Tariffa Associazioni senza scopo di lucro: Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in 27/02/2004 n. 46) art 1, comma 2, DCB Milano secondo SEMESTRE 2009 Nuova serie bimestrale della FIBA Cisl, Federazione Italiana Bancari e Assicurativi, Sindacato territoriale di Milano - Anno XXXVIII - settembre 2009 Costruire a partire dalla realtà e dal proprio cuore notizie 3 Responsabiltà di Pier Paolo Merlini 4 Sindacato: volontariato o servizio? di Alberto Zironi 6 Uomini al Lavoro di Claudio Bottini Quello che Quello che leggeremo… leggeremo… 7 Sindacato oggi di Marco Berselli 8 Sindacati seppelliti da una gru di Walter Piscopo 10 Ce l’abbiamo fatta! di Alessandra Poma 11 Operazione “TANGO 1 – Le Volpi nel sacco” di Giovanni Macaluso 12 Il volontariato “paga” di Bruno Donno 14 Ma gli astenuti vincono sempre? di Daniele Malenchini 15 Recensioni: “L’ospite inatteso” di Giovanni Macaluso Pier Paolo Merlini Segretario generale Fiba - Milano Q uesta estate abbiamo passato il tempo a leggere e, a volte, anche a discutere di un sacco di idee e proposte frutto più della canicola che di un sano realismo. Ci siamo sbizzarriti tra dialetti, gabbie salariali, ottimismo gratis e pessimismo ad oltranza, inno nazionale, veline e storie più o meno hard, love story di tizio e caio. Se la realtà vera avesse potuto andare in vacanza, beh, in fondo sarebbe stato anche piacevole dedicarsi a questi teoremi, peccato che lei, la realtà, in vacanza non ci è andata. Le preoccupazioni per il prossimo autunno, al di là se sarà caldo, bollente o altro, sono tante e il sindacato dovrà attrezzarsi al meglio per fronteggiarle. La crisi sembra in vista della fine, ma quanto si impiegherà a sanare i danni che ha provocato? Le banche che in questi mesi hanno chiuso i battenti a Milano richiameranno i loro ex dipendenti? Difficile! Coloro che hanno accettato di sacrificare il posto di lavoro in cambio di qualche mensilità (poco o tante in fondo non fa differenza) potranno rientrare agevolmente nel mondo del lavoro? Speriamo! Se usciremo da questo stallo, avremo imparato qualcosa? Le banche recupereranno un’idea di credito che sia utile alla gente? Le compagnie di assicurazione ritroveranno una vena solidaristica e di sicurezza? Il sindacato sarà capace di non gettare al vento il recuperato rapporto con i lavoratori e le lavoratrici, favorito oggi da questa situazione di crisi? Per quello che riguarda la Fiba Cisl di Milano, tutti i quadri sindacali, di azienda o delle strutture, saranno sicuramente Responsabiltà Responsabiltà pronti ad accettare questa sfida e a giocarsi la propria responsabilità, non abbiamo la pretesa di cambiare il mondo, ma per quello che sarà nelle nostre possibilità, cercheremo di svolgere al meglio il nostro compito. Il primo capitolo sarà il predisporre la piattaforma per il rinnovo del contratto nazionale assicurativo, il primo banco di prova del novello accordo sulla contrattazione e il debutto dell’indice IPCA per definire il recupero inflattivo. Sarà un test importante anche in previsione del rinnovo del CCNL del credito. Avremo poi da affrontare la ristrutturazione del fondo esuberi del settore ABI, uno strumento valido che ha permesso di affrontare le situazioni di crisi e di riorganizzazione senza che nessuno venisse licenziato ma che, oggi, a causa della crisi, deve tornare ad essere un ammortizzatore sociale per tutto il comparto. Preoccupa, infine, una tendenza egoistica che sembra prevalere nella vita di ciascuno che, come conseguenza, porta una solitudine, a volte una acredine e una violenza preoccupanti. Non si può ridurre la questione all’esigenza, sacrosanta, di una sicurezza globale: l’atteggiamento che favorisce l’integrazione di culture diverse, che permette una reale sussidiarietà tra i corpi intermedi della società è la conoscenza, è il sapersi accettare, riconoscere e prendere sul serio, i desideri più profondi che costituiscono il cuore di ogni uomo. Occorre provarci, laddove siamo coinvolti, nel lavoro, nel quartiere, nella scuola dei figli, che qualcuno cominci ad affrontare le questioni con questo giudizio può portare una vera novità nei nostri settori, nel nostro paese. notizie notizie Sindacato: Sindacato: volontariato o servizio? volontariato o servizio? Alberto Zironi Segretario Responsabile Sas Fiba Cisl Bpci Gruppo Ubi di Milano O nessuno dei due? Il titolo sembra quasi uno spot per avvicinare i giovani all’attività sindacale; perché nel sentire comune è da un po’ che l’appeal del sindacalista non è poi proprio molto luminoso. E’ singolare come molti associno il sindacato, che so, alla protezione di tartarughe marine e foche monache piuttosto che alla protezione dei colleghi nella propria azienda. Forse si crede che chi lavora nasce già fornito dalla natura degli strumenti necessari per la sua tutela nell’ambiente lavorativo… Uno degli aspetti fondamentali del fare sindacato è l’esperienza: se ti occupi di contrattazione aziendale, di comunicazione a vari livelli (giornali, assemblee), di assistenza legale e contrattuale, la conoscenza e lo spessore professionale da soli non ti bastano. Ti accorgi sempre che la marcia in più te la da solo l’esperienza. Giorgio Branduardi, già Segretario Responsabile Fiba del Gruppo Unicredit, poi componente della Segreteria Territoriale di Milano, e anche Revisori dei conti.della Fiba nazionale, in oltre 30 anni di attività, se l’è acquisita. Una vita passata impegnandosi nel sindacato prima di arrivare alla pensione. Questa è l’esperienza raccolta e vissuta di chi ha iniziato a fare il sindacalista negli anni ‘70 e vuole lasciare qualcosa ai giovani. Un primo esempio di servizio. Giorgio preferisce evitare la parola volontariato associata all’attività sindacale: per lui è più completo il concetto di servizio. Chi intende fare questa attività, si mette al servizio degli altri, degli iscritti e anche di tutti gli altri colleghi. Il volontario lo vedo piuttosto come chi presta il suo tempo e le sue potenzialità fuori dall’attività lavorativa: il servizio nel sindacato invece fa parte del tuo lavoro. Anzi, il tuo lavoro diventa poi davvero il servizio per gli altri. Il bello di questo impegno si comprende man mano che lo si approfondisce. All’inizio le motivazioni di impegnarsi nel sindacato possono essere le più varie: un lavoro che si reputa inutile o ripetitivo, la percezione che le cose non vadano come si pensa dovrebbero, qualche ingiustizia subita; ma nel lavoro sindacale si deve capire, e in fretta, che le responsabilità vanno ben oltre il proprio interesse e che