5-1-2011 Ci sono questioni che volete riprendere? Intervento: mi interessava la questione di cui si parlava l’altra volta, Lei diceva che Wittgenstein nel Tractatus ha cercato in qualche modo di porre la questione del linguaggio in termini teorici come fondamento poi non c’è riuscito … Spero di averla detta un po’ meglio … Intervento: nel secondo Wittgenstein dopo un intervallo ha cominciato ad occuparsi dell’atto linguistico, dell’accadere dell’atto linguistico dicendo che il significato è l’uso che ne fa il parlante in base alle convenzioni, in base al fatto che l’ha imparato … non accorgendosi, non avendo potuto trovare il fondamento è successo che non ha potuto porre in questo atto linguistico non ha potuto considerare il funzionamento ciò che non era assolutamente modificabile e quindi le istruzioni, su questo mi piaceva continuare, non potendo considerare il funzionamento anche se aveva posto la tautologia, non aveva potuto considerare che nell’atto linguistico, perché si dia atto linguistico oltre le fantasie e quindi ai modi in cui la persona ha imparato a parlare funzionano le istruzioni e quindi ciò che non è assolutamente modificabile, che comportano delle posizioni logiche all’interno di quel discorso … Sì lui aveva parlato anche di istruzioni ma in un altro modo, le aveva poste come delle regole per il gioco. Quando nelle Ricerche Filosofiche fa l’esempio del carpentiere, del manovale con i mattoni eccetera, ecco lì parla di regole: c’è il tizio che dice “prendi questo mattone” lui sa come è fatto il mattone e prende il mattone giusto, cioè esegue dei comandi, però questi comandi in realtà sono qualcosa di differente da ciò di cui abbiamo parlato rispetto alle istruzioni, che le istruzioni, nell’accezione di cui abbiamo detto, sono la condizione perché questo tizio possa comprendere dei comandi, questi comandi sono soltanto delle convenzioni mentre le istruzioni di cui parliamo noi no, non sono convenzioni, non sono modificabili in nessun modo, nell’esempio che fa lui sono modificabili perché se il mattone invece di chiamarlo mattone lo chiamasse Pippo … Intervento: pensavo questo, non so se si può porre in questo modo, sì parla delle regole di giochi linguistici, la questione che mi pare che non abbia colto è la questione di linguaggio come metagioco e quindi le regole, le istruzioni riferite al linguaggio come metagioco, sono regole di esecuzione ciò di cui parla … Intervento: nel Tractatus ha tentato invece proprio di compiere questa operazione poi non c’è riuscito quindi ha parlato delle regole dei giochi linguistici … Giungere a intendere la questione delle istruzioni è stato un passo importante per noi in quanto affranca da qualunque altra considerazione assolutamente irrilevante; istruzioni, comandi attraverso i quali è possibile costruire sequenze linguistiche, sequenze argomentative, riconosciute dal sistema come tali ovviamente, d’altra parte, così come appare, non c’è nient’altro che queste istruzioni e la costruzione di sequenze. Potrebbe essere di qualche interesse riflettere su come avviene che sequenze, stringhe di proposizioni, costruiscano dei mondi, per dirla così, costruiscano delle fantasie, costruiscano delle speranze, delle attese, dei progetti, delle ansie, degli accidenti di ogni sorta, e su questo si può anche riflettere però tutto appare procedere da quella cosa che avevo chiamato inganno iniziale, e cioè dal considerare che queste prime istruzioni anziché essere tali, siano una sorta di corrispondenza di qualche cosa che va al di là di esse, e da qui l’idea che queste cose che si ascoltano, che si apprendono mano a mano abbiano da qualche parte una garanzia, un riferimento a qualcosa. Sembra che solo a questa condizione, cioè attraverso questo inganno, sia possibile la costruzione di quelle cose che gli umani chiamano le loro fantasie, questa per il momento è solo un’ipotesi suggestiva, come dire che se fosse data la possibilità di avviare il linguaggio in assenza di tale inganno non ci sarebbe la possibilità di costruire fantasie, adesso detta così appare un po’ singolare però forse se riflettiamo meglio sulla questione possiamo intendere qualche cosa di più. Proviamo a considerare che cosa accade nel momento in cui il linguaggio si avvia e non c’è la possibilità di considerarlo come una sequenza di istruzioni, e cioè ci si trova di fronte al fatto che qualcuno “insegna” tra virgolette il linguaggio e quindi questo qualcuno si pone, volente o nolente, come il padrone, come l’artefice di tutto, ora questo che chiamiamo inganno, torniamo a dire inganno in una certa accezione, perché non c’è propriamente la volontà di ingannare, questo inganno comporta l’attesa o costruisce l’attesa che qualcuno possa garantire di ciò che accade, cioè della verità dei propri pensieri in definitiva, ora datosi il funzionamento del linguaggio che costringe ciascuno a concludere comunque una sequenza con una proposizione che risulti vera in base alle premesse da cui è partita, questa necessità comporta che in una persona tutte le sequenze che intervengono, ribadisco non avendo la possibilità di considerarle costruite da istruzioni, queste sequenze dunque, abbiano, continuino ad avere la necessità che qualcuno se ne faccia garante in qualche modo, le garantisca, se non sono costruite da istruzioni allora è qualcuno o qualche cosa che le ha poste, che le fa esistere, e a questo punto siccome deve concludere il linguaggio, per la struttura di cui è fatto, in modo vero, diciamola così, e cioè la persona deve giungere alla verità, allora questa verità è poi la cosa che lo fa sentire importante. L’importanza della persona sta in questo: nel potere pensare di dire delle cose importanti quindi vere, ma riconosciute da altri come tali, sta qui la questione, devono essere riconosciute da altri come tali sempre per via di questo inganno primitivo. Questa necessità di sentirsi importanti sembra procedere da questo inganno, perché se ci fosse la possibilità di sapere che si tratta solo di costruzioni a partire da delle semplici istruzioni allora non essendoci più la necessità di una verifica da parte dell’esterno non ci sarebbe più la necessità di dovere avere una garanzia dall’esterno e quindi qualcosa che faccia sentire importanti cioè questa necessità, tecnicamente non dovrebbe più avere nessuna importanza, nessun rilievo il sentirsi importanti. Se c’è questa necessità di sentirsi importanti ed è questa forse la cosa più irrinunciabile per gli umani questa potrebbe essere ciò che scatena le cosiddette fantasie. Occorre riflettere un istante su come sono fatte le fantasie e che cosa dicono generalmente: sono scene, immagini dove accade qualche cosa tale per cui la persona in seguito a questo evento è importante, la domanda è se può darsi una fantasia che non abbia questa connotazione e cioè non rappresenti, non raffiguri una scena, una situazione in cui la persona non è importante direttamente o indirettamente, qualche cosa che la fa sentire importante. Sto dicendo che una fantasia è una scena che si costruisce per qualche motivo, se no non si costruisce niente, ma se si costruisce è per qualche motivo, questo motivo deve avere a che fare necessariamente con la struttura del linguaggio e con il suo funzionamento e quindi con il concludere una sequenza, con un’affermazione che sia riconoscibile come vera, come vera quindi importante, perché vero=importante, ciò che è importante è anche vero … Intervento: accorgersi per esempio che si tratta di istruzioni, perché io mi accorga che si tratta di istruzioni e non di altro occorre che io sappia che cosa sono le istruzioni, quindi perché io sappia che cosa sono le istruzioni occorre che qualche cosa si sia posto in termini di identità, in termini di questo è questo, perché io possa riconoscere che qualcosa è istruzione e quindi in un certo senso mi ritrovo a fare il gioco di prima … Avevamo accennato a questa questione quando abbiamo fatto una serie di interventi proprio sulle istruzioni, e queste istruzioni le abbiamo indicate come dei comandi, come insegnare a una macchina a riconoscere degli elementi come delle informazioni, e insegnando a riconoscere degli elementi come informazioni anche sapere come utilizzarli, in teoria nel momento in cui l’istruzione avvia il linguaggio è già riconosciuta dal linguaggio questa istruzione, cioè come elemento linguistico … Intervento: il riconoscimento in questo caso è da parte del linguaggio, il riconoscimento di qualche cosa che invece è altro rispetto alle istruzioni appartiene al discorso … Sì, però se si considera l’esempio della macchina, lì una macchina che per il momento non fa niente è come un tostapane … Intervento: l’ho capito benissimo … parliamo del bambino … È la stessa cosa … Intervento: avviare un bambino con il semplice riconoscimento delle istruzioni … Lei si chiede se è possibile avviare questa cosa solo con le istruzioni? Intervento: non è possibile, come dire che “questo è questo” che si pone all’avvio implica comunque già un’identità tale per cui un’istruzione è un’istruzione che possa riconoscere in qualche modo che è un’istruzione … Ma questa è già un’istruzione, cioè una parte di quelli istruzioni che consentono alla macchina o al bambino di incominciare a funzionare … Intervento: sa che cosa sto pensando nel momento stesso in cui il linguaggio incomincia a funzionare si avanza la possibilità di costruire il discorso, è il discorso, non è il linguaggio che necessita di fantasie a questo punto o che costruisce le fantasie, è il discorso quindi è come se il computer effettivamente gli diamo delle istruzioni e riconosce ma poi fa dell’altro … Intervento: utilizza questi elementi per altre cose … Intervento: riconosce che questo è un testo Word anziché … lì si avvia qualche cos’altro che non è più il funzionamento della macchina in quanto tale ma è quello che la macchina fa, il discorso è quello che la macchina fa, al momento in cui la macchina fa qualcosa costruisce delle fantasie non è che la fantasia sia in accezione negativa assolutamente, è un qualche cosa che il discorso costruisce, è come se la macchina stessa dovesse riconoscere qualche cos’altro in qualche modo … Qualche cos’altro che comunque è implicito nelle istruzioni, da lì non può uscire … Intervento: ma anche costruire le fantasie è dettato da istruzioni … Questo è fuori discussione, certo … Intervento: solo che nella verifica della fantasia non è riconosciuta l’istruzione … Intervento: uno utilizza il computer senza sapere come funziona il computer, il passaggio da quello che sono le istruzioni a quello che sono le sue costruzioni è una questione che se la fantasia la consideriamo come un qualunque pensiero, è come se io mi appoggiassi a un qualche cosa ritenendolo originario … è questa la questione della fantasia immaginare che l’origine del mio discorso non sia linguaggio ma sia qualche cos’altro … È quello che stavo dicendo … Intervento: Le fantasie sono loro stesse delle istruzioni, l’istruzione è tutto ciò che si dice, che si fa, io per parlare ho bisogno di queste istruzioni, per costruirmi qualsiasi fantasia anche se non intendo che è un’istruzione … posso fare un’infinità di fantasie questo è ovvio però per poter costruire una fantasia occorre che ci sia un’istruzione ciò che caratterizza una fantasia … Intervento: è il fatto che non riconosce di essere costruita da istruzioni … Intervento: mentre invece è un’istruzione … No, è prodotta da istruzioni, ma non lo è. Per esempio l’idea di essere abbandonati è una fantasia, non è un’istruzione, certo può esistere a condizione che ci siano delle istruzioni che sono quelle cose che chiamiamo linguaggio che permettono di costruire un discorso tale che giunga a questa conclusione ma di per sé, pensare di essere abbandonati non è un’istruzione … Intervento: il parlare tout court è molto vicino alle istruzioni però ciò che si dice è tale perché ci sono le istruzioni … Questo sicuramente. Eleonora, prova a costruire idealmente una macchina che abbia delle fantasie, come faresti a immettergli delle istruzioni tali per cui questa macchina possa avere delle fantasie? Forse se la prendiamo da questa parte la cosa è più semplice. Costruisci questa macchina, prima cosa da farsi. Supponiamo di avere già fornito quelle istruzioni tali per cui la macchina è in grado di riconoscere delle informazioni, sapere che sono informazioni e anche metterle in connessione fra loro, supponiamo di essere già a questo punto, a questo punto dobbiamo però metterla nelle condizioni di costruire una fantasia … Intervento: gli inserisco altre istruzioni … Questo sicuramente, ma quali? Immagina adesso che questa macchina nella quale abbiamo immesso delle istruzioni, che ovviamente diciamo “considera” tra virgolette, mettiamo anche che sia in grado di farlo, considera queste istruzioni come tali, cioè dei comandi che gli consentono di mettere insieme delle stringhe, a questo punto noi gli diciamo che queste istruzioni che abbiamo immesse, in realtà non sono istruzioni … Intervento: sono cose reali … Queste cose che gli abbiamo immesse sono, come dici tu, delle cose, delle verità, che hanno a loro fondamento un’altra verità, quale non si sa, a questo punto la macchina cosa fa? Incomincia a pensare che le cose che costruisce siano debitrici di un qualche cosa che non è più, non appartiene più alla macchina stessa ma un quid che non dipende più dalle istruzioni che gli sono state fornite ma da qualche cos’altro che la macchina non sa, perché nessuno glielo ha dette ovviamente, come gli umani, nessuno lo sa perché nessuno può dirglielo, però a questo punto cosa farà la macchina? Incomincerà a costruire delle sequenze tenendo conto di questa nuova istruzione e cioè che la verità di tutto ciò che costruisce stia da qualche altra parte, ora quando deve stabilire una verità e cioè concludere una sequenza che per la macchina è importante per potere proseguire, dove andrà a cercare questa verità? In base alle informazioni che ha la verità sta da qualche altra parte e quindi questa qualche altra parte per la macchina diventa importante, diventa la garanzia di tutte le sue sequenze e quindi è importantissima perché per la macchina essere importante, significa potere concludere la sequenza in modo corretto per cui possa proseguire, questo fa la macchina, e quindi la macchina per potere concludere deve utilizzare queste nuove informazioni che però non gli dicono in realtà esattamente come stanno le cose ma rinviano a un quid che non si sa, che non è conosciuto, del quale quid in realtà non gli è stata data nessuna informazione … Intervento: posso vedere se ho capito? Se io alla macchina do un’istruzione, la proposizione “Cesare è cattivo” è vera “Cesare è buono” è falsa, per cui ogni volta che io dico qualche cosa di Cesare di positivo la macchina si blocca … Sì, può farlo … Intervento: il fatto è che c’è un’istruzione che non è un’istruzione ma quella che potrebbe essere una fantasia no? la fantasia originaria è “Cesare è cattivo” per cui tutto ciò che entra in conflitto. Ma è una fantasia o un’istruzione? Intervento: nel discorso che faceva lei rispetto alla macchina immettiamo … non è propriamente immettere istruzioni … Perché noi abbiamo immesso un comando che dice che non è più un’istruzione ma un’altra cosa. Intervento: perché sia un’altra cosa occorre che sia una proposizione appunto “Cesare è cattivo” per cui tutte le volte che la macchina va in contrasto con questo entra una sorta di conflitto di file esattamente come nel discorso delle persone, se la fantasia il papà è delinquente, fantasia originaria … È chiaro che se subentra qualche cosa che va contro a questa cosa … La rileva come falsa, sì … Intervento: la rileva come falsa oppure entra in conflitto, parlavamo di giochi linguistici in conflitto. In questo caso non è ancora un conflitto perché dovrebbe affermare una cosa e il suo contrario, invece la rileva semplicemente falsa, la segnala come falsa, non può procedere in quella direzione. Intervento: però mi chiedevo se si poteva avvicinare a quello che diceva lei … Ma la domanda da cui siamo partiti è se una macchina possa costruire delle fantasie e abbiamo visto che tecnicamente c’è questa possibilità, a condizione che si dica alla macchina che ciò che la fa funzionare non sono istruzioni ma un’altra cosa, una verità che deve essere ricercata, a questo punto la macchina non cerca più la verità all’interno del suo sistema chiuso e cioè delle sue istruzioni ma la va a cercare fuori ma non sa dove, ora non si arresta la macchina perché non gli è stato detto di fermarsi e quindi continua a cercare la verità come? Dove? Se gli si dice che “io che ti ho dato questo comando che non si tratta più di istruzioni ma di una verità, io sono il pa- drone di tutto” lui continuerà a cercare questo qualche cosa che è il padrone di tutto, come fa una macchina, e andrà a cercare sempre questo qualche cosa che è il padrone di tutto perché è l’unica cosa che può dargli la garanzia, cioè può permettergli di concludere in modo vero. A questo punto costruirà delle proposizioni, delle sequenze che muovono dall’idea che la premessa da cui partono sia in qualche modo legata a questo padrone di tutto, adesso usiamo questi termini molto rozzi, perché se è connessa con il padrone di tutto allora è vera e quindi permetterà di concludere con una proposizione vera, cioè permetterà di essere importante perché per la macchina essere importante significa concludere una sequenza in modo vero, perché così può proseguire, se no non prosegue. A questo punto abbiamo una macchina che è in condizione di costruire delle fantasie e cioè dei discorsi che ritengono di essere fondati da qualche cosa che non è più un’istruzione ma che attende da altro la garanzia, quindi è fondata da un qualcuno o qualche cosa che è al di fuori del sistema e tutto ciò che costruisce per potere provare qualche cosa, per poterlo utilizzare, e questo qualche cosa è costruito partendo dall’idea che il garante sia qualcosa che è fuori dal sistema, questo è ciò che indichiamo come fantasia. La conclusione di tutto ciò è che possiamo indicare con fantasia qualunque discorso, qualunque scena, immagine, situazione, comunque un discorso che si ritenga fondato su qualche cosa che è fuori dal sistema linguistico e cioè qualunque discorso che cerchi la sua importanza al di fuori del sistema che lo costruisce, cioè del sistema linguistico. Per gli umani essere importanti è decisivo, è la vita stessa, così come per una macchina è necessario, è imprescindibile potere concludere una sequenza con un’affermazione vera in modo da potere costruire su questa altre sequenze, non c’è una persona per la quale non sia determinante e vitale essere importante per qualcuno, tecnicamente questo potrebbe cessare di esserlo nel momento in cui cessa di cercare garanti al di fuori del sistema che l’ha costruito, allora sì, perché una macchina finché io non gli immetto questi strani comandi che dicono: “non sei più costruita da istruzioni ma da me che sono il deus ex machina”, non va a cercare, non ha nessun bisogno di cercare la verità al di fuori del sistema di cui è fatta, la verità è soltanto un indicatore, uno shifter, per cui tecnicamente una persona che sa e non può non sapere di essere costruita dal sistema linguistico non ha nessuna necessità di essere importante per qualcuno, non si pone neanche la questione, con tutto ciò che ne segue ovviamente, e cioè la necessità di prevaricare, di ripetere all’infinito le stesse cose … Intervento: la questione che mi sono posto in questi giorni parte da una banalità … le guerre di religione, eliminate le religioni non ci sarebbe più motivo … Occorre togliere la necessità della religione … Intervento: come è potuto accadere? Non come accade … Sì, questa è la domanda … Intervento: come è potuto accadere che l’umano non abbia mai in qualche modo colto questa … Lei pensi all’inganno con il quale si avvia il linguaggio, in fondo è la risposta alla sua domanda, c’è qualcuno che si impone come il depositario, il proprietario del linguaggio nel momento in cui il linguaggio si avvia, e quindi il proprietario dell’universo intero e il discorso, che si costruisce così come abbiamo fatto l’esempio per la macchina, continua a cercare questa cosa visto che non può reperirla all’interno del sistema perché gli è stato immesso questo comando che non è costruito da un sistema ma da qualcuno e allora, “vittima” di questo inganno continua cercare questo qualcosa, questo qualcuno, da qui la religione naturalmente Intervento: sì certo questa idea che esista da qualche parte appunto una sorta di onnipotenza che poi che può essere certamente la proiezione della propria onnipotenza interroga questa cosa … stavo pensando alla questione dell’ignoto … la religione ha molto a che fare con il non conosciuto che gestisce le cose … l’idea del padrone, di dio eccetera … La domanda importante è: perché esiste la religione? D’altra parte tutti i personaggi come anche Heidegger continuano a porre la questione in quei termini: che l’essere si manifesta come una luce nella radura, e anche altri in fondo, l’idea dell’inconscio, del punto vuoto … Intervento: anche chi si professa ateo c’è sempre l’esigenza di dare un volto all’ignoto … lo stesso concetto di ignoto non è che nasce così … No, ricordate tanti anni fa abbiamo letto e discusso un vecchissimo testo di Fredegiso di Tours “De nihilo et tenebris”, la questione del nulla e della tenebra, ma fino agli attuali della filosofia francese dove c’era una procedura: “mis en abime” cioè messa nell’abisso, come dire, confrontare qualunque cosa con l’abisso, che c’è sempre e comunque in ciò che si dice. Sono effetti heideggeriani, ma tutta la filosofia francese contemporanea ne è ricca, lo stesso Derrida di cui parlavamo la volta scorsa continua a parlarne, e l’abisso non è nient’altro che la raffigurazione fantastica di ciò che la macchina deve trovare quando gli si dice che la verità si trova fuori del sistema che lo produce, ecco che allora c’è il nulla, c’è l’abisso, c’è il vuoto, c’è l’impossibilità di arrestare la ricerca di questo qualcosa perché non lo troverà mai, ovviamente non potrà mai trovare il suo fondamento fuori dal sistema che ha prodotto lo stesso … Intervento: per esempio la morte com’è considerata sotto questo aspetto? Cioè come l’abisso, è anche raffigurata, oltre le colonne d’Ercole c’è l’abisso … Sì, tutte le varie figure del vuoto, del nulla, della tenebra, dell’ignoto, dello sconosciuto, dell’orrore, tutte queste storie vengono da questo inganno perpetrato in buona o cattiva fede che sia cambia poco, dagli umani nei confronti di se stessi, perché quando tu nasci e io ti dico “questo è questo” non ti sto dicendo che è un’istruzione che serve soltanto per costruire proposizioni, no, ti sto dicendo che io ti dico che questo è questo e quindi io sono il padrone di tutto, e tu non hai d’altra parte neanche gli strumenti per non crederci, per mettere in dubbio una cosa del genere, e quindi diventa l’esistenza stessa delle cose … Intervento: fino a quando la prima istruzione interviene in questi termini però mi diventa difficile pensarla in altri termini cioè se l’avvio è questo … È difficile rispondere alla domanda, ci sono molti elementi che intervengono per esempio il fatto che una macchina non vede, non vede il programmatore che sta mettendo dentro i dati, per esempio, non vede se sta sorridendo, se è allegro, se è triste, i dati che riceve non sono accompagnati da altre informazioni, semplicemente riceve dei dati, gli umani sono provvisti di occhi e questo complica le cose in un certo senso, per un altro le semplifica probabilmente, non sono sicuro di questo, però è probabile che complichi le cose il fatto di vedere e quindi di dare un’immagine, avere un’immagine di questo qualcuno o qualcosa che sta fornendo delle istruzioni, è una possibilità, niente di più … Intervento: io notavo che solo in un procedimento a ritroso in qualche maniera questo può consentire, perché io lo sto verificando continuamente per quanto riguarda il suo discorso … comunque occorre un criterio verofunzionale per rendersi conto di ciò che si sta dicendo e poi arriva dopo questo dell’avvio? Il criterio verofunzionale è prodotto dalle prime istruzioni, dal momento in cui c’è la possibilità di riconoscere un elemento … Intervento: sì però occorrono diversi elementi per poterne dire … La cosa fondamentale è che ci sia un comando che identifichi un elemento, che dice che un elemento è quello che è e non altri, a questo punto c’è la possibilità di stabilire che questa cosa non è questo elemento e allora è altro, e quindi nel momento stesso lo riconosce come altro, come differente, a questo punto il criterio verofunzionale è già immesso in qualche modo, adesso per farla molto breve: se è identico è vero, se non è identico è falso, questo è il primo criterio verofunzionale, vale a dire se è riconosciuto oppure no dal sistema, adesso detta molto rapidamente, però non è tanto la questione se sia possibile in realtà operare in questo modo con un piccolo uomo, la questione della macchina interessava per mostrare da dove sorge la fantasia, quali siano le condizioni perché possa sorgere una fantasia, la fantasia come dicevamo è un discorso che si ritiene fondato su qualcosa che è al di fuori della struttura che lo costruisce. Che sia possibile oppure no muoversi in un certo modo questo è un altro discorso. 19-1-2011 Stavamo dicendo di quanto sia irrinunciabile per gli umani sentirsi importanti e quindi forse è il caso di precisare questa nozione, anche se l’abbiamo già fatto in altre occasioni possiamo aggiungere qualcosa. Una persona si sente importante quando è riconosciuta come portatrice di verità e naturalmente occorre intendere che la verità è quanto di più essenziale ci sia per gli umani, tutto si muove in conformità al modo di ottenere, raggiungere e consolidare e mantenere la verità, indipendentemente dai modi in cui avviene questo. Ciò che ci ha costretti a considerare una cosa del genere è il funzionamento del linguaggio, quando abbiamo considerato che il linguaggio per potere proseguire deve necessariamente concludere con un’affermazione vera, per potere proseguire, e proseguire è l’unica cosa che è capace di fare, ecco che abbiamo dovuto considerare che concludere con una proposizione vera è quello che gli umani fanno necessariamente essendo fatti di linguaggio, lo fanno necessariamente per potere continuare a parlare, perché da una premessa che è riconosciuta essere falsa non è possibile costruire un argomento, non è possibile costruire nulla. Ci siamo chiesti anche perché non è possibile costruire cose a partire da una proposizione falsa. Che si sa essere falsa. All’origine di tutto ciò c’è stata un'altra considerazione di cui abbiamo detto anche nella Grammatica della logica, che ciascun elemento non può in nessun modo negare la premessa da cui procede e questa premessa da cui procede è un altro elemento linguistico ovviamente, se la negasse sarebbe come se dicesse che la premessa da cui procede non è un elemento linguistico, ma se non fosse un elemento linguistico non esisterebbe neanche di conseguenza, per questo motivo non può in nessun modo il linguaggio concludere con un’affermazione falsa, perché nega, questo strutturalmente, perché nega la possibilità stessa al discorso non solo di proseguire, ma anche di esistere, perché se nega che la premessa da cui procede non è un elemento linguistico, nel momento stesso in cui afferma una cosa del genere cioè nega che la premessa è un elemento linguistico anche la afferma, la afferma nel senso che nel momento in cui ne parla già è introdotta all’interno di una combinatoria … Intervento: ma questo per quanto riguarda il discorso perché il linguaggio funziona e non si può contraddire? È un discorso per assurdo in effetti, certo il linguaggio non può farlo e stiamo dicendo perché non può farlo, perché se lo facesse si bloccherebbe tutto e il linguaggio cesserebbe di esistere, ma questo non avviene, non si verifica ovviamente, ora se il linguaggio non può fare questo in nessun modo cioè in nessun modo può affermare che la premessa da cui procede non è un elemento linguistico, questo costituisce il modello non solo di ciascun paradosso ma anche il modello della negazione, in fondo la via, e questo direbbe il linguaggio, la via che porta ad affermare che la premessa non è un elemento linguistico non è percorribile, il che equivale a dire che è falsa, dicendo questo il discorso, cioè tutto ciò che il linguaggio costruisce tiene conto di questa struttura cioè della sua struttura che si ripete all’infinito, e cosa ripete? Ripete che se la conclusione non è coerente con la premessa cioè non segue alla premessa non può procedere, ma il modello è quello che ho detto prima e cioè non può il linguaggio muovere da qualche cosa che afferma essere fuori di sé, non lo può fare, e quindi anche il discorso ovviamente. Tutto ciò che il linguaggio costruirà avrà questa struttura e cioè tutte le conseguenze dovranno essere coerenti con gli antecedenti necessariamente, ecco perché non si può muovere da una premessa che si sa essere falsa, perché non può costruire niente. Che cos’è una premessa falsa? Una premessa, è meglio precisare, riconosciuta dal discorso come falsa perché se non la riconosce come falsa la prende per buona come accade sempre, una premessa falsa per il discorso è una premessa che non può avere nessuna conclusione, nessuna conclusione vera quindi è una premessa che non consente al discorso di procedere, avendo dunque la necessità di concludere con una affermazione ritenuta all’interno del discorso vera, gli umani, essendo fatti di linguaggio ovviamente non possono che attenersi a questa direttiva e cioè considerare che l’unica cosa che è importante è necessariamente vera, se è vera è importante, nel senso che dà la possibilità di proseguire, di procedere. Ciò che è vero è l’unica cosa che è importante, importa appunto perché consente al discorso di potere proseguire e di conseguenza agli umani di parlare e di conseguenza ancora di esistere, direi che l’importanza stessa è il vero e che l’unica cosa che importa è potere continuare a parlare e per potere continuare a parlare occorre una conclusione vera, da qui qual è il passo che ci conduce a considerare che per gli umani è determinante e irrinunciabile essere importanti? Essendo, torno a dirvi, fatti di linguaggio, non possono muoversi se non conformemente alla struttura del linguaggio, quindi qualunque proposizione concluda in modo vero è importante. Tuttavia, ingannati dal modo in cui si avvia il linguaggio, che si avvia da parte di qualcun altro che lo innesca, che lo fa avviare, continuano a immaginare che sia questo qualcuno che ha la possibilità di stabilire con certezza che cosa è vero e quindi dà la certezza di potere proseguire, di potere quindi fare esistere le cose in definitiva, da qui il fatto che le persone per pensare di dire cose assolutamente vere e di conseguenza importanti, hanno la necessità che queste cose siano vere e di conseguenza importanti per qualcuno, cioè devono essere riconosciute tali da qualcuno. Questo qualcuno è investito di autorità, può essere qualcuno di importante, può essere il popolo, la massa, si diceva una volta vox populi, vox dei, può essere dio per l’appunto, può essere chiunque sia considerato degno di essere eletto a questo ruolo, a questo punto la necessità del discorso di concludere con proposizioni vere si mostra, si esibisce da parte degli umani come l’importanza, l’urgenza, la irrinunciabilità di essere importanti per qualcuno in quanto se è importante per qualcuno allora questo qualcuno riconosce le verità delle mie affermazioni. Questo è il percorso che abbiamo fatto per giungere ad affermare che l’essere importanti per qualcuno appare assolutamente irrinunciabile per gli umani, anzi appare la cosa più importante, probabilmente l’unica che gli umani perseguono e inseguono, così come l’unica cosa che veramente importa è la verità per il discorso e quindi per gli umani. Per il discorso non c’è nient’altro che conti quanto l’essere vero cioè concludere con un’affermazione vera, e gli umani essendo fatti di questo si muovono di conseguenza cioè cercano necessariamente di essere importanti per qualcuno. Tutte le circostanze, dalla più banale a quella considerata più rilevante, dal fatto di sentirsi amata da qualcuno o al fatto di sentirsi al centro del mondo o odiato da qualcuno o padrone del mondo in ogni caso risulta irrinunciabile e dicevamo la volta scorsa che continuano all’infinito ad affermare le cose che si ritengono essere vere: sono vere quindi sono importanti, quindi devono essere continuamente riproposte in quanto sono quelle cose che costituiscono la premessa su cui costruire qualunque discorso, non solo, ma la premessa che garantisce anche la verità di qualunque discorso. Se le premesse sono vere e i passaggi sono corretti si giunge a una conclusione vera naturalmente, sono corretti cioè non contraddicono la premessa da cui sono partiti, non ci sono altri requisiti, cioè se non negano la premessa, e questo abbiamo visto che procede dalla struttura stessa del linguaggio che non può negare ciò stesso di cui è fatto, molto semplicemente. Si tratta di cogliere a questo punto tutte le implicazioni di una cosa del genere e cioè del fatto che per gli umani l’unica cosa che conti è essere, o più che essere, sentirsi importanti per qualcuno perché ci sono moltissime persone che non contano niente per nessuno ma si sentono importanti per qualcuno e questo è sufficiente, è sufficiente che si costruisca una fantasia tale che concluda con il fatto che io sono importante per qualcuno, anche se non importa assolutamente niente a nessuno, ma non può non farlo. Dall’impiegato della posta che si sente importante quando ha davanti cinque o sei persone che lui può gestire fino a Bill Gates o alle compagnie petrolifere, tutti a modo loro hanno la necessità di sentirsi importanti per quello che fanno, per quello che dicono, importanti per altri, perché? Il fatto dovere sentirsi importanti per qualcuno procede dal fatto che non ci sono gli elementi, gli strumenti per intendere che la verità cui giunge il proprio discorso è assolutamente arbitraria. Torniamo all’esempio di qualche tempo fa della macchina, la macchina non ha bisogno di sentirsi importante per nessuno perché non ha bisogno di qualcuno che verifichi le sue proposizioni, perché gli strumenti per la verifica sono all’interno del sistema quindi non ha bisogno di un deus ex machina … Intervento: occorrerebbe che ci fosse questo spostamento nel discorso che accoglie qualcosa come vero all’interno del gioco che sta facendo, qual è il passaggio anche retoricamente, come affrontare questa alternativa, che immagino vogliamo offrire? portare le persone al fatto che c’è bisogno di questo riconoscimento ma questa necessità è assolutamente non necessaria … Sì, è creduta essere tale ma non lo è … Intervento: ciò che dovrebbe contare è che il proprio discorso si accorga di ciò che accoglie come vero … In seguito all’inganno con cui si è avviato il linguaggio, effettivamente il discorso non ha la possibilità di reperire all’interno della sua struttura la verità delle affermazioni e quindi deve cercarle altrove e il passaggio di cui diceva lei consiste essenzialmente in questo: fare in modo che le persone si trovino a pensare senza avere bisogno, così come fa una macchina, che la verità sia da qualche parte al di fuori del sistema in cui è inserita. Perché una macchina non cerca un dio? Perché sa che la verità o la falsità delle affermazioni dipende unicamente dalle istruzioni che possiede, da nient’altro che questo quindi non c’è una verità fuori da queste istruzioni, per cui è una verità che è sempre e comunque connessa, relativa, se volete, alle istruzioni che gli sono state immesse. La nozione di inconscio è intervenuta a tappare una falla per così dire, una falla del pensiero occidentale, naturalmente non tappa nulla, però indica la presenza di un qualche cosa che non può essere detto ma che pilota il dire e non può essere detto perché non è coglibile e non è coglibile perché comunque è sempre immaginato qualcosa al di fuori del linguaggio. Torniamo alla macchina, per la macchina sarebbe impensabile la nozione di inconscio, non significa niente, sì, può inserirsi anche la nozione di inconscio come elemento al pari di qualunque altro, come la definizione di un qualche cosa che può essere costruito ma che in nessun modo può essere provato dalle istruzioni che la fanno muovere, che la fanno funzionare, e quindi un concetto assolutamente inutile per questo. La psicanalisi così come è stata pensata in effetti è fondata su una follia, su un concetto di inconscio che è totalmente inutile, non serve a niente, è un rimedio a qualche cosa che non si poteva in nessun modo intendere e cogliere non intendendo il funzionamento del linguaggio. Il linguaggio è fatto di istruzioni, fuori da queste istruzioni non solo non c’è niente, non può esserci niente in nessun modo, né l’inconscio né qualunque altro accidente. Una delle cose interessanti da fare cogliere a chi all’occorrenza ci ascolta è che ciascuno per tutta la sua esistenza non fa nient’altro che costruire delle scene, delle immagini, delle situazioni dove possa sentirsi importante, non fa altro per tutta la sua vita ed tutto pilotato, è tutto in funzione di questo, qualunque cosa faccia o non faccia e naturalmente aggiungendo che di fatto non può non farlo a meno che ecco non ci sia questa sorta di svolta per cui la persona si accorge che, appunto come una macchina, che il tutto si svolge all’interno di un sistema e che fuori da questo sistema non c’è niente, forse è la questione dell’inganno che potrebbe retoricamente potrebbe essere utilizzata, un inganno come quello di Platone, anche se un po’ diverso. Quell’inganno che Platone riteneva necessario per il buon funzionamento e ordinamento dello stato, certo anche questo inganno naturalmente è funzionale allo stato, la cancellazione di questo inganno comporterebbe delle implicazioni totalmente devastanti per qualunque istituzione, stato o nazione perché le persone non sarebbero più ricattabili perché non crederebbero più in nulla naturalmente, cioè più propriamente ancora, non avrebbero più la necessità di credere a qualcosa e quindi qualunque stato, che notoriamente si regge sulla menzogna, sull’inganno, cesserebbe di funzionare. Quali possano essere le implicazioni di una cosa del genere è difficile a dirsi, ma sicuramente sarebbero notevoli e devastanti, quindi tutto sommato anche questo inganno in cui si avvia il linguaggio non solo è funzionale allo stato, al governo ma è ciò che ha permesso la costruzione, l’invenzione di uno stato, di un governo, a partire appunto dalla necessità di credere qualcosa, dal bisogno di credere qualcosa, è su questo che non solo si mantiene ma si costruisce uno stato, un governo … Intervento: questo inganno adesso lei parlava degli stati ma mi veniva in mente con il bambino la madre, il padre in effetti esercitano questo inganno … come lo stato che cerca di mantenere un ordine, una tranquillità, obbedienza … lo stato impone la sua autorità per via di questo inganno e i genitori i sensi di colpa … è come se i genitori facessero già la caricatura di quello che il bambino fa di per sé … il questo è questo impone questa verità … impongono le istruzioni che sono informazioni e sono decisive … Intervento: tutto questo se lo consideriamo a ritroso … In effetti non sarebbe neanche pensabile oggi una modalità di addestramento differente dall’attuale, e cioè una modalità di addestramento che preveda insieme all’istruzione, la prima informazione cioè il “questo è questo”, il fatto che questo sia semplicemente un’istruzione che serve a potere parlare cioè a costruire altre proposizioni e nient’altro che questo. Come dicevo prima le conseguenze di una cosa del genere per il momento appaiono addirittura impensabili, oltreché devastanti … Intervento: mi chiedevo se fosse proprio questo modo in cui l’informazione viene data, non è tanto il fatto di dare un’informazione prima dicevo caricatura perché? Perché comunque già il bambino di per sé conferisce un’autorità … potrebbe essere accolta come istruzione e non come legge se non ci fosse questa caricatura? Intervento: scusi ma lì c’è anche la verità del genitore che gioca … Per questo parlavo di “inganno” tra virgolette, perché non è un inganno consapevole, il genitore non si rende conto, procede così come ha imparato ed è l’unico modo che conosce, non ne conosce altri, continua a ripetere che le cose stanno così, cioè continua a ripetere le sue verità … Intervento: non può metterlo assolutamente in discussione anche lui ha imparato così … Un bambino impara queste regole e cioè che c’è la verità, e quando chiede perché, l’altro risponde “perché sì” come se ci fosse una verità da qualche parte che impone che sia così, e questa cosa si impone in effetti mentre delle istruzioni non sono imposte ma sono date semplicemente come elementi per potere costruire proposizioni e la verità di queste proposizioni naturalmente risiede all’interno di questo sistema, come dire che una certa cosa è vera perché le istruzioni, le informazioni all’interno di quel sistema sono quelle, se fossero altre sarebbe diverso … Intervento: la caricatura io la vedo di più come quella che fa il genitore per fare in modo che il bambino progredisca cioè lo fa sentire importante gioca proprio sull’importanza un po’ come fanno poi più avanti a scuola … Fino ad arrivare, risalendo la catena delle questioni più astratte, arrivare alla macchina come diceva Turing e cioè il premio: “sentirsi importante” vuol dire vero, vuole dire che la corrente passa, falso, vuole dire che non è importante perché la corrente non passa, cioè non è vero. Per dirla come una macchina: di qui passi e quindi è vero, di lì non si passa e quindi è falso, che è il funzionamento grosso modo del linguaggio, vero si prosegue, falso no, e abbiamo visto anche perché, perché se è falso contraddice il fatto che la premessa è un elemento linguistico, cioè è come se dicesse: “io linguaggio procedo da un elemento che non è linguaggio”, cosa che crea non poche complicazioni. Intervento: lei parla del falso come non linguaggio … Adesso ho fatto una condensazione, quando parlavo del linguaggio e il suo funzionamento dicevo che il linguaggio non può accogliere un paradosso, non lo può fare, e cioè non può affermare di sé di essere linguaggio e simultaneamente non esserlo: accogliendo come premessa qualcosa che non è linguaggio è come se effettivamente dicesse “sono linguaggio e non sono linguaggio” questo non lo può fare, se lo facesse si bloccherebbe tutto perché ciascun elemento sarebbe anche il suo contrario e non sarebbe utilizzabile dal sistema. La questione dell’inganno potrebbe funzionare retoricamente, esposta in modo acconcio, facendo notare come gli umani siano ingannati, non volontariamente da qualcuno, ma dal modo in cui incominciano a parlare, certo come dicevo su questo inganno si è costruita la possibilità stessa dello stato, delle istituzioni, dei governi, di tutta la società, il mondo è costruito da questo inganno, se non ci fosse l’inganno tutta questa costruzione non potrebbe esistere … Intervento: la questione del fondamento … la sovrapposizione tra verità e fondamento … La questione della verità qui interviene in seconda battuta perché in prima istanza abbiamo posto le istruzioni, sono quelle che consento di parlare di verità e anche di costruire un criterio verofunzionale, la verità giunge dopo … Intervento: … Sì, se si riesce a mostrare che la premessa della conclusione che si sta affermando è vera a questo punto è come se si fosse esibito il fondamento e cioè il motivo di ciò che sto affermando ma il fondamento è il linguaggio. Questo fondamento non era mai stato trovato, in tutta la ricerca filosofica, matematica, il fondamento è sempre scappato di mano. Discorsivamente si ritiene che il fondamento sia una verità che garantisce ciò che si è concluso, le proprie conclusioni, le proprie affermazioni, questo così discorsivamente … Intervento: ma non viene colto in questi termini … il fondamento non è considerato una premessa ma la realtà delle cose … Sì, in questo modo la premessa è certa ed è fortificata dal fatto di trovare una garanzia in qualche cosa al di fuori, soddisfacendo così la fantasia più antica, che sia qualcuno o qualcosa ad avere dato l’avvio, l’avvio del linguaggio e quindi dell’universo in toto. Qualcuno o qualcosa certo può essere dio, la natura o i marziani … Intervento: è l’idea che esista una premessa originaria … Una premessa fuori dal linguaggio sì, e in effetti in questo modo avevamo indicata la fantasia, un discorso che si ritiene fondato da qualcosa che non è linguaggio, così avevamo indicata la fantasia cioè qualunque costruzione che pensi di sé di avere un fondamento al di fuori della struttura che la fa esistere … Intervento: nella conferenza “il bisogno di sentirsi amati”… riflettevo sulle cose che ha dette in quella conferenza parlava proprio dell’importanza e da dove viene questa questione e cioè al funzionamento del linguaggio alla fine quando i ragazzi sono intervenuti, c’erano parecchie persone, mi ha colpito questo che c’era un ragazzo il quale intanto non aveva capito perché e da dove viene la necessità di sentirsi amati e poi su una certa questione proprio quella del linguaggio ha detto “non vorrei risultare presuntuoso però mi sembra così semplice la questione che senza pensiero e quindi senza linguaggio le cose non esisterebbero, però diceva, non è questo che mi interessa voglio capire perché c’è il bisogno di sentirsi amati” ecco su questo volevo dire, che forse occorre insistere di più sulle implicazioni che senza linguaggio le cose non esisterebbero, perché lì era stata posta proprio la questione dell’importanza e quindi del vero e del funzionamento del linguaggio e alla fine questo dice “ma sì è ovvio ciò che lei sta dicendo, ma non funziona mica solo per l’innamoramento funziona per qualsiasi cosa, ci sono cose più importanti, senza assolutamente, cioè accettando una questione che mi sembra già abbastanza complessa da intendere che senza il pensiero non esisterebbe nulla ma assolutamente non considerando tutte le implicazioni o almeno qualcuna, per cui direi che forse bisogna insistere sulle implicazioni perché è complesso seguire il funzionamento per un pubblico e lì di implicazioni ne sono venute fuori tante ma non si colgono e quindi metterle in risalto … Siccome stiamo preparando l’introduzione alla psicanalisi stiamo fornendo una base teorica solida. 26-1-2011 C’è qualche questione? Intervento: la volta scorsa dicevamo del fatto che si dice sempre la stessa cosa, mi piacerebbe tornare su questo aspetto e chiedevo se in termini clinici può essere una rilettura della ripetizione, rileggevo la questione della “coazione a ripetere” … È ciò che andiamo dicendo ultimamente intorno al fatto che per gli umani è necessario sentirsi importanti e ciò che fanno è di cercare delle situazioni, delle condizioni per sentirsi importanti, oppure si lamentano di non esserlo a seconda dei casi, però rimane sempre la necessità di essere importanti. La volta scorsa abbiamo accennato anche all’aspetto teorico, cioè su cosa si basa una cosa del genere e quali sono i fondamenti teorici, che vanno sempre cercati nel funzionamento del linguaggio, se il linguaggio ha la necessità di concludere con un’affermazione vera allora gli umani hanno questa necessità, se il linguaggio costruisce proposizioni che devono concludere sempre con un’affermazione vera e cioè continuare ad affermare “questo è questo”, allora gli umani fanno questo e continuano ad affermare “questo è questo” all’infinito, con qualche variante naturalmente. Il “questo” di volta in volta può essere qualunque aggeggio, questo è indifferente, però il fatto di trovare la risposta a qualunque questione nel funzionamento del linguaggio è una chance effettivamente, d’altra parte se gli umani sono fatti di linguaggio, come sono fatti di linguaggio, non possono che muoversi e agire e pensare esattamente nel modo in cui funziona il linguaggio, non hanno altre possibilità, è come una sorta di vincolo, mettiamola così, a questo punto è chiaro che tutta la clinica, la cosiddetta clinica psicanalitica va ripensata in tutt’altro modo. Effettivamente tutto ciò che ha fatto Freud riguardo ai disturbi di vario genere è una cosa abbastanza singolare, non so se avete letto le notizie di questi giorni apparse sull’Ansa: gli psicologi hanno decretato, anzi hanno de rubricato il narcisismo come malattia, hanno deciso che non è più una malattia perché il narcisismo è talmente diffuso tra le persone che non è più possibile considerarlo una malattia. Una affermazione del genere, aldilà del mettere in evidenza, se mai fosse necessario, la stupidità degli psicologi, dice però una cosa curiosa e cioè, cosa che anche Freud per qualche verso ha sottolineato, che la malattia, intendo quella psichica, non credo si riferissero al raffreddore anche perché il raffreddore pur essendo diffusissimo rimane una malattia, non vedo perché anche il raffreddore non dovrebbe essere anche lui derubricato perché è talmente diffuso che non è più una malattia, come dire che ciò che è più comune, più praticato è il normale, ciò che è meno praticato è la malattia e di conseguenza ovviamente è sano ciò che pensano i più, è malato ciò che pensano i meno. Pare una conseguenza inevitabile, d’altra parte è sempre stato così però. Vi dicevo che occorre muovere dal funzionamento del linguaggio, e questo comporta pensare alla clinica in tutt’altro modo vale a dire come un modo che le persone di volta in volta trovano per potere affermare le loro verità. L’utilizzo del termine clinica è a questo punto improprio, non c’è nessuna clinica in realtà perché non c’è nessuna malattia, si tratta soltanto di trovarsi ad agire il linguaggio oppure subirlo, se lo si subisce e cioè non ci si accorge, non c’è la possibilità di praticare il linguaggio e quindi conoscere il suo funzionamento, se non si conosce il suo funzionamento non resta che attendere le verità da altro che non sia linguaggio, ma è esattamente questo che comporta una sorta di arresto dell’intelligenza, un limite alla sua praticabilità. Cercando la verità fuori dal linguaggio che l’ha costruita, l’intelligenza può arrivare fino a un certo punto, oltre non può più andare e questa sorta di colonne d’Ercole è esattamente quello che chiamavo tempo fa l’inganno, finché permane l’inganno l’intelligenza ha un limite che non può oltrepassare, come dire che non può pensare se stessa, e le sue condizioni. Probabilmente questo è ciò che ha impedito anche ad alcune fra le menti più robuste di compiere questo passo e cioè di costringere il pensiero a pensare se stesso e cioè a valutare, a considerare quali sono le sue condizioni, e non c’è stata questa opportunità perché è sempre rimasta l’idea che comunque la verità stia da qualche parte che non è linguaggio, direi che solo a questa condizione è possibile uscire da questa difficoltà e quindi avviare di fatto una pratica dell’intelligenza, che non è nient’altro che mettere in condizioni il proprio discorso di accedere a ciò che lo costruisce e cioè al linguaggio, se manca questo accesso ecco che il discorso è come se girasse a vuoto, gira in tondo, continua effettivamente a ripetere sempre le stesse cose e cioè quelle verità sulle quali costruire tutte le varie superstizioni ma non c’è nessuna possibilità di uscirne, come se di fatto continuasse a ripetere “questo è questo” senza avere nessuna possibilità di sapere quello che sta facendo. Per dirla in modo più appropriato, cosa significa che una persona avverte un disagio, per esempio? Adesso facciamo qualche riferimento più specifico, è come dire che si trova a fare o a pensare cose che non vorrebbe, almeno così dice, fare o pensare, la trovata di Freud è stata quella di inventare un inconscio con tutti i suoi ammennicoli che pilota la persona indipendentemente dalla sua volontà, cioè da ciò che dice di volere. Tenendo conto del funzionamento del linguaggio possiamo rispondere a questa domanda e cioè perché una persona fa, dice cose che invece afferma di non volere fare o pensare, dicevamo prima dell’importanza, che le persone per tutta la loro esistenza perseguono l’importanza cioè delle scene, delle situazioni, delle circostanze per cui possono sentirsi importanti in un modo o nell’altro è indifferente, tenendo conto di questo, possiamo valutare se tutto ciò che è stato ascritto alla nosografia psicanalitica come sintomo non proceda da qualcosa del genere, e cioè dalla necessità per gli umani di sentirsi importanti per qualcuno, che è solo il modo in cui si configura, si manifesta la necessità di concludere proposizioni con una affermazioni vera. Ciò che comunemente è chiamato disagio corrisponderebbe a quella circostanza, quella situazione in cui la persona non ha gli elementi per sentirsi importante per qualcuno, potrebbe essere così per il momento, ora proviamo a considerare un sintomo, uno qualunque, qualcuno vuole proporre un sintomo? Intervento: la tosse … Ecco la tosse che interviene a disturbare preferibilmente me, mentre sto parlando. In questo caso lei offre la soluzione su di un piatto d’argento, perché impedire a qualcuno che si suppone più abile nel parlare, nel pensare, nell’esporre le cose, attribuire dunque la tosse alla necessità di impedirgli di proseguire appare abbastanza semplice da intendere, è ovvio che se io mi trovo, facciamo questa ipotesi per assurdo, di fronte a qualcuno che sa pensare, parlare, esporre le cose meglio di me, se io fossi preso da tali fantasie di essere più importante e più bravo, è ovvio che mi sentirei in difetto, mi sentirei messo in disparte e quindi, sempre se fossi preso da questa fantasia, di dovere avere la supremazia su tutti e farei di tutto o per superarlo in bravura oppure per impedirgli di fare quello che sta facendo. Ora, nel caso avessi la certezza o anche solo il dubbio di non riuscire nella prima operazione allora mi dedicherei alla seconda, cioè di impedirgli di parlare. Ma perché tutto questo possa accadere occorre che sia presente questa fantasia di dovere essere importanti, di dovere essere il primo, di dover essere il più bravo, perché se non ci fosse questa necessità allora non mi troverei a dovere impedire all’altro di parlare nel modo in cui sta parlando e quindi non avrei bisogno di tossire selvaggiamente in modo di coprire le sue parole. Quindi in questo caso è abbastanza evidente che il motore di tutto sta nella necessità di essere importanti o più importanti o non meno importanti, a seconda della varianti che possono intervenire, la domanda a questo punto è se qualunque cosa che venga avvertita dalla persona come sintomo sia riconducibile a questa struttura oppure no, come sapete basta un solo caso in cui questo non si verifichi per inficiare tutto quanto. Tuttavia a noi non interessa trovare argomentazioni forti e sofisticate in modo da potere compiere un’operazione del genere, e cioè ascrivere qualunque sintomo a questa necessità di essere importanti, non è che dobbiamo vincere una partita o persuadere qualcuno ma considerare se l’esistenza di un sintomo sia riconducibile al non avere la possibilità di praticare il linguaggio. Se ci atteniamo al funzionamento del linguaggio effettivamente parrebbe essere così, e cioè tutto ciò che la persona denuncia come difficoltà appare facilmente riconducibile alla difficoltà che il discorso incontra a sostenere se stesso cercando un sostegno fuori dal linguaggio. Più volte abbiamo fatto l’esempio sempre della macchina, la macchina non può tecnicamente incontrare difficoltà di questo genere dal momento che qualunque questione intervenga comunque è risolvibile necessariamente attraverso quelle istruzioni che la fanno funzionare, perché fuori da queste istruzioni non c’è niente, perché è tutto all’interno del sistema e non è neanche prevista qualche cosa che sia fuori dal sistema, non c’è, e questo ci conduce a un’altra considerazione, e cioè una persona che si trovi a pensare in questo modo e cioè che non cerchi la garanzia, la verità, il sostegno di ciò che pensa in qualche cosa che sia fuori dal linguaggio di fatto non può avere problemi, in questa accezione, qualunque cosa che intervenga necessariamente deve essere ed è risolvibile all’interno del sistema, attraverso quelle stesse istruzioni che hanno creato le sequenze: così come queste istruzioni creano sequenze queste sequenze sono debitrici della loro esistenza di queste istruzioni, e se fuori da queste istruzioni non c’è nulla tutto si svolge all’interno del sistema, e non c’è il problema, non c’è la difficoltà perché la difficoltà è data dall’impossibilità di trovare il riferimento ultimo in qualche cosa fuori da questo sistema. A questo punto potremmo aggiungere che l’esistenza di ciò che Freud chiamava nevrosi è data, è costruita dall’inganno di cui dicevamo qualche volta fa, in assenza di questo inganno non c’è nessuna possibilità di nevrosi in nessun modo, che non è poco se ci pensate bene, e anche se ci pensate male: provate a togliere a una persona la necessità di sentirsi importante, che poi è una derivazione dell’inganno e cioè della necessità di trovare in qualche cos’altro o qualchedun’altro la garanzia di sé, togliete a una persona questa necessità, succede un fenomeno bizzarro, e cioè togliete a questa persona la sua umanità. L’umanità, cioè tutto ciò che comunemente è attribuito a questo termine, ha a che fare con il bisogno di ciascuno dell’altro, della necessità di essere supportato, confortato, di confortare e supportare e aiutare in qualunque modo e questo è supportato dalla fantasia di dovere comunque essere importante per qualcuno, in fondo aiutare qualcuno è sentirsi importante, dovere essere aiutato da qualcuno è immaginare di essere importante per quella persona, o di doverlo essere. Per questo dicevo che non ci sarebbe più l’umanità della persona nell’accezione che vi ho indicata, questo non significa naturalmente che la persona diventi una belva feroce, certamente no, anche perché non gliene importa assolutamente niente di diventare una belva feroce, può fare qualunque cosa ritenga opportuna ma sapendo esattamente quello che fa e perché lo fa, ma mai per nessun motivo al mondo abdicando alla totale e irreversibile consapevolezza di quello che sta facendo. È questa consapevolezza totale, assoluta e irreversibile che rende la persona disumana, nella vulgata gli umani sono tali perché sono fragili, bisognosi, in difetto per via del peccato originale, per cui gli umani sono in difetto dalla nascita, nascono nel peccato e muoiono non so dove, è questa l’umanità, l’essere in difetto, l’essere bisognosi, l’essere sempre manchevoli, essere sempre mancanti fino anche agli ultimi filosofi e psicanalisti, con tutta la questione della mancanza di cui parlava anche Lacan “manque a être” diceva, la mancanza a essere cioè l’essere è sempre mancante di qualche cosa, come la verità, che sempre secondo lui si dice solo a metà eccetera. Tutte queste fantasie sorgono dallo gnosticismo, per il quale l’umano nasce nella monnezza e poi mano a mano si eleva fino ad arrivare a dio “eritis sicut dei”, abbandonando il corpo soprattutto che è foriero di nefandezze e diventando puro spirito. Tutto questo è frutto di un inganno, senza questo inganno gli umani non avrebbero la necessità di dovere sentirsi importanti con tutto ciò che segue a una cosa del genere naturalmente, e cioè il totale sovvertimento di qualunque ordine pensabile. Forse non è neanche pensabile una società costruita in assenza di questo inganno, cioè costituita da persone che sanno perfettamente di essere costruite da sequenze di istruzioni che le fanno parlare e quindi parlando costruire immagini, scene, situazioni, certezze, dubbi, speranze e progetti. A questo punto, come dicevo all’inizio, la questione della clinica non so se va sovvertita o se va cancellata, ci dobbiamo riflettere perché la questione del disagio per esempio, così come sempre è stata pensata non ha più nessuna ragione di essere mantenuta, d’altra parte o una persona sa di che cosa è costruita e quindi non ha bisogno di essere importante per qualcuno oppure troverà il modo per esserlo e si lamenterà quando suppone di non esserlo, e da qui tutti i vari acciacchi, malanni, di ogni sorta quelle cose che sono sempre state chiamate sintomi. Pensare di non essere amati può portare alla depressione pere esempio, il depresso è una persona che immagina di non essere più importante per nessuno in fondo, certo trova un escamotage immaginando di essere l’unico a sapere come stanno le cose, ma di fatto considera di non essere più importante per nessuno, nessuno si occupa più di lui cioè nessuno gli da retta … Intervento: … Sì, deve attirare l’attenzione degli altri perché pensa di non essere più importante e quindi fa di tutto perché si accorgano di lui … Intervento: quindi giunge al medico il quale si accorge di lui … Nella depressione c’è anche quest’altro aspetto, cioè mantenere comunque la certezza di sapere come stanno le cose, quindi come dicevo c’è questa oscillazione continua ma questa certezza non può abbandonarla, se smettesse di essere depresso dovrebbe incominciare a considerare che le cose non sono esattamente come pensa che siano, ci rinuncia malvolentieri anche per questo motivo. Spesso ha cambiamenti rapidi di umore, dalla depressione più nera alla gioia più sconfinata, come dire che le cose o vanno tutte male o vanno tutte bene, non ci sono alternative: se vanno tutte male è la catastrofe, se vanno tutte bene è la gioia sconfinata … Intervento: per via sempre dell’inganno con il quale si è avviato il linguaggio, l’altra volta lei parlava delle istituzioni funzionali a questo inganno … Questo inganno è quello che ha creato le istituzioni e i governi … Intervento: e quindi anche la sofferenza e la felicità più sfrenata, è ovvio perché sono valori cose importanti … Certo, tutto pare procedere da lì, potremmo dire dalla cosa più umana, anzi da ciò che rende umani gli umani, questo inganno, questa impossibilità di accorgersi di ciò che li costituisce … Intervento: questo in un certo senso è compito della clinica, la pratica dell’intelligenza, in effetti ciò che accade in un’analisi è quello… In effetti cosa fa, o dovrebbe fare una psicanalisi? Ricondurre il discorso a ciò che lo ha costruito cioè alla struttura che lo ha costruito e continua a costruirlo, e cioè il linguaggio, un discorso che è consapevole totalmente e irreversibilmente di questo è un discorso che non può in nessun modo costruire quelle cose che si chiamano disagi, non lo può fare, per lo stesso motivo per cui molte paure che si hanno da bambini scompaiono. Agire il linguaggio è nient’altro che la possibilità di potere condurre ciascun pensiero e quindi ciascuna affermazione, ciascuna proposizione a ciò che l’ha costruito, questo è agire il linguaggio … Intervento: della paura cosa possiamo dire? perché la paura è una costruzione di compromesso fra una serie di pensieri che devono mantenere tutto sommato l’irrinunciabilità di due verità assolute, una serie di pensieri che devono mantenere qualcosa che è importante, perché la paura non è che arriva così, certo ci sono delle paure nelle vita che sono ataviche tipo la paura della morte però questa paura non è sempre presente nel pensiero, in certi momenti ciò che si configura sembra alludere proprio a questa paura, per esempio tempo fa avevamo parlato del pensiero e del compromesso cui giunge il pensiero, per esempio il bambino crede e vuole le cose che per lui sono importanti, vuole la mamma perché lui è importante per la mamma e vuole la nutella … non può rinunciare … Intendo quello che vuole dire, però la paura non è sempre necessariamente connessa con questo, quello è un caso particolare, cioè una formazione di compromesso, però non necessariamente passa attraverso questo, la paura di per sé non è altro che la sensazione di un pericolo imminente quindi per prima cosa occorre creare un pericolo, ma non necessariamente questo pericolo è creato da un compromesso, può essere semplicemente avvertito come l’eventualità che ciò che io credo, penso, possa non essere così, possa essere falso tutto quanto, per esempio i fondamentalisti hanno paura di mettere in discussione il loro credo, la loro fede perché verrebbe minato tutto un apparato che gli consente di avere dei riferimenti, delle certezze, in questo caso non c’è una formazione di compromesso, a meno che questo pericolo, per qualche motivo, si sposti dall’oggetto che è considerato una minaccia a qualche cos’altro, allora sì, come nell’esempio che stava per fare … Intervento: sto pensando all’addestramento alla paura … Intervento: i bambini vengono educati così … Intervento: anche i cittadini in effetti quello che passa è che i principi di una società sono in pericolo allora il nemico è colui che minaccia per esempio le fondamenta di una struttura sociale … il mondo occidentale dice che cosa? i valori fondanti di questo mondo … e quindi la paura nasce dall’idea che qualche cosa che è assunto come verità assoluta sia in pericolo, quindi l’addestramento alla paura fa intendere che c’è sempre una minaccia che incombe su questa verità e quindi tutto il discorso in qualche modo possa frantumarsi o svanire addirittura, quando si parla delle tradizioni che cos’è? La paura che spariscano le proposizioni, che … Delle premesse certo, così come la paura che alcuni hanno di fronte all’eventualità di togliere i crocefissi dalle scuole … Intervento: sì comincia da lì e poi non si sa dove si va a finire. Lo sterminio da parte dei nazisti dei malati mentali. Paolini, un attore di teatro raccontava in un’intervista che non era la polizia che andava a cercare questi “malati” ma erano le famiglie stesse che li denunciavano perché fossero eliminati e questo la dice lunga come l’addestramento … le cose diventano normali … Esatto, può diventare anche una tradizione … Intervento: adesso pensavo al funzionamento delle fobie per esempio, come una cosa che inizialmente “mi fa paura” prenda le conformazioni più strane per le quali io continuo a provare paura, l’allacciarsi di stringhe per cui interviene questa cosa che io chiamo paura, questa moltiplicazione che avviene nel discorso di una certa cosa che dico paurosa che riesce a “infestare” tutto il pensiero a partire da una cosa importante … Le fobie sono sempre la paura di perdere il controllo, che qualcosa sfugga al controllo … Intervento: c’è questa capacità da parte del discorso di appropriarsi e di ripetere all’infinito “questo è questo” … Sono cerimoniali che devono essere ripetuti sempre allo stesso modo, e quindi controllabili. Va bene, ci vedremo mercoledì prossimo. 2-2-2011 Avete qualche considerazione intorno alle ultime cose che andiamo dicendo? Intervento: agire il linguaggio e quindi trovarsi a pensare come fanno le macchine, si diceva, comporta non essere più umani e quindi non avere più bisogno del consenso altrui per pensare, e questo comporta anche un modo di trovarsi a parlare con un pubblico perché finché cerchiamo il consenso va bene, va bene perché è una scommessa quella che abbiamo fatto tanti anni fa … Più che il consenso ci interessa incuriosire le persone che ci ascoltano … Intervento: quindi la possibilità che si allaccino delle stringhe per cui poter praticare ciò che è peculiare e che abbiamo costruito in tanti anni e che ormai è imprescindibile per noi, è imprescindibile non giocare questo gioco, perché è pur sempre un gioco, però tutte le implicazioni che, poter praticare il linguaggio quindi agire il proprio discorso, sono implicazioni sicuramente devastanti per un sistema come il sistema occidentale che immagina di reperire fuori di sé, trovare fuori di sé verità assolute che sono congeniali al sistema occidentale con tutto ciò che questo comporta e quindi in primo luogo l’esercizio di potere e quindi l’assoluta chiusura di qualsiasi possibilità per l’intelligenza di poter funzionare, direi che l’umanità riguarda soprattutto il nostro discorso perché per ciascuno è importante sentirsi importanti e quindi ascoltati e questo comporta dei contraccolpi all’interno del nostro discorso. Prima io ho parlato di consenso ed è appunto qualcosa che io ho detta e su questo mi interrogo “perché cerco il consenso negli altri anziché puntare sulla curiosità e quindi sull’apertura completa del discorso?” molto probabilmente c’è qualcosa all’interno del mio discorso, qualcosa di vero, assolutamente vero fuori dalla struttura che lo costruisce ... Come definirebbe il linguaggio? Intervento: una sequenza di istruzioni che costruiscono linguaggio … Sì, così abbiamo detto, una sequenza di istruzioni per costruire proposizioni, ma questa di fatto è la definizione di algoritmo, un algoritmo è una sequenza di istruzioni finita, individuabile, eseguibile per la soluzione dei problemi generalmente, però non necessariamente, è una sequenza di istruzioni, come dire che il linguaggio non è nient’altro che un algoritmo, tutto lì, un algoritmo che consente di costruire delle sequenze. Questo potrebbe essere rilevante e potrebbe anche esserci utile perché potrebbe semplificare le cose eventualmente, un algoritmo non è nient’altro che un metodo, un metodo per compiere delle operazioni, nient’altro che questo, una sequenza di istruzioni e queste istruzioni sono istruzioni per qualche cosa, nel caso del linguaggio per costruire delle sequenze tali che vengano riconosciute appunto come sequenze dal sistema che le costruisce. Porre dunque il linguaggio come un semplice algoritmo potrebbe semplificare le cose perché di fatto, anche nella cosiddetta clinica, perché si tratterebbe a questo punto di mostrare il funzionamento di un algoritmo e insegnare in un certo senso a praticarlo, cioè a praticare queste istruzioni. Certo, detta così potrebbe apparire un po’ azzardata la cosa oltre che ardua, però in fondo gli umani fanno tutto quello che fanno perché sono provvisti di linguaggio, se non lo fossero non farebbero niente e quindi fanno tutto quello che fanno e pensano tutto quello che pensano in base a un semplicissimo algoritmo che è fatto di tre istruzioni fondamentali, anche se poi riconducibili a una, però almeno tre, così per rendere le cose un po’ più semplici: cioè ciascun elemento deve essere individuabile all’interno di una catena, ciascun elemento occorre che sia distinguibile da ciascun altro e occorre che ci sia un sistema inferenziale, queste tre semplici istruzioni sono, con qualche variante, le istruzioni che vengono immesse in una macchina per incominciare a farla funzionare, come dire che il linguaggio non è nient’altro che un metodo, anzi potremmo quasi dire il metodo per eccellenza, cioè il metodo che consente la costruzione di proposizioni, di sequenze, solo che questo metodo non ha un autore così come non ce l’ha il codice genetico, cioè non c’è nulla fuori da questo metodo anzi questo è quell’algoritmo che consente la costruzione di proposizioni che parlano di qualche cosa che è fuori da questo metodo. Era Gian Battista Vico nella Scienza Nuova a dire: “verum ipsum factum”, il vero è ciò che si fa, che si sta facendo, per dirla ancora meglio, come diceva Austin, sono atti linguistici, il vero è nella parola, è nel linguaggio, è in ciò che si dice, è nelle istruzioni e procede dalle istruzioni che costruiscono ciò che si dice. Dicevo prima che un’analisi potrebbe consistere in questo: se il linguaggio è un algoritmo l’analisi è la messa in atto di questo algoritmo e soprattutto la possibilità di constatare che questo algoritmo è sempre comunque in atto in ciascun pensiero, in ciascuna azione, in ciascun gioco linguistico ovviamente e che non c’è nient’altro che questo. È una cosa tecnicamente molto semplice da illustrare, nel senso che questo metodo consta di tre passaggi molto semplici senza i quali il linguaggio non potrebbe funzionare e di conseguenza gli umani; insieme con questo possiamo anche mostrare che parlando, qualunque cosa si stia dicendo questo è irrilevante, è in atto questo algoritmo. Dicendo “qualunque cosa” in questa qualunque cosa è già presente la possibilità di costruirla questa cosa, se io dico che “oggi è una bella giornata” per esempio, in questa frase è già presente l’algoritmo che la costruisce e vale a dire quella sequenza di istruzioni che mi consentono di connettere intanto questi tre elementi, di sapere utilizzare questi tre elementi in modo tale da poterli connettere in una grammatica e in una sintassi, non solo ma è presente anche il modo in cui è possibile utilizzare questi tre elementi cioè tutti i vari modi possibili perché questa semplicissima frase può essere una banale considerazione che qualcuno fa con un amico, o una considerazione che qualcuno fa prima di partire, può essere un codice per esempio, una parola d’ordine, può essere qualunque cosa ma qualunque cosa sia questa cosa è già presente nell’algoritmo che la costruisce, in quanto ciascuno di questi elementi deve essere individuabile, ciascuno di questi elementi occorre che sia distinguibile dagli altri e occorre la possibilità di costruire un’inferenza e l’inferenza in questo caso, in questa frase banalissima ci dice qual è il suo utilizzo “oggi è una bella giornata” e quindi posso partire, e quindi questo è un segnale, e quindi tutto quello che mi pare. Per il funzionamento del linguaggio non c’è un antecedente senza un conseguente, come dire che qualunque elemento è in funzione di ciò che ne segue, cioè di un altro, da qui tutte le interrogazioni sull’intenzionalità, sul desiderio eccetera e tutta una serie di fantasie che lasciano il tempo che trovano, ma ciò che a noi interessa è che ciascun elemento linguistico è seguito da un altro elemento linguistico, cioè qualunque antecedente ha un conseguente, per il funzionamento stesso del linguaggio. Questo sbarazza di tutta una serie di fantasie intorno all’intenzionalità di cui parlano gli psicologi e anche molti psicanalisti e poi tutta la teoria del desiderio costruita da Freud e dai suoi seguaci che a questo punto non ha più un grandissimo interesse, l’intenzionalità e il desiderio non esisterebbero senza il linguaggio e quindi sono ascrivibili al funzionamento del linguaggio, e cioè al fatto che ciascun elemento linguistico segue necessariamente a un altro elemento linguistico, come sequenza che deve giungere a una conclusione. Se volessimo potremmo anche intendere ciascun passaggio come l’intenzione e la conclusione come il desiderio, ma fatto questo non è che avremmo fatto chissà che cosa, non abbiamo fatto niente per cui non ce ne facciamo nulla, voglio dire che questo linguaggio posto come un algoritmo è la soluzione immediata o almeno offre la soluzione immediata, rapida, a qualunque questione; provate a immaginare una situazione tale per cui una persona ha un problema di qualunque tipo, può essere un problema così detto personale, un problema affettivo o politico, quello che vi pare, un algoritmo è fatto per risolvere i problemi, comunemente si intende così, anche se non necessariamente, un algoritmo serve alla risoluzione ma più che la risoluzione del problema in quanto tale, anche certo, ma la risoluzione di qualche cosa in un’altra cosa e cioè in una sequenza, una proposizione in un’altra cosa che sono gli elementi che la compongono e, meglio ancora, sarebbe il caso di dire quegli elementi che la costruiscono, che ne consentono l’esistenza. Immaginate che fosse possibile così da qualche parte che un problema, diciamo affettivo, fosse risolvibile, in questa accezione, cioè fosse trasponibile in altro e cioè negli elementi che lo compongono per esempio, negli elementi che lo fanno esistere, sicuramente la posizione di fronte a quel problema sarebbe differente, non si tratterebbe più di attendersi una soluzione, nel senso della eliminazione, mettiamola così, del problema in quanto tale, facciamo un esempio banale “lei non mi vuole più bene” la soluzione del problema sarebbe fare in modo che gliene voglia di nuovo, per esempio, ecco non si tratterebbe più a questo punto o non soltanto di una cosa del genere perché verrebbero immessi dei passaggi tali che consentono di intendere quali sono le condizioni che hanno consentito di creare, di produrre, di costruire questo problema, o di questa cosa che viene intesa come un problema, avendo presente questo algoritmo cioè il linguaggio e cioè il fatto che perché questo problema possa venire costruito occorre che ciascun elemento sia identificabile per esempio, e il fatto che sia identificabile, questa è una questione importante, non dipende dal fatto che io lo riconosca in qualche modo, questa identificabilità non è l’effetto di una relazione che ha questo elemento con un referente posto chissà dove, ma questa identificabilità è una istruzione, è un comando che dice che questo elemento è quello che è, ma è solo un comando e in base a questo comando è possibile costruire un altro elemento, ma tenendo sempre conto che la possibilità di costruire questi elementi è data da dei comandi senza i quali comandi non potrebbe esistere nessun problema affettivo o sentimentale. Il fatto che una cosa del genere non sia facilmente praticabile come ciascuno di voi sa perfettamente, dipende dal fatto che non c’è accesso a questo algoritmo cioè al linguaggio per cui la persona gira a vuoto. L’idea che esista una realtà da qualche parte che funzioni come referente a ciò che si dice è un altro modo per indicare l’inganno di cui abbiamo detto varie volte e cioè che queste cose, cioè queste parole, questi elementi che mano a mano si costruiscono, tutto questo abbia un referente da qualche parte in una realtà, ma come sappiamo non è proprio così, non c’è nessun referente da nessuna parte, c’è soltanto un metodo per la costruzione di sequenze, naturalmente queste sequenze se credute o immaginate l’effetto di una realtà soggiacente, sottostante a queste se- quenze allora producono la disperazione naturalmente, perché se così è cioè se sotto a queste proposizioni soggiace una realtà immobile e identica a sé non c’è niente da fare. Un algoritmo dovrebbe mostrare immediatamente con quanta facilità sia possibile risolvere qualunque sequenza e quindi qualunque situazione, perché la situazione è data da una sequenza che è ciò che la fa esistere, e questo è un altro colpo alla cosiddetta umanità naturalmente, perché una cosa del genere vi avvicinerebbe più alle macchine che agli umani, il sapere sempre e costantemente e non potere non sapere che qualunque sequenza è costruita da dei comandi e quindi che non c’è nessun referente da nessuna parte; ma perché queste sequenze prodotte da comandi producono tutte quelle affezioni, come direbbe Aristotele, negli umani? Tutte queste affezioni di cosa sono fatte? Di sequenze, di conclusioni che o affermano cose che vanno contro a ciò che altre affermazioni hanno concluso oppure producono altre sequenze non controllabili, non controllabili significa che non è possibile concluderle in un certo modo, cioè quello che voglio io naturalmente, dunque tutte queste affezioni producono situazioni che non sono, o appaiono non essere controllabili dal parlante, dalla persona, non controllabili comporta che la conclusione non è raggiungibile immediatamente oppure non è quella che va a confermare altre conclusioni ma anzi può metterle in discussione … Intervento: cioè dalla premessa? No, non è la premessa. Una serie di elementi cioè una situazione che è fatta da una serie di conclusioni non concorda con altre sequenze di conclusioni quindi di altre situazioni, per esempio il fanciullino che dice alla sua fanciullina che la ama però non si comporta nel modo in cui la fanciullina si aspetterebbe che si comportasse se effettivamente la amasse, per fare un esempio, sono situazioni, o affezioni che creano dei problemi, il problema è sempre legato all’impossibilità di controllare delle conclusioni, controllare delle conclusioni significa sapere di poterle concludere nel modo che si vuole naturalmente, se questo non si verifica per un motivo o per l’altro ecco che c’è il problema. Per una macchina, o per una persona che pensi in un altro modo di fatto non c’è il problema come è comunemente inteso, ma semplicemente delle operazioni da compiere come fa una macchina, fa delle operazione e raggiungere la conclusione, può essere più o meno rapido ma comunque la macchina sa che c’è sempre la soluzione, c’è sempre perché è all’interno del suo sistema e quindi non può non esserci: se è stata prodotta dal sistema c’è ovviamente la sua soluzione. Perché i paradossi sono stati considerati dagli umani da sempre delle formulazioni che non hanno soluzione? Ci si immagina, in qualunque paradosso, che la soluzione del paradosso debba venire da qualche cosa che è fuori dal sistema che l’ha costruito e cioè dal referente delle sequenze di questo sistema, immaginando che questo referente sia fuori dal linguaggio; quando Epimenide dice che lui è cretese e mente come tutti i cretesi, tutto questo non è inteso come una sequenza di proposizioni ma si immagina che Epimenide, sia lui, la persona in carne e ossa e quindi fuori dal linguaggio che fa una cosa del genere, altrimenti non c’è nessun paradosso, i paradossi sono risolvibili con un sistema che non è così lontano da quello di Russell, la teoria dei tipi, cioè accorgendosi che se c’è un paradosso è perché si stanno facendo due giochi differenti e questi giochi differenti hanno regole differenti, invece si immagina che questi due giochi abbiano le stesse regole e quindi non c’è verso di farli collimare … Intervento: … Questa in effetti è una delle virtù del linguaggio, dell’utilizzo dell’algoritmo come dicevo prima, la rapidità con cui è possibile risolvere qualunque così detto problema, se io dico cinque, questo è già un algoritmo significa “uno + uno + uno + uno + uno” questo è il metodo per arrivare a cinque, è un algoritmo stupidissimo ma è un algoritmo, ce ne sono di più complessi naturalmente … Intervento: perché hai detto che il linguaggio è un algoritmo? Perché è un metodo, è una sequenza di istruzioni, una sequenza di istruzioni che comprende il metodo nelle istruzioni stesse, cioè il modo per utilizzarle; come dicevamo tempo fa, così come anche nelle macchine non solo si mettono delle informazioni ma si istruisce del modo anche per poterle usare, se no queste istruzioni di per sé non fanno niente. Il linguaggio diciamo che è un metodo per costruire sequenze, sequenze di proposizioni, nient’altro che questo … Intervento: io pensavo che il linguaggio invece di essere un metodo costruiva il metodo per arrivare alla risoluzione di problemi per esempio … E come lo costruisce questo metodo? Intervento: attraverso istruzioni ma queste istruzioni devono seguire un metodo, anche loro? Loro stesse sono già il metodo, quando per esempio si fornisce un’istruzione a una macchina dico: “questa cosa che sto scrivendo è una istruzione” però la macchina deve già avere, perché io gliela ho messa dentro, un’altra istruzione che dice “qualunque cosa venga scritta è un’istruzione che quindi si connette con altre cose scritte che sono altre istruzioni” a questo punto obbedisce e una cosa scritta sa che è un’istruzione perché questa è un’altra istruzione e quindi a questo punto il metodo è già nelle istruzioni stesse, che non potrebbero essere istruzioni se non fossero … Intervento: non diventa poi autoreferenziale? Il linguaggio è autoreferenziale, non ha un referente fuori di sé … Intervento: l’algoritmo si riferisce comunque a dei calcoli matematici … Non necessariamente è semplicemente un metodo … Intervento: l’algoritmo è stato inventato dalla matematica … Ma non si usa soltanto nella matematica, anche se prevalentemente, ma consideralo soltanto un metodo per costruire delle sequenze che consentono la soluzione di un problema, un problema non necessariamente matematico. Comunque facciamo conto, come dici tu, che sia matematico … Intervento: come l’osservazione che non è autoreferenziale in quanto non si può dare una prova, non so come spiegare … Sì, ti riferisci all’arbitrarietà del calcolo numerico … Intervento: e quindi dandogli una definizione così rischi poi di far cadere anche il linguaggio nello stesso problema … No, perché l’aritmetica usa gli algoritmi, per esempio dicevo “uno+uno+uno”, questo è il sistema per calcolare cioè dici che uno+uno+uno è tre, ma questo metodo che ti consente di utilizzare delle informazioni è questo l’algoritmo; per esempio se io metto in una macchina un’informazione gli scrivo che qualunque cosa scriverò in seguito la considererà una informazione che va connessa con altre informazioni, quindi ogni cosa che entra è un’informazione che si connette con altre informazioni, questo è un algoritmo, cioè è un metodo, un metodo di procedura, il metodo è una procedura nient’altro che questo, una procedura che viene immessa in una macchina e che consente alla macchina di compiere dei calcoli in questo caso, però questa procedura, questo procedimento come algoritmo è molto semplice perché è la base per potere andare avanti, quindi qualunque cosa io descriva è un’informazione, qualunque informazione deve essere connessa con altre informazioni e ogni volta si ripete questa procedura, qualunque cosa io immetta si ripete la procedura cioè questa è un informazione e si connette con altre informazioni … Intervento: quindi lo scopo di un metodo è continuare a ripetersi? Si ripete sempre perché è l’istruzione fondamentale, quella base per potere costruire tutte le sequenze possibili, quindi si ripete sempre identico a sé … Intervento: e non potrebbe essere diversamente perché altrimenti cesserebbe tutto … Sì, certo, il linguaggio cesserebbe di funzionare se smettessero di funzionare queste istruzioni, queste procedure, che sono sempre le stesse perché il linguaggio funziona sempre allo stesso modo, e ogni volta che riceve un’istruzione mette in atto la stessa procedura, cioè riceve qualche cosa quindi questo qualche cosa è un’istruzione e quindi questa istruzione è connessa con altre istruzioni, all’infinito, sempre la stessa cosa … Intervento: quindi quando bisogna dare un perché a una fantasia bisogna rintracciare quale metodo viene usato? no, se il metodo è sempre lo stesso … Il metodo è sempre lo stesso per la costruzione di sequenze, poi perché sia una fantasia come abbiamo detto tempo fa occorre che questa sequenza insieme con molte altre per esempio in seguito a un inganno giunga a concludere che questa sequenza non è prodotta da dei comandi, da delle sequenze ma è stata costruita da qualcuno che è al di fuori di questo sistema, fuori dalla macchina, allora diventa una fantasia e incomincia ad attendersi la risposta, la soluzione, fuori dalla macchina. Intervento: il linguaggio è una sequenza di istruzioni e produce dei discorsi … la fantasia che qualche cosa è al di là del linguaggio non fosse l’al di là del linguaggio ma l’al di là del discorso … il linguaggio come sequenza di istruzioni è un altro discorso … Sta qui la questione, le istruzioni sono quelle cose che hanno costruito il discorso, però se immagino che ciò che ha costruito il discorso non siano queste istruzioni ma altro ecco che allora è un problema e incominciano i problemi effettivamente … Intervento: per ciascuno il suo discorso è vero … Come direbbe Wittgenstein, è il suo mondo … Intervento: non esiste un altro mondo, non esistono altri discorsi, esistono discorsi veri e discorsi falsi ma il mio è il discorso e quindi è il linguaggio … mi chiedevo come fosse sorta la fantasia che c’è qualcosa che non è linguaggio … Da un inganno, quello che chiamiamo inganno … Intervento: visto che per ciascuno il proprio discorso è il mondo, quindi è il linguaggio, è tutto … Comunemente però non si intende proprio così, ma che il discorso è il mio mondo certo però il linguaggio è lo strumento che mi consente di descriverlo, generalmente si pensa così anzi la quasi totalità delle persone pensano così e cioè che il linguaggio sia il modo per descrivere ciò che linguaggio non è. Va bene, ci vedremo mercoledì. 