione molto
ricco e mutevole, ponendo in atto tutte le iniziative che riterrà più appropriate al fine di vigilare sul
buon andamento della produzione10. Tutte queste attività possono trovare solo un'approssimativa
descrizione formale: esse vanno interpretate con un grado di flessibilità e autonomia, in base al ruolo che viene assunto dall'interessato. Il ruolo è "un modello di comportamento che soddisfa alle esi10
Tra queste ad esempio: attuare e integrare gli indirizzi tattici e strategici della direzione; avere cura dei propri collaboratori; gestire le eccezioni prendendo le decisioni necessarie; gestire gli eventuali conflitti; intervenire nella formulazione dei piani di produzione; promuovere la definizione e gestione dei sistemi di controllo.
11
genze o alle aspettative di gruppo nei confronti dell'individuo" (Rugiadini 1979, p. 182). Mentre la
mansione è un modello comportamentale oggettivamente determinato, scritto e specifico, il ruolo è
un modello soggettivo, non scritto e parzialmente indefinito: esso viene assunto e interpretato dai
singoli in base a professionalità, competenze e aspettative ed è influenzato dalle caratteristiche personali di ciascuno e dalla concreta dinamica di situazioni e relazioni personali. L'insieme delle mansioni e dei ruoli associati a ciascuna posizione costituisce dunque la microstruttura organizzativa,
che completa e specifica la macrostruttura rappresentata nell'organigramma. Una visione d'insieme
della struttura organizzativa, che comprende l'organigramma e il sistema di ruoli e mansioni ad esso
associato è fornita in Figura 4.
LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA
MACROSTRUTTURA
MICROSTRUTTURA
Alta direzione
IT management
Supply chain
Produzione
Vendite e Marketing
Pianificazione
e controllo
Gestione ordini
Vendite Italia
Gestione inventario
Stabilimento
Vendite Europa
Logistica
Stabilimento
Marketing
Ruoli
Organigramma
Mansioni
Figura 4. La struttura organizzativa.
I sistemi (o meccanismi) operativi sono "l'insieme dei processi che fanno funzionare «operativamente» il sistema organizzativo, inducendo adeguati stimoli al comportamento; mentre la struttura
organizzativa definisce gli elementi di base relativamente stabili del sistema di ruoli, i meccanismi
operativi ne rappresentano l'elemento dinamico [...]. I meccanismi operativi hanno di frequente i
caratteri di norme sociali valide a livello di sistema organizzativo globale o di sottosistemi variamente composti. Essi tendono a produrre, complessivamente, una pressione organizzativa sui comportamenti, concretando le richieste e le aspettative indicate nella struttura" (Rugiadini 1979, p.
267).
La letteratura offre varie classificazioni dei sistemi operativi11; In sintesi essi comprendono le
norme e le tecniche che supportano, sovrintendono e disciplinano i processi di informazione e di
comunicazione, di decisione, di programmazione e controllo, di valutazione delle performance, di
gestione del personale. Negli ultimi 25 anni una parte rilevante di essi è stata variamente incorporata nei sistemi informativi aziendali. Ai nostri fini sarà sufficiente individuare tre grandi categorie di
sistemi operativi: di informazione e comunicazione; di programmazione e controllo; di gestione del
personale12.
11
12
Rugiadini (1979) ne descrive originariamente 6 tipi; Airoldi (1980) individua e analizza 11 distinte categorie.
Cfr. anche (Costa 2004), cap. 5.
12
Struttura e sistemi operativi sono influenzate dalle condizioni del contesto (variabili di contesto:
ambiente, strategia, tecnologie e dimensioni aziendali) e dagli aspetti comportamentali (variabili individuali e sociali: competenze, valori e bisogni, gruppi, conflitto, cultura), raffigurati nella parte
inferiore di Figura 3. Il manuale (Daft 1983) costituisce una buona introduzione di base all'analisi
delle variabili di contesto, che non verrà considerata in questa sede. Le variabili comportamentali,
ivi inclusa la cultura organizzativa, avranno invece spazio nel seguito di questo capitolo.
Nel loro complesso, dunque, le scelte tipiche dell'assetto organizzativo di un'impresa riguardano
fondamentalmente le persone, le attività e la distribuzione delle risorse. Bisogna capire quante e
quali persone siano necessarie in azienda, ponendo attenzione ai profili di personalità, competenze e
conoscenze. E' necessario strutturare opportunamente l'organigramma aziendale, individuando le
unità organizzative (organi: funzioni, uffici, gruppi di lavoro) e le posizioni, i livelli gerarchici, i livelli di delega, di responsabilità, il grado di comunicazione e interazione. Per ciascuna unità organizzativa e per ciascuna posizione vanno inoltre identificati e assegnati gli obiettivi da conseguire e
le risorse a disposizione, definendo in modo appropriato mansioni, ruoli, responsabilità, autorità e
forme di controllo, retribuzione e prospettive di carriera, con l'obiettivo ultimo che ciascuno compia
al meglio le attività necessarie a massimizzare la performance dell'organizzazione secondo le indicazioni strategiche.
In altre parole, l'assetto organizzativo è il mezzo attraverso il quale avviene la divisione e l'esecuzione del lavoro: le molteplici attività necessarie al business vengono concretamente individuate,
prese in carico e messe in atto da persone con precise posizioni di autorità e responsabilità ordinate
e raggruppate in base all'organigramma aziendale (macrostruttura), secondo un determinato sistema
di ruoli e mansioni (microstruttura), grazie ai meccanismi di informazione, controllo e ricompensa
(sistemi operativi: informativo, di programmazione e controllo, del personale).
Nel riquadro che segue viene brevemente illustrato l'intervento di Sergio Marchionne sull'assetto
organizzativo del gruppo FIAT, avviato dopo la sua nomina ad amministratore delegato del gruppo
nel 2004, secondo alcuni resoconti della stampa.
[Riquadro] L'intervento di Sergio Marchionne sull'assetto organizzativo FIAT
Il nuovo organigramma FIAT
Il mese di agosto è servito all'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, per riempire le caselle del nuovo organigramma della Fiat auto. E la giornata di ieri, interamente trascorsa in
riunioni e incontri con singoli manager, ha dato la possibilità di verificare le ultime scelte, sciogliere
gli ultimi dubbi. Così, rispettando la tabella di marcia stabilita prima dell'estate, il vertice del gruppo si appresta ad annunciare domani i nuovi uomini e le nuove funzioni a cui viene affidato il compito di cambiare pelle alla divisione auto archiviando il modello delle business unit su cui aveva
puntato l'allora amministratore delegato Giancarlo Boschetti. Quel tipo di organizzazione non ha
dato i risultati sperati e Marchionne, che di modelli organizzativi è un esperto, ha deciso di voltare
pagina d'intesa con l'amministratore delegato di Fiat auto, Herbert Demel. La nuova Fiat auto raccoglierà sotto lo stesso tetto i marchi del gruppo, che verranno seguiti dalla progettazione alla produzione fino alla commercializzazione. Questo significa che Fiat, Alfa Romeo, Lancia, veicoli
commerciali e ricambi sono stati riorganizzati abolendo le divisioni e secondo la logica di ricercare
funzioni comuni.
Restano, in sostanza, cinque attività commerciali separate per ognuna delle cinque aree ma senza l'autonomia totale che caratterizzava le business unit e accentrando un buon numero di funzioni.
L'obiettivo è dare vita ad una struttura più snella, realizzando risparmi significativi sui costi e concentrando le risorse nelle aree più promettenti o bisognose d'interventi rapidi.
Prima di mettere nero su bianco le scelte in arrivo Marchionne ha voluto rendersi conto personalmente delle qualità e delle personalità dei manager coinvolti e, nelle ultime settimane, ha organizzato un piano d'incontri serrato. La struttura che verrà annunciata punta alla valorizzazione di
leadership manageriali a cui è affidato il compito di rilanciare i diversi settori di Fiat auto. Fonda13
mentale sarà la tendenza alla riduzione del numero delle piattaforme attuali, da cui nascono i singoli
modelli. Meno piattaforme significa meno costi e il tentativo è di provvedere con la tempestività
necessaria.
(fonte: Il Sole 24 ore, 31 agosto 2004)
Le "quattro D" di Marchionne
Il Marchionne pensiero sul management è alla base delle scelte degli uomini che occuperanno le
28 caselle determinanti del nuovo organigramma di Fiat auto. Due i parametri fondamentali utilizzati nella valutazione dei manager: le performance ottenute e la capacità di leadership. Per valutarli
l'amministratore delegato del gruppo Fiat, Sergio Marchionne, ha speso buona parte delle ultime
settimane incontrando uno per uno i dirigenti in carica (da confermare o sostituire) e i candidati alla
successione. Lunghi incontri, che nei corridoi di Fiat auto sono stati subito definiti <radiografie impressionanti>, in cui Marchionne si è dimostrato molto alla mano ma anche molto determinato nel
far capire che la situazione richiede terapie d'emergenza, che l'azienda deve cambiare. E in fretta.
Per questo le verifiche saranno quotidiane e soltanto chi darà risultati resterà al suo posto.
Punto di partenza è il rovesciamento della logica che caratterizza l'organizzazione al vertice di
molte grandi aziende italiane: il passaggio dal sistema tradizionale gerarchico dell'ordine e dei controlli a quello delle deleghe e del fare. L'ordine di scuderia è che i problemi non vanno soltanto individuati ma devono essere risolti assumendo le responsabilità del caso e responsabilizzando i collaboratori. La conseguenza è che i 28 uomini chiave avranno piena libertà d'azione perché sono
chiamati a vincere quella che è stata definita da Marchionne <una vera sfida>. La semplificazione
dei processi, attuata archiviando il modello delle business unit, contribuirà a responsabilizzare i
manager e a misurarne i risultati.
La scelta iniziale è stata di valorizzare le risorse interne al gruppo, come risulta evidente considerando che 22 caselle su 28 sono state occupate da dirigenti interni al gruppo, soltanto due da manager reclutati all'esterno a cui si aggiungeranno quattro nomi tenuti finora riservati. Ma nell'arco di
6-12 mesi altre verifiche verranno portate a termine. I leader di Fiat auto, come ha chiarito Marchionne, dovranno dimostrare di possedere alcuni requisiti fondamentali, sintetizzati nello slogan
delle <quattro D>. Drive sta per capacità di guidare, di dare spinta. Develop significa sviluppare business e valorizzare le persone. Decide è la determinazione nel prendere decisioni, anche dure e rischiose. Deliver indica la capacità di portare a casa risultati. Non basta essere competenti, insomma,
ma occorre tirare in porta e fare goal.
La richiesta esplicita è di lavorare in team, puntare sulla squadra. <Building only the best teams>, <costruire soltanto i team migliori>, è una delle regole base indicate ai manager. Ma anche
<acting quickly and decisively>, <agire rapidamente e in modo incisivo>. Certo l'obiettivo della
semplificazione richiederà ancora qualche intervento, perchè un organigramma con 28 funzioni resta piuttosto pesante. Così come appaiono assai impegnativi i compiti affidati a Herbert Demel, impegnato su tre fronti: l'incarico di amministratore delegato, la direzione generale e, sia pure ad interim, la responsabilità del brand più importante, quello Fiat.
(fonte: Il Sole 24 ore, 2 settembre 2004)
L'intervento di Marchionne ha agito su:
Macrostruttura. Abbandonando il precedente modello organizzativo delle unità di business
(struttura divisionale: vedi sezione 2.1), è stata riprogettata la macrostruttura organizzativa, ridisegnandone l'organigramma secondo un modello funzionale (su più dimensioni).
Microstruttura: ruoli e mansioni. il sistema delle "4 D" (drive, develop, decide, deliver) si è rivelato un modo efficace per comunicare un nuovo modello di ruolo per i manager.
Sistema operativo del personale: selezione. I criteri di selezione del personale a livello manageriale sono stati profondamente rivisti, apportando nel contempo un decisivo ricambio manageriale;
14
valutazione: il nuovo sistema di valutazione manageriale è bastato su criteri molto chiari, premiando
la capacità di leadership e quella di conseguire risultati misurabili
Sistema di programmazione e controllo, sistema informativo: in un'ottica di delega e responsabilizzazione, ma anche di verifiche e controllo quotidiano, il budget e il sistema informativo assumono ulteriore importanza; essi sono gli strumenti concreti per la determinazione dei "risultati misurabili" su cui si basano non solo le decisioni manageriali sulla gestione aziendale ma anche la valutazione dei manager e dei loro collaboratori.
La struttura organizzativa (macro e micro) e i sistemi operativi sono le componenti chiave dell'assetto organizzativo, e verranno discusse nel resto di questa sezione.
1.5.
