Tariffa Associazioni senza scopo di lucro: Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in 27/02/2004 n. 46) art 1, comma 2, DCB Milano
secondo SEMESTRE 2009
Nuova serie bimestrale della FIBA Cisl, Federazione Italiana Bancari e Assicurativi, Sindacato territoriale di Milano - Anno XXXVIII - settembre 2009
Costruire a partire
dalla realtà
e dal proprio cuore
notizie
3 Responsabiltà
di Pier Paolo Merlini
4 Sindacato: volontariato o servizio?
di Alberto Zironi
6 Uomini al Lavoro
di Claudio Bottini
Quello
che
Quello che
leggeremo…
leggeremo…
7 Sindacato oggi
di Marco Berselli
8 Sindacati seppelliti da una gru
di Walter Piscopo
10 Ce l’abbiamo fatta!
di Alessandra Poma
11 Operazione “TANGO 1 – Le Volpi nel sacco”
di Giovanni Macaluso
12 Il volontariato “paga”
di Bruno Donno
14 Ma gli astenuti vincono sempre?
di Daniele Malenchini
15 Recensioni: “L’ospite inatteso”
di Giovanni Macaluso
Pier Paolo Merlini
Segretario generale Fiba - Milano
Q
uesta estate abbiamo passato il
tempo a leggere e, a volte, anche a
discutere di un sacco di idee e proposte
frutto più della canicola che di un sano
realismo.
Ci siamo sbizzarriti tra dialetti, gabbie
salariali, ottimismo gratis e pessimismo
ad oltranza, inno nazionale, veline e
storie più o meno hard, love story di tizio
e caio. Se la realtà vera avesse potuto
andare in vacanza, beh, in fondo sarebbe stato anche piacevole dedicarsi a
questi teoremi, peccato che lei, la realtà,
in vacanza non ci è andata.
Le preoccupazioni per il prossimo autunno, al di là se sarà caldo, bollente
o altro, sono tante e il sindacato dovrà
attrezzarsi al meglio per fronteggiarle.
La crisi sembra in vista della fine, ma
quanto si impiegherà a sanare i danni
che ha provocato? Le banche che in
questi mesi hanno chiuso i battenti a Milano richiameranno i loro ex dipendenti?
Difficile! Coloro che hanno accettato di
sacrificare il posto di lavoro in cambio di
qualche mensilità (poco o tante in fondo
non fa differenza) potranno rientrare
agevolmente nel mondo del lavoro?
Speriamo! Se usciremo da questo stallo,
avremo imparato qualcosa? Le banche
recupereranno un’idea di credito che
sia utile alla gente? Le compagnie di
assicurazione ritroveranno una vena
solidaristica e di sicurezza? Il sindacato
sarà capace di non gettare al vento il
recuperato rapporto con i lavoratori e
le lavoratrici, favorito oggi da questa
situazione di crisi?
Per quello che riguarda la Fiba Cisl di
Milano, tutti i quadri sindacali, di azienda
o delle strutture, saranno sicuramente
Responsabiltà
Responsabiltà
pronti ad accettare questa sfida e a
giocarsi la propria responsabilità, non
abbiamo la pretesa di cambiare il mondo, ma per quello che sarà nelle nostre
possibilità, cercheremo di svolgere al
meglio il nostro compito.
Il primo capitolo sarà il predisporre la
piattaforma per il rinnovo del contratto
nazionale assicurativo, il primo banco
di prova del novello accordo sulla contrattazione e il debutto dell’indice IPCA
per definire il recupero inflattivo. Sarà un
test importante anche in previsione del
rinnovo del CCNL del credito.
Avremo poi da affrontare la ristrutturazione del fondo esuberi del settore ABI,
uno strumento valido che ha permesso
di affrontare le situazioni di crisi e di
riorganizzazione senza che nessuno
venisse licenziato ma che, oggi, a causa della crisi, deve tornare ad essere
un ammortizzatore sociale per tutto il
comparto.
Preoccupa, infine, una tendenza egoistica che sembra prevalere nella vita di
ciascuno che, come conseguenza, porta una solitudine, a volte una acredine e
una violenza preoccupanti. Non si può
ridurre la questione all’esigenza, sacrosanta, di una sicurezza globale: l’atteggiamento che favorisce l’integrazione di
culture diverse, che permette una reale
sussidiarietà tra i corpi intermedi della
società è la conoscenza, è il sapersi
accettare, riconoscere e prendere sul
serio, i desideri più profondi che costituiscono il cuore di ogni uomo. Occorre
provarci, laddove siamo coinvolti, nel
lavoro, nel quartiere, nella scuola dei
figli, che qualcuno cominci ad affrontare
le questioni con questo giudizio può
portare una vera novità nei nostri settori,
nel nostro paese.
notizie
notizie
Sindacato:
Sindacato:
volontariato
o
servizio?
volontariato o servizio?
Alberto Zironi
Segretario Responsabile Sas
Fiba Cisl Bpci Gruppo Ubi di Milano
O
nessuno dei due? Il titolo sembra
quasi uno spot per avvicinare i
giovani all’attività sindacale; perché nel
sentire comune è da un po’ che l’appeal
del sindacalista non è poi proprio molto
luminoso. E’ singolare come molti associno il sindacato, che so, alla protezione
di tartarughe marine e foche monache
piuttosto che alla protezione dei colleghi
nella propria azienda.
Forse si crede che chi lavora nasce
già fornito dalla natura degli strumenti
necessari per la sua tutela nell’ambiente
lavorativo…
Uno degli aspetti fondamentali del fare
sindacato è l’esperienza: se ti occupi di
contrattazione aziendale, di comunicazione a vari livelli (giornali, assemblee),
di assistenza legale e contrattuale, la
conoscenza e lo spessore professionale
da soli non ti bastano.
Ti accorgi sempre che la marcia in più te
la da solo l’esperienza. Giorgio Branduardi, già Segretario Responsabile Fiba del
Gruppo Unicredit, poi componente della
Segreteria Territoriale di Milano, e anche
Revisori dei conti.della Fiba nazionale, in
oltre 30 anni di attività, se l’è acquisita.
Una vita passata impegnandosi nel sindacato prima di arrivare alla pensione.
Questa è l’esperienza raccolta e vissuta
di chi ha iniziato a fare il sindacalista negli
anni ‘70 e vuole lasciare qualcosa ai giovani. Un primo esempio di servizio.
Giorgio preferisce evitare la parola volontariato associata all’attività sindacale: per
lui è più completo il concetto di servizio.
Chi intende fare questa attività, si mette al
servizio degli altri, degli iscritti e anche di
tutti gli altri colleghi. Il volontario lo vedo
piuttosto come chi presta il suo tempo
e le sue potenzialità fuori dall’attività lavorativa: il servizio nel sindacato invece
fa parte del tuo lavoro. Anzi, il tuo lavoro
diventa poi davvero il servizio per gli altri.
Il bello di questo impegno si comprende
man mano che lo si approfondisce.
