Giurisprudenza Diritto penale commerciale Responsabilità amministrativa degli enti Confisca nei confronti dell’ente e diritti dei terzi danneggiati dal reato: un’interpretazione costituzionalmente conforme Cassazione penale, Sez. VI, 28 aprile 2010, n. 16526 - Pres. Mannino - Rel. Ippolito Società in genere - Responsabilità amministrativa - Sanzioni - Confisca - Diritti dei terzi - Limiti (D.Lgs. 8 giugno 2001, n. 231, artt. 19, 53) L’eccezione prevista dall’art. 19, D.Lgs. n. 231/2001, relativa ai beni che possono essere oggetto di confisca e, di conseguenza, del sequestro prodromico ai sensi dell’art. 53 del medesimo decreto, inerente la parte del profitto che può essere restituita al danneggiato, opera esclusivamente sui beni o sulla parte di essi su cui il danneggiato può vantare una specifica pretesa restitutoria ossia una pretesa relativa alla restituzione in forza del diritto di proprietà o di un diritto di godimento o di una garanzia ovvero del possesso o della detenzione, pur se derivati da un negozio produttivo di effetti obbligatori (massima non ufficiale). La Corte (omissis). 1. Contro l’ordinanza del Tribunale del riesame, che ha annullato il sequestro preventivo disposto nei confronti della T. s.p.a., ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica di Potenza, deducendo inosservanza ed erronea applicazione della legge penale con riferimento al D.Lgs. n. 231/2001, artt. 19 e 53. 2. Il sequestro era stato disposto, con decreto 5 maggio 2009 del Giudice per le indagini preliminari del tribunale di Potenza, sul conto corrente della T. s.p.a. e con riferimento alla somma di Euro 1.727.547,52 e di Euro 50.000, in quanto costituenti rispettivamente il profitto e il prezzo dei reati di concorso in corruzione e in concussione, secondo l’imputazione provvisoria elevata nei confronti di dirigenti della predetta società. 3. Con l’ordinanza impugnata, il Tribunale di Potenza, in parziale accoglimento della richiesta di riesame, ha annullato il decreto del giudice per le indagini preliminari limitatamente alla somma di Euro 1.727.547,52, equivalente pecuniario di parte del profitto della contestata concussione, ritenuto corrispondente alla misura dell’esborso economico che la T. s.p.a. avrebbe risparmiato grazie alle condotte concussive, pagando a prezzo vile i terreni destinati a essere espropriati in funzione della realizzazione del centro-oli (omissis). 4. Il ricorso merita accoglimento. Ha ritenuto il tribunale che ‘‘l’intero profitto ritratto Le Società 4/2011 dalla T. s.p.a., inteso nel senso predetto, coinciderebbe con le somme che quest’ultima società dovrebbe restituire ai danneggiati dal reato, essendo chiaramente di spettanza di quest’ultimi (oltre che suscettibili di essere loro integralmente restituiti) gli importi corrispondenti alla giusta misura dell’indennità di esproprio non percepiti dai proprietari a seguito della svalutazione dei proprio terreni e della operazione concussiva ideata ed attuata dagli esponenti di vertice in sede locale della T. s.p.a.’’. Tali importi non sarebbero, pertanto, sequestrabili ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001, art. 53 in quanto non confiscabili per espresso dettato dell’art. 19, stesso Decreto. Osserva il Collegio che quest’ultima norma eccettua dalla confiscabililità nei confronti dell’ente soltanto quella parte del prezzo o del profitto del reato ‘‘che può essere restituita al danneggiato’’, ossia quei beni o la parte di beni su cui il danneggiato può accampare una specifica pretesa restitutoria, ossia una pretesa relativa alla restituzione di un bene in forza del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento o di garanzia ovvero del possesso o della detenzione, pur se derivanti da un negozio produttivo di effetti obbligatori. Nella fattispecie ipotizzata, gli eventuali danneggiati non sono titolari di pretesa restitutoria sulla somma di danaro ‘‘risparmiato’’ dalla T. per effetto delle condotte concessive, e quindi legittimati ad azione restitutoria, ma sono titolari di pretesa risarcitoria e, quindi, legittimati ad 441 Giurisprudenza Diritto penale commerciale esercitare azione di risarcimento dei danni subiti per effetto dell’illecito penale. Ne consegue l’inapplicabilità dell’eccezione prevista dall’art. 19, D.Lgs. cit. per la confisca obbligatoria, nei confronti dell’ente, del prezzo o del profitto del reato e, in forza dell’art. 53 stesso decreto, la legittimità del sequestro finalizzato a tale confisca. 5. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio. (omissis). IL COMMENTO di Alex Ingrassia La pronuncia in esame si segnala perché delimita l’oggetto della confisca in relazione ai diritti dei terzi danneggiati. Nel criticare la decisione, si evidenziano i profili di incostituzionalità dell’interpretazione della confisca ex art. 19, D.Lgs. n. 231/2001 propugnata dalla Cassazione e dalla dottrina maggioritaria e se ne prospetta una diversa esegesi costituzionalmente conforme. Il fatto e la vicenda processuale La vicenda processuale scaturisce dalla realizzazione di un centro-oli. In ipotesi accusatoria, i dirigenti della società costruttrice avrebbero corrotto alcuni amministratori pubblici affinché questi espropriassero i terreni necessari all’edificazione dell’impianto, riconoscendo ai proprietari dei terreni indennità di esproprio di molto inferiori a quelle stabilite in situazioni analoghe (1). In particolare, attraverso una valutazione dei terreni oggetto di esproprio di molto inferiore al prezzo di mercato, la società si sarebbe garantita un ingente risparmio. Il G.I.P. presso il Tribunale di Potenza dispone il sequestro per equivalente dai conti della società, ai sensi degli artt. 19 (2) e 53 (3), D.Lgs. n. 231/2001 (in seguito, per brevità, Decreto), del prezzo del reato, pari