è necessario giungere a una sintesi degli interessi comuni, dalla parte dei colleghi e colleghe. Per me, ad esempio, l’impegno nel sindacato è nato non da queste motivazioni, ma per una mia attenzione al mondo del lavoro, ai suoi bisogni, alle problematiche che emergevano dal pensiero, oggi certamente diverso, di una cultura che era tipica della metà degli anni settanta (purtroppo del secolo scorso!!). Gli ostacoli. Oggi purtroppo oltre alle naturali difficoltà legate alla contrattazione, al lavoro, ne è nata anche un’altra, forse peggiore: la nostra è un’attività poco apprezzata. Diciamolo pure: a volte i sin- dacalisti sono visti come gente che non vuole più lavorare, come imboscati. Sei d’accordo Giorgio? E’ vero. E purtroppo questa convinzione è alimentata anche dalla poca conoscenza di cosa fa il tuo sindacalista. Partiamo allora dalle difficoltà legate all’attività sindacale vera e propria: la contrattazione. Innanzitutto si deve capire sempre dove vuole andare l’azienda, il suo fine, capire il motivo delle riforme e delle ristrutturazioni, saper guardare a una solidità aziendale, che è la vera garanzia occupazionale e, se ne si condividono gli obiettivi finali, sapere che poi il Sindacato dovrà anche contribuire a realizzarli L’etica del sindacalista, e di conseguenza la vera fatica, è quella di saper coniugare la risoluzione di un bisogno con le prospettive gestionali e future di un’azienda che oggi, anche per effetto della crisi, deve sapersi riadattare a fare mercato nella prospettiva di un consolidamento nel lungo termine e non guardare al breve con i risultati trimestrali. Poi a seconda del livello di attività sindacale si lavora con tempi diversi: nel livello base cioè in azienda, devi dare e ottenere risposte immediate. Come distaccato presso le strutture territoriali, nazionali, devi anche tenere conto di aspetti e di tempi più complessi, dovendo considerare anche il futuro e l’andamento della propria azienda. Per esempio oggi sempre più i colleghi hanno il terrore del cosiddetto cambio di scrivania, cioè di cambiare lavoro, le mansioni, c’è paura di modificare anche il proprio modo di lavorare. I colleghi a volte si cullano nel loro lavoro, senza la consapevolezza che oggi il loro lavoro, per portare un guadagno all’azienda, quello che in termini tecnici si chiama valore aggiunto, non può più essere ripetitivo, diciamo pure poco utile; un lavoro a basso valore aggiunto non rende più nulla alle imprese. Il Sindacato questa consapevolezza invece deve averla; e deve rendere i cambiamenti il più indolore possibile, meno traumatici, sempre positivi per dipendenti e aziende. Anche vedere a volte com’è percepito dai propri colleghi il sindacalista fa male? Non solo dai colleghi, ma a volte da altri sindacalisti quando, ad esempio, ci si trova davanti a logiche di potere, tipicamente aziendali, come l’arrivismo, la ricerca della propria carriera anche nel mezzo di attività volontarie o di servizio. Sono aspetti purtroppo comuni e presenti in tutte le attività; trovarli talvolta anche in ambito sindacale, beh, fa davvero male… Tornando ai colleghi effettivamente Quello che i colleghi e gli iscritti fanno fatica a percepire è proprio il lavoro sindacale: questa attività risalta poco, Si dice, ad esempio, che il sindacalista non si vede mai, e quindi non dà risposte; salvo poi quando sono convocate le assemblee su un particolare ordine del giorno, gli stessi colleghi non partecipano e non danno nessun contributo. La nostra è una società sempre più individualista, e l’individualismo di molti rende difficile riuscire ad apprezzare il concetto di volontarietà e di servizio per la collettività: semplicemente pensano a loro stessi. La difficoltà è come riuscire a far comprendere il proprio impegno e il servizio ai colleghi, e insegnare a chi si avvicina al sindacato come questi valori debbano sempre essere presenti nella propria base etica e professionale. Certamente poi il compito non è facile; di sicuro è poco visibile. Ma sta al sindacalista, attraverso un dialogo continuo e costante almeno con i propri iscritti, far capire la complessità del ruolo. Ripeto, questo ruolo deve sempre avere come riferimento ultimo il lavoratore, ma si deve esplicitare in diverse articolazioni, secondo le proprie responsabilità. Se non si parla di questo all’iscritto, se non si fanno vedere le diverse competenze, l’iscritto vedrà sempre lontano dai propri bisogni il sindacalista e farà fatica a comprenderne le decisioni, vale a dire gli accordi firmati. Il servizio che il sindacalista rende al lavoratore deve essere percepito, altrimenti può averne come ritorno una critica feroce. Come fare? Cominciamo a fare in modo che i problemi del lavoro siano risolti nella loro globalità, aumentando quando possibile la professionalità dei dipendenti. Questo concetto non si matura in breve e non servono corsi, seppure importanti, per capirlo. E’ la vita stessa del lavoro sindacale, fatta anche di sacrifici e di perdita del proprio tempo libero (pensiamo a tutte le trattative che immancabilmente nella loro fase finale terminano sempre a notte inoltrata) che ti porta alla consapevolezza che quello che stai facendo lo fai per tutti i colleghi, per il loro bene e possibilmente per il loro benessere futuro. E la soddisfazione di quando gli accordi sottoscritti sono poi approvati dai lavoratori e dalle lavoratrici è per il sindacalista motivo d’orgoglio per aver svolto il proprio ruolo nel migliore dei modi. Ora tutto questo non può che tradursi in un impegno e in una passione sempre maggiore, in un entusiasmo che non deve lasciare spazio a critiche gratuite, come quella dell’assenza sul posto di lavoro. Se uno vuole far bene questo servizio, se si vuole impegnare sul serio, i colleghi devono dargli credito: certo non come cambiale firmata in bianco, ma come fiducia che sta lavorando bene, pretendendo in ogni caso maggiori e sempre più ampie informazioni che oggi, con la tecnologia a disposizione, si possono dare quasi in tempo reale. La visibilità del sindacalista è anche questo. Impegno, passione e serietà. Giorgio cos’è per te oltre a questo fare sindacato? E dici poco? Ma se vuoi aggiungere altro diciamo quello che il fabbro non mette mai tra l’incudine e il martello.Un semplice cuscinetto. L’attività sindacale è un vero e proprio cuscinetto tra le aspettative, spesso a breve periodo, dei colleghi e le prospettive e le garanzie che vogliamo dare a questi stessi colleghi, a chi entrerà nel futuro per un consolidamento della stessa azienda. notizie Uomini