All’inizio le motivazioni di impegnarsi nel
sindacato possono essere le più varie: un
lavoro che si reputa inutile o ripetitivo, la
percezione che le cose non vadano come
si pensa dovrebbero, qualche
ingiustizia subita; ma nel lavoro sindacale si deve capire, e in fretta, che le
responsabilità vanno ben oltre il proprio
interesse e che è necessario giungere a
una sintesi degli interessi comuni, dalla
parte dei colleghi e colleghe. Per me,
ad esempio, l’impegno nel sindacato
è nato non da queste motivazioni, ma
per una mia attenzione al mondo del
lavoro, ai suoi bisogni, alle problematiche che emergevano dal pensiero, oggi
certamente diverso, di una cultura che
era tipica della metà degli anni settanta
(purtroppo del secolo scorso!!).
Gli ostacoli. Oggi purtroppo oltre alle naturali difficoltà legate alla contrattazione,
al lavoro, ne è nata anche un’altra, forse
peggiore: la nostra è un’attività poco
apprezzata. Diciamolo pure: a volte i sin-
dacalisti sono visti come gente che non
vuole più lavorare, come imboscati. Sei
d’accordo Giorgio?
E’ vero. E purtroppo questa convinzione è
alimentata anche dalla poca conoscenza
di cosa fa il tuo sindacalista. Partiamo
allora dalle difficoltà legate all’attività
sindacale vera e propria: la contrattazione. Innanzitutto si deve capire sempre
dove vuole andare l’azienda, il suo fine,
capire il motivo delle riforme e delle
ristrutturazioni, saper guardare a una
solidità aziendale, che è la vera garanzia
occupazionale e, se ne si condividono gli
obiettivi finali, sapere che poi il Sindacato
dovrà anche contribuire a realizzarli L’etica del sindacalista, e di conseguenza la
vera fatica, è quella di saper coniugare
la risoluzione di un bisogno con le prospettive gestionali e future di un’azienda
che oggi, anche per effetto della crisi,
deve sapersi riadattare a fare mercato
nella prospettiva di un consolidamento
nel lungo termine e non guardare al breve
con i risultati trimestrali.
Poi a seconda del livello di attività sindacale si lavora con tempi diversi: nel
livello base cioè in azienda, devi dare
e ottenere risposte immediate. Come
distaccato presso le strutture territoriali,
nazionali, devi anche tenere conto di
aspetti e di tempi più complessi, dovendo
considerare anche il futuro e l’andamento
della propria azienda. Per esempio oggi
sempre più i colleghi hanno il terrore del
cosiddetto cambio di scrivania, cioè di
cambiare lavoro, le mansioni, c’è paura
di modificare anche il proprio modo di
lavorare. I colleghi a volte si cullano nel
loro lavoro, senza la consapevolezza
che oggi il loro lavoro, per portare un
guadagno all’azienda, quello che in termini tecnici si chiama valore aggiunto,
non può più essere ripetitivo, diciamo
pure poco utile; un lavoro a basso valore
aggiunto non rende più nulla alle imprese. Il Sindacato questa consapevolezza
invece deve averla; e deve rendere i
cambiamenti il più indolore possibile,
meno traumatici, sempre positivi per
dipendenti e aziende.
Anche vedere a volte com’è percepito dai
propri colleghi il sindacalista fa male?
Non solo dai colleghi, ma a volte da altri
sindacalisti quando, ad esempio, ci si
trova davanti a logiche di potere, tipicamente aziendali, come l’arrivismo, la
ricerca della propria carriera anche nel
mezzo di attività volontarie o di servizio.
Sono aspetti purtroppo comuni e presenti
in tutte le attività; trovarli talvolta anche in
ambito sindacale, beh, fa davvero male…
Tornando ai colleghi effettivamente Quello che i colleghi e gli iscritti fanno fatica
a percepire è proprio il lavoro sindacale:
questa attività risalta poco, Si dice, ad
esempio, che il sindacalista non si vede
mai, e quindi non dà risposte; salvo poi
quando sono convocate le assemblee
su un particolare ordine del giorno, gli
stessi colleghi non partecipano e non
danno nessun contributo. La nostra è una
società sempre più individualista, e l’individualismo di molti rende difficile riuscire
ad apprezzare il concetto di volontarietà
e di servizio per la collettività: semplicemente pensano a loro stessi.
La difficoltà è come riuscire a far comprendere il proprio impegno e il servizio
ai colleghi, e insegnare a chi si avvicina
al sindacato come questi valori debbano
sempre essere presenti nella propria
base etica e professionale. Certamente
poi il compito non è facile; di sicuro è
poco visibile. Ma sta al sindacalista, attraverso un dialogo continuo e costante
almeno con i propri iscritti, far capire la
complessità del ruolo.
Ripeto, questo ruolo deve sempre avere
come riferimento ultimo il lavoratore, ma
si deve esplicitare in diverse articolazioni,
secondo le proprie responsabilità. Se
non si parla di questo all’iscritto, se non
si fanno vedere le diverse competenze,
l’iscritto vedrà sempre lontano dai propri
bisogni il
sindacalista e farà fatica a comprenderne le decisioni, vale a dire gli accordi
firmati.
Il servizio che il sindacalista rende al
lavoratore deve essere percepito, altrimenti può averne come ritorno una critica
feroce. Come fare? Cominciamo a fare
in modo che i problemi del lavoro siano
risolti nella loro globalità, aumentando
quando possibile la professionalità dei
dipendenti. Questo concetto non si
matura in breve e non servono corsi,
seppure importanti, per capirlo. E’ la vita
stessa del lavoro sindacale, fatta anche
di sacrifici e di perdita del proprio tempo
libero (pensiamo a tutte le trattative che
immancabilmente nella loro fase finale
terminano sempre a notte inoltrata) che
ti porta alla consapevolezza che quello
che stai facendo lo fai per tutti i colleghi,
per il loro bene e
possibilmente per il loro benessere futuro.
E la soddisfazione di quando gli accordi
sottoscritti sono poi approvati dai lavoratori e dalle lavoratrici è per il sindacalista
motivo d’orgoglio per aver svolto il proprio
ruolo nel migliore dei modi.
Ora tutto questo non può che tradursi in
un impegno e in una passione sempre
maggiore, in un entusiasmo che non deve
lasciare spazio a critiche gratuite, come
quella dell’assenza sul posto di lavoro.
Se uno vuole far bene questo servizio,
se si vuole impegnare sul serio, i colleghi
devono dargli credito: certo non come
cambiale firmata in bianco, ma come
fiducia che sta lavorando bene, pretendendo in ogni caso maggiori e sempre
più ampie informazioni che oggi, con la
tecnologia a disposizione, si possono
dare quasi in tempo reale.
La visibilità del sindacalista è anche
questo.
Impegno, passione e serietà. Giorgio cos’è per te oltre a questo fare sindacato?
