Provincia di Verona Il Piano di Azione Aziendale come strumento di soddisfazione dei fabbisogni occupazionali delle imprese I casi di buon governo dei rapporti tra Pubblica Amministrazione Locale ed Imprese Provincia di Verona - Il Piano di Azione Aziendale come strumento di soddisfazione dei fabbisogni occupazionali delle imprese Il contesto La riforma del collocamento pubblico ha ridisegnato il quadro degli interlocutori istituzionali cui le imprese possono rivolgersi per soddisfare i loro fabbisogni occupazionali, delegando alle Province la realizzazione di politiche attive per il lavoro. Tali enti devono poter garantire la funzione essenziale di matching tra domanda ed offerta conciliando, per quanto possibile, la tutela delle persone in cerca di occupazione con le esigenze di flessibilità delle imprese. L’attività di intermediazione dei Servizi Pubblici per l’Impiego trova però un inatteso ostacolo proprio nel basso numero di aziende che utilizzano l’operatore pubblico per il reclutamento delle risorse: una recente indagine dell’Isfol (I Servizi per l’Impiego nelle relazioni con le imprese – Osservatorio Isfol XXIV,2,3 – 2003) evidenzia come, su 100 aziende, solo 16 si rivolgono ai Centri per l’Impiego, ed una buona percentuale di esse non è al corrente dei cambiamenti intervenuti nel collocamento pubblico a seguito della Riforma Biagi. Il Piano di Azione Aziendale, realizzato all’interno del Settore Politiche Attive per il Lavoro della Provincia di Verona, rappresenta il risultato di un processo di cambiamento organizzativo, finalizzato ad esplorare nuove possibilità di interazione con le imprese presenti sul territorio, coerentemente con il nuovo ruolo assunto dalle Province in seguito alla Riforma Biagi. La Legge, infatti, sottolinea il valore della funzione di consulenza direzionale come elemento distintivo e caratterizzante la modernizzazione dei Servizi Pubblici per l’Impiego, in quanto migliora la capacità di comprensione delle esigenze e l’individuazione dei fabbisogni occupazionali delle imprese. Il PAA, per riprendere le parole del dott. Luigi Oliveri, Dirigente del Settore Politiche Attive per il Lavoro, parte dal presupposto che “la clientela di un servizio per l'impiego non è solo la persona in cerca di lavoro, ma anche l'azienda che ricerca personale”. Con la sottoscrizione del PAA si attiva un meccanismo di interazione tra la Provincia (per il tramite del Settore Politiche Attive per il Lavoro), il CPI competente sul territorio e l’impresa, grazie al quale: gli operatori pubblici hanno modo di entrare nell’impresa, di conoscerne a fondo attività e problematiche e definire un percorso di affiancamento finalizzato ad individuare i fabbisogni di personale attuali ma soprattutto programmare quelli futuri, eventualmente “ritarando” le modalità dell’intervento; le imprese hanno la possibilità di esplicitare in maniera puntuale e dettagliata le loro esigenze, ed entrano in contatto con una Pubblica Amministrazione efficiente e competente. Piano di Azione Aziendale Ufficio di Progetto per il Marketing Input/Output Imprese Centro per l’Impiego competente sul territorio Il PAA punta a stabilire un rapporto di collaborazione e cooperazione con le imprese, e la formalizzazione in un documento è funzionale non solo alla chiarezza dei rapporti, ma soprattutto ad attivare un percorso di affiancamento duraturo nel tempo. In tal modo, i SPI sono in grado di migliorare anche la qualità del servizio prestato alle persone in cerca di occupazione, perché possono indirizzare l’offerta informativa ai target condivisi con le aziende, orientare le risorse verso determinate attività lavorative, formarle per l’occasione, garantendo dunque maggiori opportunità e molteplici sbocchi professionali e realizzando così l’obiettivo dell’occupabilità richiesto dalla mission dei Servizi per l’Impiego. I driver dell’innovazione Il Piano di Azione Aziendale matura in un contesto economico fiorente, in quanto sia a livello regionale che a livello provinciale non esistono particolari emergenze: il tasso medio di disoccupazione si attesta attorno al 3,4% ed il tessuto imprenditoriale locale – 90.000 imprese di piccole, medie e grandi dimensioni iscritte alla Camera di Commercio - è rimasto quasi del tutto estraneo alle crisi occupazionali ed alla congiuntura economica negativa degli ultimi anni. Tali caratteristiche hanno stimolato il Settore Politiche Attive per il Lavoro a concentrare l’attenzione sul target delle imprese – in coerenza con gli obiettivi definiti dal Masterplan regionale -, per cercare di risolvere la criticità legata al basso numero di collocamenti intermediati dai Servizi per l’Impiego, motivata dal fatto che la maggior parte delle imprese ricorreva a canali di reclutamento alternativi. Il PAA rappresenta la formalizzazione di un modus operandi in realtà già diffuso e praticato sul territorio provinciale, anche prima della Riforma e dunque del passaggio delle competenze dal Ministero del Lavoro alle Province. Le risorse che gestivano i rapporti con le imprese avevano adottato un approccio diretto e collaborativo, e gli imprenditori locali dimostravano di apprezzare la capacità propositiva e la “vivacità” degli operatori. A seguito della Riforma (nel 2002), le risorse sono poi confluite nei diversi Centri per l’Impiego presenti sul territorio, dove hanno potuto consolidare la loro professionalità, e soprattutto intensificare il rapporto di cooperazione con le imprese, potendo godere di una maggiore libertà organizzativa e di strumenti informativi/consulenziali in precedenza inesistenti. In particolare, i due Centri per l’Impiego di Verona e Legnago avevano, per motivi diversi, adottato una politica di promozione dei servizi alle imprese particolarmente “aggressiva” ed efficace: molto spesso, lo stesso operatore si recava presso la sede fisica dell’azienda a presentare all’imprenditore, o al Responsabile del Personale, l’offerta di servizi del Centro e le nuove tipologie di contratto partorite dalla Riforma. Visto il positivo riscontro e la forte motivazione del personale, la Provincia ha deciso di internalizzare tali competenze nel Settore Politiche Attive per il Lavoro, in modo da centralizzare l’attività di promozione e di servizio alle imprese, e dispiegarla a beneficio dell’intero territorio provinciale con l’istituzione, nel 2003, dell’Ufficio di Progetto per il Marketing. Giugno/ Luglio 2003 Ricognizione del servizio marketing dei CPI di Legnago e Verona Luglio /Agosto 2003 Elaborazione del manuale di descrizione dei processi di lavoro Agosto 2003 Validazione del manuale Lettera di incarico del 22 agosto 2003 Approvazione del processo per la costituzione dell’Ufficio di Progetto per il Marketing L’Ufficio di Progetto per il Marketing, coerentemente con quanto previsto con l’ordine di servizio che lo istituisce, svolge un’attività di intelligence sul territorio, in quanto coordina l’attività delle risorse competenti per la gestione dei contatti con le aziende, l’erogazione di informazioni e l’acquisizione di nuovi clienti, anche in collaborazione con i Centri per l’Impiego presenti sul territorio. Altro elemento di innovazione riguarda le modalità con cui viene erogato il servizio, che rovesciano le tradizionali modalità di interazione tra Pubblica Amministrazione ed utenti: in questo caso, infatti, sono gli stessi operatori che “portano” il servizio a “casa” dell’imprenditore (a costo zero), differentemente da quanto accadrebbe se si rivolgessero alle Agenzie private autorizzate. I risultati I dati in possesso dell’Ufficio di Progetto per il Marketing si riferiscono al primo anno di vita della struttura, e testimoniano il generale apprezzamento per l’attività svolta. Nel corso dell’anno 2004 sono state visitate 204 aziende e 68 hanno aderito al PAA, con un’evasione delle richieste pari al 50% rispetto al fabbisogno di personale evidenziato. Il livello di soddisfazione per i servizi resi è piuttosto elevato, come testimoniato dai risultati dei questionari di customer satisfaction somministrati a tutte le aziende che hanno stipulato il PAA. Per informazioni e contatti Ufficio di Progetto per il Marketing – Settore Politiche Attive per il Lavoro Via delle Franceschine 10, 80122 Verona Responsabile: Carlo Scupola E-mail: [email protected] Telefono: 045/8088469 Fax: 045/8088821 Sito web: http://www.provincia.vr.it/newweb/Servizi al/Settore Po/index.asp Per saperne di più: la riforma del mercato del lavoro Il mercato del lavoro è al centro di una profonda trasformazione, e con esso le Istituzioni, sia pubbliche che private, coinvolte nella riforma del collocamento. Il decreto attuativo 276/2003 sancisce la fine del monopolio pubblico e definisce un regime autorizzatorio che prevede la possibilità, per una serie di attori (Agenzie private, Università, Ordine dei Consulenti del lavoro) di esercitare una funzione che per mezzo secolo è stata gestita a livello centralizzato dal Ministero del lavoro, che conserva esclusivamente una funzione di pianificazione e indirizzo. A livello locale, la Riforma rafforza il ruolo delle Province, delegando ad esse la gestione dei Servizi Pubblici per l’Impiego e la definizione/attuazione di politiche attive per il lavoro. L’obiettivo della occupabilità viene perseguito dalle Province con l’erogazione di nuovi servizi (accoglienza, orientamento, consulenza, formazione) finalizzati a semplificare l’incontro tra chi domanda lavoro e chi offre lavoro. Il Piano di Azione Aziendale: l'esperienza della Provincia di Verona Intervista al dottor Luigi Oliveri, Dirigente del Settore Politiche Attive per il Lavoro della Provincia di Verona D: Le amministrazioni provinciali sono fortemente impegnate nella riconfigurazione del sistema di offerta dei servizi per l’impiego, in ottemperanza a quanto previsto dal d. lgs 469/97. A sei anni di distanza, qual è la Sua opinione sullo “stato dell’arte” del processo di riforma nella Sua provincia? R: La Provincia di Verona ha sostanzialmente concluso la fase di formazione e studio delle riforme. Il personale si è già spinto molto avanti su linee di attività essenziali, quali l'accoglienza e l'orientamento, nonchè l'incontro domanda-offerta, utilizzando sia le nuove metodologie normative, sia anche gli strumenti operativi software messi a disposizione dalla Regione Veneto. In particolare, uno strumento quale lo sportello e-labor, una sorta di anticipazione di un sistema di incontro domanda-offerta aperto ai cittadini ed alle imprese, ma controllato nei suoi canali di accesso dalle sinergie tra centri per l'impiego e sportelli privati convenzionati attivati dalle associazioni sindacali e di categoria. La Provincia allo scopo proprio di puntualizzare il quadro delle attività svolte, ha realizzato un progetto di standardizzazione dei servizi resi, creando un manuale della qualità ed impostando una carta dei servizi, che saranno attivati nei prossimi mesi. L'attivazione a regime di due servizi fondamentali quali l'accoglienza e l'orientamento, oltre all'avvio di progetti sperimentali indicano uno stato di avanzamento da considerare buono. D: L’evoluzione degli SPI verso una funzione proattiva e di orientamento implica necessariamente la riformulazione delle strategie di intervento sul mercato del lavoro locale. Quale ruolo gioca la comunicazione all’interno di un sistema di offerta di servizi orientato al mercato? R: La comunicazione assolve ad un ruolo strategico, perchè talvolta la mancanza di opportunità di lavoro, per i cittadini, deriva dalla mancanza di conoscenze. Per questa ragione la Provincia ha investito in un forte piano di comunicazione sulle tematiche del lavoro nel biennio 2003-2004, con l'obiettivo di rilanciarlo anche nelle successive annualità. Si è puntato, sin qui, su una comunicazione "minimale", che chiarisse ai cittadini intanto, un primo dato essenziale: competente a risolvere le problematiche del lavoro è la Provincia, non il Ministero, un ente "vicino" al cittadino ed al territorio, sensibile alle peculiarità . In abbinamento a tale piano, la Provincia ha anche avviato una serie di convenzioni con i comuni, per estendere appunto le opportunità di conoscenze e relazioni anche in quelle frazioni del territorio non presidiate da uffici provinciali. D: Potrebbe indicarci, in ordine crescente di importanza, quegli obiettivi che ritiene strategici per una efficace strategia di comunicazione? R: - Monitorare il livello di soddisfazione degli utenti degli SPI; - Migliorare l'immagine dei Servizi Pubblici per l'Impiego; - Motivare gli operatori degli SPI e facilitare la comprensione e l'accettazione del cambiamento; - Comunicare ai soggetti interessati i servizi disponibili, i tempi di risposta e la qualità delle proposte attivabili da parte dei Centri Per l'Impiego; - Creare/potenziare un legame con gli stakeholders coinvolti a vario titolo nel processo di decentramento delle politiche attive per il lavoro; - Raggiungere fasce di utenza poco partecipi. D: La Provincia di Verona ha istituito un apposito Ufficio di Progetto per il Marketing a cui ha deciso di affidare la pianificazione e gestione della strategia di comunicazione e marketing dei SPI sul territorio provinciale. Quali sono gli obiettivi sottesi alla nascita di questa struttura? R: Il progetto marketing è parzialmente diverso da quello che generalmente si intende. La Provincia non ha inteso fare marketing al solo scopo di sviluppare la comunicazione delle attività, ma ha piuttosto inteso "acquisire clienti". Si è partiti dal presupposto che la clientela di un servizio per l'impiego non è solo la persona in cerca di lavoro, ma anche l'azienda che ricerca personale. Una delle funzioni essenziali previste dalla legge Biagi è proprio l'attività di consulenza di direzione finalizzata alla risoluzione di una specifica esigenza dell'organizzazione committente, attraverso l’individuazione di candidature idonee a ricoprire una o più posizioni lavorative in seno all'organizzazione medesima, su specifico incarico della stessa. E' chiaro che tale analisi, oltre a favorire la conoscenza dei servizi per l'impiego, permette ai servizi di conoscere con anticipo le esigenze delle aziende ed a tale scopo selezionare a monte i curricula adeguati, oppure rilevare l'assenza nel territorio di figure richiese e così attivare la formazione, oppure creare con la ditta percorsi di inserimento lavorativi finalizzati a completare professionalità solo parzialmente rispondenti alle richieste. Insomma, si cerca di rimodulare l'offerta in base alla domanda. In tal modo, a regime, l'efficienza del sistema dovrebbe aumentare. D:L’ufficio di Progetto per il Marketing ha previsto un Piano di Marketing e Comunicazione volto a favorire l’incontro domanda/offerta di lavoro rivolto specificamente al target “impresa”. Quali le ragioni che hanno spinto a rivolgersi a questo segmento di utenza? R: La consapevolezza, come detto prima, che il valore aggiunto da dare a chi cerca lavoro è la presenza di un "pacchetto di imprese" il cui fabbisogno è noto, il che consente di creare canali di ricerca mirati e diretti. D: Da un recente monitoraggio effettuato dall’Isfol in cinque province italiane sui principali canali di reclutamento del personale utilizzati dalle imprese, emerge come i Centri per l’Impiego vengano contattati solo nel 16% dei casi, mentre nel 28% complessivo dei casi le imprese si rivolgono ad Agenzie private o ad Agenzie interinali. Qual è la situazione nella Sua provincia a riguardo e quale impatto ha avuto in termini di risultati concreti l’attuazione del Piano di Azione Aziendale su di essa? R: I dati definitivi del piano di marketing e del correlato sistema dei piani di azione aziendale sono ancora da analizzare. Si tenga presente, per altro, che per l'anno 2004 il progetto sperimentale si concluderà con una specifica analisi di customer satisfaction delle aziende che hanno stipulato il patto, dalla quale verificare il livello di copertura del canale. Certo, l'obiettivo del marketing è creare un contatto molto forte con le aziende che stipulano i piani, le quali tendenzialmente dovrebbero utilizzare il canale pubblico per le ricerche di lavoro con percentuali molto superiori. In effetti, i primi dati sin qui rilevati sono al di sopra del 16% indicato, ma è prematuro commentarli. D: Quali dati sono emersi dall’ attività di monitoraggio conseguente all’implementazione del Piano di Marketing e Comunicazione alle imprese, in termini di aziende visitate, convenzioni sottoscritte e lavoratori assunti? R: Ad oggi sono state visitate 155 aziende, delle quali circa 60 hanno stipulato il Piano di Azione Aziendale. D: Ad un impegno concreto nei confronti del target “impresa” è corrisposta un’azione di sensibilizzazione verso i servizi offerti dai CPI anche per altre fasce di utenza, quali disoccupati, inoccupati, giovani in obbligo formativo, ecc.? Sì, si tratta proprio delle funzioni di accoglienza e orientamento che sono già a regime da quasi due anni. D: Ci sono iniziative di comunicazione e marketing in cantiere nell’agenda provinciale dei prossimi mesi? R: L'azione di marketing verrà ripetuta e rafforzata, anche col coinvolgimento delle scuole (l'esperimento per la verità è già partito nel 2004). Le iniziative di comunicazione saranno connesse alla pianificazione legata alle risorse del FSE SCHEDA DI RICHIESTA PERSONALE Settore Politiche Attive per il Lavoro S P A Z I O / RIF.: CENTRO PER L’IMPIEGO di Servizi per l’Impiego PROVINCIA DI VERONA __________________________________________________________________ R I S E R V A T O RIF A L L ’ U F F I C I O / : Pratica: Operatore del Centro per l’Impiego incaricato di seguire la ricerca e selezione del personale ..................................................................................................... Telefono...................................– fax ........................................... e-mail............................................................................................ Progetto Marketing Sportello Lavoro Note: c/o Istituto/Università: DATI DELL’AZIENDA Ragione sociale Partita Iva Codice Fiscale Via Comune (prov.) tel. fax e mail Referente azienda n° dipendenti/soci Settore attività C.C.N.L. PIANO DI AZIONE AZIENDALE STIPULATO IN DATA SI INCARICO DI PRESELEZIONE NO Modalità di ricerca/pubblicazione: Ricerca archivio banca dati CpI Pubblicazione all’albo dell’ufficio Pubblicazione sul portale della Provincia Pubblicazione su organi di stampa locali Pubblicazione/Ricerca banca dati Elabor Altro (specificare) ..................................................... Ai sensi della legge 196/2003 autorizzo il trattamento dei dati personali forniti al Centro Impiego. MOD15 Rev. 00 del 04/06/2004 Pagina 1 di 2 MOD15 RICHIESTA DI PERSONALE Questo documento è di proprietà della Provincia di Verona – Settore Politiche Attive del Lavoro che se ne riserva tutti i diritti SCHEDA DI RICHIESTA PERSONALE CENTRO PER L’IMPIEGO di Servizi per l’Impiego PROVINCIA DI VERONA Settore Politiche Attive per il Lavoro __________________________________________________________________ Caratteristiche dell’offerta lavorativa N° lavoratori / RIF.: Luogo di lavoro Trasferte Il luogo di lavoro si può raggiungere con: Mezzo proprio Mezzi pubblici: AMT APTV FF.SS. Qualifica ............................................................................................................................................................................................... Esperienza necessaria Anche primo impiego Anche lavoratore generico Mansioni ............................................................................................................................................................................................... Attrezzature da utilizzare in azienda ........................................................................................................................................... Tipo rapporto di lavoro offerto Indeterminato Determinato Apprendistato Contratto d’inserimento mesi gg. mesi gg. mattino Orario di lavoro Contratto a progetto Contratto di collaborazione Domicilio Altro (speciifcare): ____________________________ ____________________________ / pomeriggio part-time: n° ore settimanali / notte diurno Turni / notturno spezzato Tipo di assunzione Ordinaria Agevolata: Mobilità Regione Veneto FSE Stato di disoccupato > 24 mesi Cassa Integrazione data assunzione/periodo...................................... Altro:.................................................. Caratteristiche del lavoratore Età da a Militassolto: Titolo di studio/attestato Inglese Lingue base Conoscenze informatiche livello Patente: A buona Tedesco ottima Word Office B buona base C ottima Excel D Francese base AS400 E K buona Altra ottima base buona ottima Altro: F ADR mezzo proprio Dichiaro altresì che l’eventuale assunzione sarà effettuata nel rispetto del Contratto Collettivo Nazionale di categoria e delle vigenti leggi in materia. Data Firma e timbro Ai sensi della legge 196/2003 mi impegno ad utilizzare i dati personali forniti dal Centro Impiego esclusivamente ai fini di selezione di personale da inquadrare nell’organico dell’Azienda da me rappresentata. MOD15 Rev. 00 del 04/06/2004 Pagina 2 di 2 MOD15 RICHIESTA DI PERSONALE Questo documento è di proprietà della Provincia di Verona – Settore Politiche Attive del Lavoro che se ne riserva tutti i diritti 3529,1&,$',9(521$ 8IILFLRSURJHWWR0DUNHWLQJ Prot ³3LDQRGL$]LRQH$]LHQGDOH´ /¶$]LHQGD GLVHJXLWRVHPSOLFHPHQWH$]LHQGD YLD Q 6HGH/HJDOH 5HIHUHQWH WHOHIRQR (PDLO &HQWURSHU O¶,PSLHJRGL FRQVHGHD GLVHJXLWRVHPSOLFHPHQWH&S, YLD 5HVSRQVDELOH Q 5HIHUHQWHL WHOHIRQRID[ (PDLOGHO&S, 2SHUDWRULGHO VHUYL]LRGLULFHUFD HVHOH]LRQHGHO SHUVRQDOH Pa g ina 1 d i 1 3529,1&,$',9(521$ 8IILFLRSURJHWWR0DUNHWLQJ 3UHPHVVRFKH - i Centri per l’Impiego Provinciali di cui DOO¶DUWFRPPDOHWWHUDHGHOGHFUHWROHJLVODWLYR sonoi “servizi competenti” alla gestione e alla erogazione dei servizi connessi alle funzioni e compiti in materia di politica attiva del lavoro, con particolare riferimento alla programmazione e coordinamento di iniziative volte ad incrementare l’occupazione e ad incentivare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, GLFHPEUHQ &RQVLGHUDWRFKH - comune intento dei 6HUYL]L 3URYLQFLDOL SHU O¶,PSLHJR e dell¶$]LHQGD aderente è la promozione di cultura della legalità e qualità del lavoro; - comune obiettivo dei 6HUYL]L 3URYLQFLDOL SHU O¶,PSLHJR e dell’$]LHQGD aderente è la promozione di interventi diretti alla ricerca e allo sviluppo di azioni idonee a facilitare il reperimento di personale e il miglioramento delle opportunità occupazionali delle persone in cerca di lavoro, anche attraverso l’analisi e lo studio dei nuovi strumenti di politica del lavoro introdotti dalle recenti riforme del mercato del lavoro. - la 3URYLQFLD GL 9HURQD con determinazione n° 149, del 13.1.2004, del dirigente del Settore Politiche Attive per il Lavoro, ha istituito presso i Centri per l’impiego Provinciali, nell’ambito del Servizio “Incontro Domanda Offerta” lo specifico servizio di 5LFHUFD H 6HOH]LRQH GHO 3HUVRQDOH . Detto servizio, gestito direttamente dai &S,, col coordinamento dei rispettivi responsabili, promosso dall’Ufficio di Progetto per il Marketing e gestito dagli operatori incaricati, ha lo specifico compito di offrire alle Aziende che aderiscono al 3LDQR GL $]LRQH D]LHQGDOH, le seguenti opportunità: ,QIRUPD]LRQL &RQVXOHQ]D 5LFHUFDHVHOH]LRQHGHOSHUVRQDOH - Pertanto,l¶$]LHQGD, come sopra rappresentata, con la sottoscrizione del presente Piano aderisce ad una o più delle opportunità offerte e prende atto che tale adesione permette lo svolgimento coordinato col &S, delle seguenti attività nel rispetto delle modalità operative di seguito indicate: - /¶D]LHQGD, nell’assoluta libertà di contattare soggetti pubblici e privati nell’ambito della ricerca di figure e profili professionali da inserire nel proprio organico, anche attraverso stage e tirocini formativi, considera la relazione con il &HQWUR SHU O¶,PSLHJR un mezzo idoneo al raggiungimento delle finalità di cui sopra; - ,O &S, attiva procedure idonee per giungere all’effettiva valutazione delle competenze dei candidati da segnalare all’azienda richiedente; - ,O &S, effettua la segnalazione, anche attraverso strumenti informatici, dei nominativi preselezionati entro 3 giorni lavorativi dalla ricezione della richiesta. Giustificati motivi che impediscano la segnalazione sono tempestivamente comunicati al richiedente. Il mancato Pa g ina 2 d i 2 3529,1&,$',9(521$ 8IILFLRSURJHWWR0DUNHWLQJ reperimento di profili corrispondenti alle caratteristiche indicate dall’azienda, impegna il Centro, di concerto con l’azienda stessa, ad attivare misure ulteriori di ricerca; - /¶D]LHQGD che si avvale del servizio incontro domanda/offerta del &HQWURSHUO¶,PSLHJR per la preselezione e il reclutamento del proprio personale, conviene sulla necessità di segnalare, entro tempi ragionevolmente brevi, l’esito della ricerca al Centro anche al fine di consentire l’analisi e il monitoraggio dei dati e dei flussi attuati; - ,O &S, R O¶8IILFLR SUHSRVWR , con cadenza mensile, trasmette all’azienda, anche attraverso strumenti informatici, una FLUFRODUH LQIRUPDWLYD contenente gli aggiornamenti in materia di procedure di assunzioni e relativa modulistica, forme di incentivazione nazionale e regionale alle assunzioni, tipologie contrattuali, tirocini formativi e altre informazioni in materia di lavoro; - predispone all’interno della propria struttura un punto denominato “6SD]LR ,PSUHVD” accessibile da parte dell’azienda sottoscrittrice anche attraverso strumenti informatici, volto a garantire un flusso, aggiornato e mirato di informazioni di interesse per l’azienda, erogato anche mediante elaborazione e distribuzione di materiali informativi e campagne di informazione relative all’introduzione di nuove misure di politica del lavoro e/o innovazioni normative in materia di lavoro; ,O &S, $WWLYD]LRQHGHOVHUYL]LRGLSUHVHOH]LRQH - /H SDUWL si impegnano sin d’ora a realizzare nei tempi e nei modi stabiliti le attività che saranno di volta in volta concordate; in particolare, mediante apposita OHWWHUD GL LQFDULFR l’azienda può affidare al Centro per l’Impiego il compito di ricerca e selezione del personale in base a moduli operativi condivisi e nel rispetto della normativa vigente &DUDWWHULVWLFKHGHO3LDQRGL$]LRQH$]LHQGDOH - Il presente Piano è costituito a tempo indeterminato e sarà sottoposto a eventuali verifiche, conferme o modifiche nei modi che le due Parti vorranno stabilire e potrà essere disdettato, ad insindacabile giudizio di ciascuna delle Parti, a mezzo di comunicazione scritta, in qualsiasi momento. - Il presente Piano QRQKDFDUDWWHUHRQHURVR per le Parti. 3HUO¶D]LHQGD _Luogo , data 6LJ 8IILFLR3URJHWWRSHULOPDUNHWLQJ 7HOHIRQR (PDLO Pa g ina 3 d i 3 PROVINCIA DI VERONA AREA SERVIZI ALLA PERSONA E ALLA COMUNITA’ SETTORE POLITICHE ATTIVE PER IL LAVORO STAFF AREA Monica Fondriest DIRIGENTE Dott. Luigi Oliveri UFFICIO DI PROGETTO ORIENTAMENTO Ref. Dott. Martina Permunian U.O. COLLOCAMENTO MIRATO Resp. Dott. Grazia Maria Ricci UFFICIO DI PROGETTO MARKETING Ref. Carlo Scupola OSSERVATORIO LAVORO Ref. Maria Micovillovich SERVIZIO COORDINAMENTO PER L’IMPIEGO Resp. Flavio Pasetto SERVIZIO CENTRO PER L’IMPIEGO 1 Resp. Dott. Antonella Vezzini SERVIZIO CENTRO PER L’IMPIEGO 2 Resp. VACANTE (Ref. Flavio Pasetto) PROVINCIA DI VERONA AREA SERVIZI ALLA PERSONA E ALLA COMUNITA’ SETTORE POLITICHE ATTIVE PER IL LAVORO SERVIZIO COORDINAMENTO PER L’IMPIEGO Resp. Flavio Pasetto CONTABILITA’ Daniela Busato (sub. Dirigente) AMMINISTRAZIONE Annamaria Bogoni Giuliana Lucco (sub. Dirigente) SERVIZIO CENTRO PER L’IMPIEGO 1 Resp. Dott. Antonella Vezzini CENTRO PER L’IMPIEGO AFFI Resp. Raffaele Caiazzo CENTRO PER L’IMPIEGO VERONA Resp. Dott. Antonella Vezzini CENTRO PER L’IMPIEGO SAN BONIFACIO Resp. Dott. Antonella Vezzini COMMISSIONE PROVINCIALE PER IL LAVORO CFL, CIGS, MOBILITA’, DISPONIBILITA’ P.I. Umberto Zancanella Antonio Scupola SERVIZIO CENTRO PER L’IMPIEGO 2 Resp. VACANTE (Ref. Flavio Pasetto) CENTRO PER L’IMPIEGO VILLAFRANCA DI VERONA Resp. Flavio Pasetto CENTRO PER L’IMPIEGO BOVOLONE Resp. VACANTE (Ref. Giuseppe Veronese) CENTRO PER L’IMPIEGO LEGNAGO Resp. Maria Micovillovich PROVINCIA DI VERONA AREA SERVIZI ALLA PERSONA E ALLA COMUNITA’ SETTORE POLITICHE ATTIVE PER IL LAVORO SCHEMA FUNZIONALE DI UN CENTRO PER L’IMPIEGO • • • • • • • Segreteria amministrativa Analisi e programmazione Progettazione monitoraggio, dati amministrativi e produzioni statistiche Ricerche indagini di mercato e valutazione delle politiche Programmazione e progettazione servizi • • Gestione sistema informativo Registrazioni comunicazioni obbligatorie Manutenzione anagrafe lavoratori Accertamenti coordinati con altre amministrazioni RESPONSABILE Accoglienza Accogliere, filtrare ed indirizzare la domanda all’utenza Mediazione domanda/offerta Raccolta domanda ed offerta di lavoro Servizio di mediazione Gestione avviamenti a selezione nelle P.A. Accompagnamento al lavoro Le attività finalizzate alla costruzione e gestione dei percorsi d’inserimento lavorativo Marketing per le imprese Presentazione servizi alle imprese, al fine di ottenere commissioni d’ordine per le attività di preselezione o mediazione domanda/offerta Il Piano di Azione Aziendale g Il Piano di Azione Aziendale - PAA è una convenzione a tre tra l’Ufficio di Progetto per il Marketing, l’operatore del CPI competente sul territorio per l’incontro domanda/offerta e l’azienda; g Il PAA è costituito a tempo indeterminato, non ha carattere oneroso per l’azienda e può essere rescisso in qualunque momento previa comunicazione di una delle parti; g Il PAA è un contratto a prestazione unilaterale in quanto non vi è corrispettività delle obbligazioni: l’unico soggetto “impegnato” è l’Ufficio di Progetto; g Il PAA offre, in aggiunta ai normali servizi, la possibilità di fruire dei servizi di politica attiva erogati dai Centri. Il “pacchetto” di offerta L’azienda contraente, stipulando il PAA, può scegliere di usufruire in tutto o in parte dei servizi di politica attiva offerti dai Centri. g Informazione mirata: 4 predisposizione, all’interno di ogni CPI, di un punto informativo denominato “Spazio Impresa”, diretto alla fornitura di notizie ed informazioni di interesse per l’azienda; 4 elaborazione e distribuzione di materiali informativi e del “Notiziario” trasmesso con cadenza mensile, contenente tutti gli aggiornamenti in materia di lavoro e mercato del lavoro e delle iniziative di maggior rilievo attivate dalla Provincia. g Consulenza: 4 analisi e studio dei nuovi strumenti di politica attiva del lavoro introdotti dalla riforma Biagi; 4 diffusione delle conoscenze in materia di contratti formativi, assunzioni agevolate e nuove tipologie contrattuali. Il “pacchetto” di offerta - segue g Ricerca e selezione del personale: 4 definizione dei profili di competenze e di capacità delle candidature ideali; 4 valutazione delle candidature attraverso appropriati strumenti selettivi; 4 certificazione e riconoscimento di conoscenze e competenze; 4 pianificazione e realizzazione del programma di ricerca delle candidature attraverso una pluralità di canali di reclutamento (banca dati CPI, quotidiani, radio locali, sito provincia, programma e-labor veneto); 4 formazione della rosa di candidature maggiormente idonee; 4 preselezione dei candidati e segnalazione dei nominativi selezionati. Regione Veneto: alcuni dati riguardanti il mercato del lavoro* Occupati Tasso regionale di occupazione Tasso regionale di disoccupazione Tasso di disoccupazione nazionale 2 milioni 63% 3,4% 9,2% • Uno dei dati di maggior rilievo riguarda la contrazione, registrata nel corso degli ultimi dieci anni, nella partecipazione al Mercato del Lavoro Veneto dei giovani di età compresa tra i 15 e i 19 anni; • Altro dato rilevante riguarda l’incidenza dell’occupazione femminile, il cui tasso di attività è passato dal 35,9% del 1994 al 39,3% del 2002; • Il settore con il maggior numero di occupati è il terziario, con il 56% del totale; Settori produttivi • Nel Veneto un ruolo significativo è ancora svolto dal settore manifatturiero, che impiega il 40,2% del totale degli occupati; • Cresce il settore meccanico, mentre è in calo il sistema moda. Tipologie contrattuali prevalenti (sul totale delle assunzioni) Apprendistato Tempo determinato Lavoro interinale Tempo indeterminato 15-16% 37% 13% 30% * Fonte: Mercato del Lavoro e dintorni – Pubblicazione a cura del centro per l’Impiego di Legnago (2002) Provincia di Verona: alcuni dati riguardanti il mercato del lavoro* Occupati Tasso provinciale di occupazione Tasso provinciale di disoccupazione Tasso di disoccupazione nazionale 361.000 50,9% 3,6% 9,2% • Il lavoro femminile ha conosciuto un aumento significativo soprattutto nel settore manifatturiero (+7,5%); • Il lavoro maschile fa registrare consistenti incrementi nel ramo commercio (+12,5%), con particolare riguardo alle attività di intermediazione, e nel settore del terziario; Settori produttivi • Nella Provincia di Verona si rileva un forte incremento del settore commercio. Occupazione dipendente, autonoma, parasubordinata • L’occupazione dipendente è pari al 66%, ed è più elevata tra le donne (75%), anche se nel complesso si conferma un trend decrescente che vede la categoria dei dipendenti in leggera flessione; • Una forte richiesta di lavoro dipendente si registra nel settore commerciale (+12,5%) e si rivolge in maniera esclusiva agli uomini (+27,3%); • L’occupazione trova espansione in misura rilevante sulle posizioni autonome o parasubordinate, con un progresso dell’11% (+17,2 per l’occupazione femminile, + 7,4% per l’occupazione maschile); • Il tasso di partecipazione dei giovani (15-24 anni) è in calo, probabilmente a causa di una mancanza di disponibilità a spostarsi per raggiungere la sede di lavoro; • Si evidenzia un forte incremento nell’occupazione dei giovani adulti (25-29 anni), pari all’80,5%. * Fonte: Mercato del Lavoro e dintorni – Pubblicazione a cura del centro per l’Impiego di Legnago (2002) Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego A - La missione dei SPI e il loro contributo alla realizzazione e al miglioramento delle politiche del lavoro L’identificazione della specifica missione dei SPI (servizi per l’impiego) è condizione fondamentale per poterne definire obiettivi e standard di funzionamento. Tale missione, anche rispetto ad un recente passato, è oggi declinata secondo schemi innovativi: in particolare l’attività affidata ai SPI è interpretata soprattutto come messa in atto di azioni di facilitazione e supporto rispetto a situazioni di tensione e squilibrio riscontrabili nel mercato del lavoro. La ridefinizione degli obiettivi e quindi del ruolo dei SPI discende sia dagli orientamenti formulati in sede comunitaria mano a mano che la SEO (Strategia europea per l’occupazione) si è venuta precisando e arricchendo a partire dal suo avvio, nel 1997, con il Consiglio europeo di Lussemburgo, sia dalla riforma avviata dal legislatore italiano (in particolare con il d.lgs. 469/97 e con il d.lgs. 181/00). La SEO si propone essenzialmente di favorire l’incremento del tasso di occupazione e della qualità del lavoro: a ciò mira l’insieme delle 18 guidelines delineate anche per il 2002 nel documento annuale di “Orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell’occupazione”1 e che articolano i quattro pilastri – occupabilità, imprenditorialità, adattabilità e pari opportunità – della SEO. La SEO valorizza il ruolo dei SPI in particolare con le guidelines riferite al pilastro “occupabilità” e, con un’enfasi specifica, con la prima di esse: “combattere la disoccupazione giovanile e prevenire la disoccupazione di lunga durata”. A tal fine gli SPI sono chiamati sia all’erogazione di servizi innovativi sia allo svolgimento di attività di accertamento, monitoraggio e verifica. Tanto i primi come le seconde sono essenziali per rendere efficaci le politiche del lavoro, “legate” insieme da una dimensione comune di accompagnamento al lavoro, che richiede opportune politiche attive (di incentivazione, di servizi reali) e giustifica perciò anche le collegate politiche passive di sostegno al reddito. In tale contesto gli Stati membri devono “perseguire la modernizzazione dei servizi pubblici dell’occupazione, in particolare monitorando i progressi compiuti, definendo un calendario preciso e prevedendo un’adeguata riqualificazione del personale”, favorendo altresì “la collaborazione con altri fornitori di servizi, in modo da rendere più efficace la strategia di prevenzione e di attivazione”. E’ opportuno ricordare che anche nell’ambito dell’ultimo documento di “Raccomandazioni del Consiglio in merito all’attuazione delle politiche in materia di occupazione degli Stati membri”2, l’Italia è destinataria di cinque raccomandazioni specifiche; la quarta contiene l’esplicito invito ad “adottare ulteriori provvedimenti 1 COM (2001) 511 definitivo. 2 COM (2001) 512 definitivo. pag. 1 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego per impedire che i giovani e gli adulti vadano ad ingrossare le fila dei disoccupati di lunga durata. Tali azioni dovrebbero comprendere: • la piena attuazione della riforma dei SPI in tutto il paese; • una rapida introduzione del Sistema Informativo del Lavoro; • il proseguimento degli attuali sforzi per aggiornare il sistema di monitoraggio statistico”. Va infine ricordata l’esigenza riaffermata in sede comunitaria anche di recente di “rafforzare la dimensione locale della Strategia europea per l’occupazione”3. A tale riguardo agli SPI vengono assegnati: • un ruolo chiave nella produzione di un esame dettagliato dei bisogni del mercato del lavoro locale e delle aziende (in particolare dovrebbero sperimentare nuove soluzioni e promuovere approcci integrati che mettano in relazione la disoccupazione con bisogni sociali più ampli, come ad esempio gli alloggi, la salute, la cultura…; essi inoltre potrebbero fungere da interfaccia tra le imprese e le organizzazioni di formazione e sviluppare legami con le scuole, le università, gli enti di formazione, gli organismi di ricerca, le agenzie private di collocamento) • una funzione di datori di lavoro modello fornendo formazione al loro personale e promuovendo le pari opportunità, utilizzando le tecnologie dell’informazione per migliorare i servizi e ridurre il gap digitale nell’area locale. Queste indicazioni comunitarie indicano un risvolto assai importante della nuova attività richiesta ai SPI. Essi infatti, oltre alle azioni espressamente previste dalla normativa, devono rivestire un ruolo fondamentale come terminali intelligenti delle politiche del lavoro disegnate dal legislatore italiano e comunitario. I SPI, grazie al quotidiano contatto con imprese, lavoratori, persone in cerca di occupazione, hanno occasioni, strumenti e motivazioni specifiche e insostituibili per: • verificare l’adeguatezza e la rilevanza delle politiche disegnate (soprattutto per quanto riguarda l’aspetto del targeting) e, se del caso, suggerirne correzioni e aggiustamenti; • osservare i principali bisogni espressi da lavoratori e aziende che, se utilmente soddisfatti, potrebbero generare ricadute positive sul funzionamento del mercato del lavoro. In altre parole, i SPI devono e possono essere non solo un braccio operativo, uno strumento di azione e di realizzazione, ma anche una struttura di “intelligence” che fa risalire verso l’alto analisi, suggerimenti e indicazioni utili per indirizzare o re- 3 COM (2001) 629 definitivo. Il documento riprende la comunicazione di aprile 2000 “Agire a livello locale in materia di occupazione – Dare una dimensione locale alla Strategia europea per l’occupazione” (COM (2000) 196 definitivo). pag. 2 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego indirizzare le politiche pubbliche del lavoro, migliorando l’efficienza e l’efficacia dei relativi investimenti. È possibile, in definitiva, tenendo conto di tutto quanto elaborato in ambito SEO e conseguente legislazione italiana (in particolare il d.lgs. 181/2000), sintetizzare la missione dei SPI nello svolgimento delle seguenti macrofunzioni: • erogazione di servizi di facilitazione e supporto ad imprese e lavoratori rispetto ad ambiti di bisogni che le dinamiche naturali del mercato del lavoro non riescono ad affrontare e risolvere; • gestione delle misure di politica passiva del lavoro in un’ottica di stretta integrazione con le misure di politica attiva; • partecipazione ai processi di monitoraggio del mercato del lavoro, garantendo un ritorno informativo, non meramente statistico ma anche interpretativo, relativamente all’attività svolta e al suo impatto sul mercato del lavoro locale. La definizione della missione dei SPI così delineata sgombra il campo da alcuni equivoci che spesso accompagnano i giudizi circa i compiti dei SPI e l’efficacia con cui essi li assolvono. Ai SPI vengono infatti frequentemente assegnate due missioni principali che si discostano da quanto fin qui indicato: • incidere sull’entità della disoccupazione; • fungere da principale intermediario dell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Si tratta in entrambi i casi di assunzioni scorrette: la prima perché, come è stato ampiamente dimostrato, il ruolo di controllo delle dinamiche occupazionali è affidato largamente alle scelte di politica economica nell’assecondare i cicli positivi e nel contrastare le cadute della domanda; l’azione dei SPI può portare un contributo importante sul terreno specifico della disoccupazione di lunga durata; la seconda perché la necessità generalmente condivisa di ridurre significativamente il controllo, operato dai SPI, dei processi di reclutamento del personale così da favorire le “dinamiche naturali” di incontro tra domanda ed offerta, contrasta palesemente con l'aspettativa che i SPI svolgano un ruolo generalizzato di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro. Un’ulteriore rappresentazione stereotipata relativa alle funzioni dei SPI è quella che ritiene che la cosiddetta componente adempimentale costituisca un residuo negativo dell’attività passata, e che il suo peso nell’attività complessiva dei SPI debba essere quanto più possibile ridotto. Va rilevato, invece, come la corretta gestione delle misure di politica del lavoro (sia attive che passive) implichi necessariamente un sistema gestionale efficiente tale da garantire sia l’efficacia delle misure stesse, sia il controllo di un corretto utilizzo delle risorse. Pertanto la pag. 3 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego componente adempimentale più che eliminata va razionalizzata, finalizzata e soprattutto integrata nell’insieme delle altre funzioni svolte dai SPI. In tal modo essa acquista un valore nuovo per i SPI, garantendo un supporto essenziale per quelle funzioni irrinunciabili da parte di qualsiasi sistema erogatore di servizi quali il monitoraggio dei propri interventi, l’efficiente controllo gestionale e la corretta valutazione degli esiti. pag. 4 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego B - Gli standard di attività dei SPI La messa a punto di un piano di sviluppo dei SPI richiede una rappresentazione di riferimento delle caratteristiche strutturali, organizzative ed operative del sistema. In altri termini si tratta di definire un modello di SPI in grado sia di essere letto come struttura di obiettivi che guidi la predisposizione e l’attuazione di un piano di sviluppo dei servizi, sia come insieme di parametri oggettivi di riferimento per valutare la qualità dei servizi offerti. Se esistono quindi evidenti buoni motivi circa l’opportunità di procedere alla definizione di un modello standardizzato di SPI, nel fare ciò devono essere considerati anche quei fattori che suggeriscono di evitare un “appiattimento” dei servizi ad un modello normativo eccessivamente dettagliato e astratto dal contesto territoriale. Un piano di sviluppo dei SPI a livello regionale deve infatti tener conto del processo di decentramento dei SPI e del conseguente assetto generale del sistema dei servizi caratterizzato da una distribuzione delle competenze su più livelli e tra molteplici attori. Nel concreto, ciò comporta che il modello regionale di SPI deve saper coniugare l’esigenza di valorizzazione dell’autonomia delle Province nel predisporre l’erogazione dei servizi e la necessità di garantire una uniforme presenza di servizi base e modalità omogenee di attuazione delle misure di politica del lavoro per l’intero mercato regionale. Coerentemente con queste esigenze, il masterplan ha assunto quale riferimento un modello di SPI in cui sono normati quegli elementi valutati essenziali per garantire da parte dei SPI la realizzazione della loro missione. Ne deriva che gli standard identificati e assunti come vincolanti per i SPI, costituiscono sul piano della qualità dei servizi erogati non tanto il punto di arrivo quanto invece il punto di partenza. Il processo di costruzione del masterplan ha inoltre tenuto conto della necessità di giungere ad una formulazione del modello condivisa da parte dei diversi soggetti coinvolti nel sistema dei SPI. Ciò è stato effettuato adottando una procedura di redazione del masterplan che ha visto il coinvolgimento diretto di tutti i soggetti che hanno un ruolo significativo nell’assetto dei SPI. Come già precedentemente sottolineato, uno degli elementi centrali della missione dei SPI è di attuare, attraverso l’implementazione di adeguati servizi, le misure di politica per il lavoro messe in campo. Ciò evidenzia che vi è un forte legame tra l’attività di policy e quella dei SPI, ma anche che esiste una sostanziale distinzione tra i due ambiti. La definizione del modello di SPI e la conseguente pianificazione delle attività per la sua implementazione non può quindi che limitarsi ad intervenire sugli aspetti relativi alla costruzione di servizi, e l’adeguamento dei SPI agli standard definiti dal modello non assume alcun valore significativo di indicatore di impatto delle politiche. pag. 5 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Allo stesso tempo, l’esistenza di una relazione di necessità tra sviluppo di servizi per l’impiego e l’attuazione di misure di politica del lavoro4 richiede un’attenzione particolare sui vincoli che i due ambiti impongono rispettivamente all’azione dell’altro. In particolare, SPI scollegati dalle scelte di politica del lavoro, rinunciando alla strumentazione da queste garantita, perdono molto del loro potere di intervento sul mercato del lavoro; in senso inverso, misure di politica del lavoro che non dispongono di un adeguato sistema di servizi che ne garantiscano l’attuazione, riducono sensibilmente il loro potenziale d’azione. Nella definizione di un modello di SPI, ovviamente è possibile intervenire solo su uno dei due fattori in gioco: quello dei servizi. Nel masterplan le riflessioni qui proposte sono state pienamente accolte adottando quale base di riferimento per l’individuazione dei contenuti di servizio dei SPI la normativa esistente e le indicazioni provenienti dalla pianificazione comunitaria, nazionale e regionale in materia di politiche del lavoro. Con ciò, ci si è anche sostanzialmente allineati alle indicazioni del masterplan nazionale. Sul piano formale, il modello sviluppato si articola su tre distinti livelli: a) l’assetto generale dei SPI; b) le caratteristiche organizzative dei CPI; c) le funzioni dei SPI. Per ciascuno dei tre livelli è stata prodotta una rappresentazione descrittiva delle caratteristiche standard e sono stati individuati gli indicatori oggettivi con cui misurare l’adeguatezza dei SPI al modello. Per ciascun indicatore è stato individuato un parametro di riferimento che segnala la posizione standard da raggiungere. 4 Relazione valida soprattutto in riferimento alle misure di politica attiva. pag. 6 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego B.1. Assetto dei SPI L’assetto generale dei SPI è definito dal Decreto legislativo n. 469/97 e dalla relativa Legge regionale n. 31/98 di attuazione, con cui si precisano i soggetti del sistema dei SPI e le loro competenze. STRUTTURA DEL SISTEMA Il modello adottato prevede sostanzialmente una doppia articolazione del sistema: a) distinguendo l’ambito funzionale di indirizzo, programmazione e governo da quello di erogazione dei servizi; b) distribuendo le funzioni e le competenze tra il livello regionale e quello provinciale. Le funzioni di indirizzo, programmazione e governo sono demandate ai soggetti istituzionali Regione e Province nell’ambito di un contesto di concertazione con le parti sociali e di coordinamento tra i due livelli territoriali. Al fine di dare concretezza a tale formula operativa, sono istituiti due organismi specifici per la concertazione, la Commissione regionale per la concertazione tra le parti sociali (CRCPS) e la Commissione provinciale per il lavoro (CPL), ed un apposito comitato per coordinare l’attività istituzionale (Comitato di coordinamento istituzionale – CCI). Le commissioni di concertazione sono composte dall’istituzione territorialmente competente (Regione/Provincia) e dalle parti sociali, mentre al Comitato istituzionale partecipano la Regione, le Province e una rappresentanza degli altri enti locali. Relativamente alla erogazione dei servizi, i soggetti istituzionali responsabili sono la Regione e le Province, che operano attraverso apposite strutture operative. A livello regionale tali strutture sono individuate nelle direzioni competenti in materia di formazione e lavoro e nell’Ente strumentale Veneto Lavoro. Quest’ultimo è una struttura di nuova costituzione con compiti specifici di assistenza tecnica al sistema dei SPI, osservatorio del mercato del lavoro, gestione del SILR e attuazione di misure di politica del lavoro a carattere regionale e/o sperimentale. In generale le strutture regionali operano come strutture di secondo livello con un ruolo, nei confronti delle strutture provinciali, di coordinamento, indirizzo e assistenza tecnica. Per l’erogazione diretta dei servizi all’utente finale le Province si avvalgono dei Centri per l’impiego (CPI). Essi sono strutture territoriali i cui bacini di competenza, nella fase d’impianto dei SPI, coincidono con quelli delle ex Sezioni circoscrizionali per l’impiego. La Regione secondo una specifica procedura coordinata con le Province e concertata con le parti sociali, provvede alla revisione del numero e dislocazione dei CPI. Ciò è effettuato tenendo conto delle possibili sinergie con servizi amministrativi già attivati o da attivare sul territorio, di normative e programmi comunitari, statali e regionali e di un parametro generale per cui ad ogni CPI corrisponda un bacino di popolazione pari almeno a 100.000 abitanti. Considerato l’attuale elevata distribuzione territoriale dei CPI con evidenti effetti di inefficienza, l’indirizzo generale è di procedere ad una riduzione del numero dei CPI, garantendo la diffusione dei servizi sul territorio attraverso l’attivazione di agenzie e sportelli decentrati. pag. 7 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego MODALITÀ GENERALI DI FUNZIONAMENTO L’effettiva implementazione dei SPI secondo l’assetto predefinito è supportata dall’adozione di alcuni procedure e strumenti operativi standardizzati. Ciò riguarda in particolare: a) le modalità di funzionamento degli organismi di concertazione e coordinamento e dell’Ente Veneto Lavoro; b) le procedure con le quali deve essere svolta l’attività di programmazione; c) l’attivazione di un comune sistema informativo e di monitoraggio del mercato del lavoro. Per quanto riguarda le modalità di funzionamento degli organismi di concertazione e coordinamento la L.R. 31/98 definisce i termini per la loro attivazione, assegna la funzione di Presidenza all’Assessore regionale con delega alle politiche dell'occupazione, fissa l’obbligo di adottare un regolamento che ne disciplina il funzionamento, assegna alla Direzione Lavoro della Regione la funzione di segreteria, sono individuate le modalità di convocazione. L’Ente Veneto Lavoro è Ente strumentale della Regione, con personalità giuridica di diritto pubblico, dotato di autonomia organizzativa, amministrativa. L'organizzazione, la dotazione organica ed il funzionamento dell'Ente sono disciplinati da apposito regolamento proposto dal Direttore e approvato dalla Giunta regionale. L'Ente è tenuto a formulare un piano annuale delle attività, che viene approvato dalla Giunta regionale, previo parere della Commissione regionale per la concertazione e del Comitato di coordinamento istituzionale; predispone altresì una relazione conclusiva sullo svolgimento delle attività stesse che viene sottoposta all'approvazione della Giunta regionale. Sono organi dell’Ente il Direttore e il Collegio dei Revisori. L'Ente dispone dei seguenti mezzi finanziari: a) finanziamento annuale della Regione nella misura determinata dal provvedimento di approvazione del bilancio di previsione; b) finanziamento statale annuo iscritto nel bilancio regionale; c) finanziamenti regionali per la realizzazione di specifiche attività affidate dalla Regione; d) proventi derivanti dalla fornitura di servizi a terzi a titolo oneroso; e) entrate derivanti da cespiti patrimoniali. La programmazione delle interventi sia in materia di politica del lavoro che di sviluppo dei SPI avviene attraverso l’approvazione da parte del Consiglio regionale su proposta della Giunta di un Programma regionale per il lavoro e dall’adozione da parte delle Province di un Piano provinciale per il lavoro. Lo sviluppo del Sistema informativo lavoro regionale (SILR) è affidato all'Ente Veneto Lavoro nell'ambito del Sistema informativo-statistico Regione Veneto (SIRV) e sulla base di apposita convenzione con il Ministero del lavoro. Veneto Lavoro svolge tale funzione in collaborazione con le amministrazioni provinciali e con i centri per l'impiego. L'Ente Veneto Lavoro svolge inoltre le funzioni di Osservatorio regionale del mercato del lavoro. pag. 8 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego INDICATORI Tab. B.1 - Indicatori e standard di riferimento per l’assetto dei SPI Tipologia Sistema Sistema Sistema Sistema Sistema Sistema Sistema Sistema Sistema Sistema Sistema Sistema Sistema Indicatore Standard di riferimento Costituzione CRCPS Costituzione CCI Costituzione Veneto Lavoro Regolamentazione attività CRCPS Regolamentazione attività CCI Attivazione CRCPS Attivazione CCI Attivazione CPI Costituzione entro 1999 Costituzione entro 1999 Costituzione entro 1999 Adozione Regolamento di funzionamento Adozione Regolamento di funzionamento Avvio attività entro 1999 Avvio attività entro 1999 All’atto del decentramento delle competenze dal MLPS alla Regione Attivazione presso Veneto Lavoro dell’Osservatorio All’atto del decentramento delle competenze dal del mercato del lavoro MLPS alla Regione Attivazione Veneto Lavoro All’atto del decentramento delle competenze dal MLPS alla Regione Approvazione Programma regionale per il lavoro Entro aprile 1999 Approvazione Piani provinciali per il lavoro Entro due mesi dall’approvazione del Programma Regionale e, successivamente, con cadenza annuale Revisione numero e dislocazione CPI Entro il 2003 pag. 9 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego B.2. Organizzazione dei CPI Le specifiche modalità organizzative con le quali i CPI erogano i servizi competono alle Province. Al fine di garantire sul territorio regionale livelli di servizio e modalità di attuazione degli interventi di politica del lavoro omogenei, le specifiche scelte organizzative delle Province avvengono all’interno dei seguenti indirizzi: • • • • • I CPI hanno organizzazione unitaria e competenza territoriale definita; Per l’erogazione diretta dei servizi i CPI possono essere articolati in sportelli diffusi sul territorio; Il modello organizzativo del personale dei CPI risponde al criterio di autonoma gestione amministrativa degli interventi attraverso specifiche attribuzioni di responsabilità; Nei CPI opera personale con adeguata professionalità secondo i profili di competenze richiesti per l’erogazione dei servizi di base; L’erogazione dei servizi di base è effettuata direttamente dai CPI con proprio personale, ovvero, per segmenti particolari d’intervento, attraverso il ricorso ad organismi esterni accreditati che operano in modo integrato con i CPI e sotto il loro diretto controllo. INDICATORI Tab. B.2 - Indicatori e standard di riferimento per l’organizzazione dei CPI Tipologia Indicatore Standard di riferimento Organizzazione Organizzazione Organizzazione Formalizzazione organizzazione unitaria dei CPI Presenza della figura del Responsabile di Centro Personale con competenze adeguate ai servizi di base Organizzazione Svolgimento delle funzioni di base con proprio personale pag. 10 Tutte le Province a partire dal 2003 Tutti i CPI a partire dal 2003 In ogni CPI personale coni seguenti profili di competenza: a) accoglienza; b) accompagnamento al lavoro; c) incontro domanda-offerta – A partire dal 2003 Per le funzioni di: a) accoglienza; b) accompagnamento al lavoro; c) incontro domanda-offerta Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego B.3. Funzionalità base dei SPI I compiti e le funzioni assegnati ai SPI sulla base della normativa nazionale e regionale si presentano come un insieme particolarmente ampio di indicazioni con livelli di dettaglio diversificati. Al fine di ricondurre l’attività dei SPI ad uno schema unitario e coerente sono state individuate sette aree funzionali di attività. Si tratta di una struttura di classificazione con la quale sono evidenziati i macrobiettivi a cui rispondono i singoli aspetti di attività; ne consegue che l’articolazione per aree funzionali non è una prescrizione di modello organizzativo dei SPI, la scelta del quale è infatti sostanzialmente nell’autonomia dei soggetti che devono garantire l’erogazione dei servizi5. Le aree funzionali così individuate sono: • Accoglienza – le attività finalizzate ad accogliere, filtrare ed indirizzare la domanda dell’utenza; • Accompagnamento al lavoro – le attività finalizzate alla costruzione e gestione dei percorsi d’inserimento lavorativo; • Mediazione domanda-offerta – le attività finalizzate a facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro; • Orientamento – le attività specialistiche di orientamento; • Informazione mirata per le imprese – le attività volte a garantire un flusso aggiornato e mirato di informazioni d’interesse per i datori di lavoro; • Gestione sistema informativo – le attività aggiornamento e gestione delle banche dati; • Analisi e programmazione – le attività di monitoraggio e analisi del mercato del lavoro e di supporto alla programmazione delle politiche. di implementazione, Per ciascuna area funzionale è quindi individuato il pacchetto di servizi che i SPI sono tenuti ad implementare (vedi Tab. B.3). L’erogazione di tale insieme di servizi costituisce la base minima di attività richiesta ai SPI, che deve essere svolta secondo parametri di prestazione omogenei su tutto il territorio regionale. Di seguito sono definite le caratteristiche di ciascuna funzione in termini di scopi da perseguire, utenza a cui sono destinati e modalità di erogazione dei servizi afferenti a ciascuna funzione, risorse necessarie per la loro implementazione. Tale 5 Come evidenziato nelle sezioni B.1 e B.2, il Masterplan definisce solamente l’assetto globale dei SPI e alcuni indirizzi rispetto ad aspetti generali di organizzazione dei CPI. pag. 11 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego modelizzazione è completata dall’individuazione di specifici standard di input, di processo, di output e di risultato a cui i SPI dovranno mirare. pag. 12 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Tab. B.3 - Servizi dei SPI per funzioni Funzioni Accoglienza Servizi erogati Informazioni e orientamento all’utilizzo dei SPI Invio ad un servizio interno e gestione appuntamenti Rinvio all’esterno Registrazione nuovi utenti e sottoscrizione patto di servizio Accompagnamento al lavoro Colloqui e definizione Piano di azione individuale (PAI) Consulenza orientativa Promozione e tutoraggio working experiences Offerte formative Offerte d’impiego Consulenza e gestione ammortizzatori sociali Mediazione domanda-offerta Raccolta domanda ed offerta di lavoro Servizio di mediazione Gestione avviamenti a selezione nelle P.A. Orientamento Supporto ai servizi territoriali di orientamento Consulenza orientativa mirata Servizio di autorientamento Informazione mirata per le imprese Informazione mirata per le imprese Gestione sistema informativo Registrazioni comunicazioni obbligatorie Manutenzione anagrafe lavoratori Accertamenti coordinati con altre amministrazioni Analisi e programmazione Progettazione monitoraggio, dati amministrativi e produzione statistiche Ricerche indagini di mercato e valutazione delle politiche Programmazione e progettazione servizi pag. 13 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Funzione 1 - Accoglienza FINALITÀ Filtrare la domanda, selezionando quella propria da quella impropria. Registrare i nuovi utenti. Orientare-canalizzare la domanda propria nell’utilizzo dei servizi disponibili in modo congruente alle esigenze dell’utente. Rinviare la domanda impropria verso servizi esterni adatti a rispondere al bisogno espresso. Obiettivi specifici del servizio di accoglienza: • Informare ed orientare l’utente nell’utilizzo dei SPI • Registrare i nuovi utenti • Decodificare la domanda ed inviare l’utente al servizio appropriato (interno/esterno) • Gestire la prenotazione dei servizi interni UTENZA L’utenza è costituita da qualsiasi soggetto che si presenta presso una sede operativa dei SPI. Il servizio ha quindi un carattere universalistico. È ammesso e consigliato un unico livello di articolazione del servizio in relazione alle due tipologie base di utenza costituite dai lavoratori e dai datori di lavoro. MODALITÀ DI EROGAZIONE Il servizio di accoglienza è erogato in forma essenziale presso tutte le unità operative dei SPI (sia quelle direttamente gestite dalla Provincia che quelle dalla stessa affidate ad una gestione esterna). La forma essenziale consiste nel fornire agli utenti che si presentano le indicazioni di base sui servizi dei SPI e su dove rivolgersi per ottenere risposta alla specifica domanda espressa. I CPI garantiscono il servizio di accoglienza nella sua forma completa attraverso una specifica unità di servizio fisicamente identificata e con personale dedicato. L’accoglienza si realizza attraverso un breve colloquio volto ad identificare la domanda dell’utente e ad indirizzarlo verso il servizio appropriato. Rispetto all’invio a servizi interni, è garantita la possibilità di fissare direttamente presso il servizio di accoglienza l’eventuale appuntamento. Nel caso di nuovi utenti o per i quali il rapporto con i SPI era stato sospeso, nella fase di accoglienza i CPI accolgono anche la dichiarazione di disponibilità al lavoro, di cui al D.lgs 181/00. Ciò viene effettuato prevedendo l’immediata registrazione nel SILR della disponibilità dichiarata e, qualora si tratti di un nuovo utente, della registrazione della sua posizione anagrafica. L’accoglimento della dichiarazione di disponibilità ha anche valore di costituzione iniziale del rapporto di pag. 14 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego servizio tra lavoratore e SPI; pertanto in tale fase il CPI e l’utente sottoscrivono un patto di servizio con il quale sono definite le condizioni generali che regolano l’erogazione delle prestazioni dei SPI. Per facilitare l’interazione con gli eventuali clienti stranieri il servizio di accoglienza dei CPI è in grado di interloquire anche in lingua inglese. Il servizio garantisce tempi d’attesa limitati e la possibilità di trascorrere l’attesa in appositi spazi dove poter consultare materiali informativi. La gestione dei turni di accesso al servizio prevede l’adozione di un sistema di prenotazione tramite ticket numerico. RISORSE NECESSARIE Di seguito sono indicate le risorse necessarie per il funzionamento del servizio di accoglienza nella sua forma completa presso i CPI. Negli altri casi non sono necessarie risorse specifiche ad esclusione dei materiali informativi. Materiali informativi Carta dei servizi dei SPI provinciali, contenente la tipologia dei servizi disponibili, i riferimenti delle unità operative che li erogano e le condizioni di accesso. La carta dei servizi è regolarmente aggiornata e resa disponibile al pubblico secondo una formula redazionale che ne permetta una facile lettura. Copie a stampa della carta dei servizi sono rese disponibili ai clienti presso ogni punto della rete dei SPI. Materiali informativi specifici relativamente a strumenti di supporto e agevolazioni per i lavoratori ed i datori di lavoro. Dotazione strumentale Postazioni di lavoro per ogni operatore dotate di: a) PC; b) stampante; c) connessione al SILR; d) connessione alla rete internet; e) applicativo per la gestione degli appuntamenti; f) applicativi di office automation; c) apparecchio telefonico. Fax e fotocopiatore Locali e arredo L’articolazione degli spazi dedicati alla funzione di accoglienza risponde ai seguenti criteri specifici: a) riservatezza del rapporto operatore – cliente; b) posti a sedere per l’eventuale attesa; c) dimensionamento adeguato all’afflusso medio dell’utenza; d) segnaletica che ne identifica la funzione. Personale Operatori con competenze specifiche di: a) relazioni con il pubblico; b) conoscenza dei servizi e delle loro finalità; c) lingua inglese; d) utilizzo delle pag. 15 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego procedure di registrazione dei nuovi utenti; e) utilizzo degli applicativi adottati. Il numero di operatori adeguato a gestire il flusso di utenti medio giornaliero. Un parametro ragionevole è dato da un rapporto operatori/clienti giornalieri pari a 1/50 (poco meno di 10 minuti a utente su un orario di lavoro pari a 8 ore). pag. 16 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego INDICATORI Tab. B.4 - Indicatori e standard di riferimento per il servizio di accoglienza Tipologia Indicatore Standard di riferimento Input Caratteristiche sala d’attesa Input Dotazione informatica postazioni front office Input Formazione degli operatori Input Materiali informativi Input Input N. CPI con soluzioni per garantire riservatezza Presenza e contenuti segnaletica Input Processo Rapporto tra operatori e media utenti giornaliera Automazione redazione atti Processo Processo Output Fruizione del servizio tramite prenotazione numerica Modalità registrazione dichiarazioni Tipologia servizi erogati da strutture diverse dai CPI Output Tipologia servizi erogati dai CPI Output Lingue nelle quali sono erogati il servizio Output Output Tempo medio di attesa Utenza impedita all’accesso pag. 17 Disponibilità area d’attesa con posti a sedere, tutti i CPI entro il 2003 Una postazione completa di: PC, stampante, connessione al SILR e alla rete internet, applicativi per la gestione degli appuntamenti e di office automation, apparecchio telefonico. Caratteristiche tecniche vedi Tab. B.11 Competenze certificate in: a) relazioni con il pubblico; b) conoscenza dei servizi e delle loro finalità; c) lingua inglese; d) utilizzo delle procedure di registrazione dei nuovi utenti; e) utilizzo degli applicativi adottati Carta dei servizi – Guide specifiche, tutti i CPI a partire dal 2003 Tutti i CPI entro il 2003 – almeno un’area di rispetto Tutti i CPI entro il 2003 – indicazione sui servizi erogati Un operatore per 30 utenti Stampa personalizzata della dichiarazione utente e patto di servizio In tutti i CPI a partire dal 2003 Registrazione in tempo reale delle dichiarazioni Informazione e orientamento all’utilizzo dei SPI Invio utenti a servizio interno/esterno - Gestione appuntamenti (tutti i servizi in ogni struttura entro il 2006) Informazione e orientamento all’utilizzo dei SPI – Raccolta e registrazione dichiarazioni – Sottoscrizione patto di servizio – Invio utenti a servizio interno/esterno - Gestione appuntamenti (tutti i servizi in ogni CPI entro il 2003) Italiano – Italiano e Inglese a partire dal 2004 (tutti i CPI) Non superiore a 30 minuti Nessuna utenza Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Funzione 2 - Accompagnamento al lavoro FINALITÀ Concordare con i clienti un piano d’inserimento lavorativo e accompagnarne la realizzazione attraverso un insieme d’interventi integrati volti a potenziare l’occupabilità, a sostenere il reddito individuale nella fase di transizione ed a individuare soluzioni occupazionali. Il servizio di accompagnamento al lavoro svolge le seguenti attività: colloqui finalizzati a concordare, aggiornare, verificare i PAI; supporto e tutoraggio nella realizzazione del PAI; erogazione diretta delle seguenti tipologie di servizio qualora previste nel PAI consulenza orientativa volta a promuovere l’autonomia dell’utente nella ricerca attiva di lavoro; organizzazione e tutoraggio di esperienze di formazione orientamento in contesti lavorativi (working experiences); offerta di opportunità formative; ricerca e offerta di opportunità occupazionali; consulenza e supporto nell’accesso agli ammortizzatori sociali e UTENZA Sono utenti del servizio almeno tutti gli utenti registrati che hanno sottoscritto un patto di servizio. Il servizio è erogato con intensità e con modalità diversa in relazione alle particolari caratteristiche ed esigenze del cliente. MODALITÀ DI EROGAZIONE Colloquio per la definizione dei PAI Per ogni utente che ha sottoscritto un patto di servizio è fissato un colloquio attraverso il quale viene definito un PAI. Il colloquio si svolge entro il termine massimo di 30 giorni (fino al 2003) ovvero 15 giorni (dal 2004) dalla data di sottoscrizione del patto di servizio. Entro il 2003 i CPI convocano per il medesimo colloquio tutti gli utenti già in carico alla data del 31.12.2001. Il PAI è formulato secondo uno schema tipo definito a livello regionale ed è formalizzato in un documento sottoscritto dal CPI e dall’utente. Nel PAI sono indicate le caratteristiche dell’occupazione ricercata dal lavoratore, la tipologia di azioni che si intendono pag. 18 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego realizzare per incrementare il grado di occupabilità del lavoratore, il tipo di supporto e gli interventi garantiti dal CPI, le modalità di verifica del PAI. Periodicamente, attraverso un nuovo colloquio con l’utente, è svolta una verifica dell’andamento del PAI. Sono verificati prioritariamente i PAI relativi agli utenti che non hanno avuto una collocazione lavorativa entro un periodo di sei mesi. Per gli utenti disabili il servizio di accompagnamento al lavoro e la formulazione del PAI avviene secondo le modalità specifiche del collocamento mirato. Al fine di garantire a tali lavoratori un trattamento paritario, l’attività di accompagnamento al lavoro è collocata all’interno del servizio di accompagnamento al lavoro differenziandosi solamente per la maggiore tutela e disponibilità di facilitazioni e supporti. Per migliorare l’efficacia dei PAI concordati con i lavoratori disabili, sono attivati accordi specifici con i datori di lavoro in relazione alla realizzazione di programmi aziendali e/o percorsi individuali d’inserimento lavorativo. Ciò viene effettuato sulla base di schemi tipo di convenzione concertati a livello regionale. Supporto e tutoraggio nella realizzazione del PAI All’utente è garantita un’azione costante di tutoraggio nella realizzazione del PAI. In particolare tale servizio dovrà assicurare coerenza ed unitarietà di scopi tra le singole attività e l’opportunità per l’utente di ricorrere all’aiuto del servizio per affrontare le eventuali problematiche connesse all’attuazione del PAI. Erogazione diretta di servizi Relativamente alle diverse azioni del PAI, il servizio realizza direttamente gli interventi di consulenza orientativa, di promozione di working experiences, di offerta di opportunità formative, di offerta di occasioni occupazionali. Tali interventi sono erogati secondo le modalità e gli standard di seguito indicati. Consulenza orientativa Ai lavoratori che durante il colloquio evidenziano scarsa conoscenza delle caratteristiche del mercato del lavoro, sono fornite informazioni relativamente ai canali e modalità di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, alle forme di lavoro, alle professionalità richieste, ecc.; i lavoratori sono inoltre supportati nelle loro scelte. Il servizio è garantito sui seguenti tre livelli: Personalizzato di base: erogato durante i colloqui ed è focalizzato a chiarire i diversi temi affrontati nel colloquio e a consigliare il lavoratore nelle scelte; Personalizzato avanzato: erogato da servizi specialistici del CPI o presenti sul territorio (la presenza di tale servizio nei CPI non è richiesta); Standardizzato: erogato tramite incontri di gruppo predefiniti o attraverso la messa a disposizione di prodotti informativi in autoconsultazione. pag. 19 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Working experiences Ai lavoratori che sono in una fase di transizione caratterizzata dalla necessità di familiarizzarsi con il mondo del lavoro, aggiornare e/o adeguare le proprie competenze professionali, verificare specifici sbocchi professionali, i CPI offrono opportunità di esperienze di formazione e orientamento in contesti lavorativi, utilizzando a tal fine gli strumenti di politica attiva disponibili (es. tirocini, piani d’inserimento professionale, lavori socialmente utili). I CPI garantiscono l’attività di promozione e tutoraggio delle singole iniziative. L’attività di promozione contempla: L’individuazione dell’impresa disponibile ad ospitare l’esperienza; L’organizzazione dell’esperienza in termini di contenuti e modalità di svolgimento; La gestione mirata degli incentivi e facilitazioni. L’attività di tutoraggio prevede: Il supporto all’utente relativamente alle problematiche che incontra durante l’esperienza; La valutazione in itinere e finale dell’esperienza. Opportunità formative I CPI individuano sulla base del programma fissato nel PAI le opportunità formative adeguate all’aggiornamento / qualificazione / riqualificazione / specializzazione professionale dell’utente. Le opportunità vengono proposte agli utenti ai quali è garantito anche il supporto nell’attivare le procedure di iscrizione ai corsi. La proposta, l’adesione o il rifiuto da parte dell’utente seguono una procedura formale definita a livello regionale. Il rifiuto ingiustificato delle proposte da parte dell’utente determina la decadenza dalla condizione di disoccupazione. Agli utenti dei SPI è reso disponibile alla libera consultazione il catalogo delle opportunità formative presenti nel territorio. Offerte di lavoro Sulla base del programma fissato nel PAI, agli utenti sono proposte occasioni d’impiego. L’utente è aiutato a contattare il datore di lavoro nonché ad espletare gli atti necessari per l’eventuale assunzione. La proposta, l’adesione o il rifiuto da parte dell’utente seguono una procedura formale definita a livello regionale. Il rifiuto ingiustificato delle proposte da parte dell’utente determina la decadenza dalla condizione di disoccupazione. L’individuazione delle opportunità occupazionali avviene attraverso una forte integrazione dell’esercizio della funzione di accompagnamento al lavoro con quella di mediazione tra domanda e offerta di lavoro. pag. 20 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Consulenza e supporto nel ricorso agli ammortizzatori sociali - Nel colloquio è verificata la presenza dei requisiti che danno diritto al ricorso ad una qualche misura di ammortizzatore sociale. Qualora ciò si verifichi, all’utente è segnalata la possibilità di farvi ricorso ed è aiutato ad avviare la procedura di richiesta presso un altro servizio ovvero a inoltrare l’istanza presso lo stesso CPI. RISORSE NECESSARIE Personale Operatori con competenze/conoscenze specifiche di: a) analisi dei profili professionali e delle posizioni lavorative; b) tipologie dei rapporto di lavoro; c) incentivi e agevolazioni all’assunzione; d) offerta formativa; e) gestione relazioni; f) programmazione ed organizzazione interventi; g) articolazione dei servizi socio-assistenziali territoriali; h) gestione procedure amministrative collegate agli strumenti utilizzati; i) utilizzo degli applicativi gestionali adottati dal servizio. Il numero di operatori necessario è fissato in ragione di un operatore ogni 100 utenti disoccupati da oltre 6 mesi. Banche dati Catalogo dell’offerta formativa - catalogo aggiornato dell’offerta di formazione professionale disponibile sul territorio, completo delle indicazioni relative ai contenuti formativi, alla qualificazione assicurata, alla durata, alle modalità di accesso, alla data di attivazione di ciascuna delle proposte. Banca dati tirocini – banca dati dei datori disponibili ad ospitare tirocinanti e degli utenti disponibili a svolgere tirocini. Banca dati domanda-offerta di lavoro – collegamento diretto con la banca dati per l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro (vedi funzione 3) Banca dati prospetti informativi ex L. 68/99 Applicazioni informatiche Applicativo per la gestione dei colloqui e dei PAI Applicativo per la gestione del collocamento mirato ex L. 68/99 Applicativo per la gestione dei tirocini Materiali informativi e di orientamento Materiali per l’aggiornamento degli operatori relativamente alle caratteristiche del mercato del lavoro e agli strumenti di politica del lavoro disponibili. Prodotti per l’autorientamento degli utenti. pag. 21 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Materiali illustrativi di supporto all’attività di orientamento realizzata dagli operatori durante i colloqui. Locali e dotazione strumentale Postazioni individuali per il ricevimento dell’utenza attrezzate con: a) accesso diretto al SILR; b) connessione alla rete internet; c) applicativi gestionali specifici e di office automation; d) collegamento telefonico. Postazione di back office attrezzata per poter svolgere le funzioni di segreteria. INDICATORI Tab. B.5 - Indicatori e Accompagnamento al lavoro Tipologia standard Indicatore Dotazione postazione di lavoro Input Disponibilità postazione di lavoro informatizzate individuali Formazione degli operatori Input Input Input Input Input Input Input Input Processo Output Output Output riferimento per la funzione di Standard di riferimento Input Input di Rapporto operatori / utenti Frequenza aggiornamento catalogo offerta formativa Modalità consultazione banca dati offerta formativa Modalità consultazione banca dati domanda-offerta Modalità consultazione banca dati tirocini Modalità consultazione banca dati prospetti legge 68/99 Disponibilità materiali formativi aggiornamento operatori Disponibilità Materiali illustrativi di supporto all’attività di orientamento realizzata dagli operatori durante i colloqui Standardizzazione procedure amministrative Output Output Quantità di utenti disoccupati con PAI Frequenza colloqui di verifica PAI Disponibilità di prodotti informativi in autoconsultazione Tutoraggio progetti tirocinio Monitoraggio andamento working experiences Prestazione Proposte ai lavoratori pag. 22 a) PC e stampanti; b) accesso diretto al SILR; c) connessione alla rete internet; d) applicativi gestionali specifici e di office automation; e) collegamento telefonico; Caratteristiche tecniche vedi Tab. B.11 100% degli operatori, dal 2004 Competenze su: a) analisi dei profili professionali e delle posizioni lavorative; b) tipologie dei rapporto di lavoro; c) incentivi e agevolazioni all’assunzione; d) offerta formativa; e) gestione relazioni; f) programmazione ed organizzazione interventi; g) articolazione servizi socio-assistenziali territoriali; h) gestione procedure amministrative; i) utilizzo degli applicativi gestionali adottati dal servizio 1 operatore per 100 disoccupati da più di 6 mesi In tempo reale, dal 2004 Accesso diretto per l’operatore Accesso diretto per l’operatore Accesso diretto per l’operatore Accesso diretto per l’operatore Dal 2002, a cura Analisi e Programmazione Dal 2003, a cura Analisi e Programmazione Informatizzazione gestione delle procedure amministrative 100% utenti, entro il 2003 Almeno una verifica ogni 3 mesi In tutti i CPI a partire da 2003 100% dei tirocini promossi dai CPI Completamento, esito occupazionale, soddisfazione utente; dal 2002 a campione; a partire dal 2004, 100% delle esperienze promosse Almeno un’offerta, tra quelle previste nel PAI, entro due mesi dall’attivazione del PAI, 80% PAI a partire dal Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Prestazione Prestazione Processo Prestazione Prestazione Prestazione Prestazione Prestazione Stock utenti che superano i sei mesi di disoccupazione Tasso di ingresso nella disoccupazione di lunga durata Tempo di attesa tra Patto di Servizio e definizione PAI Attivazione convenzioni di programma ex L. 68/99 2004 Riduzione progressiva rispetto al dato giugno 2002: 20% entro il 2004; - 40% entro il 2006. Riduzione progressiva rispetto al dato realizzato nel primo semestre 2002: - 20% entro il 2004; - 40% entro il 2006 30 giorni, fino al 2003 – 15 giorni, dal 2004 Con datori di lavoro con scoperture superiori a 50%: entro il 2003 con 50% datori di lavoro, entro il 2005 con 100% dei datori di lavoro Attivazione convenzioni d’inserimento ex L. 68/99 Con 50% dei disabili con difficoltà d’inserimento, entro il 2003 - con 80% dei disabili con difficoltà d’inserimento, entro il 2006. Tasso di afflusso dei disabili nella disoccupazione di Riduzione progressiva rispetto al dato 2002: - 20% lunga durata entro il 2004; - 40% entro il 2006. Stock utenti disabili che superano i sei mesi di Riduzione progressiva rispetto al dato 2002: -20% entro disoccupazione il 2004; - 40% entro il 2006. Tempi redazione progetto formativo e valutazione Mediamente 5 giorni dalla individuazione dell’azienda ricorso incentivi e agevolazioni ospitante. pag. 23 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Funzione 3 - Mediazione domanda-offerta FINALITÀ Offrire un servizio d’incontro tra la domanda ed offerta di lavoro in grado di: • Raccogliere rispettivamente le candidature dei lavoratori e le richieste di personale dei datori di lavoro; • Rendere disponibili all’autoconsultazione le candidature dei lavoratori e le richieste di personale; • Fornire su richiesta il servizio di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro raccolta dai SPI; • Svolgere su richiesta dei datori di lavoro preselezioni di candidati e campagne di reclutamento sia tra gli utenti del proprio servizio che della rete dei SPI; • Supportare il Servizio di Accompagnamento al Lavoro nell’individuazione di offerte occupazionali da sottoporre ai propri utenti. Gestire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro relativamente agli avviamenti a selezione di lavoratori nelle P.A. secondo criteri che coniughino la condizione di bisogno del lavoratore, la sua professionalità specifica e l’impegno verificato nell’attuazione del PAI. Il servizio d’incontro tra domanda ed offerta di lavoro garantisce al servizio di accompagnamento al lavoro segnalazioni di opportunità lavorative da offrire ai lavoratori che seguono un PAI. UTENZA I lavoratori che ricercano un impiego indipendentemente se occupati o meno. Il servizio è offerto prioritariamente agli utenti che hanno attivato un PAI. I datori di lavoro che richiedono personale. Pubbliche Amministrazioni interessate ad assumere lavoratori attraverso la procedura dell’avviamento a selezione. MODALITÀ DI EROGAZIONE Il servizio è garantito in modo diffuso sul territorio attraverso una molteplicità di punti di contatto con l’utenza. I punti di contatto sono garantiti attraverso una rete di sportelli collocati sia all’interno dei CPI che presso altri organismi pubblici e privati convenzionati con le Province. Attraverso gli sportelli e con l’assistenza degli operatori è effettuata: a) la raccolta e l’inserimento in banca dati delle inserzioni dei lavoratori e dei datori di lavoro; b) l’attività d’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. pag. 24 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego La rete di sportelli rientra a tutti gli effetti nel sistema pubblico dei SPI e le Province ne controllano il mantenimento degli standard operativi fissati a livello regionale in sede di CRCPS e CCI. In particolare il sistema di sportelli garantisce: • l’inserimento delle ricerche di personale nella banca dati entro 48 ore dalla segnalazione; • una ricerca giornaliera in banca dati per soddisfare le richieste insoddisfatte; • l’aggiornamento costante delle informazioni inserite in banca dati. Lo sportello presso i CPI opera in stretto collegamento con il Servizio di accompagnamento al lavoro le cui richieste di opportunità occupazionali sono trattate con priorità sulle altre. Le inserzioni dei datori di lavoro e dei lavoratori sono rese disponibili in autoconsultazione a tutti gli utenti attraverso la rete internet nonché attraverso la loro pubblicazione presso i CPI. Il servizio di mediazione dei CPI effettua gli avviamenti a selezione richiesti dalle P.A. secondo la procedura prevista dalla normativa in proposito. RISORSE NECESSARIE Le risorse necessarie a realizzare la funzionalità sono riconducibili all’attivazione e al funzionamento: a) del sistema nel suo complesso; b) dei singoli sportelli. Risorse per il sistema Banca dati comune e applicativo gestionale. Materiali promozionali. Risorse per gli sportelli Operatori qualificati nella misura minima di una unità per sportello. All’interno dei locali aperti al pubblico dell’organismo che gestisce lo sportello, uno spazio fisico specificatamente dedicato all’attività d’incontro tra domanda offerta. Attrezzature standard per ufficio (telefono, fax, postazione informatizzata di lavoro con collegamento internet veloce, fotocopiatore, ecc.). Arredo funzionale all’attività svolta. Per la consultazione pubblica delle inserzioni presso i CPI: terminali per la consultazione della banca dati e pannelli per la pubblicazione delle inserzioni. pag. 25 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Personale Almeno un operatore per sportello con competenze in a) relazioni con il pubblico; b) utilizzo degli applicativi adottati; c) raccolta, analisi, formulazione finale delle inserzioni relative alla domanda ed offerta di lavoro; d) riscontro della corrispondenza tra le domande ed offerte di lavoro disponibili INDICATORI Tab. B.6 - Indicatori e standard di riferimento per la funzione di Mediazione domanda-offerta Tipologia Input Input Input Input Input Input Input Input Input Input Input Output Output Output Output Output Output Output Output Prestazione Prestazione Prestazione Prestazione Prestazione Prestazione Indicatore Arredo adeguato Bacheca inserzioni cartacee Materiali informativi STANDARD DI RIFERIMENTO A partire dal 2003 Una per ogni sportello a partire dal 2003 Materiali di illustrazione del servizio mirati per i datori di lavoro e per i lavoratori; distribuiti a tutti gli utenti dei sportelli; a partire dal 2003 Formazione degli operatori Competenze certificate in: a) relazioni con il pubblico; b) utilizzo degli applicativi adottati; c) raccolta, analisi, formulazione delle inserzioni di domanda ed offerta di lavoro; d) abbinamento domanda ed offerta Logistica Area dedicata di ca. 12 mq N. CPI con soluzioni per garantire riservatezza Tutti, a partire dal 2003 – almeno un’area di rispetto N. operatori per sportello 1, dal 2003 Postazione di lavoro PC, stampante, telefono, fax, connessione internet Adsl, fotocopiatore Recapito telefono, fax, mail Recapiti dedicati, dal 2003 Software per postazione di lavoro Applicativo gestione banca dati, office automation, e-mail, internet Terminali libera consultazione Almeno uno per sportello, a partire dal 2003 Consulenza alla compilazione delle inserzioni Disponibile in tutti gli sportelli a partire dal 2003 Consultazione libera delle inserzioni A tutti gli utenti tramite rete internet all’attivazione del servizio (2002) Percentuale CPI della Provincia con uno sportello 50% entro il 2002; 100% entro il 2004 dedicato all’incontro domanda-offerta Percentuale di sportelli con attrezzatura adeguata 100% sportelli, dal momento dell’attivazione Percentuale di sportelli con spazi adeguati 100% sportelli, dal momento dell’attivazione Postazioni riservate al pubblico per la 1 postazione per CPI entro il 2002 – 2 consultazione banca dati postazioni per CPI entro il 2006 Quota di richieste dei datori di lavoro inevase <=40% Tempo medio per l’espletamento delle procedure Dal 2003 entro 10 giorni dalla richiesta; di avviamento a selezione nelle P.A. Tempi aggiornamento delle inserzioni 24 ore dalla comunicazione, dal 2003 Tempi di inserimento delle ricerche di personale 48 ore dal ricevimento, dal 2003 24 ore dall’esito, dal 2003 Tempi disattivazione delle inserzioni che hanno avuto esito positivo o non rivestono più interesse per l'inserzionista Verifica nuove inserzioni in banca dati Quotidiana, dal 2003 Quantità vacancies intercettate Due volte lo stock dei disoccupati di lunga durata, dal 2005 Rapporto tra datori di lavoro che sono ricorsi al 10% entro il 2002; 20% entro il 2006 servizio e datori di lavoro che hanno effettuato assunzioni pag. 26 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego pag. 27 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Funzione 4 - Orientamento FINALITÀ Offrire assistenza tecnica ad organismi che erogano servizi di orientamento scolastico e/o professionale. Erogare interventi di consulenza orientativa a target specifici di utenti dei SPI. Distribuire strumenti per l’autorientamento. UTENZA Organismi che erogano servizi di orientamento scolastico e professionale. Utenti dei SPI. MODALITÀ DI EROGAZIONE Assistenza tecnica Agli organismi presenti sul territorio che lo richiedono è assicurata l’assistenza tecnica relativamente alla messa a punto degli interventi di orientamento. In particolare, è assicurata l’assistenza nell’acquisizione delle informazioni relative alle caratteristiche della domanda ed offerta di lavoro, alle prospettive occupazionali nei diversi settori produttivi e per i singoli profili professionali, alle tipologie dei rapporti contrattuali, alle facilitazioni occupazionali, ai servizi di mediazione e accompagnamento al lavoro. La produzione delle conoscenze di base sul mercato del lavoro è effettuata attraverso l’attività dell’osservatorio regionale sul mercato del lavoro e dei servizi provinciali di monitoraggio del mercato del lavoro. Interventi diretti agli utenti Gli interventi individualizzati di orientamento a favore degli utenti dei SPI sono erogati all’interno delle funzioni di accoglienza e di accompagnamento al lavoro. In particolare agli utenti che hanno stipulato un patto di servizio con il CPI, è garantito un’azione di orientamento nel corso dei colloqui relativi alla definizione e aggiornamento del PAI. All’interno del sistema dei SPI sono attivate, direttamente dai CPI o da altre strutture convenzionate, azioni di orientamento rivolte a gruppi di utenti. Sono inoltre resi disponibili agli utenti prodotti per l’autorientamento. La distribuzione e l’accesso ai prodotti è garantita almeno in tutti CPI. Sia gli interventi di orientamento di gruppo che i prodotti di autorientamento sono destinati principalmente agli utenti in grado di sviluppare un buon grado di autonomia nella ricerca attiva di lavoro. pag. 28 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego RISORSE NECESSARIE Supporti tecnici per operatori dell’orientamento • Materiali illustrativi delle caratteristiche del mercato del lavoro locale e regionale. I materiali sono una elaborazione della produzione tecnico-scientifica specialistica, mirata alle specifiche esigenze e competenze degli operatori dell’orientamento. Sono trattate le tematiche della domanda ed offerta di lavoro, delle prospettive occupazionali nei diversi settori produttivi e per i singoli profili professionali, delle tipologie dei rapporti contrattuali, delle facilitazioni all’assunzione, dei servizi di mediazione e accompagnamento disponibili. • Catalogo aggiornato dell’offerta di formazione professionale disponibile sul territorio, completo delle indicazioni relative ai contenuti formativi, alla qualificazione assicurata, alla durata, alle modalità di accesso, alla data di attivazione di ciascuna delle proposte. • Catalogo dei prodotti per l’orientamento. Prodotti per l’autorientamento • Guida finalizzata a conoscere il mercato del lavoro e a sviluppare le competenze necessarie a realizzare azioni di ricerca attiva di lavoro e a gestire in maniera appropriata la fase di costituzione del rapporto di lavoro. • Materiali di esercitazione per la gestione delle interazioni nel mercato del lavoro. Personale • Lo svolgimento della funzione richiede un’unità operativa specializzata a livello provinciale con personale qualificato in grado di trattare le fonti informative di carattere statistico e normativo e di conoscere l’articolazione dei profili professionali e il sistema della formazione professionale. In termini quantitativi sono necessari almeno due operatori per ciascuna provincia. Locali e attrezzature • In ogni CPI un locale per gli incontri di orientamento di gruppo. Il locale deve essere attrezzato secondo i comuni standard delle aule formative. • Uno spazio composto da uno o più uffici a livello provinciale per l’operatività dell’unità di orientamento, i locali sono cablati e dotati dell’abituale strumentazione d’ufficio (computer, telefono, fax, fotocopiatore, ecc.) • Una dotazione mobile delle abituali attrezzature necessarie a gestire presentazioni (computer, proiettore, lavagna, ecc.) pag. 29 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego INDICATORI Tab. B.7 - Indicatori e standard di riferimento per la funzione di Orientamento Tipologia Input Input Input Input Input Input Output Output Output Output Output Output Output Indicatore Attivazione dei servizi di monitoraggio provinciali CPI che hanno attivato iniziative di orientamento di gruppo CPI che forniscono di saletta attrezzata per incontri Formazione degli operatori Province con dotazione mobile per presentazioni Qualità organismi che forniscono il servizio in convenzione Disponibilità catalogo prodotti per l’orientamento Disponibilità catalogo regionale informatizzato dell’offerta formativa CPI presso i quali sono distribuiti/utilizzabili prodotti di autorientamento Numero unità operative specializzate di orientamento Numero operatori per unità operativa specializzata di orientamento Punti di erogazione del servizio di orientamento specializzato Prestazione Percentuale di richieste di assistenza tecnica evase Aggiornamento catalogo offerta formativa Prestazione Tipologia dell’offerta formativa in catalogo Prestazione Aggiornamento catalogo prodotti per l’orientamento Tempi di risposta a richiesta di colloquio approfondito da parte del servizio Accompagnamento Prestazione pag. 30 STANDARD DI RIFERIMENTO Entro il 2003 50% dei CPI entro il 2003 – 100% dei CPI entro il 2005 50% entro il 2003 – 100% entro il 2005 Competenze in: a) interpretazione documentazione statistica; b) interpretazione documentazione normativa; c) analisi e tecniche di classificazione profili professionali; d) caratteristiche del sistema della formazione professionale regionale, nazionale e europeo 100% entro il 2003 Accreditamento regionale; entro il 2004 Entro il 2003 Entro il 2003 50% dei CPI entro il 2003; 100% dei CPI entro il 2004 1 per ogni provincia, entro il 2003 1 entro il 2003 – 2 entro il 2005 1 a livello provinciale, entro il 2003; almeno 1 in ogni ambito territoriale dei CPI, a partire dal 2005 (anche gestiti da soggetti convenzionati) 50% nel 2003 – 100% nel 2005 Aggiornamento in tempo reale, a partire dall’implementazione del catalogo Percorsi per la qualifica professionale, entro il 2003 (compreso apprendistato); percorsi di aggiornamento, specializzazione, entro il 2004 Revisione annuale, a partire dall’implementazione del catalogo 30 giorni entro il 2003; 15 giorni dal 2005 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Funzione 5 - Informazione mirata per le imprese FINALITÀ Il servizio è finalizzato ad offrire informazioni mirate ai datori di lavoro in merito a: Incentivi e agevolazioni per le assunzioni; Procedure per le assunzioni; Servizi di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro e di selezione del personale; Adempimenti e procedure amministrative. UTENZA Tutti i datori di lavoro privati e pubblici. MODALITÀ DI EROGAZIONE Il servizio è erogato nelle seguenti forme: Distribuzione materiali informativi mirati. Campagne d’informazione relativamente all’introduzione di nuove misure di politica del lavoro e/o a innovazioni normative in materia di lavoro. Azioni informative ad hoc rivolte agli organismi che erogano servizi consulenziali alle imprese. Per la produzione dei materiali le Province utilizzano un apposito servizio di assistenza tecnica realizzato dall’Ente strumentale regionale Veneto Lavoro. RISORSE NECESSARIE Struttura regionale di assistenza tecnica per la produzione ed aggiornamento dei contenuti informativi. Materiali informativi a stampa e guide informatizzate ipertestuali. Spazio web dedicato nel Portale Veneto per il Lavoro e nei siti delle Province. Risorse finanziarie per realizzazione campagne informative. pag. 31 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego INDICATORI Tab. B.8 - Indicatori e standard di riferimento per la funzione di informazione mirata per le imprese Tipologia Input Input Output Output Output Output Indicatore Standard di riferimento Costituzione del servizio di assistenza tecnica regionale al sistema dei SPI in materia di agevolazioni alle assunzioni e forme contrattuali. Spazio web dedicato all’informazione per i datori di lavoro Distribuzione presso i CPI di materiali informativi dedicati ai datori di lavoro Campagne informative realizzate Presso Veneto Lavoro a partire dal 2003. Nel Portale Veneto per il Lavoro e in tutti i siti web delle Province, a partire dal 2003 In tutti i CPI a partire dal 2003. Attivazione di campagne informative per ogni nuova misura introdotta, a partire dal 2003 Iniziative informative a favore di organismi che erogano Iniziative a livello provinciale per ogni nuova misura servizi di consulenza ai datori di lavoro introdotta, tutte le Province a partire dal 2003 Argomenti trattati dai materiali informativi Materiali informativi sull’intera gamma di agevolazioni alle assunzioni e tipologie di rapporti di lavoro. pag. 32 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Funzione 6 - Gestione sistema informativo e accertamenti FINALITÀ L’intera capacità di azione del sistema dei SPI sul mercato del lavoro poggia su un insieme di banche dati da cui attingere le informazioni necessarie a supportare le varie azioni, banche dati alimentate a loro volta dal flusso di informazioni che giunge ai SPI. Costituiscono requisiti indispensabili del sistema informativo: - la tempestività nell’acquisizione dei dati - la completezza delle informazioni - l’omogeneità dei criteri di trattamento e di codifica dei dati - l’unitarietà regionale del sw gestionale. Il servizio: • garantisce l’implementazione, l’aggiornamento e la manutenzione delle banche dati informatiche costruite a partire dai flussi informativi transitanti attraverso i Centri per l’impiego e gestiti tramite il software di sistema; • gestisce le attività di controllo e accertamento, in coordinamento con altre amministrazioni, tramite l’utilizzo delle diverse basi dati; • garantisce l’aggiornamento e lo sviluppo del sw in funzione sia dell’evoluzione della normativa, sia di particolari esigenze funzionali dei SPI, sia delle esigenze di monitoraggio del mercato del lavoro e delle attività dei SPI; • garantisce il coordinamento dell’insieme delle attività. UTENZA Sono da considerarsi utenti: a) tutti i soggetti, pubblici o privati, tenuti a comunicare ai Cpi informazioni riguardanti rapporti di lavoro, work experiences, obbligo scolastico e formativo; b) tutti coloro che si iscrivono all’anagrafe lavoratori; c) le pubbliche amministrazioni che richiedono attività di verifica; d) le diverse articolazione dei SPI; e) le società private che operano nel mercato del lavoro (es. agenzie interinali, agenzie di mediazione, ricerca e selezione del personale, enti di formazione) pag. 33 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego f) i soggetti, pubblici e privati, che operano nel campo della ricerca e dello studio sul mercato del lavoro. MODALITÀ DI EROGAZIONE Attività di implementazione L’attività di implementazione e aggiornamento dell’anagrafe lavoratori è garantita in tempo reale dalle altre funzioni di erogazione diretta dei servizi. Per quanto concerne il flusso di comunicazioni obbligatorie, la garanzia della tempestività della registrazione rappresenta un imprescindibile compito dell’attività di back office dei Cpi, pertanto ne è assicurata la gestione attraverso il sistema del protocollo informatico. Al fine dell’ottenimento di questo risultato, con un notevole risparmio di tempo e di risorse da parte degli utilizzatori, viene attivato il canale web per le comunicazioni ufficiali. L’ottemperanza agli obblighi amministrativi in assenza di supporto cartaceo, avviene attraverso il Portale Veneto per il Lavoro ed è garantita dalla firma digitale. Attività di scambio Le modalità di scambio informativo con le altre amministrazioni sono regolate da protocolli d’intesa che standardizzano i comportamenti ed evitano ingorghi sistemici. Attività di manutenzione e innovazione La funzione di manutenzione e controllo di qualità delle basi dati è garantita da un responsabile provinciale in coordinamento con Veneto Lavoro Il sw gestionale è aggiornato a fronte delle innovazioni normative o di nuove esigenze funzionali secondo un protocollo regionale. Alla fase di istruttoria e alla validazione delle nuove funzionalità presiede un coordinamento regionale. Il medesimo coordinamento regionale provvede alla progettazione, realizzazione e implementazione di procedure di controllo della qualità dati, nonché alla definizione e verifica di standard di riferimento. RISORSE NECESSARIE Personale Un’unità operativa regionale responsabile della manutenzione e controllo dell’integrità delle basi dati, con personale competente in gestione database relazionali. Un responsabile provinciale del controllo di qualità delle basi dati, con competenze nelle procedure amministrative dei Cpi. pag. 34 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Un gruppo di coordinamento regionale che presiede alle attività di manutenzione e innovazione, composto da Veneto Lavoro e dai responsabili provinciali della qualità dati. Operatori addetti alla verifica e alla registrazione delle comunicazioni, con competenze di uso del software applicativo e della normativa vigente. L’organizzazione delle presenze in servizio del personale segue le oscillazioni stagionali dei carichi di lavoro. Dotazione strumentale Per la dotazione tecnica vedi Tab B.11. Postazioni di lavoro individuali, attrezzate secondo quanto previsto dalla Tab. B.11. INDICATORI Tab. B.9 – Indicatori e standard di riferimento per la funzione di Gestione del sistema informativo Tipologia Input Input Input Processo Output Output Output Output Output Prestazione Prestazione Prestazione Indicatore Standard di riferimento Istituzione unità operativa regionale responsabile manutenzione delle basi dati Individuazione dei responsabili provinciali controllo qualità delle basi dati Istituzione del coordinamento regionale per le attività di manutenzione e innovazione Modalità di aggiornamento software Registrazione informazioni Entro il 2002 Entro il 2002 Entro il 2002 Secondo protocollo regionale a partire dal 2003 Entro la giornata lavorativa di acquisizione utilizzando il protocollo informatizzato, entro 2002 Tempi aggiornamento software Entro 30 giorni dall’entrata in vigore delle innovazioni normative Congruenza informazioni banche dati rispetto agli 2004 e 2005 riduzione dei margini di errore (dato standard definiti mancante, incongruità); entro 2006 margine errore <5% Risposta alle richieste di accertamento da parte di altre Entro 30 giorni dalla richiesta, fino al 2003 – Entro 15 amministrazioni giorni dalla richiesta, dal 2004 Modalità di conduzione degli accertamenti Disponibilità ad utilizzare procedure informatizzate, a partire dal 2004 Modalità acquisizione comunicazioni aziendali Disponibilità acquisizione on-line, a partire dal 2003 – Acquisizione almeno 75% delle comunicazioni entro il 2006. Protocollo regionale aggiornamento sw gestionale Entro il 2002 Standard di qualità di registrazione dei dati Definizione entro il 2003 pag. 35 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Funzione 7 - Analisi e Programmazione FINALITÀ Progettare e realizzare il monitoraggio dei mercati locali del lavoro secondo schemi armonizzati con le necessità nazionali e comunitarie. Produrre e diffondere periodicamente informazioni amministrative sulla domanda e l’offerta di lavoro desumibili dall’attività dei Cpi. Condurre e promuovere analisi statistiche, studi e ricerche sul mercato del lavoro e sul contesto economico regionale. Valutare le opportunità occupazionali offerte dai diversi segmenti del sistema produttivo, finalizzate a meglio indirizzare le funzioni di accompagnamento al lavoro. Supportare l’attività di programmazione fornendo assistenza tecnica alla CRCPS, alla CCI e alla Regione in tema di politiche del lavoro e di interventi strutturali. Svolgere un sistematico monitoraggio dello stato di attuazione del Masterplan e valutare l’efficacia delle misure attivate. UTENZA Pur essendo l’utenza a carattere generalizzato (il bene informazione può da tutti essere fruito), la funzione di target è rappresentata dagli attori sociali coinvolti nel mondo del lavoro, dai decisori politici ai diversi livelli locali, dagli operatori dei Spi impegnati in attività di orientamento e matching. MODALITÀ DI EROGAZIONE Analisi Progettazione - La progettazione degli schemi analitici (standard minimo) con cui leggere gli andamenti del mercato del lavoro desumibili dalla fonte amministrativa è a carico di Veneto lavoro in coordinamento con le Amministrazioni provinciali e l’Osservatorio nazionale. Ulteriori analisi possono essere condotte in autonomia a livello locale per rispondere a particolari esigenze emerse nel territorio. Produzione dati amministrativi - La funzione di estrazione delle informazioni sarà integrata nel software gestionale e disponibile quindi a livello di singolo Cpi. Compito delle Amministrazioni provinciali e di Veneto Lavoro sarà quello di raccogliere e divulgare le stesse previa valutazione di congruenza. Produzione statistica - Gli archivi amministrativi, opportunamente trattati e normalizzati da Veneto lavoro, diverranno, a cadenze annuali, la base per la produzione statistica relativa alla fonte Cpi che consentirà un’accurata analisi delle tendenze in atto nei mercati locali del lavoro. pag. 36 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Gli archivi statistici saranno a disposizione delle Amministrazioni provinciali per autonome analisi. Inoltre, a seguito di apposite convenzioni con le Province, sono disponibili, a titolo oneroso, per altri soggetti interessati all’analisi e alla ricerca sul mercato del lavoro. La distribuzione dell’informazione avverrà sfruttando tutti i canali attualmente disponibili: dai siti internet regionali, provinciali e locali, alle pubblicazioni che ai vari livelli e rispetto ai diversi pubblici potranno essere realizzate. Studi e ricerche - L’attività di ricerca viene svolta direttamente dagli Osservatorii (regionale e provinciali), sfruttando in primo luogo la base informativa del SILR, ma anche ricorrendo ad altre fonti disponibili o svolgendo/commissionando a indagini ad hoc. Programmazione La programmazione avviene attraverso gli strumenti dei piani e programmi pluriennali e annuali previsti dalla legislazione regionale, attingendo e contemporaneamente orientando l’attività di analisi. La verifica dello stato di attuazione del Masterplan e dell’adeguatezza dello stesso avvengono tramite il sistema di monitoraggio e valutazione appositamente predisposto. RISORSE NECESSARIE Personale Osservatorio regionale: dieci esperti con economiche, sociologiche, statistiche e informatiche; competenze: giuridiche, Osservatorii provinciali: un esperto con competenze socio-economiche; Individuazione (ed eventuale formazione) di referenti territoriali addetti al monitoraggio. Dotazione strumentale Realizzazione e integrazione di un modulo statistico all’interno del software gestionale; Strumenti per la distribuzione del prodotto sul territorio; Disponibilità di efficaci canali di trasmissione di archivi ed estrazioni periodiche. pag. 37 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego INDICATORI Tab. B.10 - Indicatori e standard di riferimento per la funzione di Analisi e programmazione Tipologia Input Indicatore Standard di riferimento Output Regolamento per l’accesso di utenti esterni ad Archivio statistico unificato veneto (ASUV) Istituzione Osservatori provinciali Realizzazione del sistema di monitoraggio del Masterplan Produzione dati amministrativi Output Note congiunturali Output Output Rapporto annuale regionale sul Mdl Archivio statistico unificato veneto (ASUV) Output Output Report dello stato di avanzamento Masterplan Disponibilità materiali formativi aggiornamento operatori Orientamento Piani e programmi di attività Input Input Prestazione pag. 38 Entro il 2003 Entro il 2004 Entro 2003 Entro 2003 con cadenza trimestrale, copertura territoriale totale Entro 2003 con cadenza trimestrale, copertura territoriale totale. Diffuse via web Pubblicazione secondo standard già raggiunti A partire dal 2003 (riferito al 2002), con cadenza annuale Cadenza annuale dal 2003 A partire dal 2003 Rispetto delle scadenze previste dalla normativa Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Standard per la dotazione informatica Tab. B.11 - Indicatori e standard di riferimento per la dotazione informatica Tipologia Indicatore Standard di riferimento Input Local area networck (LAN) dei CPI Input Apparati attivi di LAN Input Collegamento WAN – Intranet (SILR, Internet) Input Router Input Personal Computer Input Input Monitor Stampanti locali Input Stampanti di rete Input Stampanti a colori Input Software di Office Automation Input Software di Sistema Operativo Input Applicativi gestionali Input Server di Rete Input Server di Rete Input Scanner Input Masterizzatore Input PC Portatile Input Input Input Proiettore Lavagna luminosa Fotocopiatrice Input Apparecchio Telefonico pag. 39 Tutti i CPI - Cablaggio strutturato UTP secondo lo standard cat. 5 - Entro il 2002 Tutti i CPI – Hub o Switch Layer 2, dimensionati sul numero dei PC 10/100 – Entro il 2002 Tutti i CPI – Uso della tecnologia migliore presente nel territorio, tendenzialmente XDSL – Entro il 2002 Tutti i CPI – Secondo la tecnologia del collegamento – Entro il 2002 Uno per ogni postazione lavorativa - Pentium 1 GHertz – 4GB HDisk – 128 MB RAM – Scheda rete 10/100 10BaseT – CD ROM – Entro il 2003 Dimensione 17 ‘’ o LCD 15 ‘’ Tutti i CPI – Una per ogni Operatore di Sportello – Laser: formato A4; risoluzione minima richiesta 600x600 dpi - Entro il 2002 Una per ogni CPI e ogni 15 Client - Laser di rete: cassetti standard formato A4 e A3; risoluzione 600x600 dpi – Entro il 2002 Una per ogni CPI - carta comune A3, A4 – Entro il 2002 Tutti i CPI – Office 2000 PRO per ogni client – Entro il 2002 Tutti i CPI – Windows 2000 per ogni client – Entro il 2002 Tutti i CPI – Gestione Anagrafe Lavoratori e Aziende, Gestione Movimenti, Gestione PAI, Gestione IDO, Gestione Tirocini, Gestione Obbligo Formativo, Gestione Collocamento Mirato – Entro 2003 Per i CPI Capoluogo di Provincia - NT biprocessore -640 MB-512 XEON 400 Mhz – Entro il 2002 Per i CPI non Capoluogo di Provincia – NT monoprocessore -512 MB-512 KB-Pentium II 400 Mhz – Entro il 2002 Tutti i CPI – risoluzione: ottica: 600 dpi; hardware: 600 x 1200 dpi – Entro il 2002 Tutti i CPI – Masterizzatore riscrivibile: caratteristiche minime 4X-4X-12X – Entro il 2002 Tutti i CPI – Pentium 1 GHertz – 4GB HDisk – 128 MB RAM – Scheda rete 10/100 10BaseT – CD ROM – Entro il 2003 Uno per provincia – Entro il 2003 Una per provincia – Entro il 2003 Una per ogni CPI – formato carta A4 e A3 – Entro il 2002 Uno per singolo locale attrezzato – Entro il 2002 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego C - Piano d’azione per lo sviluppo dei SPI Il raggiungimento da parte dei SPI degli standard operativi definiti avverrà attraverso un insieme articolato di azioni volto ad acquisire i necessari fattori di input e a strutturare i processi di erogazione dei servizi. Tali azioni rispondono sostanzialmente ai seguenti macrobiettivi: • riqualificazione e aggiornamento del personale; • adeguamento della dotazione di personale; • informatizzazione dell’attività dell’intero sistema dei SPI; • realizzazione di materiali e strumenti di supporto all’erogazione dei servizi; • sviluppo di procedure operative standardizzate a livello regionale; • adeguamento delle sedi dei CPI; • definizione di accordi ed intese di collaborazione sia a livello regionale che a livello locale. La realizzazione del piano d’interventi, per quanto riguarda i soggetti attuatori, richiede un’azione coordinata tra il livello regionale e quello provinciale secondo uno schema che tenga conto da un lato delle esigenze di economia di scala e dall’altro della necessità di decentramento territoriale. Un’analoga prospettiva di coordinamento va utilizzata relativamente alle fonti di finanziamento, mirando a utilizzare a pieno i diversi canali di finanziamento, razionalizzandone l’utilizzo attraverso la costruzione di un profilo unitario degli investimenti necessari. Un ulteriore prerequisito per garantire efficienza ed efficacia al piano d’interventi riguarda la necessità di adeguare le formule di assegnazione e gestione delle risorse alle caratteristiche degli interventi pianificati. pag. 40 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Tab. C.1 – Riqualificazione e aggiornamento del personale Azione Beneficiari Soggetti attuatori Riqualificazione di base degli operatori Personale dei CPI provenienti dallo Stato Stato - Province Formazione utilizzo sw NL Formazione per la gestione dell’attività degli sportelli incontro domanda-offerta Formazione responsabili qualità dati a livello provinciale Personale dei CPI Operatori della rete di sportelli incontro domanda-offerta Province, Regione Formazione operatori per trattamento dati Risorse (Fonte) Tempi Entro 2002 Veneto Lavoro Veneto Lavoro Stato (Progetto Caravelle) Regione (FSE – Misura A1) Veneto Lavoro Veneto Lavoro Veneto Lavoro Regione (FSE – Misura A1) Entro 2003 Personale di: Province, Cpi, Regione Veneto Lavoro Regione (FSE – Misura A1) Entro 2002 Formazione addetti territoriali al monitoraggio amministrativo Personale dei Cpi Veneto Lavoro Regione (FSE – Misura A1) Entro primo semestre 2003 Formazione per l’utilizzo lingua straniera Personale dei Cpi Province Regione (FSE – Misura A1) Entro 2003 Entro 2002 Tab. C.2 – Adeguamento della dotazione di personale Azione Valutazione fabbisogno di personale Adeguamento dotazione personale Beneficiari Province Province Soggetti attuatori Province Province Risorse (Fonte) Province pag. 41 Tempi 2002 2006 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Tab. C.3 – Informatizzazione dell’attività dei SPI Azione Acquisizione strumentazione informatica secondo standard Cablatura locali Collegamento in rete regionale Sviluppo ed installazione nuovo sw gestionale di base (NL4) Sviluppo ed installazione sw gestione lavoratori disabili Sviluppo ed installazione sw gestione tirocini Sviluppo ed installazione sw gestione formazione apprendisti Sviluppo ed installazione sw gestione obbligo formativo Sviluppo ed attivazione sw gestione banca dati per la mobilità territoriale (elabor) Sistema acquisizione on-line delle comunicazioni ufficiali Progettazione e realizzazione sw integrato in NL4 per analisi statistica Beneficiari Soggetti attuatori CPI – Veneto Lavoro Province – Veneto Lavoro CPI – Veneto Lavoro CPI – Veneto Lavoro CPI Risorse (Fonte) Tempi 50% entro il 2002; 100% entro il 2003 Province – Veneto Lavoro Province – Veneto Lavoro Veneto Lavoro – MLPS Veneto Lavoro – Province - Regione (FSE – Misura A1) Province – Veneto Lavoro Province – Veneto Lavoro Stato CPI Province Province – Veneto Lavoro Entro 2002 CPI – Veneto Lavoro – Altri soggetti promotori tirocini Regione – Province Veneto Lavoro Regione Entro 2002 Regione - Veneto Lavoro Stato – Regione Entro 2003 CPI Regione - Veneto Lavoro Stato – Regione Entro 2003 Rete sportelli per l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro MLPS Stato Entro 2002 Cpi, sistema imprese Veneto Lavoro Regione (FSE – Misura A1) Avvio sperimentazione entro 2002; Province, Cpi, Regione Veneto Lavoro Veneto Lavoro Entro 2002; a regime entro 2004 pag. 42 Entro 2002 Entro 2002 Entro 2002 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Tab. C.4 – Realizzazione materiali e strumenti di supporto all’erogazione dei servizi Azione Progettazione e realizzazione ASUV Catalogo dell’offerta formativa Catalogo materiali per l’orientamento Materiali base per l’orientamento Siti provinciali sul lavoro Produzione materiali informativi su strumenti di supporto e agevolazioni disponibili per i lavoratori e datori di lavoro Realizzazione carta dei servizi Produzione di strumenti di autorientamento Campagna informativa per il servizio d’incontro domanda-offerta Realizzazione del Portale veneto per il lavoro Beneficiari Soggetti attuatori Risorse (Entità Fonte) Tempi Province, istituti ricerca CPI, Servizi di orientamento CPI, Servizi di orientamento CPI, Servizi di orientamento Sistema servizi Sistema servizi Veneto Lavoro Regione Regione Regione, Veneto Lavoro, Province Province Province – Veneto Lavoro Veneto Lavoro Regione Regione Sistema servizi Sistema servizi Province Regione, Veneto Lavoro, Province Regione (FSE – Misura A1) Regione Entro 2003 – aggiornamento annuale Entro 2004 Sistema servizi Veneto Lavoro Veneto Lavoro Entro 2002 Sistema servizi Veneto Lavoro Regione (FSE – Misura A1) Attivazione primi servizi entro 2002 – Completamento servizi di base entro il 2003 pag. 43 Regione (FSE – Misura A1) Province Regione (FSE – Misura A1) Entro 2003 Entro 2003 Entro 2003 Entro 2003 Entro 2003 Entro 2003 - aggiornamento annuale Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Tab. C.5 – Sviluppo procedure operative standard Azione Definizione regolamento per l’accesso ad ASUV Realizzazione procedure di controllo qualità dati Progettazione sistema monitoraggio Masterplan Definizione modello gestione “nuovo collocamento” Definizione sistema di accreditamento degli organismi privati convenzionati Definizione procedure di funzionamento rete di sportelli incontro domanda-offerta Beneficiari Università centri di ricerca, soggetti sociali Province, Cpi, Regione Soggetti attuatori Risorse (Fonte) Tempi Veneto Lavoro - Provincie Entro primo semestre 2003 Entro 2003 Regione, Province Coordinamento regionale (Veneto Lavoro) Veneto Lavoro CPI Regione, Province, Veneto Lavoro Entro 2002 Province Regione e Province Entro 2003 Sistema servizi Regione, Veneto Lavoro, Province, Parti sociali Entro 2002 Entro 2002 Tab. C.6 – Adeguamento delle sedi dei CPI Azione Acquisizione nuovi locali Beneficiari Soggetti attuatori Risorse (Fonte) Tempi Comuni / Province Comuni / Province Entro 2004 Manutenzione straordinaria delle strutture ed impianti dei locali già disponibili CPI con locali inadeguati per dimensioni / accessibilità / condizioni strutturali CPI con locali deteriorati e/o non conformi alla normativa sulla sicurezza e accessibilità Province 50% CPI entro 2003; 100% CPI entro 2004 Rinnovo arredo Tutti i CPI Province Acquisizione segnaletica Tutti i CPI Province Regione (FSE – Misura A1) Stato (L. 388/00 e L. 448/01) Province (risorse proprie) Regione (FSE – Misura A1) Stato (L. 388/00 e L. 448/01) Province (risorse proprie) Regione (FSE – Misura A1) Stato (L. 388/00 e L. 448/01) Province (risorse proprie) pag. 44 50% CPI entro 2003; 100% CPI entro 2004 50% CPI entro 2003; 100% CPI entro 2004 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Tab. C.7 – Definizione di accordi ed intese di collaborazione Azione Stipula protocolli intesa con altre amministrazioni per procedure semplificate di accertamento amministrativo Convenzioni per l’attivazione sportelli incontro domanda-offerta Accordo quadro per l’avvio di un sistema a rete di sportelli per l’incontro domanda-offerta Accordi territoriali di collaborazione per l’attuazione della legge 68/98 Convenzioni quadro per la promozione dei tirocini Accordi generali di collaborazione per l’integrazione dei servizi Partnership con organismi privati per l’erogazione di servizi specialistici Soggetti Promotore Risorse (Fonte) Tempi Sistema istituzionale regionale Veneto Lavoro Entro 2003 Province – organismi privati (associazioni dei datori di lavoro, organizzazioni sindacali, organismi non-profit) Regione, Province, Veneto Lavoro, Parti sociali Province A partire dal 2002 Veneto Lavoro A partire dal 2002 Province, Comuni, Aziende Ulss, Parti Province sociali Province, Veneto Lavoro, Associazioni Province, Veneto Lavoro dei datori di lavoro, Organizzazioni sindacali dei lavoratori Province, Comuni, Agenzie scolastiche Province A partire dal 2002 Province, Agenzie formative e/o di orientamento A partire dal 2002 Province pag. 45 A partire dal 2002 A partire dal 2002 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego Tab. C.8 – Quadro finanziario Fonte Trasferimento statale FSE- Misura A1 Regione 61,5% - Stato 38,5% Stato (finanziamento ad hoc L. 388/00 e L. 448/01) Regione Totale Beneficiario Anno 2000 Anno 2001 Anno 2002 Anno 2003 Anno 2004 Anno 2005 Anno 2006 Regione e Province 11.125.536 11.125.536 11.125.536 11.125.536 11.125.536 11.125.536 11.125.536 77.878.752 Veneto Lavoro 4.112.631 2.763.531 7.294.884 2.763.531 7.278.782 2.763.531 4.364.356 2.763.531 4.036.157 2.763.531 4.116.879 2.763.531 4.199.220 2.763.531 35.402.909 19.344.717 Province 0 3.000.000 3.000.000 0 0 0 0 6.000.000 3.615.198 0 0 0 0 0 0 3.615.198 21.616.896 24.183.951 24.167.849 18.253.423 17.925.224 18.005.946 18.088.287 142.241.576 Veneto Lavoro per SILR pag. 46 Totale Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego D - Monitoraggio del Masterplan Al fine di poter valutare l’attuazione del piano sarà implementato uno specifico sistema di monitoraggio. Entro tre mesi dall’approvazione del masterplan, Veneto Lavoro predisporrà il progetto operativo per il monitoraggio. Nel progetto saranno definite le fonti informative le modalità di raccolta e di classificazione delle informazioni i soggetti che parteciperanno all’azione di monitoraggio, le caratteristiche dei rapporti intermedi e la loro cadenza. Le linee generali a cui il sistema si ispirerà sono le seguenti: • Le informazioni raccolte si riferiscono agli indicatori individuati nel masterplan; • Sarà monitorato l’intero territorio regionale; • Saranno utilizzate sia le fonti informative di carattere amministrativo, sia rilevazioni ad hoc; • Verrà prodotto un rapporto annuale nel quale saranno illustrate le condizioni dei SPI e il grado di approssimazione agli standard fissati; • Veneto Lavoro sarà responsabile del puntuale svolgimento del monitoraggio e produzione dei rapporti; • i servizi coinvolti parteciperanno al monitoraggio fornendo le informazioni richieste secondo i parametri definiti in sede di progettazione del sistema di monitoraggio. I risultati dell’attività di monitoraggio saranno portati a conoscenza e alla valutazione della Commissione Europea, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, della Regione, delle Province e degli organismi di concertazione e di coordinamento istituzionale. Annualmente, sulla base delle indicazioni provenienti dal monitoraggio, il Masterplan potrà essere aggiornato. L’aggiornamento potrà riguardare gli standard fissati, le azioni da sviluppare, l’articolazione temporale degli interventi e la destinazione delle risorse. pag. 47 Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego E - Glossario SPI – Servizi per l’impiego CPI – Centro per l’impiego PAI – Piano di azione individuale. Piano delle azioni di ricerca attiva di lavoro e di sviluppo professionale che l’utente in stato di disoccupazione ai sensi del D.lgs. 181/00 ha concordato con il CPI. Per l’utente l’attuazione del piano è vincolante per il mantenimento dello stato di disoccupazione e dei benefici connessi. Standard di input: con il termine “standard di input” ci si riferisce ai diversi tipi di risorse che risultano necessarie per l’erogazione del servizio: risorse umane e loro competenze, tecnologie e attrezzature, risorse informative e documentazione, spazi e layout, risorse finanziarie, immagine e comunicazione, etc. Standard di processo: con il termine “standard di processo” ci si riferisce alle concrete modalità di erogazione dei servizi che si concretizzano frequentemente in procedure, e cioè in modalità formalizzate di progettare, realizzare, controllare e valutare specifiche fasi di attività nell’ambito del processo complessivo. Standard di output: con il termine “standard di output” ci si riferisce alle caratteristiche standard di un particolare tipo di prodotto/servizio. Standard di prestazione: con il termine “standard di prestazione” (o standard di performance) ci si riferisce al risultato del servizio (o della struttura, o del sistema). Standard di organizzazione: con il termine “standard di organizzazione” ci si riferisce alle caratteristiche relative all’assetto organizzativo della struttura di erogazione dei servizi (aree organizzative; ruoli; etc.) Standard di sistema: con il termine “standard di sistema” si intende la configurazione della rete dei soggetti e delle strutture di erogazione dei servizi, ciò che a volte viene definito “architettura del sistema”. pag. 48 L’innovazione organizzativa - La nascita dell’Ufficio Progetto per il Marketing g La creazione dell’Ufficio Progetto per il Marketing si basa sull’intuizione della Dirigenza del Settore Politiche Attive per il lavoro della Provincia di Verona, che ha inteso così formalizzare un modus operandi proprio dei Centri per l’Impiego di Verona e Legnago. g I due CPI hanno svolto per anni una preziosa opera di supporto alle aziende presenti sul territorio, fornendo servizi a forte valore aggiunto, di carattere sia informativo, che consulenziale. g Visto il positivo riscontro e la forte motivazione del personale, la Provincia ha deciso di internalizzare tali competenze nel Settore Politiche Attive per il Lavoro, in modo da centralizzare l’attività di promozione e di servizio alle imprese, e dispiegarla a beneficio dell’intero territorio provinciale. L’innovazione organizzativa – Il CPI di Legnago Nel CPI di Legnago il servizio è nato con l’obiettivo di qualificare le offerte del CPI e creare un rapporto fiduciario con le imprese ed i datori di lavoro presenti sul territorio, “spingendo” con un’intensa attività promozionale le attività del Centro. Di seguito si riportano le fasi operative per la gestione del servizio marketing presso il CPI di Legnago. Fase 1 Invio di una nota informativa alle Associazioni di Categoria della Provincia di Verona con la quale si richiedeva formalmente la disponibilità ad informare i rispettivi associati di una eventuale visita presso le sedi aziendali di un operatore della Provincia per la presentazione dei nuovi servizi di politica attiva per il lavoro Fase 2 Analisi delle aziende, con organico pari o superiore a 10/15 dipendenti, presenti nel bacino del CPI di Legnago, con un elevato grado di attenzionerivolto all’impresa metalmeccanica, a quella del settore terziario e del commercio, realizzata con il supporto della banca dati del CPI di Legnago, utilizzata sul verante dell’offerta per l’individuazione e la verifica di competenze di lavoratori disponibili Fase 3 Preparazione di brochure informative e di materiale pubblicitario con la descrizione dei nuovi servizi offerti dai CPI e nel corso dei due convegni organizzati dai CPI negli anni 2002/2003 sulle tematiche del nuovo ruolo dei Servizi per l’Impiego in un mercato del lavoro profondamente rinnovati dalle recenti normative (Legge delega – legge Biagi) Fase 4 Contatto telefonico con l’azienda nel corso del quale vengono fornite, dall’operatore marketing. Informazioni, propedeutiche alla definizione dell’appuntamento, sui nuovi servizi offerti dai Centri per l’Impiego. L’innovazione organizzativa – Il CPI di Verona Nel CPI di Verona il servizio è nato con l’obiettivo di fornire alle imprese servizi specifici e sempre più qualificati all’impresa nella gestione della funzione di mediazione della domanda e dell’offerta di lavoro. Di seguito si riportano le fasi operative per la gestione del servizio marketing presso il CPI di Verona. Fase 1 Analisi delle offerte di lavoro pervenute nel 2002 con la verifica delle figure maggiormente richieste (contabile – impiegato amministrativo; magazziniere e commessa) Fase 2 Analisi delle persone disoccupate, subito disponibili al lavoro che possedevano competenze prossime alle figura professionali sopraccitate Fase 3 Analisi degli adempimenti amministrativi sulla verifica di tutte le comunicazioni di cessazione di rapporti di lavoro riguardanti lavoratori che possedevano le competenze relative al profilo professionale del contabile – impiegato amministrativo, magazzinieri e commesse Fase 4 Invio all’azienda, da parte dell’Ufficio Marketing, di una comunicazione, che presentava il proprio servizio di ricerca di personale. Il primo tentativo riguardava 50 imprese, 14 di esse richiedevano altre informazioni 3529,1&,$',9(521$ 6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR Verona, 22/08/2003 Protocollo n. - 3777 pratica n. Pagina 1/2 Responsabile Centro per l’Impiego 1 Responsabile Coordinamento per l’Impiego Responsabili Unità Organizzative Centri per l’Impiego Responsabile Unità Organizzativa Collocamento Mirato Responsabile Centro Formazione Professionale 1 Responsabile Servizi Amministrativi dell’Area Servizi alla Comunità e alla Persona p. c. Assessore al Lavoro Vice Presidente della Provincia Loro sedi 2JJHWWRAttivazione dell’ “Ufficio di progetto per il marketing – Provincia di Verona” presso il Settore Politiche Attive per il Lavoro 'HFLVLRQH: Presso il Settore Politiche Attive per il Lavoro, a far data dalla presente, viene attivato l’Ufficio di progetto per il marketing. I soggetti che ne fanno parte, in seguito indicati, provvederanno allo svolgimento delle attività inerenti, dalla sede di appartenenza, rispondendo a tale fine al Servizio Coordinamento per l’Impiego. 