al lavoro Uomini al lavoro Claudio Bottini N el numero del mese di Maggio di Fiba Milano, abbiamo scritto che a metterci insieme è la stessa origine, cioè il fatto che siamo accomunati da quell’ insieme di evidenze ed esigenze che costituiscono il cuore di ogni uomo. Questo crea un movimento che,sfidando continuamente la riduzione dell’uomo a risorsa, a meccanismo o a programma precostituito, rende evidente che il protagonista della storia è la persona nella sua interezza originale. Il nostro primo compito quindi, è costruire luoghi in cui la vera immagine dell’uomo venga coltivata. Un movimento di uomini del lavoro che partendo dal desiderio del proprio cuore crei ambiti di socialità, di umanità, trovando gli uomini del sindacato parte attiva e responsabile in questo percorso. Bisogna essere sinceri con noi stessi, spesso concepiamo ed usiamo il sindacato come fonte erogatrice di servizi,(non che sia sbagliato, ma sicuramente è limitato) o lo consideriamo come impaccio al percorso professionale o addirittura solo come controparte che mette lacci all’impresa, questo al massimo è una “istituzione”, burocratica ed autoreferenziale. Così tante volte è visto ed usato sia dentro che fuori, ma la mia esperienza mi fa accorgere che così è veramente limitante, perché blocca la possibilità di essere strumento per la costruzione di luoghi di vera umanità. Storicamente non è andata in questo modo. Il movimento operaio come il movimento cattolico hanno segnato con gli ideali delle persone la storia, le lotte e la costruzione di luoghi, pensiamo alle case del popolo, alle borse valori, alle cooperative, alle casse rurali. Invece oggi sembra, come dicevamo sopra, solo un’istituzione erogatrice di servizi, cioè un corpo intermedio, rattrappito, non vissuto e lasciato andare. Guardando la mia esperienza e l’esperienza di tanti uomini al lavoro,scopriamo invece un percorso che, partendo dal desiderio di bellezza, giustizia e verità, investe la realtà, i rapporti, le trattative, le piattaforme aziendali e nazionali del proprio ideale e che ha a cuore la persona e la difesa del lavoro (ultimamente è stato fatto un tentativo reale in questa direzione, infatti la CGIL non ha firmato). Per affrontare la realtà così ci vogliono degli uomini che vivano fino in fondo l’ideale in cui credono. Non si tratta di ridefinire la teoria sociale del sindacato, bensì di vivere l’ideale che sostiene secondo la propria tradizione cattolica, socialista, liberale. Il vero percorso è che non si dia per scontata l’origine della nostra storia e si guardi solo alle conseguenze, cioè al trend di servizi, di iscritti, senza lasciarci sfidare da quello che la realtà chiede oggi. Ma poiché dobbiamo lealmente riconoscere che cercare il significato di quello che si vive è un lavoro controcorrente, bisogna tornare a discutere e a confrontarci con tutti. Dobbiamo costruire luoghi dove ritrovarsi, partendo dall’esperienza elementare che ogni uomo vive. La mia piccola storia mi dice che questo non solo è possibile ma è un guadagno per me e per tutti perché si approfondiscono i rapporti che sono la stoffa degli uomini del lavoro come del sindacato. Bisogna aver il coraggio non di fare gruppi autoreferenziali bensì di fare delle sedi del sindacato lo strumento per valorizzare le esperienze che vengono dal basso, guardando ciò che di bello e di vero già c’è. Mi ha colpito ultimamente la risposta di un dirigente di una grande azienda di credito che ha costituito un gruppo di riferimento tra dirigenti e a cui ho chiesto se io, che dirigente non sono, potessi partecipare: mi ha detto che è riservato solo a chi ha un ruolo come quello prefigurato. Ecco sono convinto del fatto che è l’esperienza che si vive, che ogni uomo del lavoro vive, che può dare un contributo essenziale alla costruzione ed alla stabilità di luoghi vivi. Il movimento sindacale ha una lunga tradizione che non può perdere e quindi bisogna che guardi con interesse e passione ad ogni tentativo che abbia al centro il desiderio di verità, bellezza, giustizia perché ognuno di noi torni ad essere protagonista della vita di tutti i giorni. A questo siamo chiamati tutti, non solo i cosiddetti esperti, o chi vive un ruolo o chi è un tecnico, la sfida è a me e a te, all’integralità dell’esperienza umana: bisogna guardare chi vive così (in questo numero ci sono alcuni esempi), il punto è vivere questo desiderio personale, non dare per scontato quello che facciamo, non dicendo lo so già, tocca agli altri. Questo sarebbe devastante, tutti abbiamo da imparare gli uni dagli altri. E’ un lavoro affascinante, non bisogna perdere di vista la propria esperienza elementare e paragonare tutto con questa. Oggi, il nostro vero pericolo è il conformismo, ma abbiamo due grandi alleati per non scivolare nello scontato: il nostro cuore e la realtà. E’ una strada che, secondo me,stiamo recuperando: è un cammino in cui ognuno di noi, con la sua esperienza può dare un contributo essenziale. Puoi contattare Claudio, sempre disposto a dialogare e confrontarsi con chiunque lo desideri, scrivendo a claudio.bottini@ intesa sanpaolo.com Sindacato oggi Sindacato oggi Marco Berselli [email protected] L a sensazione è sempre la stessa. Basta parlarne in giro, non solo con gli iscritti o con i lavoratori, ma anche con il vicino di casa, il portinaio, il negoziante. Basta leggere i giornali: IL SINDACATO E’ SEMPRE LO STESSO, NON SI MUOVE, anzi l’immagine percepita è di un’istituzione ancora più burocratica di prima, o legato a parole e concetti di cui non si conosce più nemmeno provenienza e significato, e comunque facente parte del sistema, con esso integrata, indistinta. Ho fatto il solito test empirico senza alcuna pretesa scientifica, chiedendo un po’ ad amici, parenti, colleghi, se conoscessero esattamente il concetto di “mobilitazione”, termine molto utilizzato dal sindacato. Quello che ho fatto è poco più che un gioco. La maggior parte dei giovani non hanno saputo dire nemmeno di cosa stessi parlando, mentre tra la generazione dai capelli brizzolati, c’è stato chi ha avuto una vaga idea, chi un lontano ricordo, chi ha sbuffato trovandola un po’ “consumata”. Tutto ciò per chiedersi qual è il posto del sindacato oggi, come si fa sindacato. Non bastano ovviamente poche righe e poco inchiostro e sicuramente ognuno ha la sua idea. Coerentemente con quanto proclamiamo normalmente, cioè “al centro la persona”, la domanda che sorge è “chi è il sindacalista oggi”. Al di là delle competenze, dei ruoli, delle prerogative, il sindacalista, come è sempre