a 50.000 euro, e del profitto, pari a 1.727.547,52 euro, ritenuto corrispondente a quanto risparmiato dalla società grazie all’accordo illecito con gli amministratori dell’ente pubblico territoriale sull’ammontare totale delle indennità d’esproprio. Il decreto viene impugnato dall’ente avanti al Tribunale del riesame, che, in accoglimento parziale del gravame, dispone il dissequestro della somma imputata a profitto dei reati di corruzione e concussione, sostenendo che «l’intero profitto ritratto dalla T. s.p.a., inteso nel senso predetto (...) coinciderebbe con le somme che quest’ultima società dovrebbe restituire ai danneggiati dal reato, essendo chiaramente di spettanza di quest’ultimi (oltre che suscettibili di essere loro integralmente restituiti) gli importi corrispondenti alla giusta misura dell’indennità di esproprio non percepiti dai proprietari a seguito della svalutazione dei propri terreni e della operazione concussiva ideata ed attuata dagli esponenti di vertice in sede locale della T. s.p.a.». 442 In altre parole, la formula di salvezza contenuta nel primo comma dell’art. 19 del Decreto, per cui sarebbero confiscabili solo i beni che non devono essere oggetto di restituzioni a favore del danneggiato, renderebbe illegittimo il provvedimento impugnato: il G.I.P, infatti, avrebbe sequestrato più di quanto confiscabile, violando il disposto dell’art. 53 del Decreto. Contro tale ordinanza propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Potenza, deducendo l’inosservanza e l’erronea applicazione degli artt. 19 e 53 del Decreto e, in definitiva, dell’interpretazione che il Tribunale del riesame ha prospettato della citata clausola di salvezza. La decisione della Cassazione e l’esegesi della dottrina La Suprema Corte, per la prima volta a quanto consta (4), interrogata sulla portata della clausola di Note: (1) Gli amministratori e la società sono al contempo indagati per corruzione e concorso in concussione. (2) L’art. 19, D.Lgs. n. 231/2001 dispone: «(I) Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato. Sono fatti salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede. (II) Quando non è possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato». (3) L’art. 53, D.Lgs. n. 231/2001 prevede che «Il giudice può disporre il sequestro delle cose di cui è consentita la confisca a norma dell’articolo 19. Si osservano le disposizioni di cui agli articoli 321, commi 3, 3 bis e 3 ter, 322, 322 bis e 323 del codice di procedura penale, in quanto applicabili». (4) Risulta in effetti sul punto una precedente sentenza della Cass. pen., sez. VI, 18 marzo 2009, n. 628/09, in www.cassazione.net, che pur interrogata sulla portata della clausola di salvez(segue) Le Società 4/2011 Giurisprudenza Diritto penale commerciale salvezza a favore del danneggiato di cui all’art. 19, comma 1, del Decreto, ne delinea i confini, propugnandone - come vedremo - una esegesi restrittiva. In particolare, secondo i giudici di legittimità, non sono assoggettabili a confisca, e dunque al prodromico sequestro di cui all’art. 53 del Decreto, solo i beni o la parte di essi «su cui il danneggiato può accampare una specifica pretesa restitutoria ossia una pretesa relativa alla restituzione in forza del diritto di proprietà o di un diritto di godimento o di una garanzia ovvero del possesso o della detenzione, pur se derivati da un negozio produttivo di effetti obbligatori». Nel caso di specie, sostiene la Cassazione, essendo l’illecito profitto costituito da una somma di denaro risparmiata dalla società, la somma equivalente a tale risparmio deve essere sequestrata e, in caso di condanna, confiscata, giacché i terzi danneggiati non sono titolari di una pretesa ‘‘restitutoria’’ sul patrimonio della società (rectius sulla parte di esso sequestrata), ma sono esclusivamente legittimati ad esperire azioni risarcitorie nei confronti dell’ente. Le conclusioni cui giunge la Suprema Corte coincidono con quelle della dottrina maggioritaria, che ha sostenuto con estrema chiarezza che «la possibilità di restituzione ricorre soltanto quando il prezzo o il profitto del reato sia individuato in beni determinati e non sia confuso con altri beni» (5). Tale tesi deriva «dall’uso del termine ‘‘restituzione’’» nel testo normativo giacché questo «implica un bene individuato e non un semplice risarcimento mediante il pagamento del tantundem» (6). In particolare, quanto al denaro - che è, in definitiva, il bene che più frequentemente rappresenterà l’oggetto del profitto - si afferma che può essere senz’altro oggetto di restituzione, ma solo a condizione che la somma possa «essere individuata come quella, non già confusa, che ha costituito il prezzo o il profitto del reato, cosı̀ che la stessa possa appunto essere ‘‘restituita’’ al danneggiato e non semplicemente pagata o corrisposta a quel soggetto a titolo di risarcimento danni» (7). La scelta del termine ‘‘restituzione’’ operata dal legislatore deriverebbe da una precisa opzione di ‘‘economia giuridica’’ (8), volta ad evitare che il proliferare delle richieste di risarcimento nei confronti dell’ente possa paralizzare l’applicazione dei provvedimenti ablatori (9). È infatti di tutta evidenza che il novero dei soggetti potenzialmente danneggiati e titolari di un diritto al risarcimento è decisamente più ampio di quello cui appartengono i titolari di una pretesa giuridicamente tutelata su uno specifico bene. Le Società 4/2011 La stessa collocazione della clausola di salvezza nel primo comma dell’art. 19 del Decreto, piuttosto che nel successivo dedicato alla confisca di valore, confermerebbe, secondo la dottrina maggioritaria, l’interpretazione restrittiva della limitazione: si afferma, infatti, che tale posizione «aiuta a comprendere in quale senso debba essere interpretata