Organigrammi, dimensioni strutturali e collegamenti orizzontali
La Figura 5 illustra i primi due livelli gerarchici dell'organigramma di FIAT SpA. Le prime due
caselle in alto costituiscono l'alta direzione: Il Chief Executive Officer è l'amministratore delegato,
che riporta al Board of Directors, cioè al Consiglio di Amministrazione. Le 10 caselle nei due livelli
sottostanti dello schema costituiscono le 10 funzioni principali, che si trovano tutte allo stesso livello gerarchico. Ciascuna di esse infatti riporta al CEO, come evidenziato dalla linea continua di collegamento diretto. Nella parte bassa dello schema sono raffigurate altre società del gruppo, che hanno una loro macrostruttura autonoma ma che sono indirettamente collegate con linee tratteggiate di
riporto inter-company all'alta direzione.
Figura 5. Organigramma sintetico complessivo del Gruppo FIAT dopo la ristrutturazione.
L'organigramma è uno degli schemi più semplici ed efficaci di rappresentazione delle strutture
organizzative. Esso può essere completato da ulteriori informazioni. Infatti, come per caratterizzare
la descrizione di una persona si fa spesso uso di parametri come l'altezza, il peso, il colore dei capelli e degli occhi, allo stesso modo, accanto agli organigrammi, si impiegano una serie di indicatori
descrittivi delle strutture che sono molto utili a tracciarne un ritratto: essi prendono il nome di dimensioni strutturali. Qui di seguito verranno brevemente descritte due dimensioni macrostrutturali
15
(specializzazione e gerarchia) e tre microstrutturali (accentramento decisionale, formalizzazione e
professionalità).
 Specializzazione. Il grado di divisione del lavoro. Si misura confrontando le attività svolte
da ciascuna posizione organizzativa.
 Gerarchia. Rappresenta lo sviluppo delle linee di autorità formale. Lo sviluppo verticale
dell'organigramma misura la gerarchia: tanto maggiore è il numero di livelli gerarchici, tanto
più elevata è la gerarchia e tanto più sviluppato in altezza sarà l'organigramma. L'ampiezza
della supervisione (span of control) misura invece, per ciascuna posizione, il numero di riporti gerarchici, cioè il numero di collaboratori alle proprie dipendenze.
 Accentramento decisionale. Riguarda le decisioni, non le azioni. E' elevato se le decisioni
vengono accentrate ai vertici della gerarchia, è basso se esse sono distribuite a tutti i livelli
gerarchici, con un elevato ricorso alla delega.
 Formalizzazione. Indica la presenza e l'impiego di norme formali, cioè scritte. Il grado di
formalizzazione è misurato dalla quantità di normativa scritta presente in azienda, come
mansionari, regolamenti, manuali, codici di comportamento e simili. I mansionari, come vedremo in seguito, sono una componente importante della microstruttura.
 Professionalità. Il livello di formazione richiesto per una posizione organizzativa. Ad esempio una posizione di analista in una società di revisione di bilancio richiederà tipicamente
una laurea, con un grado di professionalità più elevato di quello richiesto per una posizione
di magazziniere in una impresa di produzione, per la quale di solito è sufficiente un livello
di istruzione elementare.
Le dimensioni macro e micro sono tra loro in relazione. Ad esempio, il confronto dei mansionari
di "aiuto cuoco/a" e "cuoco/a dietista diplomato/a" riportati nel riquadro che segue, rivela gradi diversi di professionalità: nel primo caso è sufficiente la licenza elementare, mentre nel secondo caso
è necessario il diploma di scuola media e un attestato di qualifica di cuoco/dietista diplomato. Al
più elevato livello di professionalità richiesto corrisponde un più elevato livello gerarchico: "... organizza e coordina il lavoro dei collaboratori ... assegnati". Parimenti, si prevede un maggior grado
di autonomia decisionale e di responsabilità: "sceglie autonomamente gli alimenti per il corrispondente tipo di dieta e garantisce il trattamento ineccepibile degli stessi durante la preparazione".
[Riquadro] Due mansionari a confronto
Aiuto cuoco/a
prepara i piatti sotto la guida di un preposto e svolge tutte le attività connesse alle sue mansioni.
(III qualifica funzionale)
Compiti
- accerta il fabbisogno di alimentari
- inoltra le ordinazioni, controlla le merci arrivate e provvede al relativo stivaggio
- predispone la lista delle vivande e prepara i pasti
- apparecchia e sparecchia la tavola
- lava le posate, le stoviglie e gli utensili di cucina e li rimette a posto
- collabora all’esecuzione di tutti gli altri lavori relativi all’economia domestica
Requisiti di accesso:
- licenza elementare nonché esperienza professionale almeno quadriennale nel settore specifico
o equivalente
- attestato di bilinguismo
Cuoco/a dietista diplomato/a
16
Elabora in stretta collaborazione con l’assistente dietista e/o il medico ricette per cibi e menu –
anche di natura complessa – e realizza le stesse in autonomia. Egli/Ella organizza e coordina
il lavoro dei collaboratori/delle collaboratrici che gli/le sono assegnati/e.
(V qualifica funzionale)
Competenze specifiche e compiti amministrativi:
- elabora in stretta collaborazione con l’assistente dietista e/o il medico ricette per cibi e menu –
anche di natura complessa – e realizza le stesse in autonomia
- sceglie autonomamente gli alimenti per il corrispondente tipo di dieta e garantisce il trattamento ineccepibile degli stessi durante la preparazione
- consiglia i colleghi di lavoro ed aiuta nella soluzione di problemi
- contribuisce alla diffusione dei principi di sana alimentazione per il mantenimento ed il ristabilimento di sana costituzione delle persone singole, comunità e gruppi di popolazione
- organizza e coordina l’acquisto di generi alimentari e inoltra gli ordini
- provvede al controllo delle merci acquistate in relazione alla quantità, qualità e ai costi delle
stesse
- continua a formarsi professionalmente
[…]
Requisiti di accesso:
- Diploma di scuola media inferiore nonché
- Diploma di fine apprendistato quale cuoco/a con successiva esperienza professionale triennale
e attestato di qualifica quale cuoco/a dietista diplomato/a a seguito di praticantato specifico
per il settore
- Attestato di bilinguismo C
(Fonte: Provincia autonoma di Bolzano - Ufficio personale delle scuole
http://www.provincia.bz.it/personal/0403/amministrativo/profili.htm)
Meccanismi di integrazione. La differenziazione che nasce tra unità organizzative specializzate
può determinare incomprensioni, tensioni ed anche conflitti. Un caso tipico è quello della relazione
tra la funzione marketing e la funzione produzione, che tendono spesso ad operare in modo conflittuale: vedi riquadro ###. Gli attriti tra funzioni diverse vanno gestiti ricorrendo a meccanismi chiamati di "integrazione" (o collegamenti orizzontali), come i contatti diretti, i contatti indiretti (es. attraverso mezzi di comunicazione o sistemi informativi) e i gruppi di lavoro temporanei.
La figura che segue illustra in modo sintetico i possibili collegamenti orizzontali, mettendone in
relazione il costo organizzativo con l'efficacia complessiva del collegamento. Il ricorso a ruoli di integrazione (come i product manager) o ai gruppi di lavoro permanenti interfunzionali (i team) costituisce l'intervento organizzativo più efficace ma anche il più costoso.
17
Collegamenti orizzontali – costo vs efficacia
alta
Team
Efficacia
Product manager
Task force
Contatti diretti
bassa
Sistemi informativi
basso
alto
Costo organizzativo
Figura 6. Collegamenti orizzontali. Rielaborazione da (Daft 2004, pag. 88).
I product manager sono posizioni organizzative dedicate a tempo pieno all'integrazione, tipicamente tra le funzioni di sviluppo prodotti, produzione e vendite. Il riquadro qui sotto ospita una tipica descrizione del ruolo e delle attribuzioni di un product manager, con alcuni approfondimenti che
includono il posizionamento gerarchico tipico della funzione, e le diverse attribuzioni che questa
posizione può assumere.
[Riquadro] Product Manager - Ruolo, attribuzioni e profilo
Product manager
I product manager pianificano, sviluppano, e dirigono le iniziative di marketing per un particolare marchio o prodotto. Non è raro per un brand manager avere la responsabilità del coordinamento
di attività di specialisti di funzioni diverse: produzione, vendite, pubblicità, ricerca e sviluppo, ricerche di mercato, acquisti, distribuzione, sviluppo package, e finanza.
Gli aspetti comportamentali tipici dei product manager includono l'orientamento ai risultati, la
creatività, il possesso di notevole abilità nei rapporti interpersonali, nella comunicazione, e nell'analisi; l'inclinazione imprenditoriale.
(Fonte: http://about.com/)
Approfondimento web
Indagine di Pragmatic Marketing sui product manager (Johnson 2007)
http://www.pragmaticmarketing.com/productmarketing/magazine/
[Riquadro] Star Trek, fabbisogno di integrazione e ruolo del product manager
I personaggi di Star Trek ci ricordano alcune figure presenti in molte organizzazioni di sviluppo
software nel settore IT. Ad esempio chiunque può vedere in Spock il tipico programmatore: logico e
senza emozioni, Spock è disposto a spendere ore su un problema indipendentemente dalle pressioni
a prendere una decisione veloce. Come quando in Star Treck IV, Bones implora Spock di provare
18
ad indovinare. Spock: "Indovinare non è nella mia natura." Eppure in molti casi, una conclusione
"tirata ad indovinare" da un programmatore è più che adeguata per prendere una decisione.
Sfortunatamente, i venditori sono spesso come il Capitano Kirk: azione impulsiva, chiedendo a
volte l'impossibile. D'altra parte, il Dottor McCoy è come molti uomini del marketing: emozione
senza logica, spesso si tirano indietro quando potrebbero agire: "Dannazione, Jim. Io sono un dottore, non un muratore". Fortunatamente, abbiamo Scotty che è un po' come un product manager:
Scotty inizialmente dice al Capitano Kirk che quello che richiede è impossibile, ma poi torna:
"Okay, ce l'ho fatta. Abbiamo il warp drive".
E dove sono gli amministratori? Al centro di comando, senza una minima idea di quello che sta
avvenendo sul campo.
Fonte: Johnson(2005), pag. 4.
In definitiva, dunque, l'assetto organizzativo, nelle sue componenti di macrostruttura, microstruttura e sistemi operativi, rappresenta la risposta al problema del coordinamento originato con la divisione nel lavoro. Se progettato e configurato correttamente, l'assetto organizzativo permette di massimizzare il conseguimento di economie (di specializzazione, di scala, di raggio di azione) e gli altri
obiettivi aziendali. A questo fine sono stati qui introdotti alcuni dei principi guida per la definizione
dell'assetto organizzativo: le interdipendenze tra attività e i meccanismi di coordinamento. Nel seguito vedremo come tali principi possano trovare impiego nella progettazione organizzativa.
2. Progettazione organizzativa
2.1.
Strutture di riferimento
L'assetto organizzativo è un fenomeno complesso che richiede delle semplificazioni e una vista
d'insieme. Gli schemi di sintesi si rivelano spesso più efficaci dell'analisi estensiva di processi e attività, almeno in una fase iniziale della progettazione. Per questo, prima di procedere alla descrizione delle tecniche di analisi delle attività, è opportuno passare in rassegna alcune delle tradizionali
configurazioni di base degli assetti organizzativi: le strutture unitarie, funzionali, divisionali, a matrice, orizzontali. Anche se nella pratica queste strutture di riferimento si riscontrano in forme più o
meno ibride, esse sono comunque molto diffuse e trovano frequente impiego nell'analisi comparativa delle caratteristiche essenziali dell'assetto organizzativo. Questa rassegna ha scopo puramente introduttivo. Per un'analisi più completa e rigorosa si rinvia a (Perrone 1990, cap. 17).
La struttura funzionale è uno dei modelli più noti e diffusi, in particolare tra le medie e le grandi
imprese. Il termine funzionale sta ad indicare una divisione del lavoro per funzioni, determinate in
base al cosiddetto criterio della tecnica: esse appartengono cioè alla stessa macro-fase del processo
di produzione del valore e impiegano solitamente tecniche e competenze omogenee: produzione,
vendite, amministrazione, ricerca e sviluppo, ecc.
19
Figura 7. La struttura funzionale (Perrone 1990, pag. 460).
La struttura funzionale riportata in Figura 7 può essere descritta in termini di dimensioni macrostrutturali: specializzazione e gerarchia.
Il grado di specializzazione è tipicamente visibile osservando l'articolazione orizzontale, e in particolare il numero di funzioni e sottofunzioni. In questo caso esso è piuttosto ridotto, ma appare
semplice e naturale nello sviluppo dell'organizzazione approfondire la specializzazione funzionale
moltiplicando le sotto-funzioni ai livelli più bassi, come avviene ad esempio per la funzione marketing in Figura 7, che si ramifica in pubblicità e vendite, suddivise fra Italia e Estero.
