Atel i er Vi l la g e per la valorizzazione di Valgrisenche e dei suoi percorsi turistici 1 Progetto Atelier Village Iniziativa inserita nel Progetto “Atelier Village - Tutela e riqualificazione del patrimonio rurale e creazione di un’immagine coordinata della Valgrisenche”. Attività realizzata nell’ambito del progetto del Gal alta Valle d’Aosta PSR 2007/2013 della Regione autonoma Valle d’Aosta e cofinanziata dal Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale – L’Europa investe nelle zone rurali. ideazione A.V.I. Presse Srl coordinamento Laura Agostino testi Stefania Tagliaferri impaginazione Stefano Massetto disegni Enrico Massetto traduzioni Studio Melchior stampa Tipografia Testolin 2 ringraziamo per la messa a disposizione delle loro foto d’archivio: la Regione autonoma Valle d’Aosta, Archivi dell’Assessorato Istruzione e Cultura e l’Istituto storico della Resistenza e della Socieetà contemporanea in Valle d’Aosta ringraziamo per il tempo che ci hanno regalato: Teresio Barrel Marian Benchea Bruno Béthaz Camillo Béthaz Marina Béthaz Vincent Béthaz Luigi Bois Luigino Bois Delfina Maria Bois Saverio Bois Marino Denarier Anna Maria Frassy Irene Frassy Corrado Garin maria Melania Garin Ernesto Gerbelle Emy Maguet Gemma Moulin Maria Zita Moulin Angelo Pellissier Sergio Togni Luana Usel Carlo Viérin Franco Vuillermin Progetto Atelier Village per la valorizzazione di Valgrisenche e dei suoi percorsi turistici La Valgrisenche è una vallata ricca dal punto di vista paesaggistico, territoriale, sociale; Valgrisenche è un comune ricco di risorse che offre, a turisti e residenti, itinerari ed esperienze straordinari. Da un lato, brevi passeggiate, lunghe escursioni, ascensioni, free climbing. Dall’altro, le tracce di un passato indissolubilmente legato alla posizione geografica strategica, al confine con la Val d’Isère. E ancora, le tradizioni: il drap, l’enogastronomia, l’agricoltura, l’architettura, l’allevamento... E poi lo sci e l’heliski. Ai fini della tutela e della riqualificazione del patrimonio rurale, occorre concepire Valgrisenche secondo un pensiero unico e coerente, in modo da avere strumenti coordinati di lavoro, di comunicazione, di promozione e di attività condivisi con tutti gli operatori locali. A tal scopo è nato il progetto Atelier Village - Tutela e riqualificazione del patrimonio rurale e creazione di un’immagine coordinata della Valgrisenche, finanziato in parte con fondi europei del Programma di Sviluppo rurale 2007-2013. Un progetto volto alla valorizzazione di tutto il patrimonio immateriale (tradizioni, costumi, savoir-faire, prodotti locali tipici, leggendario, storia locale...) e degli aspetti significativi del paesaggio rurale. Si è partiti con la definizione di un’immagine coordinata per la promozione della Valgrisenche: un nuovo logo e una mascotte, battezzata Drapotte. Si è continuato con l’allestimento di un’esposizione che, attraverso i volti e la parole dei Vagrezèn, raccontasse Valgrisenche. Ma soprattutto si è inteso valorizzare alcuni percorsi, che conducono alla scoperta del territorio e ne narrano le caratteristiche e le storie. Sono stati individuati sei itinerari, percorribili in estate e, alcuni, anche in inverno. Sono percorsi tematici, dedicati all’allevamento (bovino, ovino e caprino), alla diga (e al modo in cui la sua realizzazione ha inciso sulla comunità), al drap (il tessuto tipico di lana delle pecore Rosset), alla guerra (più che ai combattimenti, al passaggio e al soggiorno delle truppe), alla religiosità (cappelle, chiese, cimiteri ma anche processioni, riti e feste). Il progetto si è completato con la creazione di una sezione del sito internet www.comune.valgrisenche.ao.it e di una pubblicazione (questa che avete in mano) dedicati a raccontare e approfondire tutti i contenuti che questi percorsi offrono ai visitatori. Sì, va bene, sono una bambola. Una tra le centinaia di migliaia di bambole che popolano il pianeta. E poi magari a te neanche piacciono le bambole, paffutine, così un po’ romantiche, di una volta. Ecco. La bambola è un giocattolo di una volta, starai pensando. D’accordo, va bene, se ti senti già grande puoi voltare pagina e leggere con attenzione tutte quelle informazioni noiose che riempiono questo libretto. Altrimenti… puoi restare con me e fare il mio percorso, scovare tesori preziosi senza rinunciare a rotolarti sui prati e ad arrampicarti sulle rocce. Io non avrei dubbi: vorrei proprio fare parte della mia squadra. E tu, ci stai? Divertimento assicurato, parola di montanara! 3 Élevage : nourriture et affection 6 BONNE 5 MONDANGES 4 capoluogo 3 GERBELLE DARBELLEY planté chez carral 4 2 1 Un tempo costante, quello dell’allevamento. L’itinerario tocca e narra i principali appuntamenti della vita dell’allevatore, ripercorrendo quella che una volta era la principale occupazione di ogni Vagrezèn. La montagna che emerge da questa passeggiata è quella più quotidiana, quella delle sveglie all’alba per la mungitura, del pascolo, della produzione di burro e di formaggi, delle coltivazioni stagionali, ma anche delle fondamentali corvée per il mantenimento del territorio. Un quadro di lavoro che lascia però spazio anche alle emozioni per i risultati raggiunti, all’affetto per i propri animali, alla soddisfazioni per una bella vittoria durante le batailles de reines. Si fa l’allevamento per il mantenimento del territorio. I veri giardinieri della natura sono gli agricoltori: con le loro mandrie, che mantengono il verde. Marino Denarier 5 1 Latte che si beve. Latte che si mangia. Uscire dalla stalla sospesi nella foschia. Uomini fieri, i primi macchinari, l’avvento di un tempo nuovo. Ogni giorno si munge due volte, a intervalli regolari che scandiscono la giornata dell’allevatore. Prima che le mungitrici velocizzassero il lavoro, dagli anni Sessanta, in alpeggio la sveglia suonava in piena notte: la prima presa del latte si svolgeva tra le 2:30 e le 6 del mattino; poi si pulivano gli attrezzi e si faceva colazione. Verso le otto ci si divideva fra chi andava al pascolo e chi si dedicava alla lavorazione del latte. Dal latte si ricavavano fontina, formaggio magro e burro. Quest’ultimo, durante gli anni Cinquanta, era il prodotto più richiesto e remunerato, mentre oggi è stato rimpiazzato dalla fontina, formaggio valdostano a denominazione di origine protetta. 3 Sono in costante diminuzione le persone che riescono a dedicarsi all’allevamento, facendone la propria fonte esclusiva di reddito. In passato si trattava invece della principale attività di sussistenza nella Valgrisenche: quasi ogni casa, in ogni villaggio, aveva una stalla. Le famiglie che possedevano cinque o sei mucche in inverno e una ventina in estate erano considerate abbienti. L’animale forniva calore, carne e latte. I Vagrezèn vivevano con i loro animali, li conoscevano, se ne occupavano e, parallelamente, curavano il paesaggio attraverso il mantenimento dei pascoli e il contrasto al rimboschimento. Allevatori e agricoltori con piccole mandrie, con campi di cavoli e di porri, come giardinieri del re curano il territorio. Conservano la montagna, danno futuro al passato. 2 6 Custodi del pascolo, aiutanti dei grandi, i piccoli responsabili vegliano. Un po’ di tempo per giocare con il cane e con il legno, inventano forme e storie. Contemplano la loro natura. E lassù cosa c’è… una mucca grigia? I bambini hanno sempre aiutato la famiglia nella gestione della stalla e nell’allevamento, per lo più con il compito di vegliare la mandria al pascolo insieme ai fedeli cani, capaci di governare le mucche più indisciplinate. Quanto entusiasmo quando si trascorreva la notte svegli ad aspettare nella stalla la nascita del vitello! Per i piccoli di casa, il parto era un momento di scoperta; per gli adulti era ricchezza, poiché rappresentava la possibilità di aumentare il numero dei capi nella propria stalla, da destinare alla produzione di latte o carne. 5 L’allevamento ovino è praticato a Valgrisenche senza grandi mutamenti rispetto ai secoli passati. Le pecore trascorrono l’inverno nella stalla a stabulazione libera: devono partorire l’agnello ed è necessario che siano al riparo dai predatori, oltre che dal freddo. In estate pascolano libere e tornano dagli allevatori solo per rifocillarsi di sale e pane, dei quali sono ghiotte. A inizio novembre, il gregge autonomamente scende alla stalla: è il momento della tosatura, pratica ripetuta in primavera per proteggere i capi dal calore estivo. La razza autoctona è la pecora Rosset, la cui lana è utilizzata per la produzione del drap. Delicato equilibrio tra uomo e paesaggio. Vivere insieme, ascoltare le differenze, rispettare il ritmo che detta la montagna. 