primo SEMESTRE 2010
Nuova serie bimestrale della FIBA Cisl, Federazione Italiana Bancari e Assicurativi, Sindacato territoriale di Milano - Anno XXXIX - marzo 2010
Tariffa Associazioni senza scopo di lucro: Poste Italiane Spa - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in 27/02/2004 n. 46) art 1, comma 2, DCB Milano
Territoriale di Milano
Ripartire
dalla persona
notizie
3 Editoriale
di Pier Paolo Merlini
4 Al lavoro
di Claudio Bottini
5 Un anno di ristrutturazione aziendale…
di Sergio Aiello
Quello
che
Quello che
leggeremo…
leggeremo…
6 I nuovi schiavi
di Walter Piscopo
8 L’Italia è il paese delle mazzette? …magari!
di Giovanni Macaluso
9
Dalla parte del più debole.
Intervista a Rodolfo Losego
di Daniele Malenchini
10 L’imprevisto
di Alessandra Poma
11 Recensioni: “L’ospite inatteso”
di Giovanni Macaluso
V
iviamo tempi cupi, per carità, nulla
a che vedere con tempi passati fatti
di fame e carestia, violenza e malattie,
l’oscurità dei nostri giorni è meno evidente rispetto al benessere della gente
ma è più profonda e radicale rispetto alla
persona, all’io, all’individuo.
Sempre più le nostre realtà sono caratterizzate da situazioni di profonda solitudine: si vive soli, soli di fronte alle otto ore
di lavoro, soli rispetto alle circostanze
della quotidianità.
Così può capitare che qualsiasi cambiamento viene prospettato, lo si affronta
con timore e circospezione.
In questi primi mesi del 2010 il sindacato, in particolare la nostra organizzazione, ha raggiunto importanti accordi, sia
a livello nazionale che a livello di singole
aziende.
Si è introdotta la parte emergenziale del
fondo esuberi di settore, quella parte
che sarebbe stata utilissima nell’affrontare e nel gestire la crisi delle banche
estere del 2009; si è firmato un accordo
in Intesasanpaolo grazie al quale si
creano nuovi posti di lavoro e si confermano 400 tempi determinati, si è potuto
gestire l’incorporazione di Carta SI da
parte dell’Istituto Centrale delle Banche
popolari grazie ad un accordo che stabilizza e punta sulla riqualificazione e
il ricollocamento. Nonostante la bontà
di tali operazioni, le reazioni sono state
spesso di sospetto, di paura e oggetto di
critiche feroci, ma spesso senza entrare
nel merito vero delle questioni.
Di fronte ad una realtà sempre più
frammentata, dove la crisi economica
è ancora pesantemente presente, dove
la politica è ridotta ad affari e gossip
scandalistici, dove nulla sembra più
reggere il tempo che passa, la risposta
più frequente è quella di isolarsi nel
proprio cantuccio. L’insidia del “si salvi
chi può” è sempre in agguato e l’individualismo è l’illusione che da soli ce la si
può cavare meglio, a prescindere da chi
ci circonda. A volte sembra addirittura
che anche le aziende prediligono questo atteggiamento, così, per esempio,
i sistemi incentivanti che non vengono
mai discussi con il sindacato, premiano
lo sforzo del superman, di colui che è
capace di fare risultato, anche laddove
Crisi economica,
Crisi economica,
disoccupazione,
disoccupazione, politica
ridotta a gossip:
si salviridotta
chi può? a
politica
gossip: si salvi chi
può?
Pier Paolo Merlini
Segretario generale Fiba - Milano
si parla di squadra, si tratta sempre di
una squadra fatta da tanti singoli, difficilmente un insieme.
Così anche tutto lo stra-parlare di etica,
dai bilanci sociali, alle dichiarazioni sulla
Responsabilità sociale di impresa, rischia di costituire un grosso equivoco.
Non sarà un’etica astratta ed eterea che
ridarà fiato alle nostre aziende, all’economia e alla società civile e sociale.
Occorre uno slancio, una presa di coscienza della responsabilità che ogni
uomo ha, a prescindere dal ruolo o dalla
mansione che svolge. C’è una responsabilità che è tutta personale e che riguarda chi fa il sindacato, chi fa l’impresa e
chi fa il lavoratore. Tutte le nostre azioni
portano con se delle conseguenze, è
necessario che nell’agire si abbia sempre presente che queste conseguenze
possono avere ripercussioni sulla realtà
che ci circonda.
Da qui nasce l’idea di bene comune,
tutte le nostre azioni possono incidere,
positivamente o negativamente, sulla
realtà che ci circonda.
Occorre ripartire dalla persona, da quel
fascio di bisogni, di domande e desideri che l’uomo rappresenta. Ripartire
dalla persona significa investire sulla
formazione, come forma di educazione,
valorizzare le caratteristiche e le specificità di ogni singolo, riconoscere il ruolo
sociale fondamentale della famiglia e
di chi, pur lavorando, si prende cura
dei figli o di persone in difficoltà o in
situazioni di disabilità.
Nella società odierna vi sono alcuni
soggetti che costruiscono esempi
concreti che una possibile alternativa
all’individualismo e ad un’etica teorica è
possibile, sono associazioni, movimenti
e realtà del cosiddetto terzo settore.
