60 Idee e società Venerdì 15 luglio 2011 Due volumi per Mimesis raccolgono gli appunti delle ultime lezioni di Roland Barthes di LUIGI TASSONI C’È UN articolo folgorante in cui Italo Calvino racconta l’incidente che costò la vita a Roland Barthes (nella foto a Milano il 1974), dopo la lezione al Collège de France, mentre attraversava all’incrocio tra Rue des Écoles e Rue SaintJacques, il 25 febbraio 1980. Nell’aula affollata di Semiotica letteraria, Barthes tra il 1978 e il 1980 tenne gli ultimi due corsi di cui rimase un dossier di appunti e riflessioni che oggi Emiliana Galiani e Julia Ponzio propongono anche in versione italiana (dopo quella francese impeccabile di Nathalie Léger, del 2003) nei due volumi di Mimesis (pp.540, Euro 45) intitolati “La preparazione del romanzo”. E’ l’estrema apertura del pensiero di Barthes la continua sorpresa che anche oggi si rinnova, è quella del personaggio che parla del proprio mestiere fra incroci, immagini, incidenze del proprio procedere analitico. E’ per questo che Barthes sottolinea l’importanza di parlare del proprio mestiere, è ciò in cui meglio si riconosce la consistenza del soggetto, e sull’esempio di Valéry non nasconde la propria irritazione per le divagazioni quotidiane che distolgono la vita della scrittura. Pensando al senso di questo testo, accarezzato come disegno estremo dall’autore, va detto che una lezione universitaria, se non va persa, è un’occasione per la posterità, è un percorso che prevede un ascoltatore postumo, come me oggi, distante nel tempo e distante, anche se solo di qualche ora, dal momento attraente della parola in pubblico, nell’incontro-incidenza indirizzata all’altro. Ed è per questo un percorso di ri-orientamento voluto implicitamente dalla ricezione dentro una stanza e fuori di essa. Le incidenze per Barthes (“Incidents” è il libretto del 1987, un racconto di incontri fortuiti) sono incontri per caso (p.182) ma determinanti: ecco, senza quegli incontri la trama del pensiero sarebbe difficile, come il viaggio nelle coincidenze degli orari ferroviari e come nelle pieghe della vita e della morte, coincidenza irripetibile e apodittica. Facciamo qualche esempio. Fra i numerosi argomenti cari al semiolgo, nelle lezioni al Collège de France egli insiste sul fatto che non è ancora possibile definire in una «specificità» un oggetto così semplice come la fotografia (p.139). Non è pos- Le pagine d’amore sul potere dello scrivere sibile per la “struttura” percettiva, non per la “riproducibilità”, non per il punto di vista.Sembrerebbe unoscaccoe invece non lo è. Nessuna di queste tre caratteristiche, che producono “effetti” in chi guarda, potrebbero farci risalire allo specifico di una foto. E’ vero, tuttavia Barthes allunga la sua timida essenziale proposta: «il noema della foto deve essere cercato dal lato dell’ “è stato”» (p.139). Come la foto, moltialtri oggetti parlano al posto di qualcosa che non c’è più fisicamente, e che l’attimo dell’istantanea fa sopravvivere; in questa sopravvivenza non può che farci percepire il vuoto che appartienealla cosa come complemento dell’immagine visibile, così come la morte che sta sottotraccia rispetto alla vita. Per Barthes la scrittura è desiderio, passione, amore, preparazione, scienza. La preparazione del romanzo consiste nell’atto dello scrivere, e la scrittura diventa il “romanzo”del soggetto che scrive, il tracciato del suo esserci in quanto percepisce sé nel discorso. Per questo in ogni ricerca sopravvive un frammento di romanzo, e in ogni testo si delinea la consistenza del soggetto che scrive. Secondo Barthes, essere scrittore significa:«non reprimoil soggetto che sono» (p.36), e il godimento e la gioia di scrivere hannocome corrispettivoil cambiamento della propria vita attraverso la scrittura. «Dall’incontro di qualche testo letterario nasce la Speranza di scrivere» (p.225): come avviene anche nel caso di