Gerarchia. In Figura 7 sono rappresentati quattro livelli gerarchici: il livello più elevato è quello
della direzione, che ha in staff le unità di supporto di gestione del personale e la funzione sistemi informativi (EDP). Al secondo livello gerarchico ci sono gli organi direttivi di funzione (finanza,
marketing e produzione), che hanno alle loro dipendenze gli organi operativi del terzo livello. Il
quarto livello gerarchico visibile è quello alle dipendenze dell'unità operativa vendite, con le sottounità operative Italia ed Estero. Si presuppone che debbano esistere ulteriori livelli gerarchici con le
singole posizioni operative, che non sono qui rappresentati. L'ampiezza della supervisione nell'esempio qui rappresentato è piuttosto ridotta: 3 per la direzione e 2 per le unità di marketing e produzione.
Dal punto di vista micro, nelle strutture funzionali la formalizzazione e l'accentramento decisionale possono assumere livelli elevati, alla ricerca della standardizzazione del lavoro e della massima
efficienza produttiva. Per evitare la degenerazione in forme eccessivamente burocratiche e per incentivare il personale migliorandone le condizioni e la contribuzione attiva, si sono sperimentate
negli ultimi decenni forme di allargamento, arricchimento e rotazione delle mansioni, associate a
volte a livelli più elevati di delega, autonomia e responsabilità. Questo tipo di interventi è oggi piuttosto frequente nelle organizzazioni contemporanee.
La struttura funzionale con l'inclusione di ruoli di integrazione come i product manager assume
convenzionalmente il nome di struttura funzionale modificata.
Opportunità da sfruttare: specializzazione elevata, standardizzazione delle procedure, efficienza
produttiva, economie di scala
Problemi da gestire: il fabbisogno di integrazione; la difficoltà nella gestione di imprevisti ed eccezioni con possibilità di accumulo di decisioni al vertice; l'incapacità di adattarsi a condizioni am20
bientali mutevoli. Quando possibile si può intervenire facendo ricorso ai collegamenti orizzontali;
aumentando il grado di delega delle decisioni e operando parallelamente per elevare il livello di
professionalità e autonomia.
La struttura divisionale. Come è intuibile, una delle prime fonti di incertezza e variabilità in una
organizzazione è la presenza di diverse linee di prodotto. Ad esempio l'organizzazione descritta nel
riquadro ### ha tre linee diverse (biscotti, pasticceria industriale e merendine) che si differenziano
fortemente sia nelle tecniche produttive (le torte sono addirittura prodotte in uno stabilimento diverso), sia nel marketing (diversi canali di distribuzione, clienti tipo ecc.). La struttura funzionale, che
si adatta particolarmente bene a organizzazioni con linee di prodotto singole o molto omogenee,
può ingenerare in questo casi un sovraccarico di decisioni al vertice per l'impossibilità di individuare e applicare poche semplici procedure standard ai livelli operativi.
Riquadro: Dolce Amaro (Fonte: Pontiggia 2000)
La nostra azienda cresce in modo caotico. Ogni anno riusciamo a guadagnare quote di mercato,
abbiamo il vento poppa, però è arrivato il momento di “strambare” (NDT: manovra velica difficile
con vento superiore ai 7 m/s): dobbiamo dare energia all’azienda introducendo delle innovazioni
anche a livello di struttura organizzativa. Come Lei sa (espressione dell’ascoltatore ?§*@ ?!!!! - intraducibile) noi lavoriamo fondamentalmente su tre linee di prodotto (biscotti, pasticceria industriale e merendine); queste seguono canali distributivi in parte differenti e hanno cicli di lavorazione altrettanto differenziati... Le faccio un esempio: questa merendina (mostra un specie di bolo di cioccolato, crema e zucchero) viene commercializzata dalla grande distribuzione e ha un target nei
bambini da 4 a 12 anni; dietro c’è un’attività di promozione a punti, ogni 150 punti viene regalato
questo peluche (estrae dall’armadio una specie di gorilla peloso e presumibilmente campo di coltura
di acari). Le merendine sono vendute con il nostro marchio e con poche variazioni anche con il
marchio di alcune catene distributive; sono prodotte nel nostro stabilimento di Malgrate sul Parco.
Guardi queste torte, sono prodotte dallo stabilimento di Milano nelle differenti varianti, pensi che
abbiamo introdotto anche una versione dietetica; questa crostata alla crema copre il fabbisogno di
calorie di una persona adulta per 3 giorni, per non parlare dei grassi. Una vera bomba calorica! Altro che questi giovani magri e deperiti... Infine i biscotti, il nostro fiore all’occhiello, solo a parlarne
mi sento ingrassare (primi segnali di voltastomaco dell’intervistatore); noi abbiamo preso a modello
i biscotti irlandesi tutto burro, strutto... Una meraviglia per la colazione di manager affamati, due
riempiono per tutto il giorno, una scatola dura settimane intere e il prodotto resta sempre friabile e
di grande qualità. Ora non voglio dilungarmi sulle caratteristiche della nostra produzione (espressione di sollievo dell’intervistatore che a fatica si trattiene dai conati di vomito), dobbiamo decidere
se passare ad una struttura divisionale o ad una struttura funzionale (come quella attuale) con
l’aggiunta di responsabili di prodotto. Come vede anche in fatto di organizzazione siamo per le ricette “vincenti”.
Le difficoltà di gestione si accrescono ulteriormente con le dimensioni dell'azienda, tanto che per
le grandi organizzazioni con molte diverse linee di business, una soluzione naturale da considerare
potrebbe essere lo smembramento in organizzazioni separate più piccole e più specializzate, a scapito però delle economie di scala e di raggio di azione e con una serie di interrogativi sulle forme di
governance complessiva, di ripartizione delle risorse e di allineamento strategico.
Una soluzione per molti versi simile, che preserva però l'unitarietà dell'organizzazione e i suoi
vantaggi è quella rappresentata in Figura 8.
21
Figura 8. La struttura divisionale per prodotto (Perrone 1990, pag. 483).
La struttura divisionale comprende infatti più divisioni autonome: nell'esempio qui considerato
sono una per ogni linea di prodotto, ma esse possono essere formate anche in base a criteri diversi,
come quello geografico (una divisione per regione geografica), quello della clientela (una divisione
per segmento di clientela), canale di distribuzione o altro. Una divisione è una "quasi impresa" specializzata nella gestione del proprio prodotto (o mercato, canale ecc.). L'unità a capo di ciascuna divisione (divisione prodotto A, divisione prodotto B nella Figura 8) riporta direttamente all'alta direzione (direttore generale), ma gestisce la divisione per obiettivi, in modo fortemente autonomo. Nell'organigramma di Figura 8, ciascuno dei due direttori di divisione ha in staff una unità di amministrazione e controllo.
La gerarchia della struttura divisionale esemplificativa rappresentata in Figura 8 presenta tre soli
livelli gerarchici. Al secondo livello vi è una serie di funzioni (personale, pianificazione, ricerca e
sviluppo e finanza) che sono comuni a entrambe le divisioni, e che dunque permettono ancora di ottenere alcune economie di scala e di raggio d'azione. Sempre al secondo livello si trovano i direttori
di divisione, che nello schema hanno un'ampiezza di supervisione rispettivamente di 3 (divisione
prodotto A) e 5 (divisione prodotto B).
Tipicamente il grado di specializzazione nelle divisioni è ancora più elevato di quello ottenibile in
una struttura funzionale, anche se esso porta a diseconomie di scala e di raggio d'azione, che possono essere solo in parte contenute con il ricorso a funzioni comuni. Basti pensare alle inevitabili duplicazioni di personale e infrastrutture: ogni divisione richiede spesso personale, uffici e risorse distinte. Questo aspetto rende dunque percorribile la divisionalizzazione solo a partire da organizzazioni di dimensioni elevate.
Nelle strutture divisionali il sistema operativo di pianificazione e controllo assume solitamente
un'importanza centrale: ciascun direttore di divisione ha a disposizione un budget, una sorta di minibilancio che evidenzia il risultato della divisione: tutte le transazioni da e verso la divisione sono so22
litamente effettuate con il sistema dei "prezzi di trasferimento" (Pilati 1990). "Di tale meccanismo si
può usufruire quando l'output di una divisione costituisce l'input di un'altra: si può fare in modo che
la divisione compratrice «paghi» il bene o il servizio acquistato dalla divisione venditrice [...]; lasciando alle divisioni la scelta se acquistare il bene all'interno ovvero all'esterno dell'impresa si innesca un meccanismo di controllo dell'economicità basato sul mercato" (Perrone 1990, pag. 486).
Se le struttura funzionali e divisionali perseguono innanzi tutto la ricerca dell'efficienza e della
specializzazione, le strutture a matrice e le strutture orizzontali sono invece le più adatte nei settori
e nei contesti culturali che privilegiano la collaborazione, il confronto, la partecipazione attiva, l'iniziativa e la creatività di ciascuno. Il grado di professionalità, di autonomia e di responsabilità in
questi casi tende ad essere molto più elevato, l'accentramento decisionale più ridotto, la gerarchia
meno evidente. Le strutture per processi (o orizzontali) sono costituite intorno a gruppi di lavoro interfunzionali coordinati da un responsabile (process owner); le strutture a matrice invece permettono la collaborazione e l'interscambio con gruppi di lavoro organizzati per prodotto o per cliente, oltre che per funzione, con il meccanismo dei "two boss managers", che sottopone i singoli ad una
duplice autorità. Senza entrare nei dettagli di queste due forme organizzative, per i quali rinviamo a
(Perrone 1990), cap. 17, ci limitiamo qui a notare che in entrambe il modello organizzativo adottato
privilegia l'apprendimento, la flessibilità e la capacità di innovazione all'efficienza operativa, ma richiede un particolare contesto culturale e un notevole e continuo investimento in capitale umano.
2.2.
Progettazione della macrostruttura
La tecnica di progettazione che verrà sommariamente introdotta in questa sede ha un approccio
"bottom up": essa parte dall'analisi di dettaglio delle attività e delle loro relazioni per raggrupparle
in modo ottimale, minimizzando cioè i costi organizzativi. L'assunto è che si possa progettare da zero la forma organizzativa, come se questa non esistesse in precedenza, per cui tale approccio viene
anche chiamato "a base zero". Esso è stata descritto per la prima volta in (Grandori 1988) e ha trovato spazio anche nel trattato sulle strutture organizzative di Perrone (1990) e nel testo di Grandori
(1995), ai quali rinviamo per un'analisi estensiva e per un inquadramento critico nell'ambito della
teoria organizzativa. L'idea alla base di questo approccio è che per ridurre i costi di coordinamento
le attività omogenee e/o collegate tra loro debbano essere raggruppate per quanto possibile nella
stessa unità organizzativa. La progettazione si articola essenzialmente in tre fasi: 1) definizione dell'elenco delle attività; 2) analisi delle relazioni tra tutte le possibili coppie di attività; 3) definizione
dei raggruppamenti di attività omogenee o collegate, da usare come base per la composizione di unità organizzative distinte.
Nella prima fase viene redatto un dettagliato elenco di tutte le attività elementari che caratterizzano l'area organizzativa oggetto di progettazione. Tali attività verranno poi riportate su una matrice
delle relazioni simile a quella della figura qui sotto, che viene riportata a puro scopo esemplificativo. Il livello di dettaglio e il numero di attività da tenere in considerazione è infatti di solito molto
più elevato.
23
Figura 9. Esempio di matrice delle relazioni tra attività. Fonte: (Grandori 1988, pag. 30).
Ogni casella della matrice corrisponderà ad una delle possibili coppie di attività. Essa accoglierà
alcune misure del grado di relazione tra le attività stesse, in modo di poterle poi raggruppare in base
ad esso. La legenda della figura illustra alcuni degli indicatori essenziali: interdipendenze e affinità.
Come già accennato in precedenza, l'analisi delle interdipendenze tra attività può svolgersi a vari livelli di sofisticazione. In questa sede, per semplicità, faremo unicamente riferimento a due tipologie
base: interdipendenze reciproche (intensità elevata) e interdipendenze sequenziali (intensità moderata). Ad esempio le attività di due persone che negoziano un contratto sono reciprocamente interdipendenti: esse devono essere svolte contemporaneamente e con una forma di interazione, sincronia e adattamento dinamico che si perde se le attività vengono separate tra loro. Spesso la separazione di attività ad interdipendenza reciproca non è fisicamente possibile, come nel caso di due persone che collaborino al trasporto di oggetti pesanti. Le interdipendenze sequenziali sono invece meno intense di quelle reciproche: l'attività di carico in magazzino di un prodotto sarà sequenzialmente
dipendente da quella di confezionamento e imballaggio del prodotto stesso, anche se potrà - in linea
di principio - essere svolta separatamente, pur con importanti vincoli di efficienza che andranno
considerati in sede di progettazione.