Un sindacato che riesce, anche superando le diatribe interne, a compiere
e svolgere il proprio ruolo è una realtà
viva e creativa che rientra nel numero
di queste realtà. Gli esempi citati, cui
si deve aggiungere il lavoro discreto
e quotidiano, di tanti rappresentanti
sindacali aziendali, sono un primo contributo dato da un’organizzazione che
cerca di vivere la realtà senza pregiudizi
ideologici o parole d’ordine da difendere
a prescindere.
Un lavoro a cui tutti siamo chiamati a
contribuire, nella normalità delle nostre
giornate.
notizie
notizie
AlAllavoro
lavoro
Claudio Bottini
dirigente sindacale provinciale
Intesasanpaolo Milano
Q
uello che più mi colpisce in questa
crisi è che essa può essere una
grande occasione perché ogni persona
e ogni realtà, compreso il movimento
sindacale, si lasci provocare: come dice
la stessa parola crisi “vagliate tutto e
trattenete ciò che vale”.
E che cosa vale? Qual è il valore ultimo
e decisivo che c’è in questione? Per
tentare di rispondere a queste domande
non possiamo non partire da quello e
da come uno vive. E’ evidente che si
vive spesso, senza magari accorgersi,
la tentazione dell’arrangiarsi da sé, dell’individualismo. E’ sempre in agguato
l’insidia del “si salvi chi può”, anzi mi pare
più viva che mai.
L’individualismo è il tentativo vecchio
come l’Uomo di risolvere i problemi.
Esso implica nella radice il rapporto tra
il proprio bene e il bene altrui.
L’Uomo vive dentro una comunità e que-
Che fai tu, luna, in ciel? Dimmi, che fai,
Silenziosa luna?
sto ci costringe a decidere il modo di
affrontare questo rapporto. Questa sfida
si situa in un contesto culturale sociale
che si può riassumere così: io raggiungo
meglio il mio bene se prescindo dagli
altri. Ancor più profondamente l’individualista vede nell’altro una minaccia
per raggiungere lo scopo della propria
felicità: si può tradurre con uno slogan
homo homini lupus.
Questa impostazione, che in apparenza
sembra reggere è nei fatti falsa per un
motivo molto semplice: perché elimina
un fattore in gioco. Tutte le soluzioni che
propongono l’eliminazione di un fattore
non sono vere soluzioni.
Che cosa succede: per rimediare a questo stato di cose, cioè al fatto che l’altro
(singolo, realtà associativa, nazione) è un
potenziale nemico, si introducono regole
su regole e codici comportamentali (Lenin diceva che la fiducia è un bene ma il
controllo è meglio).
Si moltiplicano le regole per tenere a
bada i “lupi”. Ancora di più di questo
l’individualismo è fondato su un grande
errore: che la felicità corrisponda all’accumulo. Qui, guardando con lealtà la
nostra esperienza, viene a galla che non
c’è insieme di regole che tenga perché
l’Uomo, ogni Io, è una sproporzione
strutturale (come il genio di Leopardi ci
ha testimoniato).
Quindi l’individualismo è inutile per affrontare seriamente il dramma dell’uomo,
anche se il potere che domina insinua
l’inganno che si possa essere felici a
prescindere dagli altri.
Da dove ripartire? Ora il punto di ripartenza può essere solo uno: la propria
esperienza elementare che ognuno di noi
può rintracciare in sé. Infatti di fronte al
bisogno, al dolore, l’uomo si mette in moto
subito (vedi terremoto di Haiti) anche se
questo sentimento naturale di solidarietà
non crea, non costruisce se rimane solo
un’emozione, anzi finisce subito, cioè
illude. Ecco il punto: come sostenere
questa esperienza elementare davanti
al bisogno? Come può fare l’uomo per
sostenersi in una positività?
Non da solo, coinvolgendosi con altri,
stabilendo un’amicizia, un movimento
che è più consistente più il motivo per
cui nasce è stabile e profondo.
Guardiamo al movimento operaio di
prima memoria o al movimento sindacale odierno. Solo riconoscendo che lo
scopo del movimento sindacale eccede
i termini del sindacato stesso, e che esso
è il tentativo di rispondere a qualcosa di
molto più grande a qualcosa che non è
insito nel movimento sindacale.
E’ quel cuore (di cui abbiamo parlato nei
precedenti numeri del giornale) che abbiamo in comune che stabilisce “un’appartenenza”. Questa appartenenza corregge, cioè regge insieme la inevitabile
riduzione che l’Uomo opera fa nel vivere.
Questa è la prima responsabilità che un
movimento di uomini del lavoro ha. Aver
chiaro che la responsabilità è rispondere
a questo cuore, a questa sete di infinito
che ogni uomo vive. Per questo, fare il
proprio mestiere di contrattare, di andare
a vedere fino in fondo le proposte che
vengono fatte è l’inizio di una risposta al
bisogno del lavoro realistica e che porta
anche risultati (l’ultimo accordo fatto in
IntesaSanPaolo sull’occupazione che
dà lavoro anche a cassaintegrati va in
questa direzione). Infatti lavorare è la
possibilità perché l’uomo possa iniziare
a rispondere a questa sete di infinito, a
costruire qualcosa che serve al bene di
sé, della propria famiglia, della propria
città, della nazione. E questo tentativo è
l’opposto di chi usa il movimento sindacale in modo autoreferenziale, arroccato
su se stesso e privo di qualunque prospettiva di positività, di costruzione. La
sfida dell’individualismo mi dice che solo
un cammino verso questo infinito, questa
totalità, può rendere anche il movimento
sindacale uno strumento dove gli uomini
del lavoro sono aiutati nell’educazione di
cercare il senso di quello che si vive, del
significato per cui vale la pena spendere
tutta la propria vita.
anno
di ristrutturazione
Un anno diUnaziendale,
ristrutturazi
un anno
un anno didi relazioni
relazioni
sindacali, sinda
un anno di condivisione.
un anno di condivisione.