E dici poco? Ma se vuoi aggiungere altro
diciamo quello che il fabbro non mette
mai tra l’incudine e il martello.Un semplice cuscinetto. L’attività sindacale è un
vero e proprio cuscinetto tra le aspettative, spesso a breve periodo, dei colleghi e
le prospettive e le garanzie che vogliamo
dare a questi stessi colleghi, a chi entrerà
nel futuro per un consolidamento della
stessa azienda.
notizie
Uomini
al
lavoro
Uomini al lavoro
Claudio Bottini
N
el numero del mese di Maggio di
Fiba Milano, abbiamo scritto che
a metterci insieme è la stessa origine,
cioè il fatto che siamo accomunati da
quell’ insieme di evidenze ed esigenze
che costituiscono il cuore di ogni uomo.
Questo crea un movimento che,sfidando
continuamente la riduzione dell’uomo a
risorsa, a meccanismo o a programma
precostituito, rende evidente che il protagonista della storia è la persona nella
sua interezza originale. Il nostro primo
compito quindi, è costruire luoghi in cui la
vera immagine dell’uomo venga coltivata.
Un movimento di uomini del lavoro che
partendo dal desiderio del proprio cuore
crei ambiti di socialità, di umanità, trovando gli uomini del sindacato parte attiva e
responsabile in questo percorso.
Bisogna essere sinceri con noi stessi,
spesso concepiamo ed usiamo il sindacato come fonte erogatrice di servizi,(non
che sia sbagliato, ma sicuramente è limitato) o lo consideriamo come impaccio
al percorso professionale o addirittura
solo come controparte che mette lacci
all’impresa, questo al massimo è una
“istituzione”, burocratica ed autoreferenziale. Così tante volte è visto ed usato sia
dentro che fuori, ma la mia esperienza
mi fa accorgere che così è veramente
limitante, perché blocca la possibilità di
essere strumento per la costruzione di
luoghi di vera umanità.
Storicamente non è andata in questo
modo. Il movimento operaio come il
movimento cattolico hanno segnato con
gli ideali delle persone la storia, le lotte
e la costruzione di luoghi, pensiamo alle
case del popolo, alle borse valori, alle
cooperative, alle casse rurali. Invece
oggi sembra, come dicevamo sopra, solo
un’istituzione erogatrice di servizi, cioè un
corpo intermedio, rattrappito, non vissuto
e lasciato andare. Guardando la mia
esperienza e l’esperienza di tanti uomini
al lavoro,scopriamo invece un percorso
che, partendo dal desiderio di bellezza,
giustizia e verità, investe la realtà, i rapporti, le trattative, le piattaforme aziendali
e nazionali del proprio ideale e che ha a
cuore la persona e la difesa del lavoro
(ultimamente è stato fatto un tentativo
reale in questa direzione, infatti la CGIL
non ha firmato). Per affrontare la realtà
così ci vogliono degli uomini che vivano
fino in fondo l’ideale in cui credono. Non
si tratta di ridefinire la teoria sociale del
sindacato, bensì di vivere l’ideale che
sostiene secondo la propria tradizione
cattolica, socialista, liberale. Il vero
percorso è che non si dia per scontata
l’origine della nostra storia e si guardi
solo alle conseguenze, cioè al trend di
servizi, di iscritti, senza lasciarci sfidare
da quello che la realtà chiede oggi. Ma
poiché dobbiamo lealmente riconoscere
che cercare il significato di quello che si
vive è un lavoro controcorrente, bisogna
tornare a discutere e a confrontarci con
tutti.
Dobbiamo costruire luoghi dove ritrovarsi,
partendo dall’esperienza elementare che
ogni uomo vive. La mia piccola storia mi
dice che questo non solo è possibile ma
è un guadagno per me e per tutti perché
si approfondiscono i rapporti che sono la
stoffa degli uomini del lavoro come del
sindacato. Bisogna aver il coraggio non
di fare gruppi autoreferenziali bensì di fare
delle sedi del sindacato lo strumento per
valorizzare le esperienze che vengono
dal basso, guardando ciò che di bello e
di vero già c’è. Mi ha colpito ultimamente
la risposta di un dirigente di una grande
azienda di credito che ha costituito un
gruppo di riferimento tra dirigenti e a cui
ho chiesto se io, che dirigente non sono,
potessi partecipare: mi ha detto che è riservato solo a chi ha un ruolo come quello
prefigurato. Ecco sono convinto del fatto
che è l’esperienza che si vive, che ogni
uomo del lavoro vive, che può dare un
contributo essenziale alla costruzione ed
alla stabilità di luoghi vivi.
Il movimento sindacale ha una lunga
tradizione che non può perdere e quindi
bisogna che guardi con interesse e
passione ad ogni tentativo che abbia
al centro il desiderio di verità, bellezza,
giustizia perché ognuno di noi torni ad
essere protagonista della vita di tutti i
giorni.
A questo siamo chiamati tutti, non solo
i cosiddetti esperti, o chi vive un ruolo
o chi è un tecnico, la sfida è a me e a
te, all’integralità dell’esperienza umana:
bisogna guardare chi vive così (in questo
numero ci sono alcuni esempi), il punto
è vivere questo desiderio personale, non
dare per scontato quello che facciamo,
non dicendo lo so già, tocca agli altri.
Questo sarebbe devastante, tutti abbiamo da imparare gli uni dagli altri.
E’ un lavoro affascinante, non bisogna
perdere di vista la propria esperienza elementare e paragonare tutto con questa.
Oggi, il nostro vero pericolo è il conformismo, ma abbiamo due grandi alleati per
non scivolare nello scontato: il nostro cuore e la realtà. E’ una strada che, secondo
me,stiamo recuperando: è un cammino in
cui ognuno di noi, con la sua esperienza
può dare un contributo essenziale.
Puoi contattare Claudio, sempre disposto
a dialogare e confrontarsi con chiunque
lo desideri, scrivendo a claudio.bottini@
intesa sanpaolo.com
Sindacato
oggi
Sindacato oggi
Marco Berselli
[email protected]
L
a sensazione è sempre la stessa.
Basta parlarne in giro, non solo con
gli iscritti o con i lavoratori, ma anche con
il vicino di casa, il portinaio, il negoziante.
Basta leggere i giornali: IL SINDACATO E’
SEMPRE LO STESSO, NON SI MUOVE,
anzi l’immagine percepita è di un’istituzione ancora più burocratica di prima,
o legato a parole e concetti di cui non
si conosce più nemmeno provenienza e
significato, e comunque facente parte del
sistema, con esso integrata, indistinta.
Ho fatto il solito test empirico senza
alcuna pretesa scientifica, chiedendo
un po’ ad amici, parenti, colleghi, se
conoscessero esattamente il concetto di
“mobilitazione”, termine molto utilizzato
dal sindacato. Quello che ho fatto è poco
più che un gioco.
La maggior parte dei giovani non hanno
saputo dire nemmeno di cosa stessi
parlando, mentre tra la generazione dai
capelli brizzolati, c’è stato chi ha avuto
una vaga idea, chi un lontano ricordo,
chi ha sbuffato trovandola un po’
“consumata”.
Tutto ciò per chiedersi qual è il
posto del sindacato oggi, come
si fa sindacato. Non bastano
ovviamente poche righe e poco
inchiostro e sicuramente ognuno
ha la sua idea. Coerentemente con quanto proclamiamo
normalmente, cioè “al centro
la persona”, la domanda che
sorge è “chi è il sindacalista
oggi”.