Se l'analisi delle interdipendenze riguarda la natura e il flusso delle attività, l'analisi delle affinità
è invece legata ai soggetti. L'affinità tecnica si riferisce infatti al profilo di tecniche, esperienze e
conoscenze richiesto alle persone che dovranno compiere le attività stesse: ad esempio un addetto al
controllo di produzione dovrà possedere conoscenze tecniche sulle caratteristiche dei processi di lavorazione, sui macchinari impiegati, sull'impiego dei sistemi informatici, ecc; un responsabile degli
acquisti di materie prime dovrà invece avere competenze specifiche sui fornitori, sull'andamento del
mercato, sui prezzi e le caratteristiche delle merci da negoziare, ecc. Confrontando il profilo tecnico
delle coppie di attività sarà possibile individuare il grado di affinità tecnica da riportare nella matrice: profili simili corrisponderanno ad elevata affinità tecnica e viceversa. L'affinità di orientamenti
si riferisce invece al profilo comportamentale dei soggetti, con particolare riferimento ai tratti caratteriali, cognitivi, emotivi, culturali e agli stili direzionali potenzialmente associabili a ciascuna attività. Questo tipo di associazione è evidentemente più complesso di quello tratteggiato finora per le
interdipendenze e per le affinità tecniche. Gli aspetti oggetto di analisi sono quelli che riguardano
24
una buona parte degli studi sul comportamento organizzativo, che saranno illustrati in seguito: i
tratti della personalità, le tipologie e le modalità di percezione e apprendimento, gli stili direzionali,
l'attitudine e la capacità di lavorare in gruppo e di gestire conflitti. Alcuni degli orientamenti più
spesso presi in considerazione nell'analisi delle affinità sono: orientamento al breve o al lungo termine; orientamento all'ottimizzazione o all'innovazione; orientamento ai compiti o alle persone; orientamento allo stile direzionale autoritario o partecipativo.
Il caso illustrato in (Grandori 1988) prevede ad esempio l'analisi dell'affinità tra le attività di progettazione preventiva e di progettazione esecutiva. Dato che nel caso in esame i progetti esecutivi
sono semplicemente una versione più dettagliata di quelli preventivi, le due attività sono tecnicamente affini, perché richiedono sostanzialmente lo stesso profilo di conoscenze tecniche. Per quanto
riguarda invece gli orientamenti alle persone, però, mentre le attività di progettazione preventiva richiedono un elevato contatto con il cliente, con un orientamento alle persone piuttosto che ai compiti, un'elevata creatività e capacità di non perdersi nei dettagli; la progettazione esecutiva richiede invece una maggiore capacità di analisi, di attenzione ai dettagli, di precisione e un orientamento prevalente ai compiti piuttosto che alle persone. Le due tipologie di attività saranno dunque tecnicamente affini ma non possiederanno un grado elevato di affinità di orientamento, come illustrato dagli indicatori posti nella matrice di Figura 9: "T" ad indicare affinità tecnica ma non "O" ad indicare
la mancanza di affinità di orientamento.
Una volta compilata la matrice delle relazioni tra attività, la parte finale della progettazione sarà
la definizione dei raggruppamenti di attività interdipendenti e affini, che costituiranno i nuclei sui
quali costruire diverse ipotesi alternative di macrostrutture. Il risultato del raggruppamento delle attività non è dunque quasi mai univoco: diverse soluzioni alternative potranno essere individuate,
che saranno oggetto di analisi comparata.
Oltre alla matrice delle interdipendenze e delle affinità, bisognerà considerare i limiti dimensionali per le costituende unità organizzative: nel passato, ad esempio, si riteneva che ci fosse un limite
massimo di 5-6 posizioni all'ampiezza della supervisione,una visione ormai superata ma indice dell'esistenza di vincoli dimensionali, dovuti all'esistenza dei cosiddetti "costi di controllo" che possono salire rapidamente con la dimensione delle unità organizzative13.
Un ulteriore fondamentale criterio guida è quello delle economie di scala e di raggio d'azione,
che, come già specificato in precedenza, si riferiscono alle maggiori efficienze di produzione raggiungibili rispettivamente con volumi elevati (piuttosto che bassi) di produzione e con la produzione congiunta (piuttosto che separata) di due o più beni.
Sulla base di quanto discusso fino ad ora, sono stati individuati dei criteri guida per la scelta della
struttura più appropriata: da un lato essi tenderanno alla definizione dei confini efficienti delle unità
organizzative, dall'altro alla definizione di appropriati meccanismi di integrazione organizzativa.
Confini efficienti. Per la definizione dei confini efficienti di ciascuna unità organizzativa possono
impiegarsi i seguenti criteri: 1) massimizzazione delle interdipendenze all'interno di ogni unità e
minimizzazione delle interdipendenze tra unità, basato sull'analisi delle interdipendenze; 2) minimizzazione della differenziazione di specializzazione all'interno di ogni unità e massimizzazione
della differenziazione di specializzazione tra unità, basato sull'analisi delle affinità tecniche e di orientamento; 3) aggregazione delle attività con output producibili a minor costo congiuntamente che
non separatamente, basato sull'analisi delle economie di scala e di raggio di azione; 4) definizione
di limiti dimensionali per ciascuna unità posti dalla crescita dei costi di controllo (limite all'ampiezza della supervisione).
Meccanismi di integrazione. Nella progettazione organizzativa, il fabbisogno di integrazione viene considerato dopo la definizione dei confini efficienti, dal momento che "rimarrano infatti interdipendenze e affinità residue tra attività che sono state allocate ad unità diverse" (Grandori 1988, p.
36). Sarà dunque compito del progettista determinare l'entità dei diversi fabbisogni di integrazione,
13
Si rimanda pertanto al paragrafo "Limiti delle dimensioni delle unità" di (Grandori 1988, pag. 33) per una trattazione più dettagliata di questo aspetto.
25
sia in base allo studio della matrice delle attività che in base a una visione complessiva del concreto
funzionamento dei processi organizzativi, dotando così la struttura organizzativa di un appropriato
sistema di collegamenti orizzontali (vedi Figura 6).
[Riquadro] Approfondimenti web: Matrici di attività nella progettazione organizzativa
Questi due siti web si riferiscono a tecniche di analisi e progettazione simili a quella illustrata
nel testo.
Design Structure Matrix (MIT)
http://www.dsmweb.org/index.php?option=com_frontpage&Itemid=1
Matrix of change (MIT Center for Coordination Science)
http://ccs.mit.edu/moc/
2.3.
Progettazione della microstruttura
La progettazione della microstruttura appartiene tradizionalmente alla cosiddetta "organizzazione
del lavoro", che in senso moderno comprende non soltanto la definizione di ruoli e mansioni, ma
anche la formulazione di politiche di direzione e sviluppo delle risorse umane, attente al benessere
dei lavoratori, ai rapporti con i mercati del lavoro, alle politiche di innovazione, a quelle di valorizzazione e sviluppo delle competenze, agli aspetti di responsabilità sociale. Si tratta di uno dei temi
centrali degli studi organizzativi, con una lunga storia evolutiva di contributi teorici e applicativi
(Butera e Donati 1997). Si rinvia pertanto a (Costa 1997, cap. 10) e a (Grandori 1999, cap. 11) per
una trattazione più completa dell'argomento, inquadrata nel più ampio contesto dell'organizzazione
del lavoro.
Caratteristiche della mansione: formalizzazione, ampiezza, varietà, autonomia. Potremmo chiederci perché e fino a che punto sia utile avere una rigida definizione dell'elenco dei compiti di ciascuna posizione, riportata in forma scritta nel mansionario. In altri termini, qual è il grado ottimale
di formalizzazione richiesto? Appare piuttosto evidente come esso possa variare per attività di diversa natura, come ad esempio quelle di un operaio alla catena di montaggio rispetto a quelle di un
programmatore di software. Lo stesso dicasi per l'ampiezza della mansione, per la sua varietà/ripetitività, nonché per il grado di autonomia ad essa associato. L'autonomia è "l'estensione delle
attività di decisione, pianificazione e controllo attribuite alla posizione. Il grado di autonomia è espressivo quindi del grado di discrezionalità, autocontrollo e autodeterminazione" (Grandori 1999,
p. 407). In altri termini, l'autonomia della mansione misura la libertà relativa con cui si opera nel
proprio sistema di attività. Livelli crescenti di autonomia sono normalmente associati a livelli crescenti di responsabilità e di autorità gerarchica, per cui tale dimensione della mansione è in stretto
collegamento con l'articolazione verticale e il numero di livelli gerarchici della macrostruttura.
Nella progettazione del sistema dei ruoli e delle mansioni associate alle posizioni organizzative, il
grado di formalizzazione, di ampiezza, di varietà e di autonomia dipende da una molteplicità di fattori che agiscono in un sistema molto complesso. Ad esempio, alcuni dei principali fattori e delle
relazioni che influenzano la struttura delle mansioni o dei ruoli sono rappresentate in Figura 10, che
illustra un approccio integrato alla progettazione del sistema di organizzazione del lavoro (Costa
1997, pag. 298).
26
Figura 10. Approccio integrato alla progettazione del lavoro. Fonte: (Costa 1997, pag. 298).
Tuttavia, similmente a quanto osservato in termini di progettazione della macrostruttura, concentrando l'attenzione prevalentemente sulle attività, ed in particolare sui processi produttivi dell'organizzazione, è già possibile trarre alcune utili indicazioni di base per la definizione di ruoli e mansioni. A tale fine assume particolare rilievo non soltanto l'analisi delle interdipendenze, ma anche quella delle cosiddette "varianze". La varianza è definita come "una deviazione rispetto alla norma (di
svolgimento di un processo di trasformazione) [...] con effetti sull'output non trascurabili e che può
essere regolata solo attraverso l'intervento umano per cui interessa intraprendere azioni correttive
ed esse dipendono dall'organizzazione del lavoro umano" (Grandori 1999, pp. 401-2).
Spesso le varianze sono associate ad indicatori di stato di un processo, come temperature, livelli,
velocità, densità ecc.. La Figura 11 rappresenta nella colonna di destra una sequenza di attività del
processo di lavorazione "formatura dei blocchi di bitume" nel noto progetto sociotecnico Shell, come riportato in (Grandori 1999, p. 401).
27
Figura 11. Schema di analisi delle varianze. Fonte: (Grandori 1988, pag. 401).
Le cosiddette "varianze chiave" sono indicate in figura con una K e rappresentano un'importante
parametro da considerare nella progettazione delle mansioni, insieme alle interdipendenze tra varianze e a quelle tra attività. Ad esempio, se la temperatura del bitume si discosta dai livelli normali
quando esso è immagazzinato in cisterne, essa compromette nalla fase successiva la velocità del
flusso e il livello di riempimento delle forme, propagandosi in avanti fino alla fase finale del processo. Non è quindi sempre opportuno separare i compiti relativi a queste diverse fasi di lavorazioni, assegnandoli a posizioni diverse.
Oltre alle varianze e alle interdipendenze, la specificità delle conoscenze richieste per l'esercizio
di un'attività può fornire indicazioni utili per la loro aggregazione, similmente alle affinità tecniche
considerate in precedenza. Inoltre la specificità delle conoscenze richieste per una mansione è normalmente associata ad una sua maggiore ampiezza e varietà.
Varianze, interdipendenze e specificità delle conoscenze sono dunque i tre fattori base per la definizione del sistema di ruoli e mansioni a partire dall'analisi delle attività. Essi sono rilevanti per
determinare le caratteristiche generali del sistema di attività: il grado di non-formalizzazione, di
ampiezza, di varietà e di autonomia sarà infatti più elevato in presenza di varianze, interdipendenze
e specificità di conoscenze elevate. Varianze, interdipendenze e specificità delle conoscenze possono essere anche usate come criteri per l'aggregazione delle attività in mansioni, seguendo il principio base che mansioni specializzate affidate a diversi operatori andrebbero invece aggregate se le
attività presentano valori elevati di varianza e/o di interdipendenza oppure se hanno in comune forti
specificità di conoscenze.
28
In un sistema di ruoli e mansioni caratterizzato da bassa formalizzazione ed elevata ampiezza, varietà ed autonomia, l'importanza del sistema informale dei ruoli tende a prevalere su quella del sistema formale delle mansioni. L'intervento organizzativo sui ruoli, piuttosto che sulle mansioni, fa
leva, oltre che sull'"impulso ad agire" dei sistemi operativi , anche su una serie di fattori più squisitamente comportamentali che verranno considerati pià avanti: la leadership, la cultura organizzativa, la capacità di lavorare in gruppo.
3. Sistemi operativi
3.1.