4 Entusiasmo della gara, desiderio di vittoria. Orgoglio dell’allevamento. La competizione accende l’animo dei più giovani e la tradizione continua. Le batailles de reines sono un comportamento spontaneo all’interno delle mandrie, che devono designare la propria regina. Prima ancora che si organizzasse il Concorso regionale, a Valgrisenche gli allevatori avevano l’abitudine di radunare le proprie regine in paese per vedere quale fosse la più forte. Alla fine degli anni Cinquanta sono cominciate le eliminatorie regionali, che si svolgono nell’arena di Mondanges tutti gli anni, a inizio settembre, in un’atmosfera di festa che richiama tifosi e curiosi. La passione per le batailles aiuta i giovani a non abbandonare l’allevamento, nonostante i sacrifici che questa attività richiede. Perché l’alpeggio funzionasse, ognuno doveva rispettare il proprio ruolo. Il lavoro era condiviso fra adulti esperti e giovani apprendisti, i lapaboura, mandati dai genitori del fondo valle per guadagnare uno stipendio e contribuire alle spese familiari o per mettere da parte i soldi per proseguire gli studi. La sera era un momento conviviale: dopo cena, gli arpian si riunivano nella casera e si raccontavano le proprie esperienze, in attesa che arrivasse il giorno della dësarpa, il ritorno a casa. I rigori di una stagione di lavoro incessante. I volti e gli oggetti raccontano la fatica e l’amicizia nate dalla condivisione di un pezzo di vita. 6 7 Per andare avanti devi farmi una promessa: dimenticati dei supermercati! Drogherie, negozietti, vendita al minuto: tutto inesistente. È fondamentale per comprendere il passato della Valgrisenche e dei popoli di montagna. Una volta bisognava essere autosufficienti, per questo i miei antenati Vagrezèn dovevano produrre sul territorio quasi tutto ciò di cui avevano bisogno Secondo te come facevano a vivere? Ho preparato un piccolo cruciverba che ci può essere di aiuto per raccontare com’era la vita a Valgrisenche una volta e fino a non molto tempo fa, più o meno la metà del Novecento. ORIZZONTALI 3 4 5 8 10 11 12 13 14 15 è una manifestazione simile al mercato, ma si svolge meno sovente Il più fedele amico dell 'uomo Qui si trasferiscono allevatori e mandria durante l 'estate Quello del vicino è sempre più verde Lavoro svolto per tutta la comunità Tu di sicuro le ordini sempre fritte quando mangi al ristorante Macchinario che ha trasformato la presa del latte Verdura che probabilmente non ti piace e che nomini per esprimere un'esclamazione Fiume molto piccolo Formaggio tipico valdostano 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 VERTICALI 1 2 6 7 9 11 8 Il primo animale a svegliarsi la mattina. Le fanno le mucche quando devono decidere chi è la più forte, la regina. Offre la materia prima per realizzare il drap! Lo usano anche gli arbitri durante le partite per farsi sentire dalle squadre e dai tifosi Posso essere nera, marrone, pezzata... Nome di un famoso poeta italiano dell 'Ottocento. 14 15 Avrai capito che bisognava rimboccarsi le maniche: nessuno viveva nell’agio. Tutti erano sia allevatori sia agricoltori; non possedevano molto: qualche mucca, le galline, alcune pecore. I lavori da fare erano tanti. Ogni casa aveva una stalla che, durante l’inverno, permetteva vivere al calduccio, grazie al calore degli animali (proprio come nella stalla di Betlemme!). Le mucche vanno munte due volte al giorno e pensa che in alpeggio bisogna svegliarsi alle 2.30 di mattina per la mungitura! I prati per il pascolo andavano mantenuti e curati, bisognava pulire i ru, i canali che conducevano l’acqua per irrigare i terreni e anche fare i fieni. Con tutto questo gran da fare, la comunità era sempre impegnata. Dimenticavo, si coltivava anche la terra e si facevano gli orti, che secondo me sono bellissimi! Si seminava l’orzo che è molto nutriente, poi la segale, le patate, i cavoli, i porri… Con il latte si producevano burro e formaggi. In autunno si macellava una mucca, una pecora o un maiale e doveva bastare per tutto l’anno. Non c’era molta carne e per questo si mangiava anche quella di marmotta (ora non più, è una specie protetta) e… pare che fosse molto buona! Per la festa di San Martino, i primi di novembre, c’erano le fiere. Allora si scendeva a Valle e si scambiava o si vendeva qualcosa per acquistare i prodotti che non si potevano produrre in montagna: in questo modo si avevano le provviste necessarie per affrontare l’inverno. Scegli tra questi prodotti quelli che secondo te sono della montagna e quelli che sono della piana e scrivimi la lista della spesa che devo portarmi a casa: aiutami a procurarmi ciò che mi serve per superare l’isolamento invernale! Castagne Fontina Sale Utensili intagliati in legno Farina di mais Riso Burro Noci Orzo Drap 9 Un drap pour réchauffer le corps et l 'âme 4 capoluogo 3 2 planté 1 PRARIOND 10 Valgrisenche è custode di una lunga tradizione di tessitura della lana e della canapa che dà vita al drap, un tessuto caldo e resistente, le cui fibre raccontano le asperità della vita in alta montagna. Grazie alla determinazione dei Vagrezèn, questo mestiere è stato tramandato nel corso dei secoli, giungendo sino ai giorni nostri. Nel corso della passeggiata, si ha la possibilità di scoprire le peculiarità del drap, di conoscere i luoghi deputati alla creazione di questa stoffa, di vedere telai antichi e moderni, di andare indietro nel tempo visitando una mostra e anche di acquistare un capo in drap, bussando alla porta della cooperativa Les Tisserands dove, con cura e passione, ogni giorno è dato un presente a questo mestiere del passato. Il telaio più grande misura due metri e settanta e si usa per le coperte matrimoniali. Se si è imparato a lavorare su quello, gli altri telai sono tutti molto semplici! Emy Maguet 11 1 Curare la pecora: sale, pane, erba, un po’ di libertà. Chiedere la lana di troppo. Lei ringrazia più leggera. Tosare la massa, la matassa, un filo. Unire storie. La tradizione della tessitura del drap affonda le radici in un passato lontano: da sempre la Valgrisenche è nota come valle dei tisserand. Già nel XVIII secolo esisteva una diploma per poter praticare il mestiere! Il drap è un tessuto di lana molto robusto e caldo utilizzato per realizzare coperte, tende e capi di abbigliamento. Il drap nasce al telaio, che un tempo era collocato nella stalla, l’ambiente della casa più spazioso, caldo e umido. Tutti contribuivano alla lavorazione del tessuto: uomini, donne e anche i bambini che, prima di andare a scuola, erano incaricati di preparare le spoline. A metà Novecento si corse il rischio di perdere per sempre il sapere plurisecolare della tessitura dei drap come conseguenza allo spopolamento della montagna successivo al secondo conflitto mondiale e alla costruzione della diga. Alla morte dell’ultimo tisserand il figlio, Sulpice Frassy, si impegnò per dare futuro alla tradizione del drap: con il sostegno dell’Amministrazione regionale organizzò alcuni corsi cui presero parte molte donne di Valgrisenche, felici di poter contribuire a mantenere vivo l’antico mestiere. Per lavorare furono restaurati i vecchi telai che si trovavano nelle stalle e ne furono costruiti di nuovi sui modelli originali. Nel 1969 fu fondata una cooperativa, oggi chiamata Les Tisserands, che ogni giorno si impegna a garantire un posto al drap nella produzione tessile del XXI secolo. Intrecciare orizzontale e verticale. Immaginare un disegno, seguire un pensiero, ripetere un gesto. Inventare un nuovo percorso. E scommettere. 2 12 3 Centouno, centodue, centotré pecore bianche. Una pecora nera. Zero pecore blu. Il mosto e gli occhi fissi sul telaio. I colori dell’autunno. A decretare il colore del drap, in origine, era il filo di lana grezza dal quale era ricavato. Il tessuto poteva essere dunque bianco, grigio o nero. Esistevano però anche altre due colorazioni: una brunorossastra chiamata tanet, che si otteneva dal mallo di noce; una blu molto utilizzata tra Otto e Novecento per gli abiti, che si otteneva con la bollitura in succo di mirtillo. Oggi il drap, che come al tempo è realizzato dalla lana delle pecore Rosset, è conosciuto in molte altre tinte, rinnovato nelle colorazioni e anche nei disegni. Le fontane erano il luogo deputato all’infeltrimento del drap. Nei secoli scorsi, infatti, il drap subiva questo trattamento volto a renderlo impermeabile, robusto e quindi più duraturo. Il tessuto era immerso in acqua saponata fredda e poi sbattuto violentemente con bastoni e spazzole di legno. Attraverso questo lavaggio, la fibra si induriva, si compattava e acquisiva quelle caratteristiche di resistenza all’acqua, alle macchie e all’usura che rendevano il tessuto tanto speciale. Da questa abitudine traeva però anche origine l’aspetto ruvido e grezzo con cui era noto il drap. Per tale ragione oggi l’infeltrimento si svolge meccanicamente, con una pratica che mantiene il materiale più morbido, più piacevole al tatto e più confortevole nella realizzazione di capi di abbigliamento. Resisti al freddo? Lana annodata, tessuta, nel calore della stalla. Infeltrita, nel gelo della fontana. Più solida, resiste all’acqua. Resisti al freddo. 