stato, deve essere collocato ben dentro la società e la sua azienda e deve essere una persona capace di ascoltare. A titolo puramente esemplificativo, chi scrive non è presente su Facebook, ma sa bene di cosa si tratta perché conosce centinaia di colleghi lì registrati. Pertanto non è esatto affermare che i vecchi schemi non funzionano più (ci sono rappresentanti che non sanno usare internet e sono comunque eccellenti e riconosciuti da tutti nel loro ruolo). Si tratta però di fare uno sforzo di “riconversione” (brutto termine, ma rende l’idea), giusto per parlare il linguaggio corrente. In questo è sicuramente fondamentale la formazione, ma anche uno spirito nuovo da parte dei quadri sindacali, senza limitarsi al solito piagnisteo decadente e senza costrutto. Significato, tendenze, modi nuovi e vecchi di essere attivamente presenti nelle aziende e nella società Spesso in molte realtà di una certa dimensione, ma tutte presenti nel territorio di Milano, occorre misurarsi su problemi di portata internazionale. Ciò non significa per il sindacalista necessariamente parlare una lingua straniera, ma sicuramente avere un approccio “culturale” diverso da quello in essere in passato. Altro ancora è relazionarsi con un mondo in veloce mutamento, sia nel piccolo come nel grande. Ascoltare significa anche capire dove si sta andando e come ri-declinare i valori sindacali (i “nostri” tradizionalmente intesi) in un modo e in un linguaggio moderno tecnicamente, ma anche e soprattutto, “di contenuto”. Non v’è chi non veda come le sfere di interesse siano aumentate in maniera considerevole. Oggi il sindacato si occupa in maniera concreta di formazione in azienda, eroga servizi di consulenza previdenziale, assistenziale e fiscale, interagisce internazionalmente, si occupa di mobility management, di ambiente e ancora molto altro. Tutto ciò deve essere svolto senza perdere di vista il lavoratore in quanto tale e in quanto persona. Personalmente non mi scandalizza l’idea che su alcuni temi “a latere” ci siano dei sindacalisti “specializzati”, ma è altrettanto ovvio che tutti i quadri sindacali debbano avere una conoscenza di massima di tutto. Fondamentalmente è necessario che tutti facciamo uno sforzo per stare al passo con i tempi, anche buttando a mare certi stereotipi pesanti. Questa è la sfida del futuro, più prossimo che lontano. notizie Sindacati: seppelliti Sindacati: seppelliti da una gru? da una gru? Walter Piscopo Sas Fiba di Banca Fideuram V i sono articoli che vengono di getto, che sgorgano dal cuore, alimentati dalla nostra sacrosanta fame di Giustizia, Equità Sociale e Coerenza. Mi riferisco al mio ultimo, su queste pagine, dedicato alle esorbitanti retribuzioni elargite ai manager del credito, italiano e mondiale. Altri articoli invece, come dire, nicchiano. Sono lì, ma fanno fatica ad essere partoriti, come se un sentimento oscuro di dubbio aleggiasse nell’aria ed impedisse loro di prendere corpo. Sono passati ormai alcuni giorni e della INNSE ormai nessuno più parla. Ma recentemente l’argomento era davvero sulla bocca di tutti. La storia immagino la sappiate. La INNSE, fabbrica metalmeccanica della periferia Est di Milano, produceva laminatoi, presse e turbine. Era già sull’orlo del fallimento anni fa, fino alla rilevazione da parte di Silvano Genta, imprenditore. Ora nonostante il suo intervento, è costretta comunque a chiudere. Così ha deciso Genta e la Aedes, proprietaria della area in cui sorge lo stabilimento. Il quale Genta denuncia che gli operai della fabbrica hanno rinunciato al piano di rilancio da lui definito portando loro stessi, la fabbrica, alla inevitabile chiusura. Come sempre accade, è nel dettaglio delle cose che si nasconde la verità. In realtà pare che il piano di rilancio programmasse lo spostamento dello stabilimento in una zona poco lontana da Rubattino (zona di residenza attuale della fabbrica) e la ricollocazione di 25 dipendenti per rimpiazzarli con altri più qualificati. A quanto pare gli operai e la sigla della Fiom male hanno digerito questo piano, condiviso pare invece dalle altre sigle sindacali. Così alla decretata chiusura dello stabile, alcuni operai, forse una ventina, fra cui appunto il sindacalista della Fiom, Roberto Giudici, si sono issati su di un carro ponte e hanno iniziano da li la loro protesta. Protesta dalle vaghe caratteristiche pannelliate: non si scende di qui finchè non si riapre la trattativa sul detino della INNSE. Tensione alle stelle, scontri con la polizia, addirittura il segretario generale della Fiom Rinaldini a cui è impedito di parlare con i lavoratori, denuncia questo come “un inconcepibile atto di arroganza”. Insomma una brutta storia e una pagina da dimenticare per l’intero mondo del lavoro. Passano i giorni e passano le notti, fino a che il 13 Agosto viene firmato l’accordo (grazie anche alla intermediazione del prefetto di Milano Gianvaleio Lombardi) in cui l’industriale Attilio Camozzi si impegna a rilevare e a rilanciare l’azienda INNSE. Dice lo stesso Camozzi “hanno ragione gli operai perché permettere che una azienda così venisse distrutta, sarebbe stato veramente un delitto”. Camozzi parla di “obiettivi ambiziosi” per la INNSE, con la eventuale necessità di reinventarsi in nuove realtà, su fronti alternativi come per la componentistica nucleare o in ambito energetico, vedi l’eolico”. Insomma, la cosa ha tutta l’aria di un vero e proprio lieto fine dopo tutte le storture a cui abbiamo dovuto assistere negli ultimi giorni, sempre nella speranza che le esaltanti parole del salvatore della patria Camozzi poi non vengano da qui a pochi mesi smentite dai fatti. Difficile però visto che il fatturato del gruppo Camozzi è di 300 milioni con dodici aziende attive, dalla Russia agli Stati Uniti: insomma un vero cavaliere del lavoro (e dal 2005 lo è stato nominato davvero) nel campo della produzione dei pneumatici, delle macchine utensili e tessili). Se addirittura il suo credo è”basta saper dialogare. Credo che la capacità di cooperare vada a vantaggio di tutti In fasi di crisi, poi, condividere gli obiettivi diventa indispensabile”, sembra proprio che Camozzi sia a tipologia ideale di manager: quello che tutti vorremmo avere. Quella che tutta la sinistra ha definito una delle più belle pagine di lotta operaia degli ultimi anni, (Paolo Ferrero dice “seguiamo l’esempio francese e quelli della INNSE ci hanno dimostrato cosa bisogna fare”; alcuni consiglieri del PD affermano che “dobbiamo candidare gli operai della gru della INNSE all’Ambrogino d’oro”;Bersani dice di “voler