agenzia adiconsum • anno 12 - n. 16 • 17 aprile 2000 1/2000 1547 - speciale giustizia Azione inibitoria e condizioni contrattuali relative ad un servizio pubblico I Il grande interesse e novità della ordinanza del Tribunale di Palermo induce a delle riflessioni sulle principali tematiche affrontate dal provvedimento cautelare. 1) La giurisdizione dell’A.G.O. in materia di azione inibitoria ex art. 1469 sexies c.c. L’art. 1469 sexies c.c. è chiaro nel demandare l’azione inibitoria alla giurisdizione del Giudice ordinario. Il primo comma dell’art. 1469 sexies stabilisce infatti che l’azione deve essere promossa innanzi al “giudice competente”, mentre il secondo comma dello stesso articolo prevede che l’azione possa essere promossa in via d’urgenza “ai sensi degli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile” (e pertanto la si sottopone alle norme del giudizio cautelare innanzi il Giudice ordinario). E’ quindi evidente che il Giudice competente per l’azione inibitoria è il Giudice ordina- associazione italiana difesa consumatori promossa dalla cisl rio “a meno che non si voglia pervenire alla conclusione (certamente insostenibile) che la giurisdizione cambi a seconda che una stessa azione venga esperita in via ordinaria o in via d’urgenza” (Tribunale di Palermo, Adiconsum - Si.re.mar. S.p.A., sentenza n. 326/99 del 3/2/99 in Foro It. 1999, I, 2085). A ciò si aggiunga che l’art. 1469 - bis, II c., c.c. stabilisce che il professionista (cioè colui nei confronti del quale è esperibile l’azione inibitoria) è “la persona fisica o giuridica, pubblica o privata, che nel quadro della sua attività imprenditoriale .... utilizza il contratto....” (anche sul punto si confronti il provvedimento sopra menzionato). Il legislatore ha pertanto voluto escludere la rilevanza della natura del soggetto predisponente, per prendere in esame soltanto la caratteristica principale dei “contratti di massa” e cioè la mancanza di contrattazione e la conseguente possibile iniquità delle clausole unilateralmente previste. Via Lancisi 25 - 00161 ROMA tel. 064417021 - fax 0644170230 homepage: www.adiconsum.it e-mail: [email protected] • Reg. Tribunale di Roma: n. 350 del 9.06.88 • Sped. abb. post. comma 20/c art.2 L.662/96 - Filiale di Roma • Stampato in proprio in aprile 2000 settimanale di informazione adiconsum Non appare corretto ritenere che le azioni inibitorie in materia di condizioni generali di contratto predisposte da un ente che gestisce in concessione il servizio di acquedotto siano rimesse alla giurisdizione del Giudice Amministrativo in virtù dell’art. 33 del d. legl. n. 80/98. La normativa del d. legl. 80/98 (a prescindere dalle considerazioni che si esporranno in seguito circa la sua corretta interpretazione) non può derogare la disciplina codicistica dell’art. 1469 sexies c.c.. Quest’ultimo ha infatti introdotto una nuova azione collettiva, che presenta caratteristiche peculiari e speciali rispetto agli altri rimedi processuali e quindi, in base ai nostri principi giuridici, l’art. 1469 sexies c.c. non può ritenersi abrogato o modificato da una legge sì successiva, ma generale. E tale assunto è confermato dalla circostanza che anche l’azione inibitoria prevista dall’art. 3 legge 30 luglio 1998 n. 281 (e cioè l’azione inibitoria “generale”, di recente introdotta dal legislatore, non riferita alle clausole contrattuali vessatorie, ma volta a inibire “atti e comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti”) “nei casi in cui ricorrano giusti motivi d’urgenza si svolge a norma degli articoli 669-bis e seguenti del codice di procedura civile” (6° comma art. 3 L. 281/98). Il legislatore quindi in una legge successiva al d. legl. 31 marzo 1998 n. 80 (la 281/98 è del 30/7/98, mentre il decr. legl. 80/98 è del 31/3/98), e che prevede un’azione sostanzialmente analoga a quella di cui all’art. 1469 sexies c.c., fa nuovamente riferimento agli articoli 669-bis e seguenti c.p.c., dimostrando che - per la specialità delle questioni - intende rimettere le azioni inibitorie di tutela del consumatore alla giurisdizione del Giudice ordinario: si appalesa quindi la circostanza che il d. legl. 80/98 non deroga la particolare disciplina prevista dal codice civile. Del resto, se il legislatore avesse voluto rimettere la questione ai Tribunali giuridici amministrativi, si sarebbe riferito alla sospensione dell’efficacia del provvedimento impugnato e non vi sarebbe stata l’indicazione degli artt. 669-bis e seguenti c.p.c.. In ogni caso, anche a prescindere dalle argomentazioni appena esposte, l’odierna controversia - pur ipotizzando l’applicabilità del d. legl. 80/98 - sarebbe sempre rimessa all’A.G.O.. Si deve infatti sottolineare che il d. legl. 80/98 esclude dalla giurisdizione dei T.A.R. “i rapporti individuali di utenza con soggetti privati”; e la presente azione inibitoria riguarda, per l’appunto, rapporti individuali di utenza con soggetti privati, giacché l’eventuale suo accoglimento viene a modificare esclusivamente la regolamentazione dei rapporti individuali di utenza, eliminando alcune delle regole contrattuali. Si consideri inoltre che l’azione collettiva di un ente esponenziale costituisce la sommatoria delle azioni individuali dei consumatori rappresentati e quindi è riferita ai singoli rapporti di utenza; e ciò anche perché l’associazione dei consumatori svolge la funzione di “sostituto processuale” dei singoli consumatori. Sull’argomento si è già espresso il Prof. Giorgio De Nova, che, al recente convegno organizzato a Bruxelles dalla Commissione Europea (1-3/7/ 99 - The ‘Unfair Terms’ Directive, 5 years on), ha intitolato un paragrafo della propria relazione ‘La giurisdizione del giudice ordinario’, sostenendo quanto si trascrive: “Il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 80 recante “Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa emanate in attuazione dell’art. 11, comma 4 della legge 15 marzo 1997, n. 59” (“Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa”) prevede all’art. 33 che “Sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie in materia di pubblici servizi (...). Tali controversie sono in particolare quelle (...) riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell’espletamento di pubblici servizi (...) con esclusione dei rapporti individuali di utenza con soggetti privati, delle controversie in materia di invalidità”. Rimane dunque ferma la competenza del giudice ordinario nelle controversie, sia individuali sia collettive, relative alla vessatorietà delle clausole nei contratti con i consumatori.” Quest’ultima in particolare è una considerazione determinante, giacché è palese che l’azione inibitoria tende a far dichiarare l’inefficacia di alcune clausole, inefficacia che altro non è se non una forma di invalidità: l’azione inibitoria pertanto, quale controversia in materia di invalidità, resta di competenza del Giudice ordinario. Si rifletta infine sulla circostanza che qualora si dovesse ritenere sussistere la giurisdizione del Giudice amministrativo, si avrebbe un sistema “schizofrenico”, nel quale la vessatorietà delle clausole contrattuali nel caso di azione inibitoria promossa da un’associazione dei consumatori verrebbe valutata dal Giudice amministrativo, mentre nell’ipotesi di contestazione sollevata da un singolo consumatore, la valutazione sarebbe del Giudice ordinario: è mai possibile, ed ha un qualche senso logico, un sistema del genere? Si consideri infine che si porrebbe un problema d’inapplicabilità della tutela d’urgenza (con conseguente violazione della normativa comunitaria), giacché l’art. 21 l. 1034/71, esclude la tutela cautelare ante causam e la conseguente applicabilità degli artt. 669 bis e segg. c.p.c. innanzi al Giudice amministrativo (sul punto T.A.R. Lombardia, ord. 19/6/1998 in Dir. proc. amm., 1998, 729). 