S
i era nei giorni che precedono il Natale
e, quel pomeriggio, i corridoi e gli uffici
della Banca erano pervasi dai profumi provenienti dal rinfresco in preparazione nelle
scintillanti sale di rappresentanza.
Tuttavia, il banchetto natalizio che Meliorbanca preparava come ogni anno
per salutare le festività ormai prossime e
ringraziare i lavoratori per l’impegno profuso, si sarebbe presto trasformato in calice
amaro da bere collettivamente.
Quel giorno di dicembre 2008 veniva
formalmente avviata la procedura di ristrutturazione aziendale che prevedeva
120 esuberi su 232 lavoratori!
Il comprensibile panico iniziale si è presto
trasformato in consapevole presa di coscienza ed in poco tempo, ognuno secondo i propri orientamenti, ci si è organizzati
creando i presupposti per far entrare in
Istituto le Organizzazioni Sindacali.
Settimana dopo settimana, il tentativo di
far fronte comune al comune problema
ha lentamente “spezzato” il sottile muro
di solitudine che spesso ci separa persino dal vicino di scrivania, e molti di quei
rapporti fatti di sterile colleganza si sono
fatti sempre più profondi.
Seguendo ognuno le proprie caratteristiche ed esigenze, ci si è messi in gioco in
prima persona; la ristrutturazione aziendale stava scardinando il cuore di molte
certezze ed imponeva la riscoperta della
dimensione del “cammino”. Un cammino
fatto di strade percorse per ritrovare la
propria collocazione lavorativa, ma anche
un cammino fatto in se stessi, rimettendosi
completamente in discussione.
Qualcuno doveva “scommettere” se
restare e rischiare una ricollocazione
territorialmente lontana dalla propria casa
e dai propri affetti; qualcun altro doveva
“scommettere” se rimettersi sul mercato
con il piccolo bagaglio di qualche mensilità di “buonuscita”.
In questo percorso del tutto individuale in
molti, me compreso, hanno scelto di farsi
parte attiva nel sindacato, spendendo le
proprie energie per quel bene comune
che è anche bene proprio, per quel bene
comune che deve tendere all’armonia
dei rispettivi interessi e non, cinicamente, al sacrificio del debole sull’altare del
profitto.
Nel tempo si è creato uno spirito positivo
dal quale sono nate relazioni importanti,
di amicizia e condivisione; condivisione
che ha tenuto alto il morale nei momenti
difficili e ha dato rinnovato slancio ai momenti maggiormente propositivi. In questo
senso l’azione sindacale, sviluppatasi a
tutti i livelli, ha ridato fiato e speranza ai
lavoratori; dalle rappresentanze aziendali,
ai dirigenti territoriali, sino alle Segreterie
nazionali, sono state attivate e messe in
campo tutte le energie necessarie. Le
Organizzazioni Sindacali, rappresentate
in prima persona dagli stessi vertici nazionali, hanno tenuto aperto ed orientato
un confronto che, altrimenti, rischiava di
portare a scenari drammatici.
Tutto ciò ha permesso, oggi (gennaio
2010), di raggiungere con la parte datoriale l’accordo di chiusura della procedura
di ristrutturazione: 104 persone hanno
cessato il rapporto di lavoro con Meliorbanca. Molti di loro hanno già intrapreso
una nuova strada lavorativa, altri ancora
la cercano.
Per tutti, una ferita che certo sarà ricordata
a lungo.
In questa situazione ancora “calda”, resta
sospesa una domanda: qual’è, oggi, il
ruolo del sindacato? Riscontrare consenso
ed unità in situazione di estrema necessità
è stato abbastanza facile. La sfida, ora, è
costruire partecipazione nei momenti di
ordinarietà; la sfida è svincolare il ruolo
del sindacato dall’immagine, pur preziosa, di ambulanza da primo soccorso che
interviene ad incidente avvenuto.
Trovare adesione intorno a ciò che rappresenta l’intera cultura sindacale, con le sue
battaglie, le sue conquiste, i suoi sacrifici…questo è il nuovo, più grande obiettivo.
Sergio Aiello
segretario S.A. S Meliorbanca
[email protected]
E il punto di partenza deve essere sempre
la persona, la cui valorizzazione è principio
assoluto a cui tutto deve necessariamente
essere subordinato.
Insieme al concreto obiettivo di salvaguardare il posto di lavoro, ci si deve impegnare a stroncare i metodi che umiliano le
persone, perché l’umiliazione è il seme da
cui nasce l’emarginazione, talvolta persino
la tragedia.
Dialogo, confronto senza pregiudizio;
questo il lavoro per tenere il sindacato
sempre più vicino al singolo in un’ottica
di collettività.
Il sindacato che mi ha conquistato è proprio questo, fatto di persone preparate
e sempre pronte a tendere la mano, ad
accogliere.
