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FISICA/
MENTE
METODO, FISICA E
METAFISICA
IN
RENÉ DESCARTES
PARTE SECONDA
Roberto Renzetti
1 - TRAITÉ DU MONDE O TRAITÉ DE LA LUMIÈRE
1.1 - Come nasce l'opera
Tra il 1630 ed il 1633, come abbiamo visto, Descartes scrisse il Traité du Monde o
Traité de Lumière (che ha come ultimo capitolo il Traité de l'Homme). Ma proprio nel
1633 si ebbe la brutale condanna di Galileo dal Tribunale della Chiesa. Questa notizia
convinse Descartes a non pubblicare il suo Mondo(1), che poi è l'insieme delle sue teorie
fisiche ed astronomiche basate sul copernicanesimo (il Mondo sarà pubblicato postumo
nel 1664). Vediamo quali sono le idee contenute in tale trattato tenendo sempre conto
che erano le idee di Descartes del 1633 e che su di esse era ritornato dopo il 1637 in
quanto vi figura una citazione della Dioptrique che è del 1637.
Il Mondo era nella mente di Descartes almeno dal 1929 come ci testimonia una
lettera del 13 novembre a Mersenne in cui Descartes dice che ha in mente di stampare un
piccolo trattato in cui spiegare tutti i fenomeni della Natura, ossia tutta la Fisica.
Questo lavoro egli lo intraprese ma senza affanno come egli stesso confidò a Mersenne
in altra lettera del 15 aprile 1630: io lavoro molto lentamente, perché godo molto di più
a istruire me stesso che a mettere per iscritto il poco che so). Nella stessa lettera dice
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che la sua speranza è di consegnargli la sua Fisica, distinta dalla Metafisica, agli inizi
del 1633. Tra l'altro egli lavorava simultaneamente anche al Discorso sul Metodo, con le
esemplificazioni della Dioptrique, delle Météores, de la Géométrie ed aveva anche in
mente quel Trattato di Metafisica (che doveva trattare dell'esistenza di Dio e delle nostre
anime separate dal corpo e perciò immortali) che disse aver sospeso quando venne a
conoscenza dei pareli che lo fecero impegnare proprio nelle Météores. E' possibile
seguire i progressi di Descartes attraverso la corrispondenza con Mersenne dalla quale
risulta anche un'ulteriore precisazione alla volontà di non pubblicare il lavoro. Nell'aprile
1634 scrive a Mersenne:
Tutte le cose che spiegavo nel mio trattato, e fra queste c'era la tesi del
movimento della Terra, dipendevano a tal punto le une dalle altre, che
basta sapere che una è falsa, per conoscere che tutte le ragioni di cui mi
servivo non hanno validità alcuna: e benché io pensassi che poggiavano su
dimostrazioni molto certe ed evidenti, per niente al mondo io vorrei
sostenerle contro l'autorità della Chiesa. Io so bene che si potrebbe
obbiettare a quanto gl'Inquisitori romani hanno deciso, non per questo è
senz'altro articolo di fede, e che bisogna innanzitutto che vi sia una
deliberazione conciliare. Ma io non sono invaghito a tal punto dei miei
pensieri da volermi servire di tali eccezioni per aver modo di mantenerli: il
desiderio che io ho di vivere in pace e di continuare la vita che ho
cominciato prendendo per motto bene vixit, bene qui latuit, fa sì che io sono
più contento di essermi liberato del timore, che avevo, di acquisire, per
mezzo del mio scritto, conoscenze superiori ai miei desideri, di quanto io
non sia irritato per il tempo perso e la fatica sostenuta per comporlo.
Ed in questo scritto dimentica ciò che aveva scritto in una lettera allo stesso
Mersenne del 14 ottobre 1630:
Attendo alla descrizione della nascita del Mondo, e in essa spero di
includere la maggior parte della Fisica. E vi dirò che quattro o cinque
giorni or sono, rileggendo il primo capitolo della Genesi, ho trovato come
per miracolo che tutto poteva spiegarsi secondo le mie fantasie molto
meglio, mi sembra, che in tutti quei modi in cui gl'interpreti lo spiegano cosa che prima non avevo mai sperato. Mi propongo ora, dopo avere
spiegato la mia nuova filosofia, di far vedere chiaramente che essa si
accorda molto meglio di quella di Aristotele con tutte le verità della fede.
quindi Descartes avrebbe potuto sostenere le sue tesi con qualche ragione ma, come egli
stesso disse poi nel 1634, bene vixit, bene qui latuit. In ogni caso, come già accennato
nella prima parte, il Mondo venne diluito, nelle parti che non implicavano il
copernicanesimo, in varie opere: nei Principia Philosophiae, nella Dioptrique, nelle
Météores, nel Traité des passions de l'âme. E' però conveniente prendere in
considerazione l'opera nella sua interezza così come era stata pensata e rivista,
certamente dopo il 1637, dallo stesso Descartes. Ed il motivo è ben descritto da uno dei
più grandi studiosi del filosofo francese, Eugenio Garin:
Forse nessuna delle opere cartesiane rispecchia con l'efficacia del Mondo
una ricerca appassionata che intende sostituire all'universo degli Scolastici,
e di Aristotele, tutt'altro universo. Nella «favola» del Mondo, ossia
nell'ipotesi di un nuovo sistema generale dell'universo fisico, ivi compreso
l'uomo, si traduce veramente una nuova «visione» globale della realtà: e
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proprio come «visione », ossia come intuizione generale non nata
dall'esperienza, ma dell'esperienza anticipatrice, e che nell'esperienza
cercherà una conferma.
L'incontro olandese del 1618 con Isaac Beeckman, geniale quanto singolare
scienziato, aveva avviato Descartes verso una fisica meccanicistica, al di
fuori della tradizione scolastica. Il Mondo è il frutto maturo di questo
orientamento, ma è anche il documento di una svolta decisiva: da
un'indagine che ha al centro matematica e metafisica, Descartes passa a una
ricerca fisica, e a una visione fisica del tutto. Per questo, sia nella
discussione critica di alcune nozioni essenziali delle teorie aristotelicoscolastiche, che nella delineazione di un «sistema del mondo» comprensivo
dell'uomo, il Mondo rappresenta un punto chiave nello svolgimento del
pensiero cartesiano. Di più, in certe sue parti, è «un testo che nessuna delle
altre opere di Descartes sostituirà», neppure i Principi, che pure vollero
essere, e furono, la summa di tutta una ricerca.
D'altra parte, se Descartes dichiara esplicitamente di avere interrotto un
discorso metafisico già avanzato («io credo di avere trovato - scrive nel '30
- come dimostrare le verità metafisiche in modo più evidente delle
dimostrazioni geometriche»), con altrettanta chiarezza ribadisce che «non
avrebbe saputo trovare i fondamenti della fisica, se non li avesse cercati per
quella via », ossia attraverso una metafisica. Se decisa è la svolta fisica,
altrettanto precisa è la connessione fra teoria dei fondamenti della fisica e
metafisica. Il nesso strettissimo si mostra in tutta la sua evidenza a proposito
delle verità eterne e delle leggi di natura. Non a caso il famoso scambio di
lettere con Mersenne sulle «vérités éternelles» è del '30 e coincide con
l'impostazione generale del Mondo.
Impostazione che è un inno continuo a Dio, ad un Dio a sua immagine. Tutto è
dovuto a Dio e Dio, grande geometra, ha fatto il mondo come Descartes lo descrive. E
Dio interviene dappertutto anche se il sistema sembra essere meccanico. Lo è ma non ha
il libero arbitrio perché è Dio che una volta per tutte ha deciso così. E Dio, dal momento
della creazione, sembra essere sempre impegnato a regolare le cose nel mondo. Ma che
Dio è, se è geometra e la geometria risulta perfettamente comprensibile mentre Lui no ?
Il fatto è che Dio serve a Descartes come un gigantesco postulato da cui ricavare,
deduttivamente ed a priori, l'universo intero. L'antinomia di una matematica
comprensibile e di un Dio che non può esserlo, si ricompone in un mondo che ci è stato
reso comprensibile attraverso una geometria che ha le sue basi nella metafisica. Il
matematico ed astrologo J. B. Morin (1583-1656) glielo osservò nel 1638 e noi
possiamo dirglielo adesso: sembra proprio che Descartes tenti di dimostrare le cause
attraverso gli effetti e gli effetti attraverso le cause. In ogni caso si tratta di una
ripetizione aggiornata di tutta la filosofia scolastica con un Dio, appunto impegnato a
creare e conservare. Ma è meglio passare ora ad un'analisi dei passi più interessanti della
Fisica di Descartes, in riferimento a ciò che è di maggiore interesse: la sua concezione
del mondo.
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1.2 - Il contenuto dei primi sei capitoli
Il fine più volte esplicitato da Descartes è quello di costruire un'immagine del
mondo che fosse fondamentalmente completa e che avrebbe solo richiesto,
eventualmente, qualche precisazione in dettagli. E' vero che si lavora per smontare
l'universo aristotelico ma lo spirito è scolastico perché non si procede induttivamente,
come Galileo, capendo dei pezzi sparsi in una ipotesi complessiva, la copernicana, e poi,
via via, invitando altri studiosi a completare ad analizzare, ad aprire nuovi campi di
ricerca. Qui vi è un'ipotesi di mondo (che sarà riportata anche nei Principia, con qualche
ampliamento tanto che qualcuno ha definito tale opera un "trattato di fisica teorica ante
litteram" confondendo la fisica teorica con eccessi di fantasia) dentro cui inserire i
fenomeni noti e le spiegazioni derivate dal suo Metodo che faceva affidamento solo su
concezioni matematiche e meccaniche. Come Aristotele, Descartes cercò di mettere
all'inizio del suo sistema degli assiomi che riteneva non dubitabili di modo che,
necessariamente, andò a postulare una metafisica basata sulla certezza della propria
esistenza, di quella di Dio e di alcune idee vere (come visto quando abbiamo parlato del
suo Metodo). Tali criteri vennero soddisfatti nella fisica attraverso la sua definizione di
materia e di impossibilità di vuoto (come discuteremo ora).
Dopo una breve discussione sui nostri sensi che ci mettono in contatto con il
mondo circostante, per dire che non dobbiamo dare per scontato che l'oggetto che
vediamo, udiamo e tocchiamo sia simile alle sensazioni che ce lo fanno conoscere(2)
(capitolo I), Descartes si intrattiene sulla natura del calore, del fuoco, sulla luce che da
esso emana (capitolo II) e su come intenderlo se solido - e fin dove - o se fluido
(capitolo III). Risulta una cosa straordinaria che cioè i corpi solidi sono quelli le cui parti
sono in riposo ed i fluidi sono quelli le cui parti sono in agitazione. Newton, nell'Optiks,
osserverà che i corpi sono cementati dal riposo, cioè da una qualità occulta. Ma, a parte
queste considerazioni che non sono da poco, Descartes non dice una sola parola
quantitativa per spiegare ad esempio cosa vuol dire "più grande" e perché i corpi più
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grandi hanno un potere di penetrazione più grande dei più pesanti. Sembra proprio che
Descartes non abbia alcun interesse alla meccanica quantitativa perché ciò che a lui
interessava era un cambiamento e basta, senza porsi troppi problemi. Nel capitolo IV
l'argomento trattato è il vuoto attraverso semplici esemplificazioni che tendono a
mostrarne innanzitutto l'impossibilità metafisica e quindi l'impossibilità sperimentale.
Inoltre da tali impossibilità deriva anche il tipo di moti che in qualche modo dal vuoto
derivano. Intanto egli afferma che se, in natura, si crea un qualche vuoto o interstizio tra
particelle, esso tende ad essere riempito. Per spiegarlo inizia a considerare le varie
sostanze solide o fluide e dice che se un qualche spazio vuoto può esservi esso è
pensabile più nei solidi che nei fluidi. E qui interviene un'osservazione empirica: quando
riempiamo un vaso di polvere, possiamo metterne di più se scuotiamo più volte il vaso
ma se vi mettiamo dell'acqua non ci sono scuotimenti che permettano di immetterne di
più. Inoltre se vediamo una brocca su di un tavolo diciamo che essa è vuota se non vi è
dell'acqua. E ciò avviene perché non consideriamo le cose che comunemente ci
circondano ma esse ci sono e riempiono tutto, anche la brocca che noi possiamo riempire
perché può uscirne l'aria contenuta da dove immettiamo il liquido. Questo argomento è
ritenuto risolvente per Descartes, tanto che lo amplierà nei Principia dove argomenta
che se Dio togliesse tutto ciò che c'è in un bicchiere le pareti di questo verrebbero a
contatto perché non si avrebbe nulla tra esse. Ed il nulla non può avere proprietà e
quindi non può avere dimensioni. In definitiva gli oggetti separati dal nulla sono in
contatto. A ciò Mersenne osservò che Dio avrebbe potuto togliere tutta l'aria da una
stanza senza rimpiazzarla. E Descartes arrabbiato rispose che certo Dio avrebbe potuto
creare valli senza monti ... (Descartes a Mersenne, 9 gennaio 1639). Tornando al Mondo,
Descartes passa ad altro esempio più impegnativo per la teoria che comporta. Quando
apriamo il rubinetto di una botte per far uscire del vino ed esso non esce noi diciamo che
non lo fa perché altrimenti si creerebbe del vuoto nella botte ed in vino ne ha orrore.