la ‘‘possibilità di restituzione al danneggiato’’, posto che nel caso di confisca per equivalente sarebbe sempre possibile la restituzione al danneggiato, sempre potendosi restituire il tantundem, cioè un importo equivalente al danno subito dal reato» (10). Vi è stato, però, chi ha recentemente criticato tale approdo interpretativo della dottrina, sostenendo che la sopraesposta tesi «asserisce una prelazione della confisca rispetto al diritto del danneggiato» (11). Secondo tale diversa opinione, il fatto di posporre al provvedimento ablatorio il diritto al ristoro (per il pregiudizio patito) del danneggiato non troverebbe alcun fondamento normativo. Anzi, si sostiene che l’art. 19 deporrebbe in senso diametralNote: (segue nota 4) za si è, però, limitata laconicamente a bollare il rilievo come meramente fattuale, affermando che «eventuali limiti ‘‘quantitativi’’ alla confisca, e al correlato sequestro, in discussione non vengono direttamente in rilievo in questa sede e saranno oggetto dello scrutinio del giudice di merito». Dunque, la decisione in commento pare la prima che affronta la questione nel merito. (5) In questi termini T. E. Epidendio, Sequestro preventivo speciale e confisca, in Resp. amm. soc. enti, 2006, 3, 92. L’esegesi era già stata espressa dall’Autore in A. Bassi - T. E. Epidendio, Enti e responsabilità da reato. Accertamento, sanzioni e misure cautelari, 2006, 324. La tesi è stata riproposta dall’Autore nel recente T. E. Epidendio, La confisca nel diritto penale e nel sistema delle responsabilità degli enti, 2011, 411 e ss.. Accedono a tale tesi D. Fondaroli, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale, 2007, 423; M. Vizzardi, Commento sub art. 19 D.Lgs. n. 231/2001, in A. Presutti-A. Bernasconi - C. Fiorio, La responsabilità degli enti. Commento articolo per articolo, 2008, 236; R. Lottini, Commento sub art. 19 D.Lgs. n. 231/2001, in F. Palazzo C. E. Paliero (a cura di), Commentario breve alle leggi penali complementari, II Ed., 2007, 2339; S. Giavazzi, Commento sub art. 19 D.Lgs. n. 231/2001, in A. Giarda - E. M. Mancuso - G. Spangher - G. Varraso (a cura di), Responsabilità ‘‘penale’’ delle persone giuridiche, 2007, 177. (6) Cosı̀ T. E. Epidendio, Sequestro preventivo speciale e confisca, cit., 92. (7) Ibidem, 92. (8) L’espressione è di D. Fondaroli, Le ipotesi speciali, cit., 423. (9) Ibidem, 423. (10) Ancora T. E. Epidendio, Sequestro preventivo speciale e confisca, cit., 92. L’argomentazione è ripresa da S. Giavazzi, Commento, cit., 177. (11) Si tratta di G. Chiaraviglio, La natura sanzionatoria della confisca per equivalente: quali gli effetti? in Riv. dott. comm., 2009, 3, 606. 443 Giurisprudenza Diritto penale commerciale mente opposto, facendo salva «la parte che può essere restituita al leso» (12). Partendo dalla clausola di salvezza ed equiparando - sostanzialmente (13) restituzione e risarcimento, tale dottrina minoritaria conclude che il profitto illecito debba essere prima oggetto di restituzione o risarcimento a favore del danneggiato e, solo in un secondo tempo, possa venire confiscato per intero, eventualmente per equivalente. Dunque, secondo l’Autore, qualora l’ente sia capiente, dovrà procedersi, dopo aver soddisfatto il danneggiato, alla confisca dell’intero profitto del reato, anche ove tale profitto coincida in tutto o in parte con l’oggetto del risarcimento o delle restituzioni. Questa soluzione, che cerca di dare priorità alle istanze di ristoro del danneggiato rispetto a quelle lato sensu - punitive dell’ordinamento, scaturisce dalla considerazione per cui è «innegabile che la devoluzione a favore delle vittime produca nei confronti del reo gli stessi effetti dell’ablazione a favore dello Stato, aggiungendovi quello del ristoro del danneggiato del danno subito mentre nulla di analogo è configurabile in caso di devoluzione a favore dello Stato» (14). Gli esiti problematici dell’esegesi della Cassazione e della dottrina Le critiche prospettate dalla dottrina minoritaria pongono l’attenzione su alcuni aspetti problematici della ricostruzione dell’art. 19 operata dalla Cassazione nella sentenza in commento e costituiscono un punto di partenza per un’analisi dei possibili effetti disvoluti che una tale esegesi finisce per produrre. In altre parole, ciò che si vuole porre in rilievo è che l’interpretazione dell’art. 19 del Decreto propugnata dal Supremo collegio e dalla dottrina maggioritaria presenta evidenti punti di frizione con il principio di uguaglianza costituzionalmente garantito, sia sul versante dell’ente imputato (e poi condannato), sia su quello del danneggiato (frizioni che, come si vedrà, non risolve tuttavia nemmeno la dottrina minoritaria). L’ipotesi paradigmatica degli esiti irragionevoli o persino paradossali cui l’esegesi della Cassazione conduce è quella in cui il profitto illecito, oggetto di confisca, coincida in tutto o in parte con la somma che deve essere oggetto di restituzione o risarcimento a favore del danneggiato. Tale evenienza è tutt’altro che infrequente, giacché si verificherà nei rapporti sinallagmatici viziati nel momento genetico o esecutivo, ma in cui la prestazione offerta dal- 444 l’ente è pur sempre - almeno in parte - lecita: si pensi alla corruzione, alla concussione o alla truffa, quali delitti funzionali al mantenimento di un appalto per la prestazione di beni o servizi in cui l’ente adempie alla propria obbligazione in maniera difforme da quella pattuita, garantendosi cosı̀ un profitto illecito (15), confuso nel patrimonio societario. In tale ipotesi, seguendo l’esegesi della Cassazione, ove vi sia coincidenza tra profitto illecito e somma oggetto di ristoro per il danneggiato, qualora sia possibile la restituzione, non si potrà procedere alla confisca. Diversamente, ove vi sia coincidenza tra