Infine un auspicio: la speranza che la
profonda crisi che ha investito, oltre al
mio Istituto, l’intera impostazione socioeconomico-finanziaria sia spunto per
attuare quella rivoluzione copernicana che
riporti l’uomo al centro dell’intero sistema
produttivo.
Che si realizzi dunque un nuovo umanesimo dove l’uomo sia “fine” e non
strumento.
Perché “il primo capitale da salvaguardare
e valorizzare è l’uomo, la persona, nella
sua integrità ”.
Ce lo dice Papa Benedetto…ce lo dice il
buon senso…
notizie
I Inuovi
nuovi
schiavi
schiavi
Walter Piscopo
Sas Fiba di Banca Fideuram
[email protected]
T
utti noi leggiamo i quotidiani e
vediamo i notiziari. In particolare
noi sindacalisti tendiamo le orecchie
quando le notizie riguardano il mondo
del lavoro.
Siamo abituati a situazioni di tensioni
post fusione, contratti e trattative lunghe
e difficoltose, singole battaglie intraprese a tutela dei lavoratori vessati da
fenomeni di ‘mobbing’ talvolta lievi, altre
volte devastanti. Questa è la materia del
nostro lavoro.
Ma quello che abbiamo letto e ascoltato
a proposito della situazione dei dipendenti della azienda telefonica francese,
FRANCE TELECOM, ci ha letteralmente
sconvolto: negli ultimi 18 mesi, si sono
tolti la vita ben 24 dipendenti!
Possiamo pensare che, ove se ne suicidano 24 è perché almeno altrettanti (se
non di più) stanno patendo comunque
le pene dell’inferno, senza, per fortuna
giungere al gesto estremo. Comunque con siffatte percentuali e suddetti
numeri, il dato certo è che il disagio
sociale e lavorativo in questa azienda
è DEVASTANTE! Fermarsi a pensare a
questi ventiquattro individui che, deliberatamente, scelgono di togliersi la vita,
seppellendo il proprio futuro e segnando
quello dei loro familiari in modo indelebile, fa veramente venire i brividi.
In Giappone nel solo 2005, i suicidi per
motivi di malessere lavorativo sono stati
18 ogni 100mila abitanti. Dato comunque impressionante ma fortemente condizionato dall’approccio antico, austero
e severo che i giapponesi hanno della
dimensione occupazionale.
Nel caso in esame invece ci troviamo
in una società ed un contesto sociale
simile al nostro. Che cosa è accaduto
in France Telecom?
E’ accaduto che a fronte di una riorganizzazione del management, l’unico vero
obbiettivo è diventato la performance,
non come modalità efficace del corretto
operare, ma quasi fine a se stessa. Ecco
il male. E’ accaduto che ai nuovi manager arrivati, non sia stato comunque
dato alcun messaggio in difesa della
valenza e del rispetto di principi umani,
ma solo ed unicamente cifre da conseguire e budget da raggiungere. L’unica
“mission” era l’obiettivo economico da
raggiungere, con qualsiasi mezzo, senza alcun analisi da parte aziendale sulle
conseguenze di tale politica ed in tutta
onestà, ancor con più colpevolezza, da
parte sindacale
E’ scontato che, a fronte di condizioni
come queste, il lavoratore diventa schiavo da sfruttare anche al di là, dei limiti
umanamente sopportabili
Da più parti, c’è la consapevolezza che
il sindacato d’oltralpe abbia da tempo
perso qualsiasi velleità di lotta. Il caso
di France Telecom ne è un esempio
tristemente lampante. Possibile che
nulla sia mai giunto alle orecchie dei
rappresentanti sindacali? Non possiamo credere che a fronte di eventi così
drammatici nulla sia mai emerso o sia
stato detto. Pensiamo che il clima di
terrore imposto dall’ azienda abbia
influito anche nell’azione delle OO.SS.
che, ripeto, comunque colpevolmente
non hanno fatto emergere, prima nel
contesto aziendale, e poi all’esterno a
mezzo stampa o altro, quanto si stava
materializzando in azienda.
Ciò che il sindacato ha omesso o
nascosto è stato invece evidenziato
dall’ opinione pubblica e dallo stesso
governo francese, per cui l’azienda ha
dovuto correre al riparo con la sostituzione di alcuni manager che avevano
fortemente contribuito, con il loro agire,
alla creazione di tale clima.
Ci sembra illuminante, anche se drammaticamente tardiva, la dichiarazione di
Didier Lombard, presidente del gruppo
di TLC,:
“Non abbiamo preso sufficientemente in
considerazione i segnali di disagio che
provenivano dal personale. Abbiamo
inoltre sottovalutato una serie di parametri umani, a forza di correre dietro alla
performance”.
Questo comportamento con il tempo
ha portatoalla negazione del lavoratore
come persona con proprie necessità,
ambizioni, e criteri di soddisfazione
lavorativa.
Il risultato è purtroppo davanti agli occhi
del mondo.
Perché questo articolo? Perché ORA
questo articolo?
Perché anche nella nostra realtà sono
in atto paurosi terremoti aziendali, nel
credito nelle assicurazioni, nell’ industria. Per far fronte a questo tempo di
crisi, ma anche per aumentare i profitti
, molto spesso la ricetta è la “de-umanizzazione” delle risorse umane con
una richiesta di performance lavorative
senza precedenti. I lavoratori delle realtà
bancarie ed assicurative questo scotto
lo stanno pagando salatissimo.