Queste sono sciocchezze perché il vino non può avere l'horror vacui in quanto le
sostanze inanimate non provano sentimenti. Piuttosto le cose vanno così. Il vino non
esce perché non saprebbe dove andare trovando fuori il tutto pieno. Ma se apriamo il
tappo superiore della botte il vino può uscire perché si genera un moto a catena
circolare: il vino dal rubinetto spinge l'aria che ne spinge ancora fino ad andare a
riempire da sopra lo spazio che ha lasciato libero il vino che sta uscendo. Ed egli dice
che da molte esperienze si è convinto che i moti circolari siano agevoli e familiari alla
natura e che, anzi, esistono solo moti circolari, in accordo completo con il Timeo di
Platone e tali moti debbono anche essere istantanei. Il vuoto non può esistere perché
abbiamo un tutto pieno eternamente in moto. Dice Descartes:
[Ho] appurato con parecchie esperienze che tutti i movimenti che si
verificano nel mondo sono in qualche modo circolari: quando, cioè, un
corpo lascia il suo posto entra sempre nel posto di un altro, e questo nel
posto di un altro ancora e così via fino all'ultimo che occupa nel medesimo
istante il posto abbandonato dal primo, dimodoché tra di essi non è più
vuoto quando si muovono di quanto ve ne sia quando sono fermi. E va
notato a tale proposito che per questo non si richiede che tutte le parti dei
corpi che si muovono insieme siano disposte secondo una linea
perfettamente circolare e nemmeno che abbiano uguale grandezza e forma,
perchè queste disuguaglianze possono essere facilmente compensate da
altre disuguaglianze nella loro velocità [Monde; 14; 46]
Descartes va costruendosi piano piano i pilastri della sua concezione del mondo che
esporrà nel capitolo VIII. Egli prosegue ora con altre esperienze che ritiene significative
ai suoi fini ed in particolare a far pensare a sostanze sempre più rarefatte fino a quelle
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che non riusciamo a vedere ma che, come l'aria nella brocca prima, vi sono.
Se ne può trovare una facile conferma nell'esperienza: infatti le parti di una
goccia d'acqua, separate l'una dall'altra dall'agitazione del calore, possono
formare una quantità d'aria molto maggiore di quanto non ne potrebbe
contenere lo spazio dove prima era l'acqua. Ne consegue senza alcun
dubbio che fra le parti di cui l'aria si compone ci sono dei piccoli intervalli
in gran numero: non c'è altro modo, infatti, di concepire un corpo rarefatto.
Ma non potendo, come ho detto prima, questi intervalli essere vuoti, ne
concludo che vi sono necessariamente degli altri corpi - uno o più di uno che, mescolati all'aria, riempiono con la massima esattezza possibile
gl'intervalli rimasti tra le parti di questa. Ormai resta solo da esaminare
quali possono essere questi altri corpi; dopo, spero non debba essere
difficile intendere quale può essere la natura della luce [Monde; 14; 49]
Si vede subito che da questa esperienza viene tratta una conclusione che è pura
speculazione e con l'esperienza medesima non c'entra nulla: mi riferisco al fatto che vi
sarebbero non definiti altri corpi pronti a riempire intervalli che dovrebbero rimanere
vuoti. Si è arrivati qui con una sorta di processo induttivo. Si capisce quindi che le
discussioni precedenti su calore e maggiore o minore fluidità erano una sorta di glossario
per iniziare a discutere di ciò che lo interessa che, come nel caso di quanto ora detto sul
vuoto, è la natura della luce.
Il capitolo successivo, il V (nel quale, come accennato, si fa riferimento alla
Dioptrique del 1637), è occupato dalla discussione sul numero degli elementi (in senso
aristotelico) che devono essere considerati. Descartes riduce i quattro elementi
aristotelici a tre: fuoco, aria e terra (assimilando con questa operazione l'acqua all'aria
che risultano unite dalla fluidità). Il discorso è comunque articolato perché il fuoco è di
due tipi, quello perfetto, puro, che risiede in alto nel cielo e quello ordinario che
conosciamo; ed anche l'aria può essere sia quella grossolana che respiriamo ma anche
quella che si trova in alto che è più sottile. Il fuoco poi è costituito da entità piccolissime
senza forma ma capaci ad adattarsi a qualunque forma sia necessaria per riempire i
supposti vuoti che potrebbero crearsi nell'aria a seguito dei continui movimenti; l'aria è
comunque costituita da piccoli corpuscoli rotondi, uniti tra loro come granellini di
sabbia e dotati di grande velocità, comunque più piccola di quella delle particelle di
fuoco per le quali il moto è condizione non solo necessaria ma anche sufficiente. Vi è
poi la terra che è costituita da particelle più grandi in lievissimo moto ma anche
immobili ed anche la volgare terra che calpestiamo è lontana dall'elemento terra che ha
caratteristiche di purezza superiori. C'è da osservare che qui siamo di fronte ad una
imprevedibile posizione platonica che serve a Descartes per dire che a lui non
interessano le qualità che Aristotele assegna agli elementi (caldo, freddo, umido, secco)
perché tutte discendono dalla particolare unione dei tre elementi e dalla loro tendenza a
corrompersi:
Soffermatevi quanto volete a esaminare tutte le forme che i vari movimenti,
le varie figure e grandezze, la diversa disposizione delle parti della materia
possono dare ai corpi composti, e sono certo che non ne troverete nessuna
dove manchino qualità tendenti a farla cambiare riducendola nel
mutamento a qualcuna delle forme degli elementi.
La fiamma, per esempio, la cui forma, come si è detto prima, richiede parti
che si muovano rapidissime e che al tempo stesso posseggano una certa
grandezza, non può durare a lungo senza corrompersi: infatti, o la
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grandezza delle sue parti, rendendole capaci di agire contro gli altri corpi,
determinerà una diminuzione del loro movimento; oppure la violenza della
loro agitazione, facendole infrangere nell'urto coi corpi che incontrano,
determinerà una perdita di grandezza; sicché, un po' alla volta, potranno
ridursi alla forma del terzo elemento, o a quella del secondo, e in qualche
caso persino a quella del primo. Di qui potete apprendere la differenza tra
questa fiamma, ossia il comune fuoco che troviamo tra noi, e l'elemento del
fuoco che ho descritto. E dovete anche sapere che neppure gli elementi
dell'aria e della terra, cioè il secondo e il terzo elemento, somigliano
all'aria grossolana che respiriamo o alla terra che calpestiamo; ma, in
genere, tutti i corpi che si vedono attorno a noi sono misti o composti e
soggetti a corrompersi [Monde; 14; 53]
Dopo questa illustrazione, Descartes ci dice di ritenere che nel mondo esistano dei
luoghi dove gli elementi possano conservare in perpetuo la loro naturale purezza. Per
convincersene basta osservare il Sole e le stelle fisse, che sono il luogo del fuoco al suo
stato puro, quindi i cieli, luogo dell'aria al suo stato puro ed infine la Terra i pianeti e le
comete che sono terra allo stato puro. I corpi misti di cui parlava infatti si trovano solo
sulla superficie della Terra e nell'aria che respiriamo come una sorta di scorza
costituitasi nel tempo. In questa scorza prevalgono gli oggetti che ci appaiono solidi,
quelli fatti nella loro maggiore entità di terra ma non bisogna dimenticare che i più
reconditi pori di tale materia devono essere riempiti da particelle sottili di aria e da
quelle ancora più sottili ed adattabili agli ultimi anfrattini reconditi che sono le particelle
di fuoco (anche quando Torricelli dimostrerà l'esistenza del vuoto nel 1644 e Mersenne
lo informò della scoperta, questo fatto non turberà la teoria cartesiana: sopra il livello del
mercurio, per Cartesio e seguaci, c'è l'etere non il vuoto). E questa zona di
mescolamento è comunque poca cosa rispetto all'immensa distesa del Cielo. Ed è a
questo punto che Descartes ci informa che descriverà una parte di questo mondo sotto
forma di favola ad evitare che ci si possa annoiare.
1.3 - La materia che costituisce il nuovo mondo
E la favola, raccontata nel capitolo VI, dice che per comprendere ciò che Descartes
vuole presentarci occorre immaginare che Dio, cinque o seimila anni fa, abbia creato un
mondo indefinito e costituito di una sola materia fantastica che non è assimilabile a
nessuno degli elementi prima visti (tale materia è inoltre distinta dallo spirito e la cosa
era anche sostenuta da Descartes, come accennato, nella separazione che intendeva tra
anima e corpo). A questo punto inizia la spiegazione del come da un'unica materia
discendano le proprietà della materia che conosciamo (estensione, peso, impenetrabilità,
durezza, ...) e del come sia possibile pensare ogni cosa concreta come una parte
dell'unica cosa estesa primordiale, come cioè si sia prodotta la differenziazione della
materia nei diversi corpi che ci circondano. Con riferimento neppure nascosto alla
Genesi, Descartes dice che all'inizio doveva esservi il caos e pian piano le parti del caos
sono arrivate a districarsi da sé, disponendosi in bell'ordine, così da assumere la forma
di un mondo perfettissimo, dove si potranno vedere, non solo la luce, ma anche tutte le
altre cose, generali e particolari, che compaiono in questo mondo reale. Lo spazio,
l'estensione, risulta dunque, per Descartes completamente assimilabile alla materia che
lo contiene non distinguendosi in alcun modo da essa e questo è uno degli aspetti
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fondamentali della sua concezione del mondo che inizierà ad essere sviluppata dal
capitolo seguente. Tale spazio, che sembra avere un'estensione infinita è costituito
dappertutto dalla stessa materia che risulta infinitamente divisibile. In uno spazio che
coincide con la materia con lo contiene il vuoto sarebbe un controsenso, un'assenza di
spazio. In questo mondo degli inizi, Dio deve aver diviso lo spazio in parti di diversa
forma e dimensione e poi deve aver messo in moto tali parti in tutti i modi possibili. Pian
piano (evolutivamente !) si sono formati i tre tipi di particelle (piccolissime ed adattabili,
piccole e tonde, rozze ed unite insieme in corpi solidi) che costituiscono i tre elementi.
1.4 - La meccanica di Descartes
Prima di affrontare la meccanica del mondo che ha abbozzato, ricapitolo in breve le
cose di cui dispone Descartes. Un universo presumibilmente infinito e completamente
pieno dentro cui da un'unica materia indefinitamente divisibile ed impenetrabile (su
queste proprietà Descartes tornerà abbondantemente nei Principia, aggiungendo
argomenti) si è passati alle differenziazioni in tre elementi che sono in continuo
movimento: Tale movimento deve godere delle proprietà di circolarità ed istantaneità.
Inutile dire che questa concezione era veramente favolistica come Leibniz fece
osservare. Vediamo: se si dispone di una materia perfettamente solida ed omogenea non
si potrebbe avere alcun cambiamento. Affinché il movimento sia potuto nascere e
diffondersi attraverso la materia procurandone la divisione, la materia doveva già essere
divisa e nello stato fluido. Ma la materia può diventare fluida solo grazie al movimento.
Sembrerebbe un discorso circolare ma Descartes ci mette il risolutore di ogni problema:
Dio ! Infatti Dio ha creato la materia come un blocco solido (ma non aveva detto
Descartes nel capitolo III che la caratteristica di un corpo di essere solido era la sua
assenza di movimento ?) e l'ha messa in moto istantaneamente. E, di fronte a tali
obiezioni di carattere solo metafisico, la fisica non può nulla. Eppure la meccanica di
Descartes ha solo un fondamento metafisico e lo si dimostra facilmente perché il
capitolo VII inizia con un postulato non falsificabile e quindi, con Popper, metafisico
fino al punto da dover turbare anche un onesto teologo perché, proprio per ciò che
dicevo prima, questo Dio è presente ogni volta che cade un oggetto o si urtano palline,
o ...
Dio essendo, come tutti devono sapere, immutabile, agisce sempre allo
stesso modo [Monde; 14; 62]
Conseguenza di tale ammissione sono le due o tre leggi del moto che Descartes
fissa subito dopo:
La prima è: che ogni parte della materia in particolare persiste nel
medesimo stato finché l'urto delle altre non la costringe a mutarlo. Ossia:
se ha una certa grandezza, non diventerà mai più piccola a meno che le
altre non la dividano; se è rotonda o quadrata, non muterà mai forma senza
che le altre ce la costringano; se è ferma in qualche luogo, non se ne
allontanerà mai se le altre non la cacciano; e, se avrà cominciato a
muoversi, continuerà sempre con ugual forza, finché le altre non la faranno
fermare o rallentare [Monde; 14; 62]
Questa è la prima regola del moto di Descartes che dovrebbe essere la regola che
oggi va sotto il nome di principio d'inerzia. Dopo un paio di pagine in cui Descartes
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polemizza con presunti filosofi (immaginiamo peripatetici), egli passa alla seconda
regola del moto:
Suppongo come seconda regola che, quando un corpo ne spinge un altro,
non possa comunicargli alcun movimento senza perderne
contemporaneamente altrettanto del proprio; né sottrarglielo senza
aumentare il proprio nella stessa misura [Monde; 14; 64-65]
E questa regola dovrebbe essere la legge che oggi è a noi nota come conservazione
della quantità di moto ma con un errore che inficia l'intera proposizione: la velocità
introdotta da Descartes ha solo carattere scalare e non vettoriale e ciò, nella supposta
conservazione, non fa considerare cambiamenti di direzione e verso del moto come
cambiamenti di quantità di moto.