profitto illecito e somma oggetto di ristoro per il danneggiato, ma non sia possibile la restituzione, l’ente sarà gravato dalla confisca del profitto illecito e tenuto al risarcimento nei confronti del danneggiato. Sennonché, nel caso in cui non sia possibile procedere alla restituzione (ad esempio perché c’è stata confusione tra patrimonio della società e profitto illecito o perché quest’ultimo consiste in un illecito risparmio di talché non vi sarebbe alcun bene individuato su cui il danneggiato potrebbe accampare una pretesa restitutoria), si avrà una duplicazione dell’apprensione del profitto, sia, prima, tramite il provvedimento ablatorio, sia, successivamente, attraverso la corresponsione al danneggiato di quanto dovuto. Paradossalmente, invece, qualora l’ente si sia premurato, proprio in virtù della predetta esegesi della Suprema Corte, di depositare il profitto illecito in un apposito conto, dedicato esclusivamente Note: (12) In questi termini G. Chiaraviglio, La natura sanzionatoria, cit., 615. (13) Infatti, G. Chiaraviglio, La natura sanzionatoria, cit., 615, allo scopo di garantire un identico trattamento al danneggiato, sia qualora possa avanzare una pretesa restitutoria, sia quando richieda il risarcimento del tantundem, si limita ad affermare che «la sorte del diritto alla restituzione non può differire da quella del diritto al risarcimento»: tale opzione interpretativa, per quanto condivisibile negli esiti, necessita tuttavia di un apparato argomentativo più approfondito (si veda infra nel testo). (14) Ibidem, 612. (15) L’ipotesi nella sostanza non è difforme da quella fondamentale in tema di confisca decisa dalle Sezioni Unite nella nota sentenza del 2 luglio 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti s.p.a. Sulla sentenza da ultimo citata si vedano, tra gli altri, i commenti di T. E. Epidendio, Il commento, in Dir. pen. proc., 2008, 10, p. 1267; A. Rossetti, Il commento, ivi, 2008, 10, 1281; L. Pistorelli, Confisca del profitto del reato e responsabilità degli enti nell’interpretazione delle sezioni unite, in Cass. pen., 2008, 12, 4562; V. Mongillo, La confisca del profitto nei confronti dell’ente in cerca d’identità: luci e ombre della recente pronuncia delle Sezioni Unite, in Riv. it. dir. proc. pen., 2008, 4, 1758. Le Società 4/2011 Giurisprudenza Diritto penale commerciale ad esso, evitando confusioni tra patrimoni, tale somma di denaro non potrebbe essere oggetto di confisca: dunque, il fatto di tenere conti separati per patrimoni leciti e illeciti, circostanza che potrebbe costituire un elemento che aggrava il ‘‘disvalore di intenzione’’ del fatto dell’ente - giacché indicativo di una struttura volta non solo a commettere reati, ma ad implementare protocolli volti a garantirsene il profitto -, permetterebbe la neutralizzazione del provvedimento ablatorio, riducendo la sanzione applicabile all’ente. Si consideri, inoltre, che la doppia apprensione del profitto pone criticità non dissimili da quelle rilevate dai detrattori del Bruttoprinzip (16) in ordine all’apprensione tramite confisca del profitto lordo. Si tratta, in particolare, degli effetti di overspill (17) e di incapacitazione dell’ente. Quanto all’effetto overspill, questo attiene alla possibilità dell’ente di esternalizzare i costi della sanzione e, nel caso che qui interessa, della confisca del profitto e del risarcimento del danno speculare, attraverso il mancato pagamento dei creditori, il licenziamento dei dipendenti, la riduzione del valore delle azioni o delle obbligazioni: si assiste cosı̀ ad una traslazione dei costi dall’ente a terzi innocenti (18). L’ulteriore rischio è quello dell’incapacitazione dell’ente senza che ricorrano i presupposti normativi previsti dall’art. 16 (19) del Decreto per l’applicazione della sanzione interdittiva in via definitiva. Tale norma ha la funzione di escludere dal mercato le c.d. imprese criminali (20) ovvero quegli enti utilizzati allo scopo prevalente o esclusivo di consentire la realizzazione dei c.d. reati presupposto del Decreto. La confisca del profitto e il contemporaneo risarcimento del danno al terzo danneggiato, ove inerenti somme di denaro rilevanti, rischiano di ottenere un effetto di incapacitazione, in quanto possono portare al fallimento - o ad altra procedura concorsuale - della società, anche nel caso di enti dotati di modelli organizzativi e alla prima condanna per un illecito dipendente da reato (cioè in casi diversi dal paradigma dell’impresa criminale). Non può sfuggire come in tal caso la lettura restrittiva della clausola di salvezza finisca per trasformare la confisca in una sanzione sostanzialmente sproporzionata rispetto al fatto illecito di cui costituisce la risposta, perché doppione perfetto di quanto già dovuto al danneggiato. Anche dal punto di vista del danneggiato il portato dell’esegesi è altrettanto problematico. Infatti, al di là dei dubbi sulle modalità con cui il danneggiato può eventualmente far valere il dirit- Le Società 4/2011 to alla restituzione nei confronti dell’ente (21), sembra del tutto irragionevole che il diritto al ristoro derivante dall’illecito arricchimento ottenuto dalla società possa essere soddisfatto con i beni sequestrati ai fini della confisca solo qualora il profitNote: (16) Sulla discussione sul contenuto e i limiti del concetto di profitto si vedano in dottrina tra i sostenitori del nettoprinzip: A. Alessandri, Criminalità economica e confisca del profitto, in E. Dolcini - C. E. Paliero (a cura di), Studi in onore di Giorgio Marinucci, III, 2006, 2103; L. Fornari, La confisca del profitto nei confronti dell’ente responsabile di corruzione: profili problematici, in Riv. trim. dir. pen. eco., 2005, 64; F. Bottalico, Confisca del profitto e responsabilità degli enti tra diritto ed economia: paradigmi a confronto, in Riv. it. dir. proc. pen., 2009, 4, 1726; A. Perini, La progressiva estensione del concetto di profitto del reato quale oggetto della confisca per equivalente, in Resp. amm. soc. enti, 2010, 2, 201; F. Compagna, L’interpretazione della nozione di profitto nella confisca per equivalente, in Dir. pen. proc., 2007, 12, 1638; M. Vizzardi, Commento sub, cit., 233; F. Prete, La confisca-sanzione: un difficile cammino, in Resp. amm. soc. enti, 2007, 4, 105. Accedono, invece, alla tesi del bruttoprinzip: E. Fusco, Riflessioni su sequestro e confisca in materia di criminalità economica, in Resp. amm. soc. enti, 2007, 3, 17; G. Amato, La confisca ‘‘per equivalente’’ del profitto del reato nella responsabilità degli enti e delle persone fisiche: un sistema normativo non coordinato, ivi, 2009, 3, 147. In giurisprudenza Cass. pen., sez. VI, 23 giugno 2006, n. 32627. (17) Si veda sul punto F. Bottalico, Confisca del profitto, cit., 1753; C. De Maglie, L’etica e il mercato. La responsabilità penale delle persone giuridiche, 2002, 44 ss., nonché la bibliografia ivi richiamata. (18) Cosı̀, criticando la tesi dell’apprensione del profitto lordo, F. Bottalico, Confisca del profitto, cit., 1753. (19) L’art. 16 del Decreto dispone che «(I) Può essere disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività se l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità ed è già stato condannato, almeno tre volte negli ultimi sette anni, alla interdizione temporanea dall’esercizio dell’attività. (II) Il giudice può applicare all’ente, in via definitiva, la sanzione del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione ovvero del divieto di pubblicizzare beni o servizi quando è già stato condannato alla stessa sanzione almeno tre volte negli ultimi sette anni. (III) Se l’ente o una sua unità organizzativa viene stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione di reati in relazione ai quali è prevista la sua responsabilità è sempre disposta l’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività e non si applicano le disposizioni previste dall’articolo 1». Sulla norma, in dottrina, si veda tra gli altri M. Vizzardi, Commento sub art. 16 d.lgs. n. 231/2001, in A. Presutti - A. Bernasconi - C. Fiorio, La responsabilità degli enti. Commento articolo per articolo, 2008, 212 e bibliografia ivi richiamata. (20) Sul tema dell’‘‘impresa criminale’’ si veda, ex pluribus, G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale di diritto penale, III ed., 2009, 148. (21) Il riferimento è all’annosa questione della possibilità di costituirsi parte civile nei confronti degli enti. Per una panoramica delle opinioni espresse dalla dottrina e dei primi arresti della giurisprudenza di merito in tema si vedano L. Troyer, La costituzione di parte civile nei confronti dell’ente imputato ex d.lgs. n. 231/2001, in Dir. prat. soc., 2009, monografia, Il sistema della responsabilità da reato degli enti, 67 e bibliografia ivi richiamata; A. Valsecchi, Sulla costituzione di parte civile contro l’ente imputato ex d.lgs. 231/01, in www.penalecontemporaneo.it. La Suprema Corte ha recentemente escluso la possibilità di costituirsi parte civile nei confronti dell’ente con la sentenza n. 2251/11, in www.penalecontemporaneo.it. 445 Giurisprudenza Diritto penale commerciale to sia ben identificato e non vi sia stata confusione tra il profitto illecito e il patrimonio societario. Il risultato pratico che la soluzione proposta dalla dottrina maggioritaria e dalla Cassazione può produrre appare irragionevole soprattutto nell’ipotesi in cui, per incapienza del patrimonio dell’ente, il danneggiato non possa ottenere la somma di denaro (coincidente con il profitto illecito della società) già oggetto di provvedimento ablatorio, nonché nel caso in cui lo Stato proceda prima all’ablazione del profitto salvo poi agire, in qualità di danneggiato, per ottenere nuovamente quella stessa somma già confiscata. D’altro canto, non persuade nemmeno l’esegesi minoritaria più sopra riportata. In primo luogo, infatti, non convince il percorso argomentativo da cui si fa derivare in caso di incapienza dell’ente la - condivisibile - priorità del risarcimento del danneggiato rispetto alla confisca, giacché si fonda su una equiparazione di due concetti restituzione e risarcimento - che indicano situazioni giuridiche eterogenee e che, nell’ambito dell’art. 19 del Decreto, si caratterizzano per una diversa disciplina. In particolare, tale dottrina, per garantire identico trattamento al danneggiato sia qualora possa avanzare una pretesa restitutoria sia quando richieda il risarcimento del tantundem, si limita ad affermare che «la sorte del diritto alla restituzione non può differire da quella del diritto al risarcimento» (22). Dunque, se si può senz’altro condividere la necessità di garantire identità di trattamento per i soggetti danneggiati, sembra che tale esito interpretativo debba (e, come vedremo, possa) essere fondato su basi argomentative diverse. Sotto altro profilo, anche in questo caso, la duplice apprensione del medesimo profitto illecito, sia mediante risarcimento sia attraverso la confisca, non risolve tutti profili di incostituzionalità della norma e i rischi di overspill e di incapacitazione dell’ente. Il sistema sanzionatorio apprestato dal Decreto adotta una soluzione punitiva polifunzionale: è orientato ad una finalità di prevenzione generale, con l’incentivazione di condotte volte alla minimizzazione dei rischi di commissione di reati attraverso la minaccia di una pena, pecuniaria e interdittiva; di prevenzione speciale, in un’ottica di neutralizzazione soprattutto attraverso le sanzioni interdittive (e nei casi più gravi con la previsione dell’art. 16, c.d. pena capitale degli enti); di retribuzione, con