2) La rappresentativita’ delle associazioni: rapporti fra art. 3 l. 281/98 ed art. 1469 sexies c.c.. E’ di tutta evidenza la distinzione tra un giudizio ex art. 1469 sexies c.c., introdotto dalla legge n. 6 febbraio 1996 n. 52, che - novellando il codice civile - ha dato attuazione all’art. 7 della direttiva 93/13/CEE relativa alle clausole abusive; ed uno ex art. 3 la L. 281/98, che disciplina, in genere, i diritti dei consumatori e degli utenti e prevede poi provvedimenti inibitori a tutela dei loro interessi. La 281/98 è una legge con scopi e finalità differenti, che, proprio per tali motivi, non deroga né modifica in alcun modo il codice civile (del resto la riforma sulle clausole vessatorie è stata inserita nel codice civile proprio per sottolinearne l’importanza e l’autonomia dalle altre normative di settore). E’ quindi pacifico, ed incontrovertibile, che nes- 12345678901 12345678901 12345678901 12345678901 2 12345678901 12345678901 settimanale di informazione adiconsum suna modifica, né esplicita né implicita, abbia apportato all’art. 1469 sexies c.c. la 281/98, cosicché la rappresentatività delle associazioni che agiscono in sede di inibitoria contrattuale dovrà essere valutata - come accaduto sino ad oggi - dall’organo giudicante. E’ tuttavia ipotizzabile che l’elenco delle associazioni rappresentative ex art. 8 L. 281/98 costituirà un indice di riferimento per i Magistrati che dovranno valutare la rappresentatività delle associazioni dei consumatori ex art. 1469 sexies c.c. Fra l’altro, se così non fosse, si sarebbe verificato un lungo “vuoto normativo”, giacché per molti mesi dopo l’approvazione della L. 281/98 nessuna associazione era stata riconosciuta, con la conseguenza che in tale periodo nessuna associazione avrebbe potuto agire in sede d’inibitoria ex art. 1469 sexies c.c.. 3) La rappresentatività dell’associazione in un ricorso ex art. 1469 sexies. La rappresentatività dell’associazione dei consumatori è quindi - ancora oggi - rimessa all’apprezzamento dell’organo giudicante. Gli indici di rappresentatività individuati dalla giurisprudenza e dalla dottrina, sono relativi all’attività svolta in passato a favore dei consumatori, alle svariate iniziative giudiziarie già poste in essere, al radicamento nel territorio ed al riconoscimento pubblico avuto dal sodalizio nonché alla finalità statutarie del sodalizio. 4) I giusti motivi d’urgenza e l’inibitoria cautelare L’art. 1469 sexies c.c. ha introdotto un’azione inibitoria di carattere preventivo e collettivo, che prescinde dalla lesione effettiva dei diritti del consumatore, ma che tende a verificare e contrastare, sotto un profilo potenziale, i danni alla sfera giuridico-patrimoniale dei contraenti deboli. Questo significato appare palese sia leggendo il testo normativo, sia facendo riferimento alla direttiva 93/13/CEE, che prevede un’azione per far cessare l’inserimento di clausole vessatorie nelle condizioni generali di contratto predisposte dei professionisti. E’ chiaro tuttavia che - facendo riferimento al dato normativo nazionale - si deve distinguere l’azione inibitoria in via ordinaria da quella in via cautelare ex art. 669 bis e segg. c.p.c.. E’ altrettanto evidente però che tale differenziazione andrà comunque analizzata ed interpretata secondo quelle che sono le finalità della legge (ex art. 12 disp. prel. c.c.) ma soprattutto “alla luce della lettera e dello scopo della summenzionata direttiva,” che all’art. 7 n. 2 prevede che vi siano mezzi di tutela adeguati ed efficaci per eliminare eventuali clausole abusive presenti in condizioni generali di contratto (su tale punto cfr. fra le altre C.G.C.E. Kolpinghuis NIJMEGEN B V 8/10/87). Sotto questo aspetto vanno quindi esaminate le parole “giusti motivi” di urgenza”. A tal proposito si evidenzia in primo luogo che il legislatore ha inserito la parola “giusti” mentre in altri procedimenti cautelari ha sovente utilizzato la parola “gravi”. Ciò fa capire immediatamente che il criterio di distinzione fra l’azione in via d’urgenza e quella in via ordinaria vada correlato a circostanze da individuare discrezionalmente da parte del G.D., quasi “in via equitativa”: il termine “giusti motivi” è spesso usato dal legislatore in caso di valutazioni rimesse alla discrezionalità del Magistrato (cfr. ad es. Art. 92, II c., c.p.c. e art. 156, ult. comma, c.c.) e sicuramente differenti dai presupposti di cui all’art. 700 c.p.c.. Il collegio del Tribunale di Palermo in una precedente controversia (Foro It., 1997, I, 3387) ha analizzato la problematica in oggetto evidenziando che: “Il requisito della sussistenza di giusti motivi di urgenza condiziona la concedibilità dell’inibitoria nelle forme del c.d. rito cautelare uniforme, anziché - è da ritenere - in quelle del giudizio ordinario di cognizione. Il significato del richiamato elemento della fattispecie normativa non può certamente sovrapporsi a quello della categoria del periculum in mora, elaborato dalla giurisprudenza proprio in materia cautelare, per la evidente inconciliabilità fra canoni di giudizio strutturalmente e teologicamente ancorati a controversie individuali e tendenzialmente successive ad un evento pregiudizievole, ovvero anteriori a questo ma nell’imminenza della sua manifestazione, ed un giudizio di carattere preventivo e generale, la cui peculiarità funzionale è proprio quella di evitare che un pregiudizio, anche potenziale, abbia a colpire la categoria dei consumatori, a prescindere da una attuale lesione di diritti soggettivi. Poiché, come è stato osservato, l’inibitoria mira ad evitare che il contenuto di condizioni generali inique venga trasfuso nei contratti individuali, essa opera in una fase anteriore a quella in cui può configurarsi un pregiudizio, tradizionalmente inteso, in danno del singolo consumatore, sicché ricondurre i “giusti motivi di urgenza”, nella terminologia o nei contenuti, al periculum in mora, vuol dire non tener conto della specificità del giudizio, con conseguente svuotamento della pratica operatività del nuovo strumento di tutela... Conseguentemente, la concessione dell’inibitoria c.d. urgente richiede la sussistenza di ragioni specifiche, ancorché non parametrate su di un concreto pregiudizio ma modellate in relazione al particolare tipo di azione proposto, tali da giustificare il ricorso al rimedio previsto in via eccezionale piuttosto che a quello previsto in via ordinaria. Ritiene il collegio che, in tale operazione ermeneutica, sicuri e condivisibili punti fermi siano stati individuati nell’ordinanza impugnata con riferimento alla natura del diritto per il cui esercizio è necessario accedere alla stipulazione del contratto le cui clausole sono ritenute abusive, alla situazione strutturale del mercato, ed alla potenziale diffusività delle clausole abusive...” Per completezza si deve anche segnalare quella che è la posizione di molti autori che hanno scritto sull’argomento dei giusti motivi d’urgenza. Parte della dottrina ritiene infatti che il rimedio ex art. 1469 sexies, II c., c.c. sia da configurare quale azione “nella quale il periculum in mora è insito nello stesso fenomeno che la norma è chiamata a regolare e la cui esistenza è, pertanto, già stata valutata positivamente dal legislatore” (cfr. G.M. Arnone in Foro It., 1997, parte I, pag. 296 analogamente Bin, “Clausole vessatorie: una svolta storica”, in Contratto e impresa/Europa, 1996, fasc. 2). Del resto se è pur vero che si deve fare una differenza fra l’azione d’urgenza e quella in via ordinaria, nessuna 12345678901 12345678901 12345678901 12345678901 3 12345678901 12345678901 settimanale di informazione adiconsum norma stabilisce che quest’ultima sia la regola e quella in via cautelare l’eccezione: anzi - in una materia così particolare e rilevante - appare opportuno il contrario (si consideri che una posizione analoga è espressa da parte della giurisprudenza per quanto concerne i provvedimenti cautelari in materia di tutela del marchio). La linea giurisprudenziale del Tribunale di Palermo appare condivisa dallo stesso Governo italiano, che, rispondendo alle contestazioni della Commissione Europea circa l’eventuale erronea trasposizione della direttiva 93/13/CEE, ha scritto: “L’ultima questione che la Commissione richiama all’attenzione del Governo italiano come possibile caso di cattiva applicazione della direttiva è quella relativa all’inibitoria urgente a tutela dagli interessi collettivi dei consumatori. La Commissione osserva che l’art. 1469-sexies c.c. è interpretato in modo eccessivamente restrittivo dall’autorità giudiziaria italiana... Nel recepire la direttiva, il legislatore italiano ha coerentemente distinto il caso della tutela ordinaria (comma 1) da quello della tutela cautelare in via d’urgenza (comma 2). In questo secondo caso, ha parlato di <<giusti motivi di urgenza>> e non di <<pregiudizio imminente ed irreparabile>> (formula utilizzata dall’art. 700 c.p.c. in tema di condizioni per la concessione del provvedimento d’urgenza); va così apprezzata la scelta del legislatore italiano per una soglia meno elevata, nel caso di specie, di accesso alla tutela cautelare anticipatoria d’urgenza, in quanto filtrata non già dal riscontro di pregiudizi imminenti ed irreparabili, ma semplicemente dalla verifica che sussistano giusti motivi idonei ad anticipare la tutela inibitoria ad un momento in cui l’accertamento estremamente complesso e quindi sovente non breve - della abusività delle clausole