Queste regole spiegano le osservazioni che facciamo. Infatti quando scagliamo un
sasso esso continua a muoversi non perché sarebbe aiutato dall'aria che lo sospinge
(come ritengono i peripatetici). Anzi ci si potrebbe chiedere perché questo sasso non
continua a muoversi sempre. La spiegazione di ciò sta nel fatto che il sasso rallenta e poi
si ferma perché è l'aria a fargli da ostacolo. Se poi si chiede come fa un corpo molle
come l'aria a rallentare un sasso la risposta è nella seconda regola che ci dice che il moto
del sasso non viene rallentato in proporzione della resistenza dell'aria ma nella misura in
cui l'aria cede e, nel cedere, fa sua la forza di muoversi che l'altro perde.
E Descartes, fattaci altra professione di fede:
anche se la nostra intera esperienza sensibile nel vero mondo apparisse in
manifesto contrasto rispetto al contenuto di queste due regole, la ragione
che me le ha dettate. mi sembra così salda che continuerei a credere di
essere obbligato a supporle nel nuovo mondo che vi descrivo. Infatti, anche
nel caso di una scelta del tutto libera, qual fondamento più fermo e più
saldo della fermezza e immutabilità che è in Dio potremmo prendere a base
di una verità? [Monde; 14; 66]
ricapitola sulle due regole, prima di aggiungere la terza:
Ora le due regole derivano evidentemente solo da questo: che Dio è
immutabile e che, con l'agire sempre alla stessa maniera, produce sempre
lo stesso effetto. Infatti, supponendo che nell'atto stesso di crearla, Dio
abbia posto in tutta la materia in generale una certa quantità di movimenti,
a meno di negare che egli agisca sempre allo stesso modo, bisogna
ammettere che ne conservi sempre la stessa quantità. Supponendo pure che
da quel primo istante le diverse parti della materia in cui i movimenti si
sono trovati variamente distribuiti abbiano cominciato a conservarli o a
trasmetterli dall'una all'altra, a seconda della loro forza, bisogna
necessariamente concludere che Dio le fa continuare sempre allo stesso
modo. Le due regole vogliono dire questo [Monde; 14; 66-67]
Anche qui insiste su un Dio che agisce sempre allo stesso modo, pregiudizio
addirittura più forte del dogma di fede, posizione che più volte gli verrà rimproverata da
varie persone tra cui Mersenne. In ogni caso Descartes prosegue con la terza regola:
quando un corpo si muove, benché il suo movimento avvenga per lo più
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secondo una curva e ogni movimento, come si è detto prima, sia sempre in
qualche modo circolare, tuttavia, le sue parti, singolarmente prese, tendono
sempre a continuare il loro [moto] in linea retta. Quindi la loro azione,
ossia la loro inclinazione a muoversi, è diversa dal loro effettivo movimento
[Monde; 14; 67]
e, tale regola è confusa. Si potrebbe metterla insieme alla prima e ricavare un principio
d'inerzia completo ma non si capisce cosa sono le parti del movimento (non azzardo la
composizione dei movimenti) e non si capisce bene l'ultima frase (forse che se non vi
fosse il contesto, un pezzo di materia si muoverebbe in linea retta e si muove invece in
cerchio perché vi è altra materia ?) se non si ricorre alle esemplificazioni che seguono:
Se, per esempio, si fa girare una ruota intorno al proprio asse, per quanto
tutte le sue parti si muovano in cerchio perché, essendo unite fra loro, non
potrebbero far diversamente, tuttavia la loro inclinazione è a procedere in
linea retta, come si vede chiaramente quando una si distacca dalle altre;
infatti, appena libera, smette di muoversi in cerchio e continua in linea
retta.
Allo stesso modo, quando si fa rotare un sasso in una fionda, non solo il
sasso corre in linea retta appena ne parte, ma, anche stando nella fionda,
preme sul centro facendo tendere la corda; e così mostra chiaramente che
la sua inclinazione è sempre a muoversi in linea retta e che si muove in
cerchio solo perché costretto [Monde; 14; 67-68]
1.5 - Il moto circolare
Quindi i corpi tendono ad andare in linea retta e solo la costrizione li mette in
condizioni di moto circolare. Ed anche qui c'è l'intervento divino:
Questa regola poggia sullo stesso fondamento delle altre due e dipende
solo dal fatto che Dio conserva ogni cosa mediante un'azione continua,
quindi, non come può essere stata un po' prima, ma esattamente com'è
nell'istante in cui la conserva. Ora, il movimento rettilineo è il solo che sia
perfettamente semplice e la cui natura sia completamente contenuta in un
istante. Infatti per concepirlo basta pensare un corpo in azione per
muoversi verso una certa direzione, il che si verifica in ognuno degli istanti
determinabili nel tempo in cui si muove. Mentre, per concepire il movimento
circolare, o un altro qualunque movimento, bisogna considerare almeno
due dei suoi istanti, o meglio due delle sue parti, e il loro mutuo rapporto.
Ma perché i filosofi, o meglio i sofisti, non trovino qui un'occasione
all'esercizio delle loro sottigliezze superflue, osservate che io non affermo
con 9-uesto che il movimento rettilineo possa avvenire in un istante; dico
solo che tutti i requisiti necessari a produrlo si trovano nei corpi in ogni
istante determinabile nel loro movimento; mentre non vi si trovano tutti i
requisiti necessari a produrre il moto circolare [Monde; 14; 68]
Questo passo è evidentemente contorto e lo stesso Descartes se ne rende conto,
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tentando di esemplificarlo con l'esempio di una fionda.
Se, per esempio, un sasso si muove in una. fionda secondo il cerchio AB
(vedi figura), e lo considerate esattamente com'è nell'istante in cui arriva al
punto A, trovate che esso è in azione per muoversi, infatti non ci si arresta,
e per muoversi in una certa direzione, ossia verso C, infatti, in quest'istante,
il suo movimento è determinato in quella direzione; mentre non potreste
scoprire nulla che determini il sasso a muoversi circolarmente. Tanto che,
supponendo che cominci allora a uscire dalla fionda, e che Dio continui a
conservarlo com'è in quell'istante, per certo non lo conserverà con
l'inclinazione a muoversi circolarmente secondo la linea AB, ma con quella
di andare diritto verso il punto C.
Secondo questa regola dunque dobbiamo dire che solo Dio è l'autore di tutti
i movimenti che sono al mondo, in quanto sono e in quanto sono rettilinei;
mentre a renderli irregolari e a curvarli sono le diverse disposizioni della
materia. Allo stesso modo i teologi c'insegnano che Dio è l'autore di tutte le
nostre azioni, in quanto sono, e in quanto sono in qualche misura buone,
mentre sono le diverse disposizioni della nostra volontà che possono
renderle viziose [Monde; 14; 68-69]
Non c'è dubbio che questa esposizione è contorta e non posso fare a meno di
pensare alla limpidezza didattica di Galileo. Queste spiegazioni spiegano poco e noi
possiamo capire solo perché conosciamo un poco di fisica. Descartes sta dicendo che
dinamicamente, nel punto A, se si rompe il vincolo, il sasso se ne va per la tangente
verso C piuttosto che verso B. Ma la cosa è complessa ed impegna molto Descartes tanto
che ci ritornerà nel capitolo XIII del Mondo e nella Parte III dei Principia con medesimi
ragionamenti ed altri due esempi(3). Il problema è che Descartes si rende conto che vi
sono altre forze che agiscono sul sistema fionda-sasso. Ad esempio, la fionda risulta in
tiro mentre viene fatta ruotare e questo tiro appare come se vi fosse una forza
perpendicolare a quella tangente di prima. In definitiva nel fenomeno che osserviamo
appaiono esservi tre moti: quello circolare che porta il sasso da A a B; quello rettilineo
che interviene quando cessa il vincolo che porta il sasso da A a C; quello rettilineo che
lo farebbe muovere lungo il raggio DA, verso E. Quanto ho riassunto Descartes, con una
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prosa ancora contorta (per rendere conto dei moti celesti ed in particolare assimilando
l'aria al sasso), lo dice così (capitolo XIII):
[...] il sasso che ruota in una fionda secondo il circolo AB (vedi figura
precedente), quando si trova in A, tende verso C, se si considera solo la sua
agitazione, prescindendo dal resto; tende circolarmente da A verso B, se si
considera il suo movimento in quanto regolato e determinato dalla
lunghezza della corda che lo trattiene; infine, il medesimo sasso tende verso
E se, prescindendo da quella parte della sua agitazione il cui effetto non è
impedito, si oppone l'altra parte alla resistenza che la fionda le offre di
continuo.
Ma per capire chiaramente l'ultimo punto, immaginate l'inclinazione del
sasso a muoversi da A verso C come fosse la risultante di altre due
inclinazioni: una a ruotare secondo il circolo AB, l'altra a salire
perpendicolarmente secondo la linea VXY; e ciò in proporzione tale che il
sasso trovandosi nel punto V della fionda, quando la fionda è nel punto A
del cerchio, deve trovarsi poi in X quando la fionda sarà verso B, e in Y,
quando la fionda sarà verso F, restando così sempre nella linea retta ACG.
Quindi, sapendo che una parte della sua inclinazione, quella cioè che lo
porta a seguire il cerchio AB, non è per nulla ostacolata dalla fionda, vi
sarà facile vedere che trova resistenza soltanto per l'altra parte, cioè per
quella che, se non fosse ostacolata, lo farebbe muovere secondo la linea
DVXY; e, in conseguenza, il sasso tende - cioè dirige il proprio sforzo - solo
ad allontanarsi direttamente dal centro D. E notate che, secondo questa
considerazione, trovandosi nel punto A, esso tende davvero verso E, a tal
segno da non essere affatto più disposto a muoversi verso H che verso I,
anche se, tralasciando di considerare la differenza tra il movimento che
esso ha già e l'inclinazione a muoversi che gli resta, ci si potrebbe
persuadere facilmente del contrario [Monde; 14; 102-103]
Osserva Shea che Descartes ha in mano il moto circolare ma non riesce a tirarlo
fuori con chiarezza combinando le prime due regole che ha enunciato. Inoltre, se si fa
riferimento a quanto ho risaltato dello scritto precedente, sembra che le due regole
saltino. Sembra cioè che Descartes consideri il moto circolare come inerziale. A questo
punto interviene anche il grande studioso della fisica del Sei-Settecento, Richard S.
Westfall, che dice: "Descartes tornava, senza rendersi conto, ad abbracciare di fatto
l'idea del moto circolare come moto naturale". Aggiungendo poi: "Pur se il moto
circolare cessò di rappresentare per Descartes il moto perfetto, continuò ad avere un
ruolo centrale nella sua filosofia della natura. Anche non essendo naturale, esso era
tutta via necessario" [Westfall; 28; 47]. Sia Shea che Westfall dicono che Descartes
credeva nel moto circolare alla base del suo universo come un qualcosa che se pure non
era completamente inerziale, lo era de facto. Il trattarlo con la matematica non avrebbe
risolto questa ambiguità. Ma una cosa può essere evidenziata. La supposta
conservazione della quantità di moto della quale ho detto risultava incompleta proprio
nel punto che interessa il moto circolare. Lì era sottinteso con chiarezza che i
cambiamenti di direzione non comportavano variazioni di quantità di moto e quindi
dentro l'inerzia su una retta può entrare quella circolare. Diciamo che serviranno i lavori
(sistemi di riferimento, forze centrifughe e centripete) di Huygens prima e di Newton poi
per fare chiarezza su queste problematiche di grande rilievo. Descartes tornerà sulla
questione, come accennato, nei Principia. Qui è interessato a sostenere la superiorità del
suo Metodo nell'affermare che egli ha presente le cose da approfondire:
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Oltre le tre leggi da me spiegate, non voglio supporne altre all'infuori di
quelle che derivano necessariamente dalle verità eterne che i matematici
prendono come fondamento abituale delle loro dimostrazioni più certe ed
evidenti: parlo delle verità secondo cui Dio stesso ci ha insegnato di avere
ordinato tutte le cose in base a numero, peso e misura; la loro conoscenza è
talmente connaturata all'anima nostra che, quando le concepiamo
distintamente, non potremmo negarne l'immancabile validità, né ammettere
che se Dio avesse creato più mondi, esse non sarebbero in tutti altrettanto
vere quanto nel nostro. Sicché chi saprà esaminare a sufficienza le
conseguenze di tali verità e delle nostre regole potrà conoscere gli effetti
dalle cause; e, per usare i termini della Scuola, potrà avere dimostrazioni a
priori di tutto ciò che può essere prodotto in questo nuovo mondo.
E perché non vi siano eccezioni a fare ostacolo, aggiungiamo pure, se
volete, alle nostre supposizioni che nel nuovo mondo Dio non farà mai
miracoli, e che le intelligenze o anime ragionevoli che in seguito potremo
supporvi non turberanno in nessun modo il corso ordinario della natura.