Al di là delle competenze, dei ruoli,
delle prerogative, il sindacalista, come
è sempre stato, deve essere collocato
ben dentro la società e la sua azienda
e deve essere una persona capace di
ascoltare.
A titolo puramente esemplificativo, chi
scrive non è presente su Facebook, ma
sa bene di cosa si tratta perché conosce
centinaia di colleghi lì registrati.
Pertanto non è esatto affermare che i
vecchi schemi non funzionano più (ci
sono rappresentanti che non sanno usare
internet e sono comunque eccellenti e
riconosciuti da tutti nel loro ruolo).
Si tratta però di fare uno sforzo di “riconversione” (brutto termine, ma rende
l’idea), giusto per parlare il linguaggio
corrente. In questo è sicuramente fondamentale la formazione, ma anche uno
spirito nuovo da parte dei quadri sindacali, senza limitarsi al solito piagnisteo
decadente e senza costrutto.
Significato,
tendenze, modi
nuovi e vecchi di
essere attivamente
presenti nelle
aziende e nella
società
Spesso in molte realtà di una certa dimensione, ma tutte presenti nel territorio di
Milano, occorre misurarsi su problemi di
portata internazionale. Ciò non significa
per il sindacalista necessariamente parlare una lingua straniera, ma sicuramente
avere un approccio “culturale” diverso da
quello in essere in passato.
Altro ancora è relazionarsi con un mondo in veloce mutamento, sia nel piccolo
come nel grande. Ascoltare significa anche capire dove si sta andando e come
ri-declinare i valori sindacali (i “nostri”
tradizionalmente intesi) in un modo e in un
linguaggio moderno tecnicamente, ma
anche e soprattutto, “di contenuto”.
Non v’è chi non veda come le sfere di
interesse siano aumentate in maniera
considerevole. Oggi il sindacato si occupa in maniera concreta di formazione
in azienda, eroga servizi di consulenza
previdenziale, assistenziale e fiscale, interagisce internazionalmente, si
occupa di mobility
management, di ambiente e ancora
molto altro. Tutto
ciò deve essere
svolto senza perdere di vista il lavoratore in quanto tale e in
quanto persona.
Personalmente non mi
scandalizza l’idea che su
alcuni temi “a latere” ci siano
dei sindacalisti “specializzati”, ma è altrettanto ovvio che
tutti i quadri sindacali debbano
avere una conoscenza di massima
di tutto.
Fondamentalmente è necessario
che tutti facciamo uno sforzo per
stare al passo con i tempi, anche
buttando a mare certi stereotipi
pesanti. Questa è la sfida del futuro,
più prossimo che lontano.
notizie
Sindacati:
seppelliti
Sindacati: seppelliti
da
una
gru?
da una gru?
Walter Piscopo
Sas Fiba di Banca Fideuram
V
i sono articoli che vengono di getto,
che sgorgano dal cuore, alimentati
dalla nostra sacrosanta fame di Giustizia, Equità Sociale e Coerenza. Mi
riferisco al mio ultimo, su queste pagine,
dedicato alle esorbitanti retribuzioni
elargite ai manager del credito, italiano
e mondiale.
Altri articoli invece, come dire, nicchiano.
Sono lì, ma fanno fatica ad essere partoriti, come se un sentimento oscuro di
dubbio aleggiasse nell’aria ed impedisse loro di prendere corpo.
Sono passati ormai alcuni giorni e della
INNSE ormai nessuno più parla. Ma
recentemente l’argomento era davvero
sulla bocca di tutti. La storia immagino la
sappiate. La INNSE, fabbrica metalmeccanica della periferia Est di Milano,
produceva laminatoi, presse e turbine.
Era già sull’orlo del fallimento anni fa,
fino alla rilevazione da parte di Silvano
Genta, imprenditore. Ora nonostante il
suo intervento, è costretta comunque a
chiudere. Così ha deciso Genta e la Aedes, proprietaria della area in cui sorge
lo stabilimento. Il quale Genta denuncia
che gli operai della fabbrica hanno
rinunciato al piano di rilancio da lui definito portando loro stessi, la fabbrica,
alla inevitabile chiusura. Come sempre
accade, è nel dettaglio delle cose che
si nasconde la verità. In realtà pare che
il piano di rilancio programmasse lo
spostamento dello stabilimento in una
zona poco lontana da Rubattino (zona
di residenza attuale della fabbrica) e la
ricollocazione di 25 dipendenti per rimpiazzarli con altri più qualificati. A quanto
pare gli operai e la sigla della Fiom male
hanno digerito questo piano, condiviso
pare invece dalle altre sigle sindacali.
Così alla decretata chiusura dello stabile, alcuni operai, forse una ventina, fra
cui appunto il sindacalista della Fiom,
Roberto Giudici, si sono issati su di un
carro ponte e hanno iniziano da li la loro
protesta. Protesta dalle vaghe caratteristiche pannelliate: non si scende di qui
finchè non si riapre la trattativa sul detino
della INNSE. Tensione alle stelle, scontri
con la polizia, addirittura il segretario
generale della Fiom Rinaldini a cui è
impedito di parlare con i lavoratori, denuncia questo come “un inconcepibile
atto di arroganza”. Insomma una brutta
storia e una pagina da dimenticare per
l’intero mondo del lavoro. Passano i
giorni e passano le notti, fino a che il 13
Agosto viene firmato l’accordo (grazie
anche alla intermediazione del prefetto
di Milano Gianvaleio Lombardi) in cui
l’industriale Attilio Camozzi si impegna
a rilevare e a rilanciare l’azienda INNSE.
Dice lo stesso Camozzi “hanno ragione
gli operai perché permettere che una
azienda così venisse distrutta, sarebbe
stato veramente un delitto”. Camozzi
parla di “obiettivi ambiziosi” per la
INNSE, con la eventuale necessità di
reinventarsi in nuove realtà, su fronti
alternativi come per la componentistica
nucleare o in ambito energetico, vedi
l’eolico”. Insomma, la cosa ha tutta l’aria
di un vero e proprio lieto fine dopo tutte le
storture a cui abbiamo dovuto assistere
negli ultimi giorni, sempre nella speranza che le esaltanti parole del salvatore
della patria Camozzi poi non vengano
da qui a pochi mesi smentite dai fatti.
Difficile però visto che il fatturato del
gruppo Camozzi è di 300 milioni con
dodici aziende attive, dalla Russia agli
Stati Uniti: insomma un vero cavaliere del
lavoro (e dal 2005 lo è stato nominato
davvero) nel campo della produzione
dei pneumatici, delle macchine utensili
e tessili).
Se addirittura il suo credo è”basta saper
dialogare. Credo che la capacità di cooperare vada a vantaggio di tutti In fasi di
crisi, poi, condividere gli obiettivi diventa
indispensabile”, sembra proprio che Camozzi sia a tipologia ideale di manager:
quello che tutti vorremmo avere.