non sia stato ancora compiuto ex professo, ma si possa semplicemente ritenere destinato a sortire un esito positivo per l’attore collettivo. ... Giova osservare, infatti, che lo strumento apprestato dal legislatore mediante l’art. 1469sexies c.c. è finalizzato al controllo generale e preventivo sulle clausole adottate da professionisti nella generalità dei contratti per verificare la loro rispondenza ai principi previsti dagli artt. 1469-bis e seguenti c.c.; l’azione inibitoria si presenta pertanto come il rimedio per impedire che, utilizzando formulari contenenti clausole abusive, vengano, nelle more dell’ordinario giudizio di cognizione, stipulati ulteriori contratti. Non può pertanto darsi spazio ad una valutazione qualificativa degli interessi coinvolti, né valutare in concreto il pregiudizio economico che il consumatore singolo può andare a patire per effetto del contratto stesso; deve invece far riferimento alla diffusività del fenomeno contrattuale in uso. In altre parole va considerata la portata della contrattazione in essere e l’ipotesi che, nelle more del procedimento, continui ad essere utilizzata la prassi contrattuale in parte - abusiva - perché sfavorevole al consumatore, in vasta scala; in tali casi vi è elevata probabilità che le clausole continuino a provocare danni, ed il malfatto medio tempore ben difficilmente sarà suscettibile di riparazione, nella presumibile inerzia del consumatore, rendendo impossibile il riequilibrio degli interessi. Diversamente argomentando non v’è chi non veda la pratica inapplicabilità della cautela invocata, rari essendo i casi di beni effettivamente <<essenziali>>- con ciò intendendosi necessari per lo svolgimento delle più elementari ed indispensabili pratiche di vita, ovvero beni o servizi in regime di monopoli - oggetto di contrattazione. Il Tribunale di Palermo (ord. 5 settembre 1997, in Foro it., 1997, I, c. 3009) ha deciso che <<sussistono i motivi d’urgenza, richiesti dall’art. 1469sexies, cpv., c.c. per la concessione della tutela inibitoria cautelare, qualora le clausole vessatorie regolino una prestazione, relativa ad un diritto fondamentale della persona, e fornita in regime di monopolio e siano destinate a disciplinare un elevato numero di rapporti contrattuali (nella specie, si trattava di clausole di un contratto di trasporto marittimo)... ...La dottrina, è, del suo canto, assolutamente concorde nel ritenere che l’art. 1469-sexies abbia inteso modellare in termini più accessibili il requisito del periculum in mora in relazione agli specifici provvedimenti di urgenza inibitori che risultino strumentali all’assicurazione della piena effettività della decisione di merito sull’azione collettiva, allontanandosi per questa ipotesi dallo standard particolarmente elevato del pregiudizio imminente e (soprattutto) irreparabile, per appagarsi del riscontro da parte del giudice di una generica situazione di urgenza nel provvedere a disciplinare restrittivamente (se non sempre a inibire totalmente) l’uso delle clausole... ...Per altro verso, risulta piuttosto evidente che la giurisprudenza - che ancora non ha maturato una apprezzabile continuità di orientamenti, ma che si è già più volte espressa in modo difforme dal primo orientamento restrittivo del giudice torinese - non potrà non attestarsi sul principio, già suggerito da molta dottrina, secondo cui il rimedio dell’art. 1469-sexies, comma 2, configura un’azione nella quale il periculum in mora è insito nello stesso fenomeno che la norma è chiamata a regolare e la cui esistenza è, pertanto, già stata valutata positivamente dal legislatore attraverso la tipizzazione di un’autonoma misura cautelare. Il procedimento delineato dall’art. 1469-sexies verrebbe così ad aggiungersi al catalogo dei procedimenti cautelari nei quali il legislatore esplicitamente consente che il giudice possa (e debba) emanare un provvedimento cautelare prescindendo da qualsiasi indagine sulla sussistenza del requisito del periculum, e ciò perché è lo stesso legislatore ad aver valutato a livello di previsione generale e astratta l’esistenza di un periculum. Questa via interpretativa è perfettamente in linea con i principi animatori della politica comunitaria e, allo stesso tempo, non è certamente in contraddizione con il dato letterale della norma. Va infatti considerato che l’art. 8 della direttiva 93/ 13 autorizzava gli Stati membri soltanto ad adottare o mantenere disposizioni più severe di quelle introdotte con la direttiva: ... non è ricevibile una lettura dell’art. 1469-sexies che si ponga in contrasto con la lettera e con gli scopi della direttiva di riferimento o, più in generale, con le indicazioni comunitarie in tema di protezione dei consumatori. Riducendo la portata applicativa dell’inibitoria urgente, si rischia invece di entrare in conflitto 12345678901 12345678901 12345678901 12345678901 4 12345678901 12345678901 settimanale di informazione adiconsum sia con il più volte citato art. 7 della direttiva 93/13, nella parte in cui impone agli Stati membri l’adozione di misure realmente efficaci per la repressione delle clausole abusive, sia con la più recente proposta di direttiva in materia di azione consumeristica.” Si ritiene quindi che quanto scritto in un atto ufficiale della Repubblica Italiana confermi la linea interpretativa sopra esposta, evidenziando quale sia stata l’intenzione del legislatore e rappresentando, dunque, uno strumento interpretativo delle parole “giusti motivi d’urgenza”. Avv. Alessandro Palmigiano 1548 - speciale giustizia Commercio elettronico e firma digitale Nozioni introduttive Lo sviluppo del diritto dell’informatica ha costretto i governi di tutto il mondo e le organizzazioni sovranazionali a ricercare soluzioni giuridiche nuove per regolamentare, in maniera uniforme, una realtà economica ormai priva di confini spazio/temporali. Così dopo la tutela del software e delle banche dati, è la volta del riconoscimento giuridico del documento informatico, senza il quale non sarebbe possibile creare le condizioni per garantire e tutelare lo sviluppo del commercio elettronico. Il passaggio dal documento cartaceo a quello informatico costituisce una rivoluzione socio-culturale-economica di così ampia portata, da richiedere specifici interventi di adeguamento degli ordinamenti giuridici, sia nell’ambito dei paesi di ispirazione latino-germanica che di quelli di common law, tutti fondati da sempre su un concetto cartaceo di documento. L’Italia, dopo numerosi interventi normativi frammentari, si è portata all’avanguardia rispetto al panorama giuridico internazionale, con l’approvazione di un pacchetto di provvedimenti che ha riconosciuto nel nostro ordinamento, per la prima volta a livello generale, il valore giuridico del documento informatico e ha introdotto il sistema della firma digitale (art. 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59, la cd. legge “Bassanini”, del relativo regolamento emanato con D.p.r. 513/ 1997 e delle regole tecniche approvate con Decreto del Presidente del consiglio dei ministri dell’8 febbraio 1999). Contemporaneamente è stata recepita la direttiva 97/7/CE sulla tutela dei consumatori in materia di contratti conclusi a distanza (D.lgs. 22 maggio 1999, n. 185) ed è stato approvato, con D.p.r. 28 luglio 1999, n. 318, il regolamento sulle misure minime di sicurezza previste dall’art. 15 della legge n. 675/1996, in materia di privacy. contenuti in un messaggio, da un computer ad un altro collegati in rete. La telematica permette l’elaborazione e la trasmissione dei dati a distanza e a grandissima velocità. Per questa ragione, a proposito di Internet, è stata coniata la fantasiosa espressione “autostrada informatica”: Internet consiste in un’infrastruttura che permette il movimento di bite e, tramite questi, di tutte le informazioni che possono essere digitalizzate. “Commercio elettronico” è un’espressione che, in prima approssimazione, definisce lo scambio di beni e servizi attraverso una rete telematica. E’ nota la distinzione, a questo proposito, tra commercio elettronico “diretto” e “indiretto”: • Si parla di commercio elettronico “diretto” quando l’oggetto del contratto è un bene immateriale, generalmente un servizio (come ad esempio l’accesso ad una banca dati, un’informazione di borsa o anche un software), che viene trasmesso/consegnato al cliente, online, tramite Internet. • Si parla di commercio elettronico “indiretto” invece, quando l’oggetto del contratto è un bene materiale (ad esempio un libro, un computer, un CD, un mazzo di fiori, ecc.), che viene quindi ordinato sul Web e spedito tramite corriere espresso. Più propriamente