Con questo, tuttavia, non vi prometto di offrirvi dimostrazioni esatte di tutte
le cose che dirò; basterà se vi aprirò la strada perché possiate trovarle da
voi stessi, quando vi impegnerete a cercarle. La mente, per lo più, perde il
gusto delle cose presentate in modo troppo facile; e per comporre un
quadro che vi risulti attraente, oltre ai colori vivi, devo impiegare anche
l'ombra. Mi contenterò dunque di proseguire la descrizione iniziata come se
mi proponessi soltanto di raccontarvi una favola [Monde; 14; 70]
Dopo essersi fatto di nuovo portavoce di Dio spiegandoci che, una volta che il
mondo è in marcia, Egli non interverrà più, Descartes continua ad affidare le difficoltà ai
lettori che dovranno sviluppare le cose che egli ha iniziato.
1.6 - La formazione del Sole ed i vortici
A questo punto Descartes ha in mano tutti i prerequisiti che gli servivano per la
descrizione del funzionamento del suo universo cosa che fa nel capitolo VIII del Mondo.
Dio, dal caos iniziale, ha poi creato uno spazio coincidente con una materia,
assimilabile al corpo più duro e solido del mondo. Come ho già detto, questo passaggio
non si capisce perché, subito dopo, ci viene detto che, poiché sarebbe stato impossibile
muovere tale corpo (e ciò in accordo con la definizione dei tre elementi), il moto deve
essere iniziato da qualche parte e poi essersi diffuso ovunque. Insisto nel dire che la cosa
detta così non si capisce risultando addirittura in contrasto con quanto detto qualche riga
più su dove è scritto che, qualunque sia il caos che Dio ha organizzato nella materia del
mondo, in seguito, in base alle leggi da lui imposte alla natura, quasi tutte queste parti
di materia, devono aver preso la forma del secondo elemento e cioè quella di particelle
rotonde assimilabili alle particelle di aria o di un fluido. Se avesse posposto i due periodi
(prima il caos, poi il blocco unico di materia, infine una qualche rottura con un primo
pezzo in moto ...) la cosa sarebbe stata più comprensibile anche se non del tutto perché
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incombe sempre quel pezzo di materia solida e dura (credo si possa qui avanzare
l'ipotesi che in Descartes vi è il pregiudizio di materia e spazio coincidenti ed egli non
riesca a pensare, almeno da un certo punto, uno spazio frantumato in particelle, anche se
pieno). Provo comunque a ridire il tutto come normalmente è raccontata la concezione
cartesiana dell'universo.
Si parte da un tutto pieno costituito da infinite particelle. Una particella ha iniziato a
muoversi (Dio ?) e, poiché vi è un tutto pieno, il moto non ha potuto far altro che
stendersi all'insieme di tutta la materia: la prima particella per muoversi ha spinto la
seconda, che a sua volta ... finché tutte le particelle sono entrate in movimento. E come è
possibile conciliare il tutto pieno con il tutto in moto ? Solo con il moto vorticoso (si
pensi ad una maionese). Di modo che l'intero universo è costituito da infiniti vortici
come cercherò di descrivere seguendo il Mondo ed aiutandomi con la figura che ci viene
offerta.
Dice Descartes:
L'uniformità della materia, d'altra parte, non ha potuto essere proprio
perfetta. In primo luogo, non esistendo nel nuovo mondo alcun vuoto, è
impossibile che tutte le parti della materia si siano mosse in linea retta; ma,
essendo a un dipresso uguali e potendo esser tutte deviate press'a poco con
la stessa facilità, hanno dovuto accordarsi tutte quante nel movimento
circolare. Tuttavia, poiché supponiamo che Dio le abbia mosse in origine in
maniere diverse, non dobbiamo ritenere che si siano messe a girare tutte
intorno a un unico centro, bensì intorno a parecchi centri diversi che
possiamo immaginare in situazioni reciproche diverse [Monde; 14; 71]
A seguito quindi di disomogeneità della materia già ridotta a pezzi
istantaneamente, il moto è divenuto vorticoso e policentrico come appunto mostra la
figura e si sarà organizzato in modo che le particelle più piccole sono verso i centri del
moto e le più grandi verso l'esterno del vortice (esse hanno dovuto essere meno agitate o
più piccole, o l'una e l'altra cosa insieme, verso i luoghi più vicini a questi centri che
non verso i luoghi più lontani). Ciò è spiegato con il fatto che le particelle più grandi
avevano maggiore tendenza delle altre al moto rettilineo e quindi si sistemavano su
cerchi più grandi perché di più si approssimano alla linea retta. La materia, in moto
vorticoso, deve poi aver subito cambiamenti ed essere passata da una primitiva grande
differenziazione in parti di varie grandezze e forme con tendenze a muoversi in tutti i
modi e direzioni o a restare ferme. Ma poi tutte le parti di materia
devono essere diventate press'a poco tutte uguali, specialmente quelle che
sono rimaste alla medesima distanza dai centri intorno a cui ruotavano.
Infatti, non potendo muoversi le une senza le altre, le più agitate hanno
dovuto comunicare parte del loro movimento a quelle che lo erano meno, e
le più grandi hanno dovuto spezzarsi e dividersi per poter passare per i
medesimi luoghi di quelle che le precedevano, oppure salire più in alto;
così, in breve tempo, hanno raggiunto tutte una disposizione ordinata, in
modo che ognuna si è venuta a trovare più o meno lontana dal centro
intorno a cui aveva preso a muoversi a seconda che era più o meno grande,
più o meno agitata in rapporto alle altre. Anzi, dato che la grandezza è
sempre in contrasto con la velocità del movimento, è da ritenere che le più
lontane da ciascun centro siano state quelle che essendo un po' più piccole
delle più vicine, erano anche parecchio più agitate [Monde; 14; 72-73]
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E qui, a me sembra che Descartes dica esattamente l'opposto di quanto ha detto
qualche riga più su ma la cosa non deve stupire perché in Descartes accade spesso.
Comunque in questo modo si è arrivati alla differenziazione dei tre elementi che
Descartes ha definito nel capitolo V. Attraverso una continua opera di strofinio alcuni
pezzi di materia primordiale sono diventati piccole palline costituenti il secondo
elemento, l'aria, altri pezzi, che dovevano sistemarsi ed adattarsi negli interstizi di queste
prime particelle, erano diventati più piccoli e più veloci dei precedenti per doversi
infilare rapidamente attraverso passaggi molto stretti in ogni anfrattino (ma anche senza
forma perché dovevano adattarsi alle forme libere preesistenti) ed hanno originato il
primo elemento, il fuoco, altri pezzi infine, che fin dall'inizio erano i pezzi più grandi,
hanno resistito di più alla frantumazione, si muovono più piano e costituiscono il terzo
elemento, la terra. E qui Descartes organizza i suoi tre elementi in modo che possano
produrre la luce:
E un'altra cosa va rilevata: quanto del primo elemento [il fuoco, ndr] si
trova in eccedenza rispetto allo spazio dei piccoli intervalli da riempire che
le parti del secondo elemento, essendo rotonde, lasciano necessariamente
intorno a sé, deve ritirarsi verso i centri intorno a cui queste ruotano,
perché esse occupano tutti i luoghi più distanti; e là deve comporre dei
corpi rotondi, perfettamente fluidi e sottili, che ruotando senza posa molto
più velocemente, ma nello stesso senso delle parti del secondo elemento da
cui sono circondati, hanno la forza di aumentare l'agitazione delle più
vicine; e persino di spingerle tutte da ogni lato, dal centro alla
circonferenza, in modo che si spingano anche l'una con l'altra. Il tutto per
mezzo di un'azione che ora dovrò spiegare quanto più esattamente potrò.
Infatti vi dico ora in anticipo che, secondo me, questa azione è la luce, e che
i corpi rotondi composti della materia del primo elemento nella sua
assoluta purezza sono l'uno il Sole e gli altri le stelle fisse del nuovo mondo
che vi sto descrivendo; infine, identifico coi cieli la materia del secondo
elemento che gira intorno al Sole e alle stelle fisse [Monde; 14; 74]
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Vi è qui l'impegno di spigare bene questa costruzione che fin dall'inizio appare
complessa. Se da una parte è possibile descrivere un vortice materiale con la dinamica
dei pezzi che lo compongono da osservazioni empiriche, risulta più complesso spiegare
il perché il Sole, con la mole che ha, debba stare al centro di un vortice. Descartes
comunque parla di corpi rotondi, perfettamente fluidi e sottili e probabilmente questa
sottigliezza glielo permette fermo restando che si origina una nuova separazione
aristotelica tra i corpi celesti (Sole formato dal primo elemento e terra e pianeti dal terzo)
che non risultano più tutti della stessa natura come altri scienziati del Seicento con fatica
stavano mostrando. Inoltre, quando verrà a sapere della scoperta delle macchie solari
dalle quali si ricavava la lenta rotazione del Sole rispetto ai pianeti, modificherà quanto
qui dice e lo scriverà nei Principia con una spiegazione che, se possibile, è più
insoddisfacente di quanto non lo sia quella esposta nel Mondo (intorno al Sole deve
esservi un'atmosfera estendentesi fino a Mercurio, che rallenta le macchie solari!). Ma,
tornando alla luce, dice Descartes:
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Poniamo, per esempio (vedi figura precedente), che i punti S.E.ε.A siano i
centri di cui parlo; e che tutta la materia inclusa nello spazio F.G.G.F. sia
un cielo ruotante attorno al Sole indicato con S; e che tutta quella dello
spazio H.G.G.H. sia un altro cielo ruotante intorno alla stella indicata con
E, e così via: in modo che vi siano tanti cieli diversi quante sono le stelle;
ma, essendo indefinito il numero delle stelle, altrettanto diciamo del numero
dei cieli; e che il firmamento altro non sia se non la superficie priva di
spessore che separa tutti i cieli gli uni dagli altri [Monde; 14; 75]
Osservate infine che, stando a quanto ho detto sul modo di formarsi del Sole
e delle altre stelle fisse, i loro corpi possono essere così piccoli rispetto ai
cieli dove sono contenuti, che anche tutti i circoli KK,LL, e simili, che
indicano fin dove la loro agitazione fa giungere il corso della materia del
secondo elemento, si ridurranno, in confronto ai cieli, a punti che ne
indicano il centro. Sì che gli astronomi moderni considerano quasi come un
punto, in rapporto al firmamento, l'intera sfera di Saturno [Monde; 14; 77]
E' qui importante notare che la teoria dei vortici aiuta molto Descartes nella sua
continua volontà di non dispiacere alla Chiesa. Egli era certamente un copernicano ma
nessuno avrebbe potuto accusarlo di aver assegnato un qualche moto ad una Terra che
risultava nella sua rotazione diurna intorno al proprio asse, solo trascinata dal vortice
della materia celeste che la circonda e poiché essa non è in moto rispetto a tale vortice,
risulta immobile, pur essendo in rotazione.
1.7 - Pianeti, comete e satelliti
Vediamo allora la costituzione dell'universo di Descartes con particolare
riferimento al sistema solare. Dai moti iniziali, pian piano si sono costituiti vari vortici
contigui (quelli con centri S.E.ε.A), ognuno dei quali è un sistema in rotazione intorno
ad una stella. Il nostro sistema, quello solare, è indicato in figura con il vortice che ha S
come centro. I pianeti sono trascinati in moto dalle piccole particelle sferiche che
costituiscono il secondo elemento. Le piccole sfere che si trovano al bordo esterno del
vortice (quelle che sono negli F) si muovono più in fretta e la loro velocità diminuisce
gradualmente di modo che esse sono spinte più verso il centro del vortice, nella zona cui
compete minore velocità che è quella di Saturno (KK). Qui tali particelle sono diventate
più piccole e veloci per rendere conto della minore velocità di Saturno rispetto a
Mercurio (più vicino al Sole), anche se non si capisce perché la velocità di tali particelle
debba cambiare così radicalmente. E la maggior velocità dei pianeti vicini al Sole risulta
spiegata da una sorta di agitazione che lo stesso Sole trasferirebbe loro. Il ruolo dei
corpuscoli, è anche un altro, come Descartes ci dirà nei Principia: se qualche pianeta
non ce la facesse più nel suo moto intorno al Sole e tendesse a scendere, incontrerebbe
particelle più piccole, in grado di circondarlo e di ridargli impulso; al contrario, se
qualche pianeta volesse salire verso luoghi più lontani dal Sole, troverebbe corpuscoli
più grandi e tali da rallentarlo per riportarlo in basso. Tali corpuscoli regolano quindi la
stabilità del sistema. Vi sono poi da considerare le comete che sono blocchi del terzo
elemento che sfuggono a causa del loro movimento circolare che tende ad essere più
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ampio di quello che quel vortice permette. E così le comete vanno da vortice a vortice
come quella mostrata nella figura precedente che segue la rotta CDQR. Queste ed altre
cose che cercherò di riassumere, sono discusse da Descartes tra i capitoli IX e XI del
Mondo e furono integrate da altre considerazioni e figure che compaiono nei Principia.
