G. Alberti Dieta parca e salute pag. 153 e seg. LA" DIETA PARCA" DA SENECA AL CORNARO E AL FLETCHER ! 1! “Abbiamo visto, avendo dovuto soffermarci ad anticipare, per comodità di esposizione, la portata e il valore del “vitto pitagorico”, qual fosse la diaeta parca secondo Pitagora. Molto egli derivò, siccome è fama, dagli Egizi, ma anche, se non esclusivamente, dai suoi celebrati maestri Talete miletese e Faracide di Siro. Nel già citato lavoro Fonti greco-latine della dietetica rediana scrivevamo che costoro, “con le loro anticipazioni ·sperimentali, donarono i primi germi di quelle regole dell'astinenza soggetto e oggetto di molteplici studi nonché di adattamenti alla vita monastica fin dai primi tempi del Cristianesimo”. Porfirio, in De Abstinentia (lib. IV), alle sacre pratiche egiziane fa risalire senz'altro quelle adottate da Pitagora come si legge nelle Ricerche filosofiche sugli Egizi; egli poi sostenne che il regime vegetale è più atto a dare salute perfetta e acutezza d'ingegno filosofico. Giamblico nella Vita di Pitagora dice che Pitagora bandì i cibi i quali mentre son causa di turbamento del corpo oscurano lo spirito e lo rendono “più pesante”. Nei primordi di Roma come nell'antica Sparta, a dir vero, s'era ecceduto nel contrario. Lucrezio (lib. V) ricorda: allora sovente la scarsezza del vitto toglieva la vita a' corpi infermi mentre ora spesso li uccide 1'abbondanza de' cibi. E volendo tenersi in vita con prudenza e con senno è gran tesoro per l'uomo il viver parco e in letizia. Una limitazione anche eccessiva era conosciuta riferendosi all'austerità della dieta Spartana. Uno straniero, dice Plutarco (in Licurgo), avendo veduto spartani assisi a mensa ed altri caduti sul campo di battaglia, osservava ch'era più facile sopportare una tal morte e non una tal vita. Licurgo però aveva eliminato dai loro pasti le cose superflue, e quindi se i Lacedemoni vivevano in estrema frugalità era questa una loro virtù ché non vi erano costretti. Torna sempre dominatore vittorioso il ·concetto di desiderio e timore regolati dalla ragione che trionfa. Trionfo manifesto financo nel precetto epicureo di dover secondo ragione rinunciare a quei piaceri che son fonte di dolore (A. Sacheli, Lineamenti epicurei nello stoicismo di Seneca). Riferisce il Sacheli: “Abbiamo un frammento di lettera (bisogna sfrondar la leggenda di Epicuro ricercatore di piaceri e riportarla a quella di “allontanatore” delle cause di dispiacere) in cui Epicuro dice ad un amico: mandami un po' di cacio conservato, perché possa quando voglia scialarmela; e di un'altra in cui mette l'amico al corrente dei suoi godimenti: tutto trabocca il mio corpo di piacere, quando vivo a pane e acqua e sputo sui piaceri di una vita sontuosa, non per essi medesimi ma per gli incomodi che vi si accompagnano. Si vede da ciò, - osserva lo stesso Sacheli, quanta ragione avesse Seneca di definire quella di Epicuro una voluptas sobria et sicca”. Effetto anche questo di virtù che per Seneca ha per base la moderazione. ! 2! Un recente libretto del dott. Paul Carton, Le Naturisme dans Sénèque, offre molte ricerche comparate su l'opera del filosofo romano, i cui insegnamenti precorsero quelli di varie scuole moderne. Diceva: “È una grande fortuna la povertà regolata sulla legge di natura. E questa legge limita i nostri bisogni a non patir la fame, la sete, il freddo. Ognuno può agevolmente procurarsi ciò che la natura richiede. È per l'ansia del superfluo che ci si affatica; chi s'accontenta della sua povertà è ricco”. Seneca aveva riconosciuto che le malattie son generate o favorite dagli errori nella condotta e dai vizi umani: dagli eccessi che si commettono in più come in meno nell'alimentazione e nell'attività. Dei due eccessi, il più frequente ed il peggiore ammetteva fosse quello della nutrizione. “Dacchè, invece di placare la fame si cercò d'eccitarla e s'inventarono mille stimoli a soddisfare la ghiottoneria; quel che per il bisogno era un alimento divenne un peso per la sazietà. Da ciò il pallore, il tremolio de' nervi pervasi dal vino, le magrezze per indigestione più deplorevoli di quelle cagionate dalla fame; da ciò il passo incerto e traballante come nell'ebrezza, il ventre gonfio per la sciagurata abitudine di ricevere oltre misura”. E Seneca definisce i sintomi delle suddette malattie: “innumerevoli supplizi della mollezza”. Da questi flagelli si era esenti, egli soggiunge, avanti di essersi lasciati sedurre dalle delizie. Il lavoro induriva il corpo e lo si stancava alla corsa, alla caccia, agli esercizi fisici, ai quali seguiva un'alimentazione che la sola fame sapeva render gradevole. E non c'era bisogno d'un così grande apparato di medici e di rimedi. Qualsiasi indisposizione era semplice come la sua .causa: la molteplicità delle pietanze ha moltiplicato le malattie. Alimenti eterogenei debbono necessariamente combattersi e alterare le digestioni con le loro diverse tendenze. Non può dunque sorprendere che da materie discordanti nascano malattie capricciose e varie, e che elementi di contraria natura, concentrati sopra un solo punto, rigurgitino all'esterno. E prosegue, sempre rivolto a Lucillo: “Le nostre malattie sono innumerevoli, non devi stupirtene: conta i nostri cuochi. Gli studi son trascurati, i professori di scienze liberali salgono ad una cattedra senza uditori. Le scuole d'eloquenza e la filosofia son deserte; ma quale affluenza alle cucine! Qual numerosa gioventù assedia i fornelli dei dissipatori ...”