Quella che tutta la sinistra ha definito
una delle più belle pagine di lotta operaia degli ultimi anni, (Paolo Ferrero
dice “seguiamo l’esempio francese e
quelli della INNSE ci hanno dimostrato
cosa bisogna fare”; alcuni consiglieri
del PD affermano che “dobbiamo candidare gli operai della gru della INNSE
all’Ambrogino d’oro”;Bersani dice di
“voler ringraziare gli operai che ci hanno
sempre creduto”; Damiano del PD “un
simbolo ed un esempio per tutti”;) merita
però qualche approfondimento ulteriore,
fermo restando la bontà di quanto sinora
raggiunto.
Prima considerazione: davvero si era e
di è fatto tutto il possibile in fase di trattativa sindacale ? Davvero tutte le carte
erano state scoperte e tutte le ipotesi
vagliate in profondità, prima di giungere
a questa drastica scelta operaia ? Noi,
che della trattativa siamo vividi fautori
riteniamo, con un certo margine di ravveduta ragione, di no. E’ probabile che
qualcosa era stato nascosto o celato ad
arte. Alcuni giornalisti hanno teorizzato
che il tutto sia stato estremizzato fino
al gesto ecclatante della gru, unicamente per favorire l’intervento salvifico
del Camozzi. Che a detta degli stessi
giornalisti, risulta essere da sempre
simpatizzante della Fiom; addirittura
iscritto come sindacalista praticante
(sempre alla Fiom) nei suoi anni di giovane manovalanza. Ma qui si scivola nel
campo della fantapolitica sindacale e
noi preferiamo i fatti alle illazioni. Certo è
che l’equazione crisi industriale, vendita
delle fabbriche e relativa speculazione
immobiliare sui terreni, non l’abbiamo
inventata noi.
Seconda considerazione: è davvero
corretto eticamente e legislativamente
spostare l’asse delle trattative sindacali
(siano esse di fabbrica, di azienda, di
banca o di call center) dal termine “fare
trattativa con l’azienda” al termine “prendere in ostaggio l’azienda” ? Siamo sicuri
che il sindacato soprattutto debba avallare questa metodologia ? O piuttosto
sempre nell’ambito della trattativa, per
quanto dura e ferma, si debba scavare
fino all’ultima sua possibilità per cogliere
il vero spirito e il reale messaggio dei
lavoratori. E se fosse finita male ? Se un
operaio, colto da malore, fosse caduto
e avesse perso la vita ? il tutto sarebbe
finito in tragedia. Al costo, pesantissimo, di una vita umana. Inoltre l’effetto
emulazione che già ora compare (vedi
vigilantes sul Colosseo) potrebbe presto
snaturare ed estremizzare tutti i casi di
trattativa/lotta sindacale. E non sempre
con gli esisti positivi della INNSE.
Terza considerazione: quella che più
ci preme. C’è un messaggio forte e
chiaro che deve giungere anche alle
sigle sindacali. Dice uno degli operai
della INNSE: ”il vecchio tipo di lotta, lo
sciopero, non funzionano più. Dobbiamo
resistere. Più punti di resistenza ci sono,
meglio è per tutti”.
Questo è il messaggio diretto ai sindacati: qualcosa, nel sindacato, non funziona
o ha smesso di funzionare. Lasciando
perdere le conseguenze dell’atto (di cui
non riusciamo ad essere compartecipi)
è fondamentale capirne le ragioni scatenanti. Il sindacato, oggi come oggi, non
da garanzie, non da tutele, non da fiducia, o almeno non nella misura richiesta
dai lavoratori. Siano essi di fabbrica, di
banca o di altro. La flessione nelle iscrizioni al sindacato è negli occhi di tutti. I
lavoratori disorientati ad un certo punto,
come cani sciolti, vanno per conto loro.
Questo è il messaggio che dobbiamo
cogliere. Guai ad indorarlo con pillole
politiche o sociali. Il metodo deve essere la trattativa ma debbono essere
chiari da subito le priorità, i desiderata
dei lavoratori e soprattutto i punti su cui
gli stessi non vogliono (non possono)
perdere la partita. Lo stiamo dicendo da
sempre. Il mondo del lavoro è cambiato.
Deve cambiare anche chi è chiamato a
tutelarlo. Ci vuole per questo un sindacato ancor più preparato, un sindacato
ancor più deciso (che non vuol dire,
come qualcuno tenta di spacciare,
un sindacato che dice sempre no). Ci
vuole un sindacato nuovo, più vicino ai
lavoratori, più capace di ascoltare, più
coinvolto nelle tematiche professionali,
meno aperto (meglio sarebbe totalmente
chiuso) a particolari compromessi, che
si scoprono ben squallidi, una volta
accettati.
Non è un caso che sulla facciata del
muro della INNSE, ancor oggi campeggi
lo striscione “HINC SUNT LEONES”.
Non è facile, signori miei.
E solo un bugiardo potrebbe dire che
lo sia.
Ma se davvero vogliamo tornare ad
essere la vera ed unica controparte abilitata, è questo il percorso che dobbiamo
intraprendere.
Questa è la sfida del nuovo sindacato.
Essere leoni.
Guai, per tutti, a dimenticarselo.
notizie
prova nelle aziende presso le quali sono
impegnate queste ragazze, in modo che
le aziende siano invogliate a “provare”
e poi a trasformare il rapporto di lavoro
in qualcosa di stabile.
Quest’anno la nostra Borsa va ad aiutare
una ragazza di 24 anni che viene da una
delle zone più povere della Nigeria, che
dopo una esperienza dolorosa e un percorso di recupero, finalmente ha potuto
prendere un appartamento in affitto con
una amica e con il suo lavoro mantenersi
e vivere in autonomia come tutti i ragazzi
della sua età desiderano.
Quante parole, si potrebbe dire, per
una sola ragazza che abbiamo aiutato.
E’ una, in una mare di bisogni. E’ vero,
è la classica goccia nel mare, ma come
diceva Madre Teresa, se non ci fosse, il
mare avrebbe una goccia di meno.
Questo intervento aiuta anche a non
cadere nel solito giudizio banale e superficiale che sentiamo negli uffici, in
metropolitana, perfino alla TV: la logica
del “comunque”, comunque non cambia
niente.
Un invito a tutti i lettori di questo
periodico, fermiamoci un attimo
a riflettere sull’importanza di
sostenere le associazioni che
aiutano le persone in questi
cammini di recupero, quanto
è prezioso questo lavoro e
come è importante il sostegno anche economico che
noi possiamo dare!
Un pensiero anche a chi,
come me, ha un ruolo di rappresentante sindacale, mi
permetto un suggerimento:
è possibile, nelle aziende,
proporre queste borse lavoro, magari in vicinanza
dell’otto marzo, al posto di
gadget o simili, oppure si
può utilizzare la possibilità
delle “quote politiche sociali”
e invitare le aziende a sostenere qualche
Borsa Lavoro, magari in occasione delle
discussioni su bilanci sociali e sui codici
etici di comportamento. Ma non voglio
porre limiti alla vostra creatività, saprete
sicuramente far emergere la sensibilità e
l’attenzione ai bisogni tipica della nostra
grande organizzazione!
Ce
l’abbiamo
fatta!
Ce l’abbiamo fatta!