la comminatoria di una pena pecuniaria all’ente ritenuto responsabile; infine, di risocializzazione-rieducazione, ovviamente da intendersi in senso lato, con gli strumenti premiali volti ad incentivare l’adozione dei compliance programs (23). La funzione specifica della confisca di cui all’art. 19, prevista come sanzione principale in virtù della formulazione dell’art. 9 del Decreto, secondo la dottrina pressoché unanime, è peraltro quella di ristabilire il principio per cui crimen non lucrat (24): sotto il profilo general-preventivo, infatti, la confisca mira ad azzerare i vantaggi economici che l’ente può ipotizzare derivino dalla consumazione dell’illecito. In particolare, considerando l’ipotesi, non certamente azzardata, di una sostanziale coincidenza tra societas criminalis e societas oeconomica (25), dunque di una scelta ponderata sulla base di una valutazione costi-benefici operata dagli enti in merito alla decisione se delinquere o meno, e considerando che alla confisca si accompagna la minaccia di una pena pecuniaria ed eventualmente interdittiva, il legislatore mira a rendere economicamente inefficiente la commissione del reato già sul piano astratto, tentando cosı̀ di indurre gli enti a comportamenti virtuosi. L’intento del legislatore si dovrebbe realizzare in quanto, da una parte, la confisca azzera il profitto e, dall’altra, la pena pecuniaria ed eventualmente quella interdittiva costituiscono il quid pluris di afflittività che deve conseguire al reato. La funzione della confisca nel sistema sanzionatorio Note: Al di là degli esiti irragionevoli più sopra analizzati cui l’insegnamento proposto dalla Cassazione pare condurre, un diverso criterio per saggiare più a fondo la bontà della predetta interpretazione può essere individuato nella maggiore o minore capacità di quest’ultima di realizzare gli scopi che il legislatore ha attribuito alla confisca nel sistema delle sanzioni applicabili all’ente. 446 (22) Cosı̀ G. Chiaraviglio, La natura sanzionatoria, cit., 615. (23) Per la ricostruzione teorica della polifunzionalità della pena nelle diverse fasi della previsione, inflizione ed esecuzione della pena seppur in riferimento alle persone fisiche e non giuridiche si veda G. Marinucci - E. Dolcini, Manuale, cit., 5 ss. (24) Si vedano A. Perini, La progressiva estensione, cit., 203; F. Bottalico, Confisca del profitto, cit., 1749 ss., L. Fornari, La confisca del profitto, cit., 74. (25) Sul punto si richiama l’opera di C. E. Paliero, L’economia della pena: un working in progress, in E. Dolcini - C. E. Paliero, Studi in onore di Giorgio Marinucci, I, in part. 593 ove si pone la relazione tra homo oeconomicus e homo criminalis. Le Società 4/2011 Giurisprudenza Diritto penale commerciale Speculare argomentazione vale sotto il profilo special-preventivo, nel caso di sanzione e confisca a seguito di sentenza di condanna definitiva: il legislatore applica all’ente le pene minacciate, ovvero le sanzioni pecuniarie e interdittive, nonché la confisca al fine di sancire in concreto un bilancio economico negativo in ordine al reato. La funzione della confisca di ricondurre ‘‘a somma zero’’ la vicenda criminale (26), come è stato puntualmente rilevato (27), è realizzata ugualmente ove una parte o l’intero profitto, invece di essere oggetto di ablazione da parte dello Stato, sia attribuito al danneggiato a titolo di restituzione o di risarcimento. In tal caso, la confisca, pur mantenendo sul versante del reo la sua efficacia general e special-preventiva, assume per di più rispetto al danneggiato una funzione riparatoria. In particolare, come condivisibilmente affermato, il senso della previsione normativa della clausola di salvezza all’interno dell’art. 19 non può che determinare «un’operatività sussidiaria e residuale della confisca del profitto: le restituzioni e il risarcimento del danno compensano il danno subito dalla vittima, mentre la confisca azzera il guadagno ottenuto dall’ente e lo riporta allo status quo ante» (28). La confisca, in quanto strumentale a riportare l’illecito a ‘‘somma zero’’, non può tuttavia eccedere nel suo oggetto la differenza tra quanto percepito illecitamente dall’ente e quanto quest’ultimo deve restituire o risarcire al danneggiato. Se, diversamente, si sottrae dal profitto confiscabile solamente la parte che può essere restituita (e non quella che deve essere risarcita) si avrà l’irrogazione di una sanzione più grave di quella prevista dall’ordinamento, con uno snaturamento della funzione della confisca che, da istituto (comunque punitivo) volto ad annullare i vantaggi del reato, diverrebbe strumento sanzionatorio ‘in senso stretto’, in tutto sovrapponibile alla pena pecuniaria e a quella interdittiva, aggravando il carico di afflittività che la sanzione comporta, e realizzerebbe una palese disparità di trattamento di situazioni identiche. In particolare, adottando tale soluzione interpretativa, la confisca non porterebbe a ‘‘somma zero’’ il risultato economico dell’attività criminale, ma aggraverebbe il costo del reato oltre le previsioni del legislatore, facendo variare tale aggravamento non sulla base del disvalore dell’illecito, ma in virtù della maggior o minore sovrapponibilità del profitto realizzato rispetto alle somme di cui è dovuto il risarcimento e non è possibile la restituzione. Infatti, ove vi sia coincidenza tra profitto illecito Le Società 4/2011 e somma oggetto di ristoro per il danneggiato, se è possibile la restituzione non si potrà procedere alla confisca. Diversamente, ove vi sia coincidenza tra profitto illecito e somma oggetto di ristoro per il danneggiato, ma non sia possibile la restituzione, l’ente sarà gravato dalla confisca del profitto illecito e tenuto al risarcimento: si realizza cosı̀ una doppia ablazione del medesimo