Una volta c’era lo straordinario, molto
spesso richiesto dalla azienda e avallato
dal lavoratore. Ora il tempo non viene più
richiesto, ma viene abilmente sottratto ai
lavoratori attraverso le nuove tecnologie:
PC portatili, poi palmari, poi ancora
smartphone e via dicendo.
Si comincia a portarli con noi per periodi
limitati. Poi la cosa viene allungata di
qualche settimana, poi mese. Fino alla
drammatica conclusione che si lavora in
ufficio, in metrò, a casa prima di cena e
magari anche dopo.
Arrivano, negli orari più incredibili,
emails a cui ci sentiamo obbligati a
rispondere.
I lavoratori magari all’inizio si lamentano,
poi però rimangono vincolati a questo
perverso meccanismo di ”‘DISPONIBILITA NO LIMITS”, che, a lungo termine
influisce negativamente nei rapporti
umani e soprattutto familiari.
Pochissimi sono coloro che riescono ad
arginare tali ingerenze nella propria vita
privata con un deciso “no”. Sappiamo
e capiamo che non è facile: essi si autoescludono da qualsiasi percorso di
carriera. Ormai nelle aziende il criterio
del merito è sostituito con quello della
disponibilità. Più sei disponibile e più,
forse, farai carriera. Arrivi in ufficio alle
sette e te ne vai alle ventidue?: ci son
buone possibilità che tu sia promosso.
Hai PC, Blackberry e palmare (ma non
ti ricordi più quanti figli hai e quanti anni
hanno), bene?: riceverai probabilmente
un bonus.
Da alcuni documenti sembra che, nell’azienda francese di cui sopra, uno dei
maggiori disagi per i lavoratori fosse proprio l’impossibilità di separare il lavoro
dai propri impegni e dai progetti personali anche durante festività e ferie. Senza
la distinzione tra vita privata e lavoro,
quest’ultimo diventa la nuova religione.
Ciò, a fronte di particolari difficoltà o di
sperate promozioni rimaste tali, diventa
la causa di insani gesti.
Senza contare le terribili pressioni che,
partendo dai CdA, scendono a cascata
sul management per deflagrare come
un’atomica al livello più basso delle
gerarchie aziendali. Nella nostra realtà,
ad esempio, accade agli operatori di
sportello bancari.
Le aziende e la dirigenza delle stesse, in
generale, non hanno ancora compreso
di come il lavoro debba essere parte,
forse preponderante per alcuni, ma mai
per imposizione, della vita di ognuno.
Se vi sono persone che fanno del lavoro
la loro unica priorità come libera scelta
nessun problema, ma ciò non deve essere preso come metro di giudizio tutti!.
In questo senso un adeguato sistema
valutativo incentivante, tecnicamente
configurato sull’obiettivo vero e pulito,
aiuterebbe molto a sgombrare il campo
da dannose strumentalizzazioni.
Se il lavoratore ha cinque obiettivi da
raggiungere e, con un normale orario
di lavoro, li consegue tutti e cinque è
da premiare. Qualora ne consegua
uno o nessuno è chiaro che ci troviamo
davanti ad una situazione di criticità o
del lavoratore o della configurazione
dell’intero progetto.
Ad ulteriore danno, con la logica inumana della massima disponibilità oraria,
automaticamente ed ingiustamente
vengono cancellate dalla logica della
promozione e del riconoscimento, tutti
quegli individui che esercitano il parttime: per esempio le madri di figli piccoli.
Per questa categoria il danno è enorme,
sia sotto il profilo di soddisfazione lavorativa, sia personale, poiché rischiano di
sentirsi inappropriate nell’uno e nell’altro
ruolo.
Quindi, per concludere, visto che i
primi deboli segnali di uscita dalla crisi
sembrano esserci, vediamo di aiutare
le aziende verso una nuova forma di
impegno lavorativo, più umano, più
stimolante più avvincente. Alle aziende
e ai management, diciamo a chiare
lettere: “rivedete le politiche aziendali
improntate unicamente alla performance
economica quantitativa, verso una maggiore considerazione della performance
qualitativa ed ad obiettivi ‘umani”.
Tutti siamo chiamati,aziende, sindacati
e lavoratori ed ognuno in base alle rispettive responsabilità , ad operare per
raggiungere questo risultato
Sarebbe dovuto bastare un solo suicidio,
per stress sul lavoro, in una qualsiasi
parte del mondo, per farci urlare tutti…
e cambiare.
notizie
L’Italia
è il paese
delle
L’Italia è il paese
delle mazzette?
...magari!
mazzette? ...magari!
Ogni riferimento a persone o fatti reali è puramente casuale.
Macaluso Giovanni
Rsa Milano Ass.ni
[email protected]
dal concessionario Tal dei Tali che è un
amico e ti farà un bello sconto.”
Politico “Va bene, grazie.”
Dall’incartamento del PM
Il politico va dal concessionario Tal dei
Tali che gli consegna il motorino pagato
integralmente dall’imprenditore.
Intercettazione Telefonica 1 – il Brutto
Sogno
Intercettazione Telefonica 2 – l’Incubo
1 febbraio 2010
Imprenditore: “Allora l’appalto lo assegni
a me? Di quanto si tratta ?”