4 13 Mettiamo subito le cose in chiaro: io non sono una bambola come le altre! Guarda i miei capelli… no, non il colore, che è marrone, piuttosto comune in effetti. Il materiale. Secondo te i miei capelli sono fatti: di cheratina di lana di cioccolato Sono fatti di lana! E la lana è fatta con il vello della pecora. Forse è meglio cominciare dall’inizio. Devi sapere che a Valgrisenche c’è una tradizione secolare, la tradizione della tessitura. Alcuni dicono che si tesse da sempre, altri parlano del 1600. Non so a chi dare ragione, ma è senz’altro un mestiere antico, che affonda le radici in un tempo lontano. Un po’ come quelle storie che cominciano con c’era una volta. C’era una volta un tisserand, potremmo dire. I telai erano fatti di legno e conservati nelle stalle, dove faceva più caldo. In origine si lavorava la canapa, che si comprava a Valle, perché era impossibile coltivarla a 1664 metri di altezza, poi il cotone e la canapa insieme e finalmente la lana delle pecore Rosset, più pregiata e calda, come quella dei miei capelli! La pecora ha bisogno di essere tosata, altrimenti muore di caldo, il pelo diventa rasta e pesa troppo! Regole per tosare una pecora: 1 prendi una pecora 2 falle un sorriso 3 scegli il momento giusto, di solito la primavera 4 tienila a digiuno per un giorno (sì, è esattamente per il motivo a cui stai pensando) 5 prendi un rasoio tosapecore elettrico 6 no, non puoi tosare una pecora: sei troppo piccolo. Era uno scherzo. Aspetta qualche anno oppure chiama un tosatore esperto! Recuperata la materia prima dalla pecora, la lana va cardata, per togliere le impurità dal pelo e per riordinare le fibre tessili, e filata. A questo punto si può cominciare a lavorare sul telaio. Bisogna preparare l’ordito, non è per niente facile. Poi lavori, lavori, lavori, lavori. Quando è pronto vai alla fontana e sbatti il tessuto con dei bastoni nell’acqua fredda saponata per farlo infeltrire e renderlo impermeabile. Alla fine nasce il Drap, il tessuto tipico della Valgrisenche, quello con cui è fatto il mio vestito! Un tessuto caldo e resistente, il mio preferito. Infine… con gli avanzi della lana, nasco io: Drapotte! 14 Oggi il Drap esiste di tutti i colori, perché si può tingere artificialmente. Ma una volta non era così. I Vagrezèn hanno dovuto sperimentare diversi metodi di tintura per scoprire nuove tonalità. Oltre ai colori della lana grezza, quindi bianco, grigio e nero, esistevano il marrone, chiamato tanet, ottenuto dal mallo di noce che è quello strato polposo che avvolge il guscio della noce quando è sull’albero, è verde, ma se fatto fermentare produce il marrone. Che misteri! E poi esisteva anche il blu. Tu come ricaveresti il blu? mosto d 'uva con il sangue della famiglia reale succo di mirtillo Una volta tutti tessevano, oggi invece non è più così, ma ci sono dei miei amici che proseguono la tradizione in un posto che sia chiama Les Tisserands, se vuoi puoi andare a visitarlo e farti raccontare ancora tante curiosità da loro! 15 4 16 2 M ON DA NG Ca ES po lu og o 3 PLA NT É GE RB ELL E BO NN E FO RN E T Avant et après le barrage 6 5 1 Camminare sulle tracce dei ricordi. Incontrare, nella montagna più amena, un importante esempio di archeologia industriale del secolo scorso. Tra gli eventi che segnano maggiormente la storia e il paesaggio di Valgrisenche si inserisce la costruzione della Diga di Beauregard: un imponente muro di 132 metri terminato con l’aprirsi degli anni Sessanta ma oggi abbassato di 110 metri. Una passeggiata che unisce, in un unico racconto, lo slancio industriale e il desiderio di progresso che animarono l’Italia dell’epoca e le microstorie dei Vagrezèn, che hanno dovuto abbandonare i loro villaggi prima del riempimento della diga, o dei numerosi operai immigrati per lavorare nel cantiere. Fino ad arrivare alla moderna ottimizzazione delle risorse e alla tutela dell’ambiente. Lasciare la casa per via della costruzione della diga fu tristissimo per mia nonna, che ha vissuto quel momento come se fosse l’ultimo della sua vita. Saverio Bois 17 1 C’era una volta la diga. E prima ancora c’era una vallata inviolata. Convivono ora qualcosa dell’una e dell’altra. Pensiero e panorama mutano velocemente, come il cielo in montagna. La Società Idroelettrica Piemonte (SIP) manifestò interesse nei confronti delle risorse idriche e del bacino imbrifero di Valgrisenche già negli anni Venti del Novecento. Il progetto e la costruzione della diga di Beauregard furono avviati nel secondo dopoguerra, in un momento di ripresa economica e di grande fiducia nei confronti del progresso, quando l’elettrificazione del Paese era strategica per lo sviluppo dell’Italia. Tra il ’48 e il ’49 si svolsero gli studi preliminari e giunsero a Valgrisenche, con le rispettive famiglie, i primi operai incaricati di aprire il cantiere. La costruzione richiese una decina di anni. 3 La diga di Beauregard raggiungeva l’altezza di 132 metri, sviluppandosi dai 1.640 m slm della base sino ai 1.772 m del piano di coronamento che, lungo 400 metri, collegava i due versanti della vallata. In Valle d’Aosta, era la seconda diga per grandezza, superata in seguito da quella di Place-Moulin, in Valpelline. Il calcestruzzo con il quale è stata realizzata era ricavato da inerti estratti dalla piana di Beauregard. L’opera aveva uno spessore massimo di circa 45 metri nel punto più basso e si assottigliava verso l’alto sino a uno spessore di 5 metri. Era uno sbarramento ad arco di gravità, a doppia curvatura, con struttura simmetrica e fermava le acque della Dora di Valgrisenche in località Marioulaz. Crescita e cambiamento hanno radici nel terreno, profonde fondamenta. Una quinta grigia tesa verso l’alto. Opera sovrumana, imponente architettura, fascino della creazione. 2 18 Cose lasciate, ricordi nell’acqua di cose passate, perdute, momenti sommersi. Spinta e spostamento. Vite vicine proseguono altrove. Il territorio investito dalla diga non era disabitato, come può sembrare ora. Nonostante le proteste, le battaglie e le resistenze degli abitanti, prima dell’inizio dei lavori furono evacuati cinque villaggi secolari, piuttosto popolosi e abitati tutto l’anno: Beauregard (che diede il nome all’impianto), Sevey, Supleun, Fornet e Chappuis. Sfollate anche due frazioni non sommerse, Usellières e Surier, che sarebbero altrimenti rimaste isolate dal resto della vallata. Qualcuno partiva, qualcuno arrivava: i figli degli operai del cantiere andavano a scuola in paese e stringevano amicizia con i Vagrezèn. 5 La diga è collegata alla centrale di Avise, ultimata nel 1954, ed era pensata per una capacità di 70 milioni di metri cubi, che corrispondevano a una quota di massimo invaso di circa 1.770 m, pochi metri sotto il coronamento, e a una potenziale produzione dell’impianto di 286,410 GWh. Tale livello fu raggiunto sperimentalmente soltanto tra il 1960 e il 1963. Dopo la tragedia del Vayont e a seguito del rilevamento delle critiche condizioni della sponda sinistra, il livello dell’acqua fu abbassato di oltre 60 metri, riducendo a un decimo la capacità reale della diga. Per garantire la stabilità dello sbarramento furono realizzate importanti opere di consolidamento. Acqua orizzontale, cemento verticale. Strapiombo e materia. Poi le montagne create dai ghiacci segnano l’obliquo. Un lago troppo profondo per essere vero. 4 Salire, scalare. Tornare indietro. Riconoscere i segni nelle pareti, i tagli nei tronchi. L’erba cresce in fretta, la vita continua. Sono le rocce a conservare memoria. Il controverso argomento della diga nata sotto cattiva stella trovò soluzione definitiva nell’ottobre 2011, quando iniziarono i lavori di adeguamento, volti ad abbassare l’altezza del muro di 52 metri, riducendo così l’impatto ambientale ma mantenendo in attività l’impianto. Dalla metà degli anni Novanta, la parete era stata reimpiegata dalle guide alpine di Valgrisenche come palestra di arrampicata. L’attività di demolizione, a cura della Compagnia Valdostana delle Acque (CVA), si è conclusa nel 2014: ha richiesto 112 esplosioni e ha portato il muro a un’altezza di 22 metri. Una volta Fornet era il villaggio più popolato della Valgrisenche: prima della Seconda Guerra Mondiale contava 45 abitanti. Qui non è mai arrivata la corrente elettrica, che si fermava a Beauregard, e si viveva nelle condizioni dei secoli precedenti. Il villaggio possedeva tutto l’essenziale per un’economia autarchica e per questo era detto Repubblica de Fornet. Aveva la rettoria, la chiesetta sorta nel XII secolo (ancora prima della parrocchia di Valgrisenche), la scuola sussidiata, il mulino consorziale, la latteria turnaria, i forni. Si viveva dei prodotti della terra, dell’agricoltura e del bestiame. Le famiglie si spostavano stagionalmente, poiché spesso erano proprietarie sia di una casa a valle sia di un alpeggio in quota, e potevano così seguire l’intero ciclo di produzione legato all’allevamento. Il tempo, liquida storia inflitta alle pietre, si ferma a volte. Ti fermi? Tracce esili e potenti i muri sgretolati voluti dagli uomini resistono agli uomini. Spiragli mostrano qualcosa di là. 6 19 Test dello spirito di avventura! 