IURIS ET DE IURE Bollettino quindicinale di aggiornamento del Consiglio Notarile di Catania e Caltagirone N. 10 - 31 OTTOBRE 2014 in redazione: Giuseppe Pappalardo --------------------Cari Lettori, nella "prima pagina" di questo numero del bollettino trovate un approfondimento della Collega Notaio Donata Galeardi in materia di Attestato di Certificazione Energetica (APE), essendo entrata in vigore la normativa in tema di adeguamento dei modelli di libretto e di rapporti di efficienza energetica degli impianti termici e di climatizzazione, a seguito del Decreto del Ministero per lo Sviluppo Economico del 20 giugno 2014, pubblicato nella G.U. n. 153 del 4 luglio 2014 (su cui vedasi pure, in questo stesso numero, il contributo riportato nella sezione Studi del Notariato). Buona lettura. (G. P.) --------------------SOMMARIO Prima Pagina: Alcuni orientamenti per la verifica di validità degli Attestati di Prestazione Energetica (di Donata Galeardi) pag. 2 Prassi pag. 4 Giurisprudenza pag. 8 Studi del Notariato pag. 9 --------------------- 1 PRIMA PAGINA ALCUNI ORIENTAMENTI PER LA VERIFICA ATTESTATI DI PRESTAZIONE ENERGETICA DI VALIDITA' DEGLI A seguito delle numerose perplessità recentemente manifestate e riguardanti principalmente l'asserito obbligo di allegazione dei libretti di impianti, e, da ultimo, la verifica della metodologia di software obsoleto come causa di invalidità dell'APE, si ritiene utile fornire un piccolo prontuario, ad uso pratico e senza alcuna pretesa di esaustività o completezza (nonché in ordine alla certezza delle soluzioni pratiche proposte), per una verifica abbastanza veloce della conformità degli Attestati di Prestazione Energetica a tutte le normative in vigore a seguito delle successioni di leggi nel tempo (ed in particolare a seguito del Decreto del Ministero per lo Sviluppo Economico 20 giugno 2014, pubblicato nella G.U. n. 153 del 4 luglio 2014). 1) Il primo controllo da effettuare è in ordine alla data di scadenza dell’APE (di norma 10 anni); date diverse (solo anteriori al decennio, perché posteriori si ritengono non ammissibili per contrasto con la stessa normativa del D.Lgs. 192/2005) sono giustificabili solo in presenza di programmazioni di revisione impianti enunciate dallo stesso tecnico, e da apportarsi a breve, o di varianti inerenti la consistenza, la destinazione, l'uso, delle unità considerate (ad es. si deve acquistare un immobile da ristrutturare a breve termine e di ciò viene fatta menzione nell'atto, si deve acquistare un immobile con destinazione da variare, ecc...). 2) Altra necessaria verifica è quella in ordine alla correttezza dei dati catastali e dell’indirizzo dell’immobile. Sono considerati validi gli APE redatti e rilasciati con l'indicazione di dati anche risalenti (attenzione: risalenti in senso storico, non errati) rispetto a quelli attuali (purché ovviamente non si evidenzi contrasto tra la data di rilascio e quella in cui è avvenuta la nuova catastazione o variazione catastale), in quanto modificati per effetto di frazionamenti, fusioni, o altro tipo di variazioni catastali, purché la modifica non abbia riguardato le superfici utili valutabili ai fini del rendimento energetico (se, ad es. il sub. 1, indicante appartamento e cantina, viene suddiviso in sub. 2, appartamento, e sub. 3, cantina, in tal caso l'APE relativo all'intera consistenza del sub. 1, appartamento, va nuovamente redatto non a causa della nuova subalternazione, ma a causa del mutamento delle superficie utile da valutarsi ai fini del riscaldamento degli ambienti). 3) Altra verifica riguarda la correttezza dei dati del proprietario richiedente; 4) Sarà pure necessario verificare l'indicazione della classe energetica e della prestazione energetica globale (espressa in kWh/mc); 5) Occorrerà verificare in ordine alle informazioni sugli impianti, sia per il riscaldamento che per l’acqua calda sanitaria (anno di installazione, potenza nominale, tipologia, combustibile); se questi campi sono vuoti si presume che l’immobile non abbia impianti (ciò è improbabile per le abitazioni); 6) Necessaria è anche la verifica delle informazioni sul tecnico abilitato (corrispondenza tra quanto scritto nell’APE con il timbro del tecnico); una sottoverifica di questo punto 6) riguarda la sottoscrizione del tecnico redattore che dovrebbe essere apposta in tutte le pagine. In sede di allegazione notarile poi sarà ovviamente necessario, comunque, far 2 sottoscrivere l'intero documento anche alle parti dell'atto - oltre a testimoni e notaio rogante -, sia che venga allegato un originale di esso sia che venga allegato in copia (anche fotostatica): allegato che dunque andrà sottoscritto al pari di un qualunque allegato di provenienza non autentica od originaria. Non andrà sottoscritto, invece, l'APE rilasciato in copia autentica notarile o per estratto conforme a precedente atto, da parte dello stesso Notaio: essendo documento autentico, infatti, non necessiterà di sottoscrizioni ulteriori rispetto a quella del Notaio autenticante la copia o l'estratto. 7) Altra verifica, nell'attesa che il Ministero dello Sviluppo Economico si esprima però con maggiore compiutezza in proposito, è quella di controllare il software con il quale è stato redatto l’APE: dal 2/10/2014, sulla base dell'aggiornamento fornito dal CTI (Comitato Termotecnico Italiano) con norma pubblicata in tale data, il software gratuito DOCET non è più certificato conforme per la redazione degli APE, per cui tutti gli attestati redatti con il software DOCET che riportano data posteriore il 2/10/2014 non sono - per affermazione del CTI - validi. Ora, tale conclusione, soprattutto nelle more di un provvedimento legislativo o regolamentare ad hoc, ad avviso di chi scrive, sembra probabilmente eccessiva, almeno sotto il profilo della invalidità del documento, ferma restando una eventuale responsabilità del tecnico redattore. Difatti, le metodologie tecniche da usarsi per la redazione dell'APE devono essere certificate conformi secondo una specifica procedura indicata nel D.Lgs. 192/2005, che, in quanto legge, può essere interpretata autenticamente dallo stesso legislatore con norma regolamentare e non da altro organo. Pertanto, nell'attesa di una circolare esplicativa sul punto, da parte del Ministero per lo Sviluppo Economico, potrebbe ritenersi sufficiente ed aderente al dettato normativo l'utilizzazione di un software autodichiarato conforme alla normativa UNI TS 11300 - 1 e UNI TS 11300 - 2, da parte del produttore, a prescindere dalla denominazione del software. E comunque, può essere un utile consiglio quello di non accettare APE comunque redatti dopo il 2.10.2014 con il metodo del software DOCET. 8) Altra verifica riguarda la dichiarazione sostitutiva di notorietà che si ritiene preferibile sia presente (inglobata nell’APE o in separata pagina), con la quale il tecnico attesti la veridicità delle informazioni esposte e l’assenza di conflitto di interessi; il tecnico non può essere coniuge o parente fino al quarto grado del proprietario; dev’essere presente, allegata alla dichiarazione, copia di un documento d’identità valido del tecnico. 9) Il notaio ha l’obbligo d’informare la parte acquirente circa l’obbligo della consegna, da parte del venditore, di tutta la documentazione inerente gli impianti (libretto d’impianto con annotati gli interventi di manutenzione programmata). In data 15.10.2014, infatti, a seguito di decisione del Ministero dello Sviluppo Economico, è entrata in vigore la disciplina di cui all'art. 7, comma 5 del DPR 16.04.2013 n. 74, secondo cui gli impianti termici per la climatizzazione o produzione di acqua calda sanitaria devono essere muniti di un "Libretto di impianto per la climatizzazione". Pertanto, in caso di trasferimento a qualsiasi titolo dell'immobile o dell'unita' immobiliare i libretti di impianto devono essere consegnati all'avente causa, debitamente aggiornati, con gli eventuali allegati. La norma è abbastanza chiara, nel senso che non vi è (né da alcuna parte se ne asserisce l'esistenza di) alcun obbligo di allegazione dei detti libretti, obbligo che vige semmai solo per l'attestato che viene consegnato alle parti interessate. E' pur vero, però, che, viste le sanzioni pecuniarie a carico del titolare dell'impianto (variabili da 500 a 3.000 euro) per il caso di mancata osservanza delle sopra citate norme, si potrà richiamare l'attenzione delle parti al riguardo ed eventualmente inserire la menzione di averle rese edotte in proposito o indicare la regolamentazione di una consegna di tali libretti come evento già posto in essere tra le parti, o in relazione al quale è stata operata una dispensa dalla consegna stessa (ove ritenuta possibile). (Donata Galeardi) 3 PRASSI Agenzia delle Entrate RISOLUZIONE n. 87/E del 14 ottobre 2014 OGGETTO: Interpello - ART. 11, legge 27 luglio 2000, n. 212. Agevolazioni fiscali in favore delle start-up innovative e degli incubatori certificati requisito “alternativo” previsto dall’articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2, del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179. Con l'interpello specificato in oggetto, concernente l'interpretazione dell'articolo 25, comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012, è stato esposto il seguente QUESITO ALFA S.R.L., costituita nel 2013 ed avente per oggetto sociale lo sviluppo e la commercializzazione di una piattaforma informatica fruibile attraverso dispositivi portatili, intende ottenere la qualifica di start-up innovativa, richiedendo l’iscrizione nella sezione speciale del registro delle imprese della Camera di Commercio, anche al fine di consentire agli investitori di fruire delle agevolazioni fiscali introdotte dal decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179. L’istante dichiara di avere tutti i requisiti obbligatori, necessari per qualificarsi come startup innovativa, previsti dall’articolo 25, comma 2, lettere da b) a g), del decreto-legge n. 179 del 2012, e che intende avvalersi del requisito alternativo previsto dal medesimo articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2), il quale richiede l’“impiego come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo, in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolo di dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un'università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero, ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale”. Tanto premesso, la società istante chiede chiarimenti in merito alla corretta interpretazione del requisito alternativo citato, e più specificamente, se: 1) gli amministratori-soci, anche non retribuiti, possano considerarsi come forza lavoro; 2) tra i "collaboratori" possano essere annoverati anche i consulenti esterni titolari di partita IVA, gli stagisti e ogni categoria percipiente un reddito assimilato a quello di lavoro dipendente; 3) ai fini della verifica della percentuale di un terzo o di due terzi, si debba effettuare un calcolo "per teste" o in base alla remunerazione. SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DAL CONTRIBUENTE L'istante ritiene, con riferimento al primo quesito, che gli amministratori-soci, anche non retribuiti, poiché prestano effettivamente la loro attività presso la società, possono essere compresi nella forza lavoro rilevante ai fini del rapporto di cui all’articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2), del decreto-legge n. 179 del 2012. In merito al secondo quesito, la società sostiene, sulla base del tenore letterale della disposizione, che possano annoverarsi tra i collaboratori tutti i soggetti che “a qualsiasi titolo" svolgono attività per l’impresa; di conseguenza, ritienepossibile considerare ai fini del citato rapporto anche gli stagisti, i percipienti reddito assimilato a quello di lavoro dipendente e i consulenti esterni titolari di partita IVA. 4 Infine, in merito al terzo quesito riguardante la determinazione del citato rapporto, la società ritiene corretto effettuareun calcolo "per teste". PARERE DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE L’articolo 25, comma 2, del decreto-legge n. 179 del 2012, definisce l’impresa start-up innovativa quale “società di capitali, costituita anche in forma cooperativa, di diritto italiano ovvero una Societas Europaea, residente in Italia ai sensi dell'articolo 73 del decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le cui azioni o quote rappresentative del capitale sociale non sono quotate su un mercato regolamentato o su un sistema multilaterale di negoziazione” in possesso di determinati requisiti. La start-up innovativa – per definirsi tale ed accedere alla disciplina di favore prevista dalla Sezione IX del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179 – deve possedere i requisiti “cumulativi” di cui al citato articolo 25, comma 2, lettere da b) a g), nonché almeno uno tra i requisiti “alternativi” richiesti dalla successiva lettera h). Per quanto di interesse, l’articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2) richiede l’impiego “come dipendenti o collaboratori a qualsiasi titolo”, a) “in percentuale uguale o superiore al terzo della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di titolodi dottorato di ricerca o che sta svolgendo un dottorato di ricerca presso un'università italiana o straniera, oppure in possesso di laurea e che abbia svolto, da almeno tre anni, attività di ricerca certificata presso istituti di ricerca pubblici o privati, in Italia o all'estero”; b) “ovvero, in percentuale uguale o superiore a due terzi della forza lavoro complessiva, di personale in possesso di laurea magistrale ai sensi dell'articolo 3 del regolamento di cui al decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 22 ottobre 2004, n. 270”. Ciò premesso, con riferimento ai quesiti posti dalla società relativamente al secondo requisito “alternativo” sopra citato, acquisito anche il parere del Ministero dello Sviluppo Economico, si rappresenta quanto segue. In merito ai primi due quesiti, si ritiene - tenendo conto dell’intenzione originaria del legislatore - che qualsiasi lavoratore percipiente un reddito di lavoro dipendente ovvero a questo assimilato possa essere ricompreso tra la forza lavoro rilevante ai fini della verifica della sussistenza del requisito “alternativo” in commento. Con particolare riferimento alla figura degli amministratori-soci, il citato Ministero ha rappresentato che la norma consente, in armonia con l’attuale disciplina giuslavoristica, che l’impiego del personale qualificato possa avvenire sia in forma di lavoro dipendente che a titolo di parasubordinazione o comunque “a qualunque titolo” e che sicuramente rientra nel novero anche la figura del socio amministratore. Tuttavia, la locuzione “collaboratore a qualsiasi titolo” non può scindersi dall’altra “impiego”. Di conseguenza, gli amministratori-soci possono essere considerati ai fini del rapporto di cui all’articolo 25, comma 2, lettera h), n. 2, del decreto-legge n. 179 del 2012, soltanto se anche soci-lavoratori o comunque aventi un impiego retribuito nella società “a qualunque titolo”, diverso da quello organico. Diversamente, qualora i soci avessero l’amministrazione dellasocietà ma non fossero in essa impiegati, gli stessi non potrebbero essere considerati tra la forza lavoro, ai fini del citato rapporto, atteso che la condizione relativa “all’impiego” nella società non risulterebbe verificata. Conformemente a tutto quanto sopra rappresentato, si ritiene che gli stagisti possono essere considerati forza lavoro solo se retribuiti mentre i consulenti esterni titolari di partita Iva non possono essere annoverati tra i dipendenti e i collaboratori rilevanti ai fini del citato rapporto. Infine, con riferimento al terzo quesito, si concorda con quanto sostenuto dall’istante atteso che, come rappresentato dal Ministero dello Sviluppo Economico, il calcolo della 5 percentuale di forza lavoro altamente qualificata deve essere necessariamente eseguito “per teste”. *** Le Direzioni regionali vigileranno affinché i principi enunciati e le istruzioni fornite con la presente risoluzione venganopuntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti. --------Agenzia delle Entrate RISOLUZIONE n. 90/E del 17 ottobre 2014 OGGETTO: Interpello – Acquisto per usucapione di beni immobili – Applicabilità delle agevolazioni prima casa. Con l’interpello in esame, concernente l’interpretazione del DPR n. 131 del 1986, è stato esposto il seguente: Quesito Con sentenza n. …/14, il Tribunale di … ha dichiarato, in accoglimento di una domanda formulata ai sensi dell’articolo 1158 del codice civile, l’avvenuta usucapione di alcuni beni immobili in favore di TIZIO, CAIA,SEMPRONIA. In relazione all’acquisto effettuato, questi ultimi intenderebbero beneficiare delle agevolazioni ‘prima casa’. Tenuto conto, tuttavia, che nella sentenza e negli atti del procedimento non sono state rese le dichiarazioni necessarie per fruire di dette agevolazioni, si chiede di conoscere se il diritto di fruire delle agevolazioni ‘prima casa’ resti confermato e, in caso di risposta affermativa, con quali modalità debbano essere rese dagli interessati le predette dichiarazioni. Il dubbio interpretativo sorge in quanto con la risoluzione 20 marzo 2012, n. 25, l’Agenzia delle Entrate, uniformandosi alla giurisprudenza della Suprema Corte, ha chiarito che l’applicabilità delle agevolazioni in argomento resta subordinata alla presenza delle condizioni che dovranno essere dedotte dagli interessati nell’atto introduttivo o nel corso del giudizio per la dichiarazione di intervenuta usucapione. Soluzione interpretativa prospettata dall’istante Gli istanti ritengono che sia possibile beneficiare delle agevolazioni ‘prima casa’, anche nel caso in cui le dichiarazioni non siano state rese nel corso del procedimento. In tale ipotesi, il contribuente potrà presentare un atto integrativo contenente una dichiarazione del possesso dei requisiti previsti dalle lettere a), b) e c) della nota II - bis all’articolo 1 della Tariffa, Parte prima, allegata al Testo Unico dell’imposta di registro, approvato con DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR). L’interpellante rileva, infatti, che, con risoluzione 3 ottobre 2008, n. 370, è stato precisato, con riferimento al caso in cui la dichiarazione del possesso dei requisiti per poter beneficiare delle agevolazioni ‘prima casa’ non era stata effettuata nella domanda di partecipazione ad un’asta immobiliare, che detta dichiarazione poteva essere resa anche nelle more della registrazione del decreto di trasferimento. Negare tale possibilità, invece, nel caso di specie, riguardante una sentenza dichiarativa di usucapione, comporterebbe di fatto una discriminazione nei confronti dei soggetti che non hanno potuto rendere dette dichiarazioni nel corso del procedimento. Parere dell’Agenzia delle Entrate 6 L’articolo 8 della Tariffa, Parte prima, allegata al Testo Unico dell’imposta di registro, approvato con DPR 26 aprile 1986, n. 131 (TUR), alla nota II - bis prevede che “i provvedimenti che accertano l’acquisto per usucapione della proprietà di beni immobili o di diritti reali di godimento sui beni medesimi sono soggetti all’imposta secondo le disposizioni dell’articolo 1 della Tariffa”. Di fatto, tale norma equipara la tassazione delle sentenze che accertano l’acquisto degli immobili per usucapione a quella degli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di immobili, che sono assoggettati ad imposta di registro in misura proporzionale. Con risoluzione 20 marzo 2012, n. 25, questa Agenzia, nell’esaminare un caso di acquisto di immobile per usucapione, ha precisato, in considerazione dell’interpretazione resa dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 14120 del 2010, che l’applicabilità delle agevolazioni ‘prima casa’ è subordinata alla presenza delle condizioni previste dalle lettere a) b) e c) della nota II-bis all’articolo 1 della Tariffa, che dovranno essere dedotte dagli interessati nell’atto introduttivo o nel corso del giudizio promosso per la dichiarazione di intervenuta usucapione. A parere della scrivente, tuttavia, i chiarimenti forniti con la richiamata risoluzione devono essere coordinati con i principi già affermati da questa amministrazione con riferimento alle ipotesi di agevolazioni ‘prima casa’ richieste in relazione a trasferimenti immobiliari disposti con atti giudiziari. Come rilevato dal contribuente istante, infatti, con risoluzione 3 ottobre 2008, n. 370, questa Agenzia ha affermato che nel caso in cui il contribuente non abbia richiesto le agevolazioni fiscali ‘prima casa’ nella domanda di partecipazione ad un’asta immobiliare, le dichiarazioni riguardanti il possesso dei predetti requisiti possono essere rese nelle more della registrazione del decreto di trasferimento. Con sentenza 4 ottobre 2006, n. 21379, la Corte di Cassazione ha, infatti, precisato che il termine finale entro il quale il destinatario dell’agevolazione può far valere il suo diritto a chiedere l’applicazione dell’agevolazione ‘prima casa’ è costituito dalla registrazione dell’atto davanti all’Amministrazione fiscale. Tale principio trova conferma in diverse altre pronunce della giurisprudenza di legittimità. Ad esempio, con la sentenza 19 aprile 2013, n. 9569, la Corte di Cassazione ha precisato che le manifestazioni di volontà di fruire delle agevolazioni ‘prima casa’ “vanno dunque rese, attenendo ai presupposti dell’agevolazione, anche, quando il contribuente intenda far valere il proprio diritto all’applicazione dei relativi benefici rendendosi acquirente in sede di vendita forzata; in tal caso egli dovrà provvedere a rendere le anzidette dichiarazioni prima della registrazione del decreto di trasferimento del giudice dell’esecuzione, che costituisce l’atto al quale va riconosciuta efficacia traslativa della proprietà del bene”. Più di recente, la Corte di Cassazione ha avuto modo di confermare detto principio anche con riferimento alla richiesta delle agevolazioni ‘prima casa’ per un trasferimento di immobile effettuato con sentenza emessa ex articolo 2932 del c.c. ( esecuzione specifica dell’obbligo di concludere un contratto) avente natura costitutiva (si veda la sentenza della Corte di Cassazione 3 febbraio 2014, n. 2261). Anche con riferimento a tale ipotesi, la Corte di Cassazione ha chiarito che “Le prescritte manifestazioni di volontà …vanno dunque rese, attenendo ai presupposti dell’agevolazione, anche quando il contribuente intenda far valere il proprio diritto all’applicazione dei relativi benefici rendendosi acquirente in sede di domanda ex art. 2932 c.c.; in tal caso le anzidette dichiarazioni dovranno essere rese prima della registrazione della sentenza sostitutiva del contratto non concluso….”