0RWLYD]LRQH L’istituzione dell’ Ufficio di progetto per il marketing è finalizzata all’individuazione di strategie ed azioni idonee alla divulgazione e promozione dei nuovi servizi erogati dai Centri per l’Impiego, sia in direzione dell’utenza classica (lavoratori in cerca di occupazione ) che del mondo dell’impresa e della formazione/istruzione. In particolare l’attività avrà cura di sensibilizzare e informare l’utenza circa le possibilità da parte dei Centri per l’Impiego di erogare servizi reali indirizzati alla fornitura di interventi di tipo orientativo/consulenziale relativi alla preselezione del personale, ai tirocini formativi, all’offerta formativa e a tutte quelle informazioni inerenti il mercato del lavoro in grado di stimolare le dinamiche dell’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro. Ufficio referente referente telefono e fax web Luigi Oliveri 045 8088818 www.provincia.vr.it Centro per l’Impiego di Legnago rif. protocollo n. allegati n. 5 3529,1&,$',9(521$ 6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR Pagina 2/2 $YYHUWHQ]H L’Ufficio di progetto per il marketing, svolgerà prevalentemente le seguenti attività. ¾ ¾ ¾ ¾ ¾ Predisposizione e standardizzazione di materiale informativo; Individuazione dei soggetti destinatari delle azioni; Gestione dei contatti con le imprese e gli altri soggetti mediante anche la collaborazione degli operatori dei CpI secondo modalità concertate con i Responsabili dei Centri medesimi; Predisposizione di calendari di visite esterne ottimizzati secondo i criteri che saranno ritenuti più efficaci ed effettuazione degli interventi; Analisi, monitoraggio e controllo delle azioni intraprese anche attraverso l’interpretazione dei dati ricavati dai sistemi di rilevazione identificati più opportuni. Considerata l’esperienza acquisita presso il Centro per l’Impiego di Legnago e presso il Centro per l’Impiego di Verona e visto l’ampio lavoro propedeutico già svolto, si dispone che il gruppo per il marketing della Provincia di Verona sia costituito da: ¾ ¾ ¾ ¾ Bisighin Giampaolo (CpI Legnago) Dal Colle Laura (CpI Verona) Lanza Alberto (CpI Legnago) Scupola Carlo (CpI Verona) I Sigg. Bisighin Giampaolo e Lanza Alberto svolgeranno le loro attività con riferimento al bacino territoriale di competenza dei Centri per l’Impiego di Legnago, Bovolone e Villafranca, i Sigg. Dal Colle Laura e Scupola Carlo con riferimento al bacino territoriale di competenza dei Centri per l’Impiego di Verona, San Bonifacio e Affi. Il personale costituente il Gruppo per il marketing dipenderà funzionalmente dal Dirigente del Settore Politiche Attive per il Lavoro. IL DIRIGENTE COORDINATORE D’AREA Dott. Luigi Oliveri L’organigramma dei Servizi per l’Impiego STAFF AREA DIRIGENTE UFFICIO DI PROGETTO ORIENTAMENTO U.O. COLLOCAMENTO MIRATO UFFICIO UFFICIODI DIPROGETTO PROGETTO MARKETING MARKETING OSSERVATORIO MERCATO DEL LAVORO SERVIZIO COORDINAMENTO PER L’IMPIEGO SERVIZIO CENTRO PER L’IMPIEGO 1 SERVIZIO CENTRO PER L’IMPIEGO 2 L’Ufficio di Progetto per il Marketing UFFICIO UFFICIODI DIPROGETTO PROGETTO MARKETING MARKETING L’Ufficio di Progetto per il Marketing: g ha in organico cinque operatori, di cui quattro hanno competenza sull’intero territorio provinciale (sei CPI), ed un operatore è dedicato allo sviluppo della documentazione informativa; g ha due sedi “distaccate” all’interno dei CPI di Verona e Legnago; g si interfaccia in maniera continua con gli operatori che, all’interno dei CPI, si occupano del servizio ricerca e selezione del personale; g è funzionalmente indipendente rispetto a tutti gli altri servizi offerti dai CPI presenti sul territorio, anche se interagisce con essi. L’Ufficio di Progetto per il Marketing – Le attività UFFICIO UFFICIODI DIPROGETTO PROGETTO MARKETING MARKETING L’Ufficio di Progetto per il Marketing svolge le seguenti attività: g promuove i servizi erogati dai CPI presenti sul territorio e realizza azioni di comunicazione mirate per diffondere i temi della riforma del mercato del lavoro; g effettua un primo intervento diretto in azienda, dopo averla individuata e contattata con l’ausilio e la collaborazione del Responsabile del CPI e/o dell’operatore; g promuove e dà impulso alle attività offerte dalla Provincia attraverso i CPI e crea e/o consolida le relazioni tra aziende e CPI locali; g produce attività di reportisitica relativa agli esiti dell’attività svolta e fornisce adeguata informazione sulle attività, esigenze e bisogni dell’azienda intervistata, al fine di consentire al Responsabile del CPI o dell’operatore locale, di attivarsi per lo sviluppo di successivi contatti con l’azienda stessa per l’eventuale definizione del Piano di Azione Aziendale. 3529,1&,$',9(521$ 6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR Verona, 15/09/2003 Protocollo n. 4119 - pratica n. Pagina 1/2 Responsabile Coordinamento per l’Impiego Responsabile Centro per l’Impiego 1 Responsabili Unità Organizzative Centri per l’Impiego Responsabile Unità Organizzativa Collocamento Mirato Responsabile Centro Formazione Professionale 1 Responsabile Servizi Amministrativi dell’Area Servizi alla Comunità e alla Persona Ai Sigg. Bisighin Paolo, Lanza Alberto ; Scupola Carlo p. c. Assessore al Lavoro Vice Presidente della Provincia Loro sedi 2JJHWWR Ordine di servizio – attività dell’Ufficio di progetto per il marketing. In riferimento alla nota di servizio, n° 3777 del 22/08/2003, con la quale si è data comunicazione della creazione dell’Ufficio di progetto per il marketing, con competenza su tutto il territorio provinciale, di seguito, si forniscono le prime indicazioni operative necessarie ad un corretto ed efficace funzionamento dell’attività di marketing, articolata di concerto con i Sigg. Responsabili dei CpI e/o con gli operatori che i Sigg. Responsabili medesimi avranno deciso di dedicare a tale attività, fornendone tempestiva comunicazione all’Ufficio di progetto: • L’Ufficio di progetto per il marketing, strutturato a livello provinciale e individuato sulla base di esperienze già effettuate presso alcuni CpI, avrà il compito di promuovere i nuovi servizi all’impiego erogati dai centri provinciali e di divulgare conoscenze in Ufficio responsabile del procedimento indirizzo responsabile telefono e fax e-mail web web fornitori Via delle Franceschine, 10 Dr. Luigi Oliveri 045/8088818 L [email protected] www.provincia.vr.it rif. protocollo n. codice fiscale partita IVA allegati n. file 00654810233 00654810233 3529,1&,$',9(521$ 6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR Pagina 2/4 • • • • • materia di riforma dei servizi stessi e più in generale del mercato del lavoro, sulla base di interventi e procedure uniformi; l’Ufficio di progetto per il marketing fornirà all’inizio di ogni anno solare al dirigente del settore Lavoro, ai responsabili dei CpI al responsabile del collocamento mirato, anche secondo le indicazioni del Peg, le priorità, il numero, le tipologie dei soggetti da contattare nel corso dell’anno e le modalità di gestione delle richieste d’intervento provenienti dai responsabili dei Cpi o dai soggetti da loro incaricati sia per i contatti compresi nell’attività programmata dal gruppo che per contatti al di fuori di essa; le attività di marketing saranno svolte dai due gruppi di lavoro secondo l’ambito territoriale riportato nella nota n° 3777 del 22/08/2003. Ambiti territoriali di intervento diversi o più estesi saranno individuati dal referente dell’Ufficio di progetto per il Marketing e comunicati via e mail ai membri dell’Ufficio stesso e ai Responsabili dei CpI. l’Ufficio di progetto per il marketing effettuerà un primo intervento diretto in azienda, individuata e contattata con l’ausilio e la fattiva collaborazione del Responsabile del CpI e/o dell’operatore, come sopra identificato, del CpI competente per territorio; L’azione, promossa dall’Ufficio di progetto per il marketing, avrà lo scopo di proporre e di dare impulso alle attività fornite dalla Provincia di Verona attraverso i Centri per l’Impiego (ricerca e preselezione del personale – orientamento – informazione/consulenza) e di creare e/o consolidare le relazioni tra aziende e CpI locali; Sarà cura dell’Ufficio di progetto per il marketing, terminata la fase di accesso in azienda, riferire sugli esiti dell’attività svolta e fornire adeguata informazione sulle attività, esigenze e bisogni dell’azienda visitata, al fine di consentire al Responsabile del CpI e/o dell’operatore locale, di attivarsi per lo sviluppo di successivi contatti con l’azienda stessa e per l’eventuale definizione del Piano di Azione Aziendale, allegato al presente ordine di servizio, strumento propedeutico all’instaurazione di un virtuoso rapporto collaborativo tra aziende e CpI; L’inizio dell’attività, le cui linee di indirizzo sono nel presente ordine indicate, sarà preceduto da un incontro, convocato dal Dirigente Coordinatore d’Area, tra i membri dell’Ufficio di progetto per il marketing e i Responsabili dei Centri per l’Impiego, nell’occasione del quale saranno fornite ulteriori istruzioni operative. Considerato che lo scopo principale dell’attività di marketing, è quello di aumentare la capacità di seduzione del servizio pubblico nei confronti del privato e di investire, di 3529,1&,$',9(521$ 6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR Pagina 3/4 conseguenza, in misura maggiore nei servizi rivolti ai datori di lavoro, in funzione di un coinvolgimento dei Spi su più larga scala, nelle procedure di reclutamento del personale, si sollecita una convinta adesione, di tutti i soggetti interessati, allo sviluppo dell’attività stessa. IL DIRIGENTE COORDINATORE D’AREA Dott. Luigi Oliveri 3529,1&,$',9(521$ 6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR Pagina 4/4 L’interazione con le aziende - Le fasi del processo Individuazione delle aziende Visita in azienda Descrizione dei servizi e proposta di adesione al PAA Redazione scheda analitica del profilo aziendale Monitoraggio di efficacia (customer satisfaction) Stipula del PAA Fase 1 - Individuazione delle aziende Gli operatori dell’Ufficio di Progetto per il Marketing individuano le aziende da contattare ricostruendo in maniera approfondita il contesto economico e produttivo locale, ricorrendo: g all’analisi delle caratteristiche della domanda e offerta di lavoro; g all’analisi delle comunicazioni di cessazione dei rapporti di lavoro; g alla consultazione delle banche dati; g all’individuazione delle aziende eventualmente interessate a progetti che la Provincia ha in essere: progetto scuola, donne over 50, disoccupati di lunga durata, mobilità; g all’individuazione delle aziende di grandi dimensioni stagionali; g all’analisi dei clienti che hanno usufruito del servizio stage – IDO; g alle indicazioni fornite dalla Associazioni di categoria. Inoltre, gli operatori si attivano anche in relazione alle segnalazioni che arrivano dai CPI, a seguito di contatti presi in funzione delle attività svolte o dei servizi erogati alle imprese presenti negli ambiti territoriali di competenza. Fase 2 - Visita in azienda: il sottoprocesso Una volta individuato il target, l’operatore si reca fisicamente presso l’azienda per effettuare una prima ricognizione della struttura ed acquisire elementi informativi utili a valutare l’eventuale fabbisogno del potenziale cliente. Operatore marketing Colloquio Titolare Azienda Presentazione del Centro e dei servizi erogati Accoglienza Orientamento Accompagnamento al lavoro Incontro D/O Responsabile del Personale Informazioni in materia di politiche per il lavoro Consulenza aziendale Nuove procedure in materia di collocamento Novità legislative in materia di lavoro e mercato del lavoro Fase 3 - Descrizione dei servizi e proposta di adesione al PAA Una volta descritti i nuovi servizi di politica attiva per il lavoro ed aver ascoltato il titolare dell’impresa e/o anche il Responsabile delle Risorse Umane (nel caso di aziende di maggiori dimensioni), l’operatore formula la proposta di adesione al Piano di Azione Aziendale, illustrandone contenuti e finalità. Operatore Marketing Datore di Lavoro g Descrizione dell’attività aziendale g Il mercato di riferimento g Illustrazione dei bisogni e fabbisogni aziendali g ASCOLTO g g Proposta di adesione al Piano di Azione Aziendale Acquisizione e verifica del questionario Elaborazione delle informazioni fornite direttamente dal datore di lavoro Individuazione dei servizi specifici da attivare presso il Centro Fase 4 – Redazione scheda analitica del profilo aziendale – il sottoprocesso Una volta rientrato in sede, formula una prima ipotesi del fabbisogno dell’impresa, valutando entità, tipologia e competenze delle risorse eventualmente necessarie, e la trasmette agli operatori dei CPI presenti sul territorio, interagendo con essi a seconda delle specificità del cliente - impresa. Operatore Marketing Redazione scheda analitica della visita in azienda Trasmissione e-mail della scheda agli operatori dei servizi IDO, Stage, Collocamento mirato, Spazio Impresa Servizi Centro Impiego Verifica della compatibilità della richiesta rispetto alle disponibilità presenti. Attivazione del servizio Spazio Impresa Esito Positivo Negativo Inserimento azienda nel portafoglio clienti Contatto da parte del servizio competente con l’azienda Fase 5 - Stipula del PAA g Il Piano di Azione Aziendale - PAA è una convenzione a tre tra l’Ufficio di Progetto per il Marketing, l’operatore del CPI competente sul territorio per l’incontro domanda/offerta e l’azienda; g Il PAA è costituito a tempo indeterminato, non ha carattere oneroso per l’azienda e può essere rescisso in qualunque momento previa comunicazione di una delle parti; g Il PAA è un contratto a prestazione unilaterale in quanto non vi è corrispettività delle obbligazioni: l’unico soggetto “impegnato” è l’Ufficio di Progetto; g Il PAA offre, in aggiunta ai normali servizi, la possibilità di fruire dei servizi di politica attiva erogati dai Centri. Fase 5 - Stipula del PAA/segue L’azienda contraente, stipulando il PAA, può scegliere di usufruire in tutto o in parte dei servizi di politica attiva offerti dai Centri. g Informazione mirata: 4 predisposizione, all’interno di ogni CPI, di un punto informativo denominato “Spazio Impresa”, diretto alla fornitura di notizie ed informazioni di interesse per l’azienda; 4 elaborazione e distribuzione di materiali informativi e del “Notiziario” trasmesso con cadenza mensile, contenente tutti gli aggiornamenti in materia di lavoro e mercato del lavoro e delle iniziative di maggior rilievo attivate dalla Provincia. g Consulenza: 4 analisi e studio dei nuovi strumenti di politica attiva del lavoro introdotti dalla riforma Biagi; 4 diffusione delle conoscenze in materia di contratti formativi, assunzioni agevolate e nuove tipologie contrattuali. Fase 5 - Stipula del PAA/segue g Ricerca e selezione del personale: 4 definizione dei profili di competenze e di capacità delle candidature ideali; 4 valutazione delle candidature attraverso appropriati strumenti selettivi; 4 certificazione e riconoscimento di conoscenze e competenze; 4 pianificazione e realizzazione del programma di ricerca delle candidature attraverso una pluralità di canali di reclutamento (banca dati CPI, quotidiani, radio locali, sito provincia, programma e-labor veneto); 4 formazione della rosa di candidature maggiormente idonee; 4 preselezione dei candidati e segnalazione dei nominativi selezionati. Fase 6 - Monitoraggio di efficacia: la customer satisfaction Tutte le fasi dell’attività sono soggette ad un’attività di monitoraggio al fine di verificare: g il numero di aziende visitate; g le convenzioni ed i PAA sottoscritti; g i posti di lavoro offerti; g il numero di lavoratori assunti rispetto all’offerta; g il gradimento del servizio tramite una scheda di customer satisfaction, sottoposta alle aziende clienti: 4 la scheda di customer satisfaction chiede agli utenti di valutate la qualità del servizio erogato sotto diversi aspetti, relativi: al colloquio in azienda (contatto diretto in azienda/completezza e correttezza delle informazioni ricevute/competenza e disponibilità del personale); all’attività di ricerca del personale (adeguatezza del servizio rispetto alle indicazioni ricevute in fase di colloquio/azioni che il CPI ha attivato per soddisfare le esigenze/ risultati ottenuti). Customer satisfaction –L’attività di rilevazione Servizio Marketing n° questionari inviati 63 n° questionari compilati 44 punteggio medio questionario somma punti = N° questionari compliati Servizio I.D.O. n° questionari compilati punteggio medio questionario somma punti = N° questionari compliati 293,75 punteggio massimo singolo 300 questionario 97,92% grado raggiungimento obiettivo punteggio massimo singolo questionario questionario obiettivo 554,58 Totale Punteggio questionario 600,00 Grado raggiungimento 92,43% obiettivo generale 260,83 300 86,94% grado raggiungimento TOTALI GENERALI Totale punteggio medio 30 Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio Marketing S E RV IZIO M A RK E TING C ontatto diretto in az ienda Grafic o delle ris pos te 45 40 35 30 25 S erie1 20 15 10 5 0 Non soddis fatto P oco s oddis fatto A bbas tanza soddis fatto S oddis fatto Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio Marketing SERVIZIO MARKETING Completezza e correttezza delle informazioni ricevute 40 35 30 25 20 Serie1 15 10 5 0 Non soddisfatto Poco soddisfatto Abbastanza soddisfatto Soddisfatto Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio Marketing SERVIZIO MARKETING Competenza e disponibilità del personale Grafico delle risposte 45 40 35 30 25 Serie1 20 15 10 5 0 Non soddisfatto Poco soddisfatto Abbastanza soddisfatto Soddisfatto Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio I.D.O. SERVIZIO I.D.O. Adeguatezza del servizio rispetto alle indicazioni ricevute nel colloquio in azienda 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 Grafico delle risposte Serie1 Non soddisfatto Poco soddisfatto Abbastanza soddisfatto Soddisfatto Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio I.D.O. SERVIZIO I.D.O. Azioni che il Centro per l'Impiego ha attivato per soddisfare le esigenze Grafico delle risposte 20 15 10 Serie1 5 0 Non soddisfatto Poco soddisfatto Abbastanza soddisfatto Soddisfatto Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio I.D.O. SERVIZIO I.D.O. Adeguatezza del servizio rispetto alle indicazioni ricevute nel colloquio in azienda 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 Grafico delle risposte Serie1 Non soddisfatto Poco soddisfatto Abbastanza soddisfatto Soddisfatto Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio I.D.O. SERVIZIO I.D.O. Grafico delle risposte Risultati ottenuti 14 12 10 8 Serie1 6 4 2 0 Non soddisfatto Poco soddisfatto Abbastanza soddisfatto Soddisfatto Customer satisfaction –Risultati generali Grafico delle risposte RISULTATI GENERALI 1% 3% 17% Non soddisfatto Poco soddisfatto Abbastanza soddisfatto Soddisfatto 79% $OO¶8IILFLR3URJHWWR0DUNHWLQJ c/o Centro Impiego di Verona 9LDGHOOH)UDQFHVFKLQH9HURQD )D[ &$ 'DWLD]LHQGD Numero Riferimento Azienda Indirizzo Referente Comune Attività CCNL $WWLYLWjGLPDUNHWLQJGHL&HQWULSHUO¶LPSLHJR &ROORTXLRLQD]LHQGD 1RQ 3RFR $EEDVWDQ]D 6RGGLVIDWWR VRGGLVIDWWR VRGGLVIDWWR 6RGGLVIDWWR &RQWDWWRGLUHWWRLQD]LHQGD &RPSOHWH]]DHFRUUHWWH]]DGHOOH LQIRUPD]LRQLULFHYXWH &RPSHWHQ]DHGLVSRQLELOLWjGHOSHUVRQDOH $WWLYLWjGLULFHUFDGLSHUVRQDOH 6HUYL]LRXVXIUXLWRGDOO¶D]LHQGD SUHVVRLO&S, SI NO $GHJXDWH]]DGHOVHUYL]LRULVSHWWRDOOHLQGLFD]LRQLULFHYXWH 1RQ 3RFR $EEDVWDQ]D VRGGLVIDWWR VRGGLVIDWWR 6RGGLVIDWWR 6RGGLVIDWWR QHOFROORTXLRLQD]LHQGD $]LRQLFKHLO&HQWUR,PSLHJRKDDWWLYDWRSHUVRGGLVIDUHOH HVLJHQ]H 5LVXOWDWLRWWHQXWL Luogo data Timbro firma testo in vigore dal: 13- 3-2003 Legge 14 febbraio 2003, n. 30 "Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro" (G. U. n. 47 del 26 Febbraio 2003) Art. 1. (Delega al Governo per la revisione della disciplina dei servizi pubblici e privati per l'impiego, nonché in materia di intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro) 1. Allo scopo di realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza al mercato del lavoro e a migliorare le capacità di inserimento professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con particolare riguardo alle donne e ai giovani, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità ed entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell'Unione europea in materia di occupabilità, i princìpi fondamentali in materia di disciplina dei servizi per l'impiego, con particolare riferimento al sistema del collocamento, pubblico e privato, e di somministrazione di manodopera. 2. La delega è esercitata nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) snellimento e semplificazione delle procedure di incontro tra domanda e offerta di lavoro; b) modernizzazione e razionalizzazione del sistema del collocamento pubblico, al fine di renderlo maggiormente efficiente e competitivo, secondo una disciplina incentrata su: 1) rispetto delle competenze previste dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, con particolare riferimento alle competenze riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano; 2) sostegno e sviluppo dell'attività lavorativa femminile e giovanile, nonché sostegno al reinserimento dei lavoratori anziani; 3) abrogazione di tutte le norme incompatibili con la nuova regolamentazione del collocamento, ivi inclusa la legge 29 aprile 1949, n. 264, fermo restando il regime di autorizzazione o accreditamento per gli operatori privati ai sensi di quanto disposto dalla lettera l) e stabilendo, in materia di collocamento pubblico, un nuovo apparato sanzionatorio, con previsione di sanzioni amministrative per il mancato adempimento degli obblighi di legge; 4) mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata ed integrata del sistema informativo lavoro; c) mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione delle controversie di lavoro individuali e plurime, nonché alla risoluzione delle controversie collettive di rilevanza pluriregionale; d) mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in materia di lavoro, alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione europea, all'autorizzazione per attività lavorative all'estero; e) mantenimento da parte delle province delle funzioni amministrative attribuite dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469; f) incentivazione delle forme di coordinamento e raccordo tra operatori privati e operatori pubblici, ai fini di un migliore funzionamento del mercato del lavoro, nel rispetto delle competenze delle regioni e delle province; g) ridefinizione del regime del trattamento dei dati relativi all'incontro tra domanda e offerta di lavoro, nel rispetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675, al fine di evitare oneri aggiuntivi e ingiustificati rispetto alle esigenze di monitoraggio statistico; prevenzione delle forme di esclusione sociale e vigilanza sugli operatori, con previsione del divieto assoluto per gli operatori privati e pubblici di qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione dei lavoratori, anche con il loro consenso, in base all'affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all'orientamento sessuale, allo stato matrimoniale, o di famiglia, o di gravidanza, nonché ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro. È altresì fatto divieto di raccogliere, memorizzare o diffondere informazioni sui lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo; h) coordinamento delle disposizioni sull'incontro tra domanda e offerta di lavoro con la disciplina in materia di lavoro dei cittadini non comunitari, nel rispetto della normativa vigente in modo da prevenire l'adozione di forme di lavoro irregolare, anche minorile, e sommerso e al fine di semplificare le procedure di rilascio delle autorizzazioni al lavoro; h) eliminazione del vincolo dell'oggetto sociale esclusivo per le imprese di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo di cui all'articolo 2 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e per i soggetti di cui all'articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive modificazioni, garantendo un periodo transitorio di graduale adeguamento per le società già autorizzate; l) identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari pubblici, con particolare riferimento agli enti locali, e privati, che abbiano adeguati requisiti giuridici e finanziari, differenziato in funzione del tipo di attività svolta, comprensivo delle ipotesi di trasferimento della autorizzazione e modulato in relazione alla natura giuridica dell'intermediario, con particolare riferimento alle associazioni non riconosciute ovvero a enti o organismi bilaterali costituiti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale, ai consulenti del lavoro di cui alla legge 11 gennaio 1979, n. 12, nonché alle università e agli istituti di scuola secondaria di secondo grado, prevedendo, altresì, che non vi siano oneri o spese a carico dei lavoratori, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 7 della Convenzione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) del 19 giugno 1997, n. 181, ratificata dall'Italia in data 1º febbraio 2000; l) abrogazione della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, e sua sostituzione con una nuova disciplina basata sui seguenti criteri direttivi: 1) autorizzazione della somministrazione di manodopera, solo da parte dei soggetti identificati ai sensi della lettera l); 2) ammissibilità della somministrazione di manodopera, anche a tempo indeterminato, in presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo od organizzativo, individuate dalla legge o dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative; 3) chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione, ridefinendo contestualmente i casi di comando e distacco, nonché di interposizione illecita laddove manchi una ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa verificarsi la lesione di diritti inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro; 4) garanzia del regime della solidarietà tra fornitore e utilizzatore in caso di somministrazione di lavoro altrui; 5) trattamento assicurato ai lavoratori coinvolti nell'attività di somministrazione di manodopera non inferiore a quello a cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa utilizzatrice; 6) conferma del regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro, prevedendo altresì specifiche sanzioni penali per le ipotesi di esercizio abusivo di intermediazione privata nonché un regime sanzionatorio più incisivo nel caso di sfruttamento del lavoro minorile; 7) utilizzazione del meccanismo certificatorio di cui all'articolo 5 ai fini della distinzione concreta tra interposizione illecita e appalto genuino, sulla base di indici e codici di comportamento elaborati in sede amministrativa che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio di impresa da parte dell'appaltatore; m) attribuzione della facoltà ai gruppi di impresa, individuati ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile nonché ai sensi del decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74, di delegare lo svolgimento degli adempimenti di cui all'articolo 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, alla società capogruppo per tutte le società controllate e collegate, ferma restando la titolarità delle obbligazioni contrattuali e legislative in capo alle singole società datrici di lavoro; o) abrogazione espressa di tutte le normative, anche se non espressamente indicate nelle lettere da a) a n), che sono direttamente o indirettamente incompatibili con i decreti legislativi emanati ai sensi del presente articolo; p) revisione del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 18, che ha modificato l'articolo 2112 del codice civile in tema di trasferimento d'azienda, al fine di armonizzarlo con la disciplina contenuta nella presente delega, basata sui seguenti criteri direttivi: 1) completo adeguamento della disciplina vigente alla normativa comunitaria, anche alla luce del necessario coordinamento con la legge 1º marzo 2002, n. 39, che dispone il recepimento della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti; 2) previsione del requisito dell'autonomia funzionale del ramo di azienda nel momento del suo trasferimento; 3) previsione di un regime particolare di solidarietà tra appaltante e appaltatore, nei limiti di cui all'articolo 1676 del codice civile, per le ipotesi in cui il contratto di appalto sia connesso ad una cessione di ramo di azienda; q) redazione, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di uno o più testi unici delle normative e delle disposizioni in materia di mercato del lavoro e incontro tra domanda e offerta di lavoro. Art. 2. (Delega al Governo in materia di riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio) 1. Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro per gli affari regionali, entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti annuali dell'Unione europea in materia di occupazione, la revisione e la razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) conformità agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato alla occupazione; b) attuazione degli obiettivi e rispetto dei criteri di cui all'articolo 16, comma 5, della legge 24 giugno 1997, n. 196, al fine di riordinare gli speciali rapporti di lavoro con contenuti formativi, così da valorizzare l'attività formativa svolta in azienda, confermando l'apprendistato come strumento formativo anche nella prospettiva di una formazione superiore in alternanza tale da garantire il raccordo tra i sistemi della istruzione e della formazione, nonché il passaggio da un sistema all'altro e, riconoscendo nel contempo agli enti bilaterali e alle strutture pubbliche designate competenze autorizzatorie in materia, specializzando il contratto di formazione e lavoro al fine di realizzare l'inserimento e il reinserimento mirato del lavoratore in azienda; c) individuazione di misure idonee a favorire forme di apprendistato e di tirocinio di impresa al fine del subentro nella attività di impresa; d) revisione delle misure di inserimento al lavoro, non costituenti rapporto di lavoro, mirate alla conoscenza diretta del mondo del lavoro con valorizzazione dello strumento convenzionale fra le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il sistema formativo e le imprese, secondo modalità coerenti con quanto previsto dagli articoli 17 e 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, prevedendo una durata variabile fra uno e dodici mesi ovvero fino a ventiquattro mesi per i soggetti disabili, in relazione al livello di istruzione, alle caratteristiche della attività lavorativa e al territorio di appartenenza nonché, con riferimento ai soggetti disabili, anche in base alla natura della menomazione e all'incidenza della stessa sull'allungamento dei tempi di apprendimento in relazione alle specifiche mansioni in cui vengono inseriti, e prevedendo altresì la eventuale corresponsione di un sussidio in un quadro di razionalizzazione delle misure di inserimento non costituenti rapporti di lavoro; e) orientamento degli strumenti definiti ai sensi dei princìpi e dei criteri direttivi di cui alle lettere b), c) e d), nel senso di valorizzare l'inserimento o il reinserimento al lavoro delle donne, particolarmente di quelle uscite dal mercato del lavoro per l'adempimento di compiti familiari e che desiderino rientrarvi, al fine di superare il differenziale occupazionale tra uomini e donne; f) semplificazione e snellimento delle procedure di riconoscimento e di attribuzione degli incentivi connessi ai contratti a contenuto formativo, tenendo conto del tasso di occupazione femminile e prevedendo anche criteri di automaticità; g) rafforzamento dei meccanismi e degli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei risultati conseguiti, anche in relazione all'impatto sui livelli di occupazione femminile e sul tasso di occupazione in generale, per effetto della ridefinizione degli interventi di cui al presente articolo da parte delle amministrazioni competenti e tenuto conto dei criteri che saranno determinati dai provvedimenti attuativi, in materia di mercato del lavoro, della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3; h) sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento, al fine di determinare i contenuti dell'attività formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche all'interno di enti bilaterali, ovvero, in difetto di accordo, determinati con atti delle regioni, d'intesa con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali; i) rinvio ai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, a livello nazionale, territoriale e aziendale, per la determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle modalità di attuazione dell'attività formativa in azienda. Art. 3. (Delega al Governo in materia di riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale) 1. Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, con esclusione dei rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, recanti norme per promuovere il ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale, quale tipologia contrattuale idonea a favorire l'incremento del tasso di occupazione e, in particolare, del tasso di partecipazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori con età superiore ai 55 anni, al mercato del lavoro, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) agevolazione del ricorso a prestazioni di lavoro supplementare nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale cosiddetto orizzontale, nei casi e secondo le modalità previsti da contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su scala nazionale o territoriale, anche sulla base del consenso del lavoratore interessato in carenza dei predetti contratti collettivi; b) agevolazione del ricorso a forme flessibili ed elastiche di lavoro a tempo parziale nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale cosiddetto verticale e misto, anche sulla base del consenso del lavoratore interessato in carenza dei contratti collettivi di cui alla lettera a), e comunque a fronte di una maggiorazione retributiva da riconoscere al lavoratore; c) estensione delle forme flessibili ed elastiche anche ai contratti a tempo parziale a tempo determinato; d) previsione di norme, anche di natura previdenziale, che agevolino l'utilizzo di contratti a tempo parziale da parte dei lavoratori anziani al fine di contribuire alla crescita dell'occupazione giovanile anche attraverso il ricorso a tale tipologia contrattuale; e) abrogazione o integrazione di ogni disposizione in contrasto con l'obiettivo della incentivazione del lavoro a tempo parziale, fermo restando il rispetto dei princìpi e delle regole contenute nella direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997; f) affermazione della computabilità pro rata temporis in proporzione dell'orario svolto dal lavoratore a tempo parziale, in relazione all'applicazione di tutte le norme legislative e clausole contrattuali a loro volta collegate alla dimensione aziendale intesa come numero dei dipendenti occupati in ogni unità produttiva; g) integrale estensione al settore agricolo del lavoro a tempo parziale. Art. 4. (Delega al Governo in materia di disciplina delle tipologie di lavoro a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite) 1. Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni volte alla disciplina o alla razionalizzazione delle tipologie di lavoro a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) riconoscimento di una congrua indennità cosiddetta di disponibilità a favore del lavoratore che garantisca nei confronti del datore di lavoro la propria disponibilità allo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, così come individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su scala nazionale o territoriale o, in via provvisoriamente sostitutiva, per decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, ed in ogni caso prevedendosi la possibilità di sperimentazione di detta tipologia contrattuale anche per prestazioni rese da soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età che siano stati espulsi dal ciclo produttivo in funzione di processi di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro e iscritti alle liste di mobilità e di collocamento; eventuale non obbligatorietà per il prestatore di rispondere alla chiamata del datore di lavoro, non avendo quindi titolo a percepire la predetta indennità ma con diritto di godere di una retribuzione proporzionale al lavoro effettivamente svolto; b) con riferimento alle prestazioni di lavoro temporaneo, completa estensione al settore agricolo del lavoro temporaneo tramite agenzia, con conseguente applicabilità degli oneri contributivi di questo settore; 1) ricorso alla forma del lavoro a tempo determinato di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, ovvero alla forma della fornitura di lavoro temporaneo di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196, anche per soddisfare le quote obbligatorie di assunzione di lavoratori disabili di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, secondo il principio pro rata temporis; 2) completa estensione al settore agricolo del lavoro temporaneo tramite agenzia, con conseguente applicabilità degli oneri contributivi di questo settore; c) con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative: 1) previsione della stipulazione dei relativi contratti mediante un atto scritto da cui risultino la durata, determinata o determinabile, della collaborazione, la riconducibilità di questa a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso, resi con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione, nonché l'indicazione di un corrispettivo, che deve essere proporzionato alla qualità e quantità del lavoro; 2) differenziazione rispetto ai rapporti di lavoro meramente occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore a 5.000 euro; 3) riconduzione della fattispecie a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso; 4) previsione di tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei collaboratori, con particolare riferimento a maternità, malattia e infortunio, nonché alla sicurezza nei luoghi di lavoro, anche nel quadro di intese collettive; 5) previsione di un adeguato sistema sanzionatorio nei casi di inosservanza delle disposizioni di legge; 6) ricorso, ai sensi dell'articolo 5, ad adeguati meccanismi di certificazione della volontà delle parti contraenti; d) ammissibilità di prestazioni di lavoro occasionale e accessorio, in generale e con particolare riferimento a opportunità di assistenza sociale, rese a favore di famiglie e di enti senza fini di lucro, da disoccupati di lungo periodo, altri soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, regolarizzabili attraverso la tecnica di buoni corrispondenti a un certo ammontare di attività lavorativa, ricorrendo, ai sensi dell'articolo 5, ad adeguati meccanismi di certificazione; e) ammissibilità di prestazioni ripartite fra due o più lavoratori, obbligati in solido nei confronti di un datore di lavoro, per l'esecuzione di un'unica prestazione lavorativa. f) configurazione specifica come prestazioni che esulano dal mercato del lavoro e dagli obblighi connessi delle prestazioni svolte in modo occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salve le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori, e con particolare riguardo alle attività agricole. Art. 5. (Delega al Governo in materia di certificazione dei rapporti di lavoro) 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro, con esclusione dei rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni in materia di certificazione del relativo contratto stipulato tra le parti, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) carattere volontario e sperimentale della procedura di certificazione; b) individuazione dell'organo preposto alla certificazione del rapporto di lavoro in enti bilaterali costituiti a iniziativa di associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, ovvero presso strutture pubbliche aventi competenze in materia, o anche università; c) definizione delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e di tenuta della relativa documentazione; d) indicazione del contenuto e della procedura di certificazione; e) attribuzione di piena forza legale al contratto certificato ai sensi della procedura di cui alla lettera d), con esclusione della possibilità di ricorso in giudizio se non in caso di erronea qualificazione del programma negoziale da parte dell'organo preposto alla certificazione e di difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione; f) previsione di espletare il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'articolo 410 del codice di procedura civile innanzi all'organo preposto alla certificazione quando si intenda impugnare l'erronea qualificazione dello stesso o la difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, prevedendo che gli effetti dell'accertamento svolto dall'organo preposto alla certificazione permangano fino al momento in cui venga provata l'erronea qualificazione del programma negoziale o la difformità tra il programma negoziale concordato dalle parti in sede di certificazione e il programma attuato. In caso di ricorso in giudizio, introduzione dell'obbligo in capo all'autorità giudiziaria competente di accertare anche le dichiarazioni e il comportamento tenuto dalle parti davanti all'organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro; g) attribuzione agli enti bilaterali della competenza a certificare non solo la qualificazione del contratto di lavoro e il programma negoziale concordato dalle parti, ma anche le rinunzie e transazioni di cui all'articolo 2113 del codice civile a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse; h) estensione della procedura di certificazione all'atto di deposito del regolamento interno riguardante la tipologia dei rapporti attuati da una cooperativa ai sensi dell'articolo 6 della legge 3 aprile 2001, n. 142, e successive modificazioni; i) verifica dell'attuazione delle disposizioni, dopo ventiquattro mesi dalla data della loro entrata in vigore, da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. Art. 6. (Esclusione) 1. Le disposizioni degli articoli da 1 a 5 non si applicano al personale delle pubbliche amministrazioni ove non siano espressamente richiamate. Art. 7. (Disposizioni concernenti l'esercizio delle deleghe di cui agli articoli da 1 a 5) 1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui agli articoli da 1 a 5, deliberati dal Consiglio dei ministri e corredati da una apposita relazione cui è allegato il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sentite le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro, sono trasmessi alle Camere per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l'esercizio della relativa delega. 2. In caso di mancato rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade dall'esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l'espressione del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati. 3. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l'esercizio della delega o successivamente, quest'ultimo è prorogato di sessanta giorni. 4. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può adottare eventuali disposizioni modificative e correttive con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi. 5. Dall'attuazione delle disposizioni degli articoli da 1 a 5 non devono derivare oneri aggiuntivi a carico del bilancio dello Stato. Art. 8. (Delega al Governo per la razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro) 1. Allo scopo di definire un sistema organico e coerente di tutela del lavoro con interventi omogenei, il Governo è delegato ad adottare, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni, su proposta del Ministro del lavoro delle politiche sociali ed entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto della disciplina vigente sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro, nonché per la definizione di un quadro regolatorio finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede conciliativa, ispirato a criteri di equità ed efficienza. 2. La delega di cui al comma 1 è esercitata nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi: a) improntare il sistema delle ispezioni alla prevenzione e promozione dell'osservanza della disciplina degli obblighi previdenziali, del rapporto di lavoro, del trattamento economico e normativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anche valorizzando l'attività di consulenza degli ispettori nei confronti dei destinatari della citata disciplina; b) definizione di un raccordo efficace fra la funzione di ispezione del lavoro e quella di conciliazione delle controversie individuali; c) ridefinizione dell'istituto della prescrizione e diffida propri della direzione provinciale del lavoro; d) semplificazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi e possibilità di ricorrere alla direzione regionale del lavoro; e) semplificazione della procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro correlata alla promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica; f) riorganizzazione dell'attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in materia di previdenza sociale e di lavoro con l'istituzione di una direzione generale con compiti di direzione e coordinamento delle strutture periferiche del Ministero ai fini dell'esercizio unitario della predetta funzione ispettiva, tenendo altresì conto della specifica funzione di polizia giudiziaria dell'ispettore del lavoro; g) razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza, compresi quelli degli istituti previdenziali, con attribuzione della direzione e del coordinamento operativo alle direzioni regionali e provinciali del lavoro sulla base delle direttive adottate dalla direzione generale di cui alla lettera f). 3. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alle Camere per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la scadenza del termine previsto per l'esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per l'espressione del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati. 4. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta giorni che precedono la scadenza del termine per l'esercizio della delega o successivamente, quest'ultimo è prorogato di sessanta giorni. 5. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può emanare eventuali disposizioni modificative e correttive con le medesime modalità di cui ai commi 3 e 4, attenendosi ai princìpi e ai criteri direttivi indicati al comma 2. 6. L'attuazione della delega di cui al presente articolo non deve comportare oneri aggiuntivi a carico della finanza pubblica. Art. 9. (Modifiche alla legge 3 aprile 2001, n. 142) 1. Alla legge 3 aprile 2001, n. 142, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 1, comma 3, primo periodo, le parole: «e distinto» sono soppresse; b) all'articolo 2, comma 1, dopo il primo periodo, è inserito il seguente: «L'esercizio dei diritti di cui al titolo III della citata legge n. 300 del 1970 trova applicazione compatibilmente con lo stato di socio lavoratore, secondo quanto determinato da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative»; c) all'articolo 3, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente: «2-bis. In deroga alle disposizioni di cui al comma 1, le cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250, possono corrispondere ai propri soci lavoratori un compenso proporzionato all'entità del pescato, secondo criteri e parametri stabiliti dal regolamento interno previsto dall'articolo 6»; d) all'articolo 5, il comma 2 è sostituito dal seguente: «2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario»; e) all'articolo 6, comma 1, le parole: «Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 31 dicembre 2003»; f) all'articolo 6, comma 2, dopo le parole: «del comma 1», sono inserite le seguenti: «nonchè all'articolo 3, comma 2-bis» e le parole: «ai trattamenti retributivi ed alle condizioni di lavoro previsti dai contratti collettivi nazionali di cui all'articolo 3» sono sostituite dalle seguenti: «al solo trattamento economico minimo di cui all'articolo 3, comma 1»; g) all'articolo 6 è aggiunto, in fine, il seguente comma: «2-bis. Le cooperative di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, possono definire accordi territoriali con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative per rendere compatibile l'applicazione del contratto collettivo di lavoro nazionale di riferimento all'attività svolta. Tale accordo deve essere depositato presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio». Art. 10. (Modifica dell'articolo 3 del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71) 1. L'articolo 3 del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71, convertito dalla legge 20 maggio 1993, n. 151, è sostituito dal seguente: «Art. 3. - (Benefici alle imprese artigiane, commerciali e del turismo). - 1. Per le imprese artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accordi e contratti collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, il riconoscimento di benefici normativi e contributivi è subordinato all'integrale rispetto degli accordi e contratti citati, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale». Avvertenza: Il testo delle note qui pubblicato e' stato redatto dall'amministrazione competente per materia, ai sensi dell'art. 10, commi 2 e 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi, sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali e' operato il rinvio. Restano invariati il valore e l'efficacia degli atti legislativi qui trascritti. Per le direttive CEE vengono forniti gli estremi di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunita' europee (GUCE). Note all'art. 1: - Il testo della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 ottobre 2001, n. 248. - Il testo della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 1 giugno 1949, n. 125, supplemento ordinario. - Il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, reca: "Conferimento alle regioni e agli enti locali difunzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'art. 1 della legge 15 marzo 1997, n. 59". - Il testo della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 8 gennaio 1997, n. 5, supplemento ordinario. - Il testo dell'art. 2 della legge 24 giugno 1997, n. 196 (Norme in materia di promozione dell'occupazione), e' il seguente: "Art. 2 (Soggetti abilitati all'attivita' di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo). - 1. L'attivita' di fornitura di lavoro temporaneo puo' essere esercitata soltanto da societa' iscritte in apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale rilascia, sentita la commissione centrale per l'impiego, entro sessanta giorni dalla richiesta e previo accertamento della sussistenza dei requisiti di cui al comma 2, l'autorizzazione provvisoria all'esercizio dell'attivita' di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, provvedendo contestualmente all'iscrizione delle societa' nel predetto albo. Decorsi due anni il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, su richiesta del soggetto autorizzato, entro i trenta giorni successivi rilasciata l'autorizzazione a tempo indeterminato subordinatamente alla verifica del corretto andamento dell'attivita' svolta. 2. I requisiti richiesti per l'esercizio dell'attivita' di cui al comma 1 sono i seguenti: a) la costituzione della societa' nella forma di societa' di capitali ovvero cooperativa, italiana o di altro Stato membro dell'Unione europea; l'inclusione nella denominazione sociale delle parole: "societa' di fornitura di lavoro temporaneo"; l'individuazione, quale oggetto esclusivo, della predetta attivita'; l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a un miliardo di lire; la sede legale o una sua dipendenza nel territorio dello Stato o di altro Stato membro dell'Unione europea; b) la disponibilita' di uffici e di competenze professionali idonee allo svolgimento dell'attivita' di fornitura di manodopera nonche' la garanzia che l'attivita' interessi un ambito distribuito ull'intero territorionazionale e comunque non inferiore a quattro regioni; c) a garanzia dei crediti dei lavoratori assunti con il contratto di cui all'art. 3 e dei corrispondenti crediti contributivi degli enti previdenziali, la disposizione, per i primi due anni, di un deposito cauzionale di lire 700 milioni presso un istituto di credito avente sede o dipendenza nel territorio nazionale o di altro Stato membro dell'Unione europea; a decorrere dal terzo anno solare, la disposizione, in luogo della cauzione, di una fidejussione bancaria o assicurativa non inferiore al 5 per cento del fatturato, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, realizzato nell'anno precedente e comunque non inferiore a lire 700 milioni; d) in capo agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti muniti di rappresentanza e ai soci accomandatari: assenza di condanne penali, anche non definitive, ivi comprese le sanzioni sostitutive di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, per delitti contro il patrimonio, per delitti contro la fede pubblica o contro l'economia pubblica, per il delitto previsto dall'art. 416-bis del codice penale, o per delitti non colposi per i quali la legge commini la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, per delitti o contravvenzioni previsti da leggi dirette alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o, in ogni caso, previsti da leggi in materia di lavoro o di previdenza sociale; assenza, altresi', di sottoposizione alle misure di prevenzione disposte ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, o della legge 13 settembre 1982, n. 646, e successive modificazioni. 3. L'autorizzazione di cui al comma 1 puo' essere concessa anche a societa' cooperative di produzione e lavoro che, oltre a soddisfare le condizioni di cui al comma 2, abbiano almeno cinquanta soci e tra di essi, come socio sovventore, almeno un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge 31 gennaio 1992, n. 9, e che occupino lavoratori dipendenti per un numero di giornate non superiore ad un terzo delle giornate di lavoro effettuate dalla cooperativa nel suo complesso. Soltanto i lavoratori dipendenti dalla societa' cooperativa di produzione e lavoro possono essere da questa forniti come prestatori di lavoro temporaneo. 4. I requisiti di cui ai commi 2 e 3 nonche' le informazioni di cui al comma 7 sono dichiarati dalla societa' alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia in cui ha la sede legale, per l'iscrizione nel registro di cui all'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 7 dicembre 1995, n. 581. 5. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con decreto da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce le modalita' della presentazione della richiesta di autorizzazione di cui al comma 1. 6. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale svolge vigilanza e controllo sull'attivita' dei soggetti abilitati alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo ai sensi del presente articolo e sulla permanenza in capo ai medesimi soggetti dei requisiti di cui al comma 2. 7. La societa' comunica all'autorita' concedente gli spostamenti di sede, l'apertura delle filiali o succursali, la cessazione dell'attivita' ed ha inoltre l'obbligo di fornire all'autorita' concedente tutte le informazioni da questa richiesta. 8. La disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e l'obbligo di riserva di cui all'art. 25, comma 1, della legge 23 luglio 1991, n. 223, non si applicano all'impresa fornitrice con riferimento ai lavoratori da assumere con contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. I predetti lavoratori non sono computati ai fini dell'applicazione, all'impresa fornitrice, delle predette disposizioni.". - Il testo dell'art. 10, comma 2, del citato decreto legislativo n. 469 del 1997, e' il seguente: "2. L'attivita' di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro puo' essere svolta, previa autorizzazione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, da imprese o gruppi di imprese, anche societa' cooperative con capitale versato non inferiore a 200 milioni di lire nonche' da enti non commerciali con patrimonio non inferiore a 200 milioni. Fermo restando forme societarie anche non di capitali, per lo svolgimento di attivita' di ricerca e selezione nonche' di supporto alla ricollocazione professionale, il limite di capitale versato ammonta a lire 50 milioni.". - Il testo della legge 11 gennaio 1979, n. 12 (Norme per l'ordinamento della professione di consulente del lavoro), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 20 gennaio 1979, n. 20. - Il testo dell'art. 7 della Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) del 19 giugno 1997, n. 181 (Convenzione sulle agenzie per l'impiego private), e' il seguente: "Art. 7. - 1. Le agenzie per l'impiego private non devono far pagare ai lavoratori, direttamente o indirettamente, spese o altri costi. 2. Nell'interesse dei lavoratori, l'autorita' competente, previa consultazione delle organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori maggiormente rappresentative, puo' autorizzare deroghe alle disposizioni del paragrafo 1 di cui sopra per alcune categorie di lavoratori, e per servizi specificamente identificati, forniti dalle agenzie per l'impiego private. 3. Ogni membro che avra' autorizzato deroghe ai sensi del paragrafo 2 di cui sopra dovra', nei suoi rapporti a titolo dell'art. 22 della Costituzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro, fornire informazioni su tali deroghe ed esplicitarne i motivi.". - Il testo della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 (Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di servizi), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 novembre 1960, n. 289. - Il testo dell'art. 2359 del codice civile e' il seguente: "Art. 2359 (Societa' controllate e societa' collegate). - Sono considerate societa' controllate: 1) le societa' in cui un'altra societa' dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea ordinaria; 2) le societa' in cui un'altra societa' dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante nell'assemblea ordinaria; 3) le societa' che sono sotto influenza dominante di un'altra societa' in virtu' di particolari vincoli contrattuali con essa. Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a societa' controllate, a societa' fiduciarie e a persona interposta; non si computano i voti spettanti per conto di terzi. Sono considerate collegate le societa' sulle quali un'altra societa' esercita un'influenza notevole. L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria puo' essere esercitato almeno un quinto dei voti ovvero un decimo se la societa' ha azioni quotate in borsa.". - Il testo del decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74 (Attuazione della direttiva del Consiglio del 22 settembre 1994, 94/45/CE, relativa all'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 aprile 2002, n. 96. - Il testo dell'art. 1 della citata legge n. 12 del 1979, e' il seguente: "Art. 1 (Esercizio della professione di consulente del lavoro). - Tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell'albo dei consulenti del lavoro a norma dell'art. 9 della presente legge, salvo il disposto del successivo art. 40, nonche' da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a darne comunicazione agli ispettorati del lavoro delle province nel cui ambito territoriale intendono svolgere gli adempimenti di cui sopra. I dipendenti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale che abbiano prestato servizio, almeno per quindici anni, con mansioni di ispettori del lavoro presso gli ispettorati del lavoro, sono esonerati dagli esami per l'iscrizione all'albo dei consulenti del lavoro e dal tirocinio per esercitare tale attivita'. Il personale di cui al presente comma non potra' essere iscritto all'albo della provincia dove ha prestato servizio se non dopo quattro anni dalla cessazione del servizio stesso. Il titolo di consulente del lavoro spetta alle persone che, munite dell'apposita abilitazione professionale, sono iscritte nell'albo di cui all'art. 8 della presente legge. Le imprese considerate artigiane ai sensi della legge 25 luglio 1956, n. 860, nonche' le altre piccole imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l'esecuzione degli adempimenti di cui al primo comma a servizi o a centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di categoria. Tali servizi possono essere organizzati a mezzo dei consulenti del lavoro, anche se dipendenti dalle predette associazioni. Per lo svolgimento delle operazioni di calcolo e stampa relative agli adempimenti di cui al primo comma, nonche' per l'esecuzione delle attivita' strumentali ed accessorie, le imprese di cui al quarto comma possono avvalersi anche di centri di elaborazione dati costituiti e composti esclusivamente da soggetti iscritti agli albi di cui alla presente legge con versamento, da parte degli stessi, della contribuzione integrativa alle casse di previdenza sul volume di affari ai fini IVA, ovvero costituiti o promossi dalle rispettive associazioni di categoria alle condizioni definite al citato quarto comma. I criteri di attuazione della presente disposizione sono stabiliti dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale sentiti i rappresentanti delle associazioni di categoria e degli ordini e collegi professionali interessati. Le imprese con oltre duecentocinquanta addetti che non si avvalgono, per le operazioni suddette, di proprie strutture interne possono demandarle a centri di elaborazione dati, di diretta costituzione od esterni, i quali devono essere in ogni caso assistiti da uno o piu' soggetti di cui al primo comma. Presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e' istituito un comitato di monitoraggio, composto dalle associazioni di categoria, dai rappresentanti degli ordini e collegi di cui alla presente legge e delle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale, allo scopo di esaminare i problemi connessi all'evoluzione professionale ed occupazionale del settore.". - Il testo del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 18 (Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di parti di stabilimenti), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 21 febbraio 2001, n. 43. - Il testo della legge 1 marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee. Legge comunitaria 2001), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 26 marzo 2002, n. 72, supplemento ordinario. - Il testo della direttiva 12 marzo 2001, n. 2001/23/CE (Direttiva del Consiglio concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale C.E. 22 marzo 2001 n. L 82. - Il testo dell'art. 1676 del codice civile e' il seguente: "Art. 1676 (Diritti degli ausiliari dell'appaltatore verso il committente). - Coloro che, alle dipendenze dell'appaltatore, hanno dato la loro attivita' per eseguire l'opera o per prestare il servizio possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto e' loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda.". Note all'art. 2: - Il testo della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 ottobre 2001, n. 248. - Il testo dell'art. 16, comma 5, della citata legge n. 196 del 1997, e' il seguente: "5. Il Governo emana entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, norme regolamentari ai sensi dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale in materia di speciali rapporti di lavoro con contenuti formativi quali l'apprendistato e il contratto di formazione e lavoro, allo scopo di pervenire ad una disciplina organica della materia secondo criteri di valorizzazione dei contenuti formativi, con efficiente utilizzo delle risorse finanziarie vigenti, di ottimizzazione ai fini della creazione di occasioni di impiego delle specifiche tipologiche contrattuali, nonche' di semplificazione, razionalizzazione e delegificazione, con abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti. Dovra' altresi' essere definito, nell'ambito delle suddette norme regolamentari, un sistema organico di controlli sulla effettivita' dell'addestramento e sul reale rapporto tra attivita' lavorativa e attivita' formativa, con la previsione di specifiche sanzioni amministrative per l'ipotesi in cui le condizioni previste dalla legge non siano state assicurate.". - Il testo dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e' il seguente: "2. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunita' montane, e loro consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) e le agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.". - Il testo dell'art. 17, della citata legge n. 196 del 1997, e' il seguente: "Art. 17 (Riordino della formazione professionale). 1. Allo scopo di assicurare ai lavoratori adeguate opportunita' di formazione ed elevazione professionale anche attraverso l'integrazione del sistema di formazione professionale con il sistema scolastico e con il mondo del lavoro e un piu' razionale utilizzo delle risorse vigenti, anche comunitarie, destinate alla formazione professionale e al fine di realizzare la semplificazione normativa e di pervenire ad una disciplina organica della materia, anche con riferimento ai profili formativi di speciali rapporti di lavoro quali l'apprendistato e il contratto di formazione e lavoro, il presente articolo definisce i seguenti principi e criteri generali, nel rispetto dei quali sono adottate norme di natura regolamentare costituenti la prima fase di un piu' generale, ampio processo di riforma della disciplina in materia: a) valorizzazione della formazione professionale quale strumento per migliorare la qualita' dell'offerta di lavoro, elevare le capacita' competitive del sistema produttivo, in particolare con riferimento alle medie e piccole imprese e alle imprese artigiane e incrementare l'occupazione, attraverso attivita' di formazione professionale caratterizzate da moduli flessibili, adeguati alle diverse realta' produttive locali nonche' di promozione e aggiornamento professionale degli imprenditori, dei lavoratori autonomi, dei soci di cooperative, secondo modalita' adeguate alle loro rispettive specifiche esigenze; b) attuazione dei diversi interventi formativi anche attraverso il ricorso generalizzato a stages, in grado di realizzare il raccordo tra formazione e lavoro e finalizzati a valorizzare pienamente il momento dell'orientamento nonche' a favorire un primo contatto dei giovani con le imprese; c) svolgimento delle attivita' di formazione professionale da parte delle regioni e/o delle province anche in convenzione con istituti di istruzione secondaria e con enti privati aventi requisiti predeterminati; d) destinazione progressiva delle risorse di cui al comma 5 dell'art. 9 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, agli interventi di formazione dei lavoratori e degli altri soggetti di cui alla lettera a) nell'ambito di piani formativi aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali, con specifico riferimento alla formazione di lavoratori in costanza di rapporto di lavoro, di lavoratori collocati in mobilita', di lavoratori disoccupati per i quali l'attivita' formativa e' propedeutica all'assunzione; le risorse di cui alla presente lettera confluiranno in uno o piu' fondi nazionali, articolati regionalmente e territorialmente aventi configurazione giuridica di tipo privatistico e gestiti con partecipazione delle parti sociali; dovranno altresi' essere definiti i meccanismi di integrazione del fondo di rotazione; e) attribuzione al Ministro del lavoro e della previdenza sociale di funzioni propositive ai fini della definizione da parte del comitato di cui all'art. 5, comma 5, dei criteri e delle modalita' di certificazione delle competenze acquisite con la formazione professionale; f) adozione di misure idonee a favorire, secondo piani di intervento predisposti dalle regioni, la formazione e la mobilita' interna o esterna al settore degli addetti alla formazione professionale nonche' la ristrutturazione degli enti di formazione e la trasformazione dei centri in agenzie formative al fine di migliorare l'offerta formativa e facilitare l'integrazione dei sistemi; le risorse finanziarie da destinare a tali interventi saranno individuate con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale nell'ambito delle disponibilita', da preordinarsi allo scopo, esistenti nel Fondo di cui all'art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236; g) semplificazione delle procedure, ivi compresa la eventuale sostituzione della garanzia fidejussoria prevista dall'art. 56 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, per effetto delle disposizioni di cui ai commi 3 e seguenti definite a livello nazionale anche attraverso parametri standard, con deferimento ad atti delle amministrazioni competenti, adottati anche ai sensi dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, ed a strumenti convenzionali oltre che delle disposizioni di natura integrativa, esecutiva e organizzatoria anche della disciplina di specifici aspetti nei casi previsti dalle disposizioni regolamentari emanate ai sensi del comma 2, con particolare riferimento alla possibilita' di stabilire requisiti minimi e criteri di valutazione delle sedi operative ai fini dell'accreditamento; h) abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti. 2. Le disposizioni regolamentari di cui al comma 1 sono emanate, a norma dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o piu' decreti, sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con i Ministri della pubblica istruzione, dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica, per le pari opportunita', del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per la funzione pubblica e gli affari regionali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, previo parere delle competenti commissioni parlamentari. 3. A garanzia delle somme erogate a titolo di anticipo o di acconto a valere sulle risorse del Fondo sociale europeo e dei relativi cofinanziamenti nazionali e' istituito, presso il Ministero del tesoro Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale per l'amministrazione del Fondo di rotazione per l'attuazione delle politiche comunitarie (IGFOR), un fondo di rotazione con amministrazione autonoma e gestione fuori bilancio ai sensi dell'art. 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041. 4. Il Fondo di cui al comma 3 e' alimentato da un contributo a carico dei soggetti privati attuatori degli interventi finanziati, nonche', per l'anno 1997, da un contributo di lire 30 miliardi che gravera' sulle disponibilita' derivanti dal terzo del gettito della maggiorazione contributiva prevista dall'art. 25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, che affluisce, ai sensi dell'art. 9, comma 5, del decretolegge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, al Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l'accesso al Fondo sociale europeo previsto dal medesimo art. 25 della citata legge n. 845 del 1978. 5. Il Fondo di cui al comma 3 utilizzera' le risorse di cui al comma 4 per rimborsare gli organismi comunitari e nazionali, erogatori dei finanziamenti, nelle ipotesi di responsabilita' sussidiaria dello Stato membro, ai sensi dell'art. 23 del regolamento (CEE) n. 2082/93 del Consiglio del 20 luglio 1993, accertate anche precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge. 6. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro del tesoro, di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, stabilisce con proprio decreto le norme di amministrazione e di gestione del Fondo di cui al comma 3. Con il medesimo decreto e' individuata l'aliquota del contributo a carico dei soggetti privati di cui al comma 4, da calcolare sull'importo del funzionamento concesso, che puo' essere rideterminata con successivo decreto per assicurare l'equilibrio finanziario del predetto Fondo. Il contributo non grava sull'importo dell'aiuto finanziario al quale hanno diritto i beneficiari.". - Il testo dell'art. 18, della citata legge n. 196 del 1997, e' il seguente: "Art. 18 (Tirocini formativi e di orientamento). - 1. Al fine di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro, attraverso iniziative di tirocini pratici e stages a favore di soggetti che hanno gia' assolto l'obbligo scolastico ai sensi della legge 31 dicembre 1962, n. 1859, con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della pubblica istruzione, dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica, da adottarsi ai sensi dell'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono emanate, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disposizioni nel rispetto dei seguenti principi e criteri generali: a) possibilita' di promozione delle iniziative, nei limiti delle risorse rese disponibili dalla vigente legislazione, anche su proposta degli enti bilaterali e delle associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori, da parte di soggetti pubblici o a partecipazione pubblica e di soggetti privati non aventi scopo di lucro, in possesso degli specifici requisiti preventivamente determinati in funzione di idonee garanzie all'espletamento delle iniziative medesime e in particolare: agenzie regionali per l'impiego e uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale; universita'; provveditorati agli studi; istituzioni scolastiche non statali che rilascino titoli di studio con valore legale; centri pubblici di formazione e/o orientamento, ovvero a partecipazione pubblica o operanti in regime di convenzione ai sensi dell'art. 5 della legge 21 dicembre 1978, n. 845; comunita' terapeutiche enti ausiliari e cooperative sociali, purche' iscritti negli specifici albi regionali, ove esistenti; servizi di inserimento lavorativo per disabili gestiti da enti pubblici delegati dalla regione; b) attuazione delle iniziative nell'ambito di progetti di orientamento e di formazione, con priorita' per quelli definiti all'interno di programmi operativi quadro predisposti dalle regioni, sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale; c) svolgimento dei tirocini sulla base di apposite convenzioni intervenute tra i soggetti di cui alla lettera a) e i datori di lavoro pubblici e privati; d) previsione della durata dei rapporti non costituenti rapporti di lavoro, in misura non superiore a dodici mesi, ovvero a ventiquattro mesi in caso di soggetti portatori di handicap, da modulare in funzione della specificita' dei diversi tipi di utenti; e) obbligo da parte dei soggetti promotori di assicurare i tirocinanti mediante specifica convenzione con l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) e per la responsabilita' civile e di garantire la presenza di un tutore come responsabile didattico-organizzativo delle attivita'; nel caso in cui i soggetti promotori siano le agenzie regionali per l'impiego e gli uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, il datore di lavoro ospitante puo' stipulare la predetta convenzione con l'INAIL direttamente e a proprio carico; f) attribuzione del valore di crediti formativi alle attivita' svolte nel corso degli stages e delle iniziative di tirocinio pratico di cui al comma 1 da utilizzare, ove debitamente certificati, per l'accensione di un rapporto di lavoro; g) possibilita' di ammissione, secondo modalita' e criteri stabiliti con decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, e nei limiti delle risorse finanziarie preordinate allo scopo nell'ambito del Fondo di cui all'art. 1 del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, al rimborso totale o parziale degli oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di tirocinio di cui al presente articolo a favore dei giovani del Mezzogiorno presso imprese di regioni diverse da quelle operanti nella predetta area, ivi compresi, nel caso in cui i progetti lo prevedano, gli oneri relativi alla spesa sostenuta dall'impresa per il vitto e l'alloggio del tirocinante; h) abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti; i) computabilita' dei soggetti portatori di handicap impiegati nei tirocini ai fini della legge 2 aprile 1968, n. 482, e successive modificazioni, purche' gli stessi tirocini siano oggetto di convenzione ai sensi degli articoli 5 e 17 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, e siano finalizzati all'occupazione.". Nota all'art. 3: - Il testo della direttiva 15 dicembre 1997, n. 97/81/CE (Direttiva del Consiglio relativa all'accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale C.E. 20 gennaio 1998, n. L 14. Note all'art. 5: - Il testo dell'art. 410 del codice di procedura civile, e' il seguente: "Art. 410 (Tentativo obbligatorio di conciliazione). - Chi intende proporre in giudizio una domanda relativa ai rapporti previsti dall'art. 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'art. 413. La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza. La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti, per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta. Con provvedimento del direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione e' istituita in ogni provincia presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell'ufficio stesso, o da un suo delegato, in qualita' di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale. Commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalita' e con la medesima composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del lavoro e della massima occupazione. Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessita', affidano il tentativo di conciliazione a proprie sottocommissioni, presiedute dal direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal precedente terzo comma. In ogni caso per la validita' della riunione e' necessaria la presenza del presidente e di almeno un rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori. Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei componenti di cui al precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale del lavoro certifica l'impossibilita' di procedere al tentativo di conciliazione.". - Il testo dell'art. 2113 del codice civile e' il seguente: "Art. 2113 (Rinunzie e transazioni). - Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide. L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima. Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volonta'. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410 e 411 del codice di procedura civile.". - Per il testo dell'art. 6 della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore), si vedano le note all'art. 9. Nota all'art. 7: - Il testo dell'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali), e' il seguente: "Art. 8 (Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e Conferenza unificata). - 1. La Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e' unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province, dei comuni e delle comunita' montane, con la Conferenza Stato-regioni. 2. La Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e' presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali; ne fanno parte altresi' il Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, il Ministro delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della sanita', il presidente dell'Associazione nazionale dei comuni d'Italia - ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia - UPI ed il presidente dell'Unione nazionale comuni, comunita' ed enti montani - UNCEM. Ne fanno parte inoltre quattordici sindaci designati dall'ANCI e sei presidenti di provincia designati dall'UPI. Dei quattordici sindaci designati dall'ANCI cinque rappresentano le citta' individuate dall'art. 17 della legge 8 giugno 1990, n. 142. Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo, nonche' rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici. 3. La Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e' convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessita' o qualora ne faccia richiesta il presidente dell'ANCI, dell'UPI o dell'UNCEM. 4. La Conferenza unificata di cui al comma 1 e' convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri. Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro per gli affari regionali o, se tale incarico non e' conferito, dal Ministro dell'interno.". Note all'art. 9: - Il testo della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 23 aprile 2001, n. 94. - Il testo dell'art. 1, comma 3, primo periodo, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, e' il seguente: "3. Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali.". - Il testo dell'art. 2, comma 1, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, e' il seguente: "1. Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20 maggio 1970, n. 300, con esclusione dell'art. 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo. L'esercizio dei diritti di cui al titolo III della citata legge n. 300 del 1970 trova applicazione compatibilmente con lo stato di socio lavoratore, secondo quanto determinato da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente piu' rappresentative. Si applicano altresi' tutte le vigenti disposizioni in materia di sicurezza e igiene del lavoro. Agli altri soci lavoratori si applicano gli articoli 1, 8, 14 e 15 della medesima legge n. 300 del 1970, nonche' le disposizioni previste dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni, e quelle previste dal decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, in quanto compatibili con le modalita' della prestazione lavorativa. In relazione alle peculiarita' del sistema cooperativo, forme specifiche di esercizio dei diritti sindacali possono essere individuate in sede di accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, comparativamente piu' rappresentative.". - Il testo dell'art. 3, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, e' il seguente: "Art. 3 (Trattamento economico del socio lavoratore). - 1. Fermo restando quanto previsto dall'art. 36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, le societa' cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantita' e qualita' del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo. 2. Trattamenti economici ulteriori possono essere deliberati dall'assemblea e possono essere erogati: a) a titolo di maggiorazione retributiva, secondo le modalita' stabilite in accordi stipulati ai sensi dell'art. 2; b) in sede di approvazione del bilancio di esercizio, a titolo di ristorno, in misura non superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi complessivi di cui al comma 1 e alla lettera a), mediante integrazioni delle retribuzioni medesime, mediante aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, in deroga ai limiti stabiliti dall'art. 24 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, e successive modificazioni, ovvero mediante distribuzione gratuita dei titoli di cui all'art. 5 della legge 31 gennaio 1992, n. 59. 2-bis. In deroga alle disposizioni di cui al comma 1, le cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250, possono corrispondere ai propri soci lavoratori un compenso proporzionato all'entita' del pescato, secondo criteri e parametri stabiliti dal regolamento interno previsto dall'art. 6.". - Il testo della legge 13 marzo 1958, n. 250 (Previdenze a favore dei pescatori della piccola pesca marittima e delle acque interne) e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 5 aprile 1958, n. 83. - Il testo dell'art. 5, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, e' il seguente: "Art. 5 (Altre normative applicabili al socio lavoratore). - 1. Il riferimento alle retribuzioni ed ai trattamenti dovuti ai prestatori di lavoro, previsi dall'art. 2751-bis, numero 1), del codice civile, si intende applicabile anche ai soci lavoratori di cooperative di lavoro nei limiti del trattamento economico di cui all'art. 3, commi 1 e 2, lettera a). La presente norma costituisce interpretazione autentica delle disposizioni medesime. 2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformita' con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario.". - Il testo dell'art. 2526 del codice civile e' il seguente: "Art. 2526 (Recesso del socio). - La dichiarazione di recesso, nei casi in cui questo e' ammesso dalla legge o dall'atto costitutivo, deve essere comunicata con raccomandata alla societa' e deve essere annotata nel libro dei soci a cura degli amministratori. Essa ha effetto con la chiusura dell'esercizio in corso, se comunicata tre mesi prima e, in caso contrario, con la chiusura dell'esercizio successivo.". - Il testo dell'art. 2527 del codice civile e' il seguente: "Art. 2527 (Esclusione del socio). - L'esclusione del socio, qualunque sia il tipo della societa', oltre che nel caso indicato nell'art. 2524, puo' aver luogo negli altri casi previsti dagli articoli 2286 e 2288, primo comma, e in quelli stabiliti dall'atto costitutivo. Quando l'esclusione non ha luogo di diritto, essa deve essere deliberata dall'assemblea dei soci o, se l'atto costitutivo lo consente, dagli amministratori, e deve essere comunicata al socio. Contro la deliberazione di esclusione il socio puo', nel termine di trenta giorni dalla comunicazione, proporre opposizione davanti al tribunale. Questo puo' sospendere l'esecuzione della deliberazione. L'esclusione ha effetto dall'annotazione nel libro dei soci, da farsi a cura degli amministratori.". - Il testo dell'art. 6 della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, e' il seguente: "Art. 6 (Regolamento interno). - 1. Entro il 31 dicembre 2003, le cooperative di cui all'art. 1 definiscono un regolamento, approvato dall'assemblea, sulla tipologia dei rapporti che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori. Il regolamento deve essere depositato entro trenta giorni dall'approvazione presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio. Il regolamento deve contenere in ogni caso: a) il richiamo ai contratti collettivi applicabili, per cio' che attiene ai soci lavoratori con rapporto di lavoro subordinato; b) le modalita' di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci, in relazione all'organizzazione aziendale della cooperativa e ai profili professionali dei soci stessi, anche nei casi di tipologie diverse da quella del lavoro subordinato; c) il richiamo espresso alle normative di legge vigenti per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato; d) l'attribuzione all'assemblea della facolta' di deliberare, all'occorrenza, un piano di crisi aziendale, nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e siano altresi' previsti: la possibilita' di riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi di cui al comma 2, lettera b), dell'art. 3; il divieto, per l'intera durata del piano, di distribuzione di eventuali utili; e) l'attribuzione all'assemblea della facolta' di deliberare, nell'ambito del piano di crisi aziendale di cui alla lettera d), forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione della crisi, in proporzione alle disponibilita' e capacita' finanziarie; f) al fine di promuovere nuova imprenditorialita', nelle cooperative di nuova costituzione, la facolta' per l'assemblea della cooperativa di deliberare un pianod'avviamento alle condizioni e secondo le modalita' stabilite in accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative. 2. Salvo quanto previsto alle lettere d), e) ed f) del comma 1, nonche' all'art. 3, comma 2-bis, il regolamento non puo' contenere disposizioni derogatorie in pejus rispetto al solo trattamento economico minimo di cui all'art. 3, comma 1. Nel caso in cui violi la disposizione di cui al primo periodo, la clausola e' nulla. 2-bis. Le cooperative di cui all'art. 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, possono definire accordi territoriali con le organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative per rendere compatibile l'applicazione del contratto collettivo di lavoro nazionale di riferimento all'attivita' svolta. Tale accordo deve essere depositato presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio.". - Il testo dell'art. 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381 (Disciplina delle cooperative sociali), e' il seguente: "1. Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunita' alla promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso: a) (omissis); b) lo svolgimento di attivita' diverse: agricole industriali, commerciali o di servizi, finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate.". Data a Roma, addi' 14 febbraio 2003 CIAMPI Berlusconi, Presidente del Consiglio dei Ministri Maroni, Ministro del lavoro e delle politiche sociali Visto, il Guardasigilli: Castelli LAVORI PREPARATORI Senato della Repubblica (atto n. 848): Presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (Berlusconi) e dal Ministro del lavoro e politiche sociali (Maroni) il 15 novembre 2001. Assegnato alla 11a commissione (Lavoro, previdenza sociale), in sede referente, il 13 dicembre 2001, con pareri delle commissioni 1a, 2a, 3a, 5a, 6a, 7a, 8a, 9a, 10a, 12a, 13a della Giunta per gli affari delle Comunita' europee e della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Esaminato dalla commissione il 18 dicembre 2001; 22, 23, 24, 29, 30, 31 gennaio 2002; 5, 13, 19, 20, 21 febbraio 2002; 26, 27 marzo 2002; 2, 3, 9, 10, 11, 16, 17, 18 aprile 2002; 7, 8, 9, 14, 15, 16, 28, 29, 30 maggio 2002; 4, 5, 12, 13 e 19 giugno 2002. Esaminato in aula il 13 dicembre 2001; 13 giugno 2002 (stralcio degli articoli 2, 3, 10 e 12 che formano l'atto n. 848-bis); 17, 18, 19 e 24 settembre 2002 e approvato il 25 settembre 2002. Camera dei deputati (atto n. 3193): Assegnato alla XI commissione (Lavoro), in sede referente, il 30 settembre 2002 con pareri delle commissioni I, II, V, VII, X, XII, XIII, XIV e della commissione parlamentare per le questioni regionali. Esaminato dalla XI commissione, in sede referente, il 3, 8, 9, 15, 16, 17, 22, 24 ottobre 2002. Esaminato in aula il 28, 29 ottobre 2002 e approvato, con modificazioni, il 30 ottobre 2002. Senato della Repubblica (atto n. 848-B): Assegnato alla 11a commissione (Lavoro), in sede referente, il 5 novembre 2002 con pareri delle commissioni 1a, 2a, 5a, 7a, 9a, 10a della Giunta per gli affari delle Comunita' europee e della Commissione parlamentare per le questioni regionali. Esaminato dalla 11a commissione, in sede referente, il 6, 12, 13, 14, 19, 26, 27 novembre 2002; il 3, 4, 11, 17 dicembre 2002; il 21, 23 gennaio 2003. Esaminato in aula il 30 gennaio 2003; il 4 febbraio 2003 ed approvato il 5 febbraio 2003. DECRETO LEGISLATIVO 10 settembre 2003, n.276 Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30. Titolo I DISPOSIZIONI GENERALI IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Visti gli articoli 76 e 87, quinto comma, della Costituzione; Visti gli articoli da 1 a 7 della legge 14 febbraio 2003, n. 30; Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 6 giugno 2003; Sentite le associazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative dei datori e prestatori di lavoro; Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, espresso nella seduta del 3 luglio 2003; Acquisiti i pareri delle competenti commissioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Sentito il Ministro per le pari opportunita'; Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella riunione del 31 luglio 2003; Sulla proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con i Ministri per la funzione pubblica, dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, per gli affari regionali e dell'economia e delle finanze; E m a n a il seguente decreto legislativo: Art. 1. Finalita' e campo di applicazione 1. Le disposizioni di cui al presente decreto legislativo, nel dare attuazione ai principi e criteri direttivi contenuti nella legge 14 febbraio 2003, n. 30, si collocano nell'ambito degli orientamenti comunitari in materia di occupazione e di apprendimento permanente e sono finalizzate ad aumentare, nel rispetto delle disposizioni relative alla liberta' e dignita' del lavoratore di cui alla legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni e integrazioni, alla parita' tra uomini e donne di cui alla legge 9 dicembre 1977, n. 903, e successive modificazioni ed integrazioni, e alle pari opportunita' tra i sessi di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125, e successive modificazioni ed integrazioni, i tassi di occupazione e a promuovere la qualita' e la stabilita' del lavoro, anche attraverso contratti a contenuto formativo e contratti a orario modulato compatibili con le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei lavoratori. 2. Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche amministrazioni e per il loro personale. 3. Sono fatte salve le competenze riconosciute alle regioni a statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano dallo statuto e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento alle disposizioni del Titolo V, parte seconda, della Costituzione per le parti in cui sono previste forme di autonomie piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite. Art. 2. Definizioni 1. Ai fini e agli effetti delle disposizioni di cui al presente decreto legislativo si intende per: a) «somministrazione di lavoro»: la fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine, ai sensi dell'articolo 20; b) «intermediazione»: l'attivita' di mediazione tra domanda e offerta di lavoro, anche in relazione all'inserimento lavorativo dei disabili e dei gruppi di lavoratori svantaggiati, comprensiva tra l'altro: della raccolta dei curricula dei potenziali lavoratori; della preselezione e costituzione di relativa banca dati; della promozione e gestione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro; della effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito della attivita' di intermediazione; dell'orientamento professionale; della progettazione ed erogazione di attivita' formative finalizzate all'inserimento lavorativo; c) «ricerca e selezione del personale»: l'attivita' di consulenza di direzione finalizzata alla risoluzione di una specifica esigenza dell'organizzazione committente, attraverso l'individuazione di candidature idonee a ricoprire una o piu' posizioni lavorative in seno all'organizzazione medesima, su specifico incarico della stessa, e comprensiva di: analisi del contesto organizzativo dell'organizzazione committente; individuazione e definizione delle esigenze della stessa; definizione del profilo di competenze e di capacita' della candidatura ideale; pianificazione e realizzazione del programma di ricerca delle candidature attraverso una pluralita' di canali di reclutamento; valutazione delle candidature individuate attraverso appropriati strumenti selettivi; formazione della rosa di candidature maggiormente idonee; progettazione ed erogazione di attivita' formative finalizzate all'inserimento lavorativo; assistenza nella fase di inserimento dei candidati; verifica e valutazione dell'inserimento e del potenziale dei candidati; d) «supporto alla ricollocazione professionale»: l'attivita' effettuata su specifico ed esclusivo incarico dell'organizzazione committente, anche in base ad accordi sindacali, finalizzata alla ricollocazione nel mercato del lavoro di prestatori di lavoro, singolarmente o collettivamente considerati, attraverso la preparazione, la formazione finalizzata all'inserimento lavorativo, l'accompagnamento della persona e l'affiancamento della stessa nell'inserimento nella nuova attivita'; e) «autorizzazione»: provvedimento mediante il quale lo Stato abilita operatori, pubblici e privati, di seguito denominati «agenzie per il lavoro», allo svolgimento delle attivita' di cui alle lettere da a) a d); f) «accreditamento»: provvedimento mediante il quale le regioni riconoscono a un operatore, pubblico o privato, l'idoneita' a erogare i servizi al lavoro negli ambiti regionali di riferimento, anche mediante l'utilizzo di risorse pubbliche, nonche' la partecipazione attiva alla rete dei servizi per il mercato del lavoro con particolare riferimento ai servizi di incontro fra domanda e offerta; g) «borsa continua del lavoro»: sistema aperto di incontro domanda-offerta di lavoro finalizzato, in coerenza con gli indirizzi comunitari, a favorire la maggior efficienza e trasparenza del mercato del lavoro, all'interno del quale cittadini, lavoratori, disoccupati, persone in cerca di un lavoro, soggetti autorizzati o accreditati e datori di lavoro possono decidere di incontrarsi in maniera libera e dove i servizi sono liberamente scelti dall'utente; h) «enti bilaterali»: organismi costituiti a iniziativa di una o piu' associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative, quali sedi privilegiate per la regolazione del mercato del lavoro attraverso: la promozione di una occupazione regolare e di qualita'; l'intermediazione nell'incontro tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attivita' formative e la determinazione di modalita' di attuazione della formazione professionale in azienda; la promozione di buone pratiche contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti piu' svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e l'integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro e di regolarita' o congruita' contributiva; lo sviluppo di azioni inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attivita' o funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di riferimento; i) «libretto formativo del cittadino»: libretto personale del lavoratore definito, ai sensi dell'accordo Stato-regioni del 18 febbraio 2000, di concerto tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, previa intesa con la Conferenza unificata Stato-regioni e sentite le parti sociali, in cui vengono registrate le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e la formazione continua svolta durante l'arco della vita lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle regioni, nonche' le competenze acquisite in modo non formale e informale secondo gli indirizzi della Unione europea in materia di apprendimento permanente, purche' riconosciute e certificate; j) «lavoratore»: qualsiasi persona che lavora o che e' in cerca di un lavoro; k) «lavoratore svantaggiato»: qualsiasi persona appartenente a una categoria che abbia difficolta' a entrare, senza assistenza, nel mercato del lavoro ai sensi dell'articolo 2, lettera f), del regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione del 12 dicembre 2002 relativo alla applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE agli aiuti di Stato a favore della occupazione, nonche' ai sensi dell'articolo 4, comma 1, della legge 8 novembre 1991, n. 381; l) «divisioni operative»: soggetti polifunzionali gestiti con strumenti di contabilita' analitica, tali da consentire di conoscere tutti i dati economico-gestionali specifici in relazione a ogni attivita'; m) «associazioni di datori e prestatori di lavoro»: organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente piu' rappresentative. Titolo II ORGANIZZAZIONE E DISCIPLINA DEL MERCATO DEL LAVORO Art. 3. F i n a l i t a' 1. Le disposizioni contenute nel presente titolo hanno lo scopo di realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza del mercato del lavoro e migliorare le capacita' di inserimento professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con particolare riferimento alle fasce deboli del mercato del lavoro. 