Le argomentazioni di Descartes ci dicono che l'aggregazione di corpuscoli di terra è
avvenuta nel tempo. Tali corpuscoli, più grandi e meno mobili, hanno trovato più facile
riunirsi che non spezzarsi ancora ed in tal modo hanno costituito i grandi corpi che si
muovono dentro i corpuscoli del secondo elemento trascinati da queste ultime. Il
fenomeno avviene come dei battelli sono trascinati dalla corrente di un fiume che, se si
fa attenzione, si osserva che più sono massicci, più sono trascinati con foga. Si pensi ad
un grande battello che si muove veloce ed a quella schiuma che invece si muove
pigramente (rilevante qui è il fatto che che non si fa cenno alla resistenza che invece i
pianeti dovrebbero incontrare nel loro moto in mezzo ai corpuscoli del secondo
elemento dato che corpuscoli e pianeti non si muovono alle medesime velocità). Inoltre,
se avessimo due fiumi che mescolano ad un certo punto le due correnti in modo di aver
in un dato punto una corrente maggiore delle singole, i corpi massicci, come i battelli,
trascinati da uno dei due fiumi, hanno la capacità di infilarsi nell'altro, mentre
quelli leggeri ne sono respinti (la cosa si può osservare empiricamente con un solo fiume
che separa le sue acque in correnti di diversa intensità, ndr). Ed è questo il modo in cui si
comportano le comete: alcune aggregazioni di corpuscoli, né del primo né del secondo
elemento, trovatesi nel punto più esterno del vortice possono o mettersi in circolo e
costituire i pianeti o transitare verso altro vortice originando le comete. Riguardo a
queste ultime devono essere rimaste in poche nel sistema solare perché, da quando si
sono create, devono essere andate distrutte quasi tutte a seguito dei continui urti che
subiscono nel transito ad altro vortice. E, dopo aver discusso in modo confuso le
posizioni della visibilità della cometa, della chioma della medesima e della direzione che
essa assume, Descartes passa a discutere dei pianeti. con le cose che ho già detto alle
quali occorre aggiungere il fatto che i corpuscoli del secondo elemento, oltre a far girare
i pianeti intorno al Sole, devono provvedere a due fatti:
1) far girare i pianeti su se stessi e comporre intorno ai pianeti dei piccoli cieli che si
muovono nello stesso senso del cielo più grande;
2) se due pianeti di diversa grandezza, sono disposti originariamente alla medesima
distanza dal Sole, il più piccolo dei due, muovendosi più velocemente dell'altro, dovrà
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unirsi al piccolo cielo che circonda il pianeta più grande e girare continuamente intorno
ad esso.
Qui siamo in grado di capire cos'è il piccolo cielo e a cosa serve questa costruzione
a Descartes: egli vuol trovare sistemazione nel cielo di pianeti come la Luna. E, data la
premessa ora letta, la spiegazione del satellite Luna viene spiegata nel modo seguente:
Infatti, poiché le parti del cielo che si trovano, per esempio, verso A (vedi
figura), si muovono più veloci del pianeta indicato con T, che
spingono verso Z, evidentemente devono, a loro volta, esser deviate dal
pianeta T e costrette a volgere il loro corso verso B [Monde; 14; 88]
Descartes sta qui dicendo che la Terra si muove più lentamente dei corpuscoli del
secondo elemento dentro cui è immersa. Quando tali corpuscoli arrivano ad A sono
deviati verso B
Dico verso B piuttosto che verso D, perché, avendo inclinazione a
continuare il loro movimento in linea retta, devono andare verso l'esterno
del cerchio ACZN che descrivono piuttosto che verso il centro S. Ora,
passando così da A verso B, obbligano il pianeta T a girare con esse
intorno al proprio centro; e, reciprocamente, il pianeta, girando così, dà
loro occasione di avviare il loro corso da B verso C, poi verso D e verso A,
formandogli intorno un cielo particolare, con cui esso deve in seguito
continuare a girare, dalla parte chiamata Occidente a quella chiamata
Oriente, non solo intorno al Sole, ma anche intorno al proprio centro
[Monde; 14; 88-89]
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Ora, secondo Descartes, la Luna occupa la stessa zona della Terra, solo che ha
maggiore velocità perché è più piccola ed anche essa subirà una deviazione verso B
quando sarà arrivata ad A ed entrerà nel vortice che circonda la Terra.
Inoltre, sapendo che il pianeta indicato con una piccola falce è disposto ad
avviare il proprio corso secondo il circolo NACZ come il pianeta T, di cui
deve muoversi più velocemente perché più piccolo, è facile capire che, in
qualunque luogo del cielo si trovasse all'inizio, ha dovuto in breve andare a
collocarsi contro la superficie esterna del piccolo cielo ABCD e che, dopo
essersi ad esso congiunto, deve poi sempre continuare con le parti del
secondo elemento che sono verso questa superficie il proprio corso intorno
a T [Monde; 14; 90]
A questo punto, visto che è tutto chiaro, Descartes non si sofferma sugli altri
pianeti che circondano Saturno o Giove ma chiude il capitolo al solito modo:
Non mi propongo di dire tutto e ho parlato in particolare di questi due solo
per rappresentarvi col pianeta T la Terra che abitiamo, e col pianeta
indicato con una piccola falce la Luna che le gira intorno [Monde; 14; 91]
1.8 - Il peso
La teoria dei vortici, per Descartes, è esplicativa di tutto. Le fantasie che vorrebbero
l'attrazione dei corpi come proprietà della materia vengono respinte. La materia non ha
alcuna proprietà, in particolare l'effetto del peso gli proviene dalle proprietà dei vortici e
da quella della forza centrifuga. A queste spiegazioni Descartes dedica varie pagine
molto confuse nel capitolo XI del Mondo.
Intorno alla Terra vi è un vortice secondario, o piccolo cielo, che corre più veloce
della medesima Terra e quindi ha una forza centrifuga maggiore. Se sulla Terra lasciamo
andare una pietra essa avrà velocità minore delle particelle del secondo elemento che
costituiscono il vortice secondario e quindi non potrà essere mantenuta in alto ma sarà
sbattuta in basso, sulla medesima Terra. E questo accadrà per ogni corpo grande che non
sarà in grado di acquistare la velocità dei corpuscoli del secondo elemento che
circondano la Terra. Qui, e Descartes se ne rende conto, vi è un'ennesima contraddizione
con quanto egli ha detto sulle comete che, dal bordo del vortice, possono trasmigrare in
altri vortici. Egli ci dice semplicemente che alcuni corpi solidi possono acquistare una
velocità di discesa tale che superano il centro per arrivare fino al limite del vortice da
dove potranno comportarsi da comete. Basta così.
Desidero ora richiamare la vostra attenzione sulla pesantezza della Terra,
ossia sulla forza che ne unisce tutte le parti facendole tendere verso il
centro, ciascuna in proporzione della propria grandezza e solidità. Questa
forza consiste solo nel fatto che le parti del piccolo cielo che circonda la
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Terra, girando attorno al suo centro molto più rapidamente delle sue,
tendono anche ad allontanarsene con più forza e quindi a respingere le sue
verso il centro stesso. Se ci trovate qualche discrepanza con quanto ho detto
poc'anzi - che i corpi più massicci e solidi, come ho immaginato le comete,
si avviavano verso le circonferenze dei cieli, mentre gli altri soltanto erano
respinti verso il centro - quasi dovesse conseguirne che solo le parti meno
solide della Terra possano essere spinte verso il suo centro, mentre le altre
devono allontanarsene, tenete presente che, quando ho parlato della
tendenza dei corpi più solidi e massicci ad allontanarsi dal centro di un
cielo, li ho supposti già in precedenza in movimento all'unisono con la
materia di tale cielo. Infatti, certamente, se ancora non hanno cominciato a
muoversi, o se si muovono più lentamente di quanto occorre per seguire il
corso di quella materia, devono, in primo luogo, venirne cacciati verso il
centro intorno a cui essa gira, ed è anche certo che, quanto più grandi e
solidi sono, tanto più forte e rapida sarà la spinta. Cionondimeno, se sono
abbastanza grandi e solidi da formare delle comete, potranno poco dopo
avviarsi verso le circonferenze esterne dei cieli; poiché l'agitazione
acquisita scendendo verso qualcuno dei loro centri li renderà
immancabilmente capaci di passar oltre e di risalire verso la circonferenza
[Monde; 14; 92-93]
Mersenne, come ricorda Shea, si mostrò insoddisfatto e gli chiese spiegazioni.
Descartes rispose con un'esperienza (qualitativa) che aveva realizzato. Se si sistemano in
una bacinella con dell'acqua dei pezzi di legno e piombo e si mette il tutto in rotazione si
osserva che i pezzi di piombo spingono verso il centro i pezzi più leggeri allo stesso
modo che la materia spinge i corpi terrestri. A questa osservazione empirica c'è solo da
rispondere (con Aiton 1972, citato da Shea) che non rispetta l'analogia richiesta in
quanto piombo e legno della bacinella hanno stesse velocità mentre i pezzi di materia e i
corpuscoli del secondo elemento sulla Terra hanno velocità molto diverse. Inoltre si
deve tener conto di tante altre questioni come i vortici ulteriori che mettono in moto i
pezzi di legno nella bacinella.
Descartes, comunque, fa svariati ragionamenti per convincerci della sua teoria della
pesantezza che sono davvero poco interessanti per il fine che mi sono proposto. Può
comunque concludere il capitolo ritenendo che la sua teoria della pesantezza sgombera il
campo dalle obiezioni che i peripatetici facevano al moto della Terra:
Di qui potete intendere che le ragioni addotte da parecchi filosofi per
negare il movimento della vera Terra non hanno valore contro quello della
Terra che vi descrivo. Come quando affermano che, se la Terra si
muovesse, i corpi pesanti non dovrebbero scendere a piombo verso il suo
centro, ma piuttosto scostarsene di qua e di là verso il cielo; e che i cannoni
puntati ad Occidente dovrebbero arrivare con la loro portata molto più
lontano di quelli puntati a Oriente; e che nell'aria si dovrebbero sentir
sempre di gran venti e di gran rumori; e simili cose che si possono
sostenere solo supponendo la Terra, anziché trascinata dal corso del cielo
che la circonda, mossa da qualche altra forza in senso diverso da questo
cielo [Monde; 14; 97].
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1.9 - Le maree
Dice Descartes riferendosi alla figura seguente:
Considerate la Terra EFGH, con l'acqua 1, 2, 3, 4 e l'aria 5, 6, 7, 8, che,
come vi dirò in seguito, si compongono di alcune delle parti meno solide
della Terra con cui formano un'unica massa. Considerate poi anche la
materia del cielo, che riempie, non solo lo spazio fra i cerchi ABCD e 5, 6,
7, 8, ma anche tutti i piccoli interstizi che sono al disotto, fra le parti
dell'aria, dell'acqua e della terra. E tenete presente che, girando insieme
questo cielo e questa Terra attorno al centro T tutte le loro parti tendono ad
allontanarsene ma quelle del cielo con molta più forza rispetto a quelle
della terra, perché sono molto più agitate; e, fra le parti della Terra,
tendono ad allontanarsene di più le più agitate verso la stessa direzione
delle parti, del cielo [Monde; 14; 93-94].
Consideriamo ora la Luna, indicata con il cerchio in alto OB, e supponiamola
immobile rispetto al punto B in confronto alla velocità che ha la materia del cielo che
sta sotto di essa. Dice Descartes:
considerate che questa materia del cielo, avendo fra O e 6 un passaggio più
stretto di quello che avrebbe fra B e 6 (se la Luna non occupasse lo spazio
fra O e B), e dovendocisi quindi muovere un po' più rapidamente, deve
senz'altro avere la forza di spingere un po' la Terra verso D, in modo che il
suo centro T, come vedete, si allontani un poco dal punto M che è il centro
del piccolo cielo ABCD: infatti, a sostenerla dov'è, c'è solo la materia di
questo cielo. E poiché l'aria, 5, 6, 7, 8, e l'acqua, 1, 2, 3, 4, che circondano
la Terra sono corpi fluidi, evidentemente, la stessa forza che preme la Terra
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a questo modo deve farli scendere verso T, non solo dal lato 6, 2, ma anche
dal lato opposto 8, 4, e, in compenso farli salire nei luoghi 5, 1 e 7, 3; così,
mentre la superficie della Terra EFGH, essendo dura, resta rotonda, quella
dell'acqua 1, 2, 3, 4, e quella dell'aria 5, 6, 7, 8, essendo fluide, devono
assumere forma ovale [Monde; 14; 98]
Secondo Descartes il fenomeno delle maree trae origine da quella strettoia che la
presenza della Luna provoca nella parte superiore del vortice secondario, tra O e 6. La
materia celeste in rotazione si muove più in fretta in questa strettoia e deprime l'aria e
l'acqua in 6 e 2 e, con questo, spinge la terra dal centro M del vortice verso il basso fino
ad una nuova posizione T. Ciò vuol dire che l'intera Terra si sposta dalla sua posizione
avvicinandosi a D lasciando meno spazio al passaggio della materia celeste tra 8 e D.