Alessandra Poma
responsabile coordinamento donne
Fiba Milano
F
orse qualcuno di voi ricorda che
in occasione dell’otto marzo 2008
il Coordinamento Donne della Fiba ha
collaborato con il Coordinamento Donne
della Cisl e precisamente con quel ciclone travolgente (in senso assolutamente
positivo) che è Luigia Cassina (responsabile del coordinamento donne della
CISL milanese), nella preparazione di un
incontro e di un libretto sulla condizione
delle donne che, partendo dai paesi più
lontani e con la prospettiva di un lavoro
in Europa o in Italia, finiscono poi nelle
mani di delinquenti che le sfruttano e
di come, alcune di loro, riescano a
ribellarsi e ad uscire da queste terribili
condizioni.
Nel libretto, “Diamoci una mano”, che
abbiamo distribuito alle nostre iscritte,
ma anche ai nostri iscritti, venivano
raccontate alcune di queste storie finite
positivamente.
Dietro a questo libretto, c’era e c’è tuttora l’impegno della Fiba e della CISL
verso questa realtà così dolorosa e
così nascosta. L’impegno nasce dalla
coscienza e dalla consapevolezza che
essere fortunati, ricchi, istruiti, con un
buon lavoro, una buona famiglia, non
è una casualità, non è una fortuna
circostanza, ma è innanzitutto una responsabilità.
Così anche quest’anno la Fiba sta sostenendo una borsa lavoro della Cisl:
10
che cos’è una borsa lavoro? Come forse
già sapete dopo l’eroica decisione di
alcune di queste ragazze di denunciare
i loro “aguzzini”, è necessario un lungo
percorso di recupero; spesso queste
ragazze sono molto giovani, spesso
hanno fatto a casa loro una vita di
povertà grande, tanto da maturare la
decisione di partire, non hanno avuto
una educazione e nemmeno istruzione
e, soprattutto, devono recuperare anni
di violenze inimmaginabili.
Quindi diventa importante una compagnia che le aiuti a ricostruire la propria
umanità, una stima di sé, un desiderio
di crescere e imparare: questo importante lavoro viene svolto da tante
associazioni ad esempio la
Caritas, molte associazioni
del volontariato e del non
profit come, per esempio, la
Grande Casa.
Ma dopo questo periodo di
recupero si aprono nuovi e
non meno grandi problemi:
che fare? Alcune di loro
scelgono di tornare a casa,
altre non ne vogliono sapere di tornare e, a questo
punto, servono tante cose:
una casa e, soprattutto,
un lavoro.
E qui si inserisce la Borsa Lavoro che permette
di sostenere in parte
l’inserimento lavorativo
di queste giovani. Le
borse lavoro sono il frutto della collaborazione di diversi soggetti civili, che,
insieme, rispondono a questi bisogni.
Queste persone di solito nel loro percorso di recupero hanno imparato un
mestiere, ma chi ha voglia di rischiare
con loro? Con la borsa lavoro di fatto si
sostiene economicamente il periodo di
Operazione
“TANGO
1
Operazione “TANGO 1
Le
Volpi
nel
sacco”
Le Volpi nel sacco”
Macaluso Giovanni
Rsa Milano Ass.ni
[email protected]
D
alla finestra si vede una spiaggia
corallina esattamente come nei
depliant pubblicitari delle isole caraibiche, forse perche la banca dove ci
troviamo è in un’isola caraibica. L’aria
condizionata a palla permette agli impiegati di muoversi asciutti incravattati
nei completi di lino o alle impiegate
di scivolare agili su improbabili tacchi
dodici, eleganti e sorridenti nei tallieur
di firma. Qui gli eliporti sono di casa e
quindi il rumore degli elicotteri è quasi
un sottofondo che si mischia a quello
delle onde dell’oceano.
Poi il rumore si fa più insistente. Due
elicotteri dell’ONU stazionano in aria a
una decina di metri d’altezza proprio
sopra la strada che costeggia la banca.
Le funi che scendono sulla fiancata ed
i Caschi Blu che si fanno scivolare a
terra. Irrompono nella banca con i fucili spianati. “Tutti con le mani contro il
muro”. Due minuti dopo entrano i tecnici
informatici che prendono posto dietro i
computer.
“Fermi tutti questa è un’occupazione
‘pacifica’ che serve a cambiare le regole
fiscali e bancarie di tutti i paradisi fiscali
del mondo. Con le nuove regole sarete
obbligati a rendere pubblici i beneficiari e gli amministratori di tutti i conti
correnti e a tracciare in modo evidente
l’iter delle operazioni di compravendita,
la provenienza e la destinazione dei
capitali e dei titoli”.
Era scattata, contemporaneamente
in 41 paesi, l’Operazione TANGO 1
sotto l’egida delle Nazioni Unite votata
all’unanimità in una sezione speciale
segretissima.
Fino ad oggi gli interventi militari erano
stati organizzati per portare la democrazia nei paesi governati da cattivoni
che se ne fregano dei diritti della popolazione o che possiedono armi letali
pericolose per la sicurezza del mondo
intero.
Unica condizione per l’intervento pacificatore atto a liberare un paese da
un’odiosa dittatura per insegnargli con i
marines i fondamenti della democrazia,
è che sia un paese dotato di materie
prime interessanti (tipo petrolio, diamanti ecc.).
Un paese liberato dalla tirannia può
infatti serenamente ritrattare il prezzo
delle commesse per le materie prime
e firmare contratti con le industrie
dei “paesi amici” per la ricostruzione.
Qualche volta i liberatori hanno trovato
qualche inevitabile intoppo soprattutto
quando i tiranni che non rispettano
neppure i più elementari diritti umani,
hanno invece troppo peso diplomatico
o militare nello scacchiere internazionale (vedi Iran o Cina). In quel caso non si
può intervenire in una nazione straniera
senza minare la sua territorialità, si possono però fare pressioni diplomatiche
di facciata ed indignarsi a qualche
convegno internazionale. In questo
sogno altamente surreale, come dipinto
in un quadro di Dalì, mi sono inventato
davvero un’operazione di “polizia internazionale” che sarebbe utile al mondo
intero. Ogni forma di elusione fiscale, di
occultamento di capitali, di creazione
di scatole cinesi vengono finalmente
considerati reati contro l’umanità. La
pressione fiscale sulla movimentazione
di denaro è diventata uguale in tutto il
mondo e le tasse devono essere pagate
nel paese di origine di ogni operazione
finanziaria.
Certi prodotti finanziari, che tra l’altro di
finanziario hanno ben poco, vengono
considerati fuorilegge come la truffa o
la circonvenzione di incapace, se si ha
tanto denaro da non sapere più cosa
farsene ci sono sempre i Casinò. I tecnici informatici dell’ONU ticchettano sulla
tastiera del mio computer ed i marines
ci invitano ad uscire dalla banca. Ne
avranno per un bel po’.
Sono un bancario fortunato, lavorare
in riva al mare in un’isoletta dei Caraibi
esentasse ha i suoi lati positivi rispetto
a chi fa lo stesso lavoro tra le nebbie
della Val Padana.
La borsa per il mare ad esempio è sempre pronta sotto la scrivania.