2. Ferme restando le competenze delle regioni in materia di regolazione e organizzazione del mercato del lavoro regionale e fermo restando il mantenimento da parte delle province delle funzioni amministrative attribuite dal decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive modificazioni ed integrazioni, per realizzare l'obiettivo di cui al comma 1: a) viene identificato un unico regime di autorizzazione per i soggetti che svolgono attivita' di somministrazione di lavoro, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale; b) vengono stabiliti i principi generali per la definizione dei regimi di accreditamento regionali degli operatori pubblici o privati che forniscono servizi al lavoro nell'ambito dei sistemi territoriali di riferimento anche a supporto delle attivita' di cui alla lettera a); c) vengono identificate le forme di coordinamento e raccordo tra gli operatori, pubblici o privati, al fine di un migliore funzionamento del mercato del lavoro; d) vengono stabiliti i principi e criteri direttivi per la realizzazione di una borsa continua del lavoro; e) vengono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con la nuova regolamentazione del mercato del lavoro e viene introdotto un nuovo regime sanzionatorio. Capo I Regime autorizzatorio e accreditamenti Art. 4. Agenzie per il lavoro 1. Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e' istituito un apposito albo delle agenzie per il lavoro ai fini dello svolgimento delle attivita' di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale. Il predetto albo e' articolato in cinque sezioni: a) agenzie di somministrazione di lavoro abilitate allo svolgimento di tutte le attivita' di cui all'articolo 20; b) agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente una delle attivita' specifiche di cui all'articolo 20, comma 3, lettere da a) a h); c) agenzie di intermediazione; d) agenzie di ricerca e selezione del personale; e) agenzie di supporto alla ricollocazione professionale. 2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rilascia entro sessanta giorni dalla richiesta e previo accertamento della sussistenza dei requisiti giuridici e finanziari di cui all'articolo 5, l'autorizzazione provvisoria all'esercizio delle attivita' per le quali viene fatta richiesta di autorizzazione, provvedendo contestualmente alla iscrizione delle agenzie nel predetto albo. Decorsi due anni, su richiesta del soggetto autorizzato, entro i novanta giorni successivi rilascia l'autorizzazione a tempo indeterminato subordinatamente alla verifica del corretto andamento della attivita' svolta. 3. Nelle ipotesi di cui al comma 2, decorsi inutilmente i termini previsti, la domanda di autorizzazione provvisoria o a tempo indeterminato si intende accettata. 4. Le agenzie autorizzate comunicano alla autorita' concedente, nonche' alle regioni e alle province autonome competenti, gli spostamenti di sede, l'apertura delle filiali o succursali, la cessazione della attivita' ed hanno inoltre l'obbligo di fornire alla autorita' concedente tutte le informazioni da questa richieste. 5. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, stabilisce le modalita' della presentazione della richiesta di autorizzazione di cui al comma 2, i criteri per la verifica del corretto andamento della attivita' svolta cui e' subordinato il rilascio della autorizzazione a tempo indeterminato, i criteri e le modalita' di revoca della autorizzazione, nonche' ogni altro profilo relativo alla organizzazione e alle modalita' di funzionamento dell'albo delle agenzie per il lavoro. 6. L'iscrizione alla sezione dell'albo di cui alla lettera a), comma 1, comporta automaticamente l'iscrizione della agenzia alle sezioni di cui alle lettere c), d) ed e) del predetto albo. L'iscrizione alla sezione dell'albo di cui al comma 1, lettera c), comporta automaticamente l'iscrizione della agenzia alle sezioni di cui alle lettere d) ed e) del predetto albo. 7. L'autorizzazione di cui al presente articolo non puo' essere oggetto di transazione commerciale. Art. 5. Requisiti giuridici e finanziari 1. I requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo di cui all'articolo 4 sono: a) la costituzione della agenzia nella forma di societa' di capitali ovvero cooperativa o consorzio di cooperative, italiana o di altro Stato membro della Unione europea. Per le agenzie di cui alle lettere d) ed e) e' ammessa anche la forma della societa' di persone; b) la sede legale o una sua dipendenza nel territorio dello Stato o di altro Stato membro della Unione europea; c) la disponibilita' di uffici in locali idonei allo specifico uso e di adeguate competenze professionali, dimostrabili per titoli o per specifiche esperienze nel settore delle risorse umane o nelle relazioni industriali, secondo quanto precisato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con decreto da adottarsi, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano e sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo; d) in capo agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti muniti di rappresentanza e ai soci accomandatari: assenza di condanne penali, anche non definitive, ivi comprese le sanzioni sostitutive di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive modificazioni ed integrazioni, per delitti contro il patrimonio, per delitti contro la fede pubblica o contro l'economia pubblica, per il delitto previsto dall'articolo 416-bis del codice penale, o per delitti non colposi per i quali la legge commini la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, per delitti o contravvenzioni previsti da leggi dirette alla prevenzione degli infortuni sul lavoro o, in ogni caso, previsti da leggi in materia di lavoro o di previdenza sociale; assenza, altresi', di sottoposizione alle misure di prevenzione disposte ai sensi della legge 27 dicembre 1956, n. 1423, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, o della legge 13 settembre 1982, n. 646, e successive modificazioni; e) nel caso di soggetti polifunzionali, non caratterizzati da un oggetto sociale esclusivo, presenza di distinte divisioni operative, gestite con strumenti di contabilita' analitica, tali da consentire di conoscere tutti i dati economico-gestionali specifici; f) l'interconnessione con la borsa continua nazionale del lavoro di cui al successivo articolo 15, attraverso il raccordo con uno o piu' nodi regionali, nonche' l'invio alla autorita' concedente di ogni informazione strategica per un efficace funzionamento del mercato del lavoro; g) il rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 8 a tutela del diritto del lavoratore alla diffusione dei propri dati nell'ambito da essi stessi indicato. 2. Per l'esercizio delle attivita' di cui all'articolo 20, oltre ai requisiti di cui al comma l, e' richiesta: a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 600.000 euro ovvero la disponibilita' di 600.000 euro tra capitale sociale versato e riserve indivisibili nel caso in cui l'agenzia sia costituita in forma coo- perativa; b) la garanzia che l'attivita' interessi un ambito distribuito sull'intero territorio nazionale e comunque non inferiore a quattro regioni; c) a garanzia dei crediti dei lavoratori impiegati e dei corrispondenti crediti contributivi degli enti previdenziali, la disposizione, per i primi due anni, di un deposito cauzionale di 350.000 euro presso un istituto di credito avente sede o dipendenza nei territorio nazionale o di altro Stato membro della Unione europea; a decorrere dal terzo anno solare, la disposizione, in luogo della cauzione, di una fideiussione bancaria o assicurativa non inferiore al 5 per cento del fatturato, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, realizzato nell'anno precedente e comunque non inferiore a 350.000 euro. Sono esonerate dalla prestazione delle garanzie di cui alla presente lettera le societa' che abbiano assolto ad obblighi analoghi previsti per le stesse finalita' dalla legislazione di altro Stato membro della Unione europea; d) la regolare contribuzione ai fondi per la formazione e l'integrazione del reddito di cui all'articolo 12, il regolare versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, il rispetto degli obblighi previsti dal contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro applicabile; e) nel caso di cooperative di produzione e lavoro, oltre ai requisiti indicati al comma 1 e nel presente comma 2, la presenza di almeno sessanta soci e tra di essi, come socio sovventore, almeno un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge 31 gennaio 1992, n. 59, e successive modificazioni; f) l'indicazione della somministrazione di lavoro di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), come oggetto sociale prevalente, anche se esclusivo. 3. Per l'esercizio di una delle attivita' specifiche di cui alle lettere da a) ad h) del comma 3, dell'articolo 20, oltre ai requisiti di cui al comma 1, e' richiesta: a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 350.000 euro ovvero la disponibilita' di 350.000 euro tra capitale sociale versato e riserve indivisibili nel caso in cui l'agenzia sia costituita in forma cooperativa; b) a garanzia dei crediti dei lavoratori impiegati e dei corrispondenti crediti contributivi degli enti previdenziali, la disposizione, per i primi due anni, di un deposito cauzionale di 200.000 euro presso un istituto di credito avente sede o dipendenza nel territorio nazionale o di altro Stato membro della Unione europea; a decorrere dal terzo anno solare, la disposizione, in luogo della cauzione, di una fideiussione bancaria o assicurativa non inferiore al 5 per cento del fatturato, al netto dell'imposta sul valore aggiunto, realizzato nell'anno precedente e comunque non inferiore a 200.000 euro. Sono esonerate dalla prestazione delle garanzie di cui alla presente lettera le societa' che abbiano assolto ad obblighi analoghi previsti per le stesse finalita' dalla legislazione di altro Stato membro della Unione europea; c) la regolare contribuzione ai fondi per la formazione e l'integrazione del reddito di cui all'articolo 12, il regolare versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, il rispetto degli obblighi previsti dal contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro applicabile; d) nel caso di cooperative di produzione e lavoro, oltre ai requisiti indicati al comma 1 e nel presente comma 3, la presenza di almeno venti soci e tra di essi, come socio sovventore, almeno un fondo mutualistico per la promozione e lo sviluppo della cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge 31 gennaio 1992, n. 59. 4. Per l'esercizio della attivita' di intermediazione, oltre ai requisiti di cui al comma 1, e' richiesta: a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 50.000 euro; b) la garanzia che l'attivita' interessi un ambito distribuito sull'intero territorio nazionale e comunque non inferiore a quattro regioni; c) l'indicazione della attivita' di intermediazione di cui all'articolo 4, comma 1, lettera c), come oggetto sociale prevalente, anche se non esclusivo. 5. Per l'esercizio della attivita' di ricerca e selezione del personale, oltre ai requisiti di cui al comma 1, e' richiesta: a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 25.000 euro; b) l'indicazione della ricerca e selezione del personale come oggetto sociale, anche se non esclusivo. 6. Per l'esercizio della attivita' di supporto alla ricollocazione professionale, oltre ai requisiti di cui al comma 1, e' richiesta: a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 25.000 euro; b) l'indicazione della attivita' di supporto alla ricollocazione professionale come oggetto sociale, anche se non esclusivo. Art. 6. Regimi particolari di autorizzazione 1. Sono autorizzate allo svolgimento della attivita' di intermediazione le universita' pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie che hanno come oggetto l'alta formazione con specifico riferimento alle problematiche del mercato del lavoro, a condizione che svolgano la predetta attivita' senza finalita' di lucro e fermo restando l'obbligo della interconnessione alla borsa continua nazionale del lavoro, nonche' l'invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto disposto al successivo articolo 17. 2. Sono altresi' autorizzati allo svolgimento della attivita' di intermediazione, secondo le procedure di cui all'articolo 4 o di cui al comma 6 del presente articolo, i comuni, le camere di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari, a condizione che svolgano la predetta attivita' senza finalita' di lucro e che siano rispettati i requisiti di cui alle lettere c), f) e g) di cui all'articolo 5, comma 1, nonche' l'invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto disposto al successivo articolo 17. 3. Sono altresi' autorizzate allo svolgimento della attivita' di intermediazione le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro, le associazioni in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale e aventi come oggetto sociale la tutela e l'assistenza delle attivita' imprenditoriali, del lavoro o delle disabilita', e gli enti bilaterali a condizione che siano rispettati i requisiti di cui alle lettere c), d), e), f), g) di cui all'articolo 5, comma 1. 4. L'ordine nazionale dei consulenti del lavoro puo' chiedere l'iscrizione all'albo di cui all'articolo 4 di una apposita fondazione o di altro soggetto giuridico dotato di personalita' giuridica costituito nell'ambito del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro per lo svolgimento a livello nazionale di attivita' di intermediazione. L'iscrizione e' subordinata al rispetto dei requisiti di cui alle lettere c), d), e), f), g) di cui all'articolo 5, comma 1. 5. E' in ogni caso fatto divieto ai consulenti del lavoro di esercitare individualmente o in altra forma diversa da quella indicata al comma 3 e agli articoli 4 e 5, anche attraverso ramificazioni a livello territoriale, l'attivita' di intermediazione. 6. L'autorizzazione allo svolgimento delle attivita' di cui all'articolo 2, comma 1, lettere b), c), d), puo' essere concessa dalle regioni e dalle province autonome con esclusivo riferimento al proprio territorio e previo accertamento della sussistenza dei requisiti di cui agli articoli 4 e 5, fatta eccezione per il requisito di cui all'articolo 5, comma 4, lettera b). 7. La regione rilascia entro sessanta giorni dalla richiesta l'autorizzazione provvisoria all'esercizio delle attivita' di cui al comma 6, provvedendo contestualmente alla comunicazione al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l'iscrizione delle agenzie in una apposita sezione regionale nell'albo di cui all'articolo 4, comma 1. Decorsi due anni, su richiesta del soggetto autorizzato, entro i sessanta giorni successivi la regione rilascia l'autorizzazione a tempo indeterminato subordinatamente alla verifica del corretto andamento della attivita' svolta. 8. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, stabilisce d'intesa con la Conferenza unificata le modalita' di costituzione della apposita sezione regionale dell'albo di cui all'articolo 4, comma 1 e delle procedure ad essa connesse. Art. 7. Accreditamenti 1. Le regioni, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative, istituiscono appositi elenchi per l'accreditamento degli operatori pubblici e privati che operano nel proprio territorio nel rispetto degli indirizzi da esse definiti ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni, e dei seguenti principi e criteri: a) garanzia della libera scelta dei cittadini, nell'ambito di una rete di operatori qualificati, adeguata per dimensione e distribuzione alla domanda espressa dal territorio; b) salvaguardia di standard omogenei a livello nazionale nell'affidamento di funzioni relative all'accertamento dello stato di disoccupazione e al monitoraggio dei flussi del mercato del lavoro; c) costituzione negoziale di reti di servizio ai fini dell'ottimizzazione delle risorse; d) obbligo della interconnessione con la borsa continua nazionale del lavoro di cui all'articolo 15, nonche' l'invio alla autorita' concedente di ogni informazione strategica per un efficace funzionamento del mercato del lavoro; e) raccordo con il sistema regionale di accreditamento degli organismi di formazione. 2. I provvedimenti regionali istitutivi dell'elenco di cui al comma 1 disciplinano altresi': a) le forme della cooperazione tra i servizi pubblici e operatori privati, autorizzati ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 4, 5 e 6 o accreditati ai sensi del presente articolo, per le funzioni di incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevenzione della disoccupazione di lunga durata, promozione dell'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati, sostegno alla mobilita' geografica del lavoro; b) requisiti minimi richiesti per l'iscrizione nell'elenco regionale in termini di capacita' gestionali e logistiche, competenze professionali, situazione economica, esperienze maturate nel contesto territoriale di riferimento; c) le procedure per l'accreditamento; d) le modalita' di misurazione dell'efficienza e della efficacia dei servizi erogati; e) le modalita' di tenuta dell'elenco e di verifica del mantenimento dei requisiti. Ambito Capo II Tutele sul mercato e disposizioni speciali con riferimento ai lavoratori svantaggiati Art. 8. di diffusione dei dati relativi all'incontro domanda-offerta di lavoro 1. Ferme restando le disposizioni di cui alla legge 31 dicembre 1996, n. 675, e successive modificazioni ed integrazioni, le agenzie per il lavoro e gli altri operatori pubblici e privati autorizzati o accreditati assicurano ai lavoratori il diritto di indicare i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i propri dati devono essere comunicati, e garantiscono l'ambito di diffusione dei dati medesimi indicato dai lavoratori stessi, anche ai fini del pieno soddisfacimento del diritto al lavoro di cui all'articolo 4 della Costituzione. 2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, sentite le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nonche', ai sensi dell'articolo 31, comma 2, della legge 31 dicembre 1996, n. 675, il Garante per la protezione dei dati personali, definisce le modalita' di trattamento dei dati personali di cui al presente decreto, disciplinando, fra gli altri, i seguenti elementi: a) le informazioni che possono essere comunicate e diffuse tra gli operatori che agiscono nell'ambito del sistema dell'incontro fra domanda e offerta di lavoro; b) le modalita' attraverso le quali deve essere data al lavoratore la possibilita' di esprimere le preferenze relative alla comunicazione e alla diffusione dei dati di cui al comma 1; c) le ulteriori prescrizioni al fine di dare attuazione alle disposizioni contenute nell'articolo 10. 3. Per le informazioni che facciano riferimento a dati amministrativi in possesso dei servizi per l'impiego, con particolare riferimento alla presenza in capo al lavoratore di particolari benefici contributivi e fiscali, gli elementi contenuti nella scheda anagrafico-professionale prevista dal decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, hanno valore certificativo delle stesse. Art. 9. mezzo stampa internet, televisione o altri mezzi di informazione 1. Sono vietate comunicazioni, a mezzo stampa, internet, televisione o altri mezzi di informazione, in qualunque forma effettuate, relative ad attivita' di ricerca e selezione del personale, ricollocamento professionale, intermediazione o somministrazione effettuate in forma anonima e comunque da soggetti, pubblici o privati, non autorizzati o accreditati all'incontro tra domanda e offerta di lavoro eccezion fatta per quelle comunicazioni che facciano esplicito riferimento ai soggetti in questione, o entita' ad essi collegate perche' facenti parte dello stesso gruppo di imprese o in quanto controllati o controllanti, in quanto potenziali datori di lavoro. 2. In tutte le comunicazioni verso terzi, anche a fini pubblicitari, utilizzanti qualsiasi mezzo di comunicazione, ivi compresa la corrispondenza epistolare ed elettronica, e nelle inserzioni o annunci per la ricerca di personale, le agenzie del lavoro e gli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati devono indicare gli estremi del provvedimento di autorizzazione o di accreditamento al fine di consentire al lavoratore, e a chiunque ne abbia interesse, la corretta e completa identificazione del soggetto stesso. 3. Se le comunicazioni di cui al comma 2 sono effettuate mediante annunci pubblicati su quotidiani e periodici o mediante reti di comunicazione elettronica, e non recano un facsimile di domanda comprensivo dell'informativa di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, indicano il sito della rete di comunicazioni attraverso il quale il medesimo facsimile e' Comunicazioni a conoscibile in modo agevole. Art. 10. Divieto di indagini sulle opinioni e trattamenti discriminatori 1. E' fatto divieto alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al credo religioso, al sesso, all'orientamento sessuale, allo stato matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla eta', all'handicap, alla razza, all'origine etnica, al colore, alla ascendenza, all'origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute nonche' ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro, a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle modalita' di svolgimento della attivita' lavorativa o che costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello svolgimento dell'attivita' lavorativa. E' altresi' fatto divieto di trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo. 2. Le disposizioni di cui al comma 1 non possono in ogni caso impedire ai soggetti di cui al medesimo comma 1 di fornire specifici servizi o azioni mirate per assistere le categorie di lavoratori svantaggiati nella ricerca di una occupazione. Art. 11. Divieto di oneri in capo ai lavoratori 1. E' fatto divieto ai soggetti autorizzati o accreditati di esigere o comunque di percepire, direttamente o indirettamente, compensi dal lavoratore. 2. I contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale o territoriale possono stabilire che la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione per specifiche categorie di lavoratori altamente professionalizzati o per specifici servizi offerti dai soggetti autorizzati o accreditati. Art. 12. Fondi per la formazione e l'integrazione del reddito 1. I soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono tenuti a versare ai fondi di cui al comma 4 un contributo pari al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato per l'esercizio di attivita' di somministrazione. Le risorse sono destinate per interventi a favore dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato intesi, in particolare, a promuovere percorsi di qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuita' di occasioni di impiego e a prevedere specifiche misure di carattere previdenziale. 2. I soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono altresi' tenuti e versare ai fondi di cui al comma 4 un contributo pari al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato. Le risorse sono destinate a: a) iniziative comuni finalizzate a garantire l'integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato in caso di fine lavori; b) iniziative comuni finalizzate a verificare l'utilizzo della somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche in termini di promozione della emersione del lavoro non regolare e di contrasto agli appalti illeciti; c) iniziative per l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori svantaggiati anche in regime di accreditamento con le regioni; d) per la promozione di percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale. 3. Gli interventi e le misure di cui ai commi 1 e 2 sono attuati nel quadro di politiche stabilite nel contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro ovvero, in mancanza, stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro maggiormente rappresentative nel predetto ambito. 4. I contributi di cui ai commi 1 e 2 sono rimessi a un fondo bilaterale appositamente costituito, anche nell'ente bilaterale, dalle parti stipulanti il contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro: a) come soggetto giuridico di natura associativa ai sensi dell'articolo 36 del codice civile; b) come soggetto dotato di personalita' giuridica ai sensi dell'articolo 12 del codice civile con procedimento per il riconoscimento rientrante nelle competenze del Ministro del lavoro e delle politiche sociali ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della legge 12 gennaio 1991, n. 13. 5. I fondi di cui al comma 4 sono attivati a seguito di autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, previa verifica della congruita', rispetto alle finalita' istituzionali previste ai commi l e 2, dei criteri di gestione e delle strutture di funzionamento del fondo stesso, con particolare riferimento alla sostenibilita' finanziaria complessiva del sistema. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali esercita la vigilanza sulla gestione dei fondi. 6. All'eventuale adeguamento del contributo di cui ai commi 1 e 2 si provvede con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali previa verifica con le parti sociali da effettuare decorsi due anni dalla entrata in vigore del presente decreto. 7. I contributi versati ai sensi dei commi 1 e 2 si intendono soggetti alla disciplina di cui all'articolo 26-bis della legge 24 giugno 1997, n. 196. 8. In caso di omissione, anche parziale, dei contributi di cui ai commi 1 e 2, il datore di lavoro e' tenuto a corrispondere, oltre al contributo omesso e alle relative sanzioni, una somma, a titolo di sanzione amministrativa, di importo pari a quella del contributo omesso; gli importi delle sanzioni amministrative sono versati ai fondi di cui al comma 4. 9. Trascorsi dodici mesi dalla entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali con proprio decreto, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale puo' ridurre i contributi di cui ai commi 1 e 2 in relazione alla loro congruita' con le finalita' dei relativi fondi. Art. 13. Misure di incentivazione del raccordo pubblico e privato 1. Al fine di garantire l'inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati, attraverso politiche attive e di workfare, alle agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro e' consentito: a) operare in deroga al regime generale della somministrazione di lavoro, ai sensi del comma 2 dell'articolo 23, ma solo in presenza di un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, con interventi formativi idonei e il coinvolgimento di un tutore con adeguate competenze e professionalita', e a fronte della assunzione del lavoratore, da parte delle agenzie autorizzate alla somministrazione, con contratto di durata non inferiore a sei mesi; b) determinare altresi', per un periodo massimo di dodici mesi e solo in caso di contratti di durata non inferiore a nove mesi, il trattamento retributivo del lavoratore, detraendo dal compenso dovuto quanto eventualmente percepito dal lavoratore medesimo a titolo di indennita' di mobilita', indennita' di disoccupazione ordinaria o speciale, o altra indennita' o sussidio la cui corresponsione e' collegata allo stato di disoccupazione o inoccupazione, e detraendo dai contributi dovuti per l'attivita' lavorativa l'ammontare dei contributi figurativi nel caso di trattamenti di mobilita' e di indennita' di disoccupazione ordinaria o speciale. 2. Il lavoratore destinatario delle attivita' di cui al comma 1 decade dai trattamenti di mobilita', qualora l'iscrizione nelle relative liste sia finalizzata esclusivamente al reimpiego, di disoccupazione ordinaria o speciale, o da altra indennita' o sussidio la cui corresponsione e' collegata allo stato di disoccupazione o in occupazione, quando: a) rifiuti di essere avviato a un progetto individuale di reinserimento nel mercato del lavoro ovvero rifiuti di essere avviato a un corso di formazione professionale autorizzato dalla regione o non lo frequenti regolarmente, fatti salvi i casi di impossibilita' derivante da forza maggiore; b) non accetti l'offerta di un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20 per cento rispetto a quello delle mansioni di provenienza; c) non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla competente sede I.N.P.S. del lavoro prestato ai sensi dell'articolo 8, commi 4 e 5 del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160. 3. Le disposizioni di cui al comma 2 si applicano quando le attivita' lavorative o di formazione offerte al lavoratore siano congrue rispetto alle competenze e alle qualifiche del lavoratore stesso e si svolgano in un luogo raggiungibile in 80 minuti con mezzi pubblici da quello della sua residenza. Le disposizioni di cui al comma 2, lettere b) e c) non si applicano ai lavoratori inoccupati. 4. Nei casi di cui al comma 2, i responsabili della attivita' formativa ovvero le agenzie di somministrazione di lavoro comunicano direttamente all'I.N.P.S., e al servizio per l'impiego territorialmente competente ai fini della cancellazione dalle liste di mobilita', i nominativi dei soggetti che possono essere ritenuti decaduti dai trattamenti previdenziali. A seguito di detta comunicazione, l'I.N.P.S. sospende cautelativamente l'erogazione del trattamento medesimo, dandone comunicazione agli interessati. 5. Avverso gli atti di cui al comma 4 e' ammesso ricorso entro trenta giorni alle direzioni provinciali del lavoro territorialmente competenti che decidono, in via definitiva, nei venti giorni successivi alla data di presentazione del ricorso. La decisione del ricorso e' comunicata al competente servizio per l'impiego ed all'I.N.P.S. 6. Fino alla data di entrata in vigore di norme regionali che disciplinino la materia, le disposizioni di cui al comma 1 si applicano solo in presenza di una convenzione tra una o piu' agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, anche attraverso le associazioni di rappresentanza e con l'ausilio delle agenzie tecniche strumentali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e i comuni, le province o le regioni stesse. 7. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano anche con riferimento ad appositi soggetti giuridici costituiti ai sensi delle normative regionali in convenzione con le agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, previo accreditamento ai sensi dell'articolo 7. 8. Nella ipotesi di cui al comma 7, le agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro si assumono gli oneri delle spese per la costituzione e il funzionamento della agenzia stessa. Le regioni, i centri per l'impiego e gli enti locali possono concorrere alle spese di costituzione e funzionamento nei limiti delle proprie disponibilita' finanziarie. Art. 14. inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati 1. Al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati e dei lavoratori disabili, i servizi di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68, sentito l'organismo di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, cosi' come modificato dall'articolo 6 della legge 12 marzo 1999, n. 68, stipulano con le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale e con le associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, e con i consorzi di cui all'articolo 8 della stessa legge, convenzioni quadro su base territoriale, che devono essere validate da parte delle regioni, sentiti gli organismi di concertazione di cui al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive modificazioni ed integrazioni, aventi ad oggetto il conferimento di commesse di lavoro alle cooperative sociali medesime da parte delle imprese associate o aderenti. 2. La convenzione quadro disciplina i seguenti aspetti: a) le modalita' di adesione da parte delle imprese interessate; b) i criteri di individuazione dei lavoratori svantaggiati da inserire al lavoro in cooperativa; l'individuazione dei disabili sara' curata dai servizi di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68; c) le modalita' di attestazione del valore complessivo del lavoro annualmente conferito da ciascuna impresa e la correlazione con il numero dei lavoratori svantaggiati inseriti al lavoro in cooperativa; d) la determinazione del coefficiente di calcolo del valore unitario delle commesse, ai fini del computo di cui al comma 3, secondo criteri di congruita' con i costi del lavoro derivati dai contratti collettivi di categoria applicati dalle cooperative sociali; e) la promozione e lo sviluppo delle commesse di lavoro a favore delle cooperative sociali; f) l'eventuale costituzione, anche nell'ambito dell'agenzia sociale di cui all'articolo 13 di una struttura tecnico-operativa senza scopo di lucro a supporto delle attivita' previste dalla convenzione; g) i limiti di percentuali massime di copertura della quota d'obbligo da realizzare con lo strumento della convenzione. 3. Allorche' l'inserimento lavorativo nelle cooperative sociali, realizzato in virtu' dei commi 1 e 2, riguardi i lavoratori disabili, che presentino particolari caratteristiche e difficolta' di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario, in base alla esclusiva valutazione dei servizi di cui all'articolo 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68, lo stesso si considera utile ai fini della copertura della quota di riserva, di cui all'articolo 3 della stessa legge cui sono tenute le imprese conferenti. Il numero delle coperture per ciascuna impresa e' dato dall'ammontare annuo delle commesse dalla stessa conferite diviso per il coefficiente di cui al comma 2, lettera d), e nei limiti di percentuali massime stabilite con le convenzioni quadro di cui al comma 1. Tali limiti percentuali non hanno effetto nei confronti delle imprese che occupano da 15 a 35 Cooperative sociali e dipendenti. La congruita' della computabilita' dei lavoratori inseriti in cooperativa sociale sara' verificata dalla Commissione provinciale del lavoro. 4. L'applicazione delle disposizioni di cui al comma 3 e' subordinata all'adempimento degli obblighi di assunzione di lavoratori disabili ai fini della copertura della restante quota d'obbligo a loro carico determinata ai sensi dell'articolo 3 della legge 12 marzo 1999, n. 68. Capo III Borsa continua nazionale del lavoro e monitoraggio statistico Art. 15. Principi e criteri generali 1. A garanzia dell'effettivo godimento del diritto al lavoro di cui all'articolo 4 della Costituzione, e nel pieno rispetto dell'articolo 120 della Costituzione stessa, viene costituita la borsa continua nazionale del lavoro, quale sistema aperto e trasparente di incontro tra domanda e offerta di lavoro basato su una rete di nodi regionali. Tale sistema e' alimentato da tutte le informazioni utili a tale scopo immesse liberamente nel sistema stesso sia dagli operatori pubblici e privati, autorizzati o accreditati, sia direttamente dai lavoratori e dalle imprese. 2. La borsa continua nazionale del lavoro e' liberamente accessibile da parte dei lavoratori e delle imprese e deve essere consultabile da un qualunque punto della rete. I lavoratori e le imprese hanno facolta' di inserire nuove candidature o richieste di personale direttamente e senza rivolgersi ad alcun intermediario da qualunque punto di rete attraverso gli accessi appositamente dedicati da tutti i soggetti pubblici e privati, autorizzati o accreditati. 3. Gli operatori pubblici e privati, accreditati o autorizzati, hanno l'obbligo di conferire alla borsa continua nazionale del lavoro i dati acquisiti, in base alle indicazioni rese dai lavoratori ai sensi dell'articolo 8 e a quelle rese dalle imprese riguardo l'ambito temporale e territoriale prescelto. 4. Gli ambiti in cui si articolano i servizi della borsa continua nazionale del lavoro sono: a) un livello nazionale finalizzato: 1) alla definizione degli standard tecnici nazionali e dei flussi informativi di scambio; 2) alla interoperabilita' dei sistemi regionali; 3) alla definizione dell'insieme delle informazioni che permettano la massima efficacia e trasparenza del processo di incontro tra domanda e offerta di lavoro; b) un livello regionale che, nel quadro delle competenze proprie delle regioni di programmazione e gestione delle politiche regionali del lavoro: 1) realizza l'integrazione dei sistemi pubblici e privati presenti sul territorio; 2) definisce e realizza il modello di servizi al lavoro; 3) coopera alla definizione degli standard nazionali di intercomunicazione. 5. Il coordinamento tra il livello nazionale e il livello regionale deve in ogni caso garantire, nel rispetto degli articoli 4 e 120 della Costituzione, la piena operativita' della borsa continua nazionale del lavoro in ambito nazionale e comunitario. A tal fine il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rende disponibile l'offerta degli strumenti tecnici alle regioni e alle province autonome che ne facciano richiesta nell'ambito dell'esercizio delle loro competenze. Art. 16. Standard tecnici e flussi informativi di scambio 1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, stabilisce, di concerto con il Ministro della innovazione e della tecnologia, e d'intesa con le regioni e le province autonome, gli standard tecnici e i flussi informativi di scambio tra i sistemi, nonche' le sedi tecniche finalizzate ad assicurare il raccordo e il coordinamento del sistema a livello nazionale. 2. La definizione degli standard tecnici e dei flussi informativi di scambio tra i sistemi avviene nel rispetto delle competenze definite nell'Accordo Stato-regioni-autonomie locali dell'11 luglio 2002 e delle disposizioni di cui all'articolo 31, comma 2, della legge 31 dicembre 1996, n. 675. Art. 17. Monitoraggio statistico e valutazione delle politiche del lavoro 1. Le basi informative costituite nell'ambito della borsa continua nazionale del lavoro, nonche' le registrazioni delle comunicazioni dovute dai datori di lavoro ai servizi competenti e la registrazione delle attivita' poste in essere da questi nei confronti degli utenti per come riportate nella scheda anagrafico-professionale dei lavoratori costituiscono una base statistica omogenea e condivisa per le azioni di monitoraggio dei servizi svolte ai sensi del presente decreto legislativo e poste in essere dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le regioni e le province per i rispettivi ambiti territoriali di riferimento. Le relative indagini statistiche sono effettuate in forma anonima. 2. A tal fine, la definizione e la manutenzione applicativa delle basi informative in questione, nonche' di quelle in essere presso gli Enti previdenziali in tema di contribuzioni percepite e prestazioni erogate, tiene conto delle esigenze conoscitive generali, incluse quelle di ordine statistico complessivo rappresentate nell'ambito del SISTAN e da parte dell'ISTAT, nonche' di quesiti specifici di valutazione di singole politiche ed interventi formulati ai sensi e con le modalita' dei commi successivi del presente articolo. 3. I decreti ministeriali di cui agli articoli 1-bis e 4-bis, comma 7 del decreto legislativo n. 181 del 2000, come modificati dagli articoli 2 e 6 del decreto legislativo n. 297 del 2002, cosi' come la definizione di tutti i flussi informativi che rientrano nell'ambito della borsa continua nazionale del lavoro, ivi inclusi quelli di pertinenza degli Enti previdenziali, sono adottati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, tenuto conto delle esigenze definite nei commi 1 e 2, previo parere dell'ISTAT e dell'ISFOL. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali impartisce inoltre, entro tre mesi dalla attuazione del presente decreto, le necessarie direttive agli Enti previdenziali, avvalendosi a tale scopo delle indicazioni di una Commissione di esperti in politiche del lavoro, statistiche del lavoro e monitoraggio e valutazione delle politiche occupazionali, da costituire presso lo stesso Ministero ed in cui siano presenti rappresentanti delle regioni e delle province, degli Enti previdenziali, dell'ISTAT, dell'ISFOL e del Ministero dell'economia e delle finanze oltre che del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 4. La medesima Commissione di cui al comma 3, integrata con rappresentanti delle parti sociali, e' inoltre incaricata di definire, entro sei mesi dalla attuazione del presente decreto, una serie di indicatori di monitoraggio finanziario, fisico e procedurale dei diversi interventi di cui alla presente legge. Detti indicatori, previo esame ed approvazione della Conferenza unificata, costituiranno linee guida per le attivita' di monitoraggio e valutazione condotte dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dalle regioni e dalle province per i rispettivi ambiti territoriali di riferimento e in particolare per il contenuto del Rapporto annuale di cui al comma 6. 5. In attesa dell'entrata a regime della borsa continua nazionale del lavoro il Ministero del lavoro e delle politiche sociali predispone, d'intesa con la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, uno o piu' modelli di rilevazione da somministrare alle agenzie autorizzate o accreditate, nonche' agli enti di cui all'articolo 6. La mancata risposta al questionario di cui al comma precedente e' valutata ai fini del ritiro dell'autorizzazione o accreditamento. 6. Sulla base di tali strumenti di informazione, e tenuto conto delle linee guida definite con le modalita' di cui al comma 4 nonche' della formulazione di specifici quesiti di valutazione di singole politiche ed interventi formulati annualmente dalla Conferenza unificata o derivanti dall'implementazione di obblighi e programmi comunitari, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, avvalendosi di proprie strutture tecniche e col supporto dell'ISFOL, predispone un Rapporto annuale, al Parlamento e alla Conferenza unificata, che presenti una rendicontazione dettagliata e complessiva delle politiche esistenti, e al loro interno dell'evoluzione dei servizi di cui al presente decreto legislativo, sulla base di schemi statistico-contabili oggettivi e internazionalmente comparabili e in grado di fornire elementi conoscitivi di supporto alla valutazione delle singole politiche che lo stesso Ministero, le regioni, le province o altri attori responsabili della conduzione, del disegno o del coordinamento delle singole politiche intendano esperire. 7. Le attivita' di monitoraggio devono consentire di valutare l'efficacia delle politiche attive per il lavoro, nonche' delle misure contenute nel presente decreto, anche nella prospettiva delle pari opportunita' e, in particolare, della integrazione nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati. 8. Con specifico riferimento ai contratti di apprendistato, e' istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, una Commissione di sorveglianza con compiti di valutazione in itinere della riforma. Detta Commissione e' composta da rappresentanti ed esperti designati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel cui ambito si individua il Presidente, dal Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca dalle regioni e province autonome, dalle parti sociali, dall'I.N.P.S. e dall'ISFOL. La Commissione, che si riunisce almeno tre volte all'anno, definisce in via preventiva indicatori di risultato e di impatto e formula linee guida per la valutazione, predisponendo quesiti valutativi del cui soddisfacimento il Rapporto annuale di cui al comma 6 dovra' farsi carico e puo' commissionare valutazioni puntuali su singoli aspetti della riforma. Sulla base degli studi valutativi commissionati nonche' delle informazioni contenute nel Rapporto annuale di cui al comma precedente, la Commissione potra' annualmente formulare pareri e valutazioni. In ogni caso, trascorsi tre anni dalla approvazione del presente decreto, la Commissione predisporra' una propria Relazione che, sempre sulla base degli studi e delle evidenze prima richiamate, evidenzi le realizzazioni e i problemi esistenti, evidenziando altresi' le possibili modifiche alle politiche in oggetto. Le risorse per gli studi in questione derivano dal bilancio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali Ufficio centrale orientamento e formazione professionale dei lavoratori. Capo IV Regime sanzionatorio Art. 18. Sanzioni penali 1. L'esercizio non autorizzato delle attivita' di cui all'articolo 4, comma 1, e' punito con la sanzione dell'ammenda di Euro 5 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro. L'esercizio abusivo della attivita' di intermediazione e' punito con la pena dell'arresto fino a sei mesi e l'ammenda da Euro 1.500 a Euro 7.500. Se non vi e' scopo di lucro la pena e' della ammenda da Euro 500 a Euro 2.500. Se vi e' sfruttamento dei minori, la pena e' dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda e' aumentata fino al sestuplo. Nel caso di condanna, e' disposta in ogni caso la confisca del mezzo di trasporto eventualmente adoperato per l'esercizio delle attivita' di cui al presente comma. 2. Nei confronti dell'utilizzatore che ricorra alla somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), ovvero da parte di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera b), o comunque al di fuori dei limiti ivi previsti, si applica la pena dell'ammenda di Euro 5 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di occupazione. Se vi e' sfruttamento dei minori, la pena e' dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda e' aumentata fino al sestuplo. 3. La violazione degli obblighi e dei divieti di cui agli articoli 20, commi 1, 3, 4 e 5, e 21, commi 1, 2, nonche' per il solo somministratore, la violazione del disposto di cui al comma 3 del medesimo articolo 21 e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da Euro 250 a Euro 1.250. 4. Fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 11, comma 2, chi esiga o comunque percepisca compensi da parte del lavoratore per avviarlo a prestazioni di lavoro oggetto di somministrazione e' punito con la pena alternativa dell'arresto non superiore ad un anno e dell'ammenda da Euro 2.500 a Euro 6.000. In aggiunta alla sanzione penale e' disposta la cancellazione dall'albo. 5. In caso di violazione dell'articolo 10 trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonche' nei casi piu' gravi, l'autorita' competente procede alla sospensione della autorizzazione di cui all'articolo 4. In ipotesi di recidiva viene revocata l'autorizzazione. 6. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali dispone, con proprio decreto, criteri interpretativi certi per la definizione delle varie forme di contenzioso in atto riferite al pregresso regime in materia di intermediazione e interposizione nei rapporti di lavoro. Art. 19. Sanzioni amministrative 1. Gli editori, i direttori responsabili e i gestori di siti sui quali siano pubblicati annunci in violazione delle disposizioni di cui all'articolo 9 sono puniti con una sanzione amministrativa pecuniaria da 4.000 a 12.000 euro. 2. La violazione degli obblighi di cui all'articolo 4-bis, comma 2, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, cosi' come modificato dall'articolo 6, comma 1 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 250 a 1.500 euro per ogni lavoratore interessato. 3. La violazione degli obblighi di cui all'articolo 4-bis, commi 5 e 7, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, cosi' come modificato dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, di cui all'articolo 9-bis, comma 2, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608, cosi' come sostituito dall'articolo 6, comma 3, del citato decreto legislativo n. 297 del 2002, e di cui all'articolo 21, comma 1, della legge 24 aprile 1949, n. 264, cosi' come sostituito dall'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 297 del 2002, e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato. 4. La violazione degli obblighi di cui all'articolo 4-bis, comma 4, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, cosi' come modificato dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a 250 euro per ogni lavoratore interessato. 5. Nel caso di omessa comunicazione contestuale, omessa comunicazione di cessazione e omessa comunicazione di trasformazione, i datori di lavoro comprese le pubbliche amministrazioni sono ammessi al pagamento della sanzione minima ridotta della meta' qualora l'adempimento della comunicazione venga effettuato spontaneamente entro il termine di cinque giorni decorrenti dalla data di inizio dell'omissione. Titolo III SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO APPALTO DI SERVIZI, DISTACCO Capo I Somministrazione di lavoro Art. 20. Condizioni di liceita' 1. Il contratto di somministrazione di lavoro puo' essere concluso da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a cio' autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 4 e 5. 2. Per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono la propria attivita' nell'interesse nonche' sotto la direzione e il controllo dell'utilizzatore. Nell'ipotesi in cui i lavoratori vengano assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato essi rimangono a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolgono la prestazione lavorativa presso un utilizzatore, salvo che esista una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del contratto di lavoro. 3. Il contratto di somministrazione di lavoro puo' essere concluso a termine o a tempo indeterminato. La somministrazione di lavoro a tempo indeterminato e' ammessa: a) per servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software applicativo, caricamento dati; b) per servizi di pulizia, custodia, portineria; c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci; d) per la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonche' servizi di economato; e) per attivita' di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale; f) per attivita' di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale; g) per la gestione di call-center, nonche' per l'avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali; h) per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti, per installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari attivita' produttive, con specifico riferimento all'edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano piu' fasi successive di lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell'impresa; i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative. 4. La somministrazione di lavoro a tempo determinato e' ammessa a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, anche se riferibili all'ordinaria attivita' dell'utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato e' affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati da sindacati comparativamente piu' rappresentativi in conformita' alla disciplina di cui all'articolo 10 del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. 5. Il contratto di somministrazione di lavoro e' vietato: a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unita' produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione ovvero presso unita' produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione; c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche. Art. 21. Forma del contratto di somministrazione 1. Il contratto di somministrazione di manodopera e' stipulato in forma scritta e contiene i seguenti elementi: a) gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore; b) il numero dei lavoratori da somministrare; c) i casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 20; d) l'indicazione della presenza di eventuali rischi per l'integrita' e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate; e) la data di inizio e la durata prevista del contratto di somministrazione; f) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro inquadramento; g) il luogo, l'orario e il trattamento economico e normativo delle prestazioni lavorative; h) assunzione da parte del somministratore della obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonche' del versamento dei contributi previdenziali; i) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questa effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro; j) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di comunicare al somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori comparabili; k) assunzione da parte dell'utilizzatore, in caso di inadempimento del somministratore, dell'obbligo del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonche' del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore. 2. Nell'indicare gli elementi di cui al comma 1, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi. 3. Le informazioni di cui al comma 1, nonche' la data di inizio e la durata prevedibile dell'attivita' lavorativa presso l'utilizzatore, devono essere comunicate per iscritto al prestatore di lavoro da parte del somministratore all'atto della stipulazione del contratto di lavoro ovvero all'atto dell'invio presso l'utilizzatore. 4. In mancanza di forma scritta, con indicazione degli elementi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1, il contratto di somministrazione e' nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell'utilizzatore. Art. 22. Disciplina dei rapporti di lavoro 1. In caso di somministrazione a tempo indeterminato i rapporti di lavoro tra somministratore e prestatori di lavoro sono soggetti alla disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile e alle leggi speciali. 2. In caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro e' soggetto alla disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, per quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle disposizioni di cui all'articolo 5, commi 3 e 4. Il termine inizialmente posto al contratto di lavoro puo' in ogni caso essere prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal somministratore. 3. Nel caso in cui il prestatore di lavoro sia assunto con contratto stipulato a tempo indeterminato, nel medesimo e' stabilita la misura della indennita' mensile di disponibilita', divisibile in quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i periodi nei quali il lavoratore stesso rimane in attesa di assegnazione. La misura di tale indennita' e' stabilita dal contratto collettivo applicabile al somministratore e comunque non e' inferiore alla misura prevista, ovvero aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. La predetta misura e' proporzionalmente ridotta in caso di assegnazione ad attivita' lavorativa a tempo parziale anche presso il somministratore. L'indennita' di disponibilita' e' esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo. 4. Le disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 23 luglio 1991, n. 223, non trovano applicazione anche nel caso di fine dei lavori connessi alla somministrazione a tempo indeterminato. In questo caso trovano applicazione l'articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e le tutele del lavoratore di cui all'articolo 12. 5. In caso di contratto di somministrazione, il prestatore di lavoro non e' computato nell'organico dell'utilizzatore ai fini della applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta eccezione per quelle relative alla materia dell'igiene e della sicurezza sul lavoro. 6. La disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e la riserva di cui all'articolo 4-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 181 del 2000, non si applicano in caso di somministrazione. Tutela del Art. 23. prestatore di lavoro esercizio del potere disciplinare e regime della solidarieta' 1. I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parita' di mansioni svolte. Restano in ogni caso salve le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 24 giugno 1997, n. 196. 2. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con riferimento ai contratti di somministrazione conclusi da soggetti privati autorizzati nell'ambito di specifici programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale erogati, a favore dei lavoratori svantaggiati, in concorso con Regioni, Province ed enti locali ai sensi e nei limiti di cui all'articolo 13. 3. L'utilizzatore e' obbligato in solido con il somministratore a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali. 4. I contratti collettivi applicati dall'utilizzatore stabiliscono modalita' e criteri per la determinazione e corresponsione delle erogazioni economiche correlate ai risultati conseguiti nella realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati all'andamento economico dell'impresa. I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno altresi' diritto a fruire di tutti i servizi sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell'utilizzatore addetti alla stessa unita' produttiva, esclusi quelli il cui godimento sia condizionato alla iscrizione ad associazioni o societa' cooperative o al conseguimento di una determinata anzianita' di servizio. 5. Il somministratore informa i lavoratori sui rischi per la sicurezza e la salute connessi alle attivita' produttive in generale e li forma e addestra all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie allo svolgimento della attivita' lavorativa per la quale essi vengono assunti in conformita' alle disposizioni recate dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni. Il contratto di somministrazione puo' prevedere che tale obbligo sia adempiuto dall'utilizzatore; in tale caso ne va fatta indicazione nel contratto con il lavoratore. Nel caso in cui le mansioni cui e' adibito il prestatore di lavoro richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici, l'utilizzatore ne informa il lavoratore conformemente a quanto previsto dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed integrazioni. L'utilizzatore osserva altresi', nei confronti del medesimo prestatore, tutti gli obblighi di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti ed e' responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi. 6. Nel caso in cui adibisca il lavoratore a mansioni superiori o comunque a mansioni non equivalenti a quelle dedotte in contratto, l'utilizzatore deve darne immediata comunicazione scritta al somministratore consegnandone copia al lavoratore medesimo. Ove non abbia adempiuto all'obbligo di informazione, l'utilizzatore risponde in via esclusiva per le differenze retributive spettanti al lavoratore occupato in mansioni superiori e per l'eventuale risarcimento del danno derivante dalla assegnazione a mansioni inferiori. 7. Ai fini dell'esercizio del potere disciplinare, che e' riservato al somministratore, l'utilizzatore comunica al somministratore gli elementi che formeranno oggetto della contestazione ai sensi dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300. 8. In caso di somministrazione di lavoro a tempo determinato e' nulla ogni clausola diretta a limitare, anche indirettamente, la facolta' dell'utilizzatore di assumere il lavoratore al termine del contratto di somministrazione. 9. La disposizione di cui al comma 8 non trova applicazione nel caso in cui al lavoratore sia corrisposta una adeguata indennita', secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicabile al somministratore. Art. 24. Diritti sindacali e garanzie collettive 1. Ferme restando le disposizioni specifiche per il lavoro in cooperativa, ai lavoratori delle societa' o imprese di somministrazione e degli appaltatori si applicano i diritti sindacali previsti dalla legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni. 2. Il prestatore di lavoro ha diritto a esercitare presso l'utilizzatore, per tutta la durata della somministrazione, i diritti di liberta' e di attivita' sindacale nonche' a partecipare alle assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici. 2. Ai prestatori di lavoro che dipendono da uno stesso somministratore e che operano presso diversi utilizzatori compete uno specifico diritto di riunione secondo la normativa vigente e con le modalita' specifiche determinate dalla contrattazione collettiva. 4. L'utilizzatore comunica alla rappresentanza sindacale unitaria, ovvero alle rappresentanze aziendali e, in mancanza, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale: a) il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro prima della stipula del contratto di somministrazione; ove ricorrano motivate ragioni di urgenza e necessita' di stipulare il contratto, l'utilizzatore fornisce le predette comunicazioni entro i cinque giorni successivi; b) ogni dodici mesi, anche per il tramite della associazione dei datori di lavoro alla quale aderisce o conferisce mandato, il numero e i motivi dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori interessati. Art. 25. Norme previdenziali 1. Gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi ed assistenziali, previsti dalle vigenti disposizioni legislative, sono a carico del somministratore che, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 49 della legge 9 marzo 1989, n. 88, e' inquadrato nel settore terziario. Sulla indennita' di disponibilita' di cui all'articolo 22, comma 3, i contributi sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo. 2. Il somministratore non e' tenuto al versamento della aliquota contributiva di cui all'articolo 25, comma 4, della legge 21 dicembre 1978, n. 845. 3. Gli obblighi per l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali previsti dal decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni, sono determinati in relazione al tipo e al rischio delle lavorazioni svolte. I premi e i contributi sono determinati in relazione al tasso medio, o medio ponderato, stabilito per la attivita' svolta dall'impresa utilizzatrice, nella quale sono inquadrabili le lavorazioni svolte dai lavoratori temporanei, ovvero sono determinati in base al tasso medio, o medio ponderato, della voce di tariffa corrispondente alla lavorazione effettivamente prestata dal lavoratore temporaneo, ove presso l'impresa utilizzatrice la stessa non sia gia' assicurata. 4. Nel settore agricolo e in caso di somministrazione di lavoratori domestici trovano applicazione i criteri erogativi, gli previdenziali e assistenziali previsti dai relativi settori. oneri Art. 26. Responsabilita' civile 1. Nel caso di somministrazione di lavoro l'utilizzatore risponde nei confronti dei terzi dei danni a essi arrecati dal prestatore di lavoro nell'esercizio delle sue mansioni. Art. 27. Somministrazione irregolare 1. Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1, lettere a), b), c), d) ed e), il lavoratore puo' chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione. 2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 tutti i pagamenti effettuati dal somministratore, a titolo retributivo o di contribuzione previdenziale, valgono a liberare il soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha effettivamente utilizzato la prestazione. 3. Ai fini della valutazione delle ragioni di cui all'articolo 20, commi 3 e 4, che consentono la somministrazione di lavoro il controllo giudiziale e' limitato esclusivamente, in conformita' ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza delle ragioni che la giustificano e non puo' essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano all'utilizzatore. Art. 28. Somministrazione fraudolenta 1. Ferme restando le sanzioni di cui all'articolo 18, quando la somministrazione di lavoro e' posta in essere con la specifica finalita' di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore, somministratore e utilizzatore sono puniti con una ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione. Capo II Appalto e distacco Art. 29. Appalto 1. Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi dell'articolo 1655 del codice civile, si distingue dalla somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che puo' anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonche' per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa. 2. In caso di appalto di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro e' obbligato in solido con l'appaltatore, entro il limite di un anno dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti. 3. L'acquisizione del personale gia' impiegato nell'appalto a seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto d'appalto, non costituisce trasferimento d'azienda o di parte d'azienda. Art. 30. Distacco 1. L'ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o piu' lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attivita' lavorativa. 2. In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore. 3. Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unita' produttiva sita a piu' di 50 km da quella in cui il lavoratore e' adibito, il distacco puo' avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. 4. Resta ferma la disciplina prevista dall'articolo 8, comma 3, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236. Titolo IV DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GRUPPI DI IMPRESA E TRASFERIMENTO D'AZIENDA Art. 31. Gruppi di impresa 1. I gruppi di impresa, individuati ai sensi dell'articolo 2359 del codice civile e del decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74, possono delegare lo svolgimento degli adempimenti di cui all'articolo 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, alla societa' capogruppo per tutte le societa' controllate e collegate. 2. I consorzi, ivi compresi quelli costituiti in forma di societa' cooperativa di cui all'articolo 27 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, possono svolgere gli adempimenti di cui all'articolo 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, per conto dei soggetti consorziati o delegarne l'esecuzione a una societa' consorziata. 3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non rilevano ai fini della individuazione del soggetto titolare delle obbligazioni contrattuali e legislative in capo alle singole societa' datrici di lavoro. Art. 32. Modifica all'articolo 2112 comma quinto, del Codice civile 1. Fermi restando i diritti dei prestatori di lavoro in caso di trasferimento d'azienda di cui alla normativa di recepimento delle direttive europee in materia, il comma quinto dell'articolo 2112 del codice civile e' sostituito dal seguente: «Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarita' di un'attivita' economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identita' a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento e' attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresi' al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attivita' economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento». 2. All'articolo 2112 del codice civile e' aggiunto, in fine, il seguente comma: «Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarieta' di cui all'articolo 1676». Titolo V TIPOLOGIE CONTRATTUALI A ORARIO RIDOTTO, MODULATO O FLESSIBILE Capo I Lavoro intermittente Art. 33. Definizione e tipologie 1. Il contratto di lavoro intermittente e' il contratto mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne puo' utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti di cui all'articolo 34. 2. Il contratto di lavoro intermittente puo' essere stipulato anche a tempo determinato. Art. 34. Casi di ricorso al lavoro intermittente 1. Il contratto di lavoro intermittente puo' essere concluso per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale o territoriale o, in via provvisoriamente sostitutiva, dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con apposito decreto da adottarsi trascorsi sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. 2. In via sperimentale il contratto di lavoro intermittente puo' essere altresi' concluso anche per prestazioni rese da soggetti in stato di disoccupazione con meno di 25 anni di eta' ovvero da lavoratori con piu' di 45 anni di eta' che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti alle liste di mobilita' e di collocamento. 3. E' vietato il ricorso al lavoro intermittente: a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero; b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso unita' produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente ovvero presso unita' produttive nelle quali sia operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente; c) da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell'articolo 4 del decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni. Art. 35. Forma e comunicazioni 1. Il contratto di lavoro intermittente e' stipulato in forma scritta ai fini della prova dei seguenti elementi: a) indicazione della durata e delle ipotesi, oggettive o soggettive, previste dall'articolo 34 che consentono la stipulazione del contratto; b) luogo e la modalita' della disponibilita', eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore che in ogni caso non puo' essere inferiore a un giorno lavorativo; c) il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e la relativa indennita' di disponibilita', ove prevista, nei limiti di cui al successivo articolo 36; d) indicazione delle forme e modalita', con cui il datore di lavoro e' legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione di lavoro, nonche' delle modalita' di rilevazione della prestazione; e) i tempi e le modalita' di pagamento della retribuzione e della indennita' di disponibilita'; f) le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attivita' dedotta in contratto. 2. Nell'indicare gli elementi di cui al comma 1, le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi ove previste. 3. Fatte salve previsioni piu' favorevoli dei contratti collettivi, il datore di lavoro e' altresi' tenuto a informare con cadenza annuale le rappresentanze sindacali aziendali, ove esistenti, sull'andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente. Art. 36. Indennita' di disponibilita' 1. Nel contratto di lavoro intermittente e' stabilita la misura della indennita' mensile di disponibilita', divisibile in quote orarie, corrisposta al lavoratore per i periodi nei quali il lavoratore stesso garantisce la disponibilita' al datore di lavoro in attesa di utilizzazione. La misura di detta indennita' e' stabilita dai contratti collettivi e comunque non e' inferiore alla misura prevista, ovvero aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale. 2. Sulla indennita' di disponibilita' di cui al comma 1 i contributi sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo. 3. L'indennita' di disponibilita' e' esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo. 4. In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore e' tenuto a informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata dell'impedimento. Nel periodo di temporanea indisponibilita' non matura il diritto alla indennita' di disponibilita'. 5. Ove il lavoratore non provveda all'adempimento di cui al comma che precede, perde il diritto alla indennita' di disponibilita' per un periodo di quindici giorni, salva diversa previsione del contratto individuale. 6. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano soltanto nei casi in cui il lavoratore si obbliga contrattualmente a rispondere alla chiamata del datore di lavoro. In tal caso, il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata puo' comportare la risoluzione del contratto, la restituzione della quota di indennita' di disponibilita' riferita al periodo successivo all'ingiustificato rifiuto, nonche' un congruo risarcimento del danno nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di lavoro. 7. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e' stabilita la misura della retribuzione convenzionale in riferimento alla quale i lavoratori assunti ai sensi dell'articolo 33 possono versare la differenza contributiva per i periodi in cui abbiano percepito una retribuzione inferiore rispetto a quella convenzionale ovvero abbiano usufruito della indennita' di disponibilita' fino a concorrenza della medesima misura. Art. 37. intermittente per periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno 1. Nel caso di lavoro intermittente per prestazioni da rendersi il fine settimana, nonche' nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali l'indennita' di disponibilita' di cui all'articolo 36 e' corrisposta al prestatore di lavoro solo in caso di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro. 2. Ulteriori periodi predeterminati possono esser previsti dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale o territoriale. Lavoro Art. 38. Principio di non discriminazione 1. Fermi restando i divieti di discriminazione diretta e indiretta previsti dalla legislazione vigente, il lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parita' di mansioni svolte. 2. Il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente e' riproporzionato, in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonche' delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternita', congedi parentali. 3. Per tutto il periodo durante il quale il lavoratore resta disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro non e' titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati ne' matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l'indennita' di disponibilita' di cui all'articolo 36. Art. 39. Computo del lavoratore intermittente 1. Il prestatore di lavoro intermittente e' computato nell'organico dell'impresa, ai fini della applicazione di normative di legge, in proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di ciascun semestre. Art. 40. Sostegno e valorizzazione della autonomia collettiva 1. Qualora, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, non sia intervenuta, ai sensi dell'articolo 34, comma 1, e dell'articolo 37, comma 2, la determinazione da parte del contratto collettivo nazionale dei casi di ricorso al lavoro intermittente, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convoca le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori e le assiste al fine di promuovere l'accordo. In caso di mancata stipulazione dell'accordo entro i quattro mesi successivi, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua in via provvisoria e con proprio decreto, tenuto conto delle indicazioni contenute nell'eventuale accordo interconfederale di cui all'articolo 86, comma 13, e delle prevalenti posizioni espresse da ciascuna delle due parti interessate, i casi in cui e' ammissibile il ricorso al lavoro intermittente ai sensi della disposizione di cui all'articolo 34, comma 1, e dell'articolo 37, comma 2. Capo II Lavoro ripartito Art. 41. Definizione e vincolo di solidarieta' 1. Il contratto di lavoro ripartito e' uno speciale contratto di lavoro mediante il quale due lavoratori assumono in solido l'adempimento di una unica e identica obbligazione lavorativa. 2. Fermo restando il vincolo di solidarieta' di cui al comma 1 e fatta salva una diversa intesa tra le parti contraenti, ogni lavoratore resta personalmente e direttamente responsabile dell'adempimento della intera obbligazione lavorativa nei limiti di cui al presente capo. 3. Fatte salve diverse intese tra le parti contraenti o previsioni dei contratti o accordi collettivi, i lavoratori hanno la facolta' di determinare discrezionalmente e in qualsiasi momento sostituzioni tra di loro, nonche' di modificare consensualmente la collocazione temporale dell'orario di lavoro, nel qual caso il rischio della impossibilita' della prestazione per fatti attinenti a uno dei coobbligati e' posta in capo all'altro obbligato. 4. Eventuali sostituzioni da parte di terzi, nel caso di impossibilita' di uno o entrambi i lavoratori coobbligati, sono vietate e possono essere ammesse solo previo consenso del datore di lavoro. 5. Salvo diversa intesa tra le parti, le dimissioni o il licenziamento di uno dei lavoratori coobbligati comportano l'estinzione dell'intero vincolo contrattuale. Tale disposizione non trova applicazione se, su richiesta del datore di lavoro, l'altro prestatore di lavoro si renda disponibile ad adempiere l'obbligazione lavorativa, integralmente o parzialmente, nel qual caso il contratto di lavoro ripartito si trasforma in un normale contratto di lavoro subordinato di cui all'articolo 2094 del codice civile. 6. Salvo diversa intesa tra le parti, l'impedimento di entrambi i lavoratori coobbligati e' disciplinato ai sensi dell'articolo 1256 del codice civile. Art. 42. Forma e comunicazioni 1. Il contratto di lavoro ripartito e' stipulato in forma scritta ai fini della prova dei seguenti elementi: a) la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro giornaliero, settimanale, mensile o annuale che si prevede venga svolto da ciascuno dei lavoratori coobbligati, secondo le intese tra loro intercorse, ferma restando la possibilita' per gli stessi lavoratori di determinare discrezionalmente, in qualsiasi momento, la sostituzione tra di loro ovvero la modificazione consensuale della distribuzione dell'orario di lavoro; b) il luogo di lavoro, nonche' il trattamento economico e normativo spettante a ciascun lavoratore; c) le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in relazione al tipo di attivita' dedotta in contratto. 2. Ai fini della possibilita' di certificare le assenze, i lavoratori sono tenuti a informare preventivamente il datore di lavoro, con cadenza almeno settimanale, in merito all'orario di lavoro di ciascuno dei soggetti coobbligati. Art. 43. Disciplina applicabile 1. La regolamentazione del lavoro ripartito e' demandata alla contrattazione collettiva nel rispetto delle previsioni contenute nel presente capo. 2. In assenza di contratti collettivi, e fatto salvo quanto stabilito nel presente capo, trova applicazione, nel caso di prestazioni rese a favore di un datore di lavoro, la normativa generale del lavoro subordinato in quanto compatibile con la particolare natura del rapporto di lavoro ripartito. Art. 44. Principio di non discriminazione 1. Fermi restando i divieti di discriminazione diretta e indiretta previsti dalla legislazione vigente, il lavoratore coobbligato deve ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello, a parita' di mansioni svolte. 2. Il trattamento economico e normativo dei lavoratori coobbligati e' riproporzionato, in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonche' delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, congedi parentali. 3. Ciascuno dei lavoratori coobbligati ha diritto di partecipare alle riunioni assembleari di cui all'articolo 20, legge 20 maggio 1970, n. 300, entro il previsto limite complessivo di dieci ore annue, il cui trattamento economico verra' ripartito fra i coobbligati proporzionalmente alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita. Art. 45. Disposizioni previdenziali 1. Ai fini delle prestazioni della assicurazione generale e obbligatoria per la invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, della indennita' di malattia e di ogni altra prestazione previdenziale e assistenziale e delle relative contribuzioni connesse alla durata giornaliera, settimanale, mensile o annuale della prestazione lavorativa i lavoratori contitolari del contratto di lavoro ripartito sono assimilati ai lavoratori a tempo parziale. Il calcolo delle prestazioni e dei contributi andra' tuttavia effettuato non preventivamente ma mese per mese, salvo conguaglio a fine anno a seguito dell'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa. Norme di Capo III Lavoro a tempo parziale Art. 46. modifica al decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, e successive modifiche e integrazioni 1. Al decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, cosi' come modificato dal decreto legislativo 26 febbraio 2001, n. 100, sono apportate le seguenti modificazioni: a) all'articolo 1, comma 2, la lettera a) e' sostituita dalla seguente: «a) per "tempo pieno" l'orario normale di lavoro di cui all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, o l'eventuale minor orario normale fissato dai contratti collettivi applicati;»; b) all'articolo 1, il comma 3 e' sostituito dal seguente: «3. I contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie possono determinare condizioni e modalita' della prestazione lavorativa del rapporto di lavoro di cui al comma 2. I contratti collettivi nazionali possono, altresi', prevedere per specifiche figure o livelli professionali modalita' particolari di attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva ai sensi del presente decreto.»; c) all'articolo 1, il comma 4 e' sostituito dal seguente: «Le assunzioni a termine, di cui al decreto legislativo 9 ottobre 2001, n. 368, e successive modificazioni, di cui all'articolo 8 della legge 23 luglio 1991, n. 223, e di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, possono essere effettuate anche con rapporto a tempo parziale, ai sensi dei commi 2 e 3.»; d) all'articolo 3, il comma 1 e' sostituito dal seguente: «1. Nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale, anche a tempo determinato ai sensi dell'articolo 1 del decreto legislativo 9 ottobre 2001, n. 368, il datore di lavoro ha facolta' di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a quelle concordate con il lavoratore ai sensi dell'articolo 2, comma 2, nel rispetto di quanto previsto dai commi 2, 3 e 4.»; e) all'articolo 3, il comma 2 e' sostituito dal seguente: «2. I contratti collettivi stipulati dai soggetti indicati nell'articolo 1, comma 3, stabiliscono il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili e le relative causali in relazione alle quali si consente di richiedere ad un lavoratore a tempo parziale lo svolgimento di lavoro supplementare, nonche' le conseguenze del superamento delle ore di lavoro supplementare consentite dai contratti collettivi stessi.»; f) all'articolo 3, il comma 3 e' sostituito dal seguente: «3. L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede il consenso del lavoratore interessato ove non prevista e regolamentata dal contratto collettivo. Il rifiuto da parte del lavoratore non puo' integrare in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.»; g) all'articolo 3, il comma 4, ultimo periodo, e' soppresso; h) all'articolo 3, il comma 5 e' sostituito dal seguente: «5. Nel rapporto di lavoro a tempo parziale verticale o misto, anche a tempo determinato, e' consentito lo svolgimento di prestazioni lavorative straordinarie. A tali prestazioni si applica la disciplina legale e contrattuale vigente ed eventuali successive modifiche ed integrazioni in materia di lavoro straordinario nei rapporti a tempo pieno.»; i) all'articolo 3, il comma 6 e' abrogato; j) all'articolo 3, il comma 7 e' sostituito dal seguente: «7. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono, nel rispetto di quanto previsto dal presente comma e dai commi 8 e 9, concordare clausole flessibili relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione stessa. Nei rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto possono essere stabilite anche clausole elastiche relative alla variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa. I contratti collettivi, stipulati dai soggetti indicati nell'articolo 1, comma 3, stabiliscono: 1) condizioni e modalita' in relazione alle quali il datore di lavoro puo' modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa; 2) condizioni e modalita' in relazioni alle quali il datore di lavoro puo' variare in aumento la durata della prestazione lavorativa; 3) i limiti massimi di variabilita' in aumento della durata della prestazione lavorativa.»; k) all'articolo 3, il comma 8 e' sostituito dal seguente: «8. L'esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonche' di modificare la collocazione temporale della stessa comporta in favore del prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le parti, di almeno due giorni lavorativi, nonche' il diritto a specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme fissate dai contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3.»; l) all'articolo 3, il comma 9 e' sostituito dal seguente: «9. La disponibilita' allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale ai sensi del comma 7 richiede il consenso del lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro, reso, su richiesta del lavoratore, con l'assistenza di un componente della rappresentanza sindacale aziendale indicato dal lavoratore medesimo. L'eventuale rifiuto del lavoratore non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento.»; m) all'articolo 3, il comma 10 e' sostituito dal seguente: «10. L'inserzione nel contratto di lavoro a tempo parziale di clausole flessibili o elastiche ai sensi del comma 7 e' possibile anche nelle ipotesi di contratto di lavoro a termine.»; n) i commi 11, 12, 13 e 15 dell'articolo 3 sono soppressi; o) l'articolo 5 e' sostituito dal seguente: «Art. 5 (Tutela ed incentivazione del lavoro a tempo parziale). 1. Il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non costituisce giustificato motivo di licenziamento. Su accordo delle parti risultante da atto scritto, convalidato dalla direzione provinciale del lavoro competente per territorio, e' ammessa la trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. Al rapporto di lavoro a tempo parziale risultante dalla trasformazione si applica la disciplina di cui al presente decreto legislativo. 2. Il contratto individuale puo' prevedere, in caso di assunzione di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attivita' presso unita' produttive site nello stesso ambito comunale, adibiti alle stesse mansioni od a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali e' prevista l'assunzione. 3. In caso di assunzione di personale a tempo parziale il datore di lavoro e' tenuto a darne tempestiva informazione al personale gia' dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unita' produttive site nello stesso ambito comunale, anche mediante comunicazione scritta in luogo accessibile a tutti nei locali dell'impresa, ed a prendere in considerazione le eventuali domande di trasformazione a tempo parziale del rapporto dei dipendenti a tempo pieno. I contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3, possono provvedere ad individuare criteri applicativi con riguardo a tale disposizione. 4. Gli incentivi economici all'utilizzo del lavoro a tempo parziale, anche a tempo determinato, saranno definiti, compatibilmente con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, nell'ambito della riforma del sistema degli incentivi all'occupazione.»; p) il comma 2 dell'articolo 6 e' soppresso; q) l'articolo 7 e' soppresso; r) all'articolo 8, il comma 2 e' sostituito dal seguente: «L'eventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto delle indicazioni di cui all'articolo 2, comma 2, non comporta la nullita' del contratto di lavoro a tempo parziale. Qualora l'omissione riguardi la durata della prestazione lavorativa, su richiesta del lavoratore puo' essere dichiarata la sussistenza fra le parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del relativo accertamento giudiziale. Qualora invece l'omissione riguardi la sola collocazione temporale dell'orario, il giudice provvede a determinare le modalita' temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale con riferimento alle previsioni dei contratti collettivi di cui all'articolo 3, comma 7, o, in mancanza, con valutazione equitativa, tenendo conto in particolare delle responsabilita' familiari del lavoratore interessato, della sua necessita' di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo parziale mediante lo svolgimento di altra attivita' lavorativa, nonche' delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo antecedente la data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa. Nel corso del successivo svolgimento del rapporto, e' fatta salva la possibilita' di concordare per iscritto clausole elastiche o flessibili ai sensi dell'articolo 3, comma 3. In luogo del ricorso all'autorita' giudiziaria, le controversie di cui al presente comma ed al comma 1 possono essere, risolte mediante le procedure di conciliazione ed eventualmente di arbitrato previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro di cui all'articolo 1, comma 3.»; s) all'articolo 8, dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti: «2-bis. Lo svolgimento di prestazioni elastiche o flessibili di cui all'articolo 3, comma 7, senza il rispetto di quanto stabilito dall'articolo 3, commi 7, 8, 9 comporta a favore del prestatore di lavoro il diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno. 2-ter. In assenza di contratti collettivi datore di lavoro e prestatore di lavoro possono concordare direttamente l'adozione di clausole elastiche o flessibili ai sensi delle disposizioni che precedono.»; t) dopo l'articolo 12 e' aggiunto, in fine, il seguente: «Art. 12-bis (Ipotesi di trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale). - 1. I lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una ridotta capacita' lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l'azienda unita' sanitaria locale territorialmente competente, hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale. Il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno a richiesta del lavoratore. Restano in ogni caso salve disposizioni piu' favorevoli per il prestatore di lavoro.». Titolo VI APPRENDISTATO E CONTRATTO DI INSERIMENTO Capo I Apprendistato Art. 47. Definizione, tipologie e limiti quantitativi 1. Ferme restando le disposizioni vigenti in materia di diritto-dovere di istruzione e di formazione, il contratto di apprendistato e' definito secondo le seguenti tipologie: a) contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; b) contratto di apprendistato professionalizzante per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e un apprendimento tecnico-professionale; c) contratto di apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. 2. Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro puo' assumere con contratto di apprendistato non puo' superare il 100 per cento delle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il datore di lavoro stesso. Il datore di lavoro che non abbia alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che comunque ne abbia in numero inferiore a tre, puo' assumere apprendisti in numero non superiore a tre. La presente norma non si applica alle imprese artigiane per le quali trovano applicazione le disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443. 3. In attesa della regolamentazione del contratto di apprendistato ai sensi del presente decreto continua ad applicarsi la vigente normativa in materia. Art. 48. l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione 1. Possono essere assunti, in tutti i settori di attivita', con contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione i giovani e gli adolescenti che abbiano compiuto quindici anni. 2. Il contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e di formazione ha durata non superiore a tre anni ed e' finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale. La durata del contratto e' determinata in considerazione della qualifica da conseguire, del titolo di studio, dei crediti professionali e formativi acquisiti, nonche' del bilancio delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l'impiego o dai soggetti privati accreditati, mediante l'accertamento dei crediti formativi definiti ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53. 3. Il contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione e' disciplinato in base ai seguenti principi: a) forma scritta del contratto, contenente indicazione della prestazione lavorativa oggetto del contratto, del piano formativo individuale, nonche' della qualifica che potra' essere acquisita al termine del rapporto di lavoro sulla base degli esiti della formazione aziendale od extra-aziendale; b) divieto di stabilire il compenso dell'apprendista secondo tariffe di cottimo; c) possibilita' per il datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2118 del codice civile; d) divieto per il datore di lavoro di recedere dal contratto di apprendistato in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. 4. La regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato per Apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione e' rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale, nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi: a) definizione della qualifica professionale ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53; b) previsione di un monte ore di formazione, esterna od interna alla azienda, congruo al conseguimento della qualifica professionale in funzione di quanto stabilito al comma 2 e secondo standard minimi formativi definiti ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53; c) rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative per la determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle modalita' di erogazione della formazione aziendale nel rispetto degli standard generali fissati dalle regioni competenti; d) riconoscimento sulla base dei risultati conseguiti all'interno del percorso di formazione, esterna e interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali; e) registrazione della formazione effettuata nel libretto formativo; f) presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze adeguate. Art. 49. Apprendistato professionalizzante 1. Possono essere assunti, in tutti i settori di attivita', con contratto di apprendistato professionalizzante, per il conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e la acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico-professionali, i soggetti di eta' compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni. 2. Per soggetti in possesso di una qualifica professionale, conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, il contratto di apprendistato professionalizzante puo' essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di eta'. 3. I contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale o regionale stabiliscono, in ragione del tipo di qualificazione da conseguire, la durata del contratto di apprendistato professionalizzante che, in ogni caso, non puo' comunque essere inferiore a due anni e superiore a sei. 4. Il contratto di apprendistato professionalizzante e' disciplinato in base ai seguenti principi: a) forma scritta del contratto, contenente indicazione della prestazione oggetto del contratto, del piano formativo individuale, nonche' della eventuale qualifica che potra' essere acquisita al termine del rapporto di lavoro sulla base degli esiti della formazione aziendale od extra-aziendale; b) divieto di stabilire il compenso dell'apprendista secondo tariffe di cottimo; c) possibilita' per il datore di lavoro di recedere dal rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato ai sensi di quanto disposto dall'articolo 2118 del codice civile; d) possibilita' di sommare i periodi di apprendistato svolti nell'ambito del diritto-dovere di istruzione e formazione con quelli dell'apprendistato professionalizzante nel rispetto del limite massimo di durata di cui al comma 3. e) divieto per il datore di lavoro di recedere dal contratto di apprendistato in assenza di una giusta causa o di un giustificato motivo. 5. La regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato professionalizzante e' rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano regionale e nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi: a) previsione di un monte ore di formazione formale, interna o esterna alla azienda, di almeno centoventi ore per anno, per la acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali; b) rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative per la determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle modalita' di erogazione e della articolazione della formazione, esterna e interna alle singole aziende, anche in relazione alla capacita' formativa interna rispetto a quella offerta dai soggetti esterni; c) riconoscimento sulla base dei risultati conseguiti all'interno del percorso di formazione, esterna e interna alla impresa, della qualifica professionale ai fini contrattuali; d) registrazione della formazione effettuata nel libretto formativo; e) presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze adeguate. Art. 50. Apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione 1. Possono essere assunti, in tutti i settori di attivita', con contratto di apprendistato per conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, per il conseguimento di titoli di studio universitari e della alta formazione, nonche' per la specializzazione tecnica superiore di cui all'articolo 69 della legge 17 maggio 1999, n. 144, i soggetti di eta' compresa tra i diciotto anni e i ventinove anni. 2. Per soggetti in possesso di una qualifica professionale conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, il contratto di apprendistato di cui al comma 1 puo' essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di eta'. 3. Ferme restando le intese vigenti, la regolamentazione e la durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione e' rimessa alle regioni, per i soli profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le universita' e le altre istituzioni formative. Art. 51. Crediti formativi 1. La qualifica professionale conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione e di istruzione e formazione professionale. 2. Entro dodici mesi dalla entrata in vigore del presente decreto, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero dell'istruzione, della universita' e della ricerca, e previa intesa con le regioni e le province autonome definisce le modalita' di riconoscimento dei crediti di cui al comma che precede, nel rispetto delle competenze delle regioni e province autonome e di quanto stabilito nell'Accordo in Conferenza unificata Stato-regioni-autonomie locali del 18 febbraio 2000 e nel decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 31 maggio 2001. Art. 52. Repertorio delle professioni 1. Allo scopo di armonizzare le diverse qualifiche professionali e' istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il repertorio delle professioni predisposto da un apposito organismo tecnico di cui fanno parte il Ministero dell'istruzione, della universita' e della ricerca, le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale, e i rappresentanti della Conferenza Stato-regioni. Art. 53. Incentivi economici e normativi e disposizioni previdenziali 1. Durante il rapporto di apprendistato, la categoria di inquadramento del lavoratore non potra' essere inferiore, per piu' di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali e' finalizzato il contratto. 2. Fatte salve specifiche previsioni di legge o di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti. 3. In attesa della riforma del sistema degli incentivi alla occupazione, restano fermi gli attuali sistemi di incentivazione economica la cui erogazione sara' tuttavia soggetta alla effettiva verifica della formazione svolta secondo le modalita' definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con la Conferenza Stato-regioni. In caso di inadempimento nella erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalita' di cui agli articoli 48, comma 2, 49, comma 1, e 50, comma 1, il datore di lavoro e' tenuto a versare la quota dei contributi agevolati maggiorati del 100 per cento. 4. Resta ferma la disciplina previdenziale e assistenziale prevista dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25, e successive modificazioni e integrazioni. Capo II Contratto di inserimento Art. 54. Definizione e campo di applicazione 1. Il contratto di inserimento e' un contratto di lavoro diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l'inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro delle seguenti categorie di persone: a) soggetti di eta' compresa tra i diciotto e i ventinove anni; b) disoccupati di lunga durata da ventinove fino a trentadue anni; c) lavoratori con piu' di cinquanta anni di eta' che siano privi di un posto di lavoro; d) lavoratori che desiderino riprendere una attivita' lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno due anni; e) donne di qualsiasi eta' residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile determinato con apposito decreto del Ministro dei lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sia inferiore almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile; f) persone riconosciute affette, ai sensi della normativa vigente, da un grave handicap fisico, mentale o psichico. 2. I contratti di inserimento possono essere stipulati da: a) enti pubblici economici, imprese e loro consorzi; b) gruppi di imprese; c) associazioni professionali, socio-culturali, sportive; d) fondazioni; e) enti di ricerca, pubblici e privati; f) organizzazioni e associazioni di categoria. 3. Per poter assumere mediante contratti di inserimento i soggetti di cui al comma 2 devono avere mantenuto in servizio almeno il sessanta per cento dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia venuto a scadere nei diciotto mesi precedenti. A tale fine non si computano i lavoratori che si siano dimessi, quelli licenziati per giusta causa e quelli che, al termine del rapporto di lavoro, abbiano rifiutato la proposta di rimanere in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato, i contratti risolti nel corso o al termine del periodo di prova, nonche' i contratti non trasformati in rapporti di lavoro a tempo indeterminato in misura pari a quattro contratti. Agli effetti della presente disposizione si considerano mantenuti in servizio i soggetti per i quali il rapporto di lavoro, nel corso del suo svolgimento sia stato trasformato in rapporto di lavoro a tempo indeterminato. 4. La disposizione di cui al comma 3 non trova applicazione quando, nei diciotto mesi precedenti alla assunzione del lavoratore, sia venuto a scadere un solo contratto di inserimento. 5. Restano in ogni caso applicabili, se piu' favorevoli, le disposizioni di cui all'articolo 20 della legge 23 luglio 1991, n. 223, in materia di contratto di reinserimento dei lavoratori disoccupati. Art. 55. Progetto individuale di inserimento 1. Condizione per l'assunzione con contratto di inserimento e' la definizione, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento, finalizzato a garantire l'adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al contesto lavorativo. 2. I contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie determinano, anche all'interno degli enti bilaterali, le modalita' di definizione dei piani individuali di inserimento con particolare riferimento alla realizzazione del progetto, anche attraverso il ricorso ai fondi interprofessionali per la formazione continua, in funzione dell'adeguamento delle capacita' professionali del lavoratore, nonche' le modalita' di definizione e sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento diretti ad agevolare il conseguimento dell'obiettivo di cui al comma 1. 3. Qualora, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, non sia intervenuta, ai sensi del comma 2, la determinazione da parte del contratto collettivo nazionale di lavoro delle modalita' di definizione dei piani individuali di inserimento, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convoca le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori e le assiste al fine di promuovere l'accordo. In caso di mancata stipulazione dell'accordo entro i quattro mesi successivi, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua in via provvisoria e con proprio decreto, tenuto conto delle indicazioni contenute nell'eventuale accordo interconfederale di cui all'articolo 86, comma 13, e delle prevalenti posizioni espresse da ciascuna delle due parti interessate, le modalita' di definizione dei piani individuali di inserimento di cui al comma 2. 4. La formazione eventualmente effettuata durante l'esecuzione del rapporto di lavoro dovra' essere registrata nel libretto formativo. 5. In caso di gravi inadempienze nella realizzazione del progetto individuale di inserimento il datore di lavoro e' tenuto a versare la quota dei contributi agevolati maggiorati del 100 per cento. Art. 56. Forma 1. Il contratto di inserimento e' stipulato in forma scritta e in esso deve essere specificamente indicato il progetto individuale di inserimento di cui all'articolo 55. 2. In mancanza di forma scritta il contratto e' nullo e il lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato. Art. 57. Durata 1. Il contratto di inserimento ha una durata non inferiore a nove mesi e non puo' essere superiore ai diciotto mesi. In caso di assunzione di lavoratori di cui all'articolo 54, comma 1, lettera f), la durata massima puo' essere estesa fino a trentasei mesi. 2. Nel computo del limite massimo di durata non si tiene conto degli eventuali periodi dedicati allo svolgimento del servizio militare o di quello civile, nonche' dei periodi di astensione per maternita'. 3. Il contratto di inserimento non e' rinnovabile tra le stesse parti. Eventuali proroghe del contratto sono ammesse entro il limite massimo di durata indicato al comma 1. Art. 58. Disciplina del rapporto di lavoro 1. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale e dei contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie, ai contratti di inserimento si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368. 2. I contratti collettivi di cui al comma 1 possono stabilire le percentuali massime dei lavoratori assunti con contratto di inserimento. Art. 59. Incentivi economici e normativi 1. Durante il rapporto di inserimento, la categoria di inquadramento del lavoratore non puo' essere inferiore, per piu' di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali e' preordinato il progetto di inserimento oggetto del contratto. 2. Fatte salve specifiche previsioni di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di inserimento sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti. 3. In attesa della riforma del sistema degli incentivi alla occupazione, gli incentivi economici previsti dalla disciplina vigente in materia di contratto di formazione e lavoro trovano applicazione con esclusivo riferimento ai lavoratori di cui all'articolo 54, comma, 1, lettere b), c), d), e) ed f). Art. 60. Tirocini estivi di orientamento 1. Si definiscono tirocini estivi di orientamento i tirocini promossi durante le vacanze estive a favore di un adolescente o di un giovane, regolarmente iscritto a un ciclo di studi presso l'universita' o un istituto scolastico di ogni ordine e grado, con fini orientativi e di addestramento pratico. 2 Il tirocinio estivo di orientamento ha una durata non superiore a tre mesi e si svolge nel periodo compreso tra la fine dell'anno accademico e scolastico e l'inizio di quello successivo. Tale durata e' quella massima in caso di pluralita' di tirocini. 3. Eventuali borse lavoro erogate a favore del tirocinante non possono superare l'importo massimo mensile di 600 euro. 4. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi, non sono previsti limiti percentuali massimi per l'impiego di adolescenti o giovani al tirocinio estivo di orientamento. 5. Salvo quanto previsto ai commi precedenti ai tirocini estivi si applicano le disposizioni di cui all'articolo 18 della legge n. 196 del 1997 e al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale 25 marzo 1998, n. 142. Titolo VII TIPOLOGIE CONTRATTUALI A PROGETTO E OCCASIONALI Capo I Lavoro a progetto e lavoro occasionale Art. 61. Definizione e campo di applicazione 1. Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o piu' progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione della attivita' lavorativa. 2. Dalla disposizione di cui al comma 1 sono escluse le prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro, nel qual caso trovano applicazione le disposizioni contenute nel presente capo. 3. Sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le professioni intellettuali per l'esercizio delle quali e' necessaria l'iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo, nonche' i rapporti e le attivita' di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e societa' sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall'articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Sono altresi' esclusi dal campo di applicazione del presente capo i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle societa' e i partecipanti a collegi e commissioni, nonche' coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia. 4. Le disposizioni contenute nel presente capo non pregiudicano l'applicazione di clausole di contratto individuale o di accordo collettivo piu' favorevoli per il collaboratore a progetto. Art. 62. F o r m a 1. Il contratto di lavoro a progetto e' stipulato in forma scritta e deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi: a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro; b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto; c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonche' i tempi e le modalita' di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese; d) le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione lavorativa; e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall'articolo 66, comma 4. Art. 63. Corrispettivo 1. Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantita' e qualita' del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto. Art. 64. Obbligo di riservatezza 1. Salvo diverso accordo tra le parti il collaboratore a progetto puo' svolgere la sua attivita' a favore di piu' committenti. 2. Il collaboratore a progetto non deve svolgere attivita' in concorrenza con i committenti ne', in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di essi, ne' compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attivita' dei committenti medesimi. Art. 65. Invenzioni del collaboratore a progetto 1. Il lavoratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto. 2. I diritti e gli obblighi delle parti sono regolati dalle leggi speciali, compreso quanto previsto dall'articolo 12-bis della legge 22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni. Art. 66. Altri diritti del collaboratore a progetto 1. La gravidanza, la malattia e l'infortunio del collaboratore a progetto non comportano l'estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. 2. Salva diversa previsione del contratto individuale, in caso di malattia e infortunio la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il committente puo' comunque recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile. 3. In caso di gravidanza, la durata del rapporto e' prorogata per un periodo di centottanta giorni, salva piu' favorevole disposizione del contratto individuale. 4. Oltre alle disposizioni di cui alla legge 11 agosto 1973, n. 533, e successive modificazioni e integrazioni, sul processo del lavoro e di cui all'articolo 64 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, e successive modificazioni, ai rapporti che rientrano nel campo di applicazione del presente capo si applicano le norme sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui al decreto legislativo n. 626 del 1994 e successive modifiche e integrazioni, quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente, nonche' le norme di tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, le norme di cui all'articolo 51, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e del decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale in data 12 gennaio 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2001. Art. 67. Estinzione del contratto e preavviso 1. I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l'oggetto. 2. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalita', incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale. Art. 68. Rinunzie e transazioni 1. I diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente capo possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo V del presente decreto legislativo. Art. 69. rapporti di collaborazione coordinata e continuativa atipici e conversione del contratto 1. I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell'articolo 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto. 2. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato ai sensi dell'articolo 61 sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti. 3. Ai fini del giudizio di cui al comma 2, il controllo giudiziale e' limitato esclusivamente, in conformita' ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza del progetto, Divieto di programma di lavoro o fase di esso e non puo' essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente. Capo II Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti Art. 70. Definizione e campo di applicazione 1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attivita' lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, nell'ambito: a) dei piccoli lavori domestici a carattere straordinario, compresa la assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con handicap; b) dell'insegnamento privato supplementare; c) dei piccoli lavori di giardinaggio, nonche' di pulizia e manutenzione di edifici e monumenti; d) della realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli; e) della collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli dovuti a calamita' o eventi naturali improvvisi, o di solidarieta'. 2. Le attivita' lavorative di cui al comma 1, anche se svolte a favore di piu' beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attivita' che coinvolgono il lavoratore per una durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare e che, in ogni caso, non danno complessivamente luogo a compensi superiori a 3 mila euro sempre nel corso di un anno solare. Art. 71. Prestatori di lavoro accessorio 1. Possono svolgere attivita' di lavoro accessorio: a) disoccupati da oltre un anno; b) casalinghe, studenti e pensionati; c) disabili e soggetti in comunita' di recupero; d) lavoratori extracomunitari, regolarmente soggiornanti in Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro. 2. l soggetti di cui al comma 1, interessati a svolgere prestazioni di lavoro accessorio, comunicano la loro disponibilita' ai servizi per l'impiego delle province, nell'ambito territoriale di riferimento, o ai soggetti accreditati di cui all'articolo 7. A seguito della loro comunicazione i soggetti interessati allo svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio ricevono, a proprie spese, una tessera magnetica dalla quale risulti la loro condizione. Art. 72. Disciplina del lavoro accessorio 1. Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio i beneficiari acquistano presso le rivendite autorizzate uno o piu' carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio del valore nominale di 7,5 euro. 2. Il prestatore di prestazioni di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso presso uno o piu' enti o societa' concessionari di cui al comma 5 all'atto della restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio, in misura pari a 5,8 euro per ogni buono consegnato. Tale compenso e' esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio. 3. L'ente o societa' concessionaria provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni per prestazioni di lavoro accessorio, registrando i dati anagrafici e il codice fiscale e provvedendo per suo conto al versamento dei contributi per fini previdenziali all'INPS, alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge n. 335 del 1995, in misura di 1 euro e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL, in misura di 0,5 euro. 4. L'ente o societa' concessionaria trattiene l'importo di 0,2 euro, a titolo di rimborso spese. 5. Entro sessanta giorni dalla entrata in vigore delle disposizioni contenute nel presente decreto legislativo il Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua gli enti e le societa' concessionarie alla riscossione dei buoni, nonche' i soggetti autorizzati alla vendita dei buoni e regolamenta, con apposito decreto, criteri e modalita' per il versamento dei contributi di cui al comma 3 e delle relative coperture assicurative e previdenziali. Art. 73. Coordinamento informativo a fini previdenziali 1. Al fine di verificare, mediante apposita banca dati informativa, l'andamento delle prestazioni di carattere previdenziale e delle relative entrate contributive, conseguenti allo sviluppo delle attivita' di lavoro accessorio disciplinate dalla presente legge, anche al fine di formulare proposte per adeguamenti normativi delle disposizioni di contenuto economico di cui all'articolo che precede, l'INPS e l'INAIL stipulano apposita convenzione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 2. Decorsi diciotto mesi dalla entrata in vigore del presente provvedimento il Ministero del lavoro e delle politiche sociali predispone, d'intesa con INPS e INAIL, una relazione sull'andamento del lavoro occasionale di tipo accessorio e ne riferisce al Parlamento. Art. 74. Prestazioni che esulano dal mercato del lavoro 1. Con specifico riguardo alle attivita' agricole non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti e affini sino al terzo grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori. Titolo VIII PROCEDURE DI CERTIFICAZIONE Capo I Certificazione dei contratti di lavoro Art. 75. Finalita' 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale e a progetto di cui al presente decreto, nonche' dei contratti di associazione in partecipazione di cui agli articoli 2549-2554 del codice civile, le parti possono ottenere la certificazione del contratto secondo la procedura volontaria stabilita nel presente Titolo. Art. 76. Organi di certificazione 1. Sono organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro le commissioni di certificazione istituite presso: a) gli enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a competenza nazionale; b) le Direzioni provinciali del lavoro e le province, secondo quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali entro sessanta giorni dalla entrata in vigore del presente decreto; c) le universita' pubbliche e private, comprese le Fondazioni universitarie, registrate nell'albo di cui al comma 2, esclusivamente nell'ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo ai sensi dell'articolo 66 del decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382. 2. Per essere abilitate alla certificazione ai sensi del comma 1, le universita' sono tenute a registrarsi presso un apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'istruzione, della universita' e della ricerca. Per ottenere la registrazione le universita' sono tenute a inviare, all'atto della registrazione e ogni sei mesi, studi ed elaborati contenenti indici e criteri giurisprudenziali di qualificazione dei contratti di lavoro con riferimento a tipologie di lavoro indicate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. 3. Le commissioni istituite ai sensi dei commi che precedono possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di una commissione unitaria di certificazione. Art. 77. Competenza 1. Nel caso in cui le parti intendano presentare l'istanza di avvio della procedura di certificazione presso le commissioni di cui all'articolo 76, comma 1, lettera b), le parti stesse devono rivolgersi alla commissione nella cui circoscrizione si trova l'azienda o una sua dipendenza alla quale sara' addetto il lavoratore. Nel caso in cui le parti intendano presentare l'istanza di avvio della procedura di certificazione alle commissioni istituite a iniziativa degli enti bilaterali, esse devono rivolgersi alle commissioni costituite dalle rispettive associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro. Art. 78. Procedimento di certificazione e codici di buone pratiche 1. La procedura di certificazione e' volontaria e consegue obbligatoriamente a una istanza scritta comune delle parti del contratto di lavoro. 2. Le procedure di certificazione sono determinate all'atto di costituzione delle commissioni di certificazione e si svolgono nel rispetto dei codici di buone pratiche di cui al comma 4, nonche' dei seguenti principi: a) l'inizio del procedimento deve essere comunicato alla Direzione provinciale del lavoro che provvede a inoltrare la comunicazione alle autorita' pubbliche nei confronti delle quali l'atto di certificazione e' destinato a produrre effetti. Le autorita' pubbliche possono presentare osservazioni alle commissioni di certificazione; b) il procedimento di certificazione deve concludersi entro il termine di trenta giorni dal ricevimento della istanza; c) l'atto di certificazione deve essere motivato e contenere il termine e l'autorita' cui e' possibile ricorrere; d) l'atto di certificazione deve contenere esplicita menzione degli effetti, civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione. 3. I contratti di lavoro certificati, e la relativa pratica di documentazione, devono essere conservati presso le sedi di certificazione, per un periodo di almeno cinque anni a far data dalla loro scadenza. Copia del contratto certificato puo' essere richiesta dal servizio competente di cui all'articolo 4-bis, comma 5, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, oppure dalle altre autorita' pubbliche nei confronti delle quali l'atto di certificazione e' destinato a produrre effetti. 4. Entro sei mesi dalla entrata in vigore del presente decreto legislativo, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali adotta con proprio decreto codici di buone pratiche per l'individuazione delle clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi. Tali codici recepiscono, ove esistano, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale. 5. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali vengono altresi' definiti appositi moduli e formulari per la certificazione del contratto o del relativo programma negoziale, che tengano conto degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo o subordinato, in relazione alle diverse tipologie di lavoro. Art. 79. Efficacia giuridica della certificazione Gli effetti dell'accertamento dell'organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell'articolo 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari. Art. 80. Rimedi esperibili nei confronti della certificazione 1. Nei confronti dell'atto di certificazione, le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l'atto stesso e' destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso, presso l'autorita' giudiziaria di cui all'articolo 413 del codice di procedura civile, per erronea qualificazione del contratto oppure difformita' tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Sempre presso la medesima autorita' giudiziaria, le parti del contratto certificato potranno impugnare l'atto di certificazione anche per vizi del consenso. 2. L'accertamento giurisdizionale dell'erroneita' della qualificazione ha effetto fin dal momento della conclusione dell'accordo contrattuale. L'accertamento giurisdizionale della difformita' tra il programma negoziale e quello effettivamente realizzato ha effetto a partire dal momento in cui la sentenza accerta che ha avuto inizio la difformita' stessa. 3. Il comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia davanti alla commissione di certificazione potra' essere valutato dal giudice del lavoro, ai sensi degli articoli 9, 92 e 96 del codice di procedura civile. 4. Chiunque presenti ricorso giurisdizionale contro la certificazione ai sensi dei precedenti commi 1 e 3, deve previamente rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione che ha adottato l'atto di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura civile. 5. Dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto, puo' essere presentato ricorso contro l'atto certificatorio per violazione del procedimento o per eccesso di potere. Art. 81. Attivita' di consulenza e assistenza alle parti 1. Le sedi di certificazione di cui all'articolo 75 svolgono anche funzioni di consulenza e assistenza effettiva alle parti contrattuali, sia in relazione alla stipulazione del contratto di lavoro e del relativo programma negoziale sia in relazione alle modifiche del programma negoziale medesimo concordate in sede di attuazione del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla disponibilita' dei diritti e alla esatta qualificazione dei contratti di lavoro. Capo II Altre ipotesi di certificazione Art. 82. Rinunzie e transazioni 1. Le sedi di certificazione di cui all'articolo 76, comma 1, lettera a), del presente decreto legislativo sono competenti altresi' a certificare le rinunzie e transazioni di cui all'articolo 2113 del codice civile a conferma della volonta' abdicativa o transattiva delle parti stesse. Art. 83. Deposito del regolamento interno delle cooperative 1. La procedura di certificazione di cui al capo I e' estesa all'atto di deposito del regolamento interno delle cooperative riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori, ai sensi dell'articolo 6 della legge 3 aprile 2001, n. 142, e successive modificazioni. La procedura di certificazione attiene al contenuto del regolamento depositato. 2. Nell'ipotesi di cui al comma 1, la procedura di certificazione deve essere espletata da specifiche commissioni istituite nella sede di certificazione di cui all'articolo 76, comma 1, lettera b). Tali commissioni sono presiedute da un presidente indicato dalla provincia e sono costituite, in maniera paritetica, da rappresentanti delle associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori, comparativamente piu' rappresentative. Art. 84. Interposizione illecita e appalto genuino 1. Le procedure di certificazione di cui al capo primo possono essere utilizzate, sia in sede di stipulazione di appalto di cui all'articolo 1655 del codice civile sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale, anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto ai sensi delle disposizioni di cui al Titolo III del presente decreto legislativo. 2. Entro sei mesi dalla entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali adotta con proprio decreto codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino, che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della assunzione effettiva del rischio tipico di impresa da parte dell'appaltatore. Tali codici e indici presuntivi recepiscono, ove esistano, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali o di categoria stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale. Titolo IX DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI Art. 85. Abrogazioni 1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo sono abrogati: a) l'articolo 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264; b) l'articolo 2, comma 2, e l'articolo 3 della legge 19 gennaio 1955, n. 25; c) la legge 23 ottobre 1960, n. 1369; d) l'articolo 21, comma 3 della legge 28 febbraio 1987, n. 56; e) gli articoli 9-bis, comma 3 e 9-quater, commi 4 e 18, quest'ultimo limitatamente alla violazione degli obblighi di comunicazione, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608; f) gli articoli da 1 a 11 della legge 24 giugno 1997, n. 196; g) l'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 72; h) l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 7 luglio 2000, n. 442; i) tutte le disposizioni legislative e regolamentari incompatibili con il presente decreto. 2. All'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, le parole da: «Il datore di lavoro» fino a: «dello stesso» sono soppresse. Art. 86. Norme transitorie e finali 1. Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente, che non possono essere ricondotte a un progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento. Termini diversi, anche superiori all'anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente potranno essere stabiliti nell'ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime di cui al presente decreto, stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente piu' rappresentativi sul piano nazionale. 2. Al fine di evitare fenomeni elusivi della disciplina di legge e contratto collettivo, in caso di rapporti di associazione in partecipazione resi senza una effettiva partecipazione e adeguate erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione corrispondente del medesimo settore di attivita', o in mancanza di contratto collettivo, in una corrispondente posizione secondo il contratto di settore analogo, a meno che il datore di lavoro, o committente, o altrimenti utilizzatore non comprovi, con idonee attestazioni o documentazioni, che la prestazione rientra in una delle tipologie di lavoro disciplinate nel presente decreto ovvero in un contratto di lavoro subordinato speciale o con particolare disciplina, o in un contratto nominato di lavoro autonomo, o in altro contratto espressamente previsto nell'ordinamento. 3. In relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle disposizioni di cui agli articoli da 1 a 11 della legge 24 giugno 1997, n. 196, le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera a), della medesima legge e vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, mantengono, in via transitoria e salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi nazionali di lavoro, con esclusivo riferimento alla determinazione per via contrattuale delle esigenze di carattere temporaneo che consentono la somministrazione di lavoro a termine. Le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 1, comma 3, della legge 24 giugno 1997, n. 196, vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, mantengono la loro efficacia fino a diversa determinazione delle parti stipulanti o recesso unilaterale. 4. Le disposizioni di cui all'articolo 26-bis della legge 24 giugno 1997, n. 196, e di cui al n. 5-ter dell'articolo 2751-bis del codice civile si intendono riferiti alla disciplina della somministrazione prevista dal presente decreto. 5. Ferma restando la disciplina di cui all'articolo 17, comma 1, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, come sostituito dall'articolo 3 della legge 30 giugno 2000, n. 186, i riferimenti che lo stesso articolo 17 fa alla legge 24 giugno 1997, n. 196, si intendono riferiti alla disciplina della somministrazione di cui al presente decreto. 6. Per le societa' di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, ricollocamento professionale gia' autorizzate ai sensi della normativa previgente opera una disciplina transitoria e di raccordo definita con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali entro trenta giorni dalla entrata in vigore del presente decreto. In attesa della disciplina transitoria restano in vigore le norme di legge e regolamento vigenti alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. 7. L'obbligo di comunicazione di cui al comma 4 dell'articolo 4-bis del decreto legislativo n. 181 del 2000 si intende riferito a tutte le imprese di somministrazione, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. 8. Il Ministro per la funzione pubblica convoca le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche per esaminare i profili di armonizzazione conseguenti alla entrata in vigore del presente decreto legislativo entro sei mesi anche ai fini della eventuale predisposizione di provvedimenti legislativi in materia. 9. La previsione della trasformazione del rapporto di lavoro di cui all'articolo 27, comma 1, non trova applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni cui la disciplina della somministrazione trova applicazione solo per quanto attiene alla somministrazione di lavoro a tempo determinato. La vigente disciplina in materia di contratti di formazione e lavoro, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 59, comma 3, trova applicazione esclusivamente nei confronti della pubblica amministrazione. Le sanzioni amministrative di cui all'articolo 19 si applicano anche nei confronti della pubblica amministrazione. 10. All'articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, sono apportate le seguenti modificazioni: a) la lettera b) e' sostituita dalla seguente: «b) chiede alle imprese esecutrici una dichiarazione dell'organico medio annuo, distinto per qualifica, nonche' una dichiarazione relativa al contratto collettivo stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative, applicato ai lavoratori dipendenti;»; b) dopo la lettera b) sono aggiunte, in fine, le seguenti: «b-bis) chiede un certificato di regolarita' contributiva. Tale certificato puo' essere rilasciato, oltre che dall'INPS e dall'INAIL, per quanto di rispettiva competenza, anche dalle casse edili le quali stipulano una apposita convenzione con i predetti istituti al fine del rilascio di un documento unico di regolarita' contributiva; b-ter) trasmette all'amministrazione concedente, prima dell'inizio dei lavori oggetto della concessione edilizia o all'atto della presentazione della denuncia di inizio attivita', il nominativo dell'impresa esecutrice dei lavori unitamente alla documentazione di cui alle lettere b) e b-bis).». 11. L'abrogazione ad opera dell'articolo 8 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n. 297, della disciplina dei compiti della commissione regionale per l'impiego di cui all'articolo 5 della legge 28 febbraio 1987, n. 56, non si intende riferita alle regioni a statuto speciale per le quali non sia effettivamente avvenuto il trasferimento delle funzioni in materia di lavoro ai sensi del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469. 12. Le disposizioni di cui agli articoli 13, 14, 34, comma 2, di cui al Titolo III e di cui al Titolo VII, capo II, Titolo VIII hanno carattere sperimentale. Decorsi diciotto mesi dalla data di entrata in vigore, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali procede, sulla base delle informazioni raccolte ai sensi dell'articolo 17, a una verifica con le organizzazioni sindacali, dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale degli effetti delle disposizioni in esso contenute e ne riferisce al Parlamento entro tre mesi ai fini della valutazione della sua ulteriore vigenza. 13. Entro i cinque giorni successivi alla entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convoca le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale al fine di verificare la possibilita' di affidare a uno o piu' accordi interconfederali la gestione della messa a regime del presente decreto, anche con riferimento al regime transitorio e alla attuazione dei rinvii contenuti alla contrattazione collettiva. 14. L'INPS provvede al monitoraggio degli effetti derivanti dalle misure del presente decreto, comunicando i risultati al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle finanze, anche ai fini della adozione dei provvedimenti correttivi di cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni, ovvero delle misure correttive da assumere ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera i-quater della medesima legge. Limitatamente al periodo strettamente necessario alla adozione dei predetti provvedimenti correttivi, alle eventuali eccedenze di spesa rispetto alle previsioni a legislazione vigente si provvede mediante corrispondente rideterminazione, da effettuare con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, degli interventi posti a carico del Fondo di cui all'articolo 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazione, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236. Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo osservare. Dato a Roma, addi' 10 settembre 2003 CIAMPI Berlusconi, Presidente Consiglio dei Ministri del Maroni, Ministro del lavoro e delle politiche sociali Prestigiacomo, Ministro per le pari opportunita' Mazzella, Ministro per la funzione pubblica Moratti, Ministro dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca La Loggia, Ministro per gli affari regionali Tremonti, Ministro dell'economia e delle finanze Visto, il Guardasigilli: Castelli Piano d'azione nazionale per l'occupazione 2004 Allegati Piano d'azione nazionale per l'occupazione 2004 INTRODUZIONE Il Piano Nazionale d’Azione per l’Occupazione (NAP) rappresenta il documento programmatico con cui gli Stati membri dell’Unione Europea, con un ciclo a cadenza triennale, illustrano le linee guida delle politiche del lavoro adottate nel corso dell’anno precedente ed indicano le linee d’azione per il triennio successivo. Obiettivo del NAP è quello di innestare nella Strategia di Lisbona le politiche della Strategia per l’Occupazione con lo scopo di innalzare il tasso di occupazione e di ridurre la disoccupazione, in particolare quella dei giovani, delle donne e degli ultracinquantenni. Il NAP si colloca come documento successivo al Documento di Programmazione Economico-Finanziaria e contemporaneo all’adozione, da parte del Consiglio dei Ministri, della Legge Finanziaria. Esso è dunque parte integrante delle scelte di politica economica, da cui assume il quadro di riferimento macro-economico e le risorse finanziarie disponibili per l’attuazione delle politiche ivi previste. Il Piano 2004 è diverso da quello presentato lo scorso anno perché il ciclo triennale della Strategia per l’Occupazione prevede che in questa annualità si proceda soltanto ad un aggiornamento degli interventi attuati. Il prossimo anno, invece, vi sarà una completa azione di valutazione delle politiche intraprese nel corso del triennio e degli effetti sul mercato del lavoro italiano. Peraltro, in quella occasione si dovranno analizzare i risultati conseguiti a cinque anni dalla nuova Strategia per l’Occupazione, il grado di raggiungimento degli obiettivi, le criticità determinatesi. Inoltre, il NAP 2004 è il primo tentativo di rispondere alle conclusioni del Rapporto Kok I, e alle sollecitazioni da questo derivanti per interventi volti a favorire l’adattabilità, lo sviluppo del capitale umano, l’occupabilità, una governance efficace. Il NAP 2004 reitera l’importanza per il Governo delle politiche strutturali adottate a partire dal 2001, ed in particolare la legge Biagi di riforma del mercato del lavoro, la legge Bossi-Fini per la gestione dei flussi migratori e la legge di riforma dell’istruzione e formazione professionale. A queste si deve aggiungere la riforma del sistema previdenziale approvata nel luglio scorso, che ha completato il quadro degli strumenti necessari per garantire una società attiva, giusta, ed inclusiva. Queste politiche contribuiscono ad accrescere l’occupazione, a migliorare la qualità del mercato del lavoro, ad innalzare il livello del capitale umano, a costruire un futuro più sicuro e sostenibile. La redazione del NAP 2004, coordinata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è stata affidata ad un gruppo di lavoro presieduto dal Sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi. Alla sua stesura hanno partecipato i Ministeri dell’Economia e Finanze, dell’Istruzione, Università e Ricerca, delle Attività Produttive, nonché i Dipartimenti della Funzione Pubblica, dell’Innovazione e Tecnologie e delle Pari Opportunità. Il NAP è stato discusso e approvato nel Consiglio dei Ministri del 28 Ottobre 2004. La stesura del NAP 2004 ha registrato la stretta e positiva collaborazione con le Regioni e le Province autonome e il loro Coordinamento Interregionale, supportato dalla partecipazione della Tecnostruttura delle Regioni per il Fondo Sociale Europeo. La cooperazione nella predisposizione di questo documento è una chiara testimonianza di una gestione condivisa negli obiettivi delle riforme strutturali necessarie per accrescere l’occupazione e migliorare la qualità del lavoro, quale solo può derivare dal progressivo consolidarsi di una sussidiarietà verticale virtuosa. Altrettanto positivo, infatti, si è rivelato il confronto con le Province e le Autonomie locali. Il NAP è stato approvato dalla Conferenza unificata Stato-Regioni-Città ed Autonomie locali del …..ottobre 2004. Continuo è stato il confronto con le parti sociali nella preparazione del Piano 2004. Nello spirito del dialogo sociale europeo, le parti sociali hanno elaborato quest’anno un documento comune, entrato pienamente a fare parte del NAP 2004, nel quale hanno espresso una loro valutazione, a volte non unanime e conservando posizioni autonome, sulle riforme strutturali adotatte dal Governo. Esse inoltre hanno formulato osservazioni e commenti durante la predisposizione del documento che sono state valutate con attenzione, poiché il successo nell’opera di modernizzazione dell’Italia dipenderà anche dai percorsi innovativi che sapranno scegliere nell’attuazione delle riforme strutturali, ed in particolare in quella del mercato del lavoro. PIANO D'AZIONE NAZIONALE PER L'OCCUPAZIONE 2004 INDICE A Le politiche nazionali per l’occupazione: progressi verso i tre obiettivi generali pag 1 La situazione del mercato del lavoro Le politiche di intervento B Risposta alle Linee Guida specifiche pag 4 GL1: Misure attive e preventive per le persone disoccupate e inattive GL2: Creazione di posti di lavoro e imprenditorialità GL3: Affrontare il cambiamento e promuovere l’adattabilità e la mobilità nel mercato del lavoro GL4: Promuovere lo sviluppo del capitale umano e l’apprendimento lungo l’arco della vita GL5: Aumentare la disponibilità di manodopera e promuovere l’invecchiamento attivo GL6: Parità uomo-donna GL7: Promuovere l’integrazione delle persone svantaggiate sul mercato del lavoro e combattere la discriminazione nei loro confronti GL8: Far si che il lavoro paghi attraverso incentivi finanziari per aumentare l’attrattiva del lavoro GL9: Trasformare il lavoro nero in occupazione regolare GL10: Affrontare le disparità regionali in materia di occupazione C Risposta alle raccomandazioni del Consiglio pag 26 1. Raccomandazione comune: aumentare l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese. 2. Raccomandazione comune: attrarre più persone ad entrare e rimanere nel mercato del lavoro: rendere il lavoro una vera opportunità per tutti. 3. Raccomandazione comune: investire maggiormente e con più efficacia nel capitale umano e nella formazione continua. 4. Raccomandazione comune: assicurare effettiva attuazione alle riforme attraverso una migliore governance. D Dialogo istituzionale e sociale Relazioni tra le parti sociali e il governo Relazioni tra le parti sociali pag 32 A. LE POLITICHE NAZIONALI PER L’OCCUPAZIONE PROGRESSI VERSO I TRE OBIETTIVI GENERALI La situazione del mercato del lavoro Nel mese di settembre 2004 l’ISTAT ha diffuso i primi dati (riguardanti i primi due trimestri del 2004) derivanti dalla nuova indagine continua sulle forze lavoro1. Allo scopo di rendere i dati della vecchia indagine trimestrale coerenti con i nuovi dati, è stata inoltre effettuata una revisione dell’intera serie storica (diffusa per adesso solo per quanto riguarda i principali aggregati), dall’ottobre 1992 ad oggi. La ricostruzione presenta dati complessivamente più positivi per il mercato del lavoro italiano, con più elevati livelli dei tassi di occupazione e una più ridotta disoccupazione. La tendenza del mercato del lavoro italiano rimane positiva. Nonostante un ciclo economico debole (+ 0,3% del PIL), nel 2003 l’Italia fa registrare, per l’ottavo anno consecutivo, un consistente incremento occupazionale (+328 mila unità). Il tasso di crescita rispetto al 2002 è stato dell’1,5%, mantenendosi in linea con gli anni precedenti ed il numero di occupati ha superato la barriera dei 22 milioni di unità (22 milioni e 241 mila). Ciò mentre il rallentamento della crescita economica in Europa ha avuto conseguenze negative sulla crescita dell’occupazione, che ha fatto registrare una significativa frenata, con disoccupazione in aumento. La crescita dell’occupazione ha riguardato sia i lavoratori dipendenti che quelli indipendenti, i quali recuperano, quindi, rispetto agli anni precedenti. Nel corso degli ultimi dodici mesi, secondo la nuova rilevazione Istat, inoltre, si registra un vistoso aumento degli occupati a tempo indeterminato mentre diminuisce la quota di contratti a termine. Questa diminuzione, che porta a 8,6% la quota sugli occupati, appare dovuta interamente alla componente maschile poiché la componente femminile registra un incremento. Dal punto di vista settoriale la crescita è stata trainata soprattutto dal settore delle costruzioni, mentre il solo settore agricolo continua a registrare un calo che perdura ormai da molti anni. La prima lettura di questi dati, dunque, sembra indicare un andamento molto positivo del mercato del lavoro in Italia con maggiore occupazione, più stabilità e con lo sviluppo di tipologie contrattuali che meglio si adattano alle esigenze dei lavoratori, in particolare all’occupazione femminile. Nello stesso tempo, questi risultati dovrebbe ridimensionare le paure per una crescente precarizzazione del mercato del lavoro, dovuta all’introduzione di nuove forme di contratto e alla piena trasparenza dei meccanismi di domanda e offerta. La crescita dell’occupazione appare anche dovuta all’effetto di progressiva emersione del sommerso, un effetto di tipo indiretto ma che comunque segnalerebbe che l’introduzione di tipologie contrattuali più flessibili possa erodere alcune fasce di lavoro sommerso, favorendone l’emersione. Migliorano anche tutti i principali indicatori: il tasso di occupazione complessivo raggiunge il 57,5 (era il 56,7 nel 2002) e quello delle donne il 45,1 (dal 44,4) ed il tasso di disoccupazione scende all’8,4%. La tendenza positiva si è mantenuta anche nei primi due trimestri del 2004, nei quali, tuttavia, si registra un lieve rallentamento della crescita. Positiva anche la performance dei “meno giovani”, per i quali i dati della vecchia indagine indicavano un recupero del tasso di occupazione superiore ad un punto percentuale (la ricostruzione delle serie storiche non è ancora disponibile per questa fascia di popolazione). Il quadro positivo nasconde tuttavia tendenze diversificate all’interno dell’Italia: la crescita dell’occupazione si è infatti concentrata soprattutto nel Centro e, in minor misura, nel Nord del Paese. Al contrario il Mezzogiorno, già caratterizzato da performance meno brillanti, ha fatto registrare una lieve flessione (-0,4%), che tuttavia non si è comunque ripercossa in una crescita della disoccupazione, quanto in una riduzione dell’offerta di lavoro. Come conseguenza di tali tendenze, il divario tra i tassi di occupazione nelle due macroaree è pari ad oltre 17 punti (22 per le donne). Alla luce dei dati risultanti dalla nuova ricostruzione della serie storica, l’obiettivo di raggiungere nel 2005 un tasso di occupazione del 58,5% appare senz’altro percorribile, come pure sembra raggiungibile un tasso di occupazione femminile Le modifiche metodologiche apportate all’indagine sulle forze di lavoro (rese necessarie anche dalla necessità di adeguarsi al Regolamento Comunitario n. 577/98) hanno interessato aspetti di rilevante importanza quali la tecnica e la tempistica con cui la rilevazione viene eseguita, il frame per l’individuazione degli occupati e dei disoccupati e, in misura meno rilevante, la struttura del campione (allo stesso tempo l’ISTAT ha anche aggiornato alle risultanze censuarie le tecniche di riporto all’universo dei dati campionari). Per dettagli circa le modifiche operate nella nuova rilevazione continua si veda ISTAT, La nuova rilevazione sulle forze di lavoro, giugno 2004, reperibile presso l’indirizzo internet http://www.istat.it/Lavoro.index.htm). 1 1 pari al 46%; perché tale obiettivo venga raggiunto, è tuttavia necessario puntare soprattutto ad accrescere l’occupazione nella fasce di popolazione che hanno maggiori margini, ed in particolare nel Mezzogiorno, sia tra i maschi che, soprattutto nella componente femminile. FIGURA 1 65,0 60,0 target 2005 55,0 50,0 target 2005 Nord e Centro Mezzogiorno Italia 45,0 40,0 35,0 30,0 Tasso di occupazione complessivo Tasso di occupazione femminile Esaminando più in dettaglio alcune tendenze, si deve osservare nell’ultimo anno – dati non ricostruiti – un forte incremento degli occupati nella fascia di età tra i 50 e i 59 anni, con +152 mila occupati in più rispetto all’anno precedente. In particolare, se si considera separatamente la fascia 55-64 anni, si evidenzia a livello nazionale ancora un tasso di occupazione del 30,3%. Sulle serie storiche di indicatori quali la partecipazione e l’occupazione degli individui over 55 influiscono fattori demografici e sociali che possono essere di supporto nell’interpretazione di un contesto nel quale il tasso di occupazione (e partecipazione al mercato del lavoro) maschile risulta più alto in quei contesti territoriali – il Centro Sud - dove i percorsi lavorativi sono spesso meno lineari. Anche la partecipazione al mercato del lavoro delle donne in età superiore ai 55 anni è cresciuta nelle regioni Centro-Settentrionali dove un mercato maggiormente dinamico ha favorito e stimolato l’offerta di lavoro. Per quanto attiene alla occupazione femminile,l’incremento tendenziale più forte di quello della componente maschile, determina il ridursi del gap occupazionale, così come quello relativo ai tassi di disoccupazione. I dati statistici, inoltre, sembrano indicare una crescita rilevante delle donne che lavorano con un contratto a tempo parziale –mentre gli uomini in tempo parziale diminuiscono- mostrando, dunque, come questa tipologia di lavoro presenti una non trascurabile capacità di crescita tra le donne e possa contribuire al loro avvicinamento al mercato del lavoro. Le politiche di intervento Le politiche di intervento adotatte nel corso del 2003-2004 hanno avuto come obiettivo quello di sostenere le tendenze positive del mercato del lavoro, al fine di accrescere il tasso di occupazione – che resta ancora troppo basso in Italia- e di attirare sul mercato quelle fasce di popolazione che ne sono escluse: donne, ultracinquantenni, giovani del Mezzogiorno. In secondo luogo, esse hanno avuto lo scopo di diminuire il periodo di tempo trascorso nelle ricerca di un nuovo impiego o nella condizione di disoccupazione. L’Italia si è iscritta, dunque, a pieno titolo nella Strategia di Lisbona, promuovendo adeguate politiche di “welfare to work” e sviluppando azioni di valorizzazione del capitale umano. A questo scopo si è accelerato il processo di adozione degli atti regolamentari e amministrativi necessari per attuare pienamente la legge Biagi, processo che ormai è quasi ultimato. La legge Biagi, intervenendo da un lato sul mercato, dall’altro sulle tipologie contrattuali può assicurare, infatti, una maggiore trasparenza nei meccanismi di incontro tra 2 domanda e offerta e, ugualmente, può garantire alle imprese di beneficiare delle opportunità della competizione internazionale senza, però, penalizzare i lavoratori e, anzi, migliorando la qualità del lavoro. L’attuazione della legge Biagi è stata accompagnata da una azione a livello microeconomico volta a favorire l’emersione del lavoro irregolare. Il conseguimento di avvisi comuni tra Governo e parti sociali nel settore dell’edilizia e in quello dell’agricoltura, tradizionalmente i più esposti a questo fenomeno, ha rappresentato un significativo risultato nella lotta al lavoro nero e per promuovere un lavoro di qualità superiore. L’introduzione di maggiori flessibilità non ha indotto fenomeni di segmentazione del mercato del lavoro. Come abbiamo appena visto, i dati indicano anzi una caduta della quota dei contratti a termine, effetto questo sia di un non utilizzo di questa tipologia contrattuale in una situazione di incertezza economica, sia nelle difficoltà del sistema a gestire strumenti nuovi e che producono cambiamenti organizzativi significativi. Nonostante ciò, il Governo considera ora prioritaria il riordino del sistema di sostegni al reddito (ammortizzatori sociali) il cui iter intende accelerare in Parlamento. Il riordino del sistema degli ammortizzatori sociali si fonda sul principio che, pure garantendo una serie di strumenti di sostegno al reddito, deve essere scoraggiato ogni atteggiamento di tipo passivo, ogni pratica che tende a favorire una uscita prematura dal mercato del lavoro, ogni abitudine ad usare in maniera ripetuta di questo sostegno reddituale. Al contrario, le azioni di sostegno all’erogazione monetaria devono fondarsi su rigidi criteri di accesso, su solide azioni di formazione e addestramento, sull’incentivazione di atteggiamenti attivi o pro-attivi. Essenziale sarà il supporto delle Regioni e delle parti sociali nella definizione dei programmi formativi e di ricollocamento dei lavoratori. 3 B. RISPOSTA ALLE LINEE GUIDA SPECIFICHE GL1: Misure attive e preventive per le persone disoccupate e inattive 1.1 Attuazione della riforma Biagi e del collocamento La riforma del mercato del lavoro, avviata con l’approvazione della Legge Biagi e del Decreto legislativo 276/03, sta trovando la sua progressiva attuazione mediante atti regolamentari e contratti collettivi. In particolare, nel corso del 2004: • è stata ampliata la platea dei soggetti abilitati a svolgere attività di collocamento al lavoro. I Centri per l’impiego provinciali sono ora affiancati da altri organismi, pubblici o privati, autorizzati o accreditati mediante un regime unico di accreditamento regionale. Sono state introdotte le Agenzie per il lavoro che, una volta autorizzate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, possono svolgere attività di somministrazione o fornitura professionale di manodopera, intermediazione, ricerca e selezione del personale e supporto alla ricollocazione professionale; • è stato approvato il sistema della Borsa continua nazionale del lavoro, un sistema aperto e trasparente di incontro domanda/offerta di lavoro e di offerta di servizi basato su nodi regionali. Si passa così da un sistema accentrato e gerarchico ad un sistema generale policentrico, in cui convivono attori diversi, dotati di autonomia, all’interno di standard codificati. Una “rete delle reti”, basata su standard terminologici ed organizzativi comuni e condivisi che valorizza le soluzioni tecnologiche già avviate sul territorio in una logica integrata con le strategie regionali di e-governement. Nel corso dei prossimi mesi la Borsa verrà gradualmente attivata, aprendosi anche agli operatori privati; • è stato istituito il “libretto formativo del cittadino”, che sarà definito d’intesa con le Regioni, le Autonomie locali e le Parti Sociali. Lo strumento costituirà il libretto personale del lavoratore nel quale saranno registrate le competenze formali e informali acquisite durante il percorso formativo e lavorativo purché riconosciute e certificate; • è stato riorganizzato il tirocinio, quale strumento di raccordo tra Pubbliche Amministrazioni, sistema formativo e aziende, e che comprende tutte le esperienze che non costituiscono rapporto di lavoro, in questo ambito è stato istituito il tirocinio estivo, applicabile anche a soggetti minorenni con almeno 15 anni di età; • sono state ricondotte le collaborazioni coordinate e continuative, attraverso un processo di graduale “svuotamento”, al lavoro subordinato o al “ lavoro a progetto”; • è stata definita la fattispecie normativa del lavoro “meramente occasionale”, intendendosi quello con durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare, con lo stesso committente, con un compenso totale percepito non superiore a 5.000 euro; • sono state introdotte politiche di workfare per favorire l’inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati attraverso il ricorso, in via sperimentale, a deroghe alla disciplina generale della somministrazione;, • si è proceduto a ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei nuovi contratti, mediante una procedura volontaria di certificazione che prevede anche il coinvolgimento delle parti sociali e delle università. 1.2 Il “nuovo”collocamento Significativi sono i progressi nella messa a regime del nuovo sistema di collocamento pubblico. Si è registrato un notevole impulso da parte delle Regioni: 12 Regioni, tra il 2003 e il 2004, hanno approvato appositi atti. Le attività legate all’accertamento dello stato di disoccupazione associate ad una combinazione dei nuovi servizi attivati presso i Cpi hanno contribuito a “sburocratizzare” l’attività delle strutture. Si pensi alla notevole crescita delle funzioni di orientamento (più 11,4% rispetto al 2002) e di azioni di accompagnamento al lavoro (consulenza, counselling, tutoraggio, elaborazione di piani individuali di inserimento) frequentemente codificate in carte dei servizi che definiscono un rapporto con l’utenza più trasparente tanto sul piano degli obiettivi da raggiungere, quanto su quello degli strumenti messi a disposizione. Peraltro, le prassi previste dagli strumenti normativi hanno accentuato l’esigenza di un maggiore raccordo tra le politiche del lavoro e quelle della formazione e dell’istruzione, tanto sul piano degli indirizzi regionali e provinciali, quanto su quello della realizzazione di reti territoriali. In particolare, riguardo a queste ultime: circa il 71% delle province italiane ha allacciato rapporti formalizzati con organismi pubblici o privati; il 54% di esse, inoltre, ha stipulato accordi quadro con i Comuni, soprattutto per garantire una maggiore diffusione del servizio sul territorio attraverso punti informativi comunali; il 69% delle province, infine, è coinvolto nella realizzazione di iniziative o di implementazione di progetti cofinanziati dalla UE. 4 1.3 La rete dei servizi per l’impiego In Italia il sistema dei Servizi pubblici per l’impiego conta 536 strutture (Centri per l’impiego) a titolarità provinciale (+9 rispetto alle 527 del 2002), alle quali vanno aggiunti i 220 Sportelli Multifunzionali attivati, a partire dal 2002, dalla Regione Siciliana con compiti di erogazione di politiche attive del lavoro. Nell’ultimo anno le azioni di monitoraggio condotte su scala nazionale (Rapporto di monitoraggio dell’ISFOL) hanno mostrato come il sistema nel suo complesso abbia registrato avanzamenti sul piano strutturale, strumentale, funzionale. Tali andamenti, peraltro, assumono ulteriore significato se contestualizzati all’interno della riforma del mercato del lavoro, delle recenti disposizioni in materia di collocamento e definizione dello stato di disoccupazione attraverso le quali sono stati tradotti nell’ordinamento italiano e, soprattutto, nella prassi organizzativa degli uffici territoriali degli Spi, gli orientamenti della Commissione Europea in materia. Riguardo alla gestione dei servizi da parte delle amministrazioni provinciali e, sotto il profilo dell’assistenza tecnica, delle Agenzie regionali per il lavoro si osserva l’introduzione di sistemi e di strumenti innovativi di organizzazione e gestione delle risorse, tanto strumentali (assetti e modalità operative di funzionamento, layout, logistica e dotazioni informatiche) quanto umane (politiche del personale). Va evidenziato il generalizzato miglioramento del livello qualitativo dei servizi erogati dai Cpi, con un aumento significativo della quota di Centri in grado di offrire servizi altamente qualificati (dal 34,8% del 2002, al 48,4% del 2003). Su base territoriale il maggiore incremento si registra nelle regioni del Sud Italia, che continuano, pur rimanendo ancora al di sotto della media nazionale, il processo di riduzione della distanza dalle regioni del Centro-Nord. A tale avanzamento ha contribuito anche la scelta, operata dall’Italia nel quadro del QCS Ob.1, di includere la messa a regime di un numero di Servizi per l’Impiego tale da garantire la copertura di almeno il 50% della popolazione regionale, tra i criteri in base ai quali è stata attribuita, nel corso del 2003, una riserva di premialità del 6% della quota nazionale di cofinanziamento del QCS. 1.4 Attuazione della riforma del sistema educativo Nel corso del 2004 è stato avviato anche l’iter di applicazione della legge delega n. 53/2003 di riforma del sistema scolastico e formativo. E’ stato emanato il decreto legislativo relativo alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione (Decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59). Sono stati, inoltre, approvati in via preliminare dal Consiglio dei Ministri i seguenti decreti: • Schema di decreto legislativo concernente il diritto - dovere all’istruzione e alla formazione; • Schema di decreto legislativo concernente la definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola – lavoro; • Schema di decreto legislativo concernente l’istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema di istruzione e formazione, nonché riordino dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione. Politiche attive delle Regioni Sul versante della programmazione delle policy in molte Regioni va rilevato il costante aggiornamento dei Piani per il lavoro e la formazione, con particolare riferimento agli obiettivi da perseguire in ordine alla nuova Strategia Europea per l’Occupazione e al mutato contesto normativo nazionale. Allo stesso modo è importante segnalare un’intensa attività di programmazione, che sta assumendo caratteristiche importanti anche a livello decentrato, con piani per l’occupazione provinciali che dettagliano in molti casi gli atti di indirizzo regionali, realizzando così quel meccanismo di sussidiarietà e di buona governance nelle politiche territoriali per l’impiego. FSE: principali scelte di riprogrammazione. Rispetto all’asse A le decisioni di investimento delle Regioni/PA hanno condotto ad un incremento complessivo delle risorse. In particolare, si sottolinea che in relazione alla misura che promuove l’implementazione del sistema dei Servizi per l’impiego si è inteso privilegiare una prospettiva di consolidamento e di innalzamento degli standard di funzionamento e di verifica della qualità. Rilevante e comune a molti, l’impegno ad implementare il monitoraggio sugli aspetti qualitativi delle attività svolte. In alcune realtà si è scelto di incrementare le azioni di contrasto delle forme di lavoro irregolare e gli interventi legati all’inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro. Inoltre, si tende a sostenere la transizione dei giovani al lavoro: piuttosto diffusa, infatti, la necessità di rafforzare l’apprendistato. Rispetto alla disoccupazione di lunga durata si investirà in modo consistente in interventi formativi che possano consentire di superare situazioni di crisi e che contrastino l’impoverimento della professionalità dei soggetti maggiormente esposti al rischio di marginalizzazione, prevedendo, in sintesi, azioni di supporto ai processi di ristrutturazione. 5 GL2: Creazione di posti di lavoro e imprenditorialità 2.1. Gli strumenti di incentivazione dell’autoimprenditorialità e dell’autoimpiego A partire dal secondo semestre del 2003, grazie ad un apposito stanziamento finanziario deliberato dal CIPE, l’attività di concessione di nuove agevolazioni ha potuto essere riavviata. Per quanto riguarda il Titolo I del decreto 185/00, che incentiva la creazione e lo sviluppo di imprese costituite da giovani nelle aree depresse del Paese attraverso quattro diverse misure di intervento, nel corso del 2003 sono pervenute 156 nuove domande di finanziamento, per il 98% concentrate nel Sud. Sono state ammesse alle agevolazioni 28 proposte per un totale di 37 j/ML. L’occupazione complessivamente generata dalle iniziative finanziate è pari a 330 unità. Il Titolo II del decreto, invece, offre tre opportunità di autoimpiego: il Lavoro Autonomo, la Microimpresa e il Franchising. Queste tre misure costituiscono il principale strumento di sostegno per la realizzazione e l’avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione e sono applicabili in tutti i comuni del Sud e in oltre 3.400 comuni del Centro Nord, pari complessivamente al 74% circa del totale dei comuni italiani. La gestione 2003 degli incentivi all’autoimpiego è stata caratterizzata dall’introduzione di modifiche di processo necessarie a renderlo coerente con un mutato quadro normativo e ad aumentarne il livello di efficacia ed efficienza. Nel corso del 2003 sono state presentate 15.005 nuove domande e ne sono state ammesse a finanziamento 12.753. Sul complesso delle domande istruite, il 5,1% riguarda richieste provenienti dalle aree del Centro Nord e il restante 94,9% domande provenienti dal Sud. Il tasso di ammissione del 2003 è risultato maggiore rispetto alla media storica (70% contro il 34%), evidenziando un sensibile miglioramento della qualità progettuale. A fronte di 12.753 domande ammesse alle agevolazioni sono stati complessivamente assunti impegni di spesa per agevolazioni finanziarie pari a 388.453.100,78 j. Ulteriori impegni di spesa, per complessivi 44.157.068,75 j, sono stati assunti per servizi di assistenza tecnica ai beneficiari in fase di realizzazione degli investimenti e di start up. Nel corso del 2003 sono state erogate agevolazioni finanziarie per un importo complessivo pari a j 136.021.341,46. L’occupazione complessivamente generata dalle iniziative finanziate è pari a 15.848 unità: 94,3% nelle regioni del Sud ed il restante 5,7% nelle regioni del Centro Nord. Analisi di genere - Domande presentate e ammesse: distribuzione territoriale e settoriale Risulta particolarmente significativo l’interesse manifestato dalle donne verso gli strumenti di promozione dell’Autoimpiego e, in particolare, verso gli incentivi erogati dal Lavoro Autonomo. Il 41% della domanda complessiva registrata su tale misura è di genere femminile, con un divario, rispetto alla componente maschile, che si è annullato negli anni: la percentuale della domanda femminile è passata dal 26% registrato nel 1996 al 48% del 2003. La scomposizione territoriale del totale delle richieste di finanziamento avanzato dalle donne evidenzia una maggiore presenza femminile per le iniziative presentate da proponenti del Centro Nord (48% contro il 40% del Sud). Per Microimpresa, la rilevazione di genere evidenzia dati meno brillanti indicando, probabilmente, una maggiore difficoltà delle donne a presentare iniziative imprenditoriali più complesse di quelle realizzabili sotto forma di ditta individuale. Per questa misura, infatti, la componente femminile (calcolata sul numero complessivo dei soci delle imprese che hanno fatto richiesta delle agevolazioni) si attesta al 33%, con una ripartizione territoriale (33% al Sud e 27% al Centro Nord). L’analisi settoriale delle iniziative ammesse alle agevolazioni segnala la forte presenza femminile nelle imprese del turismo con il 72% circa. Segue il settore del commercio con il 51% e quello dei servizi alle persone con il 38% circa delle ditte agevolate a titolarità femminile. 2.2 Il progetto Fertilità Sono stati stanziati circa 36 milioni di euro per realizzare un programma di sostegno allo start up di cooperative sociali (Progetto Fertilità) promosse da realtà cooperativistiche consolidate e da altre organizzazioni del Terzo Settore quali ONG, associazioni, organizzazioni di volontariato, fondazioni, enti ecclesiastici. L’incentivo fondamentale è un contributo per l’accrescimento patrimoniale, pari al doppio del capitale sociale, finalizzato alla realizzazione di investimenti e nuova occupazione. In risposta all’apposito bando sono pervenute 297 domande per complessivi 529 progetti di creazione o sviluppo di impresa sociale. La differenza tra il numero delle domande e quello dei progetti deriva dalla facoltà dei promotori di presentare fino ad un massimo di 10 iniziative imprenditoriali (cosiddetti progetti a grappolo). La valutazione ha condotto all’approvazione di 116 domande per un totale di 182 progetti, 95 dei quali finanziati già nel corso del 2003. L’occupazione a regime generata dalle iniziative finanziate è stimata in 706 unità, di cui il 54% costituito da persone svantaggiate e disabili (in alcune Regioni - Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Basilicata - tutti i nuovi lavoratori sono svantaggiati o disabili). 6 2.3 Il contributo del Fse (QCS Ob. 1 e 3 – misura D3) e di Equal (misura 2.2) Il 2003 ha visto rafforzarsi e consolidarsi, su tutto il territorio nazionale, il contributo del FSE al raggiungimento degli obiettivi del Nap in materia di creazione di posti di lavoro e imprenditorialità. Dal punto di vista finanziario nel 2003 si registra una capacità di spesa generalmente superiore rispetto alle annualità precedenti, anche se permangono specificità a livello territoriale a volte marcate. Dal punto di vista dell’attuazione fisica nel 2003, con riferimento alle sole Regioni ob. 3, risultano approvati 1.209 progetti. Sempre con riferimento al Centro-nord gli interventi finanziati con il Fse, in coerenza con gli obiettivi della misura, hanno riguardato progetti riferibili prevalentemente a tre ambiti: gli incentivi per il lavoro autonomo, i percorsi integrati per la creazione di impresa e la formazione per la creazione di impresa. Tuttavia ampiamente diffuse sono state anche le attività di orientamento, consulenza e informazione rivolte alle persone. Dal punto di vista dei target raggiunti dalle azioni cofinanziate, emerge come gli interventi rivolti al sostegno dell’imprenditorialità abbiano intercettato un’utenza giovane, ma non necessariamente e non sempre giovanissima (il 40% è rappresentato infatti da persone con un’età compresa tra i 30 e i 44 anni): in particolare le forme di incentivazione diretta alla creazione di impresa si sono indirizzate a una platea di soggetti che nel 50% dei casi supera i 30 anni. Inoltre più del 60% degli utenti raggiunti presenta un titolo di studio elevato. Complessivamente dunque è possibile affermare che le azioni rivolte al sostegno dell’imprenditorialità finanziate dal Fse si sono caratterizzate principalmente come misure di enterprise creation piuttosto che di job creation. Per quanto riguarda la misura 2.2 (Asse Imprenditorialità) di Equal, le PS Settoriali (a valenza nazionale) ammesse a finanziamento sono 9 e le PS Geografiche 62 per un totale di spesa certificata nel 2003 di 27.235.791 Euro. Le finalità dei progetti attivati attraverso la misura in questione consistono in: promozione della governance dello sviluppo territoriale; miglioramento delle competenze organizzative e manageriali degli imprenditori sociali; emersione delle situazioni di lavoro precario o irregolare; sviluppo di strumenti di finanziamento del non profit; sviluppo dell’approccio multidimensionale per la sostenibilità dell’impresa sociale; approccio di partnership che permette di sviluppare le azioni individuate dalla misura, agendo simultaneamente e in modo integrato su più dimensioni; rafforzamento delle competenze professionali ed organizzative nel Terzo settore; crescita sociale ed economica dei lavoratori/soci delle cooperative sociali, nonché degli utenti dei servizi. Il ruolo delle Regioni Dal punto di vista della legislazione, le Regioni e P.A. hanno, da un lato, provveduto a rifinanziare le disposizioni normative esistenti e, dall’altro, disciplinato e promosso interventi per favorire il consolidamento e lo sviluppo delle PMI. Una tendenza che emerge con forza è l’attenzione per la promozione, il sostegno e lo sviluppo della cooperazione sociale e del non-profit. Si sottolinea come siano in corso in alcune Regioni veri e propri processi di riordino degli strumenti di politica a favore delle imprese e la creazione di testi unici concertati con le categorie produttive e le forze sociali. Per quanto riguarda la progettualità regionale, nell’ultimo anno si segnala il rafforzamento degli interventi formativi rivolti alle persone per la creazione di impresa, dei percorsi di inserimento lavorativo, delle iniziative di sostegno di natura economica volti ad agevolare l’avvio e lo sviluppo di imprese innovative generate da spin-off aziendali o accademici, con particolare attenzione alla componente femminile, ai giovani ed alle fasce deboli. Inoltre, anche alla luce dell’allargamento dell’Unione Europea, le Regioni e P.A. sono fortemente impegnate nei processi di internazionalizzazione e di promozione all’estero del sistema delle piccole e medie imprese e interessate a prendere parte al programma del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali finalizzato ad implementare ed a sostenere la mobilità transnazionale attraverso azioni di sistema dirette verso alcuni Paesi UE ed extra-UE. Un forte valore aggiunto all’attività delle Regioni/PA rispetto allo scorso anno viene fornito dalla presenza di numerosi progetti a valenza interregionale. FSE: principali scelte di riprogrammazione. L’asse D ha evidenziato un generale aumento di risorse rispetto alla dotazione inizialmente programmata. Tutte le Regioni hanno confermato il ruolo centrale degli interventi innovativi finalizzati allo sviluppo dell’imprenditorialità e all’adeguamento e adattabilità delle imprese e delle risorse umane all’evoluzione del mondo del lavoro. Una priorità di intervento comune a tutte le Regioni rimane lo sviluppo di nuova imprenditoria con particolare attenzione ai nuovi bacini per l’impiego. La strategia di consolidamento dell’imprenditoria e dell’occupabilità nei campi di interesse delle Regioni è inoltre perseguita attraverso lo sviluppo delle competenze e del potenziale umano quale fattore di competitività nel settore della Ricerca e Sviluppo Tecnologico. GL3: Affrontare il cambiamento e promuovere l’adattabilità e la mobilità nel mercato del lavoro 3.1 I nuovi istituti contrattuali della legge Biagi I nuovi istituti contrattuali istituiti con la legge Biagi, in un’ottica di modernizzazione degli strumenti giuridici del mercato del lavoro, si pongono l’obiettivo di promuovere un lavoro regolare, adattabile, effettivamente tutelato. In particolare: 7 – lavoro intermittente, ossia la disponibilità del lavoratore, anche a tempo indeterminato, a svolgere “prestazioni di carattere discontinuo o intermittente” (job on call), su richiesta del datore e con “congrua” indennità mensile di disponibilità, nei periodi di fermo; – lavoro a coppia o job sharing; – lavoro a progetto, per coloro che svolgono un “lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione” e per il quale sono previste maggiori tutele; – lavoro occasionale e accessorio, ovvero un’attività lavorativa sporadica, svolta da soggetti a rischio di esclusione sociale o non ancora nel mercato del lavoro o prossimi all’uscita. Tali soggetti comunicano la loro disponibilità ai SPI provinciali o agli operatori, pubblici e privati, accreditati dalla Regione. Questa tipologia contrattuale comprende attività varie ma il dato distintivo è costituito dalla modalità di stipula, che dovrebbe avvenire non tra le parti contraenti ma con l’acquisto presso agenzie autorizzate di voucher o buoni equivalenti ad un certo ammontare di prestazioni, la cui corrispondente cifra viene pagata al lavoratore dopo la prestazione. 3.2 La mobilità territoriale Il processo di mobilità interna per motivi di lavoro costituisce un fenomeno quantitativamente significativo e crescente nel nostro Paese. I dati ISTAT e le elaborazioni SVIMEZ degli ultimi anni stimano che il flusso attiene a 150.000-200.000 persone annue, la maggior parte delle quali di età compresa tra i 25 e i 35 anni, diplomati e laureati. Le zone di maggiore attrazione sono rappresentate dalle aree distrettuali del nord, dai cluster distrettuali del centro e della dorsale adriatica che sembrano costituire i nuovi poli di richiamo per le persone disoccupate che risiedono nel Mezzogiorno. La decisione di spostarsi è costituita da un insieme di fattori, tra cui di assoluto rilievo risulta il reddito derivante dall’opportunità di lavoro ma altrettanti importanti sono la qualità e la quantità di servizi cui si può fruire nel territorio di destinazione. Allo scopo di accompagnre e di facilitare l’inserimento, non solo lavorativo, delle persone in mobilità, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in collaborazione con le Regioni e con il supporto di Italia Lavoro, ha realizzato nel corso del 2003 l’azione di sistema “SUDNORDSUD” con l’obiettivo di: a) progettare, formare e implementare una rete nazionale di servizi per l’impiego pubblica e privata in grado di proporre un modello di servizio per l’incontro domanda offerta di lavoro in mobilità geografica; b) accompagnare i flussi con iniziative di stimolo, promozione e assistenza tecnica; c) sperimentare, promuovere e articolare una gamma di interventi di politica attiva mirata ai soggetti in mobilità. I risultati conseguiti dal progetto sono di rilievo: una rete costituita da 60 Centri per l’impiego e 75 nodi privati, dislocati in 17 regioni e in 70 province; 300 operatori pubblici e privati appositamente formati; 20 progetti di localizzazione in accompagnamento per circa 2.000 lavoratori attraverso percorsi di formazione al nord per ritornare con il lavoro al sud; 8 “laboratori di autoimpiego” attivi presso i Centri per l’impiego; 7 “tavoli dell’accoglienza” attivati in 6 regioni del centro nord con il coinvolgimento di oltre 150 soggetti istituzionali e attori locali; 50 progetti di lavoro attivati dalla rete che riguardano 1500 soggetti in mobilità accompagnata e 250 imprese; dopo tre mesi di attivazione, oltre 1.000 posti di lavoro costantemente a rotazione presenti sulla bacheca telematica “ASPIDEA” insieme a circa 2.000 nominativi di persone che hanno dato la propria disponibilità ad intraprendere esperienze di mobilità. A questo percorso si sono aggiunti diverse azioni di supporto: – un’intesa fra Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca per realizzare 4500 tirocini in mobilità post diploma collegati a progetti IFTS destinati a giovani del Mezzogiorno per figure professionali che difficilmente possono sperimentarsi sul territorio di provenienza (ICT e Meccatronica). Il progetto, con il supporto delle Regioni, intende saggiare le opportunità offerte dal tirocinio svolto presso imprese del Centro - Nord che già hanno investito risorse - o che mostrano interesse ad investire - nelle aree del Mezzogiorno, in modo da sostenere il rientro dei corsisti nelle regioni di provenienza. Il progetto è in fase di avvio, ha durata triennale, prevede l’attivazione entro la fine dell’anno di 33 corsi nel Mezzogiorno per formare 660 specialisti nel settore ICT; – una collaborazione fra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Ministero delle Attività Produttive per realizzare, nell’ambito della riprogrammazione Fse, tirocini formativi in mobilità di “andata e ritorno” e percorsi integrati di inserimento lavorativo per soggetti svantaggiati presso imprese e stabilimenti realizzati grazie ai finanziamenti pubblici al sud (Legge 488/92); – un’iniziativa con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per interventi concertati sull’accoglienza abitativa dei lavoratori in mobilità. – un accordo tra Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e Sviluppo Italia per garantire l’interazione fra le opportunità di finanziamento e di supporto per l’autoimpresa ed i servizi forniti nella rete dei laboratori per l’autoimprenditorialità ai giovani in mobilità geografica che intendano avviare un’attività in proprio; – iniziative promosse dalle Province per integrare con risorse proprie le azioni della rete nazionale sostenendo strumenti flessibili di politica attiva; un programma quadro integrato SudNord/NordSud tra Stato-Regioni-Autonomie Locali, per la realizzazione del quale sono state impegnate risorse finanziarie pari a 10 milioni di euro. Il Programma si articola in due aree di attività che hanno 8 l’obiettivo di mettere a regime la sperimentazione dei tirocini formativi in mobilità geografica e di consolidare la rete di servizi alle imprese e alle persone creata attraverso l’azione di sistema. 3.3 La mobilità nei Paesi dell’Unione: la rete EURES E’ in corso di rinnovo il sistema di IT di EURES al fine di poter adempiere all’obbligo di rendere visibili e consultabili da parte di tutti gli Stati Membri le offerte di lavoro entro il 2005. In tal senso, sarà necessario agevolare e monitorare il superamento degli ostacoli alla mobilità; anche nel quadro dell’allargamento occorrerà fornire informazioni sui lavoratori facilmente accessibili durante il periodo di transizione; bisognerà infine predisporre un sistema di valutazione e monitoraggio dei risultati ottenuti dal servizio EURES. Strategie regionali e scelte di riprogrammazione FSE Al programma quadro hanno aderito 16 Regioni più la provincia Autonoma di Trento. Un ulteriore accordo interregionale per la realizzazione dei tirocini formativi vede coinvolte la Provincia Autonoma di Trento, la Calabria e la Campania. La finalità è quella di favorire lo sviluppo della mobilità del lavoro, dell’occupabilità e del partenariato fra territori ed imprese, dello sviluppo locale dei territori regionali e provinciali e della qualità dell’accoglienza. In merito al Programma di Iniziativa Comunitaria Equal, nell’ambito della riprogrammazione del DOCUP, l’asse adattabilità è stato rivisitato alla luce della riforma del mercato del lavoro adottata a livello nazionale che promuove una nuova organizzazione del mercato del lavoro, basata su un innovativo modello di raccordo degli attori, pubblici e privati, che modifica il sistema delle relazioni industriali e introduce nuovi istituti di diritto del lavoro. Riguardo alle politiche per l’adattabilità finanziate dal FSE la formazione continua resta una delle politiche cardine finalizzate al raggiungimento di elevati livelli qualitativi della forza lavoro. Vengono confermati percorsi professionalizzanti finalizzati al supporto ai processi di qualificazione delle risorse umane e di stabilizzazione dell’occupazione per combattere eventuali rischi di precarizzazione del mercato del lavoro. Accanto ai tradizionali corsi formativi, divengono cruciali le azioni di sostegno e di sensibilizzazione finalizzate a sviluppare nelle imprese, soprattutto di piccola e media dimensione, la consapevolezza che la formazione continua sia un elemento di crescita e di competitività nel mercato. Le Regioni confermano inoltre la priorità relativa alla formazione continua nel settore pubblico, con la finalità di accompagnare i processi di innovazione nel settore derivanti dalla riorganizzazione delle funzioni amministrative, attraverso programmi di valorizzazione delle risorse umane coinvolte nella programmazione e nella gestione dei nuovi compiti a livello territoriale. GL4: Promuovere lo sviluppo del capitale umano e l’apprendimento lungo l’arco della vita 4.1 Le politiche per la formazione continua Le politiche per la formazione continua si basano su un sistema ampio e consolidato di strumenti di finanziamento e gestione, costituito in primo luogo dal FSE e dalla legge 236/93, ma anche dai nuovi Fondi Paritetici Interprofessionali. Con il 2003 si è conclusa la fase transitoria di avvio dei Fondi Interprofessionali e si sta procedendo alla piena attuazione del meccanismo che consente alle imprese di destinare il gettito derivante dal contributo di parte dello 0,30 delle retribuzioni versato all’INPS alla formazione continua dei propri dipendenti. Dieci sono i Fondi (tab. 1) fino ad oggi costituiti e autorizzati, rappresentativi di una larga parte del mondo delle imprese e dei lavoratori. Al 30 giugno 2004 sono risultate iscritte 296.644 aziende, per un totale stimato dall’INPS di 4.272.178 lavoratori dipendenti (pari a circa il 40% degli interessati). 9 10 24/02/2003 06/03/2003 06/03/2003 Terziario, comparti turismo e distribuzione-servizi Artiginato; Piccole e medie imprese Cooperazione Industria Terziario, comparti del commercio-turismo-servizi, creditizio-finanziario, assicurativo e logistica-spedizioni-trasporto Piccole e medie imprese industriali FON.TER FONDO ARTIGIANATO FORMAZIONE FONCOOP FONDIRIGENTI FONDIR FONDO DIRIGENTI PMI 29/12/2003 04/08/2003 10/05/2002 80.000 26.500 Confindustria; Federmamager Confcommercio; Abi; Ania; Confetra; Fendac; Federdirigenti credito; Sinfub; Fidia Consilp; Confprofessioni; Confedertecnica; Cipa; Cgil; Cisl; Uil 9.966.655 535.000 5.218 470.765 A.G.C.I.; Confcooperative; Legacoop; Cgil; Cisl; Uil Confapi; Federmanager 798.000 274.417 Confesercenti; Cgil; Cisl; Uil Confartigianato; Cna; Casartigiani; Cgil; Cisl; Uil 2.474.276 1.140.000 4.162.479 49.502.393,77 - - 739.049,82 2.231.093,80 2.350.418,76 3.984.226,03 1.370.099,44 12.353.477,26 5.691.751,48 20.782.277,18 Dipendenti Risorse D.D. (autodichiarazio- 148/I/2003-art. 2 ni) (Euro) (*) Confecommercio; Abi; Ania; Confetra; Cgil; Cisl; Uil Confapi; Cgil; Cisl; Uil Confindustria; Cgil; Cisl; Uil Organizzazioni firmatarie - 77.278.500,00 46.481.120,92 - 1.153.735,35 3.482.974,65 3.669.253,58 6.219.800,45 2.138.870,91 19.285.091,48 8.885.429,23 32.443.344,35 Risorse D.D. 351/I/2003 (Euro) (*) - - 130.669,70 394.474,57 2.321.310,26 3.934.883,83 1.353.131,60 12.200.486,99 5.621.262,60 20.524.901,37 Risorse D.D. 148/I/2003-art. 1 (Euro) (*) 173.262.014,69 - - 2.023.454,87 6.108.543,02 8.340.982,60 14.138.910,31 4.862.101,95 43.839.055,73 20.198.443,31 73.750.522,90 Totale risorse (Euro) (*) 296.644 - - 2.140 9.108 6.084 126.663 31.056 62.529 24.296 34.498 Adesioni aziende (***) (*) Si tratta della ripartizione delle risorse ex art. 118 legge 388/2000 disposta con il Decreto Dirigenziale n. 148/I/2003 e il Decreto Dirigenziale n. 351/I/2003 (è in via di ripartizione la quota residua del (**) Fondo costituito e autorizzato in data successiva al 30 giugno 2003. (***) Stime INPS, ottobre 2003. TOTALE FONDOPROFESSIO- Studi professionali e aziende ad essi collegate NI 31/10/2002 Terziario, comparti del commercio-turismo-servizi, creditizio finanziario, assicurativo e logistica-spedizioni-trasporto FOR.TE 31/10/2001 21/01/2003 Industria Fondo Formazione PMI 28/11/2002 Decreti di autorizzazioni del MLPS Industria Settori interessati 4.272.178 - - 33.493 56.177 219.298 544.204 206.282 920.415 323.879 1.968.430 Adesioni lavoratori (***) 1 FONDIMPRESA Fondi paritetici interprofessionali TABELLA Prospetto riassuntivo dei fondi interprofessionali costituiti ed autorizzati a dicembre 2003 Per quanto riguarda la legge 236/93, il tradizionale canale di finanziamento della formazione continua in Italia, nel corso del 2003 si è realizzata una svolta nella strategia attuativa della legge. La distribuzione di risorse alle Regioni (50 milioni di euro) è stata accompagnata da un provvedimento sui criteri generali per la promozione dei Piani formativi individuali, aziendali e territoriali, che si muove in direzione di una ‘specializzazione’ degli strumenti di finanziamento esistenti tale da assicurare il coinvolgimento dei destinatari delle azioni di formazione continua più difficilmente raggiungibili dai nuovi Fondi Paritetici Interprofessionali. Si prevede infatti: da un lato, di favorire l’integrazione con il Fse e valorizzare le diverse linee del sostegno pubblico alla formazione continua tenendo conto dell’avvio dei Fondi; dall’altro, che il 70% delle risorse assegnate alle Regioni dovranno indirizzarsi ad interventi dedicati: a) ai lavoratori delle imprese private con meno di 15 dipendenti; b) ai lavoratori di qualsiasi impresa privata con contratti di lavoro a tempo parziale, a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa nonché inseriti nelle tipologie contrattuali ad orario ridotto, modulato o flessibile e a progetto previste dalla legge 30/2003; c) ai lavoratori di qualsiasi impresa privata collocati in cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, o con età superiore a 45 anni o in possesso del solo titolo di licenza elementare o istruzione obbligatoria. Il restante 30% delle risorse è finalizzato a destinatari definiti e individuati dalla stesse Regioni e Province Autonome. E’ prevista un’attività di monitoraggio delle iniziative finanziate da realizzarsi sulla base indicatori elaborati dal Ministero con il supporto dell’Isfol. Relativamente al contributo del FSE, la misura D1, dedicata allo sviluppo della formazione continua quale strumento di adattabilità delle imprese e dei lavoratori, è presente nella programmazione ob.1 e ob.3. Nel corso del 2003 la realizzazione dei progetti cofinanziati legati a tali obiettivi ha subito un notevole incremento rispetto agli anni precedenti di attuazione del programma 2000-2006. Complessivamente sono stati spesi 228 milioni di euro che costituiscono il 49% della spesa e impegnati 421 milioni di euro ossia il 42%. La valutazione intermedia dell’ob.3 conclude che, allo stato attuale, risulta ancora difficile pensare alla formazione continua come strumento di garanzia dei lavoratori più deboli e che le scelte formative delle aziende si concentrano su lavoratori relativamente forti. Per quanto riguarda la Formazione Continua Individuale, la cui sperimentazione ha preso avvio nel 1998, con la legge 53/2000 essa si configura come un diritto soggettivo. I dispositivi organizzativi attraverso cui si realizza l’offerta da parte delle Regioni (o Province, nei casi in cui la materia è stata decentrata) sono due: i cataloghi e i voucher. I lavoratori in genere sono tenuti a compartecipare alla spesa con quote fino al 20% del totale. Sebbene non siano ancora disponibili monitoraggi approfonditi in grado di delineare il quadro completo dell’esperienza, le analisi che sono state condotte fino ad oggi segnalano, oltre ai risultati positivi in termini di adesione dei lavoratori e di gradimento delle amministrazioni regionali per la semplicità di gestione del meccanismo del voucher, anche alcune necessità relative: a) all’attivazione di misure di accompagnamento adeguate ai lavoratori più “deboli”; b) allo sviluppo di un’offerta mirata ai fabbisogni professionali dell’area territoriale di riferimento e caratterizzata da condizioni logistiche e di flessibilità adeguati alle caratteristiche e alle esigenze dell’utenza. Occorre osservare che l’esperienza della FCI si sta configurando come un’opportunità di grande importanza per lo sviluppo di politiche di lifelong learning e che molte Regioni stanno attivando azioni di monitoraggio accurate . Cominciano a profilarsi anche nuovi comportamenti aziendali, che, in qualche caso, promuovono l’accesso dei lavoratori alla FCI, evitando le complicazioni organizzative e i costi economici connessi con l’attivazione di piani formativi aziendali. Tra le tipologie formative emergenti un’attenzione particolare va posta sui voucher aziendali, che possono definirsi come incentivi economici di natura individualizzata volti al finanziamento di attività formativa documentabile scelta dai destinatari (lavoratori delle imprese). Da un’analisi dei voucher erogati attraverso gli strumenti di finanziamento nazionale (236/93 e 53/2000 tipologia B) si evidenzia come i lavoratori complessivamente coinvolti siano quasi 24.000 per la 236/93 e circa 10.000 per la 53/00. In considerazione delle difficoltà incontrate dalle Regioni per l’attuazione degli interventi il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali nel progettare il provvedimento relativo alla nuova fase di trasferimento di risorse alle Regioni (emanato nel maggio 2004, ha suddiviso tra le Regioni poco più di 30 milioni di euro), ha previsto che una quota pari al 5% di quanto trasferito possa essere impiegata dalle Regioni per finanziare iniziative di informazione e pubblicità diretta “ai lavoratori, alle imprese ed alle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori”. E’ stato inoltre disposto l’invio da parte delle Regioni di un Rapporto annuale sull’andamento delle attività elaborato sulla base di linee guida e indicatori predisposti dal Ministero. Si segnala, infine, che nel corso del 2003 l’analisi dei bandi di gara emessi dalle Amministrazioni centrali e regionali ob. 1 e ob. 3 ha evidenziato una crescita dell’utilizzo del voucher formativo nell’ambito della programmazione del FSE. 4.2 Educazione degli adulti L’attività dei Centri territoriali permanenti coinvolge 414.000 persone adulte attraverso l’offerta di tre tipologie di corso: finalizzati al conseguimento di un titolo di studio (utenti 62.451); di lingua in favore di cittadini stranieri (utenti 59.996); modulari, principalmente di informatica e lingua straniera (utenti 292.216). Pur in presenza di un incremento del numero degli adulti frequentanti i corsi serali nelle istituzioni secondarie superiori, pari a 63.000 unità, è stato promosso un progetto finalizzato ad incrementare significativamente il numero degli adulti in possesso di un diploma di scuola secondaria superiore. 11 4.3 Istruzione e formazione professionale per i giovani fino a 18 anni La legge n. 53/03 ha previsto che l’obbligo scolastico nonché l’obbligo formativo siano ridefiniti ed ampliati con il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. In attesa che vengano emanati i decreti di attuazione, il MIUR, il MLPS, le Regioni, le province autonome di Trento e Bolzano, le Province, gli Enti Locali, in sede di Conferenza unificata, nel giugno 2003, hanno siglato un Accordo quadro per la realizzazione, di un’offerta formativa di istruzione e formazione professionale a carattere sperimentale. A seguito di tale accordo, le Regioni hanno stipulato distinti protocolli di intesa con il MIUR e il MLPS, dando così avvio alle sperimentazioni. Complessivamente nell’anno scolastico 2003/2004 sono stati avviati 1.363 percorsi sperimentali triennali, per un totale di 24.552 allievi. Nel gennaio 2004, al fine di consentire il rilascio di una qualifica professionale spendibile a livello nazionale, sono stati definiti, in sede di Conferenza Stato Regioni, standard formativi minimi relativi alle competenze di base. Attualmente si sta operando per giungere ad una definizione condivisa in relazione alle certificazioni intermedie e finali e al riconoscimento dei crediti ai fini dei passaggi tra i sistemi. L’attuazione dei progetti pilota, registrerà per l’anno 2004/2005 un sensibile incremento. Lo schema di decreto legislativo concernente la definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro la disciplina come modalità di realizzazione della formazione del secondo ciclo per quegli studenti che, avendo compiuto il quindicesimo anno d’età, sono tenuti a conseguire, nell’esercizio del diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, almeno una qualifica professionale. La finalità di tale innovazione è quella di assicurare ai giovani, oltre alle conoscenze di base, l’acquisizione di competenze spendibili sul mercato del lavoro. Con la sua introduzione il processo educativo “esce” dalla classe come luogo esclusivo di apprendimento e si realizza in contesti diversi, in un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e della società civile. Tali esperienze possono essere realizzate anche in imprese simulate utilizzando il laboratorio come ambiente di apprendimento contestualizzato: a tale proposito si segnala l’attivazione di un’apposita Rete telematica delle imprese formative simulate (IFS). A giugno 2004 le imprese formative simulate attive sono risultate 477. Dal prossimo anno scolastico ne saranno attivate altre 280, già autorizzate e finanziate con risorse del FSE, pari a 12 milioni di euro per il biennio 2004 - 2006, per un totale di 757. Gli allievi di istituzioni scolastiche del territorio nazionale coinvolti sono attualmente circa 8000 e si prevede che saliranno, nel prossimo anno scolastico, a circa 12.000. In attesa della compiuta definizione dell’iter di approvazione del decreto, circa 300 istituzioni scolastiche dislocate su tutto il territorio nazionale stanno realizzando, attraverso convenzioni con imprese e agenzie pubbliche e private, una sperimentazione di progetti di alternanza scuola-lavoro che coinvolge circa 6.000 alunni. Nell’anno 2004, a tale scopo, è previsto un finanziamento pari a 13 milioni di euro, che diventeranno 30 nel 2005. Con il PON scuola, inoltre, sono stati autorizzati 2.220 corsi relative ad esperienze di stage e di alternanza, per un ammontare di risorse pari a euro 40.269.679. Per quanto riguarda i contratti a contenuto formativo per i giovani, secondo i più recenti dati INPS la crescita sostenuta dell’occupazione in apprendistato registrata ininterrottamente a partire dal 1997 sembra essersi arrestata. La diminuzione della media degli occupati nel 2002 ha pesato in particolare nelle regioni del Nord Italia. Al contrario, il numero di giovani che assolve il diritto dovere all’istruzione e alla formazione attraverso l’esercizio dell’apprendistato mostra segnali di crescita: il dato più recente riferito al totale degli apprendisti con età compresa tra 15 e 17 anni fa riferimento a 59.189 unità di occupati al 31 ottobre 2002. La domanda di formazione da parte dei giovani che assolvono il dirittodovere all’istruzione e formazione attraverso l’apprendistato ha trovato, finora, una risposta solo parziale da parte delle Regioni. L’avanzamento nella costruzione dei sistemi di apprendistato non è uguale per tutte le Regioni: accanto a quelle che hanno un modello “consolidato” permangono Regioni in cui gli interventi per l’apprendistato conservano un carattere di “discontinuità”. La crescita dell’offerta formativa implica una crescita della spesa per l’apprendistato: le Regioni hanno fatto maggiore ricorso sia a risorse proprie che ai POR. L’entrata in vigore del decreto legislativo 276/2003 è destinata a produrre un impatto rilevante sui sistemi regionali di apprendistato, richiedendo di rinnovare il modello alla luce di nuove indicazioni, prima fra tutte la differenziazione introdotta dalla nuova normativa fra tre tipologie di apprendistato. Allo stesso tempo, il decentramento amplifica il ruolo delle Regioni cui viene affidato il compito di regolamentare l’istituto. 4.4 Istruzione e formazione a livello post-secondario La filiera IFTS, istituita per rispondere alla necessità di acquisire da parte di un più largo numero di giovani e adulti competenze tecnico-specialistiche di livello medio-alto, in grado di rispondere all’evoluzione dei processi organizzativi e tecnologici del mondo produttivo, omogenee su tutto il territorio nazionale. Dalle analisi condotte in merito al primo triennio di programmazione emerge che l’offerta si è triplicata, coinvolgendo un totale di circa 10.000 iscritti. I percorsi IFTS sembrano rispondere in maniera adeguata alle esigenze di un target di riferimento piuttosto eterogeneo: lieve la preponderanza della componente maschile (55,6%); significativa la presenza di adulti con più di 31 anni (15,7%). Ad un anno dal termine dei corsi risulta occupato il 50,8% dei corsisti: i dati mostrano che sono i 12 giovanissimi, con meno di 21 anni, ad essere stati facilitati nell’inserimento professionale; le difficoltà maggiori, invece, si registrano per gli ultra 35enni. La disaggregazione degli occupati per sesso mostra quanto le donne ancora continuino a scontare le maggiori difficoltà per l’inserimento professionale. Per accrescere la rispondenza della specializzazione tecnica superiore ai fabbisogni formativi del territorio e, più in generale della società europea della conoscenza, la nuova fase sarà caratterizzata dalla stretta connessione tra il sistema dell’IFTS e gli interventi in materia di ricerca scientifica e di trasferimento tecnologico. E’ in questo quadro che si inserisce l’iniziativa avviata con il Protocollo d’intesa sottoscritto dal MIUR, dal MLPS e dalle Regioni Piemonte e Sardegna. L’intesa riguarda i seguenti obiettivi: a) definire un piano pluriennale di interventi per collegare istruzione, formazione, lavoro, ricerca scientifica e trasferimento tecnologico; b) intervenire, con priorità, per la messa a regime del sistema dell’IFTS attraverso la promozione di Poli di eccellenza. Infine, con l'Accordo sancito in sede di Conferenza Unificata il 29 Aprile 2004 sugli standard delle competenze tecnico-professionali delle prime 37 figure nazionali di riferimento si concluderà, a breve, la prima fase di programmazione dell'IFTS che si è svolta negli anni 1999/2003. Le iniziative delle Regioni Nell’ultimo anno la progressiva attuazione della L. 53/2003 ha visto le Regioni impegnate su diversi piani. All’interno del Dlgs 276/03 stanno lavorando alla realizzazione del libretto formativo. Strettamente legato a questo il tema della certificazione delle competenze, rispetto al quale le Regioni, nei loro diversi ambiti di pertinenza (istruzione/formazione/lavoro) hanno dato avvio ad un importante progetto interregionale per la definizione di un sistema nazionale condiviso. Per quanto riguarda gli interventi di sistema, le Amministrazioni regionali hanno scelto di continuare a investire per rafforzare la qualità dei sistemi sinora messi a regime, in modo particolare supportando le successive fasi dell’accreditamento. Si rileva, inoltre, l’intento di diverse Regioni e PA di effettuare costantemente e regolarmente interventi di “manutenzione qualitativa” dei sistemi con l’obiettivo di creare apparati complessi ma efficienti in grado di garantire istruzione e formazione lungo tutto l’arco della vita. La scelta di investire nell’innovazione e sulla costante formazione degli operatori è un fattore strategico. La lotta alla dispersione scolastica e formativa è una priorità. L’obiettivo della SEO di posti di lavoro più numerosi e migliori è perseguito dalla gran parte delle Amministrazioni regionali con una forte attenzione a dotare di risorse adeguate l’alta formazione privilegiando il raccordo con il mondo dell’università e della ricerca scientifica. GL5: Aumentare la disponibilità di manodopera e promuovere l’invecchiamento attivo 5.1 Riforma del mercato del lavoro La riforma Biagi prevede numerosi interventi che, in via diretta o indiretta, risultano finalizzati a promuovere la permanenza o il reingresso nel mercato del lavoro di persone ultra cinquantenni. In particolare: i) l’istituzione delle cd. agenzie sociali per l’impiego o di personal service che, sulla base di apposita convezione con il soggetto pubblico, sono incentivate1 alla temporanea “presa in carico” dei lavoratori svantaggiati al fine di un loro più rapido ricollocamento sul mercato del lavoro; ii) il lavoro intermittente che può essere sperimentato, tra l’altro, per i “lavoratori con più di 45 anni di età che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti alle liste di mobilità e di collocamento”; iii) il contratto di inserimento che prevede, tra le categorie di soggetti ammessi, i “lavoratori con più di cinquanta anni di età che siano privi di un posto di lavoro” ed in genere quelli “che desiderino riprendere una attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno due anni”; iv) il lavoro a progetto; v) il lavoro accessorio. 5.2 Riforma del sistema pensionistico Il 28 luglio 2004 il Parlamento ha approvato la legge delega di riforma del sistema previdenziale. La riforma si propone di raggiungere due obiettivi principali, sulla base anche degli orientamenti condivisi a livello europeo: a) elevare gradualmente l’età pensionabile, per tenere conto degli andamenti demografici; b) sviluppare la previdenza complementare, A seconda della durata del contratto di lavoro stipulato con il lavoratore svantaggiato, alle agenzie è consentito di: – operare in deroga al principio della parità di trattamento tra lavoratori somministrati e lavoratori dell’azienda utilizzatrice (contratto di durata non inferiore di 6 mesi), – detrarre dal compenso e dalla contribuzione dovuta allo stesso lavoratore, l’indennità (sussidio) e la contribuzione figurativa ad spettante in virtù del suo stato di disoccupazione (contratti di durata non inferiore a 9 mesi). 1 13 da affiancare a quella pubblica, al fine di garantire una migliore sostenibilità del sistema . La riforma, che avrà piena attuazione a partire dal 2008, prevede per il periodo 2004-2007, incentivi economici per i lavoratori dipendenti del settore privato che, pur in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità, decidano di continuare l’attività lavorativa: essi riceveranno un aumento in busta paga, pari all’importo dei contributi previdenziali che dovrebbero essere versati all’ente di previdenza, che può raggiungere oltre il 45% dell’ammontare della retribuzione. Tale aumento sarà esente da ogni tipo di imposta. 5.3 Il contributo del FSE e dell’IC Equal La misura C4 dei QCS ob. 1 e ob. 3 finanzia attività di formazione permanente. Il suo specifico target è costituito da adulti, occupati e inoccupati, di età compresa tra i 25 e i 64 anni e oltre. L’analisi dell’avanzamento finanziario della misura mostra un’accelerazione dell’impegnato e dello speso, che compensa la scarsa efficienza attuativa degli anni precedenti. Con riferimento alle tipologie di progetto, le azioni formative di aggiornamento culturale e professionale sono le più numerose (più del 90%), anche se non mancano azioni di orientamento, consulenza e incentivi. L’analisi del target mostra una prevalenza delle donne sugli uomini (51,4%) e una maggior consistenza del gruppo dei 35-44enni, anche se è significativa la percentuale degli ultracinquantenni (12%); quasi il 20% dell’utenza complessiva della misura rientra nella categoria degli inattivi o dei pensionati. La misura 3.1 (Asse Adattabilità) di Equal, al fine di aumentare la disponibilità di manodopera, agisce promuovendo l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e le pratiche di lavoro orientate all’inserimento, che favoriscano l’assunzione e il mantenimento in situazioni di occupazione di coloro che sono vittime di discriminazione e disparità in relazione al mercato del lavoro. Particolare attenzione viene riservata ai lavoratori scarsamente scolarizzati o con professionalità a rischio di obsolescenza, a quelli che stentano ad uscire dall’economia sommersa e ai lavoratori stranieri, in particolare attraverso la promozione dell’invecchiamento attivo. Le PS Settoriali (a valenza nazionale) ammesse a finanziamento sono 9 e le PS Geografiche 72 per un totale di spesa certificata nel 2003 di 29.599.617,00 Euro. Le politiche regionali Le Regioni, consapevoli che le possibilità future di crescita economica e sociale dei territori di loro competenza, così come anche il mantenimento degli attuali livelli di welfare, si basano sulla possibilità di disporre di capitale umano qualificato, competente ed in quantità tale da evitare strozzature nell’offerta di lavoro, hanno posto il miglioramento dell’occupabilità dei lavoratori più anziani come una delle priorità anche per i prossimi anni. Un’esperienza che merita menzione riguarda un’amministrazione che ha accolto con particolare interesse l’invito della Commissione europea a presentare progetti - da finanziare a valere sul Fondo Sociale Europeo, Iniziative innovative ai sensi dell’art. 6 del reg. CE 1784/99 – per l’identificazione delle politiche, degli strumenti e delle buone pratiche, anche di tipo formativo, più efficaci a sostenere l’adattabilità dei lavoratori anziani di fronte ai mutamenti culturali, organizzativi e tecnologici che investono le imprese. Il progetto presentato, che si pone come precursore di una tendenza appena avviata soprattutto nelle Regioni del centro nord, intende affrontare il “tema della gestione del cambiamento demografico” secondo una modalità articolata su ambiti di analisi e di intervento che apparentemente distinti risultano tra loro strettamente complementari. La maggior parte delle Regioni, anche in un’ottica di particolare attenzione al raggiungimento dei benchmark della nuova SEO, ha previsto azioni di formazione dei lavoratori anziani anche attraverso la definizione di percorsi personalizzati. GL6: Parità uomo-donna 6.1.Occupazione e inserimento professionale - tendenze Nel 2003 il numero di donne occupate è cresciuto in maniera sensibile confermando l’andamento degli anni precedenti. L’incremento è stato pari a 128mila unità (rispetto all’anno precedente +1,6%; nello stesso periodo l’incremento dell’occupazione maschile è stato dello 0,7%). L’incremento occupazionale ha riguardato prevalentemente la fascia d’età compresa tra i 35 ed i 54 anni (+ 84mila) e quella immediatamente successiva (55-64, con circa 40mila donne occupate in più). Guardando alle tendenze che si sono manifestate nell’ultimo quinquennio, l’incremento dell’occupazione femminile è stato favorito da un aumento della partecipazione delle donne in tutte le fasce di età, ad eccezione di quelle giovanissime (15-24) e delle over 65. Le prime, infatti, registrano una maggiore permanenza nei cicli di istruzione e formazione e la crescita delle giovani diplomate è più sensibile nel Sud (+ 3,8%) rispetto al CentroNord (+1,7%). 14 FIGURA 1 Numeri indice dell’occupazione femminile (1993=100) per classi di età In termini di composizione, e sulla base della serie non rivista, cresce l’occupazione a tempo parziale, arrivata al 17,3% del totale e diminuisce quella full time; prosegue la progressiva riduzione della quota del lavoro autonomo e dei contratti a tempo indeterminato, mentre nell’ambito del lavoro dipendente vi è una lieve ripresa del ricorso ai contratti a termine. 6.2 Valorizzazione e sostegno della rete familiare Come sottolineato nel NAP 2003, negli ultimi anni il Governo ha mobilitato notevoli risorse per far fronte alla carenza di servizi educativi per la prima infanzia. Le risorse destinate al Fondo per gli asili nido, istituito con legge finanziaria per il 2002, pari a complessivi 300 milioni di per il triennio 2002-2004, sono già state per il 50% trasferite alle Regioni; la quota restante, confluita nel Fondo nazionale per le politiche sociali, verrà trasferita in occasione del riparto del Fondo stesso. Alcune Regioni hanno previsto risorse finanziarie aggiuntive da destinare allo scopo ed è stata prevista un’attività di monitoraggio dell’intero sistema. Per la diffusione di misure atte a favorire la conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di cura familiare di grande importanza è, poi, il contributo che il settore produttivo può assicurare: per questo motivo sono state varate specifiche misure volte a favorire l’ampliamento della rete degli asili e micronidi nei luoghi di lavoro al fine di soddisfare le esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori. Con la legge finanziaria del 2003 sono stati stanziati 10 milioni di euro a favore degli imprenditori che realizzano i nidi e micronidi all’interno dei posti di lavoro. Sono state svolte le procedure di selezione dei progetti da ammettere al finanziamento. Le domande pervenute sono risultate 227 e di queste 97 ammesse al finanziamento (di cui 23 presentate da soggetti pubblici e 74 da soggetti privati). Nell’anno in corso dovrebbero nascere almeno 120 nuove strutture “alternative” per l’infanzia, con modalità di funzionamento diversificate per tempi di apertura, iscrizione, orari di frequenza e progetti pedagogici e tra queste spicca la presenza di nidi di condominio organizzati dalle famiglie. Infine, nel quadro delle iniziative volte a rafforzare il sostegno alle responsabilità familiari ed alla conciliazione tra queste e gli impegni professionali, a fianco alle risorse assegnate per lo sviluppo della rete dei servizi, è stata varata una misura sperimentale a carattere universale, un assegno pari ad euro 1.000,00 concesso alle cittadine italiane e comunitarie, per ogni figlio nato dal 1° dicembre 2003 al 31 dicembre 2004, che sia secondo od ulteriore per ordine di nascita. Ciò anche allo scopo di incentivare le nascite successive alla prima, che rappresentano un concreto strumento di rilancio demografico. Lo stesso assegno è concesso per ogni figlio adottato nel medesimo periodo. A fine settembre sono state registrate circa 70.000 assegnazioni effettuate dai comuni. 6.3 Conciliazione tra vita familiare e vita sociale Nel corso dell’ultimo anno il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si è fortemente impegnato per dare ulteriore impulso alle misure previste dall’articolo 9 della legge 53/00 in tema di flessibilità dell’orario di lavoro. Si sono ridotti i tempi di approvazione dei progetti e si è svolta un’attività di consulenza alle aziende ed alle stesse organizzazioni sindacali. I risultati di questo impegno sono rinvenibili nell’aumento del numero di progetti presentati e approvati: nel 2003 15 (94), il 50% dei progetti presentati è stato ammesso a finanziamento (47) totale o parziale, con un incremento del 5% rispetto all’annualità precedente. Relativamente all’anno in corso i dati ufficiali, non ancora definitivi, sembrano confermare il trend positivo ma occorre sottolineare che, nonostante gli sforzi compiuti e i risultati ottenuti le risorse finanziarie disponibili sono ancora sottoutilizzate. Pertanto, al fine di potenziare indirettamente la capacità delle aziende di utilizzare le risorse pubbliche in favore della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, è stato emanato un apposito bando di gara per l’affidamento di servizi di supporto tecnico-gestionale, di ricerca e di promozione territoriale nell’ambito degli interventi in materia di conciliazione. 6.4 Il contributo del Fse alla parità uomo/donna L’integrazione delle politiche è l’elemento che caratterizza la promozione del principio di pari opportunità ed è in questa prospettiva che si caratterizza il contributo del Fse. Una parte rilevante delle azioni cofinanziate riguarda la misura direttamente rivolta alla crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro (Mis. E1). I progetti formativi più “tradizionali”, finalizzati all’occupabilità, continuano ad avere la maggior importanza e sembrano riuscire ad intercettare una parte di utenza femminile caratterizzata dall’esigenza di reinserimento lavorativo dopo un allontanamento temporaneo dal mercato del lavoro. Si registrano, poi, azioni di accompagnamento, che possono essere interpretate come azioni di conciliazione e che si caratterizzano come azioni di servizio alle persone, con l’intento di accompagnare, o far precedere, le specifiche iniziative da interventi finalizzati a sostenerne la effettiva realizzazione e, di conseguenza, supportare l’accesso delle donne alle attività programmate. Di estremo interesse per il mainstreaming di genere sono le azioni di sistema finanziate all’interno dell’Asse E, più numerose che negli altri assi. Queste hanno rappresentato il volano per l’affermazione di strumenti di governance delle pari opportunità a livello regionale: affermazione di nuove figure professionali (animatrici di pari opportunità), coinvolgimento nella programmazione di figure che intervengono sul territorio in materia di pari opportunità (Consigliere di parità), istituzione di servizi specificamente dedicati a questi temi nelle amministrazioni, ecc. Per quanto riguarda la priorità trasversale delle pari opportunità, si osserva che circa il 41% del totale dei bandi emessi nel periodo 2000-2002 la assume come condizione di ammissibilità e criterio di selezione e che il 49,2% dei destinatati degli interventi del Fse sono donne. Infine, la distribuzione per genere dei destinatari muta sensibilmente a favore delle donne e negli assi A e C mostra una presenza femminile pari all’84,3% dei destinatari. Per ciò che riguarda, l’attuazione fisica e finanziaria dell’Asse E per l’anno 2003, i dati mostrano una performance soddisfacente: per l’ob.1 si registra un’incidenza del 33,3% degli impegni sul periodo 2000-2003, del 69,6% dei pagamenti e del 57,5 dei destinatari di progetti approvati; per l’ob.3, invece, i dati mostrano una incidenza del 31,8% per gli impegni, del 52% per i pagamenti; l’attuazione fisica indica una incidenza pari a 42,2% per i progetti approvati e del 41,8% per i destinatari su progetti approvati. Per quanto riguarda le azioni, dirette e indirette, in Ob.1 intraprese dal Dipartimento per le Pari Opportunità si segnala l’avvio della “Rete Pari Opportunità”, strumento di assistenza tecnica finalizzato a favorire la diffusione di informazioni e lo scambio di esperienze che possano migliorare la qualità di programmazione, progettazione e valutazione delle politiche e delle attività in ambito comunitario dal punto di vista del genere. Inoltre, rispetto alle attività riguardanti forme flessibili di lavoro, è stata avviata un’analisi socio-economica sul telelavoro finalizzata a effettuare una ricognizione delle esperienze realizzate presso Amministrazioni pubbliche o imprese private, sull’intero territorio italiano e finanziate sia con il ricorso a fondi comunitari che con fondi nazionali o privati e a redigere un apposito vademecum. Per quanto riguarda le attività relative alla rilevazione di Osservatori sulla condizione femminile, l’attività del Dipartimento si è concentrata sulla ricognizione degli organismi di pari opportunità istituiti nell’ambito dei Fondi strutturali, con l’obiettivo di effettuare una mappatura degli organismi preposti ad assicurare il rispetto delle pari opportunità e del mainstreaming di genere presso le Regioni dell’ob.1 e verificare il livello di istituzionalizzazione di tali organismi, la loro diffusione e il grado di partecipazione ai processi decisionali. Infine, il Dipartimento per le Pari Opportunità ha sostenuto e intende continuare a sostenere politiche di conciliazione attraverso la programmazione e l’implementazione dello strumento del voucher di conciliazione. E’ stato effettuato un apposito monitoraggio rispetto all’attuazione dello strumento in questione, partendo da una definizione che considera tutti quei dispositivi che consentono l’acquisizione di servizi attraverso l’erogazione di buoni e/o voucher di acquisto volti a supportare la conciliazione degli impegni familiari e delle esigenze professionali al duplice scopo di agevolare: la partecipazione, permanenza e reingresso delle donne nel mercato del lavoro; la partecipazione delle donne agli interventi previsti dal POR. Le strategie regionali Il 2003 è stato positivamente contrassegnato da importanti momenti di confronto e dibattito tra le amministrazioni centrali e territoriali e tra gli studiosi e gli operatori del mercato del lavoro, con l’intento di approfondire, in un’ottica integrata, le problematiche connesse all’occupazione femminile ed ai divari di genere, mettendo in luce al contempo i percorsi operativi di sostegno alle pari opportunità intrapresi dalle Regioni e Province autonome e dal Governo, in coerenza con le raccomandazioni comunitarie. In questo scenario, inoltre, si è inserito da ultimo il complesso percorso di rimodulazione della programmazione operativa comunitaria, nell’ambito della verifica di metà periodo sul suo stato 16 intermedio di attuazione. Tale processo sta culminando sia nel potenziamento delle risorse finanziarie del Fondo sociale europeo destinate all’asse specifico, sia nel rafforzamento del mainstreming di genere su tutti gli assi. Nei modelli regionali l’integrazione del gender mainstreaming appare oggi in una fase di avanzata sperimentazione, con il sostegno, peraltro, anche di un’intensa produzione normativa decentrata che acquista un significato tanto più determinante alla luce della riforma della Costituzione. Un ulteriore aspetto che merita menzione è il continuo impegno delle Regioni nel promuovere e finanziare, attraverso le misure dei POR e del PIC Equal, iniziative volte a favorire la conciliazione. Infine, tra la fine del 2003 e i primi mesi del 2004 sono state definite le linee di lavoro per l’avvio di un progetto integrato interregionale sul tema della conciliazione, al quale allo stato attuale hanno aderito 8 Regioni. GL7: Promuovere l’integrazione delle persone svantaggiate sul mercato del lavoro e combattere la discriminazione nei loro confronti 7.1 Le azioni per prevenire/combattere l’abbandono scolastico Relativamente al livello di attuazione della legge di riforma del sistema educativo e formativo e agli interventi di formazione e di transizione scuola-lavoro per combattere la disoccupazione giovanile si è già detto nelle precedenti GL 1 e 4. Qui sembra opportuno richiamare alcune politiche di intervento specificamente mirate alla lotta all’abbandono scolastico. Il Piano nazionale per l’Orientamento, in via di definizione da parte del Ministero dell’istruzione d’intesa con le Istituzioni locali prevede l’attuazione di un sistema informativo nazionale per l’abbandono scolastico o anagrafe dello studente, con il coinvolgimento e la partecipazione attiva delle famiglie. Inoltre, il progetto “Genitori e scuola”, volto a incrementare le iniziative di partenariato tra scuola e genitori con attività di apprendimento formale e non formale, prevede diverse azioni, segnatamente: la messa in rete delle migliori prassi realizzate nelle istituzioni scolastiche; l’ampliamento del sito Internet delle famiglie e del FoNAGS; un forum telematico dei genitori; un seminario (realizzato ad aprile 2004) sulla riforma e sul partenariato dei genitori; 2^ Campus degli studenti d’Europa (novembre 2004). 7.2 Interventi per soggetti svantaggiati: i disabili I servizi per il collocamento mirato previsti dalla Legge 68/99 sono operativi e rispondono in maniera nuova e più adeguata alle richieste dei disabili e delle imprese. A fronte di un volume di iscritti disabili agli elenchi unici pari a 450.700, i dati sugli avviamenti effettuati nel 2003 (26.700) confermano come, a quattro anni dalla sua entrata in vigore, la nuova normativa abbia effettivamente rappresentato un miglioramento per il mondo della disabilità soprattutto per i processi di inclusione lavorativa. Altro fattore positivo è da individuare nella avvenuta appropriazione, da parte di imprese, servizi e persone disabili, degli strumenti resi disponibili dalla riforma a favore dell’inserimento lavorativo, con una più consapevole ed equilibrata applicazione di convenzioni (11.400), avviamenti numerici (2.600) e chiamate nominative (13.300). Si segnala, inoltre, il progredire dell’integrazione e delle sinergie tra differenti articolazioni delle strutture competenti, rappresentate dal numero elevato di protocolli di intesa stipulati fra i servizi per l’impiego, sociali, sanitari, della formazione professionale, ecc. Pur registrando visibili progressi nella qualità del sistema permangono attuali le necessità di interventi tesi ad una riduzione dei tassi di disoccupazione relativi alle persone disabili, attraverso l’attivazione di articolate misure di intervento. Per tali motivi, pertanto, Governo e Regioni mantengono inalterati i propri obiettivi volti ad un incremento delle opportunità offerte dal sistema formativo, da quello sociale e dal mercato del lavoro, mediante lo sviluppo di reti integrate di servizi capaci di assicurare percorsi verso la piena autonomia a favore delle persone disabili. Per quanto riguarda le nuove opportunità offerte alle persone con disabilità dalla riforma del mercato del lavoro, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si è assunto l’impegno, d’intesa con le Associazioni delle persone disabili, di promuovere un’azione di carattere sperimentale per favorire la migliore applicazione della normativa in materia ed in particolare dell’articolo 14 del D. Lgs. 276/03 (decreto attuativo della Legge Biagi) , tenendo anche presenti gli elementi di collegamento con la legge 68/99 e partendo da quelle buone pratiche già realizzate sul territorio. Infine, tra gli impegni assunti dal Governo in occasione dell’Anno europeo delle persone con disabilità si segnala il progetto che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha promosso per introdurre in Italia la nuova Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e disabilità (ICF). Le azioni che verranno realizzate riguardano, in particolare, la formazione di operatori e la sperimentazione dell’uso della nuova Classificazione nell’ambito dell’inserimento lavorativo e faranno riferimento principalmente, ma non solo, ai Servizi per l’Impiego. 