si parla di e-commerce facendo riferimento a tutte quelle attività e scambi di informazioni che ruotano intorno alle transazioni economiche fra soggetti e organizzazioni, incluse le pubbliche amministrazioni. In ogni caso il “commercio elettronico” costituisce il termine generale con il quale viene definito l’impiego di reti di computer Internet e non Internet per operare una crescente varietà di transazioni, tra cui i sistemi di pagamento elettronici come le carte di credito e, più recentemente, la vendita al consumatore di beni e servizi. In definitiva sono state ormai pacificamente individuate quattro categorie di commercio eletLa disciplina nazionale tronico: 1) business to business (che riguarda i Allo sviluppo delle reti telematiche (Internet è rapporti tra imprese o, comunque, tra operatori un insieme di reti di telecomunicazioni che sfrutprofessionali), 2) business to consumer (che ritano particolari tecnologie, per ottimizzare (speguarda i rapporti tra impresa e consumatori), 3) cialmente a livello economico) la trasmissione di public agencies to business (che si occupa delle dati, informazioni (documenti, immagini o suoni) transazioni elettroniche tra impresa e Pubblica in tutto il mondo in tempo reale) ha fatto risconAmministrazione, come gli adempimenti fiscali), tro la progressiva dematerializzazione dei docu4) public agencies to citizens (che si occupa delmenti cartacei e la diversa modalità di scambio l’erogazione elettronica dei servizi al cittadino). degli stessi. Alla consegna manuale o spedizione La nostra attenzione si soffermerà sulla catesi sostituisce la trasmissione elettronica dei 12345678901 dati, goria business to consumer. 12345678901 12345678901 12345678901 5 12345678901 12345678901 settimanale di informazione adiconsum Il contratto concluso tramite Internet Abbiamo visto che Internet, grazie all’infrastruttura globale della rete, ai bassi costi imposti e alla sempre minor necessità di avvalersi di intermediari, è uno strumento che può essere utilizzato non solo come “vetrina” per pubblicizzare prodotti e servizi, ma soprattutto come mezzo di distribuzione e vendita diretta. A tal proposito si pongono numerosi problemi di ordine giuridico, che abbracciano trasversalmente i vari settori del diritto. E’ necessaria una preliminare distinzione tra il caso in cui l’acquirente/utente sia un operatore professionale (azienda, libero professionista, artigiano, commerciante, ecc.) e il caso in cui questi sia un consumatore. L’imprenditore interessato ad utilizzare Internet, una volta predisposto il proprio sito in modo che il visitatore/potenziale acquirente prenda conoscenza dei beni e servizi a disposizione, dovrà adattare il meccanismo di conclusione dell’accordo alle modalità esecutive tipiche del mezzo telematico. In altri termini, sarà necessario organizzare lo scambio di informazioni a video, tra fornitore e acquirente, in modo da realizzare un accordo contrattuale corretto. L’aspetto rilevante, che comporta notevoli differenze di disciplina giuridica, a prescindere dalle modalità di conclusione del contratto, è quello della qualificazione dell’acquirente come consumatore. E’ per questa ragione che, anche per il commercio elettronico, convenzionalmente si distingue il business to business dal business to consumer. Si considera consumatore, in relazione a contratti per la cessione di beni o la prestazione di servizi, la persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta (Cfr. art. 1469-bis, c.c.; art. 2, comma 1, D.lgs 15 gennaio 1992, n. 50; Carta europea di protezione dei consumatori del 1973; art. 2 L. 30 luglio 1998, n. 281; art. 2 Dir. 97/7/CE del 20 maggio 1997, recepito nell’art. 1, comma 1, lett. b del D.lgs 22 maggio 1999, n. 185). La categoria business to consumer comprende i processi di vendita al dettaglio, in cui i soggetti coinvolti sono l’impresa, che offre i propri prodotti (in senso lato), e il consumatore. Grazie all’impiego di Internet, un’impresa è in grado di entrare in contatto con un numero praticamente illimitato di consumatori, dislocati in ogni parte del mondo. Tale vantaggio è però accompagnato dall’osservanza di una serie di obblighi, imposti da normative di vario livello per garantire la tutela del consumatore/persona fisica, considerato parte debole del rapporto. Risulta necessario individuare quali siano le prescrizioni che le imprese sono tenute ad osservare nel formulare offerte di prodotti e servizi online da rivolgere ai consumatori. Innanzitutto, la riforma della disciplina relativa al settore del commercio (D.lgs 31 marzo 1998, n. 114, art. 18, comma 2) stabilisce che: “E’ vietato inviare prodotti al consumatore se non a seguito di specifica richiesta. E’ consentito l’invio di campioni di prodotti o di omaggi, senza spese o vincoli per il consumatore”. In secondo luogo, ai contratti conclusi mediante l’uso di strumenti informatici o telematici si applica il D.lgs 15 gennaio 1992, n. 50 in materia di contratti negoziati fuori dai locali commerciali (l’applicazione del D. Lgs. 50/1992 è stata inoltre confermata dal rinvio operato dall’art. 11, comma 2, del D.p.r. 513/1997). Questa disciplina, basandosi sul presupposto che il consumatore nel caso di vendite cd. aggressive (a domicilio, per corrispondenza, su catalogo ecc.) non svolge parte attiva nel rapporto non avendo presumibilmente tempo sufficiente a ponderare la decisione di acquisto, ha attribuito al consumatore il diritto di recesso (art. 4). Da ciò discende l’obbligo, per l’operatore commerciale, di informare i consumatori al momento dell’acquisto, del diritto in questione. Il consumatore che intende esercitare il diritto di recesso dovrà inviare al fornitore una comunicazione in tal senso nel termine di sette giorni. Tale termine, in base al nuovo D.lgs 185/1999 sulle vendite a distanza, è stato aumentato sino a 10 gg), che decorrono: • nell’ipotesi di contratti riguardanti la fornitura di beni, dalla data di ricevimento della merce; • per i contratti riguardanti la prestazione di servizi dalla data di ricezione dell’informativa. Per evitare confusione ed incertezze interpretative è comunque preferibile che sia l’operatore stesso a indicare il termine di decorrenza e soprattutto le modalità, ad esempio via e-mail, di comunicazione del recesso. Ad ulteriore tutela dei consumatori è intervenuto inoltre il D.lgs 22 maggio 1999, n.185, che ha recepito la Direttiva 97/7/CE del 20 maggio 1997 in materia di contratti a distanza, quei contratti cioè concernenti beni o servizi stipulati tra un fornitore e un consumatore ed interamente negoziati con tecniche di comunicazione a distanza. La nuova normativa ribadisce, rafforzandola, la disciplina già descritta per i contratti negoziati fuori dai locali commerciali, sovrapponendosi a quest’ultima. L’art. 15, comma 2 del D.Lgs. 185/1999 stabilisce infatti che, in attesa dell’emanazione di un Testo Unico di coordinamento delle legislazioni in materia (D.lgs 50/1992, D.lgs 114/1998 e D.lgs 185/ 1999) “...si applicano le disposizioni più favorevoli per il consumatore contenute nel presente decreto legislativo”. Considerando che l’informazione diffusa da talune tecnologie elettroniche ha spesso un carattere effimero e spesso oscuro per il consumatore, il D.lgs 185/1999 dispone che la stessa sia successivamente confermata, in tempo utile, per iscritto o, a scelta del consumatore, su altro supporto duraturo. Si può quindi desumere che una comunicazione via posta elettronica autorizzata dal consumatore, possa integrare la previsione normativa. Con questa seconda informativa devono inoltre essere comunicate al consumatore: • le informazioni sulle condizioni e le modalità di esercizio del diritto di recesso; • l’indirizzo geografico della sede del fornitore a cui il consumatore può presentare reclami; • le informazioni sui servizi di assistenza e sulle garanzie commerciali esistenti; • le condizioni di recesso dal contratto in caso di durata indeterminata o superiore ad un anno. Con riguardo alle modalità di esercizio di recesso, anche il D.lgs 185/1999 impone la comunicazione per iscritto, magari anticipata via fax, tramite una raccomandata con avviso di ricevimento entro 12345678901 12345678901 12345678901 12345678901 6 12345678901 12345678901 settimanale di informazione adiconsum le 48 ore successive. Inoltre, a differenza del D.lgs 50/1992, avendo omesso la previsione che “...l’avviso di ricevimento non è, comunque, condizione essenziale per provare l’esercizio del diritto di recesso”, il nuovo decreto di fatto impone, in danno del consumatore, l’uso della raccomandata a.r. per recedere validamente dal contratto. A ciò