. A completamento di quanto detto, si evidenzia che proprio con riferimento alle agevolazioni ‘prima casa’ (come disciplinate dall’articolo 16 del DL 20 maggio 1993, n. 155, convertito nella legge 19 luglio 1993, n. 243) relative ad immobile acquisito per 7 usucapione, l’amministrazione finanziaria con la circolare 16 ottobre 1997, n. 267, aveva avuto modo di affermare che “la richiesta di agevolazione doveva essere contenuta, a pena di decadenza, nello stesso atto ovvero nel caso in cui tale dichiarazione era stata omessa veniva consentito al contribuente di conseguire il trattamento agevolato sulla prima casa, mediante integrazione dell’atto giudiziario, con dichiarazione autenticata nelle firme, da autorità anche diversa da quella che aveva redatto il provvedimento giudiziario, stilata ed allegata al provvedimento stesso nelle more della sua registrazione”. Coerentemente con i principi già affermati da questa amministrazione e con le interpretazioni rese dalla giurisprudenza di legittimità si ritiene, quindi, con riferimento al quesito proposto con la presente istanza di interpello, che nel caso in cui le dichiarazioni necessarie per fruire delle agevolazioni ‘prima casa’ non siano state rese nella sentenza e negli atti del procedimento, i contribuenti interessati potranno, comunque, beneficiare delle predette agevolazioni mediante integrazione dell’atto giudiziario, con dichiarazione autenticata nelle firme, da autorità anche diversa da quella che aveva redatto il provvedimento giudiziario, da allegare al provvedimento stesso nelle more della sua registrazione (cfr. circolare 12 agosto 2005, n. 38). Le Direzioni regionali vigileranno affinché le istruzioni fornite e i principi enunciati con la presente risoluzione vengano puntualmente osservati dalle Direzioni provinciali e dagli Uffici dipendenti. GIURISPRUDENZA NOTARIATO - Prescrizione dell'illecito disciplinare Corte Costituzionale, sentenza 24 settembre 2014, n. 229 La Corte Costituzionale dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 146, primo e secondo comma, della legge 16 febbraio 1913, n. 89 (Ordinamento del notariato e degli archivi notarili), come sostituito dall’art. 29 del decreto legislativo 1° agosto 2006, n. 249 (Norme in materia di procedimento disciplinare a carico dei notai, in attuazione dell’articolo 7, comma 1, lettera e, della legge 28 novembre 2005, n. 246), sollevate, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Corte di cassazione. (L'aver portato da 4 a 5 anni il termine di prescrizione dell'illecito disciplinare del notaio e l'avere introdotto l'istituto dell'interruzione del corso della prescrizione non ha violato l'art. 76 Cost., trattandosi di scelte del legislatore delegato coerenti con gli indirizzi generali della delega e compatibili con la ratio di questa). PRELAZIONE - Contratti agrari Cassazione, sentenza 10 luglio 2014, n. 15768, sez. III civile In materia di contratti agrari il diritto di prelazione in favore del proprietario del fondo confinante con quello venduto, previsto dall'art. 7, secondo comma, della legge 14 agosto 1971, n. 817, sussiste anche nell'ipotesi in cui, in occasione dell'alienazione, si sia proceduto ad un suo artificioso frazionamento per eliminare il requisito del confine fisico tra i suoli, onde precludere l'esercizio del diritto di prelazione. Riferimenti normativi: Legge 14/08/1971 num. 817 art. 7 Massime precedenti Conformi: N. 5573 del 2003 SERVITÙ - Fondo intercluso 8 Cassazione, sentenza 6 ottobre 2014, n. 20982, sez. II civile Nell'ipotesi in cui il fondo, originariamente unico, sia divenuto intercluso per effetto di alienazione di una parte di esso a titolo oneroso, il diritto dell'acquirente di ottenere la costituzione coattiva e gratuita della servitù di passaggio, ai sensi dell'art. 1054 c.c., nel residuo fondo dell'alienante, può farsi valere soltanto nei confronti di quest'ultimo e dei suoi eredi, non anche nei confronti degli aventi causa a titolo particolare dell'alienante medesimo. DONAZIONE - Donazione indiretta e comunione legale Cassazione, sentenza 10 ottobre 2014, n. 21494, sez. I civile In caso di donazione indiretta di un immobile, per verificare se tale bene rientri o meno nella comunione legale, l'attestazione del notaio, dell'avvenuto pagamento del corrispettivo dell'immobile con denaro donato dal padre alla figlia, non può considerarsi sufficiente, trattandosi di una mera presa d'atto della dichiarazione resa al riguardo delle parti. Ai sensi dell'art. 2700 c.c., l'atto pubblico forma piena prova solo della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, delle dichiarazioni rese dalle parti o dei fatti che egli attesti avvenuti in sua presenza, ma non è piena prova della veridicità intrinseca delle predette dichiarazioni. SUCCESSIONI - Accettazione tacita dell'eredità Cassazione, sentenza 11 luglio 2014, n. 15888, sez. III civile L'accettazione tacita di eredità - pur potendo avvenire attraverso "negotiorum gestio", cui segua la successiva ratifica del chiamato, o per mezzo del conferimento di una delega o dello svolgimento di attività procuratoria - può tuttavia desumersi soltanto da un comportamento del successibile e non di altri, sicché non ricorre ove solo l'altro chiamato all'eredità, in assenza di elementi dai quali desumere il conferimento di una delega o la successiva ratifica del suo operato, abbia fatto richiesta di voltura catastale di un immobile del "de cuius". STUDI DEL NOTARIATO Su CNN Notizie del 13 ottobre 2014 è stata pubblicata la seguente Segnalazione Novità Normative, intitolata I LIBRETTI DI IMPIANTO ED I CONTROLLI DI EFFICIENZA ENERGETICA Se ne riporta l'introduzione, con rimando allo studio per intero pubblicato sul citato notiziario. "Con Decreto Ministero Sviluppo Economico 20 giugno 2014, pubblicato nella G.U. n. 153 del 4 luglio 2014, è stato prorogato al 15 ottobre 2014 il termine per adeguare i modelli di libretto ed i rapporti di efficienza energetica degli impianti termici e di climatizzazione (il termine era stato inizialmente fissato al 1 giugno 2014) L’intera disciplina in tema di controllo dell’efficienza energetica degli impianti e in tema di libretti degli impianti ha grande rilevanza anche per l’attività notarile, in quanto il rispetto delle prescrizioni discendenti da detta disciplina incide sulla validità degli 9 attestati di certificazione e/o di prestazione energetica da allegare agli atti traslativi a titolo oneroso. La validità massima dell'attestato di certificazione e/o prestazione energetica di un edificio, fissata dalla legge in 10 anni, è, infatti, subordinata al rispetto delle prescrizioni per le operazioni di controllo di efficienza energetica dei sistemi tecnici dell’edificio, in particolare per gli impianti termici, comprese le eventuali necessità di adeguamento, previste dalle normative vigenti. Nel caso di mancato rispetto delle predette disposizioni, l'attestato energetico decade il 31 dicembre dell'anno successivo a quello in cui è prevista la prima scadenza non rispettata per le predette operazioni di controllo di efficienza energetica; al fine di consentire il controllo, circa la sussistenza di detta condizione, cui è subordinata la validità dell’attestato di prestazione energetica, la normativa vigente prescrive che i libretti di impianto debbano essere allegati, in originale o in copia, all'attestato di certificazione prestazione energetica (così dispone l’art. 6 del D.M. 26 giugno 2009di approvazione delle Linee guida Nazionali, per quanto riguarda l’attestato di certificazione energetica e l’art. 6, c. 5, d.lgs. 192/2005, nel testo in vigore dal 6 giugno 2013, per quanto riguarda l’attestato di prestazione energetica). Appare, pertanto, opportuno, in vista della scadenza del 15 ottobre prossimo, fare il punto della disciplina in tema di controllo dell’efficienza energetica degli impianti e in tema di libretto di impianto, disciplina dettata, oltre che dai decreti ministeriali sopra citati, dal D.P.R. 16 aprile 2013 n. 74, pubblicato in G.U. n. 149 del 27 giugno 2013. Al riguardo necessitano due precisazioni: i) in primo luogo va confermata l’opinione che il Notaio non sia tenuto a fare alcun accertamento sulla sussistenza delle condizioni alle quali è subordinata la validità di un attestato energetico, dovendo, invece, limitarsi a controllare la data di rilascio ed il rispetto del termine decennale di validità. Tale accertamento, infatti, richiede competenze e conoscenze tecniche (circa la tipologia di controlli sull’efficienza energetica da effettuare con riguardo ai diversi impianti e circa le relative scadenze) che il Notaio non possiede. Spetterà al proprietario (alienante o locatore) dichiarare e garantire in atto che non si è verificata nessuna delle condizioni incidenti sulla validità dell’attestato energetico prodotto, in relazione a quanto prescritto dall’art. 6, c. 5, d.lgs. 192/2005. Sul piano operativo si consiglia di inserire in atto apposita dichiarazione in tal senso dell’alienante e/o del locatore (una sorta di “dichiarazione di vigenza” simile a quella prevista dalla legge per il caso di allegazione del certificato di destinazione urbanistica) (1) ii) in secondo luogo va precisato che l’art. 10 del suddetto D.P.R. 16 aprile 2013 n. 74 limita l’applicazione delle disposizioni in esso contenute ai territori per i quali le Regioni o le Province autonome non abbiano ancora adottato propri provvedimenti in materia di certificazione energetica, in conformità alle direttive comunitarie. La stessa norma, peraltro, stabilisce che al fine di garantire un'applicazione omogenea sull'intero territorio nazionale dei principi fondamentali in materia di efficienza energetica, Regioni e Province autonome debbono assicurare la coerenza dei loro provvedimenti con i contenuti del decreto in questione." --------Sempre su CNN Notizie del 13 ottobre scorso è stata data la seguente risposta al Quesito di Impresa n. 560-2014/I, in tema di APPORTI IN NATURA E PERIZIA DI STIMA. Si riporta per intero. "Si prospetta il seguente quesito: Tizio intende costituire una s.r.l. unipersonale con 10 mila euro di capitale, che viene integralmente sottoscritto e versato in denaro all'atto costitutivo; intende inoltre apportare, con il medesimo atto,nella stessa s.r.l., un immobile 10 commerciale (di valore indicativo di 150 mila euro) che dovrà confluire integralmente in una riserva libera del patrimonio netto. Si chiede se tale apporto immobiliare possa avvenire senza perizia di stima richiesta ex 2465 c.c., precisando che non vi è interesse né ora né in futuro ad un aumento gratuito di capitale a mezzo imputazione di detta riserva a capitale Si chiede se sia possibile apportare a patrimonio un bene immobile, il cui valore confluisce in una riserva del patrimonio netto senza perizia di stima ex 2465 c.c. (precisando che non vi è interesse né ora né in futuro ad un aumento gratuito di capitale a mezzo imputazione di detta riserva a capitale). *** La possibilità di effettuare apporti consistenti in beni in natura “fuori capitale” non sembra in discussione. Si tratta di apporti – invero, sottolinea la dottrina, solitamente di denaro, ma nulla esclude che possano consistere anche in crediti o in beni in natura – che i soci (tutti o alcuni) spontaneamente effettuano al patrimonio della società senza una formale imputazione a capitale e al fine di consentire alla società di svolgere la propria attività d’impresa (TOMBARI,“Apporti spontanei” e “prestiti” dei soci nelle società di capitali, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorumGian Franco Campobasso, cur. Abbadessa – Portale, 1, Torino, 2007, 554). In tale modo, la società viene dotata di nuovi “mezzi propri” che, tuttavia, non vengono computati a capitale (ABBADESSA, Il problema dei prestiti dei soci nelle società di capitali, in Giur. comm., 1988, I, 506): all’apporto – che pure al pari del conferimento si caratterizza per la finalità di mettere durevolmente a disposizione della società comunque i mezzi economici necessari per lo svolgimento della stessa – non corrisponde, quindi, l’acquisto di una quota di partecipazione al capitale sociale o l’implementazione di quella già detenuta (RUBINO DE RITIS, Gli apporti “spontanei” in società di capitali, Torino, 2001, 5 s.). Solitamente, tuttavia, tali apporti si configurano come prodromici ad un aumento del capitale e vengono pertanto configurati come versamenti in conto aumento capitale o in conto futuro aumento di capitale (a seconda che l’aumento sia già stato deliberato o meno); ma tale destinazione non sembra invero l’unica possibile. Muovendo proprio dalla “normale” qualificazione di tali apporti (come versamenti in conto aumento capitale o in conto futuro aumento), va rilevato come la destinazione dell’apporto possa esser diversamente configurata. Nel caso dei versamenti in conto aumento o futuro aumento, si tratta di veri e propri “conferimenti” sottoposti alla condizione risolutiva, rispettivamente, della mancata esecuzione o della mancata delibera di aumento, al verificarsi della quale scatta l’obbligo restitutorio per la società (TRIMARCHI, Le modificazioni del capitale nominale senza modificazione del patrimonio netto, in Studi e materiali, 2011, 907 ss., spec. 955 ss., osserva che «si tratta, allora, di fondi di cui la società è depositaria, il cui mancato utilizzo allo scopo preordinato non può che comportare la restituzione»; nello stesso senso, BUSI, S.p.a. – s.r.l., operazioni sul capitale, Milano, 2004, 69; App. Milano 31 gennaio 2003, in Giur. comm., 2003, II, 612 ss.). Ma così come è possibile imprimere una destinazione all’imputazione a capitale dell’apporto, appare possibile anche escludere tale destinazione, sì da rendere evidente sin da subito che questo andrà a costituire una riserva non utilizzabile ai fini di un aumento gratuito del capitale e, quindi, “targata” in senso negativo rispetto ad una possibile imputazione a capitale, così escludendosi che questa costituisca una “anticipazione” di un’eventuale sottoscrizione. Tali apporti, dunque, si connotano per la mancanza di un obbligo restitutorio in capo alla società e sono privi di un particolare vincolo di destinazione, distinguendosi così: 11 - tanto dai versamenti in conto aumento o futuro aumento – perché manca sia la destinazione all’imputazione a capitale, sia in subordine l’obbligo restitutorio; - quanto dai finanziamenti ex art. 2467 c.c., perché appunto non è prevista la restituzione. Una volta eseguito l’apporto, che pare configurarsi come un negozio gratuito non donativo atipico, questo andrà a costituire una riserva che potrà esser utilizzata liberamente dalla società, con il limite dell’imputazione a capitale. Nella fase in cui l’apporto viene eseguito, non si è di fronte ad un conferimento, e di conseguenza non apparirebbero necessarie le cautele previste dall’art. 2465 c.c.: la particolare destinazione esclude il rischio del possibile aggiramento della disciplina della valutazione e stima dei conferimenti, rischio che attenta dottrina ha posto in rilievo con riferimento a tali operazioni (TRIMARCHI, L’aumento del capitale sociale, Milano, 2007, 76). Tuttavia, si pone in concreto la necessità di una corretta appostazione in bilancio del bene apportato, che, normalmente, sarà iscritto al valore di costo. Ma poiché qui l’acquisto avviene gratuitamente, verosimilmente gli amministratori dovranno ricorrere ad una stima per determinare l’importo. Peraltro, potrebbe darsi il caso che, successivamente, la destinazione della riserva venga mutata: in tal caso, laddove il bene che costituisce la riserva sia utilizzato per un aumento gratuito si renderebbe comunque necessaria la relazione giurata dell’esperto di cui all’art. 2465 c.c. Si deve, infatti, considerare che la giurisprudenza ha sancito la nullità degli accordi tra soci e società, volti ad eseguire un conferimento in natura mascherato con lo scopo di evitare l’applicazione delle garanzie previste dal legislatore per l’imputazione a capitale dei beni diversi dal denaro, e che, inoltre, la violazione delle predette norme determina la nullità tanto del negozio di scambio, quanto dell’aumento di capitale ad esso collegato (in tal senso, App. Milano, 15 dicembre 2000; in dottrina, PORTALE, I conferimenti in natura “atipici” nelle s.p.a., Torino, 2004, 9; MANZO, L’aumento di capitale mediante compensazione tra il debito da conferimento ed il credito vantato dal socio nella s.r.l., in Not., 2013, 470). Si deve, comunque, dare atto che nello specifico caso in esame, poiché si prevede espressamente il divieto di impiegare il bene per un futuro aumento di capitale, l’eventualità di un utilizzo in tal senso sarebbe altresì subordinata al consenso del socio che ha eseguito l’apporto." --------Su CNN Notizie del 15 ottobre scorso è stato pubblicato lo studio LA DISCIPLINA DELL’ATTIVITÀ EDILIZIA. Novità normative 2014 (D.L. 133/2014 - cd. “Sblocca Italia”), a cura del collega Giovanni Rizzi. Se ne pubblica il sommario. Sommario: 1. Premessa; 2. L’attività edilizia libera previa comunicazione inizio lavori (art. 6, co. 2, T.U. D.P.R. 380/2001); 3. La manutenzione straordinaria, la ristrutturazione edilizia e gli interventi di frazionamento e di accorpa-mento delle unità immobiliari; 4. Interventi di conservazione; 5. Modifiche alla disciplina del permesso di costruire; 6. La segnalazione certificata di inizio attività; 7. Il mutamento di destinazione d’uso; 8. La dichiarazione “alternativa” di conformità ed agibilità; 9. Il permesso di costruire convenzionato; 10. Modifiche alla legge 17 agosto 1942 n. 1150. --------Su CNN Notizie del 16 ottobre scorso è stato pubblicato lo Studio Tributario n. 5402014/T, dal titolo NEGOZIAZIONE DEI DIRITTI EDIFICATORI E RELATIVA 12 RILEVANZA FISCALE, ANCHE ALLA LUCE DELL'ART. 2643 N. 2-BIS) C.C., curato dal collega Adriano Pischetola. Se ne riportano l'abstract e il sommario. "Lo studio in sintesi (Abstract): Lo studio si propone (dopo la 'tipizzazione' della fattispecie negoziali in materia di diritti edificatori delineate dalla novella recata dal comma 3 art. 5 del D.L. 13 maggio 2011 n. 70 convertito in legge 12 luglio 2011 n. 106, che ha introdotto nell'art. 2643 c.c. il n.ro 2-bis) di riflettere sui relativi profili fiscali, senza condizionamenti rispetto alle pregresse linee di pensiero già elaborate con riferimento alla 'cessione di cubatura' e soprattutto prendendo atto della varietà morfologica dei nuovi strumenti di pianificazione del territorio quali la perequazione, la compensazione e gli incentivi premiali di capacità edificatoria e delle correlative inferenze sul versante fiscale. Peraltro, proprio l'indagine sulla natura giuridica della fattispecie già nota come 'cessione di cubatura' - in qualche modo da considerare quale 'prodromo' della categoria generale dei negozi di diritti edificatori - mette subito in evidenza la ricaduta che sul piano fiscale hanno avuto ed hanno tuttora le diverse congetture elaborate da parte della Giurisprudenza di legittimità e dall'Amministrazione Finanziaria da un lato (che si è espressa in relazione alla cubatura in termini di 'diritto strutturalmente assimilabile alla categoria dei diritti reali immobiliari di godimento’) e altra parte della medesima Giurisprudenza (sostenuta anche da quella amministrativa) che hanno al contrario individuato in essa efficacia e colorazione solo obbligatorie, esaltando il ruolo conclusivo e determinante del provvedimento abilitativo edilizio emesso dalla pubblica autorità, il solo che attribuisca consistenza alle situazioni giuridiche generate dall'attività negoziale delle parti del contratto. Anche in materia di negoziazione di diritti edificatori, in qualche modo 'tipizzati' dalla norma di cui all'art. 2643 n. 2-bis c.c. (introdotto dal d.l. n. 70/2011), l'indagine sulla loro natura giuridica è pregiudiziale rispetto a qualsiasi individuazione del relativo regime fiscale; e segnatamente sul punto le opinioni espresse in dottrina (dalla natura di diritti reali tipici o atipici, a quella di 'beni immateriali di origine immobiliare', all'altra di meri interessi legittimi 'pretensivi' o di mera 'chance edificatoria', ecc.) così come dalla Giurisprudenza amministrativa, pur dopo l’emanazione del d.l. n. 70/2011, sono tra esse alquanto differenziate con evidenti diverse ripercussioni sul consequenziale regime fiscale, rilevandosi comunque che la mera collocazione del nuovo n. 2-bis nell’alveo dell’art. 2643 c.c. (sia pure dettato in materia di