Obbedisco volentieri all’ordine dei militari e mi avvio verso il mare. Non vedo
perché non dovrei essere contento per
questa giornata di vacanza forzata e
inaspettata.
Mentre sono sdraiato al sole di questo
paradiso marino chiudo gli occhi e
ascolto il rumore dell’onda lunga; penso
che il mondo oggi è cambiato.
Ogni tanto succedono avvenimenti epocali positivi inimmaginabili; se penso
che il mio trisavolo viveva nel terrore
di avvistare una nave portoghese che
lo avrebbe imprigionato e deportato
in schiavitù, oggi sono davvero contento.
Quando tornerò al lavoro sarò ancora
più contento, sarò almeno sicuro che
il mio lavoro, il denaro che maneggerò e le operazioni che avvallerò non
serviranno più a comprare partite di
cocaina o armi per i guerrafondai di
tutto il mondo.
Come ha detto l’immenso Flaiano “sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole”.
11
notizie
notizie
IlIl volontariato
volontariato
“paga”
“paga”
Bruno Donno
T
anti sono gli esempi di attività
di volontariato che si possono
rappresentare in senso figurato con
il vocabolo “paga”; ne conosco uno,
però, che sicuramente esprime sia
il senso figurato che la realtà. Mi
riferisco al “Meeting per l’Amicizia
fra i Popoli” che si svolge a Rimini in
una settimana della seconda metà di
12
agosto da trenta anni a questa parte.
Fare il volontario durante il Meeting,
non solo è un’esperienza unica, ricca
di incontri e di gran lavoro, ma occorre
metterci del proprio: non solo si offre
una settimana del proprio tempo, ma
chi non è del posto (la stragrande
maggioranza dei volontari) si deve
pagare vitto e alloggio; moltissimi infatti provengono da ogni parte d’Italia
e anche del mondo.
L’organizzazione garantisce prezzi
“calmierati” ma resta il fatto che hai
anche un costo; per capire ed aderire a
questa particolare forma di volontariato
devi sapere perché lo vuoi fare.
Non è necessario condividere la matrice culturale degli organizzatori, è
necessario desiderare di incontrare
una novità nella propria vita. Questa
novità può assumere moltissime forme:
un’amicizia, un fatto, un interesse, la
fatica del lavoro e così via.
E’ impressionante ascoltare i racconti
di tanti volontari che venuti per la
prima volta, magari “trascinati” dagli
amici o incuriositi da questo “mondo”
apparentemente uguale al mondo
quotidiano che viviamo, sono stati
colpiti ed impressionati dall’esperienza
di grande umanità ed amicizia che si
vive durante quei giorni. Ho conosciuto personalmente tante persone
di diverse fedi religiose che, scettici e
prevenuti all’inizio dell’evento, hanno
poi riconosciuto con stupore e gratitudine l’esperienza di grande umanità
fatta durante quei giorni.
Con le stesse modalità del Meeting si
può fare volontariato anche durante
il pre-Meeting: durante le settimane
che precedono l’evento, si lavora alla
costruzione di gran parte degli stand
e di tutte le mostre. C’è lavoro per tutti
dal semplice stuccare un mobile al
tinteggiare una parete, dalla falegnameria agli elettricisti, dalla ferramenta
alle pulizie, dal bagnare le piante a
posare la moquette, dall’appendere
pannelli alla posa di sedie e tavoli. Tutto questo si svolge in giornate scandite
da precisi orari di lavoro (dalle 9,00
alle 13,00 e dalle 14,30 alle 18,30)
preceduti da breefing per la distribuzione dei compiti e da brevi momenti
di preghiera comune.
Una caratteristica del pre-Meeting sta
nel fatto che quando una persona ha
finito il lavoro assegnatogli, si rende
disponibile al “banco lavori” e viene
riassegnato ad altro incarico; non si
fa mai la stessa cosa per più di un
giorno, solo gli “specialisti” continuano
a lavorare nel loro campo.
Io ho lavorato in questi ultimi anni
soprattutto durante il pre-Meeting e
l’arricchimento umano e lavorativo è
impagabile; non ci sono privilegi o
riserve per nessuno, ciascuno lavora
per quello che è capace e con le forze
che ha.
Non sono richiesti super esperti o
super lavoratori, solo uomini e donne
desiderosi di fare un’esperienza di
condivisione del lavoro mettendo in
gioco la propria umanità nel confronto
e l’amicizia con gli altri. Anche se non li
conosci senti che non sono estranei, si
crea un’atmosfera di vera condivisione
e solidarietà che ti fa sentire protagonista della tua giornata e pronto ad
aiutare senza condizioni. Così può
capitare di trovarti fianco a fianco di
un primario di ospedale, di uno studente di filosofia, di un operaio, di un
bancario, di una madre di famiglia o
di un pensionato, soddisfatti di quello
che fanno e contenti di conoscerti.
Nascono così amicizie incredibili che
spesso continuano o si rinnovano
l’anno seguente quando ci si ritrova
ancora al pre-Meeting; sì, perché si
ritorna sempre molto volentieri.
In conclusione alcune notizie sul Meeting: con le sue oltre 700mila presenze
medie, il Meeting di Rimini - che dal
1980 ha luogo ogni anno, - è il festival
estivo di incontri, mostre, musica e
spettacolo più frequentato del mondo.
Si tratta di una realtà unica nel suo genere: un’associazione che da 29 anni si
propone di creare occasioni di incontro
tra persone di fedi e culture diverse,
nella certezza che luoghi di amicizia
fra gli uomini possano essere l’inizio
della costruzione della pace, della
convivenza e del bene comune.
A parte un piccolo nucleo di 14 persone che lavora a tempo pieno alla
sua preparazione, il Meeting di Rimini
viene organizzato, allestito, gestito e
poi smontato grazie all’appassionato
e generoso lavoro dei volontari: sono
oltre 3.000 ogni anno, in gran parte
giovani, provenienti dall’Italia e da
molti altri Paesi del mondo. E’ soprattutto grazie al loro contributo che il
Meeting di Rimini è diventato anche
una manifestazione dai grandi numeri:
400 mostre, 3000 incontri, oltre 500
spettacoli, 5000 personaggi. Sono 850
i giornalisti accreditati durante l’ultima
edizione.
Il Meeting è un grande evento sociale,
una festa, un luogo dove, come disse
Giovanni Paolo II nella sua visita nel
1982, si costruisce “una civiltà che
nasca dalla verità e dall’amore”, ma soprattutto è un gesto di gratuità: migliaia
di persone, di ogni età e condizione
sociale, che donano tempo ed energie per realizzare la manifestazione. Il
discorso culturale che vi si svolge, ne
è solo una conseguenza.
«La conoscenza è sempre un avvenimento»: questo il tema che ha dato
il titolo alla trentesima edizione del
Meeting per l’amicizia fra i popoli 2009.
Lungi dal voler proporre un inaccessibile discorso per addetti ai lavori, si è
parlato innanzitutto dell’uomo e del suo
rapporto con il mondo.