16-2-2010 Peano chiamò idee primitive i suoi assiomi, ne abbiamo già parlato in altre occasioni, per esempio quando dice che 0 è un numero, questa affermazione non può essere provata, di per sé non è né vera né falsa anzi, in realtà questo, insieme con gli altri assiomi, costituisce quelle regole che poi consentiranno di costruire delle proposizioni che daranno l’opportunità di verificare qualche cos’altro, ma finché non ci sono questi assiomi non c’è ancora nulla e appositamente le chiama idee primitive. Nel formulario matematico dice: il numero è una classe, 0 è un numero, e se a è un numero allora il successore di a è un numero. Dunque idee primitive che sono alla base di tutto, ciò che ha fatto effettivamente è porre e stabilire delle istruzioni, dire che 0 è un numero è un’istruzione, non viene da nessuna parte, non ha nessun fondamento, non ha nessuna dimostrabilità, non ha nessun verificabilità, “0 è un numero” è un’istruzione, un comando, io stabilisco che zero è un numero. Dati questi comandi è possibile, come ha fatto lui, costruire tutta la logica. Queste cinque istruzioni che utilizzano soltanto tre simboli sono la base di tutta la logica che ha costruito, che è interessante, perché in effetti è costruita semplicemente su dei comandi e non più facendo riferimento, come ha fatto la logica da sempre, facendo riferimento a un ipotetico, fantasmatico modo di pensare degli umani, un naturale modo di pensare, no, qui in Peano non c’è nulla di naturale ma semplicemente dà dei comandi: il numero è una classe, 0 è un numero e se a è un numero allora il successore di a è un numero, questi primi tre i fondamentali, gli altri due sono derivati per induzione. Peano sta dicendo che il numero è una classe, e cioè “questo è questo”, stabilisce un’identità che è la condizione per potere procedere, senza questa identi- tà cioè senza questa affermazione che dice “questo è questo” oppure “numero est classe” non si va da nessuna parte. Sorprendente è che lui stesso a un certo punto ponga un obiezione: se io scrivo A = A, questa uguaglianza in realtà non è tale perché per essere identici questi due elementi devono avere tutte le proprietà in comune mentre per esempio una A è a sinistra e l’altra A è a destra e quindi una proprietà non è in comune e quindi non c’è identità, però lui a questo punto è già scivolato dall’idea dell’istruzione a un principio ontologico, metafisico, che lui dice che non è dimostrabile, certo che non è dimostrabile, perché A = A non è né un principio ontologico né metafisico ma è un’istruzione, esattamente come quelle che ha poste all’inizio, e non dei principi primi che stanno da qualche parte in una sorta di iperuranio, non è una scoperta, sono istruzioni, sono comandi. Che Peano faccia questo discorso sull’identità ci mostra che lui stesso non ha inteso che cosa ha fatto in realtà, e cioè ha fornito delle istruzioni per la costruzione di proposizioni, logiche in questo caso, quindi anche lui si è trovato di fronte alla necessità di stabilire, per costruire tutto ciò che ha costruito, di stabilire delle regole da cui partire, dei comandi da cui partire, cosa che ha fatto, come dicevo, senza accorgersene. Indicando che questa affermazione “il numero è una classe” come un’idea primitiva cioè non è derivata da altro, esattamente come un’istruzione che non è derivata da qualche cosa, è un comando, pone la questione in termini straordinariamente interessanti cioè la logica stessa muove da qualche cosa che a questo punto non ha più nulla di naturale ma è prodotta da istruzioni, come andiamo dicendo ormai da tempo: la logica è una costruzione del linguaggio e non c’è nulla né di naturale nel linguaggio, né il linguaggio può essere posto come principio, non c’è nulla di metafisico e non c’è nulla prima di un comando perché è questo comando che avvia qualunque sequenza, così come il primo assioma. Peano lo pone come assioma ma non è propriamente una assioma, è un’istruzione: il numero è una classe, è da lì che parte tutto, prima non c’è niente … Intervento: abbiamo risolto il problema della regressio ad infinitum … Esattamente, non c’è nessuna regressio ad infinitum, ma è possibile certo pensare una regressio ad infinitum perché il linguaggio ci consente di fare anche questo, ma la regressio ad infinitum non può essere utilizzata per impedire un’argomentazione del genere perché è una costruzione che è possibile fare a partire da delle istruzioni, non c’è nessuna regressio ad infinitum prima del linguaggio, non è neanche pensabile ovviamente. Quando si giunge all’istruzione si arriva a fine corsa, fine corsa perché non c’è uscita dal linguaggio e quindi lì ci si arresta, ci si arresta alle istruzioni che lo costruiscono … Intervento: … Sì, Peano chiama questi assiomi, in realtà nella logica come abbiamo visto in varie occasioni gli assiomi sono intesi altrimenti, nella logica proposizionale per esempio gli assiomi sono intesi come delle sequenze che sono sempre vere qualunque valore di verità sia attribuito alla variabili, per esempio il più semplice di tutti è “se A, allora se B allora A” qualunque valore si dia alla A o alla B comunque questa sequenza sarà sempre vera in ogni caso, inesorabilmente. Il fatto che sia sempre vera non implica che sia dimostrabile ovviamente perché non c’è qualcosa prima, non c’è qualcosa che giustifichi una cosa del genere, sì, si può dimostrare con le tavole di verità che è sempre vero, però come dimostrare che è corretto questo pensiero? È così naturalmente, mentre Peano indica che “il numero è una classe” è un assioma, che è diverso ovviamente, ché non è sottoponibile in questo caso a nessun criterio verofunzionale, è ancora più forte di un assioma perché qui si vede chiaramente che è un comando: “il numero è una classe” perché? Perché sì, non c’è una spiegazione, non c’è un motivo … Intervento: però lui non dice “perché sì”, mi pare di capire … No, dice che è un’idea primitiva … Intervento: tra quello che afferma lui e Severino, che in Tautotes ricercava l’affermazione dell’identità senza mai riuscire a mostrarla in qualche modo, diceva ci deve essere da qualche parte, certo se non è un’istruzione, una decisione non c’è da qualche parte … Si potrebbe anche scrivere che il numero è uguale a classe volendo, il numero è una classe, quindi numero = classe, non lo pone come qualcosa che è dimostrabile, non cerca la dimostrazione di questo, non cerca il fondamento da qualche parte, lo afferma e chiuso il discorso, anche se come ho detto prima non si accorge che è un’istruzione, infatti il discorso che fa poi sull’identità ci fa vedere che non l’ha intesa proprio come istruzione perché lì cerca l’identità ontologicamente, dice se A è uguale ad A allora entrambi questi termini devono avere, per potersi sostenere questa affermazione, prendendo per buona l’idea che l’identità sia data dal fatto che ciascun elemento, ciascuno dei due elementi dell’identità debba necessariamente avere tutte le proprietà dell’altro, necessariamente tutte, ma questa idea è un’altra decisione, un’altra istruzione e quindi che A sia uguale ad A non può essere provato perché è un’istruzione. Stiamo dicendo che il linguaggio stabilisce che questo è questo, cosa che non ha nessuna prova, nessun sostegno, nessuna dimostrazione, nessuna ragione se vogliamo proprio dirla tutta, d’altra parte che ragione c’è per l’esistenza del linguaggio? Nessuna. Questa argomentazione che abbiamo tratta da Peano potrebbe essere utile in alcuni casi per accostare quello che ha fatto Peano a ciò che di fatto stiamo dicendo noi, e cioè che si tratta di istruzioni e mostrare che qui Peano ha dato delle istruzioni perché non c’è nessuna ragione per dire una cosa del genere, nessuna, non sono dimostrabili, non sono sostenibili, non vengono da un ragionamento così come le istruzioni non vengono da un ragionamento, sono comandi così come quelli di una macchina e il linguaggio è questi comandi. Abbiamo distinto a scopo puramente didattico il linguaggio dal discorso, diciamo che il linguaggio è una sequenza di istruzioni, un algoritmo, dicevamo, e il discorso è l’esecuzione di questo algoritmo … Intervento: se non si sa che sono istruzioni quando si legge un libro, cosa si fa? Il tentativo è quello di interpretarlo e quindi traslando da questa argomentazione è come se l’interpretazione diventasse una sorta di rimedio alla conoscenza degli assiomi e quindi … io mi trovo di fronte a un discorso cerco di capirlo e ovviamente cerco di capirlo attraverso le mie fantasie e magari non capisco assolutamente nulla e costruisco un altro discorso su quel discorso che sto interpretando ma non arriverò mai a capire la logica di quel discorso perché non ne conosco gli assiomi se non si sa che rispetto a un discorso funzionano delle istruzioni, delle regole è chiaro che a questo punto mi trovo a fare un lavoro di interpretazione che lì sì….mi veniva in mente cominciare a leggere quel libro dopo dieci pagine ci si trova di fronte a qualche cosa che si deve decifrare mentre invece non sarebbe necessario decifrarlo se uno avesse le istruzioni di base … Per esempio Peano con il simbolo + intende successore di, se non lo sa e vede un + potrebbe chiedersi: cosa vorrà dire? In tutto questo c’è anche un risvolto clinico, per questo noi insistiamo sul reperimento delle premesse, di quegli asserti su cui si è costruito un discorso e che lo fanno essere quello che è, per questo se una persona è a conoscenza di quelle affermazioni, di quegli asserti che sostengono il suo discorso è già a buon punto, sa che le conclusioni cui giunge vengono da lì, da questi asserti e se li ha interrogati allora li ha riscontrati essere assolutamente arbitrari e quindi le conclusioni saranno totalmente arbitrarie, a questo punto non gli resta che assumersi la responsabilità perché non è più un dato di fatto ma sono io che se parto da lì, che è una mia strampaleria, è ovvio che arrivo qua. In effetti come molti che ci ascoltano dicono è riduttivo, certo, riduce all’osso tutto, anche la clinica in effetti potrebbe, anche se bisogna lavorarci ancora, però potrebbe essere ridotta effettivamente all’essenziale, al reperimento di quegli asserti che consentono al discorso di concludere le cose che conclude, qualunque cosa sia … Intervento: dicono che è sempre riduttivo perché deve sempre esserci qualche cosa che fa funzionare magicamente il tutto … gli umani non sapendo di essere linguaggio hanno in mente che ci sia un linguaggio privato, esattamente come il linguaggio degli animali- mi pare brutto da dire – o dei fiori che la persona si fa e che non siano fantasie utilizzate per lo più all’interno di quel sistema che li fa “esistere” … Occorre riflettere sulla questione clinica, usiamo ancora questo termine che forse andrebbe sostituito con qualche altra cosa, ma per il momento giusto per intenderci, che posta in questi termini effettivamente potrebbe svolgersi come questi primi tre assiomi: una persona parla e si ritrova ad affermare certe cose, queste cose che afferma sono la conseguenza di una serie di passaggi che muovono da degli asserti che sono stati dati per acquisiti, per veri necessariamente se no non potrebbe giungere a quelle conclusioni, questi asserti sono presenti lì generalmente, mentre si sta parlando perché implicano quelle conclusioni e una volta che questi asserti sono manifesti, nel senso che sono inevitabili perché quello che dice non può che venire da lì, il saperlo già non è indifferente … Intervento: Lei diceva che l’analista occorre che ascolti come una macchina quello che avviene nel discorso quindi colga le affermazioni che la persona fa e quindi le conclusioni che la persona fa e come avviene l’intervento dell’analista che è lì per mostrare alla persona le conclusioni di premesse che non sono state messe in gioco cioè rese verofunzionali ma accolte senza nessun problema? Come farebbe una macchina? Allora facciamo conto che sia una macchina invece dello psicanalista, la macchina ascolta un discorso, considera le conclusioni di questo discorso, verifica “questa conclusione è vera o falsa?” non è né vera né falsa perché mancano informazioni, ci vogliono altre informazioni e quindi chiede informazioni, chiede input, la macchina fa così, chiede input per potere stabilire da dove arrivano queste conclusioni, chiaramente chiedendo altre informazioni si troverà di fronte di nuovo ad altre conclusioni quindi chiederà ancora altre informazioni, finché queste informazioni giungono a quell’elemento o a quegli elementi che sono la condizione delle prime conclusioni che ha ascoltate ed è a quel punto che può affermare con certezza che le premesse da cui è partito tutto il discorso non sono verificabili, non sono né vere né false, cioè sono arbitrarie; a questo punto o si mettono in discussione queste affermazioni e se ne cercano altre però la persona a un certo punto può non averne più, potrebbe essere presa in una sorta di circolo vizioso e allora a questo punto la conclusione della macchina è che tutta l’argomentazione è arbitraria cioè non è fondata su niente, non è né vera né falsa, a questo punto che fa la macchina? Semplicemente decide, arrestandosi, che il discorso che ha sentito non è verificabile in nessun modo e quindi la persona trae dalla macchina questa informazione, che tutto il suo discorso non è verificabile in nessun modo, non esiste nessuna verifica di quello che dice, di tutte quelle cose che afferma con tanta certezza, perché muove da asserti che sono arbitrari, gratuiti e a questo punto la persona si trova di fronte al suo discorso come a un discorso totalmente arbitrario, totalmente gratuito e allora ecco che sostenere questo discorso comporta la sua responsabilità, non è più indotto a pensare che dice così perché le cose stanno così, ma dico così perché io ho costruito così, perché mi piace così in base a certe fantasie, cioè altre sequenze. La macchina potrebbe anche mostrare che tutte queste fantasie, questi discorsi sono costruiti da un qualche cosa, perché se continua richiedere input la macchina ad un certo punto arriva effettivamente e necessariamente alle istruzioni da cui è partito tutto quanto, cioè da una affermazione di identità: “questo è questo”. Per potere costruire tutto ciò che ho costruito cioè tutte le mie conclusioni, le mie paure, i miei affanni i miei accidenti di ogni sorta sono dovuto partire da “questo è questo”, se no tutto quanto non si sarebbe potuto costruire, a questo punto la macchina è soddisfatta, è arrivata a fine corsa: “questo è verificabile?” chiede la macchina, no non è verificabile però è la condizione di ogni verificabilità, perché la macchina ha già queste istruzioni ovviamente. Ecco questo è grosso modo quello che farebbe la macchina. Tu da adesso in poi devi allenarti, abituarti a cercare di confutare tutto quello che dico, cara Eleonora, è un esercizio logico e retorico anche, non perché mi vuoi male, ma esercitarti a controargomentare in termini logici e retorici a qualunque cosa … Intervento: anche al funzionamento della macchina? Sì, tutto. Questa cosa che è sfuggita a Peano a noi può essere utile anche retoricamente, Peano è sempre un’auctoritas da utilizzare nei dibattiti pubblici … Intervento: rispetto al sintomo mi chiedevo alla luce di quanto diciamo noi dovrebbe essere la conclusioni di una serie di argomentazioni però se il sintomo è una conclusione che è ritenuta vera non può non resistere … Resistere? Non più di quanto resisterebbe una fede in dio … Intervento: leggevo per la psicanalisi tradizionale “chiunque difende la propria verità resiste” quindi il sintomo ha questa funzione di verità in qualche modo, quindi non si può rinunciare al sintomo che sarebbe come rinunciare a una verità, da una parte si pone che il sintomo si possa eliminare semplicemente tout court però è come se il sintomo fosse l’ostacolo all’accesso di una sorta di verità che riguarda il soggetto … La psicologia lo pone così … Intervento: mentre invece il sintomo è l’espressione di questa verità perché è un’affermazione vera, date certe premesse il sintomo non può confermare la verità di questi assiomi, questo per dire che il fatto che sia resistente il sintomo è dato da questa sua natura di verità, perché la persona prima lo difende e poi se ne parla per cui la rinuncia al sintomo è la disposizione di ciascuno a difendere la sua verità … È per questo che per fare un’analisi occorre che la persona la voglia fare, e cioè sia disponibile a interrogare le cose che pensa, se non lo vuole non si può fare assolutamente niente … Intervento: anche una fede religiosa è un sintomo … Sì, il sintomo è una fede religiosa. 23-2-2011 Questa sera voglio fare qualche precisazione sulla questione delle istruzioni: questi comandi che fanno avviare ogni cosa, a partire dalla prima considerazione e cioè che A è uguale ad A, cioè A è A, che equivale a dire “questo è questo”, questa istruzione ponendosi in questo modo dice che se A è A allora esclude che A sia non A, questo deve essere escluso, cioè A non può essere non A, perché questo? Perché sarebbe come dire che l’istruzione, a questo punto, non stabilisce qualche cosa, se dice che A è A stabilisce qualcosa, se dice che A non è A non stabilisce niente, è come dire che questo non è questo, e quindi non stabilendo alcun comando, alcuna istruzione, di fatto non può avviare niente perché non c’è nessuna istruzione. Se c’è un’istruzione allora è necessario che A sia A e cioè che sia esclusa la possibilità che A sia diverso da A, ciò che A non è, o meglio ancora, tutto ciò che non è A, B per esempio non è A, deve essere necessariamente differente da A. Questa identità, che ovviamente come ormai sappiamo non è né un principio ontologico né metafisico ma è solo un comando, stabilendo questo viene stabilito anche che c’è qualche cosa che non è A e viene escluso dalla A, e ciò che non è A, è B, è C, è D cioè qualunque altra cosa. In questo primo comando che dice che A è A, come abbiamo visto, è necessariamente esclusa la possibilità che A sia anche non A, e di conseguenza esiste qualcosa che non è A, ma questo qualcosa che non è A, appunto non è A, ma è un’altra cosa quindi qui abbiamo un primo comando nel quale è implicita l’esistenza del secondo, e cioè che esiste qualche altra cosa oltre ad A; questa altra cosa naturalmente deve essere identica a sé, per esempio B deve essere B ovviamente, questo è importante perché ci fa intendere come sia possibile nel linguaggio che venga esclusa la possibilità della contraddizione, come dicevamo prima, se si desse la possibilità di A e non A allora questo comando non sarebbe un comando, non sarebbe niente, una volta stabilito questo, e cioè che un elemento è se stesso e che un altro elemento è se stesso anche lui, ma altro dal primo, c’è un passo, un passaggio che a questo punto appare inevitabile e cioè che se un elemento è se stesso non può essere altro, che equivale a dire che se A è uguale ad A allora A non è uguale a B, questa è la implicazione che interviene a questo punto, che dice semplicemente che se un elemento è se stesso allora non è altro da sé, questa è l’implicazione base da cui si parte, come dire che se A è identico ad A è impossibile che A sia anche differente da sé. Questo si formula generalmente sotto forma di inferenza cioè (se A allora non (non A)), questa istruzione, questo comando che è implicito nel primo è quello che consente di incominciare a mettere in relazione le cose fra loro e cioè connettere una identità con l’impossibilità della differenza, sempre da sé ovviamente, come dire che se A è uguale ad A allora non è possibile che A sia differente da sé. Tutto ciò, come dicevo, sorge dal primo comando che è quello che riguarda l’identità e cioè l’asserzione del “questo è questo”, e se questo è questo allora è escluso che sia altro. Nel primo comando che viene fornito nel momento in cui il linguaggio si avvia ci sono di fatto all’interno di una unica istruzione che è “questo è questo” altre due istruzioni che seguono necessariamente, non perché ci sia un ragionamento ovviamente ma per il semplice fatto che affermando “questo è questo” si stabilisce in quel preciso istante anche l’esistenza, nel momento in cui si dice “questo è questo” avviene quel fenomeno che dopo prenderà il nome di esistenza, e se qualcosa incomincia a esistere, come di fatto accade, allora da quel momento in poi ogni asserzione avrà questa forma, cioè “questo è questo”, che continuerà a ripetersi all’infinito, e si ripete all’infinito perché è l’unica istruzione che il linguaggio fornisce, non ce ne sono altre, c’è un’istruzione che comporta che se A, un elemento, è se stesso, non può essere differente da sé e questa è la base, e in questo c’è anche la possibilità di inferire: se questo è se stesso allora non può essere un’altra cosa … Intervento: quindi da per implicito che ci siano altri elementi però finché non c’è l’identità per questi altri elementi … Non c’è niente, nel momento in cui c’è la prima identità, il “questo è questo”, cioè la prima esistenza, naturalmente l’addestramento al linguaggio non si arresta lì, intervengono altre informazioni … Intervento: mi scusi, perché se non avesse implicito in questa istruzione, questo comando che comunque questa identità da per scontato che essendo A = A non è non A e quindi stabilisce sì l’identità ma dicendo non è non A in questa implicazione questa non A esiste in qualche modo ma è da identificare, quello che voglio dire è che se fosse questa prima implicazione, la tautologia “se A allora A” non avesse all’interno di sé la relazione comunque con possibili altri elementi ecco che allora che cosa identificherebbe? Solo una identità? Ma non avrebbe la possibilità di dare altro, costruire altro insomma, la relazione con altro … Vi faccio un esempio: supponiamo il solito bambino in braccio alla mamma, la mamma incomincia a dirgli indicando se stessa “questa è la mamma” che è una forma del “questo è questo” in quel momento che cosa avviene? Avviene un’identificazione, un’identificazione attraverso delle parole, questa identificazione fa esistere ciò che in quel momento viene indicato perché prima non esiste, occorre che ci sia questa possibilità di identificare quella cosa come mamma e da quel momento esiste. Ora lasciamo stare tutte le stupidaggini psicologiche che dicono che anche prima del linguaggio c’è un’identificazione, tanto non lo sapremo mai quindi è inutile stare lì, ma resta il fatto che nel momento in cui si incomincia a identificare attraverso il linguaggio qualcosa, questo qualcosa esiste e cioè si trova in quella posizione che dopo verrà annotata come esistenza, dopo, adesso non c’è niente, dicendo questa è la mamma si fornisce questa indicazione e cioè “questo è questo” ora cosa succede in quel momento? Che quando identifica un quid come la mamma tutto ciò che non è la mamma diventa non mamma, è un’altra cosa, questo per esempio può essere frutto di un addestramento “questa è la mamma” “questo è il fratellino” etc. ecco che individuando degli elementi il linguaggio incomincia a costruire delle identità dei “questo è questo” ciascuna cosa “questo è Cesare” ecco “questo è questo” come dire che le cose incominciano a esistere nella parola e per la parola, perché è la parola che identifica qualche cosa e quindi identificandolo, adesso usiamo un modo di descrivere un po’ rozzo, ma lo fa uscire da una cosa amorfa, dove nulla è distinguibile di fatto, è la parola che fa stagliare un qualche cosa dal nulla praticamente, e qui ecco che si avvia l’esistenza di qualche cosa: dire “questo è questo” e dire l’esistenza è la stessa cosa, perché di fronte a questo primo “questo è questo” non c’è nessuna possibilità di articolare un pensiero critico rispetto a una cosa del genere, non c’è niente, semplicemente “questo è questo”, e non è neanche una verità ma è ciò che dopo si chiamerà esistenza delle cose o la realtà, quello che vi pare. Le cose incominciano esistere perché il linguaggio si è installato e installandosi il linguaggio si avvia la possibilità di identificare le cose e cioè di fare funzionare il “questo è questo” che è stato già introdotto nel momento in cui è stato mostrato qualcosa, perché per gli umani spesso avviene così, attraverso il mostrare le cose, non è necessario in realtà perché per esempio una macchina potrebbe acquisire e acquisisce informazioni senza che nessuno gliele mostri, però noi atteniamoci agli umani per il momento, essendo gli umani orientati visivamente per lo più, avviene attraverso la vista e quindi dicevo, le cose incominciano a esistere: ogni cosa che viene mano a mano identificata è una cosa che esiste, non c’è nessuna possibilità di mettere in discussione una cosa del genere, però incominciano ad avvenire anche dei fenomeni, quand’è che il linguaggio incomincia a costruire delle sequenze, delle proposizioni in cui c’è un giudizio, per esempio, una valutazione anche molto semplice ovviamente? Tecnicamente è già possibile nel momento in cui si afferma la prima istruzione, per esempio cosa accade quando la mamma, dico la mamma perché è in genere lei che si occupa di queste cose, che ha detto “io sono la mamma” quindi qualcosa ha incominciato a esistere identificandosi, la mamma scompare per qualche motivo, può darsi che non succeda assolutamente niente ovviamente però c’è anche la possibilità che grazie a questa prima istruzione che ha identificato qualche cosa, questo qualche cosa incomincia a partecipare di altre possibilità, per esempio la mamma c’è ma poi non c’è più, perché si accorge che non c’è più? Per via del fatto che l’ha identificata e quindi sa che cosa non c’è più, che è fondamentale, è come dire che a quel punto sa che cosa deve cercare, se non c’è. Incominciano qui a intervenire delle prime cose molto semplici ovviamente, per esempio il fatto che la mamma sia presente può comportare il mangiare, e quindi qualcosa di piacevole a cui viene associata per esempio la presenza della mamma, ora all’assenza della mamma viene associata l’assenza anche di cibo o la possibilità dell’assenza di cibo? È improbabile che in quelle condizioni possa venire associata una cosa del genere, forse da questa via non andiamo molto lontani, però se nella prima istruzione è presente la possibilità o meglio la necessità che un elemento sia se stesso e quindi non sia altro allora questo fatto, che non sia altro, comporta effettivamente, come diceva Beatrice, che qualche altra cosa possa darsi, come dire “apro una possibilità” poi che ci sia o no questa è un’altra questione, però apre la possibilità. Sarebbe interessante qui intendere come il linguaggio incominci a costruire delle proposizioni, delle sequenze, cosa che non abbiamo mai fatto in realtà, abbiamo soltanto detto che quella è la condizione per la costruzione di proposizioni, che è vero, ma come avviene una cosa del genere? È Turing a metterci sulla strada giusta per rispondere a questa domanda, è vero che la prima istruzione è quella che dà l’avvio a tutto quanto, ma dopo questa prima istruzione e sul modello di questa prima istruzione si incominciano a fornire altre istruzioni, e cioè si incominciano a fornire, come direbbe Wittgenstein, dei modelli d’uso e cioè si incomincia a insegnare a parlare e cioè qual è l’uso dei vari elementi, dei vari termini. Naturalmente ciascuna di queste nuove istruzioni, che non sono necessarie perché possono variare, possono essere di qualunque tipo a seconda di infinite variabili, ma ciò che non varia mai è il modello che abbiamo stabilito, cioè “questo è questo” “A = A” “A è A”, qualunque istruzione che si darà in seguito, dovrà necessariamente avere questa struttura, non può avere una struttura differente se no non è un’istruzione, quindi fornendo alla macchina o al bambino delle nuove istruzioni è come se gli si mostrasse in che modo questa prima istruzione può funzionare, in che modo può costruire altre informazioni, così come si addestra una macchina, fornendo altre istruzioni oltre a quelle base che la fanno girare, si illustra, si mostra alla macchina in quanti modi può essere utilizzata l’informazione di base, però ogni istruzione comunque sarà una istruzione di base, con aggiunta di qualche variante, per esempio non sarà più A è A ma A 1 è A1, A2 è A2, etc. cioè tutte le possi- bili varianti. Queste istruzioni che vengono mano a mano inserite costituiscono la possibilità di ampliarsi a loro volta tecnicamente all’infinito. Un’altra cosa che è possibile considerare è come si costruisca una fantasia o che cosa la costruisce. Avevamo detto che queste istruzioni vengono fornite da qualcuno e quindi rimane la necessità in un certo senso che sia sempre qualcuno a fornire istruzioni, come se la persona da sé non fosse in grado di fornirsele e in effetti questa è la fantasia, e cioè che ci sia la necessità di qualcuno o qualcosa che continui a fornire istruzioni, anche perché in fondo per tutta l’esistenza viene mantenuta sempre, ma perché? Perché ogni nuova istruzione deve essere ed è sempre comunque raffrontata alla prima istruzione, che è il “questo è questo”, quindi quando arriva una nuova istruzione questa nuova istruzione non necessariamente può esibire tutta la catena che l’ha costruita, e quindi si pone, per potere accoglierla come tale, deve in qualche modo soddisfare le istruzioni di base e cioè potere affermare “questo è questo”, qualunque cosa sia: ma questo è davvero questo? A un certo punto di complessità la cosa può non essere così evidente, però la domanda è sempre questa, e tutta la ricerca degli umani da quando esistono è mossa dalla necessità di comparare ciò che incontrano, ciò che costruiscono mano a mano con l’istruzione fondamentale, se no non avrebbero nessun motivo di cercare niente, di sapere se le cose sono vere o non sono vere, non gliene importerebbe nulla, non si porrebbe neanche la questione e invece come sappiamo bene da quando esistono non fanno altro che cercare la verità e cioè vedere se una certa conclusione collima, risponde o rende conto dell’istruzione fondamentale, e cioè se “questo è davvero questo”. Per questo dicevamo che gli umani per tutta la loro esistenza non fanno nient’altro che affermare qualcosa, lo affermano o per stabilire che questo è questo oppure sono in attesa di potere affermare “questo è questo”, comparandolo con altre cose che hanno acquisite, naturalmente muovendo dall’idea che sia sempre qualcun altro o qualche cos’altro a stabilire una cosa del genere, e da lì sorgono le fantasie e cioè l’idea che la verifica ultima, l’ultimo “questo è questo” che stabilisce tutto non spetti a loro ma a qualche cos’altro per esempio a dio, alla natura o a un accidenti qualunque, come dire che ogni cosa è vera in attesa di essere verificata, cioè qualunque cosa è un’ipotesi, qualunque certezza affermata dalla fisica, dalla scienza, dalla filosofia, di fatto è un’ipotesi in attesa di essere verificata. Ciò che è accaduto in questi ultimi tre mila anni mostra che questa verifica non solo non è mai stata fatta ma non si può fare perché trovare quell’elemento fuori dal linguaggio che verifichi tutto comporta un paradosso, comporta una situazione irrisolvibile, perché se è fuori dal linguaggio o meglio se si cerca questo elemento che deve verificare tutto il sapere degli umani al di fuori del linguaggio, se è fuori dal linguaggio non può fare niente. A questo punto si sappiamo perché gli umani cercano sempre qualcosa, e anche perché si costruisce una fantasia, perché procede dall’idea che debba essere qualche cosa che è fuori dal linguaggio a giustificare tutta la catena, ma come si costruisce? Si costruisce a partire naturalmente dalle prime istruzioni, si costruisce come qualunque cosa, qualunque teoria è costruita come una fantasia e cioè si muove da un asserto che non può essere provato ma che si usa comunque come se fosse un’istruzione, il problema è che non sapendo o meglio non potendo pensare che sia un’istruzione, un gioco, ma immaginando che sia un fondamento, rimane sempre in attesa di essere verificato, non potendo essere verificato in nessun modo allora si crea quella forma retorica nota come entimema, e cioè un sillogismo dove la premessa maggiore non c’è e bell’e fatto. Questa premessa non c’è perché non è verificabile in nessun modo, in fondo Wittgenstein diceva che la dimostrazione dimostra in realtà soltanto che abbiamo svolto il gioco correttamente, ma non è possibile dimostrare la dimostrazione perché si piomba in una regressio ad infinitum che non ha nessuna soluzione, e quindi la scienza stessa se dovesse non soltanto costruire delle conclusioni, dei teoremi che devono essere validi, ma se dovesse anche dimostrare la validità della dimostrazione, la scienza stessa risulterebbe non scientifica. Se dessimo come definizione di scienza questa, e cioè un percorso che deve non soltanto costruire conclusioni e dimostrarle vere ma dimostrare anche la validità della dimostrazione che ha consentito la costruzione di quelle conclusioni, cosa che può fare, direi non lo può fare per definizione, allora la scienza non è scientifica, non può provare niente al di fuori del gioco che si è inventata. Ma tutte le teorie, senza accorgersene ovviamente, sono costruite come dei giochi cioè si danno delle regole ma che non sono considerate delle regole, non sono pensate come delle regole per giocare, per l’antica ambizione degli umani di trovare il fondamento, naturalmente fuori dal linguaggio, e che non troveranno mai in nessun modo e per nessun motivo, però la tecnica è sempre la stessa, che sia la costruzione di una fantasia, di una teoria anche la più sofisticata comunque è quella: si parte da qualche cosa che è una regola per giocare, stabilito questo ci si attiene alla regola e si costruisce tutto quanto così come si fa con una fantasia, solo che la premessa maggiore non c’è nel senso che non può essere verificata e quindi il più delle volte è sottaciuta, e allora ci si rimette all’esperienza, o si dice che si ragiona così perché si ragiona così, ma tutto questo non fa che riprodurre quella informazione da cui scaturisce tutto e cioè “questo è questo” cioè A è A, e la ripete all’infinito. La “maledizione” degli umani è consistita proprio in questo, e cioè nel tentativo disperato da parte anche di persone di una certa intelligenza di dimostrare che A è A, ma non si può fare, Peano come dicevamo la volta scorsa ha aggirato la questione ponendolo come assioma, poi ci ricade come abbiamo visto ma se ci si mette a volere dimostrare questa prima istruzione che pure è stata colta non come istruzione ma come fondamento si gira a vuoto, perché non c’è nessuna possibilità di dimostrare la validità di un’istruzione, perché non è né vera né falsa, è un comando. Se io dicessi: “Eleonora alzati!” quello che ho detto è vero o falso? Non ho nessuna possibilità di stabilire una cosa del genere, è questa la “tragedia” sempre tra virgolette degli umani da quando esistono su cui, come dicevo prima, si sono arrovellate anche menti notevoli per qualche verso ma senza nessuna possibilità di venirne a capo, eppure bastava considerare il funzionamento di una macchina, certo una volta le macchine non c’erano. Il modo in cui si addestra una macchina non è dimostrabile, alla macchina si forniscono delle informazioni che serviranno alla macchina per potere stabilire se una certa cosa, rispetto a certi parametri, è vera o è falsa. È vero che due assi battono due jack? Certo che è vero, una volta che si accolgono le regole del poker è verissimo, ma fuori dal poker, come sappiamo, non significa niente, è dimostrabile che due assi battano due jack? Ecco tutti gli asserti della scienza hanno la stessa forma: due assi battono due jack, sono dimostrabili? No, a meno che non si accolgano le regole del poker, e allora si eseguono delle istruzioni, ma sono soltanto una esecuzione. Di tu adesso Eleonora, che ce ne facciamo di tutto ciò? Troviamogli un utilizzo … Intervento: nell’ambito teorico a dare un fine alla ricerca della verità … Anche, quando il linguaggio si installa, da quel momento incominciano a esistere tutte le cose, ma queste cose che incominciano a esistere, grazie al linguaggio ovviamente, alle parole che identificano e che identificando rendono identiche a sé e quindi esistenti le varie cose, che non ci sono prima, costruisce le cose in modo tale che agli umani appare di accorgersi delle cose e sono indotti a pensare che queste cose esistessero anche prima di loro, prima che incominciassero a parlare e sono indotti a fare questo perché chi li addestra al linguaggio gli racconta cose che accadevano prima di lui, a questo punto se si unisce a questa informazione quell’altro inganno per cui è sempre qualcuno o qualcosa che fornisce l’esistenza, la verità delle cose, il gioco è fatto, l’umano è preso in una rete da cui non esce più e infatti non c’è mai uscito, e quindi continua travolto in questa sorta di ingenuo realismo metafisico a credere che la realtà esiste, che le cose ci sono, le vedo e quindi esistono, senza accorgersi nemmeno che questa affermazione è arbitraria cioè in quel momento si stabilisce, si dà una regola: ciò che io vedo chiamo esistenza, chiamo realtà, ma questa è una regola che stabilisco io in quel momento e il fatto che siano cento a stabilirlo, o mille o cento milioni non cambia assolutamente niente; il fatto che ci siano sul pianeta cinque miliardi di persone che credono in un dio non comporta che questo dio debba esistere da qualche parte, accorgersi di questo già sarebbe importante, perché non sto enunciando una verità riguardo alla realtà o all’esistenza delle cose, sto semplicemente imponendo un criterio e cioè un’altra regola del gioco, nient’altro che questo, qualche questione intanto? Eleonora, avevamo detto che dovevi confutare tutto. In effetti non è semplice, perché a questo punto qualunque confutazione deve esibire la validità delle premesse da cui muove e questo potrebbe non essere facile, mentre il discorso che stiamo facendo può esibire la validità delle premesse da cui parte perché le premesse da cui parte sono quelle istruzioni che consentono di costruire qualunque altro discorso, o anche qualunque tentativo di confutazione necessariamente deve muovere da delle premesse che dà per acquisite ovviamente se no non sono premesse, sempre per via delle regole iniziali, cioè del “questo è questo”, che deve essere identico a sé quindi deve essere accertato, identificato, quindi le premesse sono necessarie per questo, perché identificano un elemento e una volta identificato ecco che può asserire qualcosa, può se non altro comparire come istruzione, se no non è un’istruzione, non è niente e non istruisce nulla. Avete presente questo discorso che ogni tanto salta fuori sulla scientificità oppure no della psicanalisi? Una cosa del genere è risibile, è risibile perché è sufficiente modificare la nozione di scientificità e questo lo possiamo fare perché chiunque abbia fornita prima di noi la definizione di scienza, lo ha fatto in modo arbitrario, non può esibire un criterio di validità tale per cui la scienza debba essere necessariamente quello che dice lui. Dunque possiamo utilizzare una definizione di scienza tipo quella che ho proposta prima, tale per cui neppure la scienza risulta essere scientifica, oppure utilizzare come definizione di scienza quel percorso che giunge a delle conclusioni tali per cui l’intero percorso viene modificato dalla conclusione, e allora data questa definizione di scienza che pure è legittima la psicanalisi rientra all’interno di questa definizione di scienza, e quindi è scientifica, basta modificare la definizione, e può sempre farsi perché non c’è nulla al mondo che costringa ad accogliere una definizione di qualche cosa se non per un giudizio prettamente estetico. Cosa dovrebbe fare una definizione? Indicare quali sono le caratteristiche, le proprietà di qualche cosa senza le quali caratteristiche o proprietà questo qualche cosa non c’è, questa è una definizione di definizione più corretta di quelle che trovate sui dizionari, non sempre i dizionari sono attendibili certe volte bisogna inventare delle altre definizioni per renderle più corrette, però a questo punto come faccio a conoscere quali sono le caratteristiche proprie di una certa cosa? Se questa cosa è fuori dal linguaggio, in una sorta di empireo e allora come faccio a conoscerla? O è linguaggio, e allora è stata prodotta dal linguaggio e essendo stata prodotta dal linguaggio la sua esistenza è totalmente arbitraria e quindi torno a dirvi che posso definire come mi pare. Bene, direi che per questa sera abbiamo detto abbastanza. 2-3-2011 Mercoledì scorso abbiamo precisato che all’interno del linguaggio, per il suo funzionamento, è necessario che un elemento non sia autocontraddittorio, cioè non neghi se stesso, e questo per un motivo particolare, perché l’elemento che viene posto nell’istallarsi del linguaggio, per esempio una delle prime istruzioni, non può negare di essere un’istruzione, perché ogni volta che si afferma qualche cosa, questo qualche cosa che si è affermato diventa parte e partecipa di tutte le informazioni che sono utili al discorso per costruire delle altre cose, ma fino dal momento in cui il linguaggio si installa una istruzione che, per esempio, può essere A = A cioè il “questo è questo” per intenderci non può essere negato, non può affermare “questo non è questo”, semplicemente perché dicendo così dice che questa istruzione non è un’istruzione e quindi il linguaggio non può avviarsi in nessun modo. È per questo motivo che si mantiene all’interno del linguaggio e quindi in qualunque discorso, il linguaggio è una sequenza di istruzioni che costruiscono proposizioni, le proposizioni discorsi, e i discorsi storie di ogni genere, e quindi l’importanza di tutto ciò è che rende conto del motivo, del perché gli umani non possono contraddirsi, se non retoricamente, ma questo è un altro discorso, se si contraddice non può proseguire, e questo proviene dalla struttura stessa del linguaggio che impedisce che un’affermazione così come un’istruzione non possa contraddire se stessa, non possa dire che non è un’istruzione, se no il linguaggio, primo non può partire, secondo non può proseguire, nel caso fosse già partito. Una istruzione autocontraddittoria dice di sé di non essere quello che è, e quindi non può proseguire. È per questo che quando sorgono paradossi in qualunque teoria lì il discorso si arresta, deve trovare un’altra strada per procedere, e questo si mantiene in qualunque forma, gli umani non possono contraddirsi perché il linguaggio vieta che nel momento in cui qualche cosa si pone come un’istruzione cioè “questo è questo”, vieta che venga negata questa istruzione, per il solo fatto che negandola, come vi dicevo, il linguaggio non potrebbe avviarsi in nessun modo cioè non potrebbe esistere. Era questo che dicevamo grosso modo, quindi a questo punto, abbiamo gli strumenti per intendere in modo preciso il funzionamento del linguaggio, perché funziona in questo modo e perché non può funzionare altrimenti, e tutto questo è la base di ciò che ci interessa rispetto a un’introduzione alla psicanalisi, un’introduzione alla psicanalisi. Occorre naturalmente fornire degli insegnamenti alle persone che ci ascoltano, si può partire anche da Freud, anche perché le persone generalmente conoscono Freud, associano alla psicanalisi Freud, cosa ha fatto Freud? Ha inventato la psicanalisi ma come l’ha inventata? Ha immaginato un apparato psichico, questo è il fondamento della sua teoria, un apparato psichico che è fatto da un Es, un Io, un Super Io, nell’Es ci sono per esempio le pulsioni sessuali, queste pulsioni sessuali, per Freud naturalmente, tendono a essere messe in atto, però c’è il Super Io, il Super Io è l’istanza giudicante, l’istanza che impedisce, per via dell’addestramento, per via dell’educazione, per via di tutto ciò che la civiltà impone come morale sessuale civile, a impedire che queste pulsioni possano porsi in atto e l’Io che sta in mezzo, dice Freud, è tirato fra questi due padroni per cui non è padrone neanche a casa sua, dice Freud, appunto nell’Io e l’Es. Questa struttura, tutto questo che è l’apparato psichico tiene conto del fatto che questo Super Io è un’istanza che procede, come dicevo dall’educazione di ciascuno tant’è che lui stesso dirà poco dopo che la civiltà così come la conosciamo è potuta sorgere a partire dalla repressione di certe pulsioni, se no la civiltà così come la conosciamo non si sarebbe costruita. Detto questo occorre incominciare a riflettere su cosa significa una cosa del genere, intanto c’è questo Super Io che sembra responsabile non soltanto della rimozione di certe pulsioni, ma anche proprio a causa di questo, del sorgere delle nevrosi per esempio, tant’è che lui stesso dice che una persona normale è qualcosa a metà fra nevrosi e psicosi, questa per lui è la normalità, perché comunque questa rimozione delle pulsioni sessuali conduce sempre in ogni caso a una forzatura da parte dell’Io il quale Io trova una sorta di via di mezzo, di compromesso fra le due istanze che è sempre comunque qualcosa di artificioso, di forzato, da qui appunto le nevrosi. L’ho detta in modo molto spiccio, Freud si dilunga di più però l’apparato psichico è questo, non ce ne sono altri. Occorre anche dire che questo è ciò che dice, meglio che scrive Freud, perché come ciascuno di voi sa, Freud è stato interpretato in svariati modi, è stato fatto dire a Freud qualunque cosa e il suo contrario anche perché molti hanno letto Freud e poi hanno deciso di essere loro quelli che hanno, il primo fra tutti Lacan, che hanno capito quello che veramente Freud volesse dire, ma aldilà di questo rimane il fatto che il Super Io per esempio, è fatto di imposizioni, di divieti, divieti che vengono operati attraverso dei discorsi, anche attraverso dei gesti certo ma perché questi gesti abbiano degli effetti, abbiano un significato, occorre che siano inseriti all’interno di un discorso, e come sapete anche Freud ha insistito sulla parola, è stato forse, dopo moltissimi secoli, il primo che ha posto in evidenza la questione della parola e della sua importanza, e in effetti è nella parola che avviene qualche cosa, tant’è che Anna O chiamò questa cosa “talking cure” cioè la “cura parlando”. È la parola che interviene continuamente nei suoi discorsi, nei suoi scritti, parola che si altera, che veicola significati, parole che si contraddicono, tutto ciò che lui chiama nevrosi in realtà sono discorsi, discorsi che vanno a interagire fra loro e molto spesso a opporsi l’uno all’altro, sono due discorsi che giungono a conclusioni diverse e la persona non sa più che pesci pigliare, però una questione che Freud non si è mai posta, perché se l’avesse posta forse sarebbe andato molto più in là, è questa: l’apparato psichico esiste anche senza la parola oppure no? La questione è fondamentale, perché se esiste anche senza la parola allora questo crea dei problemi perché questo apparato psichico sarebbe un’entità posta al di fuori del discorso, posta al di fuori di qualunque cosa e immutabile, dimostrare però a questo punto la sua esistenza sarebbe un grosso problema, se invece, come ci appare verosimile, l’apparato psichico non esisterebbe in assenza di parole, allora la parola ha un rilievo e un’importanza che va aldilà di quella che Freud inizialmente le ha attribuita; a questo punto lo stesso apparato psichico, se non c’è senza la parola, è prodotto dalla parola, le stesse pulsioni che lui indica come qualche cosa di fisico, di naturale, in realtà non esisterebbero perché non ci sarebbe nessuno per il quale potrebbero esistere, non sarebbero segno per nessuno, non essendo segno per nessuno sarebbero niente e questa è una cosa rilevante, ed è quella che ci consente di fare quel passo che per un verso ci allontana da Freud per l’altro invece ci consente di costruire un sistema molto più robusto, molto più potente. Tutto ciò che ha affermato Freud in realtà non può essere provato, al punto tale che per molti psicanalisti, direi la quasi totalità degli psicanalisti, parlare di prova, di dimostrazione nei confronti della psicanalisi appare come una sorta di blasfemia, una cosa della quale non si può assolutamente parlare perché è, a loro dire, una sorta di contraddizione in termini. Questo procede, occorre dirlo, non tanto dal fatto che realmente la psicanalisi non possa in nessun modo essere provata e non ci sia nessun modo di dimostrare alcunché all’interno della psicanalisi, ma che nessuno è stato in grado di farlo, e allora si è stabilito che nulla che ciò che fa la psicanalisi può essere sottoposto a un criterio di verifica perché il criterio di verifica muove da concetti come quello di vero e di falso, che la psicanalisi invece avrebbe messo in discussione sostenendo una sorta di via di mezzo tra il vero e il falso, qualcosa che non è in nessun caso comunque verificabile e questo procede da un’altra considerazione teorica che è stata fatta dagli psicanalisti ma non solo, e cioè dal fatto che la parola e quindi più propriamente il significante è differente da sé, se è differente da sé è impossibile stabilirne la verità o la falsità. Siccome è stata teorizzata la differenza da sé del significante, questo successivamente a Lacan soprattutto, che ha ripreso De Saussure e Jakobson, Lacan non è che abbia letto un granché di linguistica, ha letto De Saussure e Jakobson e poco altro, non è un esperto né di linguistica né di semiotica tuttavia riprendendo la nozione di segno di De Saussure ha stabilito che questo segno non può in nessun modo racchiudersi in una unità perché c’è una barra, che Lacan ha stabilito che è quella della rimozione per cui se un elemento viene rimosso, per esempio la pulsione viene rimossa, questa pulsione da quel momento non è più la stessa cosa e ricompare sotto altra forma per cui non è mai la stessa, non è mai identificabile. Naturalmente questo discorso che ha suggestionato molti intorno fra gli anni 60 e 80 e soprattutto anche per l’apporto della semiotica, ha confermato che in nessun modo la psicanalisi può essere dimostrata: non c’è nulla di provabile perché la provabilità di qualche cosa è al di fuori del discorso della psicanalisi, che invece ha proprio questo come obiettivo, sottolineare la non dimostrabilità di qualunque asserto, perché naturalmente questi asserti sono fatti di significanti e questi significanti differiscono da sé. Ciò che è sfuggito ai più, è che affermazioni del genere, cioè che il significante differisce da sé è autocontraddittoria, ché se noi affermiamo questo, “il significante differisce da sé” questo “sé”, questo pronome, a chi si riferisce esattamente? A qualcosa o a nulla? Se si riferisce a nulla, allora è nulla, e differisce da nulla. Ma queste disquisizioni sono possibili, compresa quella che “un significante differisce da sé” perché di fatto, questo significante, questo elemento linguistico non differisce da sé, se no non potrebbe in nessun modo non soltanto affermare che differisce da sé ma nemmeno porsi la questione perché a questo punto qualunque proposizione non potrebbe essere costruita, perché qualunque elemento differendo da sé non è individuato dalla proposizione e quindi non può essere messo in nessuna posizione né come soggetto, né come predicato, né come oggetto e quindi potremmo dire che per potere affermare una cosa del genere è necessario invece che il significante sia identico a sé, ma qui torniamo a qualcosa che abbiamo accennato la volta scorsa e cioè al problema della identità, che se posta come principio è un problema perché se posta come un principio gli toccherebbe di essere dimostrata, ma effettivamente non può essere dimostrata l’identità. Peano, abbiamo riportato forse l’altra volta, diceva A = A, ma perché queste due cose siano uguali occorre che abbiano tutte le stesse proprietà, ma una è a sinistra e l’altra è a destra e quindi già non sono uguali, ma dopo questa genialata non si è accorto che l’identità non è un principio, come abbiamo precisato, né ontologico, né metafisico ma è un’istruzione, il linguaggio pone un’istruzione A è A “questo è questo” non posso dimostrarlo perché è la condizione, la base, per la costruzione di proposizioni che poi serviranno eventualmente in seconda battuta per la dimostrazione o la confutazione di qualsivoglia cosa. È un’istruzione, proprio come ci diceva Turing. Istruzioni fornite alla macchina in questo caso per funzionare, però qui abbiamo fatto delle digressioni, ma la questione centrale per avviare un discorso sulla introduzione alla psicanalisi e affermare che alla psicanalisi è possibile dare un fondamento, sbaragliando quindi tutta la questione antica e risibile della scientificità della psicanalisi, poi mostrare che cosa ha fatto Freud, la costruzione dell’apparato psichico che è il fondamento di tutta la sua teoria, mostrare che questo apparato psichico non esisterebbe senza la parola, senza il discorso, e che quindi è costruito dalla parola e quindi mostrando che la questione della parola va molto aldilà di quanto lui avesse immaginato e anche molto aldilà di quanto altri dopo Freud hanno immaginato, per esempio Lacan, Verdiglione, che pure si sono molto soffermati sulla parola, sull’atto di parola e a questo punto la porta è aperta per incominciare a dire che tutto ciò che ha affermato Freud in realtà è costruito su affermazioni che non possono essere dimostrate. A questo punto si possono introdurre molto sommariamente le cose che ho detto prima rispetto alla dimostrabilità, però è bene invece soffermarsi su quegli elementi che costituiscono il fondamento della psicanalisi e vale a dire la parola. A questo punto lo psicanalista, in quanto colui che si occupa di psicanalisi, non può esimersi dall’interrogare la parola, dall’interrogare la sua struttura, il suo funzionamento, perché c’è l’eventualità che tutto ciò che la parola costruisce, così come lo stesso Freud ha detto, tutto ciò che dunque la parola costruisce sia vincolato al modo in cui funziona la parola, quindi al modo in cui funziona quella struttura che costruisce le parole e che chiamiamo linguaggio generalmente, cioè intendere come funziona la parola che non ha nessun altro riferimento, nessun altro referente se non altre parole. Questo è fondamentale, ciò di cui parla Freud e cioè l’Io, il Super Io, non esisterebbero senza le parole, e neanche l’Es esisterebbe se non ci fossero le parole, ognuna di queste istanze di cui parla Freud è costruita dalla parola, sarà importante allora sapere come funzionano queste parole oppure no? Direi proprio di sì, e c’è anche la possibilità a questo punto che ciò che Freud ha indicato come sintomi, lui medico si esprimeva ancora in questo modo bislacco, sintomi, malattie, psicopatologie eccetera, in realtà sono solo modi di pensare e un modo di pensare non è né sano né malato, le conclusioni di questo modo di pensare possono essere vere oppure no a seconda delle regole del gioco che si sta facendo, niente di più. La cosa importante è condurre chi ascolterà queste cose a incominciare a porre delle domande al testo di Freud, cosa che non è mai stata fatta da nessuno, Freud è sempre stato considerato la legge, il testo di Freud una sorta di bibbia che può essere accolta o rigettata, accolta da tutti i freudiani ortodossi e non, e rigettata da tutti coloro che non sono freudiani, rigettata per esempio dagli junghiani, dai bioniani, dai kleiniani, i quali hanno semplicemente obiettato per lo più che non è vero che tutto procede dalle pulsioni sessuali ma da altre cose, vero o falso che sia è assolutamente irrilevante, anche ponendo al sessualità nei termini più recenti, non più dunque come la poneva Freud, come tutto ciò che appartiene a quelle cose che lui chiamava pulsioni sessuali con tutti gli annessi e connessi, ma alla schisi, facendo derivare il termine sessualità dal suo etimo “sec” che in indoeuropeo è il taglio, la schisi. Naturalmente si può discutere non soltanto sulla validità ma anche sulla utilità di un’argomentazione del genere, come se l’uso delle parole correnti veicolasse ancora, a distanza di migliaia e migliaia di anni, un significato possibile che questa parola aveva all’origine, è arduo sostenere una cosa del genere. Dunque interrogare Freud non per sapere se quello che dice è vero o è falso, ma da dove ha tratto le sue affermazioni, se c’è veramente modo di stabilire se ciò che Freud ha affermato corrisponde a qualcosa oppure sono soltanto fantasie, perché c’è anche questa eventualità, che si tratti unicamente di fantasie così come affermare per esempio che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, come ha fatto Lacan ai suoi tempi, che affermazione è? Perché dovrebbe essere utile in qualche modo? Oppure le varie teorizzazioni, la fase dello specchio, per esempio, per cui la persona individuandosi diventa altra da sé, facendo l’esempio del bambino che in braccio alla mamma di fronte allo specchio si riconosce perché riconosce la mamma quindi dovrebbe stabilire che quella persona che è lì attaccata è lui, non si sa bene in base a quale criterio, e quindi si riconosce ma tramite lo specchio cioè tramite una sorta di alterazione che Lacan elabora come equivoco, equivoco strutturale per cui non c’è identità, la persona non riesce a identificarsi, è sempre altra da sé. Ma tutte queste affermazioni che utilità hanno oltre a quella di consentire alla teoria rispettivamente di Freud, di Lacan o di Verdiglione di potere proseguire? Rendono conto di qualche cosa oppure no? È una domanda legittima, queste ultime posizioni hanno sottolineata la priorità, l’importanza della parola senza tuttavia portare la cosa fino alle estreme conseguenze, cosa che invece occorre fare se si vuole prendere la cosa sul serio, come merita di essere presa. Dunque come funzionano le parole? Come si costruiscono? C’è una struttura che consente alle parole e quindi alle proposizioni e quindi ai discorsi di costruirsi oppure è tutto in mano al caso assoluto? Cosa che non è perché altrimenti non potrebbero esserci proposizioni, sarebbero sequenze di niente, e quindi occorre incominciare ad accorgersi che queste proposizioni sono vincolate per la loro costruzione a delle regole molto ferree, una di queste è che non può, per esempio una conclusione, contraddire se stessa, non lo può fare, un elemento non può essere simultaneamente un’altra, una parola del dizionario non può essere simultaneamente tutte le altre, il linguaggio, non potrebbe né funzionare e neanche incominciare a esistere di conseguenza; c’è qualche cosa che regola in modo ferreo il funzionamento delle parole, delle proposizioni e quindi dei discorsi, e quindi dei racconti, ora l’essere tutte queste cose vincolate a una struttura non va senza implicazioni perché se noi trovassimo altre cose che necessariamente questa struttura deve compiere allora dovremmo inesorabilmente concludere che anche gli umani devono compiere la stessa operazione, perché sono fatti di questa cosa, sono fatti di parole, di racconti, di discorsi, di proposizioni, naturalmente occorrerà inserire dei passaggi perché detta così la questione è troppo rapida per potere essere seguita da un pubblico ignaro di tutto ciò, occorre inserire molti altri passaggi, però la questione è questa. 9-3-2011 Ciò che diciamo potrebbe mostrare anche un aspetto politico che riguarda la psicanalisi, ma non soltanto, trovando il modo per cui tutto ciò che abbiamo detto finora nelle conferenze possa essere inteso. Potrà essere utile fare un accenno a ciò che è la psicanalisi grosso modo, un accenno rapido anche alle ultime teorie, ma che cosa importa in tutto ciò? Una delle cose interessanti da mostrare, da dire è il metodo, il metodo che viene utilizzato e che può essere utilizzato da chiunque se lo vuole apprendere, un metodo che consente di risolvere la infinita complessità del pensiero degli umani in qualcosa di semplice, risolverlo nel senso di trasporre da una cosa un’altra, mostrare la possibilità di un metodo che mostri come si può intendere facilmente, rapidamente, il modo in cui le persone pensano e soprattutto perché pensano quello che pensano. La psicanalisi, così come è stata intesa fino ad oggi, non si è occupata di sapere perché le persone pensano quello che pensano ma di mostrare che pensano in un modo che non va bene per un motivo o per l’altro, o che questo modo è determinato da alcune strutture che sono grosso modo quelle che ha individuato Freud, ma sapere perché una persona pensa le cose che pensa questo di fatto non ha mai interessato nessuno, quindi la questione del metodo potrebbe essere un avvio, un metodo per interrogare le cose. Generalmente si interrogano le cose in un certo modo, e cioè si chiede alle cose di adattarsi a una teoria, e cioè il tentativo è di piegare quello che appare come la realtà a degli assunti teorici, in effetti è così che funziona: Freud da una serie di osservazioni organizza queste osservazioni in un certo modo, trae delle considerazioni, ma una volta tratte queste considerazioni poi è difficile uscirne fuori, nel senso di non avere la velleità di fare rientrare qualunque cosa in queste considerazioni, è questo il modo più comune di fare teoria. Oppure si interrogano non soltanto le cose ma i presupposti cioè gli asserti dai quali queste cose procedono, come se Freud si fosse soffermato a domandarsi se è proprio vero che esiste l’inconscio o se l’inconscio che lui ha stabilito essere una certa cosa sia proprio quella, e che cosa lo autorizza a supporre l’esistenza di quella cosa che lui chiama inconscio, cioè definita in un certo modo. Tutto questo appartiene al metodo di cui dicevo, questo metodo che ha portato e porta a considerare il fondamento e cioè il linguaggio, e la psicanalisi non è altro che la pratica del fondamento, praticare il fondamento è tenere conto e non potere non farlo che ciascun elemento è un elemento linguistico, questo fa la psicanalisi. Certo non è semplice, bisognerà trovare il modo più acconcio per condurre le persone lungo questo cammino anche attraverso aneddoti, esempi, illustrazioni, ipotiposi. A te Eleonora cosa piacerebbe sentire in una conferenza del genere? Si può anche partire da quello che dicevi tu e cioè dalla questione clinica posta in un certo modo, e cioè dicendo per esempio che cosa generalmente le persone si aspettano dalla psicanalisi, perché una persona si rivolge a uno psicanalista per esempio, e poi che cosa ci si aspetta anche da una psicanalisi in termini teorici per chi invece vuole sapere qualcosa di più e non soltanto togliersi l’acciacco; in entrambi i casi una migliore conoscenza, un migliore fondamento teorico può offrire una migliore risposta a entrambe le questioni, sia per esempio eliminando una paura, per quanto riguarda una domanda d’analisi più frequente, la elimina perché non è necessaria naturalmente, perché riguarda semplicemente un modo in cui la persona pensa, il suo pensiero è giunto a una certa conclusione. Per quanto riguarda l’aspetto teorico occorre mostrare una validità e una potenza teorica che la psicanalisi non ha mai avuto, in questo senso partire dalla questione clinica potrebbe anche farsi, dicendo da subito quello che le persone si aspettano, perché quante persone iniziano una psicanalisi o sono interessate vagamente alla psicanalisi perché sperano che levi gli acciacchi e varie cose, e quante invece sono interessate alla psicanalisi per il suo impianto teorico? Se noi incominciassimo mostrando la possibilità di eliminare quelle cose che comunemente si chiamano sintomi con maggiore facilità, e soprattutto eliminando anche la possibilità che questi sintomi possano prodursi, che in fondo è quello che le persone si aspettano, dopodiché possiamo mostrare come avviene una cosa del genere, sarebbe soddisfatto l’aspetto clinico? Ovviamente non è che mi metto a parlare moltissimo della clinica, questo potrà farsi in seconda battuta, eventualmente indicando di cosa è fatta una fobia o gli attacchi di panico, che sono simili a quella cosa molto frequente adesso, la paura di volare che è sorta perché esistono gli aeroplani ovviamente, prima che esistessero gli aeroplani non esisteva la paura di volare ma esistevano le paure di vario genere, per esempio il piccolo Hans non essendoci gli aeroplani aveva paura dei cavalli. Gli attacchi di panico, come la paura di volare, tutte queste cose hanno tutte la stessa origine e cioè la paura di perdere il controllo, di non avere il controllo sulla situazione, tant’è che per esempio la paura di volare non è diffusa tra i piloti, i piloti non hanno paura di volare perché sono loro a pilotare l’aeroplano. Le persone che hanno paura di volare, se poste di fronte alla domanda: nel caso in cui fossero loro a pilotare l’aereo avrebbero ancora paura? La risposta è no, sempre, regolarmente. In effetti le compagnie aeree che sono le più interessate alla paura di volare, l’Alitalia per esempio, ha istituito una sorta di corsi per le persone che hanno paura di volare e una delle cose più importanti, direi la primaria è appunto mettere la persona all’interno di un simulatore di volo, gli spiegano come si fa grosso modo a guidare e la persona guida l’aeroplano e non ha paura, non solo perché sa di essere saldamente imbullonata a terra ma an- che perché in quel momento è lui che conduce il gioco, è lui il padrone della situazione. Di esempi se ne possono fare infiniti, per esempio la paura di un esame all’università: la persona arriva lì e ha la tremarella, ma nel momento in cui incomincia a parlare la paura scompare, perché? È che in quel momento sta affrontando la questione, conduce in qualche modo lui il gioco, indirettamente o direttamente, però la questione è nelle sue mani, esattamente così come il pilota che ha lui in mano la cloche. Negli ultimi incontri potrebbe farsi qualcosa del genere, ampliato alle varie paure, fobie, attacchi di panico, mostrando di cosa sono fatte e quindi arrivare alla struttura del linguaggio: la persona non ha più paura se non subisce più ma agisce il linguaggio, che è ciò che costruisce la paura, e per questo scompare. La vertigine è un’altra questione, ma sempre connessa con questo, sono tutte facce di una stessa questione, la vertigine, la paura del vuoto. Chi soffre di vertigini ha paura del vuoto perché quando è sull’orlo del precipizio ha come il desiderio di buttarsi giù, è un tentativo estremo, di fronte a una paura, di gestirla, andare incontro alla morte, non subirla, ma andare incontro. Tutte queste paure hanno la stessa struttura ed è in fondo sempre riconducibile alla perdita del controllo, quindi del potere sulla situazione, quando una persona perde il potere diventa spaventata, timorosa come la fanciullina che viene abbandonata dal fanciullo, prima era sicura di sé, tranquilla, spavalda, dopo diventa timida, timorosa, paurosa, è sempre la stessa cosa che si ripete, in modi diversi ovviamente, ma la struttura è sempre esattamente la stessa e se si conosce la struttura del linguaggio lo si agisce, se no si subisce tutto quanto … Intervento: come la spiega in una conferenza questa cosa dell’agire il linguaggio? Agire il linguaggio significa trovarsi nella condizione in cui si trova chi sa e non può non sapere in ciascun istante che qualunque cosa si trovi a pensare, a dire, a fare, questa è un elemento linguistico, un gioco linguistico, cioè non può non saperlo a questo punto agisce il linguaggio come dire che si trova a esplorare, a elaborare e soprattutto a sapere di che cosa è fatto tutto ciò con cui ha a che fare continuamente, quotidianamente, se invece non sa di che cosa è fatto tutto ciò che lo circonda, allora lo subisce come una cosa ignota, e l’ignoto molto spesso è accostato al pericolo, non sempre ma spesso. Ma la parte più importante e più complessa è sicuramente la prima, e cioè quella di inserire e fare intendere un metodo per poi arrivare a tutte le altre questioni, e quindi trovare un modo leggiadro, vedremo di trovarlo. 23-3-2011 Occorre insistere su un aspetto al quale ieri sera ho appena accennato, e cioè la psicanalisi come metodo, come metodo per pensare, metodo per vivere, per affrontare qualunque situazione dalla più bella, più gioiosa, radiosa, alla più drammatica e catastrofica, porre una persona nelle condizioni di sapere sempre e comunque quello che sta accadendo, gli si offre la possibilità non dico di metterlo al riparo da qualunque cosa perché è un po’ complicato, ma sicuramente di porla nella migliore delle condizioni per affrontare comunque qualunque situazione, qualunque essa sia, e la psicanalisi è questo, è un metodo, che poi si utilizzi nella pratica analitica va benissimo certo ma è un metodo per vivere, per vivere senza paura che è la cosa fondamentale. Così come il linguaggio anche la psicanalisi è un metodo, il linguaggio è un metodo per la costruzione di proposizioni, un algoritmo, e così anche la psicanalisi è un metodo, un metodo per praticare il linguaggio, questi due algoritmi sono formalizzabili, se uno volesse scriverli potrebbe anche farlo, per il linguaggio dovreste scrivere “(A e cioè che se, se A allora se A allora A, allora non se A allora non A, che significa semplicemente questo, che se si pone un elemento allora quell’elemento è se stesso e non può essere altro da sé, per quanto riguarda invece il metodo della psicanalisi l’algoritmo potrebbe essere scritto in questo modo: “ ε L”, per tutte le x, se x, allora x appartiene al linguaggio, che dice che se sto parlando di questa x, la sto considerando, la sto valutando, la sto trattando in qualunque modo, allora x è un elemento linguistico, è nel linguaggio, se no non potrei dire “se x”, non potrei né considerarla, né affrontarla né fare niente, quindi se x, x necessariamente appartiene al linguaggio, è inclusa nel linguaggio. Occorre dunque insistere sulla questione del metodo, cioè della psicanalisi come metodo. Ciò che abbiamo costruito, inventato, è ciò che consente di pensare, di pensare come ho detto più efficacemente e più rapidamente; questo metodo consiste nell’interrogare, ma interrogare portando l’interrogazione alle estreme conseguenze e questo chiaramente va precisato perché detto così non significa assolutamente niente, cosa vuole dire interrogare fino alle estreme conseguenze? Significa che si interroga qualunque cosa, qualunque teoria, visto che anche una fantasia in fondo è una teoria, costruita esattamente come una teoria, interrogare quegli asserti sui quali si basa, interrogare i principi che la fanno esistere che equivale a dire interrogare i motivi per cui penso quello che penso, che non va affatto da sé che io pensi in un certo modo o che una teoria si svolga in un certo modo, potrebbe anche essere un discorso da farsi un giorno: considerare una teoria e mostrare come questa teoria sia costruita su asserti totalmente arbitrari, come la psicologia per esempio, tutta la teoria psicologica si regge su un concetto che è quello di realtà, sulla possibilità di confrontare con la realtà certi tipi di percezione o di decisione o di valutazione, se si elimina il concetto di realtà tutta la psicologia crolla come un castello di carte, non rimane in piedi niente e non è difficile mostrare che fondarsi sulla realtà comporta un inganno, una menzogna, non c’è nessuna possibilità di stabilire che la realtà è necessariamente quello che si pensa che sia e qualunque definizione io dia della realtà questa definizione che do non sarà mai necessaria, sarà sempre arbitraria quindi sostituibile da un’altra a pari diritto e merito, decido che la realtà è ciò che cade sotto i sensi? Va bene, ma questa decisione che io prendo chi mi autorizza a pensare che sia quella corretta? Che debba essere proprio così? Certo decido che la realtà è quello che io vedo per esempio, è un criterio al pari di qualunque altro o che la realtà è quello che dio vuole che sia, quello che i marziani hanno stabilito, non cambia niente, ma porre questa realtà, questa fantasia, questo gioco linguistico come il criterio fondante per una teoria è fondare una teoria su una menzogna, su un inganno, da qui ne segue inesorabilmente che tutto ciò che la teoria avrà costruito sarà falso o, nella migliore delle ipotesi, né vero né falso ma una costruzione come qualunque gioco, come il tre sette, il tre sette è vero o è falso? È quello che è, è un gioco all’interno di quel gioco certo è possibile stabilire se certe mosse sono corrette e se certi risultati sono veri o falsi, ma all’interno di quel gioco. Occorre accogliere questa superstizione, perché viene posta così, della realtà, e una volta accolta questa superstizione ci si comporta di conseguenza, cioè si valuta che tutto ciò che si adegua alla realtà è corretto, per esempio, un giudizio, una valutazione, un pensiero si confronta con la realtà: io dico che qui c’è un posacenere questa è la realtà, Beatrice lo vede, Cesare lo vede, Antonella lo vede, tutti lo vedete e siamo a posto. Ma questo cosa significa, significa soltanto che voi per qualche motivo che riguarda voi avete accettato, accolto un certo gioco linguistico con certe regole, per cui mi rispondete che quello è un posacenere, così come se stessimo giocando a poker e tutti sappiamo giocare a poker, se io dico una certa cosa voi rispondete in modo adeguato … Intervento: la psicologia funziona perfettamente perché è fondata … Ho parlato della psicologia ma in realtà qualunque scienza è fondata sull’inganno … Intervento: il luogo comune afferma certe cose in funzione delle proprie credenze … Sì, la fisica per esempio, che è una delle dottrine e uso “dottrine” appositamente, più consone alla realtà, è una di quelle dottrine o scienze che si fondano sulla realtà, studiano la realtà, le sue leggi, i modi in cui si manifesta, i modi in cui si muove e si comporta, ebbene proprio la fisica ha incontrato delle difficoltà, prima già con Einstein e la sua teoria della relatività, è costretto a un certo punto per mantenere tutto il suo impianto teorico a immaginare che esista una realtà che sia quella che è, è famosa la lettera che scrive a Bohr, un altro fisico austriaco, dove dice che occorre ammettere che dio non giochi ai dadi, e cioè che ci sia qualcosa di stabile, che la realtà sia quello che è mentre Heisenberg giunge a considerare attraverso i suoi esperimenti sulle particelle subatomiche che, e questo fu interessante e lo è ancora adesso, che l’osservatore osservando modifica l’osservato, come dire che ciò che osservo nel momento stesso in cui lo osservo e per il fatto stesso di osservarlo lo sto modificando e che quindi non vedo come stanno realmente le cose, le vedo alterate inesorabilmente. Per stabilire la posizione di una pallina che rimbalza in ciascun attimo, in ciascun segmento T di tempo, si mette la pallina all’interno di una camera oscura e poi con una macchina fotografica che stabilire la sua posizione, ma nell’attimo in cui scatta la fotografia c’è un lampo di luce, questa luce è fatta di fotoni, i fotoni sono particelle, le particelle colpiscono la pallina e ne modificano la traiettoria. Di fatto fotografa la posizione della pallina là dove la pallina non è in un certo senso perché dovrebbe essere in un altro posto ma per il solo fatto che la fotografo non è più lì, e allora dov’è la realtà? Bisognerebbe stabilire che il percorso è esattamente questo, che la realtà è questa e invece no, ogni volta che scatta l’immagine questa pallina segue una traiettoria differente, dunque qual è il percorso che segue? Quello naturale imposto dal suo movimento o quello deviato dal fatto stesso che lo sto osservando? E la realtà stessa, viene modificata dal fatto che io la osservi oppure no? Seguendo Eisemberg sì, e quindi non saprò mai, ammesso che abbia questa velleità, stabilire che la realtà è questa certa cosa, non potrò mai stabilirlo con certezza perché c’è la seria possibilità che la mia osservazione la modifichi, non soltanto per le mie fantasie ma per il solo fatto di osservarla per esempio. Era più disperato Einstein di quanto lo fosse Heisenberg per il fatto che la realtà dovesse essere necessariamente quella che è, ma è una menzogna, un inganno e come ho detto in qualche circostanza neanche nobile. Questa psicanalisi è un metodo, un metodo per pensare, per prendere decisioni, per valutare ciò che ci circonda, per valutare soprattutto i propri pensieri più ancora che le cose che circondano, che in ogni caso sono sempre debitrici dei pensieri. Per potere sapere interrogare ci vuole un sapere anche, sapere interrogare che cosa sostiene ciò che sto dicendo, quali fantasie, quali altri discorsi sono necessari perché io possa affermare le cose che sto affermando, altri discorsi che naturalmente non sto valutando e che do per impliciti, per acquisiti e soprattutto immagino che siano veri se no non seguirei quella via ovviamente perché nessuno segue una via che sa esser falsa, per una questione grammaticale, e quasi imporre una cosa del genere senza il timore di obiezioni che non ci interessano più di tanto, imporla ma con argomentazioni potenti ovviamente e anche il tono della voce è importante … Intervento: quale percorso intraprendere per diventare analisti … Diremo martedì prossimo ciò che riguarda la formazione dello psicanalista, che deve sapere esattamente come funziona il linguaggio e trovarsi sempre nella posizione di chi agisce il linguaggio, non di chi lo subisce. Qualunque testo, qualunque teoria muove da asserzioni che possono e devono essere discusse, devono essere considerate, valutate e nove volte su dieci questi asserti muovono dall’idea che corrispondono alla realtà, siano adeguati alla realtà e quindi da lì si può procedere, oppure muovono da fantasie e cioè da qualcosa che appare essere in un certo modo, poi in base a una certa suggestione viene preso come vero, questo è accaduto molto spesso e continua ad accadere, per esempio con i filosofi francesi, con alcuni psicanalisti anche, se volete vi faccio un esempio tratto dal lavoro di Derrida. Derrida ha ripreso la questione del segno di De Saussure, come sapete, significato barra significante S\s, ha fatto notare, e in questo anche Sini l’ha seguito, ha fatto notare che è impossibile dire un significante senza conoscere il significato, per esempio se io dico leone ho già presente il significato di leone ed è per questo che dico leone, quindi c’è l’impossibilità di stabilire che un significante possa darsi senza significato, e al tempo stesso non è possibile dire un significato senza un significante, se non posso riferirmi al significato di leone senza dirlo, senza dire leone; ma siamo sicuri che sia proprio così? Ora in questi casi porsi una domanda del genere intorno alla posizione di Derrida può non essere facilissimo certo, può essere anche suggestivo pensare che esista un’impossibilità, direi quasi naturale di fare, per esempio, combaciare un significante con un significato o eliminare un significante da un significato, questa impossibilità di fatto, secondo Derrida di dire un significante senza che esista un significato comporta un rinvio continuo a questo significato, ma questo significato è tale per via di un’esclusione di altri significati ai quali eventualmente rimanda in una sorta di infinitizzazione, che è una tesi suggestiva e in effetti ha suggestionato molti, anche i semiotici, però se qualcuno trovasse un contro esempio a una cosa del genere crollerebbe tutto. Per esempio mi è successo tempo fa di sentire una parola, questa parola è “troll”, io non sapevo assolutamente cosa fosse, dopo mi è stato spiegato che è un personaggio immaginario di certi racconti, il frutto di una fantasia. Mi sono trovato dunque a pronunciare questo significante che per me non aveva nessun significato, “troll” per me poteva essere una città della Finlandia o un piatto della Papuasia o una nome di una bestia però il significante c’è “troll” e il significato? Non c’è, si potrebbe dire che è in attesa di un significato ma in quel momento il significante non ha nessun significato … Intervento: sì però non è niente ancora senza significato … Ma è un significante, è questa la questione, è un significante cioè, come direbbe De Saussure, è un’immagine linguistica, un suono, e questo c’è, ma non c’è il significato quindi è possibile pronunciare un significante che non ha nessun significato, e d’altra parte è possibile un significato che non ha nessun significante, pensate a una macchina, le macchine si muovono con sequenze numeriche binarie 0/1, sono sette cifre generalmente, per esempio la sequenze 01000001 significa una A, ora per la macchina questa sequenza ha un significato, tant’è che la macchina traduce e trasforma questa sequenza in una A che noi vediamo sul monitor quando scriviamo le nostre cose, quindi è un significato, è un significato perché è riconosciuto e tradotto e decodificato ma non c’è nessun significante, nessuno ha detto niente, sono soltanto impulsi elettrici e dire che un impulso elettrico è un significante è arduo. Dunque c’è un significato ma non c’è nessun significante, e quindi quello che afferma Derrida è falso, eppure nessuno ci ha mai pensato. Non che non ci siano delle menti abbastanza robuste per compiere un’operazione del genere ma è che non si fa perché non c’è da parte di nessuno l’abitudine, l’idea, il progetto di compiere un’operazione del genere e cioè interrogare un qualche cosa che esteticamente piace, piace pensare che ci sia l’impossibilità all’interno del segno linguistico per cui il segno linguistico rinvia sempre e necessariamente a qualcos’altro, c’è sempre dell’altro. Spesso ci dicono nelle conferenze “non può essere solo questo” quando poniamo la questione del linguaggio, senza sapere assolutamente dire perché naturalmente, è soltanto un’obiezione estetica, come se dicessero “a me non piace pensare così, mi piace pensare che c’è qualcuno che pensa a me”, va bene, non è proibito. Ecco, dicevo non c’è questo addestramento a interrogare il proprio sapere, a interrogare i fondamenti del proprio sapere cioè ciò che li sostiene, ciò che li regge, la base da cui muovono, certo la retorica e soprattutto la sofistica è un ottimo esercizio per fare questo, cioè trovare contro esempi, perché il modo in cui Derrida pone la cosa, la pone come se fosse un’universale. I filosofi francesi, i semiotici, ma anche psicanalisti francesi e non, hanno orrore di questa parola “universale”, Lacan la pone una volta ma con molte attenzioni, molte cautele perché l’universale non lascia scampo, dice che qualcosa è così sempre, per cui non troverete mai la parola “universale” nei loro testi, troverete però delle formulazioni universali inanellate le une nelle altre in quantità impressionante. Per esempio, ciò che vi ho accennato prima riguardo al segno così come lo ha posto Derrida, lo pone come un universale cioè non c’è mai la possibilità che un significante si dia senza significato, come dire che per ogni x, se x è un significante allora x ha un significato, è universale, non ci sono santi, e pongono senza rendersene conto una quantità enorme di universali, là dove in realtà questo universale non ha nessun motivo di essere. Noi invece ne poniamo uno, uno solo, nessun altro, soltanto quello che consente il primo comando si pone come universale, tutto il resto è particolare cioè è contingente o se preferite arbitrario. L’unica cosa necessaria è questo comando che è posto in forma universale certo perché non può darsi l’eventualità che non sia, se no non potremmo stare qui a parlare né noi né nessun altro ma la paura di utilizzare questo termine “universale” procede dal fatto che l’universale come dicevo prima non dà possibilità di alternative, è così e basta, è una sorta di apodissi, un enunciato apodittico è un enunciato autoevidente che è così e non può essere altrimenti ed è curioso che spesso ci venga rivolta l’accusa di universalizzare mentre l’unico universale che utilizziamo è appunto il comando da cui si avvia il linguaggio, non ce n’è nessun altro, tutto il resto sono particolari, sono contingenti. Se voi leggete i testi di filosofia o di psicanalisi sono infarciti di universali, quando uno psicanalista come Armando Verdiglione afferma che non si da rimozione senza resistenza sta ponendo un universale, di nuovo, per tutte le x, se x è la rimozione allora non c’è rimozione senza resistenza, è universale perché altrimenti dovrebbe ammettere la possibilità che si dia un atto di parola in cui c’è rimozione ma non c’è resistenza cioè non c’è una lettera che viene rilasciata da questo atto, quindi l’atto di rimozione è riuscito la condensazione è totale, cosa che lui per tutta la sua teoria non può accogliere in nessun modo, così come per Lacan la famosa fase delle specchio, la fase dello specchio per Lacan significa semplicemente questo, che il riconoscimento della persona cioè la sua identità, il riconoscimento della sua identità avviene in un equivoco in quanto si riconosce attraverso un altro, perché dice questo? Perché si accorge che un bambino si riconosce quando in braccio alla mamma davanti allo specchio la mamma dice “ecco io sono la mamma e questo sei tu” lui riesce a capire grosso modo e allora stabilisce che è lui ma lo stabilire tale identità avviene per un equivoco perché non è quello lì in realtà, e questa alterità radicale che si installa in quel momento lo accompagnerà per tutta l’esistenza, questo è un altro universale perché non può darsi nella teoria di Lacan che avvenga un atto di parola senza che ci sia questo equivoco e cioè l’alterità, non può darsi, e quindi è un universale. Tutte queste persone fanno un uso ininterrotto, continuo, di universali senza rendersene conto e avendo per altro orrore dell’universale, noi, che non abbiamo paura di niente non ci siamo minimamente preoccupati di usare un universale, solo che ci siamo resi conto che l’unico universale che abbia una validità è quello che fonda il linguaggio cioè l’atto, il comando da cui si avvia tutto, il comando di identità “se A allora A”. Potremmo dire che è questo metodo che stiamo praticando che ci consente di considerare le varie teorie e cogliere rapidamente l’arbitrarietà di queste teorie, là dove si coglie l’universale lì sicuramente c’è qualche intoppo perché non può essere un universale in nessun modo, sarebbe necessario se fosse così e come possiamo provare che è necessario? L’unica cosa necessaria è che ci sia il linguaggio, tutto il resto è assolutamente arbitrario e contingente cioè può accadere e può non accadere nella migliore delle ipotesi. Può accadere che un significante avvenga senza significato? È possibile? È possibile. È possibile che abbia un significato? Certo che è possibile, ma sono possibilità, cosa che è totalmente differente dalla necessità cioè dall’affermare che mai per nessun motivo una cosa avviene senza l’altra, questo è un universale, ma per potere affermare un universale occorre una dimostrazione piuttosto potente che nessuno di loro è in condizioni di fornire perché non esiste. Dicevo dunque che questo metodo è formidabile, consente di leggere, di intendere qualunque cosa con rapidità e precisione, certo occorre molto esercizio perché ciascuno è stato addestrato dal momento in cui si è avviato il linguaggio con quell’inganno di cui abbiamo detto che è responsabile in buona parte di tutto ciò che ne segue, in seguito a questo inganno le persone pensano nel modo in cui pensano ma non solo questo inganno avvia il modo di avviarsi del linguaggio ma viene confermato, perpetuato, mantenuto e confortato da chiunque sempre, diventa una cosa che non si può assolutamente discutere, è così e tanto basta. Se qualcuno ha insegnato a parlare, ha insegnato che il mondo esiste, e questo qualcuno deve essere grande, potente, dio o la mamma, il babbo, il nonno materno, e naturalmente a nessuno viene in mente che queste cose gli sono state insegnate o trasmesse sono solo delle informazioni che servono a costruire sequenze no, vengono poste come verità assolute, vengono messe sotto questa forma verbale che indica qualche cosa che in nessun modo può essere provato ma che appare di una cogenza e di una forza notevolissima per gli umani, tant’è che nessuno si è mai discostato da questa posizione, mai, la realtà è lì ed è quello che è ed è il parametro su cui si commisura tutto. Il luogo comune si riferisce sempre a un qualche cosa come depositario della verità, che sa come stanno le cose, sa soprattutto come le cose devono essere, il riferimento è sempre a qualcuno che sa, che sta da qualche parte, che nessuno sa bene chi sia né perché debba sempre sapere, però c’è. Prendete una persona qualunque, questa persona crede nell’esistenza della realtà, ma chiedetegli che cosa intende con realtà, già lì incomincia la prima difficoltà, ma se mai vi dicesse che la realtà è quello che vedo, quello che ha sostanza, che ha peso eccetera, voi chiedetegli perché la realtà dovrebbe essere questa cosa, a questo punto però allontanatevi perché il rischio che vi aggredisca è forte. Ma avete fatto solo una domanda, “perché la realtà è questo?”, se la persona è notevolmente intelligente vi dirà “per convenzione”, però ponendola come una convenzione a questo punto smonta tutta la possibilità che si dia una realtà al di fuori delle convenzioni quindi la realtà è una costruzione, e in questo caso c’è già la possibilità di discutere e di mettere ulteriormente e radicalmente in discussione questo concetto, e a quel punto avete la possibilità di condurre la realtà a quello che è, e cioè a un gioco linguistico. Il passaggio dalla convenzione al gioco linguistico è semplice da fare, e a questo punto essendo un gioco linguistico è una produzione del linguaggio e come tale la realtà non esisterebbe senza linguaggio, cosa che per i più è uno scandalo inenarrabile … Intervento: la scuola deve avere riferimenti fermi … Si, come nel caso della storia i libri di testo di storia raccontano i fatti accaduti, ma è una sciocchezza colossale, perché questo fatto che si ritiene accaduto in realtà può essere totalmente differente da quello che viene descritto. Vi faccio un esempio che ho verificato qualche anno fa con un amico francese. I nostri libri di testo raccontano il risorgimento in un certo modo: vi ricordate che ad un certo punto gli italiani hanno chiesto l’aiuto dei francesi per sconfiggere gli austriaci in cambio di Nizza e della Savoia, poi i francesi hanno cambiato idea hanno firmato il trattato famoso di Villafranca, si sono accordati con gli austriaci e non ci hanno più aiutati ma si sono tenuti Nizza e la Savoia, ora questo è nei nostri libri di storia, nei libri francesi la cosa non viene posta in questi termini, non viene affatto posta come un tradimento come nei nostri libri di storia, ma come una decisione dovuta dalla necessità presa saggiamente dall’imperatore Napoleone III, viene invece dato un grande rilievo all’aiuto nobile che la Francia ha dato all’Italia per liberarsi dal giogo austro ungarico. Insomma è un modo di porre la storia in modo totalmente differente, così come probabilmente nei libri di storia inglesi e americani la rivoluzione americana verrà raccontata in modo differente: dagli inglesi come dei ribelli maledetti che si sono portati via una ricchezza immensa, e dall’altra invece come i patrioti che hanno sottratto l’America a degli usurpatori che volevano soltanto mantenere l’America per farsi gli affari loro, cosa verissima per altro, però … Intervento: ciascun popolo inneggia a questi valori di lealtà tutto sommato … Certo, ma a questo punto è vero quello che dice il libro di storia francese o quello che dice il libro di storia italiano? Sono vere entrambe le cose perché muovono da giochi linguistici differenti, che hanno regole differenti, se la regola del gioco che sto facendo è salvare l’incolumità del Risorgimento mi muoverò in un certo modo, se devo salvare la bontà e la generosità dell’imperatore Napoleone III farò un altro gioco, ma rispetto alle premesse da cui partono entrambi i discorsi sono assolutamente veri, è vero che i francesi ci hanno traditi, ed è vero che Napoleone III ha fatto quello che ha fatto perché non poteva fare altrimenti, per evitare danni economici e politici alla Francia quindi ha fatto l’interesse della Francia. È per questo che è pressoché impossibile la composizione di una lite, perché entrambi i contendenti sono assolutamente convinti di avere ragione, e hanno ragione, è vero, hanno assolutamente ragione, e quindi non cederanno mai a meno che uno non faccia un nobile gesto, però è difficile che ceda sapendo di avere ragione, da qui qualche divorzio ogni tanto, perché entrambi hanno ragione. È così che funzionano le cose, è il modo in cui gli umani pensano e ciascuno non può non pensare che quello che pensa lui non sia vero, se no non lo penserebbe, se lo pensa è per- ché lo pensa vero, e chiunque pensa esattamente così. La cosa più drammatica è che non solo ciò che si pensa è vero, ma anche il suo contrario è vero, per altri motivi ma è vero, a questo punto manca ogni riferimento, e quando si perde ogni riferimento allora non rimane che l’unica cosa che consente di continuare a riflettere su queste cose, a pensarle e a elaborarle. 