Ciò provoca la depressione di aria ed acqua in 8 e 4 ed in 6 e 2. In definitiva la superficie
dell'acqua si schiaccerà in 6, 2 e in 8,4 e si rigonfierà in 7, 3 e 5, 1. Basta considerare che
la Terra fa un giro completo su se stessa in 24 ore per comprendere come si sposta il
rigonfiamento dell'acqua e la conseguente depressione e quindi rendere conto del ciclo
giornaliero delle alte e basse maree che si succedono ogni 12 ore. Poiché poi la Terra
ruota su se stessa in senso antiorario andando da ovest ad est, il rigonfiamento si
muoverà in direzione opposta.
Per spiegare il ciclo mensile delle maree Descartes considera che la Luna si muove
nella stessa direzione della Terra completando in un mese la rivoluzione facendo si che
in sei ore descrive un centoventesimo della sua orbita. E questo origina i fenomeni
ciclici di ritardo di 50 minuti giornalieri della marea che si osservano. Per spiegare poi le
alte maree con Luna piena e nuova e le basse maree con i quarti di Luna (ciclo semi
mensile) Descartes introduce una nuova proprietà dei vortici tale che il vortice non
risulta perfettamente sferico ma ovale, con l'asse BD più corto di CA. Ciò comporta che
la Luna vada più veloce in B e D (Luna piena e nuova) rispetto a C ed A (quarti di
Luna). Il ciclo annuale delle maree viene invece affrontato solo nei Principia.
1.10 - La luce
Ricordo che il titolo completo dell'opera di Descartes che discutiamo è: Traité du
Monde o Traité de Lumière (ed ha come ultimo capitolo il Traité de l'Homme). Ciò vuol
dire che Descartes assegnava pari importanza alla luce di quanta non ne avesse assegnata
a ciò che ho discusso fin qui, anche se la sua discussione occupa solo i capitoli XIII e
XIV.
Nell'iniziare questo argomento, Descartes ha ben presente quanto aveva sostenuto o
stava sostenendo nella Dioptrique. Egli parte da quanto aveva iniziato a dire all'inizio
della sua teoria dei vortici, quando si era occupato di moto circolare e di tendenza dei
corpi dotati di moto circolare di allontanarsi dal centro del moto. Si tratta ora di capire
verso quali direzioni tendono le parti di materia di cui si compongono il cielo e gli astri.
Il problema è sciogliere effetti che si sommano poiché spesso cause diverse si trovano
ad agire contemporaneamente sul medesimo corpo, in modo che una annulla l'effetto
sull'altra, in base a diverse considerazioni si può affermare che uno stesso corpo tende
contemporaneamente verso direzioni diverse.
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Ed a questo punto interviene quanto ho già anticipato in 1.5, come esemplificazione di
quanto or ora sostenuto e che riporto per comodità del lettore:
Così, per esempio, il sasso che ruota in una fionda secondo il circolo AB
(vedi figura precedente), quando si trova in A, tende verso C, se si
considera solo la sua agitazione, prescindendo dal resto; tende
circolarmente da A verso B, se si considera il suo movimento in quanto
regolato e determinato dalla lunghezza della corda che lo trattiene; infine,
il medesimo sasso tende verso E se, prescindendo da quella parte della sua
agitazione il cui effetto non è impedito, si oppone l'altra parte alla
resistenza che la fionda le offre di continuo.
Ma per capire chiaramente l'ultimo punto, immaginate l'inclinazione del
sasso a muoversi da A verso C come fosse la risultante di altre due
inclinazioni: una a ruotare secondo il circolo AB, l'altra a salire
perpendicolarmente secondo la linea VXY; e ciò in proporzione tale che il
sasso trovandosi nel punto V della fionda, quando la fionda è nel punto A
del cerchio, deve trovarsi poi in X quando la fionda sarà verso B, e in Y,
quando la fionda sarà verso F, restando così sempre nella linea retta ACG.
Quindi, sapendo che una parte della sua inclinazione, quella cioè che lo
porta a seguire il cerchio AB, non è per nulla ostacolata dalla fionda, vi
sarà facile vedere che trova resistenza soltanto per l'altra parte, cioè per
quella che, se non fosse ostacolata, lo farebbe muovere secondo la linea
DVXY; e, in conseguenza, il sasso tende - cioè dirige il proprio sforzo - solo
ad allontanarsi direttamente dal centro D. E notate che, secondo questa
considerazione, trovandosi nel punto A, esso tende davvero verso E, a tal
segno da non essere affatto più disposto a muoversi verso H che verso I,
anche se, tralasciando di considerare la differenza tra il movimento che
esso ha già e l'inclinazione a muoversi che gli resta, ci si potrebbe
persuadere facilmente del contrario [Monde; 14; 102-103]
Ciò che ora è stato detto per il sasso deve valere anche per i corpuscoli del secondo
elemento che costituiscono la materia del cielo. Riferendoci alla figura seguente le
particelle che, ad esempio, si trovassero vicine ad E, tendono ad andare verso P, ma la
resistenza delle altre particelle del cielo che si trovano al di
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sopra le fa andare lungo ER ma le sforza radialmente anche lungo EM (quest'ultimo
effetto è dovuto in parte al vincolo esercitato dalla materia aldilà di E che frena le
particelle celestiali come la fionda frena la pietra ed in parte dalla rotazione del Sole S
ed in parte ancora dall'azione della materia interposta tra S ed E). In definitiva su E si
esercita una pressione verso l'esterno e a tale pressione non contribuisce tutta la materia
al di sotto della regione in cui si trova E, ma solo quella compresa nel cono AED e
la ragione che impedisce [all'altra materia situata al di sotto di E] di
tendere verso questo spazio è che tutti i movimenti continuano, per quanto è
possibile, in linea retta; quindi, quando la natura può prendere parecchie
vie per giungere al medesimo effetto, segue sempre, immancabilmente la più
breve [Monde; 14; 105-106]
e, in conseguenza di ciò, si avrà moto solo lungo linee rette cha dalla zona sottostante ad
E vadano ad E. Quindi il modo più economico per la natura di riempire un supposto
vuoto che si generi in E è che la materia contenuta nel cono AED salga andando ad
occupare tale vuoto. Poiché vi è un'azione cumulativa di tanti corpuscoli su E, su E si
esercita uno sforzo, come per cacciarlo dal suo posto. Gli altri corpuscoli poi, mentre
avanzano verso E dalle zone più basse, sono soggetti a movimenti che non li lasciano
mai nella stessa posizione toccandosi e separandosi subito dopo, continuando ad
avanzare senza soluzione di continuità verso E fino al suo completo riempimento. Ed a
questo punto Descartes introduce il tipo d'azione che origina la luce:
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Da tutto ciò si può solo concludere che la forza con cui tendono verso E è
una sorta di vibrazione che ora raddoppia d'intensità, ora diminuisce a
piccole scosse in rapporto ai loro mutamenti di posizione: proprietà che
appare molto confacente alla luce [Monde; 14; 111]
In altre parole, le leggi del moto mostrano che, data la rotazione del Sole e della
materia intorno ad esso, c'è una pressione radiale che dal Sole si propaga verso l'esterno
lungo linee rette che si dipartono dal suo centro. Questa pressione si manifesta come una
sorta di vibrazione, una proprietà che appare molto confacente alla luce.
E, per dare una conclusione alla favola che Descartes ha detto di star raccontando,
gli uomini del mondo fantastico descritto saranno di tale natura che, quando i loro
occhi verranno spinti in questo modo, ne riceveranno una sensazione del tutto simile a
quella che noi abbiamo della luce.
1.11 - Le proprietà della luce
Da quanto abbiamo visto restano in sospeso almeno due importanti questioni. La
prima è se questo modello è in grado di spiegare tutte le proprietà note della luce e la
seconda è capire qual è la relazione esistente tra l'agitazione fisica della materia che
origina uno stimolo agli occhi e la percezione della luce che noi abbiamo con i nostri
occhi. La prima delle questioni la studierò ora, la seconda, affrontata da Descartes nel
Traité de l'Homme che, come detto, è l'ultimo capitolo del Traité de Lumière, rientra in
questioni di fisiologia che Descartes studiò in modo diffuso e delle quali io non mi
occupo, come annunciato nella prima parte di questo lavoro.
A proposito della prima questione posta, dice Descartes:
Le principali proprietà della luce sono: 1. Di diffondersi in cerchio da ogni
lato attorno ai corpi detti luminosi. 2. A qualsiasi distanza. 3.
Istantaneamente. 4. D'ordinario secondo linee rette che devono esser
considerate i raggi della luce. 5. Parecchi di tali raggi, provenienti da punti
diversi, possono raccogliersi in un punto solo. 6. Oppure, provenendo dallo
stesso punto possono giungere a punti diversi. 7. O ancora, provenendo da
punti diversi e andando verso punti diversi, possono passare per uno stesso
punto senza ostacolarsi a vicenda. 8. Ma qualche volta possono anche
ostacolarsi a vicenda, quando c'è tra loro grande disparità di forza, e
quella degli uni è molto maggiore di quella degli altri. 9. Infine possono
essere deviati per riflessione. 10. O per rifrazione. 11. E la loro forza può
venire aumentata. 12. O diminuita dalle diverse disposizioni o qualità della
materia che li riceve. Queste sono le principali qualità che si osservano
nella luce; come vedrete, convengono tutte a quest'azione [Monde; 14; 113]
Le prima proprietà per Descartes è ovvia in quanto la luce è prodotta dal moto
circolare delle parti che la costituiscono. La seconda proprietà è altrettanto ovvia. Delle
altre non parlo perché le ho o discusse altrove, quando ho commentato la Dioptrique, o
sono questioni elementari di ottica geometrica che non richiedono attenzione particolare.
La propagazione istantanea elencata al numero 3 è invece problematica e molto, anche
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per molte conseguenze che avrà. Per comprendere i ragionamenti di Descartes, anche
relativamente alla propagazione rettilinea (che compare come questione 4), occorre
ripensare alle analogie che egli aveva fatto a proposito della luce nella Dioptrique e cioè
il cieco con il bastone e l'uva pigiata in un tino. Come devono essere sistemate le piccole
sfere di materia celeste per render conto della propagazione rettilinea ? Prendiamo in
considerazione la figura che Descartes ci presenta e quanto dice in proposito.
Quanto alle linee lungo le quali quest'azione si trasmette, che sono
propriamente i raggi della luce, va notato che differiscono dalle parti del
secondo elemento per mezzo delle quali l'azione stessa si trasmette: nel
mezzo che attraversano i raggi non rappresentano nulla di materiale;
indicano solo in che senso e secondo quale determinazione il corpo
luminoso agisce. su quello illuminato; perciò vanno concepiti perfettamente
rettilinei, anche se le parti del secondo elemento che servono a trasmettere
l'azione, cioè la luce, non possono quasi mai collocarsi tanto esattamente
l'una sull'altra da formare linee perfettamente rette. Come potete facilmente
concepire che la mano A spinga il corpo E secondo la linea retta AE, anche
se lo spinge solo per mezzo dell'estremità del bastone BCD che è storto; e
che la sfera indicata con il numero 1 spinga quella indicata con 7 mediante
le due indicate 5, 5, altrettanto direttamente quanto per mezzo delle altre
sfere 2, 3, 4, 6 (vedi figura seguente) [Monde; 14; 115]
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A questo punto occorre fare riferimento a fatti occorsi a lato del Mondo. Nel 1634
l'ex amico di Descartes, Beeckman, si riappacificò per un breve periodo con il filosofo e
lo andò a trovare ad Amsterdam. Fu qui che Descartes gli raccontò la sua teoria della
luce e gli comunicò la necessità che aveva di sua propagazione istantanea. Beckmann fu
scettico in proposito ritenendo che nulla di materiale può andare a velocità infinita.
Propose un'esperienza a Descartes per determinare la velocità della luce ma Descartes
non accettò e fece riferimento ad un fatto naturale che tutti hanno visto e conoscono, le
eclissi di Luna. Il conto a priori che faceva Descartes, assegnando alla luce una velocità
che riteneva fantastica, era che la luce avrebbe dovuto impiegare circa un'ora per andare
e tornare dalla Terra alla Luna (oggi sappiamo che tale tempo è minore di 3 secondi).
Naturalmente Descartes diceva una sciocchezza che, ancora una volta, con i
procedimenti scientifici non ha nulla a che vedere. Perché il suo conto avesse un senso
compiuto sarebbe stato necessario conoscere prima la velocità della luce ma era ciò che
si voleva trovare ! Detto meglio: come si può determinare il luogo esatto dello spazio in
cui si trova la Luna quando la Terra inizia ad eclissarla ? Perché l'esperimento proposto
da Descartes fosse significativo, sarebbe stato necessario disporre di un qualche sistema
che gli permettesse di determinare in quale istante la Terra emette l'ombra che che
eclissa la Luna, e ciò è il tipico discorso circolare perché non si può sapere se non si
conosce la velocità della luce. Descartes diceva a Beeckman che era inutile fare
l'esperimento che proponeva e Beeckman, che era uno scienziato, glie spiegava che i
suoi argomenti evadevano la questione. Ma c'è dell'altro. La presunzione di Descartes
era tanto grande che, quando Mersenne gli comunicò dell'esperimento che Galileo
raccontava nei Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze a
proposito della misura tentata e non riuscita della velocità della luce, riuscì solo a dire
che quell'esperimento era inutile e che solo quello sulle eclissi era probante. Sta di fatto
che il problema non fu mai risolto da Descartes che continuò a sostenere la velocità
infinita della luce.