Politico: “E’ tuo, non preoccuparti. E’
una commessa per un milione di euro.
La tua ditta ha tutte le caratteristiche
per eseguirlo correttamente e nei tempi
previsti; due anni.”
Imprenditore: “Grazie sei un amico. Non
preoccuparti neppure tu. Il progetto
sarà fatto secondo le regole e i tempi di
consegna rispettati. Come sempre. Tutto
bene il resto?”
Politico: “Tutto bene. C’è solo mio figlio
che continua a rompere per il motorino
che si guastato. Lo sai i giovani come
sanno essere insistenti?”
Imprenditore: “Non parlarmene guarda,
mia figlia vuole andare a studiare in
America e non mi da pace. Ci vediamo a
cena presto, quando sei libero fammelo
sapere, ciao.”
Politico: “Ciao alla prossima.”
1 febbraio 2010
Imprenditore: “Allora l’appalto lo assegni
a me? Di quanto si tratta? Tutto è pronto
per far partire l’operazione”
Politico: “E’ tuo, non preoccuparti. E’
una commessa per dieci milioni di euro.
Facciamo come al solito vero?”
Imprenditore: “Certo. Il progetto sarà
fatto con qualche buchetto e tu lo farai
approvare per l’intero importo. Poi ci
inventiamo qualche manfrina e lo aggiustiamo raddoppiando il costo ed i tempi
di consegna. Magari con pò di fortuna
la consegna dei lavori non ci sarà mai,
tanto chi ci controlla?”
Politico: “Ok. Per gli altri dieci milioni facciamo 40% a me, 40% a te e ci teniamo
il 20% per qualche spesa imprevista;
non si sa mai. I soldi all’estero con i
soliti canali.”
Imprenditore: “Benissimmo. Vorrà dire
che per la villa in Sardegna aspetterò il
prossimo scudo fiscale.”
Politico “Hai sempre vogli di scherzare.
Ci vediamo.”
10 febbraio 2010
Imprenditore: “Ciao, hai già comprato il
motorino a tuo figlio?”
Politico: “Non ancora; ho avuto un sacco
di lavoro a Roma”
Imprenditore: “Allora quando torni vai
Quello che voglio dire, senza falsi moralismi, è che purtroppo la mazzetta,
nelle sue varie forme, è un meccanismo
endemico alle assegnazioni degli appalti; anche a quelli fatti secondo tutte
le regole.
E’ disdicevole ed è comunque un reato
e aggiungo che delle mosche bianche
e oneste ci saranno pure nelle nostre
amministrazioni comunali, provinciali,
regionali e nazionali; ma voglio essere
più realista del re, voglio ammettere che
nella vita reale le debolezze dell’uomo
superano spesso l’integrità del funzionario dello stato, anche se personalmente
non lo giustifico certo.
Ma è davvero la mazzetta il problema
dell’Italia? E’ il Brutto Sogno o l’Incubo
quello che fa lievitare sconsideratamente
la spesa pubblica (e di conseguenza la
pressione fiscale e le tariffe pubbliche)?
Se negli Stati Uniti l’amministratore delegato di un’azienda non rispetta i tempi di
consegna o pompa le spese va il galera.
Ma va il galera davvero.
Hanno costruito prigioni apposta per i
“colletti bianchi” che si macchiano di
reati contro il patrimonio (bancarotta
fraudolenta, evasione fiscale ecc.). Lì
con il denaro pubblico ti fanno passare
la voglia di scherzarci.
Davvero ci siamo illusi che con Mani
Pulite fosse finito tutto?
No. Oggi è pure peggio e il malaffare
è meglio strutturato. La legislazione
ha addirittura depenalizzato i reati in
materia.
Ma voglio sperare che prima o poi riuscirò a vedere un parlamento epurato da
condannati per corruzione, concussione
e concorso in associazione mafiosa.
Epurato da cocainomani, protettori e
puttanieri, da parolai che vanno solo a
chiedere consensi con false promesse
nei talk show politici televisivi.
Voglio sperare che finalmente l’Italia sia
davvero il paese della pizza, del mandolino e... delle mazzette da tremila euro.
Mi accontenterei, e voi?
Dalla parte
deldelpiù
debol
Dalla parte
più debole
I
l numero natalizio del Fibanotizie ha dato
ampio risalto al messaggio all’umanità
racchiuso nell’Enciclica Caritas in veritate
di Benedetto XVI.
La disamina di un documento di siffatta
portata - spirituale, materiale, economica,
politica, filosofica, sociale, etica e sindacale - è certo seducente, un “invito a nozze”
per chi, come me, scrive per passione.
Tuttavia un dubbio mi opprime: sta bene
la teoria, ma poi, in pratica?
Diamine, mi dico: siamo in CISL! e qui - vi
assicuro - pratica se ne fa tanta. Ma parlare in termini generici della nostra attività
quotidiana suonerebbe autoreferenziale.
La nostra è una grande famiglia, in cui ci
si sostiene a vicenda e si collabora al fine
dell’obbiettivo comune.
Tra le tante attività svolte dal Territoriale
di Milano, però, merita menzione particolare l’assistenza agli associati relativa
alla complessa materia delle pensioni,
dell’assistenza sociale, della burocrazia
dei certificati, dell’inabilità e dell’invalidità.
Questioni assai delicate, che richiedono
doti tecnico-giuridiche e umane di spessore non comune.