Sistema di gestione del personale
### da Beretta sez. 4.2.2.1 pag. 123###
Ai sistemi di gestione dell’organismo personale compete di definire le dimensioni, la composizione e la dinamica del personale, nonché le ricompense da assegnare. A questa categoria appartengono:
 i sistemi di ricerca e selezione del personale – attraverso i quali si acquisiscono le risorse
umane dotate delle capacità e competenze di cui necessita l’azienda;
 i sistemi di dimensionamento degli organici – attraverso i quali si definiscono gli organici di
cui l’azienda abbisogna per un corretto funzionamento;
 i sistemi di formazione e sviluppo del personale – attraverso i quali si procede
all’adeguamento ai bisogni aziendali del patrimonio di competenze, capacità e conoscenze
detenute dai singoli;
 i sistemi di carriera – attraverso i quali si definiscono i percorsi professionali e i criteri di
promozione lungo tali percorsi;
 il sistema delle retribuzioni – che definisce le politiche di remunerazione adottate all’interno
dell’impresa;
 il sistema di valutazione delle prestazioni – che definisce criteri e metodi accolti per
l’espressione di giudizi di adeguatezza sulle prestazioni lavorative dei singoli;
 i sistemi di incentivazione – che determinano la struttura e la dinamica delle ricompense attribuibili all’interno dell’azienda.
Il sistema di gestione del personale assume in ogni azienda un'importanza centrale, tanto da costituire quasi oggetto di un intero campo di ricerca e di applicazione. Per un introduzione esaustiva a
questi temi cfr. (Costa 1990).
3.2.
Sistema di pianificazione e controllo
###da Beretta sez. 4.2.2.3 pagg. 126-30###
Fra i meccanismi operativi, assumono rilievo nel guidare e coordinare l’azione organizzata i
meccanismi di pianificazione e controllo fondati sulla definizione di obiettivi e la misurazione di
risultati. Il tipico funzionamento di tali meccanismi riflette il concetto di ciclo elementare di controllo sviluppato dagli studi di cibernetica: definito un obiettivo da perseguire, un sistema (un soggetto, una unità operativa, un’azienda), può guidare il suo comportamento verso il conseguimento di
quell'obiettivo regolando la sua azione in funzione degli esiti del monitoraggio continuo dei risultati
che produce (Beretta 1997). In pratica, attraverso la misurazione dei risultati e l’analisi del divario
che separa, di ciclo in ciclo, il risultato conseguito dall’obiettivo, il sistema cerca di rettificare il suo
comportamento in modo da avvicinarsi all’obiettivo.
Osservato in tale prospettiva il governo dell’azienda presuppone: una chiara definizione degli obiettivi da perseguire, la misurazione dei risultati conseguiti, l’identificazione delle cause degli eventuali divari fra obiettivi e risultati, l’attivazione di misure correttive. In sostanza i meccanismi di
controllo operano tipicamente a supporto del processo decisionale organizzato orientando al futuro
l’azione, guidando il processo decisionale, segnalando opportunità di interventi a rettifica dei corsi
di decisione o di azione intrapresi.
Riquadro (###da Beretta, riquadro pag. 127###)
Il governo come ciclo di controllo
29
Secondo gli studi di cibernetica, a fondamento del comportamento finalizzato di un qualsiasi sistema sta il ciclo elementare di controllo.
Tale ciclo, facilmente osservabile qualora si assumano a oggetto di indagine i sistemi semplici,
sistemi cioè non ulteriormente scomponibili in sottosistemi, si compone di alcuni elementi (si veda
la Figura ###4.6 Beretta####): i sensori, finalizzati a recepire gli stimoli provenienti o
dall’ambiente esterno o dall’interno; l’obiettivo, che finalizza il comportamento del sistema;
l’algoritmo, o regola decisionale che governa la selezione dei comportamenti da operare;
l’attuatore, che opera l’intervento selezionato.
Una prima forma di controllo è implicita nella razionalità e nella finalizzazione del sistema: il
recepimento di stimoli provenienti dall’esterno determina l’attivazione di un processo decisionale
che conduce a una azione. Si parla in tal caso di funzione risposta. Tale forma di controllo non è però di per sé sufficiente ad assicurare al sistema il raggiungimento dei suoi obiettivi: errori in fase
decisionale o di attuazione potrebbero infatti precludere tale esito.
A complemento della funzione risposta si pone dunque il ciclo di retroazione (o feedback), il
quale consente al sistema di autoregolarsi, individuando eventuali errori e provvedendo alla loro
correzione. Il ciclo di retroazione muove dunque dalla rilevazione dei risultati dell’azione, che vengono confrontati con gli obiettivi: la segnalazione di eventuali scostamenti attiva interventi correttivi. Tali interventi possono avere a oggetto sia l’attuatore, sia l’algoritmo. Nel primo caso
l’intervento mira a ristabilire l’affidabilità del sistema, eliminando mal funzionamenti che impediscono una corretta attuazione delle decisioni prese. Nel secondo caso l’intervento mira a modificare
l’algoritmo, contribuendo in tal modo a migliorare la qualità del processo decisionale e, dunque, a
generare apprendimento.
#################################
Figura ###4.6 Beretta#### Il ciclo elementare di controllo.
Confronto
obiettivi-risultati
Obiettivi Decisioni Azioni Risultati
1
2
Le finalità del controllo:
1 affidabilità del sistema
2 apprendimento
#################################
Figura 12. Il ciclo elementare di controllo.
I meccanismi in esame presentano alcune caratteristiche peculiari (Amigoni 1986). Innanzitutto
essi supportano il processo di gerarchizzazione degli obiettivi, ovvero contribuiscono ad articolare i
sintetici obiettivi aziendali in sub-obiettivi assegnabili a unità organizzative operanti all’interno
dell’azienda. Per esempio l’obiettivo di profitto aziendale, magari espresso in termini di reddito operativo aziendale, può essere articolato per aree di attività (linee di prodotti, aree geografiche,
gruppi di clienti) e assegnato ai responsabili di tali aree i quali dovranno orientare l’impiego delle
risorse che governano al fine di perseguire l’obiettivo. Per proseguire nell’esempio, all’interno di
ciascuna area di attività, l’obiettivo potrà essere ulteriormente scomposto in sub-obiettivi definiti
per classe di componenti di risultato governabili dai vari responsabili (per esempio obiettivi di ricavi attribuiti a chi governa le vendite, obiettivi di costi di produzione a chi governa l’impiego dei fattori di trasformazione, obiettivi di costi logistici a chi governa il processo di distribuzione). In tal
modo si viene a costruire una filiera di natura tipicamente gerarchica che lega gli obiettivi dei responsabili collocati ai diversi livelli, in una catena mezzi-fini in cui il conseguimento dell’obiettivo
di livello inferiore è fine per il suo responsabile ma nel contempo è mezzo per conseguire
l’obiettivo di livello superiore.
30
Il processo di gerarchizzazione degli obiettivi dovrebbe condurre a una autonomia di governo regolata: l’unità di livello superiore, una volta assegnati obiettivi a quella di livello inferiore, dovrebbe limitarsi a osservarne i risultati, salvo intervenire direttamente, in via eccezionale, qualora quella
unità dimostri una strutturale incapacità di governo degli obiettivi ricevuti. In tale circostanza,
l’unità di livello superiore riprende il controllo sulle risorse e sulle decisioni, esautorando l’unità di
livello inferiore. Ciò implica una revisione dei ruoli di responsabilità che può riguardare il solo responsabile dell’unità oppure implicare un ripensamento dell’assetto globale delle risorse e degli obiettivi assegnati a quella unità.
L’attenta considerazione del grado di conoscenza del contesto ambientale ha grande rilievo nella
progettazione e nell’impiego dei meccanismi di controllo. Si pensi a quanto più rigido debba essere
il controllo sul rispetto degli obiettivi di vendita per una unità operante in un business consolidato e
stabile (per esempio il cemento o la chimica di base), rispetto al caso di una unità operante in un
ambiente altamente dinamico per tasso di innovazione tecnologica e comportamento di acquisto
(per esempio la telefonia mobile o le bio-tecnologie). Nel secondo caso i meccanismi di controllo
più che verificare il grado di rispetto di obiettivi, peraltro sempre instabili, debbono aiutare a costruire un quadro interpretativo che possa guidare i processi decisionali.
La natura di sistemi operativi dei meccanismi di pianificazione e controllo si può apprezzare appieno qualora ci si soffermi a considerare i fabbisogni organizzativi che essi tendono a soddisfare
(Lorange 1980):
 adattamento: nei confronti dell’ambiente competitivo rilevante, attraverso la definizione di
obiettivi strategici coerenti con le finalità aziendali e attenti alle condizioni di contesto;
 integrazione: cioè collaborazione fra le varie unità differenziate di cui si compone l’azienda,
al fine di conseguire unità di intenti nei confronti delle richieste provenienti dall’ambiente
esterno (cfr. i meccanismi di integrazione, Figura 6);
 responsabilizzazione: cioè generazione di commitment, di impegno dei diversi attori aziendali nei confronti degli obiettivi aziendali;
 apprendimento: cioè sviluppo di capacità e competenze attraverso l’accumulo di esperienze,
al fine di sempre meglio supportare le strategie organizzative di risposta alle sollecitazioni
ambientali;
 allocazione di risorse strategiche: essendo strutturalmente scarse rispetto alle opportunità di
impiego, le risorse finanziarie, tecnologiche e di know how, manageriali e umane debbono
essere allocate in modi coerenti con le strategie organizzative prescelte.
Tali fabbisogni possono presentare aspetti di conflittualità, sicché il loro soddisfacimento ne richiede una accorta collocazione all’interno di un articolato processo organizzativo che si avvalga in
momenti diversi (fasi o cicli) di differenti meccanismi, idonei a soddisfare determinati fabbisogni.
In particolare si possono identificare quattro fasi:
 la fase di definizione degli obiettivi strategici: finalizzata a identificare le alternative strategiche rilevanti e a selezionare quali perseguire;
 la fase di programmazione strategica: finalizzata a sviluppare programmi di acquisizione e
sviluppo di risorse e di infrastrutture e ad allocare tali risorse in modo coerente con i fabbisogni determinati dalle scelte assunte nella fase precedente. In questa fase si deliberano gli
investimenti che debbono essere effettuati e si elaborano i grandi programmi di cambiamento strategico (va detto che spesso, nella pratica aziendale, le fasi di definizione degli obiettivi
strategici e di programmazione strategica si compongono all’interno di un unico meccanismo solitamente definito pianificazione strategica);
 la fase di budgeting: finalizzata alla definizione di obiettivi di breve periodo e allo sviluppo
di programmi operativi idonei a realizzare le strategie deliberate nelle fasi precedenti. Il contenuto operativo di obiettivi e programmi consente una dettagliata quantificazione dei fabbisogni di risorse da assegnare ai diversi responsabili aziendali e, conseguentemente, una loro
responsabilizzazione sugli obiettivi da conseguire;
31
la fase di monitoring: finalizzata a monitorare l’andamento dei risultati nei confronti degli
obiettivi onde attivare azioni correttive (laddove siano chiari i nessi di causalità) ovvero a
promuovere apprendimento (laddove il grado di incertezza sia elevato).
Al fine di rinforzare il commitment nei confronti degli obiettivi aziendali, sistemi di incentivazione possono essere attivati e collegati alla misurazione delle performance aziendali e/o dei singoli
manager.
Affinché il processo di pianificazione e controllo possa esprimere al meglio le sue capacità di governo, occorre che i diversi attori aziendali trovino coinvolgimento nei momenti e contesti decisionali in cui meglio possono esprimere le proprie competenze e prerogative. Il disegno del processo di
pianificazione e controllo consiste dunque nel distribuire i compiti manageriali connessi alle attività
di pianificazione, programmazione e controllo lungo l’asse dei tempi (cioè fra i diversi cicli) e fra i
diversi quadri direttivi (cioè fra i diversi livelli gerarchici e fra le diverse unità organizzative).
Immaginando a titolo esemplificativo di considerare una realtà aziendale strutturata strategicamente su tre livelli (livello di corporate, che definisce la strategia di portafoglio; livello di area di
business, che governa la strategia di business; livello di direzione funzionale, che elabora i programmi operativi), una schematizzazione di un possibile processo di pianificazione e controllo è
proposta nella Figura ###4.7 Beretta###.
Figura (vedi figura 4.7 Beretta ##########)
Corporate
Livelli
Cicli
Aree di
business
Direzioni
funzionali
Definizione
obiettivi
strategici
Programmazione
strategica
Budgeting Monitoring
Figura ### Il processo di pianificazione e controllo per livelli e cicli (Fonte: Lorange P., 1980).
#############

Figura 13. Il processo di pianificazione e controllo per livelli e cicli (Fonte: Lorange 1980).
Il disegno del processo di pianificazione e controllo costituisce dunque un momento importante
per la messa in opera dei meccanismi di controllo, che vengono in tal modo calati all’interno della
realtà aziendale, della quale, insieme agli altri sistemi operativi, promuovono il comportamento, facendo leva sulle relazioni gerarchiche definite dalle scelte di assetto organizzativo, sui flussi di informazione resi disponibili dal sistema informativo e sulle competenze professionali acquisite, accumulate e sviluppate attraverso i sistemi di gestione del personale.