Siamo arrivati alla fine della trattazione cartesiana della luce e ci resta solo da dire
qualche parola sull'ultimo capitolo (il XV) nel quale Descartes, dalla favola, tenda di
riportarci alla realtà.
E la realtà è che da questo mondo e da quello si devono vedere le stelle cose. Ed il
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come debbano vedersi, Descartes lo ribadisce soffermandosi su alcuni punti che
precedentemente non aveva trattato o non aveva approfondito. Qui, se possibile, la
fantasia cavalca ancora di più per cui mi soffermo solo su alcuni aspetti d'interesse.
Intanto ciascun vortice dell'universo appartiene ad una stella, come mostrato nella figura
seguente:
Da: W.W. Rose, A Short Account of the
History of Mathematics, 1908
Da questo o da un altro mondo le stelle devono osservarsi in posizioni differenti da
quelle che realmente occupano. Ciò accade perché, trovandosi in vortici differenti che
hanno anche dimensioni diverse, nel passaggio da vortice a vortice devono subire
rifrazioni (e qui Descartes accenna di nuovo alla Dioptrique). Inoltre può accadere che la
medesima stella si vede più volte a seguito di sue successive riflessioni e rifrazioni.
Infine le stelle, le cui superfici possono variare di forma e dimensioni a seguito del
passaggio loro vicino di comete, trovandosi in materia fluida, devono ondeggiare ed
oscillare ed è questo il motivo per cui le vediamo tremolanti.
Con ciò si chiude il Traité du Monde o Traité de Lumière. Restano solo alcune mie
considerazioni.
Le cose che abbiamo visto mostrano con chiarezza che Descartes è persona in gran
parte estranea alla scienza sperimentale così come si era venuta definendo con Galileo.
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Si potranno sfogliare le migliaia di pagine scritte da Galileo e mai si troverà un
riferimento a Dio per la spiegazione di fatti naturali.
Le elaborazioni di Descartes furono duramente criticate da Leibniz che, nel 1686,
pubblicò un lavoro che fece molto discutere, Brevis demonstratio erroris memorabilis
Cartesii. In esso Leibniz argomentò contro il meccanicismo cartesiano soprattutto
perché riduceva proprio la materia ad estensione, la rendeva divisibile in atomi
indivisibili, la rendeva passiva, la separava dal mondo del pensiero. L'estensione che ha
tante proprietà (omogeneità, geometria, uniformità) non è in grado di spiegare il
movimento e particolarmente la resistenza dei corpi ad esso.
Anche Huygens non lesinò critiche e molto dure:
Il Signor Descartes aveva trovato la maniera di fare accettare per vere le
sue congetture e le sue finzioni. E a coloro che leggevano i suoi Principi di
Filosofia capitava qualcosa di simile a quello che capita a coloro che
leggono romanzi piacevoli che diano la stessa impressione delle storie vere.
La novità delle figure delle sue particelle e dei vortici piace molto. Allorché
lessi questo libro dei principi per la prima volta mi sembrò che tutto
andasse molto bene, e credevo, quando incontravo qualche difficoltà, che
fosse colpa mia se non capivo bene il suo pensiero. Avevo soltanto 15 o 16
anni. Ma in seguito, avendovi scoperto di tanto in tanto cose visibilmente
false, ed altre molto poco verosimili, abbandonai completamente le
preoccupazioni che avevo nutrito, e ora non trovo quasi nulla che possa
approvare per vero in tutta la sua fisica, né nella sua metafisica, né nelle
sue meteore [citato da Dijksterhuis].
Le critiche a Descartes erano particolarmente dure da parte di chi faceva scienza in
un mondo che tentava di uscire faticosamente dalla metafisica, dalle magie, e dalle
alchimie(4). Descartes, in tali circostanze, risultava uno dei pensatori che più affidava
alla metafisica le sue affermazioni sulla scienza della natura. Nonostante gli sforzi di
Koyré per accreditarlo come scienziato di punta e addirittura precursore, l'immagine di
Descartes è fortemente legata alla metafisica proprio perché con essa va a spiegare fatti
naturali. Basti solo osservare che un gigante della matematica della sua portata
costruisce la sua teoria del mondo a vortici senza che in essa intervenga minimamente la
matematica medesima e tutto l'argomentare è sostenuto da ragionamenti deduttivi che lo
legano pienamente alla tradizione aristotelica. La matematica vive in un comparto
separato della filosofia della natura.
Non c'è dubbio che Descartes fu il primo a sostituire un intero sistema del mondo,
come realizzato da Aristotele e cristianizzato da San Tommaso, con un altro
completamente differente ma anche Descartes non si sottrae a tentare l'integrazione delle
novità scientifiche con la metafisica, con la religione, facendo discendere la fisica dalla
metafisica:
Cosi infine non desumeremo mai nessuna ragione circa le cose naturali, dal
fine che si è proposto Dio o la natura nel farle; poiché non dobbiamo essere
tanto arroganti, da ritenerci partecipi delle sue decisioni: ma
considerandolo come causa efficiente di tutte le cose vedremo che cosa si
dovrà concludere, in base al lume naturale che egli ha posto in noi, da quei
suoi attributi di cui ha voluto che avessimo qualche nozione, riguardo a
quei suoi effetti che appaiono ai nostri sensi; memori tuttavia, come già s'è
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detto, che a questo lume naturale si deve credere sino a tanto che non venga
rivelato nulla in contrario da Dio [Principia Philosophiae; 15; 87]
È l'esistenza di Dio che rende possibile la conoscenza scientifica e ciò in quanto
questa ultima è basata su dei fatti certi. E la cosa si chiude su se stessa in quanto la prova
dell'immortalità dell'anima si può rintracciare proprio nella fisica. In definitiva la
conclusione è che la certezza di tutti gli enunciati della conoscenza dipende dalla nostra
certezza dell'esistenza di Dio. Dice Descartes:
Orbene, poiché Dio solo è la vera causa di tutte le cose che sono o possono
essere, è ben chiaro che noi seguiremo la miglior via del filosofare, se
tenteremo di dedurre dalla conoscenza di Dio stesso la spiegazione delle
cose da lui create, in modo tale da acquistare la scienza più perfetta, che è
quella degli effetti dalle cause [Principia Philosophiae; 15; 85]
ma subito dopo aggiunge che Dio appartiene alla natura dell'infinito e ci è impossibile
per noi, esseri finiti, comprenderlo:
E affinché ci addentriamo qui abbastanza al sicuro e senza pericolo di
errare, dovremo usare la precauzione di ricordarci sempre quanto più è
possibile che Dio, autore delle cose, è infinito, e noi affatto finiti [Principia
Philosophiae; 15; 85]
Possiamo solo affidarci alla ragione, quel lume naturale che egli ha posto in noi,
per scoprire quel poco che lo stesso Dio ci permette.
Nel fare queste considerazioni ho anticipato alcune cose dei Principia (1647), la cui
prima parte è, come lo stesso Descartes afferma in una lettera a Chanut, il sunto delle
Méditations métaphysiques (1641), che discuterò nella terza parte del lavoro. Mi
sembrava ora necessario fare tali considerazioni anche per riportare Descartes, per la
parte che riguarda i suoi lavori scientifici, ad una realistica considerazione.
ALLA PARTE PRIMA ...
SEGUE ...
NOTE
(1) Descartes a luglio del 1633 comunica all'amico Mersenne che ha terminato il suo
lavoro e gli resta solo da rivedere e copiare. Subito dopo fa conoscere la sua decisione di
non pubblicare il Mondo ancora a Mersenne con una lettera di fine novembre 1933 che
riporto:
DESCARTES A MERSENNE [Correspondance; 2; 387]
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Deventer, fine novembre 1633
[...] mi ero proposto di inviarvi il mio Mondo per le festività di fine d'anno
e non sono trascorsi neppure quindici giorni da quando ero assolutamente
deciso a farvene pervenire almeno una parte se, per quel tempo, non avessi
potuto ottenere che la totalità dell'opera fosse trascritta. Debbo però dirvi
che - appreso che l'anno precedente era stato stampato in Italia il Sistema
del Mondo [il riferimento è al Dialogo dei Massimi Sistemi, ndr] di Galileo feci cercare in quei giorni a Leida e ad Amsterdam se non se ne trovasse
una copia: mi si rispose che era vero che era stato pubblicato, ma che nello
stesso tempo tutte le copie erano state date alle fiamme a Roma e il suo
autore condannato a qualche pena. Il fatto mi ha tanto colpito che mi sono
quasi deciso a bruciare tutte le mie carte o - almeno - a non permettere a
nessuno di vederle. Non mi è parso infatti immaginabile che Galileo,
italiano ed anche, come almeno mi si dice, benvoluto dal Papa, abbia
potuto esser considerato un criminale per il solo fatto di avere - come avrà
certamente fatto - sostenuto il moto della Terra. So bene che [tale
concezione] era stata censurata da alcuni Cardinali, ma mi pareva aver
anche sentito dire che da allora non si era cessato d'insegnarla
pubblicamente perfino nella stessa Roma; riconosco che, se è falsa, lo sono
anche tutti i fondamenti della mia Filosofia, giacché da essi tale moto si
dimostra come affatto evidente. Essa è così tenuta a tutte le parti del mio
Trattato che non potrei eliminarla senza rendere il resto del tutto difettoso.
Non volendo però per nulla al mondo essere l'autore di un discorso ove si
trovi la pur minima parola disapprovata dalla Chiesa, preferirei
sopprimerlo interamente piuttosto che farlo apparire mutilato. Non sono
mai stato portato a comporre libri e, se non mi fossi impegnato con
promesse che ho contratte con voi e con alcuni amici per far in modo che il
desiderio di mantenere la parola data mi costringesse ad applicarmi ancor
più agli studi, non sarei mai venuto a capo di questo mio lavoro. Dopo tutto
sono convinto che non mi invierete nessuna guardia per costringermi a
pagare il debito e che forse sarete anche ben contento di esser libero della
fatica di leggere povere cose. Vi sono già tante concezioni in Filosofia che
possono apparire credibili ed essere sostenute nelle dispute, che se le mie
non hanno qualcosa di più certo e non possono essere approvate senza
controversie non vorrò mai darle alla luce. Tuttavia, visto che sarei davvero
poco cortese se, dopo avervi colmato per tanto tempo di promesse, pensassi
di ripagarvi con una semplice battuta, non mancherò di mostrarvi quanto
ho fatto, appena mi sarà possibile: lasciate che vi chieda ancora, per
favore, una proroga di un anno per aver il tempo di rivederlo e metterlo
nella migliore forma possibile. Mi avete ricordato il detto oraziano:
nonumque prematur in annum [tener presso di sé per nove anni, ndr], ma
non sono ancora trascorsi tre anni da quando ho iniziato il Trattato che
penso inviarvi; vi pregherei di farmi sapere quel che vi è noto dell' affare di
Galileo [ ... ]
(2) A questo proposito Shea ricorda quanto Descartes aveva scritto tre anni prima nelle
Regulae:
Ciò che non Dice Descartes nel Mondo è che questa affermazione
supponeva una rottura radicale con l'analisi delle sensazioni che egli stesso
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aveva offerto nelle Regulae, nelle quali sosteneva che gli oggetti fisici
imprimono la loro forma nell'immaginazione e che con ciò risultava
garantita l'oggettività della testimonianza dei nostri sensi.
(3) Gli altri due esempi che si trovano nei Principia (articoli 58 e 59 della Parte III) sono
i seguenti:
- si fa ruotare un righello intorno ad un suo estremo e sull'altro estremo del righello si
sistema una formica (vedi figura) [Principia; 15; 210]
- una pallina scende all'interno di un tubicino di vetro (vedi figura) che viene fatto girare
intorno ad un suo estremo (la pallina nel tubo, mentre questo gira, si allontana dal centro
di rotazione ma se il tubo si rompesse andrebbe lungo la tangente) [Principia; 15; 210211]
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(4) Altre critiche di altro segno vennero mosse a Descartes dal suo illustre concittadino
Voltaire il secolo seguente nella sua famosa Lettera inglese n° 14.
Voltaire ebbe modo di conoscere l'opera di grandi pensatori inglesi quali Bacon,
Locke e Newton che saranno ispiratori dell'Illuminismo francese. Egli, pur nelle
contraddizioni che lo caratterizzarono (ammirava l'Inghilterra, pur sognando non un
Parlamento ma un monarca illuminato; polemizzava violentemente con la Chiesa pur
credendo ad un principio divino; ... ), coglie l'arretratezza del pensiero dominante del suo
Paese nella filosofia di eredità scolastica di Descartes (pur difendendo il filosofo dai suoi
detrattori, ad esempio, riguardo alle sue fondamentali scoperte in matematica). Gli
argomenti che porta a sostegno delle aperture filosofiche di Newton rispetto alla
filosofia cartesiana, sono riportati nella Lettera XIV che segue. Anche qui, ma non è il
caso di sottilizzare, Voltaire non aveva capito molto bene il pensiero di Newton (anche
perché. probabilmente, non lo lesse sull'opera originale ma su quella di suoi estimatori
come Pemberton, Fontenelle, Maupertuis).