6-4-2011 Nei tre interventi sull’introduzione alla psicanalisi si è posta una questione sulla quale ho riflettuto e sulla quale invito a riflettere anche voi. Il riferimento a Freud era puramente retorico, mi importa molto poco di Freud però retoricamente era l’aggancio all’auctoritas, visto che per le persone la psicanalisi è Freud allora dire che le cose che stavo per dire procedevano da un’indicazione precisa di Freud poteva mettere le persone che ascoltavano in una migliore disposizione. Ma aldilà di questo ciò che è emerso ripensando alle varie cose è che la psicanalisi cioè ciò che stiamo facendo in realtà ha rilevato una cosa importante, e cioè diciamo che l’impedimento, il freno che gli umani incontrano ha a che fare con la fede. Con fede intendo l’avere fede in ciò che si pensa, in ciò che si crede, in qualcosa, in qualcuno, in un dio, in una natura, in una qualunque altro accidente è irrilevante, ma la fede cioè il credere in ciò che si sta affermando, in ciò che si sta dicendo. Ciò che Freud ha chiamato nevrosi, e in realtà non so neanche se esista la nevrosi, è soltanto un modo di pensare, nient’altro che questo, come dire che la psicanalisi si occupa dei modi di pensare, una fobia, un’angoscia un accidente qualunque è la conseguenza, la conclusione di un certo modo di pensare. È con questo che la psicanalisi ha a che fare, con dei modi in cui si pensa, in cui le persone pensano, tutti i problemi, tutte le catastrofi e i disastri operati dagli umani in questi ultimi tre mila anni, sono seguiti inesorabilmente a degli atti di fede: gli umani prendono l’atto di parola come un atto di fede, se si prende l’atto di parola come un atto di fede allora succede tutto quello che è successo e continuerà a succedere ancora a lungo, gli umani credono, sono assolutamente persuasi della verità di quello che affermano, cioè hanno fede, fiducia in ciò che pensano, in ciò che credono, in ciò che dicono. Ciò che occorre che la psicanalisi faccia è intendere il modo di pensare della persona, mostrare alla persona qual è il suo modo di pensare e perché pensa nel modo in cui pensa, mostrando in tutto ciò che il modo in cui pensa non è necessario ovviamente, contrariamente a quanto lui crede, perché i giudizi che mano a mano costruisce e che lo portano ad agire nel modo in cui agisce non sono dettati da una necessità logica o naturale, sono la conseguenza di giudizi estetici e nient’altro che questo. Ciò che ho voluto introdurre rispetto alla psicanalisi è questo: la psicanalisi deve occuparsi e si occupa dei modi di pensare e il modo di pensare delle persone è un modo fideistico, basta togliere la fede e si toglie ogni di possibilità di costruire malanni di ogni sorta. Intervento: togliere la fede? Sì, questo è ciò che la psicanalisi occorre che faccia nei confronti delle persone che si rivolgono all’analisi, se una persona vuole sapere che cosa sta succedendo nei suoi pensieri allora è necessario che l’analista glielo mostri, cioè mostri come sta funzionando il suo pensiero e perché sta funzionando in quel modo. Affermare che tutti i problemi, le varie magagne, acciacchi, accidenti che gli umani hanno costruiti in questi tre mila anni ultimi passati procede dalla fede è anche un gesto politico, in quanto mette in gioco ciò che per gli umani è decisamente la cosa più importante in assoluto, e cioè la loro fede, e non in un dio necessariamente, ma la fede in qualunque cosa, può essere un’idea, può essere quello che pensano, quello che credono, la natura, qualunque cosa. Questo è il percorso più sovversivo e più radicale che si possa immaginare. Quando una persona ha interrogata ogni dottrina, ogni teoria e si è accorto che nulla di tutto ciò che ha interrogato riesce a reggere allora si trova di fronte al nulla, cioè ha perso ogni fede, e a questo punto si trova il linguaggio, si trova ciò che gli ha consentito di fare tutte queste cose. Non vi sto dicendo nulla di nuovo, lo sto dicendo forse in un modo un po’ differente e forse più esplicito. La necessità di credere viene dalla struttura stessa del linguaggio, se il linguaggio non lo si agisce cioè non lo si intende allora lo si subisce, vale a dire che si scambia ciascun atto di parola con un atto di fede: penso così, quindi è così, è così che pensano gli umani. C’è un lavoro retorico che può riprendersi a questo punto, perché la retorica non è soltanto come pensavano i greci una tecnica di persuasione, attraverso l’autorità dell’oratore, la bellezza delle cose che dice o la persuasività del discorso, ma è anche un modo per dare una sorta di ordine ai pensieri e quindi poterli affrontare e interrogare più facilmente, una volta che sono ordinati, e con ordine intendo l’ordine della retorica classica, è più facile potere considerarli, se sono invece tutti arruffati diventa più difficile perché scappano da tutte le parti, non c’è un ordine consequenziale, ricordi quali sono le cinque parti della retorica? L’invenzione, cioè prima trovare cosa dire, poi stabilire in quale ordine dire le cose, poi l’elocuzione cioè il modo in cui dire queste cose, a quali parti per esempio dare maggiore enfasi, quali parti invece dire più rapidamente e poi le ultime due che riguardano il gesto, una volta il dire era accompagnato dal gesto e da ultimo la memoria e cioè, cosa che nessuno pratica più, mandare a memoria tutto il discorso. Gli antichi oratori per non perdersi cercando le cose o a pensare come dirle ma essere totalmente concentrati sul pubblico e non avere altro di cui occuparsi imparavano il discorso a memoria. Queste sono le cinque parti in cui è suddivisa la retorica classica, poi c’è il modo in cui viene suddiviso il discorso e cioè un esordio, segue la narrazione, le prove di ciò che si è detto e l’epilogo. Nell’esordio si espongono rapidamente le cose di cui si parlerà, si prepara il pubblico ad ascoltare ciò che ascolterà e si cerca di prepararlo nel modo migliore, e cioè per esempio accattivandosi la simpatia o la loro attenzione in qualche modo, poi c’è la narrazione dove vengono esposte le cose che si intendono esporre secondo l’ordine che si è stabilito e quello è stato dato dalla dispositio e dalla elocutio, cioè in quale modo disporre le cose una volta che si è inteso come si vogliono dire le cose. La narrazione è il passo centrale del discorso in cui si dicono le cose che si desidera dire, dopodiché segue la dimostrazione, vale a dire il mostrare che le cose che si sono dette sono vere e per quale motivo, cioè le si confermano ed eventualmente si confutano le tesi avversarie se è il caso di farlo, e alla fine l’epilogo che riassume brevemente quanto si è detto cercando di mostrarlo al pubblico nel modo più accattivante possibile. Questo è l’ordine che seguiva sempre Cicerone, che è stato definito tale da Aristotele, ma come dicevo la retorica mostra anche il modo in cui occorre organizzare i propri pensieri per renderli più chiari a se stessi, anche quando si riflette su una questione teorica, e cioè che cosa sto pensando? Queste idee come posso disporle nel modo migliore? Per esempio secondo un ordine consequenziale? Come posso provarle? E poi anche ricapitolarsele mentalmente è molto utile, perché un pensiero che è confuso difficilmente viene inteso e seguito da un pubblico per esempio, si perde, così come l’oratore si perde mentre parla si perde anche il pubblico, è ovvio. La retorica forse andrebbe ripresa e ridefinita, così come abbiamo fatto con la logica. Muovendo da ciò che abbiamo detto e stabilito fino a questo punto, qualunque illustrazione della logica è necessariamente retorica, perché la logica consiste soltanto di quelle istruzioni che ci consentono di costruire proposizioni. Anche la retorica a questo punto non è più soltanto uno strumento, una techné, come volevano i greci, per persuadere, ma diventa qualunque cosa la logica costruisce. La logica è fatta di comandi, istruzioni, la retorica è tutto ciò che queste istruzioni, questi comandi costruiscono, questo naturalmente porta a considerare che per esempio una formula matematica sia retorica, anche se non appare, ma di fatto è una costruzione messa in atto da delle istruzioni, tutto ciò che si racconta, che si dice, è sempre retorica. Le istruzioni in effetti possono illustrarsi, ma nel momento in cui si illustrano si illustrano retoricamente, queste istruzioni operano continuamente in ciò che si dice ovviamente e cioè in ogni costruzione e la costruzione è retorica. La retorica può essere ripensata come abbiamo fatto per la logica, ciò che intendiamo con logica non è ciò che ci descrivono i logici, ma la logica è una sequenza di istruzioni anzi, abbiamo detto che è un comando insieme con due istruzioni per potere eseguire il comando, come abbiamo detto e mi sembra abbastanza preciso: questo è il co- mando “se A allora A”, le istruzioni per eseguire il comando sono “A non è non A” e il “se … allora”, come dire che se A è A allora non è non A, e tutto ciò che queste semplici istruzioni costruiscono è retorica, è ciò che si dice, ciò che si dice a partire da queste istruzioni, ché se non ci fossero queste istruzioni non si direbbe niente, né potrebbe neanche mai venire in mente di dire alcunché. La psicanalisi si occupa dei modi di pensare, e cioè il suo oggetto di indagine, di studio, di riflessione, il suo matema come direbbero gli antichi è la retorica perché è con questo che ha a che fare ininterrottamente, naturalmente sempre tenendo conto di che cosa consente alla retorica di esistere. L’atto di fede è una operazione retorica, una costruzione retorica, in quanto costruzione è retorica ovviamente, si tratta di intendere a questo punto se ogni costruzione che viene fatta da una persona, da un parlante segue comunque questo andamento retorico che voleva Aristotele, in un modo o nell’altro più o meno acconciamente più o meno consapevolmente, è da verificare se è possibile stabilire un modello di funzionamento oppure no, il modello potrebbe essere quello del racconto in prima approssimazione, e cioè di una affermazione che attraverso certi passaggi giunge a un’altra affermazione, il racconto è fatto così, c’è una prima affermazione di qualunque tipo, questa affermazione deve giungere ad una conclusione, il famoso principe azzurro che deve liberare la principessa dal drago. Questo è il modello di ogni racconto e di conseguenza potrebbe essere il modello retorico per eccellenza, quello inevitabile, cioè quello che inevitabilmente ogni parlante segue e non può non seguire: data una premessa deve giungere a una conclusione. Dunque occorre ripensare la questione della retorica in modo più preciso, mantenendo certo quello che è stato detto da Aristotele in poi, questa potrebbe essere un qualche cosa che si aggiunge a un modello retorico più radicale, più preciso … Intervento: la psicanalisi si occupa di istruzioni, di modi di pensare … Indirettamente, perché la persona parlando mette in atto queste istruzioni, però non sa di mettere in atto delle istruzioni e l’analista deve fare in modo che possa saperlo … Intervento: e quindi bisogna fondarsi su degli atti di fede, ha a che fare con atti di fede … Sì, ciò che la persona dice, ciascun atto di parola lo prende come un atto di fede e quindi occorre ricondurre questo atto di fede all’atto di parola, vale a dire a ciò che lo fa funzionare, questo è il punto di arrivo, potremmo dire così, è ovvio che l’analista deve sapere di cosa si tratta se no non succederà niente, però per la persona che pensa religiosamente e cioè credendo alle cose che pensa si tratta invece di compiere un percorso che non è sempre agevole, questo ricondurre l’atto di fede a un atto linguistico, a un atto di parola; l’analista deve sapere molto bene come funziona il linguaggio se no non va da nessuna parte né può fare compiere alla persona questo percorso, quello che lei diceva è il punto di arrivo e cioè quando la persona è in condizioni di constatare in ciascun atto che è un atto linguistico e quindi questo atto è costruito da istruzioni perché non può essere altrimenti che così, però prima di arrivare a questo si ha a che fare con tutti i suoi atti di fede … Intervento: il problema è quello l’istruzione è l’atto di fede, sono strettamente legati quando uno ha capito questo … L’atto di fede è il modo in cui le persone pensano comunemente, ciascuno pensa o crede che le cose che lui pensa immagina e suppone, siano assolutamente vere, questo è un atto di fede, perché di fatto non può fornire nessuna dimostrazione, la stessa scienza può essere intesa come un atto di fede perché come dicevamo forse qualche volta fa non può mostrare la verità del criterio che utilizza per giungere alle sue conclusioni, e quindi anche la scienza viene relegata a questo punto fra gli atti di fede … Intervento: diciamo che la verità è necessariamente un atto di fede indipendentemente di come si pone la questione … Dipende appunto da come si pone la questione, perché può anche non esserlo … Intervento: se non è dimostrabile è un atto di fede … No, basta sapere che questa verità è una verità particolare cioè all’interno di un gioco … Intervento: però come pensa il luogo comune distingue l’atto di fede dalla verità è uguale … Sì, nel luogo comune, sì certo, non ci si accorge che fa parte di un gioco perché anche una persona che è avvezza al funzionamento del linguaggio e alla sua struttura utilizza la verità nei vari giochi linguistici, quindi utilizza questa cosa ma sa perfettamente che la verità di cui parla è una verità all’interno, nell’ambito di un gioco linguistico particolare, come la famosa verità che due re battono due jack. Potremmo dire che non c’è nessuna nevrosi, sono solo modi di pensare, modi differenti di esporre o di trovarsi presi all’interno di un atto di fede, se io credo certe cose avrò l’ansia inesorabilmente, se credo altre cose avrà la depressione perché quello che credo fortemente è inesorabilmente una certa conclusione e quella conclusione è per esempio la fobia, l’ansia, acciacchi di qualunque tipo, questo ovviamente pone la psicanalisi a una distanza immensa e incolmabile dalla psicoterapia … Intervento: il suo vissuto, la sua esperienza … Sono tutte cose che per la persona sono ritenute vere e si muove di conseguenza, queste verità che ha accolte come tali, se non le avesse accolte come tali non sarebbe successo niente, come abbiamo detto in modo molto semplice e anche in modo molto banale in una conferenza, non mi ricordo quale, perché una persona possa credere una serie di cose, forse ne parlavamo a proposito del Super-Io di Freud, a questi divieti imposti dal Super-Io, perché ci creda e quindi di conseguenza succedano tutte quelle cose che Freud descrive occorre che per la persona questi divieti siano veri, cioè siano proposizioni vere, che impongono di conseguenza di agire in un certo modo, se li ritenesse falsi sarebbero totalmente irrilevanti, indifferenti, e questa è una questione importante. Pone la psicanalisi in una maniera che è inconciliabile con qualunque altra forma di pensiero perché ha appreso, la psicanalisi, nel suo percorso, a interrogare le cose, interrogandole oltre naturalmente il ragionevole e l’umanamente pensabile, e alla fine trova il linguaggio. È bizzarro che anche persone pure di notevole tempra teorica non pensino a interrogare le cose fino alle estreme conseguenze o non si accorgano di paradossi, avete presente quello che dicevo tempo fa rispetto a Peano, ai suoi assiomi? Il secondo assioma diceva che “0 è un numero” e il terzo, “se A è un numero allora il successore di A è un numero”, ora prendete la questione che pone invece rispetto all’uguaglianza, e cioè che nella sequenza “A = A”, non è possibile stabilire che A è se stessa, ora applicate la stessa cosa allo 0, e cioè “0 = 0”, allora per gli stessi motivi e in base allo stesso criterio 0 non è più uguale a 0, cioè 0 non è 0, se 0 non è 0, 0 non è numero, e bell’è fatto. Ma se avesse avuta l’opportunità, l’occasione di considerare i suoi assiomi come delle istruzioni e considerare anche la formulazione “A = A” come un’istruzione e non qualcosa da dovere dimostrare, perché è impossibile da dimostrare, ecco che allora avrebbe fatto quello che abbiamo fatto noi, forse meglio, forse peggio, ma avrebbe fatto la stessa cosa e a questo punto si sarebbe trovato la strada spianata, sarebbe stato ormai tutto a portata di mano, semplicemente considerando i suoi assiomi come istruzioni e di conseguenza “A = A” non significa niente, è un’istruzione, e non può essere dimostrato, non significa niente dimostrare un comando. Una cosa semplice come questa a Peano, che è sicuramente uno dei più grandi logici del secolo, è sfuggita, perché andava a cercare la verità là dove non c’è: è vero che A è uguale ad A? Non significa niente un’affermazione del genere perché è un comando e se lui mette in discussione che “A = A” allora deve mettere in discussione anche che “0 = 0”, e se 0 non è 0 allora non è neanche un numero, e tutto ciò che ha fatto crolla come un castello di carta. Ovviamente tutto il calcolo proposizionale regge benissimo lo stesso perché date certe istruzioni, tutto procede senza problemi. La questione è quella del fondamento che nel suo caso, posto nel modo in cui l’ha posto, risulta problematico, e questo dipende dal modo in cui si interrogano le cose. Occorre interrogare l’atto di fede, in fondo anche immaginare questi assiomi è stato un atto di fede, se no li avrebbe interrogati, perché li pongo come idee primitive e perché poi non applicare la stessa cosa ad altro? Ciò che impedisce di interrogare e quindi di intendere il funzionamento del linguaggio è sempre e comunque la fede, la fede in ciò che si pensa. Intervento: qualcosa che funziona come verità fuori dal linguaggio è sempre questa la questione … È chiaro che posta fuori dal linguaggio non potrà mai provare assolutamente niente, meno che mai di sé di essere vera, se è fuori dal linguaggio con cosa lo fa? La psicanalisi insegna a interrogare, interrogare senza scrupoli, senza timori, senza vergogna e senza rispetto, non c’è nessun rispetto, il modo in cui la psicanalisi interroga non rispetta niente e nessuno e quindi può effettivamente interrogare qualunque cosa comprese, le sue stesse affermazioni così come abbiamo fatto. Le istruzioni sono la logica, tutto il resto appartiene alla retorica, però adesso dobbiamo ridefinire in qualche modo la retorica, dare un altro statuto alla retorica che non va a eliminare quello presente naturalmente ma aggiunge. Per gli antichi non tutto era retorica naturalmente, per esempio Socrate era convinto che quello che faceva era altro dalla retorica, infatti la chiamava dialettica, porre qualunque costruzione come retorica la pone come una costruzione arbitraria, anche l’illustrazione delle istruzioni, dei comandi è retorica, nel senso che è arbitraria, non i comandi ma il modo in cui li descrivo questo è arbitrario, è contingente, infatti posso descriverla in tanti modi differenti, naturalmente sempre sapendo che in qualunque modo l’avrò descritto comunque avrò utilizzato queste istruzioni necessariamente, quindi l’analista deve essere in prima istanza un sofista che pratica l’eristica, l’antica arte di dimostrare vera o falsa qualunque affermazione … Intervento: oggi l’eristica non è praticata anzi gli umani cercano la certezza … Il fastidio che spesso danno le cose che noi diciamo al pubblico non è molto lontano dal fastidio che davano le cose che dicevano i sofisti, tant’è che ad un certo punto li hanno liquidati, spero che a noi non succeda la stessa cosa. Interrogare oltre il ragionevole, il consentito dal buon senso comune da fastidio, è come il gioco dei perché, per quale motivo dà tanto fastidio? Il motivo è che oltre a un certo punto non si sa più rispondere, ma se si sapesse rispondere non darebbe più nessun fastidio, quando si arriva a fine corsa, cioè alla struttura del linguaggio lì finisce ma se non si sa allora si avverte un disagio, un disagio di fronte a un qualche cosa che sta precipitando e che non si riesce ad arginare in nessun modo … Intervento: è difficile considerare che tutto ciò che avviene, avviene mentre si parla, mentre si dice e che riguarda il qui e adesso in qualche modo, abbiamo costruito tutto considerando questo se non si considera questo immediatamente la verità è data, l’esistenza è data, è questo l’atto di fede … Sì, in fondo l’interrogazione, che è stata il passo più importante di ciò che abbiamo fatto in questi anni comporta il chiedersi da dove viene l’interrogazione, perché sto interrogando? Perché voglio sapere? Cosa dice Aristotele nella prima pagina della Metafisica? Gli umani cercano il sapere, la meraviglia, non ha saputo dire perché, però di fatto gli umani interrogano per questo motivo, perché hanno bisogno di sapere e il motivo per cui hanno bisogno di sapere procede dal modo in cui pensano necessariamente, e cioè da quella cosa che li fa pensare, dal linguaggio. Dunque la psicanalisi si occupa di modi di pensare, questo deve essere in qualche modo il messaggio da porre a un pubblico, non si occupa di malattie. Se noi portiamo la cosa fino alle estreme conseguenze come abbiamo fatto in alcuni casi, allora anche la persona che si inginocchia di fronte a niente e gli parla, allora anche quella è matta quindi va internata e lobotomizzata e bell’è fatto. Volgere un modo di pensare in una malattia è un’operazione da psicopolizia, come si diceva una volta, e si diceva che gli psicologi sono psicopoliziotti, cioè si occupano del sistema psichico delle persone perché pensino come devono pensare. 13-4-2011 Dicevamo che la questione della retorica va molto aldilà di quanto generalmente si consideri, e cioè semplicemente una tecnica di persuasione, in effetti la retorica è qualunque cosa si dica perché indica semplicemente il modo in cui le cose si dicono, la logica, il linguaggio definisce quelle istruzioni che consentono la costruzione di proposizioni ma la retorica non è altro che il modo in cui queste proposizioni, quindi i discorsi, i racconti, si costruiscono. Posta in questi termini qualunque cosa, qualunque discorso, qualunque racconto, qualunque affermazione è retorica. La retorica generalmente individua tre tipi di discorso, il discorso deliberativo, giudiziario ed epidittico, potremmo aggiungere quello parenetico, cioè quello esortativo, quello che esorta a fare o a non fare qualcosa. Deliberativo indica che cosa è meglio fare, cioè discute e argomenta sulle cose che occorre fare o non fare quindi si rivolge al futuro, quello giudiziario invece si appunta su ciò che è stato fatto, per esempio un crimine, un delitto, se è vero che è stato compiuto oppure no, quindi si rivolge al passato, quello epidittico è quello che loda oppure biasima qualche cosa quindi si rivolge al presente, è il discorso elogiativo. Ma aldilà di queste amenità, considerare che qualunque discorso è un discorso retorico può avere degli effetti, che cosa fa la retorica dunque? Il suo compito è quello di persuadere, cosa significa persuadere qualcuno? Significa fare in modo che questo qualcuno accolga delle conclusioni di argomentazioni come vere, quindi tutto ciò che la retorica ha sempre fatto e continua a fare, da Demostene in poi, è mostrare quali sono i modi per provare che qualche cosa è vero oppure che è falso, si occupa di costruire argomentazioni che risultino, per chi le ascolta, vere, quindi insegna, mostra, come si ottiene il consenso, ché è importante per gli umani, considerato che di fatto non fanno nient’altro che questo e cioè cercare qualcosa di vero e poi di affermarlo continuamente, ripetendolo all’infinito. Provate adesso a considerare, nel caso più specifico, tutta l’opera di Freud, e anche tutto ciò che è stato prodotto nella sterminata letteratura psicanalitica, come retorica, nient’altro che retorica, che succede a questo punto? Che tutte queste costruzioni, queste teorie sono state edificate al solo scopo di affermare che qualche cosa è vero, affermare una verità, dal momento che la retorica si occupa di questo: affermare la verità. Non importa che questa verità corrisponda di fatto a qualche cosa, l’importante è che sia creduta, la retorica si occupa di questo e l’eristica ancora di più, l’eristica è quella antica arte che praticavano i sofisti e cioè l’arte che consente di dimostrare qualunque affermazione vera e anche di dimostrare la stessa affermazione falsa, sì era questo che facevano i sofisti per questo davano fastidio … Intervento: un esercizio di stile … Non propriamente, anche se lo stile è un aspetto della retorica, quello che comunemente si chiama ornato cioè costruire delle frasi, delle proposizioni, dei discorsi belli perché per gli umani ciò che è bello è anche vero. In Francia, alla scuola di Chartres, disquisirono proprio su questo, sul fatto che ciò che è bello deve essere anche vero perché se è bello vuol dire che è armonico, vuole dire che è ordinato e l’ordine è buono per definizione e quindi è vero. Tutta la psicanalisi non è altro che un sistema per potere affermare un asserto vero, nient’altro che questo, quindi non ha nessun referente propriamente, cioè non dice come stanno le cose, non descrive uno stato di cose, come per altro anche molti psicanalisti dicono. Nella psicanalisi si è aggiunta un’altra genialata e cioè le affermazioni che fa la psicanalisi non possono essere provate, questo naturalmente da una parte mette al riparo da eventuali confutazioni perché per definizione non possono essere provate, però d’altra parte mette anche questa dottrina nella condizione di non potere sostenere le sue affermazioni su niente. Parlare di retorica è parlare del modo in cui il discorso costruisce affermazioni vere, in un modo o nell’altro, e la retorica appunto insegna a fare questo, a costruire argomentazioni che concludono in un modo vero, vero o apparentemente vero questo è irrilevante e cioè si occupa soprattutto del fare credere qualche cosa quindi del verosimile. Che cosa si intende generalmente con vero? Quando uno dice qualcosa e l’altro dice: sì è vero! significa semplicemente che avendo accolto lo stesso gioco linguistico ha anche accolte le stesse regole e quindi rileva che la conclusione di quel tizio è coerente con le regole di quel gioco e quindi dice che è vero, non c’è nessun altro tipo di vero se non quello che viene stabilito di volta in volta dalle regole del gioco che si sta facendo, quindi perché occuparsi di retorica? Perché la retorica mostra tutti i modi in cui il discorso costruisce affermazioni vere e sappiamo che il discorso non fa nient’altro che costruire proposizioni vere, perché questo gli impone la struttura di cui è fatto e cioè il linguaggio, come si costruisce un’argomentazione retorica Eleonora? Supponiamo che tu voglia costruire un discorso parenetico ed esortare una nazione alla guerra … Intervento: devi convincere che la guerra è giusta? È stato fatto e si continua a fare, quindi un modo lo si trova … Intervento: crei un nemico … Sì certo, occorre un nemico per fare la guerra. La prima cosa che devi muovere sono le emozioni, gli animi, e che cos’è che muove più fortemente l’animo delle persone? Se tu mi avessi ascoltato negli anni scorsi sapresti che una delle cose che gli umani non tollerano, adesso la dico molto rapidamente, è il sopruso, e cioè il fatto che qualcuno affermi una verità contro la loro e gliela imponga, che qualcuno con la forza imponga la sua verità contro la tua naturalmente, questa è una cosa che risulta intollerabile più di qualunque altra, quindi data questa direzione bisogna trovare i modi perché una cosa del genere possa essere diffusa, divulgata questa idea di subire un fortissimo sopruso da parte di qualcuno e cioè che qualcuno stia cercando di imporre a tutti i costi la sua verità sulla tua, è come quando qualcuno dice delle brutte cose su di te e tu non hai modo di replicare, ti arrabbi fortissimamente e vorresti dirgli il fatto suo. Dunque occorre dire che si sta subendo un sopruso, occorre individuarlo in qualche cosa e ovviamente dare a questo una grandissima enfasi e come si fa una cosa del genere? L’obiettivo abbiamo detto è quello di esortare alla guerra. L’importante è lanciare l’idea che stiamo subendo un terribile sopruso poi vengono in aiuto i mezzi di informazione, una volta c’era l’agorà, adesso c’è la televisione e quindi si costruiscono degli spot e cosa si mostra in questi spot? Si mostra quello che già gli si è detto e cioè che stiamo subendo un sopruso. Il modo per costruire questo spot è mostrare delle scene in cui delle persone che, come i nostri militi, vanno in certi paesi. quelli che a noi interessa porre come nemici per offrire il loro aiuto, per esempio si mostra il soldato che offre un fiorellino a un bambino che ha in braccio, il soldato che dà da mangiare alla vecchietta che sta morendo di fame, il soldato che aiuta a costruire una scuola. Se mentre fa queste cose belle e buone e giuste e dignitose si mostra che qualcuno, proprio mentre fa queste cose, gli spara addosso ecco che si scatena l’ira d’iddio in chi vede questa cosa, il nostro soldato va lì, li aiuta, fa tutte queste belle cose e quell’altro gli spara addosso e compie un gesto che è considerato sacrilego, un gesto degno di una bestia, di un animale. A questo punto hai già fatta passare l’idea che non soltanto si è subito un sopruso ma anche da parte di una bestia disumana. Questo spot deve essere ben costruito ovviamente, deve fare credere quello che si vuole che le persone credano. Tu Eleonora sei giovane e non ti ricordi ma nel 67 fu fatto un film proprio con questo scopo, allora erano gli anni della guerra del Vietnam, un film diretto da John Waine che allora era un icona della cinematografia, un uomo forte e rude della frontiera americana, il film si chiama Berretti Verdi e fu fatto allo scopo di invogliare i giovani americani ad andare in Vietnam a farsi ammazzare, questo film di per sé è una cretinata naturalmente, però invogliò effettivamente molti giovani a scatenarsi e ad andare a combattere. A questo punto questa esortazione alla guerra è a buon punto, manca soltanto la figura che c’è sempre nella guerra e che non deve mancare mai: l’eroe. Bisogna creare l’eroe e per crearlo c’è bisogno dello spot che mostra qualcuno che per esempio nel momento in cui quel tizio con il bambino in braccio viene colpito alla testa e si vede schizzare il sangue, tra l’altro adesso con il computer si fanno degli effetti meravigliosi, ma l’elemento che manca è quello del pareggiamento dei conti e cioè sempre i nostri soldati che colpiscono quello che ha ucciso il primo, in un altro spot … Intervento: la vendetta … Brava, esattamente, a questo punto è come se la bilancia si fosse pareggiata, mentre la prima scena dà una sensazione di rabbia impotente, non si può fare niente, non si può reagire, invece in quest’altra scena ecco che c’è la rivincita e questo provoca una fortissima identificazione soprattutto nei giovani, anche perché in guerra ci vanno i giovani e non i vecchietti, dovrebbero andarci tanto hanno poco da perdere, anziché un ragazzo di vent’anni … Intervento: con la testa vuota che hanno … Ma è su questo che si fa leva … Intervento: sulla stupidità della gente … E se no su che cosa? Intervento: è per questo che ci sono poche donne che ci vanno in guerra … Adesso hanno arruolato anche le donne perché si sono accorti che è una cosa politicamente corretta, perché le donne se colpite da pallottole vanno giù esattamente come gli uomini, e quindi c’è una parità dei sessi assoluta. Per proseguire la questione, tu hai costruito già una macchina abbastanza efficace ed efficiente per invogliare le persone a compiere quello stesso gesto che hanno compiuto i secondi militari vendicando il primo e a questo punto tutti i ragazzini vogliono andare là anche loro per vendicare i soprusi e quindi hai esortato i giovani a entrare in guerra. Una cosa simile accade quando in una trincea c’è un ragazzo che deve sparare contro il nemico, che sta di fronte generalmente, se sta di spalle è un problema, e allora può avere dei ripensamenti e dire: “perché devo sparare a quel tizio? Ha la mia età magari sente la musica che sento io, non mi ha fatto niente, perché lo devo ammazzare?” e quindi può avere qualche ripensamento, ripensamento che cessa immediatamente nel momento in cui il suo più carissimo amico che è al suo fianco viene colpito, a quel punto interviene quell’elemento di cui dicevo prima e cioè la rabbia furibonda che scatena la vendetta e allora si lancia fuori dalla trincea per vendicare l’amico. Ma dicevo che in questo modo hai costruita un’argomentazione che conclude in un modo che per le persone è vero … Intervento: è un’argomentazione che vale solo per certi tipi di discorso a me una sequenza del genere se l’ascolto … Questo discorso va costruito per invogliare le persone che sono sensibili a queste cose, di fatti è rivolta ai ragazzi … Intervento: per abboccare a queste cose devi avere già dei pensieri … Ma si può aggiungere un elemento, e cioè donne che vengono picchiate, stuprate e poi derise, e allora si scatenano anche le donne. È sufficiente muovere l’idea di avere subito un torto, un sopruso intollerabile e nessuno vuole subire soprusi da persone che per altro non hanno nessun diritto di farlo. È lo stesso discorso che in parte ha utilizzato anche Hitler per muovere i giovani, il Mein Kampf è un ottimo testo di sociologia, spiega come muovere le masse e abbiamo anche detto, ai tempi per esempio degli anni di piombo, quale sarebbe stato il sistema più rapido e più efficace per instaurare una dittatura immediatamente della polizia, non solo instaurata ma invocata dalla popolazione: basta mandare quattro scagnozzi che vanno in giro a sparare alle persone per strada, alle persone che aspettano l’autobus, alla vecchietta col nipotino, dopo pochi giorni la popolazione invoca la legge marziale. Naturalmente poi questi tizi verranno eliminati è ovvio, perché non si possono avere testimoni di una cosa del genere. La struttura se ci pensate bene è la stessa, anche queste persone che vanno in giro sparando per le strade fanno qualche cosa che scatena una rabbia impotente e quindi c’è bisogno di riequilibrare la situazione attraverso un’azione uguale e contraria, per così dire, in questo caso un’azione di forza. Ma tutto questo si basa sul fatto che le persone hanno una fede sconfinata in qualunque cosa e il suo contrario, per cui occorre mostrare le cose in un certo modo, e se si mostrano in un certo modo hanno un certo effetto tant’è che nella famosa guerra del Vietnam una delle immagini che aveva scatenato la rivolta contro l’intervento americano nel Vietnam furono le immagini degli aerei militari americani che tornavano indietro e scaricavano centinaia di casse da morto, furono fra le immagini più terribili, queste casse argentate e infinite, infatti nelle guerre successive queste immagini non sono più state concesse perché avrebbero potuto provocare lo stesso effetto, e cioè il un rifiuto della guerra. Nella guerra in Irak sembra siano morte più persone che in Vietnam, però nessuno lo sa quindi la cosa non esiste. Tutte queste considerazioni convergono e portano alla stessa questione, e cioè la costruzione di un discorso che risulti vero, perché è questo che gli umani cercano, in fondo anche pareggiare la bilancia è ristabilire una verità, questo ha commesso un crimine abominevole, la giustizia divina o umana pareggia il conto e una volta che è pareggiato diventa vero, diventa praticabile, diventa utilizzabile, non c’è più niente in sospeso, il discorso è compiuto, è chiuso; un discorso deve compiersi, se rimane incompiuto lascia qualche cosa in sospeso, naturalmente deve compiersi nella direzione in cui si vuole che si compia, in questo caso nello spingere i giovinotti alla guerra. Adesso costruisci un discorso che dissuada dal combattere. Supponi che ci sia tra la popolazione un forte desiderio di guerra e tu devi costruire un discorso, degli spot che dissuadano dal compiere un’operazione del genere, da dove partiresti? Intervento: dal confronto, da immagini di vita dell’uno e dell’altro … Non solo, la tua idea può essere utilizzata esasperandola e cioè mostrando che queste persone che si credono dei nemici in realtà fanno esattamente le stesse cose che fai tu, hanno gli stessi problemi, le bollette da pagare, i figli da crescere, credono nelle stesse cose e siccome è rivolta prevalentemente ai giovani perché sono loro i più scatenati, ascoltano la stessa musica, vanno in discoteche simili, vengono lasciati dalle ragazze, cioè fanno le stesse cose, vogliono una ragazza, vogliono divertirsi, vogliono esattamente fare le stesse cose e allora dovrai sottolineare che questa possibilità di fare le stesse cose che fai tu è un diritto, un diritto che non si può togliere e quindi come costruirai uno spot? Intervento: oppure fare vedere che un militare fa del male … Esattamente si va a Cinecittà, si costruisce una scena dove dei militari italiani o, se non si vuole coinvolgere dei connazionali, si usano dei mercenari che comunque sono pagati da noi direttamente o indirettamente, i quali compiono delle malefatte che assolutamente sono cose inaccettabili per il vivere civile e a questo punto si dirà: “se fanno così allora non va bene, questa cosa non deve continuare, deve essere fermata” e allora ecco che incominciano a crearsi movimenti contro la guerra, la gente scende in piazza con i cartelloni contro la guerra e allora si invieranno delle persone che mescolate fra la folla imprecano contro la guerra. Il discorso di ciascuno è come se facesse continuamente la stessa cosa e cioè creasse dei discorsi, delle argomentazioni per giungere a una conclusione vera alla quale credere, sulla quale appoggiarsi, dalla quale essere confortati, sulla quale costruire altri discorsi … Intervento: rispetto al mio intervento parlare sul fatto che la psicoterapia è un’operazione retorica, cosa fa la psicoterapia? Conduce la persona a costruire nel proprio discorso una conclusione che appaia vera ché è quello che rassicura, è quello che tranquillizza, tra virgolette “guarisce” era un po’ questo l’aspetto da insistere, persuadere la persona che le cose stanno in un modo anziché nel modo in cui la persona pensava che stessero … il bravo psicoterapeuta è quello che deve convincere ... Occorre che ci sia, nella formazione di uno psicanalista, la conoscenza della retorica, non tanto per la pratica propriamente detta che si svolge in uno studio con la persona che racconta delle vicende, ma per lui, cioè per la capacità della persona di potere controargomentare qualunque cosa … Intervento: mentre nella psicanalisi l’operazione punta a questo cioè nel controargomentare se vogliamo sino all’esaurimento per mostrare che questa certezza si fonda su questioni arbitrarie invece la psicoterapia non è quello ma si tratta di una sostituzione. La differenza è che la persona che va in una psicoterapia va convinta di una certa cosa, convinta che le cose per lui stiano in un certo modo e che per questo modo stia soffrendo, lo psicoterapeuta qual è l’operazione che fa? è quella di mettere in discussione questo asserto ma per dire che le cose stanno in un altro modo. La psicanalisi invece non dice “le cose non stanno in questo modo ma stanno in quest’altro” dice che le cose non stanno né in questo né in questo né in questo …dice che quello che lui si trova a pensare è una costruzione che si basa su alcune fantasie e che pilotano il suo discorso a costruire anche la sofferenza, l’idea è di non credere a nulla, neanche a quello che il proprio discorso produce. A questo punto si trova ad avere un discorso che ha una mobilità infinita, incredibile cioè mentre prima il discorso può essere bloccato su di un asserto … Intervento: la differenza è che la psicoterapia crede che esista la sofferenza, se la sofferenza è costruita dal discorso della persona è chiaro che è costruita per qualche motivo e che quindi ha un suo utilizzo se non si accorge di questo non si è accorto di niente … Per questo la retorica è importante per la formazione di una analista, mostra che l’unico obiettivo di un’argomentazione, di un discorso, è concludere con un’affermazione vera, non c’è nessun altro motivo, naturalmente dopo che ha concluso con un’affermazione vera, nel caso in cui questa affermazione venga posta come una verità assoluta allora costituirà sicuramente la premessa per altre argomentazioni che comunque veicoleranno sempre questa verità, se invece è un bravo retore sa che qualunque verità che ha affermata comunque può essere confutata da lui stesso, se oltre a un retore è anche un sofista sa sia dimostrare che quello che ha affermato è vero e sia dimostrare che è vero il contrario di quello che ha affermato. A questo punto è ovvio che non crederà né all’una cosa né all’altra e quindi sarà libero perché non più vincolato a delle superstizioni, a delle credenze sue personali, è assolutamente libero di potere pensare e sicuramente non è più ricattabile né dai discorsi che abbiamo fatti prima pro o contro la guerra, né da nessun altro perché avverte immediatamente come sono costruiti, che sono costruzioni e che di per sé non significano niente. 20-4-2011 C’è una questione su cui vorrei richiamare la vostra attenzione che riguarda la psicanalisi ed è una questione retorica, vale a dire il modo in cui la psicanalisi considera gli umani, ed è anche in parte il motivo per cui la psicanalisi è diventata ad un certo punto e cioè negli anni 60/70, prevalentemente di sinistra. Prima la sinistra era molto sospettosa nei confronti della psicanalisi, soprattutto ai tempi delle stalinismo, la consideravano una cosa per ricchi e non risolveva i problemi sociali, poi verso gli anni 60/70 c’è stata un’inversione di tendenza. Non è casuale che nella seconda metà degli anni 70, gli anni della formazione come analisti, eravamo quasi tutti provenienti di esperienze di sinistra anzi, la più parte di estrema sinistra. Freud, che come sapete era ebreo, ha incominciato a indicare l’io come qualche cosa che è lacerato tra le pulsioni e l’impossibilità di porle in atto, poi questo uomo è stato considerato ancora di più come lacerato da una divisione incolmabile, poi con il lacanismo è diviso, cerca di trovare un’identità e cercandola trova una irreparabile e irreversibile alienazione, e questo è l’elemento che ha consentito alla psicanalisi di “diventare” tra virgolette di sinistra, è questo l’elemento che ha fatto da collegamento con il marxismo: l’alienazione. Per i marxisti l’alienazione procedeva da fatti meramente economici, ma c’era anche un’alienazione che non riguardava soltanto i beni e il profitto ma anche un’alienazione psichica, in qualche modo operata naturalmente dal capitale che fa di tutto per mantenere gli operai in una posizione di sudditanza. Questa alienazione è stata portata dalla psicanalisi all’estremo, perché l’uomo cerca un oggetto che è sempre fuori portata, non si accorge che il desiderio è insoddisfacibile, il suo atto di parola è irrimediabilmente diviso da sé, il più delle volte è ancorato a una sessualità infantile, vive ripiegato su se stesso, gongolandosi nei suoi sensi di colpa, è incompiuto, è mancante, è imperfetto questo è il modo in cui la psicanalisi vede l’uomo. Freud, oltre a essere soltanto un medico quindi non aveva nessuna nozione di niente, era anche ebreo e quindi ha costruito una teoria che seguiva l’idea di assenza di salvezza, che è rimasta ancora in Lacan, pur non essendo ebreo, però era un medico anche lui con qualche nozione di linguistica ma poca cosa. L’evoluzione è proseguita con Verdiglione, che si è sempre proclamato cattolico: “troppo cattolico per essere credente” e “troppo gesuita per diventarlo” così disse negli anni 80. Infatti ha ripreso dei termini, rielaborandoli, ma che sono peculiari del cristianesimo in particolare del cattolicesimo come la fede, la speranza, la carità, la provvidenza, ovviamente non la riferisce al dio dei cristiani però è come se cattolicamente avesse dato una speranza contro l’assenza di possibilità di salvezza che in qualche modo aveva posto Freud, in effetti per gli Ebrei non c’è la salvezza. Dunque l’uomo nella psicanalisi è posto in questa maniera, come colui che è sempre mancante, sempre difettoso, sempre parole di Verdiglione utilizzate in un intervista recentemente, “sempre imperfetto”. Quale sia il criterio per stabilire che l’uomo è imperfetto, solo dio lo sa, è il caso di dirlo, ma rimane il fatto che questa mancanza, questa imperfezione, questa impossibilità, per esempio di dire la verità, se non a mezzo, poi anche l’uomo è mezzo maschio, mezzo femmina, mezzo nevrotico, mezzo psicotico. Tutto questo ha fatto in parte la fortuna della psicanalisi in quanto ha messo l’uomo in una posizione di chi è sempre necessariamente bisognoso di qualche cosa e quindi di qualcuno, incapace di intendere e di volere, questa operazione relega e continua a mantenere la psicanalisi in una posizione fideistica, religiosa, è un discorso prettamente religioso dove questa imperfezione, che si mantiene, mantiene anche l’idea di una redenzione in un modo o nell’altro, che per i marxisti era la liberazione della classe operaia dall’oppressione, nella psicanalisi, con Freud, con l’acquisizione da parte dell’io dell’es: “wo es war soll ich werden” scrive Freud, dov’era l’es occorre che l’io avvenga, questo vuole dire. È difficile affrancarsi da una cosa del genere, straordinariamente difficile, gli umani hanno sempre considerato se stessi in un modo o nell’altro come bisognosi di qualche cosa, come mancanti, e questo direi quasi da sempre, cosa che li ha resi almeno in parte facilmente assoggettabili da chiunque si ponesse o si proponesse come colui che prometteva la reintegrazione di ciò che era mancante, e lo psicanalista è una delle ultime figure di questo tipo, ultime nel senso cronologico, e qui ovviamente come dicevo prima ci sono tracce abbastanza evidenti di un pensare religioso, come intendere tutto ciò? È ovvio che il cosiddetto pensiero forte, cioè quel pensiero che non muove da qualcosa che è considerato originariamente mancante, assente, può creare qualche problema politicamente, religiosamente, socialmente: se l’uomo non è più mancante di niente si suppone che non abbia più bisogno di nessuno, e questo può essere un problema. La questione della nevrosi, del disagio, ha ripreso, almeno in parte, la questione della colpa, e Freud ha dedicato parecchio al senso di colpa e ha anche notato in modo intelligente che senza senso di colpa non si governa; l’idea dell’uomo imperfetto e quindi bisognoso è mantenuta anche nelle teorie più recenti che ritengono in ogni caso l’atto di parola diviso, il soggetto barrato e ciò che si dice sempre altro da sé, che sia differente da sé questo è tutto da verificare, cosa che potrebbe non essere così facile da dimostrare. Intervento: la questione della psicologia si pone apparentemente … Sì, l’uomo normale, in effetti la psicologia individua quei comportamenti, atteggiamenti che si allontano dalla norma e quindi anche qui l’uomo è deviato e il compito è di ricondurlo a un’integrità perduta che in qualche modo anche Freud tentava di raggiungere nel momento in cui l’Io si fosse appropriato dell’Es per esempio. Con le teorie più recenti, con Lacan, è stato inteso a partire da De Saussure che il segno comunque non può ricomporsi, rimane sempre la divisione, la barra, il significato non potrà mai essere un significante e viceversa e quindi l’atto di parola risulterà sempre diviso da sé, l’uomo non potrà mai appropriarsi di quello che dice, di quello che pensa, non sarà mai padrone delle proprie parole, cosa che di per sé non significa niente, però retoricamente invita le persone a considerarsi umili, non è un caso l’invito all’umiltà, all’humilitas, e l’umiltà nell’accezione indicata da Verdiglione è prevalentemente il non ritenersi padroni del linguaggio ma lasciare che l’Altro, che l’altra scena lavori per via delle varie funzioni, per via delle varie storie che si è inventato. Questo aspetto religioso nella psicanalisi continua a protrarsi tranquillamente e indifferentemente e rende tra l’altro anche straor- dinariamente difficile l’inserimento di questo discorso che stiamo facendo, anche fra gli psicanalisti anzi, direi forse soprattutto fra gli psicanalisti, mettere in discussione uno di questi elementi, e cioè per esempio la divisione da sé. Risulta impossibile così come risulta impossibile per un cattolico mettere in discussione la trinità di dio … Intervento: riprendo la questione della psicologia prima che … intanto quello che stiamo dicendo è che l’uomo non è libero … Non lo è, anche la psicologia in fondo cercando di adeguare l’uomo a una normalità cerca di adeguarlo a un criterio assolutamente arbitrario, l’ideale della psicologia è l’ideale gnostico “sarete come dei” immaginando che dio sia la perfezione, ovviamente non si tratta né di raggiungere la perfezione, né di dire che l’uomo è imperfetto, se mai interrogarsi sul perché si pensa una cosa del genere eventualmente, cosa che nessuno fa. Ma perché la necessità di mantenere aspetti così misterici? Che nelle teorie più recenti psicanalitiche si chiamano per esempio enigmi, si chiamano iato, si chiamano cesure, si chiamano divisione incolmabile, si chiamano punto vuoto, cose indicibili, che non possono essere dette però ci sono, queste cose indicibili, che non possono essere dette però ci sono, perché? A che scopo una cosa del genere? A che scopo mantenere l’idea di quest’uomo imperfetto, mancante, incompiuto? Non si può andare oltre a un certo punto perché non è più dicibile, non ci sono più le parole, lo stesso Lacan diceva che il desiderio in quanto tale non può dirsi, è già detto in ciò che si dice. Ora noi avremmo la possibilità retoricamente o di porre tutte queste cose come delle fantasticherie per usare un eufemismo, oppure come tentativi maldestri di intendere una questione che rimaneva comunque a portata di mano, potremmo fare sia l’una cosa che l’altra volendo, ma siccome non vogliamo fare né l’una cosa né l’altra, ci interroghiamo eventualmente sul fatto che per via della struttura del linguaggio, permane costantemente la necessità di trovare la risposta, se non si trova è perché non si cerca là dov’è e allora si dice che non c’è, che non si può trovare, che è un po’ l’escamotage operato dall’ermeneutica ma non solo, anche una parte della semiotica, non tutta ma una parte, e anche il modo in cui è stato letto De Saussure può portare a questo, e cioè la necessità di una qualche cosa che rimane indicibile, l’idea stessa di punto vuoto o di funzione vuota è singolare, di fatto non ha nessuna utilità se non quella di mantenere un impossibile, la rimozione non può tradursi in resistenza e cioè l’atto di rimozione non è mai completo, mai chiuso in se stesso, la rimozione non è totale, non c’è una cancellazione ma questa in operazione rimane sempre una lettera che resiste a ciò che la rimozione tenterebbe di fare e cioè la cancellazione, qualcosa rimane, lo stesso Freud lo diceva, qualcosa di rimosso non è che sia scomparso del tutto, qualcosa rimane. Ma la necessità di mantenere questi concetti di divisione, di funzione vuota, di punto vuoto hanno probabilmente a che fare con qualcosa di religioso che permane in tutto ciò, l’idea di qualche cosa che non può dirsi, l’idea stessa di sembiante o di punto vuoto è qualcosa che non può essere detto, interviene come punto di provocazione ma lui in quanto tale non è dicibile, non è comprensibile, tant’è che tutte queste teorie utilizzano come unica inferenza non la deduzione perché non possono partire da qualcosa di certo, quindi la deduzione viene scartata a priori, ma viene utilizzata l’abduzione che pur partendo dall’universale aggiunge quella che dovrebbe essere la conclusione e la utilizza come medio e invece utilizza come conclusione quell’aspetto che nella deduzione è il medio. La psicanalisi ha sempre utilizzato l’abduzione e cioè un sistema inferenziale che muove da indizi, da particolari, da dettagli, da qui l’interesse della psicanalisi al dettaglio, una persona dice una certa cosa ecco che è un indizio di un qualche cosa, certo, è possibile, il problema che la psicanalisi ha incontrato senza mai accorgersene è che scambia dei particolari per universali, è possibile che un certo significante sia indizio per esempio di qualche cosa che costituisce un problema, è possibile, ma può anche non essere, potremmo anche dire che tutto ciò che ha inventato Freud e gli altri dopo di lui, non è che sia errato ma è una possibilità, certo quando incomincia a formulare certe teorie intorno alla rimozione, alla resistenza eccetera o immagina l’esistenza di un Es, ad esempio o stabilisce che alcune cose sono l’inconscio allora lì ovviamente si può porre qualche obiezione, ma sul fatto che una dimenticanza, un lapsus possano alludere a qualche cosa è possibile, ma non è una necessità, anche se viene posta come tale, cioè non può darsi un atto di parola senza divisione, e questo è un universale. Argomentativamente la cosa più efficace non è negare un universale, ma mostrare che questo universale ha un eccezione, ne basta una, come dice appunto il quantificatore esistenziale “esiste almeno una x per la quale non funzioni quello che si prevedeva che funzionasse sempre”. Come dicevamo: vi è una x tale che x e che x non appartiene al linguaggio sarebbe la contraddittoria di quella che afferma che “per tutte le x se x allora x appartiene al linguaggio” il problema è che in questo caso la contraddittoria non può essere verificata, non si da perché per funzionare argomentativamente occorre che questa x, questa sola x, sia provabile ovviamente. Naturalmente nel caso della psicanalisi non può essere provato per esempio che qualunque elemento rimosso faccia parte dell’Es, non può essere provato neanche il contrario e questo è tipico dell’abduzione che ciò che inferisce l’abduzione in realtà non può essere provato ma non può essere provato neanche il contrario: “tutti gli assassini tornano sul luogo del delitto” questa che è un’ipotesi, che può essere vera o falsa, ma per funzionare come certezza deve essere posta come universale. Come viene utilizzata l’abduzione in psicanalisi? Si suppone che un lapsus alluda sempre e necessariamente a qualcosa di rimosso, questo è l’universale, il problema non è soltanto il fatto che non può essere provata una cosa del genere ma, primo, che comporta un atto di fede, secondo che può sempre darsi la possibilità che ci un lapsus non alluda a nulla di rimosso. La psicanalisi funziona così, funziona per universali, questo dettaglio, questo particolare di cui si avvale l’abduzione conclude a qualche cosa che per la psicanalisi poi di fatto è un altro universale, cioè parte da un universale e poi coglie un particolare per trovare un altro universale. Vi rendete conto dell’assurdità di una cosa del genere, eppure tutta la psicanalisi è impiantata su questi atti di fede, perché un universale corrisponde a un atto di fede, a meno che questo universale non sia l’unico che non può non porsi e cioè quello che consente la costruzione di qualunque cosa e cioè il fatto che qualunque cosa appartiene al linguaggio, tant’è che noi poniamo un unico universale, non poniamo tanti universali, infiniti universali, ne poniamo uno, come la condizione, ma lo poniamo come necessità logica, non può non essere perché se no non potremmo stare qui a fare niente. l’universale dice che per tutte le x se x è un lapsus allora x appartiene a qualcosa di rimosso questo Intervento: diciamo che Freud era nella necessità di trovare sempre universali perché partendo da un universale non poteva fermarsi a un particolare perché … Quando afferma l’esistenza di un punto vuoto nell’atto di parola è come se si dicesse che ogni atto di parola comporta la presenza di un sembiante, a meno di ammettere l’eventualità che si dia atto di parola e non si dia sembiante oppure rimozione, se non si ammette allora è un universale e non ci sono santi, e tutta la teoria risulta una sequenza inarrestabile di universali, di affermazioni universali che non possono essere provate ovviamente. La domanda che ci si pone è se la presenza di qualche cosa di indicibile o incomprensibile sia quell’escamotage che consente di muovere da un universale senza avere la necessità di doverlo provare … Intervento: non ho capito questa ultima cosa che lei diceva quello dell’escamotage di porre l’universale senza la necessità di doverlo provare, non ho capito nel nostro caso non lo possiamo provare perché è la condizione di qualsiasi prova, sono solo istruzioni … Se io dico che ciascun atto di parola è mosso, è provocato da un punto di provocazione che io chiamo punto vuoto, sto dicendo che non c’è un atto che sia mosso da un qualche cosa che sfugge all’atto stesso ma che tuttavia lo provoca, un po’ come la barra in Lacan, questa barra che non può dirsi non può individuarsi, non può comprendersi però è la condizione del segno, a questo punto io ho creato un universale senza dovermi assumere l’incarico di dimostrarlo perché per definizione è indimostrabile, è indicibile, ma non è una necessità logica perché se noi lo eliminiamo continuiamo a parlare senza nessun problema, forse anche meglio, mentre ciò che abbiamo posto come necessità logica è qualcosa che è appunto necessario perché se non ci fosse non ci sarebbe né lui né nessun altra cosa, perché non potrei parlare, perché non potrei pensare niente. La questione della religiosità e quindi della fede nella psicanalisi è straordinariamente forte ed è qualcosa che incombe in ciascuna teoria psicanalitica … Intervento: mi viene da pensare che una sorta di secolarizzazione della figura divina in questo caso … questa idea di mantenere un punto di mistero … è una forte fonte di potere questa cosa perché tutto il potere si è sempre fondato su qualcosa di irraggiungibile, di intoccabile, la stessa figura del re doveva essere esclusa dalla società come qualcosa di irraggiungibile, dio che non è conoscibile, raffigurabile … mi da come l’impressione di una sorta di eredità di quelle che sono le radici religiose … È ciò che abbiamo fatto noi, è straordinario anche per questo, perché a fondamento di tutto non c’è più l’indicibile perché ciò che è a fondamento noi possiamo dirlo con assoluta certezza e precisione, sono delle istruzioni, sappiamo dire quali sono e come funzionano, non c’è più nulla di misterioso. Intervento: è un po’ come la scienza che non fa altro che spostare il punto misterioso nel senso che rimane sempre qualcosa di mistero … si sposta questo mistero ma rimane sempre questo mistero qualcosa di irraggiungibile, la questione del perché noi diamo una risposta al perché ma poi se ne ripresenta sempre un altro … al momento in cui ci rendiamo conto che il perché è costruito da una struttura … però è interessante la questione politica perché è fonte di potere perché chi riesce a dire, a costruire questa immagine del mistero è come se la detenesse, riuscire o a creare intorno alla figura del mistero quella che è la sua raffigurazione in un certo senso, a raffigurare meglio da proprio l’impressione appunto di avere un sapere superiore, come il depositario del mistero di dio è la chiesa … Ciò che abbiamo fatto non soltanto scardina radicalmente tutto questo, ma lo rende impossibile, vi rendete conto della potenzialità devastante di una cosa del genere. 27-4-2011 Una delle questioni importanti nelle conferenze è quella del termine “linguaggio”, quando pronunciamo questa parola la più parte delle persone che ci ascoltano non sanno di cosa stiamo parlando, ma aldilà di questo occorre che le conferenze siano preparate in un certo modo, lo avevamo detto, ho spiegato come occorre, come è necessario costruire una conferenza retoricamente. Per primo le cose che intendo dire, da dove incominciare e dove andare, qual è il messaggio che voglio trasmettere, dopodiché come disporre le cose da dire, perché è importante la disposizione. Seconda parte della retorica classica: la disposizione. La disposizione non è altro che valutare quali cose sono più importanti e quindi vanno poste all’inizio o alla fine per esempio, a seconda del modo in cui si vuole costruire la conferenza, una cosa importante può essere posta all’inizio e poi mano a mano che il discorso procede essere svolta, oppure tutta la conferenza può essere una preparazione all’ultima parte che è la conclusione, dove si dice la cosa fondamentale di tutto l’intervento, questa è una cosa che si valuta in base a ciò che si vuole dire, una volta che sia chiaro, sia chiarissimo prima che cosa si vuole dire e come si vuole organizzare, a questo punto si incomincia a riflettere sul modo in cui si intende esordire. Nell’esordio si annunciano le cose importanti che si diranno, si annunciano e si tenta, e se è possibile si riesce, a interessare il pubblico alle cose che si stanno per dire, cioè si crea una sorta di attesa di cose importanti, dopodiché si passa a elencare queste cose importanti. Facciamo l’ipotesi di dovere costruire questa conferenza “È possibile la vita senza linguaggio?” allora prendiamo un foglio, una penna e incominciamo a dire che cosa si intende dire: che la vita, in qualunque modo la si intenda, appartiene al linguaggio, questo è quello che voglio dire e cioè che la vita non c’è senza linguaggio, poi considero da dove partire. Partire dalla nozione di linguaggio? È possibile certo, è possibile partire da che cosa si intende con vita, un modo può essere questo: la vita può essere intesa in tanti modi, ognuno ha la sua idea, allora scrivo: molti modi di intendere la vita, poi perché ci sono tanti modi, anzi- ché uno solo? Quindi scrivo: perché tanti modi? Perché ciascuno pensa in modo diverso ovviamente, perché esistono tanti modi dunque? Perché ci sono tanti modi di pensare, tanti modi di intendere questa parola, come dire che questa parola è sorretta da tanti pensieri, e quindi non c’è un unico modo di intendere la vita, è com’è che una persona giunge a intendere la vita in un certo modo? Allora scrivo: da dove si parte per intendere la vita? Dalla esperienza, dalle cose acquisite, dalle cose imparate, quindi la vita è un concetto soggettivo, che viene costruito dalla persona, da tutte le cose che ha acquisite nel corso degli anni. Dunque il concetto di vita è la conclusione di un percorso, di un percorso argomentativo, quindi la vita è la conclusione di una serie di argomentazioni. A questo punto se è la conseguenza di una serie di argomentazioni, questa vita non è una sola cosa ma è tante cose, cioè quello che la persona pensa che sia, per una persona la vita è quello che pensa che sia, quindi la vita è una costruzione in realtà, questo concetto è stato costruito, quindi scrivo: concetto costruito, da che cosa? Dai suoi pensieri, dalle sue argomentazioni. A questo punto interviene la parte più complessa, tutte queste argomentazioni vengono costruite dai suoi pensieri quindi bisogna intendere come vengono costruiti i pensieri, come si costruisce un pensiero? Per costruire un concetto occorre seguire alcune regole alle quali le persone non prestano molta attenzione perché sono ormai acquisite, intervengono automaticamente, però sono importanti, una delle regole è che il concetto di vita cui si giunge non contraddica tutto ciò che si è acquisito in precedenza, questa è una delle regole fondamentali che per altro la persona mette in atto in qualunque pensiero, in qualunque argomentazione e questa cosa che consente di costruire i pensieri è il linguaggio, di cui già a questo punto abbiamo detto in parte come funziona. A questo punto sappiamo cosa dire, dobbiamo però organizzarlo, abbiamo solo fatto la prima parte, adesso c’è la seconda parte, la dispositio, come disporre queste cose? Dobbiamo avvalerci della retorica perché la retorica in fondo è nata proprio per permettere di costruire dei discorsi efficaci e l’efficacia di un discorso si manifesta quando persuade. Che cosa può risultare più importante da dire all’inizio e che interessi il pubblico, che crei un’aspettativa? Direi di iniziare dalla considerazione che esistono molti modi di intendere la vita, questo può incominciare a fare pensare che la vita, che questo concetto costruito in tanti modi differenti a seconda di quante sono le persone, di fatto non abbia un’unica definizione quindi non è qualche cosa che è posto lì da qualche parte che si tratta di definire. Cos’è una definizione Eleonora? La definizione implica tutti gli elementi che sono propri di un certo oggetto e solo quelli, quindi il concetto di vita non è definibile perché non ci sono elementi che sono propri necessariamente sempre per la vita, perché molte persone usano concetti diversi, quindi se io muovo da questa considerazione e cioè che la vita è un concetto che è differente per molte persone, posso incominciare a considerare che questo concetto viene costruito perché se la vita fosse una sola cosa sempre identica a sé, immobile, tutti avrebbero lo stesso concetto mentre così non è. A questo punto l’operazione che si compie è quella di fare intendere alle persone che ascoltano che questo concetto viene costruito dalle persone e quindi non è qualche cosa che è fuori dal modo di pensare delle persone, anche se per alcuni funziona così, però il fatto stesso che sia inteso in modo totalmente differente da una persona piuttosto che un’altra, dovrebbe indicare il fatto che questo concetto non si riferisce a qualcosa, non ha un referente da qualche parte, come dire che dipende dal modo in cui le persone lo intendono, e se lo intendono in un certo modo non è casuale ma è per via di tutte le esperienze che hanno accumulate, gli elementi che hanno acquisiti, le cose che hanno imparate, le cose che desiderano, quelle che fuggono, i giudizi estetici, un’infinità di cose che appartengono a quella persona. Si può iniziare dal mostrare la soggettività di questo concetto, il fatto che sia un concetto personale, non universale, anche se tutti usano questo termine però ciascuno lo usa a modo suo, a questo punto che cosa dire dopo di questo? Possiamo dire quella cosa che noi abbiamo messo come prima e cioè abbiamo detto che la vita non c’è senza linguaggio, come dire che se le persone non avessero questi pensieri, se non ci fossero queste argomentazioni che concludono con l’affermare che la vita è una certa cosa allora di fatto non si potrebbe affermare che la vita è qualche cosa. Affermando che procede dall’esperienza, dal sapere di una persona, poniamo anche una condizione e cioè perché ci sia questo concetto occorre che ci siano delle argomentazioni prima, e cioè che esista tutto il sapere che la persona ha accumulato, valutato, considerato eccetera. Adesso passiamo a quella parte del discorso che la retorica chiama confirmatio, le prove di tutto ciò che è stato detto fino adesso, e cioè occorre esibire le prove che mostrano che il concetto di vita dipende dal modo in cui le persone pensano e che se non ci fosse il pensiero questo concetto non ci sarebbe. Il passo successivo è mostrare che la vita stessa non ci sarebbe senza questo concetto, come fare questo? È abbastanza semplice al punto in cui siamo mostrare che il pensiero costruisce il concetto di vita, però abbiamo detto che la vita, proprio perché è differente questo concetto nelle persone, pare non avere un referente da qualche parte, cioè quando parlo di vita non sto parlando di qualche cosa che è lì immobile e fermo nell’iperuranio, ma possiamo incominciare a riflettere su questa idea e cioè che la vita abbia un referente ma questo concetto se viene costruito da una serie di argomentazioni ha come referente altre serie di argomentazioni. Perché la vita abbia un referente al di fuori da queste argomentazioni sarebbe necessario che si ripercorressero tutte le argomentazioni a ritroso per arrivare alla prima argomentazione che ha rappresentato la definizione della vita in quanto tale, ora un’operazione del genere dove ci porta? Dovrebbe condurci alla prima argomentazione oltre la quale non ci sono più argomentazioni, non c’è più niente, non c’è pensiero, non c’è nulla, c’è solo la vita in sé e per sé, però affermare una cosa del genere si potrebbe dire che risulta difficile, molto difficile riuscire a cogliere la vita, il concetto di vita, l’essenza a questo punto della vita, l’Essere, non tanto l’ente ma l’Essere, tuttavia qui si possono inserire delle argomentazioni ad hoc utilizzando delle auctoritates, e che tutto il pensiero degli umani e della filosofia soprattutto, ma non soltanto, ha cercato da sempre questo elemento che è a base dell’Essere senza riuscire a trovarlo, e cioè mostrare che è un percorso che è già stato fatto anche da menti molto robuste e temprate ma che non ha portato a nessun esito: non si riesce a trovare un qualche cosa, a mostrare un qualche cosa se non attraverso una sua descrizione ma la descrizione a questo punto non è la descrizione di qualche cosa che è fuori dal linguaggio, è la descrizione stessa che è quella cosa, citando naturalmente vari personaggi, mostrando cioè che questo tentativo di trovare la cosa in sé o l’Essere o l’essenza a seconda dei casi è stato un tentativo fallito, fallimentare da sempre, perché non si trova, e questo deve dare da pensare, ha dato da pensare in effetti ma non hanno pensato bene perché si è continuato a cercare nella direzione dell’Essere o della cosa in sé non trovando nulla ovviamente, e quindi si è abbandonata la ricerca, e allora immaginare la vita di per sé è una fantasia, una fantasia che oggi non seguono più né i filosofi, né i filosofi del linguaggio, né i logici, né i fisici tutto sommato, questa idea, questa speranza di potere reperire un quid all’infuori di ciò che lo definisce e che lo descrive non ha funzionato perché non hanno trovato niente e allora sì, si potrebbe dire retoricamente al pubblico “voi potete immaginare che la vita sia un qualche cosa ma di fatto l’unica cosa che potete dire è che la vita è ciò che voi pensate che sia” perché se si dovesse affermare che la vita non è ciò che io penso che sia ma è una certa cosa ben precisa a questo punto si dovrebbero esibire delle prove che è esattamente così, e lì torniamo al discorso di prima cioè al fallimento. Dal pubblico potrebbe sorgere la domanda: “ma allora la vita non esiste”, questa affermazione non significa niente, la vita esiste in ciò che ciascuno pensa che sia, nient’altro che questo. Qui abbiamo fornito anche delle prove, in buona parte retoriche, ma queste sono quelle più efficaci. Non ci rimane a questo punto che l’ultima parte e cioè la conclusione che deve riassumere tutto ciò che è stato detto in precedenza e anche lasciare le persone che ascoltano con qualcosa di sicuro, ma anche con delle domane da porsi come compito a casa. Occorre valutare se è preferibile porre una speranza e poi mettere in questione questa stessa speranza oppure togliere ogni speranza e poi lasciare aperto uno spiraglio, questo è da valutarsi anche talvolta in relazione al pubblico, però il relatore deve avere già tutto a disposizione in ogni istante, come vi ho sempre detto ciascuno dovrebbe avere pronte quattro o cinque conferenze diverse in modo da potere valutare di fronte al pubblico che si trova qual è quella più adatta e anche essere in condizioni a un certo punto di modificare una conferenza inserendo gli elementi di un’altra, mantenendo assolutamente, questo è ovvio, un’assoluta coerenza all’interno del discorso. La cosa peggiore che può capitare è perdere la coerenza all’interno del discorso, la persona che parla non capisce più dove sta andando e chi ascolta si disorienta totalmente, quindi supponiamo di volere dare la speranza ma lasciare delle porte aperte per delle domande … Intervento: non ho capito quale speranza dobbiamo dare … Non dobbiamo dare una speranza in particolare, ma dire quali sono le cose notevoli che possono accadere seguendo questa via, cioè dare qualcosa di sicuro alle persone, e allora potremmo nella conclusione incominciare a dire che ciò che è stato detto, e cioè che muovendo dalla considerazione che un concetto è tale perché costruito dalle proprie argomentazioni e che questo concetto non esiste al di fuori di queste argomentazioni, mostrare dunque l’importanza di queste considerazioni e cioè ancora quanto sia essenziale per la persona rendersi conto, accorgersi che i concetti che utilizza, le verità in cui crede, i suoi valori sono delle costruzioni che possono essere utili, possono essere utili all’interno dei vari giochi linguistici per muoversi in un certo modo, per fare delle cose, ma rimangono dei concetti, concetti costruiti. Questi concetti, come si è visto in precedenza, essendo delle costruzioni non hanno come referente altro che altre argomentazioni e così via all’infinito, se si cerca il referente, la cosa in sé, si trovano altre argomentazioni, altri discorsi, altri racconti, altre definizioni, all’infinito, questo dà alla persona la consapevolezza totale e assoluta di possedere in effetti il suo sapere, ma di possederlo realmente perché sa di che cosa è fatto, sempre e comunque, e lo mette nelle condizioni di non potere smarrirsi mai perché sa sempre in ogni caso, in ciascun passo, ciò di cui si tratta mentre sta parlando, cioè può giocarci con le cose che a quel punto conosce perfettamente, quindi ne è padrone per così dire, è padrone di ciò che dice e di conseguenza della sua esistenza. Forniamo in un certo modo una certezza, qualcosa di sicuro su cui appoggiarsi e a questo punto possiamo rilanciare la cosa ponendo delle questioni e cioè invitando le persone a provare a interrogare quelle cose che per ciascuna persona costituiscono i propri valori, le proprie certezze in definitiva, le cose sulle quali ha costruito la propria esistenza, provare a interrogarle utilizzando questo criterio, questo modo e a questo punto si troverà non di fronte allo smarrimento e alla perdita di cose che aveva sicure, ma si troverà semplicemente di fronte alla perdita della sua ingenuità, e non essendo più ingenuo non è più sballottato da cose che credeva sicure ma che in realtà non lo sono e non lo sono mai state, c’è stato un inganno, consapevole o inconsapevole, voluto non voluto, ma c’è stato un inganno. Allora la persona è in condizioni di non essere più ingannata, non soltanto dalle cose che gli vengono raccontate ma dalle cose che si racconta che è la cosa più importante. Adesso la conferenza è costruita, si tratta ovviamente di rifinirla, vedere a quali parti dare maggiore enfasi, quali parti invece è preferibile lasciare provvisoriamente nel vago, quindi dette anche con un tono quasi sommesso per riprenderle poi con vigore alla fine. 4-5-2011 Sì, in ciò che lei dice Sandro c’è una questione importante e che rappresenta forse una delle maggiori difficoltà da parte di chi ci ascolta, perché non è tanto o solo la questione del linguaggio in quanto tale ma come siamo giunti alla questione del linguaggio e cioè l’interrogazione. Come siamo giunti ad affermare le cose che oggi affermiamo? Partendo da domande semplicissime, banalissime: di fronte a un intervento teorico o a un testo teorico, a una affermazione la domanda è: “come lo sa? Come l’ha saputo? Potrebbe essere altrimenti? Potrebbe essere il contrario?” se sì, mi pare molto poco quello che afferma se no, se invece le cose stanno come sta di- cendo lui allora deve potere sostenerlo in qualche modo, deve fornire qualche elemento, qualche argomentazione. È da lì che siamo partiti, dal porre queste domande semplicissime “come lo sa?” o riferito al proprio discorso “come lo so?”, riferito al proprio discorso, è più complicato uno immagina che le cose che sa siano vere però chiedere a un’affermazione teorica “come lo sa?” è devastante, è una cosa che nessuno ha mai fatto prima, e questa cosa che nessuno ha mai fatto prima è una delle cose che risultano assolutamente incomprensibili, cioè che qualcuno si domandi come una persona sa come è giunta ad affermare quello che afferma, sembra quasi una blasfemia, tant’è che posta di fronte a una domanda del genere “come lo sa?” le persone non sanno assolutamente cosa rispondere, se sono teoricamente più attente si rendono immediatamente conto che qualunque risposta forniscano a questa domanda sarà difficilmente sostenibile. In ambito psicanalitico accade di ascoltare questa risposta: “perché lo ha detto Freud o perché l’ha detto Lacan” e allora? Non è sufficiente che l’abbia detto qualcuno, allora o ci crede per un atto di fede oppure ritiene che Freud abbia detto bene perché lui stesso ha verificato che è proprio così, ma in base a che cosa? A questo punto il richiamo generalmente è all’esperienza, l’esperienza clinica conduce alle stesse conclusioni cui è giunto Freud, l’esperienza clinica sarebbe l’ascolto poi in realtà, però a questo punto nasce il sospetto che ciò che uno ascolta, uno psicanalista in questo caso, sia viziato da ciò che ha imparato e quindi ascolterà solo quello che vuole ascoltare. Oppure lo sa perché l’ha detto Freud e se l’ha detto Freud è vero, e chiuso il discorso. E invece è proprio da lì che incomincia un’elaborazione teorica, esattamente come abbiamo fatto, perché se un’affermazione non è sostenibile, allora vale quanto la sua contraria e allora affermare una certa cosa di fatto non ha nessun fondamento, è un’affermazione arbitraria che può essere possibile o contingente a seconda dei casi ed è forse, lo dicevamo la volta scorsa, ed è incredibile se ci si fa attenzione a quante certezze o meglio di quante certezze sia infarcita la teoria psicanalitica, è un continuo di affermazioni spacciate per assolutamente certe, indubitabili, sicure e che non venga in mente a nessuno di obiettare qualcosa. L’esistenza dell’apparato psichico, dell’Io, dell’Es, del Super-Io, della rimozione, della resistenza, dell’inconscio, sono tutte affermazioni poste con una assoluta e incrollabile certezza proprio dalla psicanalisi che vorrebbe proporre agli umani qualcosa che invece è assolutamente il contrario della certezza, ma muove invece da una sequenza impressionante di certezze, di affermazioni universali come per esempio la rimozione. La rimozione viene posta come qualche cosa che è presente in ciascun atto di parola o se preferite non può darsi che un atto di parola sia esente da rimozione, è un’affermazione impegnativa ed è posta nei termini di un universale anche se nessuno psicanalista oggi amerebbe considerare che le sue affermazioni sono degli universali ma un prodotto dell’esperienza psicanalitica che procede per via di abduzione, eppure tutte queste certezze vengono poste con una sicurezza, con una certezza, con una arroganza che in queste cose procede dall’ignoranza di qualcuno che di fatto non ha mai interrogato queste certezze. Che un lapsus, per esempio, abbia un risvolto, che comporti delle fantasie, è possibile ma sappiamo che è sempre così? È ardua da sostenere una cosa del genere, dimostrare una cosa del genere, eppure in ambito psicanalitico, in tutta la teoria freudiana il fatto che un lapsus comporti un’altra scena è assolutamente indubitabile e cioè è un universale, è una certezza assoluta, e invece noi ci siamo chiesti: “ma è proprio così? Siamo sicuri? In base a che cosa noi possiamo affermare una cosa del genere?” certamente non in base al fatto che possiamo dare un’interpretazione di un lapsus, anche perché possiamo darne quante ne vogliamo, anche contraddittorie fra loro volendo. Ho sottolineato in più occasioni che la psicanalisi è un metodo, è un algoritmo, un algoritmo che serve a interrogare le cose ed è questa la maggiore difficoltà per chi ci ascolta, per questo dobbiamo riprendere la questione trovando un modo retorico più efficace, perché se la poniamo così quando parliamo di interrogare le cose qualunque psicanalista suppone già lui di essere bravissimo a interrogare le cose, che anzi è il suo mestiere per cui non si interroga ulteriormente, e anche quando parliamo di interrogare il proprio sapere l’effetto che sortiamo è nullo, il più delle volte non capiscono neanche di che cosa stiamo parlando. È curioso in effetti che non sia mai venuto in mente a nessuno di fare una cosa del genere, al punto che mi sono chiesto come sia potuto venire in mente a me … Intervento: è come se l’interrogare interrogasse la stessa formulazione della domanda … Ciò che ho scritto sulla grammatica della logica verte su un fatto semplicissimo “che cosa sto facendo quando mi chiedo qualcosa? Come so, per esempio, che una certa cosa è una risposta? In base a quale criterio accolgo una certa cosa come risposta e un'altra no?” questo è il punto centrale, per recursione tornare al punto di partenza, cioè a ciò che è stata la condizione del porre questa stessa domanda. A questo punto si trova di fronte a questioni che possono apparire molto complicate “come faccio a chiedermi qualcosa? In base a che cosa? da dove arriva questo domandare? Perché qualcosa viene accolta come risposta e un’altra no?” è da lì che abbiamo incominciato a porre la questione e questo è ciò che ci ha consentito di intendere che a queste domande era possibile rispondere soltanto utilizzando delle istruzioni. Le istruzioni non hanno una spiegazione, non possono essere vere o false, sono la condizione per stabilire il vero o il falso di qualunque cosa, è questo che ci ha condotti a pensare che si trattasse di istruzioni, non di altro, dei comandi che di per sé non possono essere né veri né falsi perché sono al di qua di ogni possibile considerazione verofunzionale e questo ci ha condotti a considerare che il linguaggio è una sequenza di istruzioni e nient’altro che questo, ma il punto di partenza è stato proprio il domandare intorno al domandare stesso, cosa che nessuno ha mai fatto in vita sua, ma perché non è mai stato fatto? Questa è una bella domanda, sì certo il linguaggio non ha bisogno di chiedere nulla di sé per potere funzionare, però ci sono persone che si sono poste delle questioni in un modo molto interessante, lo stesso Wittgenstein, Austin e altri, perché non l’hanno fatto? Cos’è che ha impedito di porre delle domande intorno al domandare stesso, da dove viene questo domandare? Perché funziona così? Perché la risposta? In tutto ciò che io ho letto, e non è poco, non ho mai trovato una cosa del genere … Intervento: è difficile riflettere intorno a qualcosa che è in atto nel momento stesso in cui si riflette. È questo che intendevo dire quando dicevo che forse ciò che ha consentito una cosa del genere è trovarsi a pensare, almeno per un momento, a pensare come una macchina, una macchina che quindi non ha riferimenti esterni ma solo al proprio sistema, all’unica cosa che la fa funzionare, tutto il resto non c’è, che pare essere una delle cose più difficili, la macchina che pensa unicamente con il sistema operativo che la fa funzionare, se si riesce a pensare in questo modo ecco che allora risulta quasi inevitabile l’interrogazione intorno al sistema operativo, a ciò che la fa funzionare. Eppure siamo partiti come vi dicevo da domande banalissime. Cesare afferma certe cose, come lo sa? Come può affermarle con tanta certezza? Se è così sicuro deve fornire delle argomentazioni che la sostengono, eppure quali sono le argomentazioni a sostegno per esempio dell’esistenza dell’apparato psichico? Quali? Che le persone pensano? Che si trovano a commettere degli errori pensando o che pensando ciò che pensano questo rimanda a qualche altra cosa? Che razza di spiegazione sarebbe? Anche perché a una cosa del genere si possono fornire infinite spiegazioni. Ma nessuno fornisce mai, come ha detto bene Sandro, nessuna definizione di quello che dice, perché non lo sa fare o, nella migliore delle ipotesi, non lo può fare. I più onesti sono i logici i quali dichiarano cosa intendono con ciò che introducono, io inserisco questo simbolo, con questo simbolo intendo questo, ma non perché questo simbolo vuol dire questo? Perché io decido che con questo simbolo decido questa cosa e lo dice chiaramente. Se Freud avesse detto di avere inventato l’inconscio perché questa nozione serve per potere spiegare per esempio l’atto mancato, perché se non mi invento l’inconscio non riesco a spiegare l’atto mancato va bene, perché no? La questione è che non l’ha posta come un gioco, qualcosa che ha inventato lui così unicamente per spiegare un’altra cosa, come fa un logico: questa cosa significa questo perché mi serve per giungere a quella conclusione, al teorema, e invece l’ha posta in modo ontologico come se esistesse effettivamente, cosa alla quale tutti gli psicanalisti hanno creduto ciecamente. Ma senza queste banalissime domande non saremmo andati da nessuna parte, cioè “come lo sa?” che poi diventa il “come lo so?” quando è riferito al proprio pensiero. Quando stavamo costruendo questo modo di pensare mi sono posto miliardi di volte questa domanda: “come lo so? Potrebbe essere altrimenti?” fino a giungere al fine corsa cioè alla struttura del linguaggio e alla serie di istruzioni, senza le quali non potrei farmi questa domanda, quindi non esisterebbe la risposta, non esisterebbe niente e a quel punto effettivamente abbiamo stabilito non tanto una dimostrazione ma ciò che è la condizione per qualunque dimostrazione, cioè una necessità logica, qualcosa che è necessario perché se non ci fosse non ci sarebbe assolutamente niente, e oltre abbiamo considerato che non è possibile andare, non è possibile andare perché se togliamo queste istruzioni cessa il pensiero, per questo parlo di costrizione logica. Se non si intende da dove siamo partiti tutto il resto risulta incomprensibile, impensabile, nonostante che abbiamo spiegato in maniera molto chiara il funzionamento del linguaggio, eppure l’obiezione è sempre la stessa: sì certo c’è il linguaggio però esiste l’inconscio! È questo domandare che occorre inserire all’interno di un’argomentazione retorica ben costruita ed efficace, poi chiaramente quando la cosa è rivolta a sé, ai propri pensieri lì è più complicato, è complicato perché va a cozzare contro la propria fede, la fede in ciò che si pensa, la fede in ciò che si vede, la fede in ciò che si sente, e tutta la serie di atti di fede che vengono compiuti ininterrottamente e che anziché essere atti di parola sono atti di fede appunto, e l’atto di fede di per sé non può essere interrogato direi per definizione “credo quia absurdum” che è una dichiarazione di imbecillità come dire “io sarò imbecille”, ma non è necessario essere o diventare imbecilli, nessuno costringe a farlo, è una cosa facoltativa, anche se molto praticata … Intervento: … Anche nella psicanalisi è mantenuto l’insondabile, l’indicibile, l’inanalizzabile, c’è un punto inanalizzabile, l’ombelico del sogno oltre il quale non è possibile andare, perché? Come l’ha saputo? Chi glielo ha detto? Come è giunto a questa considerazione? Intervento: è l’infinito … Il problema è l’impossibilità di tenere conto che anche l’infinito non è un’entità posta da qualche parte ma è un significante costruito dal linguaggio e significa quello che io decido che significhi, come fanno i logici: decido che significa questo, va bene … Intervento: sì ma a questo punto è un gioco … Esattamente, a questo punto è un gioco, come tutta la logica, un gioco che in effetti neanche la logica non sa bene come fa a giocare, da qui i richiami alla naturalità del modi di pensare: è così perché naturalmente si pensa così e bell’e fatto, e questo naturalmente impedisce al pensiero di procedere … Intervento: l’autenticità rispetto al desiderio … Il desiderio nella letteratura psicanalitica è fondamentale anzi, è ciò cui l’uomo deve giungere, cioè all’accoglimento del desiderio che c’è in ciò che dice … Intervento: il desiderio è qualcosa di non analizzato … Tutta la psicanalisi è costruita su atti di fede, su certezze mai interrogate, mai esplorate, mai prese in considerazione, nel momento in cui si incomincia a farlo ecco che passo dopo passo si giunge inesorabilmente a ciò che abbiamo considerato, non c’è altra via di uscita, se ciascun elemento non è altro che qualcosa che il linguaggio ha costruito per potere proseguire in una certa direzione allora vale solo per questo, non ha un altro valore, così come la nozione di desiderio, di inconscio, di rimozione, di resistenza. Lacan diceva che nel rimosso permane una parola imbavagliata che bisognerebbe sbavagliare, ma perché si è imbavagliata questa parola? Perché? Questa è una domanda che in tutta la letteratura psicanalitica nessuno si è mai posta, se non marginalmente, cioè perché esiste il Super-Io che ha impedito a questa parola di dirsi, …ma perché deve esserci una cosa del genere? In base a che cosa? E allora come abbiamo anche detto in questi tre interventi sulla introduzione alla psi- canalisi, perché funzioni una cosa del genere bisogna considerarla vera, se uno non la considera vera tutto quanto crolla, e perché viene considerata vera? Queste sono le domande che occorre porsi. 