3.3.
Sistema informativo
### da Beretta sez. 4.2.2.2 pagg. 123-25###
Il sistema informativo aziendale è un sistema composto da persone, tecnologie e procedure che
raccolgono, elaborano, trasmettono e archiviano dati con lo scopo di produrre e distribuire informazioni in azienda (De Marco et al. 1987; Camussone 1990). Vediamone più in dettaglio gli elementi
essenziali, raffigurati in ###Figura 4.5 Beretta ####:
###Figura 4.5 Beretta ####
Patrimonio dati Procedure
Mezzi tecnici Persone
32
Principi
Informazioni
Figura 4.5 Il sistema informativo aziendale (Fonte: Camussone 1990).
###Figura 4.5 Beretta ####
Figura 14. Il sistema informativo aziendale (Fonte: Camussone 1990).
 persone: individui che, a vario titolo e con ruoli diversi,
partecipano alla gestione dei dati
e alla produzione e diffusione delle informazioni. Per esempio gli addetti
dell’amministrazione vendite gestiscono le procedure e i sistemi (o componenti di sistema) dedicati alla evasione degli ordini da clienti, mentre gli addetti allo sviluppo interno
di applicazioni curano l’evoluzione del software interno;
 tecnologie dell'informazione (IT): infrastrutture, strumenti e applicazioni che, supportano,
gestiscono e governano le attività di acquisizione, elaborazione, scambio e archiviazione
di dati e di informazioni. Il riferimento è tipicamente all’hardware, al software e ai sistemi di comunicazione attraverso i quali il sistema informativo svolge le sue funzioni;
 procedure: regole che debbono essere rispettate e passi operativi che debbono essere
compiuti nell’acquisizione e nel trattamento dei dati, al fine di produrre informazioni utili,
nel rispetto dei principi di funzionamento del sistema informativo. Per esempio le procedure di accettazione di ordini da clienti prevedono solitamente una verifica del grado di
utilizzo dell’affidamento concesso dall’azienda, la approvazione (o meno) dell’ordine e la
trasmissione alla fase di pianificazione delle consegne. Tale sequenza di attività, se adeguatamente strutturata, nel contempo mette ordine nella evasione degli ordini pervenuti
(assicurando efficienza e qualità del servizio) e riduce il rischio di perdite dovute a mancato pagamento dei clienti;
 dati: rappresentazioni simboliche di oggetti e fenomeni il cui trattamento e la cui finalizzazione genera informazioni fruibili dai destinatari per specifici fini. Per esempio i dati relativi alle vendite effettuate nei confronti dei clienti (quantità vendute, prezzi di listino,
sconti concessi, termini di pagamento), opportunamente trattati possono generare informazioni utili a fini di gestione (valori di fatturato lordo e netto; previsioni di incasso);
Il sistema informativo, in quanto corpo "vivo" dell'organizzazione, viene progettato e gestito secondo principi che riflettono i valori e le linee strategiche aziendali. Nelle organizzazioni contemporanee, non di rado è proprio per mezzo del sistema informativo che particolari processi e modelli
di business possono trovare attuazione concreta (Afuah et al. 2002). Per questo l'IT in quanto tecnologia abilitante assume spesso una vera e propria una rilevanza strategica.
La progettazione, la realizzazione e la gestione del sistema informativo è non soltanto una attività
di tipo tecnico, che richiede competenze specifiche su hardware, software, sistemi di comunicazione, basi di dati, architetture, infrastrutture IT. Essa è anche un'attività di tipo manageriale, che influisce direttamente sulle altre componenti dell'assetto organizzativo. Il sistema informativo ha influsso diretto sulle attività e sui processi, (microstruttura), ma anche sulle unità organizzative (macrostruttura) e sui meccanismi operativi di pianificazione e controllo e di gestione del personale. Infine, le modalità e le dinamiche di adozione ed utilizzo del sistema informativo sono solitamente
collegate in modo molto stretto agli aspetti comportamentali come gli orientamenti personali, la cultura organizzativa, le motivazioni, le dinamiche relazionali. Dunque intervenire su un sistema informativo vuol dire spesso avviare un complesso processo di gestione del cambiamento organizzativo, dall'esito non sempre certo, il cui successo dipende dalla capacità di saper operare sia sulle
componenti tecniche che su quelle organizzative.
L'unità organizzativa a cui solitamente è demandata la gestione del sistema informativo assume il
nome di funzione sistemi informativi14. Una corretta definizione della funzione sistemi informativi
include non solo il disegno organizzativo a livello di macrostruttura e di microstruttura, ma anche
14
La funzione sistemi informativi è stata oggetto di analisi in (Pontiggia 1997a, cap. 5; Pontiggia 1997b).
33
l'individuazione appropriate delle competenze distintive (Pontiggia 2002), anche in relazione al modello di business adottato e all'allineamento perseguito tra sistema informativo e strategie aziendali.
Dato il tumultuoso tasso di innovazione dell'IT, la rapida obsolescenza delle competenze tecniche
pregresse e la necessità di formazione e rinnovo continuo del personale rappresenta una delle sfide
del CIO (Chief Information Officer: il manager che si occupa della gestione dei sistemi informativi). Tra le altre questioni che sono quotidianamente sulla scrivania del CIO menzioniamo la selezione degli investimenti e dei fornitori di IT; l'adozione di un metodo appropriato di sviluppo e integrazione delle applicazioni informatiche (ne sono stati proposti in dottrina oltre 1000); le politiche
e le tecniche per perseguire un utilizzo efficiente dei sistemi informativi da parte degli utenti (Pontiggia 2001); la definizione del livello e delle modalità di esternalizzazione dei servizi IT; la valutazione del ritorno degli investimenti IT; l'allineamento strategico e i meccanismi di governance del
sistema informativo in relazione alle politiche aziendali e al modello di business15. Per un'introduzione a questi temi basata sui contributi della ricerca organizzativa cfr. (Pontiggia 1997a; Martinez
2004).
4. Persone e comportamenti
4.1.
Introduzione: tratti della personalità, atteggiamenti, valori
Se l'assetto organizzativo non fosse costituito, in ultima analisi, da uomini e donne in carne ed
ossa, ma piuttosto da agenti artificiali, razionali e prevedibili, gli studi sul comportamento organizzativo non avrebbero ragione di essere, e ancor meno questa sezione. Invece non è così: per dare vita ad un'organizzazione è necessario sì analizzare e ottimizzare, ma anche emozionare e appassionare. Accanto alla chimica organizzativa è a spesso richiesta l'alchimia comportamentale. Pur se "l'uomo è un abisso, vengono le vertigini a guardarci dentro"16, ai fini organizzativi è tuttavia utile e anzi
necessario guardarci dentro, cioè osservare in modo sistematico i comportamenti umani non solo
nelle loro componenti oggettive e razionali, ma anche, per quanto possibile, in quelle soggettive,
che vivono di interpretazioni basate anche su aspettative, percezioni, emozioni, affetti ed umori.
Queste componenti, pur se complesse, profonde e in parte insondabili, hanno spesso una parte rilevante nelle dinamiche organizzative e saranno l'oggetto di questa breve rassegna introduttiva.
Il cosiddetto "Comportamento Organizzativo", che ha avuto origine e sviluppo prevalentemente
negli USA, col nome di "Organizational Behavior (OB)", è appunto lo studio dei fattori che determinano il comportamento di persone e gruppi di persone nelle organizzazioni. Nell'ambito dei temi
classici del comportamento organizzativo verranno qui brevemente illustrati alcuni contributi sulla
personalità e sui giudizi individuali, sul lavoro di gruppo, sui conflitti, sulla leadership e sulla cultura organizzativa. I brevi flash tematici qui riportati potranno essere approfonditi e meglio inquadrati
facendo riferimento ad un manuale specifico di OB: tra le (pochissime) edizioni in lingua italiana,
vedi (Tosi et al. 2002) e (Kreitner e Kinicki 2004).
Scelta delle persone giuste: questione di "feeling"?
Il primo test è sull' integrità. Il secondo test è sull'intelligenza. Il terzo biglietto per la corsa si
conquista con la maturità. Come per l'integrità, non c'è nessun test vero e proprio sulla maturità. Di
nuovo, bisogna basarsi su relazioni, reputazione e, soprattutto, "gut" (viscere, istinto).
(fonte: Welch e Welch 2005).
Come illustra il flash nel riquadro ###, accanto alle necessarie competenze e conoscenze, ci sono
caratteristiche personali, molto importanti per la riuscita nel lavoro e nella vita, che sono molto difficili da valutare in modo oggettivo. Jack Welch indica integrità, intelligenza, maturità e un atteg-
15
Il tema dell'IT governance rappresenta uno dei principali filoni di ricerca nel campo dei sistemi informativi. Per un'introduzione con un taglio applicativo vedi (Weill e Ross 2004).
16
La citazione da (Berg 1925, atto secondo) appare anche nel recente film di Roberto Benigni "La tigre e la neve"
34
giamento positivo e ottimista. In Google, ad esempio, si fa molta attenzione a entusiasmo, creatività, giocosità, cioè alla capacità di combinare gioco e lavoro.
E' possibile individuare e riconoscere nelle persone delle caratteristiche stabili che possano predirne il comportamento, anche in termini emotivi e relazionali? Gli studi di psicologia e di comportamento organizzativo da molti anni cercano risposte a questa domanda. Nonostante le parole di
Welch "bisogna basarsi su gut (viscere, istinto)", dai primi studi all'inizio del '900 ad oggi molti
progressi sono stati compiuti in questo campo. Si definisce oggi come "tratto della personalità" una
"particolare tendenza individuale, relativamente stabile e duratura, a reagire a livello emotivo e
comportamentale in un determinato modo" (Tosi et al. 2002, p.10). L'analisi dei tratti della personalità ha una lunga storia con posizioni e approcci molto diversi. Uno dei modelli oggi più affermato e
consolidato è quello dei cosiddetti "cinque fattori", che è stato sviluppato e messo alla prova in modo estensivo negli ultimi decenni17. L'idea da cui nasce questo modello, costruito attraverso un procedimento che prende il nome di "sedimentazione linguistica" è ben espressa da queste parole di
Raymond Cattel, che vi ha lavorato a lungo negli anni '40: "per ritrovarvi l'intera sfera della personalità, non si deve far altro che analizzare il simbolismo accumulato nel linguaggio, il solo che nel
tempo abbia potuto rispecchiare tutte le sfaccettature della natura umana che hanno importanza
per l'uomo" (da Cattel 1945, p. 70). Cattel era convinto che l'essenza della personalità potesse essere "distillata" dal linguaggio, attraverso l'analisi sistematica delle descrizioni dei comportamenti fatte da soggetti campionati in modo rigoroso. Egli partì da una lista di 4500 termini, selezionati circa
dieci anni prima da Allport e Odber analizzando oltre 18.000 parole usate per descrivere la personalità, per poi condensarla attraverso vari stadi di elaborazione statistica a 16 fattori, sui quali costruì
uno dei primi questionari di test della personalità (il questionario 16PF) che è ancora oggi in uso. In
quasi 50 anni di studi successivi, il numero di fattori presi in esame cominciò a convergere verso i
cinque "Big Five" del modello consolidato da Barrick e Mount: stabilità emotiva, estroversione, apertura, amabilità, coscienziosità. Secondo questo modello, la diversa misura in cui ciascuno di
questi cinque tratti è presente in ciascun individuo spiega l'intero universo comportamentale.
[Riquadro] Big Five: Approfondimenti sul web
-- La storia dei Big Five: da un articolo apparso on line su www.kuro5hin.org, un sistema collaborativo di contributi su tecnologia e cultura http://www.kuro5hin.org/story/2005/3/25/183037/595
-- Wikipedia sul Five Factors Model: http://en.wikipedia.org/wiki/Big_Five_personality_traits
-- University of Washington: Corso on line di introduzione alla personalità e alle differenze individuali,
analisi
racconti
Hemingway
http://www.onlinelearning.washington.edu/ol/intros/psych203/
Il modello dei Big Five è uno dei più semplici e collaudati attualmente conosciuti per l'analisi
della personalità, anche se nella pratica professionale gli strumenti psicometrici sono spesso molto
più articolati e complessi. Vari tipi di questionari e metodi standard di valutazione e selezione del
personale si stanno sempre più diffondendo negli ultimi anni18. Il riquadro che segue ### mostra però come la scelta delle persone giuste possa essere a volte effettuata con una valutazione intuitiva
che tende a "andare oltre" i test psicometrici, ma che richiede comunque una notevole esperienza.
17
Esso viene generalmente collegato ai nomi di (Barrick e Mount 1991), che hanno proposto un'analisi sistematica di
oltre 200 studi empirici precedenti basati su modelli a cinque fattori. Per rassegna critica della letteratura sui cinque fattori cfr. (Wiggins e Pincus 1992).