1 Andresti un week-end in montagna con i tuoi amici in una baita senza corrente elettrica e senza acqua? a b c neanche per sogno! ho già preparato batterie autonome, cisterne, torce, candele, bibite gassate e shampoo in polvere e alcuni manuali di fisica quando si parte? 2 Se fossi nominato cuoco 3 Il cellulare si è scaricato, niente internet, niente tv… che facciamo? a panini, patatine e cioccolato per tutti! b in cantina c'è il fornellino da campeggio dello zio e ho letto di un metodo di cottura dei cibi al sole con una lente di ingrandimento c cosa credi? Io so accendere il fuoco. a Maggioranza di b : Montagna, mare, campagna… poco importa quale sia il paesaggio, ogni occasione è buona per metterti alla prova! Idee strampalate e innovativi modi per fare le cose costellano le tue giornate: così rendi frizzante la tua vita e quella dei tuoi amici. La tua natura è quella dell’inventore! Maggioranza di c : Questo è l’animo dell’esploratore, che sa valutare il pericolo e la sfida, che respira la natura a pieni polmoni e la rispetta, che sa quando partire e quando fermarsi, che vorrebbe correre, cavalcare, sciare, lanciarsi con il paracadute e poi, e poi… ehi Indiana Jones, guarda che devi andare a scuola anche tu! E solo quando hai finito i compiti puoi uscire di nuovo! della comitiva, come ti comporteresti? Risultati Maggioranza di a : L’avventura nella natura non fa per te, meglio una vacanza tranquilla, con una valigia ben studiata, compagni di viaggio noti e una buona guida con tutti i consigli per scegliere le tappe percorso: ma sono sicura che hai già il biglietto dell’aereo per raggiungere la tua città preferita! andiamo a dormire, ho freddo, non mi posso truccare e qui ci si annoia b invento un generatore di energia che trasforma lo sforzo fisico in corrente elettrica, obbligo tutti i miei dieci amici a correre per due ore e ricarico i cellulari! c giochiamo a nascondino al chiaro di luna e cantiamo canzoni sdraiati nei sacchi a pelo guardando le stelle Che non c’è sempre stata la corrente elettrica, sicuramente lo sai già. E saprai anche che ancora non c’è in tutti i paesi del mondo. Puoi immaginare che la vita senza corrente elettrica fosse molto diversa: niente frigoriferi, niente interruttori della luce, niente televisione. Simile alla vacanza in baita che ti stavo raccontando. Insomma una mattina, dopo numerosi esperimenti, alcuni signori intelligentissimi e con una buona fantasia sono riusciti a produrre la corrente. Per portarla in tutte le case avevano però bisogno di grandi fonti di energia. Secondo te oggi come si produce l’energia elettrica? con l 'acqua con gli alberi 20 con la sabbia con gli atomi con il vento con lo zucchero con la luce del sole Uno fra i metodi più sfruttati, nel pieno del Novecento, era l’energia idroelettrica, prodotta grazie all’acqua contenuta in grandi bacini artificiali. L’acqua era indirizzata alle turbine di speciali centrali in cui la sua potenza veniva, e viene ancora, trasformata in energia. Per ottenere la corrente bisognava costruire le centrali, le turbine, i canali e anche delle barriere artificiali per raccogliere grandi quantitativi di acqua. Queste erano le dighe! L’energia non serviva soltanto per le case private, era indispensabile per lo sviluppo della società e dei paesi, era fondamentale per l’industria e per il lavoro. Questo ha spinto ad accettare di costruire molte dighe in Italia. Una, molto grande, era proprio a Valgrisenche. La diga di Beauregard. Fu costruito un muro di cemento altissimo, ben 132 metri! Quanto sei alto? Quanti bambini alti come te si dovrebbero mettere uno sulle spalle dell’altro per arrivare in cima al muro? Richiamati dal cantiere, arrivarono circa mille operai da tutta l’Italia e i loro bambini andavano a scuola con i miei amici Vagrezèn. Furono fatti molti sacrifici per questa grande opera. Si decise, per esempio, che si sarebbero sommersi alcuni villaggi abitati e quindi numerose famiglie avrebbero dovuto lasciare la loro casa. Se tu dovessi partire, quale immagine, quale oggetto o quale ricordo del posto in cui vivi porteresti sempre nel cuore? Lo puoi scrivere o disegnare qui! ___________________ ___________________ ___________________ ___________________ ___________________ ___________________ ___________________ Però la storia è strana, sai? Dopo un po’ di tempo si scoprì che era meglio non riempire di acqua tutta la diga, perché sarebbe stato troppo pericoloso. E così i ruderi delle case riemersero (puoi andare a vederli ancora oggi!). Tanto per non sprecarlo, dei bravi scalatori utilizzarono l’alto muro come palestra di arrampicata e infine, nel 2011, si decise di abbassare il muro usando gli esplosivi. Secondo te oggi quanto è alto ? 70 metri 22 metri 10 metri Vai a vedere! 21 22 Ca po lu GE og RB o ELL Ch ie E sa 8 7 CE RÈ 6 5 4 RE VE RS 9 PR AR IO ND 10 BO NN E 11 PLA NT É Ci m ite ro M Ca ON po DA lu NG og ES o pa rro cc hi al e 13 CH AT EL ET SU RI ER Une foi qui se fait art 12 3 2 1 1 Superare l’inverno, la peste, il cattivo raccolto, un incendio… Quante grazie da chiedere alla Madonna, ai santi. Tante quante le cappelle che i Vagrezèn hanno eretto nei loro villaggi. Ecco perché questo paesaggio montano si presenta costellato di croci, oratori, piccole chiese: tutti segni di profonda fede e viva devozione. Edifici costruiti per lo più nel Seicento, poi ripetutamente restaurati, che ospitano a loro volta icone, sculture, affreschi, preziose testimonianze della spiritualità del territorio. Lungo il percorso si contano gli esempi principali di questo processo, scoprendo nel racconto i riti e le feste più sentite, le tradizioni religiose, le abitudine legate ai battesimi, ai matrimoni e ai funerali. La passeggiata è lunga e ricca di sorprese. È consigliabile calcolare una sosta più lunga al Capoluogo, per scoprire le particolarità del cimitero e le bellezze conservate nel Museo di Arte Sacra della chiesa parrocchiale. Un orrido, un ponte e più su una chiesa. Dimora a Revers dal 1906 la Madonna del Rosario. E chi curioso volesse sbirciare la tela coi santi sull’altare, c’è un San Pietro tra gli abitanti di queste case: in ogni frazione, della chiesa, qualcuno custodisce la chiave. Tra le cappelle che costellano il territorio di Valgrisenche, fondate per devozione degli abitanti delle frazioni, quella di Revers è la più recente. L’edificio, consacrato nel 1906, è dedicato alla Madonna del Rosario. Questi luoghi di culto sono strettamente legati alla vita di coloro che nel corso dei secoli li hanno voluti, mantenuti, restaurati e spesso integralmente ricostruiti. A testimoniare il perdurare di questo rapporto vi è una tradizione che vuole che in ogni frazione ci sia un detentore della chiave della cappella: chi, nel corso della passeggiata, volesse visitare l’interno degli edifici o pregare il santo titolare, dovrà trovare chi può aprire la serratura! È normale per i montanari questa sensibilità per le cose belle. Io me ne sono innamorato, naturalmente. Sì d’accordo, come prete, ma come semplice persona che ammira le bellezze del creato. Don Angelo Pellissier 23 3 Fino al secondo Dopoguerra, si andava a Messa a piedi. I primi fedeli partivano dai villaggi più alti o più bassi e il gruppo diventava vieppiù numeroso avvicinandosi alla Chiesa parrocchiale. Si ritrovavano amici e parenti e ci si ragguagliava sugli accadimenti della settimana. Le giovani madri portavano i bambini in spalla, senza spostarli dalle loro culle, nelle quali continuavano a dormire gli uni accanto agli altri, in fondo alla chiesa, durante la funzione. A rotazione, una famiglia preparava il pane che il parroco benediva e distribuiva a tutti i fedeli alla fine della celebrazione. Un’usanza chiamata tseretà. Domenica. Donne percorrono il sentiero, la vita segnata dal grembiule ricamato. Una giovane con la culla e il bambino in spalla. Risate e canti animano le persone in festa. Ragazzine vezzose e giovanotti da cui farsi notare. I bambini invece corrono: portano il pane al parroco! 