11-5-2011 Dobbiamo lavorare sul linguaggio, nel senso di pensare a dei modi, dei racconti in cui inserire la questione del linguaggio. Ne ho considerati tre in cui inserire la questione del linguaggio: muovere dalla psicanalisi, cioè da alcune affermazioni di Freud e giungere fino al linguaggio, all’istruzione di base, e poi a ritroso ricostruire la psicanalisi, oppure partire semplicemente dall’istruzione mostrando come un’istruzione come quella che conosciamo sia in condizione di costruire il pensiero e quindi anche la psicanalisi, oppure ancora, ne parlavamo oggi con Eleonora, utilizzare la retorica mostrando che nel testo di Freud così come in quello di Lacan o quello di Verdiglione, se vogliamo metterci anche lui, c’è già in nuce tutta la questione del linguaggio elaborata da noi. Per esempio la celeberrima frase di Lacan che l’inconscio è strutturato come un linguaggio, posta così non va da nessuna parte, se avesse detto che l’inconscio è strutturato come il linguaggio, ecco che a quel punto si sarebbe trovato nella condizione di potere aprire a questioni straordinarie e assolutamente inusitate rispetto a tutto il pensiero psicanalitico precedente, perché sarebbe arrivato a dire che non solo l’inconscio è strutturato come il linguaggio, ma che l’inconscio è il linguaggio. In questo modo arriviamo a concludere che l’inconscio di cui hanno parlato Freud, Lacan, Verdiglione, è il linguaggio. A questo punto, utilizzando il rasoio di Occam, eliminiamo l’inconscio e rimane il linguaggio, perché l’inconscio a questo punto non ha più una utilità concreta, non serve più. Tre modalità. La prima muove da Freud, potrebbe essere per esempio un caso clinico, il primo, quello di Anna O. Anna O era una fanciullina che si presentò con una serie di sintomi, paralisi a destra mi sembra, il braccio, la gamba, difficoltà visive, difficoltà a parlare, addirittura afasia in alcuni casi. Questa fanciullina venne consegnata così com’era a Josef Breuer, che lavorava insieme con Freud. Breuer incominciò a farla parlare perché dopo tutte le analisi che avevano fatte alla fanciullina non avevano riscontrato nessuna disfunzione organica, era sana come un pesce, e allora Breuer incominciò a farla parlare e sorsero dalla parole di Anna O alcune fantasie, alcuni racconti: si era trovata a un certo punto ad assistere il papà morente e pare, pare perché quello che ha detto Anna O non lo sappiamo, sappiamo solo quello che altri hanno raccontato, ma sia come sia, durante la veglia al papà morente abbia avuto un sogno, il letto del papà ha preso fuoco e lei non riesce, proprio perché paralizzata, a intervenire e salvarlo. Da quel momento è iniziata la paralisi e Breuer attraverso il ricordo di queste scene e nel portare alla consapevolezza alcune fantasie, alcuni desideri, pare che abbia eliminati alcuni sintomi. Breuer chiamò questo sistema il metodo catartico. Poi avvenne che in questa situazione la fanciullina si trovò a innamorarsi o qualcosa del genere di Breuer, e Breuer si spaventò tantissimo e troncò tutto. Noi sappiamo quello che ci ha raccontato Freud, in particolare che questa fanciullina si è trovata a pensare, a costruire delle fantasie, queste fantasie delle quali non era consapevole hanno prodotto dei sintomi sul corpo in questo caso come spesso accade nel discorso isterico. Quei sintomi erano stati prodotti da fantasie che non erano consapevoli ma erano presenti nella fanciullina, operavano, e allora da lì ha incominciato a considerare meglio la questione e cioè ha incominciato a pensare che esistono dei pensieri non consapevoli, poi li chiamerà inconsci, pensieri che pur non essendo consci operano e costringono la persona a fare certe cose. Nel caso della fanciullina si trattava di un desiderio erotico nei confronti del papà, tant’è che Freud aveva interpretato questa scena del letto che brucia come un “brucio per te”, ora perché abbia interpretato in questa maniera, questo è un affare di Freud sul quale abbiamo poco da dire se sia così oppure no, e questo rende conto di che cosa sia un’interpretazione, potrebbe essere semplicemente un modo di farlo morire, perché deve necessariamente essere un desiderio erotico? Intervento: mi pare che lasci aperta anche questa soluzione … No, lui tira verso la sessualità, e fortemente, e se no l’altra ipotesi non avrebbe confermata la sua teoria e quindi tutto ciò che non conferma la teoria viene scartato, questa è la tecnica. A questo punto abbiamo ciò che dice Freud intorno alla presenza di queste cose e cioè del fatto che dei pensieri non consapevoli producono dei problemi nella persona, perché producono dei problemi? Questo lo spiega per lungo e per largo, nella Metapsicologia nell’Inconscio e ovunque e soprattutto dove incomincia a parlare dell’apparato psichico. Perché un desiderio erotico nei confronti del padre deve essere necessariamente una maledizione? Perché? È possibile provare questo desiderio, e allora? Ma come dice lo stesso Freud, le motivazioni etiche, morali, l’educazione e tutta una serie di cose intervengono a rimuovere questi pensieri, non rendendoli accessibili … Intervento: io credo che una fanciullina anche al giorno d’oggi che viviamo di grandi aperture, se ha un desiderio erotico nei confronti del padre, non è così libera … Assolutamente, nonostante che un divieto del genere non venga mai pronunciato da nessuno. Dicevo che il passo successivo, l’interrogazione successiva, verte sul perché, su come accade che una certa cosa diventi così terribile, così pericolosa. Freud dice dell’educazione, però perché funzioni una cosa del genere occorre che per la persona sia importante quello che viene a sapere o sente o ascolta o immagina, e se è importante sicuramente non lo considera falso, lo considera assolutamente vero e quindi è necessario che una certa cosa all’interno del discorso di quella fanciullina Anna O, sia stata accolta come assolutamente vera per potere produrre quella paralisi, quella serie di sintomi. A quali condizioni è possibile credere vero qualcosa? A questo punto la questione si allarga, non è più soltanto riferita alla fanciullina in questione, questa Anna O, ma come accade che le persone si trovino a credere qualche cosa? Qui l’interrogazione abbandona l’ambito della psicanalisi o, come voleva Freud, della metapsicologia, e si affaccia su un altro scenario, uno scenario che è fatto di linguistica e di logica. Dunque dicevo come accade che le persone si trovino a credere qualche cosa? Abbiamo detto che occorre che qualche cosa sia importante, però c’è un’altra considerazione da fare: la questione del vero e del falso interviene negli umani continuamente in qualunque decisione, in qualunque scelta, in qualunque ambito come se fosse una questione sempre presente, ma questo vero e questo falso da dove arrivano? E qui ovviamente non siamo più in ambito psicanalitico, siamo molto al di qua, da dove arriva una cosa del genere? La risposta che viene data comunemente è che si pensa così, si pensa così ed è il modo normale di pensare, e a questo punto anche la logica non ci supporta più, cosa c’è in questo modo di pensare tale che costringe tutte le persone a muoversi in un certo modo, a pensare in un certo modo aldilà di tutte le piccole differenze? C’è un qualche cosa che è comune a tutti, un qualche cosa che costringe ciascuno a cercare il vero in ciò che dice anziché il falso, che cos’è questa cosa? Come trovarla innanzi tutto? Domandandosi che cosa sta funzionando in quel momento, cioè mentre una persona pensa. Come se ci fosse un qualche cosa che li costringe sempre a pensare in un certo modo, dove andare a cercare il motivo di una cosa del genere? Cos’è che li costringe? Facciamo un piccolo passo indietro: che cos’è la verità? Qual è la forma più antica, più efficace, più conosciuta di verità? La tautologia, cioè “questo è questo”, come dire che è la prima forma di identificazione di qualche cosa e per potere utilizzare qualche cosa occorre averlo identificato. Arriviamo a questo punto a un qualche cosa che dice semplicemente che una certa cosa è se stessa: “questo è questo”, a questo punto naturalmente potremmo continuare a interrogarci, come facciamo a sapere che questo è questo? C’è un modo per saperlo? Cioè una dimostrazione, una prova, un qualunque accidente? No, per un motivo molto semplice, e cioè che questa istruzione, questo elemento che abbiamo reperito cioè questa tautologia in definitiva è quella che consente di potere pensare qualunque dimostrazione, perché per dimostrare qualcosa devo utilizzare degli elementi, e ciascuno di questi elementi per potere essere utilizzato deve essere individuato cioè deve essere una tautologia. Questo elemento lo abbiamo chiamato linguaggio, perché è l’elemento di base, la logica di base, per utilizzare una metafora informatica: un codice sorgente, ciò che consente l’avvio di tutto e senza la quale cosa non può avviarsi niente, non c’è niente, perché non c’è la possibilità di costruire proposizioni quindi di pensare. Non c’è nessuna possibilità di provare una cosa del genere, cioè di dimostrare la tautologia. Ci sono qua e là delle dimostrazioni, ma queste dimostrazioni utilizzano comunque la tautologia per potere lavorare ovviamente, cosa che argomentativamente sarebbe scorretto, ché non si può utilizzare ciò stesso che deve essere dimostrato nella dimostrazione, in retorica si chiama petitio principii. Partendo dalla psicanalisi e domandandoci perché le persone si comportano in un certo modo e cioè perché prendono per vere certe cose, siamo arrivati a un elemento che è la base di ogni cosa, questo elemento dicevamo è l’identificazione. Adesso facciamo il percorso inverso. Nel momento in cui qualcuno incomincia a mostrare al bambino come si parla fa esattamente questo: gli mostra il primo comando, parte sempre da lì, anche con le macchine si fa la stessa cosa, dal primo elemento che consente di identificare un qualche cosa, tant’è che la prima cosa che la mamma dice al suo bambino immagino sia “questa è la mamma” non le dice “guarda che oggi ho incontrato il tal dei tali, ci siamo visti però questo signore mi ha guardato non bene e quindi vuol dire che questa persona non mi vuole più bene come una volta perché con tutto quello che ho fatto in questi anni non lo ha considerato nel modo in cui avrebbe dovuto”, non dice questo come prima istruzione perché non sortirebbe un grande effetto. Il primo comando che viene fornito sia a un bambino sia a una macchina è proprio “questo è questo” “questa è la mamma”, ora cosa succede in quel momento? Succede che questa cosa che è detta “mamma” si staglia, si staglia da una sorta di indifferenziato in cui non esiste niente praticamente, incomincia a “esistere” mettiamolo tra virgolette perché è ancora prematuro parlare di esistenza di qualche cosa, però diciamo che esiste nel momento in cui viene nominato, ma non è che qualcosa esiste perché lo si nomina è perché lo si nomina che esiste: a un certo punto emerge da un qualche cosa che è niente, che è indifferenziato, e quindi è niente, ma da quel momento incomincia a esserci qualcosa, incomincia a esserci qualcosa perché è stato indicato, perché c’è stata una parola, e allora a questo punto c’è un elemento che identifica le cose per cui ecco che la mamma esiste. Poi interviene qualche “no, questo non è mamma” … Intervento: mio nipote fa così, chiama mamma tutti … Esatto, “non mamma ma sedia”, e allora ha già due elementi, a quel punto esiste un qualche cosa perché ha chiamato “mamma”, quindi si è come stagliato da un nulla, da un indifferenziato e in più ha un’altra cosa, la sedia, quindi ha già due elementi. Certo con due elementi va poco lontano però, ne acquisirà molti altri anche se come avviene per gli umani con estrema lentezza e molta difficoltà, gli umani sono lentissimi ad apprendere, ma giorno dopo giorno aumentano le potenzialità, aumentano le connessioni è ovvio, però a quel punto in questa istruzione “questo è questo” vengono, o meglio, a partire da questa istruzione è possibile fornire un’altra istruzione, cioè “questo non è questo” (che vengono connesse, sempre da chi “insegna” a parlare ovviamente, ché lui da solo non può farlo, oppure magari potrebbe farlo ma nel corso di qualche milione di anni, e non ha tutto questo tempo a disposizione) come l’inferenza “se … allora”: se questo è questo allora non è quest’altro. A questo punto ha tutte le istruzioni che gli servono, non ha bisogno di altro. Poi naturalmente il sistema viene ampliato con altre informazioni che mano a mano si identificano, ma la cosa importante è il primo passo in cui la cosa si staglia, incomincia a esistere letteralmente dal nulla, dall’indifferenziato, perché senza linguaggio non c’è differenza. Da qui in poi si possono costruire delle prime connessioni, diciamo: A è A, e se A è A allora A non è B, anche se non viene formulato così, però diciamo che la struttura è questa. A questo punto c’è la possibilità di ampliare il raggio d’azione, e cioè di inserire altre connessioni perché questo, se è questo non è quest’altro, ma non è neanche quest’altro ancora che non è neanche quest’altro, e quest’altro a sua volta non è questo e non è quest’altro. In tutto ciò c’è una cosa che si mantiene e che da la misura di come funziona il tutto: l’istruzione che avvia il linguaggio che più propriamente è il linguaggio, si mantiene sempre la stessa, come dire che gli umani imparano una istruzione e con quella viaggiano per tutta la loro vita “questo è questo”. Cosa fa una persona quando chiacchiera, quando parla, quando discute, quando elabora, considera, argomenta? Non fa nient’altro che affermare “questo è questo”, naturalmente inserendo dei passaggi perché magari non è immediatamente evidente che questo sia questo, ma è comunque ciò cui deve giungere, perché il “questo è questo” è il modello di verità, non ce ne sono altri, quindi questo modello, la tautologia, è il modello di verità, quello che permane sempre e all’infinito si ripete. Detto questo c’è da aggiungere una considerazione, e cioè come con il sorgere del linguaggio incominciano a sorgere le emozioni, le sensazioni, quando il bambino riconosce qualche cosa, cosa avviene? Avviene che qualcosa esiste e la può differenziare da altro, per il momento ponetela come un’ipotesi, ma il moto giubilatorio che si verifica in questi casi pare avere a che fare con il riconoscimento o con l’identificazione di qualche cosa, come dire che non è il fatto che veda la mamma in quanto tale, che di per sé potrebbe non significare niente, ma il fatto di potere identificare qualcosa, cioè interviene “ecco, ti riconosco”, o qualcosa del genere, altrimenti verrebbe da pensare che non accadrebbe nulla. Un riconoscimento che potremmo dire intellettuale, certo un cucciolo di animale annusa, sente un odore e si orienta in questa maniera, ma è tutt’altra cosa nel caso dell’umano, qui c’è l’identificazione di qualche cosa, il riconoscimento di qualche cosa cioè il potere dire “ecco, questo è questo”, e qui sta il moto giubilatorio e probabilmente tutto ciò che permane poi negli anni a venire come gioia, dolore come il contrario: qualcosa non è così, non funziona così, cioè “questo non è questo”, ci si aspettava che questo fosse questo invece non è questo … Intervento: in “questo non è questo” in qualche modo è come fosse anche lui un riconoscimento anche questa appare essere una tautologia … No, la tautologia deve affermare che “questo è questo”, e “questo non è questo” non è una tautologia … Intervento: non l’ha verificata, cioè deve continuare a cercare … Si, non è arrivato a una conclusione e quindi deve cercarla appunto, deve trovarla, e questa conclusione può essere rimandata oppure può essere pensata irraggiungibile, come nel caso del lutto, la morte di qualcuno. Freud ne parla ma nessuno, né lui né nessun altro ha mai detto perché quando muore qualcuno ci si dispiace, perché manca, e allora? Perché è una cosa tragica anziché non significare niente per esempio? Nessuno ha mai considerato perché, è stato sempre dato come assolutamente ovvio, normale, che se manca una persona cara ci si dispiace, e allora ecco tutta la elaborazione del lutto, delle varie cose che si raccontano in modo anche abbastanza dettagliato e preciso, ma perché la perdita di qualcuno costituisca un dolore questo nessuno lo sa, ma con gli strumenti che abbiamo a questo punto possiamo anche rispondere a questa domanda: finché c’è la presenza di qualcuno, insieme con questa persona si è costruito un progetto, questo progetto si immagina che debba concludere in un certo modo, questa persona non c’è più, ecco che questo progetto non può più concludere, la conclusione è bloccata, non c’è più, bisogna trovare altre cose ed ecco il lavoro del lutto certo, però il motivo per cui la perdita di qualcuno provoca dolore ha a che fare con questo e d’altra parte qualunque manifestazione procede dal fatto che esista il linguaggio, se no non c’è niente. Un esempio che ho fatto in alcuni casi, quello che non piace a Eleonora: c’era una gattina che aveva un cucciolino piccolino, un batuffolino, arriva un cane e lo sbrana, lo ammazza, e la mamma del cucciolo non ha fatto niente, è andata lì un momento, ha annusato e se ne è andata, era morto, chiuso il discorso, non c’è il dolore, non c’è niente, non possiamo neanche dire che c’è constatazione della morte. Tutto ciò che gli umani provano in questi casi, ma anche rispetto alla gioia, all’entusiasmo, alla disperazione, alla trage- dia o qualunque cosa, è possibile perché esiste questa istruzione “questo è questo” e da lì è possibile costruire delle sequenze che devono concludere con una tautologia e tutti i passaggi, badate bene, sono tautologie, devono mantenere comunque sempre il “questo è questo”, come dire: “questo è questo, ma questo è questo, ma questo è quest’altro etc.”, esattamente come funziona il calcolo logico, il calcolo proposizionale, sono sempre tautologie per arrivare a un teorema, se no non si arriva da nessuna parte. Muovendo da queste considerazioni è possibile costruire il modo in cui gli umani pensano e mostrare di fatto di che cosa il pensiero consista, e la psicanalisi è questo metodo che permette alla persona, attraverso il suo racconto, il suo discorso, un po’ come ho fatto adesso con il caso di Anna O, di domandarsi intorno a ciò che pensa fino ad arrivare al punto in cui non può non considerare che tutto ciò che pensa è una costruzione che è stata fatta da lui, e a questo punto domandarsi per quale motivo, qual è il tornaconto, qual è l’interesse, perché è così importante, fino ad arrivare, e questo sarebbe l’obiettivo, a rendere questo processo, tutto ciò che ho detto questa sera, renderlo una sorta di automatismo, che non può non avvenire in ciascun atto di parola. Ora non è che ogni volta che si dice qualcosa si faccia tutto questo, ma lo si può fare quando e come vuole perché non c’è più nulla che lo impedisca, questa è la questione, non c’è più nulla a impedirlo cioè nessuna superstizione, nessuna credenza, può farsi sempre e in qualunque momento. La persona cioè ha questa disposizione a ricondurre qualunque atto all’atto di parola che lo costituisce. Percorrendo in un verso e poi nel suo ritorno abbiamo mostrato come funziona, come funziona anche la psicanalisi e qual è il suo compito, partendo dalla psicanalisi e tornando alla psicanalisi con ben altri strumenti e cioè avendo risposto a un serie di domande che la psicanalisi non è in condizione neanche di porsi, non solo di rispondere ma neanche di porsi perché effettivamente la domanda è: perché di fronte a un lutto una persona soffre? A questa domanda nessuno sa rispondere e non c’è nessuna risposta in effetti, salvo tenere conto del modo in cui il linguaggio funziona: se non si riesce a concludere con il “questo è questo”, con una tautologia, ecco che c’è l’imbarazzo, il fastidio, la sofferenza, la disperazione a seconda dei casi e l’importanza che si da alla cosa. naturalmente è chiaro che se io perdo cinque centesimi non succede niente se perdo un biglietto da Per usare una terminologia filosofica, un po’ alla Derida e che mi piace poco, decostruire la psicanalisi per ricostruirla, ricostruirla con strumenti più potenti e cioè fornire alla psicanalisi come abbiamo detto tante volte il fondamento, un fondamento solido e inattaccabile. È di queste cose che avevo in animo di parlare negli interventi che farò alla Legolibri il prossimo ottobre, porre la questione in questi termini, chiaramente più semplificati, ma mostrare come si interroga, in atto, cosa fa la psicanalisi, che è ciò che ho fatto adesso: il come si arriva a intendere il funzionamento del linguaggio mostra anche come funziona una psicanalisi, come interviene, come funziona l’interrogazione, come si muove, che cosa fa, che cosa trova e quindi mostrare anche in atto il funzionamento della psicanalisi. Un altro aspetto riguarda invece una questione direi prettamente retorica, e cioè come, a partire da delle affermazioni di Freud o di Lacan, sia possibile dedurre la teoria del linguaggio, come a indicare che in tutto ciò che Freud ha detto sia in nuce: Freud dice questo, se dice questo segue necessariamente quest’altro e quest’altro è quello che voglio dire io, ovviamente. Si può fare dire a Freud qualunque cosa e il suo contrario, come è stato fatto d’altra parte, si prendono dei passi di Freud scelti ad hoc si assemblano in un certo modo e questa sequenza di brani assemblata in un certo modo concludono a una certa cosa, per esempio quella che voglio io, prendo altri passi, li assemblo in un altro modo e concludo nel modo diametralmente opposto. Questo le persone generalmente non lo sanno, se lo sanno sono già a buon punto e quindi ci va bene lo stesso, in ogni caso ci va bene, però questa è la tecnica: mostrare che il linguaggio era già lì, Freud stesso l’ha posto, e questo non è difficile da fare intendere alle persone e cioè che aveva già posto la questione del linguaggio. Considerate Lacan e la sua celeberrima frase, gli bastava usare l’articolo determinativo anziché indeterminativo e il gioco era fatto: “l’inconscio è strutturato come il linguaggio” a quel punto l’inconscio è il linguaggio, e mostrare anche attraverso delle citazioni se vogliamo, perché no? si trovano, che l’inconscio è il linguaggio e che tutte le definizioni che Freud dà di inconscio in effetti si riferiscono al linguaggio. Non sono tutte ma noi diciamo tutte escludendo ovviamente quelle che non vanno nella direzione che a noi interessa, per esempio l’inconscio è la condizione della parola, lo dice anche Lacan, è dall’inconscio che vengono le parole, l’inconscio non conosce il tempo, la temporalità, l’inconscio non conosce lo spazio, l’inconscio non conosce la contraddizione, esattamente tutto ciò che appartiene al linguaggio, alla struttura che non conosce la contraddizione perché è la condizione per costruire qualunque contraddizione, così come per costruire il concetto di tempo, di spazio eccetera. Tutto ciò che Freud ha attribuito all’inconscio di fatto è qualcosa che appartiene al linguaggio. Retoricamente potrebbe essere anche più efficace questa modalità della precedente, però possono farsi tutte quante e poi si tratta di valutare se è il caso di iniziare da quella retorica o di passare a quell’altra, quella più teorica, questo si può valutare, non credo invece sia opportuno ridicolizzare il testo di Freud anche perché le persone sono molto fedeli, hanno una grandissima fede e se vedono ridicolizzata la loro fede se ne hanno a male, non la prendono sul ridere, scherzano quando le cose riguardano altri o altro, ma quando riguardano loro o le cose in cui credono da quel momento in poi non scherzano più e diventano dei nemici, e a noi non interessa farci dei nemici. Tre modalità, io adesso ne ho dette due insieme, partire da un caso clinico di Freud per arrivare alla questione del linguaggio e poi dall’istruzione cui si è giunti, costruire, anche se molto brevemente, ricostruire il tutto e poi quell’altra retorica che “dimostra” tra virgolette che l’inconscio non è altro che il linguaggio e che per una svista è stato inventato l’inconscio, ma che di fatto questa nozione perde la sua utilità se si coglie di che cosa realmente si tratta … Intervento: la prima mi sembra più adatta e più semplice per il pubblico, è quella che predispone meglio in un certo senso … una svista da parte di Freud che l’inconscio è il linguaggio … in questo modo non è negare qualcosa ma rileggere il testo di Freud. Indietro 18-5-2011 La volta scorsa abbiamo compiuto un percorso inserendo la questione del linguaggio all’interno di un racconto che prevedeva nel primo caso un tragitto da un caso clinico di Freud, il caso di Anna O, per giungere alla questione del linguaggio, cioè dell’istruzione di base, e poi partendo dall’istruzione abbiamo costruita la psicanalisi. Avevamo posta anche una terza possibilità, cioè di parlare della psicanalisi per giungere alla proposizione di una psicanalisi differente, più radicale, che è quello che faremo adesso. Freud ha inventato l’inconscio a partire da alcune considerazioni cliniche prevalentemente, dal momento in cui si è trovato di fronte a delle persone che lamentavano del disagio si è accorto che questo disagio procedeva da pensieri, desideri che la persona non conosceva e ha chiamato questo l’“inconscio”, e mano a mano ha sempre dato più importanza a questa nozione di inconscio che a un certo punto è tornata utile per spiegare una serie di fenomeni come il lapsus, il motto di spirito, l’atto mancato, la dimenticanza eccetera. Abbiamo considerato qualche tempo fa che retoricamente questa operazione non è fra le più corrette, e cioè utilizzare nella dimostrazione di qualche cosa ciò stesso che deve essere dimostrato in questo caso l’esistenza dell’inconscio, ma questo è l’aspetto minore. La questione dell’inconscio è diventata e poi è rimasta centrale in tutta la sua opera, con Freud la questione della parola e del linguaggio è rimasta sì in primo piano però non così determinante come è avvenuto in seguito con altri personaggi dopo di lui, in particolare Lacan prima, Verdiglione dopo, cito Verdiglione per un motivo preciso, perché Verdiglione contrariamente a Freud e a Lacan non è medico ma ha compiuto studi di linguistica e di semiotica a Parigi con Greimas e Bremond soprattutto, e quindi ha dato un’altra direzione a tutta la questione. Vi dicevo l’altra volta che il primo passo verso una questione più spiccatamente linguistica è stata quella celeberrima frase di Lacan: “l’inconscio è strutturato come un linguaggio”. Cosa vuole dire che è strutturato come un linguaggio? Significa che nell’inconscio ci sono parole, discorsi, tant’è che si trovò a dire che “la parola rimossa è la parola imbavagliata”, la parola che non riesce a dirsi, non può dirsi per qualche motivo, il motivo per cui non può dirsi è connesso con altre parole ovviamente. Dicendo che nell’inconscio non ci sono se non parole e discorsi ha posto una questione che per la psicanalisi di allora era molto lontana, anche perché tutti coloro che hanno fatto seguito a Freud non hanno fatto un granché come elaborazione teorica, sono andati poco lontani, non hanno fatto altro che ripetere quello che diceva Freud il più delle volte in modo un po’ raffazzonato, ciascuno secondo il suo talento. Ma la questione si è spostata ancora con Verdiglione, e cioè con una persona che non viene da studi medici ma da studi di linguistica, di semiotica, a questo punto la questione del linguaggio diventa assolutamente preponderante, l’inconscio non è più fatto soltanto di parole e di discorsi ma diventa una logica, una logica particolare a ciascuno. Verdiglione indica la rimozione in questo modo “un significante rimosso funziona come nome adiacente a un altro significante”. Che cos’è un nome? La questione viene dalla linguistica strutturale, De Saussure in particolare cioè dalla differenza tra significante e significato, il nome annoda per condensazione delle cose proprio così come descrive Freud nell’esempio di Signorelli: Freud è in treno e a un certo gli vengono in mente gli affreschi del Duomo di Orvieto, ma il nome dell’autore, che è Signorelli, non gli viene in mente. Interrogandosi sul perché non gli viene in mente compare un altro significante: “Herr” che lo rimanda a una conversazione che aveva ascoltato in treno di qualcuno che diceva “Herr (signore), quando non si può più fare quello allora tanto vale morire”. Questo gli evocò la questione della sessualità, della morte, sulle quali cose stava lavorando in quel periodo. Tuttavia da quanto risulta e anche da ciò che stava teorizzando non la racconta tutta perché una cosa del genere non dovrebbe tecnicamente comportare una rimozione. Evidentemente c’era un’altra questione connessa con questo perché lui stesso ha raccontato che perché ci sia rimozione occorre che ci sia anche un divieto perché qualche cosa possa dirsi, possa manifestarsi, possa accedere alla coscienza e il fatto di occuparsi di questioni connesse con la sessualità, con la morte in ambito teorico non sembra un requisito così terribile da dovere essere rimosso. Comunque sia, un significante rimosso, in questo caso Signorelli funziona come un nome e il nome annoda storie, annoda racconti, annoda una quantità di altri elementi. Questo significante rimosso funziona come un nome appunto come un qualche cosa che in quanto nome evoca, comporta è connesso con altre cose, adiacente a un altro significante, come dire che questo nome rimosso è adiacente a un altro significante che si dice invece, che compare lungo la catena e ciò che si dice è ciò che Freud racconta di ciò che gli ha evocato questa dimenticanza, l’adiacenza per Verdiglione è l’Altro con la A maiuscola, vale a dire quello che per Freud era l’altra scena, cioè qualcosa che è radicalmente altro tanto dal significante quanto dal nome. Ovviamente la questione è posta in termini linguistici. La semiotica aveva già mostrato con Greimas, con Bremond, con Hjelmslev e altri la difficoltà, quasi l’impossibilità di identificare un elemento, questo già a partire da De Saussure, se non in relazione con tutti gli altri elementi, struttura significa questo: un elemento è tale se in relazione con tutti gli altri elementi tale che, come diceva appunto Benveniste, se si modifica un elemento si modificano anche gli altri, e la semiotica ha ripreso tutto questo descrivendo non più il racconto come un qualche cosa che avesse un fondamento o comunque un qualcosa di fisso, di stabile, ma semplicemente come una inarrestabile relazione di elementi fra loro. La psicanalisi, così come la intende Verdiglione è qualcosa di molto simile a questo e cioè elementi che sono continuamente in relazione fra loro e quindi non è possibile fermarne uno, non è possibile individuarne uno se non come differenza da tutti gli altri, questo già De Saussure l’aveva detto a proposito del significato, indicava il significato come qualcosa che si ritaglia da tutti gli altri significati che non è, e che però mantiene in qualche modo, da qui poi la sua nozione di nebulosa, di langue cioè qualcosa in cui ci sono tutte le possibilità linguistiche però non ancora in atto nella parola. Ciascuna volta che un elemento interviene ci sono simultaneamente altri elementi a fianco, adiacenti, questo rende impossibile ovviamente l’identificazione di un elemento, tant’è che nella teoria di Verdiglione non c’è nessuna possibilità di identità né di identificazione, appunto per questo motivo, perché ciascun elemento esiste in quanto in relazione simultanea con tutti gli altri. Qui è arrivata la psicanalisi, e la tecnica psicanalitica si svolge soprattutto nel porre l’accento sulla relazione di un elemento con altri e da qui l’impossibilità di identificare un elemento. L’impossibilità di identificarlo e quindi il tenere conto che un elemento è continuamente in relazione con altri mostra la sua semovenza inarrestabile: se un elemento è continuamente altro da sé e sempre in movimento, mai fisso, ovviamente non può individuarsi da nessuna parte, in nessun luogo. Questa mobilità estrema della parola è ciò che rende conto degli effetti che ha una tecnica psicanalitica: nessuna cosa può fermarsi perché è sempre in movimento quindi non c’è la possibilità di una fissazione, come direbbe Freud, nevrotica. Da qui la tecnica inventata da Lacan della seduta breve, con sottolineatura del significante con cui la seduta si interrompe, questa ripetizione del significante da parte dell’analista dovrebbe sottolineare l’importanza del significante e cioè fare in modo che questo significante possa funzionare come nome, e cioè agganci altri elementi che sono presenti, e essendo questo nome adiacente a un altro significante produce altra parola in un processo infinito. Un significante viene rimosso quando, scrive Freud, c’è un elemento che non può avere accesso alla coscienza perché crea dei problemi, mettiamola così in termini molto spicci, e allora diceva Freud viene rimosso. Il passo che hanno fatto prima Lacan e poi radicalizzato da Verdiglione è stato che la rimozione non avviene ogni tanto, ma è qualcosa di strutturale all’atto di parola e cioè ciascun elemento e quindi ciascun significante comporta necessariamente la presenza di altri elementi che non possono essere detti, perché se questo significante è connesso con un nome e questo nome è connesso con altri elementi allora questo significante dice qualcosa che è in relazione con altri elementi, che sono presenti ma non possono essere detti: non posso dire simultaneamente due cose insieme. Questi altri elementi presenti, già con Freud e poi in modo più marcato con Verdiglione, costituiscono il nome, cioè un significante rimosso funziona come nome ed è adiacente ad un altro significante cioè questo nome produce altre parole, altri significanti. Intervento: allora cosa si rimuove? Il significante viene rimosso e da quel momento funziona come nome … Intervento: e se non è rimosso? Questa era una questione, per Freud sembra che non tutti i significanti incappino nella rimozione ma solo alcuni cioè soltanto là dove un significante comporta la “necessita” tra virgolette, di essere rimosso per motivi per esempio morali … Intervento: praticamente una censura … Esattamente, infatti lo stesso Freud ne parla in alcuni passi come una censura: per esempio in tempo di guerra uno manda una lettera alla fidanzata e gli racconta quello che succede al fronte, c’è la censura che col pennarello cancella tutte le cose che potrebbero essere utilizzate dal nemico nel caso che quella lettera venisse intercettata dai nemici. Ma il passo successivo è stato quello di intendere desaussurianamente ciascun atto linguistico, ciascun atto di parola rimosso, perché De Saussure indicava appunto il significato sopra al significante, Lacan l’aveva capovolto, aveva messo il significante sopra, cioè ciò che si dice e il significato sotto e in mezzo quella barra che traccia De Saussure è la barra della rimozione, per Lacan non per De Saussure naturalmente, e cioè ogni atto di parola comporta la rimozione cioè comporta qualche cosa che è presente in ciò che si dice ma non si dice, non dicendosi comporta appunto un’altra scena tant’è che l’Altro è inteso da Verdiglione come l’adiacenza tra il nome e il significante, l’altra scena che comporta la presenza del nome. Tutto questo naturalmente muove dal testo di Freud, sia Lacan e soprattutto Verdiglione hanno fatto una lettura molto dettagliata quanto metodica di Freud utilizzando naturalmente i passi che parevano più opportuni, cancellando altri come accade. Ma c’è un qualche cosa che tutto questo non illustra, non dice, non spiega, aldilà di alcuni dettagli come il fatto che rimanga l’indicibile, per esempio, sia strutturale, Freud ne parla in modo preciso a proposito del sogno, il sogno comporta un inanalizzabile, l’inconscio è inanalizzabile, dirà poi Verdiglione molti anni dopo, la parola è l’inconscio cioè la parola strutturalmente è inanalizzabile, inanalizzabile perché ogni volta che si dice qualche cosa ci sono altri elementi che non si dicono … Intervento: se io dico sedia vuol dire che ho rimosso il fatto che è un elemento formato da quattro gambe? Secondo Freud la questione si pone in un altro modo, e cioè questo significante potrebbe essere rimosso, potrebbe ma non necessariamente, nell’elaborazione di Lacan e più ancora in quella di Verdiglione sì: in quanto atto di parola comporta la rimozione e cioè quello che tu dici “sedia” e cioè il significante comporta simultaneamente una quantità di elementi, di immagini, di storie, di racconti, tutto ciò che per te rappresenta una sedia, tutto ciò che ha rappresentato una sedia, tutto ciò che in qualche modo per te costituisce l’idea di sedia, ora quando tu pronunci questo significante tutti questi elementi sono presenti, ci sono ma non li dici, questo non significa che comporti un problema per te dire “sedia” ovviamente, significa soltanto che questo significante non può essere identificato in un’unica cosa perché questo significante ha un ventaglio di elementi infiniti. A questo punto diventa inanalizzabile perché se tu incominci ad analizzarli ciascuna volta dici altri significanti e questi altri significanti comportano altre cose, cioè un altro nome, questo altro nome comporta a sua volta un’infinità di altre immagini, scene, ricordi, e così via all’infinito. Lacan aveva incominciato a elaborare la questione con i suoi reticoli di surdeterminazione, per indicare che non potrai mai dire la cosa, sfuggirà sempre, già la semiotica lo aveva detto. Non c’è la possibilità di identificare un elemento perché l’elemento sfugge sempre alla presa, sfugge sempre alla comprensione per cui una delle conclusioni è che non c’è comprensione, c’è intendimento come effetto qualcosa si intende, viene rilasciato un senso cioè una direzione verso la quale la parola si piega ma non c’è la possibilità di arrestare questo percorso, per esempio con un’immagine, un elemento fisso che fornisca il fine corsa oltre il quale non si può andare, appunto la parola è presa in una rete di relazioni interne infinita, inarrestabile … Intervento: … Allora pareva proprio il contrario, perché portando la persona a intendere che qualunque elemento è preso in una relazione simultanea, infinita con moltissimi altri elementi si impedisce quella cosa che è sì la causa di ogni nevrosi, e cioè la fissazione di un termine, perché da quel momento diventa “quello” e soltanto se diventa “quello” può creare qualche problema ché se non è quello ma sfuma nella relazione con infiniti altri elementi non c’è il problema … Intervento: ma non comporta una confusione … Non propriamente, è il procedere della parola attraverso rinvii continui, come anche la semiotica ha mostrato, o gli è parso di mostrare: rinvii infiniti di termini, di concetti, tant’è che allora una delle figure retoriche più frequenti era l’anfibologia, l’anfibologia non è altro che un concetto del quale possono darsi più significati: Uno degli interventi di allora si chiamava “Anfibologia del soggetto” come dire che il soggetto, e questo molto lacanianamente, è diviso, anche il soggetto non è identico a sé, è sempre diviso, preso in una divisione continua, da dove viene l’idea della divisione? Sempre da Freud, dalla rimozione e dalla resistenza, dalla pulsione di vita e di morte, insomma da una dualità sempre presente che impedisce l’identificazione e l’unificazione. Tutto questo, per quanto suggestivo potesse apparire negli anni 80, anche perché allora era in voga la rilettura di De Saussure e soprattutto della semiotica che aveva fatto dei passi notevoli, cionondimeno non rende conto di una cosa importante, e cioè del perché gli umani pensano nel modo in cui pensano, di questo non c’è traccia, si fa risalire il principio di ogni cosa, di ogni atto di parola alla rimozione quindi all’inconscio, l’inconscio che è inanalizzabile appunto, e la rimozione sarebbe il punto zero, cioè l’inizio, l’incominciamento di ogni cosa, ogni cosa incomincia con l’inconscio ma questo inconscio non è analizzabile per i motivi che abbiamo indicato prima. Una teoria del genere pareva che reggesse, in effetti basta pensare che l’inconscio rimanga l’inanalizzabile per definizione, o più propriamente per via del fatto che ciascun elemento se si cerca di analizzarlo si frammenta all’infinito in altri elementi e non si riuscirà mai a stabilirne uno, fisso, fermo una volta per tutte. La domanda che mi posi allora è se effettivamente le cose stessero proprio in quel modo, certo le spiegazioni che venivano fornite dalla psicanalisi o dalla semiotica apparivano abbastanza convincenti, ma la prima cosa che mi trovai a considerare è che ciascun elemento che interviene, proprio perché interviene all’interno di una combinatoria, di una catena, e che ha effetti su questa catena, occorre che sia in qualche modo identificabile e cioè che si possa utilizzare quell’elemento, per utilizzarlo deve essere in qualche modo quello che è, quello che dice di essere. È ovvio che se si cerca la dimostrazione di una cosa del genere, dell’identità di un elemento con sé stesso, come abbiamo visto in svariate occasioni, ci si imbatte in una serie di aporie e paradossi infiniti, soprattutto la regressio ad infinitum. La teoria psicanalitica poneva nella impossibilità di analizzare l’inconscio, una disseminazione, una frammentazione senza limiti, però la cosa che mi fece riflettere: ciascuna di queste affermazioni all’interno di questa teoria veniva considerata vera, la domanda banalissima che mi posi fu “potrebbe essere il contrario, posso affermare il contrario tranquillamente?”, se sì la cosa ha poco interessa, se no, occorre dire perché, ma dire perché non è possibile. Ecco il problema, se non posso affermare il contrario allora c’è qualche cosa che deve essere identificato, cioè deve essere quello che è, e se è quello che è non può essere altro, se io dico che l’inconscio è la logica particolare a ciascuno, sto dicendo una certa cosa, per esempio non sto dicendo che l’inconscio è la logica particolare a tutti, parrebbe la stessa cosa, ma per Verdiglione non lo è assolutamente, oppure è una logica che non è particolare a nessuno e cioè escludo delle cose necessariamente e individuo un elemento, in questo caso una proposizione ben precisa, considero questa proposizione vera? Cosa significa che la considero vera? Anche qui naturalmente tutta la questione della verità era stata messa in discussione per lo stesso motivo, la stessa semiotica l’aveva già fatto “non è possibile stabilire la verità” la stessa ermeneutica, sempre per lo stesso motivo, afferma che ogni volta che si cerca la verità questa sfugge continuamente, si pensa che sia una certa cosa ma qualcuno trova l’argomentazione che la confuta. Posta la questione in questi termini certo non c’è uscita, allora effettivamente le cose stanno così come dice Verdiglione, ma c’è un altro problema: affermando che le cose stanno così si afferma anche che le cose non possono stare altrimenti, perché? C’è qualche cosa che funziona in ciascun atto di parola tale per cui perché possa funzionare occorre che un elemento sia identificato, sia individuato e che funzioni per quello che si intende e non per altro. Dire una cosa del genere non toglie né confuta una buona parte della teoria di Verdiglione, semplicemente interroga uno degli asserti fondamentali e cioè quello che dice che un elemento non è identificabile, ma se non fosse identificabile non sarebbe utilizzabile perché sarebbe simultaneamente anche altri, quindi il linguaggio cesserebbe di funzionare. Il passo successivo era relativamente semplice, ed è quello che ci ha condotti passo dopo passo fino a porre delle istruzioni. È vero che una cosa del genere non può essere dimostrata, tuttavia è necessaria, è necessaria anche per potere affermare tutte quelle cose che vengono affermate dalla teoria di Verdiglione per esempio, non può essere dimostrata perché abbiamo rilevato essere un’istruzione, un comando, e come tale non può essere dimostrata, però senza questo comando, senza questa logica a questo punto, nulla può essere affermato. Il termine logica qui acquista un accezione, una connotazione ben precisa, mentre la nozione di logica nella teoria di Verdiglione è assolutamente vaga e insondabile, non c’è nessuna definizione di logica, così come non c’è di moltissime altre cose, qui la logica non è nient’altro che ciò che fa funzionare le cose, cioè quelle istruzioni che consentono alle proposizioni di costruirsi e costituiscono delle regole inviolabili, una di queste è che un elemento non può essere altro da sé, se qualcuno viola questa cosa cessa di parlare, cessa di potere costruire qualunque affermazione, se ciò che conclude nega la premessa da cui è partito tutta l’argomentazione viene refutata inesorabilmente, perché? È questa domanda che ci ha condotti a intendere che c’è qualche cosa di molto più potente alla radice ed è assolutamente inviolabile, non è un ghiribizzo o qualche cosa di facoltativo o arbitrario perché il linguaggio funziona così, è chiaro che a questo punto molti degli asserti di Verdiglione non possono più essere sostenuti e il motivo è abbastanza evidente, basta prendere alla lettera quello che afferma quando dice che ciascun elemento differisce da sé, quindi ciascuna proposizione differisce da sé, quindi la proposizione che afferma che l’inconscio è la logica particolare a ciascuno differisce da sé e quindi non afferma quello che afferma e quindi non è niente. A questo punto non era più possibile proseguire in quella direzione, anche perché ci si mostrava uno scenario totalmente differente e cioè un qualche cosa di molto più potente e non più né aleatorio né arbitrario, ma assolutamente necessario, necessario per la costruzione di qualunque pensiero, di qualunque proposizione ovviamente, e naturalmente anche la psicanalisi posta in questi termini, cioè con questo fondamento ha un altro andamento. Tutta la questione clinica posta da Freud e poi ripresa da Verdiglione non è che venga esclusa ovviamente, anche perché lui è sempre stato un buon clinico e un buon clinico è chi intende quali sono le questioni che si stanno ponendo in ciò che si sta dicendo, che cosa fa questione, che cosa fa problema, che cosa il discorso aggira per esempio, che cosa mostra fra le righe senza dirsi ancora, naturalmente non è che l’analista sa che cos’è ma sa che c’è qualche cosa che cerca di non dirsi perché gira in tondo, perché lo aggira o perché si sofferma su alcune questioni glissando su altre per esempio che pure appaiono strettamente connesse con la prima. Ma il fondamento teorico cambia totalmente, non c’è più l’inanalizzabile perché a questo punto non ci si ferma più al fatto che ciascun elemento rinvia a un altro necessariamente, questo non è altro che il funzionamento del linguaggio, ciascun significante rinvia a un altro significante, ma perché possa rinviare è necessario che questo significante sia identificato dalla catena linguistica, se non è identificato non rinvia a niente, non c’è neanche come significante, non è niente. Come abbiamo già detto l’identità non può essere dimostrata, così come nulla di ciò che afferma Freud, nulla di ciò che afferma Lacan e nulla di ciò che afferma Verdiglione può esserlo, intendiamoci bene, però a questo punto l’identità diventa una necessità, una necessità logica il fatto che ciascun elemento sia identificabile all’interno della combinatoria, della catena, e quindi sapendo perfettamente che non può essere dimostrato non può essere che un’istruzione. Poi ci è venuto in soccorso per così dire il modo in cui si addestrano le macchine, ma è stato soltanto un soccorso, o come si addestrano gli umani, che è la stessa cosa, e ciò che gli si fornisce, tanto agli umani quanto alla macchina per potere funzionare, è una identità, appunto il “questo è questo”, quando parlo di significante, il significante occorre che sia un significante ma questa è una decisione, è ovvio che quando parlo di significante questo termine si associa, può associarsi a infiniti altri termini, certo, e questo rende conto della complessità del pensiero degli umani, ma nonostante questo quando uso il termine significante lo uso in un certo modo, è così che si impara a parlare, questo già Wittgenstein lo aveva indicato, usandolo in un certo modo produco altri significanti, produco altre catene, produco altre storie, ed è vero che questa storia è presa in una sorta di infinitizzazione certo, ma perché possa darsi questa infinitizzazione, cioè perché possa darsi il linguaggio, perché possa darsi il racconto, possano esistere le proposizioni, occorre che il linguaggio funzioni in un certo modo e per funzionare in un certo modo necessita del fatto che un elemento sia individuato, se no non può essere utilizzato, ma quando lo utilizzo io utilizzo quell’elemento in una certa accezione e a questo punto posso costruire una proposizione, se no costruisco niente, come diceva Eleonora c’è la confusione totale e in questa confusione totale il linguaggio non funziona, non si incomincia nemmeno. Verdiglione dice che l’incominciamento sta nell’inconscio e l’inconscio non è altro che la parola, l’incominciamento è la parola, ma questa parola da dove arriva? In che modo si costruisce la parola? Perché viene riconosciuta come tale? Perché viene utilizzata come tale e a quali condizioni? Deve essere costruita in un certo modo perché sia parola, per esempio non deve essere autocontraddittoria, salvo nella retorica ma lì il discorso è differente, perché per potere essere autocontraddittoria deve comunque essere identificata se no autocontraddice che cosa? Niente. Ecco, questo è un altro modo di porre la questione del linguaggio e della necessità del linguaggio, segue il percorso che ha fatto la psicanalisi e Verdiglione ha rappresentato un passaggio importante per il motivo che vi ho detto, e cioè per la sua formazione che è stata ed è linguistica e semiotica e non più medica. Lacan aveva letto qualcosa di De Saussure, di Jakobson, ma non è che sia andato molto aldilà di questo, di semiotica per esempio sapeva molto poco, e la conoscenza della semiotica ha apportato quelle modifiche o per altri quelle precisazioni che vi ho descritte. La psicanalisi è arrivata fino a qui, ma non mostra affatto perché gli umani pensano nel modo in cui pensano, perché per esempio ciascuno non fa che ripetere continuamente sempre le stesse cose per avere ragione, per dire la verità, non spiega perché gli umani inseguano la verità da sempre e assolutamente e in definitiva non fanno altro che compiere un percorso che deve portare all’affermare, l’asserire come le cose stanno funzionando, opponendosi fortemente a chi dice il contrario … Intervento: come se le connessioni fra elementi linguistici fossero connessioni naturali e non affermazioni … No, Verdiglione non affermerebbe mai una cosa del genere, non c’è nulla di naturale ma ogni cosa è artificiale, cioè fatta ad arte dalla parola … Intervento: però se non può sapere come funziona il linguaggio e cioè che ogni elemento è affermato in qualche modo perché deve distinguersi da un altro elemento è come se andassero per conto loro gli elementi … Sì, la parola avviene così, d’altra parte il linguaggio a un certo punto incomincia perché qualcuno lo insegna mostrando come si usa, ma questo è assolutamente artificiale, cioè costruito ad arte, e l’arte è una delle istanze della parola, sempre secondo Verdiglione, e ogni caso l’arte non è fuori dalla parola. Abbiamo dunque articolato i tre modi per inserire la questione del linguaggio in tre percorsi differenti: il primo, dal caso clinico di Freud fino a arrivare alla questione del linguaggio, l’altro partendo da un’istruzione semplice, e arrivare a costruire qualunque cosa e quindi anche la psicanalisi, e l’ultima e arrivare fin dove è arrivata la psicanalisi e fare il passo successivo … Intervento: se dal punto di vista clinico sia Lacan che Verdiglione puntano a questa infinitizzazione della parola e quindi l’impossibilità di identificare e di conseguenza rispetto alla nevrosi la fissazione ecco nel nostro caso come possiamo esprimerla, dal punto di vista clinico qual è l’effetto? Possiamo sicuramente accogliere una buona parte della tecnica psicanalitica elaborata da Freud, Lacan e Verdiglione, però non si tratta a questo punto di arrestarsi a questa sorta di “infinitizzazione”, ma di mettere la persona nelle condizioni di sapere che cosa sta funzionando mentre sta parlando, di che cosa funziona perché lui stesso possa funzionare, e cioè di mostrare come ciascun elemento proceda da un’istruzione, cioè dal funzionamento del linguaggio, che costruisce delle sequenze le quali sequenze se credute vere comportano degli effetti, se non sono credute vere non comportano più quegli effetti … Intervento: infatti giungiamo a chiederci perché si credono le cose che si credono … Certo, sì, perché le persone pensano quello che pensano, domanda che nessuno si è mai posta … Intervento: pensieri inconsci che intervengono a disturbare o a interferire rispetto a un’intenzione Freud parla chiaramente di un conflitto di giochi lui ovviamente utilizza i termini che utilizza ovviamente non arriva alla questione centrale e cioè che da una stessa premessa si possono dedurre … Sì, trarre conclusioni opposte … Intervento: e quindi offrire la possibilità che più pensieri possano entrare in conflitto e qui … Ma sempre a una condizione, che siano ritenuti veri … Intervento: sì il punto centrale è che se questa premessa è creduta vera è chiaro a questo punto che possono comportare conclusioni che possono entrare in conflitto tra loro … Sì, la simultaneità di cose contrarie, questa questione l’aveva già intravista Freud in un suo saggio Il significato opposto delle parole primordiali, dove si era accorto che alcuni termini originariamente veicolavano sia un significato che il suo contrario, un po’ come in greco il farmaco è sia veleno, sia il rimedio, da cui la compresenza di elementi opposti, antonimi. 25-5-2011 Abbiamo parlato di tre modalità attraverso le quali esporre la questione del linguaggio, c’è una quarta possibilità. Abbiamo parlato di fondamento, diciamo che cosa intendiamo con fondamento: qualcosa che costituisce la condizione di qualche altra cosa e anche ciò che questa altra cosa che il fondamento ha prodotto non può oltrepassare, non può andare oltre il suo fondamento. Ciò che la psicanalisi ha mostrato e indicato da Freud in poi, è che ciò che gli umani non possono eliminare, aggirare, è il fatto di essere parlanti, cioè non possono uscire dal linguaggio. Questo comporta degli effetti naturalmente anche se la psicanalisi o la teoria psicanalitica non si è sempre occupata accuratamente del linguaggio in quanto tale, ma prevalentemente di ciò che il linguaggio costruisce e cioè delle storie, racconti, fantasie, discorsi e di come questi agiscono e si relazionano fra loro, ma del linguaggio in quanto tale non si è occupata granché, se non porlo come condizione dell’inconscio o porlo come un’istanza prioritaria. Qualunque definizione si dia del linguaggio questa definizione risulterà arbitraria, ciò che a noi interessa è vedere se sia possibile fornire invece una definizione non arbitraria. Per fare questo occorre riflettere sul linguaggio e cioè verificare se si dia nel linguaggio un qualche cosa che necessariamente non può non esserci, cioè qualche cosa che sia assolutamente specifico, peculiare e particolare al linguaggio. Il linguaggio è vincolato dalla grammatica e dalla sintassi, però anche la grammatica e la sintassi possono variare, almeno nei linguaggi non formalizzati perché nei linguaggi formalizzati non possono variare, la sintassi in un linguaggio formalizzato è data unicamente dai connettivi: la “e”, il “non”, oppure, “il se… allora”, il “se e soltanto se”, le parentesi e qualche segno di interpunzione e delle variabili naturalmente, questa è la sintassi e non c’è nient’altro almeno nel calcolo del primo ordine, nel secondo intervengono i quantificatori. Nei linguaggi non formalizzati la sintassi può subire delle modificazioni, così come è avvenuto, per esempio la sintassi latina non è quella italiana, o non del tutto, e così anche la stessa grammatica si è modificata nel corso dei secoli, ma c’è qualche cosa che invece non varia per nessun motivo? C’è qualche cosa che non varia e non può variare per nessun motivo, e cioè che un elemento, uno qualunque, un elemento utilizzato dal linguaggio non può essere simultaneamente se stesso e altro da sé, gli stessi connettivi nella logica formale, per esempio il “se … allora” non può essere un’altra cosa, e la “e” sarà sempre necessariamente una congiunzione, l’”oppure” sarà una disgiunzione, il “se … allora” indicherà un condizionale, cioè ciascuna volta che interverranno questi elementi, questi elementi avranno sempre e comunque questa funzione, non potranno averne un’altra, in ciascuna occorrenza significheranno sempre e soltanto se stessi e cioè ciascuno di questi elementi non può significare simultaneamente se stesso e il contrario o altro. Questo aspetto che appare assolutamente ovvio, evidente, non può un elemento essere simultaneamente se stesso e un altro, non sarebbe più utilizzabile, direi che è una formulazione apodittica cioè immediatamente evidente; una conclusione o affermazione che conclude una proposizione non può contraddire la premessa da cui è partita, non lo può fare. Queste particolarità vincolano il linguaggio e non possono in nessun modo essere violate, non soltanto, ma se volessi costruire un’argomentazione che afferma che possono essere violate, per costruirla dovrei utilizzare queste regole, tassative e immodificabili per costruire la proposizione, altrimenti non costruisco nulla. Questo ci mostra che esiste all’interno del linguaggio un qualche cosa che in nessun modo può essere modificato, cioè non può variare, come ho detto è una banalità, è un’ovvietà, ciascun elemento per potere essere utilizzato all’interno della catena significante deve non essere altro da sé. Chiamiamo questa particolarità “identità” potremmo anche chiamarla “Pippo” però questo non ci aiuterebbe e la nozione di identità è quella che semanticamente appare la più prossima a ciò che si intende dire, per questo motivo usiamo questo termine “identità”. Per quanto ovvie e banali possano essere queste affermazioni, e cioè che ciascun elemento non può, per essere utilizzato, essere altro da sé, le implicazioni sono tutt’altro che banali e irrilevanti. Si impone una considerazione che muove dal fatto che la psicanalisi, almeno da Lacan in poi, ha sempre considerato che ciascun elemento che appartiene al linguaggio è differente da sé, tecnicamente questa affermazione appare un paradosso, un’affermazione paradossale, e quindi non utilizzabile, però di fatto viene utilizzata, ma a quali condizioni? A condizione che non sia interrogata, ciò che nella psicanalisi più recente viene indicato come prova per affermare che un elemento differisce da sé è l’esperienza. Naturalmente per un kleiniano è frutto di esperienza o meglio esperisce continuamente in ciascuna persona il fatto che questa persona si trovi presa in una relazione tra oggetto buono e oggetto cattivo, se è un freudiano sicuramente esperirà e cioè potrà affermare che lungo la sua esperienza ha verificato che il disagio che la persona incontra procede dal fatto che una pulsione sessuale è stata rimossa e di conseguenza sublimata in altro e questa sublimazione ha incontrato qualche problema, per qualunque verdiglioniano è frutto dell’esperienza affermare che qualunque significante differisce da sé e che un significante rimosso funziona come nome adiacente a un altro significante, così come per ciascun cristiano integralista è frutto dell’esperienza, cioè esperisce ininterrottamente la presenza di dio in tutto il creato. Porre l’esperienza come garanzia di correttezza teorica appare quanto meno bizzarro. Questi elementi che all’interno del linguaggio appaiono non modificabili, non modificabili perché se vengono modificati il linguaggio stesso cessa di funzionare, li possiamo indicare a questo punto come ciò che costituisce il fondamento. Tenendo conto del modo in cui abbiamo definito il fondamento, cioè come ciò che è condizione di qualche cosa e anche ciò che rappresenta il limite di qualche cosa, cioè ciò che è stato costruito da questo fondamento non può andare oltre il fondamento stesso, queste formulazioni apodittiche cioè autoevidenti costituiscono dunque il fondamento, aldilà non si può andare, non possono essere modificate, non possono essere ignorate in nessun modo, costituiscono la condizione perché possa darsi qualunque proposizione, qualunque sequenza che sia possibile indicare come proposizione, come discorso, come racconto, come sogno, quello che vi pare. Ci troviamo ad avere a che fare con qualche cosa che appare assolutamente irrinunciabile, qualcosa che come abbiamo detto non può essere eliminato né tolto né modificato, ma quali sono le implicazioni? Questi elementi che abbiamo individuati costituiscono la struttura di base del linguaggio, come abbiamo detto qualche volta per fare il verso agli informatici, il codice sorgente, ciò da cui sorge qualunque cosa, o fondamento, perché no? Sempre nell’accezione che abbiamo indicata, e dunque se questi elementi sono la condizione di qualunque cosa allora possiamo a questo punto indicare una definizione di linguaggio che appare non essere più arbitraria, perché se io indico come questa condizione, cioè che un elemento non può essere il suo contrario, una proposizione non può essere autocontraddittoria, questi elementi non sono arbitrari, e se io definisco il linguaggio attraverso questi elementi e cioè indicandolo come questi elementi allora a questo punto non c’è più arbitrarietà, perché l’arbitrarietà indica la possibilità che questa definizione possa essere modificata, possa variare, ma se la definizione varia allora indica che un elemento può non essere se stesso, ma a questo punto questa stessa definizione non potrebbe essere costruita. Questa definizione, indicando ciò che non può essere variato non può essere variata, dunque abbiamo la definizione di linguaggio, questa definizione indica semplicemente che ciascun elemento non può essere altro da sé, non può affermare sé stesso e il suo contrario e una proposizione non può essere autocontraddittoria, esiste una dimostrazione per una cosa del genere? Una prova che ci dica che necessariamente è così? Se effettivamente, come abbiamo detto, questi elementi costituiscono la condizione per la costruzione di qualunque cosa che possa chiamarsi proposizione allora no, perché una qualunque prova per essere costruita dovrà utilizzare queste cose necessariamente, e a questo punto abbiamo anche indicato che cosa intendiamo con necessario: questi elementi sono necessari nel senso che se non ci fossero allora né questi elementi né nessun altra cosa potrebbe darsi. Tutto ruota intorno a un fatto molto semplice, è la banalità di cui ho detto prima, può un elemento affermare se stesso e il suo contrario simultaneamente? Qualcuno potrebbe obiettare che nella retorica accade continuamente, sì, verissimo, ma poniamo due termini opposti, in retorica si chiamano antonimi, due termini antonimi costituiscono un ossimoro, per esempio un “caldo agghiacciante” è un ossimoro, i due termini sono opposti caldo/freddo, ma perché i due termini siano in opposizione occorre che caldo sia caldo cioè sia se stesso e lo stesso vale per il freddo, supponiamo invece che caldo sia simultaneamente caldo/freddo e freddo sia freddo/caldo, non c’è più nessuna opposizione, non c’è più nessuna antonimia, non c’è più nessun ossimoro. Consideriamo ora il termine greco “pharmakon”, che originariamente indicava sia il farmaco cioè il rimedio, sia il veleno, però prima di bere qualche cosa uno vuole sapere se è qualcosa che lo guarirà o lo ucciderà, e vuole saperlo con assoluta certezza, deve sapere: delle due una, e a questo punto, per quel processo noto alla semiotica come encatalisi si distingue un termine dall’altro e cioè ciascuno è individuato, in questo caso oltre a essere individuato viene differenziato dall’altro per cui anche in questo caso per essere utilizzato un termine deve essere identico a sé, cioè deve essere individuato, ma da chi? Non dalla persona in quanto tale ma dal discorso, cioè dalla catena di significanti, è questa catena che per utilizzare un certo termine deve individuarlo, perché se questo termine è o può essere se stesso e il suo contrario si arresta, e un processo di encatalisi stabilisce che è questo, oppure è quest’altro. A questo siamo arrivati al fondamento, più in là non si può andare, perché non si può andare? Perché se si violano, si modificano queste regole non c’è più possibilità di andare oltre, e queste regole non possono essere modificate se non utilizzandole, e a questo punto si entra, sempre facendo il verso agli informatici, in un loop senza uscita. Ma vi dicevo delle implicazioni di una cosa del genere, abbiamo di fronte il modo in cui il linguaggio necessariamente funziona, cioè che cosa è necessario per il suo funzionamento, se un elemento non può essere altro da sé allora è necessario che sia se stesso, e anche la proposizione deve affermare, confermare la validità della premessa da cui è partita, non può negarla, non negandola la afferma, magari aggiungendo delle cose, ma giunge comunque a qualche cosa che afferma la stessa cosa che affermava la premessa, tenendo conto che sono soltanto questi gli elementi che il linguaggio non può violare, cioè ciò di cui è fatto, ha altro con cui ha a che fare il linguaggio? Ci sono altre cose? Siamo indotti a questo punto a pensare, possiamo anche porlo come ipotesi eventualmente su cui lavorare, che qualunque cosa il linguaggio costruisca, cioè qualunque proposizione e di conseguenza discorsi, racconti, qualunque cosa, mantenga necessariamente questa struttura anzi, non è un’ipotesi, è una certezza, l’ipotesi invece è che ciascuna affermazione che il linguaggio produce, a qualunque riguardo, continui a ripetere questa identità che gli è necessaria per potere funzionare, e cioè continua a ripetere delle identità sullo stesso modello precedente, modalità che sono quelle che consentono al linguaggio di proseguire, come dire che il linguaggio non soltanto nella sua struttura ma in tutto quello che costruisce continua a mantenere la stessa struttura. È ovvio che non può violare questa struttura di base, ed è ovvio che tutto ciò che costruisce non può violarla in nessun modo, quindi tutto ciò che costruisce si attiene a questa struttura, la mantiene e la ripete e tutto ciò che apparentemente è altro da tutto ciò, e cioè tutti gli infiniti racconti, storie che gli umani hanno costruito si attengono e non possono non farlo a questa struttura. Ecco perché abbiamo detto recentemente che qualunque argomentazione, qualunque conclusione, qualunque discorso, racconto eccetera muove da un “è così” e conclude con un “è così” o, più propriamente, deve concludere in questo modo, e se provvisoriamente non riesce a concludere in questo modo perché non ha gli elementi, gli strumenti allora o abbandona la questione oppure la persegue finché trova che “è così” cioè il “questo è questo”. Da delle assolute, totali banalità da cui siamo partiti e cioè che un elemento occorre che non sia il suo contrario, abbiamo la possibilità di intendere come funziona il linguaggio e anche, a questo punto, come funzionano gli umani che inesorabilmente sono fatti di linguaggio e quindi continueranno e non avranno altro da fare se non affermare che “questo è questo”, quindi “è così”. Come dicevo, questo illustra il motivo per cui gli umani pensano nel modo in cui pensano, cioè hanno bisogno necessariamente e continuamente di imporre la propria ragione, di avere il potere in tutte le varie forme che appaiono e sono sempre apparse come naturali, cioè il modo naturale in cui e per cui gli umani esistono, che naturale non è, perché sono vincolati a questa struttura e questa struttura funziona così: non accoglie simultaneamente un elemento e il suo contrario, quindi deve stabilire che un elemento è quello che è, cioè che afferma di essere. Qui si apre una questione sterminata, che riguarda il funzionamento degli umani e cioè del modo in cui pensano, ma la cosa importante, oltreché interessante, è che qualunque cosa abbiano pensato, pensino o penseranno sarà comunque riconducibile a questa struttura, inesorabilmente, perché questa struttura non può essere violata né modificata, intendo questa struttura di base, cioè quella struttura che necessita del fatto che un elemento non sia altro da sé per potere essere utilizzato, utilizzato dalla catena significante, dalla combinazione di elementi … Intervento: le persone considerano il discorso con tutte le sue sterminate variabili e quindi ricondurre tutto a questa struttura di base … In effetti è stato troppo rapido, è da articolare questo passaggio tra la struttura di base e cioè il linguaggio, ciò che abbiamo chiamato fondamento, e il modo in cui gli umani pensano e come si mantiene questa struttura, come attraverso le proposizioni, il racconto eccetera questa struttura permanga sempre e necessariamente … Intervento: per fare il verso a quello che dicevamo la volta scorsa dell’inconscio questa struttura fa sempre da sfondo, è sempre lì … Sì, e non può essere violata, né eliminata, né cancellata, né modificata, eppure chi non sa che un elemento per essere utilizzato non può essere il suo contrario? Lo sanno tutti, e che uno non può, se costruisce un’affermazione giungere ad affermare il contrario di ciò che ha costituito la premessa della sua argomentazione, lo sanno tutti anche i bambini, cionondimeno una cosa del genere non è mai stata portata alle estreme conseguenze, non si sono mai tratte tutte le implicazioni e soprattutto non si è mai saputo esattamente perché, eppure è semplice, se un elemento è se stesso e anche il suo contrario non è utilizzabile, se non è utilizzabile non è linguaggio perché per essere linguaggio deve essere utilizzabile dalla catena significante … Intervento: questo è chiaro, penso che si sia anche disposti ad accogliere questa questione questo modo di vedere come funziona il linguaggio, diciamo che è l’implicazione che diventa difficile da accogliere … Quale implicazione? Intervento: la realtà, noi stiamo parlando della struttura del linguaggio ma quando poi ci si scontra con la realtà per esempio, è il linguaggio che crea la realtà, è il passaggio lì dentro che sarebbe interessante … il linguaggio a questo punto mi permette di descrivere anche la realtà che esiste … Può anche accordare una cosa del genere inizialmente, dire che effettivamente il linguaggio è in condizioni di descrivere la realtà, però non è tanto questa la questione ma il fatto che ciò su cui gli umani si soffermano più soventemente è che la realtà esiste indipendentemente dalla descrizione, perché se è una descrizione allora tutto risulta più facile in effetti, ma nel luogo comune, nella superstizione non è né una descrizione né il prodotto di una descrizione, ma esiste di per sé, e allora se esiste di per sé è un altro discorso perché, come qualunque affermazione, o è un atto di fede oppure occorre una prova che dimostri … Intervento: che esiste di per sé … Non solo, ma che è quella cosa che quella persona sta affermando, come si fa? Intervento: la realtà esiste se non in quella descrizione che se ne fa … Occorre provare l’esistenza della realtà, e non sicuramente con l’esperienza perché se no si sposta solo la questione, dovremmo provare che l’esperienza mostra assolutamente la verità cosa che non è facile, o che per esempio i sensi non sono ingannevoli e poi perché utilizzare i sensi per definire la realtà? È un criterio necessario o arbitrario? Se è necessario, di nuovo, occorre mostrare perché in questo caso si mostra che il concetto di realtà come qualcosa di a se stante al di fuori di qualunque cosa non ha nessuna ragione di essere creduto, sostenuto, a meno che appunto non ci sia un atto di fede. L’atto di fede è il problema, perché tutto muove dalla fede, dalla fede in ciò che si pensa, in ciò che si crede, è questo che costituisce il problema fondamentale perché se non ci fosse la fede in ciò che si pensa allora ciò che si pensa potrebbe essere interrogato, potrebbe essere esposto alla verifica e la stessa verifica potrebbe essere esposta alla verifica, e allora a questo punto accadrebbe quello che è accaduto a noi e cioè di incominciare a interrogare ciò stesso che consente di costruire tutte queste cose, mentre l’atto di fede non consente questo, semplicemente attribuisce a ciò che io penso una verità per il solo fatto di pensarlo e questo come ho detto è un problema. L’asserzione che afferma che il significante differisce da sé, o qualunque elemento differisce da sé è un atto di fede in realtà, perché non può essere provato, non c’è una dimostrazione, una prova, eppure costituisce uno dei punti cardine di alcune teorie, ma è un atto di fede, perché o un qualche cosa è creduto di per sé, senza nessun motivo, o è creduto per esperienza, ma abbiamo già visto che l’esperienza non è un criterio affidabile, oppure deve essere provato, e per essere provato occorre un criterio il quale criterio per essere utilizzabile anche lui … Intervento: deve essere linguaggio … Si, esattamente, questo è un altro modo per porre la questione del linguaggio, non pone nulla di nuovo, lo articola semplicemente, partendo da ciò che costituisce ciò che nel linguaggio non può essere violato; cercavamo la definizione di linguaggio tenendo conto che qualunque definizione è arbitraria, e volevamo una definizione che non fosse arbitraria, cioè mostrasse qualcosa che a questo punto non è più modificabile, non è più una variabile. Ciò che abbiamo trovato non è variabile né variante, è un’invariante, non può variare ed è l’unica cosa che nel linguaggio, del linguaggio, non può variare, e il linguaggio è appunto questa invariante, il linguaggio è un’invariante, tutto il resto varia ma il linguaggio no, il linguaggio non varia perché qualunque altra cosa possa variare, come vi indicavo prima rispetto all’ossimoro, che è una figura retorica, ciascuna figura retorica è una variante rispetto a qualche cosa che non varia, per cui l’ossimoro è tale perché i due elementi che costituiscono i due antonimi non variano, perché se variassero non ci sarebbe più nessun ossimoro, nessuna figura retorica … Intervento: ciascun elemento è se stesso, ha a che fare con il “questo è questo”? Esattamente, quando dicevo che ciascuno deve concludere con un “è così” è come dire “questo è questo”, cioè è identificato, e se l’ha identificato è identico a sé, se fosse sé e un’altra cosa, poi un’altra e poi un’altra non sarebbe identificabile né identificato, rimarrebbe assolutamente vago, nella nebulosa, ma questa nebulosa di per sé non sarebbe niente se a un certo punto non si identificasse qualche cosa, il linguaggio stesso non è altro che un’identificazione continua: perché un elemento sia un elemento linguistico deve essere identificato cioè deve essere utilizzabile e non può essere utilizzabile se non è identificato, cioè se non è se stesso, escludendo la possibilità che sia altro da sé … Intervento: nella realtà l’utilizzo dei sensi per una possibile direzione che può essere data appunto dai sensi, i sensi per esempio sono una prerogativa degli umani … anche l’animale ha una vista però non riconosce una realtà perché non ha il linguaggio, il senso non è ciò che identifica la realtà perché la realtà deve essere qualche cosa organizzata dal linguaggio … Sì, la credenza nella realtà è un atto di fede, così come la credenza in dio, hanno la stessa struttura, non c’è niente di diverso né l’una cosa né l’altra possono essere provate, e anche coloro che si occupano di realtà in modo più specifico forse di altri per il loro tipo di lavoro, e cioè i fisici, loro stessi hanno seriamente messo in discussione il fatto che sia possibile individuare in qualche cosa la realtà, cioè quella particella ultima che costituisce la base della realtà. Mentre nella fisica questa particella non è reperibile nel linguaggio sì, e in effetti tutte queste elaborazioni intorno alla realtà che fa la fisica, sicuramente con buoni argomenti, sono consentite dall’esistenza del linguaggio e cioè di queste particolarità: che ciascun elemento utilizzato non può essere altro da sé, questa particolarità non può essere una variante, persino le particelle atomiche e sub atomiche possono essere delle varianti in quanto non è possibile per esempio la loro identificazione, non essendo possibile la loro identificabilità, questo con Heisenberg, almeno da lui in poi non è possibile stabilire l’elemento fondante della realtà, perché non si può identificare, se l’osservo, nel momento stesso in cui l’osservo lo altero. Per quanto riguarda il linguaggio invece c’è una particolarità assolutamente unica: ciò che costituisce il fondamento non può essere una variante, se fosse una variante non esisterebbe il linguaggio e di conseguenza neanche la realtà. 1-6-2011 La questione teorica è sicuramente importante, e è l’unica cosa che può fare la differenza. Se la psicanalisi si occupa di pensiero e di linguaggio, lungo questa via è difficile accorparla a terapie di vario genere, ora però questo come si pone in essere una cosa del genere? Cioè spingere la teoria in modo tale per cui non ci sia più la possibilità di confonderla con altre cose e mettere in difficoltà ogni fede, la fede assoluta e totale, forse questa è una via, potrebbe essere messa in crisi, ma come? Mettendo in crisi la psicanalisi, facendo cioè un lavoro di demolizione della teoria psicanalitica così com’è comunemente intesa. Questo potrebbe portare, anzi porterebbe sicuramente a una sorta di blocco della teoria psicanalitica che di fronte a certe affermazioni che sono autocontraddittorie potrebbe arrestarsi rendendo tutto l’impianto psicanalitico non praticabile, questo è lo scopo: impedire che alcune affermazione e formulazioni intorno alla psicanalisi siano possibili, o quantomeno più difficili da farsi. A questo riguardo si può prendere la teoria di Freud o quella di Lacan o di Verdiglione, è indifferente, ed è sufficiente (è il motivo per cui ho abbandonato tali teorie) portarle alle estreme conseguenze e cioè prendere alla lettera quello che dicono e applicare ciò che affermano alla teoria stessa. Nessuno ha mai fatto una cosa del genere, perché facendola ci si trova di fronte all’impossibilità di affermare ciò che la stessa psicanalisi afferma, voglio dire che se si prende alla lettera ciò che la psicanalisi afferma allora la psicanalisi non può più affermare niente. Una cosa del genere va condotta in modo logico ma anche retorico, mostrando di volta in volta, passo dopo passo, che se fosse vero ciò che la psicanalisi afferma allora effettivamente non potrebbe affermare niente di quello che afferma, com’è che nessuno se ne è mai accorto? Nessuno ha mai interrogato la psicanalisi di fatto, ci si è opposti alla sua teoria, la si è modificata, ma per esempio alcuni asserti principali o i cosiddetti concetti fondamentali, così li chiamava Lacan, non sono messi in discussione mai da nessuno, né questi né altri, e quindi per questo motivo non c’è mai stata una interrogazione che abbia avuto qualche rigore teorico. L’unico che si sia occupato un po’ di queste questioni è stato Wittgenstein in due saggi: Osservazioni sopra i fondamenti della psicologia e La filosofia della psicologia, dove pone obiezioni molto circostanziate, ma Wittgenstein non era uno psicanalista e probabilmente per questo ha fatto quello che ha fatto. Se si considera il concetto di inconscio per esempio, come l’ha posto Freud ma soprattutto come è stato posto con le aggiunte venute dalla linguistica e in parte an- che dalla semiotica e cioè come lo pone Lacan e più ancora Verdiglione emerge inesorabilmente il fatto che l’inconscio è non soltanto l’origine di ogni cosa ma che proprio per via dell’inconscio le cose si alterano, si modificano continuamente, ogni cosa è presa in un’altra scena, già questo lo diceva Freud, che non è qualcosa che può intervenire oppure no. Vi dicevo qualche tempo fa che la teoria psicanalitica anche se ha il terrore del termine “universale” però di fatto fa un numero notevole di affermazioni universali, la stessa esistenza dell’inconscio è un universale a meno che ci sia almeno un caso in cui l’inconscio non c’è, ma se questo caso non può darsi come afferma la psicanalisi allora l’inconscio è un universale, cioè non può non esserci, e non può non esserci, insieme con l’inconscio, neanche questa altra scena. Ma l’inconscio per definizione non può essere conosciuto, è l’insaputo, come afferma la psicanalisi ripetutamente e fortemente non c’è un sapere sull’inconscio questo ha degli effetti ovviamente, e cioè che dell’inconscio non posso saperne niente se non per gli effetti che produce, questi effetti sono quelli che Freud ha elencati come atti mancati, come lapsus, come dimenticanze, motti di spirito eccetera, come dire che questi eventi sono la testimonianza dell’inconscio del quale tuttavia non si può sapere niente, è inconscio, come si fa a saperne qualcosa? Ora a questo punto la stessa nozione di sapere viene messa in discussione tant’è, come si afferma in teorie più recenti, non c’è un sapere dato, non c’è un sapere proprio per questo motivo, per la presenza dell’inconscio che altera, modifica e comporta un continuo sviamento, un continuo scivolamento delle questioni verso altre, un po’ come avviene anche per la semiotica, almeno in parte, quindi non c’è un sapere, non si può in effetti affermare “so questo” perché in questo “so” c’è dell’inconscio e quindi non è quello. Affermare una cosa del genere comporta dei problemi, perché del sapere c’è, ma qual è l’escamotage? Non c’è il sapere ma ci sono effetti di sapere, non c’è il senso ma ci sono effetti di senso, effetti di intendimento, non c’è soggetto ma del soggettuale, però la questione non si risolve in realtà, dire che ci sono effetti di senso o di sapere significa soltanto che il sapere si produce come effetto, ma una volta che si è prodotto a questo punto il sapere è dato per cui esiste un sapere dato, cosa che la psicanalisi non può tollerare per una questione estetica, non piace, se ne ha a male, eppure anche questo sapere che si produce come effetto è sempre preso comunque in una spirale, direbbe qualcuno, per cui di fatto non è comunque mai dato, dunque non posso mai affermare di sapere qualcosa. Un’affermazione del genere è impegnativa oltreché problematica: come so che c’è l’inconscio, a questo punto? Da degli effetti che sono quelli che ho elencati prima, la dimenticanza, l’atto mancato, il lapsus eccetera, sì, così dice ma di fatto non lo posso sapere perché questo sapere è sempre comunque altro e anche l’effetto di sapere, anche il sapere se si produce come effetto comunque è preso in questa continua variazione, è una variante anche lui, a meno che non si stabilisca un sapere dato ma questo la psicanalisi non lo ammette … Intervento: non posso scoprire la causa … Non propriamente, anche perché la causa in questo caso è l’inconscio e quindi non lo posso conoscere per definizione, lo conosco dai suoi effetti dei quali si dice ancora che si ha esperienza. Il fatto che esista la rimozione, anche questo non può essere saputo, non c’è un sapere sulla rimozione, se è rimossa, tanto più che Freud la pone nell’inconscio e quindi per definizione non c’è un sapere sull’inconscio, se no sarebbe conscio, quindi lo so per esperienza, perché? Perché esperisco parlando, cioè esperisco in atto la variazione degli elementi e cioè le cose che dico non sono mai quelle che volevo dire, anche questa è un’affermazione molto impegnativa, basterebbe domandare “come lo so?” e allora a questo punto siccome non posso sapere e abbiamo visto anche che gli effetti di sapere comunque sono presi in questa variazione continua estrema e inarrestabile, e quindi in ogni caso non lo posso sapere, neanche per esperienza, lasciando stare tutto ciò che può dirsi dell’esperienza. Anche un integralista cattolico ha esperienza di dio continuamente, lo esperisce in tutto il creato, e va bene, però porlo come un asserto teorico mi sembra problematico “siccome esperisco dio in tutto il creato allora dio esiste”, quindi affermare che qualcosa si sa per esperienza come affermazione teorica è problematica. Dunque non posso sapere, non posso sape- re niente e di conseguenza non posso affermare niente, anche perché qualunque affermazione che si ponga non può essere conosciuta, non può essere saputa, in realtà non potrei affermare niente se le cose stessero come la psicanalisi ci dice, e allora la psicanalisi non potrebbe affermare nulla, quindi di fatto non potrebbe avere nessuna teoria che la supporta. Se per esempio si afferma che un significante rimosso funziona come nome, questa affermazione è presa in un universale a meno che ci sia un significante, almeno uno, che non funziona come nome cioè non è preso nella rimozione e quindi almeno un atto di parola è esente da rimozione, se è esente da rimozione vuole dire che significa esattamente quello che significa, perché è il fatto che sia preso nella rimozione che porta quelle conseguenze, cioè il fatto che non significhi e questo viene da De Saussure e poi da Lacan. Lacan ha rovesciato il segno di De Saussure che aveva messo significato, barra, significante, e Lacan ha messo significante, barra, significato, questa barra è la rimozione e quindi il significato è sotto la barra della rimozione e cioè è rimosso, se è rimosso non posso saperne niente, posso saperne soltanto dal fatto che questo nome che è rimosso o meglio questo significato nel caso di Lacan comporta un altro significante, ma se di questo significante non posso saperne niente come so che è il significante che procede, che si aggancia e procede da questo significato di cui non so niente, come posso dirlo? È un ipotesi, un ipotesi per altro non verificabile allora o si ammette l’eventualità che si dia un significante inchiodato al suo significato, cosa che la psicanalisi non ammette, oppure ciascun significante, questo nella teoria di Lacan, comporta un significato di cui non si sa nulla e che rinvia a un altro significante, ma che rinvii a un altro significante non lo saprò mai, è soltanto una supposizione. Così come il fatto che un lapsus comporti una rimozione, è possibile, ma è una certezza? No, perché non lo posso verificare in nessun modo, quindi tecnicamente non posso affermare che un significante rimosso funziona come nome, oppure che un significante abbia un significato che è sotto la barra della rimozione e del quale quindi non posso sapere niente, non lo posso affermare perché queste stesse parole che ho utilizzate per definire questa cosa ovviamente hanno lo stesso andamento, avendo lo stesso andamento non possono avere un significato di cui sappia perché rinviano sempre ad altro, quindi non possono essere sapute, quindi affermare che un significato rimosso funziona come nome, questo nella teoria di Verdiglione, di fatto non può essere saputo, se non lo so come posso affermarlo? Come l’escamotage di cui vi dicevo, per potere affermare che ci sono degli effetti di sapere, ma questi effetti di sapere di fatto comportano che il sapere a un certo punto si produca come effetto, e a questo punto si è prodotto, è dato qualcosa e quindi questo sapere, in questo caso, comporterebbe un significante il cui significato non è rimosso, perché se no non lo posso sapere, e quindi come la mettiamo? Di fatto si giunge a una conclusione che è singolare: se le cose fossero esattamente come dice la psicanalisi non le potrei affermare né potrei costruirci sopra una teoria, il fatto di avere costruita una teoria tecnicamente comporta il fallimento di quelle affermazioni che contraddicono tutto ciò che la teoria impone, teoria che di fatto non potrebbe essere costruita. È una teoria che è costruita come l’enunciato “io mento”, che è un paradosso, cioè posso affermare di mentire perché in realtà dico la verità mentendo, però una teoria che afferma che di fatto non c’è un sapere e quindi non può affermarsi nulla mina se stessa dalle fondamenta, e questo minare dalle fondamenta viene proprio dal concetto fondamentale della psicanalisi e cioè l’inconscio, è proprio per via dell’esistenza dell’inconscio nella teoria psicanalitica che qualunque affermazione, qualunque sapere è sempre preso in un rinvio continuo, quindi impossibile arrestarlo, impossibile stabilire che è così, impossibile dunque affermare qualsiasi cosa. Mettere la teoria psicanalitica nelle condizioni di non potere essere affermata se non autocontraddicendosi potrebbe essere una via che potrebbe fare incominciare a riflettere sulla teoria stessa, infatti dicevo che occorre interrogare la teoria stessa esattamente come si fa in una analisi, che interroga il discorso, che cosa lo sostiene, da dove arriva, perché dice quello che dice. Perché nego la possibilità di un sapere e poi affermo delle cose come se le sapessi? Come avviene questo fenomeno? Intervento: mi scusi, parlavamo della strategia … Non ho proposto una teoria, ho semplicemente domandato alla psicanalisi di se stessa, e l’obiettivo di tutto questo è soltanto rendere delle affermazioni più difficili da formularsi, è ovvio che non è un intervento politico, o non direttamente, ma soltanto un modo possibile per riflettere su alcune questioni … Intervento: quando si dice che l’inconscio è il fondamento senza fondamento … L’abbiamo presa alla lettera, e abbiamo interrogata questa affermazione, abbiamo visto dove ci porta, così come affermare che qualunque elemento differisce da sé, e questo procede dal fatto che c’è la rimozione, e anche questo, se preso alla lettera, può essere condotto a una sorta di aporia: questo elemento differisce da sé ma anche il sé a questo punto differisce da sé ovviamente, e così all’infinito, e pertanto questo elemento non potrà mai essere affermato. Qualcuno a questo punto direbbe: “viene affermato solo attraverso una menzogna, perché il significante è menzognero”, ma a questo punto, essendo una menzogna afferma sempre qualche cosa che è altro da sé, quindi anche affermare che un significante differisce da sé è menzognero cioè non afferma quello che sta affermando … Intervento: anche per Lacan il significante differisce da sé anche se non è sua questa formulazione, ma di Verdiglione? In quale altro modo lo dice Lacan questa storia dell’infinitezza dei significanti? Quando capovolge l’enunciato di De Saussure - significante/significato -? Sotto la barra della rimozione c’è il significato, il significato di fatto non può dirsi, ciò che si dice sono altri significanti, ma questi significanti differiscono da sé e quindi significano altro da quello che dicono. Questo potrebbe fare interrogare sulla psicanalisi, sull’impianto teorico della psicanalisi, c’è questa remota possibilità … Intervento: in questa distinzione che si dovrebbe fare fra psicanalisi e psicoterapia nessuno ha affermato che si tratta in una psicanalisi del funzionamento del pensiero … Un bravo retore potrebbe mettere in grave difficoltà chi volesse sostenere la differenza fra psicoterapia e psicanalisi. Un’altra via potrebbe essere, e questa è totalmente differente da quella di cui dicevo prima, mostrare che il pensiero non può essere considerato una malattia, mostrando una serie infinita di paradossi se si considera il pensiero una malattia, anche in questo caso lo schema retorico è lo stesso: si parte dalle stesse premesse e si giunge a conclusioni assolutamente inammissibili e inaccettabili, e se le conclusioni cui si giunge sono inaccettabili allora non può accettarsi neanche la premessa che afferma che il pensiero è una malattia ma è un’altra cosa, riguarda il linguaggio … Intervento: si può seguire una via e anche l’altra … Sì, non si escludono. Tutto è incominciato dal fatto che Freud era un medico, questa è la maledizione della psicanalisi, anche se a un certo punto ha preso le distanze dalla medicina, addirittura sconsiglia ai medici di praticare la psicanalisi, però la terminologia che usa è quella … Intervento: è proprio la questione dell’oggetto, di che cosa ci occupiamo noi? A questo punto c’è una separazione incolmabile … Sì, però anche questo potrebbe essere fatto rientrare nella psicoterapia, perché ci occupiamo di pensiero ma il pensiero può ammalarsi, se una persona si crede Napoleone e va in giro con la caffettiera in testa vuole dire che il suo pensiero è malato, e deve essere guarito con la lobotomia. Possiamo affinare queste due vie: l’una eliminare la teoria psicanalitica in quanto autocontraddittoria, e l’altra mostrare, sempre retoricamente, che il pensiero non può essere considerato una malattia perché le conseguenze di una cosa del genere sarebbero devastanti. 8-6-2011 Intervento: la volta scorsa lei ha mostrato l’autocontraddittorietà delle teorie psicanalitiche, anche del pensiero così detto malato … È su questo che verterà il dibattito, perché o si trova il modo per precisare che il pensiero non può essere malato o non c’è via di uscita, non c’è nessuna possibilità perché comunque qualunque cosa fa la psicanalisi, può essere detta psicoterapia o viceversa, non c’è modo di venirne fuori a meno che appunto non si consideri che il pensiero, che il disagio di cui la persona parla è prodotto dal pensiero e non da un virus, o da un bacillo … Intervento: occorre uscire dall’idea della parola come farmaco … Sì, quello che abbiamo detto la volta scorsa in effetti conduce a delle considerazioni ancora più interessanti, e cioè che se tutto l’impianto teorico della psicanalisi da Freud in poi non è sostenibile in nessun modo, non è sostenibile proprio perché per la teoria stessa è impossibile stabilire alcunché, allora ci si trova di fronte a una situazione come questa e cioè la psicanalisi tecnicamente non potrebbe affermare niente, perché non c’è niente; l’oggetto di cui parla la psicanalisi, oggetto che può essere anche oggetto del discorso, non necessariamente un aggeggio, questo oggetto non c’è, non è afferrabile, è preso in una continua variazione, una continua disseminazione quindi di fatto non può affermare niente, se afferma qualche cosa contraddice le stesse cose che afferma. Questo porta a una considerazione interessante: a questo punto tutta la teoria psicanalitica, la cosa si potrebbe allargare a qualunque teoria però adesso parliamo di quella psicanalitica, non è altro che un gioco, un gioco che di per sé non significa niente, cosa vuole dire questo? Che innanzi tutto afferma delle cose che non hanno nessun riferimento, non hanno un referente da qualche parte, quando si parla di oggetto, di soggetto, di rimozione, di inconscio sono tutte cose che non hanno un referente da qualche parte e che possa essere individuato, localizzato. Questo gioco di cui vi dicevo è un gioco che è fine a sé stesso, come qualunque teoria, qualunque teoria non è altro che un sistema assiomatico fornito di regole inferenziali per la produzione di proposizioni, di tutte quelle proposizioni e solo quelle proposizioni che sono derivabili dagli assiomi stabiliti, si modificano gli assiomi e si modificano le conclusioni e si modifica tutta la teoria. La teoria psicanalitica è un giocattolo per giocare il gioco del linguaggio ovviamente, cioè costruisce proposizioni. Il passo successivo ci dice che stando così le cose, cioè prendendo alla lettera la teoria psicanalitica non è possibile affermare niente se non all’interno di quel gioco e cioè in definitiva qualunque cosa che si affermi non prevede anzi, esclude la possibilità di avere fede in ciò che si afferma perché le cose non sono così come sto affermando, sono già altro per cui non posso avere fede in ciò che affermo e neanche in ciò che penso. La psicanalisi occorre che faccia proprio questo: giungere a non avere più nessuna fede in ciò che pensa e in ciò che afferma anzi, non potere più avere fede questa è l’unica psicanalisi laica. Intervento: mi pareva che l’obiettivo anche di quelle teorie autocontraddittorie che partono da uno spostamento continuo del significante possa essere considerato simile solo che non partono dalla necessità del linguaggio … Tecnicamente non potrebbe nemmeno affermarsi questo, però si continua a parlare, ad affermare cose, però la questione a quel punto diventa affermare cose all’interno di un gioco e cioè sapendo che queste cose che si affermano sono solo un gioco, non hanno appunto nessun referente, nessun riferimento da nessuna parte: quando si parla di inconscio tecnicamente non si sta parlando di niente, l’inconscio è soltanto una delle premesse che servono a fare funzionare una teoria, nient’altro che questo, perché non esiste un inconscio, a meno che non sia da qualche parte in una sorta di empireo, fermo e immobile e eterno come uno dei cieli di cui parla Dante, se no questo concetto è una costruzione, cosa significa dire che è una costruzione? Che ha un’utilità all’interno di una teoria, semplicemente all’interno di quella teoria, fuori di quella teoria non significa niente, quindi si tratta semplicemente, come abbiamo fatto la volta scorsa, di prendere la teoria psicanalitica e portarla alle estreme conseguenze, mostrare che di fatto qualunque affermazione di questa teoria non sta affermando niente, per via della stessa teoria, e indicare che probabilmente lo scopo della psicanalisi è proprio questo. Una psicanalisi laica mostra l’impossibilità di avere fede in ciò che si dice, in ciò che si afferma, perché ciò che dico, ciò che affermo non è niente, ma soltanto sequenze di elementi all’interno di una combinatoria regolata da certi assiomi e da certe procedure inferenziali, ma al di fuori di questo non significano assolutamente niente. Si tratta di portare una persona ad accorgersi di una cosa del genere e cioè portare una persona a cessare di avere fede in quello che pensa, che è la cosa più difficile che si possa immaginare, in alcuni casi appare addirittura impossibile, la persona non smette di avere fede in quello che pensa, per nessun motivo. Eppure tecnicamente sì, quando ci si accorge della assoluta non referenzialità di quello che si dice o cioè che il referente è fatto di altre catene, altre combinatorie, altri significanti che significano soltanto in base agli assiomi stabiliti e i connettivi che vengono usati. Una psicanalisi laica non ha altre chances se non questa: cessare di avere fede, di avere fede in ciò stesso che la psicanalisi afferma ma prendere atto che non è altro che un gioco come qualunque altra cosa, un gioco linguistico certo, che non ha nessun referente, e così quando si parla di oggetto, questo non è definibile in nessun modo per la teoria stessa della psicanalisi, poi di fatto non si tratta neanche di uno spostamento continuo, può anche accadere però direi che è abbastanza irrilevante, a questo punto diventa prioritario cessare di avere fede in quello che si afferma. È la cosa importante non avere fede in ciò che si afferma, ma come dicevo molto difficile da mettere in atto, d’altra parte se si incomincia a considerare una teoria come un giocattolo che non ha nessun altra velleità se non quella di fare giocare attraverso infinite combinazioni, ricombinazioni di significanti perché dovrebbe una persona avere fede in una cosa del genere? È un gioco, e potere considerare che non c’è nient’altro che questo, questo è un passo notevole da farsi perché ogni cosa è un gioco linguistico e che non c’è nient’altro che questo, ed è a questo punto che si può considerare effettivamente la possibilità di mostrare che il pensiero non può essere malato. L’aspetto teorico forse è quello meno efficace, sicuramente il più efficace è l’aspetto retorico, mostrare l’inconsistenza di questa idea di considerare il pensiero come qualcosa di malato, perché finché si pensa che il pensiero possa ammalarsi o essere ammalato allora effettivamente è una questione che riguarda la sanità, cioè la medicina, e da lì non se ne esce, a quel punto quindi tutto va giocato sul fatto che il pensiero non può in nessun modo essere considerato una malattia, mostrando retoricamente che se è una malattia allora ne seguono cose assolutamente inaccettabili e intollerabili per chiunque … Intervento: anche questo fa parte di un sistema assiomatico … Certo, qualunque teoria è costruita così … Intervento: c’è un aspetto retorico ma anche un aspetto logico … Sì, però porla in termini teorici è più complicato, le persone fanno fatica a seguire e non capiscono bene di che cosa si sta parlando, mentre retoricamente, costruendo argomentazioni retoriche efficaci, ad hoc, si può ottenere qualche risultato, se non altro mostrare l’assoluta incoerenza di una cosa del genere. Ci sono state persone che hanno posta la questione della follia, della malattia mentale come qualcosa che non è assolutamente medicalizzabile, ma tutto quanto è caduto nel nulla, bisogna trovare delle formulazioni talmente paradossali, talmente enormi che non possano essere ignorate, e si può fare, cioè porle in ridicolo, farle diventare affermazioni ridicole, il ridicolo è una delle forme più potenti di persuasione … Intervento: una delle prime obiezioni è che il pensiero non è responsabile del disagio, delle malattie perché ci sono delle sostanze chimiche, le cellule impazzite o cose di questo genere, produzione di cose per cui la persona non è responsabile rientra dalla finestra l’inconscio … Sì, ma sono cellule impazzite anche per le persone che vanno in chiesa tutte le domeniche? Anche loro hanno cellule impazzite? Intervento: certo è proprio su queste questioni bisogna intervenire riportare la questione del normale e di ciò che non lo è … Costruire una tale enormità che non può essere accettata in nessun modo e quindi costringere in qualche modo a rivedere la cosa, se non altro a pensarci. Una delle cose che la retorica insegna è che qualunque accusa può essere rovesciata sull’accusatore mettendolo alle strette, è legittima questa obiezione e sicuramente verrebbe fatta ma viene rovesciata immediatamente su chi la fa in modo che non sia possibile utilizzare nessuna difesa, cioè qualunque difesa da parte delle medicina, diciamo così, deve essere piegata su se stessa arrivando come dicevo a delle enormità inimmaginabili. La via è puntare al ridicolo, mettere in ridicolo certe posizioni che sostengono che l’anoressia è una malattia, la depressione è una malattia, l’attacco d’ansia è una malattia eccetera. Puntare al ridicolo, quindi costruire delle argomentazioni che prevedono all’interno di esse anche tutte le possibili obiezioni in modo da togliere la possibilità di replicare alcunché dall’origine, perché se uno ha la possibilità di replicare, poi replicando si ringalluzzisce, pensa di avere ragione, si risolleva, se invece viene stroncato sul nascere qualunque tipo di obiezione e non c’è più niente da dire, c’è un attimo di panico, dopodiché magari c’è un’interrogazione, anche piccola, un dubbio, una perplessità … Intervento: … Lì avevo mostrato che considerare l’anoressia una malattia ha delle implicazioni che vanno in una direzione singolare, per esempio qualunque pilota di formula 1 potrebbe essere considerato malato, perché mette la sua vita a rischio, però bisogna pensarci bene e costruire una serie di argomentazioni utilizzabili da chiunque in qualunque momento e comprensive di tutte le possibile obiezioni. Se una cosa viene ridicolizzata poi utilizzarla diventa una cosa molto difficile, per la struttura stessa del linguaggio non può più venire utilizzata: il ridicolo è una delle cose peggiori che la persona possa temere. 