. Vitupera quindi Seneca la cucina complicata, l'impiego di elementi putrescibili, e le disarmonie alimentari, le miscele stravaganti che da molti vengono inflitte ai loro stomachi. Le descrive ed esclama: “Fino a quando l'approvvigionamento d'una sola tavola arriverà su tante navi e da più d'un mare? Basta poca terra a nutrire un bove, e una foresta a parecchi elefanti: ed un uomo vuol per sé la terra ed il mare. E come? In un corpo tanto esiguo, la natura ha messo uno stomaco così insaziabile da farci superare in avidità gli animali più grandi e più voraci!” Poi ritorna a spiegare che la natura ha voluto favorire tali esuberanze e ch'essa offre sempre all'uomo il necessario, senza obbligarlo a sforzi· di ricerche fuor di misura ed ! 3! a maniere d'alimentazione tanto raffinate, essendo scarso il numero delle cose necessarie alla nostra vita. Deplora che le donne siano afflitte dalla pericolosa mania d'imitare gli uomini e partecipare agli stessi vizi d'intemperanza e di logorio fisico; ricorda che “il principe e fondatore della medicina” ha detto: “Le donne non sono soggette né alla caduta dei capelli né alla gotta alle gambe. Ebbene ora i loro capelli cadono e le loro gambe soffrono di gotta. Non è la costituzione delle donne ch'è cambiata; è invece cambiata la loro vita: avendo gareggiato d'eccessi con gli uomini hanno dovuto subire le infermità degli uomini. Com'essi vegliano, e com'essi bevono, li sfidano all'orgia e vomitano il superfluo per il loro stomaco, e masticano neve per rinfrescare gli intestini brucianti. E tutto ciò perché ci siamo allontanati dalla moderazione naturale che dà per limite al desiderio il bisogno”. Dobbiamo, egli dice, mangiare per placare la fame, bere per estinguere la sete e pagare alla voluptas il solo tributo necessario. Un metodo di vita proficuo al fisico ed al morale è di non compiacere il corpo oltre quanto basti per la salute. Anche per gli alimenti più sani l’abuso di quantità può trascinare a disordini gravi. Seneca, pur non essendo medico, possedeva una così chiara concezione delle necessità alimentari, fisiologiche e ponderate, per lunga esperienza, sul proprio organismo; e perchè egli era seguace della dottrina di Pitagora, da esperienza e dottrina era indotto a ritenere che poche persone, “sia all'esterno che all'interno d'esse medesime, si regolino secondo ragione: la moltitudine, come gli oggetti che seguono la corrente dei fiumi, non cammina, ma è trascinata... A noi spetta dunque determinare ciò che vogliamo e perseverare”. Seneca, a dir vero, adottò tardivamente il vegetarismo pitagorico: pure afferma (Epistole, 108) che dopo un anno il nuovo regime gli era divenuto non solo facile ma delizioso; e gli sembrò che le sue attitudini intellettuali si fossero maggiormente sviluppate. Altri precursori romani: Orazio, Giovenale, Marziale, avevano in varia maniera, ma con egual proposito, recato contributi di argomenti e di osservazioni a prò della frugalità. Più chiaro e dimostrativo è il parlare di Orazio nella seconda satira del libro secondo. Non dispiaccia se questa satira si riproduce qui intera, ché riassumerla equivarrebbe a toglierle una gran parte della sua meravigliosa bellezza: “Quale e quanto grande virtù sia, o cari, il viver con poco (il discorso non è mio, ma sono dottrine del campagnuolo Ofello, un filosofo alla buona, grossolano argomentatore), dovete imparare non tra lo splendore dei vasellami e delle mense, quando gli occhi sono abbagliati dagli esagerati fulgori, e l'animo inclinato alle false apparenze ricusa i beni migliori, ma considerare qui con me a stomaco digiuno. Perché questo? Lo dirò se potrò. Ogni giudice corrotto è poco adatto ad esaminare la verità. Dopo avere inseguito una lepre od essere disceso stanco da un indomito destriero, oppure se abituato alla greca, ti riescono gravi gli esercizi romani, sia che ti alletti la palla veloce, mentre l'ardore soavemente inganna il peso della fatica, o ti ! 4! attiri il disco, fendi col disco l'aria; quando la fatica ti avrà reso meno schizzinoso, assetato, affamato come sei, disprezza se puoi i cibi volgari, e non bere se non miele dell’Imetto stemperato nel vino Falerno. “È fuori il dispensiere e 1'oscuro mare in tempesta difende i pesci; del pane con del sale basterà a calmare i latrati dello stomaco. Donde e come credi che sia ciò avvenuto? Non già nel profumo di costose vivande sussiste il piacere, ma in te stesso. Procacciati tu stesso con la fatica il condimento; ad uno pingue e pallido per la crapula non potranno piacere né le ostriche né lo scauro o il migratore logopodo. Qualora tuttavia ti si imbandisca un pavone sarà più difficile ch'io ti persuada a non voler solleticare il palato con questo piuttosto che con una gallina, sedotto come sei da vane apparenze, perché l'uccello raro si vende a peso d'oro e spiegando la variopinta coda fa bella mostra di sé ; come se abbia a che vedere colla sostanza della cosa. Forse che puoi cibarti di codeste penne, che tu