trascrizione) non pare costituire di per sé comprova e fondamento ineluttabili della realità di tali diritti, in quanto già l’ordinamento conosce ipotesi di trascrizione di contratti sicuramente con efficacia obbligatoria o dubbiosamente reale. Da quanto sopra detto si capisce bene che le inferenze sul piano fiscale - sia per quanto attiene alle imposte indirette che a quelle dirette - appaiono condizionate dalla linea di pensiero cui si reputa di poter accedere. Al riguardo è essenziale riflettere sulla circostanza per cui, con riferimento alle nuove politiche di pianificazione del territorio, la realità delle disparate situazioni giuridiche da esse ingenerate potrebbe non costituirne più un tratto identitario e costitutivo (per l'assoluta distanza che si può interporre tra il fondo 'originante’ il diritto edificatorio e quello 'accipiente' destinato ad accoglierlo ma anche, in generale, per la probabile assenza di quella ‘immediatezza’ che è tipica dei diritti reali, dovendosi al contrario tenere in debita considerazione tutto il procedimento amministrativo finalizzato a dare concreta esplicazione a quel diritto); sicché anche l'interprete sul piano fiscale deve trarne coerenti e convergenti conclusioni, che possono essere anche diverse rispetto a quelle cui in tempi addietro si era pervenuti con riguardo alla 'cessione di cubatura'. *** 13 Sommario: 1. Premessa; 2. In materia di ‘cessione di cubatura’; 3. Segnatamente in materia di 'diritti edificatori'; 3.1 La 'vexata quaestio' della natura giuridica dei diritti edificatori; 4. Le inferenze sul piano fiscale; 4.1 Nelle imposte indirette; 4.2. Nelle imposte dirette; 5. Conclusioni." --------Su CNN Notizie del 17 ottobre scorso è stata data la seguente risposta al Quesito Civilistico n. 1042-2013/C, dal titolo SULLA POSSIBILITÀ DI OTTENERE, CON PATTUIZIONI MODIFICATIVE DEL CONTRATTO PRELIMINARE, UNA PROROGA DELL’EFFETTO PRENOTATIVO OLTRE IL TERMINE DEI TRE ANNI PREVISTO DALL’ART. 2645-BIS COD. CIV. Si riporta per intero. "Prospettata la seguente fattispecie: - In data 6 ottobre 2006 è stato trascritto un contratto preliminare; - In data 5 marzo 2009 le parti si recano dal Notaio onde stipulare un atto di modifica – integrazione del contratto preliminare – adducendo che intendono addivenire alla stipula del definitivo all’esito dell’iter amministrativo per l’approvazione del piano attuativo per la riqualificazione dell’area dismessa oggetto del contratto preliminare; - Con il predetto atto di modifica – integrazione, le parti intendono, pertanto, integrare gli accordi economici e giuridici previsti nel preliminare, rinnovare gli effetti della durata della trascrizione; - La promittente venditrice, nella stessa data dell’atto di modifica – integrazione del preliminare, ha rilasciato consenso all’iscrizione ipotecaria su tutti gli immobili oggetto dell’originario preliminare e del presente atto; si chiede se, con un atto di modifica – integrazione del contratto preliminare si possa ottenere, oltre il termine dei tre anni previsto dall’art. 2645-bis cod. civ, una sorta di proroga dell’effetto prenotativo della trascrizione del preliminare e, pertanto, avere un titolo prevalente rispetto alle formalità pregiudizievoli di cui sopra. *** La trascrizione del contratto preliminare (1) travolge tutte le trascrizioni o iscrizioni successive a carico del promittente alienante, purché il preliminare sfoci nel definitivo, determinandosi per tale via una retrodatazione di opponibilità dell’effetto reale scaturente dal definitivo, a far data dalla trascrizione del preliminare (2). In particolare il comma 2 dell’art. 2645-bis cod. civ. stabilisce che “la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione dei contratti preliminari di cui al comma 1, ovvero della sentenza che accoglie la domanda diretta ad ottenere l’esecuzione in forma specifica dei contratti preliminari predetti, prevale sulle trascrizioni ed iscrizioni eseguite contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare”, così attribuendo efficacia prenotativa alla trascrizione del preliminare (ovvero, secondo altra ricostruzione, sancendo l’opponibilità di quest’ultima). Il successivo comma 3 stabilisce che “Gli effetti della trascrizione del contratto preliminare cessano e si considerano come mai prodotti se entro un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del contratto definitivo, e in ogni caso entro tre anni dalla trascrizione predetta, non sia eseguita la trascrizione del contratto definitivo o di altro atto che costituisca comunque esecuzione del contratto definitivo o della domanda giudiziale di cui all’art. 2652, primo comma, numero 2)”(art. 2654-bis, comma 3 c.c.). Sotto il profilo funzionale, pertanto, la trascrizione del preliminare produce un principale effetto cosiddetto prenotativo, in virtù del quale l'acquirente, una volta trascritto il contratto definitivo ovvero la sentenza resa ai sensi dell'art. 2932 c.c., edosservate le 14 condizioni previste dal comma 3 del citato art. 2645-bis c.c., prevale rispetto ai terzi che abbiano eseguito trascrizioni o iscrizioni contro il promittente alienante dopo la trascrizione del contratto preliminare, facendo così retroagire gli effetti della trascrizione del definitivo o della sentenza resa ex art. 2932 c.c., alla data della trascrizione del preliminare. Al fine di impedire abusi a danno di terzi, l'efficacia prenotativa connessa alla trascrizione del preliminare richiede che via sia corrispondenza tra il titolo posto a base della formalità di prenotazione e quello posto a base della formalità prenotata. Nondimeno, può verificarsi che nella fase di passaggio dal preliminare al definitivo si verifichino variazioni sul piano oggettivo o soggettivo, le quali devono necessariamente saldarsi con il contratto originario onde perpetuarne gli effetti. L’orientamento dottrinale maggioritario predica la necessità di assoggettare i mutamenti di cui si discorre alla pubblicità immobiliare con apposita trascrizione (3). La riconosciuta efficacia prenotativa della trascrizione del preliminare può, pertanto, esplicare i suoi effetti sulla trascrizione prenotata solo se viene garantita la certezza del collegamento fra i due titoli posti a base della relativa formalità(4): occorre cioè che il nuovo contratto costituisca esecuzione del precedente già trascritto, sia sul piano oggettivo (con la identità del diritto, del bene e del rapporto giuridico), che sul piano soggettivo (con la identità delle persone del promittente-acquirente e dell'acquirente definitivo). Il comma 3 dell'art. 2645-bis fissa due distinti termini d'efficacia della trascrizione del preliminare: un anno dalla data convenuta tra le parti per la conclusione del definitivo e tre anni dalla trascrizione stessa. I termini sono tra loro indipendenti, e pertanto il raggiungimento di uno solo tra essi comporta l'irreversibile venir meno degli effetti della trascrizione. Mentre secondo parte della dottrina si tratta di termini di decadenza (5), con conseguente inapplicabilità delle cause di sospensione edi interruzione previste in materia di prescrizione, un diverso orientamento li considera come limiti obiettivi di efficacia della fattispecie, in modo non dissimile dalla perenzione ventennale dell'ipoteca ai sensi dell'art. 2847. Anche ad avviso di quest’ultimo orientamento resta in ogni caso esclusa qualunque ipotesi di interruzione o sospensione: “la cessazione degli effetti della trascrizione per decorrenza dei termini opera, così come già accade per l'ipoteca, indipendentemente da qualsivoglia formalità pubblicitaria” (6). La disposizione è chiaramente finalizzata ad evitare che gli immobili oggetto di preliminare siano sottoposti ad un limite alla loro circolazione per un termine esuberante rispetto alle comuni esigenze della contrattazione immobiliare. Dalla lettura della norma, appare chiaro in primo luogo che l'inutile decorso del termine ultimo fissato per latrascrizione del definitivo (o altro atto che tenga luogo del definitivo o della domanda di sentenza ex art. 2652 n. 2) comporta la automatica caducazione del c.d. «effetto prenotativo», senza che sia necessaria alcuna ulteriore attività pubblicitaria, e in particolare senza che sia necessario procedere ad annotare la trascrizione di cancellazione, che anzi in tale ipotesi deve ritenersi non consentita (7). Non sembra possibile, coerentemente, profittare di un nuovo termine triennale mediante una rinnovazione della trascrizione che sarebbe in astratto ipotizzabile solo laddove la data convenuta per la conclusione del definitivo sia di oltre due anni posteriore alla trascrizione del preliminare (8). Secondo la dottrina in discorso è invece possibile procedere ad una nuova trascrizione sulla base di un nuovo preliminare o di una proroga convenzionalmente pattuita, giacché si tratta di ipotesi che implicano il concorso della volontà del promittente venditore, e cioè del soggetto nel cui interesse il termine è posto. Si badi: nuova trascrizione, che prende grado dalla data della sua esecuzione, e non rinnovazione in senso proprio, che consisterebbe in un prolungamento degli effetti della precedente trascrizione (si mutua la terminologia dell'ipoteca: artt. 2847 e 2848) (9). Alla stregua del richiamato orientamento dottrinale, non pare possibile ottenere un nuovo termine triennale mediante l’atto di modifica – integrazione del 15 preliminare supra descritto; che ove trascritto darà luogo ad una nuova formalità pubblicitaria non opponibile alle trascrizioni o iscrizioni precedentemente eseguite contro il promittente alienante. Alla medesima conclusione conduce anche un diverso iter argomentativo. Secondo la giurisprudenza di legittimità le pattuizioni modificative del contratto preliminare hanno rilievo solo in ordine ai rapporti interni tra i contraenti, giammai ai fini dell’esecuzione in forma specifica (10). Alla luce dell’orientamento giurisprudenziale testé richiamato, sembra chiaro che le modifiche del contratto preliminare non possano rilevare in ordine all’efficacia prenotativa della trascrizione del preliminare. Infatti, l’effetto prenotativoconnesso alla trascrizione del preliminare riguarda solo e soltanto il rapporto tra preliminare e definitivo. Del resto, considerato che il termine finale della trascrizione è finalizzato ad evitare che il promittente venditore, tramite un preliminare di comodo, possa sottrarre a tempo indeterminato un suo immobile alla garanzia patrimoniale generica di cui all’art. 2740 c.c., è facile immaginare possibili usi distorti dello schema preliminare – definitivo laddove si consentano proroghe della trascrizione del preliminare solo e soltanto finalizzate ad avvantaggiarsi dell’effetto prenotativo. In conclusione, eventuali modificazioni del contratto stesso, sempreché siano ammissibili (11), possono essere coperte dall’efficacia prenotativa solo se effettuate nel termine triennale indicato dall’art. 2645-bis cod. civ; non sembra, invece, ammissibile che un atto di modifica del preliminare implichi una proroga dell’effetto prenotativo. __________________ 1) “Nel disciplinare la trascrizione del contratto preliminare, il legislatore ha recepito le indicazioni della dottrina (notarile, ma non solo) che si è occupata del generale problema della tutela dell’acquirente di bene immobile, intravedendo in questo mezzo un efficace strumento di potenziamento della posizione del contraente “debole”, cioè dell’acquirente”: Iannello, La trascrizione del contratto preliminare. “L’efficacia prenotativa della trascrizione del preliminare”, inNotariato, 1997, 372 ss. Cfr., in merito all’orientamento dottrinale che ha sollecitato l’espressa previsione della trascrizione del preliminare, onde conferire una più efficace tutela al promissario acquirente di un bene immobile, Santangelo, Il ruolo del Notaio nella contrattazione immobiliare, in Vita not., 1984, 39 e ss.; Mariconda, Latrascrivibilità del contratto preliminare, in Notariato, n. 4/97, p. 337 e ss.; Id, Contratto preliminare e trascrizione, in Corriere Giuridico, n. 2/97, p. 129; Piccoli, La trascrivibilità del contratto preliminare - Natura ed effetti, in Intervento al Convegno Triveneto Padova 10 maggio 1997. 2) Cfr. Piccoli, La trascrizione del contratto preliminare. Natura e effetti della trascrivibilità del preliminare. Notariato, 1997, Fasc. 04, pag. 380, “gli effetti prenotativi determinano la retroattività degli effetti della trascrizione del contratto definitivo o della sentenza che ne tiene luogo, con un meccanismo che si è da sempre sperimentato per la trascrizione delle domande giudiziali, per evitare che il tempo del giudizio vada a nocumento di colui che del giudizio ha bisogno per far valere il suo diritto. Allo stesso modo si consente di trascrivere il contratto preliminare, considerandolo come atto iniziale di un iter che andrà a concludersi con il definitivo, rendendo inefficaci nei suoi confronti tutte le trascrizioni e iscrizioni successive”. Cfr. Ex pluribus, sulla trascrizione del contratto preliminare, Mariconda, La trascrizione del contratto preliminare, relazione alla Giornata di Studio di Bari, 14 giugno 1997, in La trascrizione del contratto preliminare, a cura di A. A. Carrabba, Napoli, 1998, 17 ss.; Casu, La trascrizione del contratto preliminare, in Consiglio Nazionale del Notariato,Studi e materiali, 5.2, Milano, 1998, 559; Iannello, L’efficacia prenotativa della trascrizione del preliminare, in Notariato, 1997, 372 ss.; Cian, Latrascrivibilità del preliminare, in St. iuris, 1997, 215 ss.; Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, in St. iuris, 1997, 455 ss. 3) De Donato, La trascrizione del contratto preliminare: particolari fattispecie di interesse notarile, in Riv. not., 1998, 432; Mariconda, Fattispecie trascrivibili e aspetti transitori, in Notariato, 1997, 371; Patti, Contratto preliminare per persona da nominare, Rivista del 16 Notariato, fasc.6, 2001, pag. 134. Diversamente, per Bechini, La trascrizione del contratto preliminare, in Riv. not., 1999, 242, a prescindere dall’avvenuta o meno trascrizione della cessione del preliminare, il definitivo posto in essere nei confronti del cessionario del contratto preliminare costituisce “comunque esecuzione” di questo, per cui in ogni caso il cessionario potrà avvalersi dei benefici che discendono dalla trascrizione del preliminare; l’eventuale trascrizione (o annotazione) della cessione rileverà (forse) solo qualora si tratti di dirimere conflitti tra più cessionari del medesimo preliminare. 4) Cfr. Casu, Studio del CNN n. 1702/b, La trascrizione del contratto preliminare, approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 21 luglio 1997 il qualepuntualizza che: “Caratteristica della c.d. “prenotazione” (questo va opportunamente sottolineato) è che la pubblicità prenotativa non è fine a se stessa, ma abbisogna di essere completata da un altro segmento della pubblicità, il quale deve ubbidire a tutti i presupposti essenziali dell’effetto destinato ad essere iscritto nel pubblico registro (atto ad effetto reale, in primo luogo); scopo della prenotazione è soltanto quello di fare anticipare la data degli effetti della pubblicità ad un momento anteriore. In altre parole, la prenotazione non può reggersi mai da sola, ma abbisogna di essere supportata dal secondo momento, che si realizza in un negozio ad effetti reali, che a sua volta sia stato assoggettato alle formalità della pubblicità immobiliare. In questo modo i due momenti si saldano e la trascrizione del primo momento assolve in pieno al suo compito di rendere inopponibili tutte le trascrizioni od iscrizioni verificatesi nel periodo intermedio”. 5) Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 463. 6) Bechini, La trascrizione del contratto preliminare, cit. 7) Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 463. 8) Bechini, La trascrizione del contratto preliminare, cit, 24. 9) Bechini, La trascrizione del contratto preliminare, cit., 1999, nota 70. 10) Ex multis, cfr. Cass. n. 937 del 20 gennaio 2010, Ced (Rv. 611232), secondo cui: “In tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto ai sensi dell'art. 2932 cod. civ., posto che la sostanziale identità del bene oggetto del trasferimento costituisce elemento indispensabile di collegamento tra contratto preliminare e contratto definitivo, la sentenza che tiene luogo del contratto definitivo non concluso deve necessariamente riprodurre, nella forma del provvedimento giurisdizionale, il medesimo assetto di interessi assunto dalle parti quale contenuto del contratto preliminare, senza possibilità di introdurvi modifiche. Ne consegue che, in assenza di specificazione delle quote spettanti a più promissari acquirenti di un immobile, l'esecuzione in forma specifica del relativo contratto preliminare di compravendita comporta l'attribuzione del bene in parti uguali ed indivise, in virtù dell'applicazione, in via analogica, del principio generale espresso dal primo comma dell'art. 1101 cod. civ., mentre eventuali pattuizioni estranee al contenuto del contratto preliminare intervenute tra i promissari acquirenti circa una eventuale diversa ripartizione del bene assumono esclusivo rilievo nei loro rapporti interni, senza spiegare effetti in sede di esecuzione in forma specifica”. Cfr altresì, Cass. n. 2824 del 2003, CED Rv. 560698; Cass. 27 giugno 1987 n. 5716, Giur. it., 1989, I, 1, c. 374; Cass. 5 agosto 1987 n. 6724, CED Rv. 454942; Cass. 26 aprile 1990, n. 3486, CED Rv. 466846; Cass. 6 agosto 1990 n. 7909, in Giur. it., 1991, I, 1, 791, con nota di Ciannia; Cass. 1 marzo 1995, n. 2319, CED Rv. 490799. 11) Cfr. Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 460, il quale precisa che “è necessario che il definitivo riproduca il contenuto negoziale programmato con la stipulazione del preliminare, riproduzione che deve essere oggettivamente rilevabile dai terzi che consultino i registri immobiliari. In particolare, è necessario che coincidano gli elementi essenziali, individuati dall'art. 2665 c.c., da riportare nelle note di trascrizione dei due titoli (preliminare e definitivo) pubblicizzati (soggetti, oggetto e rapporto giuridico). Al fine della tutela dell'affidamento dei terzi, sembra doversi escludere la possibilità di apportare con il definitivo modifiche oggettive, salvo che le stesse non siano state preventivamente contemplate nel preliminare(esempio: preliminare di vendita alternativa o con facoltà alternativa). Al di fuori di questa ipotesi, si ritiene - Cian, La trascrivibilità del preliminare, cit., 44ss.; Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 460 ss. - che non possono esservi modifiche in relazione al tipo di diritto trasferito o costituito a favore del promissario, né in relazione al bene che forma oggetto di preliminare. Diversamente, le mere variazioni quantitative dell'oggetto non rompono il nesso tra preliminare e definitivo, ma consentono il dispiegarsi degli effetti prenotativi limitatamente a quanto indicato nel preliminare, Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 461. Particolari 17 problemi in ordine alla corrispondenza dell'oggetto si pongono, poi, in caso di preliminare di cosa futura disciplinato dall'art. 2645-bis comma 4 e 5 c.c.. Infine, si segnala che, in merito alle variazioni di titolo, la dottrina - Cian, La trascrivibilità del preliminare, cit., 44-45; Gabrielli, L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit., 460 - 461 ritiene che non possa esplicarsi l'efficacia prenotativa in caso di sostanziale mutamento del rapporto giuridico. Quanto alle modifiche soggettive, cfr. Casu, Studio del CNN n. 1702/b, La trascrizione del contratto preliminare, cit., precisa che “E’ indispensabile, perché il meccanismo della prenotazione della trascrizione del preliminare trovi attuazione, che tra i soggetti che hanno stipulato il preliminare e i soggetti che stipulano il definitivo esista una perfetta corrispondenza. Questo in linea di principio, perché può verificarsi che nella fase di passaggio dal preliminare al definitivo si verifichino mutamenti di soggetti. In tal caso, ferma la regola che comunque questi mutamenti debbono essere assoggettati alla pubblicità immobiliare con apposita trascrizione (non basterebbe infatti la semplice annotazione, il cui scopo è di completare le formalità iscritte, non di iscriverle ex novo), è indispensabile che i mutamenti stessi si saldino con il contratto originario, contribuendo a perpetuarne gli effetti. E’ il caso del contratto per persona da nominare, della cessione del contratto, del contratto a favore di terzi, fattispecie che vanno singolarmente trattate”. Sulle modifiche soggettive, cfr., exmultis, De Donato, La trascrizione del contratto preliminare: particolari fattispecie di interesse notarile, cit., 432; Mariconda, Fattispecie trascrivibili e aspetti transitori, cit.; Bechini, La trascrizione del contratto preliminare, cit; Patti, Contratto preliminare per persona da nominare, cit 256; Gabrielli,L’efficacia prenotativa della trascrizione del contratto preliminare, cit.; Gisolfi, Nota a Cassazione civile, 25.09.2002 n. 13923. Il preliminare per persona da nominare osservazioni in tema di contratto per persona da nominare, cessione del contratto e contratto a favore d terzo, in Riv. Notariato, 2003, 5,1241." -------Su CNN Notizie del 21 ottobre scorso è stata data la seguente risposta al Quesito Tributario n. 36-2014/T, in tema di PROCEDURA FALLIMENTARE TRATTAMENTO FISCALE VERBALE DI AGGIUDICAZIONE IMMOBILE ALL’INCANTO. Si riporta la versione definitiva. "Si chiede di sapere se possa considerarsi esente da registrazione, ai sensi dell’art. 11 ter della tabella allegata al D.P.R. 131/1986, il verbale di aggiudicazione all’incanto di immobile redatto da notaio nell’ambito della procedura fallimentare. Si ricorda che l’art. 11 ter della tabella allegata al D.P.R. 131/1986 dispone l’esenzione dall’obbligo di registrazione per verbali di gara o d’incanto, dichiarazioni di nomina di cui all’art. 583 del codice di procedura civile e relativi depositi, redatti o ricevuti dai notai delegati. La disposizione è stata introdotta dall’art. 19 comma 3 della legge 13 maggio 1999, n. 133 con decorrenza 18 maggio 1999. La previsione di esenzione da registrazione parrebbe porsi in conseguenza alle modifiche operate al codice di procedura civile. Con l’art. 3 della legge 302/1998 è stato infatti inserito nel corpus normativo del codice di procedura civile l’art. 591-bis in base al quale il notaio può essere delegato dal giudice dell’esecuzione delle operazioni di vendita di beni immobili (1). L’espressa previsione d’esenzione parrebbe essersi resa necessaria in relazione agli atti compiuti dal notaio nell’ambito della procedura esecutiva. Occorre ricordare, in proposito, che gli atti dell’autorità giudiziaria in sede civile e penale diversi da quelli espressamente contemplati nella parte prima della Tariffa, sono annoverati dall’art. 2 della tabella e, in ragione di ciò,risultano esenti dall’obbligo di registrazione. 