va aggiunto che il rimborso delle somme versate dal consumatore è subordinato, secondo il comma 7 dell’art. 5, al corretto esercizio del diritto di recesso “conformemente alle disposizioni del presente articolo”, fra cui l’obbligo della raccomandata a.r.. L’imprenditore non potrà prescindere, nel formulare la propria offerta dalla specifica disciplina in materia di clausole abusive nei confronti del consumatore, dettata dagli artt. 1469-bis e seguenti del c.c., introdotti in attuazione della direttiva n. 93/12/CEE. Si considerano clausole abusive quelle clausole che, malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto. Tali clausole sono più numerose e di portata più estesa di quelle dedicate ai rapporti tra imprenditori, dagli artt. 1341 e 1342 c.c. e soprattutto, nel caso di e-commerce, è da ritenere che non siano sanabili neanche con la specifica approvazione per iscritto. Il legislatore ha infatti indicato un elenco (art.1469-bis c.c.) di 20 tipologie di clausole da considerare abusive, fino a prova contraria. Bisogna dare atto che i contratti per via telematica sono ovviamente tutti conclusi a mezzo di moduli o formulari predisposti dal fornitore e che le relative clausole, proprio per la tipicità del mezzo, non possono intuitivamente essere oggetto di trattativa specifica con il singolo acquirente. Si rileva in questa sede come la abusività di una clausola implichi l’inefficacia della stessa, senza che venga coinvolto il contratto nel suo insieme (art.1469-quinquies c.c.). Pertanto i contratti conclusi rimarranno validi ed efficaci, anche se privi della parte riguardante le suddette clausole. Al quadro normativo su esposto deve aggiungersi la legge 30 luglio 1998, n.281, recante la “Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti”, che riconosce ed elenca i diritti fondamentali di tali soggetti e concede alle rispettive associazioni la legittimazione ad agire in giudizio per ottenere rimedi inibitori e sanzionatori. Le associazioni dei consumatori sono legittimate ad agire a tutela degli interessi collettivi, richiedendo al giudice competente: • di inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; • di adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; • di ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale, oppure locale. Nozione di documento “Documento” è qualsiasi oggetto, qualsiasi cosa idonea a far conoscere un fatto, diversa dal testimone, che è una persona che narra, e non una cosa che rappresenta: “un oggetto corporale, prodotto dell’umana attività di cui conservi le tracce”. Il documento viene quindi inteso, in primo luogo, come una “cosa”, una cosa corporale destinata a rimanere nel tempo. In secondo luogo, il documento viene considerato come una cosa rappresentativa: una cosa capace cioè di rappresentare un fatto esterno alla res documentale, e dunque capace di richiamare alla mente di chi legge fatti o situazioni che sono al di fuori dell’oggetto rappresentante. Di recente, le metodologie per la redazione di documenti ricorrono sempre più all’utilizzazione delle nuove tecnologie ed in particolare dell’informatica. I documenti prodotti da sistemi automatizzati sono definiti documenti informatici o elettronici. Una prima nozione di “documento informatico” è stata introdotta nel nostro ordinamento dall’art. 3 della legge 23 dicembre 1993, n. 547, in materia di criminalità informatica. Tale articolo testualmente recita: “Documenti informatici. Se alcune delle falsità previste dal presente capo riguardano un documento informatico pubblico o privato, si applicano le disposizioni del capo stesso concernenti rispettivamente gli atti pubblici e le scritture private. A tal fine per documento informatico si intende qualunque supporto informatico contenente dati o informazioni aventi efficacia probatoria o programmi specificamente destinati ad elaborarli”. Tale definizione è stata inserita dal legislatore nell’art. 491-bis nel codice penale. Per completare l’indagine relativa alla nozione di documento informatico, anche in base alla sua disciplina normativa, occorre procedere all’esame di quanto recentemente disposto dal legislatore in materia di firma digitale. All’art.1, lettera a), del D.p.r. 513/1997, viene indicata la nozione di documento informatico, inteso come “la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. Combinando il disposto delle due norme, il documento informatico può essere considerato come una cosa rappresentativa ottenuta con l’ausilio di un sistema informatico. Non solo testi scritti quindi, ma anche suoni e immagini, fisse o in movimento. Interpretazione che pone maggiormente in sintonia il costrutto normativo indicato con la realtà tecnica. Il contratto sottoscritto con firma digitale L’ostacolo maggiore alla diffusione generalizzata della comunicazione in forma elettronica era dato dalla impossibilità, in mancanza di una normativa specifica, di attribuire al documento elettronico la stessa efficacia probatoria del documento cartaceo munito di sottoscrizione. Ciò che fa la differenza tra un documento cartaceo sottoscritto e un comune documento è l’assunzione di paternità che deriva dalla sottoscrizione. Con essa il firmatario si fa carico delle relative conseguenze giuridiche sul piano della imputabilità delle dichiarazioni, della responsabilità per i loro effetti, ecc.. Analogo discorso vale per le dichiarazioni in forma elettronica. L’art. 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (la cd. legge Bassanini) è la prima norma che 12345678901 12345678901 12345678901 12345678901 7 12345678901 12345678901 settimanale di informazione adiconsum afferma il principio della piena validità del documento informatico, stabilendo che “gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione e dai privati con strumenti informatici o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge”. La materia è stata ulteriormente disciplinata dal “Regolamento concernente i criteri e le modalità di applicazione dell’art. 15, comma 2, della legge 15 marzo 1997, n. 59, in materia di formazione, approvato con il D.p.r. 10 novembre 1997, n. 513 (già citato). Il Regolamento stabilisce l’esistenza di un generale principio di equivalenza tra la sottoscrizione tradizionale su carta e la sottoscrizione con firma digitale e dichiara che “l’apposizione o l’associazione della firma digitale al documento informatico equivale alla sottoscrizione prevista per gli atti e documenti in forma scritta”. La firma digitale è definita come il risultato della procedura informatica basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e una privata, che consente al sottoscrittore, tramite la chiave privata, e al destinatario, tramite la chiave pubblica, rispettivamente, di rendere manifesta e di verificare la provenienza e l’integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici (art. 1, lett. b Reg.). La firma digitale quindi non è un’immagine digitale di una firma realizzata di pugno su carta, quanto piuttosto un metodo che applica un software digitale di criptografia per generare una stringa di bits modificata. Le firme digitali sono dunque create e verificate attraverso gli strumenti della crittografia, quella branca della matematica applicata che consiste nel trasformare messaggi in forma difficilmente intellegibile e viceversa. Criptare un testo significa trasformarlo in un altro testo, incomprensibile e indecifrabile da parte di chi non possiede la chiave di criptazione. La funzione è reversibile, ed il testo verrà riportato all’originale. In altri termini con la chiave privata è possibile criptare un messaggio che sarà successivamente decriptato con la corrispondente chiave pubblica. Il giudice competente Il fatto che Internet consenta agli imprenditori di mettere i propri prodotti e servizi in vetrina e di concludere transazioni commerciali in tutto il mondo, pone una serie di problemi dovuti alla difficoltà di “localizzare” tali rapporti. Business to business Il giudice italiano può dichiarare la propria giurisdizione quando il soggetto, che deve essere convenuto in giudizio, sia domiciliato o residente in Italia, ovvero vi abbia un rappresentante autorizzato a stare in giudizio. La giurisdizione italiana è affermata anche nel caso in cui le parti del contratto l’abbiano convenzionalmente accettata e tale accettazione sia provata per iscritto (art. 4, comma 1, l. 218/1995). Al di là comunque delle ipotesi di accordo quadro preventivo, una clausola che deroghi alla giurisdizione ordinaria rientra tra le clausole vessatorie di cui all’art. 1341 c.c. Si ripropone quindi il problema della necessità di approvazione per iscritto