29-6-2011 Questa sera vi dirò come è possibile costruire il sillogismo perfetto. Il sillogismo perfetto è quello che già Aristotele aveva cercato senza trovarlo, e cioè quel sillogismo che ha nella premessa maggiore una affermazione necessaria, cosa che come dicevo non è mai stata trovata. Una affermazione dunque che risulti necessaria, che risulti impossibile negarla logicamente e che possa rispondere di sé a qualunque domanda. Dunque costruiamo questa premessa maggiore: i parlanti, in quanto parlanti, parlano. Tutto qui, questa formula utilizza il termine “parola” non utilizza il termine “linguaggio” perché abbiamo visto che il termine linguaggio non è comprensibile, nessuno sa di che cosa parliamo quando parliamo di linguaggio, ma le parole potrebbero essere più facilmente recepibili. Questa formulazione che vi ho fatta ha la forma di una tautologia, e come tutte le tautologie non ci dice molto più di quanto afferma, e che il fatto che sia una tautologia è un fatto puramente contingente, non è né voluto né cercato né ha qualche utilità, però in ogni caso è una tautologia speciale, unica, come nessun altra. Qualunque tautologia anche la più banale per esempio A è A o A = A è sempre soggetta a essere confutata, cioè è possibile costruire una proposizione che prova che questa uguaglianza è falsa, ora invece consideriamo questa proposizione, quella che vi ho proposta, questa premessa maggiore, questa proposizione nel momento stesso in cui cerco di negarla costruisco una affermazione che è autocontraddittoria, perché devo negare che in quanto parlante sto parlando, per negare questa affermazione devo parlare, che poi lo scriva o lo pensi questo è assolutamente indifferente, quindi è una proposizione che costringe qualunque proposizione che voglia negarla ad autocontraddirsi. Una domanda che può porsi rispetto a questa proposizione è: come so che sto parlando? E questa potrebbe essere una domanda impegnativa, come lo so che sto parlando? È una domanda che spesso noi rivolgiamo a varie affermazioni, come lo so? A questo punto occorrerebbe dire qualche cosa di più del sapere, la questione del sapere che appare molto complicata perché rischia di fare cadere in apo- rie, in una sorta di loop inarrestabile, qualche cosa che gira su se stessa e non può uscire in nessun modo. Dunque il sapere funziona così: nell’atto di parola c’è una struttura che è quella che consente la costruzione della parola, il suo funzionamento, cioè la possibilità di costruire proposizioni, ciascuna di queste proposizioni muove da una premessa e giunge a una conclusione, se questa conclusione non nega la premessa che l’ha costruita allora questa conclusione viene considerata vera, cioè viene accolta dal sistema se no, no, una volta che questa conclusione è accolta dal sistema questa conclusione insieme alle altre che sono state accolte dal sistema, tutto questo insieme di conclusioni è ciò che ho imparato e si chiama sapere, quindi il sapere non è altro che il potere dire che so una certa cosa e poterla utilizzare, cosa vuol dire che la so? Che posso utilizzarla, e cioè “sapere” in questo caso, che sto parlando, che procede dal fatto che parlando costruisco delle proposizioni, queste proposizioni vengono accolte dal sistema e tutto ciò che viene accolto dal sistema si chiama “sapere”. A questo punto possiamo rispondere alla domanda “come so che sto parlando?” perché tutte queste proposizioni che concludono in un certo modo, tutte queste conclusioni all’interno del sistema vengono chiamate “sapere” e vengono utilizzate in questo modo. Sapere qualcosa significa saperlo utilizzare, queste conclusioni possono essere utilizzate dal sistema e quindi costituiscono il sapere, a questo punto anche la nozione di sapere viene a essere sbarazzata di tutti gli orpelli metafisici e ontologici e rimane soltanto una procedura, un’istruzione al pari di qualunque altra cosa quindi a questo punto so come so che sto parlando. Questa proposizione, questa premessa maggiore si impone come necessaria, in che senso? Non potendo essere negata in nessun modo perché negandosi crea soltanto proposizioni autocontraddittorie, appare necessaria e qui si fornisce la definizione di necessario: ciò che non può non essere perché se non fosse allora non sarebbe né quella cosa né nessun altra, e in effetti se non fosse che sto parlando non potrei avere data questa definizione di necessario, quindi non ci sarebbe questa definizione e insieme con questa nessun’altra cosa, e questo determina la necessità. Questa affermazione è l’unica che appare necessaria, avrei potuto anche ridurla all’affermazione pura e semplice “parlo”, però sarebbe stato meno comprensibile invece ponendola in modo più generale come questa e cioè che i parlanti in quanto parlanti parlano, potrebbe apparire più comprensibile. Questa premessa maggiore dunque non può essere negata né eliminata, qualunque cosa io voglia fare di questa proposizione comunque la confermerò perché facendo qualunque cosa parlerò, dirò delle cose, e sia che la utilizzi, sia che non la utilizzi comunque la confermo in ogni caso perché non posso non parlare per fare qualunque cosa. Il suo utilizzo non è altro che il trovarsi continuamente presi in questa necessità di dovere parlare per fare qualunque cosa o per non farla indifferentemente, quindi a questo punto parrebbe costruita una premessa maggiore necessaria che non può essere negata in nessun modo e che dice di sé in effetti esattamente ciò che non può non dire e cioè che sta parlando, per questo dicevo che è l’unica proposizione che risponde a questo requisito di necessario, l’unica proposizione che se non ci fosse in effetti comporterebbe l’assenza di qualunque altra cosa e senza la parola non c’è più niente, non c’è la possibilità di valutare, di decidere, di stabilire, nemmeno di avere esperienza, ché se ho esperienza di qualcosa è perché un qualche evento si inscrive all’interno di un sistema che può riconoscere quell’evento come un fatto esperienziale, e quindi da quel momento è qualche cosa, se non ci fosse questo qualunque evento o accadimento sarebbe assolutamente niente. Costruire una teoria a partire da una cosa del genere è quello che occorre fare ovviamente, una teoria fondata sull’unico elemento che in nessun modo può essere cancellato, l’unico elemento necessario, necessario perché ci sia qualunque altra cosa, e a questo punto abbiamo costruito il sillogismo perfetto. La domanda “come lo so?”, o da che cosa traggo tanta sicurezza nell’affermare quello che affermo è una domanda interessante, alla quale potrebbe non essere facilissimo rispondere. Prendete l’affermazione che dice “non c’è padronanza sul linguaggio”, la domanda dunque è come lo sa che non c’è padronanza sul linguaggio, e a questo punto si costringe la persona a trovarsi di fronte a tre possibilità, o lo sa perché l’ha imparato a memoria e non credo che accetti una cosa del genere, oppure lo sa perché è la conseguenza di un ragionamento, cioè di una argomentazione, oppure lo sa per esperienza. Se lo sa perché è il prodotto di un ragionamento allora questa argomentazione è sempre riproducibile, cioè è riproducibile la premessa che ha consentita questa argomentazione che ha condotto a quella conclusione, a questo punto naturalmente la domanda è come sa di questa premessa? Come fa ad affermarla con tanta sicurezza, e a questo punto si costringe il discorso a entrare in quel loop di cui si diceva prima senza uscita, da questo loop emerge però una cosa, e cioè che qualunque affermazione io faccia trova il riferimento in altre proposizioni, queste proposizioni in altre proposizioni, queste altre in altre proposizioni ancora e così via all’infinito, il che significa che ciascuna di queste proposizioni non ha nessun referente al di fuori di altre proposizioni e allora che cosa vuole dire? Tecnicamente non lo potremmo sapere mai, l’unica cosa che potremmo dire con certezza è che ciascuna di queste proposizioni ha una sola funzione: costruire altre proposizioni, solo questo e nient’altro che questo, a meno che naturalmente si attesti questa argomentazione, andando a ritroso, su un qualche cosa che si decide che sia vero, e allora si ferma, perché altrimenti non trova nessun elemento che soddisfi il requisito perché il sistema si arresti e cioè che possa mostrare di sé di essere necessario, però può attestarsi su qualche cosa che crede essere vero. Da quel momento incominciano i problemi. Oppure vi dicevo che può affermare che lo sa per esperienza, ora o immagina che la propria esperienza costituisca un criterio di verità universale, cosa che non penso la persona sia disposta ad affermare, oppure questa esperienza è tale perché esiste un sistema teorico in cui questa esperienza, questo esperito è inserito. Un evento che è al di fuori di ogni possibile sistema teorico non è niente, incomincia a essere qualcosa quando è inserito all’interno di un sistema teorico, ora un sistema teorico tende a cercare conferme di sé per cui ciò che si esperirà non farà nient’altro che confermare ciò che già si sa, esattamente come fa un qualunque cristiano, che avrà sempre e comunque esperienza di dio, esperirà da per tutto la presenza di dio nel creato, però non mettiamo questa sua affermazione come base per una costruzione teorica, o almeno non si dovrebbe, che poi lo si faccia questo è un altro discorso. Dire che si sa qualcosa per esperienza è molto problematico, per esperienza si rileva soltanto ciò che già il proprio sistema teorico è in condizioni di reperire, se no non esperisce niente, a questo punto naturalmente diventa un problema proseguire, come sa che non c’è padronanza sul linguaggio? E comunque l’essere è parlante e quindi è tale perché è parola, e se è parola allora di chi è questa padronanza sul linguaggio? Della parola, come dire che è la parola che è padrona di sé, e non si capisce perché una parola dovrebbe avere la velleità di essere padrona di sé per esempio, e a che scopo? E cosa significa poi una cosa del genere? La costruzione di un sillogismo perfetto consente la costruzione di una teoria perfetta, e che risponde anche a una domanda che è quella più ardua e cioè come so che parlo? Perché se non posso rispondere a questa domanda si blocca tutto, non si va più da nessuna parte e si ritorna a quella sorta di magia e cioè che la parola compare magicamente: “la parola è originaria” perché? Compare così, dal nulla, mentre non compare affatto dal nulla, c’è una struttura che consente la costruzione di quelle cose che chiamiamo parole e che consente anche di sapere perché costruisce una sequenza che indica che tutta quella serie di conclusioni di proposizioni accolte dal sistema e quindi vere costituiscono ciò che chiamo sapere, termine che a questo punto conosco e che utilizzo di conseguenza, in fondo un qualunque dizionario non è nient’altro che un libretto delle istruzioni, mostra come si usano le parole. Quando mi occupavo della teoria di Verdiglione, dopo essermi accorto che questa teoria era logicamente inconsistente, mi sono dedicato al suo assetto retorico, e lì qualcosa di interessante si è trovato, e cioè il modo in cui viene esposta la teoria. È un modo che utilizza un particolare sistema e cioè muove da certe premesse che sono riconosciute grosso modo da tutto l’ambiente psicanalitico, cioè l’esistenza dell’inconscio, della rimozione, del transfert, la ripetizione, dopodiché costruisce su questi principi delle varianti di cui non dice mai che cosa intende esattamente, dice semplicemente che queste procedono da qualche cos’altro e producono degli effetti, ma che cosa intenda con quella cosa, questo non viene mai detto tranne in rarissimi casi, ma anche quando viene detto comunque questa affermazione comporta uno di questi elementi che non viene assolutamente descritto. Prendete la famosa formulazione che dice che l’inconscio è la logica particolare a ciascuno, ora “particolare a ciascuno” si può anche intendere che cosa si suppone voglia dire, ma “logica” come la intende? Non c’è da nessuna parte, in tutto il suo lavoro, anche il più recente, nessuna definizione di logica, cioè non dice mai che cosa intende con logica, per cui cosa avviene? Che non avendo mai definito un termine questa teoria non si espone mai a un’obiezione teorica perché se non dico che cosa intendo, cosa obiettate? Niente, però siccome muove da dei principi che sono stati riconosciuti ufficialmente come principi fondanti della psicanalisi allora si suppone che abbiano un fondamento, si suppone. Questo sistema si regge su una sorta di omertà, come dire che ciascun termine pratica una sorta di omertà su tutti gli altri, per esempio l’inconscio procede dalla parola originaria e produce certi effetti però perché proceda dalla parola originaria non è dato sapere, qualcuno potrebbe intuirlo, ma di fatto non lo dice per cui non c’è la possibilità di un contraddittorio logico per esempio, non è possibile, ed è uno dei motivi per cui risulta abbastanza incomprensibile la teoria di Verdiglione, perché non dice mai cosa intende con questi elementi, bisogna intuirli ma se gli si opponesse un’obiezione del genere lui direbbe che si tratta di un’argomentazione poetica e la poetica non ha la necessità di dovere definire i termini che utilizza, è vero che non ha questa necessità, ma può farlo se glielo si chiede, per esempio “il naufragar mi è dolce in questo mare” può dire che cosa intende con “mare” può dire, per esempio, che non intende né una macchina da scrivere né una caffettiera ma intenderà presumibilmente una distesa di acqua salata che circonda tutte le terre emerse del pianeta, è una definizione di mare abbastanza corretta, comunque. La poesia pur non avendo questa necessità, perché nessuno glielo chiede, tuttavia può farlo. Si tratta di quella onestà intellettuale che invece hanno i logici, che quando introducono un termine la prima cosa che fanno è dire come lo intendono, dire come lo intendono significa dire come va utilizzato all’interno di quel sistema, ogni volta che incontrate un “tilde” vuol dire “non” e tutte le volte, non una volta sì e qualche volta no, tutte le volte, se no non si capisce più niente, non è più possibile costruire niente… Intervento: è come se si fossero disfatti della logica come se la retorica … nel senso che sono due aspetti della stessa questione … Per costruire una variante occorre un elemento che non varia … Intervento: mi veniva in mente la domanda intorno al “che cos’è?” di cui dicevano … È una domanda che domanda l’essere delle cose, che cos’è realmente, che cosa non può non essere. Intervento: che poi “che cos’è?” non è altro da “che cosa ne pensi?” quando uno risponde, risponde non l’essere ma quello che intende … Esattamente, nessuno gli chiede di dire l’essere delle cose … Intervento: che cos’è la psicanalisi? che cos’è per te la psicanalisi … Questo è il motivo per cui la teoria di Verdiglione regge, regge finché non la si interroga … Intervento: la si ascolta come una poesia … Finché non si ha la malaugurata idea di incominciare a interrogarla, e cioè di domandare perché afferma una certa cosa, qual è il motivo per cui affermo questo anziché il contrario? Se affermo una certa cosa anziché il contrario ci sarà un motivo, e a me interessava sapere quale. Di fronte a delle obiezioni teoriche precise la risposta non è mai un’argomentazione logica precisa ma è un’invocazione al fatto che esiste l’inconscio, al fatto che la parola è differente da sé, ma se si dovesse chiedere “come lo sa che è differente da sé?” l’unica risposta è che l’ha imparato, o un rimando a un’altra cosa, con la giustificazione che il linguaggio funziona così e in parte è vero che funziona così, in parte, ma funziona così perché c’è una struttura che glielo consente. Voglio dire che è vero che il linguaggio non si ferma e comunque continua a procedere, a proseguire quello che deve fare, per cui è vero che ciascuna cosa rinvia a un’altra, ma la possibilità che possa rinviare a un’altra è data da una struttura che glielo consente. Il motivo che si è trovato per rispondere alla domanda sul perché il linguaggio continua, è che c’è il desiderio, un desiderio che rilancia sempre, che rinvia ma non è mai reperibile, che tende sempre a qualcosa senza raggiungerlo mai, ma anche qui, come lo so che funziona così? Ciò che abbiamo reperito è una cosa straordinariamente più semplice: delle istruzioni che continuano a produrre quello che sono fatte per produrre, cioè proposizioni … Intervento: nessuna cosa esterna che fa andare il linguaggio … Beh, non è che mettano il desiderio fuori dalla parola, per esempio per Verdiglione nulla è fuori dalla parola … Intervento: però è curioso, “nulla è fuori dalla parola” cosa vuol dire, posta in quei termini, il nulla fuori dalla parola? È un dogma, non è casuale che Verdiglione abbia ripreso la questione del dogma, perché gli serviva qualche cosa che non potesse essere interrogato, che non dovesse essere interrogato. Affermare che nulla è fuori dalla parola può anche avere qualche utilità a condizione che si applichi la stessa cosa a questa affermazione, perché anche questa affermazione è all’interno della parola e quindi subisce gli stessi effetti della parola e quindi cessa di essere un dogma, cessa di essere un affermazione lapidaria e universale. Come dicevamo tempo fa queste teorie sono infarcite di universali, quando Verdiglione dice che un significante rimosso funziona come nome, sta costruendo una formulazione universale, che non ammetterebbe mai neanche sotto tortura, però dire che per tutte le x se la x è un significante rimosso allora x è un nome, è un universale, non lo sarebbe se ci fosse almeno una x tale che questa x fosse un significante rimosso e non funzionasse come nome, allora non sarebbe un universale, ma questo non lo può ammettere, quindi non può ammettere che sia un universale e non può neanche ammettere che non lo sia, perché? Perché la parola è altra, perché c’è l’Altro, c’è l’Altro che non è né il significante né il nome, che è altro dal significante e dal nome e che impedisce la sovrapposizione, risponderebbe così molto probabilmente, e cioè producendo altri atti di fede che in nessun modo possono essere sostenuti e si andrebbe avanti così all’infinito, solo che dopo un po’ ci si stufa. È come parlare con un fondamentalista, non c’è possibilità di persuaderlo, lui continuerà a ripetere all’infinito che tutte le cose accadono perché dio lo vuole “deus vult” e se gli si chiede come lo sa è perché c’è la fede, e voi non lo sapete perché dio non vi ha ancora parlato, ma dal momento in cui dio vi avrà parlato allora anche voi avrete la fede. È questo ciò che rispondono, e questo rende conto di qualche difficoltà. 6-7-2011 La volta scorsa dicevamo di una premessa che non può essere negata, ché anche se pensassi di negare questa proposizione, per il fatto di averla pensata la confermo: confermo che sono parlante, Ma occorre proseguire perché abbiamo soltanto posta una premessa, una premessa necessaria certo, necessaria e non negabile in nessun modo, però costruendo questa proposizione e cioè che “i parlanti in quanto parlanti parlano” ho fatto qualcosa, cioè questa proposizione si è costruita, non è venuta dal nulla, essendo stata costruita, qualcosa l’ha costruita, ma questo qualcosa che l’ha costruita di sicuro non precede l’atto di parola, né è fuori dall’atto di parola, se qualcosa fosse fuori dalla parola non potrei saperne niente quindi è qualcosa che attiene alla parola necessariamente, che è nella parola, e cosa può essere? Ciò di cui la parola è fatta. Si può immaginare che la parola si costruisca a partire da qualche cosa che le appartiene, che cosa ap- partiene alla parola in modo a questo punto, potremmo dire, necessario? Ciò che è necessario perché si possa parlare è che l’atto di parola sia individuabile, che si possa distinguere l’atto di parola da qualunque altra cosa. Perché la parola funzioni, cioè sia tale, è necessario che ciò che la costruisce sia la parola stessa, cioè sia la stessa parola a costruire se stessa quindi alla parola devono appartenere quegli elementi che consentono alla parola di costruirsi, quali sono questi elementi? Perché un atto di parola sia tale occorre che sia riconosciuto come tale, quindi come dicevo la possibilità di essere individuato, cioè la parola ha la possibilità di individuare se stessa, e naturalmente oltre a questo anche la possibilità di connettersi con altre parole, direi che non occorre altro perché l’atto di parola sia tale, ed è a questo punto che tutto ciò che sappiamo della struttura del linguaggio ci torna utile, perché l’atto di parola, non solo per potere essere tale, ma perché l’atto di parola sappia di essere tale, è necessario che ci siano quegli elementi che abbiamo individuati rispetto al linguaggio, come se ciascun atto di parola avesse in sé non solo la possibilità di costruirsi ma anche la possibilità di individuarsi e di conseguenza di riconoscersi come tale. Adesso vediamo di intendere come compie tutte queste operazioni, consideriamo intanto che la parola si dice e questo è già un elemento, cioè si afferma, affermandosi si individua, individuandosi ha la possibilità di distinguersi da altro cioè incominciare a costruire delle inferenze, è ovvio che come ho detto prima ha in sé la struttura che le consente di costruirsi, questa struttura che le consente di costruirsi non sono nient’altro che quelle istruzioni di cui abbiamo parlato, delle istruzioni che incominciano a produrre degli elementi e quindi delle sequenze, le istruzioni che vengono fornite da chicchessia, questo non ha nessuna importanza, forniscono quegli input che mostrano come si fa a costruire proposizioni, per questo si chiamano istruzioni, mostrano letteralmente come si fa e cioè si individua qualcosa, lo si afferma, il “questo è questo” dopodiché, una volta che è stato individuato, si insegna come si connette con altre cose attraverso sempre delle istruzioni. L’atto di parola non è nient’altro che l’esecuzione delle istruzioni che costruiscono la parola: le istruzioni dicono come si fa, la parola esegue le istruzioni e a questo punto non c’è molto altro per la costruzione cioè per il funzionamento della parola. Con funzionamento della parola intendo che la parola possa essere utilizzata da altre parole innanzi tutto, ma anche da se stessa. Come la parola utilizza se stessa? Mettendo in atto le istruzioni di cui è fatta, in questo modo si utilizza, non ha altri modi … Intervento: proprio per chiarire stavo pensando come poter rendere più semplice questa cosa perché appare che la parola appaia così magicamente perché la parola si individua … Questa è l’esecuzione di un istruzione. La questione che riguarda le istruzioni mostra come accade che la parola si costruisca anziché venire dal nulla, si costruisca a partire da delle istruzioni e la parola, come vi dicevo, non è altro che l’esecuzione delle istruzioni … Intervento: che differenza c’è fra regole e istruzioni? “Istruzione” è il termine più preciso che ho trovato, perché in effetti sono letteralmente delle istruzioni, cioè viene istruita su come fare, la regola dà delle indicazioni, per esempio i giochi linguistici sono vincolati a delle regole, cioè è il gioco che ha bisogno di regole ma per avviare un qualche cosa che consenta l’esistenza di un gioco occorrono delle istruzioni, come dire che per giocare a poker ci vogliono le regole del poker, però ci vogliono prima delle istruzioni perché uno sappia che questa è una carta da gioco, che serve per giocare, che esiste una cosa che si chiama gioco delle carte, che esistono un sacco di cose, in questo senso sono propenso a chiamarle più istruzioni che regole, però sono soltanto definizioni che diamo per potere proseguire, in realtà, ho utilizzato, come dicevo prima, il termine “istruzione” perché mi è parso il termine più adatto perché istruisce letteralmente, istruisce in modo da incominciare a costruire parole. “istruire” “costruire” hanno tutte la stessa radice “struere” che vuole dire appunto mettere una cosa sull’altra, mettere insieme le cose. Dire che i parlanti in quanto parlanti parlano ha comportato il dovere rispondere alla domanda come lo so? E come lo so? Come abbiamo visto procede dalle istruzioni che sono nella parola o, più propriamente, istruzioni di cui è fatta la parola, costruen- do la parola costruisce anche una sequenza di parole e quindi sequenze di argomentazioni, e tutto ciò che conclude in modo vero viene a fare parte di quella cosa che si chiama “sapere”. È chiaro fin qui? Bene. Dobbiamo costruire un’argomentazione che logicamente costringa ad accogliere una cosa del genere, la proposizione “i parlanti, in quanto parlanti, parlano” è abbastanza costrittiva, risulta piuttosto difficile negare una cosa del genere. Ponendo la questione che l’ho posta la volta scorsa riguardo a quella proposizione, uditori più raffinati avrebbero colto che non ho dato nessuna definizione di parola, né di atto di parola, non l’ho fatto per un motivo, perché che cosa intendo con “parola”, questo sarebbe dovuto emergere dal suo funzionamento, è il modo in cui funziona che la definisce, come dire che la parola è il suo funzionamento. Aldilà di questo, o tendendo conto anche di questo, ciò che ho detto la volta scorsa potrebbe anche ispirare a qualcuno la domanda “a che cosa serve questa proposizione?”. A questo punto la risposta è che mostra in atto il funzionamento della parola, ciò che a noi interessa è intendere qualche cosa che mostri ciò che produce la parola senza dovere ricorrere a un atto di magia, di creazione ex nihilo, perché la parola o viene da niente o qualcosa la produce, non può essere qualcosa che è fuori dalla parola, non può essere qualcosa che precede la parola, quindi è la parola stessa. Se è la parola allora questa parola ha in sé ciò che è necessario per la costruzione della parola. La parola non è altro che l’esecuzione di istruzioni che sono state fornite. Porre la cosa in questi termini è ancora un po’ difficile perché la questione delle istruzioni potrebbe non essere così semplice, bisogna riprendere ciò che abbiamo detto intorno alle istruzioni e renderlo in modo molto più semplice, in modo da farlo intervenire in questa argomentazione in modo semplicissimo. Abbiamo parlato a lungo delle istruzioni e adesso dobbiamo riprenderla in modo tale da renderla immediatamente evidente, in modo da inserirla a questo punto in questa argomentazione e allora effettivamente potrebbe funzionare il tutto come sufficientemente persuasivo attraverso dei passaggi semplici, facili da capire e innegabili, inattaccabili. A questo punto avremmo un’argomentazione da esporre coram populo e con relativa certezza di essere compresi, e se dico che i parlanti in quanto parlanti parlano e che questa affermazione non può essere negata per i motivi che ho già spiegati, questo è abbastanza semplice da capire perché se io voglio negarla, qualunque cosa faccia costruisco delle proposizioni quindi parlo, quindi per poterla negare sono costretto a confermarla, questo non mi sembra particolarmente difficile … Intervento: prima lei diceva la proposizione a che cosa serve? L’utilizzo? Qui interviene un’argomentazione retorica (…) l’utilizzo è questo: stabilire una proposizione necessaria per costruire una teoria la più potente che sia mai stata pensata, perché a questo punto se la premessa è necessaria e tutti i passaggi non contraddicono la premessa, tutti i passaggi e tutte le conseguenze, implicazioni e conclusioni saranno necessarie, questo perché? Per smetterla di dire stupidaggini, se volete dirla tutta è così, cioè per fare qualcosa di differente che ripetere all’infinito degli atti di fede e delle cose assolutamente insostenibili, logicamente inconsistenti … Intervento: è interessante la questione del sistema assiomatico cioè a dire che ciascun discorso portato alle estreme conseguenze parte da un indimostrabile, forse è il sistema migliore per poter approcciare la questione perché in effetti qualunque discorso se portato alle estreme conseguenze può dimostrare che qualunque premessa è un indimostrabile cioè qualche cosa che non è assolutamente messo alla prova, si può codificare in termini differenti il termine rimosso perché il rimosso avrebbe questa valenza nel discorso, di indimostrabile in quanto sconosciuta. L’indimostrabile è qualche cosa che viene assunto come vero e come tale persino dimenticato, non viene neanche più considerato … Produce quel sillogismo noto come entimema … Intervento: quindi il rimosso ha a che fare anche con questa cosa … Si potrebbe fare in modo che abbia a che fare, anche per Freud il rimosso non è noto appunto, è inconscio, quindi però è quello che deve diventare consapevole lui dice “dov’era l’Es occorre che l’Io avvenga” … Intervento: comunque è ciò che pilota il tutto, funziona da premessa, quanto meno per certi giochi linguistici ... Sì certo, che è rimosso non è che non esiste più, ma da quella posizione costruisce per esempio formazioni di compromesso, come diceva Freud, e quindi effettivamente una persona può costruire, questo direbbe Freud, la propria esistenza in base a degli elementi rimossi. Fare funzionare questa proposizione che vi ho detto, cioè che i parlanti in quanto parlanti parlano, farla funzionare come premessa, e costruire un sillogismo perché “i parlanti in quanto parlanti parlano, gli umani sono parlanti, quindi parlano”, questo è un sillogismo, però non è che ci porta molto lontani, a meno che si intenda il funzionamento della parola e la connessione potrebbe essere la domanda “come so che sto parlando?” cioè il fatto che ci sia una struttura, che la parola sia una struttura, nient’altro che una struttura. È il funzionamento della parola su cui occorre lavorare, come dicevo prima se io costruisco questa proposizione che è innegabile, se la costruisco qualche cosa me lo permette non viene da niente. Quindi il passo successivo alla descrizione di questa proposizione inattaccabile, innegabile, è dimostrare che qualcosa l’ha costruita perché non si costruisce da niente, se qualcosa l’ha costruita allora nella parola c’è una struttura o la parola è essa stessa la struttura che consente la costruzione di sé e il come, questo lo sappiamo … Intervento: se non si pone l’istruzione come fondamento ricadiamo immediatamente nella metafisica e non c’è soluzione … No, non c’è, nella metafisica oppure in aporie irresolubili che rendono impossibile rispondere alla domanda “come lo so?”. La parola è costruita da qualche cosa e questo qualche cosa non può essere nient’altro che se stessa, quindi la parola è una struttura, è una struttura che la costruisce e occorre arrivare all’affermazione che la parola non è altro che l’esecuzione di istruzioni, nient’altro che questo. La proposizione che ho avanzata l’altra volta non è negabile, per negarla non posso che utilizzarla, in nessun modo posso fare altrimenti, anche se solo pensassi di poterla negare comunque la starei utilizzando. 13-7-2011 Abbiamo detto di quella proposizione inaugurale e cioè che “i parlanti, in quanto parlanti, parlano”, abbiamo detto che non può essere negata in nessun modo, qualunque tentativo si faccia per negarla, confutarla, contraddirla, eliminarla, qualunque tentativo di questo tipo di fatto la conferma inesorabilmente; abbiamo detto che questa proposizione non viene da niente, ma è stata costruita. Ciò che l’ha costruita sappiamo che non può essere una cosa che precede il linguaggio né qualcosa che ne è fuori, e pertanto ciò che l’ha costruita deve essere qualcosa necessariamente che appartiene alla parola. Ciò che l’ha costruita sono degli elementi, che sono quelli che consentono la costruzione di una qualunque sequenza che si chiami linguistica, cioè appartengono alla parola e alla sua struttura, delle istruzioni che sono quelle che costruiscono la parola e che rappresentano, la struttura di base, diciamola così, e la parola non è altro che l’esecuzione di queste istruzioni, ma quali istruzioni esattamente? La questione va precisata perché queste istruzioni sono molto precise, non sono né casuali né arbitrarie, sono esattamente quelle che la logica formale indica come connettivi. Queste sono le istruzioni, i connettivi come sapete sono il non, la e, l’oppure, il se … allora, il se e soltanto se, nient’altro, solo questi cinque. Questi connettivi la logica formale si è accorta che sono la sola cosa che consente di costruire quelle che in logica si chiamano formule ben formate, vale a dire quelle formule che sono riconosciute dal sistema come proposizioni, come formule, e per essere riconosciute come proposizioni devono essere costruite da questi connettivi. Abbiamo sempre detto che l’istruzione fondamentale riguarda il “questo è questo”, certo, non è errato, ma “questo è questo” è una formulazione che potremmo dire ridondante, ora questa ridondanza molto probabilmente è utile anzi è indispensabile per quanto concerne l’addestramento di un umano, non lo è per quanto riguarda l’addestramento di una macchina, dire “questo è questo” o dire che se A allora A è la stessa cosa, solo che una macchina riconosce più facilmente questo comando perché è più semplice, dire “questo è questo” è ridondante. I comandi di fatto sono i connettivi, non c’è nient’altro, sono quelli che consentono la costruzione di proposizioni cioè di quelle sequenze che siamo in condizione di chiamare proposizioni, ora quindi la proposizione da cui siamo partiti cioè che “i parlanti, in quanto parlanti, parlano” potremmo chiamarla una formula ben formata perché è riconoscibile come proposizione ed è costruita da queste istruzioni, cioè dai connettivi che sono quelli indicati dalla logica formale. Potrebbe non apparire costruita da connettivi però non è difficile formularla in modo tale da utilizzare i connettivi perché dire che i parlanti, in quanto parlanti parlano, potrebbe essere benissimo considerata “i parlanti sono tali se e soltanto se parlano” per esempio, ma non è tanto questa la questione quanto il fatto che attraverso questa formulazione è possibile costruire qualunque cosa. Siamo arrivati a questa formulazione attraverso e in seguito alla distruzione totale di qualunque teoria, di qualunque pensiero. Come sapete la cosa è incominciata con la teoria di Verdiglione, poi con la psicanalisi in generale e poi con il pensiero in toto, solo che arrivati al punto in cui apparentemente, distrutta ogni cosa, distrutta nel senso che non può essere sostenuta, non ha nessuna consistenza, come un posto vuoto che non significa niente, alla fine qualcosa è rimasto, qualcosa che non è ulteriormente riducibile, che non è distruttibile, che non è confutabile, che non è negabile, che non può non esserci, questo qualche cosa è esattamente la parola, ciò che rimane comunque. La parola non è altro che l’esecuzione delle istruzioni di cui è fatta, e vale a dire dai connettivi e dalle variabili, inizialmente, probabilmente variabili individuali, cioè gli oggetti, le cose, ma queste cose esistono in quanto connesse dai connettivi che danno a queste cose una semantica cioè un valore di verità. Dicevamo già tempo fa che è la sintassi che decide della semantica e la sintassi è data appunto dai connettivi e dalle variabili che stanno soltanto ad indicare che lì ci si può mettere qualche cosa, nient’altro, o che se nego qualcosa, se lo nego, nego qualcosa, e questo qualcosa è un quid che non ha grande rilievo di per sé, lo acquista nel momento in cui viene inserito all’interno di una formula ben formata, una formula ben formata è come dire una proposizione che è riconosciuta come tale, significa solo questo, nient’altro. Dopo la costruzione di questa teoria della Scienza della parola si tratterà della distruzione della psicanalisi, non perché la psicanalisi ci abbia fatto qualcosa di particolare, ma perché la psicanalisi è una truffa, come la psicologia, come quasi tutte le discipline praticate dagli umani, con delle eccezioni, la logica formale è una di queste eccezioni, perché la logica formale mostra che gli asserti da cui parte, cioè gli assiomi, sono assolutamente arbitrari il loro scopo è unicamente quello di produrre teoremi cioè proposizioni, come dire che questi assiomi arbitrari hanno un'unica funzione: costruire proposizioni, nient’altro che questo. In questo la logica formale è assolutamente corretta, ha una onestà intellettuale notevole perché dice che cosa sta usando, come lo usa e a che scopo lo usa, cioè mostra in atto tutto quanto. La psicanalisi no, fa esattamente il contrario in moltissimi casi, cioè nasconde le cose dietro scenari immaginari di cose che non possono dirsi, enigmi, misteri eccetera per questo ho detto che è una truffa, ché spaccia delle cose nascondendo il fatto che queste cose non sono supportate da niente, le spaccia come se invece fossero supportate da qualcosa. Oltre a questa formulazione della proposizione da cui siamo partiti, e cioè che “i parlanti, in quanto parlanti, parlano” abbiamo anche detto una cosa importante e cioè abbiamo risposto alla domanda “come lo sappiamo che stiamo parlando?” e a fianco “come sappiamo che questa è una proposizione?”. Come sappiamo che è una proposizione? Dalle regole che la parola mette in atto e sono quelle regole, appunto i connettivi, che consentono la costruzione di una proposizione cioè di una formula ben formata, se questa sequenza soddisfa i requisiti richiesti dalla sintassi cioè dai connettivi allora quella è una proposizione e quindi so che è una proposizione perché risponde a questi requisiti: queste sono le regole del gioco, quindi è una proposizione. E come so che sto parlando? È la stessa cosa: parlando metto in atto delle regole che sono quelle della sintassi della parola, mettendo in atto queste regole soddisfo i requisiti per la costruzione di proposizioni, la costruzione di proposizioni è ciò che si chiama parlare quindi se metto in atto questa sintassi costruisco proposizioni, allora il costruire proposizioni è esattamente ciò che chiamo “parlare” e quindi so che sto parlando e dicevamo anche che il sapere di fatto non è nient’altro che una sequenza di una serie di conclusioni di argomentazioni vere, cioè riconosciute vere all’interno del sistema che costituiscono il sapere, che si chiamano il sapere … Intervento: … La logica formale è precisa su questo, ci sono i connettivi, ci sono le variabili individuali, proposizionali e poi la punteggiatura che serve a separare le sequenze e le parentesi, tutto ciò che è formato da questa sintassi è una formula ben formata se no, no è semplice … Intervento: se no non potrebbe neanche essere formata questa sintassi … Questa è una questione che alla logica formale sfugge, la prende unicamente come una regola per giocare quel gioco senza accorgersi che è una regola per giocare qualunque gioco, e senza questo non è possibile costruire niente perché la formula ben formata è una proposizione, una proposizione corretta è una formula ben formata: la più semplice è “non A”, questa è una formula ben formata perché costruita soltanto con un connettivo e una variabile, non ha bisogno di altro. Con queste istruzioni è possibile costruire qualunque cosa, costruire discorsi, storie, racconti eccetera. La Scienza della parola come teoria è brevissima, c’è questa proposizione che è inattaccabile, innegabile, e c’è la constatazione che questa proposizione è stata costruita e quindi se è costruita e non può essere costruita da altro che da se stessa, ha qualche cosa che le appartiene, che la costruisce e cioè delle istruzioni, queste istruzioni sono i connettivi logici, è tutto qui, è di una semplicità sconcertante, occorre trovare il modo di renderla retoricamente più gradevole, detta così risulta magari un po’ ostica e poi intendere come, mostrando degli esempi, a partire da questo sia possibile costruire assolutamente tutto, nessuno se ne è mai occupato prima, quindi dobbiamo occuparcene noi, non abbiamo neanche i riferimenti teorici, non c’è da nessuna parte niente del genere, dobbiamo occuparcene noi e soltanto noi possiamo farlo tra l’altro. Il vantaggio di tutto ciò è quello di avere ottenuto una proposizione che in nessun modo può essere negata, non c’è modo, come dicevo prima qualunque tentativo di negarla, confutarla, contraddirla eccetera non fa che confermarla, cioè la ripropone incessantemente, all’infinito, e quindi è inevitabile che una teoria costruita su questa premessa, se non contraddice la premessa ovviamente, continuerà a costruire proposizioni necessarie, perché è questa la sua forza: essere costruita su una proposizione necessaria. La domanda da cui siamo partiti è semplice, che però se portata alle estreme conseguenze diventa devastante e cioè “come lo so?” che non è “come so di sapere?” che è un’altra questione, ma “come so una certa cosa?”, naturalmente questo sposta su un’altra cosa che costituirebbe il motivo di questa cosa, e quest’altra come la so? Procedendo a ritroso in una regressio ad infinitum senza limiti si è presi in una sorta di loop, dicevamo, cioè di cerchio senza possibilità di uscita, perché non c’è uscita? Perché non si trova nessun elemento che soddisfi il requisito richiesto dal sistema per attestarsi su qualcosa, e cioè che questo qualcosa sia necessario, solo allora si attesta su questa cosa, se è necessario, cioè se non può non essere in nessun modo, ma il sistema deve verificarlo se no non si arresta, prosegue cioè scarta quell’elemento come inconsistente e quindi non lo può utilizzare come premessa per arrestare la sua regressio ad infinitum. Portare dunque la regressio ad infinitum alle estreme conseguenze per verificare alla fine che cosa rimane, e l’unica cosa che rimane è la parola e nient’altro, tutto il resto si dissolve come neve al sole, cioè mostra la sua inconsistenza, la sua insostenibilità, la sua gratuità, contingenza, quello che vi pa- re, ma mai la sua necessità, e quando si arriva a fine corsa si trova quel nocciolo duro, quella cosa che non può essere eliminata. Intervento: al nocciolo duro non si arriva automaticamente … Quello che dice non è del tutto errato, anche se procedendo lungo questa regressio si può anche immaginare che a un certo punto si arrivi a un qualche cosa, d’altra parte il tentativo di Popper andava in questa direzione anche se in senso inverso “alla fine qualche cosa si troverà” e se non si troverà? C’è anche questa eventualità, e in ogni caso quando troverò qualche cosa questo qualche cosa dovrà avere quei requisiti tali da consentire al sistema di attestarsi su quella posizione e cioè deve essere qualche cosa di necessario, che non può non essere, e diventa complicato. Così accade che la regressio non trovi una fine e procedendo devasta tutto quello che trova finché si ferma sull’unica cosa che non può più demolire, perché se la demolisse demolirebbe anche se stessa, e non lo può fare ovviamente … Intervento: non viene da sé occorre fare il lavoro che ha fatto lei l’atto di parola, se uno immagina la realtà troverà sempre un’altra realtà … Questo è un atto di fede, che è diverso, abbiamo detto recentemente e lo applicheremo ovunque che occorre mettere al posto dell’atto di fede l’atto di parola, perché l’atto di fede è quella cosa che consente di attestarsi su qualche cosa per un semplice fatto estetico “mi piace così, penso che sia così, credo che sia così, suppongo che sia così, dovrebbe essere così” e tutta una serie di altre sciocchezze, come fanno tutte le religioni, come ha fatto anche la psicanalisi, è per questo che ho detto che è una truffa, la Scienza della parola no, insieme con la logica formale, anche la matematica è una truffa, in fondo non esibisce il fatto che tutto ciò che fa non è altro che un gioco. Peano ci è andato vicino, ma non ha colta la questione in termini così precisi, non ha detto che è soltanto un gioco, e la matematica pensa di non esserlo il più delle volte, qualcuno sì, soprattutto più che la matematica direi in questo caso la metamatematica che si occupa dei principi della matematica, si accorge che di fatto ci sono soltanto delle regole che fanno funzionare il gioco … Intervento: Wittgenstein nel suo testo i Fondamenti della matematica aveva considerato che la matematica è un gioco … Sì, ma altri no, Kroneker no per esempio, per lui i numeri erano dati da dio e quindi non potevano mentire. Russel definiva la logica quella disciplina in cui si parla di qualche cosa ma non si sa di che cosa si sta parlando, ma lui si riferiva al fatto che nella logica si parla di variabili che non sono niente, sono dei posti vuoti che intervengono semplicemente a dare un senso a una sequenza o meglio a dare una forma a una sequenza, però non sono niente, che è diverso dalla psicanalisi che invece continua a parlare di qualche cosa senza sapere assolutamente di cosa sta parlando, ma per altri motivi, perché di fatto le affermazioni che fa la psicanalisi sono atti di fede e non può rispondere alla domanda “come lo so?”, se gli si chiede come sa quello che sta affermando non sa rispondere, infatti c’è il silenzio totale. Dunque la Scienza della parola è questo, è questa teoria fondata su un asserto indistruttibile e inattaccabile, perché non posso togliere la parola se non utilizzandola per cui cercando di toglierla la conferma inesorabilmente, anche solo pensando di toglierla, la questione delle istruzioni posta nei termini in cui l’abbiamo posta questa sera è molto più precisa e corretta ma non semplicissima … Intervento: abbiamo sempre parlato delle istruzioni, da se A è A principio di identità saltare ai connettivi … Sono i connettivi, che sono delle istruzioni, che consentono di costruire proposizioni, quelle cose che consentono la costruzione di sequenze che possono essere chiamate proposizioni e infatti sono invarianti non possono variare, non è possibile sostituire il “non” con una “e”, non si costruisce più niente, sono le uniche invarianti della logica formale tutto il resto varia, ma quelle no, non si può fare, cioè non si possono variare quelle istruzioni che consentono la costruzione delle formule ben formate, cioè delle proposizioni, come dire che non può negare la parola cioè le istruzioni di cui è fatta in definitiva, non lo può fare in nessun modo, con che cosa? Adesso siamo arrivati a fine corsa, oltre non si può più andare, abbiamo raggiunto effettivamente per fare il verso agli informatici il codice sorgente, aldilà non è più possibile andare, abbiamo raggiunto il fondo quindi non possiamo che risalire, e cioè costruire a partire da lì … Intervento: quel salto mi è ancora complesso, quello dall’identità che il linguaggio costruisce perché ci sia parola, su qualsiasi parola alle formazioni di proposizioni, al momento in cui si stabilisce una proposizione è quello che è, cioè questo passaggio non lo possiamo togliere perché se no qualsiasi affermazione essendo una proposizione ben formata ha diritto di dirsi come si sente dire continuamente, però non si costruisce nessuna teoria con un fondamento necessario in quel modo lì se qualsiasi cosa vale come la sua contraria … Non è che una proposizione vale la sua contraria, questo è un problema che può incontrare la logica formale e si chiama paradosso, se una cosa può essere valida quanto la sua contraria allora è un problema cioè di lì non si può andare … Intervento: certo nella logica formale con i connettivi si costruiscono proposizioni, formule ben formate quindi lì poi ci sono le tavole di verità, vero / falso in base ai criteri stabiliti e quindi è possibile questo “calcolo”, questa coerenza che da una proposizione necessaria discendono proposizioni necessarie … È una questione appena abbozzata, ci dobbiamo lavorare, però le istruzioni non possono essere nient’altro che ciò che la logica formale ha individuato come connettivi, ciò che consente la costruzione di quelle sequenze che possono essere chiamate proposizioni. La questione dell’identità è importante, è la prima affermazione … Intervento: così abbiamo sempre detto, dalla prima identità nasce la possibilità del discorso di formarsi, di costruirsi … Il fatto che l’abbiamo sempre detto non significa che sia necessario. Dobbiamo riflettere bene sul funzionamento dell’atto di parola, però la logica formale non ha torto, in effetti ha rilevato soltanto il modo in cui funzionano le parole cioè le proposizioni, il modo in cui si costruiscono necessariamente, non ha fatto nient’altro che quello, senza spingersi aldilà naturalmente, però ciò che ha affermato è molto preciso: senza i connettivi non è possibile costruire nessuna proposizione. Intervento: e fra i connettivi c’è anche il “non” quindi c’è la negazione anche, siccome io sto rileggendo i corsi dell’anno scorso che parlano delle istruzioni e abbiamo detto che fra le istruzioni non c’era la negazione lì parlavamo del linguaggio e dicevamo che il linguaggio funziona senza bisogno della negazione, non ci sono paradossi e dicevamo che la negazione interviene nei discorsi, è per questo che mi trovo un po’ spaesata … Diciamo che non c’è la contraddizione tecnicamente, se il processo muove da un’affermazione che è un assioma quindi vera necessariamente anche se arbitraria, se il percorso che segue è corretto tutto ciò che può trarsi, può trarsi utilizzando unicamente i connettivi quindi anche la negazione. Forse la questione verteva su un aspetto particolare e cioè per esempio la costruzione della proposizione che abbiamo data come originale, diciamo così, e cioè “i parlanti, in quanto parlanti, parlano” comporta la negazione? In base a quanto abbiamo detto parrebbe non necessariamente, voglio dire che se sono necessari questi connettivi non è necessario che ci siano tutti contemporaneamente, tant’è che il “se … allora” può essere trasformato in un “oppure” per esempio il “se A allora B” può essere trasformato in “non (A oppure B)” che vuole dire che “se c’è A allora c’è anche B” che è la stessa cosa … Intervento: la “e” per esempio, questa connettivo è una congiunzione, come giunge una proposizione fatta da congiunzioni, solo congiunzioni come la “e” va avanti all’infinito, puoi aggiungere quello che vuoi, come giunge questa proposizione, con questo connettivo e solo quello, al giudizio? Perché dovrebbe essere solo quello? Intervento: se non è solo quello va bene … Può essere usato, per esempio nella figura retorica dell’iterazione, utilizza solo la congiunzione “e questo, e questo, e questo…” però alla fine giunge al “e quindi …”, giunge alla conclusione, e perché ci sia una conclusione è necessario che ci sia per esempio un’implicazione “e allora questo”. Intervento: oppure una domanda cioè chi è stato a fare questa cosa? mio padre e tuo padre per esempio, ha risposto compiutamente no? Per formulare la domanda occorre prima un’affermazione, lei diceva “chi è stato a fare questa cosa?” quindi qualcuno ha fatto qualcosa, questo qualcosa è questo, ora questo qualcuno può essere A,B,C,D,E … eccetera, e quindi si va per esclusione, la domanda chiede semplicemente di indicare chi è stato ma all’origine c’è comunque un’affermazione, qualcosa è successo, chi l’ha fatto? Anche questo è uno dei modi in cui funziona il linguaggio, certo non è necessario però è utile al funzionamento del tutto, per esempio una macchina non ha la domanda necessariamente, non domanda, non chiede, l’operatore può fare una domanda alla macchina di fare una ricerca per esempio, ma così come sono programmate adesso non contengono la possibilità di domandarsi alcunché … Intervento: se c’è un errore … No, è semplicemente una incoerenza del sistema e quindi si arresta. Sono tante le cose che dovremo considerare, però la direzione è giusta, e una volta che abbiamo una premessa da cui partire come questa che in nessun modo può essere negata … Intervento: adesso mi viene in mente, lì in quei corsi che riguardavano le istruzioni, l’anno scorso, si faceva la distinzione fra linguaggio e discorso è ovvio che parlando del funzionamento del linguaggio, ma parlando costruendo delle formule ben formate su base retorica, ovviamente, lì si producevano delle proposizioni e quindi per parlare delle istruzioni in quanto funzionamento del linguaggio e lì c’era la questione della negazione, del principio di identità e quindi degli altri principi aristotelici, però stavamo parlando producendo delle proposizioni per parlare delle istruzioni, senza parlare non ci sarebbe stato il principio di identità ovviamente … Certo che no, l’identità è un comando, quel comando che obbliga a utilizzare ciascuno dei connettivi esattamente per quello che è, per cui effettivamente rimane come la prima istruzione, certo è la prima identificazione, un elemento è quello che è, non può essere altro da sé, questo è il primo comando perché senza questo comando anche i connettivi si confondono tra loro, possono confondersi tra loro indifferentemente, nella logica formale questo comando non c’è propriamente perché è implicito, però al punto in cui siamo dobbiamo esplicitarlo, il comando di identità certo: “tu sei questo”, per esempio una “e” non può svolgere la funziona del “non”, se questo dovesse accadere non c’è più la possibilità di costruire proposizioni. 20-7-2011 Ciò che abbiamo posto in questi ultimi tre incontri è determinante, a questo punto abbiamo la teoria della Scienza della parola è quel percorso intellettuale che conduce alla conoscenza della struttura, del funzionamento e della priorità dell’atto di parola, questa è la Scienza della parola. Per costruire questa Scienza siamo partiti, contrariamente a chiunque altro, da una proposizione che non è negabile e poi a partire da questa proposizione ci siamo domandati come funziona, se io affermo che i parlanti, in quanto parlanti, parlano, questa proposizione qualcuno l’ha costruita, e non possiamo dire né che è stata costruita da qualcosa che è fuori dal linguaggio, né che viene prima del linguaggio e quindi deve essere in quella proposizione ciò che la costruisce: in quella proposizione ci sono quelle istruzioni che consentono di costruirla, queste istruzioni sono esattamente quelle che, dicevamo la volta scorsa, ha rilevato la logica assiomatica, vale a dire delle variabili e i connettivi logici, non serve nient’altro che questo per costruire, cioè in base a queste istruzioni è possibile costruire qualunque cosa. La logica formale è la più astratta, è quel- la che si attiene alla forma della proposizione, che chiama formula ben formata, le istruzioni sono solo quelle, esattamente così come si costruisce una formula ben formata, nella logica formale si costruisce una proposizione e la variabile individuale per esempio, cioè la cosa, la descrizione di una cosa, il “questo è questo” è necessaria ed è questa l’identità, cioè che la variabile individuale può essere qualunque cosa infatti il “questo è questo” può essere qualunque cosa, ma qualunque cosa sia, una volta che è stabilito, è quello e non può essere altro perché funzioni il sistema, quindi la variabile può, il “questo è questo” può essere qualunque cosa, può essere un pacchetto di sigarette o l’universo mondo, mentre i connettivi non sono variabili, sono invarianti e cioè il non sarà sempre e comunque il non, non sarà mai una “e”, se no non funziona più niente. Sappiamo a questo punto che cosa fa, che cosa costruisce la parola, sappiamo anche come so che sto parlando, abbiamo sottomano tutto, abbiamo tutto quello che ci serve per costruire e in effetti, questa teoria, dicevamo l’altra volta, è molto semplice e anche molto breve, non ha bisogno di molte cose, di fatto sono quelle che ho appena dette, non ce ne sono altre, tutto il resto è una costruzione. Quando tenni i tre incontri alla libreria Legolibri, a un certo punto avevo accennato al fatto che Freud diceva chiaramente che la rimozione si poneva in atto nel momento in cui qualche cosa andava a urtare delle convinzioni religiose, etiche, morali, e cioè quindi dei discorsi, era un discorso che andava a inficiare un’intenzione, un desiderio, e quindi un altro discorso, ed era questo il motivo per cui si avvia la nevrosi, e il rimedio alla rimozione era esattamente quella cosa che Freud chiama nevrosi. Quindi perché il pensiero dovrebbe ammalarsi? Il pensiero si ammalerebbe nel momento in cui il pensiero va contro un precetto morale per esempio, o etico, quello che si vuole, e cioè quando un discorso va contro a un altro discorso, ora a questo punto però la questione si fa complicata perché è difficile stabilire a quale punto si ammala un discorso, il fatto che si dica che sia ammalato è per una convezione … Intervento: … La sofferenza? La persona può soffrire, la psicanalisi stessa ci mostra che la sofferenza il più delle volte è ricercata per un buon motivo, e quindi di fatto la persona che soffre sta facendo esattamente quello che vuole fare, questo lo dice anche Freud, è Freud stesso che indica la via da percorrere per intendere una cosa del genere e cioè che c’è un’intenzione ben precisa, quella che lui chiama tornaconto primario e secondario e questo tornaconto va pure preso in considerazione, e lui l’ha fatto, Freud, e a questo punto la persona sta facendo esattamente quello che vuole fare, sto attenendomi al testo di Freud, se vuole soffrire va bene, perché no? Poi è chiaro che la persona dice di non volere soffrire, ma possiamo anche dire perché con estrema facilità, è ovvio che se accogliesse la responsabilità di quello che sta facendo cesserebbe di potere usufruire di questa storia. Intervento: se soffre d’amore si dice che è ammalato … Intervento: se ammazza qualcuno non è che sia ammalato perché … La tendenza oggi è quella, la psicologia punta a questo, cioè a trasformare qualunque cosa in malattia … Intervento: certo ma non lo è, è un atto linguistico … Certo che no, a questo punto bisogna portare la cosa alle estreme conseguenze cioè mostrare che se una persona si mette in ginocchio a pregare qualcuno e a parlare con qualcuno che non esiste e non è mai esistito, la persona è malata, e così tre miliardi di persone devono essere internate tutte necessariamente, perché questa è la conclusione inevitabile: una persona che fa delle cose che sono fuori dalla norma, una persona che parla con qualcuno che non esiste ma non solo che non esiste, ma gli parla e conduce la sua vita in base a questo, è una persona malata stando a questi criteri, a queste premesse inesorabilmente. La questione funziona retoricamente perché non è ammissibile considerare che il Papa sia ammalato soltanto perché crede in dio, questo non è ammissibile, comporterebbe una serie di conseguenze assolutamente inaccettabili e infatti non sono accettate, per questo funziona retoricamente … Intervento: … L’ascolto non è altro che rilevare ciò che all’interno di un discorso costituisce un nodo, potremmo diremmo una superstizione, una credenza, un’affermazione religiosa, rilevare questo è l’ascolto, naturalmente non basta rilevarlo perché uno può rilevarlo anche quando ascolta qualcosa mentre è in una panetteria però non c’è nessun intervento ovviamente, l’intervento è volgere le cose in modo tale che la persona si accorga non solo che le sue affermazioni sono religiose, ma che c’è anche la possibilità di cessare di pensare in modo religioso e quindi di essere libero di utilizzare la propria intelligenza come meglio crede. 3-8-2011 Beatrice legge il suo scritto sulla conversazione analitica … nulla è fuori dalla parola …. Interventi di Faioni Come fa a saperlo? Come fa a sapere che nulla è fuori dalla parola? Glielo ha detto qualcuno? Ha avuto un’ispirazione divina? Intervento: proprio nella conversazione analitica si giunge alla necessità della parola, all’unica necessità … Una domanda interessante sarebbe: cosa intende con nulla? E la risposta è semplice: “ciò che è fuori dalla parola”, così come l’esistenza, l’unico modo per definirla in modo che abbia un senso è questo: “l’esistenza è l’appartenenza alla parola, al linguaggio” non c’è altra definizione di esistenza che sia sostenibile. Lei dice che gli umani non si accorgono che stanno parlando, beh alcuni lo sanno molto bene che stanno parlando, ma non per questo ammettono l’esistenza di un fondamento. Lei dice: “senza la parola non ci sarebbe nulla, senza la sua struttura, il suo funzionamento” a meno che immaginare che la parola venga da nulla, dicendo che venga da nulla è come dire che viene da un fuori della parola oppure che la parola accada magicamente, così, per volontà divina, però affermare questo è un atto di fede “credo che sia così” ma non c’è nessuna argomentazione che lo sostenga. Nella teoria di Verdiglione il linguaggio è una delle dimensioni della parola insieme alla sembianza e alla materia, per lui originaria è la parola, cosa vuole dire che la parola è originaria? Qui c’è un problema, perché nella teoria di Verdiglione non c’è una risposta sensata a questo, per questa teoria la parola accade così, accade perché a un certo punto si parla e parlando c’è la parola, ma da dove venga questa parola non si sa “accade”, mentre potremmo dire che la parola è originaria perché ciò che rimane, ciò che resta dopo che si è interrogata qualunque affermazione, qualunque istanza, e qualunque affermazione è risultata incapace di mostrare la sua necessità, ciò che rimane, dopo che si è eliminato tutto, ché ciascuna cosa che si considera non riesce a mostrare di sé di essere necessaria e quindi si appoggia su un’altra cosa, questa su un’altra, questa su un’altra eccetera, ciò che rimane alla fine di tutto è la parola, perché la parola è quella che ha consentito di fare questa operazione per esempio, è ciò che rimane, perché senza quella anche tutto questo percorso di eliminazione non sarebbe mai potuto esistere, in questo senso è originaria, che non significa che viene prima di tutto o che è originaria logicamente, come dice Verdiglione, senza spiegare cosa si intende con “logicamente”, ma rimane come la condizione di qualunque cosa, la condizione … Intervento: chiedersi da dove arriva la parola … Da dove arriva la parola? Intervento: da altre parole … Sì, ma queste altre parole non vengono da nulla, queste parole vengono da un addestramento. Abbiamo detto che la parola ha in sé quella struttura che le consente di funzionare, di relazionarsi con altre parole che sono le istruzioni di cui abbiamo parlato, e la parola non è nient’altro che l’esecuzione di queste istruzioni di cui è fatta. Occorre trovare un modo per indicare che la parola è fatta di un qualche cosa, non è fatta di niente, e ciò di cui è fatta è ciò che la fa funzionare, qui si potrebbe citare Wittgenstein e mostrare molto rapidamente come si insegna a parlare, si insegna a parlare mostrando come si usa un certo termine. Qui c’è un’obiezione che faceva Sini, e cioè che per potere insegnare qualcosa a qualcuno occorre che questo sia già nella parola. È falso, primo perché posso insegnare delle istruzioni anche a un cane e a una macchina, e la macchina non è già nella parola quando io le fornisco le istruzioni perché all’origine la macchina è come un ferro da stiro, non c’è niente, gli fornisco delle istruzioni e queste istruzioni non sono nient’altro che istruzioni, e cioè gli scrivo cosa deve fare con certe cose, per questo si potrebbe anche considerare un dizionario come un libretto delle istruzioni, perché mostra come si usano le parole. L’obiezione di Sini non tiene conto del fatto che è possibile addestrare una macchina a pensare, oggi magari, no ma col tempo sicuramente sì, e avvalendosi anche, in questo caso è bene appoggiarsi anche alle auctoritates, parlare di Turing, e di come abbia mostrato che addestrare una macchina è esattamente la stessa cosa che addestrare un bambino a parlare, gli si immettono delle istruzioni e gli si dice come deve utilizzarle. Certo, con il bambino si utilizza un sistema che con la macchina non si può utilizzare però anche la macchina, anziché premio e punizione ha passaggio di corrente e assenza di corrente, che potrebbe essere la stessa cosa. Questa obiezione non regge, non si sostiene, se fosse così come dice Sini, non sarebbe in nessun modo possibile addestrare qualunque cosa, né un animale né una macchina né uno scimpanzé perché non potrebbe capire le istruzioni se non fosse nel linguaggio, ma uno scimpanzé, un cane, una zanzara, ammesso che si addestri una zanzara, non è nel linguaggio. Intervento: loro dicono che è tutto nella mente e loro parlandogli … è tutto innato, tutto naturale. Anche Chomsky diceva così, diceva che ci sono delle strutture grammaticali che sono innate … Intervento: e dio non ci ha donato la parola? Non significa assolutamente niente … Si addestra un bambino esattamente come si addestra una macchina, o viceversa, cioè fornendogli dei e le istruzioni per usare quello che gli si mostra, perché è vero, mostrare qualcosa non serve a niente se uno non ha già gli elementi per sapere cosa sta succedendo, vedendo, ma questi elementi gli vengono forniti, se no come si insegna a un bambino? Intervento: il discorso di Sini in un certo senso lo faceva anche Lacan, Lacan diceva che il bambino anche se non parla è già predisposto per accogliere … Per Lacan è differente, quando dice che il bambino si trova già nel linguaggio, intende che è già inserito al momento della nascita all’interno di un sistema linguistico. È già inserito nel linguaggio in quanto c’è già qualcuno che lo nomina, qualcuno che decide per lui quello che farà, quello che non farà, in questo senso è già inserito nel linguaggio, però perché incominci a parlare lui, che è la cosa che ci interessa, occorre che qualcuno glielo insegni, se no non succede niente. Gli umani potrebbero parlare senza che nessuno glielo insegni? Può darsi, fra un milione di anni forse, può darsi così come è avvenuto storicamente può darsi che fra un milione di anni alla fine riesca a elaborare il linguaggio, però non so se abbiamo tutto questo tempo. La parola si impara perché qualcuno insegna a usare il linguaggio, dice come funziona, come si usa, e qui ciò che abbiamo detto rimane: la logica formale ha intuito molto bene anche senza accorgersi di quello che stava facendo, e cioè sono sufficienti delle variabili e dei connettivi e nient’altro perché funzioni il tutto, e insegnare queste cose significa usare appunto le proposizioni quindi il linguaggio, sapere come si costruisce una proposizione sensata, i logici dicono formula ben formata, è la stessa cosa … Intervento: gli animali potrebbero divenire pensanti volendo, come una macchina … C’è una difficoltà: la macchina la si può predisporre a ricevere certe istruzioni, invece l’animale è già strutturato, occorrerebbe intervenire sul suo codice genetico, su il sistema neuronale, cose complicate, mentre una macchina può farlo perché la si costruisce appositamente. L’obiezione di Sini non è sostenibile, l’animale può essere addestrato certo, gli mancano gli strumenti per potere andare oltre, ma questo una macchina può farlo, ma forse voleva dire con questo Sini che c’è qualche cosa comunque di non spiegabile e che la tesi, la posizione di Wittgenstein arriva fino a un certo punto, però di fatto non dice come avviene questo fenomeno. Lui fa un esempio: se io parlo con un inglese e voglio spiegargli che questo aggeggio è rosso, e lui non capisce l’italiano, allora gli mostro qualcosa di rosso e lui capisce, ma questo è possibile perché è nel linguaggio, ma se invece non sapesse nulla, quando io indico questo, non capisce neanche a cosa mi sto riferendo dicendo rosso, non può capire niente ovviamente, ma se io gli fornisco le istruzioni per usare queste informazioni allora capisce, come una macchina capisce perfettamente. Si può addestrare un bambino, così come una macchina, a parlare mostrandogli come utilizzare le informazioni che gli si danno, esattamente come ha detto Turing … Intervento: cioè in conclusione da dove arriva la parola? Da dove arriva il linguaggio? Come facciamo a sapere da dove arriva il linguaggio? Sappiamo che il linguaggio viene insegnato ma quale sia stata l’origine questo non lo possiamo sapere perché non possiamo tornare indietro e verificare tutti i passaggi che l’hanno consentito, da quanto tempo esistono gli umani sul pianeta? Tre milioni e mezzo di anni circa, non c’è modo di tornare indietro e vedere tutti i passaggi che sono stati fatti, si può ipotizzare, si possono immaginare, ma non c’è nessuna verifica, è come domandarsi cosa c’è fuori dal linguaggio, non ha una risposta sensata, si può dire qualunque cosa e il suo contrario … Intervento: possiamo solo prendere atto che esiste la parola … Sì, che esiste il linguaggio e che le parole funzionano come il linguaggio ovviamente e che insegnare a parlare non è nient’altro che insegnare a usare il linguaggio, come diceva già Wittgenstein nelle Ricerche Filosofiche. In una ricerca teorica una persona afferma delle cose ma è anche in condizione di dire perché le afferma, e non perché “è così”, e mostrando anche che se così non è allora questa affermazione di fatto è un atto di fede, ha esattamente la stessa struttura di un atto di fede “credo in unum deum”, e mostrare che quando si afferma qualche cosa occorre essere in condizione di argomentare ciò che si afferma. A noi interessa mostrare la differenza fra un percorso teorico e un percorso religioso, la differenza tra un’argomentazione teorica e il credo in unum deum. Una analisi non è altro che l’analisi del discorso religioso e quindi si tratta di intendere quali sono gli elementi religiosi all’interno del discorso che vanno ripetendosi e che sostengono tutto quanto e in base ai quali la persona agisce … Intervento: è interessante intendere cosa ascolta il discorso religioso in un’analisi … Molti psicanalisti non intervengono quasi mai durante l’analisi, come diceva Lacan l’analista fa il “morto”, cioè l’analizzante parla e poi a un certo punto, quando suppongono che il significante che è intervenuto costituisca un nodo cioè una questione importante all’interno del discorso, se è proprio lacaniano ortodosso, allora interrompe la seduta ripetendo quel significante, e questo è quanto, che ha anche degli effetti, perché no? La questione è che non si scalfisce per nulla la struttura religiosa, dell’analizzante in questo caso, perché non gli si forniscono gli strumenti per intendere la questione religiosa che è insita nel suo discorso e che continua a mantenere il suo discorso, continua a istruirlo in un certo senso e quindi trarrà dei benefici ma gli stessi benefici che uno può trarre da qualunque cosa, per esempio il neofita di una religione è felice come una pasqua, tutto il mondo gli sorride perché finalmente ha trovato la diritta via … Intervento: è il beneficio di una conversione. Anche se il significante viene sottolineato cosa produce? Produce qualcosa che è in funzione del suo discorso e interverrà a creare una variante che diventa poi qualche cosa di importante da convertire il suo discorso in un’altra cosa … L’obiettivo in tutto ciò sarebbe questo: fare intendere mano a mano alla persona, ciascuna volta sottolineando un significante, che c’è qualche cosa che sta lavorando nel suo discorso sulla quale cosa lui non ha il controllo, questa cosa determina le sue parole in modo sempre differente, costruisce discorsi e questa cosa è l’inconscio, è una tecnica che è stata utilizzata da Lacan. Freud interveniva nelle sedute, i freudiani intervengono molto poco però qui l’obiettivo, attraverso anche l’interpretazione, che comunque è fatta in modo discreto e non un bombardamento come fanno i kleiniani, attraverso l’interpretazione affiora la presenza dell’inconscio in quello che dice attenendosi all’antico detto di Freud “dov’era l’es occorre che io o l’Io avvenga” a seconda delle traduzioni, e cioè rendere consapevole ciò che è stato inconscio, farlo diventare conscio. A questo punto, considerato che secondo la teoria freudiana le magagne vengono dal fatto che alcune cose sono state rimosse e quindi sono inconsce, e quindi le persone non le conoscono, facendogli conoscere queste cose ecco che si dissolve il sintomo, cioè si dissolve tutta la costruzione che è stata fatta per mantenere questa cosa inconscia, in fondo il sintomo non è altro che una formazione di compromesso … Intervento: … La partecipazione sta nel fatto che ha deciso di esporre il suo discorso a una terapia analitica e quindi a mettersi in discussione, a confrontarsi con ciò che è inconscio nel suo discorso quindi venire a sapere cose che prima non poteva sapere, questo nella teoria freudiana e in buona parte anche in quella lacaniana … Intervento: delle cose che viene a sapere non ne è responsabile … Non è responsabile della sua rimozione questo sicuramente no, nella teoria freudiana una persona non è responsabile della rimozione, meno che mai nella teoria di Verdiglione dove la rimozione è il “non” originario che è appunto la rimozione originaria, che detta in altri termini ancora è un nome che funziona e quindi un significante rimosso che funziona come nome, questo è l’avvio, da qui si incomincia a parlare, proprio per via della rimozione, in questo senso originaria, perché questo? Non è dato sapere, come dicevamo prima “credo in unum deum” credo che sia così. Ciascuna cosa che è nota come un sintomo procede da qualcosa che è creduto fortemente, ora si può spostare questa credenza su un’altra cosa, ma la credenza rimane e così la fede, perché rimane la necessità di credere in qualcosa, è questo che noi togliamo: la necessità di credere, questa è la differenza fondamentale. Eliminiamo la necessità di credere in qualcosa, che ci sia qualcosa in cui credere, la necessità di avere dei valori; parlare di eliminare la questione religiosa fa torcere il naso a molti perché da una parte è poco compresa la questione stessa, e dall’altra significa incominciare a interrogare tutto quanto … Intervento: stavo pensando alla citazione di Freud rispetto alla questione religiosa può essere utile, Freud dice la nevosi ossessiva funziona come una religione … Sì, dice questo, però questo non toglie nulla al fatto che la religione sia un’altra cosa, il discorso ossessivo scimmiotta la religione, però la religione è un’altra cosa, è un sistema bene organizzato che offre agli umani ciò di cui hanno bisogno, cioè una speranza, Freud in parte l’ha tolta, in parte però ha utilizzato la questione dell’inconscio, l’inconscio che potrebbe essere considerato come l’animale fantastico della psicanalisi, e cioè ciò in cui crede, in cui crede fortemente, anche se inteso come la logica particolare a ciascuno, dato che non c’è nessuna definizione di logica in questa affermazione. 10-8-2011 Cosa rende una conversazione una conversazione analitica? Il fatto che una conversazione analitica produce degli effetti? Anche, ma una conversazione qualunque può produrne, però c’è una differenza comunque tra una conversazione analitica e una chiacchierata, in che cosa consiste questa differenza? C’è qualcuno che ascolta, ma cosa vuole dire che ascolta? Non soltanto che sta a sentire quello che la persona gli racconta, ma coglie quali sono le superstizioni, le credenze, in altri termini gli aspetti di credenze religiose all’interno di questo discorso, non basta ovviamente rilevarle occorre che faccia qualche cosa perché la persona che sta parlando se ne accorga, che è la cosa più difficile, la persona raccontando le sue storie incessantemente mette in mostra la sua fede e più la racconta più si convince di quello che dice generalmente, per cui occorre che ci sia un intervento da parte dell’analista, come avviene questo intervento? Cosa fa l’analista? Questi sono gli aspetti peculiari di una conversazione analitica, ciò che la rende assolutamente differente da qualunque altra tipo di conversazione mai esistita prima, anche Socrate, anche lui interrogava continuamente, interrogava continuamente per mostrare alle persone che stava interrogando che contrariamente a quanto pensavano non possedevano la verità, però c’è una differenza, non si tratta di una maieutica, cioè tirare fuori dalla persona la conclusione che in realtà non sa un accidente di niente, ché Socrate si fermava lì, utilizzando i sistemi dei sofisti, la conversazione analitica fa qualche cosa di più, pone la persona nelle condizioni di non avere più bisogno di credere in quelle cose che già con Socrate comunque non sapeva dimostrare, e non ha bisogno di credere solo perché non le può dimostrare? Sì e no, il fatto che ci creda comporta che si muova di conseguenza in relazione a degli asserti, delle verità che ritiene naturali, inamovibili, e che ritiene essere la verità delle cose, e il “problema” tra virgolette è che si comporta di conseguenza facendo danni a destra e a manca, in che senso fa danni? Intanto perché cerca di persuadere altri delle sue verità, costringendoli molti spesso, come diceva lei nel suo scritto, attraverso le armi o altri sistemi di persuasione, comunque deve persuadere altri che quelle cose che dice sono vere e questa non è una cosa che potrebbe anche non fare eventualmente, è costretto dalla struttura del linguaggio e se non intende come funziona il linguaggio continuerà a farlo all’infinito, questo è il problema più rilevante in tutto ciò e cioè continuerà a subire il linguaggio e vale a dire a fare ciò che il linguaggio gli impone e cioè trovare una verità e poi imporla a tutti quanti, senza sapere quello che sta facendo e cioè che sta costruendo soltanto delle stringhe. Il linguaggio costringe a fare questo: costruire delle stringhe che poi concludendo con un’affermazione vera possono consentire al linguaggio di proseguire, al discorso di proseguire, ma i danni che accadono nel subire il linguaggio sono notevoli, sono tutti quelli che hanno devastato l’umanità negli ultimi tremila anni e hanno consentito duemila anni di follia religiosa, di massacri e di persecuzioni, questo è stato reso possibile dalla posizione in cui le persone si trovano e cioè nella posizione di chi subisce il linguaggio senza rendersi conto di ciò che sta accadendo e cioè che sta soltanto costruendo delle sequenze, nient’altro che questo. La conversazione analitica è quel percorso, potremmo definire a buon titolo come un percorso intellettuale dove la persona si trova, raccontando le sue storie, si trova, grazie all’intervento dell’analista che glielo fa notare, a confrontarsi con gli aspetti magici, religiosi del suo discorso, confrontarsi cosa vuole dire? Interrogare queste cose, chiedere conto a queste cose da dove vengono, perché esistono, perché esistono nel suo discorso intendo dire. Ci si potrebbe interrogare perché esistono in generale ma in prima istanza nel suo discorso, che è la cosa più importante, e l’intervento dell’analista è fatto prevalentemente di interrogazioni, nel momento in cui la persona ha “terminato” tra virgolette di elencare i suoi problemi, a quel punto può incominciare a interrogarli, e naturalmente il modo in cui interroga è un modo squinternato, non sa interrogare per questo occorre la presenza di qualcuno che invece lo sappia fare per, potremmo dire così, per supportare il suo discorso a interrogare se stesso, perché se non c’è questo supporto, diciamo così provvisoriamente, il discorso sì si interroga, ma trova immediatamente una risposta e lì si blocca e chiuso il discorso, quindi “è perché è così” e allora si danna con questo, con quest’altro tizio, caio, sempronio, senza mai giungere a considerare che è qualcosa che è il suo discorso che ha costruito. Dunque l’intervento dell’analista fa soprattutto questo: impedisce che il discorso si attesti su un’altra superstizione, spostandosi da una si attesta su un’altra, e invece l’analista impedisce che il discorso si attesti anche su quell’altra, e poi anche su quell’altra in modo che lungo questo percorso la persona abbia l’occasione di accorgersi, di rendersi conto che non è possibile per il discorso attestarsi su alcunché, a meno che non ci sia un atto di fede, un atto di fede e cioè un “credo in unum deum, factorem coeli et terræ”, ma perché la persona dovrebbe rinunciare alla sua fede? Questa è una delle questioni più complesse in un’analisi, in realtà fino ad oggi ciò che è accaduto è soltanto lo spostamento da una fede a un’altra, cosa che funziona perché come abbiamo detto tante volte una persona che lascia una fede religiosa per abbracciarne un’altra, un neofita di una nuova religione ha dei vantaggi immensi, si sente benissimo, si sente il padrone del mondo, forte e sicuro di sé, quindi funziona, solo che ciò che non viene mai messo in discussione in tutto ciò è il bisogno di credere in qualche cosa per cui ciò che ha condotto ad abbandonare una certa fede, causa di sintomi, malanni e acciacchi di ogni sorta per abbracciarne un’altra permane, e quindi ci sono ottime probabilità che continuerà a compiere questa operazione, ché una volta abbracciata una nuova fede, dopo, finita l’euforia iniziale … Intervento: per cui occorre sempre l’analista … Sì, come dicevo proprio qui martedì scorso, occorre che l’analista si sia formato in un certo modo e cioè che abbia già percorso questo cammino, sia già in condizioni di reperire immediatamente, nel momento stesso in cui si produce una qualunque superstizione o credenza religiosa di qualunque tipo: il suo discorso si è costruito e strutturato in modo tale da impedire l’accesso a qualunque affermazione religiosa e cioè è qualcuno, l’analista, per il quale è impossibile che l’atto di parola si volga in atto di fede. Quindi l’obiettivo dell’analista in prima istanza è impedire che il discorso della persona che sta ascoltando si attesti su una qualunque cosa, e cioè possa continuare a parlare, perché se si attesta su qualcosa di fatto non parla più, come dire su quella questione il discorso si ferma, il discorso è chiuso e ne prende un altro e non ne parla più, ma il discorso non è chiuso, c’è ancora tantissimo da dire soprattutto c’è da dire che non si chiude lì perché questa chiusura è data unicamente da un atto di fede, senza atto di fede non c’è nessuna chiusura perché il discorso non si attesta da nessuna parte salvo su ciò che in nessun modo può negare e allora lì può attestarsi, sul fatto che per esempio la parola sia la condizione di qualunque cosa, questo non può negarlo con gli strumenti che ha, gli strumenti che ha sono la sua struttura, sono la logica, sono il linguaggio che è la logica appunto, ma questo è un altro discorso. Il metodo, la questione che poneva prima Sandro, il metodo è questo: impedire che il discorso si attesti su una qualunque cosa, impedirlo facendo in modo che questa attestazione trovi un’altra occasione per dirsi, un’altra occasione per mettersi in gioco ancora e ancora fino al punto che non è più sostenibile, il discorso stesso avverte l’insostenibilità di qualunque attestazione e quindi incomincia a rivolgersi ad altro, incomincia a rivolgersi al modo in cui funziona e cioè sul perché pensa le cose che pensa. Il discorso incomincia a essere addestrato a interrogare se stesso, cioè a trovare nel proprio svolgimento, nella propria struttura tutte quelle risposte che altrimenti soltanto un discorso religioso può fornire, a condizione ovviamente di non domandarsi mai niente, questo è il prezzo da pagare per il discorso religioso, non interrogare niente, in ogni caso non interrogare la teoria stessa, diciamo così, in ambito psicanalitico per esempio, junghiano, freudiano, lacaniano, possono continuare a credere quelle cose perché non le interrogano, questa è la condizione, se le cose vengono interrogate incominciano i problemi. La difficoltà maggiore sta nell’abbandonare la propria religione cioè le proprie superstizioni, le cose in cui si crede e dicevamo: perché abbandonarle visto che offrono tanti servigi? Questo può avvenire a condizione, forse è la sola condizione, che il discorso incominci ad addestrarsi a pensare e cioè non possa più non interrogare qualunque cosa si attesti lungo il suo percorso, qualunque cosa sia, se si riesce a fare questo ecco che non si tratta neanche di una rinuncia del discorso religioso ma di una necessità logica, chiedere a qualunque attestazione religiosa di mostrare di che cosa è fatta, quindi è a quel punto che c’è dell’analista e cioè la persona non può più credere, non ha più la necessità di credere a nulla, il credere diventa un’opzione assolutamente irrilevante … Intervento: la questione della credenza, della superstizione non è inteso penso che la questione più difficile da far accogliere sia come il sintomo sia diretta conseguenza del credere … Qui si possono fare degli esempi magari illuminanti di come si costruisce un sintomo a partire proprio dalla fede, ho fatto qualcosa del genere in qualche conferenza … Intervento: parlare di credenza immagino che ci sia una certa perplessità sul fatto che il credere qualcosa possa produrre, costruire un sintomo, è lì che c’è una certa perplessità … La questione del sintomo va affrontata con degli esempi, mostrando come una credenza produca un sintomo, quella cosa che si chiama sintomo, costruire un sintomo a tavolino, lo abbiamo fatto tante volte, e come in assenza totale di credenza sia impossibile la presenza di qualunque sintomo, perché io tema qualche cosa è necessario che questa cosa che temo sia creduta necessariamente vera. Come dicevo prima io sarei partito da una cosa del genere, e poi eventualmente porre questa questione come effetti collaterali di una conversazione analitica: ciò che avviene se non c’è conversazione analitica è che la credenza continua a riprodursi e ad autoalimentarsi, diventa sempre più forte fino alla depressione, psicosi o qualunque accidente. Che cosa fa l’analista? Perché la conversazione analitica è differente da altro? Si può anche utilizzare l’esempio di Socrate della maieutica che arriva fino a un certo punto, anche i Sofisti sono arrivati fino a un certo punto, ma si può fare ancora un passo ulteriore, non è soltanto mostrare l’assoluta insostenibilità di qualunque affermazione ma mostrare invece la necessità di qualche cosa, infatti di questo aspetto non ne abbiamo parlato adesso, però si può anche inserire perché a fronte di un crollo totale e assoluto di qualunque certezza, a fronte di questo c’è la possibilità di giungere a una certezza assoluta, e cioè che sto parlando, con tutto ciò che questo comporta … Intervento: se il percorso analitico non avesse anche un supporto teorico … È per questo che l’analista interviene in un certo modo, e può farlo perché ha fatto quel percorso se no, no … Intervento: l’analista deve essere in grado di “costruire” una sorta di curiosità intellettuale, se no si giunge a un certo punto e si dice “beh ma allora?” … Questo è un aspetto che occorre inserire e cioè che arrivati a fine corsa ciò che rimane è la parola, la parola che costruisce i suoi discorsi … Intervento: può avere inteso come funziona il linguaggio ma se non interroga il suo discorso, a un certo punto occorre che la persona sappia che parla e che produce tutto ciò che produce perché è parlante … Sì, è questo che porta poi alla consapevolezza della parola, alla priorità della parola, alla necessità della parola, e nel momento in cui la persona ha inteso questo si trova a potere funzionare come analista, non ha più bisogno di credere in nulla … Intervento: a questo punto non avrà più la necessità di imporre il proprio potere sull’altro non ci sarà più nessun interesse e questo comporta un sacco di implicazioni … La necessità di esercitare il proprio potere procede unicamente dalla considerazione che la verità che io sostengo sia vera al di fuori della parola, non sia costruita dalla parola, se no in quel caso è solo una sequenza, una stringa di elementi linguistici e non ha nessuna costrittività, è solo quando ciò che si crede è immaginato una realtà esterna al linguaggio allora deve essere imposta su tutti perché io devo confermare la mia verità a tutti i costi … Intervento: devono sempre trovare qualche cosa che seduca le persone e perdono di vista … le proprie parole hanno come referente altre parole, altre stringhe per cui qualsiasi cosa mi trovi a considerare come la cosa più importante e quindi soffrirne devo sapere in tempo reale che questa cosa importante è costruita di sana pianta dal mio discorso, e per essere importante devo credere che sia qualcosa fuori dalla mia parola, che non è la mia parola che risponde … Sì funziona perché, ed è la condizione per cui funzioni, perché è pensata fuori dal linguaggio, come qualcosa che accade, per cui non ci posso fare niente, di cui sono vittima, appunto subisce il linguaggio, potremmo dire che l’analista è chi cessa di subire il linguaggio ma lo agisce, e non può più subire il linguaggio in nessun modo. 17-8-2011 Allora a che punto siamo con la conversazione analitica? Intervento: perché l’obiettivo dell’analisi è quello di non avere più bisogno di credere in nulla? Non è l’obiettivo, è un effetto, l’obiettivo è praticare il linguaggio, poi come effetto c’è anche quello certo, agire il linguaggio anziché subirlo … Intervento: per giungere a questo a praticare il linguaggio il pensiero deve essere libero di muovere e quindi non deve attestarsi su nessuna verità extralinguistica e quindi possa accogliere, per esempio, tutte quelle stringhe di proposizioni che generalmente vengono escluse, cioè non vengono accolte dal discorso della persona, non vengono accolte perché si è stati addestrati a credere che le cose esistano fuori dalla parola e che siano fatte in un certo modo ovviamente fuori dalla parola, per potere avere a disposizione i propri pensieri e quindi tutto ciò che il proprio pensiero produce occorre almeno andare al di là del bene e del male, ad un certo momento dell’analisi poter fare i conti con quelle stringhe che funzionano all’interno del proprio pensiero a sviare certe direzioni o ad imporne altre e quindi uno dei modi per giungere a praticare il linguaggio è non avere più bisogno di nessuna “morale” l’analista occorre che sia, non immorale ma amorale, come si diceva tanti anni fa, e per poter considerare le cose, come funzionano all’interno della propria struttura di pensiero occorre che queste stringhe si producano e io possa utilizzarle … parlare sì certo, fino ad accorgersi che il parlare è l’unica cosa a mia disposizione perché parlando io penso, perché il pensiero è fatto di parola, questo per intendere quello che avviene in una conversazione analitica, in linea di massima una persona racconta le sue storie, le sue magagne, in linea di massima si accede all’analisi per qualche problema … Dunque che cos’è che caratterizza una conversazione analitica? Cos’è che la distingue da una chiacchierata tra amici? Intervento: intanto l’ascolto di un’altra persona … l’ascolto dell’altro, che è una autorità, giustifica quello che io dico anche se in certi casi da questa giustificazione può sorgere una contrapposizione proprio all’autorità, comunque non è semplice lasciare che le cose si dicano, si producano, se tutto è finalizzato alla giustificazione e quindi ad essere importante … L’ascolto dell’altro? chi è quest’altro? Intervento: l’analista che ovviamente deve essere formato all’ascolto … per molto tempo