ammiri? Cotto hai forse la stessa bellezza? Sebbene non ci sia punto differenza nel sapore della carne, ammettiamo pure che tu preferisca quella a questa lasciandoti illudere dalla diversa apparenza. Donde hai si fine gusto da distinguere se questo “lupo” che boccheggia sul piatto sia stato preso nel Tevere? in alto mare? Se fu gettato fra i ponti o presso la foce del Tevere? Tu lodi, o pazzo, una triglia di tre libbre che poi devi dividere in tante parti. Ti seduce l'apparenza, lo vedo, perché, dunque, hai in odio i lupi che son pur grandi? Certo perché questi son per natura grandi, le triglie, invece, piccole. Uno stomaco che sia raramente digiuno disprezza i cibi volgari. Vorrei vederne uno grande disteso in un gran piatto, dice una gola degna delle rapaci Arpie. Ma voi propizi, o scirocchi, fate imputridire le loro pietanze.· Sebbene il cinghiale ed il rombo anche freschi puzzino, poiché la soverchia abbondanza fa nausea al loro stomaco ammalato, quando essendo pieno preferisce i ravanelli e le enule in insalata. E non furono ancora sbanditi del tutto dalle mense dei ricchi i cibi dei poveri; anche oggi infatti c'è posto per le uova di poco prezzo e per le olive mature. Or non è molto aveva fama la mensa del banditore Gallonio per lo storione. E che? forse i mari nutrivano allora meno i rombi? Era sicuro il rombo ed era sicura la cicogna nel suo nido finché ve li insegnò l'inventore pretorio. Se uno adunque sentenziasse che gli smerghi arrosto sono gustosi, la gioventù romana, docile al male, gli darà ascolto. La spilorceria sarà ben diversa, a giudizio di Ofello, dalla frugalità, poiché invano eviterai quel vizio, per volgerti malamente ad altro. Avidieno, ! 5! a cui fu giustamente affibbiato il soprannome di Cane, mangia olive di cinque anni e cornioli selvatici e si guarda bene dal versare quel vino che non sia svanito, e benché celebri in bianca toga, l'indomani delle nozze, il suo natalizio od altra solennità, versa egli stesso a gocce sui cavoli, da un' recipiente di corno di due libbre, dell'olio, di cui non potresti neppure sopportar l'odore, mentre è generoso invece di cattivo aceto. Qual modo di vita vorrà dunque seguire il saggio e quale di costoro prenderà ad imitare? Di qui incalza il lupo, di là il cane, come dicono. Sarà pulito fino al punto da non dar fastidio colla sporcizia e non apparirà per l'uno o per l'altro rispetto degno di biasimo quanto al genere di vita. “Egli non sarà rigidamente severo cogli schiavi, come il vecchio Albuzio, nell'assegnare a loro i vari uffici, né così trascurato come Nevio, da offrire acqua sporca ai convitati, grave difetto anche questo. Sta ora a sentire quali e quanti vantaggi porti con sé una vita temperata. Anzitutto godrai salute; poiché quanto riesca nociva all'uomo la varietà del cibo lo puoi arguire pensando a quelle semplici vivande, che altra volta hai digerito bene: mentre mescolando il lesso coll'arrosto, le conchiglie coi tordi, i succhi dolci si cambieranno in bile ed un viscido catarro altererà le funzioni dello stomaco. Vedi come ogni convitato si alza pallido da un pranzo svariato? Che anzi il corpo gravato dai disordini del giorno innanzi opprime anche l'animo ed avvilisce questa particella del soffio divino. L'altro dopo aver date al sonno le membra rifocillate, in men che si dice si alza vigoroso ai doveri a lui prescritti. Questi almeno potrà talvolta permettersi qualche cosa di meglio, sia al ricorrere di un giorno solenne, sia che voglia ristorare il corpo estenuato, e col crescere degli anni, la debole età richieda maggiori riguardi; che si potrà mai aggiungere a codesta mollezza da cui ti lasci cogliere anzi tempo mentre sei giovane e forte, qualora ti sopravvenga una cattiva salute o ti colga la pesante vecchiaia? Gli antichi lodavano il cinghiale anche stantio, non per mancanza di naso, ma, credo, perché l'ospite arrivando inaspettato lo divorava più di gusto, sebbene andato a male, che non, mentre era ancor fresco, l'ingordo padrone. M'avesse fatto nascere la terra fra gli eroi della prima età! Tieni in qualche conto la buona fama, che, più dolce d'ogni canto, suona all'orecchio dell'uomo? I grandi rombi e i gran piatti portano insieme col danno un grande disonore. Aggiungi l'ira dello zio, dei vicini, il disgusto di te stesso e il desiderio della morte pur vano, poiché ti mancherà, quando ne avrai bisogno, un asse, il prezzo d'un laccio. “Giustamente” dice un tale “si può rimproverare Trausio con codeste parole; ma io ho grandi rendite e ricchezze pi li che bastanti per tre re”. Non hai dunque dove meglio tu possa impiegare ciò che ti sopravanza ? Perché mentre tu sei ricco altri vivono nella povertà senza loro colpa? Perché gli antichi templi degli dei vanno in rovina? Perché, iniquo, di si grandi ricchezze non fai parte alla tua cara patria? Tu sarai certo il solo a cui sorriderà sempre la fortuna. Oggetto di scherno in avvenire ai tuoi nemici! Chi mai nelle difficoltà potrà pi li sicuramente confidare nelle proprie forze? Colui che avrà abituato la mente ed il corpo delicato a troppi bisogni, o che contento del poco e ! 