ringraziare gli operai che ci hanno sempre creduto”; Damiano del PD “un simbolo ed un esempio per tutti”;) merita però qualche approfondimento ulteriore, fermo restando la bontà di quanto sinora raggiunto. Prima considerazione: davvero si era e di è fatto tutto il possibile in fase di trattativa sindacale ? Davvero tutte le carte erano state scoperte e tutte le ipotesi vagliate in profondità, prima di giungere a questa drastica scelta operaia ? Noi, che della trattativa siamo vividi fautori riteniamo, con un certo margine di ravveduta ragione, di no. E’ probabile che qualcosa era stato nascosto o celato ad arte. Alcuni giornalisti hanno teorizzato che il tutto sia stato estremizzato fino al gesto ecclatante della gru, unicamente per favorire l’intervento salvifico del Camozzi. Che a detta degli stessi giornalisti, risulta essere da sempre simpatizzante della Fiom; addirittura iscritto come sindacalista praticante (sempre alla Fiom) nei suoi anni di giovane manovalanza. Ma qui si scivola nel campo della fantapolitica sindacale e noi preferiamo i fatti alle illazioni. Certo è che l’equazione crisi industriale, vendita delle fabbriche e relativa speculazione immobiliare sui terreni, non l’abbiamo inventata noi. Seconda considerazione: è davvero corretto eticamente e legislativamente spostare l’asse delle trattative sindacali (siano esse di fabbrica, di azienda, di banca o di call center) dal termine “fare trattativa con l’azienda” al termine “prendere in ostaggio l’azienda” ? Siamo sicuri che il sindacato soprattutto debba avallare questa metodologia ? O piuttosto sempre nell’ambito della trattativa, per quanto dura e ferma, si debba scavare fino all’ultima sua possibilità per cogliere il vero spirito e il reale messaggio dei lavoratori. E se fosse finita male ? Se un operaio, colto da malore, fosse caduto e avesse perso la vita ? il tutto sarebbe finito in tragedia. Al costo, pesantissimo, di una vita umana. Inoltre l’effetto emulazione che già ora compare (vedi vigilantes sul Colosseo) potrebbe presto snaturare ed estremizzare tutti i casi di trattativa/lotta sindacale. E non sempre con gli esisti positivi della INNSE. Terza considerazione: quella che più ci preme. C’è un messaggio forte e chiaro che deve giungere anche alle sigle sindacali. Dice uno degli operai della INNSE: ”il vecchio tipo di lotta, lo sciopero, non funzionano più. Dobbiamo resistere. Più punti di resistenza ci sono, meglio è per tutti”. Questo è il messaggio diretto ai sindacati: qualcosa, nel sindacato, non funziona o ha smesso di funzionare. Lasciando perdere le conseguenze dell’atto (di cui non riusciamo ad essere compartecipi) è fondamentale capirne le ragioni scatenanti. Il sindacato, oggi come oggi, non da garanzie, non da tutele, non da fiducia, o almeno non nella misura richiesta dai lavoratori. Siano essi di fabbrica, di banca o di altro. La flessione nelle iscrizioni al sindacato è negli occhi di tutti. I lavoratori disorientati ad un certo punto, come cani sciolti, vanno per conto loro. Questo è il messaggio che dobbiamo cogliere. Guai ad indorarlo con pillole politiche o sociali. Il metodo deve essere la trattativa ma debbono essere chiari da subito le priorità, i desiderata dei lavoratori e soprattutto i punti su cui gli stessi non vogliono (non possono) perdere la partita. Lo stiamo dicendo da sempre. Il mondo del lavoro è cambiato. Deve cambiare anche chi è chiamato a tutelarlo. Ci vuole per questo un sindacato ancor più preparato, un sindacato ancor più deciso (che non vuol dire, come qualcuno tenta di spacciare, un sindacato che dice sempre no). Ci vuole un sindacato nuovo, più vicino ai lavoratori, più capace di ascoltare, più coinvolto nelle tematiche professionali, meno aperto (meglio sarebbe totalmente chiuso) a particolari compromessi, che si scoprono ben squallidi, una volta accettati. Non è un caso che sulla facciata del muro della INNSE, ancor oggi campeggi lo striscione “HINC SUNT LEONES”. Non è facile, signori miei. E solo un bugiardo potrebbe dire che lo sia. Ma se davvero vogliamo tornare ad essere la vera ed unica controparte abilitata, è questo il percorso che dobbiamo intraprendere. Questa è la sfida del nuovo sindacato. Essere leoni. Guai, per tutti, a dimenticarselo. notizie prova nelle aziende presso le quali sono impegnate queste ragazze, in modo che le aziende siano invogliate a “provare” e poi a trasformare il rapporto di lavoro in qualcosa di stabile. Quest’anno la nostra Borsa va ad aiutare una ragazza di 24 anni che viene da una delle zone più povere della Nigeria, che dopo una esperienza dolorosa e un percorso di recupero, finalmente ha potuto prendere un appartamento in affitto con una amica e con il suo lavoro mantenersi e vivere in autonomia come tutti i ragazzi della sua età desiderano. Quante parole, si potrebbe dire, per una sola ragazza che abbiamo aiutato. E’ una, in una mare di bisogni. E’ vero, è la classica goccia nel mare, ma come diceva Madre Teresa, se non ci fosse, il mare avrebbe una goccia di meno. Questo intervento aiuta anche a non cadere nel solito giudizio banale e superficiale che sentiamo negli uffici, in metropolitana, perfino alla TV: la logica del “comunque”, comunque non cambia niente. Un invito a tutti i lettori di questo periodico, fermiamoci un attimo a riflettere sull’importanza di sostenere le associazioni che aiutano le persone in questi cammini di recupero, quanto è prezioso questo lavoro e come è importante il sostegno anche economico che noi possiamo dare! Un pensiero anche a chi, come me, ha un ruolo di rappresentante sindacale, mi permetto un suggerimento: è possibile, nelle aziende, proporre queste borse lavoro, magari in vicinanza dell’otto marzo, al posto di gadget o simili, oppure si può utilizzare la possibilità delle “quote politiche sociali” e invitare le aziende a sostenere qualche Borsa Lavoro, magari in occasione delle discussioni su bilanci sociali e sui codici etici di comportamento. Ma non voglio porre limiti alla vostra creatività, saprete sicuramente far emergere la sensibilità e l’attenzione ai bisogni tipica della nostra grande organizzazione! Ce l’abbiamo fatta! Ce l’abbiamo fatta! Alessandra Poma responsabile coordinamento donne Fiba Milano F orse qualcuno di voi ricorda che in occasione dell’otto marzo 2008 il Coordinamento Donne della Fiba ha collaborato con il Coordinamento Donne della Cisl e precisamente con quel ciclone travolgente (in senso assolutamente positivo) che è Luigia Cassina (responsabile del coordinamento donne della CISL milanese), nella