esistendo la questione del bene e del male la persona è indotta a dire quello che dice in base a ciò che giudica sia l’ascolto dell’altro … tutto passa attraverso l’ascolto dell’altro, nel senso che crede che l’altro risponda allo stesso modo in cui invece è lei che risponde, attribuendo i suoi pensieri all’altro … Come accade che a un certo punto non è più soltanto l’analista ad ascoltare il discorso ma la persona stessa che incomincia ad ascoltare il proprio discorso? Intervento: perché si accorge dell’importanza della propria parola, delle proprie affermazioni … Anche prima considerava importanti le cose che diceva, anche le peggio fesserie le considerava importanti … Intervento: man mano che si prosegue nel percorso analitico tutte le cose importanti vengono messe in gioco, nel gioco linguistico, vengono considerate, verificate e quindi man mano molte cose perdono l’importanza e quindi non vengono più utilizzate … Intervento: l’analista è lui che interviene anche chiedendo come fa a sapere che le cose sono a quella maniera e automaticamente la persona comincia ad avere dei dubbi sulle certezze … Questo può avvenire, ma all’inizio se chiede alla persona come fa a sapere che le cose stanno così le risponde immediatamente “perché l’ho visto, perché me lo hanno detto, perché lo so, perché quella persona si comporta sempre così” … Intervento: sì è importante questo aspetto per ascoltare il proprio discorso, occorre che non sia più certo come lo era all’inizio per esempio basta chiedere conto delle cose che afferma a questo punto lo ha imparato … Intervento: mettiamo che stai raccontando la storia della tua vita, per molto tempo ti ricordi che le cose sono andate in un certo modo, l’analista subito non può dire “è ovvio il ricordo è un punto di partenza importante da cui partono i suoi pensieri, è il sistema inferenziale che parte da una premessa e attraverso dei passaggi che non contraddicono la premessa conclude, l’analista non lo può fare ascolta quello che tu gli dici, quelli che tu chiami ricordi, che sono le basi della tua realtà, che sono i riferimenti della vita che tu vivi … A che punto dicevo prima avviene questo passaggio e cioè la persona incomincia ad ascoltare quello che dice? Che è un punto fondamentale in una analisi e non è neanche così automatico che accada, però ad un certo punto può accadere, cosa avviene lungo questo percorso? Cosa ha fatto l’analista perché si verifichi una cosa del genere? Intervento: l’analista interviene chiedendo ovviamente le condizioni per le cose che dice però reperendo quali sono i punti nodali del discorso della persona perché se no la persona continua a parlare e non si rende conto delle cose che lei va raccontando e quindi facendo ma l’ascolto dell’analista “ricorda”, sarebbe meglio dire costruisce in qualche modo questo racconto che la persona fa e che si trova a ripetere incessantemente e quindi passo dopo passo nell’analisi ci sono cose che si ripetono e quindi l’attenzione dell’analista sarà fare in modo che la persona si accorga delle cose che va dicendo e quindi ripetendo, l’analisi procede mano a mano mostrando quelle che sono effettivamente le cose che sostengono quel discorso, perché i punti nodali di cui tiene conto l’analista per la persona non sono punti nodali i punti nodali, semmai, sono ricordi, le cose che continuamente le accadono e lei non sa nulla del perché le accadono, certo si può accorgere di come costantemente il proprio pensiero sia attratto da certe questioni, questo indubbiamente, ma se non ci fosse l’analista che interviene nel restringere il campo questo discorso continuerebbe a giocare il suo gioco senza poter nulla se non subire quel discorso che lei va facendo, è ovvio che poi mano a mano la persona comincia ad accorgersi di tutte le analogie, di tutte le “storie simili” diciamo così, che il proprio discorso va costruendo e rimettendo sempre in gioco nel proprio pensiero, come dire tutta una serie di pensieri funzionano e costruiscono una certa cosa e un’altra serie di pensieri costruiscono in un modo totalmente differente, con altre stringhe, altri attori, altre storie, altri “episodi” chiamiamoli così, altri racconti, ci si accorge delle analogie, delle similitudini di come abbiano la stessa struttura nonostante siano diametralmente opposti in certi casi oppure senza nessun riferimento, cose assolutamente differenti, per cui ovviamente l’importanza è sempre di più per quelle proposizioni che fanno funzionare il proprio pensiero … Intendere che cosa sta funzionando come elemento religioso, vale a dire quell’elemento importante, quello che per la persona è importante, e il compito dell’analista è intendere perché è importante, che cosa c’è di importante, qualunque cosa sia è irrilevante, l’essere importante all’interno del discorso è come dire che quello è un caposaldo, è una di quelle affermazioni o proposizioni fondamentali, fondanti il discorso e potrebbe anche rinviare alla premessa, per esempio, di tutto un discorso e questo si rileva attraverso l’importanza che il discorso dà a quell’elemento o a quegli elementi. A questo punto come vi dicevo il compito dell’analista è domandare al discorso perché certe cose sono importanti, certo questo può comportare l’aggancio con altre cose che apparentemente sembrano non avere nulla a che fare, ma all’interno del quale comunque continuano a insistere, questo elemento che è ritenuto importante dal discorso si ripete, perché essendo importante per la persona è tutto ciò che consente al suo discorso comunque di costruire altre proposizioni, una proposizione è importante all’interno del discorso perché consente la costruzione di altre sequenze, è questo che la rende importante, perché è una verità e come tale su questa verità è possibile costruire qualunque cosa. La via più efficace all’interno di un’analisi è quella che porta a quel passaggio di cui dicevo prima, e cioè incominciare ad ascoltare il proprio discorso, quando la persona incomincia a domandarsi: “perché una certa cosa è importante nel mio discorso, in ciò che sto dicendo, perché, cosa comporta”. La persona incomincia a trovarsi di fronte al proprio discorso quando il proprio discorso diventa un racconto o meglio una teoria, una teoria da considerare, da valutare, da interrogare, quando appunto si è instaurata la possibilità di una domanda del genere, cioè perché è importante qualcosa? Domanda che lo accompagnerà poi per tutta la vita a seguire, indipendentemente dal fatto che decida di praticare come analista oppure no, ma perché è importante una certa cosa? Come dire che questa cosa è considerata vera all’interno del discorso, che è la stessa cosa, è ovvio che avendo gli strumenti per rispondere a questa domanda, perché se non li ha non succede niente, se ha gli strumenti allora può considerare che il motivo per cui una certa cosa è importante è perché questa cosa è vera rispetto ad altre cose che ha imparate, che ha acquisite, alle quali crede, ed è a questo punto che diventa una sorta di automatismo o dovrebbe diventarlo, trovarsi di fronte a delle questioni e svolgerle in tempo reale praticamente, laddove nulla ha la possibilità di attestarsi “credo questo perché è vero, è vero perché quest’altro è vero, perché quest’altro è vero, quest’altro è vero …” finché a un certo punto il discorso religiosamente trova qualche cosa su cui attestarsi, qualche cosa che per lui è indiscutibile e allora si ferma, ed è uno di quegli aspetti religiosi di cui accennavamo anche la volta scorsa, ora se c’è dell’analista questo non può in nessun modo accadere, perché questo percorso non troverà mai, e la persona a quel punto lo sa che non troverà mai qualcosa su cui arrestarsi, e quindi sa che se crede una certa cosa è per una superstizione, non c’è nessun altro motivo, per la questione religiosa, a questo punto il modo in cui si pone di fronte a questa cosa è totalmente differente … Intervento: può essere anche una questione estetica qualcosa che non vuole affrontare perché le piace così, per esempio la questione dei valori … Gli piace così sì, ma c’è sempre un buon motivo per cui piace una certa cosa, difficile che sia solo una questione estetica, gli piace una certa cosa perché intanto … Intervento: non vuole affrontarla preferisce non farlo … Certo perché se è una cosa che è bella essendo bella è anche necessariamente vera, in genere si pensa così, ma è sempre la questione della verità, la questione più antica da parte degli umani è la verità e ciò che si instaura è un procedimento tale per cui ciò con cui ha a che fare la persona, questo però accade in genere quando l’analisi è a un punto tale per cui c’è dell’analista, dicevo che ciò che non può non considerare è che ciascuna cosa, ciascuna parola non è altro che l’esecuzione di un algoritmo, il linguaggio è un algoritmo, non è altro che un’istruzione per la costruzione di sequenze. Il lavoro che stiamo facendo è intendere esattamente quale algoritmo, quale algoritmo è sufficiente alla costruzione di qualunque stringa linguistica e la parola, come dicevo, non è altro che l’esecuzione, come una macchina, la parola è una macchina che esegue un algoritmo, l’analista è colui che non può non praticare, e quindi ovviamente sapere una cosa del genere in ciascun atto di parola, e di conseguenza, considerata la questione in questi termini, parlare di questioni religiose o cose del genere è una cosa che non è più praticabile in nessun modo. Questo per arrivare proprio al fine corsa, dove chiaramente la considerazione che non può più non farsi è che la parola è l’esecuzione di un algoritmo, vedremo di stabilire esattamente quale algoritmo funziona all’interno di ciascuna parola, quello in condizione di costruire qualunque cosa, alcune cose abbiamo detto certo, però forse possiamo arrivare a qualcosa di più preciso, qualcosa di prossimo a ciò che tempo fa indicavo come “pensare come una macchina” che non ha nulla di negativo, pensare come una macchina è sapere e non potere non sapere che ciascun atto di parola è costruito da un algoritmo che continua a funzionare e funzionando produce proposizioni, poi ogni volta che una di queste proposizioni si attesta su un qualche cosa immaginando che non sia costruita da un algoritmo ma da un qualche cosa che è fuori dal lin- guaggio, allora quello si stabilisce come un elemento religioso, lì il discorso si attesta e incomincia a costruire quegli aspetti religiosi che sono noti come credenze, superstizioni, molto spesso anche emozioni eccetera, Queste cose che hanno come condizione l’attestarsi su qualche cosa immaginato fuori dalla parola, che procede da qualche cosa che è una realtà extralinguistica e quindi rispetto alla quale non si può fare niente, si può solo subire appunto. Per questo diciamo che l’analista è colui che non subisce più il linguaggio perché non può più considerare che esista qualcosa fuori dal linguaggio, non lo può fare, quindi la conversazione analitica ha questo obiettivo. Non è semplice giungere a una cosa del genere ma non più di quanto non sia far intendere a un fondamentalista islamico che Allah è una invenzione, la difficoltà è la stessa … Intervento: forse occorre esplicitare il fatto che una conversazione analitica senza il supporto di una costruzione teorica fatta in questo modo, non può proseguire … Prosegue come è sempre proseguita, cioè religiosamente, al posto di un attestazione su un qualche cosa la sposta su un’altra attestazione, su quello che dice Freud per esempio, che dice Lacan, che dice Verdiglione, che dice chiunque, che è solo uno spostamento fra un credo e un altro … Intervento: in questo discorso invece non c’è nessuna attestazione, cioè è un discorso fluido … Fluido al punto da non dare più importanza a tutta quell’aura di tragicità, di gravità che hanno le cose che gli umani pensano generalmente, che si aspettano che vengano riconosciute come gravi, importanti e interessanti soprattutto … Intervento: l’analista è importante anche se non parla cioè se è indifferente alle mie cose importanti, di qui è nata la mia interrogazione … ascoltava certo però non partecipava alla cosa … Dipende dal discorso, per esempio nel discorso paranoico non si interviene effettivamente, si lascia che continui a parlare mostrando poi eventualmente che le cose non stanno forse soltanto come dice ma anche in un altro modo, mentre nel discorso isterico la questione è differente, differente dal discorso schizofrenico o ossessivo, ci sono vari modi in cui la persona espone le sue verità, a seconda delle modalità con lui le espone possiamo distinguere grosso modo delle strutture di discorso, è una cosa che si acquisisce con l’esperienza, ma si potrebbero anche invece stabilire dei criteri rispetto a questi discorsi, cioè come cogliere delle istanze che appartengono a un certo discorso e come intervenire rispetto a un certo discorso, almeno per evitare di commettere errori grossolani, ché un intervento fatto in un certo modo con il discorso isterico per esempio non funziona assolutamente con il discorso schizofrenico, o con un discorso paranoico, anche se l’obiettivo è sempre lo stesso però è differente il modo in cui la persona si attende di essere importante. Ora si potrebbe anche dire alla persona che non ha nessuna importanza, il problema è che si alza e se ne va, e non è questo l’obiettivo in una analisi. L’obiettivo inizialmente, così come abbiamo detto mille volte, all’inizio dell’analisi è che la persona continui a parlare, e perché continui a parlare occorre che abbia un motivo per farlo e il motivo per farlo è interessare l’analista, prevalentemente questo, e quindi l’analista occorre che mostri dell’interesse in un modo o nell’altro, a seconda del tipo di discorso che ha di fronte. Ciascuna seduta è differente da ciascun altra, non soltanto ciascun discorso ma ciascuna seduta è differente da ciascun altra e ciò che si gioca, si gioca tutto lì, in quel frammento di tempo che dura una seduta, lì si gioca anche il fatto che un analizzante torni la volta successiva per esempio, cosa che non è così automatica. Avete di fronte una persona che ha un bagaglio di superstizioni, di religioni, di credenze inverosimili, ciascuna delle quali per la persona è di straordinaria importanza, il suo timore più grande è che una di queste cose possa non essere presa con la considerazione che merita, e sono sterminate le cose in cui crede, alle quali tiene, le cose importanti, dicevamo prima, e questo naturalmente rende conto anche della difficoltà della conduzione di un’analisi, che non ha mai nessuna garanzia, non c’è neanche la garanzia che la persona torni la volta successiva, in fondo come si diceva tempo fa la cosa che sorprende non è che la persona interrompa l’analisi ma che la prosegua, che la prosegua nonostante si trovi a dovere confrontarsi con cose che per tutta la vita ha tentato di evitare: paure, ansie, angosce, fobie, superstizioni di ogni sorta, un bagaglio ster- minato di superstizioni, quasi illimitato, con il quale occorre fare i conti. Ogni volta che apre bocca enuncia una quantità sterminata di atti di fede ai quali crede, crede fortissimamente, non solo crede che siano veri ma credendo che siano veri, crede anche che siano importanti ma non per sé, ma per il mondo intero … Intervento: stavo ribadendo che l’analisi é come fosse la cosa più interessante del mondo e la più terribile in certi momenti … Spesso sì, la persona ci tiene tantissimo alla tragicità di quello che dice, è per questo che è così lunga l’analisi, perché essendo così fortemente aggrappata alla tragicità e alla sua importanza prima che si pongano le condizioni perché possa lasciare questa importanza a vantaggio di altro ce ne passa. Da tutto questo pare che l’analista debba avere una sensibilità particolare e straordinaria, il che non è, perché anche una macchina potrebbe farlo se sufficientemente addestrata, in fondo tutto ciò che rileva un analista lo rileva in base alle sue conoscenze, in base alle acquisizioni durante il suo percorso, anche una macchina può acquisire tutte queste cose e valutare anche le sfumature, in fondo che cos’è la sfumatura? Qualche cosa che si mostra ma che mostrandosi nasconde, volutamente oppure no, questo si tratta di stabilirlo, un’altra cosa che invece nasconde per qualche motivo, la sensibilità sta nel cogliere quell’aspetto che non è manifesto, perché una macchina non dovrebbe poterlo fare? Se è addestrata sufficientemente bene lo fa anche meglio e più rapidamente, si diceva già dai tempi di Freud che l’analista dovrebbe essere sgombro da superstizioni sue, da credenze eccetera, chi meglio di una macchina che non ha mai avuto neanche accesso a una cosa del genere? Intervento: bisognerebbe spiegare quando parliamo dell’analista che dovrebbe funzionare come funziona il pensiero di una macchina … Qui si va a urtare contro un’altra serie di altre superstizioni ancora, che la macchina non è l’uomo, la macchina è fredda … Intervento: però occorre spiegare perché occorre giungere a non credere a nulla ma confrontarsi con quello che io sto giocando in questo momento, se non all’unica cosa che rimane dopo aver considerato tutte quante le questioni che gli umani hanno costruito e che sono accolte, imparate, utilizzate dal pensiero e quindi la parola e quindi non è facile mostrare al luogo comune che tutti i problemi sono dati dalla credenza che qualcosa sia fuori dalla parola, questo non è che sia facile … cioè il fatto di poter considerare tutte le questioni che produce il proprio discorso che sono schermate … mostrando una certa questione ne nasconde un’altra … Sarebbe come dire che ciò che fanno gli umani in tutta la loro esistenza è eseguire un algoritmo, nient’altro. 24-8-2011 Allora come affrontare la questione della conversazione analitica, che è poi la questione della tecnica? Intervento: … Non è l’analista che controargomenta, a meno che non ci siano casi particolari ma pone la persona nelle condizioni per poterlo fare … Intervento: la persona che costruisce sofferenza oppure la colpevolezza in tutte le sue più ampie diramazioni che sono i problemi che sappiamo, si accorge ad un certo momento che il suo discorso non può se non costruire sempre sofferenza, nel senso che per il discorso ossessivo per esempio, che è sempre colpevole, è sempre incapace che è sempre tutte queste cose qua, dice “ma perché non riesci a pensare e a costruire, per esempio e a tener conto delle cose che tranquillamente e continuamente fai?” cioè ad un certo punto si accorge di come sia unilaterale la direzione del suo discorso e questo è importante perché tenere conto per esempio, nel caso di un discorso ossessivo che per i motivi suoi necessita di co- struire la sua incapacità, è sempre incapace per cui non deve farsi vedere, è colpevole in poche parole, perché non è capace di costruire scientificamente al tavolino la sua capacità? Cioè perché non può tenere conto il suo discorso invece di tutte le cose … E qual è la risposta a questa domanda? Intervento: perché si accorge di come giocano all’interno del suo pensiero i giochi linguistici … Si, questo a un certo punto dell’analisi, ma il fatto che l’ossessivo preferisca soffrire che accogliere le sue capacità e godere e gioire delle sue capacità … Intervento: ma non lo può fare proprio perché è come se appunto lui potesse solo tenere conto dei misfatti, che accadono a ciascuno, ma per lui sono i più importanti perché c’è un tornaconto in tutto questo, perché … Il suo godimento si è strutturato come dipendente da una situazione di colpa, di incapacità, solo se è colpevole e incapace si manifesta il godimento nel suo discorso … Intervento: è lì che gode ma a quel punto, dici, perché gode per una cosa di questo genere? E qui si possono raccontare tutte le cose che la psicanalisi si è trovata ad elaborare, per esempio identificazioni varie che renderebbero possibile questi “scambi” la domanda successiva è perché? Anche perché la persona lamenta questa sua incapacità a godere e quindi di questo è consapevole, come se ci fossero dei giochi linguistici effettivamente che vanno gli uni contro gli altri, però se lui sapesse che è il suo benessere starebbe bene e invece c’è qualcosa che lo fa andare in una certa direzione che è quella che gli piace, perché no? che lo attrae perché no? Intervento: è una questione ostica, perché se uno ne trae godimento ovviamente … Intervento: bisogna anche intendere cosa definisci con godimento, perché se è per il discorso è sicuramente godimento cioè gode di quel discorso, gode in quel discorso non sa fare altro ma se poniamo il godimento come piacere allora è come se non potesse accogliere quel piacere. La questione è come per i valori, la persona credendo fortemente che una certa cosa sia assolutamente vera e quindi fuori dalla parola va avanti all’infinito, se non si pone nessuna domanda, a costruire in quel modo, è sempre la questione della verità. Si parla spesso di effetti in analisi, ci sono degli effetti, ma cosa si intenda con effetti generalmente non è dato sapere, però qualche cosa si produce nel momento in cui la persona si accorge che ciò in cui crede fermamente e che lo costringe a comportarsi in un certo modo non ha necessità di essere creduta perché non può sostenersi, non è assolutamente vera come pensava prima, cioè pensandola come assolutamente vera questo la costringe a una serie di operazioni che vanno dalla depressione, alla anoressia o al farsi saltare per aria in un cinema affollato, quindi l’effetto è sempre un effetto che si produce in seguito al venire a sapere qualche cosa, a venire a sapere che ciò in cui crede fortemente, quindi ciò che lo costringe a comportarsi in un certo modo, non è credibile. È a questo punto che qualcosa si modifica, anche la condotta si modifica, se una persona è spaventata da una certa cosa e poi si accorge che questa cosa non c’è, cessa di essere spaventata … Intervento: sì però le questioni, i giochi che intervengono continuamente nel pensiero devono essere assolutamente elaborate perché detta così, potrebbe dissolversi immediatamente la credenza “dio non c’è” è falso quindi non credo più … Perché non si dissolve immediatamente? Perché la persona dovrebbe abbandonare le cose in cui crede? Perché? Chi glielo fa fare? Le cose in cui crede gli forniscono una quantità di occasioni per potere parlare, per potere affermare le cose che lui crede essere vere quindi per sentirsi importante, se lui rinuncia a queste cose nella sua idea è come rinunciare a essere importante e questo non lo vuole fare, per cui non abbandona le sue certezze, è questo il motivo per cui è lunga e complicata l’analisi, perché la persona non vuole, già Freud l’aveva inteso almeno in parte, non vuole abbandonare le cose in cui crede per nessun motivo, non più di quanto un fondamentalista islamico voglia abbandonare la sua fede in Allah … Intervento: quindi la questione sulla quale la persona deve riflettere è il perché necessita di essere importante per qualcuno? La parola diventa sempre più importante … Sì, è necessario che la persona si interroghi certo sulla parola, sulla sua struttura, di fatto inizialmente la persona crede delle cose, ci crede fortissimamente e questa è la causa dei suoi malanni, ma è anche ciò che le consente di vivere, le consente di esistere, fornisce un motivo alla sua esistenza che non è poco, e quindi non le abbandona. A quali condizioni può abbandonare una cosa del genere? Intervento: a condizione che il suo pensiero possa funzionare perché ha sostituito le cose di una realtà … Funziona esattamente come una teoria, si abbandona una teoria quando ci si accorge che la conclusione cui giunge tale teoria è inconsistente, non può essere sostenuta, e allora una teoria si abbandona così come è stata abbandonata la teoria tolemaica che diceva che la terra era piatta come un tavolo da stiro, in base a certe nuove acquisizioni questa teoria non poteva più essere sostenuta cioè è diventata inconsistente, e quindi abbandonata; una persona abbandona la sua teoria quando ciò in cui crede diventa inconsistente cioè insostenibile, ora perché questa cosa si verifichi è ovvio che occorrono una serie di passaggi, di elementi, intanto che incominci a raccontare le sue storie, poi che interroghi le sue storie e interrogando le sue storie verifichi perché queste storie per lui sono importanti, cioè sono vere, vere al punto tale da costringerlo a muovere in una certa direzione, non tutte le storie ovviamente ma alcune per lui funzionano come storie importanti e sono quelle che pilotano la sua esistenza, dicevo non tutte perché per esempio la storia di Cappuccetto Rosso generalmente non comporta modificazioni della propria vita. Dunque si trova di fronte all’inconsistenza di una teoria ma per giungere a verificare che questa teoria, cioè le cose in cui crede sono inconsistenti, il percorso è lungo e difficile perché non vuole abbandonare per nessun motivo le cose in cui crede e si opporrà comunque a verificare che sono inconsistenti, in alcuni casi anche di fronte all’evidenza dei fatti comunque, come un fondamentalista islamico, è esattamente la stessa cosa per cui è un percorso lungo e difficile ma non ce ne sono altri. Una persona che inizia un’analisi, per il fatto di avere fatta una domanda di analisi è come se avesse detto di essere disposta a interrogare i suoi pensieri, a confrontarsi con le cose in cui crede, alle cose che pensa ed è questo il motivo per cui può esserci un effetto, perché uno potrebbe anche essere il miglior analista del mondo se l’altro non vuole fare analisi non farà assolutamente niente, nulla, ed è questa disposizione della persona a fare l’analisi che gioca a favore del percorso analitico. Data la sua disponibilità ecco che incomincia, dopo avere raccontate tutte le sue storie, a interrogarle, a chiedersi perché sono importanti per lui queste storie, a chiedere alla storie perché sono importanti e a accorgersi che sono importanti perché sono vere, ma come è accaduto che abbia creduta vera una certa cosa, come è successo? Perché? Lì la cosa diventa interessante, e lì incomincia ad avere l’opportunità di avviare anche una riflessione intorno a come funziona il linguaggio, che ha creduto vere certe cose e sono quelle, potevano anche essere altre certo però è come se non potesse non credere in qualche cosa di fatto, e non ha torto a pensare una cosa del genere, quando si dice, nel luogo comune “gli umani devono credere qualcosa” non è del tutto errato, certo se non si intende la struttura del linguaggio cioè non si incomincia ad agire il linguaggio è inevitabile questo, è inevitabile che la persona debba credere in qualche cosa e quindi crederà la prima stupidata che gli passa per la mente o che incontra o che vede, per qualche motivo si aggancia qualcosa che per lui è stato ed è importante. È dalle prime considerazioni, nelle prime istruzioni che riceve, quelle danno la direzione, dicono che le coesistono in quanto sono vere, sono importanti, sono importanti perché gli consentono di esistere cioè di parlare, poi esistere è questo, nient’altro che questo, lì accadono delle cose che sono impossibili da verificare ma ciò che accade in quei momenti può essere determinante perché in quel momento si stabilisce una qualche verità talmente importante per la persona, importante perché gli ha consentito di accorgersi di esistere, cioè di parlare, che tutto ciò che si aggancia a questa cosa ne ri- cava la stessa importanza, la stessa incontrovertibilità, e su questo costruisce la propria esistenza, cioè la propria parola, quindi il proprio discorso, le proprie superstizioni, credenze, religioni. Questo procede dal fatto, ma questo è complicato da dire in una situazione del genere, dal fatto che queste istruzioni vengono fornite senza aggiungere che sono istruzioni, vengono prese semplicemente come una materializzazione magica delle cose, cosa che si ripeterà poi all’infinito, da dove vengono le parole? Magicamente, nessuno sa … Intervento: pensavo di parlare dei frammenti di un sogno per esempio, come delle istruzioni che possono costruire per esempio una certa interpretazione o una risposta a una domanda che fino ad allora l’aveva trovata … È molto complicato, anche perché quando si parla di frammento generalmente si considera o un frammento di un sogno o un frammento di un discorso, un piccolo pezzo di un discorso, un piccolo pezzo e incompleto che tuttavia indica un altro discorso più ampio per esempio, e così come dice la psicanalisi può essere inconscio, però questo frammento apre a tutta un’altra serie di questioni che dopo ci sarà la possibilità di intendere, di reperire. Parlare di istruzioni se non si fa un discorso molto complesso che riguarda le macchine non si intende niente, non sono istruzioni, sono delle cose che la persona acquisisce, che comprende, che viene a sapere, ma porle come istruzioni non risuona in chi ascolta, nell’accezione in cui lei può intenderla. È un discorso che sarebbe bello fare, magari lo farò nelle conferenze che faremo perché lì c’è il tempo e la possibilità di articolare la cosa partendo dalla crisi dei fondamenti, dal programma di Hilbert, cioè dal sogno di costruire una teoria, in questo caso la matematica, che sarebbe dovuta essere il paradiso dei matematici cioè una teoria assolutamente chiusa in sé e completa di tutto, che non ha bisogno di niente all’infuori di sé, questa operazione non è riuscita a causa di Gödel per un verso e di Turing per un altro … Intervento: però è stata una grande idea quella di Hilbert … Però non ha funzionato, non ha funzionato perché la matematica non è il linguaggio, la matematica è un gioco linguistico e se si cerca di trovare in un gioco linguistico la sua giustificazione quindi come direbbero i filosofi “l’essere” al di fuori di sé, al di fuori del gioco linguistico, cioè al di fuori del linguaggio, non lo può fare, non la troverà mai, sarebbe come chiedere a una carta da poker di giustificare il fatto di essere un re di picche “giustifica, dimostrata che sei un re di picche” e se la carta potesse parlare direbbe: “sono un re di picche perché mi è stato detto che sono un re di picche e ho questa funzione”, ma se volessi cercare la dimostrazione del fatto che quello è un re di picche e quindi è una carta superiore a un sette di cuori non andrei da nessuna parte. Il linguaggio invece ha questa prerogativa: è un sistema chiuso certo, può costruire tutto … Intervento: all’interno del quale giocano tutti i giochi linguistici … Non solo, ha un criterio di prova definitivo, quello che cercava Hilbert all’interno della matematica senza potere trovarlo perché lo ha cercato fuori dal linguaggio, mentre per il linguaggio l’unico criterio di prova è il fatto che un elemento appartenga al linguaggio: se appartiene al linguaggio è vero se non appartiene al linguaggio non è vero, molto semplicemente, è un funzionamento straordinariamente semplice, però è ciò che consente di costruire una teoria che muove semplicemente dal linguaggio. Turing ha avuto questo colpo di genio: ha intuito la possibilità di creare una macchina pensante sul modello ovviamente del pensiero degli umani, anche perché non aveva altri modelli, per potere compiere questa operazione ha dovuto riflettere su come funziona il pensiero e come si addestra il pensiero, come accade che a un certo punto si incomincia a pensare. Qui c’è un problema che taluni hanno sollevato, lo stesso Sini da qualche parte aveva detto: “ma se io voglio insegnare a qualcuno a parlare, per esempio voglio dirgli che questa cosa è nera, per potergli indicare, per fare in modo che lui capisca che è nero occorre che sia già nel linguaggio, per capire il gesto, per capire “questa cosa qu”, ma siamo sicuri che sia così? Perché una macchina invece come si addestra? La macchina, il computer, prima che inizi a funzionare è un pezzo di ferraccio, non ha niente dentro, non c’è assolutamente niente, com’è che ad un certo punto incomincia a “pensare” tra virgolette, adesso non lo fanno ancora perché non sono programmati per farlo, ma lo faranno sicuramente, qual è il criterio perché, questo lo diceva Turing, per sapere se una macchina incomincia a pensare come un umano? Si mette un umano e dall’altra parte la macchina con un schermo davanti, lui l’umano non sa che è un computer, fa delle domande, fa delle cose e in base alle risposte che ottiene stabilisce che ciò che ha di fronte e non vede è un umano che gli risponde come risponderebbe un umano, a questo punto, diceva Turing, abbiamo la “certezza” tra virgolette che la macchina pensa come un umano perché non è più distinguibile. Ma dunque la macchina incomincia a funzionare perché gli si immettono delle istruzioni, gli si dice come utilizzare queste istruzioni, gli si mette dentro un sistema operativo se no come dicevo è un pezzo di ferro che non fa niente, e così anche il cervello umano, se non gli si mette dentro il sistema operativo e cioè il linguaggio, va bene solo per farci la frittura … Intervento: si potrebbe illustrare come l’analista della parola programma effettivamente … In questo caso non è propriamente addestrare a pensare ma a fare in modo che la macchina possa avere, e cioè il cervello umano in questo caso, come macchina, possa avere accesso al sistema operativo cioè fare in modo che il computer, che la macchina non solo funzioni cioè svolga delle operazioni in base a degli algoritmi che gli sono stati messi dentro, l’algoritmo non è nient’altro che una sequenza che consente a una macchina di riprodurre quell’operazione, sempre la stessa, ma deve fare in modo che la macchina, così come l’umano, abbia la possibilità di accorgersi di funzionare perché ha un sistema operativo che funziona in un certo modo e che tutto ciò che costruisce non sono altro che delle sequenze consentite da quel sistema operativo, cosa che le macchine ancora oggi non possono fare, ma ci stiamo avvicinando … Intervento: … Più che programmatori sono fisici, programmare un software del genere è tutt’altro che semplice, però per un fisico sarebbe una bella scommessa, è chiaro che nessuno fa una cosa del genere se non ha i soldi per farlo, e i soldi gli vengono dal fatto che qualcuno ci veda un guadagno e quindi la prima cosa che si pensa è l’utilizzo militare, cioè costruire delle intelligenze artificiali per poterle utilizzare, una macchina che prenda delle decisioni in base a ciò che sta accadendo, che sa perché lo fa, esattamente come farebbe un umano, un militare in quel caso, di fronte a una certa situazione sa subito come agire o si spera che lo sappia, ma la macchina lo sa sicuramente e in base alle informazioni che ha agisce immediatamente, in tempi molto più rapidi e senza indecisioni. Un problema che i nazisti avevano riscontrato quando hanno deciso di sterminare gli ebrei, li uccidevano utilizzando dei militari tedeschi, che sparavano col fucile agli ebrei, a parte che era un sistema molto lungo e poi molti dei soldati tedeschi avevano dei problemi di coscienza, e questo creava dei problemi. Anche una macchina potrebbe avere dei problemi di coscienza se gli si immette un’informazione per cui la vita umana sia un valore. Nei film di fantascienza si diceva sempre che la prima regola fondamentale era di non nuocere all’uomo mai, per nessun motivo. Insomma questa è una bella questione, complessa, non semplice però molto bella da affrontare in tre conferenze, per esporre una cosa del genere e per giungere poi a considerare che tutto ciò che gli umani costruiscono, i loro pensieri, sono soltanto delle sequenze, delle stringhe e che hanno l’importanza che hanno per via del valore che viene attribuito a certe stringhe e in base a delle connessioni, delle relazioni con altre sequenze, e si intende così perché una certa cosa diventa importante, diventando importante la macchina cioè l’uomo si comporta di conseguenza. A questo punto non c’è più bisogno di nessuna psicanalisi, non c’è bisogno di Freud, Lacan, tutto ciò scompare nel nulla come un’antica superstizione, come la teoria tolemaica per fare un paragone. Intervento: però potrebbe anche la macchina poi in futuro costruire problemi quando comincia a pensare … Se è stata costruita con tutte le informazioni che hanno gli umani è inevitabile che possa avere dei conflitti, a meno che se chi ha costruito la macchina ha anche bypassato questa difficoltà, allora vuole dire che gli ha messo un comando tale per cui ha la possibilità di reperire sempre e comunque che tutto ciò che costruisce non è nient’altro che una sequenza che è possibile per via di un sistema operativo e che non significa nient’altro, il significato lo acquisisce in base ad altri giochi linguistici che non sono nient’altro che altre sequenze, solo sequenze, e che quindi il valore di quelle cose non è un valore assoluto come la verità per gli umani, come nella filosofia “l’essere”, ma la verità è soltanto un indicatore, indica che di lì si può andare perché il conseguente non nega l’antecedente ed avendo informazioni di logica sa che un’implicazione è sempre vera tranne il caso in cui sia vero l’antecedente e falso il conseguente, se no è sempre vera. Dicevo che è una bellissima cosa da esporre, va pensata bene, per giungere a considerare che non è più tempo di pensare all’inconscio, alla rimozione, alla resistenza e a tutte queste storie, la cosa è molto più semplice e se la si prende per il verso giusto, e cioè se la si affronta per quello che è e cioè un fatto linguistico puro e semplice. Ma occorre sapere come funziona il linguaggio e per sapere come funziona il linguaggio basta verificare che cosa è necessario al linguaggio per potere funzionare, per potere eseguire le sue funzioni logiche, per compiere queste funzioni ha bisogno di alcuni algoritmi che abbiamo incominciato a stabilire partendo anche dalla logica formale, utilizzando in particolare la logica dei predicati del prim’ordine e cioè le variabili individuali e proposizionali, i connettivi, qualche segno di interpunzione … Intervento: i connettivi sono invarianti … Certo, non possono variare, un non non potrà mai essere una e, se no non funziona più niente, d’altra parte anche una macchina, un computer funziona con i connettivi c’è la e c’è la o, se e solo se c’è il non e se gli si cambiano queste cose la macchina cessa di funzionare perché non sa più assolutamente cosa fare … Intervento: intendere che una persona è come una macchina è stata costruita letteralmente … Propriamente sarebbe la macchina che è come una persona, perché la precede, almeno temporalmente … Intervento: … Sì, e l’obiezione che fanno tutti, “le macchine sono costruite dagli uomini e non viceversa”, beh anche gli uomini sono costruiti dagli uomini e addestrati dagli uomini “la macchina si può sempre fermare, basta staccare la spina” anche un uomo, basta che gli si spari in testa e si ferma anche lui allo stesso modo. Freud ha dato questo input, interrogare le affermazioni che si fanno tenendo conto che c’è qualche cos’altro, solo che lui questo qualche cos’altro lo aveva immaginato come l’inconscio, invece è molto più semplice: questo qualche cos’altro sono i motivi per cui si afferma qualche cosa, ma da dove viene ciò che sto dicendo, dire che viene dall’inconscio non risolve niente, sposta solo la questione, e l’inconscio da dove viene? Da ciò che è rimosso e perché si rimuove qualcosa? Perché dà fastidio, e perché da fastidio? Questo lo dice anche lui, perché va a urtare contro la morale sessuale civile ma se io non credessi nella morale sessuale civile? Non c’è rimozione e quindi non c’è inconscio. Dobbiamo veramente fondare una Scienza della parola che tenga nel dovuto conto anche la psicanalisi, il fatto che io mi sia formato come psicanalista non è irrilevante, per i motivi che ho detti prima, e cioè per questa interrogazione iniziale di Freud, poi però le cose sono andate molto oltre. 31-8-2011 Tantissime cose vorrei dirvi intorno alla macchina, e intorno alla possibilità di approcciare tutta la questione di cui ci stiamo occupando da un altro aspetto che potrebbe essere interessante, partendo cioè da come si sono formate certe idee attraverso per esempio alcuni personaggi, uno di questi è Nietzsche, che ha dato un grosso contributo, senza che lo sapesse, alla nascita, non della psicanalisi in quanto tale ma di una ideologia connessa con la psicanalisi. Poi parlare di ciò che stiamo facendo, di quanto ciò che abbiamo detto riguardo alla necessità che ha il linguaggio quindi la parola di concludere con un’affermazione vera sia determinante per il modo in cui gli umani pensano, per quello che fanno, perché tutto ciò che si trovano a pensare e a fare soprattutto è pilotato dall’esigenza di imporre la propria volontà sull’altro, l’avere ragione, l’essere importante con tutte le varianti che intervengono a partire da questo, poi ci sarebbe ancora un’altra questione che è di notevole interesse riguardo il funzionamento della macchina, e cioè sul come si apprende il linguaggio, ci sono delle questioni che meriterebbero di essere affrontate cioè su come è possibile insegnare a una macchina a pensare. Un computer, un hard disk senza il sistema operativo è un pezzo di ferro, finché non ci si mette dentro il sistema operativo, allora diventa qualche cosa che può fare delle cose di qualche interesse e si faceva la connessione con gli umani, in fondo anche il cervello, se non gli si immette un sistema operativo il cervello va bene per farci la frittura, e anche qui ci sarebbe tantissimo da dire a partire dai problemi sollevati da Hilbert fino alla macchina di Turing, che mostrano problemi che si riscontrano quando si riflette sul funzionamento del pensiero in generale, ma non possiamo affrontarle tutte simultaneamente. Potremmo partire da qualche cosa che ha posto Nietzsche e che rende conto abbastanza bene di una certa ideologia connessa con alcune teorie psicanalitiche, a proposito di quella cosa nota come la scuola del sospetto. La sua idea in due parole è che si incominciano a usare certe parole anziché altre perché vengono imposte da chi ha potere per esempio, l’albero si chiama albero, perché? Perché ad un certo punto qualcuno ha incominciato a chiamarlo così ma chi? Chi ha avuto più potere ha imposto questo modo di descrivere una certa cosa, e ciascuna di queste descrizioni, o di nomi, non sono altro che metafore, metafore per dire qualcosa e quindi da qui arrivando fino alla scienza, ogni affermazione della scienza è di fatto una menzogna perché anche la scienza utilizza delle descrizioni, delle definizioni che sono state imposte da chi ha avuto il potere di farlo e quindi ciascuno vive in questa sorta di menzogna continua. La questione della menzogna è proseguita fino ad arrivare a Freud: ciascuno parlando dice molto di più di quello che vorrebbe dire oppure di quello che sta dicendo, quindi la menzogna è strutturale, la menzogna è strutturale in quanto ciascun significante mente, mente perché dicendo una qualche cosa, questa cosa non è almeno soltanto quella ma ci sono altre questioni. Questo ha preparato per così dire una sorta di ideologia che è nata non con Freud, è nata dopo, è nata intorno agli anni 50/60 avvalorata anche da un’altra corrente filosofica nota come esistenzialismo, soprattutto con Jean Paul Sartre e il suo L’essere e il nulla, l’angoscia nasce dal fatto che l’uomo è irrimediabilmente libero perché non può non esserlo, ma questa libertà lo porta inesorabilmente a prendere di volta in volta delle decisioni che non saranno mai soddisfacenti, ché mentono anche queste cioè queste decisioni che prende non saranno mai esattamente quello che voleva fare e quindi è preso in un’angoscia totale, assoluta e irreversibile, da qui le caricature che facevano negli anni 60/70 gli esistenzialisti quelli con il maglione nero, sempre molto seri, molto nauseati dall’esistenza. L’esistenzialismo aveva questo fondamento teorico, filosofico, cioè il fatto che ciascuna decisione, ciascuna realizzazione di qualunque progetto, e lì si sente l’influenza di Heidegger, è destinato a essere insoddisfacente, a cadere nel nulla, a mostrare il nulla totale. Questa sorta di sfondo ha probabilmente contribuito alla fortuna della psicanalisi, che ha avuto fortuna non hai tempi di Freud, almeno non tantissima, ma dopo, negli anni appunto 50/60 con la semiotica anche. Si è incominciato a considerare che le parole, i discorsi, non hanno un fondamento, poi la semiotica ci ha messo del suo: ciascun segno rinvia inesorabilmente a un altro segno quindi non c’è mai l’ultimo segno e qui interviene C.S.S. Peirce, e da qui ciò che prima ho chiamato mitologia dell’impossibilità di dire le cose, di dire le cose come stanno, gli antichi avrebbero detto “cogliere l’Essere delle cose” cioè l’Essere dell’ente, dicevano così. Questa impossibilità che ha avallato in parte e in parte avvalorato le tesi di Freud che parlando ciascuno è sempre rinviato ad altri pensieri, ad altre cose, ad altre storie praticamente all’infinito, anche se Freud non diceva esattamente così, perché per Freud in fondo “la fine” tra virgolette dell’analisi poteva coincidere con la riappropriazione della persona di ciò che era inconscio ed essendo inconscio opera all’insaputa della persona, lo dice la parola stessa, dal momento in cui ciò che è inconscio diventa conscio ecco che la persona si appropria di qualche cosa che gli appartiene più propriamente, poi naturalmente con Lacan e più ancora con Verdiglione la cosa ha preso un’altra piega. Verdiglione ha seguito più la via di Nietzsche, infatti lo ha citato molto spesso all’inizio e soprattutto della semiotica, in particolare quella di Greimas, di Jakobson anche e cioè quel movimento di pensiero che ha indicato, e anche Peirce naturalmente, ha indicato in modo forte, in modo decisivo l’impossibilità di arresto di una catena segnica, di sequenza di parole in definitiva, è da qui che nascono le ultime idee intorno alla psicanalisi. Ma tutto questo che senso ha? Non moltissimo in effetti, rileva soltanto che ciascun elemento linguistico è connesso con un altro elemento linguistico, quello che dicono tutte queste storie è esattamente questo, e cioè che un elemento linguistico non esiste da sé ma esiste in quanto inserito in una catena e che quindi di conseguenza qualunque elemento, qualunque significante è connesso con un altro significante. La questione è che l’unica cosa che arresta questa sorta di regressio ad infinitum, questa cascata infinita di semiotiche, è il fatto che si sta parlando, al di fuori di questo non è possibile andare, per questo dicevo che la proposizione che afferma che “i parlanti in quanto parlanti parlano” costituisce il punto di partenza, costituisce quella affermazione che non può essere negata in nessun modo e per nessun motivo, è un po’ come se chiedessi per esempio a Eleonora “dì qualcosa che non sia una parola” è un problema, come fa a dire qualcosa che non sia una parola? È una contraddizione in termini, se dice qualcosa dice una parola ovviamente, ora questa proposizione che avevo proposta è quella che costituisce effettivamente il punto di arresto di questa discesa agli inferi, come qualcuno l’ha chiamata, perché oltre non si può andare, oltre cioè quell’elemento che consente di fare tutte queste considerazioni, che per esempio non c’è nessuna possibilità di arrestare la semiosi, come lo so? Lo so perché in prima istanza ho costruito questa teoria per esempio, e l’ho costruita perché sono provvisto di linguaggio, in caso contrario non mi sarebbe neanche mai passato per la mente una cosa del genere, quindi questa proposizione semplice semplice che ha la forma di una tautologia, cioè che “i parlanti in quanto parlanti parlano” definisce un punto di partenza su cui costruire una teoria necessaria, dando qui al termine necessario quella definizione forte che abbiamo sempre fornita e cioè “ciò che non può non essere perché se non fosse non sarebbe né quella cosa né nessun altra”, che è anche l’unica possibile. A partire da questa proposizione è possibile costruire una teoria necessaria perché se è necessario il punto di partenza, è necessaria la premessa da cui muove, ovviamente se ci si attiene passo dopo passo sempre alla premessa si giunge ad affermazioni necessarie, inesorabilmente, una di queste è che non c’è uscita dal linguaggio per esempio, ma oltre a questo mostra anche l’assoluta vanità oltre che vacuità di qualunque affermazione che non muova da questa. Sto dicendo che una teoria o muove da questa affermazione o si candida a una totale inconsistenza, cioè non dimostrabilità, naturalmente rispetto alla dimostrabilità ci sono state molte questioni che molte persone hanno poste e cioè che non è possibile dimostrare alcunché, e poi perché la dimostrazione dovrebbe essere una garanzia? Naturalmente questa obiezione è possibile farsi a condizione di non sapere, primo, come funziona il linguaggio, come funziona la struttura del linguaggio e, secondo, che gli umani sono fatti di questa struttura, se si ignora questo allora effettivamente ci si domanda “perché la dimostrazione dovrebbe costituire una prova certa?” ma perché il linguaggio funziona così, non c’è nessun altro motivo, perché gli umani sono fatti di linguaggio. A questo punto si tratta di costruire effettivamente la Scienza della Parola a partire da questa proposizione che in nessun modo può essere negata, negandola si costruisce una contraddizione, ovviamente se io nego il fatto che i parlanti in quanto parlanti parlano sto dicendo che non è vero che stanno parlando mentre io, parlante, sto parlando, come dire che per negarla sono costretto ad affermarla, non ho altre possibilità, costruire dunque una Scienza della Parola a partire da que- sto, ma come costruirla? Ci dobbiamo pensare, però intanto abbiamo posta la base che certo era già presente anche prima quando parlavamo del linguaggio, però ponendola in questi termini, cioè come parola, rende la cosa più semplice e anche forse più rapida non soltanto da intendere, ma anche da trattare tutto sommato. Intanto occorre incominciare a dedurre tutte le possibili proposizioni e solo quelle che sono deducibili da questa affermazione, esattamente come fa la logica, cosa dice il teorema di completezza di Goedel? Dice che la teoria, lui si riferisce alla teoria del primo ordine, è completa perché all’interno di questa teoria è possibile costruire tutte le proposizioni che sono provabili, dati certi sistemi di verifica, tutte le proposizioni vere, che sono anche dei teoremi, possiamo anche dirla così, cioè sono deducibili ed essendo deducibili sono necessariamente vere, è questo che dobbiamo fare: costruire tutte le proposizioni che sono deducibili da questa prima affermazione, utilizzando ciò che usa la logica in definitiva e cioè i connettivi che sono quelli che si usano parlando, la negazione, la congiunzione, la disgiunzione e l’implicazione e poi ci si aggiunge anche la doppia implicazione, è per questo motivo che ho ripreso alcune questioni della logica formale, della logica assiomatica, perché di fatto non fa che mostrare come si costruisce, quando si costruisce correttamente, una teoria, cioè un pensiero. Dopo tutto, quelle che la logica chiama formule ben formate non sono altro che proposizioni corrette all’interno del sistema, e il sistema è dato dalla premessa da cui partiamo e cioè che i parlanti in quanto parlanti parlano e dai connettivi che ci consentono di parlare e poi da variabili, individuali o proposizionali a seconda dei casi, questo è ciò che costituisce quella che la logica chiama la grammatica e cioè l’insieme della sintassi e delle variabili. Procedendo lungo questa via è possibile costruire una teoria assolutamente perfetta, perché muove da un’affermazione che non può essere negata e deduttivamente trae da questa affermazione tutto ciò che è deducibile attraverso la grammatica stabilita che è la grammatica che usa il linguaggio per altro, non c’è altro da metterci dentro, tutto quello che serve c’è già in effetti. È il percorso dalla psicanalisi alla scienza della parola, la psicanalisi ci ha mostrato che è possibile interrogare le cose ed è possibile interrogare ciò stesso che interroga, la psicanalisi non ci ha mostrato proprio questo a dire il vero, però lo abbiamo mostrato noi partendo comunque da ciò che ha fatto la psicanalisi, almeno da un aspetto clinico, sicuramente non quello religioso, quello fideistico “Freud ha detto così quindi è così”, non necessariamente, magari ci riflettiamo e riflettendoci può anche accadere di reperire l’insostenibilità di certe affermazioni, una di queste, per esempio, è che l’ascolto è fluttuante, definire una cosa del genere è straordinariamente arduo, in effetti nessuno l’ha mai definito in modo soddisfacente. Freud diceva che bisogna mettersi in questa posizione di ascolto fluttuante e cioè di ascoltare ciò che si nasconde nelle pieghe del dire, lì ci sarebbe un richiamo ad Heidegger, ma assolutamente improprio perché Freud non ha mai letto Heidegger in vita sua e quindi non possiamo attribuirgli nulla di questo tipo, perché come sapete è possibile fare dire a chiunque qualunque cosa, basta prendere quello che ha detto e piegarlo in un certo modo, aggiungere delle cose, connetterlo con altre cose fino ad arrivare al punto in cui è possibile giungere a dire e fare sostenere esattamente il contrario di quello che ha detto, è possibile, un bravo retore non avrebbe neanche grosse difficoltà. Questo per dare un’idea generale di ciò che ha consentito, almeno in parte, la fortuna della psicanalisi che è stata sorretta in parte anche dal pensiero di Nietzsche, infatti non a caso nei primi anni Verdiglione citava moltissimo Nietzsche, gli dava un supporto teorico filosofico di un certo rilevo, e poi la semiotica, e tutte queste cose, insieme anche ad altre che adesso ho omesse, hanno concorso alla fortuna della psicanalisi e a dare, in qualche occasione, la parvenza di un fondamento teorico; il fatto che la parola alluda sempre ad altro e che non sia possibile individuarla, bloccarla, fermarla in un significato, cioè nell’Essere, come dicevano i filosofi, ecco questo ha fornito il destro per confortare e convalidare le tesi della psicanalisi che c’è sempre qualche altra cosa, che non ci ferma mai, è un rinvio continuo. Questa infinitizzazione c’è naturalmente, perché ciascun significante rinvia a un altro significante, e anche perché si pone almeno un elemen- to fuori dal linguaggio e gli si chiede di rispondere di sé: se io chiedo a un elemento di rispondere del suo significato questo mi rimanderà a un altro significato e a un altro ancora, cioè questa cosa non potrà mai rispondere di sé, potrebbe rispondere invece, che è un elemento del gioco. Se io chiedo a un Re di cuori: “perché tu vali di più di un dieci di fiori?” beh la carta non parla ma se potesse parlare, direbbe “è stato deciso così, è una regola del gioco”. Ecco, questo risolve il problema, semplicemente ponendolo come una regola del gioco, come abbiamo detto in modo più proprio, come un’istruzione. La famosa identità, identità che si è cercata da sempre che non è altro che ciò che l’ente è, la domanda che si sono posti i semiotici e i filosofi anche, come fa il significante a dire il significato? Che poi come dicono i filosofi “come fa l’ente a dire l’essere?”, come fa dunque il significante a dire il significato e a stabilire che è proprio quello il significato? È il punto in cui si fermò De Saussure “questa relazione è arbitraria però non si sa di fatto, come faccia questo significante a dire questo significato, visto che il significato rinvia a un altro significato” è la stessa cosa che si poneva esattamente Heidegger e cioè il fatto che l’ente non può mai dire l’Essere, se dico l’essere dico un altro ente non l’Essere, cioè ciò che è necessariamente proprio a quella cosa, solo che mentre Heidegger ne ha fatto un discorso enorme, De Saussure l’ha detto in quattro e quattr’otto parlando semplicemente anziché di ente e di essere, di significante e di significato. La psicanalisi ha ripreso tutte queste cose e ne ha fatto in parte ciò che ha costituito e continua a costituire per esempio nella teoria di Verdiglione quella che dovrebbe costituire la pars destruens di un pensiero, e cioè mostrare come ciascuna cosa non è questo, non è quest’altro, se voi leggete i testi di Verdiglione trovate continuamente il “non è questo, non è quest’altro, non c’è più questo, non c’è più quest’altro” c’è sempre un “non” davanti, una negazione, che poi da qualcuno è stata presa come l’asserzione del fatto che il “non” sia originario. Verdiglione dice che la rimozione è originaria sia perché se non si trova la battuta di arresto, e se non si trova quell’elemento si continua ad andare avanti in questa discesa all’infinito, non c’è nessuna possibilità di arrestarsi, come non c’è da parte di nessuna cosa la possibilità di rispondere di sé, dicendo che cos’è da fuori dal linguaggio, cioè l’Essere o il suo significato ultimo, come diceva Peirce l’interpretante logico finale, quello che arresta la catena e che da un senso a tutto. Questo per mostrare perché la psicanalisi oggi si trova a dire quello che dice, e cioè a ripetere all’infinito questa pars destruens senza nessuna possibilità di venirne fuori, se non mostrando che le cose stanno così, cioè una caduta infinita e inarrestabile, poi naturalmente ci hanno messo dentro degli atti di fede stipulati in modo preciso, e cioè che esiste una cosa che si chiama inconscio, che esiste una cosa che si chiama rimozione, che esiste una cosa che si chiama transfert eccetera, e allora a partire da questo si è costruita una teoria, sempre tenendo conto dell’impossibilità di arrestare la combinatoria, di arrestare la parola in definitiva, e invece la parola può arrestarsi, “arrestarsi” in un certo senso, si arresta quando trova quella cosa che la costituisce, che la fa esistere, che è appunto il linguaggio. Indicavo la parola come nient’altro che l’esecuzione delle istruzioni di cui è fatta, e per intendere come si producono queste istruzioni ecco che qui c’è la seconda parte, seconda parte di cui diremo la volta prossima che parte da Hilbert, dal suo programma, dalle difficoltà che ha incontrate che sono abbastanza simili a quelle della filosofia ma ovviamente in un altro settore che è quello della matematica … Intervento: che parte dalle istruzioni? Si, la parola è l’esecuzione di istruzioni che sono il linguaggio, la parola è fatta di linguaggio, e il linguaggio costituisce le istruzioni che la parola esegue, come una macchina dunque, di cui diremo la volta prossima a partire proprio da Hilbert e arrivando a Turing. Il modo in cui si costruisce una macchina ci mostra come si costruisce il pensiero, letteralmente. 7-9-2011 Questa sera desidero parlarvi di una questione che non segue necessariamente quella della volta scorsa, ma è importante rispetto a ciò che andiamo considerando intorno al linguaggio, vale a dire che cosa ha consentito la costruzione dei computer. Ci interessa non perché ci interessino i computer, ma per il percorso logico che è stato fatto per giungere alla costruzione dell’aggeggio in questione, un percorso per altro antichissimo, che parte almeno da Leibniz e dalla sua “ars combinatoria”. È l’idea di trovare un marchingegno, un qualche cosa che trasformi i discorsi in proposizioni calcolabili, l’idea naturalmente è sempre partita dalla logica, dai connettivi logici che sono quegli elementi che consentono di connettere fra loro le proposizioni o i varie elementi. Questi connettivi non sono nient’altro che quelle cose che appartengono al linguaggio e che lo fanno funzionare, anzi direi che sono parte integrante del linguaggio. Vi dicevo che questi connettivi rappresentano il modo in cui il linguaggio funziona, l’idea è stata quella di cercare di riprodurre questi connettivi e farli funzionare come una macchina, all’interno di una macchina, immaginando che il pensiero degli umani effettivamente funzioni così tant’è che un tale George Boole alla metà dell’800 ha fatto una cosa che è stata poi determinante per compiere l’operazione di cui vi dicevo e cioè ha immaginato di potere trasformare le proposizioni in un’algebra calcolabile. Diceva che le proposizioni possono essere vere o false e allora chiamiamo quelle che sono vere con 1 (uno) quelle che sono false con 0 (zero), aveva bisogno però di un sistema di calcolo che consentisse di vedere immediatamente quale fosse il calcolo preciso di un tipo di connettivo, per esempio la negazione, il non, che è un connettivo al pari di qualunque altro, qual è l’operazione che consente di trasformare un 1 in 0 e 0 in 1? Perché la negazione fa questo, se vede 1 lo trasforma in 0, se vede uno 0 lo trasforma in 1, è la sottrazione: 1- 0 fa 1; 0 -1 fa 0. La stessa cosa per la congiunzione, in questo caso l’operazione è la moltiplicazione, ché moltiplicando 1x1 fa sempre 1; moltiplicando 1x 0; 0x1; 0x0, il risultato è sempre 0. Per la disgiunzione si ricorre alla somma logica, la somma logica è la somma che si utilizza all’interno della teoria degli insiemi: se due insiemi A e B costituiscono un unione allora questa unione è vera quando un elemento appartiene o a entrambi o almeno a uno dei due, e infatti se appartiene a tutti e due (1+1) = 1 perché 1 è considerato vero, vero +vero dà vero e così via per tutti gli altri; la stessa cosa per il “se … allora” che si converte nella disgiunzione “ A & B”. In questo modo ha trasformato in un calcolo matematico il funzionamento dei connettivi logici, capite che questa invenzione di Boole è stata determinante per i computer. C’è voluto prima Turing, il quale ha ideato una macchina su carta, fatta da un nastro di memoria potenzialmente infinita, una testina che può spostarsi e scrivere delle lettere o cancellarle, un sistema di controllo, la macchina di Turing non era nient’altro che questo, ma occorreva trasformarla in qualcosa di fisico, come attuare fisicamente e materialmente un connettivo, per esempio la congiunzione? Ecco che venne in mente di utilizzare fili elettrici, per esempio per il connettivo negazione, si farà passare la corrente, e un interruttore se la corrente arriva cioè è vero lo trasforma in falso, cioè lo blocca, se la corrente non arriva cioè è falso lo bocca e lo trasforma in 1; la congiunzione: due fili che ad un certo punto si trasformano in uno, perché la corrente possa continuare a passare occorre che arrivi da entrambi i fili, cioè se c’è corrente, come abbiamo visto, (1) se è vero, se non c’è (0) falso, quindi la congiunzione è vera solo se entrambi gli elementi sono veri quindi la corrente passerà se e soltanto se arriverà da entrambi i fili, se non arriva da nessuno o solo da uno la corrente non passa e viene fermata, in questo caso 0 quindi falso. Un sistema molto semplice, bisognava pensarci ovviamente, però è la base del funzionamento di tutti i computer, oggi si utilizzano dei transistor che sono degli interruttori, la CPU, acronimo di Central Processing Unit che significa unità centrale di calcolo è fatta da transistor assemblati insieme, i transistor sono queste porte che assemblate insieme costituiscono dei circuiti logici, che assemblati costituiscono il processore che è il cuore del computer. Ci fu l’idea di costruire meccanicamente, da parte di un neuro fisiologo e di un logico matematico, di costruire qualche cosa che riproducesse il sistema con cui funziona il cervello. I neuroni funzionano in parte come dei transistor, degli interruttori, tant’è che quando la corrente supera una certa soglia allora passa, se no non passa, è un interruttore anche quello, ma perché tutto questo ci interessa? Perché siamo giunti a considerare il linguaggio come qualche cosa di molto prossimo a una sorta di unità di calcolo, abbiamo detto recentemente che il linguaggio non è nient’altro che questi connettivi che fanno funzionare tutto quanto, e sono unità di calcolo in effetti, i connettivi consentono di costruire proposizioni che poi vengono calcolate. Quando si ragiona si derivano delle cose, e si procede meccanicamente, come fa una macchina “se il fanciullino mi porta dei fiori, se mi ha invitato a cena e se mi guarda con l’occhio da triglia bollita allora vuole dire che è innamorato”, e questo è un calcolo logico. Tutti i cosiddetti processi psichici in effetti sono dei calcoli, cosa che già aveva già intuito Leibniz, perché il pensiero funziona così, anche quando apparentemente si occupa di cose che non hanno nulla a che fare con il calcolabile, eppure non c’è un altro modo per pensare. Il linguaggio è un sistema operativo, costituisce quell’insieme di istruzioni che fanno funzionare l’hardware, che sarebbero i neuroni nel caso nostro o, nel caso del computer, la CPU, e lo fanno funzionare in modo tale da restituire degli input che vengono processati, cioè calcolati, calcolati con dei connettivi logici, e restituiscono un risultato. La macchina che è stata costruita riproducendo il modo in cui gli umani ragionano, pensano, non c’è un altro modo se non quello, e gli umani l’hanno riprodotto. Il tentativo di quel neurofisiologo era di riprodurre, anche se in modo molto più semplice ovviamente, esattamente il funzionamento del pensiero degli umani. Si è trattato dunque di riprodurre ciò che avviene quando gli umani pensano, ragionano, traggono le loro conclusioni qualunque esse siano. Oggi, per esempio, i computer possono battere a scacchi qualunque campione di scacchi, e questo è singolare in effetti, perché il gioco degli scacchi comporta sì, probabilmente un numero finito di mosse, non credo che sia infinito, però da sempre si immagina che l’abilità consista nell’inventare nuove tattiche per ingannare l’avversario, e i computer sanno fare questo meglio degli umani, e anche molto più rapidamente … Intervento: sanno inventare … Sì, l’invenzione non è che viene da niente, viene dal pensiero, viene dalla parola, viene dal linguaggio … Intervento: anche per l’essere umano l’invenzione viene dal contingente … Si valuta, si calcola una situazione che può apparire nuova in base alle informazioni che si hanno, e le informazioni che si hanno vengono implementate dalla nuova situazione, vengono inseriti dei nuovi parametri … Intervento: però per programmare un computer che deve battere qualsiasi campione di scacchi, bisogna introdurre all’interno di quel sistema delle informazioni che siano tutte le informazioni, va beh che poi continuamente c’è l’implementazione … Perché, uno scacchista non ha imparato a giocare a scacchi da qualcuno che gli ha insegnato come funzionano le mosse, gli ha insegnato tutti i trucchi, tutti i sistemi per vincere l’altro nei limiti della sua conoscenza ovviamente? Il fatto è che una macchina riesce a implementare più rapidamente di quanto faccia un umano. La prima idea era quella di una macchina che eseguiva una operazione, aveva un programma e quello eseguiva e chiuso il discorso, Turing si era accorto la via da non seguire assolutamente era quella di continuare a aggiungere hardware, di fare la macchina sempre più grossa, l’idea è stata quella di lasciare fermo l’hardware e dare all’hardware le informazioni per potere prendere un programma dall’esterno, decodificarlo, simularlo all’interno di sé ed eseguirlo come se venisse eseguito per conto suo, in questo modo con un hardware relativamente piccolo si possono eseguire infiniti programmi, ed è ciò che Turing ha chiamato la macchina universale, il mio computer è una macchina universale di Turing, né più né meno, dopo, tutto il lavoro che è stato fatto non è nient’altro che la miniaturizzazione, ridurli sempre più piccoli … Intervento: stavo pensando alla questione degli scacchi, la macchina come l’essere umano, agisce in funzione di quelle che sono le sue informazioni, però dicevamo che la macchina è molto più veloce mi chiedevo la macchina è più veloce perché ha le stesse informazioni dell’umano ma il modo di calcolare della macchina è come se fosse priva di ostacoli, come dire? le deduzioni, l’idea di creare un nuova situazione, un nuovo evento per la macchina è molto più veloce perché l’uomo, è come se prima di arrivare alla deduzione che è quella che tu fa concludere la mossa, facesse tutta una serie di giri a volte a vuoto, di qua no, di lì proviamo a vedere, la macchina invece va diretta alla conclusione, come se l’uomo dovesse superare degli ostacoli …mi chiedevo se ciò che impedisce all’uomo di arrivare direttamente alla conclusione è qualche cosa che in qualche modo confligge con quelle informazioni, qui viene fuori anche la questione del non sapere che ciò che si sta affermando è parola … Intervento: però può anche essere che pur sapendo che c’è da raggiungere il nuovo obiettivo lui si pone diverse variabili ossia: è giusto? È sbagliato? Si pone dei dubbi invece la macchina non pensando come gli esseri umani ancora, è chiaro va direttamente all’obiettivo, non si pone: sarà giusto, sarà sbagliato? una volta che ha questo input … No, la macchina può avere un dubbio, e per lo stesso motivo per cui ce l’ha l’umano, e cioè si trova di fronte a una decisione, diciamo equivalente, e allora si arresta in attesa di istruzioni, anche l’umano fa così, si arresta in attesa di nuove istruzioni che cerca o di avere dagli amici o da nuove informazioni, da qualche parte insomma, generalmente avviene così, ma anche la macchina può fermarsi tant’è che i primi programmi della microsoft si fermavano continuamente per questo motivo, perché erano fatti in modo tale da fermarsi quando trovavano un problema, per esempio decidere di andare da una parte o no, e non avendo informazioni sufficienti fermava. Ma possono procedere comunque anche se trovano qualche cosa che non è né vero né falso, per questo è stata progettata anche un’altra logica che usano nei computer che non ha solo il valore vero o falso, ha anche un terzo valore e poi ci sono delle logiche che stanno considerando, la logica fuzzy o logica sfumata, in cui c’è un valore di verità, compreso fra 0 e 1. Un bambino di un anno è giovane, un uomo di trent’anni è giovane, un uomo di sessant’anni è giovane, quindi sono tutti 1, ma sono tutti uguali? No, il primo è 1, l’altro è un po’ meno di 1, l’altro è meno ancora, quindi ci sono valori di verità differenti. Più note sono le logiche paraconsistenti a tre valori, cioè c’è 1, 0 e poi 1\2 … Intervento: cosa significa paraconsistente? Non sono logiche forti, quelle che hanno solo i valori vero/falso, che possono dimostrare vero o falso tutto ciò che costruiscono all’interno di sé, hai presente il programma di Hilbert? Quando ai primi del 900 la matematica ebbe quel grande impulso che ebbe, si pensava che la matematica avrebbe risolto tutto perché si sperava, si immaginava, si supponeva che fosse un sistema perfetto, perfetto perché qualunque cosa la matematica costruiva poteva essere dimostrata o vera o falsa, che è la completezza, e doveva essere impossibile dimostrare che 2+2 = 5, questo non doveva essere possibile dimostrare e questa è la consistenza, e poi c’è la decidibilità, ci deve essere qualche cosa che renda prevedibile se una certa direzione darà un risultato vero o falso, cioè se sarà dimostrabile oppure no, e di questo si occupò Turing, questi erano i punti principali del programma di Hilbert, i primi due Gödel li ha stroncati subito, il terzo lo ha stroncato Turing, cioè ci sono delle operazioni che la macchina non è in grado di decidere se porterà a termine questa operazione oppure no. Il terzo punto non è altro che un ampliamento o una riformulazione del teorema di incompletezza di Gödel. cosa ha fatto Gödel? Ha inserito all’interno della matematica, attraverso un metodo che consente di trasformare delle proposizioni in numeri per poi potere lavorare sui numeri, quindi con l’aritmetica, perché a lui interessava questo, ha inserito una frase che dice: “io non sono dimostrabile”. Questo ha creato dei problemi perché all’interno del sistema questa frase, se fosse stato possibile dimostrarla, sarebbe stata falsa perché affermava di non essere dimostrabile … Intervento: è sempre il paradosso del mentitore … Sì, è come dire “io mento”, ci sono delle questioni che anche le macchine, almeno per il momento, non sono in condizioni di risolvere. Dunque Gödel ha mostrato attraverso un teorema parecchio complesso che il sistema non è completo perché se gli si mette questa proposizione che dice “io non sono dimostrabile” allora diventa inconsistente, per cui per mantenerlo consistente cioè per potere dire che tutte le proposizioni sono o vere o false bisogna togliere questa e quindi non è più completo: o è incompleto o è inconsistente, questo è stato il suo lavoro. Il lavoro che occorre fare a questo punto, dopo queste considerazioni sul computer che ci mostra di fatto come funziona il pensiero degli umani, è costruire la Scienza della Parola a partire da una proposizione che non può essere negata, e cioè evita tutti i problemi che sono stati creati nel corso dei millenni, già da quello di Eubulide di Mileto … Intervento: poter utilizzare una proposizione non autocontraddittoria … Sì, in questo caso non è possibile contraddire l’assioma di partenza, i paradossi intervengono nel momento in cui si introduce all’interno del linguaggio qualche cosa che non dovrebbe essere linguaggio, allora a questo punto è chiaro che questo elemento, se richiesto di rispondere di sé si trova preso o in una regressio ad infinitum oppure in paradossi irresolubili perché c’è un rinvio continuo, si crea una sorta di loop, come nel paradosso “io mento”, se dico che mento dico la verità ma tuttavia affermo, se dico la verità allora mento, ma se mento dico la verità, è un loop da cui non c’è uscita, cosa che non accade con la proposizione che abbiamo posta, non è possibile perché in nessun modo è possibile costruire un paradosso su questa proposizione, non è possibile negarla né contraddirla in nessun modo. Costruire una Scienza della Parola a partire da questa proposizione significa fare lavorare questa proposizione iniziale, come? Costruendo tutte le proposizioni che è possibile costruire da questa mantenendo sempre chiaramente la connessione con il punto di partenza, devono sempre essere coerenti con il punto di partenza, in questo modo è possibile costruire una teoria, come dicevo qualche volta fa, perfetta … Intervento: la questione del paradosso ritorna sempre, Russell eccetera, tutte le teorie in qualche modo vengono smontate da una rilettura di questo paradosso invece non c’è possibilità di reintrodurre questo paradosso rispetto alla proposizione alla premessa della Scienza della Parola. No, in nessun modo, perché prende le mosse unicamente da ciò che è necessario perché esista quella cosa che è necessaria, perché esista tutto quanto, da lì non c’è uscita, in effetti il linguaggio è in condizione di costruire qualunque proposizione, naturalmente utilizzando le regole di cui è fatto, e qualunque cosa avrà costruita di questa cosa non potrà mai dirsi che non appartiene al linguaggio. Considerate la definizione di esistenza: esiste ciò che appartiene al linguaggio, mentre non esiste, è cioè il “nulla” ciò che non appartiene al linguaggio, molto semplicemente. Invece il modo di pensare degli umani, questo è stato individuato da Parmenide “ciò che è, è”, ovvero 1, “ciò che non è, non è” ovvero 0, è un sistema binario. Un sistema binario è anche quello utilizzato da Platone tra l’altro, questa è una cosa nota da sempre “Eutifone le cose stanno in questo modo o in quest’altro?” “in questo Socrate ovviamente ” “bene, se stanno in questo modo allora possiamo dire che se questo allora quest’altro ma quale dei due?” “questo Socrate” e avanti così, è un sistema binario – vero\falso - che non a torto Aristotele aveva criticato perché se uno è falso non significa necessariamente che l’altro sia vero, e in ogni caso se uno è vero questo non significa che sia il solo a esserlo. La questione è antichissima, gli umani pensano così e questo è saputo da sempre, non è mai stato tenuto in debito conto, però è stato individuato da subito il modo in cui funziona il pensiero: vero/falso, poi ci si possono mettere a volontà altri valori di verità ma rimane il fatto che per pensare di metterci questi altri valori di verità e per farli funzionare comunque devono sempre e necessariamente funzionare il vero e il falso, dicevo che è una cosa nota da sempre però non c’erano né i mezzi né gli strumenti né forse la volontà di portare le cose alle estreme conseguenze, o forse è sempre piaciuto agli umani pensare di sé di non essere racchiusi entro un sistema così rigido, in un sistema binario, cosa che anche certe volte durante le conferenze ci viene detto: “ma l’umano non è una macchina” … Intervento: gli umani si “sentono” i più importanti del creato … Sì, qui occorrerebbe aprire una grandissima parentesi su tutta la questione connessa con l’umanismo, e cioè quella corrente di pensiero che è arrivata fino a Sartre e Heidegger, hanno posto l’uomo al centro in quanto storicamente situato, “progetto gettato”, e quindi preso in una quantità enorme di variabili, di cose per cui non è definibile l’uomo unicamente dalla sua oggettività ma da una serie infinita di cose. Ma che invece sono calcolabili anche quelle, e cosa vuole dire? Che sono riducibili a delle proposizioni che sono vere o false, il calcolo non è altro che la conseguenza di questo. Bene, ho detto quello che volevo dirvi, adesso si tratterà di incominciare a lavorare sulla Scienza della Parola e trovare un modo, un metodo per procedere lungo questa strada, per costruire una teoria che si chiama appunto Scienza della Parola, questo è il nostro progetto nel prosieguo, non sarà facilissimo ma lo faremo. 14-9-2011 Ci sono questioni intorno alle ultime cose che andiamo dicendo? Intervento: ciò che mi appare sempre più chiaro e delineato, dopo gli ultimi incontri, è la questione del gioco della verità all’interno del discorso della persona, all’interno del linguaggio a costruire le direzioni come se il discorso occidentale viaggiasse su proposizioni autocontraddittorie, è come se fossero giochi trainati dall’operatore verità che nel discorso occidentale è una verità autocontraddittoria perché sono cose importanti, valori, verità extralinguistiche che giocano i ruoli e come se il discorso occidentale fosse favorito dalla contraddizione, ovviamente il discorso occidentale non essendo giunto a considerare l’unica necessità e quindi al linguaggio non ha altri strumenti che giocare cioè proseguire con quelle questioni che si pongono effettivamente fuori dal linguaggio cioè questioni autocontraddittorie … Intervento: autocontraddittoria all’interno del gioco che fanno? Intervento: il discorso occidentale è come se funzionasse a partire dalla contraddizione che ciascuna volta la verità costruisce perché non si sa nulla del linguaggio e la verità non è intesa come un operatore deittico che sposta le direzioni … Intervento: non sanno nulla, all’interno del discorso che noi facciamo la contraddizione risulta e viene elaborata e riportata là da dove viene cioè al linguaggio … C’è un non detto che il discorso occidentale si porta appresso, almeno da Parmenide in poi, quando Parmenide disse “l’essere è, il non essere non è”, da quel momento ha stabilito il principio di non contraddizione e l’identità di ciò che è e che deve essere assolutamente identico a sé: da quel momento sono incominciati i problemi. Questa identità non può essere provata così come non può essere provata la non identità o, e da questa posizione in effetti non si è più usciti, da Parmenide in poi si è rimasti lì, con delle varianti certo, nel corso di duemila e cinquecento anni qualche cosa si è detto però lì si è rimasti: non si può provare che le cose sono quelle che sono e non si può provare il contrario. È qui che sorge l’inganno che poi alcuni hanno rilevato, come Nietzsche, o come altri o la stessa semiotica, compreso De Saussure, l’idea è che qualche cosa non sia mai se stessa o comunque sia sempre mobile, sia sempre inafferrabile, ma permane tuttavia la necessità che sia afferrabile per poterne parlare, per poterne parlare deve essere quello che è, ma parlandone si mostra altro da sé, si mostra in continua mutazione, in continuo divenire, e come vi dicevo non c’è uscita da una cosa del genere. Questa è una sorta di pars destruens, e cioè la demolizione totale di qualunque certezza, di qualunque garanzia, di qualunque sicurezza permane se si pone la questione intermini ontologici: se si cerca la risposta da parte di un elemento di essere quello che è non potrà farlo mai, ciò che abbiamo inteso in questi anni è che non si tratta di affermazioni che procedono da una certezza ontologica, che riguardano l’essere della cosa, la ricerca dell’Essere ha costituito, a fianco di ciò che dicevo prima, una sorta di maledizione per gli umani da quando si sono cimentati con questa questione, la domanda da cui è partita la filosofia cioè “ti to on” “cos’è l’ente?” “cos’è questo?” per sapere che cos’è devo sapere di cosa è fatto, qual è la sua causa e qual è il suo principio, e quindi l’Essere, da qui la ricerca sull’Essere che tanto ha intrigato gli umani fino ad Heidegger praticamente. In questo modo si cerca di fare rispondere la cosa, si chiede all’ente di dire che cos’è, come se l’ente potesse rispondere del suo Essere, e non lo può fare e da questa via effettivamente non c’è nessuna soluzione. È per questo motivo che ci siamo accorti che le cose non potevano continuare ad andare in quella direzione, cioè di una ricerca che non aveva nessuna possibilità di riuscita: perché le cose sono quelle che sono? Non c’è un motivo, in duemila e cinquecento anni nessuno è riuscito a rispondere a questa domanda, certo Wittgenstein ha dato un notevole contributo, ed è da lì in buona parte che è partita la nostra riflessione, e cioè le cose sono quelle che sono perché così è stato deciso, deciso dagli umani, dagli umani che sono fatti di linguaggio e quindi è “stato deciso” tra virgolette dal linguaggio, e c’è stato di utilità riflettere sul funzionamento delle macchine, cioè del computer; il pensiero ha costruito il computer e il computer ci ha dato l’opportunità di riflettere su come funziona il pensiero visto che il pensiero le ha costruite, le ha costruite in un certo modo e ciò conduce all’intendimento del modo in cui il pensiero funziona. La macchina si comporta in un certo modo perché ha un’istruzione fatta in un certo modo e quindi segue quell’istruzione, e gli umani fanno esattamente la stessa cosa, ora tutto il problema dell’Essere, anche in questo Wittgenstein non aveva torto, è un falso problema, aveva ragione quando diceva “non esistono problemi filosofici, esistono problemi logici” e logicamente è possibile risolvere ciascun problema, certo non si è accorto che le cose potevano essere spinte ancora oltre intendendo il modo in cui il linguaggio funziona. Per esempio il problema dell’Essere è un falso problema nel senso che anche quando Heidegger giunge a dire che il linguaggio è la dimora dell’Essere perché è il modo attraverso cui l’Essere si manifesta, come dice lui, di fatto non si accorge che il linguaggio non è la dimora dell’Essere, ma è il linguaggio ciò che ha costruito l’Essere, ciò che l’ha inventato letteralmente e ponendo le cose in questi termini le cose cambiano radicalmente. Gli umani hanno cercato la risposta a qualche cosa non tenendo conto che quella cosa è costruita da ciò che gli consente per esempio di volere trovare qualcosa, infatti questo Essere si è sempre sottratto. È il problema della metafisica, per lo stesso Heidegger, a suo parere la metafisica che lui chiama anche ontoteologia immagina che l’Essere sia qualche cosa di stabile, di fermo, di fisso che si tratta di individuare, di cogliere, di afferrare e invece lui arriva buon ultimo sulla scia in parte anche di Husserl e quindi della fenomenologia, la fenomenologia è quella corrente di pensiero che può essere riassunta come il motto di Husserl, “alle cose stesse!” le cose stesse si manifestano per quelle che sono, ora Heidegger dicevo ha inteso che l’Essere non si manifesta per quello che è se non attraverso il manifestarsi, o meglio va cercato questo Essere in quell’ente che è quello che lo cerca, quello che lo cerca è l’uomo, il soggetto, lui non parla mai di persona, di uomo, parla di Esserci, l’Esserci non è altro che l’uomo in quanto gettato in un progetto in cui si trova, più o meno suo malgrado, e l’Essere non è altro che ciò che si manifesta in questo essere un progetto gettato, facendo delle cose, agendo storicamente perché ciascuno è sempre situato all’interno di un orizzonte storico ovviamente, se nasce per esempio nel 1900 anziché nel 1200 e cambia l’orizzonte storico, in questo trovarsi autentico progetto gettato si manifesta qualche cosa dell’Essere ma non si può dire l’Essere mai, perché se si dice l’Essere si dice un ente, lo si reifica, lo si oggettiva, cosa che non può accadere perché l’Essere non può essere un oggetto e quindi di fatto è impossibile dire l’Essere, ciò che si dice è sempre l’ente, sfugge continuamente, nel momento in cui si manifesta sfugge. Questo è esattamente ciò che diceva De Saussure rispetto al segno, diceva significato/significante, il significante è l’immagine acustica, potremmo dire la forma del suono, quando dico “leone” l’insieme di questi cinque fonemi costruiscono il significante leone, il suono leone, però questo significante ha un significato, quale? Potrebbe essere l’animale della savana, potrebbe essere tante altre cose in teoria, però nel momento in cui io dico il significato mi trovo in una posizione singolare perché dicendolo, pronunciandolo, io sto dicendo un significante. Da qui per esempio Lacan ha immaginato che dicendo un significante questo significante si trovi ad avere un significato che detto, è un significante che avrà un altro significato, costruendo quindi una catena segnica infinita, oltre al fatto che per De Saussure un significante non può esistere senza un significato e viceversa: se c’è un significante c’è un significato perché la parola leone di per sé, come suono, se non si riferisce a qualche cosa non è niente, d’altra parte un significato che non può dirsi, che non ha una sonorità, che non si manifesta in nessun modo non c’è, non è nulla anche se avevamo posto un’obiezione a questo. Pensate a un computer, riceve un’istruzione per esempio, un input questo input è un significato? Parrebbe di sì, dal momento che riconosce questo elemento, lo manipola, lo elabora, quindi per la macchina è un significato, significa qualche cosa tant’è che lo modifica, lo elabora eccetera ma non c’è nessun significante, non c’è nessuna immagine acustica. Questo è un problema perché ci sarebbe un significato ma non c’è nessun significante, ora potremmo anche porci la questione se sia ancora di qualche interesse parlare di segno in questi termini e cioè che la parola di fatto sia un segno e da qui tutta la semiotica ovviamente che nasce da lì, ma è proprio così che funziona? Un significante, un significato? Forse in parte, ma non necessariamente, come abbiamo visto per una macchina qualcosa è un significato perché lo manipola, lo adopera, lo riconosce come tale però non c’è nessun significante, e allora forse la questione è più prossima a quella che aveva posta Wittgenstein e che cioè il significato non è nient’altro che l’uso, l’uso che ne faccio, l’uso che mi trovo a fare in base, sì come diceva Heidegger, in base all’orizzonte storico in cui mi trovo, però di fatto è l’uso che ne faccio che definisce il significato. Prendete il dizionario, il dizionario potete intenderlo come una sorta di libretto delle istruzioni per usare il linguaggio, quando vado a vedere la parola leone “mammifero fatto in certo modo etc.” ecco, questo è il suo uso, non si riferisce a niente, è soltanto l’uso che se ne fa e un computer di fatto prenderebbe la cosa in questo modo, questo è il suo uso, ogni volta che c’è il “leone” lo uso in questo modo, poi la questione si può implementare e dirgli che leone non è sempre necessariamente quell’animale che vive lì e fatto in quella maniera, ma può anche essere usato in altre accezioni a seconda del contesto, come una metafora, può essere usato come un nome proprio di qualcuno che si chiama Leone, può essere usato in altri modi, basta fornirgli queste informazioni, informazioni che gli umani hanno perché qualcuno gliele ha fornite, non è che nascano così, gliele insegnano e gli umani le apprendono attraverso quelli che comunemente chiamiamo i cinque sensi, questi sono i modi in cui noi acquisiamo informazioni e queste informazioni vengono elaborate da dei circuiti logici che nelle macchine, abbiamo visto la volta scorsa, sono circuiti di transistor, gli umani non sono fatti di transistor ma hanno una rete neurale che funziona curiosamente allo stesso modo. I neuroni sono delle cellule, hanno una parte centrale, il soma, e poi hanno due parti, una riceve le informazioni e dall’altra escono: input, output, dendriti, assoni, si chiamano così, e quando lo stimolo supera una certa soglia ecco che l’informazione passa, funzionano come degli interruttori esattamente come i transistor, e queste informazioni vengono inserite all’interno di un circuito logico che le manipola, esattamente come fa un processore. Tutto questo ovviamente pone le questioni che gli umani si trovano ad affrontare da sempre in un modo totalmente differente, per esempio la questione dell’Essere che cosa “è” veramente? Che cosa è proprio di questa certa cosa? Cosa gli appartiene in modo necessario? Non ha nessuna portata per una macchina per esempio, perché la risposta al che cos’è? è “quello che mi hai detto che è” cioè l’informazione che ha, questo “è”, non è nient’altro, perché? Perché “sa” tra virgolette che tutte le informazioni che riceve sono soltanto informazioni appunto, e queste informazioni non hanno una ragione d’essere all’infuori di essere informazioni, mentre gli umani hanno cercato questa ragion d’essere al di fuori delle informazioni non sapendo che è un’informazione e quindi hanno cercato appunto l’Essere delle cose, ciò che le rende quelle che sono, ma ciò che le rende quelle che sono, sono le informazioni che le fanno esistere nel modo in cui le fanno esistere … Intervento: quindi l’Essere è quello che l’uomo ha deciso che sia … Si, tant’è che sono state date moltissime definizioni di Essere, è soltanto l’invenzione di un qualche cosa che dovrebbe rispondere alla domanda “perché le cose sono così come mi appaiono? Perché? Questa è la domanda intorno all’Essere, perché sono così? Intervento: perché si parla ancora di inconscio? Non è facile anzi, può apparire più difficile esporre cose del genere a qualcuno che ha già una sua dottrina che deve difendere piuttosto che a una persona che non ha nessuna dottrina a questo riguardo, una persona che sostiene l’esistenza dell’inconscio ha dei motivi per pensarlo ovviamente, oltre il fatto che l’ha detto Freud ma non solo questo, crede che ciò che ha detto Freud rispecchi una realtà in qualche modo, sia come stanno le cose, e cioè che se una persona dice una cosa al posto di un’altra non è solo uno sbaglio, un errore, ma una qualche altra cosa è intervenuta a farsi presente all’interno di questo discorso, una cosa che apparentemente magari non c’entra nulla, questa cosa che apparentemente non c’entra nulla ma è intervenuta da dove arriva? Per Freud dall’inconscio. Certo non è provabile l’esistenza dell’inconscio come non è provabile l’esistenza di dio, ma non per questo le persone cessano di credere in dio anzi, e allora il lavoro in questo caso è complicato perché si tratta di incominciare a interrogarsi ai fondamenti del proprio sapere, perché se non si mette in discussione questo si continueranno a ripetere all’infinito sempre le stesse cose. Come faccio a sapere che esiste l’inconscio? È una affermazione che ha la struttura di un’affermazione religiosa, cioè non posso provarlo però credo che sia così, anche il religioso ha dei motivi per pensare all’esistenza di dio: perché esiste il creato, se non ci fosse dio che l’ha creato non esisterebbe, anche questa è una argomentazione, squinternata ma è un’argomentazione e poi c’è una sorta di ordine nelle cose, nel creato, anche questo potrebbe essere, e per taluni lo è, una manifestazione della presenza di dio, poi ci sono dei problemi la questione del libero arbitrio, della teodicea, cioè del bene e del male rispetto a dio, problemi un po’ complicati, come fa dio a volere il male? Perché c’è un disegno più ampio e tutte le varie storie che ci vengono raccontate, però una fede funziona così, cioè si basa su alcuni indizi e poi stabilisce che le cose sono così e da quel momento è così, perché una volta che sia acquisita, sia costruita questa convinzione tutto ciò che accade non è che mette in discussione questa cosa, ma la conferma continuamente perché viene piegata in quella maniera e quindi sono tutte conferme di questa cosa che lui ha intuito e quindi sono i fondamenti di questo sapere che bisogna mettere in discussione, cosa che è molto complicata perché una persona cercherà sempre una scappatoia … Intervento: ma questo anche nelle nevrosi … Il funzionamento è sempre lo stesso, una persona che torna dieci volte in casa per vedere se è chiuso il gas, non ha forse buone ragioni? Se lo ha lasciato aperto succede il finimondo “quindi ho ragione di controllare” … Intervento: sarebbe più giusto dire che non è il significato che si da ma è l’utilizzo … Sì, l’utilizzo è il funzionamento del linguaggio, è il linguaggio che costringe all’utilizzo, cioè un elemento che conclude in una certa maniera deve produrre altre proposizioni, sì la volontà di potenza è quella che aveva intuito Nietzsche, in fondo gli umani vogliono possedere l’Essere per una volontà di potenza”, per potere dominare, ma questo fino dai tempi di Platone. È sempre una questione di potere, questo Nietzsche l’ha inteso benissimo. Dunque intendere l’uso di qualche cosa, l’uso definisce il significato che è l’uso, sono la stessa cosa, per cui questo significato non è che se lo dico allora dico un’altra cosa, no, semplicemente mi attengo alle istruzioni che ho, posso stabilire che quello è il significato ultimo necessario? Questa domanda non ha nessun senso, vi facevo l’esempio la volta scorsa delle carte da gioco, posso chiedere giocando a poker a un Re di cuori perché ha un valore maggiore di un sette di picche? Se potesse mai rispondere direbbe “perché così è stato deciso”! È stato deciso per fare questo gioco. È difficile, anche se detta così può sembrare semplice in realtà non è facile accorgersi di una cosa del genere, la ricerca dell’Essere è presente sempre e ovunque, perché cercare l’Essere dopo tutto? Per poterlo manipolare come diceva Heidegger, ciò che interessa l’uomo è potere conoscere, manipolare, elaborare, per questo la metafisica si è consegnata come dice lui, alla tecnica, e la tecnica sta facendo esattamente questo per cui la metafisica scompare e si trasforma in tecnica. Intervento: quello che diceva Severino … Sì, Severino riprende Heidegger, ma la questione è posta differentemente, Severino è critico nei confronti di Heidegger, ma la filosofia ci interessa molto poco, interessa unicamente per lo sforzo immane che ha fatto per individuare qualche cosa che di per sé non è mai esistito, come dicevo, il linguaggio non è la dimora dell’Essere, il linguaggio è ciò che ha costruito l’Essere, è ciò che lo ha inventato, e a seconda delle filosofie è stato utilizzato in un modo oppure in un altro … Intervento: però la realtà perché non è mai stata presa in considerazione come essere? La realtà può essere vista da qualcuno in un modo oppure in un altro, l’Essere per definizione deve essere quello che è, perché se no non è più l’Essere, è un ente. Da qui il problema del divenire: come accade che qualche cosa viene dal nulla e torna al nulla, perché per divenire a un certo punto non è più quello che era ma non è ancora quello che sarà, quindi in questo momento è un qualche cosa che non è, in un certo senso, il problema del divenire ha costituito un grosso problema per Parmenide per esempio, perché se l’Essere è, e il non essere non è, in mezzo non c’è possibilità di niente, quindi non c’è nessuna possibilità del divenire, eppure le cose divengono, come così ciascuno può osservare e allora Parmenide l’ha risolta dicendo che è un’illusione, Severino invece dice: se noi diciamo che A diviene B, qui c’è la A e qui c’è una B e c’è il divenire di A a B, però per divenire B occorre che delle cose in A scompaiano a un certo punto perché altrimenti rimane A che non è B, ora questo A a un certo punto diventa B quindi A = B ma B non è A quindi se io sostituisco B con non A allora A = non A, e il principio di non contraddizione dove lo mettiamo? Quindi non può darsi che A sia uguale a non A, quindi non c’è divenire, ci sono gli Eterni come li chiama lui, ma questo è un altro discorso. Tuttavia il suo ragionamento muove da una premessa su cui si regge tutto il suo discorso che è discutibile, dice infatti: questo tavolo appare; qualcuno potrebbe dire che questo tavolo può apparire come non questo tavolo? Tutti quanti istintivamente rispondono di no, se questo tavolo appare, appare come questo tavolo, non può apparire come non questo tavolo, ma siamo proprio sicuri che sia proprio così? Occorre avere la certezza che questo tavolo sia questo tavolo, e cioè che A sia identico ad A, che poi non è neanche così, è ancora più complicato perché il tavolo non è una A, è un’altra cosa ancora, come può dimostrare che ciò che appare come questo tavolo sia effettivamente questo tavolo? Non lo può fare se non attraverso un atto di fede, e quindi la premessa su cui si regge l’argomentazione di Severino è piuttosto discutibile. È possibile mostrare che A = A ed è possibile mostrare che A non è uguale ad A, perché è possibile fare tutto questo? Perché tecnicamente non dovrebbe essere possibile fare una cosa del genere, mostrare che una cosa è se stessa ma anche che non lo è, se è una cosa è quello che è, come diceva Parmenide “l’Essere è e non può non essere, e il non essere non è” perché invece è possibile fare questo? La risposta in realtà è molto semplice, perché si suppone che questa uguaglianza A = A sia qualcosa di naturale, di ontologico, fuori dal linguaggio, quindi non una decisione, un’istruzione, e non ponendola come un’istruzione ma come una realtà metafisica, deve potere essere dimostrata ma questo non lo si può fare perché un’istruzione non può provare di essere vera, se io stabilisco una certa cosa non posso dimostrare che è così, come faccio a dimostrare che l’asso di picche vale di più del Re di cuori? Non c’è una dimostrazione, è una decisione, per potere giocare ho stabilito questo, ma chiedersi se esiste un motivo aldilà di questo che trascende le regole del gioco è una stupidata, non c’è nessuna risposta, ed è per questo che io posso mostrare che A è identico ad A e mostrare che A è differente da A, sapete come si fa? Se io dico che A = A cosa sto dicendo? Mettiamo che lo scriva A = A allora è necessario che entrambe queste A, per essere identiche, abbiano tutte le stesse proprietà sia l’una che l’altra, allora posso dire che sono identiche, perché se non hanno le stesse proprietà sono diverse. Ma una è a sinistra e l’altra è a destra, questo lo diceva già Peano, quindi c’è almeno una proprietà che non hanno in comune quindi non posso scrivere A = A ma devo scrivere A ≠ A. Ma posso mostrare invece che A = A, perché se A non fosse uguale ad A sarebbe un’altra cosa e quindi non sarebbe A, quindi non potrei neanche scrivere A, per potere dire A occorre che A sia A, se fosse altro (è la questione della differenza di cui abbiamo detto in varie occasioni), se A è differente da A non posso neanche pronunciarla, non posso dirla, non posso farne niente, e non posso neanche dire che è differente o che è identica, quindi deve necessariamente essere identica a sé. Però mostrando che A è identico ad A e A è differente da A non abbiamo fatto niente di ché, abbiamo soltanto utilizzato il fatto che se un elemento è immaginato fuori dal linguaggio allora posso dargli qualunque significato, posso farne tutto quello che voglio: se gli do l’istruzione di essere uguale a sé, ma non so che è un’istruzione e penso che lui debba esserlo necessariamente, non potrò mai provarlo, se invece tengo conto che io gli ho detto “tu devi essere A” e lui dice “va bene” e viene utilizzato come una “A” allora ogni problema scompare. È per questo motivo che i connettivi nella logica sono invarianti, la “e” deve essere una “e”, e il “non” non può essere un’altra cosa, non può essere una congiunzione o una disgiunzione, deve essere quello che è se no non si costruisce niente, è una necessità logica … Intervento: se A avesse tutte le proprietà, nessuna esclusa dell’altra A, la A sarebbe una sola non potrebbe darsi nessuna differenza, quindi nessuna domanda … Quando ci si pone la questione che un elemento debba essere se stesso per se stesso necessariamente, allora incominciano i problemi, e cioè quando un elemento anziché sapere che è quello che è per una decisione si immagina che sia quello che sia in base a qualche cosa che appartiene a lui: l’identità è quella dell’Essere che è necessariamente identico a sé però è una costruzione, in realtà non può provarlo, tant’è che non l’hanno mai fatto naturalmente, l’escamotage è stato quello inventarsi l’Essere, l’Essere è ciò che deve essere identico “questo è un accendino” l’Essere dell’accendino deve essere identico a tutti gli accendini del mondo passati, presenti e futuri, e deve essere sempre e necessariamente quello. Se non si intende che è un comando, il fatto che questo sia un accendino, si va a cercare qualche cosa che invece appartenga necessariamente al di fuori del linguaggio a quell’accendino, e non si troverà mai l’elemento che lo garantisca si troverà un processo infinito … Intervento: da parte del pensiero la necessità di una identità, il pensiero deve inventare un concetto di identità altrimenti il discorso non poteva proseguire … Questa ricerca non è stata una pura e semplice ricerca della verità, mossa da interesse prettamente intellettuale, è stato un interesse economico, politico, di potere per dirla in una parola, se so come è fatto esattamente qualche cosa lo posso utilizzare, lo posso manipolare, posso utilizzarlo a mio vantaggio, ma devo sapere che cos’è, come funziona. Prendete l’elettricità, finché gli umani stavano lì ad osservare i fenomeni elettrici come i fulmini e cose del genere, ne erano solo spaventati, a un certo punto hanno incominciato a chiedersi come funziona per potere utilizzare questa potenza, e quindi hanno incominciato a chiedersi che cos’è, come funziona … Intervento: potrebbe essere il nostro discorso … finché non conosci il linguaggio puoi esserne spaventato, puoi esserne … ma conoscendolo ecco che lo puoi utilizzare … Sì certo, sì lo si può agire sicuramente. Ecco, sono le questioni di cui intendo parlare, certo nel modo più semplice possibile nelle conferenze, però è questo il passaggio perché nei primi due interventi parlerò della parola, del linguaggio, della priorità della parola, come non ci sia nulla prima della parola perché non c’è un qualche cosa che possa dire la parola prima della parola, in questo senso originaria, e quindi intendere come funziona, come si articola. Poi intendere come dalla psicanalisi, cioè da qualche cosa che rappresenta ancora il mito, si giunga alla scienza e cioè si passa dal mito, quindi dal dubitabile, all’indubitabile. In fondo del mito si dubita, gli uomini sono nati dalla testa di Giove? Mah, è dubitabile, il mito è una storia ma è dubitabile, è avvenuto con Parmenide il passaggio dal dubitabile all’indubitabile, cioè all’incontrovertibile, o almeno ci si è provato, in questo caso ci siamo riusciti, si passa dal dubitabile cioè dal mito, dalla psicanalisi che afferma delle cose senza poterle provare, si passa alla scienza effettivamente. La parola verità in greco ha tre accezioni, la alètheia, che sarebbe il disvelamento, il manifestarsi di qualche cosa, il venire alla luce di qualche cosa, orthotes invece è la correttezza, l’adæquatio rei et intellectus, e da ultima l’episteme, cioè la certezza scientifica, una verità argomentata e dimostrata. Questa ultima è sempre stata un problema, si argomenta e si dimostra sempre all’interno di un certo gioco, e la dimostrazione è valida soltanto all’interno di quel gioco. Però è possibile fare qualcosa di più, cioè costruire quella teoria perfetta che muove da un sillogismo inesorabile, che tiene conto unicamente di ciò di cui è fatto, e cioè di linguaggio e delle sue istruzioni, dopo tutto abbiamo dato della parola la definizione migliore che si possa dare, e cioè l’esecuzione di istruzioni, queste istruzioni sono il linguaggio, non credo che si possa fare di meglio, così come la nozione di esistenza e di nulla che per millenni ha travagliato i filosofi, l’esistenza non è altro che l’appartenenza al linguaggio, e il nulla la non appartenenza al linguaggio. 