18 Benché non pare possibile individuare posizioni univoche sul punto, è opportuno segnalare che, secondo l’orientamento dell’amministrazione finanziaria, l’ambito applicativo dell’art. 2 menzionato possa individuarsi solo per differenza rispetto all’art. 8 della tariffa parte prima, con la conseguenza che possono farsi rientrare in tale perimetro applicativo gli atti dell’autorità giudiziaria non idonei a definire anche parzialmente il giudizio (2). Devono dunque ritenersi destinatari del particolare trattamento impositivo di cui all’art. 2 della tabella tutti gli atti che non siano ricompresi nella portata della norma contenuta nell’art. 8 della tariffa, quali quelli che non incidono su diritti soggettivi delle parti in causa. In tale concetto, secondo alcuni autori, rientrano tutti i provvedimenti giudiziari che esauriscono la propria funzione sul piano meramente processuale senza incidere sulla sfera giuridica delle parti (3). Seguendo questa logica, prima dell’introduzione dell’art. 11-ter, poteva apparire dubbio se gli atti compiuti nell’ambito della procedura esecutiva dal notaio delegato ai sensi dell’art. 591-bis potessero o meno rientrare nella previsione d’esenzione da registrazione. Al riguardo occorre altresì considerare, con specifico riferimento alla natura giuridica del verbale d’incanto nel processo esecutivo, che si è di fronte ad un atto che ha natura processuale e, più precisamente, può essere qualificato come atto del processo esecutivo. Muovendo da questo presupposto taluno è giunto a ritenere che non possa al contempo escludersi la natura di atto notarile laddove il verbale sia redatto o ricevuto da notaio e che sia soggetto, in quanto tale, (anche) alla legge notarile (4). In base a queste argomentazioni si poteva ritenere che il verbale redatto dal notaio ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c.dovesse essere registrato. La ratio della previsione d’esenzione specifica di cui all’art. 11-ter potrebbe dunque ritrovarsi nella circostanza che il notaio riceve una delega a svolgere una funzione che è propria del giudice dell’esecuzione. In ragione di ciò il verbale di gara o d’incanto redatto o ricevuto nell’ambito della procedura espropriativa delegata è assoggettato allo stesso regime applicabile nell’ipotesi in cui l’esecuzione sia condotta direttamente dal giudice. Nell’ambito del fallimento le norme utilizzabili per porre in essere la “delega” al notaio per la liquidazione dei beni del fallito sono sostanzialmente due: l’art. 104-ter III co. l.f. e l’art. 107 II co. l.f. Ai sensi dell’art. 104-ter il curatore può essere autorizzato dal giudice delegato ad affidare ad altri professionisti alcune incombenze della procedura relativa alla liquidazione dell’attivo. La norma consente la disponibilità di un’ampia gamma di operazioni, quali ad esempio l’affidamento ad altri professionisti delle operazioni di vendita sul modello dell’art. 591bis c.p.c. (5). La nomina del notaio può avvenire anche in applicazione dell’art. 107 II comma l.f. La norma appena citata dispone che “il curatore può provvedere nel programma di liquidazione che le vendite dei beni mobili, immobili e mobili registrati vengano effettuate dal giudice delegato secondo le disposizioni del codice di procedura civile in quanto compatibili”; in sostanza il curatore può chiedere al giudice di procedere lui stesso alla vendita invece di lasciarla al curatore istante. La disposizione suindicata, facendo riferimento al codice di procedura civile e alle norme di questo compatibili con la legge fallimentare, consente al giudice di delegare la vendita, a lui richiesta, ad un notaio di sua fiducia ai sensi dell’art. 591-bis c.p.c.; in questo modo il notaio delegato dal giudice alla vendita dei beni del fallimento ai sensi dell’art. 107 II comma in combinato disposto con l’art. 591-bis c.p.c., e quindi invece dell’organo giudiziario espressamente richiesto dal curatore, esercita l’attività liquidativa (6). Si può osservare dunque che, nel primo caso è il curatore, seppur con l’approvazione del giudice, ad affidare le incombenze della procedura al notaio, nell’altro caso è il giudice stesso che può delegare le operazioni di vendita immobiliare ai sensi dell’art. 591-bis del codice civile. Si tratta dunque di un differente ruolo per il notaio: nell’un caso potrebbe 19 qualificarsi come “delegato” del curatore (o, secondo alcuni, ausiliario del giudice) (7), nell’altro come sostituto del giudice (8). Sebbene sia controversa la natura delle funzioni svolte dal curatore fallimentare (9), può senz’altro affermarsi che sianoposte in essere nell’ambito di una procedura coattiva equiparabile alla vendita effettuata nell'ambito della procedimento esecutivo (10), ancorché non siano riconducibili alla funzione giurisdizionale in senso stretto. Ciò posto, s’è prima evidenziato come, in base ad una certa interpretazione, l’ambito applicativo dell’art. 2 della tabella possa individuarsi solo in via residuale rispetto all’art. 8 della tariffa, parte I. Conseguentemente, dovrebberorientrare nella previsione d’esenzione, tutti gli atti dell’autorità giurisdizionale, diversi da quelli contemplati nel menzionato articolo 8, che esauriscono la propria funzione sul piano meramente processuale. Seguendo questo ragionamento, il riferimento soggettivo all’autorità giurisdizionale, contenuto nell’art. 2, non assume rilevanza determinante nell’individuazione dell’ambito applicativo della stessa disposizione, potendo farvi in essa rientrare gli atti del processo non idonei a definirlo - che, quindi, abbiano funzione endoprocessuale - anche se emanati da soggetti diversi dal giudice. In altri termini, ferma la necessità di appurare se si tratti di un atto processuale, nell’applicazione dell’esenzione da registrazione di cui all’art. 2 menzionato potrebbe prevalere la valutazione circa funzione oggettiva dell’atto stesso rispetto alla sua riferibilità soggettiva all’autorità giurisdizionale. Occorre in quest’ottica porre in luce come l’assetto cui l’art. 2 della tabella menzionata faceva riferimento sia indubbiamente mutato nel tempo. Nell’ambito della procedura esecutiva immobiliare (ma anche in sede fallimentare), il ruolo e l’attività del giudice sono stati rimodulati con la finalità di “degiurisdizionalizzare” e snellire la procedura stessa (11). La disposizione di cui all’art. 11-ter potrebbe allora considerarsi volta a confermare il medesimo principio contenuto nella disposizione generale d’esenzione da registrazione di cui all’art. 2 più volte menzionato e a sancire, ai fini della tassazione, la prevalenza della funzione endoprocessuale del verbale di gara o d’incanto, rispetto alla sua, pur riconosciuta, natura di atto pubblico notarile. Dunque, ragionevolmente argomentando dalla natura endoprocessuale dell’atto qui in esame, così come risulta dal sistema della legge fallimentare, è possibile sostenere che tanto nell’ipotesi in cui il notaio sia “delegato” dal curatore al compimento delle operazioni di liquidazione ai sensi all’art. 104-ter, che nel caso previsto dall’art. 107, in cui sia il giudice a delegare il notaio secondo le norme del codice di procedura civile, il verbale di aggiudicazione da esso redatto sia comunque esente da registrazione. Diversamente, l’interpretazione restrittiva del combinato disposto dell’art. 2 e 11-ter della tabella, in base alla quale il verbale di aggiudicazione dovrebbe considerarsi non soggetto a registrazione solo nell’ipotesi in cui le operazioni di vendita di competenza del giudice ai sensi dell’art. 107 secondo comma citato vengano delegate al notaio in forza dell’art. 591bisc.p.c., seppur plausibile, appare in minor misura sostenibile con argomenti di carattere sistematico, risultando ancorata in prevalenza al dato testuale. ________________________ 1) Si rinvia sul punto allo studio 2297 approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 12 novembre 1998, Espropriazione forzata immobiliare e compiti affidati al notaio (a proposito della legge 3 agosto 1998, n. 302), est. G. Casu- N. Raiti 2) Sul punto e per riferimenti si veda MASTROIACOVO, Imposte di registro, ipotecaria e catastale nelle procedure concorsuali, in F. Paparella (a cura di), Il diritto tributario delle procedure concorsuali e delle grandi imprese in crisi, Milano, 2013, 198-199. 3) Sul punto si veda FANTOZZI – TINELLI, Il regime tributario del processo civile, Torino, 1994, 148-149. 4) cfr. G. Casu, Verbale d’incanto nel processo esecutivo (natura giuridica), in Dizionario giuridico del Notariato, Milano, 2006, 1085 e ss. 20 5) Cfr. sul punto ESPOSITO, Il programma di liquidazione profili applicativi, in Jorio – Fabiani ( a cura di ) Il nuovo diritto fallimentare, Torino, 2007, 1721 6) Si rinvia per la disamina di tale specifica problematica a FABIANI, Funzione processuale del notaio ed espropriazione forzata, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali (a cura della Commissione Studi), n. 2/2002, 517 ss e Riv. dir. civ., 2002, II, 131 ss; ID., Delegabilità ai notai delle operazioni di vendita immobiliare con incanto in sede fallimentare, in Consiglio Nazionale del Notariato, Studi e materiali (a cura della Commissione Studi), n. 1/2004. In tema si veda Studio n. 6-2011/E, I diversi possibili ruoli nel notaio nella fase di liquidazione della nuova procedura fallimentare, est. P. D’Adamo 7) Vi è chi sostiene che il “professionista” notaio cui è affidata la vendita ai sensi dell’art. 104ter, comma 3, L.F. non sarebbe più un delegato del giudice, bensì un delegato del curatore, i cui atti sono sottoposti ad analitica verifica da parte del giudice delegato e sono opponibili, secondo una parte della dottrina, con gli stessi strumenti con i quali ci si oppone agli atti del curatore; il professionista delegato ex art. 104-ter L.F. sarebbe, quindi, portatore di un potere di rappresentanza del curatore nel compimento dei singoli atti delegati (TRENTINI, Controllo sugli atti del professionista delegato alla vendita del fallimento, nota a Cass. 11 maggio 2007 n. 10925, in Il Fallimento, 2007, 1163 ss.) in senso contrario c’è chi ritiene che il notaio delegato rimanga un ausiliario del giudice delegato in quanto il potere che legittima la nomina da parte del curatore e a cui è sottoposto l’atto di nomina stesso deriva geneticamente dal giudice delegato; in tal caso appare, però, dubbio che il notaio nominato ex art. 104-terL.F. possa essere considerato un delegato del giudice alla stregua di quanto avviene nelle esecuzioni individuali con l’art. 591bis c.p.c.(D’ADAMO, Le procedure competitive all’interno della riforma della liquidazione dell’attivo, cit., 1244) 8) La dottrina prevalente (DI NANNI, Espropriazione immobiliare: delega ai notai delle operazioni di vendita, con incanto, in Corr. giur., 1998, 1378; FABIANI, Funzione processuale del notaio ed espropriazione forzata in Riv. dir. civ., 2002, II, 145; LUISO- MICCOLI, Espropriazione forzata immobiliare e la delega ai notai degli incanti, Riv. esec. Forz., 2003, 365) ritiene che nell’esercizio della delega di cui all’art. 591 il notaio assuma il ruolo di sostituto anziché di mero ausiliario del del giudice, poiché la sua attività supera i compiti di assistenza o di collaborazione subordinata che caratterizza gli ausiliari, al pari di quanto accade nello svolgimento delle operazioni divisionali delegate dal giudice istruttore. 9) Secondo alcune teorie, ormai risalenti, al curatore doveva essere riconosciuta una funzione di rappresentanza o di sostituzione del fallito o dei creditori ovvero di entrambi. Si vedano i riferimenti in FERRARA, Curatore del fallimento, in Enc. dir., XI, Milano, 1962, 511. In base ad un’altra concezione il curatore dovrebbe qualificarsi come “incaricato giudiziario con posizione autonoma che si pone al fianco del giudice”. In tale qualità egli assumerebbe il compito di amministrare e liquidare il compendio fallimentare al fine di soddisfare i creditori in coerenza con la regola della par condicio creditorum, al punto che, in considerazione della delicatezza del mandato conferitogli, l’art. 30 della legge fallimentare gli attribuisce la qualifica di pubblico ufficiale. In questo senso FERRARA, Curatore del fallimento, cit. , 513, PROVINCIALI, Trattato di diritto fallimentare, I, Milano, 1974, 698; SATTA, Diritto fallimentare, Padova, 1974, 118; Cass. Civ. n. 11572/1992. Sulla finalità dell’attribuzione della qualifica dipubblico ufficiale in giurispr. Cass. 8704/1998; Cass. pen. 8282/1973. Più di recente c’è chi invece ha ritenuto che la qualifica di pubblico ufficiale attribuita al curatore risulti anacronistica (LO CASCIO, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano 2007, 241 contra MANDRIOLI,Poteri, funzioni e responsabilità del nuovo curatore fallimentare, in www.ilcaso.it del 18 giugno 2007) e che i profili pubblicistici del ruolo che il curatore assolve risultano stemperati dal nuovo assetto dei rapporti tra gli organi tanto da indurre alcuni a ritenere configurabile, attesa la sua più spiccata natura privatistica, il diritto al risarcimento dei danni per un’ingiusta destituzione dall’incarico (cfr. i riferimenti citati da SPIOTTA,Ilcuratore, In Jorio- Fabiani (a cura di) Il nuovo diritto fallimentare, Bologna, 2010, 190. 10) Ex multis IOZZO, La liquidazione dell’attivo, in Le nuove procedure concorsuali. Dalla riforma “organica” al decreto “correttivo”, Bologna, 2008, 279 Cfr. di recente in questo senso Tribunale di Pescara, ord. 3 Aprile 2012. 11) Si veda per quanto attiene alla procedura esecutiva immobiliare MONDINI, Delegabilità ai notai delle operazioni d’incanto nelle espropriazioni immobiliari, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1997, 268, secondo il quale degiurisdizionalizzare significa decentrare a soggetti non giuridici, che 21 possono agire con maggiore libertà di forme e quindi con maggiore tempestività il compimento di attività che, pur essendo inserite nel processo esecutivo avente indubbia natura giurisdizionale, non sono di per se stesse espressione di jus dicere riservate queste ultime al giudice in via esclusiva. Anche il contesto normativo delineato dalla riforma della legge fallimentare (attuata dal D.lgs. n. 5/2006 e dal D.lgs.n. 169 2007) è ispiratoad un’ottica di “degiurisdizionalizzazione” della procedura del fallimento. È stato infatti ridisegnato il ruolo del curatore attribuendogli una marcata funzione gestionale che peraltro è bilanciata dall’opera di vigilanza che tuttora spetta al giudice delegato e al tribunale fallimentare nonché dai nuovi poteri attribuiti al comitato dei creditori cfr. in tema MAURO, Imposizione fiscale e fallimento, Torino, 2011, 35 ed ivi ulteriori riferimenti." --------- Su CNN Notizie del 20 ottobre scorso è stato pubblicato il Quesito di Impresa n. 5622014/I, intitolato CONFERIMENTO DI INVENZIONE INDUSTRIALE IN CORSO DIBREVETTAZIONE E PUBBLICITÀ, la cui risposta qui si riporta. "Si espone la seguente fattispecie: in sede di aumento di capitale di una s.r.l. un socio, in qualità di inventore depositante e titolare di una domanda di brevetto italiano per invenzione industriale, conferisce in società una quota pari allo 0,6% dei diritti di utilizzazione sotto forma di licenza parziale dell’invenzione “alfa”, ovvero – più precisamente – i diritti di sfruttamento economico dell’invenzione, del know-how e dei brevetti che verranno successivamente ottenuti in via esclusiva e non la titolarità dell’invenzione ne’ del brevetto. Si chiede di sapere se sia possibile e con quale forma dare pubblicità presso l’ufficio italiano marchi e brevetti del conferimento sopra illustrato dal momento che oggetto di conferimento sono solo i diritti di sfruttamento economico di un’invenzione per la quale è stata presentata, ma non ancora ottenuta, la domanda di brevetto. Qualora tale pubblicità sia possibile si chiede, altresì, di sapere se il notaio che ha rogato il verbale di aumento del capitale comprensivo del conferimento sia obbligato a curarla (in che forma ed entro quale termine) oppure se tale pubblicità sia meramente facoltativa od opportuna. *** Va al riguardo rilevato come la trascrizione nei registri di proprietà industriale utilizza un sistema a base reale e concerne tutte quelle privative industriali che siano titolate (BIANCHI, Atto notarile e nuovi strumenti telematici nei registri della proprietà industriale, in Fondazione Italiana del Notariato, L’atto pubblico notarile come strumento di tutela nella società dell’informazione, Milano, 2013, 170 ss.), laddove per privative titolate debbono intendersi quei diritti di proprietà industriale garantiti da titoli di brevettazione o da titoli di registrazione. Ciò, pertanto, sembrerebbe escludere l’assoggettabilità a pubblicità di vicende circolatorie che abbiano ad oggetto invenzioni industriali che, pur essendo stata presentata la relativa domanda, non siano state ancora registrate: il che, peraltro, non contrasta neppure con il principio ricorrente del codice della proprietà industriale (D.lgs. 10 febbraio 2005, n. 30), secondo cui gli effetti della registrazione decorrono dalla domanda, perché è dalla registrazione che sono conferiti i diritti esclusivi (v., ad esempio, art. 15 commi 1 e 2 c.p.i.); e analoga previsione v’è con riguardo alla brevettazione, stabilendo l’art. 53 che gli effetti del brevetto decorrono dalla data in cui la domanda con la descrizione, le rivendicazioni e gli eventuali disegniè resa accessibile al pubblico ma che «diritti esclusivi considerati da questo codice sono conferiti con la concessione del brevetto». Il sistema della pubblicità, nel c.p.i., è essenzialmente contenuto nell’art. 138 che prevede che debbono esser rese pubbliche, mediante trascrizione presso l’Ufficio italiano brevetti e marchi, una serie di vicende relative alle privative industriali (gli atti fra vivi, a titolo 22 oneroso o gratuito, che trasferiscono, in tutto o in parte, i diritti su titoli di proprietà industriale, quelli che costituiscono, modificano o trasferiscono diritti personali o reali di godimento privilegi speciali o diritti di garanzia, gli atti di divisione, di società, di transazione, di rinuncia relativi a tali diritti, il verbale di pignoramento; le sentenze che dichiarano l'esistenza degli atti sopra indicati e quelle che pronunciano la nullità, l'annullamento, la risoluzione, la rescissione, la revocazione di un atto trascritto; i testamenti e gli atti che provano l'avvenuta successione legittima e le sentenze relative; ecc.). Tale pubblicità opera certamente in funzione di risoluzione del conflitto tra più acquirenti dal medesimo autore ma ha, secondo l’opinione più accreditata, anche funzione dichiarativa. A fronte di un sistema che evoca, sia per funzione che per ambito oggettivo di applicazione, la disciplina della pubblicità immobiliare e mobiliare, il codice della proprietà industriale non richiede tuttavia che il titolo in forza del quale la trascrizione può essere attuata abbia necessariamente le caratteristiche dell’autenticità. Il comma 3 dell’art. 138 c.p.i. prevede, infatti, che “Per ottenere la trascrizione, il richiedente deve presentare apposita nota di trascrizione, sotto forma di domanda, allegando copia autentica dell'atto pubblico ovvero l'originale o la copia autentica della scrittura privata autenticata ovvero qualsiasi altra documentazione prevista dall'articolo 196”. E il rinvio a tale ultima disposizione sostanzialmente apre l’accesso al pubblico registro anche a titoli non autentici, richiedendo per il caso di fusione una certificazione rilasciata dal Registro delle imprese e, soprattutto, per il caso di cessione o di concessione di licenza “una dichiarazione di cessione, di avvenuta cessione o di avvenuta concessione di licenza firmata dal cedente e dal cessionario con l'elencazione dei diritti oggetto della cessione o concessione”. Analoga previsione si riscontra anche nell’art. 40, comma 2 del regolamento di attuazione del codice (D.M. 13 gennaio 2010, n. 33), secondo cui, “alla domanda di trascrizione debbono essere uniti: a) copia dell’atto da cui risulta il cambiamento di titolarità o dell’atto che costituisce o modifica o estingue i diritti personali o reali di godimento o di garanzia di cui al comma 1, lettera a), ovvero copia dei verbali e sentenze di cui al comma 1, lettera b), osservate le norme della legge sul registro ove occorra, oppure un estratto dell’atto stesso oppure nel caso di fusione una certificazione rilasciata dal Registro delle imprese o da altra autorità competente, oppure, nel caso di cessione, una dichiarazione di avvenuta cessione firmata dal cedente e dal cessionario con l’elencazione dei diritti oggetto della cessione. L’Ufficio italiano brevetti e marchi può richiedere che la copia dell’atto o dell’estratto sia certificata conforme all’originale da un pubblico ufficiale o da ogni altra autorità pubblica competente”. Va altresì rilevato come, nella disciplina della pubblicità della proprietà industriale manchi una norma analoga all’art. 2671 c.c. (né questo è in alcun modo richiamato) che obbliga il notaio che abbia ricevuto il relativo atto ad effettuarne la trascrizione. In conclusione, in base all’attuale disciplina del c.p.i., il notaio non ha un obbligo di provvedere alla trascrizione; trascrizione che, nel caso di specie, potrà avvenire solo dopo che sarà stato concesso il brevetto per l’invenzione industriale conferenda." --------Su CNN Notizie del 12 ottobre scorso è stato pubblicato lo studio DECRETO LEGGE 47/2014 E MODIFICHE ALLA DISCIPLINA DEGLI IMMOBILI DA COSTRUIRE, a cura del collega Giovanni Rizzi. Si pubblica per intero. 