2 24 Misteri della vita, della morte. Spariscono persone e saperi. L’abbraccio dall’alto resta, i Santi, la Vergine, Gesù la paura sanno placare. L’origine secentesca di molte cappelle di villaggio trova spiegazione nella grande peste che si diffuse in Europa nel 1630. A Valgrisenche, il morbo contò circa 300 morti soltanto nelle due frazioni più basse della parrocchia, ridusse di due terzi l’intera popolazione della Valle d’Aosta e scatenò il panico. Terminato il contagio, nella chiesa del Capoluogo fu fondata una cappella dedicata a San Rocco, protettore contro la peste, e diversi Vagrezèn si impegnarono a costruire opere sacre, quali erano le cappelle, a difesa del villaggio, dei suoi abitanti, dei loro animali e dei loro terreni. Ogni cappella è dedicata ad almeno un santo o a speciali titoli mariani. Solitamente era colui che aveva voluto e finanziato la costruzione a scegliere la titolazione. L’usanza era di ricordare un familiare con lo stesso nome o di individuare una protezione della quale aveva bisogno l’abitato. La cappella di Ceré, ad esempio, nasce da un ex-voto di Sulpice Moret e Cathérine Bethaz, sopravvissuti a un incendio, nel 1627. Il figlio, François Moret, divenuto parroco del paese, la fece erigere intorno al 1640, grazie al contributo di Philibert Grillon, Vagrezèn trasferitosi ad Aosta. Per questo la cappella è dedicata a Santa Barbara, riconoscibile nella pala dell’altare grazie all’attributo della torre, santa ancora oggi invocata in caso di incendio e protettrice dei vigili del fuoco. Una schiera di esili tronchi e tra i tetti un campanile. Santa Barbara preservi la nostra famiglia da morte improvvisa. Non fuoco che distrugge, ma fiamme che scaldano il cuore del fedele. Santa Barbara protegga il nostro focolare. 4 5 Ritrovare i volti di sempre. Occhi luminosi, sguardi sorridenti. Un giorno l’anno, ringraziare e festeggiare, curare le radici. Le cappelle di villaggio raccoglievano i fedeli per la devozione privata, per la recita del rosario o per celebrazioni particolari; il rito domenicale aveva luogo invece al Capoluogo. Ogni anno era organizzata però una grande Messa per venerare il santo titolare dell’edificio, nel giorno del calendario a lui dedicato: era, ed è tutt’oggi, la festa del patrono. La cappella è aperta e addobbata di tutto punto. La celebrazione della Messa, per opera dal parroco di Valgrisenche, è il fulcro della giornata, che prosegue con pranzo e musica. Il giorno del patrono è il ritrovo, l’unione, la festa. Il filo sicuro che ancora lega chi non abita più nella frazione con i suoi avi e con chi invece è rimasto. 7 Fino agli anni Settanta del Novecento, a Valgrisenche si svolgevano, nei giorni antecedenti la Pentecoste, le tradizionali processioni rogatorie per propiziare il raccolto: culti misterici antichissimi, dapprima pagani poi inglobati nel rito cristiano. La partecipazione a queste devozioni era grande: una calamità naturale o una malattia delle piante avrebbero ridotto interi nuclei familiari alla fame, al contrario un raccolto abbondante avrebbe garantito la sopravvivenza per il resto dell’anno. Contro i flagelli della natura i fulmini i terremoti la peste le grandinate un rito antico, perché i buoni semi trovino pace nella terra nera. E rinascano mutati in frutti nuovi. Solchi leggeri punteggiati di croci tra i fiori devoti. E per ogni nome un ricordo. La vita non inosservata, raccontata. Visi dietro i nomi, dietro i nomi storie. Ascoltali, riposano in pace. La fama e il fascino del cimitero di Valgrisenche hanno origine dal canonico Édouard-Clément Bérard. Parroco di Valgrisenche a cavallo fra Otto e Novecento, aveva l’abitudine di comporre poetici epitaffi a suggellare la vita dei parrocchiani. Le qualità e i difetti di una comunità sono immortalate in questi versi pieni di vita. Nasce così il camposanto di Valgrisenche: raro luogo di preghiera e testimonianza di viva fede. A ricordare i morti parole precise, fiori di montagna, fotografie sbiadite e semplici croci. che ogni inverno sono spostate, perché non restino sepolte e danneggiate dalla neve. Tutto qui è segno di ciò che è stato e compromesso con la natura. 6 25 9 La tradizione vorrebbe che la peculiare forma bombata della guglia del campanile parrocchiale di Valgrisenche rappresenti una tiara papale, omaggio dei Vagrezèn all’antipapa Clemente VII che autorizzò la fondazione della parrocchia nel 1392, rendendo Valgrisenche autonoma da Avise e Arvier. Testimonianza della fede nel corso dei secoli sono le preziose opere d’arte conservate nel Museo di Arte Sacra, nato per valorizzare il patrimonio artistico locale e per preservare gli arredi liturgici delle cappelle rurali da furti sacrileghi. Foulard e cappelli sul sagrato gremito. Sguardi, sorrisi, un ritrovarsi cordiale. La forza della chiesa, le parole, i muri, le opere d’arte, ancora radunano la comunità. Insieme nella celebrazione, unita nella vita quotidiana. 8 26 Finestre slanciate di moda neogotica e una competizione. Nell’azzurro stellato della volta e del manto della Madonna sicuro è San Giuseppe patrono di Mondanges. Suggestivo immaginare la strada antistante la cappella di Mondanges coperta di petali colorati: una volta, durante la processione del Giovedì Santo, ai bambini era chiesto di spargere fiori lungo il percorso, per partecipare attivamente al momento di preghiera. Grandi e piccoli si preparavano all’anno liturgico frequentando il catechismo la domenica pomeriggio nella chiesa parrocchiale. Nel 1907 fu aperto, nel Capoluogo, vicino alla chiesa, un collegio per 24 bambini e bambine, affidato alla gestione delle Suore di San Giuseppe. L’opera fu fortemente voluta dall’allora parroco ÉdouardClément Bérard con lo scopo di assicurare ai bambini la possibilità di frequentare le lezioni anche durante l’inverno, senza che dovessero affrontare tutti i giorni il percorso innevato dal proprio villaggio alla scuola, garantendo loro, parallelamente, una buona educazione cristiana. Nel 1965, lo stabile fu distrutto da un incendio ma poco dopo ricostruito. In questa occasione il nome cambiò da Pensionato Béthaz a Oratorio San Grato. Le suore restarono nella struttura sino al 1977, anno della chiusura. Studiare, imparare a scrivere, parlare, contare. Imparare un alfabeto per conoscere la natura, la storia, fuori e dentro di sé. 10 11 Maria accudisce chi a lei si vota nella vallata grigia o graia. Una cappella tra le baite e i prati per i pastori per i loro figli per chi ha cuore di fermarsi a salutare. La Messa domenicale non si svolgeva nelle singole chiese di villaggio bensì nella sola chiesa del Capoluogo. Non era soltanto un momento di preghiera e di affidamento a Dio: si trattava dell’occasione migliore per incontrare l’intera comunità. Qui i giovani, abbandonati gli abiti da lavoro e indossato il capo della festa, potevano scambiarsi qualche sguardo malizioso, benché seduti in banchi separati. All’uscita, sul sagrato, potevano parlare qualche istante e gettare le basi di rapporto che un giorno si sarebbe potuto trasformare in matrimonio. Le spose non indossavano l’abito bianco, ma l’abituale cotta, confezionata unendo una gonna e un corsetto in drap con gancetti, abbellita da un grembiule e da qualche nastro di seta o di velluto e da bottoni. 13 La cappella di Châtelet è un memento delle vicende legate alla costruzione della diga. L’edificio fu eretto dalla SIP nel 1959, quando le chiese di Fornet, di Beauregard e di Usellières erano state coperte dall’acqua. Per tale ragione ospita molti fra gli arredi provenienti dagli edifici scomparsi, come l’altare ereditato da Fornet o la statua di Sant’Orso di Giovanni Comoletti, originariamente nella cappella di Beauregard. Anche le campane suonano la loro precedente storia, quella grande giunge da Fornet e le tre piccole da Surier, da Chappuy e da Beauregard. Quattro quinte di montagne affondano nell’acqua. Una campana da Fornet, un sant’Orso da Beauregard, un saint-Leger da Usellières ricordano ciò che la diga ha sommerso e poi restituito. Di tempo e di storia parla il silenzio di queste rovine. Di partenze e di ritorni, di fede e di sussurri: che tutto vada per il meglio, che la montagna sia buona, che la vita non sia troppo dura. Santo protettore di Valgrisenche è San Grato, patrono anche della Valle d’Aosta. Secondo una leggenda, le reliquie del Santo furono trafugate dalla Cattedrale di Aosta nel 1380, portate in Savoia e ricondotte nel luogo originario da alcuni muratori di Fontainemore che attraversarono il Colle del Lago, in territorio di Valgrisenche. Da questo passaggio, il lago fu battezzato lago San Grato. Alcuni sostengono dal XV secolo, altri dal XIX, il luogo è meta della processione dedicata alla Madonna delle nevi, che si svolge ogni 5 agosto. Si partiva dal Capoluogo alle 4 di mattina, alle Baite Grand’Alpe si celebrava la Messa e giunti al lago, se ne benedicevano le acque. 12 27 Hai mai pensato di un tuo compagno di classe che è un orso o che sembra un montanaro? Molti pensano che noi di montagna siamo persone di poche parole. A parte me, che non sto quasi mai zitta, mi sa che è vero. Parliamo poco e contempliamo molto. Magari è per questo che siamo in armonia con la preghiera e con la poesia. Vorrei raccontarti di un prete molto particolare, un certo Édouard-Clément Bérard, che guidò la nostra parrocchia per tantissimi anni tra l’Otto e il Novecento. Per scoprire chi era questo personaggio e per conoscere i miei avi dovresti andare al Cimitero, vicino al Chiesa di Capoluogo. Come? Hai paura? Non dovresti! Il nostro cimitero è uno fra i più belli che esistano! Fidati. È un luogo speciale, fatto di semplici croci e di tanti fiori. Qui il canonico Bérard, quello che ti dicevo prima, scritto dei versi per ognuno dei suoi fedeli. Li puoi trovare facilmente, sono scritti in corsivo sotto a ogni foto. Io a volte vengo qui e mi perdo a pensare alle vite di tutte queste persone, a immaginarmi che corpo c’era sotto quei volti, che storia c’era dietro a quei versi. A volte mi distraggo tanto che si fa l’ora di cena e devo tornare a casa di corsa! In che periodo storico avresti voluto nascere? Disegna il tuo ritratto nell’ovale qui sotto! 