21-9-2011 C’è una questione di cui volevo parlarvi questa sera che è piuttosto ampia e complessa. Da dove ha preso avvio il problema che gli umani si portano ancora appresso intorno alla questione del linguaggio, della filosofia, del pensiero, dell’impossibilità di stabilire le cose, di trovare una certezza, da dove è cominciato tutto questo? E perché è incominciato? È incominciato con Parmenide, nel momento in cui presso gli umani si è passati dal mito alla filosofia, e cioè da ciò che è dubitabile il mito dice: gli uomini nascono dalla testa di Giove, sarà così? il passaggio dunque dal dubitabile all’indubitabile, all’incontrovertibile, che è ciò cui ha sempre mirato la filosofia e la scienza dopo di lei, e il punto di passaggio è stato proprio Parmenide. È Parmenide che ha stabilito che l’Essere è, e il non essere non è, stabilendo con questo che l’Essere è ciò che permane, ciò che è immutabile, ciò che non cambia, ciò che non diviene, ciò che non ha parti, ciò che non muore, ciò che è sempre necessariamente quello che è, e il non essere naturalmente non è, a questo punto Parmenide si è trovato a stabilire qualche cosa che è assolutamente certo: l’Essere. Dunque Parmenide si è trovato nella condizione di stabilire per la prima volta qualcosa che sarebbe dovuta essere, almeno nella sua intenzione, assolutamente certa, indubitabile appunto, incontrovertibile, che cioè non può essere altrimenti che così, dando in questo modo a tutta la filosofia che è seguita dopo di lui non soltanto l’obiettivo, e cioè stabilire che cosa è necessariamente, ma impedendogli anche simultaneamente di reperirlo, perché questo? Nel momento in cui stabilisce che l’Essere è ciò che è necessariamente, compie un’operazione che lo mette nella condizione di non potere provare quello che sta affermando, lo argomenta, nei pochi frammenti che abbiamo di lui, ma non lo può dimostrare, non può provarlo nel modo, come avrebbe voluto, incontrovertibile, ma perché? Perché questa affermazione si pone come una sorta di decisione. Tutto quello che dice, e che poi hanno detto anche millenni dopo di lui, non procede da un processo deduttivo, inferenziale, non deriva da qualche cos’altro che lo precede, d’altra parte non potrebbe essere, perché se derivasse da qualche altra cosa ci sarebbe qualche altra cosa che è al di sopra dell’Essere, che precede l’Essere, cosa che non è ammissibile. Ciò di cui Parmenide non si è accorto, e nessuno dopo di lui, è che il porre un elemento come identico a sé, immutabile eccetera è una decisione, non è qualcosa che è derivabile da altro, non è dimostrabile, e il motivo per cui non è dimostrabile è stato inteso un paio di millenni dopo, ché gli umani sono lenti, dalla linguistica, in particolare dalla semiotica, De Saussure soprattutto. Quando si è accorto che se voglio dire un significato, questo significato per dirlo dovrò dirlo con altre parole, le altre parole a loro volta avranno un altro significato e queste un altro significato, è un po’ il gioco del dizio- nario di cui abbiamo detto in varie occasioni, e cioè un rinvio infinito, e questo rinvio infinito è ciò che ha impedito al pensiero, alla filosofia, e in parte anche alla scienza, di potere stabilire con assoluta certezza alcunché, ogni volta che si stabilisce qualcosa, questo qual cosa scivola via, scivola via avendo la necessità, ed è questo il problema partito da Parmenide, che per definire l’Essere ci vogliono delle altre parole “immutabile”, “eterno”, “tutto”, “privo di parti”, sono altre parole, come dire che ciascuna cosa è definita da altro da sé, questa è stata la “maledizione” tra virgolette del pensiero degli umani dal momento in cui si è avviato, dal momento in cui cioè ha pensato che un qualche cosa, un quid, potesse avere in se stesso la possibilità di auto certificarsi, di auto dimostrarsi, di auto stabilirsi, ma non lo può fare, e questo lo sappiamo perché il linguaggio è fatto in questo modo: qualunque elemento linguistico è tale perché è preso all’interno di una combinatoria linguistica e cioè rinvia ad altri significanti, che è esattamente quello che diceva De Saussure “ciascun significante ha un suo significato, questo rinvia ad altri significanti, e così via all’infinito” è come dire che una combinatoria linguistica non può, proprio per la struttura stessa del linguaggio, esibire qual è il primo elemento e non può esibire qual è l’ultimo, se fosse il primo, prima di lui ci sarebbe il fuori dal linguaggio, se fosse l’ultimo dopo di lui non ci sarebbe più linguaggio e questo è un problema per i motivi che abbiamo elencati varie di volte. Nel momento stesso in cui Parmenide avvia il pensiero, in quello stesso istante per così dire, impedisce al pensiero di potere riflettere su se stesso: dicendo che un elemento deve, deve sottolineo deve, potere rispondere di sé, la richiesta è che debba potere rispondere di sé senza l’ausilio di altro, cioè senza ricorrere ad altro e quindi senza diventare altro, questo è il problema della filosofia, e c’è da pensare che tutta la filosofia, tutto quel bagaglio immenso di pensiero filosofico che ha fatto seguito a Parmenide fino a oggi, sia nient’altro che un tentativo di porre rimedio al problema creato da Parmenide, come dire che ha imposto al pensiero un compito che il pensiero non può in nessun modo assolvere, perché non può un elemento linguistico rendere conto di sé al di fuori di altri elementi linguistici, è qui la questione, e da allora cosa ha fatto il pensiero? Ha cercato di porre rimedio a questo, cioè trovare un qualche cosa che stabilisse una volta per tutte come stanno le cose, fino alla fenomenologia di Husserl, che è stato l’ultimo tentativo, almeno in questa direzione, di andare alle “cose stesse”, sempre nell’attesa che un qualche cosa possa mostrare da sé se stesso, senza l’ausilio di altro da sé, ma questo non lo può fare. L’altro modo per risolvere questo problema è stato il modo della religione, del discorso religioso, e cioè inventarsi un qualcuno che ha deciso che le cose stanno così, ora se non avesse avuto questa bizzarria di pensare che ci fosse un qualcuno che ha deciso che le cose debbano stare così, forse si sarebbe avvicinato alla questione, solo che questa sciocchezza di pensare un qualcuno responsabile di tutto ha fatto crollare miseramente il tentativo ed è l’altro modo di risolvere il problema: le cose non possono garantire di sé nulla ma c’è qualcuno che le garantisce. È una decisione, ma una decisione che viene da che cosa? Di certo non da qualcuno, ma da una struttura che sta funzionando. Prendete il principio di non contraddizione di Aristotele, perché è vero? Può dire di sé di essere vero? Come, se non utilizzando sé stesso? Anche questo è un bell’inghippo, come faccio a sapere che il principio di non contraddizione è vero? Intervento: per esempio essendo coerente con gli altri due principi … Questo sposta solo la questione, perché questi altri dovrebbero essere veri? Intervento: vanno in armonia … Anche le regole del tre sette vanno in armonia fra loro, ma non per questo le poniamo come criteri di verità. Qualcosa ha sempre bisogno di qualcos’altro per stabilirsi, e questo crea un problema, come dire che qualche cosa è quello che è, se è altro da sé, che poi è il problema del divenire cui abbiamo accennato la volta scorsa a proposito di Severino. Questo problema che non ha nessuna soluzione, non ce l’ha nel senso che un elemento linguistico non può essere l’ultimo di una combinatoria e nemmeno il primo, non ha nessuna soluzione all’infuori di ciò che abbiamo avanzato e cioè il fatto che si tratti di istruzioni, e un’istruzione non ha la necessità di essere dimostrata perché un’istruzione è un comando, ed essendo un comando dice semplicemente qual è l’operazione che si deve eseguire, come un algoritmo. L’algoritmo di per sé non è né vero né falso, è soltanto il modello di un’operazione che può ripetersi all’infinito, come vengono utilizzati per esempio nei computer, sono algoritmi che risolvono solo quel problema e quello fanno, e vanno avanti all’infinito, o come abbiamo detto migliaia di volte è come chiedersi perché un asso di cuori vale di più di un dieci di picche, come può dimostrarlo il re di cuori? Non lo può fare, dicevamo che se potesse parlare direbbe semplicemente che è così perché è stato deciso così per potere fare quel gioco, e così il principio di non contraddizione è “stato deciso” tra virgolette, diciamo che interviene all’interno di questo sistema soltanto per giocare quel gioco che si chiama linguaggio, non ha nessuna altra funzione. Il linguaggio è ciò che “utilizziamo”, ma potrebbero essercene altri? Tecnicamente non è neanche escluso, anche se è molto difficile pensarli utilizzando questo linguaggio, siamo chiusi all’interno di questo ambito … Intervento: è per questo motivo che se uno volesse sapere l’origine di queste istruzioni si troverebbe nell’inghippo che l’istruzione necessita di altri elementi per dire se stessa … Esattamente, “da dove arriva il linguaggio?” sappiamo che è una domanda che è priva di senso, un’obiezione che spesso veniva posta è questa: “come si impara il linguaggio?”, come si impara da niente a parlare se non si è già presi nel linguaggio? Per dire a qualcuno che questo foglio è bianco occorre che già sappia che cos’è un foglio, che cos’è bianco, occorre che quindi sia già all’interno di una struttura linguistica, una massa interte non può a un certo punto pensare, e invece sì, è esattamente quello che abbiamo mostrato quell’altra volta parlando del come si insegna a pensare a una macchina … Intervento: le prime parole hanno un utilizzo a quello che sta accadendo in quel momento in cui le apprende, è poi successivamente che acquisendo altre informazioni da anche a quelle parole tutta una serie di possibili varianti … Sì, è per questo che vi ho parlato del computer e come sia possibile che a un certo punto un pezzo di ferro inerte diventi un qualche cosa che esegue operazioni, incomincia a pensare in un certo modo e anche il cervello umano, dicevo, se non avesse all’interno un sistema operativo, che è il linguaggio nel caso nostro, è qualche cosa che va bene per fare la frittura. Senza il sistema operativo non è niente, un pezzo di materia inerte, così come il computer. Questo per dirvi come si è avviato quel problema che ha dato da pensare e da riflettere agli umani per duemila e cinquecento anni senza naturalmente trovare nessuna soluzione, senza potere trovare nessuna soluzione perché non c’è, e quando ci si è accorti di questo ecco che è sorta l’ermeneutica, è sorta la crisi dei fondamenti, è sorta questa specie di relativismo intellettuale che approda a poco, comunque è tutto retto dall’idea che in ogni caso l’obiettivo metafisico, che si è posta la metafisica quindi la filosofia non è raggiungibile, e cioè lo stabilire una volta per tutte che cos’è l’Essere, che parte dalla domanda che cos’è l’ente cioè che cosa sono le cose, il “ti to on” degli antichi. Dal momento in cui Parmenide ha stabilita la necessità di stabilire la verità di un elemento a partire dall’elemento stesso, da lì non si è più andati avanti, come se avesse stabilito l’obiettivo da raggiungere ma al tempo stesso l’impossibilità di raggiungerlo, e cioè tutto ciò che è stato pensato, è stato pensato proprio a partire da lì fino ad arrivare appunto alla cibernetica, e ai computer. Gli enti hanno un qualche cosa in comune, mentre l’ente cambia, muta, si trasforma, fa un sacco di cose, ci deve essere qualche cosa che appartiene agli enti e che non muta e che rende gli enti quello che sono, d’altra parte tutta la ricerca scientifica è questo sapere che cos’è esattamente qualche cosa per poterlo manipolare, per poterlo utilizzare ed eventualmente controllare, questo è l’obiettivo, quindi il problema è sorto dal momento in cui ha dato al pensiero questo obiettivo: stabilire, reperire che cosa necessariamente è, solo che occorre non solo argomentarlo ma anche provarlo, e come si fa? Per poterlo dimostrare, per potere dire che cos’è ho bisogno di altro e quindi questa cosa è, non solo se stessa, ma anche altro. Se deve essere quello che è, per potere dire che cos’è, questa cosa è già altra da sé, e siccome non posso fare altrimenti allora non potrò mai sapere che cos’è realmente da sé se non utilizzando altre cose, ma se utilizzo altre cose allora sarà altro da sé … Intervento: il fatto che non l’abbia distinto dalle parole, che era … Non solo, ma con altre parole che non hanno un limite, che non hanno una fine perché puoi sempre continuare a definire, c’è sempre altro da dire, non è che questo altro da dire a un certo punto si ferma, può andare avanti all’infinito, d’altra parte come forse dicevamo la volta scorsa o quell’altra, ponendo quello che ha posto, Parmenide ha già stabilito tutto ciò che sarebbe stato in futuro fino all’era dell’informatica “l’Essere è” questo è il vero/1 “il non Essere non è” quindi il non essere non è, che è il falso/0, ha già stabilito il criterio fondamentale, quello su cui si è retto tutto il pensiero, il principio stesso di non contraddizione: o è o non è, non c’è un’altra possibilità, che non è altro che uno degli elementi che consentono al linguaggio di funzionare, non è nient’altro che questo, un’istruzione che fa funzionare il linguaggio, così come la regola del tre sette fa funzionare il tre sette, è chiaro fin qui? Parmenide ha stabilito che cosa è vero e che cosa è falso ma stabilendolo lo ha argomentato ma non lo ha potuto provare, e perché non lo ha potuto provare? Ché per stabilire che una certa cosa è vera, devo usare altre cose, e queste altre cose sono allora questa cosa che così diventa altro da sé, perde il suo carattere di verità assoluta che è determinato dal fatto di essere identica, immutabile, eterna, non composta di parti, dando avvio con questo a tutto il pensiero occidentale fino all’informatica, fino alla ricerca continua dell’Essere e cioè di ciò che rende l’ente quello che è. La semplicità attraverso la quale il pensiero degli umani funziona è stata mostrata quando c’è stata l’occasione o l’esigenza di costruire una macchina pensante, solo a quel punto gli umani hanno incominciato a chiedersi che cosa è necessario che ci sia perché il pensiero funzioni, perché giri questo sistema, aldilà di tutte le cose che può pensare o non pensare, a tutti i suoi accidenti, affanni eccetera, ma la struttura che consente di funzionare deve essere molto semplice e in effetti è straordinariamente semplice e riproduce, almeno in parte, certo molto semplificato, il funzionamento dei cosiddetti neuroni, quelli che trasmettono le informazioni. Ti ricordi Eleonora quello che dicevamo del processore? La CPU “Central Processing Unit”, o unità centrale di calcolo, circuiti logici, esattamente come funziona il cervello. La stessa Eleonora fino a qualche tempo fa si opponeva fermamente e strenuamente e coraggiosamente all’idea che una macchina potesse pensare come un umano, quali obiezioni facevi tu allora a questa idea? Intervento: la creatività, apprendere cose nuove, provare emozioni … Se tu incominci a riflettere su queste cose, ti domandi: come accadono queste cose? Cioè una decisione, un’emozione, l’invenzione, se pensi a come funzionano queste cose ti accorgi che per esempio l’invenzione, la creazione, come dici tu, in realtà non viene proprio da nulla, perché un qualcuno che non ha nessuna informazione, assolutamente nessuna, zero, sarà difficile che crei o inventi qualche cosa, ma procede da alcune informazioni, e può imparare cose nuove, può sapere cose nuove. Quando tu per esempio nel tuo computer installi un nuovo programma gli fai sapere cose nuove che prima non sapeva e dopo che le hai installate le sa fare. Le emozioni? Intervento: si inseriscono le variabili … Sì certo, tecnicamente è possibile, è una idea antica, già di Lullo e di Leibniz, l’idea che si potesse con una macchina incredibilmente potente inserire tutte le possibili variabili cioè sapendo in un istante qual è la posizione di tutti gli elementi, qual è la loro traiettoria, qual è la loro velocità, qual è la loro massa in teoria sarebbe prevedibile ogni cosa perché sarebbe calcolabile, non escludo che si possa anche arrivare a questo, perché no? Ma adesso non è questo che ci interessa. Una delle cose più difficili da pensare, però più produttive perché potrebbe aprire a molte questioni, è considerare che quando si pensa di fatto si sta calcolando … Intervento: anche Leibniz pensava così … Sì, solo che adesso con gli strumenti di cui disponiamo è pensabile in modo più preciso che si sta operando un calcolo, quando per esempio si ragiona, si deducono cose, si derivano cose, si sta facendo quello che fa una macchina, da certe premesse si deducono via via dei passaggi. Ciò che gli umani pensano procede da dati che hanno acquisiti e che sono stati processati, cioè elaborati, per cui incominciare a pensare al pensiero degli umani come un procedimento di calcolo può condurre a delle considerazioni di qualche interesse, anche quando si fa una dichiarazione d’amore si stanno processando dei dati, ma che cosa significa tutto questo? Che il pensiero umano procede come un calcolo, il calcolo in questo caso è inteso come una derivabilità di proposizioni da altre proposizioni. Faccio l’esempio della fanciullina, la fanciullina pensa questo: se mi dice “ti amo” allora mi ama, mi ha detto “ti amo” dunque mi ama (modus ponens); se invece (modus tollens)” sempre partendo dalla premessa principale e cioè “se mi dice che mi ama allora vuole dire che mi ama” non mi ha detto che mi ama dunque non mi ama. Questo è un calcolo proposizionale, naturalmente questa inferenza può anche essere falsa nel senso che non significa che se non dice “ti amo” allora non mi ama, ma diventa vera se viene data per vera la premessa maggiore cioè “se dice che mi ama allora mi ama” se questo è vero, non lo è naturalmente, ma se lo prendo come vero allora a questo punto inizio a derivare le conseguenze, cioè inizio a processare i dati. Si tratta di un calcolo, e il processore compie questo atto di procedere da una cosa all’altra … Intervento: un’obiezione: per esempio una macchina come fa a scegliere tra due conclusioni? Una persona lo fa attraverso la sua struttura, le macchine non possono, non sono isteriche … Beh, questo potrebbe essere un vantaggio, però di fatto come si fa a fare diventare una macchina paranoica? Intervento: il computer ha sempre ragione e quindi l’ha vinta sempre lui … Non è che si ponga questo problema una macchina, ma come fa una persona a diventarlo? Intervento: raccoglie delle informazioni piuttosto che altre e va avanti così di conseguenza … Una macchina per il momento come acquisisce i dati, cioè le informazioni? Un programmatore gliele mette dentro, gliele scrive oppure oggi attraverso l’inserimento in una porta USB, lì si possono inserire dei dati, non ha per il momento molti altri strumenti per acquisire informazioni se non quelle che l’operatore gli fornisce, mentre gli umani, attraverso che cosa acquisiscono le informazioni che acquisiscono? Sono i cinque sensi, attraverso i cinque sensi acquisiscono le informazioni, la macchina non è provvista dei cinque sensi, ma se la si provvedesse allora potrebbe acquisire tutte le informazioni che una persona potrebbe acquisire. È un po’ la questione che poneva Turing, un bambino piccolo che incomincia a camminare a quattro zampe, incomincia muovendosi ad acquisire tante informazioni, per esempio dà una testata contro la gamba del tavolo e acquisisce un’informazione, la gamba del tavolo è legno duro, fa male, poi vede i colori, vede cose, una macchina no, è lì ferma, ma se si potesse, diceva lui, consentire alla macchina di andarsene in giro per il mondo e acquisire tutte queste stesse informazioni allora anche la macchina sarebbe molto avvantaggiata … Intervento: ha sempre bisogno della corrente elettrica … E tu non hai bisogno dell’ossigeno? L’ossigeno che tu utilizzi insieme con proteine, carboidrati e tutto un insieme di cose, acqua anche, tutto questo serve al mantenimento di una certa tensione elettrica al tuo interno, questa tensione elettrica è quella che consente ai neuroni di passarsi le informazioni che sono passaggi elettrici, senza questa elettricità non funziona più niente, sì, poi c’è l’obiezione che comunque le macchine sono sempre costruite dagli umani, ma gli umani da chi sono costruiti se non da altri umani? Addestrati anche da altri umani. Ma si può sempre togliere la spina e il computer si ferma, anche un umano si può fermare, gli spari in testa e si ferma anche lui. Vedi quante analogie, mi rendo conto che immaginare che il pensiero degli umani non sia nient’altro che una procedura di calcolo di proposizioni, o quanto meno che alla base ci sia questo, possa essere difficile per molte persone da accogliere. Eppure Parmenide con quel suo primo gesto ha già stabilito che si tratti di un’operazione di calcolo, di un processo di calcolo: vero/falso, 1/0, se è vero proseguo, se è falso no, coma fanno i transistor. Dentro il tuo computer, dentro ci sono alcuni milioni di transistor, i transistor non sono altro che interruttori che fanno o non fanno passare corrente e costituiscono dei circuiti logici, che sono quelli che anche tu hai dentro alla testa … Intervento: i nostri neuroni … Esattamente, anche quelli sono interruttori: se la tensione elettrica supera una certa soglia c’è il passaggio di corrente, se non supera non passa. L’importante in tutto ciò è il fatto che attraverso queste considerazioni si giunge al concetto che abbiamo introdotto e ormai consolidato di istruzione: per fare funzionare tutto questo marchingegno occorrono delle istruzioni, perché ci siano dei circuiti logici occorre che qualcuno li abbia costruiti per esempio nel caso del computer, e perché il tutto funzioni occorre che ci siano delle istruzioni che dicono: qui vai, qui no, e il linguaggio è esattamente quelle istruzioni, per questo dicevamo che la parola è l’esecuzione di quelle istruzioni che sono il linguaggio. Antonella che cosa dice di tutto ciò? Intervento: per tanti anni l’istruzione di Parmenide … La domanda è: come si fa a dimostrare che questo era vero? Bisognava trovare un modo per dimostrarlo, tuttavia si è pensato che comunque fosse vero e incontrovertibile, nonostante alcune obiezioni che fecero proprio i sofisti, uno di questi fu Protagora, tra l’altro Parmenide anche lui fu un sofista, della scuola di Elea … Intervento: negli ultimi mesi emerge sempre di più il funzionamento del linguaggio … È per questo che stiamo lavorando su queste allegorie, servono a questo: a rendere più chiara la questione e il tentativo di uscire da questo detto di Parmenide il quale addirittura vietava … Intervento: c’è l’esigenza di verificare se è vera o non è vera … Questo è il compito che si è assunto la filosofia: stabilire cosa è vero e cosa non lo è, che cosa il pensiero può garantire con certezza. Il gesto di Parmenide è stato inaugurale. Possiamo formulare una ipotesi, che in effetti non abbia fatto nient’altro che mostrare, esibire, manifestare il modo in cui funziona il linguaggio, il modo in cui gli umani pensano, ciascuno, anche prima di Parmenide in qualche modo cercava la verità, anche i miti a modo loro, come racconti, cercavano di porsi come qualcosa di vero, una visione del mondo, una weltanschauung, e cioè un modo per configurarsi, immaginarsi come stanno le cose del mondo, il mito interviene per dare una sua spiegazione, giustificazione argomentata, sì, non provata certo perché non può farlo. Parmenide è come se avesse mostrato per la prima volta che il pensiero degli umani funziona così, certo in un modo un po’ problematico forse, però è così “ciò che è, è” e non può che essere quello che è, se no non riusciamo più a parlare, se per esempio in aritmetica usassimo il tre e il due indifferentemente cesseremmo di potere usare l’aritmetica, e così se una parola significasse simultaneamente molte altre sarebbe un problema, per esempio se alto significasse anche basso, se prima significasse anche dopo, se io significasse anche noi, o voi, o essi, o tutti quanti, senza queste regole che definiscono, che delimitano, che identificano un elemento per quello che è e soprattutto, qui ha ragione Wittgenstein, soprattutto ne determinano l’uso, quando c’è questo segno che è una “e” vuole dire questo che è una congiunzione, che congiunge e non divide perché se la usi per dividere succede un’ira di dio, per questo i connettivi logici sono delle invarianti, non possono variare, non puoi mettere “e” al posto di “oppure” e probabilmente Parmenide ha avuto il successo che ha avuto, come anche Aristotele dopo di lui. 28-9-2011 Intervento: dicevi alla conferenza di ieri sera la questione che non occorre interrogare le cose che si dicono … Quella proposizione all’interno di un discorso, l’unico modo per pensare di sapere quello che sto dicendo è non interrogare quello che sto dicendo … Intervento: altrimenti ci sarebbero dei problemi … Dici che avrei dovuto articolare meglio? È possibile, in effetti la questione è complessa, dal momento in cui qualcosa si è istituito, è stato fermato, da quel momento non è stato possibile in nessun modo garantirlo, verificarlo, è una questione complessa perché quando si parla, si afferma qualcosa nel senso che si ferma letteralmente. Per potere dire qualcosa ciascuno di questi elementi che intervengono all’interno di una proposizione deve essere fermato in un certo senso, se io per esempio formulassi questa frase “Eleonora deve preparare bene l’esame di logica”, perché questa frase sia componibile occorre che ciascuno di questi elementi mano a mano che si dice costituisca un punto fermo, sul quale si può aggiungere il successivo, infatti dico “Eleonora deve…” se Eleonora non fosse quello che è, questo “deve” che segue non si capisce a chi si riferisce; “preparare”, preparare che cosa? Ci sono degli elementi che hanno preceduto quelli che seguono e che è necessario che siano quelli che sono per potere procedere lungo la produzione della frase, quindi è come se ciascun elemento dicendosi si fermasse, cioè dovesse essere quello che è per potere proseguire, se non altro e questo è ciò che ha molto probabilmente dato l’avvio a quella idea che le cose debbano essere quelle che sono, e cioè che l’ente sia quello che è e quindi ci sia l’Essere che è stabile, che è fermo, che è immobile e imperituro, che è eterno, insomma che sia assolutamente quello che è. Se sto parlando, se dico qualcosa, se l’affermo è quella, quindi quella cosa siccome l’ho detta ed è quella deve essere quello che è, per cui deve avere un qualche cosa che la rende quello che è, e da qui è sorta la metafisica. Qualcosa dicendosi fornisce come una certezza che siccome si è detto allora è quello, è un detto, quindi è quello, e allora debba essere quello che è e lo è in un certo senso, ma per altri motivi, che ovviamente sono sfuggiti a Parmenide, forse non aveva neanche gli strumenti per porre una cosa del genere. Siamo giunti a queste considerazioni anche muovendo da informazioni e considerando il funzionamento o meglio il pensiero che ha pensato il funzionamento delle macchine, dei computer, cosa che Parmenide ovviamente non poteva fare perché non era esperto di informatica per cui l’intoppo dal quale ha preso avvio la metafisica, e in questo Heidegger non ha tutti i torti, la filosofia svanirà nella tecnica. Ieri sera dicevo che quando si incomincia a considerare un’asserzione ci si rende conto che non è sostenibile, questa asserzione è come un fiocco di neve che non si posa da nessuna parte. Il problema è sorto proprio per questo, per la struttura stessa del linguaggio che per potere procedere deve stabilire mano a mano ciascun, elemento e quello deve essere quello che è, ovviamente non è quello che è così come è stato pensato da Parmenide per una sua personale caratteristica, è quello che è in base a un programma e quindi non può rispondere di sé, però la svista, diciamola così, di Parmenide, poi proseguita per tutta la metafisica, è stata il considerare che per parlare le cose devono essere quelle che sono e quindi dobbiamo trovare che cosa sono veramente, una volta che ho pensato che devono essere quelle che sono ci sarà un Essere che le garantisce, che le fa essere quelle che sono, un Grund, un fondamento. Questa empasse è sorta nel pensiero occidentale dall’inizio, dal momento stesso in cui si è posto, questa empasse è dovuta al fatto di avere immaginato che siccome per parlare ciascun elemento deve essere quello che è allora “è” quello che è, ma le cose non stanno così ovviamente perché da quella via non se ne viene fuori in nessun modo, e quindi farò questo: mostrerò che la cosa riguarda proprio il punto di partenza, cioè le cose non sono, non sono di per sé, c’è qualche cosa che le produce, qualche cosa che le costruisce (cosa che è sfuggita a Parmenide e a tutto il pensiero) e che sono delle istruzioni, e che la parola non è nient’altro che l’esecuzione di istruzioni, la parola esegue e queste istruzioni, sono come degli algoritmi in un certo senso, sono di fatto quelle cose che la logica ha rilevato come delle invarianti cioè i vari connettivi logici per esempio, e mostrerò molto rapidamente come si è passati dal momento in cui si è incominciato a pensare, al funzionamento di una macchina pensante, quali sono stati i passaggi che hanno prodotto questo, e poi una volta prodotta la macchina, la riflessione a questo punto è che è possibile che qualcosa incominci a pensare se e soltanto se ha un sistema operativo, cioè c’è il linguaggio, se no non succede niente. È importante sottolineare questo momento, questo punto in cui dalla considerazione che parlando le cose si fermano, cioè sono ferme perché da quella parola possa passare alla successiva, che questo non comporta che le cose debbano essere quello che sono ontologicamente. Nella frase che ho costruita prima: “Eleonora deve preparare bene l’esame di logica” come dicevamo a ciascuna parola ne segue un’altra ma quest’altra segue se la parola precedente è quello che è, solo a questo punto la parola successiva può fare il passo ulteriore per dire l’altra parola, è come se funzionasse un sorta di sistema ricorsivo anche se non appare ovviamente, però dicendo che “deve” questo “deve” si riferisce a Eleonora “deve preparare” questo preparare si riferisce al fatto che lo deve fare e il soggetto è Eleonora … Intervento: insieme al motivo c’è una verifica, cioè ricorsivo in quel senso? Sì, torna indietro, è come se fosse ciò che garantisce la correttezza di ciò che sto dicendo perché se Eleonora non è Eleonora ma un’altra cosa: un pianoforte, una macchina da scrivere, un carburatore, allora tutto quanto diventa un problema, si sganghera tutta la frase, non ha più nessun senso e quindi deve essere quello che è, questo elemento, questo significante deve essere quello che è … Intervento: tutto questo come può incuriosire il pubblico? Come questa cosa possa funzionare a far sì che una persona possa incuriosirsi … È per questo che ho articolato il mio intervento in tre momenti, nel primo ho mostrato che qualunque asserto non può essere fondato in nessun modo, quindi la ricerca della fondatezza e di conseguenza la possibilità di essere sicuri di ciò che si sta affermando non può darsi in nessun modo, ho anche calcato la mano su questo mostrando l’abisso inverosimile in cui ci si affaccia se si incomincia a riflettere su quello che si dice, e questo serviva per passare al secondo momento, e cioè mostrare che da quella strada non si arriva da nessuna parte, è barrata, è chiusa, e che quindi la questione va affrontata in un altro modo. Questo altro modo è appunto quello che stavo incominciando ad affrontare adesso, ma ne abbiamo già parlato, e cioè porre la questione muovendo dal linguaggio, dal suo funzionamento, quindi non più dal domandare alle cose stesse di rispondere ma intendere attraverso il funzionamento del linguaggio che si tratta di costruzioni che sono possibili perché esistono delle istruzioni che costruiscono delle proposizioni che si connettono fra loro, esattamente così come si combinano i circuiti logici, alla stessa maniera, dopodiché, fatta questa operazione, l’ultimo incontro è quello che rifonda in un certo senso la psicanalisi: pur mantenendo moltissime cose che ha detto Freud rispetto alla clinica che comunque sono di qualche interesse, il punto di partenza cioè i concetti principali della sua teoria non sono assolutamente sostenibili e quindi vanno sostituiti con qualche cosa di molto più potente e più solido che consenta alla persona di sapere sempre ed esattamente ciò che sta accadendo nei suoi pensieri, avere cioè una sorta di controllo, non dico totale, però un controllo su quello che sta dicendo, che sta pensando, perché lo sta costruendo e offrire la possibilità di “problematizzare” una questione, cioè di renderla un problema che quindi viene articolato attraverso una teorizzazione, di conseguenza perde il carattere di drammaticità ma diventa un problema logico. È un po’ quello che ho ripetuto varie volte, quello che dice Wittgenstein: “non esistono problemi filosofici ma esistono problemi logici” cosa che si può ampliare anche ad altro: non esistono problemi, “non esistono problemi sentimentali o problemi esistenziali, esistono problemi logici” … Intervento: è più piacevole consideralo sentimentale c’è la sofferenza, si può soffrire meglio … Per un teorema logico è difficile soffrire … Intervento: devi darti da fare per risolverlo … Sì, mette in moto l’intelligenza, quindi la cosa si articola, incomincia a mostrare di cosa è fatta, mostra tutti i vari aspetti che la compongono, esattamente come un problema logico, di cosa è fatto, quali sono le premesse, quali passaggi, perché si è giunti a quel teorema, che conclude per esempio: “e quindi non mi ama più” … Intervento: occorre si ribadisca il concetto che la scienza della parola è il fondamento che ha spinto la ricerca … Esatto, come se la psicanalisi avesse compiuto il suo percorso e a questo punto sia di fatto “scienza della parola” perché è di questo che si è occupata da sempre, noi abbiamo portato le cose alle estreme conseguenze, prima ho fatto l’esempio di Heidegger sulla tecnica, l’idea che la metafisica, questa ricerca di comprensione e manipolazione ed elaborazione dell’ente sia a un certo punto terminata, la metafisica si è consegnata alla tecnica, è il suo naturale compimento, diciamola così, in quanto è la tecnica che effettivamente conosce, manipola, elabora l’ente … Intervento: … Per potere fare tutte queste cose la scienza stessa è come se dovesse bypassare il fatto che tutto ciò di cui sta parlando in realtà non sa niente, è questa la condizione per potere procedere come accennavamo l’altra sera, la condizione per potere procedere è di non interrogare quello che sto dicendo, perché se lo interrogano cadono immediatamente nel gioco della metafisica, cioè di chiedere alle cose di dire cosa sono e si rimane all’interno della metafisica, nonostante siano cose notevoli quelle che la scienza, la tecnica stanno facendo … Intervento: il lavoro di Turing, giocare sul controllo volta per volta di un elemento in una certa posizione, in un certo contesto, in un certo tempo perché se no il sistema non potrebbe funzionare e ciascuna volta gli elementi devono essere quelli che sono … Nel processore c’è una parte dedicata proprio a questo al controllo, vale a dire fare in modo che tutti gli elementi entrino in una certa relazione fra loro e si chiama CMOS, acronimo di “complementary metal-oxide semiconductor”, ed è una parte del processore che ha la funzione di mettere in relazione i vari messaggi che arrivano, dove devono andare eccetera … Intervento: e quindi che il linguaggio sia ciascuna volta istruzione per altre istruzioni, informazioni che vengono immesse ma che sono comandi, istruzioni e ciascuna volta devono essere quelle sono e sono decisioni che prende il programmatore per far funzionare il sistema, così come quando Turing parla del come rendere pensante la macchina capace di auto programmarsi inserendo l’iniziativa … mi veniva in mente la curiosità intellettuale che manca proprio per il modo in cui gli umani funzionano per cui metafisicamente sono stati formati alla ricerca della verità ma non è una ricerca fine a se stessa la ricerca della verità è per esercitarla, per mostrarla, per il potere che da la verità, per il controllo … Questo lo dicevamo tempo fa, cioè il linguaggio per funzionare non ha bisogno di riflettere su se stesso, va avanti benissimo da solo, continua a costruire proposizioni e l’unico obiettivo della persona è dire la sua verità … Intervento: (inserire all’interno del sistema occidentale la curiosità su come funziona il mio pensiero direi che è un po’ l’iniziativa di cui parlava Turing … Intervento: questa macchina che è il discorso occidentale, impone che non si interroghi … Se si interroga, si blocca tutto. 5-10-2011 C’è qualche questione intorno alle ultime cose che andiamo dicendo, Eleonora? Abbiamo posta una questione in termini abbastanza, potremmo usare questo aggettivo, pesanti, anche se la situazione è anche peggio di quanto l’abbia prospettata, questo naturalmente all’interno dell’ambito metafisico. Dal momento in cui la metafisica, cioè il discorso religioso, che sono la stessa cosa, stabilisce un elemento e incomincia a interrogare questo elemento perché risponda del suo fondamento, a quel punto è finita la storia, nel senso che incominciano ad avviarsi i pa- radossi, le antinomie, aporie di ogni sorta, e tutto questo ha condotto alcuni ad accorgersi che forse c’è qualche problema nel discorso occidentale, senza tuttavia intendere la questione, anche perché tutti quelli che si sono posti questa questione sono rimasti comunque all’interno del discorso religioso, e quindi i tentativi di uscita sono sempre inutili, anche la stessa ermeneutica in fondo ha soltanto spostata la questione dall’Essere in quanto tale all’Essere in quanto interpretazione, sulla scia di Heidegger. L’impossibilità di uscire da questa situazione è quella che abbiamo vista e che ha iniziata e determinata Parmenide, da quel momento non c’è più stato niente da fare: dal momento in cui un elemento è quello che è a causa di qualche cosa che è fuori di sé, cioè fuori dal linguaggio che lo costruisce, non c’è più nessuna possibilità di uscita e tutto il discorso occidentale, cioè il discorso metafisico, come dice sempre Heidegger, tutto questo percorso è stato un tentativo di rimediare, di trovare una via di uscita che non c’è, perché non può esserci, nel senso che non c’è fuori dal linguaggio qualche cosa che garantisca il linguaggio, una volta stabilito questo si è intesa la questione e quindi si cessa di cercare al di fuori del linguaggio il fondamento del linguaggio … Intervento: lei ha detto: si cessa di ricercare il fondamento fuori dal linguaggio. Ma chi è Colui che compie questa operazione? Io certamente, ed Eleonora. Dunque, ciò che ha trovato il discorso metafisico sono soltanto delle aporie, dei paradossi, che naturalmente non ha utilizzato per rendere la cosa più radicale, vi faccio un esempio, è l’esempio che ho fatto durante la conferenza se non ricordo male, quello tratto dal saggio di Freud sul diniego “ho sognato una donna ma non era mia madre” come dire che ciò che Freud ha posto è che il significato del significante “madre” non è tanto colei che ha dato alla luce, colei che è genitrice eccetera, cioè la definizione del dizionario, ma una rete di significati, a questo punto il significante “madre” non ha un significato, ma il significato è dato dall’insieme delle relazioni e delle connessioni che intervengono nel momento in cui ha pronunciato questo significante “madre”, quindi non c’è un significato o, più propriamente ancora, questo significato è un continuo rinvio che poi è quello che dice De Saussure, né più né meno, o comunque la semiotica in generale. Ma ponendo la cosa in questi termini c’è la possibilità che qualunque elemento, una volta che si dice, che interviene, subisca una sorte simile perché qualunque elemento, qualunque, già questo Freud avrebbe dovuto o potuto intenderlo, si porta appresso una quantità notevole di altri elementi cioè non è isolato, il suo significato è sempre una rete di relazioni interminabile, quindi questo significato non c’è di fatto, non si può individuare in un qualche cosa, in un quid, ciò di cui non si è accorto è che queste stesse considerazioni che lui faceva intorno alla psicanalisi erano fatte dello stesso materiale, come dire che tutto ciò che lui diceva non aveva nessun significato, tutto ciò che la psicanalisi dice: la psicanalisi, come qualunque altra disciplina, non ha nessun significato, non ha nessun significato perché si situa all’interno di un orizzonte metafisico e quindi prendendo alla lettera queste teorie e applicandole, che è il lavoro che abbiamo fatto noi, a ciò stesso che affermano ecco che si trova che queste teorie si dissolvono, si sfaldano, si sgretolano, di fatto non hanno più niente da affermare perché non possono affermare niente. Questo è mancato alla metafisica per potere cessare di essere metafisica, se io affermo per esempio che la verità è uno shifters, un operatore deittico, (cos’è un operatore deittico? È un indicatore, adesso io indico Cesare, questo dito indice qua, in questo momento è un operatore deittico, indica le parole “qui, là, adesso” sono operatori deittici cioè danno un indicazione del luogo, del tempo in cui avviene qualcosa, anche il soggetto può essere inteso come un operatore deittico cioè indica colui che compie l’azione di cui il verbo sta chiacchierando) porre dunque la verità come un operatore deittico è farla uscire da un ambito metafisico. Le parole “verità”, “essere”, “ente”, “essente” ma anche “identità/differenza” sono parole metafisiche, non che siano proprietà della metafisica, ma è la metafisica che ha fornito a questi termini il loro senso, il loro uso, almeno il loro uso filosofico. Tempo fa parlavamo di identità, al punto in cui siamo, penso che parlare di identità non abbia alcun senso, identità o differenza naturalmen- te, cosa significa parlare di identità? È porsi ancora all’interno di un ambito metafisico dove cioè un certo elemento si immagina che debba essere identico a sé, noi lo ponevamo sì, come un’istruzione, ma questa istruzione non è necessaria di fatto, è ridondante perché devo dire che un elemento è identico a sé una volta che ho posto la sua, chiamiamola “esistenza”, è tale in quanto serve per costruire un gioco, a produrre un gioco, un’articolazione, viene stabilito per potere giocare, non ha nessun altro scopo, nessun altra funzione, è identico a sé? È una domanda senza senso: un filo elettrico è identico a sé? Cosa ci stiamo chiedendo, direbbe Wittgenstein, chiedendoci una cosa del genere? Non c’è nessun bisogno di porre l’identità né la differenza, quando un gioco linguistico stabilisce delle regole e pone degli elementi, e cioè delle variabili che stanno al posto di qualunque cosa e dei connettivi, posso provare che un connettivo è identico a sé? Questa domanda è fuori di luogo, posso provare che il Re di fiori è identico a sé? Perché se non è identico a sé non posso giocare a poker … Intervento: ha la stessa funzione sempre ripetutamente … Esatto, è un algoritmo, ha questa funzione all’interno del gioco e svolge la sua funzione, nient’altro che questo. Porre la questione in questi termini non è più metafisica, perché non c’è più la domanda intorno al come stanno le cose, a che cosa necessariamente c’è. Che cosa c’è in questa cosa? Non c’è niente, c’è quello che si è stabilito che ci sia, e cioè che le regole del discorso hanno stabilito per potere giocare … Intervento: nel vocabolario le parole che ci sono, sono parole che servono per giocare per definirle allora sarebbe difficile a questo punto? Potrebbe pensarla così: il dizionario non definisce le parole, semplicemente indica come usarle, qual è il loro uso all’interno del sistema, infatti sempre Wittgenstein, non a caso, aveva detto che il significato è l’uso, è questo: come uso questa parola? Il dizionario indica qual è l’uso, ogni volta che trova la parola “mare” questo bisillabo ha un certo uso, poi stabilito questo uso, stabilito in modo totalmente arbitrario naturalmente, poi a questo punto può avvenire tutto ciò che ci racconta Freud e cioè che sentendo questo significante “mare” a chiunque può venire in mente qualunque cosa ma il significante “mare” non posso sostituirlo con il significante “muro” a meno che non ci sia un accordo generale perché se no non si parla più, come dire che il 2 e il 3 non possono avere la stessa funzione all’interno del sistema aritmetico, perché se no l’aritmetica non funzionerebbe più, questo non toglie che se io dico 3, questo possa fare venire in mente a Eleonora la santissima trinità per esempio, oppure qualunque altra cosa, però questo tre occorre che all’interno di un sistema abbia una sua definizione, e cioè sia stato stabilito in che modo si usa. Quindi porre le cose in questo modo non è più porre dei termini in modo metafisico, e questo ha dei vantaggi, perché finché si permane all’interno del sistema metafisico non c’è nessuna possibilità di uscita come abbiamo mostrato tante volte, nessuna, assolutamente nessuna, è solo un girare in tondo all’infinito, ma non perché le cose stiano così, le cose non stanno come dice la metafisica, come vorrebbe la metafisica, non stanno affatto così. Tutto ciò che ho detto per esempio la volta scorsa in libreria è “falso” fra virgolette perché le cose non stanno così, ho soltanto descritto il modo in cui le pensa la metafisica, che è il discorso religioso, è il modo di pensare le cose dell’occidente da Parmenide in poi fino a tutt’oggi. Tuttavia, ciò che gli umani hanno fatto si è costruito “grazie” fra virgolette a questo sistema metafisico, tutto ciò che è stato pensato, detto, costruito, inventato, è stato possibile proprio perché il pensiero è fatto in quel modo, cioè metafisico, si domanda qual è l’Essere delle cose quindi cerca di stabilire come sono fatte le cose dentro in un certo modo, adesso detta così in un modo un po’ rozzo, però la chimica è questo: cerca di vedere come sono fatte “dentro” le cose, quali sono le molecole e le relazioni fra le molecole che le compongono, per esempio … Intervento: nelle teorie il tentativo è sempre quello di ricollegare qualunque cosa, c’è molto lavoro in tutto questo, tutto deve essere ricollegato e messo in relazione con quelli che sono i principi, c’è un idea di partenza e lì deve tornare cioè tutto in qualche modo deve quadrare … Sì, e in più tutto questo modo di pensare è esattamente il modello del pensare metafisico, cioè quello deterministico, quello che suppone che le cose sono quelle che sono … Intervento: e se sono quelle che sono è perché c’è un motivo … Esatto infatti, il primo problema che sorse nel ‘900 a partire da Gödel, e nella fisica da Einstein: si riteneva che le la fisica newtoniana fosse l’unica possibile, perché il tempo e lo spazio sono quello che sono, non era pensabile per esempio che il tempo fosse una variabile, il tempo è quello che è, invece Einstein ha congetturato che il tempo potesse costituire una variabile, cioè potesse mutare, potesse andare in modo differente, e a questo punto ha dovuto inventare una fisica differente, che non avesse più i fondamenti stabili, certi, fissi, sicuri della fisica newtoniana, e ne ha inventata un’altra. Oggi ancor più con la meccanica quantistica: non è possibile stabilire al tempo stesso la posizione e la velocità di una particella, come dire che non si sa dov’è, c’è, ma non si sa dov’è. Tutto ciò crea un problema per il determinismo fisico: le cose sono quelle che sono e stanno lì ferme per cui le posso osservare, no, diceva Heisenberg, se io le osservo già questo osservarle le modifica e quindi dove sono? Come sono? Ma anche questo rimane comunque all’interno di un pensiero metafisico, la fisica rimane metafisica perché comunque si immagina nonostante tutto che le cose debbano stare in un certo modo, la fisica cerca questo: come stanno realmente le cose, come la filosofia, solo che rispetto al pensiero la fisica ha concentrato la sua ricerca sulla natura, cercando di intenderne le leggi e le leggi rendono stabile il fenomeno, il perché avviene così. Qualcosa può anche essere prevedibile e mostrarsi così, ma si mostra così non perché è così ma perché si è deciso che sia così, perché fa parte del gioco, e questo sovverte tutto, cambia completamente lo scenario e la fisica appare a questo punto come un gioco fra gli altri, né più né meno, le sue leggi non stabiliscono come stanno le cose, costruiscono un gioco … Intervento: costruiscono degli enti, lei diceva alla conferenza, per uscire dalla metafisica basta accorgersi che si sta giocando … Sta giocando il linguaggio, il linguaggio è la struttura che consente di potere giocare, però la metafisica costituisce qualcosa di più di un sistema filosofico, è l’orizzonte entro il quale ciascuno stabilisce i propri riferimenti, i propri parametri di pensiero quindi le proprie certezze, il proprio orientamento letteralmente, togliere la metafisica significa togliere l’orientamento … Intervento: … Il nulla è un concetto al pari di qualunque altro, dicevamo tempo fa che l’esistenza è trovarsi qualcosa all’interno del linguaggio, il nulla è ciò che si immagina che sia fuori dal linguaggio, ma lo si può solo immaginare ovviamente, non si può provare né l’esistenza, né il nulla. 19-10-2011 Abbiamo detto la volta scorsa di incominciare a elaborare la scienza della parola, dove “scienza” ha un’accezione più forte di quella che per esempio si utilizza nell’ambito della fisica, della botanica, o che usa un entomologo. Muovere i primi passi per la costruzione di una scienza della parola non è semplice, ciò che abbiamo fatto fino adesso però ci dà una direzione abbastanza precisa; dopo avere scartata tutta la tradizione metafisica e cioè quella che muove dalla supposizione che esista un qualche cosa di per sé, che possa o debba rendere conto di sé, ci siamo rivolti alla questione più semplice, riflettendo su come si impara a parlare e abbiamo costatato che si impara a parlare attraverso la trasmissione di informazioni, che negli umani avviene prevalentemente verbalmente, visivamente, acusticamente, sono i modi in cui gli umani acquisiscono le informazioni per lo più. Istruzioni dunque che consentono l’organizzazione anche delle proposizioni che si costruiranno, ciò che comunemente si chiama sapere, queste proposizioni vengono organizzate in modo specifico, fornito dalle istruzioni, e questo modo è grosso modo quello che indica la logica stessa e cioè l’utilizzo di alcune invarianti che servono per la costruzione di quelle se- quenze che si chiamano proposizioni, e cioè i connettivi: la “e” il “non” il “se … allora” “oppure” e il “se e soltanto se”. Così si acquisiscono le prime informazioni, cioè questo è questo, oppure c’è questo oppure quest’altro, se c’è questo allora c’è quest’altro, c’è questo soltanto se quest’altro. Questo è il modo in cui si acquisisce, la tecnica che consente la costruzione di quelle sequenze note come proposizioni, che costituiscono poi il sapere e che sono in buona parte condivise, anzi sono condivise perché ciascuno le apprende attraverso questi modi, non ce ne sono altri. Questo rende conto del modo in cui si costruiscono delle proposizioni, queste proposizioni, abbiamo anche detto, e questo è molto importante all’interno di quel sistema, di quella struttura che chiamiamo linguaggio, che di fatto rappresenta quelle istruzioni all’interno di questo hanno un obiettivo che è quello del linguaggio, non soltanto riprodurre se stesso, ma per riprodurre se stesso deve giungere ad affermazioni che siano ritenute all’interno di un sistema vere. Questo perché il linguaggio per procedere deve partire da qualche cosa che sia attestato, sia stabilito. Tempo fa facevamo l’esempio del “questo è questo”, qualche cosa che consente di incominciare, ciò che consente di incominciare e di proseguire è la possibilità di attestarsi su un qualche cosa che sia considerato vero all’interno del sistema, che cosa vuole dire che sia considerato vero? Vuole dire semplicemente che questo elemento non contraddice se stesso e non contraddice la premessa da cui è partito, se può continuare in quella direzione chiama quella direzione vera, se non può continuare la chiama falsa, e non può continuare se questo elemento è autocontraddittorio, cioè dice di se stesso che è falso oppure se nega la premessa che lo sostiene. Questo è grosso modo lo schema del funzionamento che abbiamo tratto anche in parte dal modo in cui si è costruita l’intelligenza artificiale, cioè le macchine: dovendo costruire una macchina si è dovuto vedere come funziona il pensiero, a partire da quali cose è possibile il pensiero e da qui tutto il discorso intorno ai circuiti logici, prossimi ai circuiti neurali. Oggi molte persone lavorano intorno alle cosiddette neuroscienze, immaginando di trovare nel funzionamento neurale le risposte alle emozioni, alle sensazioni eccetera, ma c’è un problema: i neuroni di fatto non sono nient’altro che interruttori che fanno passare oppure non fanno passare corrente, hanno due estremi, input-output, la corrente passa o non passa a seconda dell’intensità dello stimolo, cioè della corrente, ma a questo punto il domandarsi come funziona un’emozione per esempio, a partire dai neuroni è come andare a cercare l’emozione all’interno di un flusso di corrente elettrica, che è un lavoro che riguarda più, non dico gli elettricisti, ma un fisico che si interessa di elettricità, di elettromagnetismo, perché il neurone fa questo: trasmette o non trasmette corrente, come un transistor, ci sono emozioni dentro ai transistor? Ma non sono fatti per questo! Possono certo, assemblati in un certo modo, con un certo programma e con tutta una serie di altri aggeggi giungere a quella cosa che noi chiamiamo emozione, tecnicamente non è impossibile, ma non riguarda i transistor in quanto tali, riguarda ciò che il sistema operativo è in condizione di produrre con i suoi risultati, sarebbe come sperare di vedere un film al computer osservano attentamente il processore, e guardando attentamente tutti i milioni di transistor che ci sono dentro e sperare di vederci il film. Questo schema da un’idea del modo in cui il linguaggio funziona e di come il linguaggio costruisce quelle cose che chiamiamo parole, abbiamo detto che la parola non è altro che l’esecuzione di istruzioni, però c’è un passo da fare, e cioè intendere come queste sequenze di parole, e poi di discorsi, di storie che è la vita della persona, tutto ciò si produce e come si produce a partire da relazioni tra discorsi con altri discorsi. Tutto questo appare di una notevole complessità, che potrebbe così d’acchito scoraggiare, le variabili che intervengono sono sterminate, non solo, queste variabili variano in base a delle relazioni, è un sistema relazionale quello del discorso, adesso parliamo di discorso e non di linguaggio, visto che consideriamo il linguaggio soltanto come una sequenza di istruzioni, ma il discorso, i vari discorsi, le argomentazioni, sono all’interno di relazioni straordinariamente complesse, così complesse che si modificano le une con le altre e non a caso si è parlato di struttura, cos’è una struttura? È una relazione, una relazione di elementi, un intreccio di elementi tale per cui se un elemento viene modificato, oppure aggiunto, oppure sottratto, allora non è che tutti gli altri rimangono immobili e identici a sé, no, tutto il sistema di relazioni si riassetta in base a quella modificazione, cioè si modifica tutto quanto, questa è la nozione di struttura. È esattamente ciò che descrive Freud quando ci racconta come interviene un motto di spirito, un lapsus, un atto mancato, qualche cosa accade nel discorso e ciò che è accaduto lì modifica tutta la storia, tutto il racconto, per altro è questo il motivo per cui alcuni hanno accostato la meccanica dei quanti alla teoria di Freud. Nella meccanica dei quanti i fisici si sono trovati di fronte a una situazione singolare, e cioè un elemento, l’oggetto della loro indagine, nel caso specifico una particella subatomica, presentava una situazione molto particolare e cioè la possibilità di individuare un elemento, una particella subatomica, l’esistenza stessa di questa particella era strettamente legata alla struttura di relazioni entro la quale la particella esiste e anche l’osservatore entra a fare parte di questo sistema di relazioni, per cui se si varia un elemento, lo stesso strumento, la macchina che serve per l’indagine, tutto questo interviene come elemento di questa rete di connessioni, per cui l’elemento non esiste più da solo come nella fisica neutoniana nella quale c’è l’oggetto, che esiste e se io lo modifico il resto rimane quello che è, nella meccanica dei quanti no, se io modifico un elemento allora si modificano anche altri. Tutto ciò ha reso impossibile per esempio stabilire con certezza se la luce abbia un andamento ondulatorio o corpuscolare, o se una particella sia possibile individuarla nella sua posizione e simultaneamente individuarne la velocità, questo non è possibile, cioè l’elemento esiste in quanto relativo a tutti gli altri, in relazione a tutti gli altri, in modo tale che la verità nell’ambito della meccanica dei quanti è di fatto una rete di relazioni, nient’altro che questo, non c’è più l’oggetto in quanto tale determinato, da qui il principio di indeterminazione di Heisenberg. Questo rende conto, come dicevo prima, della complessità e cioè del fatto che il significato di un elemento che interviene all’interno di un racconto non sia determinabile isolandolo dal racconto in cui è inserito, ma il significato di quell’elemento è connesso con gli altri elementi di quel racconto. Facevo l’esempio del sogno di quel tizio che ricorda Freud nel Diniego “ho sognato una donna ma non era mia madre”, qual è il senso di questa parola “madre”? Non è solo il fatto che la madre sia identificata da colei che gli ha dato la vita in certe circostanze, ma da una quantità notevole di altri elementi che intervengono a costruire quel significante in un certo modo, con un certo significato tuttavia perché quel significante “madre” possa essere utilizzato occorre che ci sia un qualcosa che ne indichi e ne delimiti e ne determini l’uso, infatti ha detto “ho sognato una donna ma non era mia madre” non ha detto “ho sognato un transistor ma non era mia madre”. Qui torniamo alla questione del linguaggio e delle istruzioni, cioè occorre che un elemento sia determinato nel suo uso, il dizionario “mare”, possiamo indicare il mare come quella distesa di acqua salata che circonda tutte le terre emerse del pianeta, e questo è l’uso della parola “mare”, l’uso corrente, come abbiamo detto tante volte il dizionario è un libretto delle istruzioni, dice come si usano i vari termini, senza questo uso, senza la possibilità di usare un termine in un certo modo, non c’è nemmeno la possibilità che questo elemento possa agganciare, una volta usato, una volta nel suo uso, possa agganciare altri elementi, non c’è nessuna possibilità perché non significa niente. Supponiamo per esempio che io costruisca un dizionario usando una sola lettera, ci sono 160.000 mila parole in un dizionario, supponiamo che io indichi la prima lettera con una A, la prima parola che interviene è la A, una preposizione, poi prosegue, la seconda parola la indico con AA, la terza parola con AAA, quindi l’ultima sarà una sequenza di 160.000 A messe in fila, anche questo è un criterio, difficilmente praticabile, per dire mare devo vedere qual è la posizione che questa parola occupa all’interno del dizionario, che numero rispetto alla sequenza e fare una sfilata di A, e allora quello vuol dire mare, potrei fare anche così, se non lo faccio, se nessuno ha costruito un dizionario a questa maniera è perché non ha nessun senso, nessuna praticabilità, ogni termine occorre che sia facilmente individuabile e utilizzabile, poi come faccio a dire una parola che è composta da 1827 A? come faccio, dicendola, a distinguerla da quella precedente? Da quella successiva? È complicatissimo. A questo punto dobbia- mo indicare che un qualunque elemento deve intervenire determinato nel suo uso per potere essere utilizzato, e questo uso è quello che è soltanto in base a un’istruzione, è qui che noi ci discostiamo in modo radicale e definitivo dalla metafisica, perché questo elemento non è né vero né falso, non è niente, la stessa nozione di Essere appartiene a una cosa del genere, è soltanto un’istruzione. Dicendo una parola, o affermando una qualunque cosa, questa affermazione tende ad attestarsi, cioè a porsi come qualcosa di vero, fino a prova contraria, e gli umani hanno cercato per duemila e cinquecento anni di dare conto di una cosa del genere in modo che la cosa rispondesse da sé, ma la cosa non risponde da sé, non risponderà mai da sé, risponde soltanto dicendo altre cose, queste cose rispondono dicendo altre cose: se si vuole trovare il significato di un termine, un significato che non sia un significato stabilito da un comando, non lo si troverà mai perché non ce l’ha, non l’ha mai avuto, è mai esistito, quindi cosa trovo? Niente. Tutto questo ci mostra la semplicità e al tempo stesso la complessità di una struttura, semplice nel senso che sono comandi che costruiscono delle parole che si agganciano tra loro. Ma ciò che a noi interessa adesso è intendere come si agganciano fra loro e qui interviene la complessità, come si connettono queste cose? Potremmo anche chiederci perché si connettono, si connettono perché le istruzioni forniscono quegli elementi che consentono di agganciare un elemento a un altro attraverso i connettivi logici per dirla tutta, ma come si connettono? A questo punto la questione potrebbe essere straordinariamente complicata, è ciò che ha cercato di capire Freud, come si connettono queste cose? Perché in questo modo anziché in un altro? Freud non aveva naturalmente le informazioni sufficienti per elaborare in modo più preciso una questione del genere; ciò che il linguaggio deve fare per potere proseguire è costruire una sequenza che sia formata in un certo modo cioè sia, come direbbe la logica, una formula ben formata, cioè si attenga alle istruzioni sintattiche e grammaticali, dopodiché deve costruire una sequenza che concluda in un modo che sia riconosciuto dalla sequenza stessa e quindi dal sistema in cui è inserita come vera, e cioè non contraddittoria a se stessa né con la premessa che l’ha costruita, questo perché? Potremmo dire perché il linguaggio funziona così, sì certo, ma possiamo anche dire qualche cosa di più, e cioè che per potere dedurre, derivare, trarre delle cose occorre che ci sia un elemento che non neghi se stesso, se nega se stesso io non posso più dedurre niente, da qui il famoso principium firmissimum, il principio di non contraddizione, dunque deve concludere con una affermazione vera per potere utilizzare questa affermazione per costruire su questa affermazione altre sequenze, per potere quindi proseguire, che è l’unica cosa che sa fare. Il linguaggio deve concludere una sequenza con una proposizione vera, è questo il principio cui si attiene, è questo il principio base sul quale costruisce tutte le sequenze, le connessioni, le relazioni, le interrelazioni che arrivano fino alla costruzione di discorsi, di argomentazioni, di miti, di religioni, di scienze, di qualunque cosa, complicatissime ma se ci atteniamo al semplice funzionamento del linguaggio troviamo che il modo in cui si connettono queste cose segue sempre e necessariamente questa direzione, e cioè potere affermare una cosa vera. Proviamo per esempio a considerare l’esempio che fa Freud “ho sognato una donna, non era mia madre” perché deve dire una cosa del genere? Che fosse o non fosse sua madre potrebbe essere irrilevante ma invece appare non esserlo irrilevante, questa donna che ha sognato si connette con la madre, introdurre l’elemento “madre” serve a confermare qualche cosa, per esempio che la madre è buona, che la madre è cattiva, perché gli ha fatto una certa cosa, è un conflitto di giochi linguistici, la mamma deve essere buona, perché se non è buona allora cosa fa? Mi abbandona, però mi ha negato la marmellata, e questo non è bene, quindi è cattiva, e però è anche buona e allora bisogna trovare quella che Freud ha chiamato provvisoriamente formazione di compromesso, cioè ci si inventa l’uomo nero, così come gli umani si sono inventati i miti, le religioni e tutte queste storie per trovare una soluzione praticabile che li tolga da una contraddizione irresolubile, e quindi si tratta di trovare quella cosa che confermi che la mamma è buona, perché la mamma deve essere buona? Chi l’ha detto? Se la mamma è buona allora mi da retta, allora mi considera, allora io esisto, allora quello che dico è vero, perché se la mamma mi dice che sono cattivo, e cioè non mi riconosce più e mi abbandona, allora non riconoscendomi più non riconosce nemmeno quello che dico, e cioè non lo verifica, letteralmente, non lo rende vero, e quindi mi ritrovo con una sequenza di premesse che non servono più a niente, non posso più fare niente. Questo è il dramma di tutto il pensiero occidentale, non è rivolto alla mamma in quanto tale ma a qualcosa del genere, perché la necessità è di mantenere la mamma come buona, ma al tempo stesso non è possibile eliminare un altro elemento che si è imposto come vero, cioè la mamma mi ha tolto la marmellata dunque è cattiva, perché a questo punto già il sistema inferenziale funziona, se mi toglie la marmellata che per me è bene allora “sei il male, sei cattiva”, però urta contro una verità più importante, cosa significa verità più importante? Significa che è quella che gli consente la possibilità stessa di continuare a parlare, a esistere quindi, e allora una delle due deve essere eliminata, e viene eliminata la seconda, ma come? Creando quella che Freud chiamava la formazione di compromesso, uno spostamento, non è più la mamma cattiva ma è l’uomo nero, è l’uomo nero che incombe su di me, mi minaccia. Tutto questo per mantenere uno schema, di cui gli umani sono prevalentemente inconsapevoli, ma che funziona ininterrottamente, ventiquattrore su ventiquattro in tutte le loro attività, e cioè la necessità che il discorso mantenga quella direzione, quella direzione tale per cui il discorso procede di verità in verità, questo è lo schema che consente e che dirige, pilota tutte le cose straordinarie o terribili che hanno fatte. Tutte queste cose sono state pilotate da questo criterio, l’unico che fa funzionare il linguaggio, senza questo criterio il linguaggio cessa di funzionare. È un po’ come il principio di non contraddizione è un principio singolare che in effetti viene utilizzato continuamente però non può esibire la propria validità, è vero o è falso il principio di non contraddizione? Lasciamo stare la correttezza, ma almeno la validità, ma come faccio a saperlo? Per costruire un’argomentazione che lo convalidi, che lo confermi devo utilizzare il principio di non contraddizione, ed è un’operazione che argomentativamente si ritiene scorretta, cioè utilizzare ciò stesso che deve essere dimostrato all’interno della dimostrazione, perché questo inserisce surrettiziamente l’idea che ciò che deve essere dimostrato, utilizzandolo, sia di fatto, già stato dimostrato, cosa che invece non è, tuttavia questo principio di non contraddizione è quello che dice che un elemento non può negare se stesso perché se nega se stesso su questo elemento io non posso costruire niente, perché? Perché non ho una direzione o più propriamente ho due direzioni opposte, e come fa il discorso a seguire la via della verità se non ha una direzione? Non lo può fare, si arresta, si blocca tutto. Ma questo non dice ancora tutto riguardo alla complessità straordinaria del discorso, però ci dice qual è la direzione che necessariamente deve seguire, e cioè che in qualunque modo si connettano, si relazionino, si intersechino i discorsi, le storie seguiranno, avranno questo obiettivo: confermare continuamente la premessa da cui sono partiti. Questa è una questione sulla quale occorrerà riflettere ancora: se una certa cosa viene considerata vera, tutto ciò che è derivabile da questa cosa, da questo discorso, viene considerato vero in quanto lo conferma, e confermandolo è automaticamente vero, ma come si connette con altri discorsi? Freud ha fatto una lista di eventualità, di possibilità note già anche alla retorica: l’assonanza, la paronomasia, l’enumerazione, come accade che due cose soltanto perché hanno un suono simile siano considerate simili? Perché? Che senso ha? Eppure accade, perché se una certa cosa ha un certo suono ed è considerata vera è come se, adesso lo dico in un modo molto rozzo, anche quell’altra cosa che ha un suono simile diventasse simile, e se è vera la prima diventa vera anche la seconda, per contiguità. C’è una teoria medioevale della “scuola di Chartres” sul bello come vero, che allude o prelude comunque a un cosa del genere: una cosa che suona bene è più facilmente creduta vera di una cosa che suona malissimo, per una serie di motivi anche questi riconducibili al funzionamento di tutto il sistema. Sono questioni appena abbozzate, e si tratterà di lavoraci parecchio perché sono tutt’altro che semplici da svolgere e da elaborare, però la direzione appare questa. Intanto una direzione sicura è questa: il discorso deve procedere attraverso affermazioni vere, e questa è la direzione che ne- cessariamente segue nella costruzione di tutta la rete di relazioni che costruirà, e il suo obiettivo è sempre comunque questo: affermare, concludere con qualche cosa di vero, che possa essere stabilito, sulla quale cosa sia possibile attestarsi per potere proseguire, per potere fare in modo che il discorso continui e cioè che il linguaggio continui a costruire cose … Intervento: su due questioni sceglierà quella … Perché è vera, perché è utile per il raggiungimento della verità … Intervento: comunque scarta l’altra per … Sì, bisogna vedere come la scarta, perché può scartarla ma permane, perché anche questa è una verità, se si è posta, se è stata posta è perché è vera, anche se poi va in conflitto con l’altra … Intervento: se lui sceglie la seconda a questo punto non ha più la verifica … No, non sceglie la seconda, è sempre la prima nel senso che per lui funziona come la prima cioè quella che gli consente di raggiungere la verità, cioè di concludere che le cose stanno così, che è la verità metafisica per eccellenza la verità come orthotes, come correttezza dell’enunciato. Era quello che diceva Tarski: l’enunciato “la neve è bianca” tra virgolette quindi è il nome di un enunciato, è vera se la neve è bianca, senza le virgolette, come il dato di fatto, quindi se l’enunciato è coerente con il dato di fatto allora è vero, se no è falso. Costruire la scienza della parola, abbiamo detto, significa dare alla psicanalisi uno statuto scientifico, e qui la nozione di scienza, come ho detto all’inizio, è molto più forte, molto più potente di quella che utilizza la fisica, qual è la nozione di scienza che utilizza la fisica per esempio? La scienza come un insieme di saperi che stabiliscono delle leggi che rendono conto del mutamento, della trasformazione, del divenire degli enti, questo fa la scienza, ecco questa definizione di scienza che è la più comune non è sufficientemente forte, perché queste leggi che stabilisce sono assolutamente arbitrarie, infatti vengono decise, anche se per molti queste leggi vengono scoperte, oppure vengono inventate a seconda del modo in cui ci si pone, e lascia la cosa piuttosto nell’incerto, una legge che è stabilita non si sa se rende conto di qualche cosa che esiste realmente oppure se si inventa quella cosa, così come i neutrini. Parlare di esistenza dei neutrini ha un senso, ma può anche non averne a seconda dei modi in cui si pone la questione, mentre una definizione di scienza molto più potente è quella che indica il sapere che procede non da leggi ma da asserti necessari e svolge questi asserti necessari derivando da questi asserti necessari altri asserti necessari. Occorre porre un asserto necessario ovviamente, era stato il sogno di Aristotele. Questo è un po’ il progetto di lavoro nei prossimi mesi, cioè rendere conto di tutto ciò che ha trovato Freud, ammesso che abbia un senso quello che ha trovato Freud, cosa che dovremo considerare, e dare a tutto questo uno statuto scientifico. Dopo tutto, ciò che ho indicato come rete di connessioni che rendono tale un certo elemento, lo rendono tale, cioè dicono qual è il significato in quel momento, quella rete di connessioni è ciò che Freud ha chiamato inconscio, in modo molto sommario, ma a questo punto ha già una dignità argomentativa e anche scientifica differente, non è più un entità che sta lì, che non si sa da dove venga e che cosa ci rappresenti, ma ha una necessità, e cioè un elemento è necessariamente connesso con tutti gli altri perché non esiste una parola isolata, messa lì nel nulla assoluto, non è una parola, non è niente, è una parola se esiste in relazione, come direbbe De Saussure, e cioè il significato è tale in quanto è in una situazione differenziale relativa a tutti gli altri significati. Dunque la parola è tale perché inserita all’interno di un sistema di parole, cosa che abbiamo detto da sempre: un elemento linguistico è tale perché inserito all’interno di una combinatoria, non esiste isolato, e questo già la linguistica e ancor più la semiotica lo ha detto in modo molto chiaro … Intervento: è vero che l’ha detto anche la psicanalisi l’ha detto però per quale motivo … No, la psicanalisi non l’ha mai detto perché non l’ha mai saputo, e allora ha dovuto inventarsi la nozione di pulsione per rendere conto di una cosa del genere, di qualcosa che spinge, ciò che in fisica si chiama il momento, quello che muove la particella, però da dove arrivi questa pulsione nessuno lo sa, è un concetto che si è inventato per rendere conto del fatto che le cose sono in di- venire, si muovono, non restano immobili, fisse e ferme, ma cambiano, si articolano fra loro, si modificano. La nozione di “pulsione” non ha più nessun interesse perché anche questa procede dal modo in cui il linguaggio funziona, se ciascun elemento linguistico, ciascuna parola è tale perché è connessa con altre, è ovvio che sarà connessa con un'altra parola e quindi ci sarà “tensione” chiamiamola così provvisoriamente verso un’altra parola, da qui la pulsione, da cui si possono intendere anche quelle nozioni definite come domanda, come desiderio. La terminologia psicanalitica lascia il tempo che trova, anche perché non sa sostenere una cosa del genere aldilà del dire che c’è la pulsione perché c’è, perché la verifico. No, quello che tu verifichi è soltanto quello che vuoi verificare, se io credo in dio verificherò continuamente la presenza di dio all’interno del creato, ininterrottamente, in ciascun atto, in ciascun gesto, in ciascuna foglia d’autunno che cada … Intervento: anche un depresso e uno che sia sempre felice verificherà continuamente … In base alle cose in cui crede, e le cose in cui crede costituiscono quella verità che deve essere, come il mito che si costruisce per dare una verità a delle cose, per rendere conto di certi eventi, di certi fatti con la speranza di poterli controllare, gestire come ci diceva Nietzsche, sui quali potere avere potere. 