La Fiba di Milano può vantare un fiore all’occhiello, in questo campo. Già perché il
nostro referente è Rodolfo Losego, vera e
propria istituzione vivente della quale non
si può fare a meno di parlare.
Sessantenne, origini bellunesi, due figli
- uno dei quali, mi dice con fierezza, “è
tornato nella terra d’origine” -, impiegato da
41 anni di un primario gruppo assicurativo,
una grande passione per la montagna
e per la fotografia, Rudy mi accoglie nel
suo ufficio con la consueta simpatia scanzonata. Ti par d’essere con un amico di
vecchia data.
Fra mille telefonate (ma non oso lamentarmi: la più insistente è una iscritta che seguo
personalmente...) rubo pezzi della sua
vita e della sua coloratissima esperienza
umana prima ancora che sindacale.
D: quando sei entrato a far parte della Cisl,
e per quale motivo?
R: Sono iscritto da sempre. A fare sindacato ho cominciato nel ‘92. Data l’esperienza
accumulata a livello personale presso
parenti ed amici, - mi sono offerto di dare
una mano nell’assistenza fiscale. Da cosa
nasce cosa e... ho scoperto di avere una
sorta di vocazione a trattare questioni
Intervista a Rodolfo Losego
attinenti l’assistenza sociale. In Fiba ho
trovato chi ha saputo apprezzare e valorizzare questa mia attitudine per metterla
a disposizione di tutti
D: In cosa consiste la tua attività?
R: Sono l’interfaccia tra l’associato Fiba e
il nostro patronato Inas, che a sua volta,
si pone come interfaccia fra l’utente e gli
enti pubblici, come l’INPS, le ASL, ecc...
Mi occupo in generale di tutto ciò che ha a
che fare con questi enti, come le domande
di pensione, ma anche quelle di invalidità
civile e d’inabilità lavorativa, dei permessi
ex L.104, delle aspettative, delle maternità,
degli assegni familiari, ecc. E ho a che
fare con numerosi casi pratici, ai quali nel
marasma di leggi e regolamenti spesso
fatichi a dare una risposta “pratica”.
Ecco, è proprio il contatto quotidiano con
la burocrazia che mi ha spinto a dare una
mano, ho sentito che potevo essere utile
agli altri e mi è parso doveroso mettermi a
disposizione della collettività.
D: Quanto tempo dedichi al Sindacato?
R: Ormai il mio tempo lavorativo è dedicato interamente all’assistenza. A parte il
flusso sempre notevole di pratiche degli
amici del credito o delle assicurazioni, che
richiedono attenzione tempo e delicatezza,
c’è anche bisogno di un aggiornamento
costante. In pochi anni il mondo delle
pensioni, dai certificati alle procedure fino
al contenzioso, è mutato radicalmente ed
è difficile tenere dietro a tutto. Nei primi
tempi, scherzosamente mi piaceva definirmi come un commercialista dei poveri”,
con gli anni si finisce col diventare dei
“tuttologi”!
Mentre parliamo squilla il telefono. Rudy
mi stoppa con la mano a mezz’aria e
risponde:
“Ciao cara, non disturbi affatto...”. Dopo un
quarto d’ora, messa giù la cornetta, Rudy
mi sorride e mi confida: “sai, alla fine di
questi percorsi, spesso lunghi e tortuosi,
con questa povera gente che oltretutto è
stata colpita da gravi disgrazie, si finisce
Daniele Malenchini
rsa fibacisl fondiaria-sai
[email protected]
con lo stringere delle belle amicizie. Per me
è una gioia poter aiutare queste persone
a far valere i loro diritti, lottare con loro per
ottenerli”.
Il telefono squilla ancora. Stavolta è per me,
ma l’argomento - aspettativa non retribuita
per malattia del bambino - è pane per i
denti di Rudy e quindi gli giro la chiamata.
Pacato e rassicurante,
Rudy conduce per mano l’interlocutrice
verso la soluzione del problema e costato
di persona la bontà del servizio. Ringrazio
l’amico e sto per congedarmi, quando la
curiosità mi assale. Ne avrai viste di tutti i
colori, in questi vent’anni, o no? Mi guarda,
gli occhi già sorridono:
“delle amene bestialità cui ho assistito
in questi anni potrei parlare per giorni...
Ricordo di una lettera di reiezione di una
domanda di pensione di inabilità indirizzata al povero defunto... ci tenevano a
comunicargli che a lui non l’avrebbero
riconosciuta, ma agli eredi si… Il problema
è che, essendo espresso nel linguaggio
burocratico dell’Inps, ho dovuto “tradurre”
il messaggio alla moglie dell’assistito, nel
timore che le modalità di comunicazione
(?) adottate non solo non avrebbero aiutato
a capire, ma avrebbero rischiato di mandare in crisi la povera vedova…”.
notizie
notizie
L’imprevisto
L’imprevisto
Alessandra Poma
Responsabile coordinamento donne
Fiba Milano
F
orse ricorderete il libretto “diamoci
una mano” che è stato preparato
l’anno scorso a cura del Coordinamento
donne della Cisl e della Fiba Cisl per l’8
Marzo che raccontava storie di donne
uscite felicemente da situazioni drammatiche quali la violenza domestica e
la prostituzione.
Questo libretto era stato pensato come
strumento per far conoscere e sensibilizzare le donne e gli uomini iscritti al
sindacato.