queste righe. Nelle lezioni, come in tutta l’opera, Barthes quasi maniacalmente, e con passione e disincanto, invita a considerare il fatto di esisterenella scrittura,percepirsi e avere necessità della scrittura per vivere, per essere. Insomma (anche se non se ne accorge) condivide la grande scoperta che fu di Petrarca che considerava il piacere del- Una lezione decisiva per i posteri Scrivere è essenza dell’esistere la scrittura esteso all’atto del mutamento dell’io, nel tempo trascorso entro il proprio linguaggio, sulla pagina. Nelle sue ricche, tentacolari, lezioni parigine Barthes specifica che, se l’idea non venisse annotata, essa rischierebbe di ritornare al nulla (ammesso che il nulla sia davvero il punto d’origine della parola) (p.166). E da par suo riscopre (qui sempre Petrarca!) i «Fantasmi di scrittura» (p.48), come se si trattasse di fantasmi (ovvero “fantasme” come fantasia, avvertono giustamente i traduttori) suscitati da un desiderio,di modoche lascrittura in sé, in quanto percorso desiderante, produca piacere. Il grande semiologo e scrittore in tutto il suo lavoro mette in pratica un’ipotesi: che sia necessario individuare l’im- magine del pensiero, e averla ben presente sotto gli occhi, come riferimento, come traccia, come oggetto, nella sua concretezza semiotica. Che si tratti di poesia, di comunicazione, di retorica, di miti, di discorso amoroso o di Proust, tutto è riconducibile alla percezione di un oggetto, di una passione, di un segnale,che equivalgonoalladensità di un discorso, se lo scrittore articola ciascuna immagine come fosse un pensiero (bellissime le pagine barthesiane sul labirinto e sull’haiku). Nelle lezioni al Collège de France l’immagine del pensiero compita secondo il dizionarietto barthesiano: se da un lato la scrittura è la pratica di un esserci come desiderio, dall’altro la «Nuance» (p.101), non solo il vuoto, è ciò che mi manca nel momento in cui parlo, dico, scrivo, ovvero è una «pratica fondamentale di comunicazione» dalla quale rifugge la civiltà dei media, che necessita esattamente del contrario per funzionare. Invece Barthes, ricordando Blanchot, ritrova la «poetica del vuoto», e ce la spiega con due frasi semplici e incisive, degne dei netti haiku che tanto amava: «la Nuance: ciò che irradia, diffonde, trascina (come la bella nuvola di un cielo). Ora c’è un rapporto tra l’irradiazione e il vuoto: nella Nuance, c’è come un tormento del vuoto (ragion per cui essa non piace tanto agli spiriti “positivi”)» (p.103). L’invito è a comprendere che la sensazione della vita, il sentimento dell’esistente, hanno bisogno «che un certo vuoto si realizzi nel soggetto» (p.104). E’ questo il raggiungimento di una pulizia non rumorosa, un atto di sgombero delle macerie e delle incrostazioni del nostro essere, che arriva al vuoto per rinnovarsi, per predisporsi alla propria “vita nuova”, nel senso dantesco dell’innamoramento e della conoscenza. L’incidenza, il fantasma, il piacere, il vuoto, la fotografia, la scrittura, la letteratura: tutto ciò non poteva che portare Barthes a studiare l’estremo della “menzogna” come conquista del nuovo: «mentire con una menzogna nuova e perversa che consiste nel mescolare il vero e il falso» (p.193). Siamo nel cuore del romanzo moderno. Chissà quanto nuova e perversa gli apparve la verità della morte, dopo l’ultima lezione, nell’ultima frase del suo “romanzo”, sul marciapiede di Rue des Écoles, mentre il furgoncino del pane tagliava la strada dellavita a unadelle intelligenze più creative e scientifiche, labirintiche e lineari, solari e inafferrabili, di tutto il XX secolo. Due giorni prima dell’incidente aveva detto ai suoi studenti (p.445): «l’opera desiderata deve essere semplice, filiale, desiderabile». Fa uno strano effetto oggi rileggere Barthes, e ritrovarlo, nel generoso dono delle sue lezioni, sulla stessa lunghezza d’onda dei suoi studi severi e