6! timoroso del futuro avrà preparato da saggio in tempo di pace il necessario per la guerra? E perché. tu abbia maggiore fiducia in queste dottrine, sappi che io conobbi tenero fanciullo questo Ofello, che non conduceva vita più splendida quando aveva intere le sue sostanze, di ora, che sono scemate. Lo potresti vedere ancor robusto fittaiuolo confinato nel poderetto, col bestiame e coi figli, e lo sentiresti narrare: “Non senza ragione mi accontentai di mangiare nei giorni feriali dei legumi con lo zampetto di un affumicato prosciutto. E sia che venisse da me dopo un lungo tempo un ospite, oppure qualche vicino, commensale gradito, quando durante le piogge era libero dai lavori, si stava allegri non con dei pesci procacciati in città, ma con un pollo ed un capretto; ed alle frutta le nostre mense erano adorne di uva appassita, di noci e di fichi secchi. Poi ci si divertiva a bere, guidati ciascuno dal proprio criterio, e Cerere invocata, così potesse sorgere in alti fusti, spianava col vino le rughe della nostra fronte accigliata. Imperversi e sollevi la fortuna nuove tempeste; quanto potrà togliermi di ciò che mi resta? Di quanto a me od a voi, o figli, riuscì meno lieta la vita, da che venne qui un nuovo abitatore? Poiché la natura non ha stabilito come padrone di un terreno veramente suo né lui, né me, né alcuno: egli cacciò noi; lui potrà cacciare o la sua propria colpa o qualche cavillo legale o in ogni modo ·all'ultimo lo caccerà un erede di più lunga vita. I campi, che vanno ora sotto il nome di Umbreno, poco prima di Ofello, non diventeranno proprietà assoluta di nessuno, ma li godrò ora io, ora un altro. Perciò vivete da forti ed opponete un animo forte alle avversità della fortuna”. Il Rinascimento italiano, rimessi in luce i valori spirituali dell'antichità greco-romana, accese l'aspirazione alla vita felice in un concetto di serenità contrapposta alle malinconie ascetiche medioevali. E in quella stessa poté il Cornaro, il gentiluomo veneziano (troppo ormai noto e sul quale ritorneremo), per un momento logoro dalle intemperanze, salvarsi adottando a suo modo le regole pitagoriche, le ippocratiche e quelle di Seneca. Cornaro identifica la vita sobria con l'ordine, secondo ragione e natura, che non lascia generare “umori soverchi e maligni, né generati invecchiarsi in tale tristizia e malignità, siccome avviene nei corpi vecchi di quelli che vivono senza regola... La sobrietà è un ricchissimo tesoro della vita... La vita sobria consiste in queste due cose: qualità e quantità; la qualità consiste solo in non mangiare cibi né bere vini contrari al proprio stomaco; la quantità consiste che non si mangi e beva se non ! 7! quanto facilmente può essere digerito”. Neppure Cornaro era medico: parlava in seguito a lunghe esperienze personali e visse quasi un secolo. Luigi, o venezianamente Alvise, Cornaro visse precisamente dal 1467 al 1566 e osservò per molti anni un'alimentazione incredibilmente povera. A 83 anni scrisse il ben noto trattatello sul Metodo di vivere a lungo seguito da altre operette sullo stesso soggetto composte a 86, 91, 95 anni. Ai nostri tempi il metodo di “vita sobria” del Cornaro fu ripreso, come vedremo, dal Fletcher. Quale patrocinatore di una benintesa diaeta parca è certo da considerare Francesco Redi. Un po' per costituzione, un po' per la “regola del vivere” egli si mantenne “asciutto”. Celiando anzi, e avuto riguardo alla sua figura svelta, scrisse di se medesimo: che magro, secco, inaridito e strutto potrei servir per lanternon di gondola. Nei suo Consulti troviamo spesso accenni alla diaeta parca. Per una vertigine tenebrosa in un vecchio (molto probabilmente prodotta o favorita da ipertensione) il Redi propone che il malato non si faccia “scrupolo di servirsi di quando in quando di qualche gentil minestra e assai brodosa di paste non lievitate, come sarebbono le lasagne, la semolella, il farro passato e simili”. Si può considerare questa come la prima testimonianza della pratica dietetica (e per sostituzione parziale o totale della carne) di quelle paste alimentari che, con l'aggiunta di glutine, ai nostri tempi costituiscono un cardine della diaeta parca ricca di proteine (le quali siano prive di scorie uricogene e ipertensogene), proteine vegetali nobili utili, come si sa, in tanti stati morbosi. Dell'utilità della minestra in casi di disturbi circolatori con ripercussioni certamente cerebrali è cenno in una lettera al Padre Gottignes, seguita, che era crucciato da mala affezione cerebrale lenta. Il Redi dopo altri suggerimenti gli dice: “Prenda la mattina a buonora sei o sette once di brodo di carne sciocco, e non raddolcito con verun giulebbo e né meno con zucchero ordinario. Il suo ! 