profitto. In quest’ultima ipotesi è evidente che già il risarcimento conduce a ‘‘somma zero’’ l’illecito, cosicché la confisca diviene misura che, al pari della sanzione pecuniaria o interdittiva, costituisce una risposta afflittiva per il reato realizzato. In definitiva, in ipotesi di coincidenza tra profitto illecito e somma oggetto di ristoro per il danneggiato, la funzione della confisca finirebbe per variare in base alla possibilità dell’ente di restituire o solamente di risarcire il danneggiato: nel primo caso il provvedimento ablatorio esclude che il profitto del reato resti all’ente, nel secondo costituisce una misura direttamente afflittiva. È di tutta evidenza che l’interpretazione proposta dalla Cassazione si pone in netto contrasto con il principio costituzionale di legalità della pena (29), senz’altro applicabile all’istituto giacché, come autorevolmente affermato, «se si può - si deve - ammettere che la confisca abbia ormai assunto una fisionomia punitiva, a maggior ragione non può trasformarsi in una sanzione dai confini incerti, scissi dalla gravità del fatto di reato e dipendenti da variabili esterne ed estranee e (...) dal contesto nel quale l’impresa agisce» (30). Inoltre, il principio di uguaglianza sarebbe violato perché condotte identiche subirebbero una diversa risposta punitiva - quanto alla confisca -, dipendente esclusivamente dalla maggiore o minore Note: (26) La felice espressione è di S. Seminara, Disposizioni comuni agli illeciti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato, in Dir. pen. proc., 2006, 12 ed è richiamata da A. Perini, La progressiva estensione, cit., 203. (27) Sul punto si veda l’opera di G. Chiaraviglio, La natura sanzionatoria, cit. (28) In questi termini F. Bottalico, Confisca del profitto, cit., 1757. (29) Non pare vi siano dubbi nell’applicare lo statuto costituzionale del diritto penale alla responsabilità degli enti, giacché anche ove non si volesse riconoscere tale carattere alla responsabilità derivante dal Decreto, sarebbero pacificamente applicabili le garanzie riconosciute dalla CEDU in punto di sanzioni. Sull’applicabilità della CEDU alla responsabilità degli enti si veda, ex pluribus, E. Nicosia, Convenzione europea dei diritti dell’uomo e diritto penale, 2006, 42 ss. (30) Cosı̀ A. Alessandri, Criminalità economica, cit., 2153. 447 Giurisprudenza Diritto penale commerciale coincidenza tra profitto illecito e obblighi di ristoro nei confronti del danneggiato, nonché tra maggiore o minore possibilità di soddisfazione del danneggiato mediante restituzione piuttosto che previo risarcimento. Sotto altro profilo, l’esegesi potrebbe violare il principio di uguaglianza anche in quanto fatti illeciti più gravi verrebbero puniti in maniera meno severa di altri caratterizzati da un disvalore minore: si pensi all’ipotesi più sopra formulata dell’ente che deposita il profitto illecito in un apposito conto, evitando cosı̀ la confisca in virtù della clausola di salvezza in favore del terzo danneggiato. In conclusione, seguendo l’insegnamento della Suprema Corte, la coincidenza tra profitto illecito e oggetto del ristoro per il danneggiato - e, rispetto a tale coincidenza, la possibilità di restituzione diretta piuttosto che l’obbligo di risarcimento - costituisce una variabile che incide sensibilmente sulla confisca, mutando irragionevolmente (sulla base di parametri non previsti dal legislatore) il grado di afflittività della risposta punitiva dell’ordinamento rispetto ad un medesimo illecito. Spunti per una esegesi costituzionalmente conforme dei rapporti tra confisca e diritti dei terzi danneggiati Considerati i profili di incostituzionalità che emergono dall’interpretazione propugnata dal giudice di legittimità quanto ai rapporti tra confisca e diritti dei terzi danneggiati, è possibile prospettare sinteticamente una diversa lettura dell’art. 19 del Decreto, finalizzata a superare le predette criticità contemperando - nel solco di un’interpretazione costituzionalmente conforme (31) - l’interesse punitivo dell’ordinamento, il diritto al ristoro del danneggiato per il danno patito e la tutela dell’ente. Il punto di svolta per fondare una diversa esegesi del provvedimento ablatorio può rinvenirsi nella stessa formulazione letterale delle due ipotesi di confisca disciplinate dall’art. 19 del Decreto e nella loro relazione. Si propone, in altre parole, una lettura secundum legem (32) dell’art. 19, che valorizza la distinzione tra il primo comma, che disciplina la confisca su bene determinato - su cui, specularmente, il danneggiato può vantare un diritto alla restituzione - e il secondo comma, che introduce la confisca per equivalente dei beni dell’ente su cui il leso può avanzare una pretesa risarcitoria. In particolare, al primo comma il legislatore dispone che la confisca «è sempre disposta, con la 448 sentenza di condanna»; tale misura ha, dunque, due caratteristiche fondamentali: è obbligatoria ed incide direttamente su uno o più beni determinati costituenti prezzo o profitto del reato. Trattandosi di provvedimento ablatorio su bene determinato, per tutelare i terzi estranei al reato il legislatore, da una parte, fa salvi i diritti acquisiti dai terzi di buona fede e, dall’altra, garantisce la soddisfazione del danneggiato che goda di un diritto alla restituzione sul bene che costituisce prezzo o profitto. Per l’ipotesi che qui maggiormente interessa, di coincidenza tra profitto e somma che deve essere oggetto di ristoro al danneggiato, se il profitto non si è confuso con il restante patrimonio, non si pone alcun problema di costituzionalità: la clausola di salvezza a favore del soggetto leso garantisce la soddisfazione dello stesso, mentre la confisca interviene esclusivamente nell’eventualità che vi sia una parte di profitto illecito