26-10-2011 Le parole, i discorsi, costituiscono quell’ambito entro il quale avviene qualunque cosa, tutto ciò che avviene, se avviene qualcosa, avviene all’interno di questo ambito, non ce ne sono altri, naturalmente con tutto ciò che questo comporta. Dicevamo la volta scorsa di incominciare a riconsiderare il lavoro di Freud tenendo conto che tutto si svolge all’interno di quest’ambito e quindi trova la sua ragione d’essere, per così dire, all’interno di questo ambito, senza andare a cercare chissà quali cose misteriose, enigmatiche o esoteriche, ma ogni cosa trova una sua collocazione, una spiegazione, se vogliamo usare questi termini, all’interno dell’ambito linguistico. Si tratta di intendere come si connettono le storie, i racconti che le parole costruiscono, incominciando considerare che alcune situazioni in cui la persona che inizia a parlare si trova, vengono considerate all’interno del discorso come una sorta di dati di fatto, e quindi da lì si incominciano a derivare proposizioni, a derivare altri discorsi, altre storie. Supponiamo ad esempio, tanto per incominciare facciamo un esempio clinico, una bimbetta all’interno di una famiglia costituita da padre, madre e la bimbetta; nasce un’altra bimbetta, dramma terribilissimo. A questo punto ciò che costituiva una verità all’interno del sistema, con sistema intendo il discorso della bimbetta, viene minacciato, viene messo in discussione. Prima è come se le fosse stato detto “tu sei la regina di tutto, sei la cosa più importante”, e in base a questo aveva incominciato a costruire la sua esistenza, ora interviene un altro elemento esterno e incomincia a constatare che la mamma dedica un po’ troppo tempo a quest’altra cosa, e che il tempo che veniva dedicato a lei diventa sempre di meno, e quindi non è più il centro di tutto: la cosa che era assolutamente vera in precedenza viene minacciata, però non viene minacciata tanto la sua posizione in quanto tale, viene minacciato un discorso, la verità che questo discorso ha stabilita. Il modo più rapido per eliminare qualcosa che minaccia la propria verità, è l’eliminazione di colui che costituisce questa minaccia, se un certo personaggio politico minaccia la verità degli Stati Uniti il modo migliore per risolvere la cosa è eliminare il personaggio sparandogli in testa, d’altra parte è il sistema che usa anche la mafia, è un sistema collaudato di millenni. Dunque il modo per tornare nella situazione precedente, adesso torniamo alla bimbetta, è quello di eliminare questa minaccia, eliminarla fisicamente se è possibile, però le viene impedita questa operazione dai genitori e quindi l’operazione non riesce, anche perché se riuscisse, in seguito questo avrebbe altre implicazioni, altre complicazioni probabilmente di notevole portata per via di una serie di altre verità che vengono ag- giunte. Però questa bimbetta si trova in quella situazione per cui di fatto la sua situazione non è più quella di prima, è un fatto per la bimbetta, non è una costruzione linguistica, quindi è assolutamente certa che le cose stiano così e cioè che sia stata abbandonata, è convinta di essere stata abbandonata, è stata abbandonata e la mamma non è più quella di prima, cioè non le vuole più bene come prima. Questa è la verità incrollabile, e la sua esperienza conferma questa cosa, naturalmente non sa che cosa le ha consentito di “esperire” tutto ciò, semplicemente trae da qualcosa che riesce a considerare questa conclusione: “sono stata abbandonata”. A questo interviene una situazione complessa, forse una delle prime situazioni complesse che si trova ad affrontare la bimbetta in questione: eliminare l’ostacolo per tornare nella situazione precedente non è bene, non è bene, questa implementazione al suo discorso viene fatta dai genitori i quali la rimproverano quando si accorgono che sta per tagliare la gola alla sorellina con un affiliassimo coltello da cucina … Intervento: o buttarla già da una scala … Sì, ci sono vari sistemi. Si accorge dunque che ciò che lei desidera non è bene, non è bene perché così dicono i genitori, ma è anche bene perché in questo modo tornerebbe alla situazione precedente, non potrebbe tornarci mai, però l’idea, che è ancora abbastanza semplice è questa: prima era in certo modo, poi è arrivata questa e non è stato più così, allora se tolgo questa, torna tutto com’era prima. Il ragionamento è semplice, non tiene conto di una serie di altre implicazioni, quindi si trova a dovere risolvere uno dei primi grossi problemi della sua esistenza. Come si risolve un problema del genere? Si risolve male, si risolve male perché non c’è ovviamente la possibilità di intendere che cosa ha costruito tutto questo, cosa che azzererebbe il problema, ma non ci sono gli strumenti, né è possibile averli per il momento, e quindi dicevo si risolve male e cioè tutte queste verità non possono venire eliminate dal discorso perché non ha strutturalmente la possibilità di farlo, ma eliminate nel senso di elaborate, articolate, rendersi conto da dove vengono, cosa le ha costruite e perché esistono, intendo questo con eliminate, non cancellate. Dicevo che queste verità sussistono, sono presenti però non possono coesistere, non possono coesistere perché all’interno di un sistema non possono permanere delle verità in contraddizione fra loro, perché se permangono delle contraddizioni allora delle verità risultano non più vere, perché vengono falsificate da quell’altra verità o viceversa. Interviene un’altra cosa: tutte queste verità sono state confermate, sono assolutamente vere, ora il modo per risolvere il problema non è in quella situazione sicuramente quello di elaborare la questione all’interno di una struttura linguistica, ma di trovare un colpevole, qualcuno che si assuma per così dire la responsabilità di questa contraddizione e la tolga dicendo che sì, è vero queste due verità si oppongono fra loro, ma questa verità che si oppone a quell’altra è stata causata da un altro elemento che è intervenuto. Adesso detta in modo ancora frammentario, però vedremo man mano di precisare le cose. Fatto sta che il modo in cui si risolve la cosa è, dicevo prima, trovare il colpevole, e cioè potere dire: “sì è vero che i miei mi hanno abbandonata, ma mi hanno abbandonato perché io sono cattiva, sono stata cattiva ed essendo cattiva siccome mi hanno insegnato che le persone cattive non vanno bene, quindi rischiano di essere abbandonate, allora se sono stata cattiva è giusto che mi abbandonino, fanno bene, allora loro non sono più malvagi, cioè non è più vero che sono cattivi perché mi hanno abbandonata ma sono io, che essendo cattiva merito l’abbandono”. A questo punto, quindi per non essere abbandonata, deve, diciamola così, deve adeguarsi a quelle cose che immagina siano le richieste dei genitori nei suoi confronti, se vogliono da me questo allora io devo fare questo … Intervento: questo è anche un modo per ricevere la loro attenzione … Sì, certo, poi la cosa va a parare lì, ma che ne è di quell’altra verità, quella che dice questa sorellina è ha scombinato tutto e mi ha esautorata del potere che avevo prima? Ovviamente non può essere cancellata, Freud direbbe che viene rimossa, ma una volta che è stata rimossa tuttavia continua a mantenere la sua potenza anzi, ancora di più, perché ha costruita una formazione di compromesso che mantiene tutta la emotività, diceva Freud; ma non mantiene l’emotività, mantiene la verità, la verità di quella affermazione, per il momento possiamo anche utilizzare questo termine “rimosso” provvisoriamente, diciamo più semplicemente che una verità, qualche cosa che interviene all’interno di un sistema come una verità non viene più eliminata dal sistema, permane questa verità con tutti gli agganci che ha creati, e tutti questi agganci sono quelle cose che mantengono vivo l’elemento che è stato rimosso, adesso usiamo questo termine per intenderci, quindi l’elemento apparentemente “rimosso” ma tutte le relazioni, gli agganci che fanno esistere questo elemento, che lo rendono vero perché è una rete comunque di connessioni, di relazioni, tutti questi agganci permangono. Permanendo, tutti questi agganci mantengono quella verità che è stata rimossa all’interno del sistema attraverso una sora di modificazione. Non è facile intendere come funzioni all’interno della struttura una cosa del genere senza ricorrere ai miti, come ha fatto Freud, diciamo soltanto, per ora, che permanendo questa verità che nello sfondo, come un ricordo, mettiamola così, un ricordo sfocato, però c’è, e quando un elemento viene ad attivare una di queste relazioni che lo mantengono in vita ecco che si riattiva, non il ricordo in quanto tale in tutte le sue sfaccettature, la sua determinazione, ma il fatto che esiste una verità che dice: “io sono cattiva”. Il “sono cattiva”, è rimasto come connessione, “cattiva” che poi si trasforma, generalmente, visto che “cattiva” poi da adulti ha un significato un po’ ingenuo, in inadeguata per esempio. Allora la bimbetta, che nel frattempo è diventata una donna, si sentirà inadeguata a ciò che gli altri si aspettano da lei. È questa sua incrollabile certezza di essere inadeguata il corrispettivo della incrollabile certezza di quella verità che permane comunque, non è stata cancellata, occorrerebbe, cosa che l’analisi fa, intendere questo elemento, questa verità, e smantellare questa verità cioè ridurre questa verità, per esempio, a una superstizione come di fatto è … Intervento: scusi, quale verità? Quella antica, quella che dice: “sono cattiva perché voglio eliminare la mia sorellina”, è questa che poi si modifica dicendo che, o facendo credere alla donna ormai, che è sempre inadeguata, e lo sarà sempre anche se non sa esattamente perché e in questo siamo abbastanza vicini a quello che diceva Freud, solo che non si tratta più di emotività, di emozioni o storie varie, si tratta di proposizioni che sono vere all’interno di un sistema e che all’interno di questo sistema operano, agiscono, costruiscono altre proposizioni che derivano da questa verità, perché se no in effetti non si capisce nel testo di Freud perché una cosa del genere debba permanere, perché? Da adulti ci si rende conto che le cose non stanno così, forse, neanche necessariamente, però non si intende perché qualche cosa che è avvenuto vent’anni prima, trent’anni prima debba continuare ad avere questa forza, perché? Cos’è che gli dà tutta questa forza se non il fatto che una proposizione, è vera all’interno del sistema, continua a essere vera, e finché continua a essere vera continua a derivare altre proposizioni, perché questo è il suo compito, è come una premessa, assolutamente vera, e una premessa vera continua a derivare proposizioni che mantengono vera la premessa ovviamente, la confermano continuamente, solo che in questo caso va in conflitto con altre verità e si crea quello che prima chiamavo il primo grosso problema della bimbetta, che si trova a dovere risolvere in un modo o nell’altro, e che è un problema linguistico, è un problema filosofico, come diceva Wittgenstein non ci sono problemi filosofici, ci sono problemi logici. Se la nostra bimbetta avesse l’opportunità di affrontare la questione in termini logici, certo la questione si dissolverebbe, ma non ha questa possibilità, e quindi il problema permane. Proprio così permane il problema del pensiero occidentale, di tutta la metafisica, è rimasto lì, è rimasto lì perché la verità così come è stato decretato da Parmenide non ha avuto modo di intendersi di cosa che è fatta, se la si immagina come un quid, come un’entità, come l’Essere, allora diventa un problema, e infatti ha costituito e continua a costituire un problema per tutto il pensiero occidentale. Esattamente alla stessa maniera funziona per la bimbetta, anche se non ha ancora grosse nozioni di metafisica, la struttura è la stessa: data una verità metafisica, incrollabile, sicura, certa, se va in conflitto con un’altra che ha la stessa struttura è un grossissimo problema, perché non possono permanere entrambe, e quindi bisogna trovare una soluzione, Freud la chiamava la formazione di compromesso, è una sorta di compromesso ma è un compromesso logico, linguistico, che fa sì che la bimbetta continui per tutta la vita a pensare di sé di essere inadeguata, perché è una di quelle verità talmente incrollabili che qualunque cosa possa ricevere da altri come conferma del contrario non la smuoveranno di un millimetro, perché quella cosa non può essere eliminata se non attraverso un “analisi logica” tra virgolette, se non attraverso la ricollocazione di questa verità all’interno di quella struttura che l’ha permessa, che l’ha costruita, cioè rendersi conto che si tratta di sequenze linguistiche, nient’altro che questo, perché queste sequenze linguistiche si proiettano su una realtà che altre sequenze linguistiche hanno costruito. Dire, come ho detto all’inizio, che tutto ciò che avviene, qualunque cosa sia, avviene all’interno di questo ambito che è il discorso, che sono le parole, comporta proprio questo, che tutto ciò che gli umani vedono, immaginano, pensano costruiscono eccetera è virtuale, le stesse cose che io sto dicendo in questo istante sono virtuali, non hanno nessun riferimento a un qualche cosa fuori dal discorso, tutto si svolge all’interno del sistema fuori non c’è niente, non c’è assolutamente nulla, né può esserci nulla, non c’è nulla, così come dicevo del leone, per il leone non c’è il sole, non ci sono gli alberi, non c’è la savana, non ci sono queste cose. L’uso del termine “virtuale” è ancora problematico, nel senso che sembra alludere a qualcosa che virtuale non è, ma questa superstizione procede dal qualche cosa che è insito nella struttura stessa del linguaggio, dal modo in cui le cose vengono costruite, come se il linguaggio avviandosi incominciasse a proiettare un qualche cosa che è virtuale, lo proietta come una specie di ologramma. È il sopra sensibile di cui parlava Platone, qualcosa che costituisce l’idea, la matrice, e poi il corpo reale è soltanto una manifestazione di questa idea, la sua forma tangibile. Però occorre intendere come il linguaggio costruisca questa cosa, questa realtà virtuale, la produca e la mostri in modo tale per cui lui stesso il linguaggio la prende per qualche cosa che non è più linguaggio attraverso una sorta di inganno. È una questione straordinariamente complicata, spero che Eleonora mi darà una mano in questa operazione. È ciò che è avvenuto, avviene sempre, è avvenuto sia filogeneticamente sia ontogeneticamente, continua ad avvenire ogni volta che si riproduce la stessa situazione, cioè ogni volta che un parlante incomincia ad essere parlante, avviene esattamente sempre la stessa cosa e cioè si incomincia a costruire questo virtuale, che poi è ciò che gli umani chiamano la realtà, il fatto che tocco, il fatto che attraverso un sistema di sensori io esperisco una certa cosa, la vedo, ma che cosa sto toccando? Che cosa sto vedendo? Non lo so, ecco tutta la questione dell’Essere: questo è il tavolo, ma l’Essere del tavolo? Che non è questo tavolo ovviamente, è un’altra cosa, quale? È il virtuale, quella cosa che il linguaggio ha costruito e che poi il linguaggio stesso la prende per vera, cioè per qualcosa che è fuori di lui … Intervento: è ancora più scioccante, tutto ciò perché all’interno di un gioco linguistico la realtà esiste creata dal linguaggio … Sì, la questione è più radicale ancora certo … Intervento: non ho capito questa storia del virtuale … cioè come se nel linguaggio fosse già stato costruito tutti i modi in cui si sarebbe potuto inventarlo … No, non è in potenza, e nel linguaggio si trasforma in atto, è che quando il parlante incomincia a parlare il suo dire, le sue parole costruiscono un qualche cosa, una realtà, la rappresentano, è sempre una rappresentazione, perché di fatto non sai mai che cosa stai rappresentando “questo tavolo”, sì, ma come so che è proprio questo tavolo? Come so che sto toccando questa cosa qua? Sono domande a cui non c’è nessuna risposta in realtà, e allora il linguaggio incominciando costruisce un qualche cosa ma questo qualche cosa è virtuale di fatto … Intervento: come in Matrix? Non proprio, in Matrix c’è un qualcuno che gestisce il tutto, che gestisce queste macchine, che gestisce queste macchine che costruiscono la realtà entro la quale gli umani possono dirsi Intervento: qui c’è un sistema che si autogestisce … Qualcosa del genere, come se questa realtà virtuale fosse l’effetto che produce il linguaggio nella sua esecuzione, non c’è qualcuno … Intervento: … Sì, virtuale sarebbe la costruzione linguistica, ogni costruzione linguistica è il virtuale perché non c’è qualche cosa che la costruzione linguistica rappresenti realmente, come se il linguaggio descrivesse la realtà, che è poi il modo più comune di pensare il linguaggio, cosa che però di fatto non è mai potuta essere sostenuta, mostrata ancor meno, però è il luogo comune, ma se il linguaggio non ha un fondamento da nessuna parte, ma è soltanto rappresentato dall’esecuzione di istruzioni, che sono le parle, allora questa esecuzione delle istruzioni costruisce delle sequenze, delle proposizioni e attraverso la relazione fra queste proposizioni si costruisce una sorta di immagine, di rappresentazione, questa rappresentazione abbiamo detto che è virtuale ma virtuale rispetto a ciò che la persona, diciamo quindi il suo discorso, crede che sia la realtà, ma crede, che sia la realtà. Non è la rappresentazione di una qualche altra cosa … Intervento: certo qui è già nell’uso che avviene il tutto … Nell’uso all’interno di un racconto, per esempio, qui la questione è più radicale perché parlando di virtuale non si fa riferimento a qualche cosa che virtuale non è, ma si fa riferimento a qualche cosa che “virtuale non si crede essere”, ma è possibile credere a questo non virtuale proprio perché c’è il virtuale, è un po’ la situazione che descrivevo sabato rispetto alla natura, alla naturalità: la natura incomincia a esistere nel momento in cui gli umani perdono la loro naturalità perché parlano, ma proprio nel momento in cui perdono la natura, la natura incomincia a esistere perché la fanno esistere con il concetto, prima non è mai esistita, per il leone non c’è la natura, quindi non è neanche un paradosso in realtà: la natura esiste nel momento in cui cessa di esistere, ma esiste a posteriori. perché esiste in quanto concetto perché di fatto non è mai esistita, quindi dire che cessa di esistere è improprio … Intervento: mi sembra che vai un po’ troppo sull’astrazione però … Eleonora, stiamo cercando di intendere la questione, è chiaro che adesso è una pura astrazione, anche le cose che adesso ti appaiono semplicissime e ovvie ed evidenti una volta erano una pura astrazione. Il linguaggio è una sequenza di istruzioni, fra queste istruzioni, ci sono anche le istruzioni per eseguirle, come fa la logica, dà gli elementi e dice come usarli, attraverso i connettivi, e quando queste cose sono state immesse nella macchina, la macchina le può eseguire, cioè che cosa fa? Costruisce proposizioni, sequenze, che cos’è una proposizione? È una sequenza che dice che per esempio una certa cosa è vera, che una certa cosa è in connessione con un’altra, che una certa cosa è blu, che una certa cosa è bella. Costruisce e rappresenta quella cosa che poi gli umani hanno chiamata realtà, solo che se si parla di una macchina, se lo fa una macchina, è più semplice intendere che non si tratta di realtà ma di una rappresentazione virtuale, se si tratta di una persona no, la cosa è più complicata, sempre per questo pregiudizio in fondo, la superstizione che gli umani siano un'altra cosa anche se non si sa dire esattamente perché debbano essere un’altra cosa, certo in questo momento storico in cui viviamo, le macchine non sono ancora in condizioni di fare ciò che fanno gli umani, altre ne fanno e molto meglio, ma ancora non hanno questa complessità l’avranno, ci sarà un momento in cui saranno le macchine a progettare altre macchine, potranno fare cose per il momento neanche pensabili. Ecco che allora la questione della realtà, che viene costruita letteralmente da queste proposizioni e che viene creduta fuori dal linguaggio, è il virtuale, crederla fuori dal linguaggio è un inganno, e la cosa appare sia insita all’interno della struttura che viene costruita dal linguaggio. Il punto di partenza è questo: il linguaggio è una sequenza di istruzioni, queste istruzioni vengono eseguite, da una macchina? Dall’uomo? A questo punto che differenza fa? E una volta che vengono eseguite creano delle co- se, così come le informazioni che sono contenute all’interno di un dvd: a un certo punto, cosa succede? Che diventa un bellissimo film sullo schermo. Le istruzioni costruiscono una serie di proposizioni che si pensa a un certo punto che siano la descrizione di qualche cosa che proposizione non è, e cioè sia fuori dal sistema, mentre è virtuale, un artefatto, un artificio, una cosa fatta ad arte che non ha nulla a che fare con la natura. Questa potrebbe essere la questione centrale in tutto ciò che andiamo facendo e che stiamo facendo da anni, come se tutto questo ci avesse condotti a questo punto: istruzioni che vengono eseguite, una volta che queste si eseguono costruiscono un qualche cosa che le proposizioni stesse, è come se la considerassero (questa cosa, la realtà) fuori di sé, questa cosa che invece di fatto è virtuale perché non c’è nessun altra realtà al di fuori di quella cosa, e non c’è qualcuno che pilota il tutto e che abbia costruito quel programma. La stessa vita è virtuale se risulta assolutamente necessario che sia proprio così come abbiamo illustrato, e cioè che ci siano delle istruzioni che costruiscono proposizioni, allora questa è una conclusione inevitabile, non c’è via di uscita … Intervento: mi viene in mente che quando parlano di dio sembrerebbe un sistema autogestito che da sé proietta poi la realtà per quello che dico che potrebbe a questo punto sembrare quasi divino … Se noi supponessimo che questo linguaggio fosse dio, oppure fosse stato dato da dio, allora sì, certo, però perché dovremmo dire una cosa del genere? A che scopo? Intervento: dicevo da parte di chi ascolta … È possibile. Queste istruzioni, vale a dire il linguaggio, viene trasmesso ogni volta che una persona nasce, incomincia a parlare, gli si trasmettono delle informazioni, come una macchina che viene informata di tutto ciò di cui deve essere informata per potere funzionare, perché dovremmo chiamare tutto questo: dio? Dopo tutto, se uno vuole credere in dio assolutamente, basta che immagini che il linguaggio sia un dono di dio e poi tutto il resto va bene, è un po’ come in astrofisica con il big bang: tutto è cominciato da lì, ma prima cosa c’era? C’era dio ovviamente: la fede è incrollabile. 2-11-2011 La volta scorsa dicevamo del linguaggio che produce una realtà, che abbiamo chiamata virtuale, cosa avviene nel momento in cui si incomincia a parlare? Che qualcuno fornisce delle indicazioni, e si incomincia a dare dei nomi a delle cose. Pierino, che non sa che si chiama Pierino, incomincia ad avere anche questa informazione ed è dal momento in cui qualche cosa è nominabile, cioè diventa un elemento linguistico, che accade qualcosa di importante. Questo elemento linguistico non è tale in quanto è lì, da solo, isolato nel nulla, ma è tale perché si aggancia ad altri elementi linguistici a formare una rete, un tessuto, una combinatoria, una serie di connessioni. Questa rete di connessioni che incomincia a essere, costituisce la realtà, realtà che è fatta di questa rete di connessioni perché finché non c’è questa rete di connessioni gli elementi di fatto non esistono. Facevamo un esempio nella conferenza: per un leone nella savana, la savana non esiste, non ci sono gli alberi, non c’è niente, vive così, senza quella che per noi è la consapevolezza delle cose, la consapevolezza presuppone una riflessione, presuppone una decisione, presuppone in poche parole che esista il linguaggio. Dunque vi dicevo che questa realtà, cioè le cose, il mondo che ci circonda, è fatto di una rete di connessioni che sono linguistiche. Il problema che è sorto con il pensiero metafisico, cioè filosofico, quando è incominciato a essere, è stato che la realtà, le cose, gli enti, siccome ne parlo, siccome esistono in ciò che ne dico devono essere qualche cosa perché di fatto io tocco questo tavolo, solo che la domanda, quando il pensiero ha incominciato a essere un po’ più raffinato, un po’ meno rozzo, un po’ meno ingenuo, è stata questa: che cosa tocco di fatto? Cosa sto toccando? Questo tavolo? E che cosa è? Ecco la domanda intorno all’essere. Domanda che non ha mai avuta una risposta soddisfacente. Dopo duemila e cinquecento anni è ri- masta la stessa domanda dalla quale è sorta, cioè che cos’è l’Essere? Che cosa è che sto toccando? Sto toccando qualcosa? Come faccio a saperlo? Wittgenstein ha dato una risposta abbastanza ragionevole: perché l’ho imparato. Ho imparato che in base a una certa sensazione questa sensazione, in questo caso tattile, dice che sto toccando un qualche cosa, un corpo più o meno solido ma questa domanda, dicevo, intorno all’Essere delle cose sorge da un equivoco, di cui adesso vi dirò, da un malinteso, un malintendimento, un fraintendimento. Ma torniamo alla questione della realtà virtuale, e cioè creata ad artificio, perché è creata dalle parole che la dicono, che la esprimono, e non solo che la esprimono ma esprimendola la fanno esistere, la fanno esistere nel modo in cui noi intendiamo l’esistenza, come un quid, l’ente. La realtà si produce nel momento in cui incomincia a prodursi il linguaggio, in cui cioè le cose partecipano del discorso, partecipano della parola, qualche cosa incomincia a porsi, è lì perché ne sto parlando, perché lo dico, perché è nella parola; perché incominciano a esistere le cose, immaginando che queste cose siano fuori dal linguaggio? Perché il linguaggio, che è costruito e fatto in un certo modo “costringe” tra virgolette a compiere questa operazione, il linguaggio funziona in questo modo: da un elemento che chiama premessa e attraverso dei passaggi coerenti fra loro giunge alla conclusione, funziona così, non c’è un altro modo, e cioè deve concludere con un’affermazione che afferma appunto qualcosa, che attesta qualcosa, che stabilisce qualcosa, per stabilirla deve essere vera. Cosa significa che deve essere vera all’interno del linguaggio? Che non deve essere autocontraddittoria, non deve contraddire la premessa da cui è partita, nient’altro che questo, se soddisfa queste condizioni è vera, dunque come si attestano le cose nel linguaggio dal momento in cui il linguaggio si avvia? Ha bisogno di stabilire delle cose, delle conclusioni, impara che questo è questo, per esempio che questo accendino è questo accendino, e una volta che l’ha imparato, questa affermazione, questa cosa si è attestata all’interno del mio discorso, ma si attesta per la necessità di trovare qualcosa che sia assolutamente vero perché solo se è vero io posso utilizzare questa cosa, solo se è vera un’affermazione la posso usare per costruire altre affermazioni, se so che è falsa non me ne faccio niente. Ciò che si insegna quando si trasmette il linguaggio è che questa cosa che si chiama in un certo modo, è quella che è, vale a dire che mentre la nomino la faccio esistere e quindi questo qualcosa esiste, l’ho nominato quindi esiste, gli ho dato un nome e quindi c’è. Ma se questo esiste e non mi rendo conto che esiste perché lo nomino, perché lo faccio partecipare del mio discorso, allora esiste di per sé, esiste in quanto tale ed è qui, esattamente su questo che è sorta la metafisica, cioè la filosofia, se questo esiste allora io devo sapere di che cosa è fatto, qual è il suo principio e la sua origine, l’archè e l’aition, l’origine e il principio, e devo saperlo tanto più fortemente tanto più il linguaggio costringe a trovare la verità e cioè a trovare quella cosa che consente di affermare che una certa cosa è vera, perché se no non può funzionare, e quindi ha costretto gli umani, già prima con i miti ovviamente ma ancor più con la metafisica a trovare l’essenza delle cose, l’Essere delle cose, che cosa le cose realmente sono. Gli umani hanno fatto questo per duemila e cinquecento anni e continuano a farlo, non più attraverso la metafisica ma attraverso la tecnica, la tecnica fa questo. Come diceva Heidegger la tecnica consiste nel comprendere, nel manipolare e nell’elaborare gli enti, cioè le cose, che è sempre stato l’obiettivo della metafisica, solo che la metafisica si è fermata prima al “che cos’è, al cos’è l’Essere. l’Essere sarebbe l’essenza dell’ente: questo accendino è un accendino e lo vedo e ne parlo in quanto ente, ma che cosa c’è in questo accendino e in tutti gli altri accendini per cui questo che vedo è un accendino, è qualche cosa che permane in ogni accendino. Il linguaggio ha creato la metafisica, ha creato cioè la necessità di sapere che cos’è una certa cosa, il linguaggio ha costretto a questo perché per la sua struttura e per il modo in cui è fatto, per il modo in cui funziona, ha costretto a cercare la verità, perché il linguaggio funziona per verità cioè per conclusioni: questo è stabilito, è attestato, e quindi mi serve per costruire altre cose, perché uno vuole sapere la verità? Perché vuole sapere come muoversi, cosa fare, come comportarsi, che direzione prendere; quando per esempio la fanciullina chiede al suo fanciullino “mi ami?”, vuole sapere se è così oppure no, è solo una questione estetica o c’è qualche altra cosa? In base alla risposta sa che cosa fare, sa come comportarsi, sa che cosa costruire da lì in poi, e in quale direzione e in che modo. La questione della verità è essenziale da intendere perché riguarda innanzi tutto il funzionamento del linguaggio, che è la cosa fondamentale, e poi dice anche che tutto ciò che gli umani fanno, da quando fanno qualcosa cioè da quando esistono in quanto umani, è stato sempre pilotato dalla necessità di affermare qualcosa di vero: affermare qualche cosa di vero è la condizione perché il linguaggio, e quindi gli umani che sono fatti di linguaggio possano procedere, possano proseguire, e il modo di procedere, di proseguire, è fare procedere e proseguire il linguaggio cioè il loro discorso. La loro storia, le loro avventure, le loro questioni, le loro domande, perplessità, ansie, angosce, attese, desideri, tutto ciò che riguarda gli umani da quando esistono, tutto questo è mosso dalla necessità di reperire una verità, cioè di fare in modo che il discorso possa attestarsi su qualche cosa di sicuro per poi da lì, proseguire. Questo movimento verso un qualche cosa che è sempre in atto, continuamente, il linguaggio funziona ventiquattrore su ventiquattro, è ciò che comunemente è stato inteso come il desiderio di qualche cosa: c’è l’idea che mi manchi qualche cosa e quindi io debba raggiungerla, che cosa mi manca di fatto? Un accidente qualunque? Non esattamente, ma considerato che gli umani sono fatti di linguaggio ciò che manca non può che essere una conclusione a qualche cosa, una conclusione di un argomentazione, per esempio la solita fanciullina: devo incontrare il fanciullino quindi devo essere bellissima quindi manca qualcosa che ai suoi occhi (della fanciullina) la renda bellissima, una qualunque cosa che a suo parere la renda idonea a soddisfare questo requisito, e cioè di piacere al fanciullino. In questo caso il desiderio sarebbe questo, ma questo desiderio di che cosa è fatto? Che cosa ci dice di più essenziale o di più proprio? Il discorso ha bisogno di raggiungere un certo obiettivo, cioè “sapere” una certa cosa per poi da lì procedere in una direzione oppure in un'altra, e questo è ciò che gli umani fanno, e naturalmente tutto questo avviene su uno sfondo che per gli umani è la realtà, che è la costruzione che fanno, che hanno incominciato a fare nel momento in cui hanno incominciato a parlare. Come sapete gli umani hanno un orientamento prevalentemente visivo, si orientano con gli occhi generalmente, i cani con l’olfatto per esempio, con l’udito anche in parte, i pipistrelli solo con l’udito, e uno dei motivi potrebbe essere proprio questo, cioè l’orientamento visivo da parte degli umani per cui vedono delle cose e siccome il linguaggio le fa esistere allora ciò che vedo esiste. La realtà dicevo è questa costruzione artificiale, ma artificiale badate bene non artificiale rispetto a qualche altra cosa che artificiale non è, è artificiale in quanto fatta ad arte, perché esiste un arte, cioè una tecnica ed è il linguaggio, che l’ha costruita, non c’è la realtà virtuale contrapposta a un’altra che non lo è, questa è la superstizione, l’idea che esista qualche cosa che è realtà e che è al di fuori del linguaggio, è quello che la metafisica che ha sempre cercato: l’Essere. Ma non è mai stato trovato ovviamente, non è mai stato possibile definirlo, individuarlo, stabilirlo con certezza, si sono dette un sacco di cose intorno all’Essere, ma sempre intorno, non si può cogliere in quanto tale, perché? Perché se immagino qualche cosa fuori dal linguaggio, è ovvio che non potrò mai comprenderlo, con che cosa lo comprenderò se non con il linguaggio? E cioè con immagini, con argomentazioni, con discorsi, ma se è fuori dal linguaggio, è fuori da ogni cosa, e quindi non potrò mai, letteralmente, strutturalmente, comprenderlo, posso solo immaginare che ci sia, pensare che ci sia, così come si fa con un dio. Il linguaggio può anche costruire una proposizione che afferma, un discorso che afferma che qualcosa è fuori dal linguaggio, può farlo e io l’ho appena affermato, però non può comprenderlo, non potrà comprenderlo mai. Si tratta di concetti che non hanno nessun riferimento, nessun referente da nessuna parte, sono quegli oggetti che non hanno possibilità di esistere al di fuori del linguaggio. Pinocchio esiste? C’è un’ampia letteratura su Pinocchio, quindi esiste, oppure un cerchio quadrato, esiste? No, come fa a esistere? Eppure un tale Meinong ha scritto un trattato su gli oggetti inesistenti, per esempio, e quindi anche quello esiste perché se ne parla. Ma è proprio qui la questione: esiste perché se ne parla, cioè perché è all’interno del linguaggio, perché partecipa di questa struttura, e la realtà, che viene costruita dal linguaggio, ha questa funzione: dal momento in cui qualcosa viene nominato esiste perché partecipa della parola, ma da quel momento è come se fosse sempre esistito, è sempre esistito e quindi è esistito prima che io lo nominassi ma dove viene questa idea, così strana? C’è una conferma a questo, e cioè il fatto che mi si dicono cose che esistevano prima che io esistessi, il pianeta mi si è detto esisteva anche prima che io nascessi, questo conferma quel processo che viene attuato dallo stesso linguaggio per cui quello stesso elemento che il linguaggio fa esistere nominandolo, facendolo partecipare della parola, conferma che questo elemento che non può avere vita propria, invece ha vita propria, esiste di per sé, ma che cos’è questa cosa che si immagina che esista di per sé e che incomincia a esistere nel momento in cui partecipa della parola? Non c’è nessuna possibilità di individuarlo, di identificarlo, di stabilirlo in alcun modo, perché tutti i modi che abbiamo per indicare questo quid, questo qualche cosa, appartengono al linguaggio che lo fa esistere. A questo punto parlare della sua esistenza comunque al di là della sua appartenenza al linguaggio, è un discorso che non ha nessuna possibilità di giungere a una conclusione, in più occasioni ho ripetuto che non c’è nulla fuori dal linguaggio, perché è soltanto con il linguaggio che qualcosa incomincia a essere quello che il linguaggio gli dice di essere, come faccia a dirgli di essere questa è un’altra questione che abbiamo affrontata in altre occasioni parlando di istruzioni, volevo soltanto dirvi che questa fabbricazione, letteralmente è una fabbricazione della realtà ad opera del linguaggio, costituisce il mondo entro il quale la persona si muove, pensa, immagina, crede, cosa diceva Wittgenstein a questo riguardo? Una frase appropriata “il linguaggio è il mio mondo”, cioè le cose in cui credo, le cose che ho imparate, le cose che immagino, che spero, che desidero, il passato, tutto questo costituisce il mio mondo, ma tutte queste cose sono discorsi, sono proposizioni, sono argomentazioni e occorre dire a questo punto nient’altro che questo. Dire che tutte queste cose di cui sono fatti gli umani, che definiscono l’umano, non sono nient’altro che linguaggio, costruzioni linguistiche, questo pone delle altre questioni di carattere morale, etico, politico, perché cambia completamente lo scenario, non c’è più un riferimento che funziona da garanzia, l’Essere appunto, ma soltanto discorsi, discorsi che si connettono fra loro, e connettendosi fra loro costituiscono la realtà. Immaginare che qualcosa sia fuori da linguaggio, dal discorso in cui è inserita, è propriamente ciò che comunemente si chiama fantasia, una fantasia, e come tale una fantasia, essendo parte integrante di quelle strutture che chiamiamo proposizioni, racconti, narrazioni eccetera anche la fantasia essendo fatta di linguaggio deve concludere con una cosa vera o, più propriamente ancora, è fatta per costruire una scena, un discorso, un quid, un accidente, un accidente in senso aristotelico naturalmente, tale per cui la scena che si costruisce è una scena che conclude in modo vero, ma cosa significa questo più propriamente? Che è una scena con la quale io controllo la realtà, qualunque fantasia venga costruita di qualunque tipo è riconducibile attraverso una serie di passaggi abbastanza brevi a questo, cioè alla costruzione di una scena che deve concludere in modo tale per cui io ho l’idea di controllare le cose, sono al centro della scena, le cose vanno nel modo in cui voglio io e a questo punto si potrebbe anche inserire un elemento che è tratto dal luogo comune, e cioè la differenza fra realtà e fantasia. Ci si rifugia nella fantasia perché la realtà è insoddisfacente, e perché la realtà è insoddisfacente se è lui stesso, o meglio il suo discorso che poi è la stessa cosa, che l’ha costruita? Mentre la fantasia appare come qualche cosa che sì, ha sempre costruito lui però è soddisfacente, cosa accade in quell’altra fantasia che si chiama realtà per cui risulta così difficile da controllare, da dominare? Perché ci sono gli altri, altri discorsi che non sono il mio e che affermano altre verità, hanno altre convinzioni, pensano altre cose, sperano altre cose eccetera, e naturalmente la persona cerca, fa di tutto per convincere gli altri che la sua ragione è la migliore, cerca di avere ragione dell’altro, fino ai conflitti mondiali, alle guerre, la guerra è un modo violento per imporre la propria ragione sull’altro, se vinco perché ho più carri armati allora ho ragione io, le cose stanno come dico io, e perché ho più carri armati? Perché sono più ricco, e perché sono più ricco? Perché ho saputo fare meglio e perché quindi ciò che faccio è migliore. Perché la fanciullina vuole portare via il fanciullo a un’altra fanciullina? Perché gli interessa lui in quanto tale? Forse, anche, marginalmente, ma soprattutto perché vuole vincere la battaglia, vuole il potere sull’altra, mostrare all’altra e al mondo intero che lei è più brava, le fanciulline sanno bene questo. Ma ci sono due cose che mi premeva fare intendere questa sera, la prima è che la realtà che il linguaggio costruisce può esistere solo perché il linguaggio l’ha costruisce, e quindi questa realtà è virtuale nel senso che è fatta ad arte, è fatta con una tecnica che è la tecnica del linguaggio perché il linguaggio è una tecnica, la prima tecnica immaginabile, e che questa costruzione della realtà, essendo fatta dal linguaggio e proprio per questo motivo deve sempre concludere in modo vero, compresa la realtà, la realtà deve essere vera perché se è costruita dal linguaggio e il linguaggio, essendo fatto in un certo modo, deve concludere con una cosa vera, e allora anche la realtà che è una sua costruzione deve essere vera anche lei. Questo è il motivo per cui la realtà deve essere ed è sempre stata pensata come il vero assoluto, è vero quindi è reale o viceversa, in genere le cose si identificano … Intervento: quindi tutto ciò che si dice intorno alla realtà, la realtà insoddisfacente è sempre una questione di relazione con il discorso dell’altro? Con un’altra verità che si contrappone, una situazione che è differente da quella che io voglio per esempio, e quindi se quello che io voglio è la cosa giusta, vera, se la situazione non corrisponde a questa cosa che io voglio ecco che deve essere cambiata per portarla alla verità: perché tutta la metafisica e oggi la tecnica vuole modificare la realtà, attraverso la conoscenza, la manipolazione, l’elaborazione? Questo lo diceva Heidegger … Intervento: Faioni questo è il discorso paranoico? La paranoia fa il verso, fa la caricatura, ma anche gli altri discorsi lo fanno, in modo differente, nel discorso paranoico c’è la rappresentazione, la messa in scena, scimmiotta la cosa. La tecnica deve modificare la realtà, a che scopo? Nietzsche l’aveva detto già ai suoi tempi in modo esplicito, anche se non conosceva, nonostante fosse filologo, il modo in cui funziona il linguaggio: la volontà di potenza, dominare l’altro, ma era già presente in Platone, perché il filosofo deve governare la città? Perché vuole governare, per avere potere di vita e di morte sugli altri, avere il potere su tutto, è sempre stato così da quando esiste il linguaggio, perché è il linguaggio che è fatto così. Ma se si sa come funziona, lo si sa e non si può non saperlo, ed è questo uno degli obiettivi di un’analisi, allora lo si agisce, ma se non lo sa allora si subisce, immaginando che tutta questa cosa che è costruita dal linguaggio, queste sequenze, corrispondano a qualche cosa … Intervento: mi sfugge questa questione … sembra che avvenga lungo la nominazione … questa separazioni ad un certo punto sia considerato fuori dal linguaggio cioè non sono più io responsabile dell’esistenza di qualcosa attraverso il mio dire, il mio pensare ma questa cosa esiste di per sé, mi sfugge come si produce questa separazione di cui parlavo prima … Cosa accade nel momento in cui la partecipazione al linguaggio fa esistere le cose? Abbiamo detto che da quel momento incominciano a esistere, ma essendo il linguaggio fatto in un certo modo deve stabilire la verità, ora se considerasse le cose come una produzione del linguaggio, mettiamo che possa avere questa possibilità, allora le cose che ha costruite non sono la realtà esterna. Dicevamo tempo fa che una macchina sa che tutto è prodotto dal sistema operativo, che non c’è niente fuori dal sistema operativo cioè dal linguaggio, ma dovendo stabilire la verità delle cose cioè l’Essere, non può trovarle in ciò che ha costruito perché lì non riesce a stabilire l’ultima parola, così come i miti, i miti non ci sono riusciti perché erano costruzioni fantastiche, la stessa metafisica non c’è riuscita perché ha immaginato che ci fosse la possibilità di stabilire l’ultimo elemento della catena, quello che da senso a tutto: l’Essere. Per la metafisica ciò che da senso a tutto non può essere all’interno della parola, se è all’interno della parola è un’altra parola, come faccio a dire che la verità dipende da una parola che sto dicendo? Sarebbe come dire che questo è questo perché è questo, non è sufficiente per potere affermare qualche cosa, sempre chiaramente ignorando come si costruisce il linguaggio e come funziona naturalmente, perché se no il problema non sussiste, però ignorando tutto questo è costretto a cercare una verità che sia assoluta, immobile, eterna come dicevano i medioevali “sub specie æternitate”, una specie dell’eternità, che non cambi mai, e quindi necessariamente non qualche cosa che è presa in un continuo divenire, in un continuo mutare come le parole, come i discorsi, come i pensieri, ma deve essere ferma, immobile. Qui sorge l’idea, con i miti e poi con la filosofia, che questa cosa sia fuori di me, soltanto se è fuori può garantire qualche cosa. Naturalmente si è trattato poi di trovare qualche cosa che garantisse questa cosa che garantisce il mio discorso, e allora ecco le idee di Platone, l’ousia di Aristotele … Intervento: sembra quasi una scoperta il linguaggio, ha scoperto qualche cosa … Infatti ha sempre parlato di scoperta, non di invenzione o di costruzione, come sarebbe più appropriato dire. Potremmo dire che il bambino non scopre il mondo ma lo costruisce, mano a mano che impara a parlare, mano a mano che il suo discorso viene implementato da altre catene, da altre combinatorie, da altre reti, si implementa e costruisce il mondo che lo circonda, letteralmente, che non esiste in questa accezione prima che lui possa costruirlo. Generalmente invece si considera che esista anche prima di lui, se non altro per via del fatto che qualcuno è esistito prima di lui, che l’ha messo al mondo per esempio, tanto per dirne una, e questo è sempre stato il problema della metafisica: siamo sicuri che sia proprio così, cioè che le cose vadano così necessariamente, e che questa sia la realtà assoluta, ultima delle cose? Si dice: “sono i genitori che l’hanno messo al mondo”, va bene, supponiamo che sia così, ma questi genitori cosa sono realmente? Sono un qualche cosa? Ma che cosa? E qui la metafisica si arresta, si arresta perché non sa rispondere, se non con fantasie di vario genere, però la questione centrale è che questo passaggio di cui diceva Sandro è prodotto dal fatto che il linguaggio ha bisogno di stabilire una verità assoluta, e questa verità assoluta può costruirla, può pensarla soltanto se la immagina fuori di sé, solo a questo punto è immobile ed eterna, se è all’interno del discorso è un problema perché i pensieri divengono, si alterano, si modificano continuamente, non offrono una garanzia. Anche per questo è stata inventata la doxa, contrapposta all’episteme, la doxa, cioè l’opinione contrapposta all’episteme, alla verità scientifica, la certezza argomentata e dimostrata, e questa episteme dove sta? Alètheia episteme, cioè una verità che si manifesta e che è necessariamente quello che è, e questo è stato l’obiettivo della ricerca di tutta la metafisica da quando esiste, contrapposta alla doxa che è l’opinione: penso che sia così, sarà così, chi lo sa? La risposta al “chi lo sa” dovrebbe essere fornita, dicevano i greci, dalla alètheia episteme, e cioè la verità che si manifesta e può garantire di essere quello che è, cosa che non può fare in nessun modo. Una volta che ho posto la verità fuori dal linguaggio, eterna e immobile, da quel momento non ne ho più accesso e non posso più comprenderla, non posso più fare niente, posso soltanto immaginarla appunto come il dio, dio è stato costruito per questo, come quella verità messa lì, immobile ed eterna. Ciò che abbiamo fatto in questi anni è ricondurre questa cosa là da dove è sorta, e cioè dal linguaggio che l’ha costruita, e vedere come ha potuto costruirla, come continua a costruirla, e come funziona soprattutto, perché se sappiamo come funziona il linguaggio sappiamo come funzionano gli umani, che sono fatti di linguaggio, che non è poco, e questa è quella scienza, a questo punto, che abbiamo chiamata Scienza della parola, ciò a cui la psicanalisi si consegna dopo avere fallito il suo progetto di intendere perché gli umani pensano quello che pensano, lo ha fallito perché si è fermata prima di possedere quegli strumenti che erano indispensabili per fare il passo successivo, che avrebbe consentito appunto di sapere perché gli umani pensano quello che pensano, qualunque cosa sia non ha nessuna importanza. 9-11-2011 Riprendiamo alcune cose per precisarle, cose che sono rimaste poco chiare o non sufficientemente articolate. È la questione della realtà, e in genere alla realtà si contrappone la fantasia, fantasia che letteralmente è ciò che appare, invece la realtà è ciò che è. Oggi possiamo parlare di realtà virtuale, da qualche decennio, la realtà virtuale sarebbe la simulazione della realtà, ma di quale realtà esattamente? Questo tavolo che tocco, che vedo sarebbe o parteciperebbe della realtà, ma so che è un tavolo perché l’ho imparato, lo tocco e sento qualcosa che resiste al tatto e ho imparato anche questo, ho imparato la sua composizione chimica, ho imparato la sua composizione molecolare, ma tutte queste cose che ho imparate non sono il tavolo, tutte queste cose, la composizione molecolare, la composizione chimica, non sono il tavolo. La domanda “che cos’è il tavolo” è la domanda metafisica per eccellenza, che cosa realmente è, e quando mi trovo a dire che cosa realmente è, mi trovo preso in quel vortice di definizioni, di descrizioni, che girano intorno a questo tavolo senza coglierlo mai, perché sono sempre altre cose rispetto al tavolo, le parole che uso per descriverlo sono parole, ma nessuna di queste parole è il tavolo. Come si costruisce questa realtà a cui, come dicevo prima, appartiene il tavolo? Come viene costruita? Questa è la questione, perché il modo in cui viene costruita dice di che cosa è fatta la realtà intorno a me; è fatta di parole. Nel momento in cui incomincio a parlare, incomincio a sapere che questo è un tavolo, cioè lo posso nominare, dicevamo che da quel momento incomincia a esistere ma non soltanto perché lo nomino, ma perché nominandolo, incomincia a partecipare di una serie di connessioni, una rete di relazioni fra elementi che costruiscono letteralmente quella scena all’interno della quale c’è il tavolo, ed è soltanto a quel punto, quando io creo quella rete di connessioni che vedo il tavolo, prima non lo vedo perché non c’è un qualcosa come il tavolo da vedere. Per una mosca il tavolo non c’è, c’è per me, e incomincio a vedere il tavolo e quindi il tavolo esiste nel momento in cui il tavolo è preso in questa rete di connessioni linguistiche. Una volta che il tavolo è preso in questa rete di connessioni linguistiche succede un altro fatto importante: io vedo il tavolo, e ho imparato che ciò che vedo è altro da me, questo l’ho imparato, me lo hanno detto, e a questo punto è altro da me, quindi è fuori di me. Supponendo questo, supponendo quindi che questa realtà che è fatta di questa rete di connessioni sia fuori di me, da quella posizione, che pure è fittizia, che è virtuale, da quella posizione il tavolo o Cesare, che è lì di fronte a me, mi interroga, io posso aspettarmi delle cose, Cesare può dirmi delle cose che modificano le mie parole, il mio discorso. Questa realtà che io incomincio a produrre dal momento in cui la vedo, e nel momento in cui la vedo diventa realtà, questa realtà influisce anche su di me e cioè si crea una rete di connessioni fra tutto questo che è esattamente ciò che chiamiamo struttura, ma tutto questo è stato prodotto dalla scena in cui le cose incominciano a esistere, cioè incomincio a “vederle” tra virgolette, cioè esistono. In quel momento si pone la questione dell’esistenza, l’esistenza di cose che non sono io perché me lo hanno detto che non sono io quelle cose e quindi diventano altro, diventano la realtà esterna, ciò che comunemente si chiama in questo modo, “la realtà esterna”, che io modifico e che modifica me per via di questa rete di connessioni, della struttura in cui tutto ciò è preso, tutto ciò rientra all’interno della struttura. Ma com’è che imparo a parlare? Perché è dal momento in cui io incomincio a parlare che incomincio a vedere le cose, cioè le cose incominciano a esserci cioè a esistere, com’è che si fa a trasformare un pezzo di ferro in una macchina pensante? Così come la chiamava Turing. Occorre un dispositivo che sia in condizione di accogliere delle informazioni, memorizzarle, delle istruzioni e un sistema di procedure per eseguirle, cioè degli algoritmi, nient’altro, da quel momento quel pezzo di ferro diventa una macchina pensante. Com’è che io imparo a parlare? Esattamente allo stesso modo: si immettono informazioni e delle istruzioni e la procedura per eseguire queste istruzioni. La parola non è nient’altro che l’esecuzione di quelle istruzioni, queste parole costruiscono quella scena, quell’ambito all’interno del quale è possibile costruire, pensare quella cosa che chiamiamo realtà. Che di fatto è virtuale, ma non nel senso che è virtuale rispetto a una qualche altra cosa, come dicevo prima la realtà virtuale è una simulazione della realtà, ma la realtà della quale sareb- be la simulazione anch’essa è stata costruita, è stata prodotta nel momento in cui ha incominciato a vederla questa realtà, e ha incominciato a vederla perché l’ha inserita all’interno di un sistema, di una rete di connessioni all’interno della quale io stesso esisto, attraverso la quale e per la quale io esisto, voglio dire che io stesso che ho prodotto attraverso questo sistema questa cosa che chiamiamo realtà, faccio parte di questa realtà, non sono un elemento esterno, non potrei mai essere un elemento esterno, dovrei mettermi fuori dalla parola, cosa che non posso fare. La teoria di Freud, l’impianto teorico della teoria di Freud nota come psicanalisi è un impianto metafisico, metafisico perché per la maggior parte suppone ancora e si riferisce ancora a cose che immagina fuori da questa rete, da questa struttura, da questa rete di connessioni. Ci sono all’interno del discorso di Freud delle aperture, ci sono delle aperture che consentono, hanno consentito anche queste riflessioni naturalmente e allora a questo punto il discorso prende un’altra piega: ciò che lui intuisce e allude come un’altra scena in cui le cose accadono è la scena delle parole, quella scena che viene costruita dalle parole, tutto questo costituisce ciò da cui la psicanalisi può partire per costruirsi differentemente. È come se la psicanalisi avesse compiuto il suo percorso, l’avesse concluso, aprendosi verso questa altra scena che è una scena fatta di parole, e a questo punto la psicanalisi si consegna alla scienza della parola, esattamente così come raccontava Heidegger della filosofia, cioè della metafisica, che ha compiuto il suo percorso, è conclusa, e concludendosi si consegna alla tecnica. In questo caso la psicanalisi si consegna alla scienza della parola, quella parola che non solo ha costruita la psicanalisi, ma che costituisce anche quell’elemento che impedisce la caduta infinita, quel baratro, quell’abisso di cui dicevamo che per esempio incontro quando metafisicamente mi chiedo “che cos’è?” qualche cosa, quando comincio a chiedermelo cioè incomincio a pensare metafisicamente allora questa domanda viene presa in una serie infinita di rimandi e di rinvii senza nessuna possibilità di arrestarsi, però si arresta su un punto oltre il quale non può andare. Ciò cui ha alluso Freud, questo elemento oltre il quale non è possibile andare, è la parola, oltre la parola non c’è niente, e costituisce il limite, l’ambito entro il quale gli umani da quando sono esseri parlanti esistono, vivono, si muovono, fanno tutto quello che hanno fatto. Si tratta di procedere lungo questa strada che la parola apre, perché la parola è l’apertura stessa, perché la parola non può non essere e potremmo addirittura dire che il principio di non contraddizione. Il principium omnium firmissimum, cioè il principio più saldo di tutti, è la parola stessa, è la parola stessa in quanto n on può negare di dirsi se non dicendosi, questa è la contraddizione che in nessun modo può essere superata, non può non esserci parola perché per porre questa questione deve esserci parola, e quindi non può non esserci, e questo è il principio di non contraddizione. Abbiamo a questo punto inteso meglio forse la questione riguardo a come si produce la realtà dal linguaggio. Si produce in questo modo: dal momento in cui incomincio a vedere qualcosa, incomincio cioè a fare esistere questa cosa, imparo che è fuori di me, e quindi la vedo, la vedo e non sono io ma è un’altra cosa, perché la vedo, solo che la vedo perché è presa all’interno di questa struttura se no non potrei vedere niente … Intervento: io riconosco quel termine al momento in cui si connette con tutti gli altri elementi … se io non posso connetterlo con gli altri termini è un termine vuoto … Nel parlare quotidiano anche se uno pronuncia una parola di cui io non so assolutamente il significato, comunque so che ha un significato perché se me lo ha detto qualcosa vorrà dire, quindi vuole dire qualcosa anche se non lo so, se per esempio uno dice un termine matematico che non so che funzione abbia, so che è un termine all’interno della matematica, quindi avrà una funzione, quindi servirà per fare delle cose, so già delle cose … Intervento: così anche il corpo umano Faioni questa realtà è prodotta dal linguaggio al pari del tavolo … È l’esempio che facevamo sabato in libreria: un leone ha un corpo? No, non ce l’ha, lo agisce, fa delle cose ma non possiamo neanche dire che fa delle cose perché per lui non sta facendo delle cose, tutto questo lo stiamo dicendo noi … Intervento: è interessante … anche la questione della malattia entra a questo punto nella rete di relazioni, cinquecento anni fa quello che oggi si considera una malattia non era avvertito come tale tutto ciò che gira oggi intorno al termine salute era tutta un’altra cosa … Certo, ed è questa rete di relazioni che fa esistere quella cosa, se no non c’è, prima non c’era, non c’era niente, è un po’ come la questione della natura, la natura c’è dal momento in cui incomincio a parlarne e quindi sono già fuori dalla natura. È ciò che dirò domenica, il titolo riguarda la formazione dell’analista come sovversiva, cosa c’è di più sovversivo dell’abbandono totale e irreversibile del pensiero metafisico? A questo punto non c’è più la possibilità della metafisica e quindi è la sovversione in assoluto del pensiero che non può più essere come prima, la persona incomincia raccontando le sue fantasie e come talvolta si dice, dicono gli psicologi, che c’è un cattivo adattamento alla realtà e quindi bisogna che la persona si adatti bene alla realtà, questo è un invito alla psicosi, prende le parole come cose, anziché le cose come parole come di fatto è. Si immagina che i problemi provengano dalle fantasie, cioè da come le cose appaiono e che invece sono in un altro modo, e da qui la questione della fantasia e della realtà, realtà che interviene in quel modo bizzarro che ho descritto. Ma qualcosa che esiste nel momento in cui la posso vedere, e la posso vedere quando partecipa della struttura in cui è inserita, se no non la posso vedere, non c’è. La formazione di un analista passa attraverso questo, se non si intende questo si continua a girare in tondo e a continuare a chiedersi che cos’è questa cosa senza potere mai trovare una risposta, perché non potrà mai rispondere fuori da questa struttura che l’ha costruita rispondere che cos’è, non lo può fare. Ciò che abbiamo fatto è qualcosa di molto radicale, le istruzioni che si trasmettono, perché si insegnano da persona a persona, queste istruzioni si insegnano insegnando a parlare, queste istruzioni sono quelle cose che eseguite costruiscono la parola e quindi a questo punto la parola non viene più dal nulla, viene da qualcosa che l’ha costruita, e ciò che l’ha costruita lo sappiamo anche grazie al lavoro che hanno fatto alcuni intorno all’intelligenza artificiale, Turing, Von Neumann e anche altri su come hanno costruito un qualche cosa che incominciasse a pensare, da un pezzo di ferro è diventata una macchina pensante … Intervento: la questione della psicanalisi e della scienza della parola … se la psicanalisi ha subito le sorti che ha subito è in prima istanza anche colpa della psicanalisi stessa non ha saputo … Darsi uno statuto scientifico che acquisisce soltanto quando incomincia a riflettere su ciò di cui è fatta, come sono fatte quelle cose che l’hanno costruita, inventata … Intervento: c’è questa voglia di distinguersi dalla psicoterapia e tutto sommato comunque non ci riescono … la psicanalisi si occupa dei malanni e basta, non è un ricercatore, non è un intellettuale, non … credono che dietro alla parola ci sia qualche cos’altro e allora la parola diventa il veicolo di qualche cosa che non è parola anche se continuano a dire che la parola è originaria … la parola è qualche cosa che deve trasmettere qualche cosa il sintomo e altre cosa quel qualche cosa che non va non è costruito dalla parola, è la parola che lo dice certamente ma non è la parola che costruisce questa cosa … la parola è qualche cosa che serve per rendersi conto … è lo stesso modo di pensare … quando si parla anche di “sembiante” non è qualcosa di cui ne stiamo dicendo lì mentre ne stiamo parlando … un concetto per cui cose che si mettono lì … finché la psicanalisi non decide la crisi dei suoi fondamenti e da lì incominciare … Questo potrebbe essere un tema da svolgere Sandro, la crisi dei fondamenti riferita alla psicanalisi anziché riferita alla matematica, che è già stata fatta ai primi dei 900, ed è anche un intervento politico … 16-11-2011 La questione del potere è importante, abbiamo tratteggiato come funziona fra i governi, fra gli stati, c’è la necessità di imporre il potere, che si riscontra nelle persone nella necessità, nell’urgenza, nella frenesia di dovere dire le proprie verità. In alcuni casi una vera e propria frenesia, come se fosse qualcosa di irrinunciabile, impossibile trattenersi dal dire la propria verità, e questa è una questione notevole, perché rende conto molto probabilmente anche del perché si producono le fantasie. Le fantasie sono quelle scene che una persona si costruisce dove le cose avvengono “come vuole lui”, le cose a questo punto sono gestite interamente per cui verrebbe da pensare che il discorso, le parole, costruiscano queste fantasie solo a questo scopo. Quando Freud ha considerato le fantasie, non è che abbia inteso un granché sul perché ci sono le fantasie, sì, ha inteso come si muovono, cosa producono, da dove vengono ma parzialmente, vengono dalla questione sessuale, sì però qui si sposta soltanto sulla questione sessuale: perché c’è la questione sessuale? A che scopo? Sposta una fantasia su un’altra fantasia, mentre ciò che abbiamo costruito in questi anni è in condizioni di rendere conto di che cosa per esempio costruisce le fantasie: il discorso deve concludere con affermazioni vere, è la cosa più importante, è l’unica cosa che deve fare, costruisce proposizioni perché concludano in modo vero, non ha altri obiettivi, però questo lo persegue con tenacia e perseguendolo con tenacia costruisce una serie di sequenze che chiamiamo fantasie che costruiscono, fabbricano, questa scena dove la persona si trova ad avere ragione su tutto per esempio, in vario modo questo è irrilevante, però le persone quando parlano non fanno altro che questo, e cioè affermare le loro fantasie per il solo scopo, primo di enunciare delle verità, secondo persuadere gli altri che queste sono le verità più vere di tutte e che quindi anche gli altri, se fossero persone a modo, dovrebbero accogliere. La fantasia è la costruzione di una scena dove la verità si impone sul mondo, la propria verità ovviamente, si impone sul mondo, questa fantasia ha una sua ragione di essere perché quando la confronto con quella realtà che ho costruita, può andare sì contro alle cose in cui credo, ma in quel caso è abbastanza gestibile, se invece è un discorso che impone delle verità cioè propone delle verità in modo più cospicuo, più determinato di quanto può farlo un aggeggio, allora questo comporta che le verità che quel discorso propone possano andare in conflitto con le mie, e allora accade quello che accade spesso, cioè o l’altra persona non capisce niente quindi faccio in modo che le sue verità scompaiano, oppure, se sono importanti e non riesco a demolirle in qualche modo allora ci sto male, sto male perché questa verità con cui mi scontro mi produce una sensazione di impotenza, di frustrazione. Verrebbe da domandarsi se ciò che Freud ha chiamato nevrosi non sia in realtà qualcosa che procede da un fenomeno del genere, cioè dall’impossibilità di fare valere la propria ragione per un motivo o per l’altro, in qualunque campo sia: la propria verità in questo caso non riesce a trovare una conclusione che possa imporsi e questo costituisce per gli umani un problema, un problema perché il discorso deve concludere, e se non riesce a concludere resta in sospeso, ogni cosa è incompiuta, non essendo compiuta crea disagio appunto. Come dicevo probabilmente il disagio che gli umani provano in generale procede da questo, dall’impossibilità, dal non riuscire a concludere nel modo in cui il proprio discorso deve concludere: il mio discorso ha a certe premesse che devono concludere all’interno di questo ambito in un certo modo, se non riesce a concludere in quel modo all’interno di questo ambito è un problema. Ciò che spesso gli psicanalisti hanno chiamato “mancanza”, per Lacan la “manque a être”, la mancanza a essere, o il problema dei fondamenti, cioè l’impossibilità di giungere a una conclusione, con tutta la devastazione che questo comporta, ha a che fare con la difficoltà di concludere un discorso … Intervento: allora anche il desiderio? Il desiderio è di raggiungere qualcosa, è un desiderio di raggiungere la verità, quindi di portare a compimento qualcosa, e qualcosa è portato a compimento quando dalle premesse attraverso passaggi coerenti con la premessa si giunge alla conclusione che afferma qualcosa che è, come abbiamo detto varie volte, coerente con se stessa e coerente con le premesse da cui è partita. Questa è una delle cose più difficili per le persone da considerare, e soprattutto da gestire, cioè la difficoltà che procede dalla necessità assoluta, totale, frenetica di dovere dire la propria, come si suol dire generalmente, come se fosse impossibile resistere a questo impulso di dire assolutamente la propria verità, soprattutto là dove ci sono altri discorsi che pongono questioni differenti, che pongono eventualmente conclusioni differenti e, dicevo, abbandonare questa necessità appare straordinariamente difficile. Non avere più la necessità di imporre la verità del proprio discorso, della propria fede e quindi non avere più una fede da difendere, questo comporta il perdere la frenesia di dire subito la propria cosa, non ha più nessuna importanza perché non si parla più per persuadere, per sopraffare, per vincere l’altro, ma semplicemente per esporre delle questioni all’interrogazione, perché l’interrogazione possa procedere, possa proseguire, questo è l’unico motivo, non ce n’è nessun altro … Intervento: in fondo non c’è più bisogno della verifica da parte dell’altro e il proprio pensiero può trarre da sé le conclusioni rispetto al suo percorso teorico, intellettuale … Certo, la necessità di affermare questo procede dalla struttura stessa del linguaggio, linguaggio che è fatto da istruzioni che costruiscono le parole, quindi discorsi, quindi racconti eccetera, però per potere proseguire ci deve essere un elemento che si attesta, che è così, solo a questa condizione può proseguire, che è la stessa condizione che lo ha prodotto, l’istruzione dice “questo è questo”, all’inizio non ci sono neanche molti strumenti per mettere in discussione un’affermazione del genere, solo che non è un’affermazione ontologica, metafisica, è semplicemente un comando, un’istruzione. Quando definisco una certa cosa in un certo modo, non sto dicendo che quella cosa è quello, significa soltanto che uso questo significante in quel modo, nient’altro che questo, indico l’utilizzo che ne faccio, come il dizionario, né più né meno, solo che è questo l’elemento da cui si parte, quando per esempio voglio parlare del mare devo sapere che cos’è il mare e per saperlo c’è il dizionario che mi dice come si usa questa cosa. Se immagino invece che il punto di partenza su cui costruire qualcosa debba essere necessariamente vero, intrinsecamente vero, un vero in sé, come direbbe Sartre “l’in sé” quella grigia stabilità dell’essere, impermeabile a tutto, se suppongo questo e cioè che il punto di partenza debba essere così fatto allora ecco tutta la catastrofe della metafisica, perché una cosa del genere non è reperibile da nessuna parte. Il certo è tale perché è un comando, nient’altro, non ha altre certezze alle spalle per garantirlo, così come un re di picche non ha certezze alle spalle che lo garantiscono di essere un valore superiore a un sette di fiori nel gioco del poker, è solo una regola del gioco, né più né meno. Quando una persona discute muove dall’idea che le premesse da cui parte abbiano invece questa certezza, questa garanzia metafisica, e che sia proprio così, e da qui la necessità di difenderle fino al proprio sacrificio, perché è la verità assoluta, indiscutibile, da qui le guerre e tutta una serie di cose. La cosa che importa è intendere, all’interno del proprio discorso, come questa questione intervenga in modo da poterla mettere a frutto in un certo senso, anziché subirla, agirla: sapere che in questo momento ciò che conta è soltanto imporre la propria verità, la propria fede, questo può consentire di riflettere, se ci si accorge naturalmente, di riflettere su ciò che sta accadendo nel proprio discorso, come dire che a questo punto c’è una verità assoluta che sta funzionando, il mio discorso è all’interno di un ambito metafisico, occorre tirarlo fuori da lì perché se no se resta in ambito metafisico e si va poco lontani, per trarlo fuori occorre considerare che ciò che si immagina di dovere difendere è soltanto un’istruzione che di per sé non significa niente, è soltanto un modo per potere continuare, un modo per giocare quel gioco che chiamiamo linguaggio … Intervento: quindi prescindendo dal contenuto? Sì, possiamo anche metterci dentro il contenuto, ma questo stesso contenuto è costruito da qualcosa che è arbitrario. È il gioco che deve procedere, e se questa cosa è stata stabilita in un certo modo è soltanto per fare procedere il gioco, non ha altre funzioni, e quindi non ha da difenderla, non c’è niente più da difendere posta la questione in questi termini: ecco che c’è l’uscita dal discorso metafisico, perché non c’è più la cosa in sé come voleva Kant, o l’Essere, ma ci sono soltanto istruzioni che costruiscono proposizioni che devono procedere in modo tale da potere concludere con un’affermazione che non sia autocontraddittoria, che non contraddica le premesse da cui è partita, a questo punto si attesta, ma all’interno del gioco non fuori, fuori non significa niente, si attesta solo per potere da lì costruire altre sequenze … Intervento: a questo punto dovrei definire un discorso metafisico … Un discorso metafisico è un discorso che procede dall’idea che un qualche cosa sia se stesso in base a una qualche cosa, l’Essere, quello di cui parlano i filosofi, che è tale per se stesso cioè esiste per sé. L’Essere nella filosofia tradizionalmente è qualche cosa che appartiene a qualunque ente ma appartiene in modo permanente, immobile, duraturo, eterno. Tutta la tradizione filosofica, possiamo farla arrivare fino ad Heidegger volendo, ha cercato di verificare che le cose siano proprio così, cioè che ci sia questo Essere, e qui è cominciata la catastrofe che si è portata appresso tutto il discorso occidentale, perché non c’è nessun modo per potere stabilire una cosa del genere, cioè che esiste un Essere che è fatto in quel modo che sta da qualche parte. I cristiani lo hanno risolto con dio ma è la stessa storia, ecco quindi il discorso metafisico è quello che è fondato sul concetto di Essere necessario, stabile, immobile, duraturo, eterno, infinito, che non diviene, che è sempre assolutamente identico a sé e questo, questo principio, è stato quello su cui si è costruita tutta la metafisica, cioè un pensiero che cerca di giustificare questo Essere oppure lo dà per acquisito e dopo averlo acquisito ne trae tutte le derivazioni, conseguenze eccetera, ma lo lascia lì, immobile dov’è, per Plotino era L’Uno, ma non l’uno del calcolo numerico, è l’Uno, è l’Essere, la causa dell’Essente per antonomasia. Questo pensiero metafisico ha prodotto la devastazione del discorso occidentale perché a un certo punto ci si è resi conto che tutto questo non stava in piedi, non era possibile più sostenerlo, e allora si è inventata l’ermeneutica, dopo Heidegger non c’è più l’Essere come quell’elemento immutabile e fisso, la sostanza in quanto tale, ma ciascuno si fa interprete di qualche cosa, per cui ci sono soltanto interpretazioni ma non c’è la cosa in sé, che è soltanto un altro modo di pensare la cosa, di vedere la cosa, sposta la questione dall’Essere all’interpretazione. L’interpretazione occorre che sia interpretazione di qualche cosa, questo qualche cosa quindi comunque lo si dà per acquisito, che permane, anche se non si lascia cogliere né individuare, ma questo già l’aveva detto Kant, e non si è riusciti a uscire comunque dal pensiero metafisico in nessun modo, alla fine, citavo forse qualche volta fa, Heidegger ha considerato che effettivamente tutta la metafisica non ha fatto nient’altro che cercare di afferrare l’Essere, ma a che scopo? Non era solo una questione teoretica, astratta, da anima bella, ma era una questione di potere perché chi controlla l’ente controlla le cose, controlla tutto. Anche gli esseri umani sono enti, sono cose, e Heidegger lo dice in modo molto chiaro che il tentativo di sapere di che cosa è fatto l’ente, sapere che cosa sia l’ente e quindi trovare l’Essere ha lo scopo di potere controllare l’ente, una fantasia di potenza, è questo che ha innescato tutto, è questo che gli umani, e qui torniamo al discorso che facevo prima del potere, dell’avere ragione, è questo, lui l’ha colto a modo suo, è questo che muove tutto, dio è il potere estremo e quindi la filosofia da sempre ha cercato questo: la conoscenza dell’ente, la manipolazione e l’elaborazione, letteralmente la fabbrica dell’ente con l’informatica, la cibernetica, per questo dice Heidegger che la filosofia ha compiuto il suo percorso e si consegna alla tecnica, è la tecnica che fa questo, non più la filosofia, la filosofia ci ha provato e a questo punto consegna il testimone alla tecnica, la quale fa esattamente questo: conoscenza, manipolazione, elaborazione dell’ente, lo produce addirittura, avete presente gli ologrammi? Sono bellissimi, sono fatti da raggi laser ma producono un immagine tale e quale, che si muove, che parla eccetera, è la raffigurazione cibernetica di ciò che la retorica aveva indicato come ipotiposi, la figura retorica che serve per fare apparire, utilizzando le parole, l’immagine, fare proprio vedere le cose, visualizzarle in modo che sembrano veramente lì, ecco l’ipotiposi, è la formulazione retorica di ciò che l’informatica ha prodotto come ologramma. Dunque la questione del potere risulta determinante, è ciò che muove letteralmente il discorso, il potere cioè della verità, ovviamente il potere è solo una delle figure della verità, ciò che lo muove, ma ciò che lo traina, ciò che lo fa esistere in quanto tale è la struttura del linguaggio, che è fatta in modo tale da dovere compiersi ciascuna volta attraverso una sequenza, compiersi con una conclusione e poi di lì costruire altre cose, e quindi è imprescindibile dal funzionamento del linguaggio, è una parte integrante. Perché debba fare questo, questo è difficile a dirsi, però intanto occorre sapere esattamente se è così e come compie questa operazione che rende conto del fatto che gli umani da quando esistono da sempre non possono fare nient’altro che stabilire la verità. La loro verità, nient’altro che questo, e da qui tutta la ricerca per avere potere, come diceva Nietzsche, il potere sull’altro, sulle cose, sul mondo, governare il mondo e magari l’universo se ci riusciranno, a che scopo? Per soddisfare un’esigenza, una richiesta, un modo del funzionamento del linguaggio, solo per questo, non c’è nessuna curiosità, come dicevo prima e come ricorda Nietzsche, non c’è il desiderio puramente teoretico esente da ogni altra considerazione, ma è una volontà di potenza né più né meno, una volontà di avere potere sulle cose. Se tutto questo è perfettamente consapevole, e non può non sapersi in ciascun atto di parola, allora c’è l’eventualità di utilizzare il linguaggio non più per una volontà di potenza, ma per continuare a produrlo, ma a questo punto agendolo: il linguaggio che agisce se stesso anziché subire il proprio funzionamento e continuare a costruire cose per avere potere, ma continuare a costruire cose al solo fine di costruirle, cioè per intendere fino a che punto può spingersi il linguaggio senza più avere la necessità di avere potere su qualche cosa, almeno non necessariamente, ma è ancora tutto da considerare naturalmente … Intervento: … Il discorso comune non ha grossi problemi a proseguire, semplicemente immagina che “vede” sia il reale, e su questo costruisce tutto. Una persona che ha una fantasia di abbandono, crede che il fatto di essere abbandonata sia una cosa reale e quindi su questo costruisce tutta la sua esistenza, questo già lo sapeva Freud. Le fantasie pilotano l’esistenza delle persone, letteralmente, ciò che uno crede, ma questo Freud non lo poteva sapere perché non sapeva niente né di linguistica, né di semiotica, ciò che funziona come vero all’interno di una struttura pilota questa struttura e quindi se credo vera una certa cosa il discorso andrà in quella direzione, e la direzione non è altro che il senso, un’inferenza: “se a allora b, se b allora c, allora se a allora c” questa è la direzione, è un modo per indicare di fatto uno degli elementi attraverso cui il linguaggio funziona, per esempio il sistema inferenziale … Intervento: non è che fa parte del linguaggio la direzione? Perché ci sia direzione occorre che ci sia linguaggio, perché è questa struttura che fornisce gli elementi tali per cui da una certa cosa che intendo come premessa faccio dei passaggi e giungo a un’altra che chiamo conclusione, e quindi ho fatto un percorso, questo percorso ha una direzione, ma in assenza di questa struttura cioè di quelle istruzioni che incominciano a costruire le parole, parlare di direzione tecnicamente non avrebbe neanche senso perché non può esserci niente, è un po’ come il domandarsi che cosa c’è fuori della parola, fuori dal linguaggio, è una domanda che non ha nessun senso né nessuna possibilità di avere una risposta. La direzione appartiene al linguaggio, è uno degli effetti del funzionamento del linguaggio, muove da una cosa e arriva a un’altra, e questo muoversi da una cosa all’altra è quello che gli antichi chiamavano il divenire, e si produce la direzione, un senso, letteralmente il senso è una direzione e questo senso va sempre in quella stessa direzione, e cioè concludere con un’affermazione vera, se no non può essere accolta per potere proseguire, e questo è dettato dal modo in cui il linguaggio stesso funziona … Intervento: di rimandare ogni volta questo sarebbe un modo per giocare con il linguaggio … Questo è complicato, lei dice: “evitare di raggiungere una conclusione” però per potere proseguire una direzione occorre che il discorso si attesti su un qualche cosa per potere passare ad altro, altro che magari è lo stesso proseguimento … Intervento: anche quello di non voler dire potrebbe essere una direzione … Ma se non la chiude è come se invece di utilizzare i vari connettivi ne utilizzasse soltanto uno, la “e”: e questo, e questo, e questo, e questo, e questo, e questo … ad un certo punto le manca, non perché manca a lei, ma perché manca alla struttura un qualche cosa, e quindi cosa conclude? Direi che la prima cosa che importa è rendersi conto del funzionamento del linguaggio, e cioè non subire più questa cosa ma agirla, praticarla, è chiaro che non posso parlando evitare di concludere, dopo una certa sequenza, concludere una certa cosa, ma so benissimo che cos’è questa conclusione, da che cosa è prodotta, e quindi prendo quella conclusione non come un dato di fatto, assoluto, ma semplicemente come un modo per potere proseguire questo gioco, come una partita di carte a poker, a un certo punto non soltanto la partita deve avere una conclusione ma anche all’interno della partita ci sono delle conclusioni, c’è una conclusione all’interno del gioco che consente al giocare di passare o di fare quello che vuole, ma questa conclusione, all’interno del gioco, gli consente di continuare a giocare … Intervento: anche quando all’interno di un discorso capita di voler dire una certa cosa e invece “mi sono dimenticata quello che volevo dire” questo è un gioco all’interno di un gioco che comunque è funzionale alle premesse che sostengono quel gioco e quindi alle conclusioni … perché anche il fatto di interrompere il discorso dimenticando quello che si voleva dire sembra che il discorso rimanga in sospeso, non concluso è come se azzerasse gli elementi nuovi che intervengono … Si sta interrogando sulla dimenticanza? Intervento: sì certo tradurre queste cose in funzionamento del discorso non è semplicissimo comunque a questo punto questa sembra un non conclusione del discorso ma il discorso ha concluso nel modo abituale per poter affermare che non può concludere per esempio … Questo è un gioco che prevede molti giochi all’interno di sé, perché una cosa che uno dimentica può dare un gran fastidio come quando uno dice “ce l’ho sulla punta della lingua ma non mi viene in mente” cosa che da fastidio tremendissimo per i motivi che abbiamo già esposti, in quel caso rimane in sospeso quel gioco, altri vengono conclusi ma quello è come se non trovasse una conclusione … Intervento: è “come se” non trovasse una conclusione … È il caso di lavorare su questo aspetto, e cioè come funziona, diciamola alla Nietzsche, la volontà di potenza all’interno del discorso e che funzione ha, e come interviene, che peso ha all’interno di qualunque discorso, come se effettivamente il discorso fosse pilotato da questa esigenza sempre e comunque, come se fosse l’esigenza prioritaria su tutto, potere stabilire, affermare qualcosa, affermare qualcosa che è la ripetizione del gesto inaugurale del linguaggio, quando viene stabilito qualcosa, stabilito soltanto come il modo di usare un termine, però è stabilito. Ecco, questo è il modello che si ripete all’infinito, ma nessuno spiega che questo primo elemento è tale perché è un modo di usare quel termine, non è che sia quello che è per magia, di per sé non è niente, e non spiegando questo si incappa in un terribile equivoco, perché immagina che sia di per sé quella cosa, e allora bisogna ripetere questa scena cioè trovare sempre qualche cosa che possa dimostrare di sé di essere quello che è, con tutti i problemi che questo comporta. 23-11-2011 Freud ha inventata la psicanalisi incominciando a ascoltare le persone, cioè ha incominciato a lasciarle parlare. È stata questa idea che gli è venuta in mente a scoperchiare il vaso di Pandora, perché non era mai successo prima che una persona si trovasse a parlare senza venire immediatamente fermata, interrotta. Questo ha consentito l’invenzione della psicanalisi, a quel punto si è accorto che una persona che incomincia a parlare, incomincia a dire una serie infinita di cose, quelle che per lui sono importanti, sono delle verità ovviamente, e poi mano a mano tutte quelle cose che generalmente non dice, non dice per vergogna, per timore, per paura, per vergogna il più delle volte, e quindi trovandosi a esporre queste cose si trova a dire delle verità che per qualche motivo non potevano essere dette, se non in condizioni particolari. Ciò che ha consentito l’invenzione della psicanalisi è il fatto che le persone sono costrette dal discorso di cui sono fatte a dire le cose in cui credono, a dire le loro verità, e il motivo è che non possono non dirle perché c’è qualche cosa nel discorso che preme perché si dicano. Freud chiamava tutto questo con un termine che è abbastanza singolare, in tedesco, “trieb” sarebbe la pulsione, l’ha chiamato così perché è qualcosa che spinge a dire le cose, però parlare di pulsione porta poco lontani, è il discorso che preme per dire le sue verità, perché deve dirle? Potrebbe tenersele per sé in teoria, il fatto è che si trova di fronte ad altri discorsi. La persona è il discorso che fa, questo discorso si trova di fronte ad altri discorsi che sostengono altre cose, queste altre cose sono una minaccia per le sue verità il più delle volte e allora bisogna piegare questi altri discorsi, fare in modo che cessino di disturbare, o piegandoli alla mia ragione, o pensando che le cose che dice sono delle fesserie o semplicemente eliminandolo in qualche modo, come se non esistesse. Freud tra l’altro li descrive questi vari modi, sono i modi in cui un discorso argina gli altri discorsi che minacciano la sua verità, è proprio a partire da questo che ha potuto inventare la psicanalisi, perché le persone non potevano non dire la loro verità, e dicendo la loro verità anche tutti quei conflitti tra giochi linguistici che il discorso ha costruito. Ciascuna persona difende le sue verità, le difende dal nemico che immagina possa minacciare queste cose, è l’unica cosa che può interessare di difendere, tutto il resto non importa assolutamente niente, naturalmente questo comporta anche un altro aspetto e cioè che tutte le fantasie, forse lo dicevamo tempo fa, sono costruite su questo schema, cioè devono costruire una scena in cui la persona si trova al centro della scena, cioè la più importante, quella determinante, cioè quella che comanda tutto, che ha ragione di tutto. Le fantasie sono costruite così, hanno questo scopo: creare una scena dove ho il controllo totale su ciò che mi circonda, tutto quanto avviene lo gestisco io e siccome di fronte ad altri discorsi questo è difficile, perché tutti questi altri discorsi vogliono fare tutti esattamente la stessa cosa, se elimino tutti gli altri discorsi costruisco una scena dove tutti questi altri discorsi non ci sono o comunque se ci sono, sono facilmente gestibili. Questa scena soddisfa in definitiva i requisiti, l’esigenza del linguaggio, e cioè costruire una sequenza che concluda in un modo vero dove alla fine ciò che dico è vero per tutti “la verità è quello che dico io”, questo è l’obiettivo finale e tutte le fantasie hanno questa struttura, questo andamento, sono costruite per questo, per consentire al discorso di trovare una soluzione là dove questa soluzione appare irraggiungibile. Da qui è sorta la tragedia, è sorto il teatro, il cinema e tutte le varie arti di vario genere. A questo punto potremmo riassumere brevemente le ultime cose dette riguardo per esempio alla dimenticanza, come accade che una cosa si dimentichi? La dimenticanza procede da un conflitto di giochi linguistici, e la memoria si mantiene perché un elemento è connesso con altri elementi e più sono le connessioni che tengono in vita, fanno esistere questo elemento, più saldamente questo elemento è ricordato. Se ci fosse un solo aggancio, facciamo questa ipotesi, se ci fosse un elemento con un unico aggancio, questo aggancio può svanire facilmente mentre se questo elemento è tenuto in vita, in essere da una serie infinita di connessioni questo comporta non soltanto che se sono molti ed è più difficile cancellarlo, perché occorrerebbe cancellare tutte queste connessioni e poi anche tutte queste connessioni fanno anche in modo che questo elemento sia utilizzato da molte altre strutture, molte altre situazioni, quindi interviene molto spesso. Ciò che costituisce quegli elementi da cui prende avvio il discorso, dicevamo tempo fa il “questo è questo”, perché permane come struttura? Perché è quella che ha consentito l’avvio di tutte le connessioni, di tutta la rete che poi diventa di una complessità inimmaginabile, questa rete di connessioni è mossa da questo, quindi tutti questi elementi hanno questo elemento in comune di riferimento, e tutti questi elementi hanno quell’elemento di riferimento che quindi è sempre presente, ecco perché rimane lì, permane e nessuno lo cancella, è quell’elemento che ha consentito la formazione di tutte le concatenazioni che costituiscono quel discorso, il racconto, la vita … Intervento: dio ha questa figura? È una rappresentazione, in realtà quando il linguaggio si avvia non c’è dio, c’è soltanto un elemento che si afferma, dopo sì, si può pensare che dio abbia questa funzione ma dopo, ci deve essere stata prima una costruzione di elementi e allora poi si può anche fare questo certo … Intervento: non ho capito la dimenticanza … Freud parla della dimenticanza come un problema che interviene in connessione con la rimozione, un elemento viene rimosso perché è in conflitto con un altro e quindi la rimozione lo elimina, lo cancella, però non è che lo cancella del tutto, questo permane, rimane sotto forma di sintomo per esempio, però quello che dava fastidio è stato rimosso. Facevamo un esempio banalissimo che fa anche lui: il bambino che vuole la mamma, la vuole sessualmente, questa cosa non è pensabile e quindi viene rimossa, viene cancellata ma non viene cancellata del tutto, dice Freud, rimane qualche cosa di tutta questa operazione, rimane un sintomo che generalmente è creato tramite uno spostamento “non voglio più la mamma ma un’altra cosa”, oppure l’amore della mamma si trasforma in affetto eccetera. Tuttavia tenendo conto di come il linguaggio funziona, la cosa può intendersi forse in modo più preciso, perché un elemento diventi un problema occorre che tutto ciò che costituisce la problematicità di questo problema sia creduto dalla persona essere vero, se per esempio Pierino vuole portarsi a letto la mamma e in qualche modo viene a sapere che questa cosa, glielo dicono, che questa cosa non si può fare, lui deve credere che sia male perché se no non funziona, non succede niente, è come spiegare a un rettile che non può fare le cose che fa, per questo Freud diceva che i rettili non si possono addomesticare, perché non gli importa assolutamente niente di niente, ecco, deve credere vera questa cosa, nel momento in cui la crede vera allora funziona e allora a questo punto può entrare in conflitto, perché se è vero che portarsi a letto la mamma non è bella cosa, allora tutto questo è male, e quindi tutto quello che è connesso con questo è male, quindi se è male e se io desidero questo “io sono cattivo” eccetera con tutto ciò che poi ne segue e che può essere costruito a questo riguardo. Dunque si crea un conflitto, un conflitto di giochi linguistici, da una parte il desiderio, dall’altra l’impossibilità di porre in atto questo desiderio, un conflitto di giochi linguistici che hanno regole ben precise, di fronte a questo conflitto, come diceva Freud, si trova una formazione di compromesso, e non aveva tutti i torti, una via di mezzo che soddisfa un po’ una cosa e un po’ l’altra, questa formazione di compromesso è quella che Freud chiama sintomo. Qualcosa si dimentica quando per qualche motivo crea un problema rispetto a un’altra cosa, e questa altra cosa è importante ovviamente, e allora per mantenere quest’altra cosa vera e praticabile l’altra deve essere eliminata, deve essere cancellata e così accade, si toglie di mezzo, si toglie di mezzo ma dice Freud, non si toglie di mezzo definitivamente, rimane sempre, lui fa l’esempio famoso del tizio che disturba durante una conferenza e allora lo prendono e lo mandano fuori dalla porta, però da fuori continua a fare ancora più baccano e dà più fastidio di prima e allora, dice lui, bisogna farlo entrare e farlo parlare, fargli dire quello che ha da dire in modo che la cosa possa svolgersi e quindi prendere un’altra piega, trovare un altro risvolto e in questo modo la persona cesserà di fare tutto questo baccano, ché finalmente dice le cose che voleva dire. Questo era il modo, nell’Introduzione alla psicanalisi, che Freud utilizza per spiegare il fatto che è necessario interrogare il sintomo, lasciare parlare il sintomo anziché reprimerlo, anziché schiacciarlo e farlo tacere, ma lasciarlo parlare. L’invenzione della psicanalisi è consistita prevalentemente in questo, fare parlare il sintomo, come dicevo all’inizio, Freud ha scoperchiato il vaso di Pandora, a quel punto è venuto fuori di tutto, tutte quelle cose che gli umani si tengono dentro per paura di essere mal giudicati, per paura di essere abbandonati, per paura di essere ridicolizzati, cioè tutte quelle cose che renderebbero la loro posizione che magari ritengono importante, invece la renderebbero assolutamente risibile, una cosa di nessun conto, e allora non si dicono. Nessuno le ave- va mai dette prima, perché a nessuno è mai venuto in mente di incominciare a lasciare parlare la persona senza fermarla per dirgli se sta dicendo bene o male, giusto o sbagliato eccetera. Il gesto psicanalitico avviato da Freud può essere considerato straordinario se lo si prende per quello squarcio che apre all’interno di una struttura, che rimane metafisica, per i continui rimandi a questioni naturalistiche, positiviste, mediche. Freud era un medico positivista, non possiamo pretendere granché, però ha posta un’apertura verso la parola, verso il linguaggio, verso il discorso e la sua struttura, e queste sono state e sono fondamentali, è da lì che la psicanalisi si è avviata, cioè quando ha lasciato parlare le persone e ad ascoltare parole, tutto il resto è irrilevante, la sua teoria dell’inconscio, della rimozione, della resistenza eccetera per dare una spiegazione a dei fenomeni che non riusciva bene a collocare, e allora si è inventata questa cosa che tutto sommato non era poi così tanto errata, anche se la pone in termini un po’ mistici, sono le questioni che poi ha ripreso lo stesso De Saussure. Anche Lacan ci ha costruito la psicanalisi, e Verdiglione ha rovesciato la cosa: dietro la parola non c’è più niente, ci sono soltanto parole, che quindi traggono un senso di volta in volta mentre si producono. Questo comporta altri paradossi, però questo è un altro discorso, perché se non si intende che la parola comunque è quella che è per via di istruzioni che la pongono in quel modo si cade in paradossi irresolubili, perché se dico che ciascun elemento trae il senso unicamente dalla combinatoria in cui è inserito allora anche questa frase subisce lo stesso effetto, come dire che tutto ciò che dico in ogni caso sarà sempre altro, sarà sempre spostato, sarà sempre e comunque riferito a qualche cos’altro, non c’è la possibilità di dire due volte la stessa cosa allo stesso modo, il problema è come posso affermare una cosa del genere, tendendo conto di questo? Posso affermarlo, ecco il paradosso, posso affermarlo se ciò che dico non è vero, è la sola condizione, cioè se quello che dico è falso, perché se è vero non lo posso affermare più, e questo è il paradosso che ha devastato la teoria di Verdiglione, anche se lui non se ne è accorto però è così, e per altro può essere devastante anche per la semiotica e per altre discipline. Occorre andarci cauti con queste affermazioni che ogni cosa trae il senso dalla combinatoria in cui è inserita, è vero in parte, ma perché possa avere una sua funzione all’interno della combinatoria occorre che delle istruzioni abbiano detto come usare quell’elemento, se no, se non c’è questo, non funziona niente, è un oceano di cose senza senso, e delle quali non si potrebbe neanche parlare, ciascuna cosa sarebbe tale ma anche il suo contrario, quindi io posso affermare che qualunque elemento trae il senso dalla combinatoria in cui esiste e unicamente da questo, se e soltanto se quello che dico è falso, è inesorabile … Intervento: Rensi sullo scetticismo … Lo scetticismo viene confutato dalle sue stesse affermazioni certo. Comte risolve la cosa dicendo che nessuna verità è affermabile fuorché questa: che nessuna verità è affermabile. D’altra parte la cosa è anche argomentabile perché se io dico che nessun elemento, per esempio, può essere individuato, questa cosa non potrei applicarla alla stessa affermazione che dice che nessun elemento può essere individuato perché in questo caso non potrei affermare ciò che ho affermato. Si può argomentare qualunque cosa, ma ciò che ci interessa adesso è considerare che un elemento è quello che è per via dell’uso che viene stabilito dalle istruzioni che lo costruiscono, per questo abbiamo detto che la parola è l’esecuzione di istruzioni, solo a questo punto questo elemento può costruire tutte le catene, combinarsi con altre, perché ha un uso, se non ha un uso non è niente, è nulla e non può crearsi nessuna catena, nessuna combinatoria, non si crea niente. Questo è ciò che costituisce la discriminante fra ciò che abbiamo fatto e ciò che ha fatto Verdiglione per esempio, Verdiglione pone il linguaggio come una delle dimensioni della parola, insieme con la sembianza, cioè la concatenazione delle immagini, e la materia, cioè ciò che resiste alla significazione, questa dimensione è una delle cinque logiche della logica della nominazione che è l’asse portante di tutta la teoria di Verdiglione. Nel suo discorso la parola accade, tant’è che è costretto a un certo punto a ricorrere a termini mutuati dal cristianesimo: il miracolo, la provvidenza, per mostrare come questa cosa avvenga. La parola avviene così, magicamente, e lui si trae d’impaccio da una cosa del genere dicendo: “io considero le cose come accadono, come avvengono, prendo atto che c’è la parola”, anche questa è una posizione. Posizione che aveva esercitato una forte attrazione su noi ragazzi che venivamo quasi tutti da esperienze politiche di sinistra, e cioè che nessun elemento potesse avere senso ma lo incontrasse questo senso, era una sorta di anarchia totale, la parola anarchica, senza origine, perché non c’è un punto di origine stabilito, fermo, e se non c’è un punto di partenza perché questo punto di partenza anche lui è preso in una combinatoria continuamente in movimento, ecco che non potendo individuare il punto di partenza non saprò mai quale sarà il punto di arrivo. Per questo ci eravamo interessati allora alle teorie del caos e delle catastrofi, in particolare di René Thom, che dicevamo proprio una cosa del genere e cioè che siccome non è possibile determinare la posizione di un elemento nel punto di partenza, non è possibile individuare il punto di arrivo. Questo esercitò allora un fascino incredibile, era proprio quello che cercavamo, una teoria che sostenesse un pensiero anarchico, totalmente anarchico da qui anche il successo che ha avuto Verdiglione fra i giovani.