Ma, a volte, succede che le cose prendano varie strade e così questo libretto
arriva a un’amica di un nostro delegato
sindacale, che rimane così colpita dalla
pubblicazione e dalle storie da voler a
sua volta far conoscere questo fenomeno alle persone del suo paese. Il nostro
delegato mi dice se la sua amica può
chiamarmi: così vengo coinvolta da una
telefonta: “qualcuno di voi può venire?”
C’era bisogno prima di conoscerci e
parlarne e così è stato subito combinato
un incontro con me e la coordinatrice
delle donne Cisl. Licia, così si chiama,
ci spiega il suo progetto e si dice entusiasta della nostra disponibilità.
Mi sembrava in realtà di essere la meno
adatta a partecipare, in fondo avevo solo
10
contribuito a un lavoro inserendomi su
una strada tracciata da altri e volevo
solo fare da tramite con l’operatrice
che lavora nella associazione che aiuta
queste donne e la persona nel sindacato
che è da anni impegnata in un lavoro
concreto.
Ma come si fa a tirarsi fuori quando incontri gente che ha così voglia di fare?
Con la penuria di impegno ed entusiasmo che c’è in giro?
Così ci siamo organizzate e la sera del
20 novembre siamo partite in tre per
questo incontro nella biblioteca di un
paese mai sentito prima in provincia di
Lodi, S. Martino in Strada.
L’incontro era il primo momento di una
manifestazione culturale organizzate
dalla nostra amica piena di iniziativa
e impegnata politicamente nel comune
del suo paese, e così ci siamo trovate in
questa biblioteca a parlare io e Luigia di
come il sindacato si impegna in questo
progetto di “borse lavoro” e l’operatrice
di come si aiutano concretamente le
donne in difficoltà. Parlando si parte da
un problema, ma poi è inevitabileche
ne emergamo altri legati alla politica,
all’immigrazione, alle mille problematiche che la realtà pone a chi opera e
incontra persone in difficoltà a vari livelli
e quindi la discussione è stata molto
varia e ricca.
Pensavamo che in un sera di Novembre
in un paese in provincia quasi nessuno
si sarebbe mosso da casa per partecipare a un incontro su un argomento
come la violenza sulle donne e invece
abbiamo visto persone attente, che
hanno avuto un atteggiamento interessato a capire tutti i fattori dei vari
problemi, che sono intervenuti ponendo
domande precise e molto concrete,
insomma tutto il contrario del mondo
che si vede per esempio in televisione.
E’ stato anche per noi una bella immersione in una realtà di persone vere e
partecipi della vita sociale e politica e
con dentro delle domande vere su di sé
e sui problemi che la vita pone.
Alla fine la nostra amica Licia ci aveva
anche preparato un piccolo rinfresco
e tutti ci ringraziavano per quello che
avevamo detto. In realtà è stata anche
per noi un bella esperienza, aver visto
della “bella”gente ci ha rincuorato (non
ci sono solo i “tronisti della De Filippi!).
Come sempre, quando ci si mette in
gioco come persone, si “porta a casa”
più di quello che si pensa.
Tra
le
nuvole
Tra le nuvole
Macaluso Giovanni
Rsa Milano Ass.ni
[email protected]
P
er chi ha visto gli altri due film di
Jason Reitman (“Thank you for
smoking” e “Juno”), questo risulterà il
peggiore. Ma il peggio del meglio è già
moltissimo.
E’ un film è sicuramente molto interessante che segue il percorso del regista
nell’affrontare e approfondire questioni
sociali di grande rilievo.
Ryan Bingham (George Clooney) interpreta un simpatico Terminator in un
azienda che offre professionisti per
spacciare ingiusti e crudeli licenziamenti
come imperdibili opportunità di riconquistare i propri sogni e rivoluzionare in
positivo la propria vita.
Lui vive in sempre in viaggio per l’America da un areoporto all’altro, sempre in
albergo, senza legami neppure con la
sua famiglia.
Saranno due donne a rivoluzionargli la
vita e a mettere in discussione tutti i suoi
valori fondamentali. Una è la giovane
collega rampante che vuole introdurre
il sistema della videoconferenza per i
licenziamenti rendendo praticamente
obsoleto il suo sitema di lavoro, l’altra è
una menager sensuale con cui instaura
una relazione inizialmente “casuale”.
E’ nell’evolversi della storia di queste
due donne che Reitman sviluppa la sua
narrativa. Rayan è inizialmente spettatore ma piano piano si coinvolge fino a
cambiare profondamente la sua visione
della vita.
I dialoghi sono caustici, sarcastici e
divertenti e ci fanno sorridere amaramente sulla realtà economica e sociale
americana (meglio noi in Italia!),
Ottima la metafora dello zainetto che
Ryan utilizza nelle sue conferenze
durante le quali paragona il carico del
bagaglio con il carico umano e affettivo
che ognuno di noi si porta dietro.
Il film risulta alla fine molto gradevole e
fintamente “leggero” perchè si occupa
con eleganza, ma con fermezza, del
clima economico in cui viviamo e di
problematiche che talvolta e purtroppo
sono anche le nostre.
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Primo semestre 2010
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Aut. Trib. di Milano n. 158 del 15/4/1970
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Questo numero è stato chiuso
in redazione il 15 marzo 2010
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