7.3 Il contributo del Fse e di Equal In un contesto comunitario e nazionale caratterizzato da una crescente attenzione verso le politiche di inclusione sociale, anche nel 2003 il Fse ha fornito il suo contributo alla realizzazione degli obiettivi di equità sociale 17 direttamente rivolti alle fasce più deboli della popolazione. Le politiche di inclusione sociale cofinanziate, inoltre, sono caratterizzate da una dinamica finanziaria positiva ed in crescita rispetto al passato, con una netta accelerazione del dato di spesa; questa tendenza è ancora maggiore nelle Regioni del Mezzogiorno, che forniscono un contributo comunque limitato al quadro nazionale della misura B1. Dai dati di realizzazione fisica attualmente disponibili si evince che nel 2003 risultano approvati più di 2030 progetti nelle Regioni del Centro Nord2 e che questi rappresentano il 32,4% del totale approvato in Obiettivo 3 nel periodo 2000-2003. Recenti analisi sulle caratteristiche principali delle politiche di inclusione sociale cofinanziate dal Fse evidenziano l’attuazione di strategie diversificate e flessibili, orientate alle specificità dei bisogni delle diverse categorie di svantaggiati ed alla multidimensionalità dei loro problemi. In relazione ai destinatari degli interventi del Fse, emerge poi la chiara intenzione delle amministrazioni di ampliare la platea dei gruppi target, senza tuttavia trascurare le esigenze di quelli più tradizionali. Per quanto riguarda il PIC Equal tre risultano essere le misure rilevanti rispetto alla priorità indicata da questa Linea Guida. La Misura 1.1 (Asse Occupabilità), finalizzata a facilitare l’accesso al mercato del lavoro per le categorie maggiormente discriminate. La logica dell’intervento, sotto il profilo operativo, è volta a creare le condizioni per l’inserimento lavorativo dei soggetti più deboli sul mercato sostenendone, al contempo, il processo di inclusione. La Misura intende, infatti, sperimentare un mix di pratiche innovative che integri politiche formative e del lavoro con strumenti socio-assistenziali. Le PS Settoriali (a valenza nazionale) sono 10 e le PS Geografiche 74 per un totale di spesa certificata nell’anno 2003 di 27.110.378 Euro. La Misura 1.2, specificamente dedicata a immigrati e minoranze etniche, sperimenta azioni in grado di prevenire l’insorgere di fenomeni di razzismo e xenofobia, concependo l’integrazione come un processo reciproco di avvicinamento di mondi diversi attraverso strumenti di comprensione e conoscenza. Le PS Settoriali (a valenza nazionale) sono 7 e non sono state ammesse a finanziamento PS Geografiche per un totale di spesa certificata nell’anno 2003 di 3.746.713 Euro. La Misura 5.1, nello specifico, sostiene l’integrazione sociale e professionale dei richiedenti asilo, attraverso il miglioramento della qualità dell’accoglienza e la promozione di nuovi approcci formativi. Al fine di ottimizzare l’utilizzo delle risorse comunitarie e favorire la disseminazione e l’impatto delle sperimentazioni, la Misura favorisce l’attivazione di processi di complementarietà tra le azioni previste da Equal e le iniziative a valere sul fondo europeo per i rifugiati (FER). Le PS Settoriali (a valenza nazionale) sono 2 per un totale di spesa certificata nell’anno 2003 di 31.665.236 Euro. Le Regioni: principali scelte di riprogrammazione del FSE e linee di intervento interregionale. Appare rilevante evidenziare un dato che ha caratterizzato la riprogrammazione del FSE sia in ob.3 che in ob.1, vale a dire la particolare attenzione rivolta al rafforzamento, anche in termini finanziari, degli interventi finalizzati a utenze svantaggiate o a rischio di esclusione. In ob. 3 l’asse B è quello che ha evidenziato l’incremento percentuale più elevato rispetto agli altri (+ 15%). L’aumento in termini assoluti è pari a Euro 72.664.163. Un’elevata attenzione nei documenti programmatori è stata posta al nuovo quadro strategico, di livello comunitario e nazionale, in cui si colloca la misura. In particolare l’individuazione degli interventi viene operata alla luce dell’orientamento specifico 7 della SEO che stabilisce gli obiettivi tendenziali delle politiche di inclusione sociale, sintetizzabili nella riduzione sia del divario sui tassi di occupazione e di disoccupazione riscontrabile tra i soggetti svantaggiati e persone in età lavorativa, sia del divario in termini di tasso di disoccupazione riscontrabile tra cittadini extracomunitari e cittadini UE. In termini di orientamenti generali delle Regioni, si segnala la centralità, a fianco alle azioni a favore delle persone, delle azioni di sistema che mirano soprattutto a creare una rete integrata di soggetti pubblici e privati competenti in materia di reinserimento sociale e lavorativo dei soggetti svantaggiati affinché si dia vita ad un raccordo organizzativo generatore di collaborazioni sinergiche. Nell’ambito delle azioni alle persone si evidenziano alcune priorità tra cui risulta centrale la finalizzazione all’occupazione, ossia l’inserimento e reinserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati. Inoltre, in alcuni casi, nell’ottica di una concentrazione degli interventi, sono stati individuati target specifici a cui indirizzare prioritariamente le azioni, tra questi spiccano, a fianco a quelli tradizionali dei disabili o degli ex detenuti o dei cittadini non UE, i soggetti esposti alla nuova povertà. Un’ulteriore ambito di intervento ha riguardato, nell’ultimo anno, l’attività interregionale, in particolar modo nel campo dello strumento “dei piccoli sussidi”, con il progetto “Fare rete per l’inclusione sociale”. L’iniziativa vede coinvolte 7 Amministrazioni, tra cui le due Province Autonome, con la finalità di coordinare a livello unitario gli interventi e le esperienze attuative condotte. Il progetto, inoltre, mira a proporre una strategia di intervento in grado di orientare nella stessa direzione della strategia perseguita attraverso i “piccoli sussidi” risorse finanziarie non FSE, in una logica finalizzata a dare continuità a questo strumento d’intervento anche a conclusione della attuale programmazione di questo Fondo. 2 18 Non è disponibile il dato delle Regioni Marche e Veneto e del PON Azioni di Sistema GL8: Far si che il lavoro paghi attraverso incentivi finanziari per aumentare l’attrattiva del lavoro 8.1 La riforma fiscale In conformità con la legge delega di riforma del sistema fiscale statale (L. 80/03), sono allo studio alcune ipotesi tecniche relative alla struttura che dovrà assumere, dal 1° gennaio 2005, l’IRE – nuova denominazione dell’attuale IRPEF - nell’ottica di incentivare l’attrattiva del lavoro, sia dipendente che autonomo, diminuendo le aliquote fiscali per il reddito di lavoro prodotto. Questo il percorso di sviluppo ipotizzato: a) un’area di non tassazione, effetto di detrazioni trasformate in deduzioni decrescenti in funzione del crescere del reddito imponibile; b) due aliquote, rispettivamente del 23% fino a 33.000 euro di imponibile e del 33% sull’ulteriore imponibile; c) in aggiunta alle due aliquote, vi è la possibile introduzione di una contribuzione etica, altresì denominata “contributo di solidarietà”, anche in via temporanea, per le fasce di reddito più alte. L’attribuzione sarebbe operata, in ragione del 2%, attraverso donazioni documentate dirette del contribuente a enti od organizzazioni riconosciute; in ragione del 2% a favore di un Fondo per lo sviluppo etico e sociale dell’Italia iscritto nel bilancio dello Stato, destinato a famiglia e ricerca. Nello stesso Fondo dovrebbero affluire altresì, le somme derivanti: da erogazioni liberali effettuate, dai soggetti all’imposta sul reddito delle società oltre che le somme provenienti dai lavoratori persone fisiche. In attuazione degli articoli 9, 31 e 38 della Costituzione, le finalità del Fondo sarebbero: a) la realizzazione di interventi finanziari, previsti da disposizioni legislative o comunque indicati nella legge finanziaria, a sostegno delle famiglie, con particolare riguardo alle famiglie giovani, a quelle meno abbienti, agli anziani; b) la realizzazione di interventi finanziari orientati allo sviluppo della ricerca scientifica e del sistema universitario nel suo complesso. Secondo le più recenti ipotesi, attualmente ancora allo studio per la valutazione degli oneri derivanti all’Erario dalla perdita di gettito, per avviare il secondo modulo della riforma fiscale nella prossima finanziaria dovrebbero essere previste 3 aliquote: una del 23%, un’altra del 33% e l’ultima del 39%. Gli scaglioni di reddito saranno fissati in via transitoria nel 2005 per poi entrare a regime nel 2006. La no tax area dovrebbe crescere per i pensionati a 7.500 euro, lo stesso livello dei lavoratori dipendenti, benché questi ultimi abbiano logicamente rispetto ai primi maggiori spese di produzione del reddito. In ogni caso i contribuenti, in sede di dichiarazione dei redditi per l’anno 2005, potranno applicare le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi in vigore al 31 dicembre 2002, se più favorevoli. Il taglio delle aliquote dell’IRE terrà conto della “situazione familiare” e della tutela dei soggetti con redditi meno elevati, con particolare riguardo alle famiglie “monoreddito”. Per aumentare la forza lavoro futura verranno previsti interventi a più lungo termine. Il DPEF per il 2005 prevede, infatti, misure di sostegno alle giovani coppie, in particolare per l’acquisto della prima casa di abitazione. Tra le ipotesi possibili è attualmente allo studio quella delle agevolazioni sui mutui immobiliari, progetto già avviato con le due precedenti leggi finanziarie ma poi non portato a termine per carenza dei fondi necessari. 8.2 Gli ammortizzatori sociali Il riordino del sistema fiscale e di welfare deve potere garantire l’introduzione dei principi del Make Work Pay (MWP). Infatti, se il livello dei trattamenti non è particolarmente elevato, difficoltà insorgono per via della scarsa interazione tra politiche di attivazione dei beneficiari e politiche passive e della ridotta capacità di controllo sui comportamenti dei beneficiari di sussidi. La strategia utilizzata dal Governo nell’ambito delle iniziative di riforma degli ammortizzatori sociali all’esame in Parlamento (disegno di legge delega AS848bis) valorizza l’approccio MWP “preventivo” e di welfare, più che la definizione di programmi ad hoc su singole popolazioni. Il disegno di legge delega prevede un miglioramento nell’estensione sino a 12 mesi della durata potenziale del sussidio di disoccupazione, il cui importo diviene pari al 60% della precedente retribuzione nei primi sei mesi per poi decrescere al 40% (per altri 3 mesi) ed infine al 30%. Ugualmente, si prevede un rafforzamento della logica assicurativa di funzionamento dei sussidi e delle azioni preventive della disoccupazione di lunga durata da porre in essere nei confronti dei beneficiari. Gli schemi attualmente esistenti sono ascrivibili a tre tipologie differenti di ammortizzatori sociali: i trattamenti del settore industriale; i trattamenti ordinari; i trattamenti agricoli e non agricoli con requisiti ridotti quale integrazione dei redditi. Per quanto riguarda le politiche di contrasto della povertà, il Governo, le Regioni e le parti sociali, considerate le caratteristiche sociali ed economiche del mercato del lavoro, hanno ritenuto di affrontare le situazioni di povertà estrema con uno strumento quale il reddito di ultima istanza, che viene istituito a livello locale e che prevede un cofinanziamento nazionale. D’altra parte, le iniziative già poste in essere a seguto della riforma del mercato del lavoro si inscrivono in una strategia complessiva di riforma per favorire la partecipazione al lavoro delle donne, consentire un più significativo e diffuso intervento di sostegno al reddito dei disoccupati e dei soggetti a rischio di esclusione sociale, nonché facilitare una maggiore flessibilità salariale favorendo l’occupazione dei soggetti, soprattutto di quelli localizzati nel Mezzogiorno, con minori potenzialità di reddito nel mercato. Due gli elementi di rilievo nel consentire di coniugare sostegno al reddito dei soggetti più deboli e incentivi al lavoro concernono l’uso di uno strumento omogeneo di valutazione delle condizioni di bisogno economico (l’Indicatore sulla Situazione Economica Equivalente definito dal decreto legislativo 109/1998 e successive modifiche) ed il rafforzamento del legame tra accesso a determinati prestazioni sociali e requisiti contributivi, connessi col lavoro, precedenti. In tale prospettiva, di grande importanza sono anche le previsioni contenute nel D.Lgs 276/03 e connesse con la possibilità di far emergere, con aliquote contributive ridotte, forme di lavoro che altrimenti verrebbero attuate nel sommerso. 19 GL9: Trasformare il lavoro nero in occupazione regolare 9.1 Politiche di contrasto al lavoro irregolare La consistenza del fenomeno del lavoro irregolare, soprattutto in alcuni contesti territoriali, ha indotto a porre la tematica dell’emersione al centro dell’agenda politica del Governo italiano, che negli ultimi due anni ha attivato politiche che hanno contribuito a ridurne la portata, attraverso l’adozione di specifici provvedimenti in materia ma anche grazie al consistente incremento occupazionale registrato. La principale fonte normativa che ha regolato questa attività è rappresentata dalla legge 383/2001, caratterizzata da incentivi all’emersione e da una maggiore severità nell’adozione di strumenti di repressione del fenomeno, descritta nel precedente NAP. In base ai dati dei CLES (Comitati per il Lavoro e l’Emersione del Sommerso) i piani di emersione presentati sono stati 1.029, per un totale di 3.854 lavoratori interessati. Rispetto alle iniziative più direttamente connesse all’azione di contrasto al lavoro sommerso, va sottolineato che il Governo ha pianificato, tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003, un’intensificazione degli accessi ispettivi attraverso la predisposizione di un piano straordinario di accertamento in materia di lavoro e legislazione sociale, in raccordo fra tutte le amministrazioni competenti. Inoltre l’azione di regolarizzazione di lavoratori immigrati ha permesso di far emergere, nel corso del 2003, circa 700.000 cittadini extra-UE pari al 18% dell’intero stock di lavoratori sommersi. Preso atto dei risultati conseguiti, l’azione che il Governo ha attualmente messo in atto è caratterizzata da un approccio basato su quattro pilastri: • La riforma del mercato del lavoro - il processo intrapreso con l’approvazione della Legge Biagi consentirà un accrescimento dell’adattabilità e dell’occupabilità regolare; • La riforma della vigilanza, mirata a razionalizzare, aggiornare e arricchire le attività dei diversi Istituti competenti, anche attraverso la creazione di una Direzione Generale ad hoc; • La bilateralità - attraverso il coinvolgimento diretto delle parti sociali e con un’ottica di tipo settoriale, le politiche di contrasto al sommerso saranno orientate all’individuazione di specifiche misure e azioni volte a favorire l’utilizzazione di manodopera regolare attraverso strumenti incentivanti di natura premiale e con conseguenti penalizzazioni per le imprese che non operano nell’ambito della regolarità; • La territorialità - per intervenire efficacemente sul fenomeno del lavoro non dichiarato occorre creare servizi e in generale un ambiente sociale favorevole alla regolarità dei rapporti d’impiego. Per tale ragione appare necessario: a) il supporto dei servizi per l’impiego; b) la creazione di reti di cooperazione interistituzionali; c) il rafforzamento del dialogo sociale. 9.2 Le politiche per l’emersione A riscontro dell’impegno politico assunto dall’Italia durante il semestre di Presidenza Italiana del Consiglio dell’UE, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha avviato, nel 2003, un progetto, denominato IES – Iniziative per l’Emersione del Sommerso, in grado di rispondere a quattro obiettivi principali: • attivare un sistema di monitoraggio continuo dei progetti e delle azioni realizzate sul territorio a sostegno dell’emersione del lavoro non dichiarato, con l’obiettivo di supportare le istituzioni ed i decisori centrali e locali nella definizione di politiche mirate; • agevolare la diffusione dell’informazione sulle azioni e sulle prassi adottate in Italia ed in Europa, in tema di contrasto al lavoro non dichiarato, con l’obiettivo di fornire supporto alla progettazione e realizzazione di nuove iniziative a livello territoriale; • affermare la centralità dei nuovi servizi per l’impiego nella proposizione e nell’attuazione di iniziative di sviluppo locale, affinché, si possano rimuovere parte dei vincoli che ancora impediscono l’emersione del lavoro e dell’economia locali; • porre il tema del lavoro e dell’economia sommersi quale elemento trasversale a tutte le politiche di sviluppo socio-economico ed occupazionale. Particolare rilevanza assume, nell’ambito del progetto, l’iniziativa di sensibilizzazione a favore dei SPI il cui ruolo è insostituibile nello sviluppo di strategie volte a contrastare l’economia sommersa ed il lavoro non regolare. Alla rete dei servizi per l’impiego, infatti, è demandato il compito di conoscere il territorio e le sue specializzazioni settoriali e produttive, far incontrare l’offerta e la domanda di lavoro in condizioni di parità di forza contrattuale, assicurare le necessarie azioni nei confronti delle aree deboli dell’offerta e della domanda, coinvolgere ed attivare in azioni di medio-lungo periodo le istituzioni e le forze sociali, dalla scuola alle autorità di controllo, perché siano coerenti con gli obiettivi di sviluppo socio economico del territorio. Nel contempo, sulla base della risoluzione del Consiglio dei Ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali dell’Unione Europea sulla trasformazione del lavoro nero in lavoro regolare, l’Italia si è attivata a livello internazionale per favorire la costruzione di una rete di scambio e cooperazione tra i diversi Stati membri. In particolare, Italia e la Francia hanno realizzato, nel 2004, un seminario congiunto a Parigi dedicato alla tematica del lavoro irregolare e attualmente i due Paesi stanno lavorando all’elaborazione di una proposta di cooperazione, da sottoporre anche all’attenzione di altri Stati e della Commissione Europea. 20 Strategie regionali di contrasto al lavoro non regolare Le politiche regionali rappresentano un’occasione importante per approfondire la conoscenza del territorio e trasformare, man mano che vengono implementate, le azioni a favore dell’“emersione” in vere e proprie politiche per lo “sviluppo del locale” e per l’aumento della coesione sociale. A ciò si aggiunga che le numerose iniziative locali, attivate ad un livello di governo più vicino al territorio, riescono in maniera più incisiva a fronteggiare, anche attraverso azioni innovative e/o sperimentali, la problematica del lavoro nero a seconda delle peculiarità che essa assume rispetto al contesto di riferimento. Nell’ultimo anno, le azioni regionali si sono realizzate attraverso l’utilizzo delle risorse della programmazione del FSE (misure 3.11 o 3.12 Por ob.1; misure A1 e D3 Por ob.3), nonché attraverso un sistema di norme articolate in grado di rispondere efficacemente alle necessità locali che trovano copertura finanziaria sia nei fondi regionali sia in quelli nazionali. Nello specifico, tutte le Regioni/PA hanno predisposto e/o potenziato azioni di misurazione e/o di contrasto nei confronti dell’economia non dichiarata. GL10: Affrontare le disparità regionali in materia di occupazione 10.1 Quadro di contesto Le Regioni italiane sono tradizionalmente caratterizzate da disparità strutturali largamente riconducibili alle due macroaree geografiche di Centro-Nord e Mezzogiorno. TABELLA 2 Scomposizione del Pil pro-capite (valori medi per area, Italia=100) Pil pro-capite (2002) Produttività (2002) Tasso di occupazione 15-64 anni (2003) Centro-Nord 117,3 105,0 111,8 Mezzogiorno 69,0 87,1 78,8 Fonte: elaborazioni su dati Istat, Indagine sulle Forze di lavoro La dimensione della disparità è evidenziata dai valori registrati dal Pil per abitante che nel 2002, rispetto alla media nazionale, ha raggiunto valori compresi fra i 131,1 per cento della Valle d’Aosta (129,1 del Trentino Alto-Adige) e il 63,4 per cento della Calabria. Tale divario è il risultato di una differenza nei livelli di produttività (valore aggiunto per unità di lavoro), che assumono valori fra il 112,2 per cento in Lombardia all’81,9 per cento in Calabria, ma, soprattutto, nei tassi di occupazione per la classe di età 15-64 anni. Il tasso di occupazione è stato pari nel 2003, sempre rispetto alla media italiana, al 121,9 per cento in Emilia-Romagna e al 74,7 per cento in Sicilia. Sardegna Sicilia Calabria Basilicata Puglia Campania Molise Abruzzo Lazio Marche Umbria Toscana E. Romagna F.V. Giulia Veneto T.A. Adige Liguria Lombardia Tasso di occupazione 15-64 anni per regione nel 2003 (valori percentuali) Piemonte 2 V. D’Aosta FIGURA Fonte: elaborazioni su dati Istat, Indagine sulle Forze di lavoro 21 Negli ultimi anni si è verificata una tendenza alla riduzione degli squilibri regionali citati. Dalla metà degli anni novanta le regioni meridionali sono cresciute più di quelle del Centro-Nord e hanno ridotto, anche se di poco, il differenziale rispetto all’Italia nel prodotto pro-capite . Dal 2001, in una fase di rallentamento dell’economia nel suo complesso, la crescita è stata sostenuta dall’espansione dell’occupazione che è stata più forte proprio nel Mezzogiorno. Nel 2003 la dinamica dell’occupazione, invece, ha subito nel Sud un rallentamento superiore a quello del resto del Paese. I dati, ancora provvisori, segnalano tuttavia che il reddito pro-capite è stato sostenuto da un recupero di produttività. Inoltre, è da segnalare che la popolazione in età attiva si è stabilizzata nell’ultimo anno dopo la diminuzione del biennio precedente. 10.2 Risorse Finanziarie La spesa in conto capitale procapite nel Mezzogiorno permane di poco superiore a quella del Centro-Nord ed è inferiore a quest’ultima se si considerano i soli investimenti pubblici in senso stretto (al netto dei trasferimenti in conto capitale). Gli obiettivi definiti nei documenti programmatici del Governo degli ultimi sei anni sono quindi tesi da un lato, a raggiungere livelli di spesa per lo sviluppo dell’area compatibili con obiettivi di convergenza e dall’altro, a riequilibrare la composizione della spesa in conto capitale a favore di interventi di investimento pubblico in senso stretto (investimenti in infrastrutture e servizi infrastrutturali). Il DPEF 2005-2008 conferma gli obiettivi programmatici della politica regionale dell’Italia relativi al raggiungimento della crescita dell’area al di sopra della media europea nella seconda metà del decennio e all’aumento nello stesso periodo del tasso di attività fino al 60%. Le fonti di finanziamento specifiche destinate alle politiche di riduzione dei divari regionali sono, come noto, costituite dalle risorse nazionali incluse nel Fondo Unico per le Aree Sottoutilizzate - ridefinito dalla legge Finanziaria per il 2003 - e dalle risorse comunitarie e di cofinanziamento nazionale del Quadro Comunitario di Sostegno per le Regioni obiettivo 1; a queste si aggiungono le risorse ordinarie di spesa pubblica in conto capitale. Pur in presenza di una contrazione della spesa in conto capitale complessiva nel Mezzogiorno - da attribuirsi in gran parte alle difficoltà registrate dalle politiche di incentivo all’investimento privato in un periodo di crescita modesta e incertezza - coerentemente con gli impegni presi in sede europea relativamente alla necessaria aggiuntività del contributo dei fondi strutturali rispetto alla politica regionale nazionale, sono confermati gli obiettivi programmatici di spesa a favore del Mezzogiorno. Nella media del periodo 2004-2008 la spesa in c/capitale a favore dell’area dovrebbe crescere annualmente, più rapidamente di quanto registrato nel periodo 20002003 dove si era attestata a circa il 6,4 per cento. A questo obiettivo contribuirà il conformarsi delle Amministrazioni Centrali Pubbliche e degli Enti all’obiettivo di destinare al Mezzogiorno il 30 per cento della spesa in conto capitale. Gli obiettivi programmatici sono raggiungibili con il mantenimento dei flussi annuali di finanziamento al Fondo Aree Sottoutilizzate e della loro assegnazione a interventi infrastrutturali e a incentivi, ma dipendono largamente anche dalle capacità di progettazione e spesa da parte delle Amministrazioni e degli Enti preposti alla realizzazione di infrastrutture e dalle prospettive degli investimenti privati a cui si rivolgono le politiche di incentivazione. Le ipotesi programmatiche per il periodo 2004-2008 incorporano sia l’esperienza relativa alla capacità di assorbimento della spesa da parte di amministrazioni e territori, sia le recenti evoluzioni del ciclo economico nazionale. Il conseguimento degli obiettivi programmatici di spesa è pertanto strettamente connesso con la realizzazione di progressi e innovazioni dal punto di vista di composizione, qualità e gestione della spesa stessa. Tali aspetti includono le misure per l’accelerazione della spesa incluse nella Finanziaria per il 2004 e l’individuazione di infrastrutture a forte valenza strategica; il policy mix tra spesa pubblica in infrastrutture e aiuto all’investimento privato (in riduzione); alcune riforme ai meccanismi di incentivazione all’investimento privato (in particolare L.488/92 e Patti territoriali); il rafforzamento delle capacità delle Amministrazioni titolari di spesa sia per quanto riguarda la predisposizione e selezione di progetti di qualità sia per le attività di valutazione. 10.3 Strumenti di intervento per l’investimento pubblico Gli obiettivi di sviluppo territoriale vengono perseguiti attraverso un’azione coordinata delle politiche regionali, nazionali e comunitarie. Esse mirano, in primo luogo, a promuovere e realizzare progetti infrastrutturali di valenza nazionale e regionale e una maggiore efficacia degli incentivi per lo sviluppo locale e l’attrazione degli investimenti. Le risorse individuate nel quadro finanziario oggetto degli impegni programmatici del Governo costituiscono le fonti di finanziamento di tre gruppi di strumenti di intervento “strategico”, oltreché di interventi di tipo ordinario: 1) gli Accordi di programma quadro (APQ), attraverso i quali le Regioni e le Amministrazioni Centrali concordano le priorità strategiche e gli interventi di investimento da realizzare sui singoli territori, individuando le risorse finanziarie per la loro copertura. La stipula di un APQ è, inoltre, necessaria per programmare e spendere le risorse del Fondo per le aree sottoutilizzate. Gli APQ stipulati al 30 luglio 2004 sono 219 (125 nel Centro–Nord e 94 nel Mezzogiorno), per un valore di oltre 47.000 milioni di euro (al netto degli APQ per la ricostruzione post-terremoto in Marche ed Umbria); di questi, circa 22.000 milioni riguardano investimenti nel Centro-Nord e oltre 25.000 milioni nel Mezzogiorno. Gli investimenti previsti nei soli APQ stipulati nel 2003, pari a un importo di circa 10.000 milioni di euro, sono allocati per l’83,2 per cento al Sud. 22 TABELLA 3 APQ stipulati per Asse di intervento e per macroarea (valori in milioni di euro) Centro - Nord Mezzogiorno Italia Asse QCS N Valore % N Valore % N Valore % 1- Risore naturali 42 3.597,9 16,4 22 7.112,1 28,4 64 10.709,9 22,7 2 - Risorse culturali 13 866,1 3,9 20 936,0 3,7 33 1.802,0 3,8 3 - Risorse umane 5 81,3 0,4 - 5 81,6 0,2 4 - Sistemi locali di Sviluppo 14 484,4 2,2 19 4.203,3 16,8 33 4.687,7 10,0 5 - Città 9 2.007,2 9,1 6 487,3 1,9 15 2.494,4 5,3 6 - città 42 14.968,1 68,0 27 12.342,9 49,2 69 27.311,0 58,0 Totale 125 22.005,2 100,0 94 25.081,5 100,0 219 47.311,0 100,0 Fonte: MEF- DPS (dati al 30 luglio 2004) L’accelerazione nella programmazione degli interventi, riscontrata soprattutto nel 2003, è stata resa possibile anche per l’introduzione di nuove regole, simili a quelle vigenti per i fondi strutturali del QCS 2000-2006, grazie alle quali, inclusi i meccanismi di premialità e sanzioni, è stato dato notevole impulso sia all’attività di nuova programmazione sia a quella di riprogrammazione degli interventi previsti dagli APQ già stipulati; 2) il Quadro comunitario di sostegno (QCS) prevede specifiche politiche di intervento volte all’obiettivo di sviluppo economico del Mezzogiorno e quindi di riequilibrio territoriale. Il QCS 2000-2006 prevede un volume di risorse complessive per 51 miliardi di euro da destinare a programmi di investimento pubblico. L’attuazione finanziaria degli interventi cofinanziati è stata avviata sulla base di un profilo programmatico (approvato dalla Commissione Europea), in base al quale sono stati fissati gli obiettivi di spesa per tutto il periodo di ammissibilità dei pagamenti (2000-2008). L’attuazione degli obiettivi finanziari programmatici ha dato esiti fortemente positivi e si è raggiunto, sia nel 2002 sia nel 2003, il pieno utilizzo delle risorse previste dal meccanismo europeo di disimpegno automatico. Al conseguimento di tale risultato ha concorso il meccanismo premiale previsto in base al quale ogni Amministrazione doveva conseguire l’obiettivo di spesa europeo entro fine ottobre, con due mesi di anticipo sulla scadenza. Nel complesso, oltre a sostenere l’obiettivo di spesa, il meccanismo della riserva ha costituito un volano per la modernizzazione amministrativa e per l’attuazione di importanti riforme in diversi settori di intervento, tra i quali la messa a regime dei Servizi per l’Impiego. Per quanto riguarda la distribuzione settoriale, la quota maggiore della spesa è destinata all’asse “Sistemi locali di sviluppo”, che con oltre 4 miliardi di euro rappresenta il 36,6 per cento della spesa totale, seguito dagli assi “Reti e nodi di servizio” e “Risorse naturali” con circa il 19 per cento ognuno. Il 2003 ha rappresentato, inoltre, il momento della verifica dell’impianto strategico e della capacità attuativa del QCS. Pur confermando l’impostazione strategica del QCS e dei Programmi operativi ad esso correlati, la revisione ha consentito di aggiornare il QCS rispetto ai principali cambiamenti nelle politiche di sviluppo, sia comunitari, con l’orientamento del QCS verso l’attuazione della Strategia di Lisbona e Goteborg nei suoi vari campi di intervento (quali l’ambiente, la società dell’informazione, la ricerca, l’imprenditorialità, l’occupazione, l’istruzione e formazione, l’inclusione sociale), sia nazionali, quali la riforma del mercato del lavoro; 3) specifici programmi strategici di settore approvati dal CIPE. Nell’ultimo biennio, oltreché a programmi più tradizionali nel settore dei trasporti, si sono aggiunti specifici programmi diretti al rafforzamento della Ricerca e dell’Innovazione. Per tutti questi programmi l’attuazione è definita sempre più in partenariato tra Regioni e amministrazioni centrali di settore di riferimento. 10.4 Sviluppo locale e integrazione delle politiche del lavoro Nel corso del 2003 e nel 2004 è proseguita l’attuazione dei progetti di sviluppo locale inseriti nello strumento dei Patti territoriali. I patti territoriali sono attivi per la promozione dello sviluppo locale sia nel Centro-Nord, sia nel Mezzogiorno. Alla fine del 2003, i patti complessivamente attivi sono 218, ad essi è associato un ammontare di investimenti in azioni pubbliche e investimenti privati pari a oltre 11 milioni di euro, di cui circa il 60% nel Mezzogiorno. Nelle regioni dell’Ob.1 sono stati definiti - quale modalità di attuazione di una parte delle risorse finanziarie dei programmi operativi regionali cofinanziati dai fondi comunitari (POR)– numerosi progetti di sviluppo locale (progetti integrati territoriali - PIT). 23 I PIT sono Progetti di sviluppo complesso per aree delimitate da gruppi di comuni, composto da un insieme di interventi che, interagendo tra loro, contribuiscono ad una comune strategia di sviluppo definita dagli attori locali per rispondere a bisogni e opportunità concrete. La maggior parte dei progetti, che interessa quasi la totalità degli enti locali, è stata compiutamente definita tra il 2001 e il 2003. Una particolare linea di intervento – coordinata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali - è specificamente diretta a migliorare gli interventi nel campo delle risorse umane. La completa definizione dei contenuti di tutti i progetti individuati è prevista per la fine del 2004. La progettazione integrata territoriale (PIT), intesa quale nuova modalità operativa di attuazione dei fondi strutturali nelle Regioni rientranti nell’obiettivo 1, è in una fase di piena espansione con una situazione abbastanza eterogenea nei vari contesti territoriali. Nel corso del 2003, il MEF ha implementato il progetto “PIATAS”. Si tratta di un progetto integrato di azioni di assistenza tecnica e di sistema, finalizzato al coordinamento ed alla promozione di sinergie tra le tante e diversificate azioni di supporto che molte Amministrazioni hanno proposto o stanno realizzando, secondo le rispettive competenze, assistendo/accompagnando le amministrazioni regionali e gli stessi soggetti e percorsi attuativi della Progettazione Integrata a livello locale. L’intervento del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali mira a rafforzare i meccanismi di coordinamento delle politiche attive del lavoro (con particolare attenzione ai servizi per l’impiego) all’interno dei PIT, attraverso il coinvolgimento delle istituzioni e dei soggetti locali, delle parti sociali e degli operatori pubblici e privati dei SPI. Il progetto prevede azioni di assistenza tecnica presso le strutture regionali, da realizzarsi in stretto raccordo con le Regioni, al fine di promuovere e sostenere l’integrazione tra la progettazione integrata e gli interventi per l’occupazione. Sono stati stipulati Protocolli di intesa tra Ministero del Lavoro e le Regioni ( AdG e Assessorato al lavoro) che definiscono obiettivi, strumenti, e tempi delle attività di Assistenza Tecnica/Supporto fornita da apposite Task force. A livello nazionale è prevista una struttura di coordinamento centrale che si raccorda con il Comitato di pilotaggio per la definizione delle linee strategiche di intervento e delle metodologie utilizzate. La durata totale del progetto è di 18 mesi, ed essa prevede, dopo una fase di verifica dei territori in cui avviare le attività, l’avvio dell’assistenza tecnica e congiuntamente l’attività di rilevazione e l’allestimento di un sito dedicato: ad esse seguirà l’attività di animazione territoriale. Il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali ha poi inteso promuovere, nel corso del 2003, un’Azione di Sistema nell’ambito del suddetto PON ATAS Ob.1, con il Progetto Cl.U.S.Ter. (Capitale Umano e Sviluppo Territoriale), finalizzata ad accompagnare la PI nelle Regioni Ob. 1 e i suoi processi attuativi tuttora in evoluzione. Si è promosso un intervento che si configurasse quale sostegno agli attori regionali e locali per un pieno e qualificato impiego del FSE negli interventi di qualificazione del capitale umano, cogliendo anche l’opportunità di rafforzare e integrare i sistemi locali di istruzione e formazione, attraverso la promozione di Patti Formativi Locali. Per realizzare l’AdS l’UCOFPL ha istituito un Gruppo di Lavoro preposto alla regia istituzionale e al coordinamento strategico e operativo del progetto; tale gruppo, composto da personale del Ministero del Lavoro e dell’Isfol, oltre ad aver svolto attività di sostegno e assistenza alle AdG regionali e agli stessi Progetti Integrati, ha avviato e formalizzato collaborazioni interistituzionali con il M.E.F. e con il MIUR, individuando le più opportune sinergie per valorizzare i rispettivi PON Ob.1 nei territori interessati dalla PI. Per assicurare la più larga tempestività e la più diffusa e costante presenza nelle sette Regioni interessate e nei 139 Progetti Integrati ad oggi individuati, l’UCOFPL ha proceduto alla selezione di una struttura esterna in grado di offrire un qualificato sostegno operativo alle molteplici attività in essere e a quelle da sviluppare, almeno sino al 2006. Nell’ambito del PON ATAS Ob.1 2000-2006 Misura 1.2, il Dipartimento per le Pari Opportunità ha previsto una specifica azione di supporto e assistenza alle Regioni Ob.1 per la programmazione e attuazione dei PIT in un’ottica di genere. I risultati ottenuti sono allo stato attuale del progetto riconducibili principalmente ad un’attività di assistenza tecnica sulla progettazione integrata in ottica di genere attraverso analisi ex-post della programmazione strategica e della programmazione attuativa secondo la metodologia VISPO e alla sperimentazione di un modello di integrazione del principio del mainstreaming su un PIT in fase di programmazione (PIT Isole Minori). Gli sviluppi futuri del progetto riguardano prevalentemente la realizzazione di un Manuale che porti a sistema gli elementi che hanno caratterizzato la partecipazione del DPO nella programmazione del PIT Isole Minori e l’esperienza condotta dalla Regione Campania sul tema della Progettazione Integrata (Linee Guida e software), nonché la sperimentazione di una o più fasi del modello previsto all’interno del Manuale in altre esperienze di progetti Integrati. Nell’ambito della programmazione 2000-2006 particolare attenzione viene rivolta agli interventi che favoriscono lo sviluppo locale ed il Dipartimento della Funzione Pubblica, titolare della Misura II.2 del PON ATAS, ha attuato, attraverso l’azione 3, “Sostegno alle politiche di sviluppo locale” un insieme di interventi rivolti ad accompagnare la programmazione cofinanziata a livello locale. Gli interventi previsti si inseriscono nell’ambito della più generale politica di miglioramento dell’efficienza dell’Amministrazione Pubblica, riconosciuta come una delle politiche settoriali trasversali dalla cui attuazione dipende anche il successo del Quadro Comunitario di Sostegno. L’obiettivo degli interventi finanziati è quello di incrementare in modo permanente le competenze e le capacità di intervento degli attori che intervengono a vario titolo nella progettazione integrata, promuovendo il processo di crescita delle Pubbliche Amministrazioni locali attraverso il sostegno alla costituzione e al consolidamento di Nuclei Territoriali amministrativi di operatori esperti nelle tematiche di programmazione, gestione, monitoraggio, controllo e valutazione degli investimenti pubblici; nonché attraverso il sostegno, a livello locale, dei processi di innovazione istituzionale, amministrativa ed organizzativa attuati con i PIT, in coerenza con lo sforzo di modernizzazione in atto nelle Regioni Obiettivo 1. 24 In presenza di realtà territoriali caratterizzate da molteplici differenze dei mercati del lavoro, che in alcuni casi danno luogo a veri e propri fenomeni di dualismo, la promozione dello sviluppo locale, inteso come valorizzazione delle risorse e delle vocazioni territoriali, la concertazione ed il ricorso al partenariato locale pubblico e privato, divengono una strategia indispensabile per favorire, in maniera efficace, la crescita dell’occupazione e l’aumento della competitività. Del resto, tale dinamica risulta rafforzata anche alla luce dell’attuale scenario di riferimento europeo che, a seguito dell’allargamento dell’Unione ai paesi dell’est, ha rilevato la presenza di molteplici disparità. In tale contesto, le Amministrazioni regionali, nell’ultimo anno, hanno implementato gli strumenti a loro disposizione per cercare di affrontare e di ridurre degli squilibri territoriali in materia di sviluppo e di occupazione: 1) l’integrazione delle politiche, specie tra le politiche attive del lavoro e della formazione con quelle economiche e sociali, ed i numerosi strumenti della programmazione integrata, al fine di favorire lo sviluppo e la crescita occupazionale nei territori; 2) il maggior ricorso ad iniziative a carattere interregionale. 25 C. RISPOSTA ALLE RACCOMANDAZIONI DEL CONSIGLIO 1. Raccomandazione comune: aumentare l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese. Raccomandazioni specifiche: monitorare la riforma volta a ridurre gli squilibri tra contratti a tempo determinato e indeterminato e la segmentazione del mercato del lavoro; aumentare il livello di copertura dell’indennità di disoccupazione; perseguire un’ulteriore riduzione del costo del lavoro, specialmente per i lavori meno retribuiti; aumentare l’impegno nel contrasto al lavoro non regolare rimuovendo i disincentivi fiscali e aumentando la forza della legge; incoraggiare le Parti Sociali a rivisitare il sistema di contrattazione collettiva per tenere in considerazione le differenze tra i mercati del lavoro regionali. Un sistema permanente di monitoraggio statistico e di valutazione della riforma del mercato del lavoro è previsto dal decreto attuativo della legge Biagi (Dlgs 276/2003); nel corso del 2004 il sistema verrà reso operativo attraverso la costituzione della prevista Commissione di esperti. Nell’ambito di questo sistema verranno utilizzati dati sia di fonte amministrativa, sia tratti da indagini campionarie. Per quanto riguarda queste ultime, d’intesa tra il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l’Istat, il questionario della nuova Rilevazione continua delle forze di lavoro è stato modificato in maniera da tenere in considerazione le nuove forme contrattuali introdotte dalla legge Biagi. Gli effetti della riforma ed in particolare le possibili segmentazioni che dovessero emergere, sono comunque già oggetto di monitoraggio anche da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’ISFOL. Si deve ricordare, peraltro, che il Ministero conduce da anni – basandosi soprattutto su fonti amministrative – un continuo monitoraggio delle politiche occupazionali, che si estende anche alla misurazione della consistenza delle diverse forme contrattuali atipiche. In questo quadro è stato recentemente sviluppato, con il cofinanziamento dell’Eurostat, un campione longitudinale di dati amministrativi tratti dagli archivi dell’INPS, con lo scopo di valutare i percorsi occupazionali dei lavoratori dipendenti ed autonomi. Per meglio sfruttare queste fonti è stato predisposto un nuovo modello per le comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro da inoltrare in modalità esclusivamente telematica; nello stesso senso opera la mensilizzazione del modello di comunicazione per i dati relativi ai lavoratori dipendenti (da gennaio 2005). L’utilizzo di queste indagini permette un monitoraggio costante dei passaggi da lavoro a tempo determinato a contratti diversi. E’ stato strutturato, inoltre, un Osservatorio sul part-time, anche con l’intento di verificare l’utilizzo di contratti a tempo indeterminato part-time verticale in sostituzione di altri rapporti a tempo determinato o stagionali. Vale la pena sottolineare come anche da parte di numerose amministrazioni regionali e provinciali vengano promosse indagini ascrivibili a quelle già citate. Anche all’interno delle attività degli Osservatori sul mercato del lavoro, molte regioni (tra cui specificamente Piemonte, Emilia Romagna, Toscana) elaborano dati con cadenza regolare sulle differenti forme di lavoro, la loro consistenza ed i flussi che, nel territorio regionale, le caratterizzano. Sulla base delle prime osservazioni si può rilevare come la maggiore possibilità di utilizzare i contratti a termine e i contratti di lavoro temporaneo non abbia prodotto quei fenomeni di segmentazione del mercato del lavoro registratisi in altri Paesi. In particolare, l’analisi longitudinale dei dati tratti dall’indagine sulle forze lavoro mostra che la probabilità di essere occupati ad un anno di distanza è cresciuta negli ultimi anni più per i lavoratori a termine che per quelli a tempo indeterminato, e più per le donne che per gli uomini. Parte del merito può essere data anche al credito d’imposta per nuova occupazione introdotto dalla legge 388/2000 e poi ridisciplinato dall’articolo 63 della legge 289/2002. La riforma del sistema di sostegni al reddito è delineata in un provvedimento legislativo rimasto fermo presso il Parlamento. In essa, coerentemente con quanto previsto nel Patto per l’Italia, è contenuta la previsione di innalzamento dell’indennità di disoccupazione e il suo configurarsi quale strumento di politica attiva del lavoro. L’esame da parte del Parlamento è iniziato nuovamente solamente da alcune settimane, con lo scopo di giungere alla approvazione della legge delega entro i primi mesi del 2005. L’attuazione della riforma fiscale delineata dalla legge di delega n. 80/2003 continua a rappresentare una priorità dell’azione di governo. Un primo modulo, già attuato con la legge finanziaria per il 2003, è stato concentrato nelle fasce di reddito meno elevate, contribuendo a rendere più attrattivo il lavoro, soprattutto in relazione al secondo membro lavoratore della famiglia. Nei prossimi due anni il Governo proseguirà nell’attuazione della riforma, procedendo alla realizzazione del secondo modulo di riforma dell’IRE, e riducendo l’IRAP. L’entità della riduzione complessiva che il Governo intende realizzare sarà pari, nel biennio, ad un punto del PIL. In particolare, per quanto riguarda l’IRAP, gli interventi potranno essere selettivi e principalmente rivolti alle imprese più attive sul fronte dell’innovazione tecnologica. Il Governo italiano, negli ultimi due anni, ha posto la tematica dell’emersione del lavoro irregolare al centro della propria agenda politica, procedendo all’adozione di specifici provvedimenti legislativi in materia. In particolare, si fa riferimento alla legge 383/01, che ha introdotto incentivi all’emersione e una maggiore severità rispetto alla repressione delle 26 irregolarità; degna di nota è anche l’istituzione, a livello provinciale, dei Comitati per il Lavoro e l’Emersione del Sommerso, a composizione mista istituzioni-parti sociali. E’ stato poi varato un piano straordinario di accertamento in materia di lavoro e legislazione sociale, che ha previsto la creazione di una Direzione Generale ad hoc all’interno del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e un aumento significativo del numero degli ispettori del lavoro. Si segnala, inoltre, che due dei tavoli settoriali, ispirati al principio della bilateralità e istituiti al fine di ricercare meccanismi di premialità per le imprese virtuose e politiche per l’emersione condivise con le forse sociali, hanno già portato all’adozione di specifici Avvisi Comuni nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura. Rispetto al settore edile, infine, il 15 aprile 2004 è stata siglata una convenzione tra Ministero del Lavoro, INPS, INAIL e parti sociali firmatarie dell’Avviso Comune relativa al rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC) da parte delle Casse Edili che viene così esteso a tutti i lavori dell’edilizia privata, che rappresentano circa l’80% del settore, con la sola esclusione dei cosiddetti lavori in economia di piccoli proprietari che realizzano opere di modesta entità. Come evidenziato nel NAP dello scorso anno, il Governo italiano sostiene la necessità di un maggiore decentramento dei meccanismi di governance del mercato del lavoro, per favorire un’evoluzione verso un sistema contrattuale più decentrato. Tuttavia, questa materia è nelle mani delle parti sociali e attiene alla loro autonomia negoziale. Nel corso dell’anno sono stati fatti alcuni tentativi per avviare una discussione sulla riforma del sistema contrattuale ma la diversa impostazione delle parti sociali non ha permesso, al momento, di iniziare un approfondimnento su questo tema. A tale proposito si segnala, peraltro, l’intervenuta firma, il 17 marzo 2004, di un primo accordo interconfederale riguardante la riforma del modello contrattuale nel settore dell’artigianato. Tale accordo, sottoscritto da tutte le organizzazioni imprenditoriali artigiane e da CGIL, CISL e UIL, sposta il baricentro della contrattazione nell’artigianato dal livello nazionale a quello regionale e aspira a costruire un modello di relazioni sindacali e di contrattazione che aiuti lo sviluppo, contribuisca a risolvere le difficoltà di aree e settori specifici, migliori le condizioni dei lavoratori all’interno e all’esterno dei luoghi di lavoro, aumenti la competitività delle imprese artigiane e delle piccole imprese, favorisca l’innovazione e una formazione di qualità nell’arco dell’intera vita lavorativa. 2. Raccomandazione comune: attrarre più persone ad entrare e rimanere nel mercato del lavoro: rendere il lavoro una vera opportunità per tutti. Raccomandazioni specifiche: assicurare lo sviluppo, d’intesa con le Regioni, di servizi per l’impiego efficaci in tutto il Paese e favorire il partenariato tra operatori pubblici e privati; aumentare l’accesso a servizi personalizzati ed efficienti e la partecipazione alle politiche attive del lavoro, specialmente al Sud; riservare maggiore attenzione ai giovani, gli svantaggiati, i meno qualificati; realizzare un sistema informativo nazionale senza ulteriori ritardi; aumentare la disponibilità e l’accessibilità di servizi di cura per i bambini, specialmente i minori di 3 anni, e altre iniziative per promuovere la partecipazione femminile al mercato del lavoro, anche attraverso il part-time; sviluppare la strategia per l’invecchiamento attivo disegnata e assicurare che le riforme previste producano incentivi adeguati ad assicurare una più lunga permanenza nel lavoro e a scoraggiare i pensionamenti precoci. Le ultime azioni di monitoraggio sui Servizi Pubblici per l’Impiego condotte dall’Isfol attestano una aumentata funzionalità ed una più diffusa omogeneità nella implementazione di servizi standard. La sottostante tabella, infatti, attesta un complessivo aumento del numero di Cpi che attivano tutte le funzioni standard previste dal Masterplan dei Servizi per l’impiego e, contemporaneamente, una diminuzione delle distanze tra le aree più avanzate del paese (Centro Nord) e quelle più in ritardo (cfr. riga relativa al “differenziale Nord – Sud”). TABELLA 1 Percentuale di Cpi che attivano tutti i servizi standard 2003 2002 2001 Italia 79,3 75,2 61,5 Differenziale Nord - Sud 19,4 28,2 40,0 Fonte: Monitoraggio Isfol 2003 In questo contesto, si conferma negli ultimi 12 mesi una crescita nell’offerta di servizi specialistici e personalizzati da parte dei Centri per l’impiego: si tratta, in particolare, di quei servizi immediatamente collegati alle prassi di accertamento dello stato di disoccupazione ed alla somministrazione di misure di politica attiva, i cui target principali sono adolescenti, giovani, donne in reinserimento, disoccupati di lunga durata. Le azioni specifiche per questi gruppi risultano intensificate e migliorate sotto il profilo qualitativo: l’accoglienza è sempre più realizzata attraverso colloqui orientativi; l’orientamento registra più del 72% delle strutture in grado di realizzare servizi di consulenza orientativa; c’è un aumento 27 del 36% di Cpi che realizzano progetti individuali di inserimento lavorativo. Nel complesso si osserva un aumento dei tassi di copertura dell’utenza servita. Nella attuale fase di apertura del mercato del lavoro a nuovi soggetti pubblici e privati, da parte dell’Amministrazione centrale è stata avviata la procedura per le autorizzazioni a livello nazionale: alla fine di settembre 2004 risultano essere pervenute 469 richieste di autorizzazione per le Agenzie per il Lavoro; 87 autorizzazioni sono già state rilasciate relativamente alla sezione relativa alle attività di Ricerca e Selezione del personale. Le Regioni sono impegnate nel recepimento dei decreti attuativi della L. 30/2003 in merito alle procedure di accreditamento e autorizzazione dei nuovi soggetti che possono operare nel mercato dell’intermediazione di manodopera; tali attività porteranno alla definizione degli standard di accreditamento regionale dei nuovi operatori e alla costituzione di appositi elenchi regionali. La riforma Biagi ha individuato come componente base di un moderno sistema di incrocio tra domanda e offerta la Borsa Continua Nazionale del Lavoro, un sistema on line di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, liberamente accessibile da cittadini ed imprese, operatori pubblici e privati, autorizzati ed accreditati, integrato con la rete dei servizi forniti dagli enti locali. In questa ottica, il sistema informativo è stato riprogettato come un nodo di una rete più ampia di servizi al cittadino, di cui fanno parte, tra gli altri, enti come INPS ed INAIL, in cui le amministrazioni pubbliche sono interconnesse da una rete telematica ed interagiscono grazie ad un innovativo sistema di cooperazione applicativa basato su web services di ultima generazione. Questa rete, di cui il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è il nodo nazionale e svolge funzioni di monitoraggio e controllo tecnico, si basa su nodi informativi attestati presso le Regioni, che fungono da aggregatori di servizi sul territorio, di cui la Borsa Continua è l’elemento strategico. Inoltre, il sistema della Borsa del Lavoro alimenterà un nuovo osservatorio nazionale del mercato del lavoro, in grado di fornire tempestivamente dati esaurienti e corretti per orientare gli interventi di politiche attive e passive nel settore. Al 15 settembre 2004, le attività di sviluppo della Borsa Lavoro, delle componenti di servizio dei nodi regionali del sistema che il Ministero offre alle Regioni in sussidiarietà, del sistema di gestione della cooperazione applicativa tra i nodi della rete del sistema, dell’osservatorio nazionale del mercato del lavoro, sono state completate per il 70% di quanto previsto ed è già iniziata la fase di sperimentazione con alcune regioni (Lombardia e Veneto). Permangono alcune criticità con riferimento all’operatività dei sistemi locali e alla partecipazione dei privati, per i quali si stanno cercando soluzioni in termini di offerta sussidiaria, in grado di sostenere temporaneamente i soggetti istituzionali in difficoltà. Infatti, essendo il SIL una rete di sistemi informativi federati distribuita, la capacità di servizio dei nodi costituenti la rete e la loro omogeneità di risposta alle richieste dei cittadini e delle imprese è una condizione indispensabile per il funzionamento del sistema. Si segnala, infine, che il 23 settembre è stato raggiunto l’accordo in Conferenza Stato-Regioni sullo schema di decreto ministeriale relativo alla definizione degli standard tecnici e dei flussi informativi di scambio tra i sistemi, nonché delle sedi tecniche finalizzate ad assicurare il raccordo e il coordinamento del sistema della Borsa continua del lavoro a livello nazionale. Per quanto riguarda l’aumento della disponibilità e dell’accessibilità dei servizi di cura per i bambini, specialmente i minori di 3 anni, si sottolinea l’istituzione di un apposito Fondo per gli asili nido, con una dotazione finanziaria di 300 milioni di per il triennio 2002/2004 ripartita a favore delle Regioni. Inoltre, con la Legge finanziaria per il 2003 sono stati stanziati 10 milioni di a favore di imprenditori che realizzino micronidi nei luoghi di lavoro: attualmente è in corso l’erogazione del finanziamento relativo a 97 progetti approvati. Infine si richiama l’emanazione del bando di gara per l’affidamento di servizi di supporto tecnico-gestionale per agevolare le aziende nella predisposizione dei progetti di flessibilità in favore della conciliazione previsti dalla legge 53/00 art. 9, nonché l’implementazione di buoni e/o voucher di conciliazione per acquisto di servizi di cura, di sostituzione per imprenditrici e lavoratrici autonome in caso di allontanamento temporaneo dal lavoro. L’occupazione femminile a tempo parziale è cresciuta ed è il 17,3% del totale. Con il decreto legislativo attuativo della legge Biagi (D.Lgs 276/003) è stato largamente promosso l’utilizzo del contratto part-time, soprattutto per le donne, con: a) agevolazioni di tipo previdenziale, per favorire la trasformazione di contratti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale da parte di lavoratori anziani a favore delle assunzioni a tempo parziale di giovani lavoratori; b)l’estensione delle clausole flessibili ed elastiche anche ai contratti a tempo parziale determinato. I contratti collettivi definiranno le modalità a tutela del lavoratore rispetto alla ulteriore liberalizzazione del lavoro supplementare, già disciplinata dal legislatore in mancanza dell’accordo collettivo con il consenso del lavoratore. Con il D.Lgs 276/03 i lavoratori ultracinquantacinquenni sono inseriti tra le categorie di lavoratori svantaggiati che potranno rivolgersi alle cd. agenzie sociali per l’impiego o personal service istituite con la riforma medesima (art. 13). Sono previsti incentivi economici e normativi a favore di tali agenzie che, su apposita convezione con un soggetto pubblico, provvedano alla loro temporanea “presa in carico” per un più rapido ricollocamento lavorativo (con il D.M. 18 novembre 2003, è stato istituto un “Comitato per il sostegno e l’incentivazione delle attività derivanti dall’applicazione dell’art. 13”). I lavoratori “senior” sono considerati anche nelle nuove tipologie contrattuali atipiche e flessibili previste dal D.Lgs 276/0 e riconducibili sia al lavoro subordinato ( il lavoro intermittente- art 33- favorisce anche i lavoratori con più di 45 anni di età espulsi dal ciclo produttivo o iscritti alle liste di mobilità e di collocamento mentre il contratto di 28 inserimento- art 54- diretto a realizzare, con un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l’inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro favorisce anche i lavoratori con più 50 anni di età privi di un posto di lavoro ed in genere che desiderino riprendere una attività lavorativa e che non lavorano da almeno due anni) e sia al lavoro autonomo, per favorire l’emersione delle attività lavorative di natura meramente occasionale rese da particolari “soggetti a rischio di esclusione sociale o in procinto di uscire dal mercato del lavoro, tra i quali, i pensionati (collaborazioni a progetto – art 61- e lavoro accessorio- art 70). Il 28 luglio 2004 il Parlamento italiano ha approvato in via definitiva la legge delega di riforma del sistema previdenziale che avrà piena attuazione dal 2008 e prevede :a)l’elevazione graduale dell’età pensionabile,; b)lo sviluppo di forme di previdenza complementare, affiancata a quella pubblica; c) un incentivo economico, per il periodo 2004-2007, per i lavoratori dipendenti del settore privato che, in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità, continuano l’attività lavorativa, con un aumento in busta paga, esente da ogni tipo di imposta, pari all’importo dei contributi previdenziali che dovrebbero essere versati all’ente di previdenza, ossia almeno il 32,7% dell’ammontare della retribuzione. 3. Raccomandazione comune: investire maggiormente e con più efficacia nel capitale umano e nella formazione continua. Raccomandazioni specifiche: monitorare le recenti riforme per assicurare l’effettivo innalzamento della preparazione della forza lavoro, la riduzione dell’abbandono scolastico e il sostegno alla transizione scuola-lavoro; assicurare incentivi effettivi per la formazione continua e, insieme alle Parti Sociali, aumentare la partecipazione alla formazione, in particolare per i meno qualificati, attraverso – anche – l’effettivo sviluppo dei Fondi Interprofessionali. La riforma del mercato del lavoro (Legge Biagi 30/2003 e Decreto legislativo attuativo 276/2003) e la riforma del sistema educativo sono volte a favorire e agevolare un ingresso nel mercato del lavoro più solido e a rafforzare le forme di alternanza “scuola-lavoro”. In particolare, la legge Biagi prevede un’attività di intermediazione delle Agenzie per il Lavoro che amplia il ventaglio dei servizi finalizzati all’utenza, con una attenzione particolare all’inserimento lavorativo dei disabili e dei lavoratori svantaggiati. Le Agenzie erogano attività di formazione e orientamento professionale; ricercano e selezionano il personale, offrendo consulenza di direzione e selezione delle candidature, nonché progettazione ed erogazione di attività finalizzate alla formazione del profilo richiesto; sostengono il reinserimento professionale, individuale o collettiva, anche in base ad accordi sindacali, offrendo formazione, accompagnamento e affiancamento alle persona da inserire in azienda. L’introduzione del “libretto formativo del cittadino”, strumento a disposizione del lavoratore nel quale saranno registrate le competenze formali e informali acquisite durante il percorso formativo e lavorativo, purché siano riconosciute e certificate, rappresenta una innovazione di assoluto rilievo per il sistema formativo italiano. Nel corso del 2004 è stato avviato l’iter di applicazione della legge delega n. 53/2003 riguardante la riforma del sistema educativo. Questa, innanzitutto, ha previsto che l’obbligo scolastico e l’obbligo formativo siano ridefiniti ed ampliati alla luce dell’affermazione di un diritto - dovere all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. In attesa dell’emanazione dei decreti attuativi il MIUR, il MLPS, le Regioni e le Province Autonome, le Province, i Comuni e le Comunità montane, in sede di Conferenza unificata hanno siglato un Accordo quadro per la realizzazione, a partire dall’anno in corso, di un’offerta formativa di istruzione e formazione a carattere sperimentale. Conseguentemente, in sede di Conferenza Stato Regioni, sono stati definiti gli standard formativi minimi relativi alle competenze di base. Allo stato attuale si sta lavorando ad una definizione condivisa di certificazioni intermedie e finali e, quindi, al riconoscimento dei crediti per i passaggi tra i sistemi. Lo schema di decreto legislativo, approvato dalla Presidenza del Consiglio, relativo alla definizione delle norme generali sull’alternanza scuola - lavoro, disciplina il sistema proposto come modalità di realizzazione della formazione del secondo ciclo, sia nel sistema dei licei che in quello della formazione professionale, per quegli studenti che, avendo compiuto il quindicesimo anno d’età, sono tenuti a conseguire, nell’esercizio del diritto - dovere all’istruzione e alla formazione, almeno una qualifica. Questo per assicurare ai giovani, oltre all’acquisizione delle conoscenze di base, l’acquisizione di competenze spendibili sul mercato del lavoro. Il processo educativo, in tal modo, “esce” dalla classe come luogo esclusivo di apprendimento e si realizza in contesti diversi, creando un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e della società civile. I periodi di “apprendimento” possono essere svolti anche in imprese simulate utilizzando il laboratorio come ambiente di apprendimento contestualizzato. Su questa scia è attiva la Rete telematica delle imprese formative simulate (IFS) che attraverso un percorso di simulazione aziendale e l’utilizzo di metodologie didattiche innovative attua un apprendimento “learning by doing”, che ha i suoi punti di forza nel problem solving, nel cooperative learning e nell’apprendimento organizzativo. Accanto a queste innovazioni il Ministero dell’istruzione d’intesa con le Istituzioni locali sta definendo il Piano nazionale per l’Orientamento che prevede una serie di azioni per prevenire e combattere l’abbandono scolastico: l’Anagrafe dello studente, il maggior coinvolgimento e partecipazione delle famiglie, la promozione di seminari informativi tematici. Per rafforzare il partenariato tra scuola e genitori è stato, infine, promosso il progetto “Genitori e scuola” che mediante il ricorso ad attività di apprendimento formali e informali, prevede alcune azioni specifiche. 29 Riguardo agli interventi di formazione e di transizione scuola – lavoro, per combattere la disoccupazione giovanile, oltre all’Accordo quadro sopra citato insistono una serie di provvedimenti. Infatti, l’entrata in vigore del decreto legislativo attuativo della legge Biagi (276/2003) è destinata a produrre un impatto rilevante anche sui sistemi regionali di apprendistato, chiamati a ripensare il modello esistente alla luce delle nuove indicazioni, prima fra tutte la differenziazione fra tre tipologie di apprendistato: a)per l’espletamento del diritto-dovere all’istruzione e formazione, b)professionalizzante, c)per l’alta formazione. In tal modo si evolve il modello di governo dell’apprendistato in Italia passando da un sistema in cui la regolamentazione è prevalentemente definita dal Ministero del Lavoro ad un sistema decentrato alle Regioni. Da qui l’importanza di un’attenta azione di monitoraggio in grado di rilevare quello che avviene sui diversi territori, trasferire la conoscenza sulle esperienze in atto, promuovere il confronto sui modelli e sui risultati. In quest’ottica registra alcune novità anche il sistema dei tirocini formativi che diventano un’occasione per l’azienda ospitante di formare in anticipo e pre-selezionare i profili professionali di cui hanno necessità e quindi, dopo averle “sperimentate”, valutare la possibilità di assunzione. Questo strumento, anche se di natura temporanea, presenta significative ricadute occupazionali, come dimostrano le indagini condotte in questo senso, ad esempio dal MLPS-ISFOL, che rilevano che più del 60% dei soggetti coinvolti trova solitamente lavoro dopo il tirocinio ed il 44% presso la stessa azienda. Nel 2003 si è conclusa la fase transitoria di avvio dei Fondi Paritetici Interprofessionali, nuovi organismi nati con l’obiettivo di promuovere la formazione continua nelle imprese italiane. Dieci sono i Fondi fino ad oggi costituiti e autorizzati, rappresentativi di una larga parte del mondo delle imprese e dei lavoratori. Nel 2004 alle risorse economiche già previste sono state aggiunte altre risorse per sostenere i soggetti gestori dei Fondi: – nell’affrontare le sfide di natura organizzativa e strategica a cui sono chiamati; – nell’adozione di strutture e di modelli operativi adeguati alla gestione delle risorse e delle attività messe a disposizione; – nello sviluppo di una prassi negoziale continua finalizzata all’elaborazione di interventi formativi concepiti in un’ottica di “Piano formativo” effettivamente condiviso (territoriale, settoriale, aziendale e individuale); – nella realizzazione di intese territoriali che integrino e armonizzino le attività finanziate dai Fondi con quelle già esistenti localmente (fondi comunitari, nazionali e regionali) e, quindi, coniugare le dinamiche territoriali con quelle settoriali. Quest’ultimo aspetto riveste un’importanza fondamentale sia in termini strategici che operativi: i Fondi si inseriscono, infatti, all’interno di un sistema più ampio e consolidato di strumenti di finanziamento e gestione delle iniziative per la formazione continua quale strumento di adattabilità delle imprese e dei lavoratori (QCS ob. 1 e 3 FSE, POR, Azioni di Sistema del Ministero del Lavoro, Equal, nuove riforme nazionali). Al 2003, invece, risale la nuova distribuzione di risorse alle Regioni per la promozione dei Piani formativi individuali, aziendali e territoriali. Il provvedimento (frutto dell’accordo raggiunto con le Regioni e con le Parti Sociali in sede di Comitato di Indirizzo per la Formazione Continua) si muove in direzione di una ‘specializzazione’ degli strumenti di finanziamento esistenti che possa assicurare il coinvolgimento dei destinatari delle azioni di formazione continua, più difficilmente raggiungibili dai nuovi Fondi Paritetici Interprofessionali. E’ importante sottolineare l’individuazione da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dei target di destinazione delle risorse disponibili, riconducibile alla necessità di estendere le politiche distributive a soggetti più deboli, generalmente meno coinvolti dalle iniziative di formazione continua che privilegiano, in genere, i più giovani, i più scolarizzati, i più ‘forti’ professionalmente. D’altronde anche i dati relativi all’utenza coinvolta nelle azioni finanziate dal FSE segnalano che le scelte formative delle aziende si continuano a concentrare sui lavoratori relativamente più forti. Inoltre, grazie alla legge 53/2000, la FCI si configura come un diritto soggettivo che affonda le sue radici nella mediazione tra interessi del lavoratore e interessi dell’azienda realizzata dalla contrattazione tra le parti sociali, ed è tutelato, anche in assenza di piani formativi aziendali/territoriali e di specifica contrattazione collettiva, da un intervento pubblico che destina ad esso specifiche risorse. I dispositivi organizzativi attraverso cui si realizza l’offerta di FCI da parte delle Regioni (o Province, nei casi in cui la materia è stata decentrata ) sono principalmente due: i cataloghi e i voucher. In Italia, in questi ultimi anni la FCI si sta sempre più configurando come un’opportunità di rilievo per lo sviluppo di politiche di “lifelong learning”. E, tra le tipologie formative emergenti un’attenzione particolare va posta sui voucher aziendali che possiamo definire come incentivi economici di natura individualizzata, volti al finanziamento di attività formativa documentabile scelta dai destinatari (lavoratori delle imprese). Nel corso dell’anno precedente l’analisi dei bandi di gara emessi dalle Amministrazioni centrali e regionali Obiettivo 1 e Obiettivo 3 ha evidenziato una crescita dell’utilizzo del voucher formativo nell’ambito della programmazione del Fse. Relativamente alle politiche rivolte all’integrazione delle persone svantaggiate si segnala che i servizi per il collocamento mirato previsti dalla Legge 68/99 sono oramai operativi. Molte le sinergie istituzionali e non attivate, molti i protocolli di intesa stipulati fra i servizi territoriali per l’impiego, sociali, sanitari, della formazione professionale. Pur registrando visibili progressi nella qualità del sistema permangono attuali le necessità di interventi tesi ad una riduzione dei tassi di disoccupazione relativi alle persone disabili e per questo il Governo e le Regioni mantengono inalterati i propri obiettivi volti ad un incremento delle opportunità offerte dal sistema nel suo complesso. La parola d’ordine per far fronte alla situazione è “lavorare in rete”. All’inclusione sociale di questi soggetti il Fse fornisce un contributo rilevante per la realizzazione di obiettivi di equità sociale ricorrendo ad un mix di azioni. In tale ambito risultano prevalenti le attività formative e le azioni di orientamento, consulenza ed informazione; meno rilevante è invece è il ricorso agli incentivi 30 economici, destinati soprattutto alle persone per partecipare ad attività formative ed alle work-experience (tirocini); altre azioni specifiche e di sistema interessano l’insieme degli attori chiave da cui dipende il recupero sociale ed economico delle persone più svantaggiate e finalizzate a migliorare le capacità di governo delle istituzioni coinvolte a tutti i livelli. In relazione ai destinatari degli interventi del Fse le ricognizioni effettuate confermano che i destinatari prevalenti degli interventi continuano ad essere i disabili, gli extracomunitari, i detenuti ed i soggetti a provvedimento giudiziario, i tossicodipendenti e gli ex tossicodipendenti. Inoltre, evidenziano il ruolo crescente assunto da “altre categorie di utenza” come i soggetti appartenenti a minoranze etniche, i sieropositivi, gli alcolisti ed ex alcolisti, le donne in difficoltà con basso reddito e debole titolo di studio, le persone in situazione di disagio familiare e sociale inquadrabili nei fenomeni delle nuove povertà. 4. Raccomandazione comune: assicurare effettiva attuazione alle riforme attraverso una migliore governance. In Italia è in corso un processo di riforma costituzionale in senso federalista iniziato nel 2001che tende alla riduzione delle competenze dello Stato e alla loro contemporanea attribuzione alle Regioni e agli enti locali. La legge costituzionale 3/2001 è stato il primo provvedimento nella direzione della devoluzione, con l’ampliamento dei compiti delle Regioni mediante l’attribuzione di competenze legislative esclusive e concorrenti con lo Stato, la titolarità delle funzioni amministrative ai Comuni nonché la previsione dell’ambito ambito più limitato di competenze legislative statali (es. politica estera, difesa, moneta, ordine pubblico, previdenza). Attualmente è all’esame del Parlamento- Ddl costituzionale AS 254-), una altra legge di riforma costituzionale che oltre a prevedere ulteriori ambiti esclusivi di competenza delle Regioni (es. scuola, sanità, polizia locale), per dare maggiore responsabilità alle Regioni, alle Province, ai Comuni e alle Comunità montane e ai loro amministratori ridisegna l’impostazione delle istituzioni statali, a cominciare dal Parlamento, nel cui ambito viene previsto un Senato federale. Questo processo, avvicinando le responsabilità di governo alle realtà economiche e sociali del territorio deve permettere di gestire in maniera più efficiente le politiche di intervento, in questo caso quelle del mercato del lavoro, e di governare con maggiore attenzione l’attuazione delle riforme. Realtà così diverse di mercato del lavoro e di tessuto produttivo necessitano di diversificate e flessibili linee di intervento, pure se nell’ambito di uno stesso quadro regolatorio. L‘attuazione della Legge Biagi –così come il Piano d’Azione Nazionale per l’Occupazione- è sviluppata in stretto contatto con i livelli di governo regionale, provinciale e locale, a cui spetta in molti casi la definizione delle linee di attuazione. 31 D. DIALOGO ISTITUZIONALE E SOCIALE (dichiarazione del Governo) La Legge di riforma del mercato del lavoro (Legge Biagi) è il risultato di un lungo periodo di dialogo con le parti sociali, culminato con la sottoscrizione del Patto per l’Italia (luglio 2002) da parte di tutte le organizzazioni delle parti sociali, ad eccezione di una. In seguito, l’elaborazione del decreto attuativo (276/03) ha beneficiato di un approfondito confronto con le parti sociali e ha comunque affidato alla contrattazione collettiva una parte significativa di attuazione della legge. Ne consegue che la legge Biagi e gli atti da essa derivati sono stati oggetto di un continuo negoziato con le parti sociali e la loro attuazione dipende da come si comporterà la contrattazione collettiva. Il Governo, pertanto, giudica positivamente questa fase del dialogo sociale, anche se vi è piena consapevolezza che mentre su moltissimi temi la condivisione degli obiettivi e degli strumenti è stata totale, a volte vi sono stati dissensi rilevanti con le organizzazioni delle parti sociali. Non vi è stata, dunque, nessuna assenza né negazione di dialogo tra Governo e parti sociali, anzi il confronto è stato continuo e approfondito e molte soluzioni di compromesso sono state raggiunte, con lo scopo di innalzare il tasso di occupazione e di offrire la possibilità a tutti di accedere ad un lavoro. (contributo a cura di: Abi, Casartigiani, Cgil, Cida, Cipa, Cisl, Claai, Cna, Coldiretti, Confail, Confapi, Confartigianato, Confcommercio, Confcooperative, Confedir – Manageritalia, Confesercenti, Confedertecnica, Confservizi, Confetra, Confindustria, Confsal, Lega Cooperative, Ugl, Uil, Unionquadri) 1. Relazioni tra le parti sociali e il governo Nel 2003 è stato varato dal governo il decreto legislativo 276/03 in attuazione delle deleghe contenute negli articoli 1-5 della legge 30 di riforma del mercato del lavoro: su di esso, come sulla legge, le opinioni delle parti sociali e tra le parti sociali sono state difformi. Tuttavia, la previsione di uno o più accordi interconfederali per la “messa a regime” delle norme contenute nel decreto, e per la gestione della fase transitoria riguardante la fine dei contratti di formazione/lavoro, è stata rispettata. Le parti sociali, infatti, hanno concluso due accordi interconfederali, rispettivamente riguardanti la fase transitoria del regime dei contratti di formazione-lavoro e l’attivazione del contratto di inserimento/reinserimento. I due accordi stipulati dalle parti prevedono quanto segue: a) per i contratti di formazione/lavoro, la validità di quelli derivanti da progetti approvati e notificati nelle sedi di esame previste dai sistemi di valutazione vigenti per i differenti comparti, con il vincolo che la presentazione/approvazione sia avvenuta entro il 23 ottobre 2003, data di cessazione dell’istituto; b) per i contratti d’inserimento/reinserimento, che costituiscono una nuova tipologia contrattuale di lavoro subordinato a tempo determinato (minimo 9, massimo 18 mesi) con la finalità di garantire la collocazione o la ricollocazione nel mercato del lavoro dei giovani fino a 29 anni di età e di altri soggetti svantaggiati, le parti hanno stabilito: a. efficacia dell’Accordo interconfederale transitoria e comunque sussidiaria della contrattazione collettiva che, in materia, si svolgerà secondo i livelli e le titolarità attualmente previsti; b. rimando alla contrattazione collettiva per ulteriori specificazioni delle clausole riferite alla durata, all’inquadramento, alle percentuali di conferma in servizio;un minimo di 16 ore di formazione, ripartita fra l’apprendimento di nozioni di prevenzione antinfortunistica e di disciplina del rapporto di lavoro ed organizzazione aziendale ed accompagnata da congrue fasi di addestramento specifico, impartite anche con modalità di e-learning, in funzione dell’adeguamento delle capacità professionali del lavoratore. Attualmente è in corso il confronto sull’istituto dell’apprendistato per la definizione di alcuni principi e linee-guida tese a favorire le successive fasi di concertazione a livello regionale previste dalla legge. Il Governo ha proceduto ad emanare numerosi provvedimenti di attuazione e di interpretazione di diversi istituti previsti dalla legge di riforma del mercato del lavoro. Su tali provvedimenti le valutazioni delle parti sociali sono state discordanti. Nel mese di settembre 2004 il governo ha emanato, previo confronto con le parti sociali, un decreto legislativo recante prime correzioni alla nuova disciplina del mercato del lavoro, in attesa del decreto correttivo che potrà essere emanato entro il prossimo mese di aprile 2005, per apportare quelle modifiche che le stesse parti sociali potranno suggerire al Governo sulla base dell’esperienza pratica e della contrattazione collettiva nel frattempo intervenuta. Il Governo ha altresì proceduto ad attuare la riforma dei servizi ispettivi con il decreto legislativo 124/04: anche qui, le parti hanno espresso opinioni non collimanti, in quanto non pienamente soddisfatte, sia pure per ragioni diverse, delle soluzioni definite. Spicca in tale contesto la previsione della facoltà, per l’ispettore del lavoro, di “conciliare monocraticamente” eventuali irregolarità riguardanti i rapporti di lavoro, su cui le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori hanno espresso la loro ferma contrarietà. 32 Nel giugno 2003 Confindustria e le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil hanno raggiunto un accordo sulle misure per incentivare la competitività del sistema economico italiano, riferite in particolare al sostegno all’innovazione ed alla formazione del personale, nonché al rilancio dello sviluppo nelle aree del Sud. Nel corso del 2004, sono stati definiti dalle parti sociali territoriali, il Governo e le Regioni alcuni Accordi per le aree di crisi finalizzati alla concessione della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) anche ad imprese che non rientrano nel campo di applicazione degli articoli 1 e 12 della Legge 223/91, tra cui le imprese artigiane. Va rilevato che le proposte delle parti sociali non hanno trovato accoglimento nei successivi provvedimenti di natura economica-finanziaria emanati dal Governo nel corso del 2003. Nei rapporti con il governo, la fase di maggior crisi con i sindacati si è registrata riguardo alla modifica del sistema di previdenza, su cui le organizzazioni sindacali hanno organizzato nel corso del 2004 due iniziative di sciopero generale. Ciò nonostante, il governo ha proseguito la sua iniziativa in Parlamento. Nel corso dell’iter parlamentare di approvazione del disegno di legge delega, da parte delle singoli parti sociali sono state formulate numerose osservazioni e sono state proposte modifiche migliorative, anche successivamente tradotte in emendamenti al provvedimento di riforma. Il complesso e lungo iter parlamentare si è concluso il 29 luglio 2004, con la definitiva approvazione della legge delega di riforma del sistema previdenziale. Le parti sociali hanno espresso opinioni diversificate sulle proposte di riforma fiscale, non ancora ben definite, presentate dal Governo Relazioni tra le parti sociali Azioni riguardanti il modello negoziale Gli assetti negoziali sono stati oggetto di un dibattito assai ampio nel Paese e tra le organizzazioni di rappresentanza. Allo stato le organizzazioni sindacali confederali stanno dibattendo la possibile formulazione di una proposte di riforma su cui intavolare il negoziato con le associazioni degli imprenditori. Tuttavia, nel settore artigiano si è concluso un accordo (marzo 2004), che ridefinisce il modello contrattuale, valorizzando le competenze del livello regionale decentrato. Le linee guida previste nell’accordo affidano ai due livelli contrattuali (nazionale e regionale) la finalità di tutelare e valorizzare le retribuzioni. Il livello regionale, in tale percorso, avrà il compito di ridistribuire la produttività, laddove prodotta, ed integrare la tutela del potere d’acquisto dei salari in caso di scostamento dalla inflazione prevista e reale. In assenza di contrattazione regionale le parti nazionali garantiranno la tutela del potere di acquisto. Anche nel settore del Terziario della distribuzione e dei servizi ed in quello delle aziende cooperative i rispettivi rinnovi contrattuali si sono, di fatto, mossi su un’impostazione che riconferma il ruolo centrale del CCNL ma amplia, al tempo stesso, le materie dei livelli integrativi territoriale ed aziendale e valorizza ulteriormente il filone della bilateralità. Accordi interconfederali a. Vedi paragrafo precedente per l’attività determinata dal decreto legislativo 276/03; b. Nel giugno 2004, si è proceduto al recepimento, tramite accordo interconfederale, della direttiva europea sul telelavoro. Si è in tal modo completata, dando efficacia generalizzata alla disciplina europea, l’attività che in alcuni comparti e/o settori era già stata sviluppata per definire questa modalità di prestazione di lavoro (terziario, pubblica amministrazione, tessili, chimici, ecc.). Attività contrattuale Molti rinnovi contrattuali, intervenuti successivamente al varo della riforma del mercato del lavoro, hanno disciplinato, tra l’altro, materie oggetto dei riforme legislative, rafforzando il corredo di diritti dei lavoratori e regolando le forme di flessibilità ritenute dalle parti più adeguate alle specifiche esigenze settoriali. Fondi interprofessionali Definiti da una norma di legge del 2000, i fondi hanno proceduto nel 2004 a perfezionare i loro assetti interni, tramite la predisposizione e presentazione al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dei Piani Operativi di Attività relativi al biennio 2004-2005. Sono stati registrati numerosi ritardi nell’erogazione dei finanziamenti da parte del Ministero del Lavoro; ciò anche in conseguenza dell’equivoco ancora non chiarito sulla loro natura (fondi pubblici o fondi privati). Inoltre l’erogazione è stata effettuata in misura ridotta rispetto a quella prevista. Attualmente tutti i Fondi interprofessionali sono impegnati nella predisposizione ed emanazione dei relativi bandi per il finanziamento degli interventi di formazione continua, ovvero hanno già predisposto i bandi. Lavoro sommerso Diverse iniziative sono scaturite dall’insediamento, nel marzo 2003, ad iniziativa del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Tavolo nazionale sul sommerso, quale sede permanente di confronto tra le parti sociali e i soggetti istituzionali sulla problematica in oggetto, con il compito di individuare a livello nazionale le strategie e le politiche attive volte a favorire i processi di emersione. 33 I rappresentanti del settore edile e dell’agricoltura hanno siglato, rispettivamente il 16 dicembre 2003 e il 4 maggio 2004, due avvisi comuni sull’emersione del lavoro non dichiarato nei relativi settori. Con particolare riferimento all’edilizia, le specificità che ne caratterizzano il settore hanno portato le parti stipulanti l’avviso comune a prevedere alcune misure ad hoc, volte a contrastare pratiche irregolari diffuse nel settore, riscontrabili soprattutto nelle procedure di assunzione del personale. Attualmente è in corso il negoziato per la definizione di un avviso comune sul sommerso nel settore del Turismo. 34 MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE DIREZIONE GENERALE PER L’IMPIEGO “ MASTERPLAN” DEI SERVIZI PER L’IMPIEGO: LINEE DI ORGANIZZAZIONE (concertato con Regioni, Province e parti sociali e adottato formalmente, per le Regioni dell’obiettivo 3, nella seduta del Comitato di Sorveglianza del Q.C.S. del 20 dicembre 2000. L’allestimento del “Masterplan si articolerà in altrettanti Masterplan regionali) La realizzazione di un "masterplan" dei servizi per l'impiego si rende indispensabile per allestire un quadro di riferimento entro cui sviluppare la riforma degli SPI, valorizzando a tal fine l'opportunità del ricorso al cofinanziamento del Fondo Sociale Europeo. La logica del masterplan è quella di concordare obiettivi di realizzazione quantitativi e standard qualitativi di funzionamento condivisi, fissando in precise fasi temporali il raggiungimento di un'efficienza misurabile in effetti oggettivamente apprezzabili. Costituiscono la "falsariga" del masterplan le scelte effettuate nell'ambito dei documenti di programmazione del Fondo sociale europeo tanto al livello nazionale che a quello regionale; il masterplan deve consentire di individuare preventivamente le modalità di monitoraggio dei diversi stati di avanzamento dello sviluppo degli SPI e di disporre, a tutti i livelli, azioni di sistema che possano agevolare, sia un rapido recupero di efficienza da parte delle realtà meno avanzate, sia la disseminazione delle esperienze più efficaci. Anche nell'obiettivo di finalizzare le azioni di sistema dell'amministrazione centrale a tali obiettivi di funzionalità, e di realizzare un monitoraggio congiunto che permetta di rendere conto dello sviluppo degli SPI in coerenza con gli impegni assunti dall'Italia nell'ambito della Strategia Europea per l'occupazione (NAP), sembra opportuno articolare il masterplan in altrettanti documenti regionali, che possano dare visibilità a stadi di avanzamento anche differenziati, in coerenza con le diverse situazioni organizzative e di contesto occupazionale. L'allestimento congiunto del "masterplan dei Servizi per l'impiego" trova fondamento negli impegni assunti con la Commissione europea nell'ambito del negoziato sul Fondo Sociale Europeo, tuttavia, ai fini del raggiungimento degli obiettivi e degli standard che verranno stabiliti si può considerare opportuna, nonché fattibile, l'attivazione anche di altre risorse in particolare del FESR e delle relative quote di cofinanziamento nazionale. Non si deve inoltre trascurare la necessità di poter presentare, nel 2002, un circostanziato e positivo stato di avanzamento della messa in funzione dei Servizi, anche ai fini della partecipazione ai meccanismi di "premialità" previsti dai 1 regolamenti dei fondi strutturali allo scopo di poter attivare risorse aggiuntive soprattutto nelle aree ricomprese nell'obiettivo 1. Si devono considerare gli impegni assunti dall'Italia nell'ambito dei Piani nazionali per l’occupazione dove, ai fini dell'attivazione di politiche preventive della disoccupazione di lunga durata (linee guida 1 e 2), il paese si è impegnato a rendere pienamente operativi in tutto il territorio nazionale entro il 2003 i servizi per l'impiego, in quanto strumento indispensabile per l'individuazione ed il coinvolgimento delle utenze appropriate e per una reale finalizzazione all'inserimento al lavoro delle politiche attive per l'impiego. Questo è l’aspetto integrante del masterplan che diventerà, pertanto, sede di monitoraggio nella realizzazione degli impegni. Deve essere a tal proposito anche ricordato che, da ultimo, le linee guida sopra ricordate hanno trovato esplicito ingresso nell’ordinamento italiano e sono divenute giuridicamente vincolanti grazie al Decreto Legislativo 181/2000. Sono, difatti, ivi fissati degli “Indirizzi generali ai servizi per l’impiego ai fini della prevenzione della disoccupazione di lunga durata”, rispetto ai quali le Regioni, coerentemente con le prescrizioni comunitarie, sono state chiamate a svolgere un’attività di monitoraggio. Nella Nota di indirizzo diffusa del Ministero del Lavoro – contenete primi indirizzi interpretativi del D. Lgs. 181/2000 – è previsto che gli enti regionali provvederanno, nell’ambito della propria programmazione, alla realizzazione di “relazioni semestrali sulle tipologie, modalità di svolgimento e ambiti di intervento delle azioni intraprese nonché sulla tipologia dei destinatari di dette azioni”. Gli orientamenti per l'elaborazione del masterplan sono in parte contenuti nei documenti che hanno già fatto oggetto di concertazione e di progettazione comune: l’Accordo in materia di standard minimi di funzionamento dei servizi per l’impiego e l’Accordo sulle linee guida per la definizione di azioni per l’avvio della funzionalità dei servizi all’impiego . Il "masterplan" dovrà presentare anche le modalità e gli indicatori che si intenderanno utilizzare congiuntamente ai fini della valutazione dei diversi stati di avanzamento del programma. 2 1. Quadro di riferimento 1.1 La riforma dei Servizi pubblici per amministrativo e riforma delle procedure l’impiego (SPI): decentramento A partire dalla fine del 1997 diversi provvedimenti normativi, aventi diversa “origine” e natura, hanno avviato una ristrutturazione delle forme di organizzazione e di funzionamento degli organi pubblici di controllo del mercato del lavoro. Innanzi tutto, con riguardo alla riorganizzazione delle su richiamate istituzioni, il D.Lgs. 469/97 ha concretizzato i principi del c.d. “federalismo amministrativo” in materia di mercato del lavoro, conferendo agli Enti territoriali le funzioni di gestione in questo ambito. In particolare, è stato così disposta l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario ed agli altri Enti locali, di funzioni e compiti relativi non solo al collocamento ma anche alle politiche attive del lavoro ed allo Stato, un ruolo generale d’indirizzo, promozione e coordinamento e alcune competenze specifiche, quali ad esempio la vigilanza in materia di lavoro, dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all’Unione Europea. Riassumendo, il sistema delle deleghe a livello locale, andando anche oltre il disegno originariamente previsto, prevede l’attribuzione alle Regioni del ruolo di legislazione, di organizzazione amministrativa, di progettazione, di valutazione e controllo dei servizi all’impiego, mentre alle Province quello di erogatore dei servizi sul territorio e quello di raccordo con gli altri Enti locali. Sempre dal punto del decentramento amministrativo va pure ricordato il D.Lgs. 112/98, il quale, in attuazione delle leggi di riforma della P.A., ha provveduto ad implementare le competenze regionali in materie, quali l’istruzione e la formazione professionale, da integrare fortemente con quelle nel campo delle politiche del lavoro, così come, del resto, più volte richiesto dal D.Lgs. 469 ed espressamente previsto dalla legislazione regionale di attuazione. Di rilievo inoltre la L. n. 68/99, recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” la quale non solo attribuisce a Province e Regioni importanti funzioni in materia, ma riforma, innovandole, le procedure del collocamento obbligatorio, secondo il principio del c.d “collocamento mirato”. Inoltre, dal punto di vista dell’intervento sulle procedure amministrative, e quindi sul funzionamento degli SPI, devono essere menzionati due ulteriori provvedimenti, uno attuativo delle leggi di riforma della P.A., e l’altro invece, del c.d. “Collegato Lavoro” (L. 144/99). Nel primo caso si tratta del Regolamento di semplificazione del “Procedimento per il collocamento ordinario” – definitivamente approvato dal Consiglio dei Ministri nella riunione 9/6/2000 ed è, attualmente, in attesa di pubblicazione sulla G.U. – finalizzato, attraverso un intervento abrogativo sulla disciplina in vigore, alla deflazione dei carichi di lavoro degli uffici, mediante l’introduzione di due nuovi istituti: l’elenco anagrafico delle persone in cerca di lavoro e la scheda professionale. 3 L’altro importante provvedimento recentemente approvato – il Decreto Legislativo n.181/2000 – verrà richiamato più dettagliatamente nel successivo paragrafo 3. Merita infine un breve cenno – per una più esaustiva ricostruzione della materia – anche il definitivo superamento del monopolio pubblico del collocamento, anch’esso stabilito dal più volte citato D.Lgs. 469, il quale comunque sottopone gli operatori privati ad un sistema preventivo di approvazione pubblica (come, del resto, previsto per le Agenzie di fornitura di lavoro temporaneo ex Legge 24 giugno 1997, n. 196). Ciò coerentemente alle prescrizioni contenute nella Convenzione ILO n. 181 del 19 giugno 1997, intitolata “Private Employment Agencies Convention , entrata in vigore il 2/2/2000, a seguito del deposito dello strumento di ratifica il 1° febbraio 2000. 1.2 Lo stato di avanzamento del processo di decentramento amministrativo Come è noto il D.Lgs. 469 affidava alle Regioni a Statuto ordinario il compito di emanare una legge disciplinante l'organizzazione amministrativa e le modalità di esercizio delle funzione e compiti loro conferiti. Ad oggi risultano approvati 14 provvedimenti sui 15 previsti, con la sola esclusione di una regione, per la quale, peraltro, “vale” temporaneamente l’intervento sostitutivo del Governo (il D.Lgs. 379/99). Per quanto riguarda, invece, le Regioni a Statuto speciale e le Province autonome, va ricordato che a favore di Friuli-Venezia Giulia, Trento e Bolzano, seppur in tempi diversi, sono state già attribuite le competenze in materia di lavoro. Peraltro, ritardi nel processo di adeguamento al 469, sono da registrare soprattutto nelle Regioni a Statuto speciale del Mezzogiorno, rispetto alle quali sarà necessario un comune impegno. Pertanto, sebbene realizzato con più o meno evidenti ritardi – al giugno ’98, termine fissato per l’emanazione degli atti regionali, risultava approvato solo quello dell’EmiliaRomagna – lo sforzo normativo di attuazione del 469 risulta ora quasi completato. Il successivo processo di attuazione, questa volta, delle disposizioni contenute nelle leggi degli Enti locali, ha fortemente risentito del notevole ritardo con cui – successivamente al DPCM dell’ottobre 1998 di “individuazione, in via generale, delle risorse da trasferire” – sono stati emanati i singoli provvedimenti di assegnazione a ciascuna Regione dei beni necessari a rendere concretamente esercitabili le funzioni loro conferite, di fatto “immobilizzando” l’avvio dei Sistemi locali per l’impiego. Infatti, senza certezza né circa la quantità di risorse attribuite, né in merito al momento della loro disponibilità, si è a lungo indugiato in una situazione di attesa. La pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei DPCM avvenuta nel Novembre 1999, quindi, ha di fatto aperto una nuova “stagione” della riforma, formalmente chiudendo l’esperienza degli Uffici periferici del Ministero del Lavoro, mediante la loro soppressione, e ponendo in primo piano i nuovi “Sistemi regionali per l’impiego”. Da un recente monitoraggio, realizzato dall’ISFOL sullo stato di avanzamento della riforma, condotto presso tutte le Amministrazioni regionali e provinciali, è possibile trarre numerose indicazioni sull’operatività effettiva degli SPI. A tal proposito si rinvia al documento ISFOL - Ministero del Lavoro, “Primi elementi per il monitoraggio sullo 4 stato di attuazione dei nuovi Servizi per l’Impiego”, consultabile sui rispettivi siti Internet. Il Ministero del Lavoro e l’Isfol effettueranno semestralmente tale rilevazione, per evidenziare gli elementi fondamentali del processo di attuazione della riforma, i principali problemi incontrati ai diversi livelli, gli interventi integrativi messi in atto, le caratteristiche dei diversi assetti organizzativi adottati. In accordo con le Regioni e le Province, il monitoraggio potrà anche costituire uno strumento di rilevazione dello stato di avanzamento del Masterplan. 1.3 Il processo di definizione degli standard di funzionamento degli SPI Gli organismi internazionali hanno focalizzato l’attenzione sui mutamenti del mercato del lavoro e sulla ristrutturazione delle forme di organizzazione e funzionamento delle istituzioni. In particolare, l’OCSE ha posto l’attenzione sui meccanismi “di sicurezza” apprestati, in molti paesi, contro gli effetti di discriminazione sociale e territoriale, potenzialmente, derivanti dai processi di decentramento degli SPI da più parti avviati. In particolare è stata rilevata la tendenza all’introduzione di nuove tecniche di management per obiettivi, onde assicurare il permanere di servizi qualitativamente e quantitativamente omogenei rispetto al territorio ed agli utenti. Ciò si traduce, concretamente, nella fissazione di target delle prestazioni attese dagli SPI, la quale dovrebbe sostituire l’emanazione di stringenti direttive, operazione quest’ultima ancora molto comune nelle Amministrazioni Pubbliche. Tale rilievo trova esplicito riscontro anche a livello comunitario, dove il tema viene espressamente preso in considerazione nella Comunicazione della Commissione Europea COM (1998) 641 def. del 13/11/1998 intitolata: “Modernizzare i Servizi pubblici per l’impiego per sostenere la strategia europea per l’occupazione”. In tale contesto, in particolare, al fine di conciliare “direzione programmatica ed “indipendenza operativa” e salvaguardare, comunque, le esigenze locali viene suggerita l’utilizzazione di strumenti concertativi, quali accordi annuali o pluriennali tra amministrazione centrale ed enti periferici. In Italia, il tema trova importante riscontro nel c.d. “Patto di Natale”, firmato nel Dicembre 1998: è qui, difatti, consacrato l’impegno del Governo ad “assicurare standards minimi di qualità dei servizi all’impiego”, attraverso “il consolidamento della collaborazione con Regioni ed Enti locali” e “la concertazione con le parti sociali”. In tale ottica è stato insediato presso il Ministero del Lavoro un Gruppo di lavoro con l’intento di approdare alla definizione dei su richiamati standards minimi. Il Gruppo, partecipato da rappresentanti delle istituzioni coinvolte sia a livello centrale (Lavoro e Tesoro) sia periferico (Regioni, Provincie); parti sociali ed enti tecnici (FORMEZ, ISAE ed ISFOL), ha concordato un primo documento. Quest’ultimo è divenuto parte integrante dell’«Accordo in materia di standard minimi di funzionamento dei servizi per l’impiego», tra Ministero del Lavoro, le Regioni e le Province autonome, le Province, i Comuni e Comunità montane, sancito, il 16 dicembre 1999, presso la c.d. Conferenza Unificata. Si è, al momento, escluso di ricorrere alla procedura prevista nella generale 5 materia della “qualità dei servizi pubblici” dal D.Lgs. 286/99, quando si tratti di servizi “erogati direttamente o indirettamente dalle Regioni e dagli Enti locali”. L’accordo definisce, nei diversi contesti territoriali, le funzioni essenziali atte a garantire livelli minimi e pari opportunità di prestazioni, di erogazione e di fruizione dei servizi pubblici per l’impiego. Tale Accordo rappresenta un primo passo – lungo il cui solco si inserisce il successivo Accordo sulle “Linee guida per la definizione di azioni per l’avvio della funzionalità dei servizi all’impiego” sancito in Conferenza Unificata il 26.10.2000 – che non solo ha tracciato una rinnovabile linea procedurale concertata, ma ha anche definito dei principi minimi indispensabili all’attività ulteriore di individuazione, anche per l’Italia, di standard qualitativi e quantitativi, “in linea con le migliori pratiche a livello comunitario”. Le linee guida individuano le azioni finanziabili, nella programmazione 2000/2006 del FSE, per l’avvio della funzionalità dei servizi all’impiego. Se l'obiettivo generale della riforma è il miglioramento del funzionamento e della trasparenza dei meccanismi allocativi, della diffusione dell'informazione sulle caratteristiche e localizzazione delle opportunità per lavoratori ed imprese e la costruzione di schemi di politica attiva del lavoro adeguati alle caratteristiche dell'utenza e del territorio, soprattutto nel Mezzogiorno a questo va aggiunto l'obiettivo di integrare l'azione dei servizi con le iniziative di sviluppo locale. Il Gruppo di lavoro sugli standard continuerà ad operare secondo un calendario condiviso di attività. Le funzioni di coordinamento, indirizzo e promozione sono sintetizzate dal ruolo della Commissione Centrale per l’Impiego, che assumerà la denominazione di Comitato per il coordinamento, la promozione e l’indirizzo delle politiche attive dell’impiego e del collocamento. 1.4 Le risorse finanziarie: il Fondo Sociale Europeo In coerenza con il Regolamento comunitario, con gli impegni assunti dall'Italia nell'ambito del Piano nazionale di Azione del 1999 e con le sollecitazioni della Commissione Europea, la programmazione del Fondo Sociale Europeo dell'Italia, per il periodo 2000-2006 situa in primo piano la strutturazione e lo sviluppo dei Servizi per l'impiego (SPI). In particolare, conformemente all'art.2 del Regolamento, in corrispondenza del policy field n.1, troviamo nei documenti di programmazione l'Asse A il cui obiettivo globale è quello di "contribuire all'occupabilità dei soggetti in cerca di lavoro attraverso l'offerta di un'ampia gamma di misure, anche integrabili tra loro, di prevenzione della disoccupazione; sostenere, al fine di rendere operativi gli obiettivi descritti, la riforma dei servizi per l'impiego". All'interno dell'Asse A è stato enucleato un obiettivo specifico decollo dei servizi per l'impiego". "Sostenere il 6 Tale obiettivo specifico viene declinato nell'ambito del Piano nazionale per l'obiettivo 3 e nei relativi Piani operativi regionali, (la situazione è analoga per il Piano nazionale ob.1 e Programmi regionali) in una gamma molto articolata di tipologie di azione, tutte volte a favorire il decollo della riforma degli SPI. 7 In particolare, il concorso finanziario del FSE contribuirà a quanto segue: - potenziamento complessivo del sistema con riguardo alle risorse umane (incluso rafforzamento degli organici con l'integrazione di figure specialistiche), alle strutture (sedi, attrezzature, logistica), agli assetti organizzativi e gestionali; - manutenzione del SIL ai diversi livelli territoriali e nel suo funzionamento in rete; - costituzione e gestione attiva delle anagrafi connesse alle recenti disposizioni attinenti all'apprendistato ed all'obbligo formativo a 18 anni; - semplificazione delle procedure e degli adempimenti amministrativi, ottimizzando i processi di automazione, al fine di liberare risorse per la gestione attiva delle altre tipologie di intervento; - riqualificazione ed aggiornamento del personale dei servizi, in coerenza con i diversi assetti organizzativi, anche attraverso modalità di "formazioneintervento"; - azioni sistematiche di orientamento ed accompagnamento all'inserimento al lavoro; counselling personalizzato, bilancio delle competenze; - allestimento di modalità di prestazione, specifiche ed appropriate, in favore dell'orientamento ed inserimento dei soggetti appartenenti alle diverse categorie di svantaggio socio-lavorativo; - progettazione di interventi appropriati ad un positivo inserimento nell'occupazione dei lavoratori extra-comunitari; - progettazione di interventi appropriati (e per promuovere pari opportunità di genere nel mercato del lavoro) (e contrastare le discriminazioni); - avvio e messa a regime di attività di supporto alle iniziative di contrasto del lavoro sommerso; - acquisizione e gestione attiva da parte degli SPI degli interventi previsti dalla riforma del collocamento dei soggetti disabili; - reperimento e sollecitazione delle vacancies; - gestione attiva della mediazione tra domanda ed offerta di lavoro, copertura delle vacancies; - promozione verso i cittadini e verso le imprese delle misure per l'inserimento al lavoro (dalla formazione alle misure di workfare e workexperiences); - miglioramento del matching tra misure formative e per l'inserimento da un lato, e soggetti beneficiari dall'altro; - utilizzo delle informazioni prodotte dalle attività correnti degli SPI ai fini di una migliore conoscenza dei mercati del lavoro locale, della consistenza dei flussi tra condizioni, degli effetti delle misure ed interventi attivi per l'occupazione. Per il sostegno all'avvio di quanto elencato è prevista la realizzazione di "azioni di sistema" sia al livello delle singole Regioni che al livello centrale. A tal fine il Ministero del lavoro è titolare per l'obiettivo 3 di un Programma operativo nazionale (Asse A interamente dedicata alle azioni di sistema per gli SPI) e per l'obiettivo 1 di una misura nell'ambito di un Programma Operativo a titolarità del Ministero del Tesoro. Tra le azioni di sistema sono incluse in particolare quelle finalizzate all'innalzamento del livello del management e degli operatori dei Servizi e che si tradurranno non solo in interventi formativi, ma anche e soprattutto in azioni di consulenza e di "formazioneintervento". Allo scopo la Direzione per l'Impiego, a cui è affidata la realizzazione delle 8 azioni di sistema di cui agli Assi ed alle Misure di intervento prima citate, sperimenterà l’attivazione di apposite task forces consulenziali, operanti alle proprie dipendenze, in quanto strumenti per l'avanzamento della riforma il cui utilizzo sarà ovviamente concordato con le Regioni interessate. La consistenza delle risorse finanziarie che, nell'ambito del FSE, verranno dedicate agli SPI è definita in sede di approvazione dei "complementi di programmazione" da parte dei Comitati di sorveglianza. In linea di massima gli importi che nel complesso del periodo di programmazione verranno dedicati alla misura sono stimabili in 600-900 miliardi di lire per il CentroNord ed in 300-400 miliardi di lire nel Mezzogiorno da dedicare al rafforzamento dei Servizi per l’impiego ed a specifiche attività direttamente finalizzate all’inserimento al lavoro, anche a vantaggio delle categorie svantaggiate, che gli stessi potranno attivare. Per quanto riguarda l'obiettivo 1 la considerazione dello stato di avanzamento dei Servizi per l'impiego è inclusa negli indicatori in base a cui si attribuiscono, ai programmi regionali di utilizzo dei fondi comunitari le ulteriori risorse collegate al meccanismo di premialità (vedi schema in allegato). Si tratta di un dispositivo, previsto dai Regolamenti dei fondi strutturali, che permette la distribuzione ai programmi di intervento, di risorse ulteriori sulla base di indicatori che segnalano il grado di impegno e determinazione delle amministrazioni, nel raggiungimento degli obiettivi che hanno annunciato nei propri programmi di intervento. L'Italia ha accolto con grande interesse l'indicazione comunitaria inserendo per l'Ob.1 una riserva del 6% delle risorse, accanto a quella obbligatoria del 4%. L'evoluzione dei servizi per l'impiego è dunque stata inserita tra gli indicatori di "avanzamento istituzionale" che, assieme ad indicatori di integrazione e concentrazione degli interventi, costituiscono l'architettura della riserva del 6%. Esso dovrebbe contribuire a dare visibilità alla riforma ed a ricevere attenzione e sostegno anche da parte di altri attori non direttamente coinvolti nel processo di implementazione della riforma. Il Ministero, per la realizzazione delle "Azioni di sistema" previste dal PON si avvarrà della collaborazione dell'ISFOL, con affidamento diretto e sulla base del Piano di attività che tale Istituto ha già predisposto. 9 2. Primi elementi ed ipotesi per l'elaborazione del masterplan 2.1 Obiettivi, soggetti, strumenti La costruzione di un masterplan presuppone di condividere obiettivi di realizzazione quantitativi e standard qualitativi di funzionamento, di fissare in precise fasi temporali il raggiungimento di un’efficienza misurabile in effetti oggettivamente apprezzabili, di individuare gli strumenti e le risorse, finanziarie e non, da attivare in relazione alle finalità specifiche individuate. Ogni ragionamento sugli obiettivi quantitativi e gli standard qualitativi richiede di individuare e concordare le funzioni/servizi da erogare, il volume quantitativo dei beneficiari, il livello qualitativo e l'intensità delle prestazioni. Nel caso dei servizi per l’impiego il masterplan diviene uno strumento di supporto alla programmazione ed al monitoraggio di tutti gli interventi nazionali (statali, regionali, provinciali) finalizzati all’organizzazione ed alla riforma degli SPI: interventi che, a fronte del processo di decentramento realizzato, vengono attuati dallo Stato così come dalle Regioni e dalle Provincie, precisando l’orientamento di specifiche azioni ovvero organizzando e ponendo a sistema le opzioni ricondotte al livello regionale e locale. Ciò vale sia per la complessiva programmazione del FSE, sia per le iniziative di natura legislativa o amministrativa (trasformazione di assetti legislativi, semplificazione di procedure, etc.). Sono queste infatti le due grandi aree di operatività che i diversi soggetti coinvolti nell’adozione delle misure collocabili in un masterplan sugli SPI (Ministero, Regioni, Provincie) possono mettere in campo: programmazione di azioni di supporto sostenute dal cofinanziamento FSE ed innovazioni normative, amministrative ed organizzative. 2.2 Misurare gli standard qualitativi La generale finalità della riforma e, nel contempo, della misura A1 del FSE consiste nell’organizzazione di efficienti ed efficaci servizi per l’impiego. Il masterplan può e deve articolare questa finalità in obiettivi più specifici e di dettaglio (dalla riqualificazione del lay out degli uffici alla formazione del personale, dalla tempestività delle risposte relative all’incrocio domanda/offerta al rispetto dei termini previsti per gli adempimenti amministrativi etc.) sui quali agiscono scelte realizzate dalle Regioni e dalle Provincie, titolari delle nuove competenze. L’insieme degli obiettivi specifici, che agiscono sulle strutture così come sulle risorse umane oppure sulle caratteristiche dei servizi offerti, è riconducibile ad indicatori comuni di efficienza (ed efficacia) degli SPI. Indicatori che oggi possono essere riassunti nella quantificazione dell’entità dello sforzo dei singoli Centri per l’impiego rivolto ad attività di servizio propriamente dette. 10 Le iniziative previste dal D.Lgs 181/2000 nei confronti delle persone non occupate che aspirino ad un’occupazione, o, per altro verso, le attività di collocamento mirato ex L. 68/99, consistono sì anche in atti di natura adempimentale ed esclusivamente amministrativa, ma sono anche, e in primo luogo, azioni di politica attiva, azioni di servizio ai lavoratori ed alle imprese. Non è possibile scindere le due “anime” di queste attività. È però possibile misurare, almeno sulla base di indicatori d’efficacia (occupazionale, ma non solo) dell’azione realizzata, il grado di servizio insito nel lavoro svolto dai diversi CI. L’efficacia di una iniziativa, di un servizio, di un’attività di orientamento o di un colloquio è fortemente condizionata dai contesti locali e dai target di riferimento dell’azione, dai destinatari di una politica. Gli stessi criteri di misurazione dell’efficacia possono così variare in funzione delle realtà territoriali o dei soggetti coinvolti. Possiamo però ritenere che gli strumenti diretti ad assicurare efficacia alle azioni dei CI siano più facilmente individuabili come comuni sull’intero territorio nazionale. Lo stesso vale per gli indicatori dell’efficienza dei Centri. I criteri di misurazione dell’efficacia dell’azione degli SPI, tenendo conto delle diverse condizioni nelle quali si trovano ad operare i diversi servizi, possono essere, almeno in questa fase, individuati nella capacità di intervento dei CI, in termini di numerosità ed articolazione dei destinatari delle attività, nonché nella rapidità di risposta. Si tratta di criteri che possono individuare la corrispondenza dell’attività dei servizi rispetto alla generale finalità della riforma e del FSE sugli SPI, vale a dire la progressiva qualificazione dei servizi. In altri termini, posto che l’efficacia degli SPI è determinata fortemente dalle condizioni ambientali nelle quali essi operano, riconoscendo, comunque, che la capacità di interpretarle e di diversificarsi conseguentemente è uno dei presupposti e degli obiettivi del D.lgs. 469 e delle finalità d’intervento della misura A1 del FSE, può risultare impropria rispetto al masterplan la misurazione dell’efficacia dell’azione dei CI o la qualità dei servizi svolti, mentre, più opportunamente ci si può proporre di perseguire e accompagnare/verificare lo spostamento dello “sforzo” dei CI su attività cosiddette avanzate. La misurazione dello “sforzo” potrebbe poggiare o sul riparto, difficile e forse improprio, fra iniziative adempimentali ed iniziative di “politica attiva”, oppure sulla individuazione di condizioni che rendono un’azione di semplice natura adempimentale oppure la caratterizzano come un vero e proprio servizio. Per esempio, gli impegni previsti dal D.Lgs. 181/2000 o le attività di preselezione diffuse in numerosi CI possono essere accompagnate o meno da una campagna locale di informazione, comunicazione e pubblicità; possono prevedere o meno l’invio di questionari a domicilio, il ricorso a professionalità consulenziali specifiche (interne o esterne ai dipendenti degli SPI); possono comportare o non comportare la selezione ragionata di informazioni presentate alle associazioni imprenditoriali o alle singole imprese. 11 Senza dubbio i risultati, in termini di efficacia occupazionale, della stessa operazione condotta nel medesimo modo potrebbero essere differenti in contesti socio-economici differenti, caratterizzati da situazioni del mercato del lavoro diverse tra loro. La qualità complessiva del servizio offerto può essere, dunque, misurata anche sulle modalità di realizzazione dei servizi offerti oltre che sui risultati occupazionali. In questa fase un primo obiettivo può proprio essere questo: innalzare la generale qualità dei CI, misurabile in indicatori relativi agli strumenti ed ai piani di informazione impiegati, alla facilità di accesso ai servizi (orario, tempi di attesa telefonici, localizzazione della sede etc.), ai tempi di risposta rispetto agli adempimenti, alle caratteristiche delle professionalità offerte. Si tratta di elementi che non garantiscono da soli l’incrocio domanda/offerta, ma che comunque contribuiscono all’efficacia del servizio e che, in ogni caso, orientano gli SPI italiani in una logica di politica attiva. In questo senso verranno avviati sistemi di verifica e di monitoraggio delle attività svolte, che permettano di valutare i percorsi adottati. 2.3 L’articolazione del processo di trasformazione dei SPI Possiamo raccogliere in uno schema (la tabella a pag. 11) l’articolazione dei fattori che interagiscono nella definizione del masterplan dei servizi per l’impiego e nell’accompagnamento del processo di qualificazione degli SPI. A questo fine, diviene necessario, fra l’altro, individuare: - gli ambiti di intervento delle azioni statali, regionali e provinciali, sui quali misurare il processo di qualificazione, - i target di riferimento (destinatari) sui quali collocare, ricollocare o concentrare l’azione dei CI, - le tipologie di azione o le modalità di svolgimento delle azioni che distinguono l’approccio adempimentale da quello di politica attiva e di servizio. Innanzitutto i target di riferimento: possiamo, oggi, individuare fra i destinatari dell’azione dei CI target definiti, a volte in condizione di esclusiva, target praticabili e target di sviluppo. In altri termini alcune categorie di disoccupati passano necessariamente dai CI ovvero a questi i CI debbono assicurare alcuni servizi. È il caso, fra gli altri: - dei disoccupati e gli inoccupati ex D.Lgs. 181/2000 dei disabili dei giovani che non hanno adempiuto al nuovo obbligo formativo dei datori di lavoro soggetti ad obbligo ex L. 68/99. Si tratta di categorie quantificabili, e che non sono nuove per i Servizi, ad eccezione dei giovani che non hanno corrisposto all’obbligo scolastico. Le funzioni da erogare sono, tuttavia, nuove o meglio possiamo pensare che le modalità di realizzazione attese siano tali da connotare la differenza fra i nuovi SPI e le Scica (o le DPL). In questo senso possiamo prevedere l’effettuazione di servizi secondo modalità di base o secondo modalità avanzate. 