8! desinare sia una buona minestra, talvolta maggiore e talvolta minore secondo l'appetito maggiore o minore; oltre la minestra, come se fosse un dominicano, si faccia cuocere un par d'uova e di più prenda un frutto secondo la stagione. La cena della sera sia una minestra e un solo uovo”. Si notino qui le parole “come se fosse un dominicano” presumibilmente dirette a ricordare al gesuita la più stretta regola, nei riguardi dell'uso della carne, dei seguaci di San Domenico. Dopo varie prescrizioni ad un cardinale podagroso conclude: “Nel tempo ·di questi medicamenti, si mangi minestre mattina e sera e le minestre siano assai brodose e semplici, ma quasi sempre vi sia qualche erba, come lattuga, borragine, indivia, zucca, ecc. Le carni per lo più siano cotte lesse, e per lo più la sera, invece di carne, si mangi dell'uova o qualche altra bagatella. Delle frutte se ne può mangiare a mattina e sera di tutte le sorti, in quantità modesta e conveniente, e cotte e crude, secondo che le porta la' stagione. L'uso delle buone frutte e ben maneggiato non è quella cotanto enorme e nociva cosa, come noi altri medici crediamo, anzi i frutti furono prodotti per la sanità degli uomini che sanno servirsene a tempo e in regolata quantità, lontano dalla strabocchevole ripienezza”. (Allora, come del resto un cinquantennio fa, alcuni medici erano contro le frutta. Il Redi, acuto osservatore, era anche lui buon consumatore di frutta). Avvenuto il parto della figlia di Cosimo III manda al medico curante i richiesti consigli e fra questi che il vino “bene annacquato, sia nella dovuta convenientissima parsimonia; siccome in questa dovuta convenientissima parsimonia deve essere ancora il mangiare; perché, caro signor Dottore, la maggiore parte de' mali che vengono alle parturienti, soglion provenire dal troppo copioso vitto de' primi giorni dopo il parto, ne' quali giorni il volgo crede che si abbia a mangiare copiosamente per riempire, come egli dice, il vòto. Chieggo di nuovo perdono del mio troppo libero parlare ... “. Vediamo in questi celebri consulti che nella dietetica curativa suggerita dal Redi, sono implicite quella preservatrice e la conservatrice. Una dama isterica ed ipocondriaca implora salute dal Nostro ed egli conclude la risposta così: “Insomma in decimo secondo luogo io dico a vostra signoria illustrissima, che ella se ne stia allegramente, perché coll'allegria e tranquillità d'animo ella ricupererà la sanità perfettamente. Si faccia di quando in quando qualche clistere, ma tal clistere sia semplice, o di puro brodo o di pura acqua di fontana, con aggiungervi tre o quattro once di zucchero bianco, un poco di butirro ed un poco di sale. Nel mangiare pigli la minestra mattina e sera, e sia assai brodosa e umida, alle volte sia di semplice pane bollito o stufato· ovvero grattato, alle volte sia minestra di erbe, come di indivia, di borrana, di lattuga o di cocuzza”. Egli stesso, come leggiamo nella Vacchetta (o libro di ricordi) che è una specie di scartafaccio per appunti domestici, attingeva per molto al regno vegetale specialmente in tarda età. Vi si legge in data 23 settembre 1694 : ! 9! “Il ser.mo Granduca mio signore mi mandò a donare due poponi vernini venuti di Spagna i quali erano dolcissimi; uno era di midolla rossa e uno bianca ...”. E ancora: “A dì 25 settembre 1694. Il Serenissimo Granduca mio signore mi mandò di nuovo un altro popone vernino di quegli venuti di Spagna. Era grossissimo, nell'interno di colore rossissimo e sommamente dolcissimo”. E infine, pochi mesi prima della morte avvenuta nel marzo del 1697 si trova scritto: “A dì 15 novembre 1696. Arrivarono qui tutte le civaie che il Bali Gio Batta mio fratello mandò d'Arezzo insieme con la mostarda e sapa e altro... Quest'anno non mandò pere perché in Arezzo non ve n'erano state...”. Dopo quasi un secolo ritorna, come abbiamo visto, per Antonio Cocchi mugellano, non meno illustre forse del Redi, per i Consulti ricalcati talvolta, su quelli del “gran padre della medicina toscana”, sotto l'attenzione dei medici il “vitto pitagorico”. Le scoperte del secolo XIX, nella raffica positivistica, inseguono anzi la chimera dell'alimentazione in pillole. Intorno al 1850 si divulgano in Italia le teorie del Liebig che portavano a rivalutare la dieta vegetariana che è tanta parte della diaeta parca. Vero è che il Liebig non faceva che ripetere (veggasi più avanti in Appendice) le affermazioni di I. B. Beccari. Nell'ultimo quarto del secolo vengon di moda gli studi sul digiuno; se ne approfondiscono alcuni lati. Anche qui il precursore era stato il Beccari col suo De Longis jejuniis. Cetti e Succi fanno le spese organiche (guadagnandoci anzi in danaro) di ben condotte esperienze. Nasce poi e si afferma dal principio del Novecento l'idea “dell'alimentazione ridotta”. Diceva Silvestro Baglioni, nel libro scritto· in collaborazione con Luigi Luciani, poco dopo aver licenziato (1914) come revisore il grande Trattato di Fisiologia: “Il regime alimentare medio, fondato sui dati statistici raccolti da Voit, da Atwater, da Tigerstedt, fu generalmente accettato dai fisiologi, dagl'igienisti, da medici, dagli economisti fino a pochi anni or sono. Ma se ben si riflette, il valore di questi dati consiste essenzialmente in una pura e semplice constatazione di fatti, dai quali non è strettamente logico ricavare le leggi fisiologiche che presiedono al fenomeno dell'alimentazione; regolandola secondo i vari bisogni della nutrizione, che è la base del benessere fisico, intellettuale e morale della popolazioni; in altre parole, essi ci recano la nozione della composizione, delle quantità e del valore energetico complessivo degli alimenti, che gli europei e gli americani presi a soggetti di ricerche, sogliono arbitrariamente assumere per sostentarsi; ma non dimostrano che veramente il loro regime alimentare rappresenti il fabbisogno ideale, vale a dire la dieta più adatta a conservare a lungo lo stato nutritivo ed energetico meglio confacente all'umana economia. “Se è vero che gli animali viventi allo stato di natura, scelgono i loro alimenti guidati dall'istinto, non si può dire altrettanto dei popoli civilizzati, nei quali l'istinto originario non ha libero gioco, essendo cacciato in seconda linea da appetiti derivati dal più elevato sviluppo dell'attività psichica. È innegabile la possibilità che il regime ! 