18
In (Jenkins 2001) viene proposta un'analisi della diffusione relativa e delle pratiche di impiego dei più noti strumenti di analisi psicometrica per le organizzazioni.
35
Questo tipo di scelte intuitive vengono a volte compiute dagli esperti in modo rapidissimo e quasi
inspiegabile19.
[Riquadro] Una selezione su basi "scientifiche"
A uno psicologo molto rinomato per il suo lavoro nello sviluppo di test di selezione e forte sostenitore del loro impiego nei processi di assunzione del personale, venne chiesto che cosa ne pensasse
di una candidata a una posizione nel suo dipartimento, la quale non era stata selezionata attraverso
alcun test. Lo psicologo, che aveva trascorso solo trenta minuti con lei, senza esitazione rispose:
«Non dovremmo assumerla, non funzionerebbe mai qui da noi. L'ho potuto vedere sin dai primi
cinque minuti del colloquio».
Fonte: (Tosi et al. 2002, pag. 47)
Persone con tratti caratteriali diversi hanno dunque delle tendenze di fondo a comportarsi in modo diverso. La personalità, però, per quanto delineata con precisione, anche se può fornire delle valide indicazioni generali, non è in grado di spiegare l'infinita varietà dell'universo comportamentale
di ciascuno di noi. Come si determinano le intenzioni comportamentali? Uno dei filoni classici degli
studi organizzativi su questo tema è quello della motivazione, che ha tradizioni molto antiche. Nel
tempo l'analisi della motivazione è passata dalla rassegna dei fattori motivanti20 allo studio dei processi psicologici interiori. In Figura 15. Un modello comportamentale semplificato. Fonte: (Tosi,
Pilati et al. 2002, pag. 30).Figura 15 è illustrato un modello di questo tipo, attraverso una mappa che
raffigura i concetti con dei rettangoli e le relazioni causali con delle frecce. Lo schema rappresenta
in modo semplificato gli elementi essenziali della teoria del comportamento pianificato (Ajzen
1991). Il comportamento, sulla destra, è influenzato dall'intenzione comportamentale, che a sua volta è collegata all'atteggiamento positivo o negativo che il soggetto assume nei confronti del comportamento stesso, nonché a tutta una serie di convinzioni (beliefs: credenze/convinzioni) e valori, cioè
principi generali ritenuti importanti dal soggetto stesso. Ajzen individua in particolare tre tipologie
fondamentali di convinzioni che hanno rilievo nel determinare le intenzioni: comportamentali, normative e di controllo. Ad esempio in un individuo l'intenzione di andare a caccia è collegata alle sue
personali convinzioni riguardo ai probabili risultati della caccia (es. sentirsi in colpa/orgogliosi,
stanchi/ temprati, delusi/soddisfatti, ecc.: convinzioni comportamentali). Essa è poi collegata alle
convinzioni riguardo alle aspettative delle persone ritenute importanti (es. incoraggiamento/diffida
da parte di familiari e amici: convinzioni normative). Infine, essa è collegata alle convinzioni sulla
presenza di fattori che potrebbero ostacolare o facilitare la caccia (es. sul fatto di sentirsi in grado di
potercela fare senza problemi di incapacità, insicurezza, conoscenze necessarie, costi, tempo a disposizione: convinzioni di controllo). Inoltre, i valori ritenuti importanti dal soggetto (nel nostro esempio il rispetto per l'ambiente, l'amore per la natura e per i boschi, l'importanza relativa di animali
ed esseri umani, l'importanza della vita e della sofferenza dell'animale), secondo Ajzen, influiscono
indirettamente sul comportamento, indirizzando in generale le convinzioni e gli atteggiamenti del
soggetto nei confronti del comportamento.
19
In (Gladwell 2005) le ragioni e i meccanismi di questo tipo di cognizione rapida e "istintiva" sono esplorate con un
resoconto affascinante e ben documentato. Ad esempio, le capacità intuitive e cognitive del Prof. Gottman, uno psicologo statunitense che è in grado di formulare previsioni sul futuro divorzio di una coppia anche solo osservando per pochi
secondi un litigio casuale, ricordano la fiducia e la sicurezza delle scelte di Jack Welch basate su sensazioni profonde
("gutt") quando seleziona i propri collaboratori. Tali "sensazioni" hanno tipicamente alla base una solida e vasta esperienza empirica, che distingue il "fiuto" dell'esperto da quello della persona comune. Nel caso di Gottman, Gladwell
mostra come il ricercatore abbia maturato il suo "feeling" nei molti anni di ricerche serviti a costruire il sistema scientifico di codifica SPAFF (SPecific AFFect coding system), oggi impiegato con successo per la codifica e l'analisi dei
conflitti tra coppie (Carrère e Gottman 1999). Il libro di Gladwell, di taglio divulgativo, illustra molti altri casi ed indagini sui fenomeni di cognizione rapida, proponendo spunti di interpretazione.
20
Tra questi la nota "gerarchia dei bisogni" di Maslow e la successiva distinzione tra fattori igienici e motivanti di
Herzberg.
36
Figura 15. Un modello comportamentale semplificato. Fonte: (Tosi, Pilati et al. 2002, pag. 30).
Dunque il fatto che un individuo assuma intenzionalmente un particolare comportamento (andare
a caccia), è strettamente in relazione al suo sistema di valori, convinzioni e atteggiamenti. A parità
di condizioni ambientali, anche per due soggetti con tratti della personalità simili, un invito ad una
battuta di caccia può rappresentare una prospettiva entusiasmante per uno e una proposta imbarazzante per l'altro. Se la teoria del comportamento pianificato da un lato spiega la variabilità e la relativa imprevedibilità dei comportamenti, dall'altro fornisce al manager utili strumenti di intervento:
ad esempio un uso appropriato della gerarchia e dei sistemi operativi di comunicazione e controllo
può rafforzare le convinzioni normative, mentre appropriati interventi di formazione e sviluppo di
capacità e competenze possono rafforzare le convinzioni di controllo. Un ruolo fondamentale è giocato dalla possibilità di coltivare e rafforzare, all'interno dell'organizzazione, un sistema di valori,
atteggiamenti, convinzioni e pratiche condivise. La teoria del comportamento pianificato, in sintonia con numerosi altri studi sul comportamento e la motivazione, mostra infatti quanto questi aspetti
siano rilevanti nell'indirizzare intenzioni e azioni. A questo proposito la cultura organizzativa, che
prenderemo in considerazione nella prossima sezione, assume dunque un'importanza centrale.
4.2.
Cultura organizzativa
La cultura organizzativa è un insieme di valori condivisi che si riflettono nelle convinzioni, negli
atteggiamenti, nelle pratiche e in ultima analisi nei comportamenti degli appartenenti all'organizzazione stessa. Tali principi ispiratori dell'azione sono tipicamente incarnati nei fondatori dell'organizzazione, che li hanno affermati e sostenuti con l'esempio, mostrandone concretamente la validità.
Hofstede, uno dei primi studiosi di cultura (noto tra l'altro per aver individuato i tratti caratteristici
delle culture nazionali), sottolinea il ruolo delle usanze e delle pratiche comuni come fattore di specificità di un'organizzazione. Le regole non scritte, gli usi e le convenzioni informali di ogni organizzazione vengono assimilati dai nuovi arrivati nella fase di inserimento in azienda, attraverso un
processo di apprendimento sociale simile per alcuni versi a quello che avviene in famiglia nei primi
anni di vita (Hofstede et al. 1990).
37
La cultura organizzativa, come l'iceberg di Figura 16, emerge solo in piccola parte attraverso una
serie di manifestazioni visibili come i simboli aziendali, le storie e gli anneddoti, i riti e le cerimonie
che si celebrano nell'organizzazione. Esse sono tipicamente cariche di significato in termini valoriali, indicando quello che davvero conta nell'organizzazione.
Cultura organizzativa - parte visibile:
simboli, storie, riti e cerimonie
Principi e valori fondamentali
Figura 16. La cultura organizzativa rappresentata attraverso un iceberg.
Nel riquadro che segue sono riportate due brevi storie che riguardano Google inc., l'azienda fondata nel 1998 da due studenti di Stanford che ha rapidamente acquisito la leadership internazionale
tra i motori di ricerca Internet e oggi vale più di Ford e General Motors messe assieme.
Le storie illustrano un aspetto valoriale piuttosto inconsueto nel settore che discende direttamente
dal modo di pensare dei due ragazzi (Larry Page e Sergey Brin): l'importanza "relativa" del profitto.
Google e l'importanza "relativa" del profitto
(fonte: Fortune, 2 ottobre 2006)
Prendiamo il casi di Sheryl Sandberg, una manager di 37 anni che è tra l'altro responsabile del
sistema delle inserzioni pubblicitarie su Google. Sandberg recentemente ha commesso un errore che
è costato a Google molti milioni di dollari: "Decisione sbagliata, mossa troppo affrettata, nessun
controllo, ho buttato del denaro" è tutto quello che è disposta a dire a riguardo. Quando si rese conto
delle dimensioni del suo errore, si recò a informare personalmente Larry Page, il cofondatore di google e il leader di pensiero informale. "O Dio, mi sento proprio male per questo" Sanberg disse a
Page, che accetto le sue scuse. Ma quando Sandberg si voltò per andarsene, Page disse qualcosa che
la sorprese: "Sono contento che tu abbia commesso quell'errore" disse."Perché voglio guidare un'azienda dove ci muoviamo troppo velocemente e facciamo troppo, non una in cui siamo troppo cauti
e facciamo troppo poco. Se non abbiamo nessuno errore come questo, vuol dire che non ci stiamo
esponendo abbastanza".
38
Quando un errore milionario merita una pacca sulla spalla, è ovvio che questa non è un'organizzazione normale come la vostra.
Se il profitto non è così importante, che cosa conta per Google? Il riquadro qui sotto contribuisce
a fornire un'idea dei principi di riferimento che Page e Brin non smettono di trasmettere all'azienda,
che come età media, vivacità, libertà, creatività e giocosità somiglia molto a un campus universitario californiano.
Dieci ragioni per lavorare per Google
(Fonte: http://www.google.com/jobs/reasons.html)
1) Dai una mano in aiuto. Con milioni di visitatore al mese, Google è divenuto una pasrte essenziale della vita di tutti i giorni - come un buon amico […].
2) La vita è meravigliosa. Essere parte di qualcosa che conta e lavorare su prodotti su cui puoi
credere è di grande soddisfazione.
3) Essere apprezzati è la migliore motivazione, per cui abbiamo creato un ambiente di lavoro
divertente e di ispirazione a cui sarai felice di appartenere, compreso di medico e dentista, massaggi
e yoga, opportunità di sviluppo professionale, day-care, sport, e un mucchio di snacks che ti sostengano durante il giorno..
4) Gioco e lavoro non si escludono a vicenda […].
5) Amiamo i nostri dipendenti e vogliamo che lo sappiano. Google offre per questo una straordinaria varieta di benefits […].
6) L'innovazione è la nostra prima linea. […]
7) Buona compagnia ovunque.
8) Unire il mondo, un utente alla volta. […] Noi pensiamo, agiamo, e lavoriamo globalmente.
9) Spingiti con coraggio dove nessuno è mai arrivato prima. Ci sono centinaia di sfide ancora da
affrontare. Le tue idee creative hanno importanza qui e vale la pena di esplorarle. Avrai l'opportunità di sviluppare nuovi prodotti innovativi che milioni di persone troveranno utili.
10) In fondo, un pasto gratis c'è. Infatti da noi potrai averne ogni giorno: salutari, appetitosi e
fatti con amore.
Tra gli aspetti visibili della cultura anche l'architettura, gli spazi e gli arredi hanno un ruolo importante, sia in termini simbolici che in termini pratici. Determinati ambienti da un lato trasmettono
messaggi a chi li vive, dall'altro tendono anche a facilitare le pratiche per cui sono stati ideati, come
in questo caso la collaborazione e il mix di gioco e lavoro. Lo stile di arredo della sede centrale di
Google (il cosidetto "Googleplex") incoraggia il gioco e il divertimento. Gli uffici e le sale sono
pieni di strane lampade colorate, biciclette, palloni ginnici, divani, cani, articoli da tutto il mondo,
schermi giganti che mostrano risultati di ricerca o annunciano eventi del giorno. E' stato scritto che
"se il Googleplex esplodesse, i ragazzi che ci lavorano farebbero una gran fatica a tirarsi fuori da
una cascata di oggetti colorati come collane hawaiane, bandiere pirata, t-shirts divertenti, segnaletica buffa, un vestito di pelle a frange, migliaia di pezzi di giochi, giganti di Lego e simili" (Chang
2006). Lo speciale fotografico on line della rivista Time (Hoagland 2006) aiuta a trasmettere qualche elemento della cultura aziendale di Google, mentre per un quadro molto ricco e vivace della
storia di come è nata e si è sviluppata la cultura aziendale di Google si rinvia il lettore a (Vise e
Malseed 2005).