12 Ai destinatari prioritari/indispensabili dei nuovi servizi occorre “necessariamente” offrire fin da subito attività che possiamo ritenere di livello avanzato (o meglio, che dovrebbero corrispondere a questo standard): è il caso dell’orientamento, degli interventi per l’inserimento e dei servizi alle imprese. In altri termini possiamo individuare alcuni target specifici dei CI ed alcune funzioni o attività specifiche da misurare e da implementare al più presto nella modalità avanzata. Su questi target possiamo misurare anche l’efficacia degli interventi (inserimenti, adempimenti degli obblighi ex L. 68/99, oppure la corresponsione al NOF). Analogo ragionamento vale per quanto attiene il volume quantitativo dei beneficiari: si può, per esempio, pensare di utilizzare come indicatore le imprese (numero assoluto e calcolo degli addetti) contattate, escludendo magari la semplice registrazione di avviamenti e cessazioni. Per quanto attiene gli aspetti connessi alle risorse possiamo individuare le caratteristiche delle sedi dei Centri, la disponibilità di strumenti informativi in loco, l’impiego da parte di Regioni, Provincie o singoli CI di piani di comunicazione o di campagne informative mirate (anche la lettera a casa rientra in questo quadro), ovvero le reti telematiche, il numero degli operatori, le competenze degli operatori (titoli, qualifiche), le prestazioni svolte dagli operatori (funzioni e livello della prestazione), riportando fra queste anche quelle derivanti da convenzioni o acquisizioni di servizi. La tabella propone, quindi, un insieme di parametri del processo di trasformazione, vale a dire ambiti e dimensioni strutturali dell’azione dei servizi per l’impiego, sui quali connotare ed articolare il percorso di riforma: in altre parole i terreni sui quali misurare il cambiamento. Si tratta, in particolare delle funzioni/servizi da erogare, dei destinatari dei servizi (cercando di individuare target e volumi), del livello qualitativo e dell’intensità delle prestazioni, delle risorse umane e tecniche. È possibile individuare obiettivi specifici riferiti ad ognuno di questi ambiti/dimensioni, anche se, ovviamente, fra loro strettamente interrelati: la diffusione in tutti i CI, o almeno in ogni ambito provinciale, di standard funzionali minimi condivisi (carta dei servizi, secondo modalità erogative di base) è strettamente connessa all’individuazione dei target imprescindibili, anche in termini quantitativi, dell’azione degli SPI; così come l’intensità e la qualità delle prestazioni è legata a doppio filo all’investimento in risorse ed alle innovazioni normative ed organizzative dei CI. La corrispondenza agli obiettivi può essere misurata individuando indicatori qualiquantitativi, e può essere perseguita attraverso azioni specifiche articolabili sulla base del soggetto responsabile, degli strumenti attivati, delle risorse messe in campo. 2.4 Funzioni ed avanzamento temporale. Le funzioni da garantire sono quelle previste dal D.Lgs. 469/97 e dalla regolamentazione delle Regioni, come anche esplicitate nella programmazione del FSE, 13 nonché nell'Accordo approvato dalla Conferenza unificata. E' tuttavia evidente che, presentando la situazione di partenza (della riforma) diversi elementi di criticità e risultando notevoli le disparità geografiche, solo gradualmente si potrà raggiungere in tutto il territorio la funzionalità completa degli SPI. Raggruppando le funzioni per tipologie, si può ipotizzare che ve ne siano alcune che debbano (funzioni con valenza di adempimenti obbligatori) e possano essere attivate su tutto il territorio, nel breve- medio termine (2002), ed altre che possano essere attivate, nello stesso lasso di tempo, in parte del territorio e solo successivamente (2006) nelle zone in cui la situazione, sia di partenza che di contesto, appare maggiormente critica. Nell'ipotesi sottostante tutti gli SPI (in particolare i Centri per l'impiego) potrebbero effettuare tutte le funzioni in modalità "livello di base" entro il 2002 e, entro la stessa scadenza, una parte degli SPI potrebbe svolgere le stesse funzioni in modalità "livello avanzato". Tale percorso d’altronde risulta coerente con gli impegni assunti in ambito europeo entro il 2003 e con la tempistica prevista per il criterio di premialità. ”. Entro il 2006 tutti gli SPI dovranno operare in modalità "avanzata". In relazione, si vedano gli schemi 1, 2 e 3 colonna “tempi”. 14 3. Disposizioni recenti Per quanto riguarda il Fondo sociale Europeo sono stati, con Decisione della Commissione, approvati i Quadri Comunitari di Sostegno sia dell'obiettivo 1 che 3. Gli importi finanziari relativi alla Misura attinente ai Servizi per l'impiego verranno precisati nell'ambito dei "complementi di programmazione" ed approvati dai Comitati di Sorveglianza. Ciò potrà avvenire solo in seguito all'approvazione (ritenuta imminente) da parte della Commissione, dei Programmi operativi a titolarità sia delle Regioni che delle Amministrazioni centrali. Le risorse che potranno essere destinate alla riforma dei Servizi per l'impiego dipendono, dunque, dalle scelte che verranno effettuate dalle singole amministrazioni, nell'attribuire una quota più o meno rilevante delle disponibilità dell'Asse A alla Misura A1. Nell'ambito del negoziato la Commissione ha invitato l'Italia a dedicare una parte cospicua di risorse al rafforzamento degli SPI; a tal fine è stata concordata la possibilità di ascrivere tale tipologia di intervento alle azioni di "prevenzione" della disoccupazione di lunga durata, al fine di raggiungere rapidamente, in proposito, gli obiettivi della strategia europea dell'occupazione e quelli enunciati dall'Italia nell'ambito dei NAP 1999 e 2000. Il Ministero del Lavoro nell'ambito del Programma "Azioni di sistema" di propria titolarità ha dedicato al rafforzamento degli SPI ed alle altre iniziative connesse il totale dell'importo Obiettivo 3 Asse A (pari a circa 86,5 Meuro) e gran parte della Misura corrispondente inclusa nel PON ob.1 (Titolarità Ministero Tesoro) Per quanto riguarda il già citato Decreto Legislativo n. 181/2000, “Disposizioni in materia di incontro fra domanda ed offerta di lavoro”, tale provvedimento, nell’intento di circoscrivere i potenziali beneficiari delle innovative misure di inserimento o reinserimento lavorativo disposte nel suo stesso ambito, interviene – ridefinendolo – sullo stato di disoccupazione. Oltre a far coincidere quest’ultimo con la “condizione del disoccupato o dell'inoccupato che sia immediatamente disponibile allo svolgimento di un’attività lavorativa”, fissa anche le cause di perdita dell’anzianità di appartenenza al detto status. Un ruolo assolutamente rilevante nell’attuazione di molte delle disposizioni contenute nel Decreto è affidato agli SPI, in coerenza del resto con gli indirizzi comunitari. Questi, difatti, non sono solo chiamati all’esercizio di attività, per così dire, più tradizionali, quali quelle di accertamento e vigilanza, ma anche all’erogazione di servizi innovativi. Quanto alle prime, i Servizi sono tenuti a verificare l’effettiva persistenza della condizione di disoccupazione, provvedendo all’identificazione dei disoccupati e degli inoccupati di lunga durata; per di più agli stessi è richiesto di realizzare indagini a campione sulla veridicità delle dichiarazioni rese dai soggetti, loro volta obbligati a presentarsi presso i medesimi uffici, onde vedersi riconoscere lo status di disoccupazione. 15 Quanto ai servizi innovativi, il Decreto 181 fissa primi “Indirizzi generali ai servizi per l’impiego ai fini della prevenzione della disoccupazione di lunga durata”. Ricalcando le prime due guidelines comunitarie è previsto che gli SPI offrano: 1) un “colloquio di orientamento”, ai giovani ed agli adolescenti entro sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione, 2) una “proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di formazione e/o riqualificazione professionale”, a favore di a) donne in cerca di reinserimento lavorativo, non oltre sei mesi dall’inizio della disoccupazione, b) disoccupati e degli inoccupati di lunga durata, non oltre dodici mesi, c) disoccupati beneficiari di trattamenti previdenziali, non oltre i sei mesi. Va segnalato che, mentre al rifiuto di offerte di lavoro aventi determinati caratteristiche, è collegata la sola perdita dell’anzianità dello status più volte richiamato, alla mancata presentazione dei soggetti al “colloquio di orientamento” sopra richiamato è fatta discendere il venir meno della condizione di disoccupato. Su diversi punti del Decreto interverrà, a breve, una Nota di indirizzo ministeriale finalizzata a dirimere, anche rilevanti, questioni interpretative. Una prima bozza di Masterplan è stata discussa con le Amministrazioni regionali l’11 luglio u.s. Nell’ambito di tale incontro alcune Amministrazioni proposero di articolare maggiormente gli obiettivi del documento, includendo criteri di avanzamento e realizzazione relativi, non solo alle attività degli SPI, ma anche alle strutture e soprattutto ai target di utenti. In una successiva riunione (3 ottobre 2000), nella quale erano state approvate le articolazioni proposte nei tre schemi di riferimento, si proponeva di integrare tali schemi con una lista-base di indicatori, atti ad una lettura qualitativa e quantitativa dell’avanzamento dei sistemi. Schemi ed indicatori proposti sono presentati qui di seguito; si precisa che in tale contesto si intende con CI riferirsi alle strutture territoriali che erogano direttamente i servizi agli utenti finali. 16 Schema 1 - Masterplan per funzioni Obiettivi e livello di operatività Garantire in tutti i CI l’esercizio delle funzioni definite dal D.Lgs. 469/97 e dalle leggi regionali. Modalità di base Garantire in n. ____ CI l’esercizio delle funzioni definite dal D.Lgs. 469/97 e dalle leggi regionali. Modalità avanzate di servizio Strategie Funzioni Strumenti Soggetti Risorse Accoglienza Smistamento utenti, Liste di attesa Adempimenti amm. Max 70% (tutti da normativa in vigore sia nazionale, sia regionale) Mediazione domanda/offerta Modalità standard, solo filtro formale delle richieste Interventi per l’inserimento Adempimenti amministrativi, Preselezioni obbligatorie Orientamento Intervista, Attività informativa standard Servizi alle imprese Azioni informative standard Verifiche e controlli Procedure formali verso servizi ispettivi DPL, Tabelle statistiche Soluzioni normative MLPS Regioni (*) Soluzioni organizzati ve, anche locali Regioni Provincie SIL MLPS Regioni Formazione operatori MLPS Regioni Provincie Convenzion i con terzi Provincie Regioni Accoglienza Presentazione servizi, Smistamento utenti, Prenotazioni Adempimenti amm. max 40% (tutti da normativa in vigore sia nazionale, sia regionale) Mediazione domanda/offerta Modalità mirata, Sollecitazione/ esplicitazione vacancies, Preselezioni Interventi per l’inserimento Promozione attiva e mirata soprattutto verso le imprese Orientamento Colloquio, Sostegno elaborazione curriculum Elaborazione congiunta percorso di inserimento AZ IONI DI A CCOM PA GNA M ENT O Servizi alle imprese Azioni informative mirate (customer oriented) Soluzioni normative MLPS Regioni Soluzioni organizzati ve, anche locali Regioni, Provincie SIL Regioni MLPS Formazione operatori Scambi fra Regioni, Provincie, Servizi MLPS Regioni Provincie Convenzion i con terzi Provincie Regioni Servizi al territorio Scambi fra Regioni Provincie Servizi Tempi 2002 2002 2006 per tutti gli SPI Acquisizion Provincie e di Regioni competenze specialistic he o specifiche 17 AZ IONI DI A CCOM PA GNA M ENT O Verifiche e controlli Procedure formali, Monitoraggio Campagne informative mirate MLPS Regioni Provincie Indicatori di riferimento (in corsivo quelli relativi alla fase 2003-2006): - definizione, in sede provinciale e locale, degli assetti organico/funzionali, dei servizi offerti nel territorio e delle loro reti sportelli disponibili per le differenti funzioni accordi con altri servizi (formazione, scuola, università, servizi sociali ecc.) ed istituti pubblici e privati strumenti per il monitoraggio delle attività svolte strumenti per la verifica della soddisfazione dei clienti certificazione dei servizi campagne informative a cadenza ordinaria relative a scadenze, servizi specifici, opportunità 18 Schema 2 - Masterplan per target Obiettivi Garantire colloqui e/o contatti con: - disoccupati ed inoccupati ex D.Lgs. 181/2000 - disabili ex elenco L. 68/99 - datori di lavoro soggetti ad obbligo ex L. 68/99 - giovani che non hanno adempiuto al nuovo obbligo formativo Strategie Livello Numero utenti contattati Modalità di base (Adempimenti di legge) Numero utenti trattati Modalità avanzate di servizio (Servizi differenziati e mirati Azioni integrate con servizi/organismi con competenze specifiche) Strumenti * Soggetti Risorse (*) Tempi Soluzioni organizzative, anche locali Regioni Provincie SIL (adeguamento a L. 68/99) Regioni MLPS Convenzioni con terzi Provincie Regioni Acquisizione di competenze specialistiche o specifiche Provincie Regioni 2002 per le modalità di base in tutti CI e secondo modalità di servizio in parte dei CI Campagne informative mirate MLPS Regioni Provincie 2006 per la totalità degli SPI Disponibilità liste di attesaprenotazione Provincie Attività di valutazione Supporto all’incrocio d/o degli immigrati Anagrafe connessa a obbligo formativo Anagrafe Immigrati MLPS Indicatori di riferimento (in corsivo quelli relativi alla fase 2003-2006): - colloqui con i disabili delle liste della L. 482/68 per la compilazione della specifica - scheda professionale colloqui per i disabili di nuovo accesso realizzazione ed aggiornamento annuale delle graduatorie (art. 8 L. 68/99) proposta professionale agli utenti del collocamento mirato, di supporto all’inserimento (tirocini) o formativa, entro 4 mesi dalla disponibilità della scheda professionale redazione delle convenzioni previste dalla L. 68/99 analisi dei posti di lavoro prevista dal collocamento mirato attivazione di accordi specifici con altri servizi 19 - azioni integrate in raccordo con altri servizi del territorio - servizi per il lavoro dei cittadini extraUE - contatti (scritti e/o telefonici) con i disoccupati, come definiti dal D.Lgs. 181/2000, - ogni ... mesi per verificarne condizioni e disponibilità liste per la prenotazione di colloqui (non superiori a ... gg) colloqui di orientamento azioni di raccordo con le sedi di progettazione delle attività formative e di orientamento convenzioni o altre modalità di raccordo per la promozione di tirocini sportelli ( o attività) dedicati ai datori di lavoro accordi con gli Istituti previdenziali e con i sindacati per informazioni specifiche sulle forme atipiche di partecipazione al lavoro anagrafe dei giovani che non hanno corrisposto all’obbligo formativo contatti con i giovani che non hanno corrisposto al NOF entro ... gg dalla loro segnalazione, e realizzazione di specifiche attività di orientamento azioni di promozione di contratti di apprendistato sportelli (o attività) dedicate alle pari opportunità di genere 20 Schema 3 - Masterplan per strutture/organizzazione Obiettivi Garantire la piena operatività dei CI Requisiti Strumenti * Sedi ed attrezzature - accessibilità - funzionalità - … Organizzazione - management - esternalizzazioni - … - … Risorse informatiche - postazioni attive - collegamenti in rete - … Risorse umane - organici - livelli e specializzazioni Contratti Strategie Soggetti MLPS, Regioni, Provincie Risorse (*) Tempi 2002 2006 Convenzioni con MLPS, terzi Regioni, Provincie Acquisizione di competenze specialistiche o specifiche MLPS, Regioni, Provincie Scambi di buone MLPS, pratiche Regioni, Provincie Formazione ….. MLPS, Regioni, Provincie … Indicatori di riferimento (in corsivo quelli relativi alla fase 2003-2006): Accessibilità e funzionalità - disponibilità di sedi a norma rispetto al disposto del D.Lgs. 626/94 e della normativa - sulla sicurezza loro localizzazione in aree facilmente raggiungibili con mezzi pubblici; disponibilità di parcheggi per i clienti assenza di barriere architettoniche, anche per quanto attiene i servizi esistenza di segnaletica esterna ed interna per facilitare la visibilità e l’utilizzo dei servizi attivazione di servizi di pulitura disponibilità di un numero di linee telefoniche sufficiente a non rendere difficoltoso l’accesso ai servizi o le normali attività d’ufficio esistenza di segreterie telefoniche e di risponditori (almeno per indicare orari d’apertura) disponibilità di fax disponibilità di un pc per ogni operatore, tendenzialmente collegato in rete accesso a internet disponibilità di caselle di posta elettronica disponibilità di fotocopiatori attivazione di contratti di assistenza e di pronto intervento per le diverse attrezzature tecnologiche certificazione delle strutture 21 organizzazione - individuazione per ogni CI di un responsabile delle attività - presenza di un operatore per le prime informazioni (telefoniche o personali) - disponibilità di figure o di competenze specifiche e riconosciute per i diversi servizi o i diversi destinatari delle attività dei CI. Ad es.: ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ ♦ disponibilità di personale o di competenze professionali di supporto alla redazione delle convenzioni previste dalla L. 68/99 disponibilità di personale, competenze professionali e/o strumenti per l’analisi dei posti di lavoro prevista dal collocamento mirato disponibilità di personale specificamente dedicato alla progettazione integrata sul territorio disponibilità di personale o di competenze professionali specifiche per il lavoro dei cittadini extraUE disponibilità di personale o di competenze professionali per la realizzazione di attività di orientamento disponibilità di personale o competenze professionali dedicate ai datori di lavoro disponibilità di personale o competenze professionali dedicate alle pari opportunità di genere - disponibilità di operatori o di competenze professionali tali da non determinare liste d’attesa superiori a 20 giorni - possibilità di potere effettuare attività formative per tutti gli operatori dei servizi (di norma pari ad almeno 10/12 gg l’anno) senza gravi ricadute sull’operatività degli uffici (*) Risorse: stimabili ad approvazione dei Complementi di Programmazione dei Programmi Operativi Regionali FSE. 22 D.M. Lavoro 22 agosto 2000 Definizione dei compiti delle direzioni regionali e provinciali del lavoro G.U. 12 settembre 2000, n. 213 IL MINISTRO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE Visto l'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400; Visto il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modifiche ed integrazioni; Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59; Vista la legge 15 maggio 1997, n. 127; Visto il decreto ministeriale 6 novembre 1996, n. 687, di unificazione degli uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e di istituzione delle direzioni regionali e provinciali del lavoro; Visto il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, di conferimento alle regioni e agli enti locali di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro; Visti i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 agosto 1999, concernenti l'individuazione delle risorse in materia di mercato del lavoro da conferire alle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Toscana, Umbria, Veneto; Viste le disposizioni che attribuiscono al Ministero del lavoro nuovi compiti in materia, tra l'altro, di immigrazione, di vigilanza sull'applicazione delle leggi di tutela del rapporto di lavoro, per la conciliazione delle controversie nel settore pubblico e privato; Considerata la necessità di definire i compiti delle direzioni regionali e provinciali del lavoro; Sentiti i direttori delle direzioni generali dei rapporti di lavoro, dell'osservatorio del mercato del lavoro, della cooperazione, della previdenza e assistenza sociale, per l'impiego nonché dell'ufficio centrale orientamento e formazione professionale dei lavoratori; Sulla proposta del direttore generale degli affari generali e del personale; Decreta: Articolo 1 Àmbito della disciplina I compiti delle direzioni regionali e provinciali del lavoro, come risultanti per effetto del decentramento amministrativo in materia di mercato del lavoro nonché delle nuove attribuzioni in materia di vigilanza e di tutela del rapporto di lavoro, di conciliazione delle controversie nel settore pubblico e privato nonché di immigrazione, sono definiti dal presente decreto. Articolo 2 Compiti della direzione regionale del lavoro 1. La direzione regionale del lavoro: a) coordina, indirizza e verifica l'attività delle direzioni provinciali del lavoro per il raggiungimento degli obiettivi programmati, attraverso il monitoraggio e l'analisi dei risultati; b) individua i fabbisogni di risorse nelle sedi territoriali; avanza proposte di acquisizione di nuove risorse e provvede alla mobilità sul territorio regionale del personale in dotazione; c) determina i fabbisogni formativi del personale; d) assicura la funzionalità del S.I.L. - Sistema informativo lavoro, coordinando l'attività delle direzioni provinciali, anche attraverso forme di collaborazione con le amministrazioni regionali. I compiti prevalenti della direzione regionale del lavoro sono definiti nell'allegato 1 che costituisce parte integrante del presente decreto. Articolo 3 Compiti della direzione provinciale del lavoro 1. La direzione provinciale del lavoro: a) programma, svolge e verifica l'attività di vigilanza del lavoro e sulle cooperative nonché l'azione amministrativa in materia di conciliazione delle controversie di lavoro nel settore pubblico e nel settore privato, di politica del lavoro relativamente alle attribuzioni statali e di promozione e sviluppo della cooperazione; b) svolge funzioni tecnico-legali connesse alle attività di ispezione del lavoro; c) assicura la conduzione e la manutenzione del S.I.L. I compiti prevalenti della direzione provinciale del lavoro sono definiti nell'allegato 2 che costituisce parte integrante del presente decreto. Articolo 4 Regioni a statuto speciale Nelle regioni Valle d'Aosta e Sardegna il presente decreto, fatto salvo quanto disposto con specifiche norme di attuazione, si applica dopo il decentramento amministrativo delle politiche attive del lavoro e del collocamento, disposto nel rispetto dei relativi statuti. Articolo 5 Organizzazione delle direzioni regionali e provinciali del lavoro 1. I criteri generali per l'organizzazione delle direzioni regionali e provinciali del lavoro sono fissati con decreto del direttore generale degli A.A.G.G. e del personale. 2. Per effetto dell'art. 8 del decreto legislativo n. 469/1997 il “Settore delle politiche del lavoro” della direzione regionale del lavoro assume la denominazione di “Settore delle politiche e dei conflitti di lavoro”. Analogamente, il “Servizio delle politiche del lavoro” della direzione provinciale del lavoro, assume la denominazione di “Servizio delle politiche e dei conflitti di lavoro”. Allegato 1 Direzione regionale del lavoro 1. Affari generali. Segreteria; Segreteria NATO-UEO; Ufficio relazioni con il pubblico; Servizio prevenzione e protezione sicurezza luoghi lavoro; Partecipazione a comitati e a commissioni; Rappresentanza presso altre amministrazioni; Contenzioso con il personale dipendente; Istruttoria stelle al merito; Esami consulenti del lavoro. 2. Gestione delle risorse. 2.1. Risorse umane: Amministrazione del personale; Relazioni sindacali e contrattazione decentrata; Trattamento di quiescenza del personale in àmbito regionale. 2.2. Risorse strumentali: Bilancio e programmazione; Gestione patrimoniale e contabile; Centralino, protocollo e archivio. 2.3. Sistemi informativi e funzioni di osservatorio regionale S.I.L.: Coordinamento e sviluppo dei sistemi informativi regionali; Coordinamento e distribuzione delle risorse umane specialistiche nel territorio regionale; Assistenza tecnico-sistemistica alle direzioni provinciali del lavoro; Coordinamento ed analisi delle rilevazioni statistiche delle direzioni provinciali; Indagini socio-economiche sul territorio ed analisi dei dati rilevati dal S.I.L. 2.4. Controllo di gestione: Rilevazione ed elaborazione dei dati sull'attività; Analisi costi benefìci; Verifica e valutazione dei risultati; Programmazione, organizzazione e metodi di lavoro. 3. Attività amministrativa, di coordinamento e di supporto. Ricorsi amministrativi; Coordinamento attività legale e del contenzioso amministrativo; Controversie collettive di lavoro nelle materie di competenza; Rilevazione dei fabbisogni per la determinazione dei flussi di immigrazione; Rilascio autorizzazioni cittadini italiani nei paesi extracomunitari; Supporto alle direzioni provinciali del lavoro in materia legale ed amministrativa; Coordinamento e supporto tecnico nella vigilanza in materia di sicurezza, igiene del lavoro e radiazioni ionizzanti; Coordinamento e supporto in materia di controllo impianti e macchine soggette alle direttive di mercato; Coordinamento attività di vigilanza ordinaria, speciale, integrata e sulle attività formative; Coordinamento e programmazione vigilanza congiunta FF.SS.; Coordinamento attività di promozione e vigilanza sulle società cooperative. 4. Mercato del lavoro. Rapporti con enti locali ed altri organismi per interventi sinergici sul mercato del lavoro, anche a supporto dell'amministrazione centrale; Compiti demandati a livello periferico nel processo di regolazione del mercato. Allegato 2 Direzione provinciale del lavoro 1. Affari generali. Segreteria; Segreteria NATO-UEO; Ufficio relazioni con il pubblico; Servizio prevenzione e protezione sicurezza luoghi lavoro; Partecipazione a comitati e commissioni diverse; Rappresentanza presso organismi esterni; Contenzioso con il personale dipendente. 2. Gestione delle risorse. 2.1. Risorse umane: Amministrazione del personale; Relazioni sindacati e contrattazione decentrata. 2.2. Risorse finanziarie e strumentali: Bilancio e programmazione delle spese; Gestione patrimoniale e contabile; Centralino, protocollo e archivio. 2.3. Sistemi informativi: Rilevazione ed elaborazione dei dati; Conduzione e mantenimento dei sistemi informativi automatizzati. 2.4. Verifica dei risultati di gestione: Controllo di gestione; Programmazione, organizzazione e metodi di lavoro. 3. Attività legale. Contenzioso illeciti amministrativi; Rappresentanza in giudizio; Ricorsi amministrativi; Riscossione coattiva; Consulenza legale; Inchieste amministrative sugli infortuni sul lavoro. 4. Conflitti di lavoro. Conciliazione controversie individuali e plurime dei settori pubblico e privato; Controversie collettive di lavoro nelle materie di competenza; Collegi di conciliazione e arbitrato; Raccolta contratti e accordi collettivi di lavoro; Costo del lavoro: analisi e certificazioni; Consulenza contrattuale; Ammortizzatori sociali. 5. Vigilanza. 5.1. Vigilanza tecnica: Vigilanza nei cantieri; Vigilanza congiunta con le FF.SS. in materia di sicurezza; Vigilanza in materia di radiazioni ionizzanti; Interventi di polizia giudiziaria in materia di sicurezza ed igiene lavoro; Vigilanza, accertamenti e indagini in materia di tutela delle donne, dei minori, delle lavoratrici madri, delle categorie protette, CIGS, orario di lavoro, ecc. 5.2. Vigilanza ordinaria: Vigilanza sull'applicazione delle norme di tutela; Programmazione ed attività di coordinamento di altri organi di vigilanza in materia previdenziale e fiscale; Vigilanza sulle attività formative: verifiche amministrativo-contabili; Vigilanza sugli enti di patronato; Esame verbali di accertamento degli istituti assicuratori e provvedimenti conseguenti; Consulenza in materia di lavoro. 5.3. Sicurezza sul lavoro: Collaudi e verifiche ascensori e montacarichi; Provvedimenti amministrativi in materia di igiene e sicurezza sul lavoro; Controllo impianti ed apparecchi soggetti alle direttive di mercato; Consulenza in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro ex art. 24 decreto legislativo n. 625/1994, e successive variazioni ed integrazioni; Partecipazione a commissioni tecniche. 6. Provvedimenti amministrativi. Autorizzazioni, dispense, certificazioni e convalide, ecc; Attuazione delle norme in materia di immigrazione: flusso, rilascio di autorizzazioni per i lavoratori extracomunitari, rilascio libretti di lavoro. 7. Cooperazione. Archivio anagrafico delle società cooperative; Vigilanza ordinaria e straordinaria sulle società cooperative; Riscossione contributi; Provvedimenti amministrativi e sanzionatori; Informazione consulenza e promozione. 8. Mercato del lavoro. Rapporti con enti locali e altri organismi per interventi sinergici sul mercato del lavoro, anche a supporto dell'amministrazione centrale; Compiti demandati a livello periferico nel processo di regolazione del mercato. LIBRO BIANCO SUL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA PROPOSTE PER UNA SOCIETÀ ATTIVA E PER UN LAVORO DI QUALITÀ Roma, ottobre 2001 II Il Libro Bianco sul mercato del lavoro è stato redatto da un gruppo di lavoro coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi, cui hanno partecipato: Carlo Dell’Aringa, Natale Forlani, Paolo Reboani, Paolo Sestito. III PRESENTAZIONE EXECUTIVE SUMMARY PARTE PRIMA. L’ANALISI IL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA: INEFFICIENZE ED INIQUITÀ 1. Raccomandazioni dell’Unione Europea 2. Andamenti e caratteristiche del mercato del lavoro italiano 2.1. Crescita economica ed intensità occupazionale 2.2. Flessibilità e precarietà 2.3. Criticità… 2.4. Qualità del lavoro 2.5. Salari e produttività 3. Politiche attive e politiche passive 3.1. Ammortizzatori sociali 3.2. Incentivi all’occupazione 3.3. Incontro domanda- offerta 3.4. Formazione PARTE SECONDA. LE PROPOSTE PROMUOVERE UNA SOCIETÀ ATTIVA ED UN LAVORO DI QUALITÀ V VII 1 1 1 2 2 4 6 11 12 15 16 20 22 24 26 26 I. REGOLE E STRUMENTI I.1. Europa e Federalismo I.1.1. “Coordinamento aperto” per l’occupazione I.1.2. Buone pratiche in Europa I.1.3. Lavoro e federalismo I.1.4. Coesione sociale I.2. Dialogo sociale I.2.1. Il modello comunitario I.3. Tecniche regolatorie I.3.1. Ordinamento comunitario e tecniche di trasposizione I.3.2. Leggi e contratti I.3.3. “Norme leggere” (soft laws) I.3.4 . Norme semplici e certe I.3.5. “Statuto dei Lavori” I.3.6. Responsabilità sociale delle imprese I.3.7. Giustizia del lavoro 26 26 26 27 28 29 30 32 33 33 35 36 38 38 41 42 II. OBIETTIVI E POLITICHE II.1. Occupabilità (more jobs…) II.1.1. Obiettivi quantitativi II.1.2. Politiche attive II.1.3. Servizi pubblici all’impiego II.1.4. Operatori privati per il lavoro II.1.5. Formazione e lavoro II.1.6. Enti strumentali II.1.7. Incentivi e ammortizzatori 44 44 44 45 46 49 50 53 54 IV II.2. Qualità (...better jobs) II.2.1. Lavoro regolare II.2.2. Lavoro a tempo indeterminato II.3. Flessibilità e sicurezza II.3.1. Organizzazione e rapporti di lavoro II.3.2. Part-time II.3.3. Lavoro interinale e intermediazione II.3.4. Lavoro intermittente II.3.5. Lavoro a tempo determinato II.3.6. Lavoro a progetto II.3.7. Lavoro in cooperativa II.3.8. Orario di lavoro II.3.9. Igiene e sicurezza II.4. Pari opportunità e inclusione sociale II.4.1. Politiche di parità II.4.2. Lavoro minorile II.4.3. Immigrazione 59 60 63 64 64 66 68 71 71 72 73 74 74 76 76 79 79 III. RELAZIONI INDUSTRIALI 82 III.1. Sistema contrattuale 82 III.2. Partecipazione 83 III.3. Democrazia economica 86 III.4. Servizi pubblici essenziali e conflittualità 88 V PRESENTAZIONE Questo Libro Bianco è finalizzato a rendere partecipi tutti gli attori istituzionali e sociali delle riflessioni che il Governo ha svolto in vista di un confronto finalizzato a ricercare soluzioni confortate dal più ampio consenso. Questi diversi interlocutori sono ora invitati a valutare il Libro Bianco, sia nella sua dimensione analitica sia nella prospettiva propositiva e progettuale. Il Governo procederà all’organizzazione di sedi di confronto per l’approfondimento delle singole tematiche, al fine di conseguire una migliore comprensione dei reciproci punti di vista e di pervenire, auspicabilmente, a specifiche intese. Al termine del confronto il Governo si riserva di valutare i punti di intesa realizzati e quelli per i quali eventualmente non si sia registrata una significativa convergenza di analisi e di proposte. In entrambi i casi si terrà ampio conto dei risultati di questo esercizio nella fase successiva di predisposizione di iniziative legislative da presentare al Parlamento. Il Governo si propone così di innovare nella metodologia del confronto prima ancora che nella stessa portata dei contenuti. Ciò appare necessario alla luce delle esperienze più recenti di dialogo sociale in Italia. Dopo i grandi accordi del 1984, del 1992 e del 1993, il confronto tra istituzioni e parti sociali è parso declinare verso forme rituali e inefficaci. Il Consiglio Europeo di Lisbona e il successivo Consiglio Europeo di Stoccolma hanno stabilito che l’Unione Europea deve conseguire nel corso del prossimo decennio una crescita economica sostenibile capace di garantire un aumento sostanziale del tasso di occupazione, di migliorare la qualità del lavoro e di ottenere una più solida coesione sociale. L’Italia in particolare ha molte ragioni per raccogliere questa sfida. L’Italia è infatti il paese europeo con il più basso tasso di occupazione generale e femminile in particolare, il più alto livello di disoccupazione di lungo periodo, il più marcato divario territoriale. Le Raccomandazioni rivolte all’Italia dall’Unione Europea nell’ambito del processo di Lussemburgo hanno sottolineato, ormai dal 1998, l’insufficienza delle politiche fin qui attuate e la mancanza di interventi in grado di migliorare sostanzialmente le caratteristiche del suo mercato del lavoro. Per questo motivo, partendo proprio dagli orientamenti europei, il Governo intende procedere, con la presentazione di questo Libro Bianco, ad un programma di legislatura, orientato alla promozione di una società attiva, ove maggiori siano le possibilità di occupazione per tutti, migliore sia la qualità complessiva dei lavori, più moderne le regole che presiedono all’organizzazione dei rapporti e dei mercati del lavoro. La strada per avvicinare l’obiettivo europeo di un tasso di occupazione attorno al 70% nel 2010, con il quale si realizza una condizione di largo impiego del capitale umano, è lunga e tortuosa. A questo obiettivo devono concorrere vari fattori: dalla più intensa partecipazione dei giovani, delle donne e degli anziani al mercato del lavoro, ad una migliore integrazione dei disabili, all’ulteriore diffusione del lavoro autonomo e di ogni forma di autoimpiego, all’emersione di tutte le forme di lavoro irregolare, con particolare attenzione alla situazione del Mezzogiorno. VI Peraltro, le azioni che si vogliono promuovere attraverso le proposte contenute nel Libro Bianco non sostituiscono gli strumenti di politica economica, di politica fiscale e di politica industriale volti a garantire un percorso di crescita sostenuta. In particolare, il documento qui presentato è definito in coerenza con l’obiettivo di una progressiva riduzione degli oneri fiscali e contributivi che gravano sul lavoro, leva non secondaria per l’incremento dell’occupazione e per migliorare le condizioni dei lavoratori meno retribuiti. Analoga coerenza è stabilita con le linee di riforma del sistema previdenziale. L’innalzamento del tasso di occupazione determina un ampliamento della base dei contribuenti, concorrendo così a ridurre l’impatto negativo derivante dalle tendenze demografiche in atto. Le politiche del lavoro, qui identificate, hanno quindi lo specifico compito di rimuovere quegli ostacoli economici o normativi che riducono l’intensità occupazionale della crescita economica, soprattutto nel Mezzogiorno. Nella definizione di nuove ipotesi di regolazione abbiamo assunto congiuntamente i criteri della flessibilità e della sicurezza superando quella sterile contrapposizione tra approcci ideologici che ha determinato la paralisi o il fallimento di molte riforme. Le politiche del lavoro non possono poi prescindere dalle caratteristiche e dalle differenze dei relativi mercati del lavoro locali in un Paese dai grandi contrasti. Occorre costruire un quadro di riferimento generale all’interno del quale possano essere adottate misure differenti per realtà diverse, riconoscendo e valorizzando le diversità e specificità delle dimensioni regionali, proprio allo scopo di ricomporre ogni dualismo. Appare quindi importante, ai fini del raggiungimento degli obiettivi prefissati, realizzare il federalismo anche in materia di mercati e rapporti di lavoro. Le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori sono attori essenziali del dialogo sociale, la cui autonomia responsabile il Governo vuole valorizzare con il frequente rinvio al loro diretto negoziato in un disegno di sussidiarietà orizzontale. Esse sono anche il veicolo per una crescente responsabilità delle imprese - attraverso strumenti di autodisciplina - e dei lavoratori, attraverso istituti referendari e partecipativi. Queste politiche sono orientate dai valori dell’economia sociale di mercato, dai principi fondamentali del lavoro che ormai compongono l’acquis communaitaire, nonché ovviamente dalle indicazioni fondamentali provenienti dalle convenzioni e raccomandazioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro per uno sviluppo globale socialmente sostenibile. Ciò nel pieno rispetto dei precetti fondamentali rinvenibili nella stessa Costituzione italiana e nell’elaborazione pluridecennale della giurisprudenza costituzionale e di legittimità. Roberto Maroni VII EXECUTIVE SUMMARY Le difficoltà del mercato del lavoro italiano La maggiore correlazione tra crescita del prodotto e crescita dell’occupazione nonché la maggiore diffusione del lavoro atipico, dovute alle misure di flessibilità introdotte a partire dal 1997, dimostrano come vi siano le condizioni affinché anche in Italia possa crearsi un mercato del lavoro dinamico, efficiente ed equo. Tuttavia, l’Italia, con un tasso di occupazione che nel 2000 è ancora al 53,5%, sconta un ritardo pesante rispetto a tutti gli altri paesi europei. La causa principale del gap italiano è ascrivibile al Mezzogiorno, che dista dagli attuali livelli medi UE di oltre venti punti percentuali sia per il totale sia per la componente femminile. Nondimeno, anche nelle regioni del Centro-Nord i livelli occupazionali rimangono inferiori rispetto ai livelli medi dell’UE (59,9% contro 63,3% per il totale e 48% contro 53,4% per la componente femminile). Il divario territoriale deve essere sommato ai problemi di carattere generazionale. Le prospettive dei giovani per un rapido accesso al mercato del lavoro, pure se migliorate negli ultimi anni grazie alle maggiori flessibilità disponibili appaiono ancora contraddistinte da difficili processi di transizione dalla scuola al lavoro, dal lavoro alla formazione e dalla formazione al lavoro. I lavoratori anziani, penalizzati dagli scarsi incentivi alla prosecuzione dell’attività lavorativa e che non appaiono beneficiare delle tipologie contrattuali flessibili adottate, continuano a ridurre la loro quota ufficiale nella popolazione lavorativa. Le donne, per le quali la crescita occupazionale nell’ultimo quinquennio è stata più consistente, specie nel Centro-Nord, continuano a soffrire di una difficile condizione di accesso e di permanenza sul mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione in Italia si è progressivamente ridotto e si presume che continui a ridursi anche nei prossimi anni. Tuttavia, esiste un grave problema di disoccupazione di lunga durata: il tasso di disoccupazione di questo segmento è, infatti, pari all’8,3%, mentre la media europea si posiziona al 4,9%. Ciò testimonia l’inefficacia delle azioni preventive e il rischio di esclusione sociale da parte di coloro che perdono il posto di lavoro. Per questo motivo la combinazione tra azioni di contesto atte ad innescare processi di allargamento della base produttiva e di innalzamento della produttività, introduzione di flessibilità nel mercato del lavoro, fuoriuscita dal sommerso, appare come una strategia interconnessa, capace di innescare sviluppo economico e crescita dell’occupazione regolare. Esistono, dunque, grandi opportunità che devono essere sfruttate e situazioni che possono essere migliorate, attuando politiche del lavoro e politiche macroeconomiche che VIII spingano dal lato dell’offerta come dal lato della domanda, anche in un contesto macroeconomico congiunturalmente difficile. Se creare più posti ed occasioni di lavoro rappresenta l’ambizioso traguardo dei prossimi anni, occorre, tuttavia, anche migliorare la qualità del lavoro. In Italia, la qualità “non buona” del lavoro è insita nei differenziali occupazionali ma, soprattutto, nell’ampia fascia di lavoro sommerso, irregolare e clandestino che contribuisce a creare condizioni di esclusione sociale e di sottoutilizzo di capitale umano. Un mercato del lavoro flessibile deve migliorare la qualità, oltre che la quantità dei posti di lavoro, rendere più fluido l’incontro tra obiettivi e desideri delle imprese e dei lavoratori e consentire ai singoli individui di cogliere le opportunità lavorative più proficue, evitando che essi rimangano intrappolati in situazioni a rischio di forte esclusione sociale. La criticità delle politiche praticate La struttura della spesa sociale italiana denota un’accentuata caratterizzazione pensionistica ed una bassa incidenza dei trattamenti di disoccupazione e di quelli assistenziali a favore di soggetti in età lavorativa (invalidità, famiglia, abitazione e assistenza sociale in senso proprio). Ciò è il risultato di rigidità nella regolamentazione dei rapporti di lavoro ed in particolare del prevalere della tutela dei rapporti in essere. Inoltre, permane l’assenza di interventi strutturali che favoriscano la domanda e l’offerta di lavoro dei soggetti a più basso reddito e di schemi di incentivazione che possano attenuare possibili effetti di povertà nelle fasce cosiddette a rischio della popolazione. Le esperienze dei paesi europei che hanno con più successo riformato il mercato del lavoro, mostrano quanto sia importante disporre anche in Italia di un nuovo assetto della regolazione e del sistema di incentivi e ammortizzatori, che concorra a realizzare un bilanciamento tra flessibilità e sicurezza. Tale sistema deve avere come obiettivo ultimo quello di accrescere l’occupazione e di diminuire le forme di precarizzazione, evitando il sorgere di pericolose fratture sociali tra generazioni, caratterizzate da segmenti più giovani che trovano accesso al mercato del lavoro con contratti flessibili e popolazione meno giovane e dinamica che rimane con contratti tradizionali da lavoro dipendente. Istituzioni, centrali e locali, e parti sociali sono chiamate a disegnare un sistema di politiche del lavoro basato non più sul singolo posto di lavoro bensì sull’occupabilità e sul mercato del lavoro. In Italia, un efficace funzionamento del mercato del lavoro è anche impedito dall’inefficiente incontro tra domanda e offerta. Solo il 4% di chi trova lavoro passa attraverso il servizio pubblico all’impiego, mentre gli operatori privati non decollano a causa degli ostacoli normativi oggi esistenti ed è ancora assente un adeguato sistema informativo basato su standard accettativi che favoriscono un rapido incontro tra i fabbisogni, i servizi, le soluzioni contrattuali. IX Gli strumenti per una società attiva Le azioni per accrescere il tasso di occupazione si devono sviluppare coerentemente con la Strategia Europea per l’Occupazione prevista dal processo di Lussemburgo. Si tratta di adattare il metodo del “coordinamento aperto” al nuovo quadro istituzionale che si sta delineando in Italia e che affida alle Regioni e agli enti locali una più forte responsabilità politica. Definizione degli obiettivi generali, monitoraggio dello stato di attuazione delle politiche, valutazione dei risultati raggiunti, scambio di buone pratiche rappresentano gli elementi portanti di un nuovo metodo che il Governo, d’intesa con tutti gli attori interessati, intende varare. Peraltro, il nuovo assetto federale, che interessa anche la regolazione del mercato e dei rapporti di lavoro, può valorizzare questo metodo di intervento. La potestà legislativa concorrente delle Regioni riguarda non soltanto il mercato del lavoro bensì anche la regolazione dei rapporti di lavoro. Il legislatore nazionale, nel dialogo con Regioni e parti sociali, dovrà intervenire con una normativa-cornice, ma poi spetterà alle singole realtà territoriali costruire un impianto regolatorio che valorizzi le diversità dei mercati del lavoro locali e superi l’attuale stratificazione dell’ordinamento giuridico. Accanto ad una rafforzata sussidiarietà verticale, occorre riqualificare la responsabilità decisionale delle parti sociali e garantire un’efficace sussidiarietà orizzontale. Il modello del dialogo sociale, così come regolamentato e sperimentato a livello comunitario, costituisce il punto di riferimento più convincente per una rinnovata metodologia nei rapporti fra istituzioni e parti sociali anche a livello interno. Il confronto tra istituzioni e parti sociali deve essere configurato come uno strumento volto a conseguire accordi progressivi tali da essere tradotti rapidamente in politiche orientate ad obiettivi quantificati e perciò monitorabili. Trattative globali si concludono talora con accordi globali generici e di difficile implementazione, così come accaduto nel corso della seconda metà degli anni novanta. Al dialogo sociale, come dispone il Trattato dell’Unione Europea, spetta il compito primario di trasposizione delle direttive comunitarie, soprattutto quando esse derivino dal dialogo sociale comunitario. Tuttavia, la necessità di modernizzare il mercato del lavoro esige che la qualità del processo traspositivo sia alta ed eviti di introdurre surrettiziamente elementi distorsivi della concorrenza – anche a danno del Paese che recepisce - che la direttiva europea intende rimuovere. Inoltre, non deve essere trascurato il fatto che il processo traspositivo deve tenere conto delle caratteristiche dei mercati del lavoro locali, nel quadro del nuovo ordinamento federalista. I mutamenti che intervengono nell’organizzazione del lavoro e la crescente spinta verso una valorizzazione delle capacità dell’individuo stanno trasformando il rapporto di lavoro. Ciò induce a sperimentate nuove forme di regolazione, rendendo possibili assetti regolatori effettivamente conformi agli interessi del singolo lavoratore ed alle specifiche aspettative in lui riposte dal datore di lavoro, nel contesto d’un adeguato controllo sociale. Dal punto di vista della contrattazione collettiva questo può significare un rafforzamento del suo ruolo premiale, come nel caso della direttiva CAE; dal punto di vista della X normativa, l’introduzione di “norme leggere”, che mirino ad orientare l’attività dei soggetti destinatari in relazione agli obiettivi piuttosto che ai comportamenti. L’ordinamento giuridico deve essere sempre più basato sul management by objectives piuttosto che sul management by regulation. La maggiore “leggerezza” delle norme comporta anche una migliore organizzazione del sistema normativo che passi, da un lato, attraverso la redazione di un Testo unico sul lavoro volto a semplificare e chiarire il complessivo assetto regolatorio; dall’altro, con la predisposizione di uno “Statuto dei lavori”, che operi un’opportuna rimodulazione delle tutele in ragione delle materie considerate, fermo restando un corpus di regole fondamentali applicabili a tutti i rapporti di lavoro. La riforma degli strumenti non può prescindere da un solido intervento sulla giustizia del lavoro. I tempi di celebrazione dei processi, risolvendosi in sostanza nel diniego della giustizia stessa, sottolineano il grave stato in cui versa la giustizia del lavoro in Italia. Un efficiente mercato del lavoro necessita di tempi di risoluzione delle controversie sufficientemente rapidi. Occorre trovare nuove forme di amministrazione della giustizia, guardando alle esperienze europee, quale l’istituzione di collegi arbitrali che siano in grado di dirimere la controversia in tempi sufficientemente rapidi. Dotarsi di nuove regole non significa necessariamente approvare nuove leggi. Significa, dunque, sperimentare anche codici volontari di comportamento nella logica di una “responsabilità sociale” delle imprese, come indicato dal recente Libro Verde della Commissione Europea. Le politiche per una maggiore e migliore occupazione La società attiva è il contesto necessario per lo sviluppo delle risorse umane. La qualità del lavoro è la nuova dimensione su cui riflettere. Il Governo ritiene che sia necessario attivare misure finalizzate ad elevare la qualità del nostro mercato del lavoro, tenendo conto delle caratteristiche e delle peculiarità della situazione italiana. In Italia, la prima politica volta a garantire un lavoro di qualità è quella rivolta all’emersione e al contrasto dell’economia sommersa, cui il Governo ha dedicato immediatamente una “terapia d’urto”, che questo Libro Bianco intende ulteriormente sostenere. Il conseguimento di una maggiore occupazione non dipende esclusivamente dalle politiche del lavoro qui delineate. Esse, tuttavia, devono assicurare che la crescita economica possa essere pienamente sfruttata, accrescendo le possibilità occupazionali degli individui ed aumentando l’intensità occupazionale dello sviluppo economico. A questo fine deve essere rafforzata la capacità di funzionamento efficiente del mercato, liberandolo dalle inefficienze economiche e normative che hanno nel corso degli anni ostacolato il pieno dispiegarsi delle sue potenzialità. Ciò, ovviamente, non dovrà avvenire restringendo le tutele e le protezioni, bensì spostandole dalla garanzia del posto di lavoro all’assicurazione di una piena occupabilità durante tutta la vita XI lavorativa, riducendo, quindi, i periodi di disoccupazione o di spreco di capitale umano. In questo quadro, diverse sono le azioni che vengono proposte. Anzitutto, appare necessario imprimere una decisa accelerazione alle misure che possano favorire un efficiente ed equo incontro tra domanda e offerta. Da un lato, raccogliendo le indicazioni dell’Unione Europea, si deve proseguire con determinazione nella modernizzazione dei servizi pubblici per l’impiego, nel rispetto delle competenze delle Regioni e delle Province. Dall’altro, si deve agire affinché si fondi stabilmente un sistema maggiormente concorrenziale fra pubblico e privato, rivedendo pienamente la normativa introdotta per regolare il ruolo degli operatori privati che si occupano a vario titolo della mediazione tra domanda e offerta di lavoro e favorendo la diffusione di operatori privati polifunzionali. In secondo luogo, appare urgente intervenire sulle transizioni scuola-lavoroformazione. Ciò può essere assicurato innalzando la qualità dell’offerta formativa con azioni dal lato della domanda, ma anche con un rinnovato intervento pubblico, perché lasciato a se stesso il mercato non riesce a dare i risultati migliori. Peraltro, così come si finanzia con risorse pubbliche il processo di innovazione, altrettanto si deve fare con la formazione continua, sostenendone la domanda. Nel contempo, Governo e parti sociali devono intraprendere una sostanziale riforma dei contratti a causa mista, soprattutto in riferimento allo strumento dell’apprendistato, approfondendo gli aspetti della quantità e della qualità della formazione esterna ai luoghi di lavoro. In tale quadro, l’apprendistato può essere valorizzato come strumento formativo per il mercato, mentre il contratto di formazione-lavoro può essere concepito come strumento per realizzare un inserimento mirato del lavoratore in azienda. In terzo luogo, si deve procedere alla costituzione di un sistema di politiche che intervenga in maniera attiva e preventiva, riformando profondamente ammortizzatori sociali e incentivi all’occupazione. Tale riforma, poiché appare in stretto collegamento con il riequilibrio complessivo della spesa per protezione sociale, dovrà procedere in maniera graduale man mano che le risorse finanziarie necessarie si renderanno effettivamente disponibili. Inoltre occorre tenere presente che essa si inserisce nell’azione di riduzione progressiva del carico fiscale e contributivo gravante sul lavoro. Un importante elemento qualitativo risiederà nel coinvolgimento del beneficiario, che dovrà ricercare attivamente un’occupazione secondo un percorso che può avere anche natura formativa, da concordare preventivamente con i servizi pubblici per l’impiego. Peraltro, anche se si preferiranno strumenti automatici, tanto nel caso delle misure passive quanto in quello delle misure attive, i servizi per l’impiego, pubblici e privati, dovranno operare nel senso della prevenzione di abusi e di aumento della selettività effettiva di determinati strumenti, promuovendone il ricorso effettivo tra i soggetti più deboli. La scarsa partecipazione delle donne nel mercato del lavoro italiano rappresenta, come già ricordato, una situazione di fortissimo ritardo del nostro paese rispetto agli standard europei. Le politiche del lavoro che saranno adottate dovranno tenere conto di questa peculiarità e dovranno anzitutto rimuovere tutti quei fattori esterni al lavoro che influenzano negativamente la XII decisione delle donne di iniziare un’attività lavorativa. Inoltre, occorre effettuare uno sforzo di ripensamento complessivo di tutte le politiche nella prospettiva di rafforzare le opportunità di lavoro e di carriera delle donne. Si tratta di agire non solo dunque per ragioni di equità sociale ma anche per un miglioramento dell’efficacia del mercato del lavoro e della sua qualità. Avvicinare la domanda e l’offerta di lavoro è una delle scelte di fondo a cui si ispira il Libro Bianco. Tale principio va applicato anche ai fenomeni di immigrazione che l’Italia ha finora subito, senza essere in grado di programmare in maniera adeguata. Come recenti indagini hanno confermato, un’immigrazione non controllata rischia di abbassare la qualità del mercato del lavoro, poiché concorre ad alimentare l’economia sommersa. Inoltre, essa genera pericolose frizioni sul piano sociale e dell’accesso ai diritti di cittadinanza principali. Il disegno di legge predisposto e le successive misure, coniugando strettamente contratto di lavoro e permesso di soggiorno possono concorrere alla definizione di un mercato del lavoro più trasparente ed efficiente, che inserisca pienamente i lavoratori extracomunitari nel lavoro regolare, assicurando una prioritaria attenzione ai lavoratori extracomunitari già iscritti nelle liste dei servizi pubblici per l’impiego ed ancora in cerca di un’occupazione garantendo così le condizioni per una pacifica convivenza sociale. La diffusione del lavoro autonomo tra gli immigrati può concorrere a perpetuare mestieri altrimenti destinati a scomparire nonché a favorire i processi di integrazione sociale. Flessibilità e sicurezza Mercato e organizzazione del lavoro si stanno evolvendo con crescente velocità. Non altrettanto avviene per i rapporti di lavoro: il sistema regolativo ancor oggi utilizzato in Italia non è più in grado di cogliere e governare la trasformazione in atto. Assai più che semplice titolare di un “rapporto di lavoro”, il prestatore di oggi e, soprattutto, di domani, è un collaboratore che opera all’interno di un “ciclo”. Si tratti di un progetto, di una missione, di un incarico, di una fase dell’attività produttiva o della sua vita. Il percorso lavorativo è segnato da cicli in cui si possono alternare fasi di lavoro dipendente ed autonomo, in ipotesi intervallati da forme intermedie e/o da periodi di formazione e riqualificazione professionale. Il quadro giuridicoistituzionale ed i rapporti costruiti dalle parti sociali, quindi il diritto del lavoro e le relazioni industriali, devono cogliere queste trasformazioni in divenire, agevolandone il governo. Il mercato del lavoro italiano necessita, quindi, di importanti modifiche al suo apparato regolatorio, procedendo organicamente ad una modernizzazione dell’organizzazione e dei rapporti di lavoro, auspicabilmente d’intesa con le parti sociali. L’introduzione della nuova normativa sul contratto a termine rappresenta un primo esempio di queste azioni. Il miglioramento qualitativo del rapporto di lavoro deve avvenire mediante un uso corretto del contratto di lavoro a tempo indeterminato, evitando che si diffondano flessibilità in entrata per aggirare i vincoli o le tutele predisposte XIII per la flessibilità in uscita. Pertanto, appare importante incentivarne l’utilizzo, con particolare riguardo alla trasformazione del contratto a termine, nonché superare gli eventuali ostacoli normativi che frenano il ricorso a questa tipologia contrattuale, senz’altro fondamentale per garantire una società attiva basata sulla qualità del lavoro. Interventi correttivi appaiono urgenti per eliminare quegli ostacoli normativi che ancora rendono complicato l’utilizzo delle tipologie contrattuali flessibili, che sono state utilizzate in larga misura in tutti i paesi europei senza che questo abbia comportato situazioni di esclusione sociale o di bassa qualità del lavoro. In questo ambito, il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere reso più usufruibile, intervenendo sulle cosiddette “clausole elastiche” e sull’istituto della “denuncia”. Il contratto interinale, la cui disciplina deve essere coordinata con quella del lavoro temporaneo, deve migliorare la sua funzione di strumento che favorisce l’incontro tra domanda e offerta. Più in generale, appare opportuno avviare una riforma complessiva della disciplina in materia di intermediazione di manodopera, anche alla luce dei processi di esternalizzazione del lavoro e nel rispetto delle condizioni di tutela del lavoro. D’altro lato, occorre prevedere nuove tipologie contrattuali che abbiano la funzione di “ripulire” il mercato del lavoro dall’improprio utilizzo di alcuni strumenti oggi esistenti, in funzione elusiva o frodatoria della legislazione posta a tutela del lavoro subordinato, e che, nel contempo, tengano conto delle mutate esigenze produttive ed organizzative. In questa ottica, si segnala la proposta di introdurre il “lavoro intermittente”, consentendo a numerosi soggetti di percepire un compenso minimo per la propria disponibilità, aumentando poi l’ effettiva retribuzione in ragione dell’ orario effettivamente richiesto, nonché della prospettazione del lavoro a progetto, come forma di lavoro autonomo parasubordinato in cui rileva fortemente il fattore della realizzazione appunto di un progetto avente precisi requisiti in termini di quantificazione temporale ma anche di qualità della prestazione. Questi interventi sono finalizzati a bonificare il mercato del lavoro dalle collaborazioni coordinate e continuative, spesso fonte di abusi frodatori. Un moderno sistema di relazioni industriali In Italia, più che in tutti i maggiori paesi europei esiste una fortissima dispersione territoriale dei tassi di disoccupazione associata ad una quasi omogeneità territoriale dei livelli salariali. Siamo un paese molto “egualitario” in politica salariale, ma molto disuguale dal punto di vista delle condizioni del mercato del lavoro. Questa situazione appare il risultato anche di un sistema di contrattazione collettiva che mantiene caratteristiche di centralizzazione inadatte ad assicurare una flessibilità della struttura salariale, che sia capace di adeguarsi ai differenziali di produttività e di rispondere ai diversi disequilibri del mercato. Lo scarso legame esistente tra produttività aziendale e condizioni del mercato locale del lavoro, da un lato, e retribuzioni, dall’altro, si traduce in più bassi livelli occupazionali. A questo si aggiunga che la scarsa crescita, l’alta XIV disoccupazione, l’elevato carico fiscale e lo stesso modello contrattuale definito dagli Accordi del 1992-1993 - sopravvissuto alle condizioni per le quali fu concepito - hanno portato ad un’evoluzione poco lusinghiera dei salari reali al netto delle imposte, anche grazie alla crescita della pressione fiscale sul lavoro. La crescita del tasso di occupazione e la riduzione del divario occupazionale tra Nord e Sud possono essere determinati anche dalla mobilità delle persone e delle imprese, stimolata da una più accentuata differenziazione dei rispettivi salari reali. Appare opportuno, dunque, che le parti sociali anzitutto, e le istituzioni nazionali e locali, in quanto datori di lavoro, considerino l’opportunità di rivisitare l’attuale assetto contrattuale, al fine di dotarlo di una maggiore flessibilità. Ciò può avvenire rafforzando la contrattazione decentrata, e legandola in maniera più stretta ai luoghi in cui si determinano i guadagni di produttività, anche considerando le condizioni specifiche del mercato del lavoro. In tutta Europa si è avuta un’evoluzione partecipativa delle relazioni industriali, nella convinzione che questo potesse contribuire ad accrescere le potenzialità competitive dell’azienda e dell’intero sistema economico del paese. In questo quadro, anche in Italia, di fronte alle sfide che si prospettano, di modernizzazione dell’organizzazione del lavoro, di competitività, di valorizzazione del capitale umano, i rapporti tra le parti sociali si devono sviluppare in senso sempre più partecipativo, in particolare, ma non solo, nel processo di trasposizione delle direttive comunitarie. Un primo importante obiettivo riguarda la direttiva sulla Società Europea, che dovrà individuare le sedi e le altre modalità per regolare convenientemente i diritti di informazione e consultazione, ispirando l’esercizio delle prerogative manageriali ad una logica di trasparenza e di fiducia tra le parti. Tuttavia, un maggiore sviluppo della dimensione partecipativa potrà riguardare il tema della partecipazione finanziaria dei lavoratori, ed in particolare del cosiddetto azionariato dei dipendenti. Nel corso del decennio appena trascorso il ricorso allo sciopero quale forma di regolazione del conflitto tra le parti ha subito una progressiva perdita di importanza. Tuttavia, ciò è avvenuto soprattutto nel settore industriale, mentre comportamenti irrispettosi delle esigenze degli utenti e dei consumatori si sono determinati nei servizi essenziali, con particolare riferimento al settore dei trasporti. La riforma della legge avvenuta nell’ultima legislatura può indurre decisioni più coraggiose da parte della Commissione di Garanzia, con particolare attenzione al criterio della “rarefazione oggettiva” - che garantisce adeguati intervalli agli utenti tra uno sciopero e l’altro - e alle procedure di raffreddamento dei conflitti, a partire dal referendum consultivo obbligatorio. Occorrerà verificare, inoltre, la possibilità di rafforzare, con sedi nuove e più efficienti la prevenzione e composizione delle controversie collettive di lavoro, con particolare ma non esclusiva competenza nella gestione del conflitto nei servizi essenziali. PARTE PRIMA. L’ANALISI IL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA: INEFFICIENZE ED INIQUITÀ 1. Raccomandazioni dell’Unione Europea Le ‘Raccomandazioni’ rivolte all’Italia dall’Unione Europea nell’ambito della cosiddetta Strategia Europea sull’Occupazione hanno sottolineato, più volte, la difficile situazione in cui versa il mercato del lavoro e l’insufficienza delle politiche fin qui attuate. Peraltro, più anni sono trascorsi senza che venissero introdotti quegli interventi in grado di modificarne in maniera sostanziale la situazione. Dal punto di vista delle condizioni del mercato del lavoro, la Commissione Europea nella proposta di Rapporto Congiunto 2001 che deve essere ancora discusso dal Consiglio Europeo, rileva che, nonostante nel gennaio 2001 il tasso di disoccupazione in Italia sia sceso sotto il 10%, il tasso di occupazione rimane sempre al 53,5%, 10 punti percentuali al di sotto della media europea e il più basso fra tutti i paesi dell’Unione Europea. Inoltre, continuano ad essere presenti persistenti difficoltà strutturali quali il basso livello di occupazione giovanile e di attività delle generazioni più anziane, profonde differenze di genere, squilibri regionali molto marcati. Dal punto di vista delle politiche, la Commissione ritiene che nel complesso la Strategia Europea sull’Occupazione non sia stata attuata da parte del nostro Paese. Si rileva, infatti, che l’Italia ha proceduto all’implementazione di politiche già previste, piuttosto che introdurre misure innovative al fine di realizzare il policy mix raccomandato (coordinando cioè i quattro pilastri del processo di Lussemburgo). Sono inoltre segnalati ritardi nella verifica del sistema pensionistico, nelle azioni preventive della disoccupazione giovanile di lungo periodo e più in generale nelle misure correttive in senso preventivo della disoccupazione, nel sistema di servizi pubblici all’impiego. L’utilizzazione in Italia di forme di lavoro non standard è ancora molto bassa (16,1%), tenuto conto che il 60% dei nuovi posti di lavoro sono stati creati ricorrendo a tipologie flessibili sul lavoro. Infine, per quanto riguarda le azioni sulle pari opportunità, la Commissione rileva che le azioni intraprese hanno sortito solo miglioramenti marginali ed è quindi necessario passare da misure erratiche ad una strategia più globale, finalizzata, con priorità assoluta alla riduzione del gender gap. Più in particolare, anche quest’anno, come negli anni precedenti, l’Italia è stata invitata a: - perseguire una riforma delle politiche del lavoro volte ad aumentare il tasso di occupazione, in particolare delle donne. Queste riforme dovrebbero indirizzarsi a ridurre gli squilibri regionali rafforzando le politiche per l’occupabilità e promuovendo la creazione di posti di lavoro e la riduzione del lavoro irregolare, con un attivo coinvolgimento delle parti sociali; 2 - continuare ad accrescere la flessibilità del mercato del lavoro con un approccio che possa meglio combinare la sicurezza con una maggiore adattabilità al fine di facilitare l’accesso al lavoro; proseguire l’implementazione della riforma del regime pensionistico attraverso la revisione prevista per il 2001 ed avviare la prevista riorganizzazione degli altri regimi previdenziali, onde ridurre le uscite dal mercato del lavoro, e così elevare il grado di partecipazione degli anziani; proseguire inoltre gli sforzi per la riduzione della pressione fiscale sul lavoro, in particolare per i lavoratori scarsamente retribuiti e per quelli con bassa qualifica; - nel contesto delle politiche per l’occupabilità, intraprendere ulteriori azioni al fine di prevenire l’entrata nella disoccupazione di lunga durata dei lavoratori giovani e adulti. Tali azioni dovrebbero includere: la piena e completa attuazione della riforma dei servizi pubblici all’impiego in tutto il paese; l’accelerazione dell’introduzione del sistema informativo del lavoro; e la prosecuzione dell’impegno attuale volto a migliorare il sistema di monitoraggio statistico; - migliorare l’efficacia delle politiche attive per il lavoro e attuare specifiche misure per ridurre l’ampio divario di genere in termini di occupazione e di disoccupazione, nell’ambito di un approccio orizzontale di genere, e in particolare fissando obiettivi per l’offerta di asili nido ed altri servizi di sostegno; - rafforzare le azioni per adottare ed attuare una strategia coerente per la formazione continua, stabilendo obiettivi nazionali; le parti sociali dovrebbero essere più attive nell’ offerta di maggiori opportunità di formazione alla forza lavoro. A tutte queste sollecitazioni occorrerà che l’Italia risponda con efficacia e tempestività, trattandosi di obblighi derivanti dalla sua appartenenza all’Unione Europea. Il Governo ritiene che queste siano indicazioni molto puntuali e rigorose, che non possono non essere condivise, e da cui occorre partire nel delineare la politica sull’occupazione dei prossimi anni. Per questo motivo richiama tutte le istituzioni coinvolte e tutte le parti sociali affinché siano predisposte iniziative ed interventi per affrontare i nodi critici del mercato del lavoro italiano. Come primo contributo in tal senso, il Governo, con questo Libro Bianco, intende proporre a tutti i suoi interlocutori un’agenda di discussione da cui possa derivare, in tempi rapidi, un programma di politiche adeguate. 2. Andamenti e caratteristiche del mercato del lavoro italiano 2.1. Crescita economica ed intensità occupazionale Il mercato del lavoro italiano è stato, per anni, caratterizzato da condizioni di strutturale difficoltà, soprattutto dopo la grave crisi subita nei primi anni del decennio appena trascorso. Pur continuando a sperimentare un ritardo rispetto a tutti gli altri paesi industrializzati, di cui il tasso di occupazione è un fedele 3 indicatore, negli ultimi anni si è assistito allo svilupparsi di una dinamica favorevole delle grandezze occupazionali. In particolare, una maggiore correlazione tra crescita del prodotto e dell’occupazione, nonché una forte diffusione delle cosiddette lavoro atipico. moderata è emersa crescita forme di Le flessibilità introdotte a partire dal 1997 (pacchetto Treu) hanno consentito una prima inversione di tendenza. Nel quinquennio 1995-2000 l’elasticità dell’occupazione al PIL (misurata come rapporto tra dinamica della prima e del secondo) si è ragguagliata al 54%, a fronte di un valore del 12% nella fase di crescita registratasi nella seconda metà degli anni ottanta (Tav. 1; Fig.1). Tav. 1 – Elasticità dell’occupazione al PIL: evoluzione nell’ultimo quindicennio 1985-1990 1990-1995 1995-2000 Variazione % cumulata del PIL 15,1 6,5 9,8 Variazione % cumulata delle unità standard di 3,7 -3,8 4,1 lavoro nei conti nazionali Variazione % cumulata delle persone occupate 1,8 -4,7 5,3 nell’indagine forze di lavoro Contenuto occupazionale della crescita (unità 0,24 -0,59 0,42 standard) Contenuto occupazionale della crescita (persone 0,12 -0,72 0,54 occupate) Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, conti nazionali e indagini sulle forze di lavoro (per il periodo 1990-95, la serie dell’occupazione nell’indagine forze di lavoro è quella ricostruita dalla Banca d’Italia per tener conto del break nell’indagine all’ottobre 1992). A denotare il legame tra aumentati margini di flessibilità e crescita occupazionale è sia l’esame della composizione interna di quest’ultima –in cui prevalgono il lavoro c.d. atipico1 e taluni gruppi demografici tradizionalmente più ai margini del mercato del lavoro– sia il più forte ed immediato legame tra crescita del PIL ed andamenti dell’occupazione. A tale risultato ha contribuito la crescita del part time che ha elevato il numero di persone fisiche occupate a parità di input di lavoro in termini di unità standard (come misurate nei conti nazionali)2. Queste sono così cresciute meno del numero di persone fisiche 1 Per lavoro atipico si intendono qui i rapporti di lavoro a tempo parziale e/o determinato, come tali facilmente identificabili nell’indagine sulle forze di lavoro. Questa classificazione peraltro lascia indefinite, nel senso che non le caratterizza necessariamente né come tipico né come atipico, le collaborazioni coordinate e continuative, che non sono identificabili come tali nell’indagine citata. La crescita delle collaborazioni coordinate e continuative è stata particolarmente marcata: in termini di iscritti alla speciale gestione presso l’INPS si è passati da poco meno di un milione di unità al dicembre 1996 a quasi due milioni al luglio 2001; meno marcata, ma pur sempre notevole, è la crescita dei soggetti per i quali siano stati effettivamente versati contributi alla speciale gestione INPS (e che quindi nell’anno in questione abbiano effettivamente operato e percepito dei redditi come collaboratori), nel cui caso si passa dagli 839mila individui del 1996 ai 1272mila del 1999 (cfr., Ministero del Lavoro, Rapporto di monitoraggio no. 2-2000, Box A1 e no. 1-2001, scheda 12). 2 In senso opposto aveva invece operato, in tutti gli anni ottanta, la forte crescita del fenomeno del doppio lavoro. 4 occupate (del 4,1% cumulato a fronte del +5,3% cumulato degli occupati conteggiati nell’indagine sulle forze di lavoro nel quinquennio 1995-2000). A denotare la crescita dell’occupazione si segnala come tra il 1995 e il 2000 il tasso di occupazione nella classe d’età 15-64 anni sia passato dal 50,6 al 53,5%, con una significativa accelerazione nel biennio 1998-2000 (a cui vanno attribuiti due dei tre punti della crescita totale prima ricordata) in concomitanza con una crescita del PIL che, pur se ancora stentata, è stata più sostenuta che nel triennio precedente (Fig. 1). Il miglioramento è stato particolarmente marcato nella componente femminile (+4,1 punti in termini di tasso di occupazione). Anche per i più giovani, la disoccupazione esplicita, come quota della popolazione totale tra 15 e 24 anni, è calata nello stesso quinquennio dal 12,6 all’11,8%, a beneficio di un aumento sia dell’occupazione che della partecipazione alla scuola. Fig.1 - Tassi di variazione del PIL e dell'occupazione (dati trimestrali destagionalizzati) 1,5 1 0,5 -1 Occupazione Pil Dal punto di vista settoriale, la crescita dell’occupazione nel quinquennio 19952000 è stata caratterizzata dall’espansione di settori ed attività a minore intensità effettiva di capitale, uno sviluppo in parte connesso con lo spostamento progressivo dell’occupazione dall’industria ai servizi –settori caratterizzati da un più contenuto trend nella produttività del lavoro– ma favorito anche proprio dalla maggiore flessibilità del lavoro. 2.2. Flessibilità e precarietà Nonostante le preoccupazioni e i rilievi avanzati su un eccesso di flessibilità nel mercato del lavoro italiano, alquanto contenuti sono rimasti sinora i rischi che 2001q1 2000q3 2000q1 1999q3 1999q1 1998q3 1998q1 1997q3 1997q1 1996q3 1996q1 1995q3 1995q1 1994q3 1994q1 1993q3 -0,5 1993q1 0 5 dalla maggiore flessibilità scaturisse un’accentuazione dei fenomeni di precarietà. Il lavoro atipico è certamente stata la componente principale della maggiore occupazione, ma le vicende del biennio 1998-2000 testimoniano come, in concomitanza di tassi significativi di sviluppo del PIL (cresciuto del 2,3% all’anno nel biennio, a fronte di una crescita dell’1,6% nel triennio precedente), anche il lavoro dipendente a tempo pieno e indeterminato cresca senza ostacoli (Tav. 2). Peraltro, ancora basso appare il ricorso al lavoro a termine, anche nel confronto internazionale (i rapporti a tempo determinato erano nel 2000 il 7,5% dell’occupazione totale, in crescita rispetto al 5,4% del 1995, ma ancora ben al di sotto dell’11,4% medio della UE). Tav. 2 – Contributi alla variazione percentuale dell’occupazione delle diverse tipologie di lavoro Variazione totale dell’occupazione Contributi alla variazione Autonomi A tempo pieno A tempo parziale Dipendenti Permanenti a tempo pieno “atipici” Di cui: permanenti a tempo parziale temporanei a tempo parziale temporanei a tempo pieno Livello 93-95 (a) 95-98 (a) 98-00 (a) 00-01 (a) 95-01 (a) -2,8 1,9 2,6 2,6 7,3 100,0 -0,3 -0,4 0,1 -2,5 -3,4 0,9 0,2 0,3 -0,1 1,7 0,1 1,6 0,2 -0,1 0,2 2,4 0,1 2,3 0,5 0,5 0,0 2,1 1,6 0,5 0,9 0,7 0,2 6,4 1,9 4,5 27,9 25,8 2,1 72,1 60,8 11,3 0,4 0,6 -0,0 0,6 0,6 0,5 0,8 1,0 0,4 0,5 0,0 -0,0 2,0 1,6 0,9 4,5 4,6 2,2 2001 (b) (a) variazione percentuale relativa alla media delle rilevazioni di gennaio ed aprile degli anni considerati. (b) struttura percentuale dell’occupazione totale nella media delle rilevazioni di gennaio ed aprile 2001. Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, indagine sulle Forze di Lavoro. Il lavoro atipico non sempre è sinonimo di precarietà. E’ sufficiente osservare alcune prime evidenze empiriche. Nell’impiego a tempo ridotto, cresciuto dal 6,3 all’8,4% dell’occupazione complessiva tra 1995 e 2000, la componente volontaria prevale largamente, specie tra le donne e nel CentroNord. Il dato meno favorevole del Mezzogiorno evidenzia come la più diffusa precarietà dell’occupazione nell’area, che interessa anche il part time, sia da correlare al contesto economico generale meno favorevole e non tanto a specifici problemi di tutela e regolamentazione di questo particolare rapporto di lavoro. Gli sviluppi di questi ultimi anni testimoniano, dunque, che il marcato sviluppo delle tipologie atipiche di lavoro non rappresenta un evento transitorio né appare destinato ad esaurirsi poiché copre solamente un segmento del mercato del lavoro. Anche per il lavoro a termine, pur denotandosi una probabilità di occupazione nei successivi dodici mesi significativamente inferiore rispetto a 6 quella degli occupati a tempo indeterminato, il trend nel tempo è positivo, con una riduzione delle differenze esistenti. E’ peraltro possibile che, ove alla maggiore flessibilità in entrata non dovesse corrispondere un complessivo riequilibrio della regolamentazione del mercato del lavoro, con il passaggio da una tutela centrata sul rapporto di lavoro in essere ad un regime di tutele garantite soprattutto nel mercato, i pericoli di segmentazione nel mercato del lavoro finirebbero con l’aggravarsi. Per questo motivo, il Governo sollecita tutte le parti sociali a segnalare le tendenze percepite in questo senso e a valutare l’impatto delle asimmetrie tra flessibilità in entrata e rigidità in uscita. Tali asimmetrie possono nascondere anche una pericolosa frattura sociale tra generazioni, ove è chiaro che i segmenti più giovani trovano accesso al mercato del lavoro con contratti flessibili mentre la popolazione meno giovane e dinamica rimane caratterizzata da contratti tradizionali da lavoro dipendente. 2.3. Criticità… Il Governo ritiene che, nonostante i segnali di crescita occupazionale descritti, l’eredità del passato rimane alquanto pesante e che molti sono i nodi critici ancora irrisolti. Il tasso di occupazione (53,5% nella classe 15-64anni d’età) è ancora ben lontano dall’obiettivo che l’Unione Europea nel suo insieme si è posta per il 2010 (70%). Ancor più ampia è la distanza dei livelli attuali dell’occupazione rispetto alle soglie UE al 2010 per la componente femminile (39,6% contro 60%) e per i 55-64enni (27,8% contro 50%). Per questi ultimi, le tendenze realizzatesi nel periodo 1995-2000 sono addirittura nel senso di una riduzione dei livelli occupazionali, ormai tra i più bassi nel panorama europeo3. Tenuto conto del peso crescente che i lavoratori più anziani avranno nella popolazione complessiva, è tra l’altro da rilevare come, ove non si arrestasse quella tendenza declinante, da qui al 2005 ne risulterebbe, coeteris paribus, compresso di sei decimi di punto lo stesso tasso di occupazione complessivo (Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, Rapporto di Monitoraggio, 1-2001, scheda 1). La causa principale della distanza tra i livelli occupazionali medi dell’Italia rispetto ai target europei è ascrivibile al Mezzogiorno, che dista dagli attuali livelli medi UE di oltre venti punti percentuali sia per il totale che per la componente femminile (Tav. 3). Tuttavia, anche nel Centro-Nord i livelli occupazionali rimangono inferiori rispetto ai target europei ed agli stessi odierni livelli medi dell’UE (59,9% contro 63,3% per il totale e 48% contro 53,4% per la componente femminile). Il divario è concentrato tra i giovani e, soprattutto, nel caso dei maschi, tra i più anziani; più diffuso nel caso della componente femminile. Fatto salvo il caso degli anziani, il Centro-Nord ha però evidenziato una certa tendenza al recupero dei gap esistenti. Nel quinquennio 1995-2000 la crescita del tasso d’occupazione è stata 3 Il Belgio, ove i livelli dell’occupazione dei più anziani erano significativamente più bassi che in Italia, ha evidenziato una tendenza espansiva, mentre l’Italia è riuscita, a partire dal 1998, soltanto a stabilizzare i propri livelli, che oggi l’accomunano sotto il 30% solo a Belgio, Austria, Francia e Lussemburgo. 7 significativamente superiore a quella media UE per la componente femminile (+5,7 punti percentuali nel Centro-Nord contro il +3,7 medio della UE); è invece risultata leggermente meno accentuata per i maschi (+1,8 punti percentuali contro il +2,3 medio della UE), nel cui caso ha influito soprattutto la negativa performance dei 55-64enni. In termini di scenario, immaginando di replicare le tendenze del biennio 1998-20004) e realizzando una qualche inversione di tendenze per i soggetti più anziani, queste regioni sarebbero in grado di superare al 2010 le soglie UE del 70% e del 60% rispettivamente per l’occupazione totale e femminile (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Rapporto di Monitoraggio no. 1-2001, scheda 1). Nell’ottica di una strategia che miri all’innalzamento dei livelli occupazionali verso i traguardi posti in sede europea quattro appaiono le aree maggiormente problematiche: il Mezzogiorno, l’ingresso nel mondo del lavoro dei più giovani, la fuoriuscita ancora troppo precoce dal mondo del lavoro dei più anziani e la scarsa, pur se crescente, partecipazione al mondo del lavoro della componente femminile. il Mezzogiorno… Il dualismo territoriale rappresenta il nodo fondamentale del mercato del lavoro italiano, quello in cui si esplicita la segmentazione più evidente. Tutti i dati esistenti testimoniano di un’area che presenta un marcato squilibrio tra domanda e offerta, con conseguente sottoutilizzo di risorse umane. I bassi livelli occupazionali del Mezzogiorno si riconnettono con la più generale questione delle prospettive di sviluppo economico di quelle regioni. Il Mezzogiorno si caratterizza per un livello del PIL per abitante pari al 56% circa di quello del Centro-Nord (SVIMEZ, 2000). Il divario, ampliatosi nell’ultimo quindicennio5, è ascrivibile tanto ad una minore produttività per occupato che ai più bassi livelli dell’occupazione nella popolazione. La bassa produttività, conseguenza anche di diversi fattori ambientali, deprime la domanda di lavoro e la capacità d’impiego, per dati salari, delle imprese meridionali. Lo scarso legame esistente tra produttività aziendale e condizioni del mercato locale del lavoro, da un lato, e retribuzioni, dall’altro, si traduce quindi in più bassi livelli occupazionali. In questo quadro, la “valvola di sfogo” rappresentata dall’economia sommersa risulta essere inefficace, oltre che fonte di iniquità. Secondo le ultime stime ISTAT disponibili (1999), le unità di lavoro classificabili come non regolari 4 Più accentuate di quelle medie dell’intero quinquennio 1995-2000 tanto per l’Italia (e il CentroNord al suo interno) che per la media UE complessiva. 5 Le tendenze dell’ultimo quinquennio appaiono peraltro più favorevoli, con un leggero miglioramento relativo del Mezzogiorno in parte da ricollegare alla ripresa dei flussi migratori tra le due aree (il saldo netto dei movimenti da Sud a Nord, pari a 30mila persone all’anno nel decennio 1985-1994 è stato di 80mila persone nel 1999 ed in parte alla migliore performance relativa del PIL meridionale, dopo il picco ciclico del 1995. Quest’ultima, non è peraltro da sopravvalutare. Essa è infatti intervenuta in un momento di difficoltà sui mercati internazionali delle produzioni italiane, comunque largamente localizzate nel Centro-Nord. Avuta presente la condizione ciclica del periodo, più che di un maggior sviluppo del Mezzogiorno, si deve inoltre parlare di una minore frenata di quelle regioni, il cui andamento è comunque tradizionalmente meno dipendente dal ciclo economico. 8 erano quasi tre milioni e mezzo (come stimate nell’ambito dei conti nazionali), pari al 15,1% del volume di lavoro complessivamente impiegato nell’economia. L’incidenza del lavoro non regolare appare massima nei servizi domestici e nell’agricoltura (rispettivamente 80% e 30% circa del volume complessivo di lavoro). Valori significativamente più elevati della media si registrano però anche nel commercio e nelle costruzioni. A livello territoriale, il fenomeno è poi concentrato nel Mezzogiorno, dove l’irregolarità di solito travalica il mancato assolvimento degli obblighi contributivi e fiscali, per comportare anche il ricorso a condizioni lavorative, salariali e non, inferiori rispetto agli standard contrattuali. Peraltro, molte attività svolte nel sommerso riescono a sopravvivere proprio grazie al più basso costo del lavoro che le contraddistingue. D’altro canto, la precarietà dei rapporti di lavoro propri dell’economia sommersa, l’impossibilità di crescere delle imprese che al suo interno operano e sopravvivono proprio grazie all’evasione delle diverse norme salariali, fiscali e regolamentative, certo non facilita lo sviluppo della produttività e l’innesco di un circolo virtuoso di sviluppo economico che dovrebbe consentire l’innalzamento progressivo dei salari effettivi. In particolare nel Mezzogiorno, flessibilità nel mercato del lavoro, fuoriuscita dal sommerso ed azioni di contesto atte ad innescare processi di crescita della produttività globale dell’area appaiono perciò come strategie interconnesse e non alternative al fine di innescare nell’area un processo di sviluppo economico e di crescita dell’occupazione regolare. i giovani… Il tasso di disoccupazione delle fasce di età più giovani continua ad essere uno dei più elevati dei paesi europei a confermare come questo sia una delle caratteristiche più negative del mercato del lavoro italiano. Ugualmente, le prospettive dei giovani nel mercato del lavoro, pur se migliorate negli ultimi anni proprio grazie alla maggiore flessibilità in ingresso introdotta (specie nel Centro-Nord), ancora appaiono contraddistinte da una difficoltosa transizione dalla scuola al lavoro. Si tratta di due ambiti piuttosto separati, con il risultato di un prolungamento dei tempi di accesso nel mondo del lavoro e del rischio di una progressiva disincentivazione degli investimenti in capitale umano. L’Italia, va ricordato, continua ad avere un significativo gap nei livelli educativi, rispetto alla media dei paesi OCSE, anche considerando le classi d’età più giovani: nel 1999, solo l’11,3% dei 35-44enni era in possesso d’un titolo di studio universitario a fronte d’una media OCSE del 14,96. Gli anni novanta hanno tra l’altro evidenziato un certo rallentamento nei ritmi di crescita degli anni di scolarità media nella popolazione adulta7, anche se segnali favorevoli risultano per quanto riguarda sia la frequenza scolare nel post-obbligo e sia le immatricolazioni universitarie. 6 Il divario è ancor più ampio tra i 25-34enni (10% contro 16,5%) per via del ritardo alquanto elevato con cui in Italia vengono conclusi gli studi: secondo le recenti valutazioni del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU), la laurea viene in media conseguita in 7 anni, all’età di 27 anni e mezzo, con un ritardo rispetto alla durata legale del corso universitario tra i due ed i quattro anni. 7 Tra i 25-34enni si è passati da 10 a 10,9 anni tra il 1991 ed il 1999, a fronte di incrementi di 1,4 e 2,3 anni nei due decenni precedenti. 9 Significativi miglioramenti nel facilitare l’accesso dei più giovani al mercato del lavoro sono derivati dagli strumenti di flessibilità introdotti a partire dal 1997. Un canale come quello dell’interinale, ad esempio, consente a chi sia studente di fare brevi esperienze lavorative che poi potranno essere utili nel momento in cui dovrà cercarsi una collocazione lavorativa a tempo pieno. Poco diffuse sono però ancora le figure miste, di studenti che ad esempio svolgano lavori part time di breve durata, a differenza di una situazione come quella olandese, dove il forte sviluppo del part time è spiegato, oltre che dalla componente femminile, dalla crescita sostenuta del cosiddetto part time breve (inferiore alle dodici ore settimanali) tra gli studenti8. gli anziani… L’invecchiamento della popolazione, in Italia più rapido che in altri paesi industrializzati, è stato un fenomeno che solo recentemente ha trovato un’adeguata attenzione presso istituzioni e attori sociali. Il continuo aumento della disoccupazione dei gruppi più anziani e la loro scarsa partecipazione al mercato del lavoro sono segnali che sono stati a lungo sottovalutati. Occorre rilevare come, nel caso della componente maschile, il forte calo registratosi nei rapporti di lavoro a tempo pieno e indeterminato, connesso con i processi di pensionamento, non è stato compensato dalla crescita del lavoro atipico (a tempo parziale e/o determinato). Particolarmente scarso risulta essere il ricorso al part time proprio per quanto riguarda i lavoratori più anziani. L’aumento del part time realizzatosi nel complesso della popolazione è nel caso dei 55-64enni piuttosto contenuto, addirittura irrilevante nel caso dei maschi. Sull’evoluzione di queste dinamiche hanno giocato un ruolo gli scarsi incentivi alla prosecuzione dell’attività lavorativa. Paradossalmente per i lavoratori anziani è rimasto accessibile il canale delle pensioni d’anzianità, non applicandosi neppure le norme relative al nuovo sistema pensionistico contributivo, che avrebbe invece già insiti meccanismi d’incentivazione del proseguimento dell’attività lavorativa e, basando il calcolo dei trattamenti pensionistici sull’intera vita lavorativa e non solo sugli ultimi anni di contribuzione, non disincentiverebbero il passaggio eventuale a rapporti di lavoro a tempo parziale. Più in generale va rilevato come, stante l’elevato livello degli oneri contributivi ancora vigenti, i meccanismi di flessibilità all’ingresso sinora introdotti, non operanti nel caso dei soggetti più anziani e basati spesso su rapporti contrattuali caratterizzati da un minore peso contributivo, hanno contribuito a favorire uno spostamento della domanda di lavoro verso le nuove generazioni. 8 Va inoltre ricordato che le forme di alternanza tra scuola e lavoro concretamente realizzate hanno spesso fatto ricorso a tipologie contrattuali in linea di principio pensate con altre finalità e con una dote d’incentivazione finanziaria. Con riferimento al caso del Veneto, dove più intenso è il lavoro estivo di chi durante l’inverno frequenti la scuola, si può stimare che circa un quarto degli apprendisti in essere alla fine di luglio (picco stagionale del fenomeno) non è più tra gli occupati a tre mesi di distanza, essendo rientrato (presumibilmente) sui banchi di scuola (cfr., Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto di Monitoraggio no.2-2000, box B3 e no. 1-2001, scheda 11). 10 le donne… La componente femminile è quella per la quale la crescita occupazionale nell’ultimo quinquennio è stata più consistente, specie nel Centro-Nord, ove si è ridotto il gap che comunque permane rispetto alla media UE (gap che è invece massimo ed è cresciuto ancora nel caso del Mezzogiorno; cfr. Tav. 3). La crescita della presenza femminile nel mercato del lavoro ha interessato pressoché tutte le classi d’età e, particolarmente nel Centro-Nord, sembra comportare una modifica strutturale nel modello della presenza femminile nel mercato del lavoro lungo il ciclo di vita. Opportunità importanti, atte a conciliare vita familiare e presenza nel mercato del lavoro, sono discese anche dallo sviluppo del part time, sostenuto proprio per le donne con figli minori a carico. L’Italia da questo punto di vista rimane, però, un paese in cui scarsa è la presenza di sostegni alle famiglie con figli minori, soprattutto in termini di disponibilità di servizi, pubblici e privati, per cui spesso tra scelte lavorative e scelte relative alla fecondità si genera un accentuato trade-off. La maggiore presenza femminile, favorita dagli strumenti di flessibilità all’ingresso oltre che da mutamenti tecnologici e culturali, non appare aver portato a fenomeni di accentuata precarizzazione della componente femminile nel mercato. Come detto, nel part time è particolarmente bassa l’incidenza della componente involontaria proprio nel caso delle donne. L’aumento dell’occupazione femminile non è, inoltre, andato a discapito della retribuzione relativa delle donne, anche se rimane un divario di circa venti punti percentuali nei salari maschili e femminili. la disoccupazione di lunga durata Un ulteriore squilibrio che caratterizza il mercato del lavoro in Italia è costituito dalla quota estremamente elevata dei disoccupati con un lungo periodo di ricerca di lavoro. Il tasso di disoccupazione di questo segmento specifico è pari all’8,3% mentre la media europea si posiziona al 4,9%. Anche l’incidenza risulta tra le più elevate in Europa, con differenziali molto sensibili. La crescita dello stock di disoccupati è da attribuirsi al progressivo aumento delle persone con una durata di ricerca particolarmente lunga. In particolare, appaiono colpiti da questa condizione coloro che non possiedono precedenti esperienze lavorative, vale a dire i segmenti più giovani della popolazione, piuttosto che quelli che hanno perso un precedente posto di lavoro. Questo fenomeno indica la presenza di ancora rilevanti barriere all’entrata o la difficoltà di accesso al mercato del lavoro e quindi appare da imputare ad ostacoli di carattere regolatorio. Occorre sottolineare, tuttavia, come una lunga permanenza nella disoccupazione di individui con precedenti esperienze lavorative, pure avendo minore rilevanza in termini di funzionamento del mercato del lavoro, possa comportare effetti sociali più pesanti, con seri rischi di marginalizzazione ed esclusione sociale per questi soggetti. 11 Tav. 3 – Occupazione e disoccupazione: il gap con l’Europa (valori %) Tasso di occupazione Maschi(a) Femmine(a) Totale(a) 55-64enni Tasso di disoccupazione. Maschi Femmine Totale 15-24enni in cerca di lavoro: % sulla popolazione Centro - Nord Mezzogiorno Italia Unione Europea 70,0 58,4 65,9 42,3 23,1 35,4 56,2 40,6 50,6 1995 27,3 30,9 28,5 5,2 16,3 9,0 11,4 28,9 16,2 7,6 20,4 11,6 9,9 17,0 12,8 70,2 49,7 60 35,9 9,4 12,5 10,7 10,2 Centro - Nord Mezzogiorno Italia Unione Europea 71,9 59,5 67,5 48,0 24,6 39,6 59,9 42,0 53,5 2000 26,2 30,8 27,7 3,9 16,3 8,1 8,4 30,4 14,5 5,7 21,0 10,6 7,1 17,7 11,7 *72,5 *54,0 63,3 *37,7 7 9,7 8,2 7,8 Fonti: Istat, rilevazione trimestrale delle forze di lavoro; Eurostat. * Stime Eurostat. (a) 15-64enni 2.4. Qualità del lavoro La criticità del mercato del lavoro in Italia non è determinata solo dagli indicatori quantitativi finora sottolineati. Esiste anche, ed è crescente, un problema di qualità del lavoro. Diverse sono le evidenze empiriche che fanno propendere per un giudizio non positivo sulla qualità del nostro mercato del lavoro, come recentemente sottolineato anche dalla Commissione Europea. La qualità non buona è anzitutto insita nei differenziali occupazionali già richiamati, nel concentrarsi della disoccupazione a livello geografico, nel gender gap e nei particolarmente bassi livelli occupazionali dei giovani e dei più anziani. Aspetti altrettanto importanti della qualità del lavoro attengono peraltro la presenza di investimenti formativi che facilitino lo sviluppo professionale e di carriera, all’interno e all’esterno dell’azienda, dei lavoratori, la tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, nonché il bilanciamento tra esigenze e desideri di questi e flessibilità operative delle aziende. Un mercato del lavoro flessibile, al contrario di quanto spesso temuto, può migliorare la qualità oltre che la quantità dei posti di lavoro, rendendo più fluido l’incontro tra obiettivi e desideri delle imprese e dei lavoratori in tema di caratteristiche della prestazione lavorativa, consentendo ai singoli individui di cogliere le opportunità lavorative più proficue ed evitando che gli stessi rimangano intrappolati in ambiti ristretti e segmentati. I lavoratori necessitano, in tale contesto, di adeguate forme di tutela, ma queste devono agire innanzitutto nel mercato, non operare contro il mercato o comunque esclusivamente nell’ambito del rapporto di lavoro in essere. Da questo punto di vista, il nostro mercato del lavoro appare ancora alquanto immobilizzato, scontando anche l’insoddisfacente funzionamento dei servizi pubblici per l’impiego e dei processi di incontro tra domanda ed offerta. Se si 12 valutano i dati relativi alla mobilità occupazionale, risulta che in media in Europa il 10% dei lavoratori di professionalità alta ha cambiato lavoro nell’ultimo anno, cercando opportunità occupazionali più convenienti. Questo dato sale al 12% per il Regno Unito, la Danimarca, la Francia e la Svezia. In Italia siamo al 5%, cioè all’ultimo posto nel contesto comunitario. Si tratta di un profilo poco analizzato (ci si concentra più spesso sul ben noto deficit di mobilità geografica), che invece ben rivela la staticità del nostro mercato del lavoro e l’inadeguatezza dei meccanismi di incrocio fra domanda e offerta. In questo quadro il Governo condivide le preoccupazioni della Commissione europea quanto al nesso fra bassa qualità del mercato del lavoro e rischio di esclusione sociale. Come sottolineato a più riprese la segmentazione del mercato del lavoro si basa su di una divisione fra soggetti titolari di retribuzioni accettabili, con relativa sicurezza dell’impiego e prospettive di carriera, da un lato, e, dall’altro, non soltanto disoccupati e lavoratori “scoraggiati” ma anche quanti sono occupati in lavori di bassa qualità, basati sul precariato, senza prospettive di formazione o sviluppi di carriera. 2.5. Salari e produttività La politica dei redditi e l’assetto contrattuale derivati dagli Accordi del 1992 e del 1993, da un lato hanno permesso il raggiungimento degli obiettivi macroeconomici allora prefissati (entrata nell’Unione Economica e Monetaria e risanamento della finanza pubblica), dall’altro hanno garantito la coerenza e la compatibilità delle diverse variabili economiche, in particolare dei salari. In questi anni, tuttavia, maggiore flessibilità e moderazione salariale non sembrano aver portato ad uno spostamento a favore dei profitti lordi nella distribuzione funzionale dei redditi. La quota del lavoro nel valore aggiunto manifatturiero, specie se valutata al netto dello scalino connesso col passaggio dai contributi sanitari all’IRAP (contabilmente inseriti i primi nei redditi lordi da lavoro e la seconda nei profitti lordi nell’ambito dei conti nazionali), pur tra fluttuazioni cicliche, non mostra tendenze al declino in confronto con gli anni ottanta. Nei servizi privati emerge un trend negativo, peraltro arrestatosi negli ultimissimi anni, che sembra però attribuibile principalmente agli effetti una tantum della liberalizzazione di molti servizi e utilities–con le connesse ristrutturazioni straordinarie che ne sono seguite, specie nei primi anni novanta– ed all’ancora graduale e incompleto passaggio ad un regime di piena concorrenza. Il permanere di strutture di mercato non pienamente competitive rischia, infatti, di mantenere alti prezzi di vendita e profitti a discapito dei volumi produttivi e della stessa occupazione. Durante il medesimo arco temporale, peraltro, scarsa crescita, alta disoccupazione ed elevato carico fiscale e lo stesso modello contrattuale scaturito dagli Accordi del 1992-1993 hanno portato ad un’evoluzione poco lusinghiera dei salari reali al netto delle imposte. Quest’ultima è da ascrivere, in particolare, alla crescita della pressione fiscale sul lavoro, che, nonostante la riduzione avviata negli ultimi anni, nel 2000 era ancora superiore a quella media UE. 13 La struttura della contrattazione collettiva in Italia è rimasta fortemente centralizzata, imperniata sul contratto nazionale di categoria. Un certo grado di coordinamento è stato garantito, quanto meno potenzialmente, dal predominio del livello confederale. Infatti, l’Accordo del 1993 ha trasformato il Ccnl in contratto biennale per la parte economica e quadriennale per la parte normativa, introducendo importanti principi generali di governo dei salari nominali. Il riferimento all’inflazione programmata svolge, infatti, un’importante funzione di coordinamento tra i diversi settori. Il principio di non automatico recupero dell’inflazione passata -dovendosi tenere conto delle eventuali origini esterne al sistema produttivo (variazioni delle ragioni di scambio), nonché delle condizioni economiche generali- contrasta il rischio di spirali inflazionistiche. Il contratto di secondo livello, che avrebbe dovuto consentire possibili differenziazioni salariali, stabilendo uno stretto legame tra retribuzione e performance dell’impresa non ha trovato quella maggiore diffusione che si intendeva ottenere. Esso essendo non sistematico e non universale, e rimanendo circoscritto alle imprese più grandi, è rimasto più instabile nel tempo. Il contratto aziendale prevedeva una specializzazione tematica ed un orientamento verso meccanismi di profit sharing. In azienda, l’enfasi posta sul profit sharing ha contribuito ad un ulteriore passo in avanti verso relazioni industriali non conflittuali e si è registrato un effettivo incremento della quota di salario variabile. Tuttavia, l’obiettivo di una maggiore decentralizzazione della contrattazione, tale da permettere un’effettiva redistribuzione dei guadagni di produttività, è stato solo parzialmente raggiunto. La distinzione dei ruoli dei due livelli di contrattazione, nazionale ed aziendale, è stata importante per potenziare la componente variabile del salario, ma non ha, di fatto, introdotto modifiche sostanziali nei meccanismi di formazione dei differenziali salariali “esterni”, cioè quelli fra imprese, fra settori, fra aree territoriali. Il sistema di contrattazione collettiva ha mantenuto, dunque, caratteristiche di centralizzazione che si sono rivelate eccessive e inadatte ad assicurare quella flessibilità della struttura salariale capace di adeguarsi ai differenziali di produttività e di rispondere ai diversi disequilibri del mercato. Il sistema di determinazione del salario in Italia favorisce il permanere di una struttura delle retribuzioni relativamente poco articolata. Inoltre, è da ricordare l’assenza di un regime di salario minimo legale. Tale funzione, infatti, è esercitata dai contratti collettivi nazionali di settore. Rispetto ad altri paesi, questa funzione è però svolta con minore efficacia, in termini di prevenzione di abusi, visto che i Ccnl hanno livelli salariali, in termini relativi rispetto alla retribuzione media effettiva, piuttosto elevati. Il livello dei minimi sanciti dai Ccnl corrisponde tra i due terzi e i tre quarti del salario medio effettivo, ben al di sopra del 50% circa garantito dai salari minimi legali nella maggior parte degli altri paesi europei che hanno questo strumento. Al fine di determinare valori di equilibrio dei vari tipi di differenziali, il mercato ha continuato ad operare attraverso varie forme di slittamento salariale, trovando un limite, tuttavia, nei livelli minimi salariali fissati dai contratti nazionali, i quali hanno determinato una struttura delle retribuzioni più “compressa” di quella che sarebbe altrimenti risultata sulla base dell’azione dei fattori di 14 carattere economico. In sostanza, invece di “liberare” i salari, essi sono stati ricondotti in un sistema di “gabbie”. Queste osservazioni valgono anche (e soprattutto) per i differenziali salariali territoriali. I dati disponibili indicano che le retribuzioni sono più elevate al Nord rispetto al Sud, ma molto probabilmente, il differenziale è minore di quello che sarebbe necessario per avere un mercato del lavoro più equilibrato e per correggere i differenziali territoriali nei tassi di disoccupazione che contraddistinguono il nostro paese. In confronto con altri grandi paesi europei, il nostro deteneva (1995, ultimi dati disponibili) il primato della dispersione territoriale dei tassi di disoccupazione, mentre è all’ultimo posto della graduatoria della dispersione territoriale dei livelli salariali (Tav. 4). Siamo un paese molto “egualitario” in politica salariale, ma molto disuguale dal punto di vista delle condizioni di lavoro. Tav. 4 - Dispersione territoriale di disoccupazione, produttività e salari in alcuni paesi europei Tasso di Valore aggiunto Retribuzioni disoccupazione pro-capite mensili (1996) (1994) (1995) ITALIA Francia Regno Unito Spagna 62,8 18,4 14,4 21,1 24,6 25,1 13,1 18,4 8,4 16,0 12,8 11,7 N. aree per paese 10 8 11 7 La situazione non è molto cambiata in questi ultimi 5 anni, anzi, si può affermare che, per certi versi, è anche peggiorata. I differenziali territoriali delle retribuzioni e della produttività del lavoro non sono significativamente cambiati in questo periodo, mentre si è prodotta la progressiva de-fiscalizzazione degli oneri sociali nel Mezzogiorno. Questo insieme di fattori, costanza dei differenziali e de-fiscalizzazione, ha determinato un effetto perverso sui differenziali territoriali sia del costo del lavoro che del costo del lavoro per unità di prodotto. Il costo del lavoro medio nel Mezzogiorno si è avvicinato, in termini relativi, a quello medio del Nord, mentre il Clup (costo del lavoro per unità di prodotto) medio nel Mezzogiorno è aumentato ulteriormente, sempre in termini relativi, rispetto a quello del Nord. Entrambi gli effetti hanno comportato una perdita di competitività per le imprese del Mezzogiorno e, coeteris paribus, un minor incentivo per le iniziative imprenditoriali a localizzarsi nel Mezzogiorno. In questo quadro, nelle regioni settentrionali l’aumento del tasso di occupazione appare conseguibile attraverso un aumento di offerta di lavoro. Un aumento dell’offerta di lavoro al Nord ed una significativa riduzione della disoccupazione al Sud possono richiedere, fra le altre cose, una più accentuata differenziazione dei rispettivi salari reali. 15 3. Politiche attive e politiche passive Alla luce del complesso di obiettivi diversi da quelli strettamente quantitativi in tema di occupazione, oltre agli appena ricordati divari nei livelli e nelle chances occupazionali, che sono una causa prima di iniquità, p.es. tra occupati e disoccupati o tra maschi e femmine, occorre certamente valutare quanto le misure di flessibilità sinora introdotte abbiano risolto vecchie iniquità o ne abbiano introdotte di nuove. L’impressione è che, nel facilitare l’accesso al lavoro di soggetti prima esclusi (donne, giovani), gli strumenti di flessibilità all’ingresso abbiano contribuito a ridurre le iniquità e le inefficienze discendenti da un mercato del lavoro rigido. Al tempo stesso, però, l’incompletezza del processo di introduzione di nuove flessibilità, lo scarso sviluppo di importanti strumenti di tutela nel mercato –un tratto tradizionale dell’Italia, in cui scarsamente efficaci sono stati i meccanismi di mediazione di manodopera e gli ammortizzatori sociali– il ridotto sviluppo di strumenti di sostegno al reddito dei meno abbienti, possono avere conseguenze negative nel nuovo contesto più flessibile. In altri termini, vi è il rischio che all’attenuazione delle rigide tutele relative al singolo rapporto di lavoro posto in essere non faccia da contraltare lo sviluppo di efficaci forme di tutele nel mercato, tutele tanto più necessarie nel contesto attuale di maggiore flessibilità, con un turn over occupazionale più intenso. Da questo punto di vista i nodi maggiormente problematici riguardano tanto le c.d. politiche attive (incentivi e servizi a favore del primo impiego dei giovani e del reimpiego dei disoccupati) quanto quelle passive (ammortizzatori sociali) e, più in generale, le politiche sociali e fiscali di sostegno ai meno abbienti. La spesa per politiche attive nel 2000 è stimabile allo 0,6% del PIL, un importo inferiore a quello medio dei paesi OCSE9. Tenuto conto dell’importo speso per politiche passive, l’Italia emerge peraltro come un paese che già oggi spende relativamente di più in politiche attive che in politiche passive. Al di là della dimensione della spesa complessiva, i problemi principali sembrano però riguardare la composizione interna e l’efficacia delle politiche attive. Anzitutto va rilevato che, in ossequio agli standard contabili Eurostat, la spesa per politiche attive ricomprende anche i Lavori Socialmente Utili, in quanto schemi di creazione diretta di posti di lavoro (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto di monitoraggio no. 1-2001). Quanto al resto, la voce prevalente è rappresentata dai cd contratti a causa mista (apprendistato e cfl) e da altri schemi di incentivazione finanziaria dell’impiego. Meno rilevanti, quanto a spesa e soprattutto quanto ad efficacia, sono gli interventi formativi propriamente detti e l’ausilio alla ricerca del lavoro da parte dei disoccupati. Le politiche attive del lavoro si sono identificate sostanzialmente con i sostegni al reddito. Scarse sono le esperienze di politiche attive, soprattutto quelle che combinano azioni integrate finalizzate al reinserimento (orientamento, formazione, inserimento). Si è, infatti, eseguito un decentramento di competenze ma non di 16 politiche. Esempi evidenti sono le carenze sulle politiche per l’immigrazione, quelle per la mobilità territoriale, quelle per la rete informatica ed in generale l’offerta di servizi per la disoccupazione di lunga durata. Al contrario, tra le poche azioni di sistema che si muovono in questa direzione, cercando di attuare azioni integrate, sono da ricordare quelle finalizzate alla riconversione dei Lavori Socialmente Utili e per l’alfabetizzazione informatica. 3.1. Ammortizzatori sociali Come è noto, con riguardo all’ammontare della spesa sociale complessiva, l’Italia è il paese Europeo che destina la quota più piccola ai trattamenti di disoccupazione (Fig. 2). La struttura della spesa sociale italiana denota, infatti, un’accentuata caratterizzazione pensionistica ed una bassa incidenza tanto dei trattamenti di disoccupazione quanto di quelli assistenziali a favore di soggetti in età lavorativa (invalidità, famiglia, abitazione e assistenza sociale in senso proprio)10. Rispetto al PIL, i dati disponibili (ESSPROS, 1998) denotano un’incidenza dei trattamenti di disoccupazione pari in Italia allo 0,7% a fronte di una media UE dell’1,9%11. Fig. 2 – Benefici sociali per funzione – anno 1998 70,0 60,0 50,0 40,0 30,0 20,0 10,0 0,0 EU- EUR- EUR15 11 12 B DK disoccupazione D EL E salute F IRL I L previdenza NL A P FIN altro Fonte: elaborazioni su dati Eurostat, European Social Statistic – Social Protection Expenditure and Receipts – 1980-1998 10 Il dato riportato nella Figura 2, derivante dal set di dati ESSPROS dell’Eurostat, risente ovviamente di peculiarità definitorie. In particolare è da ricordare che la spesa pensionistica include le erogazioni relative al TFR e che i trattamenti pensionistici includono anche quelli operanti a titolo assistenziale (pensioni sociali etc.) a favore dei soggetti più anziani. I prepensionamenti in senso proprio, purché originati da cause economiche, sono invece inclusi nella voce relativa ai trattamenti di disoccupazione. Operando definizioni diverse, ad esempio escludendo il TFR, la connotazione pensionistica della spesa sociale italiana si attenuerebbe, senza però venir meno da un punto di vista qualitativo. 11 I dati aggiornati del Rapporto di monitoraggio no. 1-2001 evidenziano come tale bassa incidenza non muterebbe neppure includendovi la spesa relativa ai Lavori Socialmente Utili, che per coerenza contabile con gli schemi Eurostat vengono normalmente inclusi tra le politiche attive in quanto schemi di creazione diretta di posti di lavoro: il totale prima citato si eleverebbe di poco meno di un decimo di punto percentuale di PIL (l’ultimo dato di consuntivo riguarda il 1999 e la spesa per LSU si può cifrare in circa 1.500 mld di lire). S UK 17 Il divario rispetto agli altri paesi europei nella spesa contrasta con quello nei livelli della disoccupazione. Su tale tradizionale caratterizzazione del caso italiano ha inciso il fatto che tra le persone in cerca di lavoro vi sia una quota elevata di persone in cerca del primo impiego, non coperte dagli schemi assicurativi contro la disoccupazione. Le rigidità nella regolamentazione dei rapporti di lavoro - il prevalere della tutela dei rapporti in essere – ha reso meno pressante l’esigenza di fornire un sostegno a fronte del rischio di disoccupazione e, al tempo stesso, producendo una frattura tra occupati e inoccupati, ha contenuto la platea di potenziali beneficiari dei trattamenti di disoccupazione comunque esistenti. Sul volume complessivo di spesa, ha poi inciso il fatto che i trattamenti previsti nello schema di carattere più generale (il trattamento ordinario che copre tutti i lavoratori dipendenti) fossero alquanto ridotti tanto nei livelli quanto nelle durate previste. Un altro connotato degli ammortizzatori sociali è la sua estrema eterogeneità interna. La tutela limitata fornita dallo schema ordinario (anche dopo l’innalzamento introdotto dal gennaio del corrente anno)– contrasta con quella propria dell’indennità di mobilità propria del settore industriale. Ancora più ampio sarebbe poi il differenziale di trattamento ove si considerasse che, nella pratica attuazione, i trattamenti di mobilità spesso intervengono successivamente a quelli di CIG straordinaria, trattamento di importo pari a quello della mobilità e che interviene in costanza del rapporto di lavoro in essere, il che tende a prolungare ulteriormente la durata effettiva dei trattamenti . Nonostante i più generosi trattamenti forniti da CIG e mobilità, il complesso dei due strumenti evidenzia un sostanziale equilibrio finanziario tra contributi e prestazioni (Fig. 3). L’avanzo della CIG, anzi, grazie anche al buon momento congiunturale, nel 2000 più che compensava il deficit proprio della mobilità, che intervenendo, come detto, nelle stesse fattispecie aziendali e spesso in successione temporale rispetto alla CIG è stata perciò consolidata assieme a quest’ultima nella figura qui riportata12. Le contribuzioni pagate nel settore industriale, pur se ovviamente a prezzo di elevare il costo del lavoro complessivo, sono infatti sufficienti a finanziare quei trattamenti. Ciò avviene anche, pur se su livelli più contenuti tanto delle contribuzioni quanto delle prestazioni, anche per quanto attiene il trattamento ordinario nei settori extra agricoli13. Uno squilibrio strutturale tra contribuzioni e prestazioni caratterizza invece i trattamenti (ordinari e speciali) riservati al settore agricolo. Nel complesso (e tenendo conto anche delle indennità relative al settore edile), gli strumenti ora citati appaiono in sostanziale equilibrio finanziario nel 2000, anno in cui, l’avanzo dei settori industriali, in ciò favoriti dal quadro congiunturale positivo, compensa il disavanzo strutturale dei trattamenti relativi all’agricoltura. Includendo nella spesa per ammortizzatori sociali anche gli oneri 12 Tra gli oneri relativi a CIG e mobilità non è stata inclusa la spesa per gli sgravi all’assunzione dei lavoratori in CIGS e mobilità (classificata tra le politiche attive). 