10! adottato comunemente dalle nostre popolazioni, rappresenti, almeno in parte, il portato di cattive abitudini; trasmesse e rincalzate per eredità da una lunga serie di generazioni, come l'uso e l'abuso dell'alcole, del tabacco, di alcuni alcaloidi, che certamente non sono compresi nella categoria dei principi alimentari naturali. William Robert (osserva il Chittenden). ha detto che il palato è la coscienza dietetica, ma ha anche soggiunto che i palati degeneri sono molto numerosi; e noi possiamo con ragione domandarci se un erroneo sistema di vita non abbia, in linea generale, pervertita la nostra coscienza dietetica. L'abitudine di soddisfare ad ogni occasione il nostro appetito, di obbedire ad ogni capriccio del nostro palato fino alla sazietà, senza preoccuparsi né punto né poco dei bisogni fisiologici del nostro corpo, può bene ed in modo molto naturale, aver costituito una falsa regola di vita, ben lontana dalle vere leggi dell'alimentazione. Per dare un fondamento scientifico alla supposizione che le nostre popolazioni, nella grande maggioranza, mangiano assai più di quanto è fisiologicamente utile era necessario sottoporle al controllo sperimentale. Invece di studiare il regime dietetico di individui che possono non solo scegliere ad arbitrio la natura degli alimenti ma anche la quantità dei medesimi, bisognava studiare individui che volontariamente si sottoponessero a regimi speciali nei laboratori”. In queste righe del Baglioni si riconosce agevolmente qualche eco della morale, in questo caso “morale dietetica”, di Seneca. Appunto i fondatori di regole religiose, come abbiamo potuto rilevare dai loro criteri normativi, si son preoccupati di liberare gli ascritti dal retaggio “vizioso” deviatore in senso anti fisiologico degli appetiti, in quanto si riferisce alla nutrizione; di spogliarli cioè delle abitudini alimentari “del secolo”. L'esperimento, sia pure empirico, grossolano, della diaeta parca c'era dunque già da secoli. Nel secolo ventesimo doveva farsi un esperimento veramente scientifico in proposito. Appunto il Chittenden, al principio del secolo XX (1903), aveva studiato direttamente nei laboratori di fisiologia dell'Università di Yale un soggetto sottomesso ad alimentazione ridotta; cioè a una peculiare diaeta parca. Questo soggetto era Orazio Fletcher; egli s'era lasciato ampia libertà di scelta degli alimenti, talché il suo regime dietetico riusciva assai vario; ma restando, in definitiva, assai parco. Egli vi s'era, del resto, abituato da lunghi anni: aveva notato che i suoi concittadini nord americani mangiavano troppo. Per tutto il gennaio del 1903 Orazio Fletcher fu sotto l'osservazione di Chittenden. Pesava kg. 1,940; alla fine del mese il suo peso era immutato con un consumo di proteine di meno della metà della razione media data dal Voit; non ci fu alcuna compensazione per un più largo consumo di glicidi o carboidrati (cioè farinacei e zuccheri) e grassi. ! 11! Nel febbraio il Fletcher stabilizzò la sua diaeta parca in modo che non superasse i 45 grammi dI proteine al giorno: i grassi e i carboidrati (farinacei e zuccheri) furono assunti “in quantità così limitata da far raggiungere alla dieta quotidiana un valore di poco superiore alle 1600 calorie”. Si pensi ·che le cifre medie date dal Voit per l'uomo normale con attività normale erano di gr. 118 di proteine e di 3000 calorie. Si sottomise il Fletcher a un certo lavoro fisico paragonabile a quello dell'operaio e del soldato. Per quanto egli non praticasse da molti mesi altro esercizio fisico che quello consentito dalla quotidiana breve passeggiata, pure poté eseguire i succitati esercizi senza difficoltà e stanchezza. Il Chittenden rimase assai meravigliato e si domandò : “Possediamo noi un concetto ben chiaro delle reali esigenze del corpo per quanto concerne l'alimentazione quotidiana? Seguiamo noi veramente il sistema migliore e più economico per mantenere il corpo in perfetto stato fisiologico? Il caso Fletcher deve ritenersi come affatto singolare, dovuto a un'eccezionale lentezza del ricambio materiale, oppure qualsiasi individuo in età matura è capace di sostenere a lungo senza danno, anzi con beneficio della sua salute un regime alimentare ridotto a circa la metà di quello ritenuto dal Voit come normale? Era avvenuto al Fletcher come al Cornaro. A 40 anni lo stato della sua salute era diventato precario: “Era incapace” è scritto nelle sue Confessioni “di occuparsi di affari, di frequentare circoli, di vivere la battagliera vita sociale. Quantunque nella sua giovinezza si fosse allenato all'atletismo e il suo vivere fosse stato sempre confortato da tutti gli agi, pure era ridotto a un tale disordine fisico che le Compagnie si rifiutarono di assicurarlo. L'inattesa inabilità, con un così grave avvertimento pel futuro, fu un tal colpo alla sua speranza di vivere a lungo, che lo condusse a fare un grande sforzo personale in cerca di una via di salvezza... Accortosi che il guasto della sua macchina dipendeva specialmente dal troppo mangiare trovò il mezzo di guarirsi coll'aiuto di un'alimentazione economica come fece Luigi Cornaro e il metodo per ottenere con una piccola quantità di cibo molto maggior godimento di quello che possa dar la tavola meglio imbandita”. ! 