28 Ormai è da un po’ che cammini, volti pagine, guardi le mie montagne preferite e respiri il profumo del bosco. Credo di potermi fidarmi di te… Sei capace a mantenere un segreto? Prima di tutto devi dirmi se ti sei accorto delle chiesette che ci sono ai piedi delle montagne, nei vari villaggi. Se non le hai viste, torna indietro e ricomincia tutto da capo: ti manca spirito di osservazione. Se invece te ne sei accorto… non hai vinto niente, però possiamo andare avanti. Nei secoli passati i Vagrezèn, hanno costruito numerosi edifici religiosi con il desiderio di esprimere la loro fede. Buoni motivi per costruire una cappella votiva: 1 per non rimanere bocciato a scuola 2 perché ci si è salvati da una disgrazia, come un incendio o una valanga 3 perché i raccolti siano buoni 4 per fare colpo sulla vicina di banco 5 per diventare ricco 6 per superare una malattia o un'epidemia, come la peste 7 per vincere una gara 8 perché la vita sia bella 9 altro ___________________ Molte fra queste risposte sono valide ed è stato così che sono sorte tante piccole cappelle volute dagli stessi abitanti della Valgrisenche. Lo so che non ti ho ancora detto il segreto… ma è prezioso quindi te lo devi guadagnare superando le prossime prove. Puoi farti aiutare dai grandi e puoi anche cercare sui libri o su internet (le stelline corrispondono al grado di difficoltà)! Prima prova * Come ti chiami? ___________________ Seconda prova ** Come si chiama il tuo santo onomastico e in quale giorno del calendario si festeggia? Quarta prova **** Scrivi e disegna il suo attributo (per esempio per Pietro sono le Chiavi, per Paolo la Spada, per Caterina la ruota, per Stefano i sassi, per Lucia gli occhi…) ___________________ Terza prova *** Sai dire di chi è protettore (per esempio Barbara dei pompieri, Giuseppe da Copertino degli studenti, Sant’Alberto di Lovanio dei fornai)? ___________________ Ho pensato a questo gioco perché ogni cappella è dedicata a un santo, quello più importante è il patrono del villaggio e si ricorda nel giorno della festa patronale, però ce ne sono anche altri, magari ricordati nei dipinti e nelle sculture conservate all’interno degli edifici. Guardando gli oggetti che li caratterizzano li puoi riconoscere e puoi riuscire a immaginare il motivo per cui è stata dedicata loro una cappella. Ora tu mi dirai: ma io ho provato a entrare in una chiesetta ed era chiusa! Pronti per il mio segreto? In ogni villaggio c’è qualcuno che della cappella custodisce la chiave. Prova a guardarti intorno e a cercare, a chiedere e a bussare, se con educazione e col sorriso domanderai, sicuramente la porta e il cuore aprirai! 29 La guerre, puis la paix 5 PLAN DOU BRÉ 4 ARP VIEILLE 3 ALPETTAZ 2 BONNE 1 Capoluogo 30 Il Col du Mont è una facile via di comunicazione con la Francia. Via di scambi pacifici e commerci ma, in periodo di guerra, valico strategico per l’attacco e la difesa. Conseguentemente, il territorio di Valgrisenche è stato oggetto di interesse militare nel corso dei secoli: base strategica per controllare i vicini rivali e via privilegiata per raggiungere l’Italia dall’altro versante. Quella che proponiamo, più impegnativa e in alta quota delle altre, è un’escursione che si sviluppa lungo il tracciato dell’antica mulattiera (opera di grande precisione tecnica ben conservata), attraversa la pietraia e raggiunge la caserma del Plan du Bré. La narrazione introduce i principali avvenimenti bellici vissuti da Valgrisenche e il modo in cui la popolazione si è adattata o ha reagito ad essi. Io non mi sono mai trovato in uno scontro a fuoco, facevo la staffetta: portare le armi da Valgrisenche, trenta chili, non era facile. E non avevamo bisogno di uomini in più, avevamo bisogno di armi e di avere da mangiare. Ernesto Gerbelle 31 3 1 Mura di pietra finestre feritoie. Il fortino agli occhi nasconde armi, strategie. Destini ignoti dormono insieme e aspettano. Foggia e nome del Vieux Quartier segnano il paesaggio e la toponomastica di Valgrisenche, rendendo manifesto un elemento costitutivo della storia di queste montagne: gli avvenimenti bellici. Il Vieux Quartier è una caserma costruita dai soldati del Regno d’Italia a partire dal 1889 come base strategica, con lo scopo di ospitare truppe per attaccare la vicina Francia, nel caso fosse scoppiata una guerra. La struttura non fu immediatamente utilizzata ma divenne appoggio per le milizie durante entrambe le guerre mondiali, in particolare la seconda. Ai tempi della costruzione della diga, Lo quartier, come lo chiamavano i Vagrezèn, fu impiegato per alloggiare le maestranze coinvolte nel cantiere. In seguito la proprietà dallo Stato passò alla Regione, secondo le linee indicate dallo Statuto dell’autonomia, e infine dalla Regione al Comune, che lo ha trasformato in una struttura turistico-ricettiva, con sale museali e spazi a uso della comunità. A rendere Valgrisenche oggetto di interesse militare nel corso dei secoli è stata la posizione strategica: il Col du Mont rappresenta infatti un facile accesso alla Francia. Già Annibale, nel 218 a.C., avrebbe lasciato traccia del proprio passaggio secondo quanto testimonia il pianoro nominato Cimitero degli Elefanti nei pressi del Rifugio Bezzi. Il Col du Mont, punto di accesso ai territori Oltralpe insieme al Piccolo e al Gran San Bernardo, fu ripetutamente valicato in entrambe le direzioni. Era impensabile che gli eserciti sfruttassero un solo passaggio: i generali selezionavano dunque percorsi diversi, per riunire infine le truppe in pianura, come fece anche Napoleone Bonaparte quando, nel 1800, attraversò la Valle d’Aosta con 40 mila uomini per sorprendere l’esercito austro-ungarico nemico. Memoria salda. Insaziabile memoria di elefante. Storie sepolte, passaggi, leggendarie traversate. Ricordi consegnati alla terra e al suo nome. 2 32 Non fermarsi. Se la stanchezza non fermarsi. Se la paura non fermarsi. Se la strada è da costruire, non fermarti. Le caserme di diversa datazione, i ricoveri sotterranei e la mulattiera costruita dai soldati per raggiungere le fortificazioni di epoca napoleonica di Maison Forte e i ricoveri militari della Becca dei Quattro Denti sono un segno forte, nel paesaggio, della storia militare di questo territorio. Oltre a raccontare l’evoluzione del pensiero strategico, queste vestigia manifestano la sapienza ingegneristica e la precisione costruttiva di chi le realizzate. In campo militare era possibile, d’altra parte, investire ingenti somme senza risparmiare sulla mano d’opera: se ritenuto necessario, dal quartier generale bisognava rendere accessibile all’esercito e ai muli da montagna, ancorché dell’esercito, anche i cammini più impervi. 5 Nel 1792, tremila soldati piemontesi erano registrati a Valgrisenche, inviati nel timore che i francesi, in piena Rivoluzione, guardassero al territorio con finalità annessionistiche. Nel 1940, erano circa quattromila i militari accampati. Nel 1944, giunsero i tedeschi. A ondate, dunque, soldati italiani e stranieri sono passati e hanno stanziato a Valgrisenche, talvolta addirittura per anni. Le truppe andavano mantenute. In questa emergenza le provviste erano destinate a consumarsi in fretta: uomini e animali avevano bisogno di viveri e, in alcuni casi, anche di ospitalità. Alle conseguenze materiali, vanno aggiunte le ricadute psicologiche e sociali: l’angoscia provata dai Vagrezèn, consapevoli della possibilità costante di essere invasi dalle milizie, va presa in considerazione per comprendere l’unità e il coeso senso di appartenenza che caratterizza questa comunità di confine. Attraversare un segno. Difenderlo. Confini che disegnano, separano, spostano. Confini di chi abita, decisi da altri. Confini dove si deve stare. Da imparare. Contro l’insensatezza resistere. Dare un altro corso alla storia. Cambiare, la lotta più grande. A ogni costo con fiducia la nostra giustizia. Nuova e migliore, la nostra terra. I fatti che segnarono più profondamente Valgrisenche nel corso del secondo conflitto mondiale si verificarono in seguito alla dichiarazione di armistizio dell’8 settembre 1943. Ad Aosta, si costituì un coordinamento della lotta clandestina guidato da Émile Chanoux e a Valgrisenche molti giovani, delusi dalla guerra e dalla politica dei precedenti decenni, accolsero con fiducia questa possibilità di opporsi al fascismo e al nazismo attraverso la lotta partigiana. I Tedeschi intanto controllavano la valle e il confine. Si formò una banda, in contatto con quella di Saint-Nicolas, che s’installò prima a Plan-Singin, poi a La Plontaz. Si organizzarono staffette per portare cibo, armi ma soprattutto informazioni, vitali per gli esiti della lotta di liberazione della Valle d’Aosta, che proprio in questi mesi stava maturando i fondamenti ideologici che avrebbero portato la popolazione a chiedere l’autonomia. È in una missione da Valgrisenche a Saint-Nicolas che muore il partigiano Leone Frassy, all’età di ventuno anni. Riparato in una casa durante un attacco tedesco, decide di uscire e affrontare gli avversari piuttosto che compromettere la vita dell’intera famiglia che era disposta a nasconderlo. 