13 La figura considera i trattamenti ordinari extra-agricoli escludendo la gestione speciale per l’edilizia. Il quadro non muterebbe includendo pure quest’ultima. Il raggiungimento dell’equilibrio finanziario per le indennità ordinarie extra-agricole è stato anche favorito dalla previsione normativa, operante a tutti gli effetti dal 1999, che ha teso ad escludere più nettamente i soggetti dimessisi dal precedente lavoro dalla platea dei beneficiari effettivi. 18 relativi a quegli schemi a totale carico della fiscalità generale prepensionamenti e LSU, che come più volte detto sono per convenzione classificati tra le politiche attive ma hanno acquisito una natura sostanziale di ammortizzatore sociale di ultima istanza – emerge, anche nel 2000, un sia pur contenuto deficit tra prestazioni e contributi. Rispetto alla metà degli anni novanta, netto appare, peraltro, il miglioramento causato dal miglior clima congiunturale (Fig. 4). Fig. 3 – Saldo fra prestazioni e contributi nei principali comparti settoriali degli ammortizzatori sociali 3.000 2.000 1.000 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 -1.000 -2.000 -3.000 -4.000 Cassa Integrazione e Mobilità Ind. di disoccupazione non agricola Ind. di disoccupazione agricola Fonte: elaborazioni su dati INPS Fig. 4 – Spesa per ammortizzatori sociali e contributi a finanziamento degli stessi – anni 1990-2000 20.000 18.000 16.000 14.000 12.000 10.000 8.000 6.000 4.000 2.000 1990 1991 1992 1993 Prestazioni Fonte: elaborazioni su dati INPS 1994 1995 1996 Copertura figurativa 1997 1998 Contributi 1999 2000 19 Tornando alle peculiarità dei diversi schemi, è da evidenziare come caratteristica delle indennità destinate al settore agricolo, è il loro uso come strumento di integrazione dei redditi da lavoro, più che di copertura del rischio di disoccupazione in senso proprio. La platea dei beneficiari (580mila nel 1999; Tav. 5) pressoché coincide con quella dei soggetti assicurati, che di fatto quasi tutti ricevono nell’anno una qualche integrazione al reddito da lavoro corrente. Qualcosa di simile sta peraltro progressivamente avvenendo anche nei settori extra-agricoli tramite l’uso dei cd trattamenti con requisiti ridotti. Questi intervengono per quei lavoratori che non raggiungano i requisiti contributivi minimi richiesti per l’accesso ai trattamenti ordinari (almeno 52 settimane di contribuzione nei precedenti due anni) e che però, avendo lavorato nel precedente anno solare per almeno 78 giornate, hanno diritto ad un trattamento pari al 30% della retribuzione per un numero di giornate pari a quelle effettivamente lavorate nell’anno precedente. Più che d’un sussidio di disoccupazione, si tratta pertanto d’un bonus a favore di chi abbia lavorato ma non oltre certi limiti, per cui ne vengono ad usufruire, spesso su base stabile nel tempo, soprattutto lavoratori precari e stagionali14. Questa modalità di utilizzo, assieme alla crescita di peso del lavoro a termine in generale, spiega tra l’altro il trend nettamente crescente dei trattamenti della specie, che sono giunti a superare, nel numero dei beneficiari e nella spesa connessa, quelli con requisiti pieni15. Tavola 5 – Beneficiari di interventi di sostegno al reddito per area geografica e composizione per età e sesso – anno 1999 Indennità ordinaria non agricola NordOvest NordEst Centro CentroNord Mezzogiorno Italia %maschi %<25anni %>45anni req. pieni. req. ridotti 45.816 48.012 60.107 76.840 42.647 65.008 148.570 189.860 75.506 146.679 224.076 336.539 42,8 38,0 6,5 8,0 21,7 17,4 Indennità (a) Indennità nel settore Cassa Integrazione Guadagni agricola edile (ordinaria (ordinaria Indennità di cui e speciale) e speciale) di mobilità straord. ordinaria edilizia 9.956 3.763 23.342 3.237 34.624 3.500 45.258 2.037 8.473 1.389 12.503 4.814 30.763 4.083 16.461 3.154 15.518 2.885 85.977 9.883 48.276 7.780 62.645 11.199 496.336 36.901 40.847 12.345 33.509 5.671 582.313 46.784 89.123 20.125 96.155 16.870 47,9 98,0 63,1 72,1 n.d. n.d. 7,1 2,8 1,4 2,5 n.d. n.d. 36,1 36,2 72,1 43,0 n.d. n.d. (a) occupati equivalenti alle ore complessivamente integrate; i valori percentuali per sesso ed età fanno riferimento ai soli trattamenti direttamente versati dall'INPS Fonte: elaborazioni Ministero del Lavoro su dati INPS 14 Nel Rapporto di monitoraggio del Ministero del Lavoro no. 2-2000 si richiama l’attenzione sulle cd ripetente nel ricorso agli ammortizzatori, sull’uso cioè ripetuto nel tempo dei diversi ammortizzatori, facendo particolare riferimento proprio ai trattamenti con requisiti ridotti: vi si stima (cfr. Box B8) che circa la metà dei beneficiari di un anno risulta tra i beneficiari anche l’anno successivo; il 30% circa è tra i beneficiari anche 4 anni dopo. 15 Per quanto concerne il risultato relativo al 2001 è da ricordare che la spesa per trattamenti ridotti potrebbe essere contenuta dal fatto che l’innalzamento dei trattamenti ordinari definito di recente dal legislatore (dal 30 al 40% della precedente retribuzione) non è stato applicato anche ai trattamenti con squisiti ridotti. 20 3.2. Incentivi all’occupazione Gli schemi di incentivazione dell’occupazione, ai quali per vicinanza dei caratteri sostanziali è possibile assimilare anche i cd. contratti a causa mista (apprendistato e contratti di formazione e lavoro), coprono circa i due terzi della spesa totale per politiche attive del lavoro. Complessivamente si è trattato, nel 1999, l’ultimo anno per cui è disponibile un consuntivo dettagliato, di 9.763 mld. di lire, pari allo 0,5% del PIL. Considerando gli stanziamenti di bilancio previsti per il 2001 la spesa totale sarebbe di 10.452 mld. (Tav. 5)16. Tra i soggetti interessati da incentivi vi è una netta predominanza dei più giovani, in particolar modo nel Centro-Nord, in cui è maggiormente diffuso l’apprendistato; nel Mezzogiorno ad essere più coperta è invece la classe di età mediana (25-44), per la maggiore diffusione di strumenti diretti ai disoccupati di lunga durata. Le donne sono rappresentate in proporzione alla percentuale di occupati, anche se nel Centro-Nord tendono ad essere i beneficiari privilegiati degli incentivi propriamente detti. Per quanto attiene all’area territoriale, gli strumenti che non siano specificamente diretti al Mezzogiorno, sono fortemente concentrati nel CentroNord (per oltre il 70%). Ciò è dovuto alla netta prevalenza, sotto il profilo numerico, dei contratti a causa mista sugli incentivi per il reimpiego dei disoccupati. La modalità prevalente con cui vengono posti in essere gli incentivi è di carattere automatico. Il prevalere degli incentivi automatici non è privo di vantaggi: infatti, si riducono i costi amministrativi, i rischi di decisioni arbitrarie e le conseguenti distorsioni. Entro certi limiti, non necessariamente implica una perdita di selettività delle politiche. Nella quasi totalità dei casi vi è, in effetti, l’identificazione di gruppi target (giovani, disoccupati di lunga durata, residenti nelle aree depresse). A seguito dell’opposizione comunitaria ad incentivi differenziati su base geografica, il focus territoriale degli interventi si è peraltro progressivamente ridotto. All’interno di ciascuna categoria mancano i riferimenti alle situazioni specifiche dei potenziali beneficiari, ivi inclusa la loro situazione reddituale (con la sola eccezione dello sgravio capitario per il Mezzogiorno, destinato a venir meno alla fine dell’anno in corso). Infine, le politiche di incentivazione all’occupazione sono, nella quasi totalità, costruite senza differenziare tra i sessi (se si esclude la legge per l’imprenditorialità femminile e le azioni positive ex lege 125/91). Tuttavia, l’intersecarsi di vari strumenti porta ad un grado di copertura di taluni gruppi di popolazione quasi totalitario, il che può determinare una riduzione della selettività effettiva degli interventi: è questo il caso dei giovani, la cui inclusione universale nella popolazione target non sempre è giustificata dalla situazione del mercato del lavoro, in particolare in molte regioni del CentroNord. La stessa riduzione dei costi amministrativi non sempre si realizza, essendo le norme d’incentivazione comunque spesso complicate, difficili da interpretare e richiedenti un certo ammontare di paper-work. 16 Per maggiori ragguagli si rimanda al Rapporto di monitoraggio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali , no. 1-2001. 21 Gli incentivi all’occupazione sono attuati in larga parte con lo strumento dello sgravio contributivo in misura proporzionale alla retribuzione del lavoratore assunto. Peraltro, un trend recente è il crescente ricorso, a partire dal 1998, al credito di imposta in cifra fissa a favore dell’impresa che operi nuove assunzioni (questa è la modalità prevista dall’art. 7 della legge finanziaria per l’anno in corso (L.388/2000) e già prima dalla L. 449/97 e 448/98). Un esame dell’andamento dei singoli interventi sottolinea come, relativamente ai contratti a causa mista si delineano due opposte tendenze: la crescita dell’apprendistato e il decremento dei contratti di formazione-lavoro (cfl)17. Appare opportuno ricordare che, in quanto strumento di socializzazione al lavoro dei più giovani, i contratti a causa mista hanno avuto un importante ruolo nel ridurre le difficoltà nella transizione dalla scuola al lavoro. Da questo punto di vista, peraltro, un elemento particolarmente apprezzato dalle imprese è stato fornito dalla natura a termine del rapporto di lavoro che si veniva ad instaurare. Gli aspetti di socializzazione al lavoro, più che quelli di formazione “in aula” – ben poco diffusi sia perché meno rientranti nelle convenienze immediate delle imprese e dei lavoratori, sia per via della struttura dell’offerta formativa, in genere poco orientata a rispondere alle esigenze della domanda18 – sono stati rilevanti. Il rischio insito nell’incentivazione indiscriminata dei contratti a causa mista è peraltro nel possibile spiazzamento dell’occupazione a tempo indeterminato dei soggetti meno giovani e, tenuto conto dello scarso contenuto formativo in senso proprio di tali contratti, degli investimenti in capitale umano da parte dei più giovani. Quanto agli incentivi all’occupazione in senso proprio, gli strumenti oggi in vigore sono costituiti in massima parte da incentivi all’assunzione a tempo indeterminato di soggetti beneficiari di trattamenti passivi o disoccupati di lunga durata, e alla stabilizzazione di posti di lavoro a termine. Gli incentivi alla stabilizzazione di posti di lavoro a termine riguardano tanto il caso della trasformazione a tempo indeterminato di soggetti provenienti dalle liste di mobilità, ed in precedenza assunti a tempo determinato, quanto quello di soggetti in precedenza operanti con contratti a causa mista. Peraltro, nonostante molti contratti a tempo determinato di per sé conducano a rapporti più stabili, le trasformazioni incentivate dei contratti a causa mista sono però rimaste quantitativamente contenute. Specie nelle regioni in cui il mercato è più vivace, 17 Su tale evoluzione ha influito, da un lato, la normativa nazionale – la cd. legge Treu (L. 196/1997), che ha ampliato l’area di copertura dell’apprendistato in termini di fasce d’età (oggi si va dai 16 ai 24 anni, con possibilità di ulteriore innalzamento nelle aree depresse ed in caso di soggetti con invalidità) ed indicato nell’apprendistato una delle tre forme di assolvimento del cd obbligo formativo nella fascia d’età tra i 15 ed i 18 anni (cfr. oltre). Dall’altro la contestazione comunitaria (con successiva condanna dello Stato italiano) della legittimità della differenziazione degli sgravi previsti dai CFL in relazione all’area geografica, alla tipologia di azienda ed al settore produttivo. 18 In base alla rilevazione ISTAT sulle forze lavoro dell’aprile 2000, si può stimare che solo il 5,4% dei giovani tra 15 e 24 anni impegnati in contratti a causa mista avessero partecipato ad attività formative vere e proprie nelle 4 settimane precedenti l’indagine (cfr. Rapporto di monitoraggio no. 1-2000). Tra le diverse difficoltà insite nella previsione dell’apprendistato come cursus formativo in senso proprio, il Rapporto di monitoraggio no. 2-2000 evidenziava, a partire dall’esperienza specifica del Veneto, la durata spesso assai breve dei singoli rapporti di lavoro posti in essere, molti dei quali interessano del resto studenti che nella pausa estiva lavorano come apprendisti ma che rientreranno a breve nell’iter formativo della scuola superiore (o dell’università). 22 molti contratti a causa mista vengono interrotti dallo stesso lavoratore, che trova di meglio o che inframmezza esperienze lavorative e frequenza scolastica, prima della durata massima teorica, momento in cui le agevolazioni collegate alla trasformazione apportano all’impresa il massimo vantaggio. Un maggiore ricorso agli incentivi alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro è plausibile possa discendere dal credito d’imposta di cui alla legge finanziaria per l’anno in corso (la legge 388/2000), che ha natura per certi versi complementare rispetto al ricorso al lavoro a termine (ivi inclusi i contratti a causa mista) dei più giovani: lo strumento è infatti rivolto ai soggetti di età non inferiore ai 25 anni non occupati a tempo indeterminato nei 24 mesi precedenti, ivi inclusi quindi quelli che in precedenza abbiano lavorato con contratti a causa mista o con rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Tale misura si differenzia in effetti dal credito d’imposta di cui alla L. 449/97 tanto per la minore selettività della platea di potenziali beneficiari e per l’esclusivo riferimento all’instaurazione di rapporti a tempo indeterminato (lo strumento precedente consentiva anche l’instaurazione di rapporti a termine, pur se di durata oltre i 36 mesi ma era rivolto solo a iscritti al collocamento e soggetti in CIGs o mobilità) quanto per la copertura dell’intero territorio nazionale (pur se con una maggiorazione, nei limiti del cd. de minimis, per le aree depresse; cfr. Rapporto di monitoraggio no.1-2001, scheda 8)19. Fuoriesce dallo schema d’incentivazione al margine, per le nuove assunzioni, unicamente lo sgravio capitario previsto nel Mezzogiorno in relazione allo stock di lavoratori a basso reddito occupati alla data del 1 dicembre 199720, la cui vigenza è tuttavia destinata a cessare al termine dell’anno in corso. In questo quadro, permane l’assenza di interventi strutturali che favoriscano la domanda e l’offerta di lavoro dei soggetti a più basso reddito, quali quelli introdotti in diversi altri paesi industriali (si veda ad esempio l’Earned Income Tax Credit degli Stati Uniti). 3.3. Incontro domanda- offerta L’efficace funzionamento del mercato del lavoro risulta ostacolato da un inefficiente incontro tra domanda e offerta. Tale inefficienza è chiaramente evidenziata anche dal forte divario territoriale che caratterizza il mercato del lavoro in Italia. Le difficoltà, che continuano ad incontrare le aree settentrionali del Paese nel reclutamento di manodopera (qualificata e non), sono segnalate quotidianamente dai più diversi indicatori qualitativi e quantitativi. Peraltro, esse possono anche originare pericolose tensioni salariali e favorire il diffondersi di fenomeni devianti quali il sommerso e l’immigrazione clandestina. Nonostante alcuni forti segnali di ripresa della mobilità territoriale, ancora limitati appaiono i movimenti di coloro che sono in cerca di lavoro, ostacolati da una struttura 19 Gran parte delle misure ora citate si applicano (in proporzione) anche alle nuove assunzioni a tempo parziale. A queste è esplicitamente diretto lo strumento previsto dal decreto legislativo 61 del 2000, che però è stato utilizzato in maniera estremamente limitata. 20 Il contributo spetta tuttavia, fermo restando il requisito retributivo, anche per i lavoratori assunti successivamente al 1 dicembre 1997 a seguito di turn-over ed escludendo i casi di licenziamento effettuati nei dodici mesi precedenti all’assunzione. 23 eccessivamente rigida delle retribuzioni e da elevati costi indiretti (abitazione, trasporti). Pertanto, il Governo, chiede alle istituzioni locali e alle parti sociali se non si convenga che l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in Italia sia oggi ostacolato da una serie di impedimenti normativi e dall’assenza di un adeguato sistema informativo basato su standard accettativi che favoriscono un rapido incontro tra i fabbisogni, i servizi, le soluzioni contrattuali. Allo stato permane nei fatti il monopolio pubblico, per le alte barriere all’accesso imposte ai soggetti privati, in un contesto –non a caso- di abusivismo diffuso Anzitutto va osservato che la diffusione delle informazioni deve avvenire in un vero e proprio mercato, con una domanda e un’offerta che si confrontano e che determinano un prezzo di scambio. Questo mercato però è del tutto particolare e richiede una certa dose di regolazione e di presenza pubblica. Si pone la necessità di avere regole di accreditamento delle strutture autorizzate a svolgere questa attività, ma le regole non devono essere tali da precludere che anche in questo particolare mercato valgano i principi generali della concorrenza. Questo è quanto insegna anche l’esperienza degli altri paesi più sviluppati. Non vi è parimenti dubbio che vada potenziata la presenza pubblica. Purtroppo, nel decentramento delle competenze dallo Stato alle Regioni, molti dei vecchi uffici di collocamento si trovano in condizioni di funzionamento anche peggiori di quelle in cui si trovavano prima della riforma. E questo succede proprio in quelle regioni, quelle meridionali, in cui ci sarebbe maggior bisogno di politiche del lavoro dirette ad aiutare e a potenziare l’offerta di lavoro al fine di renderla più “appetibile” nei confronti della domanda. Questa situazione di grave arretramento, documentata nelle periodiche analisi di monitoraggio condotte dall’ISFOL, richiede una precisa azione di recupero e di sostegno. Non è un caso che la stessa Unione Europea sia convinta che questo rappresenta uno dei principali problemi della nostra situazione occupazionale e ci stimoli a condurre una azione di sostegno nei confronti delle amministrazioni delle Regioni in cui le carenze sono più gravi. Peraltro, anche prima della recente riforma, i nostri uffici di collocamento incidevano ben poco sull’incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro. Spesso a causa di tutti i passaggi burocratici necessari per procedere ad assunzioni di nuovi lavoratori, il servizio pubblico ha consolidato presso le imprese una cattiva immagine di se stesso, tale per cui ben pochi disoccupati hanno effettivamente trovato lavoro con l’aiuto del servizio. Le indagini disponibili indicano che solo il 4% di chi trova lavoro, lo deve a questo servizio. Con questa bassissima percentuale non si può certo pretendere di incidere molto sui segmenti più deboli dell’offerta. Una presenza efficace nel settore dell’intermediazione, nonostante gli impedimenti e le difficoltà frapposti, è stata, di fatto, fornita solo dalle agenzie interinali. Grave è la mancanza di un adeguato sistema informativo che operi come una borsa continua del lavoro. La legge di riforma ha previsto la costituzione del SIL (Sistema Informativo Lavoro), con caratteristiche di unitarietà ed omogeneità, con il prevalente compito di definire gli standard e realizzare una rete unificata tra i vari livelli operativi (nazionale, regionale, provinciale e circoscrizionale). 24 Tuttavia, allo stato attuale gli obiettivi non sono stati conseguiti sia per le difficoltà incontrate nella fase di avvio dei sottosistemi locali, sia per la mancata affermazione di un chiaro modello organizzativo e funzionale dei nuovi servizi, che sia di riferimento per disegnare l’architettura del sistema informativo nel suo complesso. Ad una impostazione centralista, le Regioni hanno spesso contrapposto un modello autonomista che, nei casi estremi, nega l’esigenza di avere standard comuni (tecnologie compatibili, base dati d’interesse comune, dizionari terminologici, protocolli di comunicazione). Rilevanti sono inoltre gli impedimenti di carattere normativo. Anzitutto, possono pesare i requisiti di capitalizzazione e le barriere tra le attività di intermediazione. Infatti, la normativa sulle agenzie di lavoro interinale, di collocamento, di selezione prevede il regime di esclusiva nei diversi ambiti di attività. E’ una normativa barocca che paralizza non solo l’attività economica delle agenzie di intermediazione ma, soprattutto, i lavoratori e le imprese che vedono ridimensionato il livello di potenziale offerta del servizio. In secondo luogo, il trattamento dei dati relativi all’incontro tra domanda e offerta è sottoposto a sistemi autorizzativi e vincoli che vanno ben oltre la necessità di validare economicamente le Agenzie di intermediazione, di organizzare le necessarie statistiche e di rispettare la privacy. Quest’ultimo aspetto, peraltro, è insito nell’autorizzazione all’utilizzo dei dati prestata dai lavoratori per finalità commerciali. L’obbligo di inserire in banca dati entro 5 giorni i curricula dei lavoratori che cercano lavoro tramite agenzia appare eccessivo e disincentivante. Non è, poi, certamente giustificato impedire alle imprese ed ai lavoratori di interagire direttamente nella rete delle informazioni. Questa è una delle ragioni principali che impediscono l’adozione di un sistema Internet, aperto e accessibile a tutti, con un sistema autorizzativo limitato a rendere affidabile l’attività degli intermediari, a garantire moralità e gratuità per i lavoratori, nonché l’assolvimento delle funzioni statistiche. Tav. 6 - Individui che hanno ricevuto offerte di lavoro e consulenza dal servizio pubblico per l'impiego e da soggetti privati nel 2000 (soggetti tra 15 e 64 anni di età, in migliaia) Tipologie di offerta Centro-Nord Iscritti SPI 1° sem. 20 Mezzogiorno Non iscritti SPI Iscritti SPI 2° sem. 1° sem. Italia Non iscritti SPI Iscritti SPI 2° sem. 1° sem. 2° sem. 1° sem. 2° sem. 10 53 24 17 11 13 9 18 15 30 44 36 - - 21 10 10 - - 21 10 Non iscritti SPI 1° sem. 2° sem. 1° sem. 2° sem. Partecipazione a corsi di formazione professionale regionali Progetti finanziati dallo Stato 7 5 37 21 60 29 Offerte di lavoro dai SPI 17 7 4 43 25 25 19 18 - - 65 53 - Consulenza nella ricerca di lavoro + fornita dai SPI Offerte da privati o agenzie private - - - 31 20 - - 105 90 354 313 38 34 27 18 143 124 381 330 Totale individui con almeno un'offerta 181 148 417 348 125 86 40 28 306 234 457 376 Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, indagine sulle forze di lavoro (cfr. Rapporto di Monitoraggio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulle politiche del lavoro, no. 1-2001). 3.4. Formazione Occorre prendere atto che il sistema formativo esistente è inadeguato rispetto alle esigenze delle imprese e del mercato del lavoro, come è riconosciuto dalla stessa Unione Europea, la quale riserva in genere un giudizio alquanto negativo delle nostre politiche attive del lavoro, in occasione dei Piani Nazionali per l’Occupazione, soprattutto per quanto concerne la formazione permanente. Non 25 si tratta certo di un problema di scarsità di risorse ma di governo, finalità e allocazione delle stesse. Nonostante un processo di trasformazione in atto, soprattutto nelle Regioni del Centro-Nord, centrato sulla definizione di obiettivi di policy e sulla conseguente allocazione delle risorse finanziarie su base d’asta, è ancora presente un contesto in cui l’offerta formativa, pubblica e convenzionata, tende a condizionare la domanda e la qualità del servizio erogato. In quest’ambito occorre rendere effettivo l’impegno, richiestoci ancora una volta dalle autorità comunitarie, di costruire una società della conoscenza che si fondi su un sistema formativo che accompagni il lavoratore durante tutto l’arco della vita. Il passaggio fra scuola e lavoro penalizza i nostri giovani. I lunghi tempi di attesa dimostrano come quello della scuola e quello del lavoro siano due mondi distanti, che quasi si ignorano. I tirocini, su cui i precedenti governi facevano molto affidamento, riguardano meno del 5% dei giovani. Lo stesso istituto dell’apprendistato, sia pure oggetto di una importante riforma, è ben lontano dallo svolgere il ruolo che in altri Paesi svolge invece con grande successo. Ma è tutto il sistema della formazione e dell’addestramento professionale a soffrire di carenze di vario tipo. L’obiettivo di integrare le varie fasi in cui si sviluppa il processo di apprendimento, quella della formazione scolastica, quella della qualificazione professionale e quella dell’attività lavorativa, è stato proclamato come un obiettivo fondamentale da tutta la nuova legislazione; di fatto questa integrazione è ancora ben lontana dall’essere realizzata. Il problema di una maggior integrazione tra formazione e lavoro non riguarda solo i giovani, ma tutti i lavoratori occupati. In un’economia che richiede continui adattamenti delle conoscenze, la formazione continua riveste un ruolo di primo piano. Non si tratta solo di aumentare la produttività dei lavoratori sui posti di lavoro occupati, bensì di potenziare il loro capitale umano in generale, al fine di renderli più “forti” nel mercato del lavoro e di aumentare la mobilità, di cui il nostro paese ha assolutamente bisogno. Proprio perché ogni forma di formazione professionale contiene elementi di capitale umano di tipo generale e quindi trasferibile da parte del lavoratore, da un’impresa ad un’altra, non sempre le imprese sono disposte ad effettuare gli investimenti che sarebbe invece utile fare, proprio per il timore di fare un investimento che sarebbe sfruttato da altri. Il mercato della formazione continua è imperfetto, produce esternalità e non sempre i lavoratori e le imprese sono sufficientemente lungimiranti (o hanno le risorse necessarie) per investire nella loro formazione. Per questo il mercato deve essere aiutato, attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche che alzino il livello di investimento; la formazione è importante quanto l’innovazione come fattore di crescita economica. 26 PARTE SECONDA. LE PROPOSTE PROMUOVERE UNA SOCIETÀ ATTIVA ED UN LAVORO DI QUALITÀ I. REGOLE E STRUMENTI I.1. Europa e Federalismo I.1.1. “Coordinamento aperto” per l’occupazione Primario obiettivo del Governo è la promozione di azioni funzionali al rapido innalzamento del tasso di occupazione, in modo tale da conseguire gli obiettivi - quantitativi ma anche qualitativi – indicati dal Consiglio Europeo di Lisbona del 2000 e da quello di Stoccolma di quest’anno. Il Governo italiano intende far proprio l’obiettivo dell’Unione Europea di realizzare una condizione di piena occupazione (e di piena occupabilità, quindi mettendo tutti in condizione di trovare un lavoro) con una particolare attenzione alla qualità del lavoro. Per questo motivo nel documento integrativo del Piano nazionale per l’occupazione 2001 inviato alle autorità comunitarie dopo l’insediamento di questo Governo sono stati esplicitamente indicati target quantitativi, coerenti con le azioni di politica economia finora previste. Occorre, infatti, ricordare che le politiche del lavoro devono essere condotte coerentemente con la Strategia Europea sull’Occupazione, prevista dal Trattato di Amsterdam e varata dal Consiglio Europeo straordinario sull’occupazione di Lussemburgo (novembre 1997). In considerazione dell’eccezionale rilevanza del tema occupazione, il Consiglio deliberò un’applicazione anticipata di questa parte del Trattato, ancor prima della ratifica dei Parlamenti (ovvero in sede referendaria) degli Stati membri. Dopo alcuni anni di sperimentazione il “processo di Lussemburgo” si è affermato come il primo convincente esempio di applicazione della metodologia del “coordinamento aperto”, esteso successivamente dalla politica per l’occupazione a quella per la protezione sociale e, ancor più recentemente, al tema dell’immigrazione extracomunitaria. L’attendibilità di questo processo si è consolidata nel corso di questi anni ed occorre pertanto assumere con grande attenzione le ‘Raccomandazioni’ che nell’annuale Rapporto congiunto del Consiglio e della Commissione vengono indirizzate dall’Unione Europea. Occorre prestare maggiore attenzione a questo processo di “coordinamento aperto”, poiché esso non riguarda soltanto i Governi, pur responsabili in rappresentanza degli Stati membri. I diversi soggetti istituzionali territoriali (Regioni ed enti locali) e le stesse parti sociali devono contribuire in modo più efficace alla realizzazione delle “linee guida” sull’occupazione che ogni anno vengono concordate in sede comunitaria e quindi diventano vincolanti. Il Governo italiano condivide pienamente a tale proposito le proposte della Commissione europea inserite nel Libro Bianco European Governance: A White 27 Paper (25 luglio 2001, COM(2001) 428) favorevole ad un ulteriore estensione di questa innovativa metodologia regolatoria. Il Governo richiama le Regioni e gli enti locali a dare seguito alle indicazioni comunitarie che a loro volta prevedono - oltre al Piano Nazionale di Azione per l’ Occupazione (National Action Plan for Employment, NAP) che coinvolge la responsabilità del Governo - la predisposizione di Piani regionali di Azione per l’ Occupazione (Regional Action Plan for Employment, RAP), davvero essenziali anche per la programmazione dell’ uso dei fondi strutturali, ed anche di Piani locali (Local Action Plan for Employment, LAP), sempre in attuazione delle “linee guida” comunitarie. Se ed in quanto Regioni ed enti locali matureranno tale orientamento, sarà possibile il loro concorso non episodico ma organico alla predisposizione del NAP. Anche le parti sociali sono invitate a concorrere all’attuazione di questo esercizio di coordinamento comunitario, tenuto conto del fatto che sono numerose le “linee guida” (ad esempio in tema di adattabilità) che assegnano loro precise responsabilità nel predisporre un assetto regolatorio su base negoziale. Ed in ogni caso ad esse si chiede di operare in funzione maggiormente propositiva, unitariamente o singolarmente, ben oltre la semplice informazione con richiesta di osservazioni che ha caratterizzato la preparazione dei Piani Nazionali per l’occupazione negli anni passati. E’ opportuno invece che questo esercizio annuale – di progettazione di misure future ma anche di verifica e monitoraggio dell’attuazione di quelle già in essere – divenga un momento di confronto fra parti sociali ed il Governo (e, al rispettivo livello, le Regioni e gli enti locali) per realizzare un più maturo sistema di partenariato istituzionale e sociale. I.1.2. Buone pratiche in Europa Non sembra possibile mantenere inalterato un assetto regolatorio dei rapporti e dei mercati del lavoro che, sotto più profili, non appare in linea con le indicazioni comunitarie e le migliori prassi derivanti dall’esperienza comparata. Gli interventi comunitari regolano il nuovo mercato domestico ed il sistema italiano deve adeguarsi, dotandosi di un assetto istituzionale in qualche modo comparabile con quelli esistenti in altri Stati membri, in quanto altrimenti si registrerebbero effetti distorsivi sul piano della concorrenza. L’equivalenza degli assetti regolatori in materia di rapporti e mercati del lavoro assume una funzione strategica per governare la tendenza alla delocalizzazione, effetto certo non trascurabile della globalizzazione dell’economia. Non si tratta di realizzare un’uniformità regolatoria su scala trasnazionale che, soprattutto dopo il Trattato di Nizza, non è più negli obiettivi dell’ordinamento comunitario che esclude ormai interventi di armonizzazione nell’area della politica sociale. Occorre piuttosto ragionare in una logica di benchmarking, cioè valutando di volta in volta il contesto di altri Stati membri dell’Unione Europea, ma anche esperienze extracomunitarie di Paesi che con noi competono su scala globale come gli Stati Uniti e il Giappone. Si tratta di individuare le buone pratiche affermatesi nei diversi contesti nazionali od anche regionali, approfondendone le potenzialità ed i fattori di successo, per riflettere in termini di possibile trasposizione in altri contesti. E’ questa una metodologia che 28 costituisce parte integrante del ‘metodo aperto di coordinamento’, utilizzato in sede comunitaria nell’ambito del ‘processo di Lussemburgo’. L’ordinamento italiano del lavoro si è sviluppato per regolare un mercato nazionale, un sistema economico non globalizzato. E’ quindi evidentemente inadeguato a svolgere una funzione in un contesto in cui il mercato è ormai divenuto trasnazionale, comunitario ed internazionale. L’adeguamento del quadro normativo nazionale rispetto alle indicazioni comunitarie e all’esperienza comparata diventa, dunque, un fattore essenziale nel gioco competitivo dei soggetti economici che al rispetto di questo sistema di regole sono tenuti. I.1.3. Lavoro e federalismo Il dialogo fra diritto comunitario ed ordinamento interno può agire da catalizzatore nel senso di una riforma dell’assetto istituzionale interno preposto alla regolazione del mercato e dei rapporti di lavoro, con particolare attenzione ad una re-distribuzione delle competenze attraverso i vari livelli istituzionali. Una conseguenza che del resto potrà derivare anche dall’applicazione del nuovo art. 117 della Costituzione, così come emendato dalla recente riforma costituzionale, che assegna alle Regioni potestà legislativa concorrente in materia di “tutela e sicurezza del lavoro”, “professioni”, nonché “previdenza complementare e integrativa”. L’intera disciplina del lavoro dipendente ed autonomo, unitamente ai profili previdenziali che non ricadono nell’ambito del sistema pubblicistico, in questa ipotesi verrebbe dunque attribuita alle Regioni alle quali, come ancora recita lo stesso art. 117, spetta “la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Si tratta di un progetto assai innovativo che impegna lo Stato a definire tali “principi fondamentali”, tenendo conto, sempre a mente del medesimo disposto costituzionale, che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Non sembrano del resto esservi dubbi di sorta circa la portata di queste disposizioni. La potestà legislativa concorrente delle Regioni riguarda non soltanto il mercato del lavoro, in una logica di ulteriore rafforzamento del decentramento amministrativo in atto, bensì anche la regolazione dei rapporti di lavoro, quindi l’ intero ordinamento del lavoro. Il nuovo art. 120 della Costituzione, chiarisce ancora che non solo “la Regione non può … limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale” ma aggiunge anche che “il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni … nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria … ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”. Spetterà quindi alla legislazione ordinaria precisare “le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione”. 29 Dunque il nuovo assetto costituzionale attribuisce nuove funzioni alle Regioni, senza tuttavia delineare compiutamente un modello federalista, ciò che anzitutto presupporrebbe una rappresentanza a livello nazionale delle stesse Regioni. Resta il fatto che il riconoscimento della potestà legislativa concorrente alle Regioni in materia di mercato e rapporti di lavoro costituisce un elemento che occorre pienamente valorizzare, respingendo interpretazioni riduttive che la limiterebbero ad una funzione meramente implementativa delle politiche nazionali. Sarà il principio di sussidiarietà (nel superamento del criterio di competenza, transitando dalla logica di garanzia a quella di funzionalità) a guidare un processo di riassetto istituzionale dell’impianto regolatorio, così come è avvenuto e sta tuttora avvenendo nel dialogo fra diritto comunitario e diritto nazionale. Sarà così possibile realizzare differenziazioni regionali che colgano le diversità dei mercati del lavoro locali, superando una stratificazione dell’ordinamento giuridico inadeguata rispetto ai mutamenti intervenuti nell’organizzazione del lavoro. Un’occasione di modernizzazione che non può essere persa, pure perseguendo, nel contempo, la realizzazione di un più compiuto disegno federalista di carattere generale. I.1.4. Coesione sociale La valorizzazione della potestà legislativa regionale non deve essere compromessa drammatizzando il rischio di un’autonomia intesa come disgregazione sociale. E’, infatti, l’ordinamento comunitario che in materia economica e sociale provvede a fissare i principi fondamentali che devono ispirare il legislatore regionale. Pur essendo auspicabile una larga intesa con riferimento alla normativa cornice di carattere nazionale, così da salvaguardare il principio di uguaglianza senza peraltro cedere alla logica centralistica di una uniformità assoluta di trattamento, conviene indicare nella “Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”, proclamata solennemente in occasione del Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000, il punto di riferimento, certo non esclusivo ma altamente significativo, per esercitare la potestà legislativa interna. E’ utile richiamare in proposito alcuni disposti che più direttamente si riferiscono alla tutela e sicurezza del lavoro: a. b. c. d. e. f. g. h. i. j. i. k. l. proibizione della schiavitù e del lavoro forzato (art. 5); protezione dei dati di carattere personale (art. 8); libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 10); libertà di espressione e di informazione (art. 11); libertà di riunione e di associazione (art. 12); libertà professionale e diritto di lavorare (art. 15); non discriminazione (art. 21); parità tra uomini e donne (art. 23); diritti degli anziani (art. 25); inserimento dei disabili (art. 26); diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione nell’ambito dell’ impresa (art. 27); diritto di negoziazione e di azioni collettive (art. 28); diritto di accesso ai servizi di collocamento (art. 29); 30 m. n. o. p. q. tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. 30); condizioni di lavoro giuste ed eque (art. 31); divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di lavoro (art. 32); vita familiare e vita professionale (art. 33); sicurezza sociale e assistenza sociale (art. 34); protezione della salute (art. 35). Su queste materie, individuate nella “Carta” di Nizza, e, più in generale, sulle tematiche oggetto di intervento comunitario, per mezzo di direttive anche di recepimento di intese fra gli attori sociali, appare opportuno che il legislatore nazionale intervenga con una normativa-cornice che assicuri un sufficiente grado di tutela minima. Si tratta di adempimenti di obblighi traspositivi che coinvolgono la responsabilità diretta dello Stato ed in ogni caso vengono toccati diritti fondamentali che reclamano una regolazione nazionale. Sarebbe oltremodo auspicabile che sul punto si esprimessero le stesse parti sociali, oltre che le Regioni, in modo che si apra un fruttuoso confronto sulle caratteristiche e quindi sulla portata della legislazione quadro in materia di lavoro. L’imperativo di salvaguardare sempre e comunque i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” (art. 117 Cost.) implica uno sforzo progettuale che comporterà necessariamente la rivisitazione di tutti gli istituti che compongono attualmente la legislazione nazionale in materia di mercati e rapporti di lavoro. Il Governo auspica che su questo argomento, - così innovativo dal punto di vista istituzionale ed altrettanto complesso sul piano dei valori coinvolti e delle tecniche regolatorie utilizzabili – si possano acquisire importanti e significativi contributi di tutti gli interlocutori istituzionali e sociali destinatari del presente Libro Bianco. I.2. Dialogo sociale Gli anni novanta sono stati gli anni della concertazione sociale. Le necessità di conseguire importanti obiettivi a livello comunitario favorì l’opzione concertativa. Imperativa era l’esigenza di rafforzare il coordinamento nel governo delle dinamiche nominali dei redditi per evitare derive inflazionistiche. Inoltre, l’intervento sui saldi netti del bilancio pubblico andava fatto rapidamente ed in un clima di consenso sociale, onde evitare tensioni e ricadute inflazionistiche. Va del resto sottolineato come molti dei paesi, anche al di fuori del tradizionale novero di paesi cosiddetti corporativismi, che all’inizio del decennio riscontravano problemi di convergenza rispetto ai criteri di Maastricht, hanno optato per l’uso della concertazione sociale. Tuttavia, nei fatti, la concertazione ha svolto compiti di governo ben di là degli obiettivi di sviluppare un corretto rapporto tra le parti. Il processo avviato nel 1992 dal I° Governo Amato è stato progressivamente snaturato e portato a 31 ribaltare la logica culturale che l’aveva innestato. Quando, da parte dei diversi governi che si sono succeduti, vi è stato un uso eccessivo della concertazione, intesa come sede consultiva e di legittimazione politica in merito ad iniziative che, in linea di principio, erano spesso di esclusiva competenza del Governo si è determinato un uso distorto e viziato della concertazione stessa. Rispetto ad alcune esperienze generalmente ritenute positive, in particolare il caso olandese, è peraltro da rilevare come il potere d’iniziativa - di fissazione dell’agenda e delle principali linee di azione- da parte dei governi sia stato, in Italia, piuttosto limitato, in buona parte a causa dell’accentuata debolezza politica di quei governi. E’ del tutto evidente l’impossibilità del modello concertativo degli anni novanta di affrontare la nuova dimensione dei problemi economici e sociali. La concertazione ha, infatti, mantenuto fermi nella politica economica due obiettivi fondamentali: il risanamento dei conti pubblici e l’ingresso dell’Italia nell’Euro. Intorno al ruolo della contrattazione nazionale centralizzata e dell’inflazione programmata si è sviluppato lo scambio fondamentale tra governo e parti sociali. La moderazione salariale e l’abbassamento dell’inflazione hanno consentito il risanamento dei conti pubblici sul versante degli interessi; la produttività del sistema è stata assorbita in gran parte dall’aumento della pressione fiscale, mentre è sostanzialmente rimasta inalterata la quota della spesa sociale sul PIL (con un aumento della spesa pensionistica ed un calo di quella sanitaria). Difesa del salario reale e delle prestazioni sociali (con una compressione della dinamica) sono stati i vantaggi per i sindacati e per i lavoratori. La contrattazione salariale è stata negli anni novanta il riflesso delle esigenze macroeconomiche, rivelandosi irrilevante ai fini di una corretta allocazione dei fattori produttivi. La forbice tra salari contrattuali e quelli di fatto (in alto e in basso) si è aperta ulteriormente. Tuttavia, raggiunti gli obiettivi dell’abbassamento dell’inflazione e dell’ingresso nell’Euro, i suoi limiti sono subito apparsi evidenti. Emerge con evidenza l’inadeguatezza di un sistema contrattuale centralizzato, il cui perno centrale è rappresentato da un indicatore economico (l’inflazione programmata) che svolge una funzione sociale (difesa del salario reale) ma è indifferente rispetto alle esigenze reali delle singole imprese. La moneta unica, ed il patto di stabilità, richiedono, invece, nel contempo una capacità di rendere strutturali le riforme (mercato del lavoro, previdenza e welfare, fiscali e contributive) e di flessibilizzare l’utilizzo dei fattori produttivi e della loro remunerazione. Inoltre, la competitività del sistema Italia non è più mediata dalla politica monetaria. Nel nuovo quadro macro-economico, l’espansione della base produttiva e dell’occupazione non può prescindere da una riduzione della pressione fiscale e contributiva nonché da corretta remunerazione dei fattori produttivi. Un eccesso di rigidità delle remunerazioni penalizza l’espansione occupazionale nelle aree a bassa produttività (ovvero favorisce la crescita del sommerso) e contribuisce alle distorsioni territoriali dello sviluppo. La concertazione ha in realtà sistematicamente rinviato la definizione di un nodo centrale delle relazioni industriali, quello della struttura della contrattazione. Nell’Unione Monetaria Europea, l’esigenza di riforma degli equilibri interni della contrattazione salariale fa premio su quella della moderazione salariale aggregata. Al tempo stesso un completamento organico delle riforme in tema di mercato del lavoro e 32 del welfare non può prescindere dall’iniziativa e dalla capacità decisionale del Governo. I.2.1. Il modello comunitario In questa situazione le esigenze attuali dell’economia italiana inducono a sperimentare una pratica di “partnership per la competitività e l’occupazione”, dove il confronto fra istituzioni e parti sociali assuma la valenza non di un obiettivo in sé, ma di uno strumento utile al conseguimento di obiettivi di volta in volta condivisi. Il passaggio dalla politica dei redditi ad una politica per la competitività impone l’adozione di una nuova metodologia di confronto, basata su accordi specifici, rigorosamente monitorati nella loro fase implementativa, restando meglio precisata la distinzione delle reciproche responsabilità tra Governo e parti sociali. Il Governo ritiene che il modello del dialogo sociale, così come regolamentato e sperimentato a livello comunitario, costituisca il punto di riferimento più convincente per una rinnovata metodologia nei rapporti fra istituzioni e parti sociali anche a livello interno. In tal senso, appare del tutto condivisibile la “posizione comune” assunta il 16 luglio 2001 in Francia dalle parti sociali ed indirizzata a quel Governo. Il dialogo sociale non può soltanto rappresentare la soluzione del tutto prioritaria per la trasposizione di direttive comunitarie nell’ordinamento interno, bensì deve costituire anche il metodo per regolare la produzione di regole in tema di affari sociali, con particolare riguardo alla modernizzazione del mercato del lavoro. Non soltanto a livello statale, ma anche delle Regioni, prima di assumere interventi legislativi o comunque di natura regolatoria in campo sociale e dell’occupazione, è necessario che le istituzioni consultino le parti sociali circa l’intenzione di intervenire su una certa materia che non comporti impegni di spesa pubblica, sollecitandone una reazione in termini di opportunità e modalità di realizzazione. Al termine di questa prima fase di consultazione, da contenere in tempi ragionevolmente brevi, qualora il Governo o la Regione intenda proseguire con l’iniziativa regolatoria dichiarata nella fase precedente, alle parti sociali dovrebbe essere offerta l’opportunità di negoziare sul tema che forma oggetto della iniziativa in questione, assegnando anche in questa occasione un termine ben determinato. Solo in caso di rifiuto delle parti sociali di impegnarsi in un negoziato, ovvero nell’ipotesi di un esito infruttuoso del medesimo, l’iniziativa legislativa promanante dal Governo o dalla Regione potrà riprendere il suo corso. Nel caso in cui invece il negoziato si sarà concluso positivamente, dovrà prevedersi un impegno politico del Governo o della Regione alla traduzione legislativa dell’intesa stessa. La stessa funzione del presente Libro Bianco si ispira alla metodologia comunitaria. Riconoscere il primato del dialogo sociale in funzione regolatoria nell’area sociale e dell’occupazione significa riconoscere alle parti sociali un ruolo assai impegnativo che comporta responsabilità quasi legislative. Del resto il Governo ritiene che se questa importante responsabilità è stata riconosciuta dall’ordinamento comunitario nei confronti di attori sociali caratterizzati da 33 un’attività di pochi lustri, a maggior ragione essa possa essere richiesta ad organizzazioni che invece affondano le proprie radici in una storia talvolta secolare, caratterizzandosi per alti livelli di rappresentatività. Naturalmente l’adozione di tale metodologia, assai rispettosa delle reciproche competenze ed attribuzioni, senza alcuna confusione di ruoli, non può compromettere la rapidità del procedimento decisionale. In caso di disaccordo tra gli stessi attori sociali sarà necessario, uniformandosi anche in questo senso all’ esperienza francese, ricorrere alla regola della maggioranza, senza pretendere unanimismi che pregiudicherebbero il buon funzionamento dello stesso dialogo sociale. Il Governo auspica di poter raccogliere su questa proposta commenti e valutazioni degli interlocutori istituzionali e sociali. Quanto fin qui affermato non significa a giudizio del Governo escludere il raggiungimento di nuove intese di tipo triangolare, sia a livello nazionale, sia a quello regionale e territoriale. Del resto non solo in Italia ma in molti Paesi europei intese trilaterali sfociano con crescente intensità in patti sociali. Associazioni imprenditoriali ed organizzazioni sindacali in diversi contesti nazionali hanno stipulato accordi con le autorità governative in materia occupazionale, con ciò svolgendo una funzione in passato di esclusiva spettanza dei poteri pubblici. Le “linee guida per l’occupazione” -varate nell’ambito del processo di Lussemburgo- attribuiscono alle parti sociali l’assunzione di crescenti responsabilità a riguardo. In proposito appare necessario indirizzare questa attività sul piano locale – anche tenendo conto dei nuovi poteri riconosciuti alle Regioni dalla recente riforma sul federalismo - al fine di cogliere le peculiarità del mercato del lavoro all’interno di ciascun contesto territoriale. Occorre quindi sottoporre a valutazione critica la stagione dei “patti nazionali”, accogliendo una visione regionalista delle politiche del lavoro che coinvolga a questo livello le parti sociali. Tali intese definite su scala territoriale dovranno muoversi in un contesto dinamico, fatto di utili deroghe concordate nei confronti della legislazione e contrattazione a livello nazionale. I.3. Tecniche regolatorie I.3.1. Ordinamento comunitario e tecniche di trasposizione Riflettendo sull’esperienza comunitaria e nella prospettiva di transitare verso un ordinamento federale, si evince la necessità di ripensare radicalmente lo stesso sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico del lavoro. Il ruolo della legislazione nazionale dovrebbe essere limitato alla definizione dei diritti fondamentali della persona nel contesto lavorativo. Allorché si tratti di legislazione traspositiva di obblighi comunitari, il legislatore nazionale dovrà in futuro introdurre norme che soddisfino di per se stesse l’obbligo traspositivo, nel rispetto delle prerogative regionali di intervenire con atti di legislazione concorrente per rendere il dato normativo comunitario e nazionale più aderente 34 alle caratteristiche dei mercati del lavoro locali. Del resto il nuovo ruolo legislativo affidato alle Regioni non potrà certo sollevare lo Stato dalla responsabilità primaria di fronte alle autorità comunitarie con riferimento alo stesso processo traspositivo. Anche la legislazione nazionale di trasposizione diverrà sempre più una legislazione di principi, implementando la direttiva per quanto concerne le scelte fondamentali di adattamento all’ordinamento interno, lasciando tuttavia al legislatore regionale la possibilità di dispiegare pienamente l’esercizio della potestà legislativa concorrente mediante interventi di specificazione dei principi definiti nazionalmente. Resta fermo, a giudizio del Governo, il primato del dialogo sociale nella trasposizione delle direttive comunitarie, in ossequio a quanto disposto dal Trattato dell’Unione Europea e soprattutto allorché le direttive stesse siano il risultato di questo esercizio condotto su scala comunitaria. Le parti sociali potranno in tale circostanza valutare forme appropriate per assicurare che il processo traspositivo tenga conto delle caratteristiche dei mercati del lavoro locali, nel quadro del nuovo ordinamento federalista. Il Governo si riconosce pienamente nel principio per cui l'attuazione delle direttive comunitarie non costituisce in nessun caso un valido motivo per giustificare una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori nei settori da esse trattati. Resta tuttavia impregiudicato il diritto degli Stati membri e/o delle parti sociali di stabilire, alla luce dell'evolversi della situazione, disposizioni legislative, regolamentari o contrattuali diverse rispetto a quelle vigenti al momento dell'adozione della presente direttiva, purché le prescrizioni minime previste da quest'ultima siano rispettate. Il significato di questa “clausola di non regressione” è da intendersi nel senso che non deve verificarsi una regressione del livello generale di protezione dei lavoratori in seguito all'adozione della direttiva comunitaria, pur lasciando agli Stati membri la possibilità di adottare misure diverse dettate dalla loro politica socioeconomica, e questo nel rispetto dei requisiti minimi previsti dal legislatore comunitario. La pretesa che l’ordinamento giuridico debba restare in sostanza immodificabile contrasterebbe con la natura stessa del processo traspositivo che rappresenta esso stesso un momento di aggiornamento del quadro regolatorio rispetto all’ insieme di disposizioni entrate in vigore a livello comunitario, nonché in relazione all’ evolversi della sottostante realtà economica e sociale. Il Governo italiano ritiene che occorra prestare molta attenzione alla qualità del processo traspositivo, evitando che si ricostituiscano gli elementi distorsivi della concorrenza che la direttiva stessa aveva inteso rimuovere. In questo senso la “clausola di non regressione” mantiene un suo valore del tutto indiscutibile, soprattutto nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione Europa e l’integrazione con sistemi economici e sociali assai differenti da quelli degli attuali Stati membri. La stessa Commissione europea dovrebbe prestare maggiore attenzione alla qualità del processo traspositivo, non limitandosi a rilevare soltanto gli estremi per le procedure di infrazione. Il Governo invita le parti sociali ad approfondire nel dialogo fra di loro questi profili dell’esercizio traspositivo, anche al fine di esaltarne le potenzialità di 35 modernizzazione per lavoratori italiani. assicurare tutele qualitativamente efficaci ai I.3.2. Leggi e contratti Il principio di sussidiarietà – già fondamentale nel rapporto fra ordinamento comunitario e nazionale, nonché a proposito del dialogo fra Stato e Regioni nel costituendo ordinamento federalista - deve secondo il Governo applicarsi anche nel rapporto fra intervento pubblico e attività delle parti sociali. Il legislatore (nazionale o regionale) dovrebbe intervenire solo dove le parti non abbiano sufficientemente svolto un ruolo regolatorio. In questo senso verrebbe esaltata appieno la funzione del contratto collettivo (nella sua prospettiva interaziendale) come strumento regolatore di una corretta competizione fra imprese sul piano sociale. Nel contempo, occorre, però, riconoscere i profondi mutamenti intervenuti nell’organizzazione del lavoro, la crescente spinta verso una soggettività nel vissuto della propria condizione lavorativa e quindi rivalutare convenientemente il ruolo del contratto individuale. Tale valorizzazione potrebbe avvenire quantomeno con riferimento a singoli istituti o laddove (per ragioni di mercato del lavoro connesse anche all’alta professionalità del lavoratore in questione) esistano condizioni di sostanziale parità contrattuale tra le parti ovvero anche in caso di specifici rinvii da parte della fonte collettiva. Il Governo chiede alle parti sociali se e a quali condizioni sia possibile modificare l’attuale contesto normativo che inibisce al datore e prestatore di lavoro di concordare condizioni in deroga non solo alla legge ma anche al contratto collettivo, se non entro il limite, sempre più ambiguo, delle condizioni di miglior favore. In un contesto crescentemente individualizzato di rapporti e contratti di lavoro sono individualizzate anche le scelte dei prestatori: ciò che può essere migliorativo per l’uno, può risolversi in una condizione di peggior favore per l’ altro. E’ utile a tal proposito rifarsi all’esperienza comparata, anche al fine di dimostrare che la prospettiva delineata in alcun modo comporta un appannamento del ruolo della contrattazione collettiva, quanto semmai una sua diversa concezione. Nei Paesi Bassi si sta sperimentando in proposito un sistema di raccordo fra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro definito "a scelta multipla", dove cioè il lavoratore può optare, d’intesa con il datore di lavoro, fra diversi istituti negoziati in sede collettiva. Ad esempio un livello salariale inferiore in cambio di maggior sicurezza del posto di lavoro, scambio fra miglior trattamento retributivo ed allungamento del nastro orario, rinuncia all’indennità natalizia a fronte di azioni della società e così via. Il Governo pertanto invita le parti sociali a valutare la possibile ridefinizione del rapporto fra momento collettivo ed individuale nella regolazione del rapporto di lavoro, rendendo possibile la definizione di assetti regolatori effettivamente conformi agli interessi del singolo lavoratore ed alle specifiche aspettative in lui riposte dal datore di lavoro, nel contesto d’un adeguato controllo sociale. In aggiunta si potrebbero studiare percorsi a garanzia della effettiva volontà del lavoratore (per realizzare una sorta di “derogabilità assistita”, secondo meccanismi di certificazione e/o validazione della volontà individuale), ad opera di 36 istituzioni pubbliche o anche delle stesse parti sociali, al fine di corrispondere alle attese di flessibilità delle imprese ma anche alle nuove soggettività dei prestatori di lavoro. Sempre in sede comunitaria, è stata sperimentata con successo una nuova tecnica nel rapporto fra legge e contrattazione collettiva che a giudizio del Governo merita senz’altro di essere ripresa anche all’interno dell'ordinamento italiano. Il riferimento è all’esperienza applicativa della direttiva comunitaria sui "comitati aziendali europei" (CAE). Questa direttiva europea del 1994 affida, infatti, alle parti (direzione centrale della società multinazionale e la rappresentanza dei lavoratori) l’individuazione della composizione e delle funzioni del "comitato aziendale europeo". Solo ed esclusivamente in mancanza di un accordo tra tali soggetti scattano le previsioni di legge; altrimenti l’intesa negoziale è in grado di sostituire interamente il testo normativo che in sostanza non si applica poiché si ritiene già raggiunto il fine che il legislatore si era prefisso di conseguire. Nel caso della direttiva CAE il risultato è stato di oltre 600 accordi stipulati fino ad oggi: in pratica oltre un terzo delle multinazionali hanno preferito la strada negoziale all’applicazione della legge. Il Governo considera estremamente interessante questo tipo di intervento legislativo che riconosce un ruolo non tanto promozionale quanto premiale alla contrattazione collettiva e ritiene che la direttiva CAE dovrebbe dunque essere assunta come modello anche in Italia ai fini dell’intervento normativo nella materia del diritto del lavoro e delle relazioni industriali. Del resto il compromesso adottato al Consiglio europeo di Nizza (dicembre 2000) sugli aspetti partecipativi riguardanti la Società Europea è largamente ispirato a questo modello. Il Governo auspica di ricevere su questa proposta adeguati approfondimenti delle parti sociali, allo scopo di progettare nuove misure che riprendano questa metodologia adottata in sede comunitaria, e conferire alle parti sociali un ruolo sostanzialmente para-legislativo in modo di stimolare il raggiungimento di intese per realizzare assetti regolatori più confacenti alle singole realtà aziendali. I.3.3. “Norme leggere” (soft laws) L’ordinamento giuridico del lavoro in Italia è stato costruito sul presupposto che i rapporti tra datori e prestatori di lavoro siano presidiati da regole vincolanti, dettate dal legislatore o convenute in sede di contrattazione collettiva. Un’impostazione precettiva e prescrittiva che, nella normalità dei casi, produce norme inderogabili, cioè tali da escludere la libera pattuizione individuale e comunque tali da non lasciare alcuna flessibilità alle parti, se non in senso migliorativo per il lavoratore. Spesso si tratta di precetti eccessivamente rigidi, sovente inattuabili, tali da favorire l’evasione e gli aggiramenti, fomentando comunque il contenzioso. Ancora una volta l’esperienza comparata dimostra che è possibile modernizzare l’ordinamento del lavoro anche sul piano delle tecniche di regolazione. Nei Paesi di tradizione di common law esistono strumenti diversi, come per esempio i codes of practice e, più in generale, le soft laws (“norme leggere”), che mirano ad orientare l’attività dei soggetti destinatari, senza peraltro costringerli ad uno specifico comportamento, vincolandoli tuttavia al conseguimento di un 37 determinato obiettivo. Tali tecniche sono entrate ormai a far parte dell’ordinamento giuridico comunitario. Nell’ambito della Strategia europea per l’occupazione vengono annualmente definiti dal Consiglio gli “orientamenti” in materia di occupazione che costituiscono senz’altro forme di soft laws. Il Consiglio europeo di Stoccolma (aprile 2001) ha preannunciato l’elaborazione, a cura del Consiglio di concerto con la Commissione, di indicatori (anche quantitativi) sulla qualità del lavoro, da adottarsi al Consiglio europeo di Laeken (dicembre 2001). Ancora una volta si tratterà di “norme leggere”, focalizzate sull’obiettivo finale da conseguire assai più che non sulla coercizione ad osservare un comportamento predeterminato minuziosamente in sede legislativa. Il Governo intende contribuire alla riflessione in corso circa l’identificazione di indicatori di qualità a livello europeo, nella consapevolezza che, in ogni caso, essi non dovranno tradursi in ulteriori vincoli, bensì in strumenti per incentivare opportuni investimenti, anche di carattere formativo, nelle risorse umane. Tutto lascia quindi prevedere che questa tecnica regolatoria si diffonderà sempre più. I primi esempi di “norme leggere” potrebbero essere sperimentalmente inseriti all’interno dei contratti collettivi nazionali di lavoro, sotto forma di clausole che rinviino alla contrattazione di secondo livello, pur prefigurando il conseguimento di obiettivi predeterminati e preconcordati. Le stesse parti sociali a livello comunitario hanno peraltro già cominciato a sperimentare la stipulazione di accordi sotto forma di “linee guida”, com’è accaduto nel dialogo sociale settoriale che ha prodotto recentemente intese sulla regolamentazione del telelavoro. Il Governo esprime grande interesse nei confronti della recente intesa intercategoriale sul telelavoro a livello comunitario sulla base di linee-guida od orientamenti. Essa riveste, infatti, un grande significato paradigmatico, costituendo un utile modello per la possibile utilizzazione di questo strumento anche su scala nazionale, soprattutto nell’ottica di una transizione verso un assetto federalista anche in materia di lavoro. Poiché non si tratta di un accordo quadro non sarà necessario un intervento del Consiglio al fine di rendere l’intesa vincolante tramite l’adozione di una direttiva che a sua volta dovrebbe essere trasposta. L’accordo resterà in un ambito strettamente privatistico e la sua attuazione su scala nazionale rimarrà del tutto nelle mani delle parti sociali. Una prospettiva di notevole interesse, compatibile con il diritto comunitario che non esclude questo genere di accordi, al tempo stesso utilmente sperimentabile in Italia anche per realizzare eventualmente un coordinamento “soft” di un modello contrattuale ad impianto federalista. In ogni caso il Governo ritiene che già sul piano dell’intervento regolatorio pubblico sarà necessario sperimentare queste tecniche innovative. Ad esempio una rivisitazione della normativa sulla salute e sicurezza del lavoratore dovrà comportare il passaggio dal management by regulation al management by objectives. Superare l’inderogabilità della norma giuridica dunque non basta: occorre dotare l’ordinamento del lavoro di una nuova gamma di strumenti regolatori che già sono in uso in Paesi con cui l’Italia si confronta nella competizione globale. Il Governo considererà l’opportunità di ricorrere a questi 38 strumenti regolatori di tipo innovativo ed auspica in quest’ambito di ricevere commenti e proposte dagli attori istituzionali e sociali I.3.4 . Norme semplici e certe Il Governo ritiene che l’ordinamento giuridico del lavoro italiano sia, al pari di altre branche del diritto dell’economia, estremamente complesso, frutto di interventi normativi stratificatisi nel tempo con un andamento alluvionale che lo rendono, per molti versi, inadeguato a disciplinare fenomeni sociali nuovi e in continuo mutamento. I rapporti fra datori e prestatori di lavoro dovrebbero essere governati da un corpus normativo assai più semplificato, effettivamente utilizzabile dai diretti interessati senza ulteriore aggravio di costi per gli operatori economici di minori dimensioni. Modernizzare il sistema regolatorio dei rapporti di lavoro significa anche darsi l’obiettivo di una riorganizzazione e di un riordino delle norme vigenti, ricorrendo anche allo strumento dei testi unici. Tale metodologia potrebbe risultare di grande utilità per le imprese ed a tal fine il Governo ha immediatamente disposto affinché venga opportunamente ordinata e semplificata la normativa in materia di sicurezza e salute sul lavoro. Regole più semplici e chiare contribuirebbero ad agevolare l’opera di regolarizzazione delle condizioni di lavoro con un effetto assai benefico sul piano della correttezza della concorrenza fra imprese. Il Governo ritiene che, una volta realizzata l’opera riformatrice delineata nel presente Libro Bianco, così come risulterà arricchita ed integrata dai soggetti istituzionali e sociali cui è rivolto, sarà comunque necessario coordinare le nuove disposizioni con la normativa preesistente all’interno di un Testo unico sul lavoro. Tale intervento potrà anche essere anticipato nel corso della presente legislatura non appena saranno operative alcune significative riforme, secondo uno schema di codificazione aperto e flessibile, che consenta un continuo aggiornamento del Testo unico stesso. Sarà questa l’occasione per un opportuno raccordo con le legislazioni regionali che nel frattempo si saranno formate. Il Governo auspica che sul punto si possano registrare utili commenti e proposte dai soggetti istituzionali e dalle parti sociali. I.3.5. “Statuto dei Lavori” Il Governo considera necessario alla luce di quanto sopra esposto procedere ad un’opera di complessiva modernizzazione dell’impianto dell’ordinamento del lavoro in Italia nell’ ambito di uno ‘Statuto dei lavori’ che riprende alcune idee progettuali già circolati nel corso della precedente legislatura, spunti che il Governo intende valorizzare pienamente pervenendo ad un organico progetto riformatore sul quale si chiede il concorso dei soggetti istituzionali e sociali. Nell’accingersi a progettare un disegno riformatore di ampio respiro, occorre tener conto dei vincoli di appartenenza dell’Italia a organismi sopranazionali, unitamente alle logiche della globalizzazione e dell’internazionalizzazione dei mercati, ciò che impone di prendere le mosse da due documenti di particolare rilievo a livello internazionale: la Dichiarazione dell’Organizzazione 39 Internazionale del lavoro sui principi e diritti fondamentali sul lavoro approvata dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel giugno del 1998, nonché la Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea proclamata a Nizza lo scorso 7 dicembre. La Dichiarazione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sancisce quattro diritti fondamentali (la libertà di associazione e il diritto alla contrattazione collettiva; l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato od obbligatorio; l’effettiva abolizione del lavoro minorile; l’eliminazione di ogni discriminazione sul lavoro e nell’accesso all’impiego. La “Carta” dell’Unione Europea, accanto a questi diritti fondamentali, ne indica in modo dettagliato una serie ulteriore, tra cui il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata; alla informazione e alla consultazione nell’ambito dell’impresa; di accedere a un servizio di collocamento gratuito; alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato; a un equo compenso; a condizioni di lavoro sane, sicure e dignitose; di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e ai servizi sociali, alla protezione dei dati personali. A prescindere dal valore giuridico di questi documenti, in essi sono indubbiamente contenuti alcuni principi profondamente radicati nella tradizione culturale europea e, segnatamente, italiana. A ben vedere, si tratta di principi e diritti formalmente sanciti dalla Carta Costituzionale del 1948. A seguito dei profondi mutamenti intercorsi nell’organizzazione dei rapporti e dei mercati del lavoro, il Governo ritiene che sia ormai superato il tradizionale approccio regolatorio, che contrappone il lavoro dipendente al lavoro autonomo, il lavoro nella grande impresa al lavoro in quella minore, il lavoro tutelato al lavoro non tutelato. E’ vero piuttosto che alcuni diritti fondamentali devono trovare applicazione, al di là della loro qualificazione giuridica, a tutte le forme di lavoro rese a favore di terzi: si pensi al diritto alla tutela delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro, alla tutela della libertà e della dignità del prestatore di lavoro, all’abolizione del lavoro minorile, all’eliminazione di ogni forma di discriminazione nell’accesso al lavoro, al diritto a un compenso equo, al diritto alla protezione dei dati sensibili, al diritto di libertà sindacale. E’ questo zoccolo duro e inderogabile di diritti fondamentali che deve costituire la base di un moderno “Statuto dei lavori”. Occorre precisare che il riconoscimento di questi diritti fondamentali a tutti i lavoratori che svolgano prestazioni a favore di terzi (datori di lavoro, imprenditori, enti pubblici, committenti, etc.) non risponde solo ed esclusivamente a istanze di tutela della posizione contrattuale e della persona del lavoratore. E’ vero anzi che il riconoscimento di standard minimali di tutela a beneficio di tutti i lavoratori rappresenta — oggi più che nel passato — anche una garanzia dei regimi di concorrenza tra i soggetti economici, arginando forme di competizione basate su fenomeni di dumping sociale (dal lavoro nero tout court a forme di sfruttamento del lavoro minorile, etc.). Partendo dunque dalle regole fondamentali, applicabili a tutti i rapporti di lavoro a favore di terzi, quale che sia la qualificazione giuridica del rapporto, è poi possibile immaginare, per ulteriori istituti del diritto del lavoro, campi di applicazione sempre più circoscritti e delimitati, operando un’opportuna graduazione e diversificazione delle tutele in ragione delle materie di volta in volta considerate e non (come nel vecchio ordinamento) a seconda delle tipologie contrattuali di volta in volta considerate. Dunque non si tratta di 40 sommare al nucleo esistente delle tutele previste per il lavoro dipendente un nuovo corpo normativo a tutela dei nuovi lavori (ivi comprese le collaborazioni coordinate e continuative). Non può certo essere condiviso l’approccio – proposto senza successo nel corso della precedente legislatura – di estendere rigidamente l’area delle tutele senza prevedere alcuna forma di rimodulazione all’interno del lavoro dipendente. Individuato, dunque, un nucleo essenziale di norme e di principi inderogabili (soprattutto di specificazione del dettato costituzionale), comuni a tutti i rapporti negoziali aventi ad oggetto esecuzione di attività lavorativa in qualunque forma prestata, occorrerà procedere a una rimodulazione delle tutele caratteristiche del lavoro dipendente. Al di sopra di questo nucleo minimo di norme inderogabili, sembra opportuno lasciare ampio spazio all’autonomia collettiva e individuale, ipotizzando una gamma di diritti inderogabili relativi, disponibili a livello collettivo o anche individuale (a seconda del tipo di diritto in questione). A ciò dovrà aggiungersi un corrispondente riassetto delle prestazioni previdenziali. L’avvicinamento dei regimi previdenziali contribuirebbe peraltro a sdrammatizzare il problema qualificatorio delle singole fattispecie. Del resto il processo di riallineamento o rimodulazione delle tutele caratteristiche del lavoro subordinato riguarderà anche il profilo della stabilità dell’occupazione. A tal proposito si potrebbero ipotizzare per alcune categorie di lavoratori e/o per determinate tipologie contrattuali, meccanismi di tipo risarcitorio ovvero garanzie crescenti a seconda dell’anzianità di servizio continuativo del lavoratore. Si realizzerà in altri termini un sistema di tutela a geometria variabile, raffigurabile in una serie di centri concentrici di diversa ampiezza secondo le materie trattate, tali da comprendere tipologie più o meno ampie di rapporti. Sul piano della ridefinizione dei criteri di imputazione delle tutele del lavoro si potrebbe peraltro andare anche oltre la semplice predisposizione di un nucleo di disciplina comune a tutti i tipi di lavoro, rinunciando definitivamente ad una definizione generale e astratta di lavoro subordinato, indicando invece, di volta in volta, il campo di applicazione di ogni intervento normativo. Una soluzione, in questa prospettiva, potrebbe essere quella della creazione di Testi Unici, che, oltre a ridefinire il campo di applicazione — soggettivo e oggettivo — di ogni tutela (equo compenso, licenziamenti, sospensione del rapporto di lavoro, diritto di sciopero, sanzioni disciplinari, etc.), potrebbero anche concorrere alla semplificazione e razionalizzazione della normativa esistente. In sintesi, il Governo ritiene che sia indispensabile una complessiva rivisitazione del nostro ordinamento giuridico del lavoro, innanzitutto estendendo livelli minimi di tutela a tutte le forme in cui si estrinseca l’attività lavorativa. Dunque partendo dalle regole fondamentali, applicabili a tutte le forme di attività lavorativa rese a favore di terzi, quale che sia la qualificazione giuridica del rapporto, sarà poi possibile ammettere, per ulteriori istituti del diritto del lavoro, campi di applicazione via via più circoscritti, un sistema di cerchi concentrici, con una tutela che si intensificherà a favore di un novero sempre più ristretto di soggetti. Per consegnare alle imprese un nuovo sistema di gestione dei rapporti di lavoro, semplice ed agile, sarebbe utile infine sperimentare una procedura di certificazione, cioè di validazione anticipata della 41 volontà delle parti interessate all’utilizzazione di una certa tipologia contrattuale. La funzione certificatoria, utile a prevenire controversie giudiziali sul piano qualificatorio, potrebbe essere esercitata da strutture pubbliche (in sede amministrativa) od anche sindacali (gli enti bilaterali, ad esempio). Il Governo auspica che su questa proposta possano essere raccolte osservazioni ed integrazioni, nella convinzione che una riforma di tal genere necessiti del concorso progettuale di tutti gli attori, non esclusa la comunità scientifica nell’ambito della quale esse sono state a lungo dibattute. I.3.6. Responsabilità sociale delle imprese Il Governo condivide il recente Libro Verde della Commissione europea Promoting a European Framework for Corporate Social Responsibility (18 luglio 2001, COM(2001) 366 final), auspicando che gli operatori economici italiani possano sviluppare una cultura orientata verso la “responsabilità sociale”. Con questo concetto si allude, come noto, non soltanto al semplice adempimento degli obblighi di carattere legale imposti da precetti legislativi od anche di origine convenzionale, quanto anche all’impegno di andare oltre il semplice adempimento investendo sempre più nelle risorse umane. Andare oltre le prescrizioni legali minime in campo sociale può, del resto, avere un impatto rilevante sulla produttività delle imprese, anche se non può certo considerarsi una metodologia in alcun modo sostitutiva della regolazione dei diritti sociali fondamentali. La “responsabilità sociale”, intesa come investimento in capitale umano, può rappresentare una scelta strategica vincente per l’impresa, nel senso di migliorare il rendimento dei dipendenti, generando maggiori profitti, ed allo stesso tempo destando una crescente attenzione nei consumatori e negli investitori. Del resto in alcune regioni italiane la situazione del mercato del lavoro impone all’operatore economico un comportamento assai attento ai profili sociali, finalizzato ad attrarre e trattenere il capitale umano di migliore qualità. A questo fine non è certamente sufficiente attenersi agli obblighi di legge od a quanto previsto dal contratto collettivo: è necessario andare ben oltre. A ragione dunque la Commissione europea raccomanda lo sviluppo di una cultura della “responsabilità sociale” che valorizzi l’empowerment dei collaboratori, realizzando condizioni di formazione permanente, sviluppo di carriera, meccanismi di partecipazione ai profitti, puntando in definitiva alla realizzazione di risorse umane di qualità. Il Governo sollecita tutti gli attori a prestare attenzione al tema della “responsabilità sociale” delle imprese, sperimentandolo anche a mezzo di “codici di condotta” di tipo volontario che consentano ai lavoratori ed ai loro rappresentanti di valutare la politica delle risorse umane delle organizzazioni, instaurando un fruttoso dialogo con il management. Occorre in definitiva sperimentare nuove tecniche, comprensive anche di un diverso funzionamento dei meccanismi delle assicurazioni sociali, che sia ispirato alla logica del management by objectives. Ciò pur nella consapevolezza della difficoltà di definire standard di comportamento validi universalmente, compresa quella del social auditing, del ‘marchio sociale’ ed altre analoghe. La prospettiva suggerita dalla Commissione, autorevolmente confermata dal Consiglio europeo di 42 Goteborg (giugno 2001), appare in questo senso condivisibile: transitare da una prospettiva meramente regolatoria ad un developmental approach costituisce la garanzia per una visione non solo giuridico-istituzionale, ma anche dinamica del funzionamento dei rapporti di lavoro e dei mercati in cui sono inseriti. Le tutele dell’ambiente, dell’igiene e sicurezza nel lavoro, dei diritti fondamentali nella filiera produttiva globale possono rappresentare gli ambiti in cui promuovere lo sviluppo di queste iniziative volontarie. I.3.7. Giustizia del lavoro In un quadro regolatorio moderno dei rapporti di lavoro anche la prevenzione e la composizione delle controversie individuali di lavoro deve ispirarsi a criteri di equità ed efficienza, ciò che senza dubbio non risponde alla situazione attuale. La crisi della giustizia del lavoro è, infatti, tale, sia per i tempi con cui vengono celebrati i processi, sia per la qualità professionale con cui sono rese le pronunce, da risolversi in un diniego della medesima, con un danno complessivo per entrambe le parti titolari del rapporto di lavoro. E’ necessario anche in proposito guardare alle esperienze straniere più consolidate (dai tribunali industriali britannici ai probiviri francesi) per trarne motivo di riflessione e di approfondimento. La situazione, specialmente in alcune sedi giudiziarie, è davvero grave e deve essere affrontata con assoluta urgenza. A tal proposito il Governo considera assai interessante la proposta, da più parti avanzata, di sperimentare interventi di collegi arbitrali che siano in grado di dirimere la controversia in tempi sufficientemente rapidi. Tutte le controversie di lavoro potrebbero essere amministrate con maggiore equità ed efficienza per mezzo di collegi arbitrali. Con particolare riferimento al regime estintivo del rapporto di lavoro indeterminato, si potrebbe anche considerare a riguardo la possibilità di conferire allo stesso collegio arbitrale di optare per la reintegrazione o per il risarcimento, avuto riguardo alle ragioni stesse del licenziamento ingiustificato, al comportamento delle parti in causa, alle caratteristiche del mercato del lavoro locale. Fra l’altro alcune recenti intese fra le parti sociali hanno certamente rafforzato la soluzione arbitrale in alternativa a quella giudiziale, pur nei limiti e nel rispetto dei principi costituzionali che vietano l’obbligatorietà di tale mezzo di soluzione delle controversie (v. recentemente Cass. SU 527/2000). Il Governo a riguardo considera con perplessità le conclusioni, non unanimi, cui è approdata sul punto la “Commissione per lo studio e la revisione della normativa processuale del lavoro” che ha operato nel corso della passata legislatura per incarico del Ministero della Giustizia e del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale. Si legge, infatti, nella Relazione che non si è raggiunto consenso sull’abrogazione –pure sostenuta da numerosi commissari- del divieto di compromettibilità in arbitri delle controversie ex art. 409 cod.proc.civ. e su clausole compromissorie, trasfuse nel contratto collettivo e richiamate nel contratto individuale, che consentano la devoluzione in arbitri anche quando abbiano ad oggetto diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di legge o da contratti collettivi, nonché sull’impugnabilità, in un unico grado davanti alla Corte d’Appello, e solo per vizi procedimentali. Insufficiente a 43 rilanciare l’istituto arbitrale nelle controversie di lavoro sarebbe poi la soluzione che vincola l’arbitro al rispetto della legge e dei contratti collettivi –impedendo così giudizi basati sull’equità- e considera impugnabile il lodo, per qualunque vizio, innanzi alla Corte di Appello. Occorre approfondire comunque il confronto su questa prospettiva, nella convinzione che in ogni caso l’ immediata esecutività del lodo nonostante l’impugnazione proposta (principio accolto anche nelle stesse intese fra le parti sociali) potrebbe incentivare considerevolmente questo istituto processuale. Pure nel rispetto dei limiti di natura costituzionale che impediscono di dichiarare il lodo non impugnabile, l’istituto arbitrale sarebbe assai incentivato nel ricorso volontario delle parti se la decisione venisse resa su base equitativa –unica garanzia per tempi certi- e l’impugnabilità potesse essere proposta solo per vizi di procedura. Il Governo auspica che su questo punto si apra un confronto capace di produrre una proposta capace di modernizzare la gestione della giustizia del lavoro. 44 II. OBIETTIVI E POLITICHE II.1. Occupabilità (more jobs…) II.1.1. Obiettivi quantitativi Nel disegnare i diversi singoli interventi di politica del lavoro e più in generale di politica economica e finanziaria, è intenzione del Governo fare costante riferimento ad un obiettivo complessivo di crescita occupazionale –più precisamente di crescita del tasso d’occupazione- verso i livelli posti in sede europea. Intendimento del Governo è di procedere al confronto con le parti sociali e con gli altri attori istituzionali interessati avendo sempre questo obiettivo quantitativo di crescita come misura del proprio operare. Rispetto ai target europei – 70% e 60 % rispettivamente per il tasso di occupazione totale e femminile nel complesso delle classi d’età tra 15 e 64 anni, 50% per quello dei 55-64enni – il divario che ancora caratterizza il nostro paese è particolarmente ampio. Avendo a riferimento il tasso di occupazione complessivo, l’aumento necessario per eliminarlo (nell’arco di un decennio) sarebbe pari all’incirca al triplo di quanto ottenuto nel quinquennio 1995-2000 e richiederebbe di replicare quanto, in ambito europeo, ottenuto nello stesso periodo solo da Olanda o Irlanda (facendo quindi meglio di Spagna, Finlandia o Portogallo), situazioni in cui la crescita occupazionale è stata innalzata da fattori peculiari, quali il forte sviluppo del part time ed il pieno dispiegarsi d’un processo di catching-up. Nel delineare lo scenario macroeconomico della legislatura da poco avviata, il DPEF del luglio 2001 ha perciò fissato, come soglia al 2006, impegnativa ma prudente, un livello del tasso d’occupazione complessivo del 58.5% ( cinque punti in più rispetto al 2000). Il raggiungimento di tale obiettivo, che richiede condizioni macroeconomiche favorevoli, già garantirebbe un balzo in avanti rispetto al quinquennio 1995-2000, soprattutto alla luce del fatto che, al contrario di quanto avvenuto in quel quinquennio, i fattori demografici non giocheranno a favore della crescita dell’occupazione ed i livelli occupazionali ormai raggiunti in taluni segmenti di mercato renderanno sempre più pressante il vincolo alla crescita che potrà scaturire dalla carenza di manodopera in talune parti del mercato21. La soglia ora indicata è anche l’obiettivo che il Governo ha indicato, in sede Europea, come contributo italiano al raggiungimento dei target che l’Unione ha fissato, al 2005 ed al 2010, per l’insieme dei Paesi Membri. Il raggiungimento di quella soglia non sarebbe traguardo da poco, anche considerando la necessità che le politiche occupazionali qui descritte si dispieghino in un contesto macroeconomico positivo –un contesto su cui potrebbero incidere in senso sfavorevole le vicende internazionali- e le difficoltà che la situazione dei conti pubblici ereditata dal passato creano agli interventi necessari di riduzione del carico contributivo e di attuazione di adeguate politiche attive e passive del lavoro. Tuttavia, il Governo sottolinea come esso 21 Sull’entità i entrambi i fattori si veda il Rapporto di Monitoraggio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali sulle politiche del lavoro no. 1-2001, scheda 1. 45 intenda operare affinché l’Italia possa progressivamente accostarsi ai livelli e ai traguardi esistenti per l’UE nel suo insieme. Le aree dove maggiore è il gap con quei traguardi e dove minori sono stati i progressi pur registrati nel quinquennio 1995-2000 – in particolare il lavoro dei più anziani (calato nel recente passato) e le regioni del Mezzogiorno (dove più flebili e meno consolidati sono stati i segnali di miglioramento nel recente passato) - sono, al tempo stesso, quelle più critiche al fine di raggiungere lo stesso obiettivo minimo prima detto e quelle dove maggiori sono le opportunità di superamento di quell’obiettivo. II.1.2. Politiche attive Le caratteristiche del nostro mercato del lavoro mostrano che abbiamo molta strada da percorrere prima di raggiungere gli obiettivi che, con riferimento ai tassi di occupazione, la Comunità ha indicato agli Stati membri. La disoccupazione giovanile, la disoccupazione di lunga durata , la concentrazione della disoccupazione nel Mezzogiorno, il modesto tasso di partecipazione delle donne e degli anziani, sono tutti fattori di debolezza strutturale della nostra economia , che ne limitano il grado di competitività all’interno della Comunità. L’elevata disoccupazione e il basso tasso di occupazione trovano origini lontane nel tempo e devono essere curati con interventi di carattere strutturale. Senza questi interventi, vi è il pericolo che la politica di sviluppo indicata dal Governo vada incontro a strozzature che ne possono limitare l’efficacia e le potenzialità. L’offerta di lavoro da mobilitare è localizzata soprattutto nelle regioni meridionali, ma anche in quelle settentrionali si riscontrano segmenti consistenti di offerta potenziale che possono essere meglio sfruttati. Nei confronti di questa offerta, in parte palese, in parte nascosta (e in parte impiegata nel lavoro sommerso) occorre agire innanzitutto sui fattori che rendono più conveniente il loro impiego da parte delle imprese del segmento ufficiale del mercato del lavoro. In termini economici occorre sviluppare la domanda di lavoro attraverso interventi sul costo del lavoro per unità di prodotto e, più in particolare, sulle singole componenti in cui esso si articola: retribuzioni, cuneo fiscale e produttività. Gli strumenti vanno individuati ed attivati in modi diversi, a seconda del segmento dell’offerta su cui si vuole intervenire. In diverse parti del Paese si è raggiunta praticamente la piena occupazione, nel senso che la disoccupazione è scesa a livelli fisiologici, eppure non si sono raggiunti ancora livelli dei tassi di occupazione paragonabili a quelli dei nostri partners europei. Se ne deduce che per raggiungere quell’obiettivo di occupazione occorre far leva sugli strumenti che possano incentivare una maggiore offerta di lavoro, in particolare quella delle donne e degli anziani. Le componenti strutturali della nostra disoccupazione, quella giovanile, quella concentrata nel Mezzogiorno, quella di lunga durata (e si osservi che esiste una forte sovrapposizione fra queste diverse tipologie di disoccupazione) vanno affrontate con un opportuno “mix” di tutti gli strumenti di politica del lavoro , anche dello strumento che sta alla base del funzionamento stesso del mercato del lavoro e cioè i differenziali retributivi . E ciò vale soprattutto quando lo 46 strumento degli incentivi fiscali non può essere utilizzato nei modi e nelle misure voluti. Questo è il caso della disoccupazione meridionale. Il Governo ritiene che sia necessario, anche a seguito delle indicazioni che continuano a provenire dalla Commissione Europea nell’ambito della Strategia Europea sull’Occupazione, un nuovo assetto della regolazione e del sistema di incentivi e ammortizzatori che realizzi un bilanciamento tra flessibilità e sicurezza, avendo come obiettivo ultimo più occupazione e meno precarizzazione. Pertanto, esso invita le parti sociali affinché si ponga attivamente in costruzione un sistema di politiche di lavoro nel quale stabilità e sicurezza siano riferite non più al singolo posto di lavoro bensì all’occupazione e al mercato del lavoro. II.1.3. Servizi pubblici all’impiego Le politiche attive si basano anzitutto sul miglioramento del sistema di diffusione delle informazioni nel mercato del lavoro, in particolare quelle sui posti vacanti, sui fabbisogni di personale, sulle possibilità di “training” rivolte ai giovani e ai lavoratori e, infine, sulle caratteristiche dei lavoratori disoccupati. Su questo terreno il nostro paese è strutturalmente arretrato e ciò pesa negativamente sul funzionamento di tutto il mercato del lavoro. L’assorbimento di una quota della disoccupazione strutturale e l’innalzamento del tasso di occupazione dipenderanno in misura rilevante dal successo che avranno le politiche di diffusione e di scambio di queste informazioni. Pertanto, il Governo auspica che, pure nel rispetto delle prerogative di ogni attore, venga impressa una decisa accelerazione alle misure che possano favorire un efficiente ed equo incontro tra domanda e offerta. Il Governo ritiene che l’attuale ordinamento giuridico del lavoro si limiti a realizzare la protezione del lavoratore in quanto titolare di una posizione lavorativa, garantendo agli insiders una posizione di privilegio a scapito degli outsiders, sostanzialmente abbandonati a se stessi da strutture di collocamento pubblico del tutto inadeguate. Se occorre da un lato rimodulare convenientemente la protezione accordata al lavoratore occupato, dall’altro è necessario assicurare una più alta tutela sul mercato. Sul piano del rapporto di lavoro si tratta quindi di stimolare l’adattabilità dei dipendenti (vale a dire flessibilità e formazione); su quello del mercato le autorità comunitarie richiedono agli Stati membri di realizzare un sistema pubblico di servizi all’impiego che, integrando e lasciando competere al tempo stesso operatori pubblici e privati, garantisca l’occupabilità. E’ del tutto evidente che l’ordinamento italiano contrasta apertamente con tali indicazioni comunitarie: alla iper-tutela degli occupati si contrappone, infatti, la sotto-tutela dei disoccupati. Come già anticipato, l’Italia non si è adeguata negli ultimi anni alla richiesta fondamentale rivoltale dalle autorità comunitarie nell’ambito della Strategia Europea per l’Occupazione, cioè di riorientare in forma preventiva il proprio sistema di servizi pubblici all’impiego. Nel Paese, a livello di Governo ma anche di Regioni e di enti locali, c’è stata una forte sottovalutazione di questi impegni 47 comunitari finalizzati a migliorare la capacità di inserimento professionale del nostro sistema pubblico di collocamento Il Governo intende raccogliere le Raccomandazioni rivolte dall’Unione Europea, proseguendo con determinazione nella modernizzazione dei servizi pubblici per l’impiego. A questo proposito sarà necessario un raccordo più stretto con le competenze e l’attività delle Regioni e delle Province, anche al fine di valutare il grado di efficienza raggiunto dalle strutture decentrate del collocamento pubblico. Il d. lgs. 181 rimane certamente la cornice normativa per l’attuazione concreta di politiche preventive, attribuendo ai servizi per l’impiego, tra gli indirizzi generali, il compito di effettuare una proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo, di formazione e riqualificazione a disoccupati e inoccupati di lunga durata, non oltre dodici mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione (sei mesi per coloro che godono di trattamenti previdenziali). Lo stesso decreto prevede inoltre l’offerta da parte dei servizi pubblici per l’impiego di un colloquio di orientamento entro sei mesi dall’inizio dello stato di disoccupazione a tutti i giovani disoccupati. Il Governo dunque si impegna in questa prospettiva a riorientare, di intesa con le Regioni e le Province, con maggiore incisività i servizi per l’impiego verso una logica di prevenzione, al fine di ridurre i flussi e le permanenze nella disoccupazione. In questo quadro, uno sforzo di maggiore attenzione verrà rivolto all’attuazione degli interventi di prevenzione della disoccupazione di lunga durata dei lavoratori anziani e di prolungamento della loro vita attiva. Tali misure riguarderanno il sistema previdenziale, la riduzione nel livello dei sussidi e l’incentivazione, sia sul fronte della domanda sia su quello dell’offerta di lavoro, della permanenza dei lavoratori anziani nella vita lavorativa. Ugualmente ai servizi pubblici all’impiego dovrà essere demandata la funzione di agire in termini di controllo nell’erogazione dei sussidi di disoccupazione. Il Governo ritiene, pertanto, urgente, una riforma organica delle regole sul mercato del lavoro, nel senso della massima semplificazione delle procedure di collocamento, del più efficace potenziamento delle azioni di prevenzione e della massima efficacia dei servizi, attraverso un modello che contempli la cooperazione e la competizione tra strutture pubbliche, convenzionate e private. Pertanto, vanno individuate e sistematizzate le attività riconducibili ad una residua funzione pubblica (anagrafe, scheda professionale, controllo dello stato di disoccupazione involontaria e della sua durata, azioni di sistema) da assicurare mediante i servizi pubblici all’impiego e strutture convenzionate (pubbliche e private); mentre vanno affidate al libero mercato le attività di servizio, in un regime di competizione e concorrenza tra i servizi pubblici e gli operatori privati autorizzati. Il Governo valuta positivamente l’esperienza in atto per iniziativa del Comune di Milano dove è stata realizzata un’intesa fra le parti sociali e con la collaborazione della Regione Lombardia e la Provincia di Milano si è dato luogo ad un servizio pubblico finalizzato all’integrazione occupazionale e sociale di categorie a rischio di esclusione (extracomunitari, over 40 espulsi da processi produttivi, ecc.). Tale esperienza testimonia eloquentemente il possibile ruolo che anche gli enti locali possono svolgere, nella collaborazione con le parti 48 sociali, avendo riguardo con maggiore prossimità alle caratteristiche di ogni singolo mercato locale del lavoro. Il Governo ritiene assai urgente un intervento che, nel rispetto delle competenze delle Regioni e delle Province, consenta in tempi rapidi un’accelerazione nel processo di riorganizzazione dei servizi pubblici all’impiego, in ottemperanza alle raccomandazioni ricevute dall’Unione Europea. Occorre intervenire su più fronti. Un intervento prioritario è investire risorse nel servizio stesso, soprattutto in termini di maggiori e migliori competenze e professionalità degli operatori coinvolti. Fare efficacemente intermediazione nel mercato del lavoro significa possedere capacità professionali di alto livello; occorre rompere con la tradizione e la cultura dei timbri e delle pratiche burocratiche. Le competenze necessarie sono di carattere specifico, quasi imprenditoriali e implicano una profonda ed aggiornata conoscenza del mondo e del mercato del lavoro. Al Governo spetta un insostituibile ruolo di monitoraggio, di promozione, di “modellizzazione” degli interventi, di diffusione delle pratiche migliori (gli esempi non mancano) e di indirizzo generale. La seconda direzione di intervento concerne un regime di competizione e, al tempo stesso, di cooperazione fra attori privati e servizio pubblico. La cooperazione non deve avvenire a discapito del pieno dispiegarsi dei meccanismi concorrenziali tra i diversi operatori, ma sarebbe improponibile per l’operatore pubblico fare a meno della cooperazione con i privati, immaginando di poter gestire efficacemente in-house l’intero spettro di servizi. Il ricorso a meccanismi di mercato in una logica di outsourcing di servizi andrebbe perciò opportunamente valorizzato anche per quanto concerne la fornitura di servizi il cui disegno generale rimanga nelle mani dell’operatore pubblico. La cooperazione tra pubblico e privato è comunque essenziale soprattutto per quanto riguarda la produzione e l’utilizzo delle informazioni. Tutti i segmenti del mercato del lavoro vanno adeguatamente serviti, ma sarebbe pericoloso e controproducente che il servizio pubblico continuasse a presentare l’immagine di un servizio inefficiente e diretto unicamente alle frange marginali della forza di lavoro. Certamente il target principale deve essere quello di aiutare i più bisognosi, ma si ricordi quanto detto sopra e cioè che l’attivazione dell’offerta di lavoro marginale e potenziale rappresenta nel nostro Paese un obiettivo non solo di equità, ma anche di efficienza di tutto il mercato del lavoro. Questa offerta di lavoro deve essere resa sì “adattabile” e “competitiva” sul mercato del lavoro, ma deve essere resa anche “occupabile” in modo dignitoso e il problema della occupabilità non può essere affrontato in modo tale da accentuare le segmentazioni esistenti nel mercato del lavoro. Per offrire “buoni” posti di lavoro anche a questi segmenti di offerta occorre dare a questi un accesso adeguato alle informazioni che vengono raccolte sulle opportunità di impiego. Il mondo della produzione e le strutture private che sorgeranno per garantire una maggiore e migliore diffusione delle informazioni e per facilitare l’incontro domanda ed offerta, dovranno aiutare il servizio pubblico ad abbandonare l’immagine di un servizio inefficiente, tutt’al più capace di assicurare qualche 49 forma di assistenza diretta di tipo passivo e di svolgere talvolta il ruolo di datore di lavoro di ultima istanza. Va accelerata la realizzazione di un’infrastruttura informatica integrata, pubblico-privata, per l’incontro domanda-offerta, riformando l’attuale SIL, che dovrà connotarsi come un sistema policentrico, in cui il ruolo del livello centrale sia ricondotto alle funzioni di supporto informativo alle politiche del governo, alla definizione degli standard ed alla gestione dell’interoperabilità tra i vari sistemi regionali e locali. Vanno progettati e supportati interventi specifici per l’implementazione territoriale dell’infrastruttura, attraverso azioni di sistema pilotate con un’agenzia strumentale, d’intesa con Regioni e province. Tali azioni dovrebbero concentrarsi sulla diffusione degli standard, sull’evoluzione delle soluzioni applicative in senso web-oriented e loro messa a disposizione sia dei servizi pubblici (compresi gli istituti scolastici) sia degli operatori privati, sulla formazione degli operatori pubblici alla loro utilizzazione, sullo sviluppo del front-office per una migliore fruizione dei servizi da parte dei cittadini e delle imprese. Al tempo stesso, andrà garantito il coordinamento operativo, anche a fini di vigilanza oltre che di monitoraggio statistico dei fenomeni e delle politiche, tra basi operative degli Enti previdenziali e SIL Come regolare questo mercato dell’informazione non sarà facile: occorrerà garantire un giusto “mix” fra pubblico e privato, fra comportamenti concorrenziali e comportamenti collaborativi. Saranno le Regioni a trovare il giusto dosaggio dei due fattori e a rendere compatibili le diverse esigenze, entro regole fissate dal Governo e dal Parlamento. II.1.4. Operatori privati per il lavoro Il Governo ritiene che occorra agire affinché si fondi stabilmente un sistema maggiormente concorrenziale fra pubblico e privato, consentendo di gestire anche in forma imprenditoriale l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Appare urgente, a tale fine, innanzitutto superare il vincolo dell’“oggetto esclusivo” e consentire l’attività di operatori privati polifunzionali, variamente capitalizzati in relazione ai servizi autorizzati, opportunamente vigilati e regolati in modo da limitare in particolare gli obblighi informativi. L’attuale normativa sulle agenzie private di collocamento, a causa degli eccessivi appesantimenti burocratici che la caratterizzano, è stata la causa principale dell’evidente insuccesso che finora ha contrassegnato il ruolo degli operatori privati, con l’eccezione delle società di lavoro temporaneo. Il Governo considera allo stesso modo necessario rivedere pienamente la normativa introdotta per regolare il ruolo degli operatori privati impegnati nel lavoro temporaneo, nella ricerca e selezione del personale, nel supporto alla ricollocazione professionale e, più in generale, che si occupano a vario titolo della mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Il regime farraginoso e inutilmente complesso varato nella scorsa legislatura appare di impossibile gestione ed il Governo ritiene si debba pervenire ad un unico regime autorizzatorio per tutte le organizzazioni private impegnate nel servizio di collocamento nel mercato del lavoro. Una regolazione più semplice ed efficace consentirà, peraltro, un più deciso contrasto di tutte le forme di abusivismo. 50 Ugualmente, il Governo auspica che venga impressa una decisa accelerazione alle misure che possano favorire la diffusione di operatori privati polifunzionali dedicati ad un efficiente ed equo incontro tra domanda e offerta. II.1.5. Formazione e lavoro Occorre un ripensamento generale sugli obiettivi che il nostro paese deve perseguire nel settore congiunto del lavoro e della formazione. Il traguardo di elevare sensibilmente il tasso di occupazione comporta una serie di condizioni da soddisfare. Innanzitutto i giovani che, finiti i loro studi, si presentano sul mercato del lavoro, devono trovare un posto molto più velocemente di quanto non succeda oggi, con tempi di attesa lunghissimi, spesso superiori ad un anno. Appare necessario che Stato e Regioni fissino una serie di tappe da percorrere in vista di un obiettivo finale. Le tappe dovranno indicare una progressione nel numero di giovani che dovranno essere coinvolti in un processo di apprendimento integrato che possa facilitare ed accelerare il passaggio fra scuola e lavoro. Il riordino dei contratti con finalità formative è stata una delle maggiori inadempienze riscontratesi durante il corso della passata legislatura. Si tratta di un adempimento al quale il Governo è chiamato dall’art. 16 della legge 196 del 1997, il quale prevede l’emanazione di norme regolamentari per disciplinare organicamente la materia in questione. Occorre porre mano senza ulteriori ritardi a questo adempimento, ed il Governo sollecita a tale proposito proposte e commenti di Regioni, enti locali e parti sociali. Per i contratti a causa mista in senso proprio gioverebbe senz’altro una maggiore distinzione delle funzioni alle quali tali tipologie contrattuali possono assolvere. In questa ottica potrebbe prospettarsi una distinzione orientata da un lato a valorizzare il ruolo dell’apprendistato come strumento formativo per il mercato, mentre il cfl dovrebbe essere concepito come strumento per realizzare un inserimento mirato del lavoratore in azienda. Un’impostazione del genere farebbe dell’apprendistato una tipologia contrattuale funzionale alla esigenze effettive del mercato del lavoro, logica che dovrebbe essere imposta anche dall’applicazione del principio innovativo introdotto dalla stessa legge 196 del 1997, consistente nella subordinazione del riconoscimento dei benefici contributivi alla partecipazione dell’ apprendista alle iniziative di formazione esterne all’ azienda. Il cfl dovrebbe, invece, concorrere a realizzare un adeguamento della professionalità posseduta dal lavoratore alle concrete esigenze dell’impresa che lo assume. Un intervento riformatore potrebbe utilmente uniformare i benefici contributivi per tutti i settori, stabilendo una soglia di età unica ed estendendone la durata. Anche l’iter procedimentale di assunzione andrebbe snellito e velocizzato. Inoltre, potrebbe ipotizzarsi anche una revisione dei limiti di età ed un’individuazione dei target di popolazione da raggiungere in coerenza con le scelte comunitarie, rendendo tale istituto funzionale anche al reinserimento 51 lavorativo e aggiungendo una rimodulazione degli incentivi che – per i lavoratori con anzianità superiore a quella consentita dalla normativa comunitaria – potrebbero consistere in una forma di rimborso dei costi sopportati per le attività formative. Il Governo intende però anche verificare in che misura un sistema normativo meno rigido – per quanto attiene il lavoro a termine in genere e l’inserimento nel mondo del lavoro dei più giovani in particolare - possa consentire di liberare risorse finanziarie dall’incentivazione dei contratti a causa mista. Occorre semplificare e chiarire il sistema attuale, confermando la validità delle “esperienze lavorative” (come i tirocini con finalità formative) che, per espressa previsione legislativa, non costituiscono un rapporto di lavoro, occasioni estremamente preziose per consolidare un collegamento fra scuole/università e mondo delle imprese. A tale proposito, il Governo considera assolutamente decisiva l’attuazione della riforma degli ordinamenti didattici universitari laddove essa prevede che gli studenti possano maturare crediti formativi attraverso lo svolgimento di tirocini presso aziende e pubbliche amministrazioni. E’ davvero auspicabile che le Università italiane compiano uno sforzo per assicurare a tutti gli studenti un’occasione di occupabilità, realizzando un’insostituibile funzione di facilitare la transizione dalla scuola al lavoro. Il Governo richiama anche l’attenzione delle Regioni, degli enti locali e delle parti sociali affinché su scala territoriale si sviluppi un’intensa collaborazione con gli Atenei per agevolare la nuova funzione di orientamento al lavoro. Il Governo ritiene utile insistere nella sperimentazione del tirocinio d’impresa, cioè del meccanismo finalizzato a favorire il subentro del tirocinante nell’attività imprenditoriale. Al giovane dovrebbe essere corrisposto un sussidio simile a quello già previsto per le borse-lavoro, mentre all’imprenditore verrebbero riconosciute agevolazioni fiscali e previdenziali. Qualora il tirocinio si concluda con la cessione dell’impresa al tirocinante, potrebbe essere riconosciuta una sorta di prestito d’onore. Misure di questo genere devono essere promosse per incoraggiare una cultura dell’imprenditorialità, consentendo, nel contempo, ai titolari dell’impresa di programmare la cessione della propria attività. Il Governo invita le parti sociali a riflettere in merito alla riforma dei contratti a causa mista in corso, soprattutto sullo strumento dell’apprendistato, approfondendo gli aspetti della quantità e della qualità della formazione esterna e interna ai luoghi di lavoro, anche in considerazione delle sollecitazioni che a tale riguardo provengono dall’Unione Europea. Così come si finanzia con risorse pubbliche il processo di innovazione, altrettanto si deve fare con la formazione continua, sostenendone la domanda. I sistemi migliori più rapidi e a maggior diffusione, utilizzati per concedere agevolazioni in questo settore, sono quelli di tipo diretto. L’intermediazione delle parti sociali può essere utile, soprattutto nei processi di ristrutturazione, laddove la formazione può risultare necessaria per salvaguardare il patrimonio di risorse umane costruito nel tempo. Per il resto è opportuno rendere i finanziamenti più diretti e trasparenti. Molte lentezze di tipo semi-burocratico hanno impedito sinora un sufficiente volume di investimenti in 52 formazione continua. Il credito di imposta può essere considerato nella maggioranza dei casi, come lo strumento migliore per garantire tempestività e trasparenza dell’aiuto pubblico. Gli investimenti formativi effettivi decisi da imprese e lavoratori con strumenti automatici, nello stimolare la domanda di formazione, inducono un effettivo adeguamento dell’offerta formativa alla domanda medesima. In proposito si ricorda che già sono state previste, nella cosiddetta Tremonti-bis, norme volte a detassare gli investimenti in capitale umano. Ciò dovrebbe consentire una più attenta destinazione di risorse ad azioni che difficilmente trovano una chiara e puntuale applicazione da parte delle imprese. Oltre al credito di imposta per le imprese si possono ipotizzare “bonus“ ai lavoratori e alle famiglie, da utilizzare per “comprare” servizi di formazione presso le strutture private o convenzionate che danno maggiore fiducia agli utilizzatori del servizio. Forme di “quasimercato” devono essere individuate e su queste deve aprirsi un confronto costruttivo con le parti sociali. Il sostegno alla domanda delle imprese, dei lavoratori e delle famiglie potrà stimolare la riqualificazione dell’offerta sulla base di impulsi competitivi. Nel caso dei soggetti più deboli sul mercato del lavoro che difficilmente hanno le capacità di accedere autonomamente alle opportunità offerte, verranno previsti strumenti di supporto. Il problema di un’adeguata informazione e della qualità dell’offerta formativa deve essere risolto, oltre con l’azione dal lato della domanda, anche con l’intervento pubblico, perché lasciato a se stesso il mercato non riesce a dare, in questo campo, i risultati migliori. E’ in questo contesto che si richiede un intervento pubblico per dare indirizzi e garantire standard minimi della formazione. Gli indirizzi derivano da una migliore conoscenza di quali sono i fabbisogni professionali espressi dal mondo della produzione. Occorre uscire dalla logica, spesso seguita in passato, secondo la quale i contenuti della formazione venivano fissati da chi gestiva l’offerta senza molto interesse per le necessità espresse dalla domanda, vale a dire per i fabbisogni professionali espressi dai processi produttivi. Non vi è dubbio che i contenuti della formazione professionale devono rispondere alle esigenze del mondo produttivo e alla necessità di produrre quelle competenze che le imprese maggiormente richiedono, senza perdere di vista i valori formativi di carattere generale, le competenze di base che, nella società dell’informazione, ogni lavoratore deve possedere e quelle conoscenze che possono anticipare crescita e sviluppo. Anche questo è un servizio di natura pubblica ed occorre che anche le parti sociali, attraverso i loro enti bilaterali, diano il loro contributo. Ma l’autorità pubblica, le Regioni, deve comunque garantire che queste informazioni sui fabbisogni professionali vengano accuratamente raccolte, perché esse sono un ingrediente necessario per fare correttamente una programmazione delle attività formative. Anche in questo caso, il contributo delle parti sociali, indispensabile per creare consenso sugli indirizzi da dare alla formazione professionale, deve costituire un elemento di stimolo per i tempi di implementazione di questo strumento strategico e non un improprio condizionamento in favore delle strutture dell’offerta formativa. Il Governo invita le parti sociali ad una comune riflessione critica sull’efficacia delle attività finanziate dal fondo alimentato sulla base dello 0,30% del monte salari aziendale. 