Alla base di ogni percorso di conoscenza, anche o soprattutto scientifica,
vi è l’imbattersi in qualcosa di nuovo,
che prima non era entrato nel raggio
dell’esperienza o semplicemente non
veniva considerato. Ciò fa sì che la
conoscenza sia sempre in movimento
e quindi sempre perfettibile.
Ma il nuovo che irrompe e innesca o
rilancia la dinamica del conoscere non
è solo qualcosa, è anche – e necessariamente – qualcuno: è ciò che chiamiamo testimone. Senza la mediazione
di testimoni non vi sarebbe sviluppo
della conoscenza e non vi sarebbero
civiltà e cultura, non vi sarebbe storia.
Più radicalmente: è la testimonianza
dell’altro, quando si tratta di un’umanità diversa, pienamente corrispondente
alle attese costitutive dell’uomo, che
rende evidente, “conoscibile”, il senso
del vivere.
Il lavoro volontario del “pre” e del Meeting è stato l’occasione per incontrare
testimoni per i quali la vita continua ad
essere l’avventura di una conoscenza
sempre nuova.
Che cos’è il Meeting:
www.meetingrimini.org
13
notizie
notizie
MaMagli
astenuti
gli astenuti
vincono sempre?
vincono sempre?
A
giugno le testate giornalistiche riportavano tutte lo stesso titolo: “elezioni
– VINCE IL POPOLO DEGLI ASTENUTI”
L’astensionismo come comportamento
generalizzato: c’è da chiedersi perché
mai, in una fase tanto delicata e complessa come l’attuale, la gran parte degli elettori, cioè di noi, scelga di non scegliere.
E’ un atteggiamento improntato alla passiva attesa (ma poi di cosa?), fors’anche
condizionato dalla cattiva politica di chi
dovrebbe rappresentarci a casa come
all’estero ed invece si diletta in azioni ed
omissioni che con la Politica han poco a
che fare, anzi nulla. Sarà la nausea che
attanaglia il nostro povero stomaco, sarà
la noia di assistere al solito teatrino, sarà
la stanchezza di sopportare una dirigenza
politica che sbandiera fatti privati “coram
populi”, sarà la delusione nel constatare
che l’interesse privato prevale sull’interesse collettivo, sarà l’ennesimo lamentoso
silenzio degli innocenti: sarà tutto questo
ed altro ancora a farci credere che è inutile
combattere, “tanto sono tutti uguali”.
Sarà. Ma l’astensione? che razza di risposta è mai?
Delegare al 30, al 40% della popolazione
la funzione principe della democrazia
partecipativa (si chiama così proprio
perché implica la partecipazione!), ossia
l’indicazione di chi governa, di chi detiene
il potere, di chi decide per noi tutti, non è
la soluzione del problema. E’ un problema
in più.
Ci si lamenta di continuo per questo o
quello che non va, e poi si evita accuratamente di fare il nostro dovere di cittadini.
Sento dire: “tanto….un voto in più, un voto
in meno… che differenza fa?”. Ma come?
Se lo stesso ragionamento vien fatto da
10 milioni di persone, la differenza c’è,
eccome se c’è!
Ma poi penso: la stessa cosa, lo stesso
meccanismo perverso, si ripresenta nelle
14
Daniele Malenchini
Rsa Fondiaria-Sai
[email protected]
aziende, dove la partecipazione dei lavoratori al dibattito, alle decisioni assembleari,
alle politiche sindacali è scarsa, disattenta,
spassionata. Quasi che il contesto in cui
ci si muove non ci appartenga. Anche qui
l’astensionismo la fa da padrone: l’ultima
recente assemblea tenuta nella mia azienda ha visto la partecipazione di non più di
150 colleghi, in una piazza come Milano
che conta oltre 1000 dipendenti. Anche
qui una esigua minoranza ha deciso per
tutti. Il principio democratico è svilito a tal
punto che viene invocato del tutto a sproposito, e proprio da coloro che – in base
alla fredda matematica – si ritrovano per
le mani lo scettro del comando in nome e
per conto di tutti.
In “regnum caecorum orbus rex”: è un
paradosso che si ripresenta ad ogni occasione, e che spiega le preoccupanti derive
oltranziste ed estremiste dei cosiddetti
“paesi civili”: razzisti, neonazisti,fascisti,
cultori della persona, silenzio mediatico,
distrazione delle masse dai problemi veri,
tornano – complice il silenzio degli astenuti/assenteisti – ad occupare la ribalta
politica e sociale.
E’ una lotteria truccata, dove nessuno vince nulla. Si dirà che anche l’astensione è
legittima, in quanto prevista e contemplata
dalle moderne democrazie. Ma lasciare
che decidano gli altri, acriticamente e
inconsapevolmente, è sintomo di menefreghismo, di scarsa coscienza sociale,
di infantilismo. Il partito degli assenteisti
e degli astenuti non è che non decida, in
realtà decide di consegnare la propria vita,
la società, il mondo nelle mani di alcuni,
forse dimenticando che “tanti pochi fanno
molto”….
L’ospite
inatteso
L’ospite inatteso
Regia: Thomas McCarthy
Sceneggiatura: Thomas McCarthy
Attori: Hiam Abbass, Amir Arison, Danai
Jekesai Gurira, Richard
Anno: 2007
Il problema dell’immigrazione clandestina con le sue leggi, i suoi regolamenti
burocratici non è un fenomeno che
riguarda solo l’Europa.
Talvolta bisognerebbe avere il coraggio
di andare oltre e guardare i nostri simili
con maggior benevolenza.
Questo film, che non conoscevo e che
ho visto quasi per caso, mi ha davvero
colpito.
L’ho trovato di una intelligenza e di una
bellezza rara.
Il problema della clandestinità negli Stati
Uniti e della ferrea legislazione che regolamenta le procedure di accoglienza e
di espulsione fa da sfondo ad una storia
davvero originale e coinvolgente.
Macaluso Giovanni
Rsa Milano Ass.ni
[email protected]
Ma ciò che mi ha colpito davvero positivamente è la varietà degli spunti di
riflessione sulla società contemporanea
e sui rapporti interpersonali che questo
film ha saputo trattare.
Dentro la storia apparentemente banale c’è la solitudine, la difficoltà dei
rapporti interpersonali, le priorità delle
scelte, i pregiudizi, le passioni e le paure inespresse, l’amicizia, la generosità,
l’amore.
Rappresenta il dramma e la tristezza di
aver trovato qualcosa di importante e
inaspettato, che si è costretti a perdere
di fronte alla rigidità della legislazione
USA che, in materia di clandestinità,
non ammette deroghe soprattutto dopo
l’11 settembre.
E’ incredibile come una storia che si dipana così garbatamente, senza strappi
o colpi di scena, riesca a tenerti lì incollato con il fiato sospeso.
Il finale poi è davvero potente e liberatorio, è un urlo di vendetta e un sogno
inespresso allo stesso tempo.
E’ inutile aggiungere altro; come direbbe
Enrico Ghezzi: “Buona visione...”
15
FIBA CISL NOTIZIE
Secondo semestre 2009
Aut. Trib. di Milano n. 158 del 15/4/1970
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in redazione il 30 settembre 2009
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