LETTERA XIV (Dal testo 54 di bibliografia)
Descartes e Newton
Un francese che arrivi a Londra trova le cose assai mutate in filosofia, come in tutto
il resto. Ha lasciato il mondo pieno; lo trova vuoto1. A Parigi, si vede l'universo
composto da vortici di materia sottile; a Londra, non si vede nulla di tutto questo. Da noi
è la pressione della Luna che causa il flusso del mare; presso gli Inglesi è il mare che
gravita verso la Luna, in modo che quando credete che la Luna dovrebbe darci l'alta
marea, questi signori ritengono che si debba avere bassa marea: il che, disgraziatamente,
non può controllarsi, perché sarebbe stato necessario — per chiarire la cosa —
esaminare la Luna e le maree nel primo istante della creazione.
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Noterete inoltre che il Sole, il quale in Francia non c'entra per nulla in questa
faccenda, vi contribuisce in Inghilterra per circa un quarto. Secondo i vostri cartesiani
tutto avviene per un impulso assolutamente incomprensibile; secondo Newton, tutto
avviene per un attrazione di cui non si conosce meglio la causa. A Parigi, vi figurate la
Terra fatta come un melone2; a Londra, essa è appiattita ai due poli. Per un cartesiano la
luce esiste nell'aria; per un newtoniano, giunge dal Sole in sei minuti e mezzo. La
chimica francese effettua tutte le sue operazioni con acidi, alcali e materia sottile; in
Inghilterra, l'attrazione domina perfino nella chimica.
L'essenza stessa delle cose è totalmente mutata. Non è possibile accordarvi né sulla
definizione dell'anima né su quella della materia. Cartesio assicura che l'anima
s'identifica col pensiero, e Locke gli prova abbastanza bene il contrario. Cartesio
assicura che l'estensione da sola costituisce la materia; Newton vi aggiunge la solidità.
Ecco dei contrasti abbastanza stridenti.
Non nostrum inter vos tantas componere lites3.
Questo famoso Newton, distruttore del sistema cartesiano è morto nel mese di
marzo dello scorso anno 1727. Ha vissuto onorato dai suoi compatrioti, ed è stato
sepolto come un re che abbia fatto del bene ai propri sudditi Qui a Londra è stato letto
con avidità e tradotto l'elogio del signor Newton che il signor di Fontenelle4 ha
pronunziato all'Accademia delle Scienze. In Inghilterra il giudizio del signor di
Fontenelle era atteso come una dichiarazione solenne della superiorità della filosofia
inglese; ma quando si è visto che egli paragonava Cartesio a Newton, tutta la Società
Reale di Londra si è sollevata. Lungi dall'accettare tale giudizio, si è criticato quel
discorso. Parecchi (e non sono certo i più filosofi) sono anzi rimasti urtati da quel
paragone, soltanto perché Cartesio era francese.
Bisogna riconoscere che questi due grandi uomini sono stati molto diversi l'uno
dall'altro per la loro condotta, la loro fortuna e la loro filosofia.
Cartesio era nato con un'immaginazione vivace e vigorosa, che ne fece un uomo
singolare nella vita privata come nella maniera di ragionare. Tale immaginazione si fa
avvertire perfino nelle sue opere filosofiche, dove a ogni passo s'incontrano paragoni
ingegnosi e brillanti. La natura ne aveva fatto quasi un poeta, e infatti egli compose per
la regina di Svezia un divertimento in versi che, per rispetto alla sua memoria, non è
stato stampato.
Egli tentò per qualche tempo il mestiere della guerra, e poi, essendo divenuto del
tutto filosofo, non credette indegno di sé il fare l'amore. Ebbe dalla sua amante una figlia
di nome Francine, che morì giovane e di cui egli rimpianse molto la perdita. Così, provò
tutto ciò che fa parte della natura umana.
Credette per lungo tempo che fosse necessario fuggire gli uomini, e soprattutto
la sua patria, per filosofare in libertà. Aveva ragione: gli uomini del suo tempo non ne
sapevano abbastanza per illuminarlo, e non erano capaci d'altro che di nuocergli. Lasciò
la Francia perché cercava la verità, che vi era perseguitata allora dalla meschina filosofia
universitaria; ma non trovò un maggior raziocinio nelle università dell'Olanda, dove si
ritirò. Infatti, mentre in Francia si condannavano le sole proposizioni della sua filosofia
che fossero vere, egli fu perseguitato anche dai pretesi filosofi d'Olanda, che non lo
capivano meglio e che, vedendo più da vicino la sua gloria, odiavano ancora di più la
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sua persona. Fu costretto ad abbandonare Utrecht; subì l'accusa di ateismo, estrema
risorsa dei suoi calunniatori; e lui che aveva impiegato tutta la sagacia del proprio
ingegno nel cercare nuove prove dell'esistenza di un Dio, fu sospettato di non
riconoscerne nessuno.
Tante persecuzioni presupponevano grandissimi meriti e una strepitosa reputazione:
egli aveva infatti gli uni e l'altra. La ragione riuscì tuttavia a penetrare un po' nel mondo
attraverso le tenebre della filosofia scolastica e i pregiudizi della superstizione popolare.
Il suo nome finì col diventare tanto celebre che si cercò di attirarlo in Francia mediante
ricompense. Gli fu offerta una pensione di mille scudi; con tale speranza egli venne,
pagò le spese del diploma, che allora si vendeva, non ebbe la pensione, e se ne ritornò a
filosofare nella solitudine dell'Olanda del nord, al tempo in cui il grande Galileo, all'età
di ottant'anni, gemeva nelle prigioni dell'Inquisizione, per aver dimostrato il movimento
della Terra. Morì infine a Stoccolma d'una morte prematura, causata da un cattivo
regime, nella cerchia di alcuni dotti, suoi nemici, e tra le mani di un medico che lo
odiava.
Completamente diversa è stata la carriera del cavaliere Newton. Ha vissuto
ottantacinque anni, sempre tranquillo, felice e onorato, in patria.
La sua grande fortuna è stata di esser nato non solo in un paese libero, ma anche in
un'epoca in cui le impertinenze scolastiche erano bandite e veniva coltivata soltanto la
ragione; sicché il mondo non poteva essere che suo scolaro, e non suo nemico.
Singolare è il contrasto in cui si trova rispetto a Cartesio: nel corso della sua cosi
lunga esistenza non ha avuto né passioni né debolezze; non ha mai avvicinato una
donna, il che mi è stato confermato dal medico e dal chirurgo tra le cui braccia egli è
morto. In questo si può ammirare Newton, ma non bisogna biasimare Cartesio.
Su questi due filosofi, l'opinione pubblica è, in Inghilterra, che il primo era un
sognatore, e l'altro un saggio.
A Londra pochissimi leggono Cartesio, le cui opere sono effettivamente diventate
inutili; e pochissimi leggono Newton, perché per capirlo occorre essere molto dotti.
Ciononostante, tutti parlano di loro: non si accorda nulla al francese, e si concede tutto
all'inglese. Taluni ritengono che, se non si crede più all'orrore del vuoto, se si sa che
l'aria è pesante, se ci si serve delle lenti d'ingrandimento, se ne debba esser grati a
Newton. Egli è qui l'Ercole della favola, cui gli ignoranti attribuivano tutte le gesta degli
altri eroi.
In una critica del discorso del signor di Fontenelle fatta a Londra, si è giunti a
sostenere che Cartesio non era un grande matematico. Quelli che parlano così rinnegano
chi li ha nutriti. Dal punto in cui ha trovato la geometria fino al punto cui l'ha portata,
Cartesio ha percorso tanto cammino quanto quello percorso da Newton dopo di lui; egli
è il primo che abbia trovato la maniera di dare le equazioni algebriche delle curve. La
geometria, grazie a lui divenuta oggi di uso comune, era ai suoi tempi così oscura che
nessun professore si azzardava a spiegarla, e non vi erano altri che Schootem5 in Olanda
e Fermat6 in Francia che la capissero.
Egli portò questo spirito geometrico e inventivo nella diottrica7, che divenne per
opera sua un'arte del tutto nuova; e se s'ingannò in qualche cosa, è perché chi scopre
nuove terre non può di colpo conoscerne tutte le caratteristiche: coloro che vengono
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dopo di lui e rendono fertili quelle terre hanno, nei suoi confronti, almeno l'obbligo di
attribuirgli la scoperta. Non negherò invece che tutti gli altri lavori di Cartesio
formicolino di errori.
La geometria era una guida ch'egli stesso aveva, in qualche modo, formata, e che lo
avrebbe sicuramente guidato anche nel campo della fisica; tuttavia egli fini con
l'abbandonare tale guida, per affidarsi allo spirito sistematico. Da allora la sua filosofia
non fu più che un ingegnoso romanzo, verosimile tutt'al più per gli ignoranti. Egli si
ingannò sulla natura dell'anima, sulle prove dell'esistenza di Dio, sulla materia, sulle
leggi del movimento, sulla natura della luce; ammise le idee innate, inventò nuovi
elementi, creò un mondo, fece l'uomo a modo suo, e si dice a ragione che l'uomo di
Cartesio non è in effetti se non l'uomo di Cartesio, lontanissimo dall'uomo reale.
Spinse i suoi errori metafisici fino a pretendere che due e due fanno quattro soltanto
perché Dio ha voluto così. Ma non è troppo asserire ch'egli restava degno di stima anche
nei suoi errori. Si ingannò, ma lo fece almeno con metodo e con spirito conseguente;
distrusse le assurde chimere di cui la gioventù s'infatuava da duemila anni; insegnò agli
uomini del suo tempo a ragionare e a servirsi contro lui stesso delle sue armi. Se non ha
pagato in buona moneta, è già molto che abbia screditato quella falsa.
Non credo, in verità, che si osi paragonare in nessun modo la sua filosofia con
quella di Newton: la prima è solo un tentativo, la seconda un capolavoro. Ma chi ci ha
messi sulla via della verità vale forse quanto colui che è salito poi sulla vetta di tale
carriera.
Cartesio diede la vista ai ciechi: essi videro gli errori dell'antichità ed i suoi. La via
ch'egli ha aperto è, dopo di lui, divenuta immensa. Il libretto di Rohault8 ha
rappresentato per qualche tempo una fisica completa; oggi, tutte le raccolte delle
Accademie d'Europa non costituiscono nemmeno un inizio di sistema: approfondendo
quell'abisso, lo si è trovato infinito. Si tratta adesso di vedere che cosa il signor Newton
ha cavato fuori da tale abisso.
____________________________
NOTE ALLA LETTERA XIV
1 - Allusione, rispettivamente, alle posizioni filosofiche di Cartesio e di Newton. R.
Naves osserva: «Tutto l'inizio di questa lettera è scritto in tono scherzoso, e Voltaire fa
mostra di non decidere tra Descartes e Newton. ... La fine della lettera XIV prende
partito a favore di Newton e giudica Descartes negli stessi termini che Voltaire
riprenderà molto più tardi. Poteva essere abile non spaventare il lettore fin dall'inizio
e condurlo soltanto gradualmente alla "sana filosofia"».
2 - La tesi che la Terra fosse uno sferoide allungato anziché appiattito ai due Poli
era stata sostenuta dall'astronomo francese di origine italiana Jacques Cassini (16771756), direttore dell'osservatorio di Parigi, nell'opera La grandeur et la figure de la
Terre (1718) e accolta da altri scienziati.
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3 - "Non è affar nostro appianar tra voi dispute così importanti"; VIRGILIO, Bucoliche,
III, 108. ...
4 - Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657-1757), letterato francese, Segretario perpetuo
dell'Accademia delle Scienze: in tale qualità compose numerosi elogi di colleghi defunti,
tra cui quello di Newton che ebbe nel 1728 ben quattro edizioni.
5 - Francesco von Schooten, matematico olandese del XVII secolo, autore di una
Geometria dedicata a Descartes (Leida 1649) in cui sono stabilite le coordinate
ottagonali, e di un'altra opera del 1656 dedicata alla « geometria con la riga ».
6 - Pierre Fermat (1601-65), matematico francese in relazione con Cartesio,
sviluppò la geometria analitica deducendo dall'equazione di una curva (da lui chiamata «
Proprietà specifica ») tutte le sue proprietà>
7 - Parte della fisica che si occupa dell'azione dei mezzi sulla luce che li attraversa. 8 Jacques Rohault (1620-1675), autore di un Traité de physique (1671) assai diffuso, in
cui sono esposte le dottrine di Cartesio.
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18 - Bertrand Russel - Storia della filosofia occidentale - Longanesi 1967
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32 - Hugo Dingler - Storia filosofica della scienza - Longanesi 1949
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34 - Robert Lenoble - Le origini del pensiero scientifico moderno - Laterza 1976
35 - A. Rupert Hall - Da Galileo a Newton - Feltrinelli 1973
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51 - Roberto Pitoni - Storia della fisica - S.T.E.N. 1913.
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54 - François-Marie Arouet (Voltaire) - Lettere inglesi - Editori Riuniti 1971
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