delle clausole vessatorie: nel caso di transazione completamente on-line, le clausole vessatorie possono essere approvate validamente soltanto con l’uso della firma digitale. Un altro criterio per stabilire la giurisdizione italiana è quello del luogo di esecuzione della prestazione contrattuale. Se questa deve eseguirsi o è stata eseguita in Italia, il giudizio potrà svolgersi davanti al giudice italiano, ai sensi dell’art. 5 della Convenzione di Bruxelles (Convenzione di Bruxelles del 21 settembre 1968, resa esecutiva in Italia con legge 21 giugno 1971, n. 804 e successive modificazioni). Business to consumer Sempre secondo la Convenzione di Bruxelles (artt.13 e 14), quando il contratto riguarda la fornitura di beni mobili o servizi ad un consumatore, quest’ultimo ha facoltà di scegliere se instaurare il giudizio davanti ai giudici del proprio Stato di appartenenza o davanti ai giudici dello Stato dove è domiciliato il fornitore. Ciò a condizione che il consumatore abbia compiuto, nel proprio Stato, le attività necessarie per la conclusione del contratto ed ivi sia stata ricevuta la proposta o la pubblicità relativa a tali beni o servizi. Nel caso in cui invece ad agire sia il fornitore, questi potrà convenire il consumatore soltanto nello Stato nel cui territorio quest’ultimo è domiciliato, anche quando si tratti di Stati non appartenenti alla Comunità. Se il convenuto è un consumatore italiano, la competenza territoriale è inderogabile ed è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore (art. 14 D.lgs 185/ 1999 e art. 12 D. lgs 50/1992). Si noti che per quanto riguarda i consumatori, non è esclusa la pattuizione di una legislazione diversa, da quella italiana, da applicare al contratto, ma è stabilita la nullità di ogni pattuizione che privi il consumatore delle condizioni di tutela assicurate dalla normativa comunitaria recepita dal nostro ordinamento (art. 11 del D.lgs 185/1999 e art. 1469-quinquies c.c.). Anche se tutte queste problematiche sono già state affrontate e risolte nel mondo del commercio internazionale, ciò non appare tuttavia sufficiente di fronte al fenomeno moltiplicatore della “rete di reti”. È evidente quindi che sono necessarie, al più presto, convenzioni internazionali adeguate a regolare l’e-commerce, che tengano in considerazione la globalizzazione del fenomeno, creando delle regole adatte a semplificarne la complessità. La nuova proposta di direttiva europea sul commercio elettronico Come si è potuto dedurre da quanto in precedenza esposto, lo sviluppo dei servizi della società dell’informazione, in uno spazio (quello Europeo) senza frontiere interne, è uno strumento essenziale per eliminare le barriere che dividono i popoli europei. Sul presupposto che l’UE intende stabilire legami sempre più stretti tra gli Stati ed i popoli europei, al fine di garantire la libera circolazione delle merci e dei servizi nel rispetto dei diritti dei consumatori, il 18 novembre 1998 la Commissione europea ha adottato una proposta 12345678901 12345678901 12345678901 12345678901 8 12345678901 12345678901 settimanale di informazione adiconsum di direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio, relativa a taluni aspetti del commercio elettronico nel mercato interno. Il Parlamento, dopo aver espresso il suo parere e condividendo in linea generale l’impostazione ed i grandi orientamenti della Commissione, nella seduta del 6 maggio 1999 ha approvato tale proposta, con riserva di apportare emendamenti. Prima di procedere ad una più accurata analisi del testo, si deve evidenziare che al carattere fortemente innovativo della proposta, non è corrisposta (almeno per ora) un’adeguata e specifica disciplina delle transazioni per via elettronica, principalmente in relazione al commercio elettronico avente ad oggetto servizi finanziari. Con ciò non si vogliono sottovalutare i lavori e gli sforzi della Commissione e del Parlamento europeo nel disciplinare un campo estremamente difficile, ma si vuol porre l’accento sulla necessità di una più analitica disciplina, “ipergarantista” del consumatore, relativamente ad un settore in cui il rischio economico è molto elevato. Il primo principio, contenuto nell’art. 4 della proposta non prevede, per l’esercizio dell’attività di prestatore di servizio della società dell’informazione, la necessità di una autorizzazione preventiva, o la presenza di altri specifici requisiti che subordinino l’accesso, a decisioni o provvedimenti delle autorità competenti. In tale norma, si scorge una sorta di deregolamentazione del settore, al fine di non imporre ostacoli al libero scambio di servizi on-line, tra i vari paesi europei. Ma si scorge anche un errore di fondo: così come nel mondo “reale”, le contrattazioni aventi ad oggetto attività concernenti il settore finanziario e bancario, sottendono particolari esigenze di controllo e tutela, esigenze poste a garanzia del fruitore di tali servizi, sembra quanto mai superficiale, estendere questa sorta di deregulation anche a questo tipo di negoziazioni, ove invece il controllo statale dovrebbe essere più pregnante; i maggiori problemi infatti potrebbero nascere non tanto per le imprese aventi la sede od un rappresentante legale nello Stato in cui si perviene alla conclusione del contratto, quanto per quei soggetti che, tramite la c.d. autostrada virtuale (Internet), accedano al nostro mercato interno, senza alcuna necessità di fornire appropriate garanzie sul loro status societario. Pur se all’art. 5, si prevede un obbligo di informazione al consumatore ed alle competenti autorità sul nome del prestatore, indirizzo (anche di posta elettronica), numero di partita IVA od altri dati fiscali, non sembra (anche alla luce dello svi- luppo delle frodi informatiche) che tali previsioni possano dare adeguata risposta alle esigenze di cui sopra. Anche in tale proposta, sulla scia delle altre direttive, aventi come scopo principale la tutela del consumatore, si vuole garantire la trasparenza e la chiarezza della transazione commerciale. Le singole comunicazioni commerciali, dovranno infatti essere chiaramente identificabili, così come identificabile dovrà essere la persona -fisica o giuridica- per conto della quale viene effettuata la comunicazione. La trasparenza dovrà essere garantita anche al momento della conclusione del contratto: il prestatore di servizio dovrà illustrare in modo chiaro ed inequivocabile, e prima della conclusione del contratto, le modalità di formazione del contratto per via elettronica. Le informazioni dovranno riguardare principalmente le varie fasi di conclusione del contratto, l’archiviazione del contratto in banche dati e la sua accessibilità, i mezzi per eliminare e correggere errori causati da manipolazioni esterne. Di rilevante importanza risulta invece la specifica delimitazione della responsabilità dei prestatori c.d. intermediari, quei soggetti cioè la cui attività consiste nel mero trasmettere su una rete, informazioni fornite da altri soggetti, utilizzatori di quel particolare canale di comunicazione. Tale soggetto, non sarà ritenuto responsabile delle informazioni trasmesse, a condizione che: a) non sia all’origine della trasmissione (la fonte), b) non sia lui il selezionatore del destinatario della trasmissione, c) non modifichi le informazioni oggetto della stessa. Un ultimo punto su cui soffermare la nostra attenzione, riguarda la composizione extragiudiziale delle controversie. E’ chiaro intento degli organi comunitari facilitare ed incentivare provvedimenti che, in caso di dissenso tra prestato e destinatario del servizio, prevedano una composizione stragiudiziale delle controversie, anche per via elettronica. Questo tipo di composizione dovrà rispettare i principi di indipendenza e trasparenza del contraddittorio, efficacia e brevità del procedimento, legalità della decisione. Una tale previsione, comporterà sicuramente un pregnante intervento (all’interno dei singoli Stati) delle Associazioni a tutela dei consumatori, anche nella veste di organi super partes. Conclusivamente, si deve esprimere la speranza che tale proposta sia solo il primo passo per una più efficace regolamentazione del settore del commercio elettronico. Cristiano Iurilli 1549 - speciale giustizia “Amici della banca” ... nemici della concorrenza Q uanto accertato all’inizio dell’anno dalla attraverso offerte concorrenziali sia un’idea che Banca d’Italia e dall’Autorità Garante della ancora spaventa alcuni tra i maggiori istituti di Concorrenza e del Mercato, è la dimostracredito che operano sul mercato italiano. zione di come la sana competizione nel L’attività istruttoria svolta dalla