23 "Sommario: 1. La nullità della clausola di rinuncia; 2. La fideiussione; 3. La assicurazione indennitaria decennale; 4. Il contenuto del contratto preliminare; 5. Le altre modifiche contenute nel D.L. 28 marzo 2014 n. 47. 1. La nullità della clausola di rinuncia Il Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, di attuazione alla legge 2 agosto 2004 n. 210 recante delega al governo per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, ha introdotto nel nostro ordinamento un "pacchetto" articolato di tutele a favore dell'acquirente di immobile da costruire. Tale pacchetto comprende: i) l'obbligo posto a carico del costruttore di consegnare all'acquirente una fideiussione a garanzia di tutte le somme o comunque dei corrispettivi incassati dal costruttore stesso sino al trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento (artt. 2 e 3); ii) l'obbligo posto a carico del costruttore di consegnare all'acquirente una polizza assicurativa indennitaria di durata decennale a garanzia dell'obbligo posto a carico dello stesso di risarcire gli eventuali danni materiali e diretti dell'immobile derivanti da rovina totale o parziale o da gravi difetti costruttivi (art. 4) iii) l'obbligo di conformare il contratto preliminare, nonché qualsiasi altro contratto comunque diretto al successivo trasferimento della proprietà o di diverso diritto reale di godimento, ad un contenuto "minimo" fissato dal legislatore (con previsione di specifiche allegazioni) (art. 6) iv) l'ampliamento dei soggetti legittimati a richiedere la suddivisione del mutuo fondiario in quote ed il corrispondente frazionamento della garanzia ipotecaria e la previsione, nel caso di inerzia della Banca, di un procedimento sostitutivo con l'intervento del Notaio (art. 7) v) l'impedimento posto a carico del Notaio di procedere alla stipula di atti di compravendita, se prima o contestualmente alla stipula, non si sia proceduto alla suddivisione del finanziamento in quote o al perfezionamento di un titolo per la cancellazione o frazionamento dell'ipoteca o del pignoramento (art. 8) vi) il diritto di prelazione a favore dell'acquirente, privato dell'immobile dallo stesso già adibito ad abitazione principale per sé o per parente di primo grado, nel caso di vendita all'incanto dell'immobile stesso nell'ambito di procedura esecutiva(art. 9) vii) l'esclusione dalla revocatoria fallimentare per immobili che l'acquirente (per sé ovvero per suoi parenti ed affini entro il terzo grado) si sia impegnato ad abitare, se trasferiti a "giusto prezzo" (art. 10) viii) la possibilità per l'acquirente di escutere la garanzia fideiussoria prima che il curatore comunichi la scelta tra l'esecuzione o lo scioglimento del contratto (art. 11). Scopo della normativa in commento, è quello di tutelare il “contraente debole”, rimediando alle inevitabili“asimmetrie contrattuali” che si registrano quando diversi sono i “rapporti di forza” tra le parti contrattuali, asimmetrie per compensare le quali, pertanto, il legislatore è intervenuto imponendo l'osservanza di determinate regole di comportamento che possano garantire un “riequilibrio” tra le contrapposte posizioni e quindi rapporti più equi tra le parti. La disciplina di tutela, peraltro, non si applica ad ogni atto negoziale avente per oggetto un fabbricato da costruire o in corso di costruzione, ma solo se ricorrono tutti i presupposti (soggettivi, oggettivi e contrattuali) di applicazione della normativa in commento così come previsti dal Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, presupposti, peraltro, non sempre delineati con precisione. (1) I presupposti di applicabilità della nuova disciplina di tutela, così come definiti dall'art. 1 del decreto in commento sono i seguenti: 24 a) Presupposto soggettivo: riguarda le parti del contratto; è richiesto che a vendere o a promettere di vendere sia uncostruttore che agisce nell’esercizio di impresa e che ad acquistare o a promettere di acquistare sia una persona fisica. b) Presupposto oggettivo: deve trattarsi di “immobili da costruire” ossia di immobili per i quali, da un lato, “sia già stato richiesto il permesso di costruire” ma che dall’altro ”siano ancora da edificare o per i quali la costruzione non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità”. Per quanto riguarda la tipologia di fabbricato la disposizione di cui all'art. 1 non fa distinzioni di sorta: la nuova disciplina di tutela si applica, pertanto, a prescindere dalla destinazione d'uso del fabbricato da costruire che potrà indifferentemente essere residenziale, commerciale, produttiva, direzionale, ecc., con la eccezione delle fattispecie contemplate dall'art. 9 (relativa al diritto di prelazione) e dall'art. 10 (relativa alla esenzione della revocatoria fallimentare) che fanno espresso riferimento ad immobili che l'acquirente si impegni (art. 10) o abbia già adibito (art. 9) ad abitazione propria (o di parenti in primo grado, per l'art. 9, di parenti ed affini fino al terzo grado per l'art. 10), limitando pertanto il proprio ambito di applicazione ad immobili a destinazione residenziale. Esiste poi un terzo presupposto per l’applicazione della normativa in commento che potremmo definire “presupposto contrattuale”. Tale presupposto, peraltro, non è unico e valido per tutte le fattispecie disciplinate dal decreto legislativo 122/2005 e non è “ricavabile” in via generale dell’art. 1 del decreto: l’art. 1 alla lettera a) parla infatti, con riguardo all’acquirente, di “persona fisica che sia promissario acquirente o che acquisti un immobile da costruire ovvero che abbia stipulato ogni altro contratto, compreso quello di leasing, che abbia o possa avere per effetto l’acquisto o comunque il trasferimento non immediato della proprietà o della titolarità di un diritto reale di godimento su di un immobile da costruire” con ciò ricomprendendo ogni fattispecie contrattuale (preliminare, acquisto ad effetti immediati, acquisto ad effetti differiti) avente per oggetto immobili da costruire (la definizione di cui alla lettera b) dell’art. 1 relativa al costruttore venditore é del tutto speculare). Il presupposto contrattuale va quindi verificato edindividuato con riguardo alla disciplina specifica dettata per ciascuna singola fattispecie. Ad esempio, con riguardo specifico alla garanzia fideiussoria, la normativa in commento si applica solo in caso di stipula di contratti che abbiano come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di un altro diritto di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità. Così dispone l’art. 2, del decreto. In passato ci si era chiesti se le tutele discendenti dal Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122 rientrassero nella disponibilità delle parti e quindi se la parte acquirente (ossia la parte nel cui interesse erano previste dette tutele) potesse rinunciare alle stesse. La questione si poneva soprattutto per quelle forma di tutela che esigono uno specifico comportamento (spesso comportante oneri economici) da parte del venditore (consegna della fideiussione, per la tutela sub a), consegna della polizza indennitaria decennale, per la tutela sub b), conformazione del contenuto del preliminare ai requisiti di legge, per la tutela sub c), per le quali si poteva prospettare un interesse del venditore (“parte forte” del contratto”) ad essere dispensato dagli oneri imposti dalla normativa in commento. La questione non si poneva invece per tutti quei casi in cui la tutela consiste in una facoltà riconosciuta all’acquirente, a prescindere da qualsiasi comportamento “collaborativo” del venditore (si pensi alle tutele di cui sub iv, sub vi, sub vii e sub viii), casi nei quali la tutela discende direttamente dall’ordinamento, senza che vi sia alcun interesse delle parti ad escluderla, oppure nel caso del divieto di stipula posto a carico del Notaio rogante (tutela sub v), in quanto la disposizione precettiva, in questo caso, si rivolge direttamente al Notaio, senza alcuna “mediazione” consentita alle parti. 25 In dottrina, già all’indomani dell’entrata in vigore del Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, si era ritenuto di escludere la possibilità per l’acquirente di rinunciare alle tutele discendenti da detto decreto (2). Tale posizione di “chiusura” a qualsiasi possibile forma di rinuncia alle tutele dal Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122 ora è stata espressamente sancita anche dal legislatore. L’art. 10-quater, co. 1, D.L. 28 marzo 2014, n. 47, convertito con legge 23 maggio 2014, n. 80, infatti, introduce all’art. 5 del Decreto legislativo 20 giugno 2005 n. 122, dopo il comma 1, un nuovo comma 1-bis che così dispone: “L’acquirente non può rinunciare alle tutele previste dal presente decreto; ogni clausola contraria è nulla e deve intendersi come non apposta”. La nuova norma riguarda, peraltro, le sole clausole di rinuncia alla tutela, sancendone la nullità. Non incide, invece, sulla disciplina sostanziale delle tutele medesime, che rimane invariata. Quindi se una tutela non viene di fatto applicata, senza che vi sia stata una preventiva rinuncia dell’acquirente, formalizzata con apposita clausola contrattuale, il contratto sarà valido, nullo, o risolubile a seconda della disciplina dettata per la specifica tutela non applicata. In caso, invece, di clausola di rinuncia alla tutela, inserita nel corpo dell’atto, detta clausola sarà senz’altro nulla. Tuttavia la nullità della stessa non si estenderà all’intero contratto, dovendosi intendere come “non apposta” (si ha, nel caso di specie, un’applicazione del principio sancito dall’art. 1419 c.c.). Di seguito una breve sintesi della disciplina in vigore con riguardo alle tre forme di tutela che, per i motivi sopra illustrati, potrebbero maggiormente essere interessate dalla nuova norma in commento. 2. La fideiussione Verificandosi i presupposti di applicabilità della disciplina in commento, quali sopra illustrati, il “costruttore” prima o al più tardi all’atto della stipula del contratto, dovrà consegnare all’”acquirente” una fideiussione, rilasciata da una banca o da un’impresa di assicurazione o da intermediario finanziario a ciò abilitato (3), a garanzia di un importo pari alle somme e/o al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore abbia già riscosso o, secondo i termini e le modalità stabilite in detto contratto, debba ancora riscuotere dall’acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento. La garanzia pertanto dovrà “coprire”: - le somme che il costruttore abbia già riscosso o i valori (4) che il costruttore abbia già acquisito al momento della stipula del contratto - le somme che, in base al contratto, il costruttore debba riscuotere o i valori che il costruttore debba acquisire dopo la stipula del contratto ma prima che si verifichi il trasferimento della proprietà o del diverso diritto reale di godimento. La garanzia non riguarderà invece somme e valori che il costruttore è invece destinato a riscuotere e/o acquisire solo nel momento in cui si verifichi il trasferimento della proprietà dell’edificio o di altro diritto reale sullo stesso. Sono inoltre escluse: - le somme per le quali è pattuito che debbano essere erogate da un soggetto mutuante (5) - i contributi pubblici già assistiti da autonoma garanzia (6) Se è previsto l’accollo del mutuo (o di quota frazionata del mutuo) stipulato dal costruttore: - la garanzia non riguarderà quelle somme che l’acquirente si è impegnato a pagare mediante accollo del mutuo stipulato dal costruttore, accollo da perfezionare nel momento in cui verifichi il trasferimento a favore dell’acquirente della proprietà dell’edificio o di altro diritto reale sullo stesso; 26 - la garanzia invece dovrà “coprire” anche quelle somme che l’acquirente abbia pagato mediante accollo del mutuo stipulato dal costruttore, qualora detto accollo venga perfezionato in momento precedente a quello in cui è previsto il trasferimento a favore dell’acquirente della proprietà dell’edificio o di altro diritto reale sullo stesso (con assunzione da parte del “costruttore” della veste di “terzo datore di ipoteca”) L’art. 1, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, prevede espressamente che la fideiussione possa essere rilasciata “anche secondo quanto previsto dall’art. 1938 c.c.” a norma del quale la “fideiussione può essere prestata anche per un’obbligazione condizionale o futura con la previsione in quest’ultimo caso dell’importo massimo”.Scopo del richiamo operato dal decreto è quello di consentire il rilascio di polizze fideiussorie a contenuto “progressivo”, volte cioè a garantire gli importi via via effettivamente riscossi dal costruttore entro il limite massimo costituito dall’intero importo che il costruttore dovrà incassare prima del trasferimento della proprietà o del diritto reale (la garanzia, infatti, in caso di escussione riguarda il rimborso solo di quanto effettivamente versato dall’acquirente); il tutto, ovviamente, per contenere i costi della polizza medesima. Infatti appare inutile garantire, da subito, somme non ancora incassate materialmente dal costruttore, e che pertanto, in caso di “situazione di crisi” comunque non vanno rimborsate all’acquirente(7) Si ritiene, in relazione a quanto disposto dall'art. 2, primo comma, e dall'art. 3, ultimo comma, Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, che la fideiussione debba essere rilasciata con durata fissata sino al momento del trasferimento della proprietà o del diverso diritto reale di godimento, in quanto questo è il momento sino al quale, in base alla normativa in commento, l'acquirente deve essere tutelato e garantito. Nel caso venga, invece, rilasciata una fideiussione con scadenza a termine "fisso", tale termine non deve in alcun modo precedere quello indicato in contratto come momento del verificarsi dell'effetto traslativo; ad esempio in un contratto preliminare, il termine di durata della fideiussione non potrà precedere il termine fissato per la stipula del contratto definitivo. Qualora sia prevista la facoltà per le parti di prorogare il termine contrattualmente previsto per il prodursi dell'effetto traslativo, dovrà anche essere previsto che, l'esercizio di tale facoltà sia subordinato alla preventiva proroga del termine di scadenza della fideiussione, affinché tale ultimo termine vada a scadere sempre in un momento successivo o quantomeno coincidente con quello del trasferimento della proprietà. In caso di violazione della disciplina relativa all’obbligo di consegna della fideiussione, l’art. 2, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, prevede espressamente la nullità del contratto. La nullità, peraltro, può essere fatta valere solo dall’acquirente “tutelato” (cd. “nullità relativa”): il costruttore inadempiente, pertanto, non potrà “sfruttare” il suo inadempimento per chiedere la nullità di un contratto della cui stipula si è pentito. Deve ritenersi applicabile la sanzione della nullità anche nel caso in cui la garanzia fideiussoria prestata non presenti tutte le caratteristiche prescritte dalla legge; ad esempio: - nel caso di garanzia prestata solo per parte delle somme da garantire (in questa fattispecie può pertanto ricondursi anche quella del "prezzo simulato"); - nel caso di garanzia prestata da soggetto diverso da quelli indicati dalla legge - nel caso di polizza rilasciata senza la previsione della rinuncia al beneficio della preventiva escussione del debitore principale Non è previsto negli artt. 2 e 3, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, alcun adempimento di carattere formalein relazione alla garanzia fideiussoria ed in particolare non è previsto alcun obbligo di menzionare gli estremi della fideiussione nel contratto. Tale obbligo è invece previsto nel successivo art. 6 che nella rubrica reca il titolo “contenuto del contratto preliminare” ma che nel dispositivo poi estende il proprio ambito di applicazione ad “ogni altro contratto che ai sensi dell’art. 2 sia comunque 27 diretto al successivo acquisto in capo a persona fisica della proprietà o di altro diritto reale su immobile da costruire”, e quindi in pratica a tutti quei contratti ad effetti traslativi non immediati cui fanno riferimento le disposizioni degli artt. 1 e 2 ed ai quali si applica la disciplina di tutela in commento. In particolare l’art. 6, primo comma,lett. g), stabilisce che il contratto preliminare ed ogni altro contratto che sia comunque diretto al successivo acquisto in capo a persona fisica della proprietà o di altro diritto reale su immobile da costruire, devono contenere gli estremi della fideiussione di cui all’articolo 2. Tuttavia detta disposizione non prevede la sanzione della nullità per il caso di omissione di taluna delle menzioni nella stessa previste. In dottrina si discute sulla sanzione applicabile in caso di violazione delle prescrizioni dell’art. 6 (vedi in appresso); si ritiene, peraltro, di escludere la sanzione della nullità, neppure relativa, con la conseguenza che il contratto sarà e rimarrà valido qualora la garanzia fideiussoria sia stata di fatto rilasciata, a prescindere dalla circostanza che la stessa sia stata o meno menzionata in atto. Quando invece il legislatore ha chiesto la menzione degli estremi della fideiussione a pena di nullità lo ha detto espressamente: si pensi alla disciplina in tema di "multiproprietà",dettata dall'art. 72-bis, terzo comma, Decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo), che così dispone: "Delle fideiussioni deve farsi espressa menzione nel contratto di multiproprietà a pena di nullità" L’acquirente, come già ricordato, stante la disposizione dell’art. 5, co. 1-bis, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, introdotta dall’art. 10-quater, co. 1, D.L. 28 marzo 2014, n. 47, non può rinunciare preventivamente alla garanzia fideiussoria. Un’eventuale clausola di rinuncia inserita in contratto è nulla e deve intendersi come non apposta, con la conseguenza che: - la rinuncia dell’acquirente alla polizza fideiussoria non avrà alcun effetto, e della stessa non potrà avvalersi la parte venditrice - il contratto stipulato è nullo, ma non tanto per la presenza della clausola nulla di rinuncia (come già detto la nullità della clausola non si estende all’intero contratto, ex art. 1419 c.c.) ma per la mancata consegna della fideiussione; si tratterà di “nullità relativa” in quanto potrà essere fatta valere solo dall’acquirente “tutelato”. Con riguardo a questa specifica nullità un quesito si impone: se il preliminare stipulato è nullo a sensi dell’art. 2,Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, per omessa consegna della fideiussione (fattispecie alla quale va equiparata quella della fideiussione non conforme alla legge) è ugualmente possibile stipulare il contratto definitivo? ovvero la nullità del preliminare (seppur relativa) si estende anche al definitivo? Non è certo, questa, la sede per affrontare la problematica della “autonomia causale” del definitivo rispetto al preliminare. Ne è possibile dare una risposta certa ad una questione che ha diviso dottrina e giurisprudenza. È del tutto evidente che se si segue la tesi della piena autonomia strutturale e funzionale del contratto definitivo rispetto al preliminare, in base alla quale è al momento della formazione del consenso definitivo, e non a quello relativo al contratto preliminare, che bisogna fare riferimento per valutare la validità del contratto stipulato in esecuzione del preliminare, nessun impedimento sussisterebbe alla stipula del definitivo anche nel caso di preliminare nullo per omessa consegna della fideiussione, salva, peraltro, la possibilità per l’acquirente di chiedere l’annullamento del contratto definitivo così stipulato in caso di “errore di diritto” ossia nel caso in cui lo stesso riesca a dimostrare che la ragione unica o principale, che lo ha indotto a stipulare il definitivo, sia stato l'erroneo convincimento sulla validità del preliminare che lo obbligava a concludere quel contratto. Diversa è invece la prospettiva aderendo all’opposta tesi della funzione “solutoria” del definitivo, in base alla qualeil contratto definitivo altro non sarebbe che mero atto di esecuzione di una volontà che già si è formata in tutta la sua interezza in occasione della stipula del preliminare, con la conseguenza che ogni causa di invalidità o di inefficacia del preliminare si trasmetterebbe necessariamente anche al definitivo. 