preparazione di un incontro e di un libretto sulla condizione delle donne che, partendo dai paesi più lontani e con la prospettiva di un lavoro in Europa o in Italia, finiscono poi nelle mani di delinquenti che le sfruttano e di come, alcune di loro, riescano a ribellarsi e ad uscire da queste terribili condizioni. Nel libretto, “Diamoci una mano”, che abbiamo distribuito alle nostre iscritte, ma anche ai nostri iscritti, venivano raccontate alcune di queste storie finite positivamente. Dietro a questo libretto, c’era e c’è tuttora l’impegno della Fiba e della CISL verso questa realtà così dolorosa e così nascosta. L’impegno nasce dalla coscienza e dalla consapevolezza che essere fortunati, ricchi, istruiti, con un buon lavoro, una buona famiglia, non è una casualità, non è una fortuna circostanza, ma è innanzitutto una responsabilità. Così anche quest’anno la Fiba sta sostenendo una borsa lavoro della Cisl: 10 che cos’è una borsa lavoro? Come forse già sapete dopo l’eroica decisione di alcune di queste ragazze di denunciare i loro “aguzzini”, è necessario un lungo percorso di recupero; spesso queste ragazze sono molto giovani, spesso hanno fatto a casa loro una vita di povertà grande, tanto da maturare la decisione di partire, non hanno avuto una educazione e nemmeno istruzione e, soprattutto, devono recuperare anni di violenze inimmaginabili. Quindi diventa importante una compagnia che le aiuti a ricostruire la propria umanità, una stima di sé, un desiderio di crescere e imparare: questo importante lavoro viene svolto da tante associazioni ad esempio la Caritas, molte associazioni del volontariato e del non profit come, per esempio, la Grande Casa. Ma dopo questo periodo di recupero si aprono nuovi e non meno grandi problemi: che fare? Alcune di loro scelgono di tornare a casa, altre non ne vogliono sapere di tornare e, a questo punto, servono tante cose: una casa e, soprattutto, un lavoro. E qui si inserisce la Borsa Lavoro che permette di sostenere in parte l’inserimento lavorativo di queste giovani. Le borse lavoro sono il frutto della collaborazione di diversi soggetti civili, che, insieme, rispondono a questi bisogni. Queste persone di solito nel loro percorso di recupero hanno imparato un mestiere, ma chi ha voglia di rischiare con loro? Con la borsa lavoro di fatto si sostiene economicamente il periodo di Operazione “TANGO 1 Operazione “TANGO 1 Le Volpi nel sacco” Le Volpi nel sacco” Macaluso Giovanni Rsa Milano Ass.ni [email protected] D alla finestra si vede una spiaggia corallina esattamente come nei depliant pubblicitari delle isole caraibiche, forse perche la banca dove ci troviamo è in un’isola caraibica. L’aria condizionata a palla permette agli impiegati di muoversi asciutti incravattati nei completi di lino o alle impiegate di scivolare agili su improbabili tacchi dodici, eleganti e sorridenti nei tallieur di firma. Qui gli eliporti sono di casa e quindi il rumore degli elicotteri è quasi un sottofondo che si mischia a quello delle onde dell’oceano. Poi il rumore si fa più insistente. Due elicotteri dell’ONU stazionano in aria a una decina di metri d’altezza proprio sopra la strada che costeggia la banca. Le funi che scendono sulla fiancata ed i Caschi Blu che si fanno scivolare a terra. Irrompono nella banca con i fucili spianati. “Tutti con le mani contro il muro”. Due minuti dopo entrano i tecnici informatici che prendono posto dietro i computer. “Fermi tutti questa è un’occupazione ‘pacifica’ che serve a cambiare le regole fiscali e bancarie di tutti i paradisi fiscali del mondo. Con le nuove regole sarete obbligati a rendere pubblici i beneficiari e gli amministratori di tutti i conti correnti e a tracciare in modo evidente l’iter delle operazioni di compravendita, la provenienza e la destinazione dei capitali e dei titoli”. Era scattata, contemporaneamente in 41 paesi, l’Operazione TANGO 1 sotto l’egida delle Nazioni Unite votata all’unanimità in una sezione speciale segretissima. Fino ad oggi gli interventi militari erano stati organizzati per portare la democrazia nei paesi governati da cattivoni che se ne fregano dei diritti della popolazione o che possiedono armi letali pericolose per la sicurezza del mondo intero. Unica condizione per l’intervento pacificatore atto a liberare un paese da un’odiosa dittatura per insegnargli con i marines i fondamenti della democrazia, è che sia un paese dotato di materie prime interessanti (tipo petrolio, diamanti ecc.). Un paese liberato dalla tirannia può infatti serenamente ritrattare il prezzo delle commesse per le materie prime e firmare contratti con le industrie dei “paesi amici” per la ricostruzione. Qualche volta i liberatori hanno trovato qualche inevitabile intoppo soprattutto quando i tiranni che non rispettano neppure i più elementari diritti umani, hanno invece troppo peso diplomatico o militare nello scacchiere internazionale (vedi Iran o Cina). In quel caso non si può intervenire in una nazione straniera senza minare la sua territorialità, si possono però fare pressioni diplomatiche di facciata ed indignarsi a qualche convegno internazionale. In questo sogno altamente surreale, come dipinto in un quadro di Dalì, mi sono inventato davvero un’operazione di “polizia internazionale” che sarebbe utile al mondo intero. Ogni forma di elusione fiscale, di occultamento di capitali, di creazione di scatole cinesi vengono finalmente considerati reati contro l’umanità. La pressione fiscale sulla movimentazione di denaro è diventata uguale in tutto il mondo e le tasse devono essere pagate nel paese di origine di ogni operazione finanziaria. Certi prodotti finanziari, che tra l’altro di finanziario hanno ben poco, vengono considerati fuorilegge come la truffa o la circonvenzione di incapace, se si ha tanto denaro da non sapere più cosa farsene ci sono sempre i Casinò. I tecnici informatici dell’ONU ticchettano sulla tastiera del mio computer ed i marines ci invitano ad uscire dalla banca. Ne avranno per un bel po’. Sono un bancario fortunato, lavorare in riva al mare in un’isoletta dei Caraibi esentasse ha i suoi lati positivi rispetto a chi fa lo stesso lavoro tra le nebbie della Val Padana. La borsa per il mare ad esempio è sempre pronta sotto la scrivania. Obbedisco volentieri all’ordine dei militari e mi avvio verso il mare. Non vedo perché non dovrei essere contento per questa giornata di vacanza forzata e inaspettata. Mentre sono sdraiato al sole di questo paradiso marino chiudo gli occhi e ascolto il rumore dell’onda lunga; penso che il mondo oggi è cambiato. Ogni tanto succedono avvenimenti epocali positivi inimmaginabili; se penso che il mio trisavolo viveva nel terrore di avvistare una nave portoghese che lo avrebbe imprigionato e deportato in schiavitù, oggi sono davvero contento. Quando tornerò al lavoro sarò ancora più contento, sarò almeno sicuro che il mio lavoro, il denaro che maneggerò e le operazioni che avvallerò non serviranno più a comprare partite di cocaina o armi per i guerrafondai di tutto il mondo. Come ha detto l’immenso Flaiano “sognatore è un uomo con i piedi fortemente appoggiati sulle nuvole”. 