12! Ricerche di conferma furono perseguite dal danese Hindhede. Esse confermano difatti la conclusione fondamentale tratta dalle esperienze sul Fletcher, che cioè la quantità di proteine che ordinariamente si suole ingerire, è assai superiore a quella che è veramente e strettamente necessaria all'uomo adulto, e dimostrano che l'eccesso della ingestione di sostanze azotate non solo non è utile, ma nociva alla umana economia. “Le ricerche, condotte su larga base sperimentale, durarono parecchi mesi. Fu determinata non solo la quantità totale di azoto introdotta con gli alimenti ed eliminata colle deiezioni (urine e feci), ma si tenne conto altresì dell'emissione dell'acido ·urico, dell'acido fosforico, dell'attività muscolare e psichica, del numero relativo degli eritrociti del sangue, delle oscillazioni giornaliere del peso del corpo, dello stato generale degli individui soggetti agli esperimenti”. L'Hindhede corroborò dunque i risultati ai quali era giunto Chittenden. “È dunque un pregiudizio, secondo Chittenden” commentano Baglioni e Luciani “che il nostro vigore fisico e mentale, e la nostra resistenza alle malattie siano accresciuti da un'abbondante dieta carnea. Si può invece argomentare che, essendo i prodotti intermedi del ricambio materiale delle proteine eminentemente tossici (basi puriniche, creatina e acido urico), quando si introduce giornalmente una quantità eccessiva di carne, circolano col sangue per l'organismo e in forte quantità questi prodotti che possono riescir nocivi, attossicando specialmente i centri nervosi. Aggiungasi un'altra importante riflessione: per digerire tutte le proteine alimentari, per trasformare e rendere innocui tutti i prodotti intermedi del loro metabolismo, per eliminare infine attraverso i reni tutti i prodotti finali (urea, acido urico, creatina, ecc.) che da esse si formano, noi siamo costretti a impiegare una quantità enorme di lavoro glandulare, che è in parte a scapito della funzione dei tessuti più elevati della vita di relazione, quali il muscolare e il nervoso”. Ma lasciamo parlare lo stesso Chittenden : “Dallo studio dei risultati ottenuti dalle mie ricerche” così conclude: “emerge evidentemente che uomini giovani e vigorosi, educati a forti esercizi ginnastici e largo uso dei muscoli (come quelli del gruppo degli studenti), possono soddisfare tutti i bisogni veramente fisiologici dei loro organismi, e conservare la loro forza e vigoria, come la loro capacità al lavoro mentale, con una quantità di alimenti proteici pari alla metà o a un terzo di quello che ordinariamente si consuma da uomini di simil genere”. “Per completare l'esposizione dei risultati ottenuti dal Chittenden, giova insistere sul fatto che tutti gli individui compresi nei tre gruppi durante il lungo periodo di esperimenti (dopo raggiunto il nuovo equilibrio dell'azoto corrispondente all'alimentazione ridotta) non subirono ulteriore diminuzione del loro peso, né accusarono il più lieve malessere: anzi molti di loro notarono un miglioramento nella loro salute, sicché finito l'esperimento preferirono di persistere nel regime alimentare ridotto”. ! 13! “La dottrina dell'alimentazione ridotta o economica” concludevano Baglioni e Luciani “ha certamente un grande e sicuro avvenire perché ormai fondata su un complesso di fatti innegabili scientificamente accertati. Se ora è grande in molti la ripugnanza ad accettarla, gli è perché contraddice bruscamente alle nostre abitudini inveterate ed ereditariamente rinsaldate, perché tende a vietare, o almeno a porre un freno, ai piaceri che noi ci procuriamo tenendo lungamente in attività il nostro senso gustativo. La masticazione e l'insalivazione prolungata dei boli alimentari che i fletcheriani raccomandano, io ritengo sia utile principalmente per prolungare al possibile le sensazioni gustative, in guisa da procurare a noi stessi con poco cibo la stessa quantità di godimento che gli ingordi ricercano ingoiando avidamente una doppia o tripla dose· di vivande”. Sono ricorsi sin qui frequentemente i termini di proteine, carboidrati, azoto proteico, ecc. Per chi non sia addentro delle questioni di biochimica alimentare o per chi non abbia seguito l'evoluzione della nomenclatura non sarà male dare un po' di spiegazione. Proteine o proteidi o protidi sono le sostanze alimentari di primaria fondamentale importanza. L'organismo perde continuamente proteine: le sue proteine cellulari si usurano; esse debbono esser reintegrate con l'alimentazione. Alimenti proteici sono la carne, il pesce, le uova, il latte; questi provengono dal regno animale. Specialmente le carni, come abbiamo più volte accennato, sono, in eccesso, nocive per gli adulti (per gli organismi in via di sviluppo, come del resto abbiamo visto