[Riquadro] Cultura e sistemi operativi
Il sistema di gestione del personale costituisce un mezzo molto efficace per spingere all'azione.
Welch racconta che Chuck Ames, CEO di Reliance Electric, è solito dire "Mostratemi il sistema retributivo di un'azienda e vi dirò come si comportano i dipendenti". Dunque essi hanno anche un aspetto valoriale: sottolineano ciò che l'organizzazione ritiene importante. Questo aspetto emerge
chiaro dall'avvincente racconto autobiografico di Lou Gertsner, ex amministratore delegato IBM,
dell'intervento che ha salvato l'azienda dalla peggiore crisi della sua storia e l'ha riportata ad un ruolo di leadership mondiale. Il libro è intitolato "Chi dice che gli elefanti non possono ballare?".
39
L'immagine di IBM come un elefante costretto a muoversi più velocemente dalle mutate condizioni
del mercato è estremamente evocativa. Una parte importante del libro è dedicata alla leggendaria
cultura aziendale di IBM, tradizionalmente improntata alla professionalità, alla serietà, alla formalità e all'eccellenza tecnica assoluta, e a come Gerstner abbia agito contemporaneamente con decisione ed energia verso il cambiamento, ma anche nel profondo rispetto dei valori primari sui quali era
nata IBM. Gerstner, tra le varie leve impiegate, ha fatto un uso deliberato del sistema retributivo,
del sistema di pianificazione e controllo e dei sistemi informativi di IBM per comunicare, sottolineare, verificare e premiare le azioni importanti e urgenti, anche quando queste fossero in qualche
modo in contrasto con le pratiche suggerite dai tradizionali valori della cultura IBM. I sistemi operativi possono dunque aiutare a rinnovare ed evolvere pratiche e usanze obsolete ma promosse da
una cultura organizzativa radicata nel tempo.
Similmente, anche in Google il sistema di gestione del personale ha una funzione di comunicazione e rafforzamento valoriale. "La filosofia retributiva di Google è quella di premiare in modo da
supportare i suoi obiettivi primari di business, che comprendono il supporto alla cultura aziendale di
innovazione e performance, e alla capacità di attrarre e trattenere i migliori talenti del mondo. Per
conseguire questi obiettivi, Google ha sviluppato il suo sistema retributivo su una base di retribuzione della prestazione ideata per dare elevatissime opportunità di premio per prestazioni elevate,
ma anche di condivisione del rischio di performance inadeguate. Questa filosofia si applica a tutti i
dipendenti Google, con opportunità di effetti leva sulla remunerazione e di meccanismi di condivisione del rischio commisurati a livelli crescenti di leadership e di responsabilità." (Great Place to
Work Institute 2007, p. 5).
4.3.
Gruppi di lavoro
"Una delle qualità che Google ricerca e misura nei candidati potenziali è l'abilità a lavorare efficacemente in un'organizzazione piatta e in piccoli gruppi, rispondendo ad un ambiente che cambia rapidamente" (Great Place to Work Institute 2007, pag. 7). Come si identifica e misura la capacità di un individuo di lavorare efficacemente in gruppo (team)? A che cosa è dovuta, oltre che alle
caratteristiche individuali, l'efficacia nel teamwork?
Il lavoro di gruppo è oggetto da tempo di numerosi studi. Considerando l'importanza crescente
che il lavoro in team e per progetti assume nelle organizzazioni contemporanee, è opportuno fornire
qualche cenno introduttivo sull'argomento, rinviando l'approfondimento a manuali di comportamento organizzativo come (Tosi et al. 2002, capp. 5-6) e (Kreitner e Kinicki 2004, capp. 11-13). In genere si distinguono diversi ordini di fattori che influiscono sull'efficacia del lavoro di gruppo: individuali, esterni ed interni. Individuali sono i fattori che riguardano i singoli componenti del gruppo;
esterni sono i fattori contestuali, che sono fuori dal controllo diretto del gruppo; interni sono invece
i fattori processuali, che riguardano le dinamiche con le quali si originano e si sviluppano le relazioni tra i componenti del team.
Tra le caratteristiche individuali, appare naturale pensare che i tratti della personalità possano rivelare l'attitudine al lavoro in team. Ad esempio, prendendo in considerazione alcuni dei "Big Five"
della personalità illustrati in precedenza, potremmo aspettarci che un individuo estroverso, amabile
e aperto sia preferibile, per il lavoro di gruppo, rispetto ad uno introverso, ostile e chiuso. In realtà
la relazione tra personalità e performance nel teamwork, sembra essere, da sola, troppo debole per
dare indicazioni utili in ambito di gestione del personale (Morgeson et al. 2005). Accanto ai tratti
della personalità, ulteriori requisiti individuali sono stati recentemente presi in considerazione, individuandoli con l'acronimo KSA (Knowledge, Skills and Abilities ), che ha dato il nome anche ad
uno specifico test psicometrico (Stevens e Campion 1994; 1999). A grandi linee, con KSA si distinguono capacità e conoscenze interpersonali e di autogestione. Quelle interpersonali includono la risoluzione di conflitti (3 tipi); il problem solving collaborativo (2 tipi) e la comunicazione (5 tipi);
quelle di autogestione comprendono la definizione degli obiettivi, la gestione delle performance, il
coordinamento e la capacità di facilitare i processi di assunzione del ruolo. E' stato riscontrato empiricamente che l'insieme dei fattori della personalità e KSA sono buoni indicatori della performance
40
di un individuo in un gruppo di lavoro. In particolare, risultano più adatti a lavorare in gruppo gli
individui con un grado elevato di estroversione e di coscienziosità e che sono dotati delle capacità,
abilità e conoscenze specifiche per il lavoro di gruppo sia interpersonali che di autogestione (Morgeson et al. 2005).
I fattori contestuali che influiscono sul lavoro di gruppo possono agire a livello di settore economico-industriale, a livello organizzativo, o al livello dei singoli gruppi. In alcuni settori lavorare in
team è spesso una necessità, perché permette di affrontare con maggiore efficacia attività e decisioni complesse e incerte, che sono frequenti ad esempio nel terziario avanzato o nei settori ad elevato
tasso di innovazione (es. servizi di consulenza professionale per le grandi imprese, biotecnologie,
sviluppo di software complessi, ecc.). A livello organizzativo tutti gli elementi costitutivi dell'assetto organizzativo sono importanti per l'efficacia del lavoro di gruppo, e particolarmente la struttura, i
sistemi operativi e la cultura. I team (temporanei o permanenti) possono essere impiegati come efficaci sistemi di collegamento orizzontale per tutti i tipi di struttura. Le strutture orizzontali per processi o per progetti, a cui si è fatto qualche cenno in precedenza, pongono invece il team alla base
dell'organizzazione stessa. Esse sono solitamente rafforzate e supportate nella microstruttura dal sistema dei ruoli e nei sistemi operativi dal sistema di gestione del personale. I sistemi di selezione,
ma soprattutto di formazione, valutazione e ricompensa del personale possono infatti essere orientati non solo a selezionare le persone più adeguate, ma soprattutto a incentivare e premiare le performance dei gruppi accanto a quelle individuali e a costruire e rafforzare un patrimonio comune di
conoscenze sulle tecniche e le pratiche di lavoro in gruppo attraverso adeguati strumenti di formazione interna. La cultura organizzativa e il sistema dei valori presente nell'organizzazione sono tra
gli elementi più importanti: essi nelle organizzazioni team-based (come Google) sono continuamente comunicati e rafforzati dai leader attraverso tutti i mezzi disponibili, primo fra tutti l'esempio. A
livello di gruppo rileva considerare aspetti come la dimensione, la struttura e la sponsorship del
gruppo. Le dimensioni incidono in modo rilevante sulla dinamica dei gruppi. Le particolari relazioni interne che si instaurano nei gruppi di due persone (diadi) e in quelli di tre persone (triadi) rendono spesso preferibile fare ricorso a piccoli gruppi, spesso intorno alle 4-5 persone; comunque di rado si raggiungono i dieci componenti. Infatti, al crescere delle dimensioni aumentano i costi di coordinamento e di comunicazione, costringendo il gruppo ad un grado più elevato di formalizzazione, riducendo le opportunità di partecipazione diretta e il grado di coesione21. La struttura del gruppo riflette in piccolo quella di un'organizzazione: essa è determinata dalla distribuzione delle attività
e dai ruoli assunto da ciascuno dei componenti. Spesso essa non è predeterminata in modo rigido,
ma si forma in modo più o meno spontaneo nelle prime fasi di costituzione del gruppo. Il processo
di individuazione e distribuzione delle attività e assunzione dei ruoli, che vedremo brevemente nel
seguito, è fondamentale ai fini dell'efficacia del gruppo. Spesso determinante è anche la sponsorship, cioè il supporto esterno al gruppo da parte di chi ha interesse, dentro o anche fuori dell'organizzazione, al successo del gruppo stesso. Il supporto della sponsorship può manifestarsi in vari
modi, tra cui la messa a disposizione delle risorse e delle infrastrutture necessarie al gruppo, la chiara definizione e approvazione degli obiettivi e dei risultati, le attività che rendono il gruppo visibile
e ne aumentano l'influenza.
Normalmente il processo di formazione di un gruppo prevede alcune fasi di sviluppo22. Uno dei
modelli più semplici e diffusi individua quattro fasi: forming, storming, norming e performing. La
fase di forming (orientamento) è solitamente caratterizzata da tentativi di sondare e comprendere la
situazione, assumendo informazioni e sensazioni preliminari sulla base delle quali ciascuno dei
21
Questo naturalmente non avviene in caso di bassissima interdipendenza delle attività (es. gruppi di ascolto) oppure
di elevata semplicità e strutturazione dei compiti (es. esercitazioni militari). Per un approfondimento vedi il cap. 5 di
(Tosi, Pilati et al. 2002), sezione "la composizione del gruppo" e i riferimenti ivi ospitati.
22
I ricercatori sono concordi sul fatto che esistano delle fasi identificabili, ma non c'è convergenza tra i diversi modelli proposti in letteratura. Quello di Tuckman illustrato qui, che risale al 1965, è comunque uno dei più semplici e diffusi.
41
componenti cercherà di assumere un ruolo proprio. Non esiste ancora una struttura completa di ruoli
e funzioni: il leader avvia in questa fase il processo di comunicazione degli obiettivi generali e definizione della struttura, spesso con il supporto degli sponsor. La successiva fase di storming prevede
l'assunzione dei ruoli e delle funzioni, quindi anche il concreto inserimento di ciascuno nella struttura informale di potere all'interno del gruppo. Intorno ai ruoli e alle funzioni più importanti, tra cui
quella del leader, possono nascere contese e conflitti, tanto a volte da mettere in discussione il
leader formale o da spezzare il gruppo in fazioni opposte. E' spesso in questa fase che si determinano tensioni di ruolo, a volte legate ad ambiguità (le persone non sono sicure di ciò che gli altri si aspettano da loro), distorsioni (le persone percepiscono e interpretano in modo distorto le aspettative
degli altri), o incongruenze dei ruoli rispetto alle caratteristiche degli individui, alle risorse o alla situazione. Giunto alla successiva fase di norming, il gruppo, individuato il suo assetto strutturale, ricerca la coesione e sviluppa il senso di collettività e lo spirito di squadra. Le aspettative di comportamento condivise, cioè le norme interne del gruppo, si sviluppano e si rafforzano durante tutto l'arco del ciclo di vita, ma trovano una configurazione relativamente stabile a partire da questa fase. La
fase successiva si chiama performing proprio a sottolineare che il gruppo è ormai in grado di concentrare le proprie energie sugli obiettivi e i risultati da conseguire. I gruppi efficaci in questa fase
hanno un elevato grado di adattamento reciproco e un livello contenuto di conflittualità, con costi di
coordinamento relativamente bassi.
I fattori processuali interni al gruppo sono stati oggetto di molti altri studi: oltre alle fasi di sviluppo e del ciclo di vita dei gruppi, essi hanno affrontato, tra l'altro, le dinamiche normative e di apprendimento sociale, le modalità di esercizio della leadership, lo studio dei rapporti di potere, l'analisi dei conflitti e delle tecniche di gestione, le tecniche e le dinamiche dei processi decisionali di
gruppo. Nell'impossibilità anche solo di sfiorare questi argomenti in questa sede, si rinvia ancora
una volta il lettore interessato ad uno dei manuali di Comportamento Organizzativo menzionati in
precedenza e alla letteratura ivi ospitata, nella consapevolezza di aver aperto soltanto un piccolo oblò che si affaccia su un mondo ricco e sconfinato. Esso non mancherà certo di ricompensare l'impegno e la buona volontà di chi intenda esplorarlo ulteriormente.
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Virili 2008 Gli Assetti organizzativi