B.I. ai sensi degli conquistarsi le simpatie dei consumatori artt. 123456789012 e 14 della L. 287/90, conclusasi con il provve- 12345678901 12345678901 12345678901 9 12345678901 12345678901 settimanale di informazione adiconsum dimento n. 31 del 18/1/2000, ha accertato la consuetudine, per un gruppo di tredici banche (Banca Commerciale Italiana – Banca di Roma – Banco di Sicilia – Banca Monte dei Paschi di Siena – Banca Nazionale del Lavoro – Banca Popolare di Milano – Banca Popolare di Novara – Banco Ambrosiano Veneto – Cassa di Risparmio delle Province Lombarde – Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza – Unicredito Italiano – Deutsche Bank – Istituto San Paolo di Torino – Istituto Mobiliare Italiano), denominato “Gruppo degli Amici della Banca”, di incontrarsi mensilmente al fine di discutere aspetti strategici e commerciali relativi all’attività di ciascun partecipante e scambiare informazioni sui prezzi dei vari servizi bancari, con l’intento di agevolare il coordinamento delle politiche commerciali delle parti. È palese che, queste banche, amiche lo fossero veramente, tanto da decidere di rinunciare a farsi la “guerra della concorrenza” per ripartirsi “amichevolmente” il mercato, offrendo gli stessi servizi a condizioni assai simili. La documentazione acquisita dalla B.I. è costituita dai verbali delle riunioni del “Gruppo”, da note e analisi redatte a fini interni riguardanti tassi e condizioni dei vari servizi, nonché da delibere degli organi aziendali sui tassi e sulle condizioni dei servizi stessi. Agli incontri, cui prendevano parte funzionari e dirigenti, le banche hanno iniziato a partecipare in tempi diversi: risulta che BAV, BPM e COMIT hanno partecipato sin dal 1988, Unicredito dal’91, Banca di Roma e BNL dal ’94, CARIPARMA, DB e BPN dal ’95, CARIPLO, MPS e Sanpaolo-IMI dal ’97, il Banco di Sicilia dal febbraio ’98. In poche parole, dal 1997 i funzionari delle suddette banche partecipavano con regolarità alle riunioni del “Gruppo”, ospitate a turno da ciascun istituto di credito presso la propria sede, scambiandosi, in clima di grande amicizia, informazioni su volumi e condizioni di offerta di tutti i principali servizi bancari (raccolta diretta, risparmio gestito, tassi attivi e passivi), sia con riferimento ai dati attuali, sia concordando le future strategie commerciali. Va sottolineato che lo scambio d’informazioni commerciali attuali non era occasionale, né avveniva verbalmente o a titolo puramente indicativo: al contrario esso si svolgeva in modo istituzionalizzato, attraverso la predisposizione di apposite tabelle contenenti i dati della propria banca e recanti spazi liberi per annotare le informazioni analitiche che sarebbero state fornite, nel corso degli incontri, dalle altre banche partecipanti. Leggere il Provvedimento n.7929 (pubblicato sul Bollettino n.1-2 del 31/1/2000) dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato risulterà estremamente edificante, poiché in esso sono riportati stralci di molti verbali di riunione del “Gruppo” da cui emerge l’ampia gamma di servizi bancari su cui le parti si confrontavano e deliberavano politiche comuni. A conferma dell’efficacia “anticoncorrenziale” degli accordi presi nel corso delle riunioni, la B.I. ha individuato delle notevoli convergenze nel comportamento delle banche del “Gruppo” per quanto riguarda: 1) i bonifici transfrontalieri in valute “in”; 2) i servizi interessati dal regime di esenzione dall’I.V.A. in base alla L. 28/97. Per quanto attiene al primo punto, le banche hanno ritenuto opportuno conservare la commissione di intervento valutario relativamente ai bonifici transfrontalieri effettuati in valute “in” (valute aderenti all’Euro) benché, alla vigilia della terza fase dell’unione monetaria, il rischio di cambio tra tali valute fosse del tutto inesistente. Pertanto il “Gruppo”, dissuadendo le banche che avevano espresso l’intenzione di eliminarla, ha deliberato di mantenere la commissione, dandole però un nuovo nome: commissione di servizio. Anche sul secondo punto l’accordo delle parti è stato felicemente raggiunto! Benché la legge avesse previsto un regime di esenzione dall’I.V.A. per alcuni servizi, con beneficio per la clientela, le banche hanno ritenuto che la conseguente riduzione delle tariffe non potesse in alcun modo essere ribaltata automaticamente sulla clientela stessa e hanno deciso di comune accordo di privarla dei conseguenti vantaggi. Da un punto di vista giuridico, si potrebbe discutere se l’intesa restrittiva della concorrenza (ex art.2 L. 287/90), realizzata dai membri del “Gruppo”, abbia assunto la forma di un vero e proprio accordo tra i partecipanti (ossia un patto formalizzato avente finalità di coordinare il comportamento di imprese indipendenti) o quella di una semplice intesa concordata, vale a dire una forma di coordinamento che, senza essere spinta fino all’attuazione di un vero e proprio accordo, costituisce una consapevole collaborazione tra imprese a danno della concorrenza. Ma ciò che interessa rilevare è che da alcuni anni tredici banche, rappresentanti il 55% dei depositi ed il 60% degli impieghi a livello nazionale, si scambiavano sistematicamente dati sensibili relativi a gran parte dell’attività svolta e discutevano di problematiche e strategie commerciali al fine di concordare un comportamento uniforme. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha recentemente affermato che “l’art.85 del Trattato non prescrive che venga dimostrato che gli accordi da esso considerati abbiano pregiudicato in misura rilevante gli scambi ..., ma richiede che si provi che gli accordi sono atti a produrre questo effetto” [causa C-219/95, Ferriere Nord, sent. del 17/7/97]. Pertanto, sulla base degli indizi univoci e concordanti raccolti, la B.I. e l’Autorità Garante hanno accertato che l’accordo in questione costituisce “un’intesa orizzontale tra le principali banche nazionali che in un regime di concorrenza avrebbero dovuto agire in competizione reciproca. La concertazione ..., in quanto incide sul prezzo, ovvero sull’elemento fondamentale su cui si esplica la concorrenza tra gli operatori per la fornitura di un servizio, costituisce una delle più gravi forme di violazione della normativa antitrust”. La B.I., ai sensi dell’art.15 L. 287/90, ha ritenuto l’infrazione grave e duratura, provvedendo ad erogare la sanzione amministrativa pecuniaria nella misura del tre per cento dei proventi realizzati nell’esercizio 1998. Francamente, tale sanzione ci sembra esigua: non si può far emergere un fenomeno anticoncorrenziale come quello fin qui descritto, riconosciuto come tale anche dall’Autorità Garante, e poi, avendo la possibilità di erogare una sanzione che vada da un minimo dell’uno ad un massimo del dieci per cento del fatturato realizza- 12345678901 12345678901 12345678901 12345678901 10 12345678901 12345678901 settimanale di informazione adiconsum to l’anno precedente alla notifica del provvedimento, limitarsi al tre per cento. Si tenga conto, che la percentuale non viene calcolata sul fatturato complessivo delle banche per l’anno 1998, ma solo sul fatturato realizzato da ciascun istituto relativamente ai prodotti oggetto dell’intesa (bonifici transfrontalieri in valute “in” e servizi interessati dal regime di esenzione dall’I.V.A.). In conclusione, non rimane che augurarci che, d’ora in poi, le banche instaurino calorosi e collabo- rativi “patti d’amicizia”, più che tra loro, con i consumatori che ad esse affidano i loro risparmi. Va segnalato che l’Adiconsum ha già predisposto un “Modulo di richiesta di rimborso” da far compilare a coloro che intendano chiedere la restituzione delle commissioni di servizio e/o delle commissioni pretese dalla banca su quelle operazioni che avrebbero dovuto usufruire dell’esenzione dall’I.V.A.. Tale modello è riportato sul sito www.adiconsum.it. Cristina Castiello 1550 - speciale giustizia Corte di Cassazione - Sezione I civile - sentenza 30.6.1999 15.1.2000, n. 422 LA SENTENZA A norma dell’art. 1835 c.c., in tema di libretto di deposito a risparmio, fanno piena prova, nei rapporti fra banca e depositante, esclusivamente le annotazioni sul libretto firmate da impiegato della banca che appaia addetto al servizio. Ne segue pertanto, che ove facciano difetto tali sottoscrizioni e la banca assuma di aver restituito le somme depositate, è onere della banca stessa, dare la prova di disposizioni date dal cliente, per la restituzione. Né ancora è sufficiente, per superare tale onere probatorio, la circostanza che il depositante abbia espressamente ammesso, nella citazione introduttiva, di esseri accordato con un impiegato