28 Ma anche a prescindere dall'accoglimento dell'una o dell'altra delle due tesi sopra esposte, sembra del tutto plausibilela tesi di chi, con riguardo specifico alla fattispecie in oggetto, ritiene che una volta stipulato il contratto definitivo si abbia una sorta di “sanatoria implicita” del contratto preliminare nullo per l’omessa consegna della fideiussione. È chiaro, infatti, che se la fideiussione, nel caso di stipula di un preliminare, deve garantire il promissario acquirente per le somme dallo stesso anticipate, sino al momento del trasferimento della proprietà (vedi art. 3, comma 7, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122) e se la nullità relativa costituisce, a sua volta, lo strumento a disposizione del promissario acquirente per rendere effettivo il diritto ad ottenere questa garanzia, ne discende che una volta avvenuto il trasferimento della proprietà e venuti meno “i rischi” che richiedevano l’attivazione della garanzia fideiussoria, debbano venire meno anche tutte le conseguenze negative previste per il caso in cui la garanzia non sia stata prestata. Pertanto se è stato stipulato un preliminare senza consegna della fideiussione, e come tale affetto da nullità relativa, ha un senso far valere detta nullità prima di un possibile“tracollo” del costruttore, e ciò al fine di sciogliersi dal rapporto contrattuale viziato ed ottenere o la restituzione di quanto versato o la stipula di altro preliminare accompagnato dalla consegna della fideiussione. Ma se il promissario acquirente non ha agito per chiedere la nullità del preliminare e ciò nondimeno stipula l’atto definitivo, non vi è più motivo per far valere una nullità che non ha più ragion d’essere, visto che il promissario acquirente ha comunque raggiunto l’obiettivo prefissato (ossia l’acquisto della proprietà). In pratica la stipula del definitivo, determinando l’effetto traslativo della proprietà, priverebbe un’eventuale azione di nullità della sua funzione economico/sociale (essendo venuto meno il "rischio" da tutelare) e quindi del suo fondamento giuridico e pertanto determinerebbe una sorta di “sanatoria” o “convalida” automatica del contratto preliminare “nullo” (si rammenta al riguardo che quella dell’art. 2, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122 è pur sempre una “nullità relativa” posta nell’interesse di una sola parte, e per la quale, in dottrina, non si esclude la possibilità di una “sanatoria” e/o “convalida”). In base a tutte queste considerazioni si ritiene, pertanto, possibile per il Notaio ricevere un atto definitivo di compravendita, in esecuzione di un preliminare nullo per omessa consegna della fideiussione ex art. 2, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122; senza considerare il fatto che il più delle volte sarà interesse proprio dell’acquirente stipulare al più presto l’atto definitivo, specie se lo stesso ha anticipato gran parte del corrispettivo. Un eventuale tracollo del costruttore, proprio perché manca la fideiussione, lo lascerebbe privo di qualsiasi tutela, né l’azione di nullità potrebbe, in caso di dissesto totale, fargli riavere le somme sborsate. La disposizione in commento quindi va letta nel senso che deve fornire una tutela all’acquirente e non certo nel senso di penalizzare l’acquirente, impedendogli la stipula del definitivo dopo aver rischiato tutte le somme anticipate per non aver ricevuto la polizza fideiussoria! Né tale soluzione sembra contrastare con la disposizione dell’art. 5, comma 1-bis, del decreto, che vieta la rinuncia alla tutela fideiussoria. La fattispecie da ultimo considerata (rinuncia dell’acquirente a far valere la nullità del preliminare per mancata consegna della fideiussione attraverso la stipula del definitivo), proprio perché può costituire l’”ultima spiaggia” per l’acquirente per salvare “il salvabile”, è ben diversa dalla fattispecie della rinuncia “preventiva” alla fideiussione, formalizzata con apposita clausola inserita nel contratto preliminare, della quale è ora sancita la nullità. 3. La assicurazione indennitaria decennale L’art. 4, Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, impone l'obbligo al costruttore di fornire garanzia per il risarcimento al quale fosse tenuto a seguito di danni materiali e diretti all’immobile, compresi i danni a terzi, a sensi dell’art. 1669 c.c., derivanti da rovina totale o parziale oppure da gravi difetti costruttivi delle opere, per vizio del suolo o per 29 difetto della costruzione, che si siano manifestati successivamente alla stipula del contratto definitivo di compravendita o dell'atto definitivo di assegnazione. La garanzia prescritta, consiste, in particolare, in una polizza assicurativa indennitaria a beneficio dell’acquirente con durata decennale e con effetto dalla data di ultimazione dei lavori. La polizza dovrà invece essere consegnata dal costruttoreall’atto del trasferimento della proprietà, anche se destinata ad operare a partire dalla data di ultimazione dei lavori. La garanzia, inoltre, è dovuta a prescindere da una “situazione di crisi” in cui incorra il costruttore, essendo destinataad operare all’emergere di vizi e difformità dell’edificio realizzato. I presupposti (“soggettivo” ed “oggettivo”) per l'applicazione della disposizione di cui all'art. 4 in commento, sono quelli di cui all'art. 1, Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, sopra già illustrati. Per quanto riguarda il “presupposto contrattuale” la disciplina legislativa appare confusa e mal formula, così da sollevare molti dubbi circa i presupposti di applicabilità della disposizione in commento, in ordine alla fattispecie contrattuale stipulata (8). La norma, infatti, esordisce parlando di consegna della polizza “all’atto del trasferimento della proprietà”: ciò potrebbe far ritenere che tale specifica tutela si applichi a qualsiasi contratto che abbia come effetto il trasferimento della proprietà di immobili da costruire. Alla fine peraltro la norma parla di danni manifestatisi “successivamente alla stipula del contratto definitivo di compravendita o di assegnazione”: ciò potrebbe far ritenere che tale specifica tutela si applichi solo in presenza della“sequenza preliminare/definitivo” Ma ancora l’art. 5, che richiama espressamente l’art. 4 in commento, parla di “contratti aventi per oggetto il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento”: ciò potrebbe far ritenere che tale specifica disciplina si applichi ai contratti ad effetti traslativi non immediati in genere e non solo in presenza della “sequenza preliminare/definitivo”. Pur tra i molteplici dubbi testè evidenziati, si ritiene di dover dare “prevalenza” al disposto dell’art. 5 e limitare comunque l’ambito di applicazione della norma in commento ai contratti ad effetti traslativi non immediati. In caso contrariosi verificherebbe una disparità di trattamento tra chi stipula simili contratti e chi stipula, invece, un contratto ad effetti traslativi immediati, difficilmente giustificabile: infatti in caso di immobile da costruire per il quale la richiesta di titolo edilizio sia stata fatta prima del 21 luglio 2005 la polizza dovrebbe essere consegnata solo in caso di stipula, dopo il 21 luglio, di contratto ad effetti traslativi immediati ma non anche nel caso di stipula di contratto ad effetti reali non immediati. Probabilmente il legislatore ha voluto subordinare (senza peraltro ben esplicitarlo nella norma) la consegna di questa polizza agli stessi presupposti previsti per la fideiussione di cui all’art. 2 (ove si dice espressamente che “la fideiussione deve essere consegnata in caso di contratti che abbiano come finalità il trasferimento non immediato della proprietà”). Si vogliono così tutelare coloro che acquistano un bene quando il bene ancora non esiste e che devono quindi “confidare” sulla correttezza e professionalità del venditore nell’esplicazione dell’attività edificatoria. La soluzione proposta va peraltro accolta col “beneficio di inventario” data la non felice formulazione normativa. Da quanto detto in ordine al presupposto contrattuale, discende, peraltro, un legittimo quesito: come si può conciliare il fatto che tra i presupposti vi sia la stipula di un contratto ad effetti traslativi non immediati avente per oggetto beni immobili da costruire (sempre con i benefici del “dubbio” sopra evidenziati) con la circostanza che nell'art. 4 in commento la consegna della polizza assicurativa dal costruttore all'acquirente è prevista "all'atto del trasferimento della proprietà"? In realtà l'art. 4 contempla una fattispecie "a formazione progressiva" così congegnata: - presupposto per la consegna della polizza assicurativa indennitaria è la stipula di un contratto ad effetti traslativi non immediati; 30 - il momento in cui tale polizza deve essere materialmente consegnata dal costruttore all’acquirente è quello in cui avviene il trasferimento della proprietà; - gli effetti della polizza decorreranno invece dal momento dell’ultimazione dei lavori, momento che potrebbe essere anche successivo a quello del trasferimento della proprietà. Non è prevista dall’art. 4 del decreto alcuna sanzione per il caso di mancata prestazione di questa polizza assicurativa (al contrario di quanto previsto dall'art. 2 che sanziona con la nullità “relativa” relativa la mancata consegna della fideiussione), e quindi bisogna escludere che la mancata prestazione di questa polizza indennitaria possa, in qualsiasi modo, incidere sulla validità del contratto. Resta, ovviamente, fermo, per l'acquirente il rimedio della risoluzione per inadempimento ex artt. 1453 e segg. c.c.; in caso di violazione dell'obbligo posto dall'art. 4 in commento, l'acquirente potrà certamente diffidare il venditore ad adempiere entro un congruo termine ex art. 1454 c.c., con dichiarazione che decorso, inutilmente detto termine, senza che sia stata consegnata la polizza assicurativa indennitaria, il contratto s'intenderà senz'altro risolto. E, nel caso di specie, deve ritenersi sempre verificata la condizione di cui all'art. 1455 c.c., stante la grande rilevanza, per una adeguata tutela dell'acquirente, che il Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, ha riconosciuto alla consegna di detta polizza, per cui l'inadempimento dell'obbligo della sua consegna non può in alcun modo considerarsi di "scarsa importanza" avuto riguardo all'interesse dell'acquirente. L’importanza di questo adempimento è stata ora confermata proprio dalla disposizione dell’art. 5, co. 1-bis, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, introdotta dall’art. 10quater, co. 1, D.L. 28 marzo 2014, n. 47, in base alla quale l’acquirente non può rinunciare preventivamente alla polizza indennitaria. Un’eventuale clausola di rinuncia inserita in contratto è nulla e deve intendersi come non apposta, con la conseguenza che: - la rinuncia dell’acquirente alla polizza fideiussoria non avrà alcun effetto, e della stessa non potrà avvalersi la parte venditrice - il contratto stipulato rimane peraltro valido, in quanto, da un lato, la nullità della clausola non si estende all’intero contratto, ex art. 1419 c.c., e, dall’altro, l’art. 4 del decreto non prevede alcuna sanzione per il caso di mancata prestazione della polizza indennitaria - resta, comunque, ferma la possibilità per l’acquirente di chiedere la risoluzione del contratto stipulato per inadempimento di “non scarsa importanza” ai sensi dell’art. 1453 c.c. (il venditore non potrà opporsi alla richiesta di risoluzione richiamandosi alla clausola di rinuncia inserita nel contratto che, come detto, deve ritenersi come non apposta). Da segnalare che non è previsto alcun obbligo di menzione in atto degli estremi di tale polizza assicurativa indennitaria,neppure nell’art. 6 del Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122 che invece prescrive che il contratto preliminare ed ogni altro contratto che sia comunque diretto al successivo acquisto in capo a persona fisica della proprietà o di altro diritto reale su immobile da costruire, devono contenere gli estremi della fideiussione di cui all’articolo 2. 4. Il contenuto del contratto preliminare Con il decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122 il legislatore, tra le varie forme di tutela introdotte a favore dell'acquirente di immobile da costruire, ha previsto anche l'obbligo di conformare il contratto preliminare, nonché qualsiasi altro contratto comunque diretto al successivo trasferimento della proprietà o di diverso diritto reale di godimento, ad un contenuto "minimo" La disciplina sul punto è dettata dall’art. 6 del decreto suddetto. Scopo della norma è garantire all'acquirente una corretta e completa informazione sul contenuto del contratto che è chiamato a stipulare. Verificandosi i presupposti (soggettivo ed oggettivo) di cui all'art. 1, Decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, sopra già illustrati, il contratto preliminare dovrà contenere: 31 a) le indicazioni previste all'articolo 2659, primo comma, n. 1) e all’articolo 2826, primo comma, del codice civile. b) la descrizione dell'immobile e di tutte le sue pertinenze di uso esclusivo oggetto del contratto. c) gli estremi di eventuali atti d’obbligo e convenzioni urbanistiche stipulati per l’ottenimento dei titoli abilitativi alla costruzione e l’elencazione dei vincoli previsti; d) le caratteristiche tecniche della costruzione, con particolare riferimento alla struttura portante, alle fondazioni, alle tamponature, ai solai, alla copertura, agli infissi ed agli impianti. e) i termini massimi di esecuzione della costruzione, anche eventualmente correlati alle varie fasi di lavorazione; f) l'indicazione del prezzo complessivo da corrispondersi in danaro o il valore di ogni altro eventuale corrispettivo, i termini e le modalità per il suo pagamento, la specificazione dell'importo di eventuali somme a titolo di caparra; le modalità di corresponsione del prezzo devono essere rappresentate da bonifici bancari o versamenti diretti su conti correnti bancari o postali indicati dalla parte venditrice ed alla stessa intestati o da altre forme che siano comunque in grado di assicurare la prova certa dell'avvenuto pagamento; g) gli estremi della fideiussione di cui all'articolo 2 del Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122 h) l'eventuale esistenza di ipoteche o trascrizioni pregiudizievoli di qualsiasi tipo sull'immobile con l'indicazione del relativo ammontare, del soggetto a cui favore risultano e del titolo dal quale derivano, nonché la pattuizione espressa degli obblighi del costruttore ad esse connessi e, in particolare, se tali obblighi debbano essere adempiuti prima o dopo la stipula del contratto definitivo di vendita. i) gli estremi del permesso di costruire o della sua richiesta se non ancora rilasciato, nonché di ogni altro titolo, denuncia o provvedimento abilitativo alla costruzione; l) l'eventuale indicazione dell’esistenza di imprese appaltatrici con la specificazione dei relativi dati identificativi Non precisa la disposizione dell’art. 6, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, quali siano le conseguenze della mancanza nel preliminare di taluno degli elementi sopra indicati (nullità, annullabilità, facoltà per l’acquirente di recedere, risoluzione ecc.). Sul punto le opinioni manifestate, in prima battuta, dai commentatori della nuova normativa sono state le più disparate. Queste, in proposito, le conclusioni che sono state proposte nel precedente studio del Consiglio Nazionale del Notariato (9): a) la nullità: innanzitutto di nullità si potrà parlare solo nel caso di mancanza di quelle menzioni che attengono all’individuazione dell’oggetto del contratto, mancanza tale da determinare l’indeterminatezza dell’oggetto, con conseguente nullità del contratto a sensi dell’art. 1418, secondo comma, c.c.; si deve, invece, escludere, per la violazione dell’art. 6 del decreto, la sanzione della nullità dell’atto, a sensi dell’art. 1418, primo comma, c.c.; tale norma dispone, infatti, che il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative (cd. nullità virtuale). Dottrina e giurisprudenza hanno, peraltro, ritenuto ricorrere la figura della nullità virtuale nei casi di negozi stipulati in violazione di norme che siano dirette alla tutela di un interesse pubblico e generale. Ma non sembra che, nel caso di specie, la norma dell’art. 6, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, sia diretta alla tutela di un interesse pubblico e generale. Gran parte delle menzioni richieste sono chiaramente poste a tutela di una delle parti del contratto. Tutto ciò trova esplicita conferma anche nella Relazione illustrativa al decreto ove si afferma che “allo scopo di rendere più trasparente l’operazione negoziale e consentire al promissario acquirente una completa rappresentazione, così da porsi al riparo da possibili pregiudizi conseguenti aduna 32 stesura approssimativa e lacunosa del testo contrattuale, in attuazione dell’articolo 3 lettera m) della legge delega, sono stati compiutamente disciplinati i contenuti del contratto ed i relativi allegati” Inoltre quando il legislatore, nel richiedere un requisito formale da osservare nella stipula del contratto, ha sanzionato la mancanza di tale requisito con la nullità del contratto stesso, lo ha detto espressamente (vedasi al riguardo l’art. 1351 c.c. proprio in tema di preliminare). Ed ancora, nello stesso Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, il legislatore delegato quando ha voluto sanzionare con la nullità la mancata osservanza di un obbligo posto dal decreto medesimo lo ha detto espressamente: vedasi al riguardo l’art. 2 ove la mancata consegna della fideiussione porta alla nullità (seppur relativa) del contratto (10). b) l’annullabilità: l’annullabilità del contratto potrà essere invocata solo in presenza dei presupposti di legge di cui agli artt. 1425 e segg. cod. civ. Pertanto solo se il promissario acquirente sarà in grado di dimostrare che il suo consenso sia stato dato per errore, e che tale errore, sempre che possa considerarsi “essenziale” ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1429 c.c., sia stato determinato proprio dalla mancanza di taluno degli elementi prescritti dalla norma in commento, potràchiedere l’annullamento del contratto a norma dell’art. 1427 c.c.. Pertanto la mancanza di una qualsiasi delle menzioni prescritte dall’art. 6, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, non determina di per sé l’annullabilità del contratto. c) la rinegoziazione del contratto: appare plausibile ritenere che in caso di violazione della norma in commento sorga, in prima battuta, un obbligo di rinegoziare il contenuto del contratto in modo da adeguarlo alle prescrizioni di legge.La fonte di quest'obbligo andrebbe individuata negli artt. 1374 e 1375 c.c. (11). Parte della dottrina (12) e la giurisprudenza maggioritaria (13) sono ormai orientate nel senso di attribuire all’istituto della buona fede, la funzione di strumento di intervento “creativo”: quindi non più la buona fede da considerare come mero strumento di valutazione del comportamento delle parti in sede di esecuzione del contratto, ma la buona fede da considerare come regola di comportamento delle parti contrattuali, con possibilità di costruire obblighi integrativi rispetto a quelli già fissati convenzionalmente. Il dovere, discendente dall’art. 1375 c.c., in relazione anche al disposto di cui al precedente art. 1374 c.c., secondo il quale il contratto obbliga le parti a quanto è nel medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, porterebbe quindi a ritenere sussistente l’obbligo, in capo alla parte promittente venditrice, di procedere alla “rinegoziazione” del contratto nei termini sopra descritti. È ovvio che questa non può essere l’unica conseguenza per il caso di violazione della disposizione dell’art. 6, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122. d) la risoluzione del contratto: se il rimedio della rinegoziazione non dovesse sortire effetto alcuno, e quindi dovesse fallire il rimedio destinato ad operare in “prima battuta”, il promissario acquirente, a fronte del reiterato inadempimento del costruttore, potrà ricorrere al rimedio di cui all'art. 1453 c.c. e quindi potrà richiedere: - o l'adempimento del contratto nonché il risarcimento del danno subito - ovvero la risoluzione del contratto, salvo, sempre, il diritto al risarcimento del danno, Il ricorso all'art. 1453 c.c. si fonderebbe, nel caso di specie, su un duplice inadempimento imputabile al costruttore promittente venditore: - sull’inadempimento dell’obbligo di “rinegoziazione” del contratto, che come sopra detto discende dagli artt. 1375 e 1374 c.c. - sull’inadempimento dell’obbligo posto a carico del promittente venditore di conformare il contratto a quel contenutominimo considerato dal legislatore (con l'art. 6 in commento) indispensabile per assicurare "al promissario acquirente una completa rappresentazione" (delle caratteristiche e qualità del bene in vendita, dei possibili vincoli od oneri esistenti, del contenuto delle obbligazioni reciproche, ecc.), così da porsi al riparo da possibili pregiudizi conseguenti ad una stesura approssimativa e lacunosa del testo contrattuale" 33 Esistono nel nostro ordinamento altre disposizioni che sanzionano espressamente la mancata comunicazione alla controparte di talune circostanze inerenti l’oggetto del contratto particolarmente rilevanti, prevedendo la possibilità di richiedere