creativi, irrispettosi e ferrei. Ció che soprattutto sopravvive nella mia memoria, accanto a pagine memorabili che hanno segnato la scommessa della lettura e la seduzione della scrittura, è quella foto della sua autobiografia, “Barthes secondo Roland Barthes”: un cinquantenne, credo, che mostra la costola di cui è stato privato da ragazzo per un pneumatorace (che io conosco), con tenera autoironia, nel cassetto di quella stessa scrivania coperta di inventari e invenzioni. Barthes è tutto qui, nella ricerca di un oggetto, a lavoro per non rinunciare alla soggettivitá del momento. «L’opera deve essere desiderabile» AVVENIMENTI Cassiodoro sarà beatificato e due Santuari elevati a Basilica L’annuncio Bertolone racconta anche la visita del Papa a ottobre di TERESA ALOI CATANZARO - La Calabria e Cassiodoro. O meglio Squillace e Cassiodoro. Un binomio inscindibile raccontato in mille e una pagina di storia che a breve potrebbe cristalizzarsi ancora di più. Perchè è proprio dalla Calabria che partirà la causa di beatificazione. Consapevole della grandezza culturale di Flavio Magno Aurelio Cassiodoro Senatore «a cui si deve tanto», è proprio l'arcivescovo della Diocesi di Catanzaro-Squillace, monsignor Vincenzo Bertolone ad annunciare il prossimo avvio della causa di beatificazione. E così, si tornerà a parlare della riconversione del politico, letterato e storico romano, vissuto tra il 485 ed il 580 sotto il regno romano-barbarico degli Ostrogoti e successivamente sotto l'Impero Romano, avvenuta attraverso un itinerario di ammirevole santità, del suo dedicarsi interamente all'attività intellettuale e religiosa, nel tentativo di at- tuare un grandioso programma di educazione culturale e formativa, ma soprattutto del “suo”monastero di Vivarium (così chiamato dai vicini vivai di pesci) dove Cassiodoro trasportò la sua ricchissima biblioteca, riprendendo l'idea della fondazione di un'università cristiana occidentale realizzando una fusione tra l'ideale contemplativo classico e quello cristiano dell'operosa preghiera per i fratelli. «Mi sembra giusto - ha detto l’arcivescovo - che questo grande studioso, a cui l'Europa deve tanto, sia considerato a pieno titolo un uomo della Chiesa, la cui opera e la cui santità è ancora molto sentita non soltanto in Calabria». Tanto da aver già dato mandato a storici e studiosi, per la costituzione del Tribunale ecclesiale che dovrà curare la causa di beatificazione. «Ho speranza - ha aggiunto monsignor Bertolone - che esista il suo culto in Europao inalcuni monasterie noidobbiamo riuscire a dimostrarlo». Certo, il cammino sarà lungo e non facile «soprattutto per raccogliere la documentazione» ma intanto si sta lavorando alla realizzazione di un libretto «per far conoscere Cassiodoro». Ma non solo Cassiodoro. Perché l'arcivescovo ha anche annunciato che il Santuario della Madonna di Porto, che si trova nel territorio di Gimigliano e quello della Madonna del Ponte a Squillace saranno elevati a Basilica. Poi, riferendosi alla prossima visita del papa - Papa Benedetto XVI sarà a Lamezia il prossimo 7 ottobre - monsignor Bertolone, probabilmente per sfatare ogni forma di polemica ha spiegato il perché della scelta sia caduta sulla città della Piana. «Nell'ambito delle tre visite ufficiali annuali che il Santo Padre programma in Italia - una al Nord, una al Centro e una al Sud - l'unica domanda pervenuta alla Santa Sede era quella della Diocesi di Lamezia». Poi, ha aggiunto che il Santo Padre visiterà la Certosa di San Bruno di Colonia, a Serra San Bruno. «Papa Ratzinger - L’arcivescovo di Catanzaro, mons. Bertolone ha spiegato monsignor Bertolone - è molto legato alla figura di San Bruno, che era di Colonia, città tedesca, e gli è molto caro, avendone apprezzato l'opera anche come studioso. Ha perciò espresso il desiderio di visitare la Certosa, cosa che farà nel pomeriggio dopo la visita a Lamezia Terme».