infedele dell’istituto di credito convenuto, perché investisse in azioni il saldo di tale libretto di risparmio, previo ritiro, da parte di questi, dell’importo risultante a credito. IL COMMENTO Il fatto Il diritto Nel gennaio 1988, il sig. Carpinelli conveniva in La fattispecie in esame, rientra nei contratti di giudizio, dinanzi al Tribunale civile di Roma, il Credideposito bancario ex art. 1834 c.c., ai sensi del quale to Italiano S.p.A. chiedendone la condanna alla “nei depositi di una somma di denaro presso una restituzione di tutte le somme illecitamente prelebanca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligavate dal suo libretto di deposito a risparmio nomita a restituirla nella stessa specie monetaria, alla nativo. L’attore nel corso degli anni aveva provvescadenza del termine convenuto, ovvero a richieduto ad investire, più d’una volta, somme consista del depositante…”. Senza dubbio, per la banca, stenti in titoli di Stato, dando sempre le necessarie il deposito è il principale mezzo di raccolta del istruzioni di prelievo, risultanti sul suddetto libretdenaro: il contratto si definisce “reale”, perfezioto. Nel marzo 1986, l’impiegato della banca addetto nandosi con la dazione del denaro allo sportello, al servizio titoli, rappresentata la maggiore convenon essendo possibile una dazione “differente”, nienza dell’investimento azionario, su commissionemmeno al direttore dell’agenzia. ne del Carpinelli, acquistava azioni per £. 350.000.000, Di regola il deposito è in conto corrente, come sottoscrivendo i necessari moduli. Alcuni mesi dopo, si evince dal comma 2 dello stesso art. 1834 c.c., ove sempre su indicazione dell’impiegato, l’attore dava si afferma che i versamenti e i prelevamenti (da ciò disposizione di smobilizzare i titoli acquistati, con si può chiaramente intendere che questi possono relativo accredito annotato sul libretto. Nel 1987 il essere una pluralità) si eseguono alla sede della Carpinelli consegnava allo stesso impiegato la sombanca presso la quale è costituito il rapporto. ma di £. 40.000.000 per eseguire un’ulteriore operaIl deposito può anche essere attestato dal zione d’investimento, con le stesse precedenti morilascio di un libretto di deposito a risparmio -o dalità. Successivamente il Carpinelli aveva raccolto libretto in conto corrente- (è il caso di specie della voci sulla scorrettezza dell’impiegato, il quale avesentenza esaminata), su cui l’impiegato della banva l’abitudine di operare in proprio conto e non ca addetto al servizio, annota con efficacia sotto il controllo dell’Istituto bancario: elemento probatoria tra le parti, le operazioni di versamendecisivo ai fini della decisione in esame, era la to e prelevamento. Tali operazioni, come si evince mancanza della firma del suddetto impiegato sul dal II comma dell’art. 1835 c.c., possono essere libretto del cliente. L’Istituto convenuto si costituprovate anche se non annotate (il capoverso teiva in giudizio, negando che l’impiegato avesse stualmente afferma “le annotazioni sul libretto, agito come suo funzionario, affermando che il firmate dall’impiegato della banca che appare rapporto controverso risaliva alle personali relazioaddetto al servizio, fanno piena prova nei rapporti ni tra l’attore e l’impiegato “scorretto”. tra banca e depositante”). 12345678901 12345678901 12345678901 12345678901 11 12345678901 12345678901 settimanale di informazione adiconsum Nel caso di specie, viene in questione proprio l’art. 1835 comma 2, relativamente ai rapporti tra banca e cliente: infatti, ripercorrendo ed integrando giurisprudenza costante sul punto, si affermano principi di fondamentale importanza per l’affidamento e la tutela del cliente. In primis, ripercorrendo altro orientamento della stessa Cassazione (Cass.,sez. I, 4.7.1993 n.2641, in Giur.It., 1993, I, 1, 2270; Cass., sez. I, 16.04.1996, n.3585, in Foro it., Rep. 1996, voce Contratti bancari, n. 3585), si stabilisce che la particolare efficacia probatoria prevista dal comma 2 dell’art. 1835 c.c., si riferisce sì alle annotazioni che figurano effettivamente apposte sul libretto, senza che però da ciò ne derivi una presunzione legale assoluta, per cui debbano considerarsi compiute soltanto le operazioni annotate. Da ciò ne consegue (come è avvenuto per il caso in esame) che è sempre possibile la prova che una operazione (versamento o prelevamento) sia stata effettivamente eseguita; in più, anche se il libretto bancario di deposito a risparmio non può considerarsi atto pubblico dotato dell’efficacia probatoria privilegiata di cui all’art. 2700 c.c., risulta assistito dallo speciale regime delineato dall’art. 1835 stesso codice, sicché, ove il documento presenti i requisiti formali minimi della sua identità, esso fa piena prova non solo delle annotazioni, ma anche della provenienza del libretto dalla banca al cui servizio appare addetto il funzionario che ha sottoscritto dette annotazioni o la stessa emissione; militano infatti in tal senso, il principio dell’apparenza del diritto e della tutela dell’affidamento (invocabile dal depositante se ed in quanto versi in condizione di buona fede) riposto sul dato di fatto della provenienza delle annotazioni dall’impiegato che, con le modalità usuali e normali riceve i depositi, ingenerando nel pubblico la legittima opinione che egli sia assistito dal relativo potere. Un secondo aspetto di fondamentale importanza, si può trarre dalle difese dell’Istituto di credito, ove si tenta di affermare che l’impiegato non operava, per quella specifica operazione, come funzionario della banca. Anche a tal proposito, la Cassazione ha riproposto principi non nuovi, ma sempre efficaci. Già in altre sentenze (Cass., sez. I, 06.02.1998, n.1224, in Foro it., Rep. 1998, voce Contratti bancari, n. 1224) si era concluso affermando che, affinché il deposito possa dirsi effettuato “presso” una banca, come richiede l’art. 1834 c.c., non è necessario che il versamento della somma di danaro avvenga all’interno dei locali dell’istituto, ma è sufficiente che la sua consegna sia fatta a persona incaricata di riceverla per conto della banca, rendendosi decisivo, per la configurabilità dell’operazione, non il luogo dove la stessa è compiuta, ma la qualità della persona che ha ricevuto materialmente la somma di denaro; del pari inidonee ad escludere la regolarità dell’operazione e la sua riferibilità alla banca si rendono l’assenza della sottoscrizione al presidente (non essendo tale requisito richiesto dall’art. 1835 c.c., o da altra norma di legge, ma da mere consuetudini operative delle banche, prive, in quanto tali, di efficacia vincolante nei confronti dei terzi), o la mancata contabilizzazione dell’operazione (dal momento che tale omissione comporta la violazione di disposizioni riguardanti il funzionamento dell’impresa bancaria e non la disciplina dei rapporti da essa instaurati con i terzi). Quindi, si viene a prediligere il principio dell’apparenza, dell’affidamento e buona fede del cliente, anche ove manchi la sottoscrizione ed effettiva annotazione dell’operazione sul libretto di risparmio. (In dottrina, si veda NTUK Effiong, Questioni in tema di efficacia probatoria delle annotazioni sui libretti di deposito, in Banca, borsa ecc., 1995, I, 510; PISANI Luca, Profili probatori del libretto di deposito a risparmio ed operazioni non annotate (Nota a Cass., sez. I, 4 marzo 1993, n. 2641, in Banca, borsa ecc., 1995, II, 310; DE VITIS Salvatore, Riflessioni in merito alla efficacia probatoria delle annotazioni effettuate sul libretto di deposito a risparmio (Nota a Cass., sez. I, 4 marzo 1993, n. 2641, in Giust. civ., 1994, I, 2021; CAVALLO Luigi, Osservazioni a Cass., 16 dicembre 1991, n. 13547, in tema di responsabilità della banca verso il cliente (Nota a Cass., sez. I, 16 dicembre 1991, n. 13547, in Riv. dir. comm., 1993, II, 238). Cristiano Iurilli sommario: SPECIALE A CURA DEL CENTRO GIURIDICO ADICONSUM Coordinatore nazionale: Paola Moreschini Collaboratori: Stefano Cascino, Cristina Castiello, Domenico Formichelli, Cristiano Iurilli, Alessandro Palmigiano, Antonella Scano 1547 - speciale giustizia Azione inibitoria e condizioni contrattuali relative ad un servizio pubblico 1548 - speciale giustizia Commercio elettronico e firma digitale 1549 - speciale giustizia “Amici della banca” ... nemici della concorrenza 1550 - speciale giustizia Corte di Cassazione - Sezione I civile - sentenza 30.6.1999 - 15.1.2000, n. 422 Direttore: Paolo Landi • Direttore Responsabile: Francesco Casula • Redazione ed Amministrazione: Adiconsum, Via Lancisi 25 - 00161 ROMA • Reg. 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