la risoluzione del contratto. Emblematica, sotto questo profilo, è la disposizione dell’art. 1482 c.c., la quale prevede per l’appunto la risoluzione del contratto nel caso in cui la cosa venduta risulti gravata da garanzie reali o da vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro non dichiarati dal venditore e dal compratore stesso ignorati, qualora la cosa non venga liberata nel termine fissato dal giudice. Nello stesso senso si pone anche la disposizione dell'art. 1489 c.c., la quale prevede che se la cosa venduta è gravata da oneri o da diritti reali o personali non apparenti che ne diminuiscono il libero godimento e se gli stessi non sono stati dichiarati nel contratto e sono ignorati dall'acquirente, lo stesso può chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. E non a caso tra gli elementi che l’art. 6, primo comma, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, stabilisce debbano essere contenuti nel preliminare, vi sono anche le garanzie reali ed i vincoli derivanti da pignoramento o da sequestro e comunque tutti i vincoli e gli oneri derivanti da trascrizioni pregiudizievoli di qualsiasi tipo, compresi quelli derivanti da convenzioni urbanistiche (lettere h e c). La sanzione, pertanto, per la violazione di tale “dovere di conformazione/informazione”, può essere, a buona ragione, rinvenuta, in conformità a quanto già previsto dagli artt. 1482 e 1489 c.c., nella richiesta di risoluzione del contratto ovvero nella richiesta del risarcimento del danno (e nei casi previsti dall'art. 1489 c.c. anche nella richiesta di riduzione del prezzo). La risoluzione, peraltro, sulla base del principio generale in materia, desumibile dall’art. 1455 c.c., potrebbe essere richiesta solo in presenza di un inadempimento del promittente venditore che non sia di “scarsa importanza” e quindi solo se l’elemento omesso debba considerarsi essenziale nella formazione del processo volitivo del promissario acquirente, e pertanto nel caso in cui, se conosciuto quell’elemento, il promissario acquirente non avrebbe concluso il contratto o lo avrebbe concluso a condizioni differenti. Se invece l’inadempimento sia di “scarsa importanza” il promissario acquirente potrà pur sempre richiedere il risarcimento del danno. Il promissario acquirente, come già ricordato, stante la disposizione dell’art. 5, co. 1bis, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, introdotta dall’art. 10-quater, co. 1, D.L. 28 marzo 2014, n. 47, non può rinunciarepreventivamente al diritto di vedere conformato il contratto preliminare, al contenuto prescritto dall’art. 6 del decreto.Un’eventuale clausola di rinuncia inserita in contratto è nulla e deve intendersi come non apposta, con la conseguenza che: - la rinuncia del promissario acquirente non avrà alcun effetto, e della stessa non potrà avvalersi il promittente venditore - il contratto stipulato non potrà, comunque, essere considerato nullo, per la presenza della clausola nulla di rinuncia, in quanto, come già detto, la nullità della clausola non si estende all’intero contratto, ex art. 1419 c.c. - se il contratto è stato, peraltro, stipulato in violazione del disposto dell'art. 6, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, qualora tale violazione non sia così grave da determinare la nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto ol’annullabilità del contratto per errore essenziale, ricorrendo le condizioni sopra illustrate, e qualora la violazione stessa non sia di "scarsa importanza" avuto riguardo all'interesse del promissario acquirente, quest'ultimo, qualora non intenda comunque adempiere il contratto accontentandosi del solo risarcimento dei danni subiti, potrà procedere ai sensi dell'art.1454 c.c., e quindi diffidare il promittente venditore ad adempiere, ossia a procedere alla rinegoziazione del contratto preliminare (al fine di conformarlo alle prescrizioni dell'art. 6) entro un congruo termine (non inferiore a quindici giorni), con dichiarazione che decorso, inutilmente detto termine, senza che si sia proceduto alla rinegoziazione, il contratto s'intenderà senz'altro risolto. Il promittente venditore, infatti, 34 non potrà opporsi alla domanda di risoluzione o di risarcimento del danno richiamandosi alla clausola di rinuncia inserita nel contratto che, come detto, deve ritenersi come non apposta. 5. Le altre modifiche contenute nel D.L. 28 marzo 2014 n. 47 L’art. 10-quater, D.L. 28 marzo 2014, n. 47, convertito con legge 23 maggio 2014, n. 80 non si è limitato a modificare l’art. 5 del Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, sancendo il divieto per l’acquirente alla rinuncia delle tutele previste dal decreto medesimo, ma ha modificato altre due disposizioni del Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122: i) l’art. 9 del decreto nel senso di riconoscere all’acquirente il diritto di prelazione previsto in detta norma anche nel caso di immobile che lo stesso abbia adibito a abitazione principale del proprio coniuge (in precedenza era previsto tale diritto solo se il l’acquirente avesse adibito l’immobile ad abitazione principale per sé o per un proprio parente in primo grado). Pertanto a seguito di tale modifica all’acquirente che, a seguito della “situazione di crisi” in cui sia stato coinvolto il“costruttore”, venga privato dell’immobile, qualora lo stesso venga successivamente venduto all’incanto (nell'ambito diprocedura esecutiva individuale o concorsuale) è riconosciuto il diritto di prelazione nell’acquisto dell’immobile al prezzo definitivo raggiunto nell’incanto anche in esito alle eventuali offerte ai sensi dell’articolo 584 del codice di procedura civile, a condizione che: - l’immobile sia stato materialmente consegnato all’acquirente medesimo - l’immobile sia stato, dall’acquirente, adibito ad abitazione principale per sé, o del proprio coniuge, o per un proprio parente in primo grado. Per quanto la norma faccia espressamente riferimento all’incanto non sembra dubitabile che il diritto di prelazionedalla stessa previsto sussista anche in ipotesi di vendita senza incanto (14). Ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione, l’autorità che procede alla vendita dell’immobile (previa comunicazione della predetta condizione anche nell’avviso di vendita) provvede a dare comunicazione all’acquirente, con atto notificato a mezzo ufficiale giudiziario, della definitiva determinazione del prezzo entro dieci giorni dall’adozione del relativo provvedimento (da intendersi come il verbale di aggiudicazione), con indicazione di tutte le condizioni alle quali la vendita dovrà essere conclusa (condizioni di vendita, termini e modalità di saldo del prezzo) e l’invito ad esercitare la prelazione. L’acquirente deve esercitare il diritto di prelazione, a pena di decadenza, entro il termine di dieci giorni dalla ricezione della comunicazione offrendo, con atto notificato a mezzo ufficiale giudiziario all’autorità che procede alla vendita dell’immobile, condizioni uguali a quelle comunicategli. La prelazione spetta all’acquirente anche nel caso in cui abbia escusso la fideiussione di cui all’art. 2, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122. Tuttavia qualora l’acquirente abbia acquistato l’immobile, per effetto dell’esercizio del diritto di prelazione, ad un prezzo inferiore alle somme riscosse in sede di escussione della fideiussione, la differenza deve essere restituita al fideiussore, qualora l’immobile acquistato abbia consistenza e caratteristiche tipologiche e di finitura corrispondenti a quelle previste nel contratto stipulato con il costruttore. Ove non ricorra tale condizione, l’eventuale eccedenza da restituire al fideiussore deve risultare da apposita stima. È escluso, in ogni caso, il diritto di riscatto nei confronti dell’aggiudicatario. ii) l’art. 10 del decreto nel senso di prevedere la sottrazione dalla azione revocatoria fallimentare per il trasferimento di immobili qualora l’acquirente si impegni a stabilirvi, entro i dodici mesi successivi alla data di acquisto o di ultimazione degli stessi, la residenza anche del proprio coniuge (in precedenza era prevista tale sottrazione solo se l’acquirente si fosse impegnato a stabilire la residenza propria o di suoi parenti o affini entro il terzo grado). 35 Pertanto a seguito di tale modifica non sono soggetti all’azione revocatoria prevista dall’articolo 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, e successive modificazioni gli atti a titolo oneroso che hanno come effetto il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento di immobili da costruire a condizione che: - si tratti di immobili ad uso abitativo (la fattispecie in oggetto ha, pertanto, un ambito applicativo, per quanto riguarda la tipologia degli immobili più ristretto rispetto a quello delle altre fattispecie previste dal decreto legislativo 122/2005, con la eccezione del diritto di prelazione di cui all'art. 9 pure limitato alle sole tipologie residenziali); - si tratti di immobili nei quali l’acquirente si impegni a stabilire, entro dodici mesi dall’acquisto o dall’ultimazione degli stessi, la residenza propria, o del proprio coniuge, o di suoi parenti o affini entro il terzo grado - si tratti di atti posti in essere al giusto prezzo da valutarsi alla data della stipula del preliminare. Non sono, altresì, soggetti alla azione revocatoria i pagamenti dei premi e delle commissioni relativi ai contratti di fideiussione e di assicurazione indennitaria previsti dagli articoli 3 e 4, Decreto Legislativo 20 giugno 2005, n. 122, qualora effettuati nell’esercizio dell’attività d’impresa nei termini d’uso. _____________________ 1) Vedasi al riguardo lo Studio 5813/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 23 luglio 2005: “Il Dlgs. 122 del 2005: la garanzia fideiussoria ed i presupposti di applicazione della nuova normativa” (estensore G. Rizzi) – Studi e Materiali – Giuffrè 2005 – pagg. 1033 e segg. 2) Vedasi, con riguardo specifico, all’obbligo di consegna della fideiussione, lo Studio 5813/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 23 luglio 2005: “Il Dlgs. 122 del 2005: la garanzia fideiussoria ed i presupposti di applicazione della nuova normativa” (estensore G. Rizzi) – Studi e Materiali – Giuffrè 2005 – pag. 1059 3) Sui requisiti che debbono possedere gli intermediari finanziari a seguito delle modifiche apportate al Testo Unico Bancario (Decreto legislativo 1 settembre 1993 n. 385) con l’eliminazione dell’autonomo elenco degli intermediari finanziari già previsto dall’art. 107 suddetto TUB vedasi Ufficiostudi C.N.N. Quesito di impresa n. 1000/2013/I (estensori A. Paolini, A. Ruotolo, D. Boggiali) pubblicato in CNN Notizie del 4 dicembre 2013 4) Ad esempio il valore dell’area edificabile nel caso di permuta di area edificabile con unità da costruire. 5) In tale fattispecie si è, ad esempio, fatta rientrare l’ipotesi del mutuo erogato all’acquirentemutuatario garantito da ipoteca iscritta dal venditore, terzo datore di ipoteca: avendo su tali somme il venditore già prestato garanzia ipotecaria dovrebbe, essere esentato dall’obbligo di prestare ulteriori garanzie. Tale ipotesi, peraltro, non trova il conforto della dottrina. 6) Tale previsione è stata introdotta nel testo definitivo del decreto delegato in accoglimento di un’osservazione della Commissione del Senato come riconosciuto nella Relazione illustrativa al decreto; nella stessa relazione si precisa che si è ritenuto di esonerare dall’obbligo di garanzia “le fattispecie per le quali già vi sia un’autonoma garanzia, giacché in tal caso non vi sarebbe ragione per imporre al costruttore un onere ulteriorerispetto a quello già posto in essere, come accade ad esempio per le garanzie fideiussorie dei contributi pubblici” 7) In questo senso si è espressa anche la Relazione illustrativa al decreto ove si è chiarito che “in accoglimento di un’osservazione formulata da entrambe le Commissioni parlamentari si è precisato che le parti possano convenire di utilizzare anche lo schema tipico della fideiussione per obbligazione futura previsto dall’art. 1938 c.c. con ciò consentendo che il valore della fideiussione possa essere rapportato ai versamenti effettivamente avvenuti e non stimato sull’intero valore del bene promesso in vendita, così da inserire quel concetto di progressività che è oggetto dei suggerimenti provenienti dalle citate commissioni parlamentari”. 8) Vedasi al riguardo lo Studio 5812/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 20 luglio 2005: “Il Dlgs. 122 del 2005: assicurazione indennitaria, frazionamento del mutuo, revocatoria fallimentare e le altre novità legislative” (estensore G. Rizzi) – Studi e Materiali – Giuffrè 2005 – pagg. 1009 e segg. 36 9) Trattasi dello Studio 5814/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 20 luglio 2005: “Il Dlgs. 122 del 2005: il contenuto del contratto preliminare” (estensore G. Rizzi) – Studi e Materiali – Giuffrè 2005 – pagg. 977 e segg. 10) Nel senso di ammettere la nullità solo nel caso in cui a seguito dell'omissione si verifichi l'indeterminatezza o l'indeterminabilità dell'oggetto del contratto e di escludere invece che la "mancata inserzione di una qualsiasi delle menzioni obbligatorie previste dall'art. 6 sia di per sé causa di nullità dell'intero contratto, anche quando il suo oggetto risulti determinato o determinabile secondo le regole codicistiche " in quanto altrimenti "ne discenderebbe una dilatazione del tutto irragionevole ed il più delle volte antitetica agli interessi dell'acquirente, dell'area delle nullità del contratto, con conseguente abbassamento anziché un'elevazione del livello di tutela dell'acquirente", si è espresso LUMINOSO - I contenuti necessari del contratto preliminare e degli altri contratti diretti al successivo trasferimento della proprietà di un immobile da costruire e dei relativi allegati - Atti del Convegno Paradigma - Milano 29 giugno 2005 11) In questo senso BARALIS – Considerazioni sparse sulla bozza di decreto delegato conseguente alla l. 210/2004, in Rivista del Notariato, 2005, pag. 746 12) BIANCA – La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale Riv. Dir. Civ 1983; FRANZONI Degli effetti del contrattoComm. Schlesinger Milano 1998; RODOTA’ Le fonti di integrazioni del contratto – Milano 1969 13) Cass. 10 ottobre 2003 n. 15150; Cass. 8 febbraio 1999 n. 1078. 14) Vedasi al riguardo lo Studio 5812/C approvato dalla Commissione Studi Civilistici il 20 luglio 2005: “Il Dlgs. 122 del 2005: assicurazione indennitaria, frazionamento del mutuo, revocatoria fallimentare e le altre novità legislative” (estensore G. Rizzi) – Studi e Materiali – Giuffrè 2005 – pagg. 1009 e segg. Per quanto riguarda il caso di delega delle operazioni di vendita si rinvia anche a quanto scritto in Consiglio Nazionale del Notariato, Le operazioni delegate nel processo di espropriazione forzata immobiliare, Percorso operativo, Verona, 2007, pag. 42 , pag. 115 e pag. 148." --------- Su CNN Notizie del 24 ottobre 2014 è stata pubblicata la risposta al Quesito Civilistico n. 334-2014/C, intitolato LA SORTE DELLA PROCURA DOPO LA MORTE DEL RAPPRESENTATO, che si pubblica per intero. "Si prospetta la seguente fattispecie concreta: Tizia, proprietaria di un immobile, data la sua tarda età, rilascia a favore della figlia procura a vendere il detto immobile. La detta procura non è rilasciata anche nell’interesse della mandataria. Tizia muore. Ora Caia, nonostante la procura non sia anche in rem propriam, richiede al Notaio di procedere alla vendita valendosi della detta procura. Della morte di Tizia è informato, oltre al Notaio ed al rappresentante, anche la parte acquirente. Rispetto a tale fattispecie si chiede di conoscere se sia possibile ricevere l’atto di compravendita in questione. *** Il quesito prospettato impone di stabilire quale sia la sorte della procura, conferita al di fuori della attività di impresa e nell’esclusivo interesse del rappresentato, alla morte di quest’ultimo (1). Al riguardo, bisogna innanzitutto rilevare che «la morte del rappresentato, dopo il conferimento della procura, determina l’estinzione del potere rappresentativo, in quanto non esiste più il soggetto nel cui nome e nel cui interesse l’attività dovrebbe essere esplicata (non applicandosi alla procura le norme relative alla continuazione del mandato nonostante la morte del mandante) (2) ». A tale conclusione conducono una serie di argomentazioni qui di seguito meglio esposte. 37 In primo luogo, occorre considerare che «l’esercizio del potere rappresentativo è legato alla vita del dominus e non può superare tale limite legale (tralasciando il fatto che sarebbe illogico agire in nome e per conto di un soggetto defunto), sostenere il contrario significherebbe che la procura avrebbe effetti post mortem e questo contrasterebbe con il divieto dei patti successori che tutela il principio secondo cui le conseguenze della morte sono regolate solo dalla legge o dal testamento e non da una procura con effetti post mortem. Inoltre, in caso di morte del rappresentato non è possibile imporre agli eredi di avere fiducia in un rappresentante scelto dal de cuius. Senza considerare che se la rappresentanza continuasse con gli eredi del rappresentato, il compimento dell’atto da parte del rappresentante (scelto dal de cuius), comporterebbe l’accettazione tacita dell’eredità per gli eredi del defunto (rappresentato), un’accettazione tacita che, di fatto, dipenderebbe da una procura rilasciata dal de cuius e non degli eredi (3) ». A quanto precede si aggiunga che nel caso di specie non paiono neppure sussistere i presupposti per ammettere l’ultrattività della procura dopo la morte del rappresentato, non trattandosi: 1) di un potere gestorio conferito anche nell’interesse del mandatario o di terzi (art. 1723, comma 2, c.c.); 2) di una procura avente ad oggetto il compimento di atti relativi all’esercizio di un’impresa (art. 1722, n. 4, ult. cpv., c.c.) (4). 3) di proseguire la esecuzione già iniziata dell’incarico, se vi è pericolo nel ritardo (art. 1728 c.c.) (5), il quale «va riferito al tempo della morte del mandante e non ad un tempo posteriore, in cui sia sorto un pericolo gravante sull’eredità del mandante (6) ». Ancora si consideri che, sempre nel caso di specie, non sembrano neppure ricorrere i presupposti per ritenere applicabile l’articolo 1729 c.c. (7), a tenore del quale sono validi nei confronti del mandante o dei suoi eredi gli atti che il mandatario ha compiuto prima di conoscere (8) l’estinzione del mandato (9). Infatti, il mandatario «non può beneficiare della norma quando è a conoscenza dell’estinzione o quando versa in ignoranza colpevole (10)». Quanto invece agli effetti dellaestinzione della procura rispetto ai terzi valgono le considerazioni di recente sviluppate dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale «in caso di estinzione del potere rappresentativo per morte del soggetto rappresentato, ai sensi dell’art. 1722 n. 4 c.c., gli atti compiuti dal rappresentante nell’esplicazione dell’attività gestoria, anche se posti in esseresuccessivamente, sono operativi di effetti nei confronti sia del rappresentante sia dei terzi (con i quali rappresentante costituisce i rapporti contrattuali previsti dalla procura), sempre che al momento del compimento dell’attività gestoria, i terzi abbiano senza colpa ignorato la causa di estinzione del mandato» (11). Circa la sorte del negozio concluso dal rappresentante dopo la morte del rappresentato, la giurisprudenza di merito(12) ha inoltre ritenuto che «l’esercizio del potere rappresentativo in un momento successivo alla morte del rappresentato non dà luogo alla fattispecie della falsa rappresentanza, in quanto difetta un soggetto legittimato a ratificare il negozio. Il negozio così concluso, essendo inefficace e, quindi, inidoneo a produrre il trasferimento del diritto, non legittima gli eredi al risarcimento del danno, ma a recuperare il bene oggetto del contratto, in quanto possibile. In tale fattispecie la nullità del negozio è rilevabile dal giudice anche d’ufficio» (13). Rispetto infine al comportamento professionale al quale è chiamato il notaio, incaricato di ricevere l’atto di compravendita in questione, sembra ragionevole ritenere che quest’ultimo non sia tenuto a compiere una indagine che vada oltre i limiti segnati dall’art. 1396 cod. civ., secondo cui: 1) le modificazioni e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei, perché, in mancanza, esse non sono agli stessi opponibili, se non si prova che ne erano comunque a conoscenza al momento della conclusione del contratto (primo comma); 38 2) le altre cause di estinzione del potere di rappresentanza - tra cui rientra anche la morte del rappresentato di cui all’art. 1722, n. 4, c.c. - non sono opponibili ai terzi che le hanno senza colpa ignorate (secondo comma). Si ritiene infatti che la posizione del notaio rogante sia «del tutto assimilabile a quella del terzo di cui alla norma citata, non avendo a sua disposizione per la verifica della sussistenza dei poteri del rappresentante, strumenti diversi da quelli utilizzabili dal terzo contraente, essendogli infatti preclusa la facoltà di avviare indagini particolari o diverse da quelle che, per legge, potrebbe compiere colui che contratti con un rappresentante per accertare l’avvenuta - o meno - estinzione del potere rappresentativo. Il notaio, analogamente al terzo contraente, è destinatario delle determinazioni e degli atti del procuratore sino a che, dell’avvenuto ritiro o estinzione dei poteri rappresentativi, non sia data comunicazione con adeguati mezzi di partecipazione» (14) (art. 1396, comma 1, c.c.), oppure non abbia senza colpa ignorato una delle altre cause di estinzione del potere di rappresentanza, tra cui rientra senza dubbio la morte del rappresentato (artt. 1396, comma 2, e 1722, n. 4, c.c.) (15) In conclusione, alla luce delle precedenti considerazioni, sembra ragionevole ritenere che la morte del rappresentato, dopo il conferimento della procura, abbia determinato l’estinzione del potere rappresentativo, non ricorrendo - stando a quando riferito - alcuna delle eccezioni previste dal legislatore. In aggiunta a ciò, non è poi senza rilievo la circostanza - sempre nel quesito segnalata - secondo la quale sia la mandataria, sia i terzi acquirenti sia lo stesso Notaio sono tutti a conoscenza della morte del rappresentato. Tale conoscenza porta infatti ad escludere che: - alla mandataria possa applicarsi l’art. 1729 c.c.; - ai terzi come al notaio possa applicarsi l’ultima parte del secondo comma dell’art. 1396 c.c., non trattandosi in tutta evidenza di una ipotesi di “ignoranza incolpevole”. ______________________ 1) In letteratura, M. GRAZIADEI, Mandato, in Dig. disc. priv., Torino, 1994, p. 184; L. M.A. DI CESARE, La c.d. ultrattività del mandato, in Vitanot., 1984, p. 1086; G. MIRABELLI, Dei contratti in generale, in Comm. cod. civ., Torino, 1961 (1980), p. 305; L. BIGLIAZZI GERI, Procura, in Enc. dir., vol. XXXVI, Milano, 1987, p. 1000; U. CARNEVALI, voce Mandato, in Enc. giur. Treccani, vol. XIX, p. 11; A. LUMINOSO,Mandato, commissione, spedizione, in Tratt. dir. civ. e comm., A. CICU e F. MESSINEO (diretto da), L. MENGONI (continuato da), Milano, 1984, p. 153; N. GROSSI, Le altre cause di estinzione del mandato, in Il mandato, F. ALCARO (a cura di), in Diritto privato oggi, P. CENDON (a cura di), Milano, 2000, p. 576 ss. 2) P. FAVA (a cura di), Il Contratto, Milano, 2012, p. 492. 