4 33 Tutto comincia dalla mappa. Osservando una cartina della Valgrisenche vedrai che confina con la Francia e magari questa non ti sembra una novità: che la Valle d’Aosta sia collocata tra la Francia, la Svizzera e l’Italia è cosa nota. Devi però sapere che c’è un colle, che si chiama Col du Mont, che è facilmente percorribile e che collega i due territori. Difficile dire se questa sia stata una fortuna o una sfortuna per la mia gente… I colli uniscono o dividono? Una volta per chi viveva a Fornet era addirittura più semplice e veloce raggiungere la Francia piuttosto che Aosta. Si commerciava con chi abitava dall’altra parte, che era considerato un amico. Il colle quindi è un’apertura, un varco per raggiungere una meta. Ma a volte questa meta è un territorio da conquistare. Succede durante la guerra. Già nel 218 a.C., parte delle truppe di Annibale sarebbero passate per il Col du Mont, insieme ai loro elefanti, per raggiungere Roma. Come faccio a saperlo? a esiste un pianoro vicino al Rifugio Bezzi che si chiama “Cimitero degli Elefanti” me lo ha raccontato il nonno del nonno del nonno del nonno del nonno del nonno del sindaco c l 'ho studiato sul libro di storia b La prima risposta è quella vera! Però è meglio se non sali lassù alla ricerca di ossa di elefante, perché in tanti già hanno provato e per ora nessuno ha trovato nulla… Nel corso dei secoli, tanti eserciti hanno attraversato la Valgrisenche per raggiungere la Francia o, al contrario, l’Italia. I soldati dovevano essere molto coraggiosi per affrontare le missioni che erano loro affidate, senza sapere se avrebbero mai fatto ritorno alla loro casa. Però anche alle popolazioni che li dovevano accogliere era chiesto molto coraggio e molta fede. Nella seconda metà dell’Ottocento è stato costruito il Quartiere militare, come base strategica, alcuni soldati dormivano lì, altri negli accampamenti di tende e altri ancora occupavano le case. I Vagrezèn dovevano sfamarli: in alcuni casi erano migliaia di uomini e le provviste finivano in fretta! Le memorie più dolorose dei miei avi riguardano l’occupazione tedesca durante la seconda Guerra mondiale, quando a Valgrisenche si erano stanziati i nazisti per controllare proprio il Col du Mont e quindi il passaggio della frontiera. Ma, ormai lo sai, noi della montagna siamo forti e quindi abbiamo superato le difficoltà che ci sono capitate nel corso dei secoli e siamo qui, uniti alle nostre montagne, a cantare la loro bellezza. C’è qualcosa che per te è molto importante, che difenderesti a ogni costo? Potresti dedicare qualche verso, scrivere una piccola poesia per il tuo tesoro prezioso? Ho lasciato questo spazio per la tua sperimentazione poetica… È bianco, ma se ti piace di più lo puoi colorare! 34 Consigli per scrivere una breve poesia: 1 scegliere l 'argomento (per esempio “la mia stanza”, “il mio giocattolo preferito”, “la nonna”, “il torrente dietro casa”, “il gatto”, “la mia vicina di banco”…) 2 descriverlo con al massimo tre aggettivi che significhino cose diverse 3 abbinare un colore che ti sembra rappresentativo 4 essere sinceri 5 trovare un pensiero bello che vorresti condividere con un'altra persona Se vuoi, puoi anche provare a disegnare l’oggetto protagonista della tua poesia utilizzando i versi che hai scritto. Sei bravissimo: questi componimenti si chiamano calligrammi! Coincya richeri Sbuco dalle rocce, fiera mi tendo verso il cielo e irriverente al sole chiedo il suo colore: Prestami un po’ di giallo, o Sole per favore, donami un po’ del tuo calore! 35 Un sentier qui se fait verglas capoluogo GERBELLE 6 1 DARBELLEY 5 4 chez carral 36 planté 3 2 L’inverno è la stagione più dura, in montagna. Per percorrere questo sentiero è sufficiente munirsi di ciaspole e bastoncini ma l’ingrediente fondamentale per renderlo totalmente suggestivo è la fantasia. Bisogna infatti immaginare un mondo nel quale gli spartineve non esistevano, come pure il riscaldamento centralizzato e lo scaldabagno. Un mondo nel quale i bambini erano ospitati in collegio per poter seguire le lezioni e in cui le scarse ore di luce permettevano di svolgere poche attività. La modernità ha cancellato tutto questo, che comunque non deve essere letto come sofferenza, bensì nella ricerca di tutte le soluzioni ingegnose che erano messe in campo per far fronte alle avversità. L’inverno era lungo e freddo, c’era neve. E il problema del forno era trovare la legna: tutti i giorni bisognava andarla a cercare, portarla con la slitta e se era bagnata farla asciugare. Vincent Bethaz 37 1 Cambia il ritmo con la neve. I passi lenti cercano nuovi appoggi. Pioniere del sentiero, buon viaggio. Respira l’aria dell’inverno e ascolta. Il rumore della neve non è silenzio. Durante l’inverno, il ritmo quotidiano rallentava. Adulti e bambini trascorrevano molto tempo, nelle stalle, a tessere o a produrre oggetti agricoli e artigianali. In autunno, si cuoceva il pane fatto con la farina di segale coltivata in loco. Doveva durare per tutto l’anno. Ogni villaggio aveva il proprio forno e le famiglie si organizzavano in turni per sfruttare al meglio l’accensione del fuoco. Alla fine degli anni Quaranta, la famiglia Bethaz decise di dedicarsi alla panificazione professionale: non avevano un negozio e consegnavano il pane bianco quotidianamente agli acquirenti, trasportandolo sul carretto o sulla slitta. 3 Le scorte alimentari per affrontare l’inverno si creavano prima dell’autunno. Si mettevano da parte le patate (coltivate in abbondanza in specie a Fornet), i cavoli, i porri e le cipolle che ancora oggi popolano gli orti delle frazioni. L’allevamento garantiva latte, burro e formaggi. Il surplus era barattato, in novembre, con gli abitanti dei comuni a valle che offrivano in cambio riso, farina di mais e castagne. La frutta scarseggiava. Una volta l’anno si macellava un grosso capo di bestiame: un vitello, un maiale… Parte della carne andava sotto sale, con il resto si insaccavano salsicce e budini. Non c’era il frigorifero, un locale accanto alla casa era allora destinato a ghiacciaia e permetteva di conservare il cibo. Linee spezzate, conducono lo sguardo, i tetti del villaggio, le vette contro il cielo. Il fumo dalle stufe. Cambia il sapore con la neve. 2 38 Ore nella stalla a gustare il tepore, le guance rosse Il pane dell’autunno. Storie, fili da tessere, fiato che protegge. Cambia il battito con la neve. In inverno si viveva nelle stalle, dove gli animali riscaldavano l’ambiente. La sera, la famiglia saliva al piano superiore, nel péillo: una stanza spesso ma non sempre riscaldata da una stufa, dalla quale l’ambiente prende il nome. Per combattere il freddo, la notte, si utilizzavano gli scaldaletti, riempiti con la brace del focolare e più persone condividevano il medesimo letto. Il nucleo familiare era allargato e le generazioni si mescolavano: i bambini vivevano con i genitori ma anche con i nonni, gli zii. Ogni casa era una piccola comunità. 