11 notizie notizie IlIl volontariato volontariato “paga” “paga” Bruno Donno T anti sono gli esempi di attività di volontariato che si possono rappresentare in senso figurato con il vocabolo “paga”; ne conosco uno, però, che sicuramente esprime sia il senso figurato che la realtà. Mi riferisco al “Meeting per l’Amicizia fra i Popoli” che si svolge a Rimini in una settimana della seconda metà di 12 agosto da trenta anni a questa parte. Fare il volontario durante il Meeting, non solo è un’esperienza unica, ricca di incontri e di gran lavoro, ma occorre metterci del proprio: non solo si offre una settimana del proprio tempo, ma chi non è del posto (la stragrande maggioranza dei volontari) si deve pagare vitto e alloggio; moltissimi infatti provengono da ogni parte d’Italia e anche del mondo. L’organizzazione garantisce prezzi “calmierati” ma resta il fatto che hai anche un costo; per capire ed aderire a questa particolare forma di volontariato devi sapere perché lo vuoi fare. Non è necessario condividere la matrice culturale degli organizzatori, è necessario desiderare di incontrare una novità nella propria vita. Questa novità può assumere moltissime forme: un’amicizia, un fatto, un interesse, la fatica del lavoro e così via. E’ impressionante ascoltare i racconti di tanti volontari che venuti per la prima volta, magari “trascinati” dagli amici o incuriositi da questo “mondo” apparentemente uguale al mondo quotidiano che viviamo, sono stati colpiti ed impressionati dall’esperienza di grande umanità ed amicizia che si vive durante quei giorni. Ho conosciuto personalmente tante persone di diverse fedi religiose che, scettici e prevenuti all’inizio dell’evento, hanno poi riconosciuto con stupore e gratitudine l’esperienza di grande umanità fatta durante quei giorni. Con le stesse modalità del Meeting si può fare volontariato anche durante il pre-Meeting: durante le settimane che precedono l’evento, si lavora alla costruzione di gran parte degli stand e di tutte le mostre. C’è lavoro per tutti dal semplice stuccare un mobile al tinteggiare una parete, dalla falegnameria agli elettricisti, dalla ferramenta alle pulizie, dal bagnare le piante a posare la moquette, dall’appendere pannelli alla posa di sedie e tavoli. Tutto questo si svolge in giornate scandite da precisi orari di lavoro (dalle 9,00 alle 13,00 e dalle 14,30 alle 18,30) preceduti da breefing per la distribuzione dei compiti e da brevi momenti di preghiera comune. Una caratteristica del pre-Meeting sta nel fatto che quando una persona ha finito il lavoro assegnatogli, si rende disponibile al “banco lavori” e viene riassegnato ad altro incarico; non si fa mai la stessa cosa per più di un giorno, solo gli “specialisti” continuano a lavorare nel loro campo. Io ho lavorato in questi ultimi anni soprattutto durante il pre-Meeting e l’arricchimento umano e lavorativo è impagabile; non ci sono privilegi o riserve per nessuno, ciascuno lavora per quello che è capace e con le forze che ha. Non sono richiesti super esperti o super lavoratori, solo uomini e donne desiderosi di fare un’esperienza di condivisione del lavoro mettendo in gioco la propria umanità nel confronto e l’amicizia con gli altri. Anche se non li conosci senti che non sono estranei, si crea un’atmosfera di vera condivisione e solidarietà che ti fa sentire protagonista della tua giornata e pronto ad aiutare senza condizioni. Così può capitare di trovarti fianco a fianco di un primario di ospedale, di uno studente di filosofia, di un operaio, di un bancario, di una madre di famiglia o di un pensionato, soddisfatti di quello che fanno e contenti di conoscerti. Nascono così amicizie incredibili che spesso continuano o si rinnovano l’anno seguente quando ci si ritrova ancora al pre-Meeting; sì, perché si ritorna sempre molto volentieri. In conclusione alcune notizie sul Meeting: con le sue oltre 700mila presenze medie, il Meeting di Rimini - che dal 1980 ha luogo ogni anno, - è il festival estivo di incontri, mostre, musica e spettacolo più frequentato del mondo. Si tratta di una realtà unica nel suo genere: un’associazione che da 29 anni si propone di creare occasioni di incontro tra persone di fedi e culture diverse, nella certezza che luoghi di amicizia fra gli uomini possano essere l’inizio della costruzione della pace, della convivenza e del bene comune. A parte un piccolo nucleo di 14 persone che lavora a tempo pieno alla sua preparazione, il Meeting di Rimini viene organizzato, allestito, gestito e poi smontato grazie all’appassionato e generoso lavoro dei volontari: sono oltre 3.000 ogni anno, in gran parte giovani, provenienti dall’Italia e da molti altri Paesi del mondo. E’ soprattutto grazie al loro contributo che il Meeting di Rimini è diventato anche una manifestazione dai grandi numeri: 400 mostre, 3000 incontri, oltre 500 spettacoli, 5000 personaggi. Sono 850 i giornalisti accreditati durante l’ultima edizione. Il Meeting è un grande evento sociale, una festa, un luogo dove, come disse Giovanni Paolo II nella sua visita nel 1982, si costruisce “una civiltà che nasca dalla verità e dall’amore”, ma soprattutto è un gesto di gratuità: migliaia di persone, di ogni età e condizione sociale, che donano tempo ed energie per realizzare la manifestazione. Il discorso culturale che vi si svolge, ne è solo una conseguenza. «La conoscenza è sempre un avvenimento»: questo il tema che ha dato il titolo alla trentesima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli 2009. Lungi dal voler proporre un inaccessibile discorso per addetti ai lavori, si è parlato innanzitutto dell’uomo e del suo rapporto con il mondo. Alla base di ogni percorso di conoscenza, anche o soprattutto scientifica, vi è l’imbattersi in qualcosa di nuovo, che prima non era entrato nel raggio dell’esperienza o semplicemente non veniva considerato. Ciò fa sì che la conoscenza sia sempre in movimento e quindi sempre perfettibile. Ma il nuovo che irrompe e innesca o rilancia la