3) P. FAVA (a cura di), Il Contratto, Milano, 2012, p. 492. «La fiducia del rappresentato nella procura del rappresentante, che sta alla base del conferimento della procura, la deve sorreggere anche per tutta la sua durata (se si tratta di procura conferita esclusivamente nell’interesse del rappresentato). Ecco perché la procura si estingue, di regola, alla morte del rappresentato: può darsi infatti che gli eredi, ormai succeduti in suo luogo, preferiscano provvedere diversamente» P. TRIMARCHI, Istituzioni di diritto privato, Milano, 2012, p. 228. «La procura, basandosi sulla fiducia personale che il procuratore ispira, cessa, di regola, anche per la morte del rappresentante o del rappresentato (chi gli succede può ,infatti, preferire di condurre l’affare direttamente e mediante altro procuratore)» A. TORRENTE e P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, Milano, 2011, p. 537. «La morte o la sopravvenuta incapacità del mandante fanno cessare la capacità di svolgere un’autonoma attività di gestione del proprio patrimonio da parte del mandante stesso. Considerando il conferimento del mandato espressione del potere di gestire, secondo criteri personali, il proprio patrimonio, sembra lecito presumere nel mandante, una volta perduta tale gestione, la volontà di porre fine anche all’incarico conferito. Inoltre (…) estinto il mandato, gli eredi, in caso di morte del mandante, e il tutore, in caso di interdizione, avranno la necessaria libertà nella scelta delle operazioni di gestione 39 patrimoniale» N. GROSSI, Le altre cause di estinzione del mandato, in Il mandato, F. ALCARO (a cura di), in Diritto privato oggi, P. CENDON (a cura di), Milano, 2000, p. 576 ss. 4) Sulle eccezioni alla regola generale di estinzione del mandato per morte del mandante, per tutti, T. DE LUCA, R.D. COGLIANDRO, M. D’AURIA, M. RONZA, Dei singoli contratti, Vol. II, Milano, 2002, p. 153. 5) U. CARNEVALI, voce Mandato, in Enc. giur. Treccani, vol. XIX, p. 11; M. GRAZIADEI, Mandato, in Dig. disc. priv., Torino, 1994, p. 184. L’applicabilità di quest’ultima disposizione in particolare «presuppone la presenza di due circostanze: che il mandatario, al verificarsi di una delle suddette cause di estinzione, abbia già iniziato l’attività e che vi sia “pericolo nel ritardo”» N. GROSSI, Le altre cause di estinzione del mandato, inIl mandato, F. ALCARO (a cura di), in Diritto privato oggi, P. CENDON (a cura di), Milano, 2000, p. 591. 6) P. RESCIGNO (a cura di), Comm. cod. civ., in Le fonti del diritto italiano, Milano, 2008, p. 3119. «La condizione di pericolo nel ritardo che, secondo l’art. 1745 cpv. c.c. 1865 (vig. art. 1728, 1° comma), autorizza il mandatario, sebbene il mandato sia rimasto estinto per la morte del mandante, a portare a termine l’affare già cominciato, deve riferirsi al tempo della morte del mandante, non ad un termo posteriore in cui sia sorto un pericolo gravante sull’eredità» Cass., 10 febbraio 1944, in Rep. Foro it., 1943-5, Mandato, 37. 7) Sulla portata della norma contenuta in tale articolo risulta possibile registrare due distinti orientamenti. Secondo un primo indirizzo, prevalente in dottrina (M. GRAZIADEI, Mandato, in Dig. disc. priv., Torino, 1994, p. 184; A. LUMINOSO, Mandato, commissione, spedizione, in Tratt. dir.civ. e comm., A. CICU e F. MESSINEO (diretto da), L. MENGONI (continuato da), Milano, 1984, p. 438; U. CARNEVALI, voce Mandato, inEnc. giur. Treccani, vol. XIX, p. 12) ed in giurisprudenza (Cass., 5 febbraio 1974, n. 305; Cass., 15 febbraio 1972, n. 415; Cass., 21 maggio 1958, n. 1703) , la regola in esame riguarda esclusivamente il rapporto interno tra mandante e mandatario, in quanto la opponibilità al terzo delle cause di estinzione del potere rappresentativo resta soggetta alla norma contenuta nell’art. 1396 c.c., con la conseguenza che il negozio gestorio può produrre effetti tra mandante e terzo di buona fede, mentre resta a carico del mandatario in mala fede nei rapporti interni. Secondo un diverso indirizzo, che pare essere minoritario specie in giurisprudenza (Cass., 25 ottobre 1975, n. 3557, in Giur. it., 1976, I, 1, p. 1130; Cass., 10 giugno 1965, n. 1176, in Foro it., 1965, I, c. 2005; in Giust. civ., I, p. 1793; in Riv. dir. comm., 1966, II, p. 235, con nota critica di FELICETTI,Osservazioni in tema di estinzione di mandato), la regola fissata dall’art. 1729 c.c. vincolerebbe non soltanto i rapporti interni ma anche il terzo contraente. Per una puntuale rassegna degli orientamenti in materia, da ultimo, C. CARNEVALE, Art. 1729, in La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, Libro IV, Delle obbligazioni, Artt. 1703-1753, C. CARNEVALE e F. GIORDANO (a cura di), C. RUPERTO(coordinato da), Milano, 2012, p. 376. 8) «La conoscenza può avere luogo in qualunque modo, indipendentemente dalla comunicazione o notificazione, e l’onere di provarla incombe su chi vi abbia interesse. Alla conoscenza va equiparata l’ignoranza incolpevole» P. RESCIGNO (a cura di), Comm. cod. civ., in Le fonti del diritto italiano, Milano, 2008, p. 3121. «La conoscenza può aver luogo in qualunque modo, indipendentemente da comunicazione o notificazione, e l’onere di provarla incombe su chi vi abbia interesse; fino al momento della conoscenza il mandato produce tutti i suoi effetti a carico del mandante e dei suoi aventi causa, ma non del mandatario in quanto non può pretendersi l’attuazione di un rapporto, che sia estinto; la norma è posta, infatti, ad esclusiva tutela degli interessi del mandatario e dei suoi aventi causa» G. Mirabelli, Dei singoli contratti, in Comm. cod. civ., Torino, 1968, p. 626-627. 9) In base a tale norma: 1) «il mandatario non subisce in via definitiva gli effetti degli atti compiuti con i terzi nell’arco di tempo compreso tra l’estinzione del mandato, e il momento in cui egli ebbe notizia della causa estintiva» M. GRAZIADEI, Mandato, in Dig. disc. priv., Torino, 1994, p. 184; 2) «in mancanza di una siffatta norma, che tutela la buona fede del mandatario, l’atto gestorio, in quanto compiuto dopo l’avvenuta estinzione del mandato, resterebbe a carico del mandatario stesso» U. CARNEVALI, voce Mandato, in Enc. giur. Treccani, vol. XIX, p. 12. 10) G. BONILINI e M. CONFORTINI, I codici ipertestuali, Codice civile commentato, G. BONILINI, M. CONFORTINI e C. GRANELLI (a cura di), A. RIZZI (con la collaborazione di), Artt. 1678-2969, Torino, 2012, p. 3883. 11) Cass., 18 febbraio 2008, n. 3959, in Giust. civ. Mass., 2008, 2, p. 244. In senso conforme, Cass., 5 febbraio 1974, n. 305. «In ordine ai rapporti tra mandato e potere di 40 rappresentanza conferito con la procura si è ritenuto (Cass., 5 febbraio 1974 n. 305) che l’estinzione del potere di rappresentanza per morte del soggetto che l’ha conferito, non è opponibile ai terzi contraenti che senza loro colpa l’abbiano ignorata, sia da parte del rappresentante che da parte degli eredi del rappresentato. I limiti di tale opponibilità sono disciplinati esclusivamente dal 2° comma dell’art. 1396 senza possibilità di alcuna interferenza delle regole riguardanti il sottostante rapporto di mandato intercorso tra rappresentato e rappresentante e la sua eventuale ultrattività (artt. 1722, n. 4, 1728 e 1729), regole queste che attengono ai solo rapporti derivanti dal contratto di mandato, anche con riferimento agli eredi del mandante, senza incidere sul potere di rappresentanza, sul conseguente rapporto tra terzi contraenti e rappresentante, pur se questi sia l’erede del rappresentato, e sull’opponibilità a tali terzi dei limiti di quel potere» C. CARNEVALE, Art. 1729, inLa giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, Libro IV, Delle obbligazioni, Artt. 1703-1753, C. CARNEVALE e F. GIORDANO(a cura di), C. RUPERTO (coordinato da), Milano, 2012, p. 376. 12) Corte Appello Roma, 13 giugno 2006,in Obbl. e contr., 2006, p. 940. Con riferimento alla inefficacia di un contrato di transazione stipulato dal rappresentante dopo la morte del rappresentato, evento che costituisce causa di estinzione della procura, Cass., 20 dicembre 2005, n. 28141. 13) C. CARNEVALE, Art. 1729, in La giurisprudenza sul codice civile coordinata con la dottrina, Libro IV, Delle obbligazioni, Artt. 1703-1753, C. CARNEVALE e F. GIORDANO (a cura di), C. RUPERTO (coordinato da), Milano, 2012, p. 315. 14) Nota di questo Ufficio Studi, n. 4920, est. M. LEO. 15) «L’art. 1396 c.c. pone a carico del rappresentato l’onere di portare a conoscenza dei terzi le modificazioni o la revoca della procura, mentre non esige alcuna forma di partecipazione delle cause estintive della procura diverse dalla revoca (art. 1722, n. 1, 3 e 4, c.c.). Tale diversità di disciplina non comporta, pertanto, una differenza di regime sul piano probatorio, giacché anche le cause estintive diverse dalla revoca non operano nei confronti dei terzi se questi le hanno ignorate senza colpa, talché incombe al rappresentato o ai sui aventi causa l’onere di provare le circostanza che escludono l’apparenza e, quindi, l’affidamento dei terzi» Cass., 6 gennaio 1979, n. 55." --------Su CNN Notizie del 27 ottobre 2014 è stato pubblicato lo Studio Civilistico n. 2632014/C, dal titolo VENDITA FORZATA E ATTESTATO DI PRESTAZIONE ENERGETICA (alla luce delle recenti modifiche al D.lgs. 192/2005 di cui al D.L. 4 giugno 2013, n. 63 convertito con L. 3 agosto 2013, n. 90 e di cui al D.L. 23 dicembre 2013, n. 145 conv. in L. 21 febbraio 2014, n. 9). Se ne pubblicano l'abstract e il sommario. "Lo studio in sintesi (Abstract): la disciplina contenuta nel D.lgs. 192 del 2005 origina dalla necessità di dare attuazione a quanto prescritto dalla normativa europea che, nel perseguimento di una maggiore efficienza energetica degli edifici sul territorio degli Stati membro, è certamente rivolta a disciplinare la sola attività negoziale/contrattuale di circolazione dei beni immobili, lasciando al diritto interno dei singoli Stati membro la regolamentazione della materia in termini di procedimenti giudiziari. Nel nostro sistema interno nazionale, la vendita coattiva per l’attuazione (forzata e giudiziale) del diritto di credito insoddisfatto è tradizionalmente regolata da una disciplina speciale: quanto al contenuto, alla forma, ai mezzi di impugnazione e alla stabilità del provvedimento giudiziale che la attua; pertanto, una disciplina destinata a regolare una vendita negoziale e a sanzionare una sola o entrambe le parti di una compravendita consensuale non può considerarsi automaticamente applicabile ad essa e, in assenza di espressi ed inequivocabili indici normativi, l’indagine interpretativa deve tenere conto della delicata e particolare materia processuale/giudiziale che coinvolge interessi pubblici il cui bilanciamento non a caso è riservato in esclusiva al legislatore nazionale. 41 Né nell’originaria formulazione dell’art. 6 del D.lgs. 192 del 2005 né nelle riformulazioni che si sono succedute fino a quella attualmente vigente (dal 22 febbraio 2014) sono, a nostro parere, rinvenibili sicuri indici della volontà del legislatore nazionale (unico legittimato a regolare la materia processuale) di attrarre ed includere nella disciplina prevista (e adeguatamente sanzionata) anche le vendite forzate attuate a mezzo di decreto di trasferimento in ambito giudiziale. La espressa estensione (da ultimo) dell’obbligo di allegazione dell’attestato di prestazione energetica agli “atti di trasferimento a titolo oneroso” ben può essere interpretata come semplicemente intesa a ricomprendere tutta una serie di atti (sempre contrattuali) che nel linguaggio interno nazionale potevano non ritenersi ricompresi nel termine precedentemente utilizzato di “vendita”. Sembrano piuttosto rinvenibili diversi indizi sia sul piano letterale che su quello sistematico nel senso della non estensione alle vendite forzate giudiziali degli obblighi e delle sanzioni ivi previsti: - il riferimento espresso ad una “clausola” contenente una certa dichiarazione dell’acquirente; - il riferimento espresso al “contratto” a proposito dell’obbligo di allegazione; - il principio di legalità e tipicità delle sanzioni amministrative in generale e, quindi, la loro non estensibilità a soggetti diversi da quelli indicati nella norma di legge (le parti della vendita) che, però, nel caso di vendita forzata, non possono ritenersi in alcun modo responsabili del contenuto del provvedimento del giudice con cui viene effettuato il trasferimento (in forma di decreto); - la complessiva disciplina della vendita forzata che si caratterizza, tra l’altro, per essere coattiva e funzionale all’attuazione del diritto di credito, secondo uno statuto che tiene conto di interessi di ordine pubblico di grado almeno pari a quelli perseguiti dalla normativa in ambito energetico. Come è stato in altre sedi rilevato, la disciplina in ambito energetico è oggetto di sempre più intensa attenzione in ambito europeo, come in continua evoluzione è anche il processo di riavvicinamento delle discipline nazionali in ambito di circolazione di immobili e di attuazione coattiva e giudiziaria del diritto di credito, ma allo stato attuale dell’evoluzione normativa interna ed europea non ci sembra si possa dubitare del fatto che la vendita attuata a mezzo di provvedimento giudiziale nell’ambito dell’esecuzione forzata come disciplinata dal legislatore italiano goda di uno statuto del tutto speciale sottratto a quello della vendita contrattuale che è, appunto, oggetto del D.lgs. 192/2005. E se anche non si volesse escludere a priori un’interpretazione che ritenesse applicabile anche al trasferimento in ambito giudiziale coattivo la normativa in tema di dotazione e di allegazione dell’attestato diprestazione energetica (contrariamente a quanto qui sostenuto), le eventuali violazioni non potrebbero comunque mai determinare l’applicabilità delle sanzioni amministrative ivi previste, infatti: - non si vede come possa applicarsi la sanzione prevista per la violazione dell’obbligo di dotazione (a carico del solo proprietario nel caso di vendita) a chi subisce coattivamente l’alienazione del proprio bene; - non sembrano applicabili agli organi della procedura o al creditore procedente le responsabilità civili conseguenti alla violazione degli obblighi di informativa precontrattuale previsti in ambito energetico (informazioni e consegna della documentazione in fase di trattativa), in quanto, una volta esaurite le eventuali contestazioni su presunte irregolarità della vendita, non è comunque data la responsabilità per vizi nella vendita forzata; - né sembrano irrogabili alle parti della vendita (visto che il decreto di trasferimento è atto unilaterale del giudice e non contratto) le sanzioni amministrative previste per la violazione dell’obbligo di inserimento della clausola (con la quale l’acquirente dichiara di avere ricevuto le informazione e la documentazione tra cui l’attestato) o dell’obbligo di 42 allegazione (“al contratto”) dell’attestato di prestazione energetica, previsti dall’art.6 per i “contratti di compravendita” e gli “atti di trasferimento di immobili a titolo oneroso”, se il decreto di trasferimento è atto del Giudice delle Esecuzioni sul cui contenuto le parti non possono incidere. Quanto, infine, all’obbligo di inserimento delle caratteristiche energetiche del bene offerto in vendita in caso di annuncio con i mezzi di pubblicità commerciali e alla sanzione prevista in caso di sua violazione a carico del “responsabile dell’annuncio”, come sopra già meglio esplicitato, si è pervenuti per esclusione a sole due letture possibili: - la prima, a nostro avviso preferibile, secondo cui la disposizione andrebbe letta in coordinamento con tutte le altre, e, quindi, rivolta alle sole vendite consensuali; - la seconda che propone una frattura tra questa e tutte le altre disposizioni dell’articolo 6 (e che presuppone che il responsabile dell’annuncio sia in grado di conoscere se il bene sia stato dotato di attestato), secondo cui, ogni volta che dalla documentazione agli atti risulti la dotazione, l’annuncio dovrebbe indicare le caratteristiche energetiche del bene. Forse il decreto previsto per l’adeguamento del D.M. 26 giugno 2009 destinato a prevedere, tra l’altro, la definizione di uno schema di annuncio di vendita per esposizione nelle agenzie immobiliari (!) potrà fornire ulterioriargomenti a favore della prima (o della seconda) interpretazione proposta, ma è certamente opportuno, anche in un’ottica di efficienza del sistema che il professionista eventualmente delegato alla vendita, prima di effettuare gli adempimenti pubblicitari, verifichi sempre se l’attestato di prestazione energetica sia agli atti e ne tenga conto nella redazione dell’avviso di vendita. Le conclusioni fin qui raggiunte non escludono naturalmente che l’applicazione delle norme di diritto processuale, nei diversi istituti e nelle diverse fasi del procedimento, possano comportare diversi e specifici obblighi degli ausiliari del Giudice, in ottemperanza alle direttive ed istruzioni da questi loro impartite, nel rispetto dei principi che governano la materia delle vendite forzate. La riflessione è importante per chiarire che il principio di corretta informazione delle caratteristiche dei beni posti in vendita è, comunque, presente con proprie peculiarità anche nella vendita forzata, ma con ricadute in caso di sua violazione sulla validità degli atti processuali secondo la disciplina della stabilità della vendita forzata, che dipendono dalla gravità del difetto di informazione e dal momento in cui lo stesso è fatto valere. Pertanto, la valutazione circa l’estensione di discipline pensate per la vendita consensuale a quella coattiva giudiziale, pur in alcuni casi opportuna sul piano della competitività della vendita forzata, deve sempre tenere conto e della natura coattiva della vendita forzata e dei meccanismi processuali che governano il processo esecutivo e che rimettono al Giudice dell’Esecuzione, in assenza di un’espressa previsione normativa diversa, la direzione del processo. Non a caso la Costituzione riserva la materia del diritto processuale (che regola l’attività giudiziaria) in esclusiva al legislatore nazionale, in considerazione del delicato e necessario bilanciamento degli interessi in gioco sempre di ordine pubblico e di livello nazionale. *** Sommario: 1. Premessa; 2. Conclusioni raggiunte nel vigore della formulazione del D.lgs. 192/2005 vigente fino al 3 agosto 2013. Esclusione della vendita forzata dal perimetro di applicazione del D.lgs. 192 del 2005; 3. Le novità apportate dal D.L. n. 63/2013 convertito in L. n. 90/2013 e il bilanciamento degli interessi in gioco da parte del legislatore statale; 4. I nuovi articoli 6e 15 del D.lgs. 192 del 2005 a seguito delle novità apportate dal D.L.n.63/2013 convertito in L. n. 90/2013. Argomenti a favore della non applicazione della disciplina prevista alla vendita forzata a mezzo di decreto di trasferimento; 5. Consequenziale irrilevanza rispetto alle vendite forzate attuate a mezzo 43 di decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c. del comma 8 dell’art.1 del D.lgs. 145/2013; 6. Il D.L.23 dicembre 2013, n. 145 (c.d. “destinazione Italia”) oggi convertito con L. 21 febbraio 2014, n. 9 e la disciplina attualmente vigente in tema di allegazione dell’APE agli atti di trasferimento a titolo oneroso. Argomenti a favore della non applicazione della disciplina prevista alla vendita forzata a mezzo di decreto di trasferimento; 7. Opportunità della dotazione di attestato di prestazione energetica dei beni posti in vendita in sede esecutiva sotto il profilo della competitività della vendita forzata e opportunità dell’allegazione dell’attestato di prestazione energetica agli atti al decreto di trasferimento (o della sua consegna all’aggiudicatario) sotto il profilo dell’economia del sistema; 8.Conclusioni" 44