5 Non tutti gli animali entrano in letargo, in inverno: caprioli, cervi e volpi restano in attività grazie al grasso accumulato in estate e all’infoltimento della pelliccia. Durante una passeggiata invernale, si possono avvistare lepri, ermellini e pernici bianche, il cui colore favorisce il mimetismo. Alzando lo sguardo, con un po’ di fortuna, vedrete la maestosa aquila reale. E se gli abitanti del bosco si nascondono agli occhi dei bambini, si può provare a riconoscere le orme che hanno lasciato sulla neve! Che colore ha la neve se la illumina la luna? L’aria di ghiaccio, le stelle accese amano gli ermellini, misteriosi e schivi abitanti della notte. Cambia il passo con la neve. 4 Da tempo immemore affrontare il cammino. La neve acconsente: si lascia attraversare. I chiodi frenano le suole. La via più breve fra due punti innevati. A Valgrisenche l’inverno era lungo, la neve era abbondante e la temperatura raggiungeva i 18 gradi sotto lo zero. Il territorio era particolarmente soggetto a slavine e restava talora isolato, anche per giorni o settimane. Prima della costruzione della diga, esisteva a fondo valle una strada che collegava Fornet al Capoluogo: il percorso aggirava le valanghe, passando da un versante all’altro. Chi doveva spostarsi e camminare a lungo, per recarsi alla latteria turnaria ad esempio, faceva tappa nelle stalle lungo la via per riscaldarsi e ristorarsi. In estate come in inverno, i muli erano deputati al trasporto di prodotti e di persone. Per aprire un varco nella neve e rendere percorribile una strada si legava all’animale un tronco, o un triangolo. Il mulo, procedendo nella neve, tracciava la via. Così il percorso per andare a scuola, a Messa o per spostarsi in caso di emergenza, era battuto. Il resto era affidato all’attenzione, all’equilibrio e ai chiodi sotto la suola dei sabot. E quando non era possibile mandare in avanscoperta i muli si rimaneva a casa oppure si attraversava la neve fresca. Scivolare, correre, lasciarsi andare. Immaginare forme, scoprire altre velocità. Conoscere il peso, scavare passaggi, coltivare amori. Cambiano i giochi con la neve. 6 39 L’inverno non era affatto uno scherzo, qui a Valgrisenche. Nevicava. Come nevicava in tutti gli altri villaggi di alta montagna, dirai tu. Certo che era così. Come dalle altre parti. O forse un po’ di più. I nostri vecchi raccontano che una volta nevicava più di oggi. E io credo ai nostri anziani, sono loro i testimoni del mio passato! Lo vedi questo spazio bianco? No… non è un errore, non ci siamo dimenticati di scrivere. Quello è il mio villaggio sommerso dalla neve e dalla valanga che è caduta su alcune case… per questo ora non si vede più. Mi aiuti a riportarlo alla luce? Nella vita vera ci sarebbe bisogno di tanto sole e di molte pale, ma in questo gioco ti basterà unire i puntini tra loro per scoprire dove abito! Hai mai notato che cambiano i suoni con la neve? Tutto sembra più ovattato! Se hai la fortuna di svegliarti una mattina presto dopo la nevicata, prova a uscire e a chiudere gli occhi, che cosa senti? Scrivi qui tre aggettivi per descrivere questo spazio quasi magico! ___________________ ___________________ Torniamo al passato di Valgrisenche. ___________________ Ti ricordi la promessa che mi avevi fatto prima, di dimenticare negozietti e market? Ecco, adesso devi dimenticare anche le macchine e le strade asfaltate. Già, non esistevano queste comodità e così Valgrisenche rimaneva isolata per alcuni mesi, tra dicembre e febbraio, a seconda di quanta neve cadeva e di quanto tempo ci metteva a sciogliersi. 40 Tu come avresti affrontato questo periodo dell’anno? a b c trasferendoti al mare inventando un macchinario per sciogliere la neve mettendo da parte tutte le provviste di cibo e di legna per superare i mesi più duri Questa è una risposta facile, hai già ottenuto alcuni suggerimenti dal percorso sull’allevamento. Ecco ora puoi capire perché era necessario essere previdenti: era bene non farsi cogliere impreparati all’arrivo dell’inverno, era proprio questione di vita o di morte. Nei mesi invernali si tesseva il drap e s’intagliava il legno. I bambini andavano a scuola e, per loro, era stato aperto un collegio nel Capoluogo. Non devi pensare che si restasse chiusi in casa o nella stalla: si andava alla fontana a lavare i panni, quando c’era il sole. Si andava a Messa, la domenica. Si giocava a palle di neve. Si portava il latte alla latteria turnaria. Per questo era necessario pulire i sentieri e le strade per unire i villaggi tra loro e a Capoluogo. Sotto le suole delle scarpe si mettevano dei chiodi, per non scivolare. E poi… COSA TI SERVE PER BATTERE UN SENTIERO • 1/2 muli • 1 triangolo di assi di legno, si intenda triangolo equilatero di lato almeno un metro • 20 pietre o più • 1 grande sacco • Corde quanto basta Ahimè anche questo è un gioco che non puoi fare da solo! Quindi si costruiva un triangolo con le assi, se possibile si fissava anche una lamiera nel lato della base, si mettevano le pietre in un sacco e il sacco nel triangolo. Il vertice era legato grazie a delle corde al mulo che, da bravo mulo, tirava e faceva tutto il lavoro! Tu vorresti un mulo come animale domestico? Non sto scherzando, ti sembrerà una scelta buffa, ma un tempo chi possedeva un mulo era fortunato… i muli erano utilizzati per il trasporto, per arare la terra, per battere i sentieri e hai già letto fra queste pagine che facevano parte persino dell’esercito! Lo sci e gli sport invernali arrivano in un’epoca successiva, invece… Mi hanno raccontato che, nella nostra vallata, il primo uomo a possedere un paio di sci abitava a Surier e se li era costruiti di legno, copiando dalle fotografie pubblicate nel bollettino del Club Alpino Italiano. 41 In copertina Photo d'ouverture Carte postale, 1934 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Domaine Élevage : nourriture et affection Un drap pour réchauffer le corps et l 'âme 1. Octave Bérard, 1961 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 1. Octave Bérard, 1954 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 2. Octave Bérard, 1950 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 2. René Willien, 1970 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien (Centre d’Etudes Francoprovençales) 3. Octave Bérard, 1950 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 4. René Willien, 1965 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien (Centre d’Etudes Francoprovençales) 5. Octave Bérard, 1950 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 6. Octave Bérard, 1961 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 3. René Willien, 1970 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien (Centre d’Etudes Francoprovençales) 4. Jules Brocherel, 1930 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Brocherel-Broggi Avant et après le barrage 1. Octave Bérard, 1956 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 2. René Willien, 1960 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien 3. Octave Bérard, 1958 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 4. Carte postale, 1961 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Domaine 5. Octave Bérard, 1959 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 6. Jules Brocherel, 1920 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Brocherel-Broggi Une foi qui se fait art 1. Carte postale, 1928 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Domaine 2. Margherita Angeli, Anna Gerbelle, Valgrisenche, 45e Concours Scolaire Patois «Abbé JeanBaptiste Cerlogne», Aoste, ITLA, 2007, p. 34 3. René Willien, 1970 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien (Centre d’Etudes Francoprovençales) 4. René Willien, 1960 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien (Centre d’Etudes Francoprovençales) 5. Carte postale, 1940 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Baccoli 6. Giuseppe Lucca, 1960 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Lucca 7. René Willien, 1960 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien (Centre d’Etudes Francoprovençales) 8. Carte postale, 1939 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Domaine 9. Octave Bérard, 1948 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 10. Octave Bérard, 1948 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 11. Octave Bérard, 1952 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 12. René Willien, 1960 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien (Centre d’Etudes Francoprovençales) 13. Octave Bérard, 1949 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard La guerre, puis la paix Un sentier qui se fait verglas 1. Valgrisenche, vers 1880 Archives Institut d’histoire de la Résistance et de la société contemporaine en Vallée d’Aoste, AIHRVdA, Aoste 1. René Willien, 1960 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien (Centre d’Etudes Francoprovençales) 2. Valgrisenche, vers 1880 Archives Institut d’histoire de la Résistance et de la société contemporaine en Vallée d’Aoste, AIHRVdA, Aoste 2. Octave Bérard, 1960 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 3. Haut du Valgrisenche, d’après la fin de la Seconde Guerre Archives Institut d’histoire de la Résistance et de la société contemporaine en Vallée d’Aoste, AIHRVdA, Aoste Fonds Andrea Pautasso « Bert » 4. Haut du Valgrisenche, 1944 Archives Institut d’histoire de la Résistance et de la société contemporaine en Vallée d’Aoste, AIHRVdA, Aoste Fonds Andrea Pautasso « Bert » 5. Fornet, 1944 Archives Institut d’histoire de la Résistance et de la société contemporaine en Vallée d’Aoste, AIHRVdA, Aoste Fonds Andrea Pautasso « Bert » 3. René Willien, 1960 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien (Centre d’Etudes Francoprovençales) 4. René Willien, 1960 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Willien (Centre d’Etudes Francoprovençales) 5. Octave Bérard, 1954 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard 6. Octave Bérard, 1948 Région Autonome Vallée d’Aoste Archives de l’Assessorat de l’éducation et de la culture Fonds Bérard