esaminando le varie regole religiose, la diaeta parca subisce temperamenti). Nella diaeta parca le proteine carnee tendono a esser sostituite dalle proteine meno tossiche del pesce, del latte, e per il loro minor tenore proteico, dalle uova. Accanto alle proteine animali ci sono, spiegammo a più riprese, le proteine vegetali dei cereali e dei legumi. Queste commenda la diaeta parca. E qui bisognerebbe aprire un altro importante capitolo. Ma ce la sbrigheremo rapidamente essendo la questione del “vegetarianismo relativo” strettamente connessa con la diaeta parca. Senza entrare nei particolari della teoria vegetariana assoluta si può dire sia ormai risolta la questione della superiorità fisiologica e igienica del regime prevalentemente vegetale su quello prevalentemente animale. La riduzione al minimo - ripetiamo, per l'adulto - delle proteine carnee, la loro sostituzione parziale di piccola proporzione con le proteine del pesce, delle uova; l'adozione delle proteine vegetali nobili, quali quelle del glutine e derivati, e di quelle meno nobili dei legumi, permettono di attuare una diaeta parca soddisfacente e sufficiente ai bisogni comuni. La grande questione della isovalenza delle proteine vegetali nobili a quelle della carne sembra ormai risolta; in appendice riportiamo uno studio riassuntivo sui protidi (sotto questa nuova denominazione si comprendono le albumine o sostanze ! 14! albuminoidi della vecchia nomenclatura, le proteine di ogni provenienza) che rischiarerà vari aspetti di essa questione. Per concludere diremo che la nostra razione può esser contenuta entro valori modesti per quanto riguarda la quota proteica: ch'essa può esser ridotta a poche proteine animali scelte tra le meno capaci di produrre scorie tossiche (pesce, e, salvo casi particolarissimi, uova e latte); che le proteine vegetali nobili potendo entrare nel “primo piatto” acconciamente unite a verdure e ortaggi possono al caso risolvere il problema del “piatto unico”. Che insomma ai vantaggi “empirici” della diaeta parca quali erano noti se ne possono aggiungere altri accertati per via scientifica, quali quelli legati all'apporto vitaminico e salino. La diaeta parca razionalmente istituita eseguita è veramente condizione e premessa di buona salute specialmente per gli adulti a partire dalla constans aetas. Quindi, o lettore, ove la osserverai, ti si può, se ormai sei entrato in questa età, augurare, fondatamente, di star sano”. ! 15! Ecco una newsletter del 23.12.2011 che mi è arrivata da “Le Scienze” MENO CALORIE PER MANTENERE GIOVANE IL CERVELLO Grazie a una ricerca dell’Università Cattolica di Roma è stato possibile riscontrare gli effetti benefici della restrizione alimentare sulla degenerazione delle capacità cognitive, confermando la correlazione nota da tempo che riguarda gli effetti benefici sulla longevità dell’organismo nel suo insieme (red) Che l’alimentazione e in particolare l’introito calorico fosse legato alla longevità era noto da tempo grazie ai risultati di numerose ricerche in questo campo. Non era invece conosciuto l’effetto sull’invecchiamento del cervello, evidenziato da una recente ricerca italiana, frutto della collaborazione tra l’Istituto di Patologia generale e quello di fisiologia umana dell’Università cattolica del Sacro Cuore di Roma. In particolare, nella sperimentazione su topi di laboratorio, si è scoperto che una molecola denominata CREB1, che risulta correlata alla longevità e al corretto funzionamento del cervello è attivata dalla restrizione calorica. In sostanza, un diminuito introito alimentare è correlato a una minore invecchiamento del cervello e a una minore degenerazione cognitiva rispetto agli animali nutriti in modo normale. Con il termine “restrizione” calorica si intende, in termini sperimentali, che gli animali possono consumare fino al 70 per cento del cibo che assumono quotidianamente. Tipicamente, in queste condizioni i topi di laboratorio non sviluppano né obesità né diabete; per contro mostrano migliori prestazioni cognitive e di memoria, oltre a essere meno aggressivi. Inoltre, presentano un minori rischio di insorgenza di malattia di Alzheimer, o un suo ritardo nel tempo, rispetto agli animali ipernutriti. Il gruppo della Cattolica di Roma ha ora scoperto che la CREB1 – già nota per il suo coinvolgimento nelle funzioni mentali quali i processi di memoria, l’apprendimento e il controllo dell’ansia, e per il fatto di diminuire i suoi effetti con l’età – media gli effetti sul cervello della restrizione calorica attivando a sua volta un altro gruppo di molecole collegate alla longevità, le sirtuine. A riprova del ruolo della CREB1, si è riscontrato che i roditori che ne sono mancanti mostrano i deficit tipici degli animali ipernutriti. “La nostra scoperta ha importanti implicazioni per lo sviluppo di future terapie per mantenere giovane il cervello e per prevenire la degenerazione e i processi d’invecchiamento”, ha spiegato Giovambattista Pani, primo autore dello studio apparso sui Proceedings of the National Academy of Sciences USA (PNAS). “Oltre a ciò, il nostro studio getta una luce sulla correlazione tra le malattie del metabolismo, quali il diabete o l’obesità, e il declino delle capacità cognitive”. ! 16!