diversa ed eccedente i beni determinati oggetto di restituzione. Nell’ipotesi in cui, viceversa, non sia possibile la confisca sul bene determinato, perché i beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato «si sono consumati o si sono confusi con altri beni nel patrimonio dell’ente (...) o si sono trasformati o sono stati occultati o sono stati ceduti a terzi» (33), il legislatore dispone, al secondo comma dell’art. 19 del Decreto, che la confisca «può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente al prezzo o al profitto del reato». La funzione della confisca di valore resta quella di escludere che l’ente possa godere del profitto derivante dal reato, anche nel caso in cui il provvedimento ablatorio non possa intervenire su un bene determinato. In tale ipotesi è di tutta evidenza come nessun terzo possa vantare diritti alla restituzione dipendenti dal reato sui beni oggetto del sequestro prodromico alla confisca, giacché si tratta di beni che non costituiscono direttamente il profitto del reato, ma hanno semplicemente rispetto a questo un valore equivalente. In altre parole, i beni oggetto di Note: (31) Per un quadro generale su tale tecnica argomentativa si veda M. D’Amico - B. Randazzo (a cura di), Interpretazione conforme e tecniche argomentative, 2009; si veda, inoltre, sull’interpretazione conforme a fonti sovranazionali, F. Viganò, Il giudice penale e l’interpretazione conforme alle norme sovranazionali, in P. Corso-E. Zanetti (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani, Vol. II, 2010, in particolare 619 e 649 e ss.. (32) Sul punto, F. Viganò, Il giudice penale, cit., 651 e ss.. (33) In questi termini S. Giavazzi, Commento sub art. 19, cit., 186. Le Società 4/2011 Giurisprudenza Diritto penale commerciale confisca di valore potrebbero esclusivamente essere beni su cui il danneggiato può soddisfare, mediante esecuzione, il suo diritto al risarcimento. Ciò detto, al fine di superare le criticità più sopra analizzate, restando nell’alveo di un’interpretazione rispettosa del dato letterale della norma, merita di essere valorizzato il fatto che la confisca di valore non sia obbligatoria ma facoltativa (34). Il carattere facoltativo della confisca di valore deriva dalla diversa formulazione letterale del secondo comma rispetto al primo: mentre, infatti, per la confisca su bene determinato la norma indica che «è sempre disposta, con la sentenza di condanna», per la confisca di valore manca una simile indicazione e, anzi, si utilizza il verbo ‘‘potere’’, lasciando cosı̀ discrezionalità al giudice in ordine all’adozione del provvedimento ablatorio. Si consideri, controfattualmente, che, se il legislatore avesse voluto investire anche la confisca per equivalente del carattere dell’obbligatorietà, avrebbe adottato anche del secondo comma una formulazione prescrittiva, speculare a quella del primo, disponendo, ad esempio, che tale provvedimento ablatorio ‘‘deve avere ad oggetto’’ oppure ‘‘ha ad oggetto’’ beni di valore equivalente al prezzo o al profitto. Valorizzando, dunque, il dato testuale dell’art. 19, comma 2, sarebbe possibile evitare la doppia apprensione del profitto (tramite confisca e risarcimento) nonché soddisfare il danneggiato e garantire al contempo il principio per cui crimen non lucrat, attraverso la confisca di valore limitata alla sola differenza tra il profitto derivante dal reato e la somma oggetto di risarcimento al danneggiato. Tale limitazione dell’oggetto della confisca è possibile giacché se la confisca di valore è facoltativa nell’an non si vede per quale ragione non dovrebbe esserlo anche nel quantum. Infine, quanto al sequestro funzionale alla confisca di cui all’art. 53 del Decreto, questo resta possibile sull’intero profitto o prezzo, sia ove avvenga su bene determinato sia ove si realizzi per equivalente: in seguito, qualora l’ente debba procedere alle restituzioni o al risarcimento, la parte d’interesse per il danneggiato potrà essere dissequestrata, mantenendo il sequestro sulla differenza tra il profitto derivante dal reato e la somma oggetto di riparazione per il danneggiato. Successivamente, solo la parte residuale del sequestro potrà costituire l’oggetto della confisca. Un procedimento del tutto simile, d’altra parte, è già stato adottato dal G.i.p. presso il Tribunale di Milano, in una vicenda processuale in cui il profit- Le Società 4/2011 to dell’ente era in tutto coincidente con il danno patito dal danneggiato che, per tale danno, era già stato risarcito dall’ente stesso (35). La soluzione prospettata, rispettosa del dato letterale dell’art. 19, sembrerebbe permettere il superamento di quelle criticità più sopra rilevate e, in particolare, del rischio che la misura della confisca dipenda da una variabile - quale la mera confusione del profitto conseguito con il reato nel patrimonio societario - differente dalla misura del profitto illecito effettivamente incamerato dall’ente e che il provvedimento ablatorio finisca per sanzionare in maniera sproporzionata - ben oltre la ‘‘somma zero’’ - l’ente, senza peraltro tutelare il diritto al risarcimento del terzo danneggiato dal reato. Note: (34) La dottrina unanime non distingue, quanto al carattere obbligatorio o facoltativo della confisca, tra provvedimento ablatorio su bene determinato o per equivalente, dunque tra i due commi dell’art. 19, ritenendo la confisca sempre obbligatoria. Si vedano sul punto, M. Riverditi, La responsabilità degli enti: un crocevia tra repressione e specialprevenzione. Circolarità e innovazione dei modelli sanzionatori, 2009, 308 ss.; M. Vizzardi, Commento sub art. 19, cit., 230 e ss.; S. Giavazzi, Commento sub art. 19, cit., 173. (35) Si tratta dell’ordinanza di dissequestro del 19 febbraio 2009, nel procedimento penale n. 9335/08, inedita. 449