dinamica del conoscere non è solo qualcosa, è anche – e necessariamente – qualcuno: è ciò che chiamiamo testimone. Senza la mediazione di testimoni non vi sarebbe sviluppo della conoscenza e non vi sarebbero civiltà e cultura, non vi sarebbe storia. Più radicalmente: è la testimonianza dell’altro, quando si tratta di un’umanità diversa, pienamente corrispondente alle attese costitutive dell’uomo, che rende evidente, “conoscibile”, il senso del vivere. Il lavoro volontario del “pre” e del Meeting è stato l’occasione per incontrare testimoni per i quali la vita continua ad essere l’avventura di una conoscenza sempre nuova. Che cos’è il Meeting: www.meetingrimini.org 13 notizie notizie MaMagli astenuti gli astenuti vincono sempre? vincono sempre? A giugno le testate giornalistiche riportavano tutte lo stesso titolo: “elezioni – VINCE IL POPOLO DEGLI ASTENUTI” L’astensionismo come comportamento generalizzato: c’è da chiedersi perché mai, in una fase tanto delicata e complessa come l’attuale, la gran parte degli elettori, cioè di noi, scelga di non scegliere. E’ un atteggiamento improntato alla passiva attesa (ma poi di cosa?), fors’anche condizionato dalla cattiva politica di chi dovrebbe rappresentarci a casa come all’estero ed invece si diletta in azioni ed omissioni che con la Politica han poco a che fare, anzi nulla. Sarà la nausea che attanaglia il nostro povero stomaco, sarà la noia di assistere al solito teatrino, sarà la stanchezza di sopportare una dirigenza politica che sbandiera fatti privati “coram populi”, sarà la delusione nel constatare che l’interesse privato prevale sull’interesse collettivo, sarà l’ennesimo lamentoso silenzio degli innocenti: sarà tutto questo ed altro ancora a farci credere che è inutile combattere, “tanto sono tutti uguali”. Sarà. Ma l’astensione? che razza di risposta è mai? Delegare al 30, al 40% della popolazione la funzione principe della democrazia partecipativa (si chiama così proprio perché implica la partecipazione!), ossia l’indicazione di chi governa, di chi detiene il potere, di chi decide per noi tutti, non è la soluzione del problema. E’ un problema in più. Ci si lamenta di continuo per questo o quello che non va, e poi si evita accuratamente di fare il nostro dovere di cittadini. Sento dire: “tanto….un voto in più, un voto in meno… che differenza fa?”. Ma come? Se lo stesso ragionamento vien fatto da 10 milioni di persone, la differenza c’è, eccome se c’è! Ma poi penso: la stessa cosa, lo stesso meccanismo perverso, si ripresenta nelle 14 Daniele Malenchini Rsa Fondiaria-Sai [email protected] aziende, dove la partecipazione dei lavoratori al dibattito, alle decisioni assembleari, alle politiche sindacali è scarsa, disattenta, spassionata. Quasi che il contesto in cui ci si muove non ci appartenga. Anche qui l’astensionismo la fa da padrone: l’ultima recente assemblea tenuta nella mia azienda ha visto la partecipazione di non più di 150 colleghi, in una piazza come Milano che conta oltre 1000 dipendenti. Anche qui una esigua minoranza ha deciso per tutti. Il principio democratico è svilito a tal punto che viene invocato del tutto a sproposito, e proprio da coloro che – in base alla fredda matematica – si ritrovano per le mani lo scettro del comando in nome e per conto di tutti. In “regnum caecorum orbus rex”: è un paradosso che si ripresenta ad ogni occasione, e che spiega le preoccupanti derive oltranziste ed estremiste dei cosiddetti “paesi civili”: razzisti, neonazisti,fascisti, cultori della persona, silenzio mediatico, distrazione delle masse dai problemi veri, tornano – complice il silenzio degli astenuti/assenteisti – ad occupare la ribalta politica e sociale. E’ una lotteria truccata, dove nessuno vince nulla. Si dirà che anche l’astensione è legittima, in quanto prevista e contemplata dalle moderne democrazie. Ma lasciare che decidano gli altri, acriticamente e inconsapevolmente, è sintomo di menefreghismo, di scarsa coscienza sociale, di infantilismo. Il partito degli assenteisti e degli astenuti non è che non decida, in realtà decide di consegnare la propria vita, la società, il mondo nelle mani di alcuni, forse dimenticando che “tanti pochi fanno molto”…. L’ospite inatteso L’ospite inatteso Regia: Thomas McCarthy Sceneggiatura: Thomas McCarthy Attori: Hiam Abbass, Amir Arison, Danai Jekesai Gurira, Richard Anno: 2007 Il problema dell’immigrazione clandestina con le sue leggi, i suoi regolamenti burocratici non è un fenomeno che riguarda solo l’Europa. Talvolta bisognerebbe avere il coraggio di andare oltre e guardare i nostri simili con maggior benevolenza. Questo film, che non conoscevo e che ho visto quasi per caso, mi ha davvero colpito. L’ho trovato di una intelligenza e di una bellezza rara. Il problema della clandestinità negli Stati Uniti e della ferrea legislazione che regolamenta le procedure di accoglienza e di espulsione fa da sfondo ad una storia davvero originale e coinvolgente. Macaluso Giovanni Rsa Milano Ass.ni [email protected] Ma ciò che mi ha colpito davvero positivamente è la varietà degli spunti di riflessione sulla società contemporanea e sui rapporti interpersonali che questo film ha saputo trattare. Dentro la storia apparentemente banale c’è la solitudine, la difficoltà dei rapporti interpersonali, le priorità delle scelte, i pregiudizi, le passioni e le paure inespresse, l’amicizia, la generosità, l’amore. Rappresenta il dramma e la tristezza di aver trovato qualcosa di importante e inaspettato, che si è costretti a perdere di fronte alla rigidità della legislazione USA che, in materia di clandestinità, non ammette deroghe soprattutto dopo l’11 settembre. E’ incredibile come una storia che si dipana così garbatamente, senza strappi o colpi di scena, riesca a tenerti lì incollato con il fiato sospeso. Il finale poi è davvero potente e liberatorio, è un urlo di vendetta e un sogno inespresso allo stesso tempo. E’ inutile aggiungere altro; come direbbe Enrico Ghezzi: “Buona visione...” 15 FIBA CISL NOTIZIE Secondo semestre 2009 Aut. Trib. di Milano n. 158 del 15/4/1970 Redazione c/o FIBA/CISL Via Tadino 19/A - 20124 MI Tel. 02/29.54.93.99 - Fax 02/29.40.45.08 e-mail: [email protected] Comitato di Redazione Pier Paolo Merlini Fiorenza Franco Anna Maria Lunardon Roberto Muzzi Umberto Bognani Carmen Mazzola Eros Lanzoni Direttore Responsabile Pietro Roncato Segreteria di redazione Fausto De Simone Questo numero è stato chiuso in redazione il 30 settembre 2009 Grafica e Impaginazione Il laboratorio blu (Como) Stampa A.G. Bellavite - Missaglia (LC)