53 Gli standard minimi di qualità sono un altro importante settore di intervento pubblico. Anche in questo caso le idee e le discussioni non sono mancate, si è prodotta legislazione al riguardo, ma si è fatto in concreto molto poco. Gli standard minimi devono riguardare da un lato la “qualità” dei produttori di formazione, i quali ricevono risorse pubbliche e di queste devono rendere conto. Questo problema riguarda il delicato processo di “accreditamento” delle strutture: queste devono garantire standard minimi di efficienza. L’altro aspetto riguarda la qualità del prodotto. Questo implica innanzitutto che il sistema delle qualifiche, dei titoli, dei crediti formativi vada regolato: i contenuti della formazione devono rispettare certi standard minimi per essere riconosciuti e soprattutto per essere “apprezzati” da chi li deve utilizzare. In secondo luogo va ripensato il problema sul se e sul come legare i finanziamenti pubblici alla bontà dei risultati finali raggiunti. I finanziamenti pubblici, infatti, devono incoraggiare l’efficienza e l’efficacia degli interventi di formazione. II.1.6. Enti strumentali Le politiche attive sono assegnate alle Regioni, ma al Governo (e alla Conferenza unificata) compete un ruolo importante di raccordo. I mercati del lavoro sono tendenzialmente locali, ma occorre facilitare al massimo la mobilità tra i mercati locali. Questo è il motivo per cui il governo centrale deve svolgere un ruolo di raccordo degli interventi regionali anche su questi delicati aspetti della raccolta delle informazioni sul mercato del lavoro e sul garantire la qualità della formazione. Ad esempio, i sistemi di monitoraggio dei fabbisogni professionali nonché l’individuazione degli standard minimi della qualità delle strutture formative e dei contenuti professionali delle qualifiche devono condividere caratteristiche comuni sul territorio nazionale per evitare una segmentazione dei mercati regionali del lavoro che andrebbero contro gli interessi delle stesse Regioni. In ogni caso gli aspetti nazionali del nostro mercato del lavoro vanno difesi, curati e potenziati, perché ci presentiamo ancora all’interno e all’esterno, soprattutto nei confronti dell’Unione Europea, come un unico sistema nazionale che vuole raggiungere obiettivi di carattere nazionale. Per il resto, le Regioni devono esercitare in piena autonomia le loro funzioni. Il buon funzionamento del mercato del lavoro è un loro obiettivo specifico e strategico: ne consegue che devono avere gli strumenti, le competenze, le risorse, per raggiungerlo. Stato e Regioni potranno avvalersi dell’aiuto delle due strutture nazionali presenti nel campo delle politiche del lavoro: ISFOL e Italia Lavoro. In particolare la missione dell’ISFOL è quella di svolgere, oltre alla sua attività tradizionale di sostegno attraverso la ricerca e l’assistenza strategica al Governo e alle Regioni con le azioni di sistema a favore della qualificazione e dell’innovazione dei processi formativi previste dai Piani di utilizzazione del Fondo Sociale, un’attività di analisi, di monitoraggio dei principali indicatori del mercato del lavoro e di valutazione delle politiche. Ciò al fine di verificare se gli obiettivi indicati nel programma governativo di crescita dell’occupazione e di riforma del mercato del lavoro vengano progressivamente realizzati. A questo scopo l’ISFOL si raccorderà con le diverse strutture pubbliche esistenti presso le Amministrazioni centrali e regionali e sarà parte fondamentale dell’attività di monitoraggio delle politiche intraprese, anche tramite iniziative ad hoc, da parte 54 del Governo, predisponendo altresì rapporti periodici da presentare al Governo e alle Regioni per farne oggetto di riflessione al fine di misure correttive. Il decentramento delle competenze istituzionali aumenta l’esigenza di orientare le politiche attive del lavoro attraverso l’adozione di standard minimi di riferimento per i servizi e di azioni rivolte a riequilibrare i divari territoriali nel mercato del lavoro. In questa direzione Italia Lavoro può svolgere il ruolo di agenzia strumentale delle istituzioni, al fine di effettuare compiti di assistenza tecnica per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro, in particolare verso le categorie deboli. Inoltre, può contribuire alla diffusione degli standard dei servizi pubblici per l’impiego (informatici e metodologici), alla cooperazione tra servizi pubblici e soggetti privati nell’ambito delle azioni di sistema verso la disoccupazione di lunga durata, l’immigrazione, il reinserimento delle categorie deboli. In quest’ambito occorre rendere effettivo l’impegno, richiesto ancora una volta dalle autorità comunitarie, di costruire una società della conoscenza che si fondi su un sistema formativo che accompagni il lavoratore durante tutto l’arco della vita. Il Governo promuoverà, in stretto raccordo con le Regioni e le stesse parti sociali, azioni utili a che entro il 2003, tutti i lavoratori abbiano un’opportunità di formazione nell’informatica, secondo gli impegni assunti in sede comunitaria nell’ambito delle “linee guida” 2001 per l’occupazione. II.1.7. Incentivi e ammortizzatori Il Governo intende procedere, sempre in una prospettiva attiva e preventiva, alla riforma degli ammortizzatori sociali e degli incentivi all’occupazione, così da portare a razionalizzazione – e semplificare – un quadro normativo diventato non solo ineffettivo e inefficace, ma anche fonte di spreco di risorse pubbliche. Il riesame degli ammortizzatori, non operato nella precedente legislatura, oltre alle necessità discendenti dal quadro generale d’un mercato del lavoro diverso e più flessibile, dovrà tener conto del fatto che, allo stato, coesistono almeno tre diversi modelli d’uso degli ammortizzatori: • Un sistema assicurativo con tutele limitate nel tempo e negli importi nei settori extra-agricoli (l’indennità ordinaria); • Un sistema assicurativo ben più generoso, soprattutto per quanto attiene le durate complessivamente raggiungibili, proprio del settore industriale e che si articola su due strumenti, la mobilità e la CIG – al suo interno ulteriormente articolata su interventi ordinari, aventi una natura più ciclica, e interventi straordinari, spesso anticamera della mobilità; • Un uso come integrazione del reddito da lavoro dei trattamenti di disoccupazione, in quanto tali non generosi, nel settore agricolo – dove vi è uno squilibrio strutturale tra prestazioni e contribuzioni – e, crescentemente, nello stesso settore extra-agricolo con lo strumento dei trattamenti con requisiti ridotti. Un mercato del lavoro più flessibile – caratterizzato da maggiori flussi di creazione e distruzione di posti di lavoro e da una maggiore incidenza di carriere e percorsi lavorativi più irregolari e discontinui nel tempo – ed in cui un ruolo in 55 parte diverso, in connessione con lo sviluppo della previdenza complementare, potrà essere assunto dalle somme oggi accantonate per il TFR, richiede ammortizzatori sociali più sviluppati. È di tali sfide che deve farsi carico il processo di superamento delle differenziazioni ed iniquità del sistema tradizionale. In una logica di medio termine ciò implica la necessità: • di estendere il livello delle tutele minime fornite dagli ammortizzatori; • di prevedere trattamenti omogenei e non ingiustificatamente difformi; • di minimizzare, tenendo conto del nuovo contesto del mercato del lavoro, i possibili disincentivi al lavoro che dagli ammortizzatori possono discendere. La prima esigenza implicherà, sia pure gradualmente, un ampliamento verso le medie comunitarie dei livelli del volume di spesa da finanziare per via contributiva. Nella spesa complessiva - e quindi anche nel volume di contribuzioni a suo finanziamento, stante la ridotta entità della spesa addebitale a fiscalità generale - l’Italia dista dagli standard comunitari medi per oltre un punto percentuale di PIL. La necessità di rafforzare la tutela a fronte del rischio di disoccupazione, nel quadro del passaggio da un regime di tutele rigide e spesso inefficaci nell’ambito dei singoli rapporti di lavoro in essere ad un regime di tutele nel mercato e che favoriscano la mobilità del lavoro, ha perciò implicazioni che vanno riconosciute anche da un punto macroeconomico e per la politica finanziaria nel suo complesso. Essendo ferma intenzione del Governo di procedere nella riduzione progressiva del carico fiscale e contributivo gravante sul lavoro, stretti appaiono i collegamenti tra riforma degli ammortizzatori e riequilibrio complessivo della spesa per protezione sociale. Sarà inoltre presumibilmente inevitabile procedere con un approccio graduale, in cui la fermezza della direzione di marcia da intraprendere si abbini ad una gradualità dei passi concreti, che andranno intrapresi man mano che le risorse necessarie si renderanno effettivamente disponibili. La seconda esigenza comporta il passaggio da una molteplicità di strumenti ad un regime assicurativo di protezione dal rischio di disoccupazione unitario per tutti i lavoratori dipendenti (ed assimilati) che abbiano, senza colpa e non per propria iniziativa, perduto un posto di lavoro e che ne stiano attivamente cercando un altro. Coerentemente con l’approccio generale più volte esposto in questo Libro Bianco, nulla vieta che ad un regime unico che fornisca una protezione ragionevole ma contenuta si sovrappongano, per autonoma decisione degli interessati e senza alcun onere per la finanza pubblica, schemi a carattere mutualistico-settoriale. Questi possono tener conto della volontà di lavoratori ed imprese di un particolare settore di mantenere il più alto livello di protezione che oggi li caratterizza, ed utilmente mettere a frutto talune esperienze mutualistiche realizzate nel territorio tramite gli enti bilaterali. Al tempo stesso, è inoltre essenziale che determinate funzioni non propriamente assicurative oggi svolte da taluni ammortizzatori sociali – si pensi ad esempio al regime dei cd requisiti ridotti, di dimensioni tra l’altro crescenti nel tempo – vengano considerate nel disegno complessivo del sistema fiscale e di protezione 56 sociale, al fine di incentivare l’offerta di lavoro e sostenere i redditi dei soggetti più deboli. In tale ottica sarà opportuno integrare ammortizzatori sociali di stampo assicurativo, schemi assistenziali soggetti alla prova dei mezzi, quali ad esempio il Reddito Minimo d’Inserimento sperimentato nei passati anni, e disegno del prelievo fiscale – in particolare per quanto concerne le detrazioni ed i benefici connessi con lo svolgimento d’un lavoro – per far sì che il lavoro, specie nel caso dei soggetti con minori potenzialità reddituali, sia conveniente e quindi risulti essere incentivato . La terza esigenza richiamata suggerisce che il disegno di prestazioni e contribuzioni sottolinei la natura assicurativa degli ammortizzatori. Queste ultime debbono essere strettamente connesse con le prime, il cui importo non deve esser tale da disincentivare la ricerca di lavoro, dovendosi prevedere precisi limiti al ricorso continuato o ripetuto nel tempo alle prestazioni. Rispetto alle durate oggi garantite dal cumularsi nel tempo di più strumenti nei settori industriali, intenzione del Governo è quella di pervenire ad una riduzione significativa. Altrettanto importante è infine il collegamento da istituire tra percezione delle prestazioni e politiche attive, il cui fine primo deve esser quello di evitare abusi nel ricorso agli ammortizzatori. Si tratta di introdurre anche nel nostro ordinamento una fondamentale innovazione: nessuna forma di sussidio pubblico al reddito potrà essere erogata se non a fronte di precisi impegni assunti dal beneficiario secondo un rigoroso schema contrattuale. L’erogazione di qualunque forma di “ammortizzatore sociale” dovrà preventivamente basarsi su un’intesa con il percettore affinché questi ricerchi attivamente un’occupazione secondo un percorso – che possa avere anche natura formativa e che eventualmente potrà vedere anche il coinvolgimento di operatori ed intermediari privati, da concordare preventivamente con i servizi pubblici per l’impiego. Rafforzando il coordinamento, anche a livello di assolvimento dei compiti ispettivi e di connessione tra sistemi informativi, tra Centri per l’Impiego, DPL ed Enti previdenziali, la corresponsione del sussidio o indennità dovrà immediatamente essere sospesa in caso di mancata accettazione di opportunità formative od occupazionali o di inottemperanza dello schema a cui il beneficiario si sia preventivamente impegnato. In caso di reiterato rifiuto il beneficiario perderà ogni titolo a percepire il sostegno preventivamente accordato. Nel riordino dei diversi incentivi, una prima questione che il Governo intende affrontare concerne l’esperibilità di bonus fiscali e/o contributivi che vadano specificamente a vantaggio dei lavoratori a più basso reddito e più bassa qualificazione e che ne incentivino la presenza nel mercato e l’offerta di ore aggiuntive. La finalità, come in altri paesi in cui si è proceduto lungo questa strada (come ad esempio il Family credit del Regno Unito, una deduzione di imposta riservata ai lavoratori con basse retribuzioni e familiari a carico), è quella di contrastare trappole della disoccupazione e della povertà. Le questioni da affrontare in proposito sono complesse, dovendosi tener conto della interazione tra trattamento fiscale e contributivo e dei rischi di elusione fiscale e sottoinquadramento retributivo e contrattuale insiti nella presenza di trasferimenti a favore di chi non superi una data soglia reddituale. Rispetto ad 57 altre esperienze internazionali, è anche da tenere in conto il fatto che dal raccordo tra incentivi al singolo lavoratore e soglie di reddito familiare potrebbero scaturire disincentivi all’offerta di lavoro femminile nel caso delle donne sposate il cui coniuge sia già occupato, un segmento di offerta di lavoro potenziale da sollecitare che, in Italia, è ben più importante di quello delle singles con figli a carico22. Alla complessità si associano peraltro potenzialità di rilievo, dato il contesto di forte concentrazione geografica dei bassi salari nel caso italiano. La presenza di misure di questo tipo potrebbe, infatti, facilitare il processo di decentramento della contrattazione salariale e la creazione di differenziali salariali su base geografica più rispondenti alle diversità esistenti al suo interno. Il Governo chiede alle parti sociali se non sia giunto il momento di provvedere alla definizione di schemi di incentivazione aventi tali caratteristiche, al fine di attenuare possibili effetti di esclusione sociale e di povertà in alcune fasce cosiddette a rischio della popolazione. Per quanto concerne gli incentivi all’occupazione in senso proprio, le esigenze da rispettare nel quadro di un riordino complessivo della materia, inattuato nella precedente legislatura, sono: • L’aumento di selettività degli incentivi a favore dei soggetti deboli, identificabili su base territoriale (in base allo stato del mercato del lavoro tanto a livello locale quanto della macroarea in cui il soggetto opera) o sulla base di caratteristiche individuali ben precise (lavoratori licenziati, soggetti con carichi familiari, persone a rischio di divenire disoccupati di lunga durata etc.); • La previsione di sostegni e di un regime contributivo che complessivamente favorisca la trasformazione e il ricorso al contratto a tempo indeterminato, tenendo così tra l’altro conto del minor rischio di disoccupazione in esso insito e contrastando l’insorgere di segmentazioni nel mercato del lavoro. Due considerazioni appaiono in proposito rilevanti. Intenzione del Governo è riordinare gli strumenti esistenti alla luce del parallelo riordino delle tipologie contrattuali. In questo quadro, spazi finanziari atti ad accrescere la selettività degli incentivi potranno esser ottenuti dalla creazione d’un contesto normativo generale meno rigido, ed in cui meno necessario sia prevedere specifici incentivi finanziari a compensazione di rigidità normative. In particolare, il Governo vuole verificare quanto tale strada possa essere perseguita nel caso dei contratti a causa mista e delle esperienze lavorative a termine dei più giovani. Una seconda considerazione, in parte peraltro collegata con quanto sinora detto, attiene l’esigenza di tener conto, nell’individuazione dei soggetti deboli da sostenere, delle modifiche del contesto economico e sociale. Da questo punto di vista il Governo sottolinea in particolare l’esigenza di procedere ad un graduale spostamento di enfasi dalla platea dei soggetti più giovani a quella dei soggetti 22 L’esperienza statunitense dell’Earned Income Tax Credit evidenzia come i forti effetti d’incentivazione dell’offerta di lavoro femminile siano stati concentrati nel gruppo delle madri non coniugate, dove i problemi di esclusione sociale e dipendenza dal sistema di welfare erano peraltro concentrati. Nel caso italiano, la minore rilevanza di questo gruppo demografico ovviamente dovrebbe suggerire soluzioni originali. 58 più anziani, la cui permanenza nel mondo del lavoro è tra gli obiettivi prioritari dei prossimi anni, attraverso una combinazione di incentivi alla permanenza e disincentivi alla fuoriuscita dal mondo del lavoro. Un’importante questione da affrontare è quella che concerne il peso del dato territoriale nell’identificazione dei soggetti deboli, un connotato senza dubbio essenziale nel definire la difficoltà di accesso al mercato dei diversi soggetti e da cui qualsiasi sistema d’incentivazioni non può prescindere. In questa prospettiva si è già sottolineato come sia intenzione del Governo verificare in che misura siano esperibili ed efficaci misure che facilitino la creazione di un differenziale nei costi del lavoro tra aree territoriali attraverso la previsione di misure a sostegno dei redditi da lavoro più bassi. Allo stesso scopo è anche intenzione del Governo valutare attentamente anche gli effetti della riforma in senso federale dello Stato sulle politiche di incentivazione monetaria delle imprese. E’ noto, infatti, che l’art. 87 del Trattato CE non vieta l’adozione di misure di incentivazione di applicazione generale e automatica su tutto il territorio (c.d. misure generali), ma solo interventi selettivi che favoriscano talune imprese o talune produzioni rispetto a quello che è il «sistema generale di riferimento» in cui di volta in volta si colloca la singola misura incentivante adottata. In uno Stato federale, a seconda della ripartizione di competenze tra Stato federale e Stato federato, può infatti sostenersi che il «sistema generale di riferimento» rispetto al quale le autorità comunitarie sono chiamate a valutare la compatibilità di una singola misura non sia più quello dello Stato federale ma quello del singolo Stato federato. Nella prospettiva delle politiche di sviluppo del Mezzogiorno la riforma in senso federale dello Stato potrebbe pertanto garantire maggiori margini di manovra rispetto al passato anche con riferimento ai vincoli posti dall’Unione Europea. Nel riordino delle misure d’incentivazione, i nessi tra queste e gli ammortizzatori sociali, nonché tra interventi finanziari, passivi od attivi, e servizi all’impiego dovranno essere riesaminati. Il ruolo semplicemente notarile fino ad oggi assolto dalle strutture pubbliche è evidentemente inadeguato. Pur dovendosi preferire il ricorso a strumenti automatici, tanto nel caso delle misure passive quanto in quello delle misure attive, i servizi per l’impiego, pubblici e privati, possono, infatti, utilmente operare nel senso della prevenzione di abusi e di aumento della selettività effettiva di determinati strumenti, promuovendone il ricorso effettivo tra i soggetti più deboli. Il Governo ritiene che le tecniche di incentivazione economica debbano essere opportunamente combinate con adeguate forme di incentivazione normativa, specialmente con riferimento alle tipologie contrattuali più innovative. Il caso offerto dal part time, dove gli incentivi di recente previsti per le assunzioni part time a tempo indeterminato sono state sottoutilizzate per via delle rigidità normative che tuttora persistono nel ricorso allo strumento, è al riguardo particolarmente emblematico. Infatti, a fronte di 200 miliardi stanziati nel 2000, ne sono stati utilizzati appena 5, pari al 2,6%, per un totale di poco più di 3300 contratti stipulati. Tra le forme di incentivazione normativa potrà essere considerata anche l’esclusione dal computo dei dipendenti –al fine di stabilire le soglie occupazionali necessarie per l’applicazione di istituti vari del diritto del lavoro- dei soggetti che abbiano stipulato con il datore di lavoro tipologie 59 contrattuali che si intendono sostenere e promuovere al fine di incentivare l’occupazione. In quest’ambito anche lo stesso contratto a tempo indeterminato potrebbe essere considerato non computabile –sempre che esso sia funzionale alla creazione di occupazione aggiuntiva- ancorché temporaneamente per incentivare le imprese a sfuggire alla sindrome del “nanismo”, espandendosi quindi oltre le dimensioni occupazionali minime stabilite per l’applicazione di taluni istituti del diritto del lavoro. II.2. Qualità (...better jobs) La qualità del lavoro (e quindi del mercato in cui opera) è un problema europeo, certamente non solo italiano. Il Consiglio europeo di Lisbona (2000) e quello di Stoccolma (2001) hanno significativamente molto insistito sul tema dei more and better jobs e tutti gli attori istituzionali e sociali devono indirizzare le politiche del mercato del lavoro e la relativa regolazione istituzionale per sostenere quanti si trovano occupati in lavori di bassa qualità, affinché progrediscano verso occasioni di migliore qualità anziché scivolare nell’esclusione sociale e nella disoccupazione, specie se di lunga durata. Le proposte della Commissione Europea sono condensate in una recente comunicazione intitolata Employment and social policies: a framework for investing in quality (20.6.2001, COM(2001) 313 final), indirizzata al Consiglio ed al Parlamento europeo in vista del Consiglio Europeo di Laeken, dove dovranno essere adottati orientamenti vincolanti in materia per gli Stati membri, incorporandoli nella stessa Strategia Europea per l’ Occupazione. Non è evidentemente necessario ripercorrere in questa sede le proposte della Commissione sulla qualità del lavoro. In ogni caso il Governo condivide l’approccio, ormai consolidatosi da parte della Commissione europea, sempre meno interessato al profilo regolatorio più tradizionale ed invece proiettato con crescente intensità verso una dimensione altamente innovativa quanto a tecniche di intervento per realizzare gli obiettivi condivisi in sede comunitaria. Nell’impegnarsi a favore di una migliore qualità del lavoro il Governo intende soprattutto impegnarsi a favore di un mercato privo di segmentazioni al suo interno tra posti di lavoro precari ed ipergarantiti, ed in cui il lavoro sia effettivo strumento d’inclusione sociale. Per un paese come il nostro, un primo concreto estrinsecarsi di questo impegno per la qualità del lavoro è nella battaglia contro il sommerso. Più in generale, ne deriva che la qualità del lavoro è da misurare non solo e non tanto con riferimento a specifiche caratteristiche, salariali e non salariali, dei singoli rapporti di lavoro concreti, quanto con le chances che a questi si associano di ulteriore progresso nel mercato del lavoro, innanzitutto in termini di chances lavorative future. Il riferimento alla qualità del lavoro non è perciò da intendere come limitativo dell’obiettivo d’innalzamento del tasso d’occupazione prima esplicitato. Il Governo italiano sosterrà al Consiglio europeo di Laeken l’integrazione del principio della “qualità del lavoro” fra gli obiettivi della Strategia Europea per l’Occupazione, in una logica di mainstreaming. Non si deve 60 trattare di una semplice adesione formale, quanto della convinta utilizzazione di una nuova metodologia per realizzare un confronto con Regioni, enti locali e parti sociali sui temi del lavoro e dell’occupazione. Le riflessioni e gli indicatori quantitativi di qualità proposti dalla Commissione devono essere attentamente valutati in vista delle decisioni che, a fine anno, verranno adottate. A questo fine il Governo raccomanda in particolare alle parti sociali di prestare a questi indicatori la dovuta attenzione all’interno dello stesso dialogo sociale, così che eventuali intese o comunque le convergenze realizzate possano giovarsi di questa nuova metodologia. Concordare, ad esempio, che un lavoro potrà definirsi “buono” quando ad esso sono connesse prospettive di carriera o comunque sono apprestate misure finalizzate alla promozione di una prospettiva di carriera implica poi convenire sulle tecniche per realizzare questo obiettivo. Le parti sociali hanno un interesse convergente a perseguirlo, in una logica di valorizzazione e fidelizzazione delle risorse umane, per motivarle più convenientemente, esaltandone la lealtà e la produttività. Il Governo non può certo a sua volta non fare una scelta in proposito e senza dubbio occorre pronunciarsi per una politica delle risorse umane che esalti le potenzialità, la creatività, la capacità innovativa dei lavoratori italiani che devono essere messi in grado, anche con l’intervento pubblico sul mercato del lavoro, di vivere da protagonisti l’esperienza della loro vita lavorativa. Il Governo auspica che il tema della “qualità del lavoro” diventi rilevante nel confronto con gli attori istituzionali e sociali, producendo proposte ed approfondimenti in relazione agli orientamenti espressi in proposito dalla Commissione europea. In ogni caso, gli indicatori di qualità concordati in sede comunitaria saranno opportunamente utilizzati anche per la definizione dell’intervento legislativo di cornice in ragione della prospettiva federalista, al fine di disegnare un nuovo assetto regolatorio orientato al perseguimento degli obiettivi di qualità prefissati, pure nella varietà delle misure che verranno adottate, di iniziativa legislativa oppure di natura convenzionale. II.2.1. Lavoro regolare Tutti gli obiettivi sin qui elencati non potranno essere facilmente raggiunti se continueranno a perdurare gli attuali livelli di occupazione irregolare e clandestina che, come noto, raggiungono stime percentuali due o tre volte superiori rispetto a quanto si verifica negli altri paesi europei. Secondo dati ISTAT, la percentuale di lavoratori irregolari sulla forza-lavoro totale è pari a circa il 15 per cento mentre il CENSIS stima questa quota al 23 per cento. Altre recenti indagini considerano il peso dell’economia sommersa in Italia in una misura doppia rispetto a quella della media dei paesi dell’Unione Europea. In continuo aumento è anche il fenomeno del lavoro irregolare da parte di immigrati clandestini, privi di regolare permesso di soggiorno. La gravità del fenomeno è evidente per tutti: non si tratta soltanto di arginare fenomeni di concorrenza sleale, ma anche di creare regole per una competizione equa e socialmente sostenibile, e che soprattutto eviti il rischio di degenerare in fenomeni di collusione con la criminalità organizzata, con il caporalato, con lo sfruttamento del lavoro minorile e di soggetti con scarsa forza contrattuale sul mercato del lavoro. 61 Le analisi socio-economiche sulle ragioni di questa larga diffusione del lavoro sommerso sono concordi nel sottolineare la maggiore convenienza del lavoro nero rispetto a quello regolare, e questo sia sul lato della domanda sia su quello dell’offerta. Le convenienze del lavoro irregolare, cioè, raramente sono imposte da uno dei due contraenti, ma sono in genere tali da dare vita a fenomeni di collusione difficili da sradicare. Da questo punto di vista la soluzione dei c.d. contratti di riallineamento retributivo, da tempo sperimentata nel nostro ordinamento, se certo ha rappresentato un’innovazione nelle strategie di emersione del lavoro non regolare, in quanto affianca alla logica repressivosanzionatoria una prospettiva di tipo promozionale e incentivante, non pare tuttavia in grado di fornire risposte soddisfacenti. Il vero limite dei contratti di gradualità è che essi si limitano a neutralizzare temporaneamente, con un incentivo economico, il disincentivo alla regolarizzazione rappresentato da norme sul lavoro che risultano impraticabili in alcune aree del Paese, senza incidere sulle cause che inducono le imprese e i lavoratori a fuoriuscire dal mercato del lavoro regolare. Ampia dimostrazione di ciò è data dalle enormi difficoltà di sopravvivenza in cui si imbattono le (non molte) imprese sino a oggi emerse per un numero di posizioni lavorative regolarizzate (circa 190.000) del tutto marginale rispetto alle attuali dimensioni del fenomeno. La vera soluzione pare dunque quella di affrontare alla radice i problemi del mercato del lavoro e dell’economia italiana, sia attraverso una seria politica industriale che, invece di sprecare risorse pubbliche per ammortizzare i costi del lavoro, incentivi le imprese a intraprendere i necessari cambiamenti, sia attraverso un adattamento delle regole del mercato del lavoro. Per questo motivo il Governo ritiene importante il nuovo provvedimento contenente “norme per l’emersione dell’economia sommersa” adottato nell’ambito dei provvedimenti dei 100 giorni per il rilancio dell’economia. Questa nuova misura di incentivazione fiscale, per quanto innovativa rispetto al passato e perfettamente compatibile con i vincoli posti dal diritto comunitario della concorrenza in materia di aiuti di Stato, rappresenta peraltro solo il primo provvedimento di una ben più ampia strategia di razionalizzazione del sistema produttivo e di lotta alla illegalità. Gli alti tassi di lavoro irregolare spiegano peraltro i modesti tassi di occupazione del nostro Paese. Questo fenomeno alimenta un circuito perverso: i bassi tassi di occupazione e il lavoro regolare restringono la base imponibile e, con essa, il gettito fiscale necessario per alimentare la spesa pubblica. La conseguenza è o un inasprimento della pressione fiscale, con conseguente spinta all’immersione nel lavoro irregolare, o un contenimento della spesa per occupazione, politiche attive del lavoro, infrastrutture, ecc. Accanto all’intervento strutturale sul mercato del lavoro e ad un migliore e più efficiente utilizzo degli incentivi all’emersione, una strada per contrastare il lavoro nero potrebbe essere quella di agire sulla leva fiscale, come peraltro suggerito dalla Commissione Europea e realizzato in alcuni Paesi europei. Da questo punto di vista la riforma forse più interessante è quella proposta dal Consiglio UE nell’ambito della Strategia Europea per l’Occupazione, volta a ridurre in modo generalizzato la pressione fiscale e contributiva sui salari più bassi, che sono poi la vera area di proliferazione del sommerso. Considerato che i salari più bassi sono peraltro particolarmente diffusi al Sud, soprattutto tra la popolazione giovanile e 62 femminile, questo provvedimento avrebbe innanzitutto un benefico effetto per il Mezzogiorno aumentando nel contempo le prospettive di occupabilità per le categorie sociali soggette a maggiori rischi di esclusione sociale. Assieme alla Grecia, l’Italia è il Paese dell’Unione Europea con il più elevato tasso di ‘lavoro nero’. L’incapacità di affrontare con coraggio una riforma del mercato del lavoro è un vincolo non più sostenibile per le imprese che spesso sono costrette a lavorare ai margini della legalità, anche in assenza di un intento fraudolento. Proprio dall’angolo prospettico della modernizzazione del mercato del lavoro, l’esperienza comparata insegna che l’adozione di nuove e più moderne tipologie contrattuali può risultare decisiva nel contrastare il fenomeno del lavoro non dichiarato. La diffusione del lavoro autonomo tra gli immigrati può concorrere a perpetuare mestieri altrimenti destinati a scomparire nonché a favorire i processi di integrazione sociale. Assai interessante è ad esempio il caso spagnolo dove sono in corso di sperimentazione i “contratti a costo zero”. Allorché occorra sostituire una dipendente in permesso di maternità, viene consentito al datore che assuma una disoccupata di essere esentato dal pagamento degli oneri previdenziali. Una misura sicuramente convincente soprattutto per le unità aziendali di piccole e piccolissime dimensioni. Anche l’esperienza belga del “lavoro accessorio” è sorretta dalla medesima finalità di favorire la riemersione. Si tratta di attività varie (assistenza familiare e domestica, aiuto alle persone ammalate o con handicap, sorveglianza dei bambini, insegnamento supplementare, piccoli lavori di giardinaggio, collaborazione a manifestazioni sociali, caritatevoli, sportive, culturali). Tali attività vengono svolte a beneficio di famiglie, società senza scopo di lucro ed enti pubblici da soggetti quali disoccupati di lunga durata, casalinghe, studenti, pensionati. Fulcro dell’esperimento è costituito dall’utilizzazione di “buoni” in alternativa ai pagamenti diretti, per semplificare il processo e, nel contempo, certificare le prestazioni. Ogni accorgimento volto a creare un sistema di convenienze nella gestione del rapporto di lavoro contribuisce senz’altro a regolarizzare ampie zone di evasione fiscale e contributiva. Si consideri ancora il settore dei servizi di assistenza alla persona, con particolare riferimento agli anziani, caratterizzato da una diffusissima area di clandestinità, anche in considerazione del massiccio ricorso a personale di origine extracomunitaria. A tale riguardo è interessante il tentativo di realizzare intese a livello locale (come è avvenuto, ad esempio, ad iniziativa del Comune di Modena), valorizzando tipologie contrattuali come le collaborazioni coordinate e continuative che possono agevolare il processo di regolarizzazione nell’ambito di una disciplina concordata dalle parti sociali e dagli enti locali in sede territoriale. Anche lo stesso ‘Patto di Milano’ sta contribuendo a creare occupazione regolare coinvolgendo soggetti a rischio di esclusione sociale (anche in questo caso lavoratori extracomunitari ed altre categorie). La diffusione del lavoro autonomo tra gli immigrati può concorrere a perpetuare mestieri altrimenti destinati a scomparire nonché a favorire i processi di integrazione sociale. Il Governo ritiene che anche dalla modernizzazione del mercato del lavoro possa provenire una forte spinta alla regolarizzazione del lavoro non dichiarato. Tutte le misure, sintetizzate nel presente Libro Bianco, devono 63 essere concepite nell’ottica di un disegno complessivo volto a semplificare e quindi a bonificare il nostro tessuto occupazionale. II.2.2. Lavoro a tempo indeterminato Legislazione e contrattazione mantengono come obiettivo centrale la conservazione del posto di lavoro piuttosto che la mobilità del singolo nelle transizioni tra scuola e lavoro, tra non lavoro e lavoro, tra lavoro e formazione, determinando in questo modo anche una crescente divaricazione rispetto alle necessità delle imprese di forme flessibili di adeguamento della manodopera. Peraltro il permanere di situazioni occupazionali caratterizzate da un alto livello di tutela accanto a quelle, in rapida diffusione anche grazie a recenti riforme (lavoro temporaneo, assunzioni a termine, ecc.), caratterizzate da rapporti di lavoro altamente flessibili, genera nuove forme di segmentazione del mercato, contrastando gli effetti benefici della liberalizzazione dei meccanismi di ingresso nel mondo del lavoro. Una delle soluzioni potrebbe essere quella di una riforma “simmetrica” della regolamentazione che si traduce in un duplice e contemporaneo intervento sulla normativa relativa sia al contratto a tempo determinato, sia a quello a tempo indeterminato. Ciò che rileva è rendere, tra l’ altro, meno difficoltoso il passaggio a condizioni di lavoro stabile per i lavoratori che iniziano il proprio percorso con occupazioni temporanee ed eviterebbe possibili fenomeni di riduzione degli investimenti in capitale umano. Il Governo ritiene che alla nozione di sicurezza data dall’inamovibilità del singolo rispetto al proprio posto di lavoro occorra sostituire un concetto di sicurezza conferito dalla possibilità di scelta effettiva nel mercato del lavoro. Non solo ma è davvero urgente creare le condizioni perché si elevi la qualità della nostra occupazione, stimolando maggiori investimenti in risorse umane assunte in forma stabile, a tutto vantaggio di una crescente fidelizzazione, produttività, creatività e, quindi, qualità, della stessa forza lavoro. Occorre dunque incentivare convenientemente il ricorso al contratto di lavoro a tempo indeterminato, così da incrementarne l’uso, evitando, nel contempo, che si diffondano forme di flessibilità in entrata per aggirare i vincoli o comunque le tutele predisposte per la flessibilità in uscita. Il Governo dichiara a tale proposito di riconoscersi pienamente nel principio del “licenziamento giustificato”, peraltro ora solennemente proclamato nella Carta di Nizza dell’Unione Europea. Il modello sociale europeo deve certamente essere modernizzato ma non è assolutamente revocabile in dubbio la regola fondamentale per cui atti estintivi del rapporto di lavoro devono essere giustificati e motivati dal datore di lavoro, nonché sottoposti eventualmente al vaglio di un’autorità indipendente. Fin dal 1966 questa fondamentale acquisizione fa parte dell’ordinamento giuridico italiano ed il Governo dichiara di ritenerla definitivamente acquisita. Del pari deve ritenersi consolidato il regime attuale in connessione con i divieti del licenziamento discriminatorio, del licenziamento della lavoratrice in concomitanza con il suo matrimonio e del licenziamento in caso di malattia o maternità, tutte ipotesi che restano completamente estranee alla riflessione in atto. E’ bene aver presente in proposito ancora una volta l’esperienza comparata. In primo luogo, esistono Stati membri dell’Unione in cui in caso di licenziamento 64 riconosciuto illegittimo il lavoratore può pretendere unicamente il risarcimento del danno. Si tratta del Belgio, della Danimarca, del Regno Unito, della Finlandia (dove il lavoratore può tuttavia pretendere interventi di formazione, a carico del datore, che conservino o migliorino la sua professionalità). Negli altri ordinamenti è sempre prevista la possibilità di corrispondere un’indennità compensativa in alternativa alla reintegrazione nel posto di lavoro. Così in Francia dove il datore non è tenuto a dar corso all’ ordine di reintegrazione del conseil des purd’hommes, potendo liberarsi corrispondendo un’ indennità sostitutiva fino ad un massimo di 39 settimane di retribuzione. Stesso regime vige in Germania (dove tuttavia il datore di lavoro ha l’onere di motivare le ragioni che rendono impraticabile la reintegrazione), in Grecia, in Spagna (occorre un rifiuto motivato del datore a reintegrare e viene in tal caso comminata una indennità fino ad un massimo di 15 giorni di retribuzione per anno di lavoro, senza superare le 12 mensilità), in Svezia (l’indennità sostitutiva è compresa tra le 16 e 48 mensilità, a seconda dell’ età e della anzianità di servizio del prestatore). Il Governo ritiene che, per valorizzare appieno il capitale umano, presente nel nostro Paese debba essere creato un quadro istituzionale più favorevole all’utilizzazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato. Occorrerà procedere ad un attento monitoraggio dell’utilizzazione di tipologie contrattuali diverse, al fine di rilevare eventuali spinte verso un’eccessiva precarizzazione del nostro mercato del lavoro. Nel contempo il Governo ritiene debbano essere studiate nuove forme di incentivazione nell’ uso del contratto a tempo indeterminato –con particolare riguardo alla trasformazione del contratto a termine- e chiede in particolare modo alle parti sociali di confrontarsi su questo argomento, accertando l’eventuale esistenza di ostacoli normativi che frenino il ricorso a questa tipologia contrattuale, senz’ altro fondamentale per garantire una società attiva basata sulla qualità del lavoro. II.3. Flessibilità e sicurezza II.3.1. Organizzazione e rapporti di lavoro Il Governo italiano condivide pienamente la affermazione della Commissione europea secondo cui è necessario procedere organicamente ad una modernizzazione dell’ organizzazione e dei rapporti di lavoro, così come espressa nel Libro Verde Partnership for a new organisation of work (COM(97) 128) e quindi nella Comunicazione Modernising the organisation of work – a positive approach to change (COM(98) 592). Tale posizione si è poi consolidata all’ interno delle “linee guida sull’ occupazione” nel quadro del processo di Lussemburgo (v. § 3,4) dove è stato individuato un pilastro apposito, quello della “adattabilità” che impone agli Stati membri obblighi molto precisi. Giova ricordare in proposito che la ‘linea guida’ 14 per il 2001 prevede che “gli Stati membri, se del caso assieme alle parti sociali, o sulla scorta di accordi negoziati dalle parti sociali: 65 “esamineranno il quadro normativo esistente e vaglieranno proposte relative a nuovi provvedimenti e incentivi per assicurarsi che essi contribuiscano a ridurre gli ostacoli all’occupazione, ad agevolare l’introduzione di un’organizzazione del lavoro moderna e ad aiutare il mercato del lavoro ad adeguarsi ai mutamenti strutturali in campo economico; al tempo stesso, tenendo in considerazione la crescente diversificazione delle forme di lavoro, esamineranno la possibilità di contemplare nella normativa nazionale tipologie contrattuali più flessibili e faranno in modo che coloro che lavorano con contratti di tipo flessibile godano di una sicurezza adeguata e di una posizione occupazionale più elevate, compatibili con le esigenze e le aspirazioni dei lavoratori (…)”. E’ bene tenere presente inoltre che la ‘linea guida’ 15 tratta della necessità di sostenere l’adattabilità nelle aziende nell’ ambito dell’ apprendimento lungo tutto l’arco della vita. A tal proposito si prevede che: “le parti sociali, a tutti i livelli appropriati, sono invitate a concludere accordi, se del caso, sull’apprendimento lungo tutto l’arco della vita per agevolare l’adattabilità e l’innovazione, in particolare nel campo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione. In tale contesto dovrebbero essere poste le condizioni per offrire entro il 2003 a ogni lavoratore un’opportunità di apprendere le tecniche della società dell’informazione”. Il Governo segnala alle parti sociali che alcune parti delle ‘linee guida’ appena citate riguardano direttamente la loro responsabilità e le invita ad adoperarsi conseguentemente affinché nella redazione del Piano Nazionale di azione per l’Occupazione (NAP) per il 2002 se ne possa dare adeguatamente conto. Per quanto attiene alla sua diretta responsabilità il Governo dichiara di considerare urgente predisporre misure di modernizzazione, auspicabilmente concordate con le parti sociali, anche al fine di facilitare la transizione verso un’economia fondata sulla conoscenza, così come sottolineato dalle conclusioni del Consiglio Europeo di Lisbona. Del resto, la stessa “Agenda di Politica Sociale”, concordata al Consiglio Europeo di Nizza, insiste sull’importanza di adattare la regolazione dei rapporti e dei mercati del lavoro al fine di creare un opportuno equilibrio tra flessibilità e sicurezza, invitando apertamente le parti sociali a continuare nel loro dialogo sull’organizzazione del lavoro ed in particolare sulle nuove forme di occupazione. Non è certo revocabile in dubbio che il progresso tecnologico così come i mutamenti nelle condizioni di mercato abbiano, negli ultimi decenni, modificato profondamente l’ambiente nel quale le imprese si trovano ad operare. Si è così determinata una crescente necessità di reagire con maggiore flessibilità ai cambiamenti sul fronte dell’ offerta e della domanda, mentre gli sviluppi tecnologici hanno consentito alle imprese di introdurre modalità nuove e più flessibili nell’ organizzazione dei processi produttivi. Al fine di trarre pieno vantaggio da questo potenziale evolutivo, appare evidente – nella valutazione delle autorità comunitarie, del tutto condivisa dal Governo italiano – la necessità di adattare il presente quadro regolatorio, legislativo e contrattuale, a queste nuove circostanze. L’attuale quadro regolatorio riflette, infatti, un’organizzazione del lavoro oggi completamente superata. 66 Per quanto riguarda in particolare il contesto italiano, la modernizzazione dell’ordinamento giuridico e contrattuale del lavoro è inoltre da considerarsi componente essenziale di una politica che intende contrastare il preoccupante fenomeno del lavoro non dichiarato e clandestino. Nella passata legislatura sono stati realizzati interventi importanti (ad es. la legge 196/97, il cd. Pacchetto Treu) ma ancora del tutto insufficienti. Si è proceduto troppo lentamente, scontando pregiudiziali ideologiche incompatibili con gli orientamenti comunitari richiamati. Il Governo è determinato nell’arco della presente legislatura a realizzare le riforme concordate a livello comunitario, nella convinzione che la necessità di rivedere l’assetto istituzionale preposto alla regolazione dei rapporti e dei mercati del lavoro non possa ulteriormente essere messa in discussione. Anche a tal proposito si ribadisce la finalità di questo Libro Bianco ad aprire un confronto con i soggetti istituzionali e sociali che sia produttivo di idee e proposte. II.3.2. Part-time E, bene ricordare come questa tipologia contrattuale, largamente valorizzata negli orientamenti comunitari, pure conoscendo negli ultimi tempi un netto incremento, viene ancora utilizzata in una misura ridotta rispetto agli altri paesi comunitari. In Europa usano il part time meno di noi solo Spagna e Grecia, paesi ai quali ci accomuna anche una quota ridottissima (meno dell’8%) di lavoratori anziani (fra i 55 e i 64 anni) occupati con questa forma contrattuale, così da poter favorire l’ingresso di giovani nel mercato del lavoro, uscendone loro stessi con gradualità. L’esperienza comparata è assai significativa quanto soprattutto alle tecniche incentivanti utilizzate per incoraggiare la stipulazione di contratti a tempo parziale. La Francia, al pari dell’Italia, rappresenta un caso dove gli incentivi di natura contributiva sono vanificati nella loro finalità promozionale a causa di una disciplina legislativa e regolamentare del tutto disincentivante. Invece in Germania tra gli incentivi di natura normativa è bene ricordare che fin dal 1985 le imprese con meno di 5 dipendenti sono esentate dall’applicazione della normativa sui licenziamenti illegittimi e nel computo di questo campo di applicazione rientrano soltanto i prestatori che lavorano un minimo di 10 ore settimanali o di 45 ore mensili. Sulla falsariga dell’esperienza olandese, è ora riconosciuto al lavoratore tedesco con anzianità di servizio di almeno sei mesi il diritto di ridurre l’orario di lavoro settimanale, salvo motivate ragioni aziendali. Ancor più significativo è il fatto che in Germania il datore ed il prestatore di lavoro possono concordare che quest’ultimo esegua la propria prestazione di lavoro a seconda delle necessità (cd. lavoro a chiamata o a richiesta). Nei Paesi Bassi non esistono limiti al ricorso al lavoro a chiamata, anche perché questo non viene considerato dall’ordinamento alla stregua di un vero e proprio contratto di lavoro subordinato Anche in Spagna ci si è resi conto dell’insufficienza di incentivi economici non collegati a quelli di natura normativa e con la riforma del 2001 sono stati significativamente ampliati gli spazi di ricorso al lavoro supplementare, flessibilizzando anche la distribuzione dell’orario concordato. Vale la pena ricordare infine che nel Regno Unito non esistono limiti di sorta né al lavoro a chiamata, né al lavoro supplementare. 67 In Italia l’attuazione della direttiva europea 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale ad opera dei decreti legislativi 61/2000 e 100/2001 costituisce ad avviso del Governo un esempio di trasposizione non rispettosa della volontà delle parti sociali a livello comunitario, confermata dalla suddetta direttiva. Mentre, infatti, la direttiva stessa invita gli Stati membri a rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla piena utilizzazione di questa tipologia contrattuale in una logica di promozione dell’occupazione, i decreti emanati nel corso della passata legislatura introducono nuovi vincoli e pertanto tradiscono l’intento promozionale del legislatore comunitario. Da questo punto di vista, il d. lgs. 100/2001 rappresenta senza dubbio un’ulteriore occasione mancata per rimuovere le incongruenze del quadro legale scaturito dal d.lgs. 61/2000. Inutili appesantimenti burocratici mortificano l’autonomia individuale delle parti. Soprattutto i vincoli legislativamente imposti a quelle che il legislatore chiama impropriamente “clausole elastiche” (mentre in realtà si tratta di “clausole flessibili”, relative cioè alla collocazione temporale della prestazione lavorativa ad orario ridotto e non alla sua estensione) costituiscono un vulnus all’autonomia delle parti sociali ed a quella dei soggetti titolari dei rapporti di lavoro, trattati con ingiustificata subalternità dal legislatore. Occorre rivedere prontamente tale disciplina, restituendo alla contrattazione collettiva ed alle pattuizioni individuali piena operatività. Con particolare riferimento al tema della “clausole elastiche” il d.lgs. 100/2001 ha mantenuto sostanzialmente inalterata la struttura di base del d.lgs. 61/2000, che pure dichiarava di voler modificare. In particolare sopravvivono sostanzialmente due vincoli che rendono questo strumento ben poco utilizzabile in pratica. Anzitutto la contrattazione collettiva può prevedere clausole elastiche “in ordine alla sola collocazione temporale della prestazione lavorativa”, introducendo quindi un elemento di rigidità in un istituto che invece potrebbe, se inteso con la necessaria flessibilità, contribuire a regolarizzare numerose forme di lavoro prestato con intermittenza e non suscettibile di esatta predeterminazione dalle parti. Il legislatore rivela in proposito un’ispirazione vincolistica davvero non condivisibile e non si vede perché le parti, a livello individuale, non possano accordarsi anche sulla elasticità della durata della prestazione dedotta in contratto e non già soltanto sulla flessibilità della collocazione temporale, peraltro penalizzata da vincoli di preavviso assai rigorosi. Il Governo ritiene che possa essere richiesto al datore di lavoro di specificare nel contratto le ragioni di natura tecnica, organizzativa o produttiva che rendono necessaria la natura elastica della prestazione, senza dar luogo ad ulteriori limiti od impedimenti ad opera della legge, così da non comprimere inutilmente l’autonomia contrattuale delle parti. In secondo luogo non si comprende la fondatezza del diritto del lavoratore di denunciare lo stesso patto volontariamente stipulato in vista di una prestazione di lavoro ad orario parziale secondo la formula delle “clausole elastiche”. Questo esercizio di uno jus penitendi all’interno di un accordo contrattuale liberamente sottoscritto appare del tutto incomprensibile e contravviene ai principi che governano il generale il diritto delle obbligazioni. Ancora una volta è rilevabile un atteggiamento di sospetto e di prevenzione nei confronti di forme innovative che opportunamente utilizzate potrebbero arricchire il tessuto occupazionale di 68 nuovi posti di lavoro regolari, coniugando opportunamente esigenze di lavoro ed aspettative familiari e personali. Il Governo ritiene che l’istituto della “denuncia” debba senz’altro essere superato, al fine di rispettare pienamente la libertà contrattuale delle parti. Altri ancora sono gli aspetti in relazione ai quali il legislatore nazionale ha disatteso alcune prescrizioni della direttiva comunitaria. E’ sufficiente in questa sede ricordare la mancata esclusione dei lavoratori occasionali, nonché la disciplina del diritto di precedenza dei lavoratori che hanno trasformato il rapporto da full-time a part-time in caso di nuove assunzioni a tempo pieno da parte del datore di lavoro, ben più temperata nella direttiva (“per quanto possibile, i datori di lavoro dovrebbero prendere in considerazione…”) che nel testo legislativo italiano, la cui assolutezza rischia peraltro di innescare ampi spazi di contenzioso. Occorre anche ricordare che il testo della direttiva scoraggia il ricorso al lavoro supplementare, vanificato dalla previsione del diritto di rifiuto, dal diritto al consolidamento e dalle maggiorazioni previste per legge. Da ultimo è bene ricordare che le misure legislative, finora emanate con lo scopo di incentivare il ricorso al lavoro a tempo parziale, sotto l’aspetto previdenziale si sono dimostrate assolutamente inefficaci. In particolare, l’elemento che ha inciso negativamente sulle finalità incentivanti è l’aver collegato i benefici contributivi – come ha fatto il decreto interministeriale 12 aprile 2000, in attuazione del disposto del decreto legislativo 61/2000 – solo alla stipula di parttime ad incremento della base occupazionale. Una conferma della inadeguatezza della scelta legislativa è data dallo scarsissimo impiego delle risorse finanziarie, stanziate dalle legge e già esigue di per se stesse. Un reale ed efficace impulso all’attivazione di contratti di tale tipologia può, invece, derivare da soluzioni più flessibili, tali da valorizzare convenientemente i benefici contributivi accordati, con particolare riferimento anche alla stipula di contratti a tempo parziale in favore di particolari categorie di lavoratori, considerate svantaggiate ai fini dell’inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro (giovani disoccupati, pensionati, lavoratori nel ciclo conclusivo della propria vita lavorativa, dopo che riprendono il lavoro dopo un periodo di inattività, ecc.). II.3.3. Lavoro interinale e intermediazione Il Governo ritiene che il lavoro temporaneo tramite agenzia di cui alla legge 24 giugno 1997, n. 196 abbia costituito una positiva riforma nel senso della modernizzazione del mercato del lavoro italiano. I risultati in termini di promozione dell’occupazione appaiono estremamente eloquenti ed il Governo auspica a tale riguardo che non vengano frapposti ulteriori ostacoli per sperimentare altre forme di modernizzazione capaci di provocare ricadute così interessanti sul piano occupazionale. Questo giudizio positivo non può esimere tuttavia dal rilevare che si tratta comunque di una legislazione più restrittiva di quella esistente in numerosi Paesi dell’area comunitaria, con particolare riferimento al regime di ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo. 69 Tuttavia la legge 196/1997, all’art. 2, comma 2, lett. A), secondo periodo, prevede per le imprese di fornitura di lavoro temporaneo che tale attività rappresenti, in via esclusiva, l’oggetto sociale. Ciò comporta che a tali imprese è preclusa l’attività di mediazione privata tra domanda e offerta di lavoro, l’attività di ricerca e selezione del personale non finalizzata immediatamente alla fornitura di lavoro temporaneo, nonché le attività di supporto alla ricollocazione professionale. Stante l’attuale situazione di grave ritardo nel funzionamento dei servizi pubblici per l’ impiego, la esclusività dell’ oggetto sociale di tali imprese comporta nei fatti una limitazione alle attività di incontro tra domanda e offerta di lavoro già in concreto gestite con grande efficienza, per il solo lavoro temporaneo, dalle imprese di fornitura. Al fine di favorire l’incontro di domanda e offerta di lavoro nonché di aprire il mercato della mediazione privata alle imprese di fornitura di lavoro temporaneo, occorre superare l’attuale divieto posto dalla norma citata, prevedendo espressamente che esse possano, in presenza dei requisiti stabiliti dall’art. 10 del d. lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, modificato dall’art. 117, legge 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), svolgere anche le attività di mediazione nonché di ricerca, selezione e di supporto alla ricollocazione professionale. Poiché l’art. 10 appena citato prevede tuttavia l’ esclusività dell’ oggetto sociale anche per le imprese che attualmente svolgono mediazione, ricerca e selezione o supporto alla ricollocazione professionale, anche tale disposizione deve essere rivista nell’ ambito di un disegno riformatore che riconduca ad un unico sistema autorizzatorio l’intervento dei privati nella mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Una riforma in tal senso equiparerebbe la disciplina italiana a quella già vigente in Germania, nel Regno Unito e nei Paesi Bassi. Appare altresì opportuno provvedere ad un coordinamento tra la disciplina del lavoro temporaneo e quella sui contratti a termine. E’, infatti, necessario estendere alcune forme di flessibilità recentemente introdotte affinché il lavoro temporaneo tramite agenzia non risulti ingiustificatamente penalizzato da questo jus superveniens. Si tratta di introdurre nella normativa sul lavoro temporaneo due principi, quello relativo alla causale generale di apposizione del termine e quello che rinvia alla contrattazione collettiva per la definizione dei limiti quantitativi di utilizzo del lavoro temporaneo, pur con l’esenzione da tali limiti in alcuni casi specificamente individuati. Il Governo italiano valuta infine con preoccupazione la conclusione infruttuosa del dialogo sociale a livello comunitario, a lungo coltivato in vista di un’intesa sul lavoro temporaneo mediante agenzia. Pur nel rispetto delle iniziative che ora la Commissione europea vorrà intraprendere, il Governo segnala la necessità che la futura disciplina comunitaria tenga convenientemente in considerazione le peculiarità dei diversi sistemi nazionali, pur non rinunciando ad affermare il fondamentale principio della parità di trattamento già peraltro sancito dalla legislazione italiana. Il Governo ritiene che il lavoro temporaneo tramite agenzia possa assolvere anche ad un’importante funzione di integrazione sociale a favore di soggetti a rischio di esclusione. Una prima utilizzazione in tal senso potrebbe riguardare gli adempimenti di legge connessi al collocamento mirato dei disabili, ammettendo 70 che anche l’utilizzazione del lavoro interinale possa soddisfare gli obblighi di legge. Una seconda prospettiva riguarda la regolarizzazione del mercato irregolare dei lavoratori extracomunitari, impegnati in attività di assistenza domiciliare a favore di anziani non autosufficienti. E’, in altri termini, auspicabile che vengano esplorate ancor di più le potenzialità occupazionali di una tipologia contrattuale troppo a lungo avversata che si sta dimostrando di eccezionale efficacia. La positiva sperimentazione della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo consente ora di ripensare criticamente l’impianto complessivo della legge n. 1369/1960 che vieta la somministrazione di lavoro altrui come disposizione di carattere generale e tendenzialmente onnicomprensiva. Questa normativa, come noto, non solo ha per lungo tempo vietato l’introduzione nel nostro ordinamento del lavoro temporaneo tramite agenzia, ma ha altresì alimentato fenomeni anomali di esternalizzazione del lavoro che incidono pesantemente sia sulla correttezza della competizione fra le imprese sia sulle dimensioni delle aziende stesse che compongono il tessuto produttivo del nostro Paese. Buona parte dei precetti contenuti nella legge n. 1369/1960 appaiono superati, almeno nella loro persistente perentorietà, dall’evoluzione dei rapporti di produzione e di circolazione della ricchezza al punto da indurre spesso le imprese a “saltarli” completamente: non tanto in ragione di finalità fraudolente o di elusione dei diritti inderogabili del lavoro, quanto soprattutto per l’incompatibilità del dato legale in essa contenuto con le logiche della nuova economia. Le attuali forme di organizzazione del lavoro, soprattutto nel terziario, presuppongono ipotesi di somministrazione di lavoro (si pensi, solo per fare un esempio, alla pratica del c.d. body rental nell’ambito della consulenza informatica) che nulla hanno a che vedere con le ipotesi di speculazione parassitaria sul lavoro a cui si riferiva il legislatore all’inizio degli anni Sessanta. Le ridigità nell’utilizzo della forza-lavoro introdotte dalla legge n. 1369/1960, del resto, non trovano pari nella legislazione degli altri Paesi e penalizzano la posizione delle aziende italiane nel confronto globalizzato. Pratiche di outsourcing, ampiamente diffuse in altri contesti (ad esempio negli Stati Uniti e in Gran Bretagna), sono in Italia tuttora vietate. Il riferimento è, in particolare, all’istituto del c.d. leasing di manodopera: una tecnica innovativa di gestione del personale imperniata su rapporti con agenzie specializzate nella fornitura a carattere continuativo e a tempo indeterminato (e non a termine, come nel lavoro interinale) di parte della forza-lavoro di cui l’azienda ha bisogno per alimentare il processo produttivo. Agenzie, è bene precisare, che opererebbero in forme sicuramente più trasparenti e con maggiori tutele, di legge e di contratto collettivo, di quanto non accada oggi per effetto di vincoli soffocanti. Anche rispetto ai processi di esternalizzazione del lavoro il Governo reputa dunque necessario avviare un percorso di riforma complessiva della materia, di modo che le istanze di tutela del lavoro, che devono essere mantenute rispetto a forme di speculazione parassitaria sul lavoro altrui, non pregiudichino la modernizzazione dei meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro. 71 II.3.4. Lavoro intermittente Il Governo ritiene che sarebbe utile introdurre nel nostro ordinamento una nuova tipologia contrattuale definibile come “lavoro intermittente” (altrimenti detto “a chiamata”), al fine di contrastare tecniche fraudolente o addirittura apertamente contra legem, spesso gestite con il concorso di intermediari e caporali. Forme di lavoro intermittente o a chiamata, consistenti cioè in prestazioni svolte con discontinuità pur nell’ ambito dell’aspettativa datoriale di poter contare sulla disponibilità del prestatore, quindi nell’ ambito dello schema nagoziale del lavoro subordinato, sono assai diffuse naturalmente nel mercato del lavoro nero, ma anche molti lavoratori titolari di partita Iva ovvero inquadrati come parasubordinati costituiscono di fatto altrettante fattispecie di job on call (stand-by workers) di cui brulica soprattutto il terziario. Si tratta di elementi distorsivi della stessa competizione corretta tra imprese che contrastano con un’impostazione volta a modernizzare le regole del nostro mercato del lavoro. Appare opportuno un intervento legislativo che consenta di inquadrare questo fenomeno non tanto come sottospecie del part time, bensì come ideale sviluppo del lavoro temporaneo tramite agenzia, da inquadrarsi non necessariamente nello schema del lavoro subordinato. La versione più persuasiva è senz’altro quella olandese che imposta appunto il lavoro intermittente o a chiamata” come una forma contrattuale che a fronte della disponibilità del prestatore a rendersi disponibile alla prestazione, prevede la corresponsione a carico del datore di lavoro di una “indennità di disponibilità”, similmente a quanto accade nell’ipotesi di lavoro interinale. Il Governo auspica di ricevere utili commenti a questa proposta. II.3.5. Lavoro a tempo determinato Il Governo non può che ribadire la valutazione positiva del negoziato attivato tra le parti sociali il 24 luglio 2000 ai fini della trasposizione della direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato. Nel merito del provvedimento, la nuova disciplina stabilisce i principi generali ed i requisiti minimi per la stipulazione di contratti a termine, semplificando a razionalizzando il quadro normativo e ponendo la legislazione italiana al livello di quella esistente negli altri paesi europei. Essa, infatti, intende contribuire al miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione e definendo un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dalla utilizzazione di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato. Sul piano del metodo il Governo sottolinea come si sia proceduto all’integrale recepimento dell’accordo raggiunto fra le parti sociali italiane, pur nel rispetto delle prerogative del Parlamento in cui si è svolto un dibattito che ha consentito di apportare alcuni miglioramenti al testo negoziato. Si tratta quindi di un’esperienza positiva in cui l’ esercizio del dialogo sociale si è saldato con l’ attività legislativa propria del Parlamento e, su delega di questo, del Governo. Infine, è opportuno sottolineare ancora che, in conformità allo spirito ed alla lettera della direttiva comunitaria, in ogni singolo contratto a termine devono dunque essere indicate le ragioni che, direttamente o indirettamente, consentono 72 l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro, nonché i casi nei quali non è invece ammesso il ricorso al contratto a termine. Si tratta di un sistema più semplice ma al tempo stesso più controllabile di quello preesistente, capace di realizzare un allargamento dell’ occupazione di buona qualità, cioè anzitutto regolare, provvedendo ad assicurare al lavoratore tutele non meno efficaci del regime precedente, visto che in caso di contenzioso incomberà pur sempre sul datore di lavoro l’onere della prova della giustificatezza dell’ assunzione a termine. II.3.6. Lavoro a progetto Le proposte discusse nel corso della passata legislatura con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative suscitano ad avviso del Governo profonde perplessità di metodo e di merito. E’ bene, infatti, non dimenticare che la cosiddetta parasubordinazione appartiene pur sempre all’area del lavoro autonomo e, almeno in certi casi, della auto-imprenditorialità (non si tratta quindi di un tertium genus, ibridamente collocato in una grigia zona di frontiera, intermedia fra lavoro autonomo e subordinato) e come tale deve essere trattata. Del resto le parti sociali si stanno esercitando in una prima fase negoziale che occorre seguire con interesse nel suo sviluppo, senza quindi precostituire in sede legislativa soluzioni che finirebbero per mortificare l’autonomia contrattuale. Sembra invece utile coltivare un’iniziativa legislativa limitatamente alla identificazione e regolazione di una fattispecie particolarmente diffuse, specialmente ma non esclusivamente nel terziario, comunque riconducibile all’ area dell’ art. 409, n.3, cod.proc.civ., e quindi introdurre una forma contrattuale denominabile “lavoro a progetto”. Il Governo ritiene infatti che sia necessario evitare l’utilizzazione delle “collaborazioni coordinate e continuative” in funzione elusiva o frodatoria della legislazione posta a tutela del lavoro subordinato, ricorrendo a questa tipologia contrattuale al fine di realizzare spazi anomali nella gestione flessibile delle risorse umane. Sarebbero riconducibili a questa tipologia i rapporti in base ai quali il lavoratore assume stabilmente, senza vincolo di subordinazione, l’incarico di eseguire, con lavoro prevalentemente od esclusivamente proprio, un progetto o un programma di lavoro, o una fase di esso, concordando direttamente con il committente le modalità di esecuzione, la durata, i criteri ed i tempi di corresponsione del compenso. In sintesi, si tratta di conferire riconoscimento giuridico ad una tendenza che si è rivelata visibile con il passare degli anni, soprattutto in ragione della terziarizzazione dell’economia, quella appunto di lavorare e progetto. Si rintracciano sovente caratteristiche di coordinamento e continuità nella prestazione, ma pur sempre in un ambiente di autonomia organizzativa, circostanze che reclamano un’apposita configurazione. Il che non significa affatto propendere per un intervento legislativo “pesante”: al contrario la tipizzazione di questa forma contrattuale è finalizzata ad assicurare il conveniente esercizio dell’autonomia contrattuale delle parti. Ancorché si richieda la forma scritta, il compenso corrisposto dovrà essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, tenendo conto dei compensi normalmente corrisposti per prestazioni analoghe nel luogo di esecuzione del rapporto, salva la previsione di accordi economici collettivi. 73 La legge dovrebbe chiarire alcuni diritti fondamentali. Ad esempio, qualora il progetto o programma consista in un impegno orario personale superiore alle 24 ore settimanali, calcolate su una media annuale, il collaboratore dovrebbe aver diritto in ogni caso ad una pausa settimanale, di durata inferiore ad un giorno, nonché ad una pausa annuale, comunque di durata non inferiore a due settimane, secondo modalità concordate fra le parti. Tali pause non dovrebbero comportare alcuna corresponsione di compensi aggiuntivi. Analoghe garanzie dovrebbero essere previste in caso di malattia, gravidanza ed infortunio. Sarà sufficiente in questa sede precisare ancora che, in omaggio alle caratteristiche fattuali connaturate a questi rapporti, la cessazione non potrà che avvenire al momento della realizzazione del programma o del progetto o della fase di esso che ne costituisce l’oggetto, salva diversa volontà espressa dalle parti nel contratto scritto. Il Governo intende, infine, sperimentare una procedura di certificazione al fine di ridurre il contenzioso in materia di rapporti di lavoro, consentendo quindi alle parti di procedere alla stipulazione di contratti a progetto diminuendo grandemente il rischio di contenzioso. La proposta è di delegare per legge il Governo ad emanare una disciplina in materia ispirata ai seguenti criteri e principi direttivi: - carattere volontario e sperimentale della procedura di certificazione; - individuazione dell’organo preposto alla certificazione del rapporto di lavoro in enti bilaterali costituiti ad iniziativa delle associazioni imprenditoriali e delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più rappresentative, ovvero nella Direzione provinciale del lavoro; - definizione delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e di tenuta della relativa documentazione; - indicazione del contenuto e della procedura di certificazione; - in caso di controversia sulla esatta qualificazione del rapporto di lavoro realizzato, valutazione da parte dell’autorità giudiziaria competente anche del comportamento tenuto dalle parti in sede di certificazione. Al fine di evitare abusi o comunque utilizzazioni fraudolente di questa figura contrattuale innovativa, converrà stabilire per legge che i contratti di lavoro subordinato non possono essere convertiti in contratti di lavoro a progetto, salvo che le parti esperiscano la procedura di certificazione appena sunteggiata. Il Governo auspica di ricevere, in merito alla presente proposta, approfondimenti, osservazioni e commenti. II.3.7. Lavoro in cooperativa La recente riforma della disciplina giuridica del socio di una cooperativa di produzione e lavoro è un modello assai interessante, anzitutto sul piano del metodo. Il legislatore, travolgendo una giurisprudenza di legittimità acriticamente arroccata su posizione formaliste di chiusura, ora ammette che si possa stipulare un contratto di lavoro subordinato, autonomo, parasubordinato od altre tipologie contrattuali entro cui collocare la prestazione del cooperatore di lavoro. Si supera dunque il principio del numerus clausus a favore di una 74 soluzione aperta che quasi arieggia la tradizione contrattuale anglosassone. Interessante è anche notare la possibilità di derogare ai minimi salariali contrattuali in caso di crisi aziendale o start-up di nuova imprenditorialità. Non solo ma si afferma che in caso di collaborazioni non occasionali (cioè coordinate e continuative) i compensi dovranno essere ragguagliati ai prezzi di mercato, senza interventi della contrattazione collettiva. Si tratta di innovazioni legislative importanti che vanno ben al di là dell’area del lavoro cooperativo. Il Governo invita le parti sociali ad approfondire queste aperture metodologiche, assai interessanti per realizzare un’opera di complessiva modernizzazione del quadro regolatorio del mercato del lavoro. II.3.8. Orario di lavoro In seguito al ricorso proposto alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee l’Italia è stata condannata (assieme alla Francia) per insufficiente adozione delle disposizioni di applicazione della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro (Causa C-386/98, Commissione contro Repubblica dell’Italia, sentenza del 9 marzo 2000). La Commissione europea ha avvertito che, non avendo ricevuto alcuna comunicazione delle misure adottate in esecuzione della sentenza della Corte, queste procedure di infrazione continuano in base all’art. 228 del trattato CE. Il Governo intende prontamente porre rimedio a questa persistente inottemperanza degli obblighi comunitari, soprattutto in considerazione del fatto che già il 12 novembre 1997 le parti sociali avevano raggiunto un’intesa che avrebbe dovuto favorire una tempestiva e completa trasposizione. La mancata trasposizione di questa direttiva europea sta, infatti, dando luogo a non pochi problemi interpretativi (si pensi alla questione della esistenza o meno nel nostro ordinamento di un unico limite settimanale alla durata normale dell’orario di lavoro ovvero di due limiti concorrenti, uno giornaliero e l’altro settimanale). L’implementazione della direttiva consentirebbe in particolare di superare definitivamente alcune interpretazioni, tese a sminuire la riforma dell’orario di lavoro delineata nell’art. 13 della Legge 196/1997, che ancora oggi vorrebbero subordinare la possibilità di modulare l’orario di lavoro su base settimanale, mensile o annuale al vincolo delle otto ore di lavoro giornaliere come orario di lavoro normale. Occorrerà pertanto procedere rapidamente a completare la trasposizione con riferimento alle disposizioni riguardanti il riposo giornaliero, la pausa giornaliera e le ferie annuali. Il Governo auspica di ricevere tempestivamente eventuali suggerimenti a riguardo, trattandosi di una materia fondamentale per realizzare una politica effettiva di qualità del lavoro per realizzare le pari opportunità. II.3.9. Igiene e sicurezza Numerose e importanti direttive comunitarie in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori sono state recepite nel nostro ordinamento giuridico, a partire dai primi anni del ‘90. 75 Tali norme si sono sommate ad un precedente corpo normativo, tuttora vigente, improntato a differenti principi di logica giuridica. Proprio la compresenza di leggi vecchie di decenni con il nuovo impianto comunitario rappresenta la prima e più importante giustificazione della necessità di riordinare e riunificare tutta la materia attraverso la predisposizione di un testo unico. Quest'ultima non è la sola motivazione che induce alla predisposizione di tale testo. Infatti, la legislazione che ha recepito le numerose direttive europee è stata, per molti versi, complicata e burocratizzata, tanto che nella sua pratica attuazione stenta a portare effettivi benefici concreti al fenomeno infortunistico e delle tecnopatie. Infatti, nel corso del 2000, secondo dati di una ricerca del CENSIS, commissionata dall'INAIL gli infortuni sono saliti dell'1,2% sfiorando il milione di casi, distribuiti in tutti i settori produttivi e riguardanti sia i lavoratori uomini sia le donne. Anzi per quest'ultime si registra un aumento, rispetto al 1999, di circa 4000 unità (dal 22% al 24% del totale). Inoltre, sono del tutto assenti, nelle attuali norme, criteri prevenzionistici specifici, anche in chiave promozionale, per le piccole e medie imprese e per il settore dell'agricoltura. Va, poi, notato che la nuova normativa sulla sicurezza è stata interpretata più in chiave repressiva che preventivo consulenziale e, quindi, poco orientata verso la creazione di buone prassi che si traducessero in reale aiuto alle imprese anche sotto il profilo organizzativo e gestionale. Tutto questo ha favorito un altro fenomeno negativo: un aumento del lavoro sommerso, perché gli adempimenti di sicurezza sono tali e tanti che inducono all'elusione ed al lavoro in nero. Manca sufficiente chiarezza e, quindi, certezza del diritto, in materia di applicazione soggettiva delle norme. Ciò vale, soprattutto, con riferimento alle emergenti e sempre crescenti tipologie di lavoro alternative al modello tradizionale dell'impiego a tempo pieno, a tempo indeterminato e svolto in ambito aziendale. Valga per tutti l'esempio della lacuna costituita dalla mancata regolamentazione delle norme a tutela dei telelavoristi e dei collaboratori continuatitivi coordinati. Va, poi, conferita maggiore chiarezza alla carente regolamentazione in materia di obblighi contravvenzionali delle macchine, di rinvio a norme tecniche e di libera circolazione delle macchine certificate CE. Infine, va rimodulato il rapporto tra sanzioni contravvenzionali e amministrative e vanno riesaminate le fattispecie contravvenzionali a carico dei preposti erroneamente equiparate, quanto ad ampiezza delle fattispecie, a quelle a carico dei datori di lavoro e dei dirigenti. Pertanto, si rende opportuno ed urgente il varo di un Testo Unico i cui principi e criteri direttivi siano i seguenti: a) riordino e coordinamento in un unico Testo di tutte le norme vigenti in materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori, nel rispetto delle normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia e tenendo 76 conto degli indirizzi già espressi attraverso atti amministrativi dalle competenti istituzioni pubbliche; b) semplificazione di disposizioni che dalle esperienze fin qui maturate si siano dimostrate praticamente inapplicabili, in relazione alla realtà lavorativa nazionale o comunque abbiano rivelato la loro natura di mera burocraticità; c) individuazione di criteri prevenzionistici specifici, anche in chiave promozionale e di buone prassi, per le piccole e medie imprese e per il settore dell'agricoltura; d) delegificazione e riordino delle norme tecniche di sicurezza delle macchine e degli istituti concernenti l'omologazione, la certificazione e l'autocertificazione; e) riordino dell'apparato sanzionatorio, anche in omaggio al principio del management by objectives, con precipuo riferimento alle fattispecie contravvenzionali a carico dei preposti e alla rimodulazione delle sanzioni amministrative accanto a quelle penali contravvenzionali; f) studio di meccanismi contributivi propriamente basati sul principio dell’experience-rating (con contribuzioni più alte per l’impresa in cui in passato si siano avuti più incidenti, o indennizzi in parte a carico dell’impresa quando l’incidente avvenga nei primissimi giorni di lavoro dell’individuo, caso che potrebbe celare o una certa negligenza nell’addestramento o, molto spesso, fenomeni di lavoro sommerso, denunciato solo contestualmente all’avvenuto incidente; g) integrazione dei sistemi informativi a fini di vigilanza e attuazione di pratiche preventive II.4. Pari opportunità e inclusione sociale II.4.1. Politiche di parità Una corretta politica delle pari opportunità deve innanzitutto basarsi su interventi diretti ad abolire ogni pratica discriminatoria e quindi qualsiasi tipo di differenziale retributivo, a parità di lavoro svolto. Al tempo stesso, però, la presenza femminile nel mondo del lavoro deve essere promossa a tutti i livelli e resa possibile operando con gli strumenti propri di un’economia di mercato. Una politica delle pari opportunità deve basarsi sugli incentivi fiscali, sulle politiche attive, sulla flessibilità dei contratti atipici (part-time), nonché sulle politiche sociali di sostegno alle donne sposate che lavorano, per dare loro la possibilità di meglio conciliare l’attività lavorativa con gli impegni familiari. Una politica di pari opportunità, nel contesto del nostro paese, non va rafforzata solo per ragioni di equità sociale, ma per motivi di efficienza del nostro mercato del lavoro. In diverse parti del Paese si è raggiunta praticamente la piena occupazione, nel senso che la disoccupazione è scesa a livelli fisiologici, eppure non si sono raggiunti ancora livelli dei tassi di occupazione paragonabili a quelli dei nostri partners europei. Se ne deduce che per raggiungere quell’obiettivo di occupazione occorre far leva sugli strumenti che possano incentivare una maggiore offerta di lavoro, in particolare quella delle donne e degli anziani. 77 Modernizzare le tecniche regolatorie del mercato del lavoro significa anche ripensare tutto l’attuale quadro istituzionale in un’ottica di promozione delle pari opportunità. Del resto un Paese caratterizzato da un gender gap superiore al 30%, inferiore soltanto a quello di Grecia e Spagna, non può che ammettere l’insuccesso delle politiche finora adottate in proposito e che ci hanno meritato una severa ‘raccomandazione’ da parte dell’ Unione Europea. Giustamente viene infatti rilevato che nel nostro ordinamento manca un approccio basato sull’integrazione di genere nell’attuazione delle ‘linee guida’ sull’occupazione. Tutti gli strumenti richiamati nel presente Libro Bianco devono essere ritenuti utili a concepire in modo più moderno le pari opportunità, affrontando anzitutto il problema della discriminazione tra donne e uomini. Le politiche in materia di interruzione della carriera, di congedo parentale, di lavoro part-time e di formule di lavoro flessibili rivestono particolare interesse a riguardo. Occorre altresì fornire sufficienti strutture di buona qualità per la custodia dei bambini e l’assistenza alle persone a carico non autosufficienti, al fine di favorire l’ingresso e la permanenza delle donne sul mercato del lavoro. E’ essenziale a questo proposito un’equa ripartizione delle responsabilità familiari. In particolare occorre agevolare il reinserimento delle donne sul mercato del lavoro dopo un periodo di assenza. Le politiche per l’occupabilità, l’imprenditorialità e l’adattabilità devono pertanto essere ripensate complessivamente anche nella prospettiva di rafforzare realmente le opportunità di lavoro e di carriera dei gruppi discriminati e a rischio di esclusione sociale, con ciò contribuendo anche a rafforzare le politiche volte a innalzare gli attuali tassi di occupazione. Parallelamente il Governo si impegnerà a rimuovere tutti quei fattori esterni al lavoro che influenzano negativamente la decisione delle donne di iniziare una attività lavorativa. L’occupazione e un lavoro di qualità devono diventare gli elementi chiave per garantire pari opportunità a tutti i cittadini e contribuire concretamente all’attuazione del dettato costituzionale che riconosce la piena partecipazione di tutti i lavoratori, anche e soprattutto di quelli a rischio di esclusione e segregazione, la piena partecipazione alla vita economica, culturale e sociale del Paese e una soddisfacente realizzazione personale. Particolare importanza assume, in questa prospettiva, anche il processo di trasposizione nel nostro ordinamento della Direttiva n. 2000/78/CE del Consiglio del 27 novembre 2000, che “stabilisce un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o sulle convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro”, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento. La direttiva in questione sollecita, infatti, ad incoraggiare anche su questo versante, in conformità e nel rispetto delle tradizioni e prassi nazionali, il dialogo tra le parti sociali al fine di promuovere il principio della parità di trattamento, tra l’altro attraverso il monitoraggio delle prassi nei luoghi di lavoro, la stipulazione di contratti collettivi, l’adozione di codici di comportamento nella logica della legislazione promozionale e soft, nonché ricerche e scambi di esperienze e di buone pratiche. Del pari ogni Stato membro è invitato, nel rispetto delle tradizioni e prassi nazionali, a incoraggiare le parti sociali a concludere al livello appropriato, e lasciando impregiudicata la loro autonomia, accordi che fissino regole antidiscriminatorie con riferimento alle condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro, sia dipendente sia 78 autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale, nonché alla promozione e alle prospettive di carriera. La Direttiva n. 2000/78/CE è davvero innovativa in questa materia anche perché aiuta a comprendere il significato del concetto di «azione positiva» con riferimento alle pari opportunità e alla parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro: tema su cui si è aperta una polemica, talvolta molto accesa, incentrata sulle azioni positive a favore dei lavoratori extracomunitari e dei lavoratori over quaranta, previste nel già ricordato Patto sul lavoro di Milano. Secondo la direttiva (art. 7.1), infatti, allo scopo di assicurare completa parità nella vita professionale, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche, e quindi differenziate, dirette a evitare o compensare svantaggi correlati all’appartenenza a uno dei gruppi a rischio di esclusione sociale. Si tratta di una formula che coglie esattamente le tecniche promozionali in corso di sperimentazione nell’intesa milanese. La prospettiva delle pari opportunità richiede, in definitiva, l’adozione di politiche più efficaci, volte a incidere sul contesto culturale, da un lato, e sulle convenienze dei soggetti coinvolti, dall’altro lato, abbandonando definitivamente una logica meramente repressivo-sanzionatoria come quella delle quote obbligatorie, previste ancora oggi dalla nostra legislazione, logica in definitiva controproducente nei confronti degli stessi soggetti che pur vorrebbero garantire nei loro diritti fondamentali. Da questo punto di vista, in particolare, per assicurare il rispetto del principio della parità di trattamento con riferimento ai disabili, devono essere previste soluzioni ragionevoli e adeguati incentivi economici. Ciò significa, come ancora chiarisce la Direttiva n. 2000/78/CE, che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte dello stesso datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato.L’onere finanziario non è considerato sproporzionato allorché sia compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili. Il Governo si impegnerà a rimuovere tutti quei fattori esterni al lavoro che influenzano negativamente la decisione delle donne di iniziare una attività lavorativa. Particolare attenzione verrà in proposito prestata al trattamento fiscale dei redditi da lavoro, in modo da non disincentivare il lavoro femminile anche quando aggiuntivo all’interno di un dato nucleo familiare, ed alla disponibilità di servizi di cura a beneficio delle famiglie. Spazi concreti d’ulteriore crescita dell’occupazione femminile potranno poi venire dalle forme contrattuali flessibili, in particolare dal part time. E’ però altrettanto importante che anche le parti, ed in primo luogo le imprese, adeguino le proprie politiche del personale alla crescente presenza femminile nel mercato del lavoro, imparando a gestire e valorizzare un segmento di forza lavoro comunque caratterizzato da una più discontinua presenza sul mercato del lavoro. Da tale valorizzazione, che il Governo intende promuovere e favorire, potrà discendere un ulteriore stimolo all’offerta di lavoro femminile 79 II.4.2. Lavoro minorile Il lavoro illegale dei minori in Italia presenta caratteri preoccupanti non solo o non tanto per la sua dimensione globale quanto per la concentrazione in specifici ambiti sociali, territoriali e merceologici. Il Ministero del Lavoro ha conferito all’Istituto Nazionale di Statistica, in collaborazione con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, l’incarico di effettuare una ricerca sul fenomeno con lo scopo di produrre un sistema informativo sul lavoro minorile in Italia. Tale sistema costituisce la premessa indispensabile per orientare le azioni di prevenzione e contrasto e per verificare periodicamente la loro efficacia in termini quantitativi. Il Governo propone alle parti sociali una lettura congiunta dei primi risultati prodotti allo scopo di focalizzare gli ulteriori campi di indagine, con particolare riguardo alle situazioni che costituiscono immanente pericolo per l’incolumità fisica o psichica dei minori secondo la definizione della recente Convenzione ILO dedicata alle “forme peggiori” di sfruttamento. Il contrasto dello sfruttamento dei minori nel lavoro costituisce ovvia priorità nel più generale programma di progressiva riduzione dell’economia sommersa in Italia ma anche impegno internazionale, a partire dai processi di delocalizzazione, fornitura e sub-fornitura cui sono interessate le imprese italiane. A questo proposito il Governo intende invitare le parti sociali ad una rinnovata fase negoziale per la produzione di codici di condotta condivisi e dei relativi sistemi di controllo e divulgazione. Il complesso delle azioni previste dalla “carta di impegni per la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ed eliminare il lavoro minorile” sottoscritta dalle parti sociali con il Governo, dovrà essere oggetto di una rivisitazione congiunta allo scopo di procedere finalmente a fatti operativi, di ordine generale e più specificamente rivolti alle aree ove il fenomeno è particolarmente concentrato. II.4.3. Immigrazione Il Governo considera con favore l’ iniziativa della Commissione europea di indirizzare al Consiglio ed al Parlamento Europeo una Comunicazione intitolata An open method of coordination for the Community Immigration Policy (11 luglio 2001, COM(2001) 387 final) e ne condivide sia l’ ispirazione sia le proposte operative. In essa si propone sostanzialmente di ricorrere alla metodologia del “coordinamento aperto” applicandola alle tematiche immigratorie, anziché ricorrere ai tradizionali strumenti regolatori del diritto comunitario quali i regolamenti e le direttive. In particolare della proposta della Commissione può essere condivisa l’idea di una “linea guida” volta a “rinforzare la lotta contro l’immigrazione illegale”, con particolare riguardo ai cd. “immigrati economici”. A tal proposito la Commissione osserva giustamente che numerosi Stati membri stanno ora attivamente reclutando immigrati economici, compresi lavoratori ad alta 80 professionalità, come per esempio ricercatori e specialisti di estrazione accademica. Nel contesto di un invecchiamento e diminuzione della popolazione su scala continentale europea, si ritiene necessaria la revisione dell’ uso dei canali legali per l’ammissione dei cittadini provenienti da Paesi terzi per cogliere le necessità del mercato del lavoro, prestando attenzione al tempo stesso ai rischi che il fenomeno cd. di brain drain può comportare per i Paesi d’ origine. In particolare va condivisa l’affermazione della Commissione secondo cui la necessità di una politica di maggiore apertura nei confronti dell’immigrazione extracomunitaria deve essere accompagnata da misure aggiuntive per eliminare il lavoro non dichiarato che è esso stesso causa o comunque sostegno dell’ immigrazione illegale. Negli anni novanta l’Italia ha subito i flussi migratori che si sono determinati in larga parte a prescindere dalla domanda di lavoro e che si sono diretti a coprire i lavori di cattiva qualità, alimentando il fenomeno del sommerso e del lavoro clandestino. Pure escludendo che tale afflusso di manodopera abbia prodotto una rilevante frizione diretta sugli stessi posti di lavoro tra lavoratori nazionali e lavoratori immigrati, poiché ha interessato prevalentemente impieghi rifiutati dai lavoratori nazionali, tuttavia essa ha prodotto una frizione di carattere indiretto non meno pericolosa. Infatti, come afferma una ricerca commissionata dall’ILO, alimentando l’economia sommersa, i flussi in entrata hanno contribuito alla mancata modernizzazione dell’economia italiana, con ciò rallentando la domanda di posti di lavoro più adatti ai lavoratori nazionali. D’altra parte, la legge Turco-Napolitano non ha orientato i comportamenti dei datori di lavoro perché si è rivelata di faticosa attuazione producendo una programmazione di flussi che trovava il suo compimento nella metà dell’anno di riferimento e non anticipatamente. Ne è conseguito che il risultato più immediato è stato una sanatoria a posteriori dei lavoratori che erano già presenti sul territorio nazionale in modo irregolare. La scelta del Governo è, invece, quella di avvicinare la domanda e l’offerta di lavoro. Questo obiettivo è conseguibile, da un lato, intervenendo sui Paesi di origine dei flussi migratori e agendo in stretta collaborazione soprattutto con i paesi con i quali esistono accordi di cooperazione su questa materia, al fine di creare mercati del lavoro interregionali, trasparenti e governabili. In tale ambito, è opportuno favorire azioni di formazione e screening preventivo nei paesi di origine, supportando l’azione degli operatori privati e delle associazioni di categoria. Dall’altro, occorre pianificare in maniera più efficiente e tempestiva i flussi migratori, in modo tale da orientare i comportamenti degli operatori e discutendo tale programmazione con le parti sociali, soprattutto con le associazioni dei datori di lavoro, per gli aspetti di domanda di lavoro, e con le Regioni e gli enti locali per comprendere anche i problemi di una compiuta integrazione nel territorio. In questa direzione, anticipando anche i contenuti di altre misure in corso di elaborazione da parte della stessa Commissione europea, il Governo ha predisposto un disegno di legge che prevede modifiche al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 recente il Testo Unico delle disposizioni concernenti la 81 disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero e al decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con legge 28 febbraio 1990, n. 39. In questo provvedimento occorre segnalare l’introduzione del “contratto di soggiorno per lavoro” che potrà essere sottoscritto in relazione ad un lavoro stagionale con durata non superiore a nove mesi, ad un lavoro subordinato a tempo determinato con durata pari a quella del contratto e comunque non superiore ad un anno, ad un lavoro subordinato a tempo indeterminato con durata non superiore a due anni. Il testo chiarisce che la perdita del posto di lavoro non costituisce motivo per privare il lavoratore extracomunitario ed i suoi familiari legalmente residenti del permesso di soggiorno. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso di soggiorno, e, comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per lavoro stagionale, per un periodo non superiore a sei mesi. Il Governo ritiene del tutto prioritario assicurare ai lavoratori extracomunitari, già iscritti nelle liste dei servizi pubblici per l’impiego ed ancora in cerca di un’occupazione un adeguato sbocco nel mercato del lavoro. Solo un mercato del lavoro efficiente e trasparente può garantire ai lavoratori nazionali e agli immigrati già legalmente residenti quella naturale priorità che ad essi va riconosciuta. Come già accennato, le intese fra le parti sociali, anche a livello locale, potranno sperimentare utilmente altre forme di regolarizzazione delle attività svolte da cittadini extracomunitari in Italia, inserendoli pienamente nel circuito del mercato del lavoro regolare. Inoltre, appare opportuno incentivare anche forme di lavoro autonomo tra gli immigrati, al fine di favorire il permanere di quei mestieri che appaiono oggi abbandonati dai lavoratori italiani, nonché per garantire una maggiore inclusione sociale. 82 III. RELAZIONI INDUSTRIALI III.1. Sistema contrattuale La centralizzazione della contrattazione collettiva garantita dagli Accordi del 1992 e del 1993 anche se contribuisce a regolare la coerenza macroeconomica, tuttavia ostacola gli aggiustamenti relativi dei salari, ciò che aiuterebbe il processo di riduzione della disoccupazione. Se si vuole optare per un maggior decentramento della struttura contrattuale (e per una trasformazione del livello nazionale in una sorta di minimum wage, fornitore di una protezione minima) appare necessario intervenire sugli assetti della contrattazione. Il CCNL potrebbe sempre più assumere il ruolo di “accordo quadro” capace di salvaguardare il potere di acquisto delle retribuzioni minime, di fissare standard minimi comuni, di assicurare un clima di fiducia reciproca nel sistema di relazioni industriali. Tale funzione di “accordo quadro” potrebbe essere rafforzata ipotizzandone un periodo di validità diversa dall’attuale, in coerenza con i documenti programmatici del Governo che fissano le grandezze economiche ed eliminando, eventualmente, il momento contrattuale intermedio. Rafforzare la contrattazione decentrata può rendere più flessibile la struttura della retribuzione. Questo livello di contrattazione non dovrebbe produrre un effetto di sommatoria sulla dinamica complessiva delle retribuzioni e quindi generare aspettative inflazionistiche. A questo fine occorrerebbe che la contrattazione decentrata, pure non prevedendo trattamenti inferiori ai minimi previsti dal CCNL, fosse concepita in senso non sovrapponibile allo stesso CCNL. Una rivisitazione dell’attuale modello dovrebbe rendere effettivo un principio già presente nel Protocollo 23 luglio 1993, cioè l’affermazione del criterio generale di coerenza complessiva del sistema, volto a far sì che la crescita retributiva e le dinamiche inflattive risultino coerenti non rispetto ad un solo livello di contrattazione (la sede categoriale), bensì considerando l’insieme delle voci di costo collettivamente determinate, quale che sia la sede in cui sono trattate. Il Governo si rivolge alle parti sociali per prospettare loro l’opportunità di rivisitare l’attuale assetto contrattuale, al fine di dotarlo di una maggiore flessibilità. Ciò che risulterebbe utile, oltre che per redistribuire produttività, anche per facilitare la riemersione del “sommerso” e per superare temporanee crisi occupazionali, in particolare nelle piccole e medie imprese o in determinate aree territoriali. Il Governo desidera ricordare ancora alle parti sociali che una flessibilizzazione ed un riassetto dell’organizzazione contrattuale si giustifica anche in considerazione del venir meno della fiscalizzazione degli oneri sociali e degli sgravi contributivi differenziati per il Sud. 83 Va peraltro precisato che la riorganizzazione della struttura contrattuale riguarda l’intero complesso del lavoro dipendente, compreso quello del settore pubblico. Da tempo è in corso un processo di “privatizzazione” del rapporto di lavoro in questo settore ed è intenzione del Governo proseguire con determinazione verso una maggiore omogeneità non solo delle norme ma anche delle relazioni sindacali e dei comportamenti effettivi nei due settori, pubblico e privato. La tendenza verso un maggior decentramento delle relazioni industriali è, negli ultimissimi anni, emersa in connessione con il decentramento nelle amministrazioni pubbliche. Il rafforzamento del livello decentrato della contrattazione collettiva non potrà quindi non coinvolgere anche il settore pubblico. Le Regioni e gli enti locali potranno svolgere un’azione di stimolo e di proposta su questo in parallelo alla compiuta definizione di un contesto più responsabile della finanza regionale e locale. Il Governo è pienamente consapevole che tale materia è affidata anzitutto al confronto tra le parti sociali e confida pertanto che questo produca risultati coerenti con le complessive esigenze di modernizzazione del mercato del lavoro. Al tempo stesso il Governo dichiara la propria intenzione di non volere assumere iniziative legislative in materia di rappresentatività degli attori negoziali, nel pieno rispetto della tradizione autoregolamentare delle parti sociali italiane ed in ossequio al principio di reciproco riconoscimento, consolidatosi ormai anche in sede comunitaria. III.2. Partecipazione Si può senz’altro riconoscere che gli assetti regolativi dei sistemi di relazioni industriali in Europa si siano crescentemente caratterizzati, nel corso dell’ ultimo decennio, in termini sempre più collaborativi e partecipativi ed un ruolo di rilievo è stato assunto dalle misure adottate a livello comunitario. Già nel corso degli anni ’80 l’adattamento alle sfide della globalizzazione e dell’internazionalizzazione dei mercati aveva registrato rilevanti successi soprattutto in quei Paesi che per tradizione disponevano di un quadro istituzionale decisamente partecipativo e collaborativo (Paesi scandinavi, Paesi Bassi, Austria e Germania). Nel corso del decennio successivo questo modello regolatorio ha continuato ad estendersi ad di là di ogni previsione anche ad altri Paesi, con la sola esclusione di Francia e Regno Unito, soprattutto grazie all’adozione di politiche concertative a livello macro-economico e la stipulazione di patti sociali a livello nazionale, comunque in ragione dell’emersione generalizzata di risposte di tipo partecipativo nella soluzione delle tensioni provocate dalle crisi di sviluppo delle economie europee. Come chiaramente indicato da primo Rapporto della Commissione europea sulle relazioni industriali, in tutta Europa i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori risultano oggi più partecipativi anche solo di un decennio fa e in ogni caso molto meno conflittuali rispetto al passato, visto che il numero di scioperi si è drasticamente ridotto. La ricerca di soluzioni partecipative è comunque delineata ora dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata nel 84 dicembre 2000 a Nizza che all’ art. 27 sancisce il diritto dei lavoratori all’ informazione e alla consultazione nell’ ambito della impresa (“Ai lavoratori ed ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati, l’informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni previsti dal diritto comunitario e dalle legislazioni e prassi nazionali”). Il Governo italiano condivide l’ispirazione della politica comunitaria in tema di relazioni industriali e saluta con favore questa evoluzione così caratterizzante del modello sociale europeo, auspicando che anche in Italia i rapporti tra le parti sociali si sviluppino in senso sempre più partecipativo. Pur nel massimo rispetto di un tema che, al pari di quello relativo agli assetti contrattuali, è di primaria responsabilità e competenza delle parti sociali, è opportuno creare le condizioni favorevoli allo sviluppo di intese partecipative fra le stesse, nella convinzione che ciò possa contribuire ad accrescere la competitività del nostro sistema economico. La partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti nel quadro di un sistema di relazioni industriali, tanto a livello macroeconomico quanto su scala micro, contribuisce ad elevare la qualità del lavoro, accrescendo le potenzialità di sviluppo professionale e di carriera dei dipendenti, incidendo positivamente sulla loro motivazione, nella ricerca di un ambiente lavorativo fondato sul riconoscimento delle capacità personali e sulla valorizzazione delle aspettative individuali e collettive. L’esperienza comparata insegna che i sistemi di relazioni industriali più partecipativi riescono a conferire maggiore competitività al sistema produttivo, pure nella grande varietà dei modelli adottati, sia che la legge assuma un ruolo centrale (Germania), sia che la partecipazione si fondi sulla prassi e la consuetudine senza alcuna interferenza di carattere regolatorio (Giappone). Si ottengono risultati incoraggianti sul piano del miglioramento dell’efficienza organizzativa, riducendo le resistenze alle innovazioni tecnologiche, supportando le decisioni manageriali con una maggiore legittimazione e coinvolgendo i rappresentanti dei lavoratori in una logica di confronto che non esclude certo la possibilità di ricorrere al conflitto ma privilegia la ricerca di soluzioni condivise in quanto hanno più facilità di essere implementate con successo. La partecipazione è dunque un elemento costitutivo di un sistema di relazioni industriali basato sulla qualità, contribuendo positivamente a sostenere e qualificare lo sviluppo di un sistema economico nel suo insieme e delle singole imprese. Dopo il successo della direttiva comunitaria sui Comitati Aziendali Europei (CAE), con l’affermazione di un ruolo premiale della contrattazione collettiva in funzione partecipativa, incentivata al punto da poter derogare interamente rispetto a disposizioni minime di legge, sta per concludersi il pluridecennale processo decisionale che porterà entro breve tempo alla normativa comunitaria sulla costituzione della Società Europea (SE). Dopo l’accordo di Nizza, il Consiglio ha approvato un testo che è attualmente in lettura al Parlamento europeo. Appare pertanto opportuno, alla vigilia dell’approvazione definitiva di questo provvedimento, così a lungo atteso, che il Governo sottolinei l’importanza di una riflessione sui temi della partecipazione, in vista di un’impegnativa fase di trasposizione che dovrà avvenire nell’arco di questa legislatura. 85 La disciplina giuridica della Società Europea, sia nel regolamento sia nella direttiva, si fonda sul riconoscimento del carattere fisiologico della partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Non sono mancate, in passato, direttive comunitarie che hanno affermato diritti di informazione e consultazione in presenza di situazioni di crisi aziendali (licenziamenti collettivi, trasferimento di azienda) dando luogo ad atti di recepimento che anche nell’ordinamento giuridico italiano hanno fondato diritti di informazione e consultazione. Tuttavia è con la direttiva CAE, peraltro limitata alle relazioni industriali che caratterizzano le imprese di dimensione trasnazionale, che si è affermata una tendenza regolatoria a promuovere la partecipazione anche in cicli economici favorevoli nella vita delle imprese, quindi non soltanto su base eccezionale ma anche in una prospettiva permanente. La direttiva sulla SE prosegue in questa direzione, anche se la parte riguardante la partecipazione potrà (in omaggio al compromesso politico che ha consentito a Nizza di superare le ultime resistenze della Spagna) essere oggetto di opting out da parte dei singoli Stati membri ai quali sarà quindi consentito non procedere alla trasposizione di questa parte delle disposizioni comunitarie. Il Governo italiano invita fin d’ora le parti sociali ad avviare un confronto sui modi di trasposizione della direttiva, anche per quanto riguarda le disposizioni riguardanti il coinvolgimento dei lavoratori e dei loro rappresentanti. E’ di grande interesse infatti che la direttiva stessa, riprendendo il modello CAE, affermi che il regime di partecipazione della SE dovrebbe essere definito a seguito di un’intesa da stipularsi ad opera delle parti interessate o, in mancanza di essa, con l’ applicazione delle norme accessorie che ogni Stato membro dovrà darsi nell’adempimento dell’obbligo traspositivo. Può essere senz’ altro condivisa la tecnica, sempre mutuata dal modello CAE, che consente alle parti sociali di regolare interamente la materia partecipatoria nella singola SE prescrivendo tuttavia che l’accordo regolamenti obbligatoriamente un certo numero di materie (ad es. il campo di applicazione del medesimo accordo, le attribuzioni e la procedura prevista per l’ informazione e la consultazione dell’organismo di rappresentanza, le risorse finanziarie e materiali da attribuire all’organo di rappresentanza, ecc.). Si tatta di un modello che il Governo ritiene debba essere attentamente seguito nell’opera traspositoria, ed in tal senso confida che anche le parti sociali lo apprezzino ugualmente sperimentandolo nel loro dialogo. L’Unione Europea non impone al nostro sistema di relazioni industriali alcun modello predeterminato, ma crea le condizioni di quadro istituzionale affinché le parti sociali trovino intese per esercitare i diritti di informazione e consultazione negoziando intese ovvero, in difetto di queste, utilizzando una disciplina di base che dovrà essere realizzata in sede traspositiva. E’ questo il senso di un’altra direttiva che sta per essere approvata (anche in questo caso è stato raggiunto in Consiglio l’ accordo politico e si attende la lettura del Parlamento europeo), quella che riguarda l’ esercizio dei diritti di informazione e consultazione nelle imprese nazionali. Essa intende valorizzare il principio secondo cui l’informazione e la consultazione in tempo utile può rappresentare una condizione preliminare ed imprescindibile per il buon esito di processi di ristrutturazione e di adattamento delle imprese alle nuove condizioni indotte dalla globalizzazione dell’ economia, in particolare mediante lo sviluppo di 86 nuove procedure di organizzazione del lavoro. Attualmente, come già accennato, il quadro giuridico in materia di informazione e consultazione è orientato, tanto a livello comunitario quanto su scala nazionale, soprattutto in funzione del trattamento ex post dei processi di cambiamento. In vista di questi prossimi appuntamenti traspositivi il Governo sollecita le parti sociali ad una riflessione che consenta di migliorare la qualità delle nostre relazioni industriali rendendole maggiormente partecipative, secondo formule liberamente concordate ed in relazione alle quali l’intervento legislativo dovrà limitarsi a garantire la funzione premiale della contrattazione collettiva unitamente all’esigibilità di condizione minime di esercizio dei diritti di informazione e consultazione. In particolare il Governo ritiene auspicabile che il dialogo sociale individui le sedi e le altre modalità per regolare convenientemente i diritti di informazione e consultazione, affinché l’esercizio delle prerogative manageriali sia ispirato da una logica di trasparenza e di fiducia tra le parti. III.3. Democrazia economica Sul tema della partecipazione finanziaria dei lavoratori la Commissione europea ha recentemente avviato una nuova iniziativa sottoponendo agli Stati membri un documento di riflessioni al quale anche il Governo italiano risponderà (Financial participation of employees in the European Union, 27 luglio 2001, SEC(2001) 1308). Si tratta, infatti, di una prospettiva della tematica partecipativa che deve essere tenuta in considerazione ed a proposito della quale è necessario svolgere una attività di stimolo, in quanto anche nel nostro Paese è riscontrabile quello che nel documento comunitario appena richiamato viene definito “problema culturale” ovvero di “deficit culturale”, nel senso che i dipendenti ed i loro rappresentanti si sentono estranei ad una prassi di coinvolgimento di tipo finanziario nell’impresa in cui sono occupati. Lo stesso legislatore del resto ha recentemente contribuito a rilanciare l’idea di un più esteso ricorso all’azionariato dei dipendenti. Il nuovo testo dell’art. 48, 2à comma, del Testo Unico Imposte sui redditi, come modificato dall’art. 3, 1° comma, del d. lgs. 314/1997, ha introdotto una disciplina di particolare favore sotto il profilo fiscale per le società che emettono nuove azioni a favore dei propri dipendenti. Successivamente, attraverso l’esercizio della delega sulla riforma dei mercati finanziari e delle società quotate (d.lgs. 58/1998) è stata confermata questa opzione di favore verso l’ accesso dei dipendenti al capitale azionario, introducendo una disciplina di sostegno per le società aventi azioni quotate, al fine di favorire i cd. piani di stock options e cioè l’ attribuzione del diritto a sottoscrivere azioni da parte dei lavoratori. E’ sin qui mancata tuttavia una disciplina organica che, sulla scorta di quanto da tempo sollecitato in sede comunitaria, conducesse ad una regolamentazione di sostegno in grado di sciogliere i nodi principali di una materia tanto controversa quanto complessa. Non può quindi sorprendere che nel nostro Paese lo sviluppo dell’azionariato dei dipendenti si sia fin qui manifestato in modo frammentario e 87 lacunoso (soprattutto a margine di singoli processi di privatizzazione di aziende pubbliche), privo com’ è di una moderna base normativa di supporto e incentivazione comparabile con quella presente in numerosi altri ordinamenti. Le sfide della new economy, della società dell’informazione e delle nuove tecnologie impongono ora di esplorare con più determinazione anche questa strada per una modernizzazione delle nostre relazioni industriali. Si possono in materia proporre alcuni spunti utili per aprire una riflessione ed un confronto. Importanti esperienze di altri paesi dell’Unione Europea (Regno Unito, Francia, Germania, Belgio ed Irlanda) dimostrano l’utilità di subordinare ad esempio la concessione delle agevolazioni fiscali alla condizione che per le azioni oggetto del piano di partecipazione finanziaria sia prevista, con apposita deliberazione dell’assemblea ordinaria, la loro inalienabilità per un certo numero di anni successivamente alla effettiva cessione. Previa intesa con le rappresentanze dei lavoratori i piani di partecipazione finanziaria potrebbero eventualmente prevedere un periodo maggiore di inalienabilità delle azioni. Un intervento anche di natura legislativa potrebbe precisare, valorizzando in proposito il ruolo della contrattazione collettiva, le modalità di sottoscrizione o acquisto di azioni nell’ambito di un piano di partecipazione finanziaria, prevedendo anticipazioni sul trattamento di fine rapporto, l’impiego di quote o elementi della retribuzione, il ricorso al credito eventualmente attraverso l’intervento dei fondi pensione in deroga a quanto disposto dal d. lgs. 124/1993. E’ vero tuttavia che, in una prospettiva de jure condendo, la vera questione da affrontare è quella dell’alternativa tra azionariato collettivo e azionariato individuale: sembra questo il nodo politico più difficile da sciogliere per quanto attiene alla partecipazione finanziaria dei lavoratori a livello di impresa. Potrebbe essere utile un intervento legislativo che aprisse ulteriori possibilità di azione al confronto tra le parti sociali, anche per facilitare i processi di privatizzazione, rafforzando la posizione dei dipendenti azionisti e rendendo più equilibrato il rapporto assunzione del rischio-potere di controllo insito nella adesione ad un piano di partecipazione azionaria. Il tema della partecipazione azionaria si lega evidentemente con quello dell’utilizzazione del trattamento di fine rapporto (TFR) per la costituzione dei fondi pensione, salvaguardando ben s’intende il principio di assoluta volontarietà. Tuttavia, occorre aver sempre a mente la necessaria sperimentazione che soluzioni di questa natura devono avere, nonché l’inevitabile differenziazione della relativa disciplina. E’ la contrattazione aziendale a potere produrre le applicazioni sperimentali più utili ed è pertanto in questa sede che converrebbe, anzitutto, avviare un confronto costruttivo. Il Governo ritiene utile verificare modalità di partecipazione finanziaria finalizzate ad esaltare la fidelizzazione di figure apicali o comunque chiave nell’ambito dell’organizzazione del lavoro di piccole e piccolissime imprese, inclusi esercizi turistico-commerciali ed unità artigiane. A tal fine è necessario ristabilire un uso corretto del contratto di associazione in partecipazione, ovvero ricorrere ad altre forme di partecipazione agli utili, sostenendo questi strumenti anche con opportuni incentivi di carattere economico e fiscale. 88 III.4. Servizi pubblici essenziali e conflittualità Il Governo ritiene che non si possa certo ignorare la situazione, spesso caratterizzata da comportamenti irrispettosi delle esigenze degli utenti e dei consumatori, del conflitto nei servizi essenziali, con particolare riferimento al settore dei trasporti. Le modifiche introdotte nel 2000 alla legge che regola l’esercizio del diritto di sciopero in questo contesto non sembrano essere state adeguatamente valorizzate dalle parti sociali interessate ed è a questo proposito opportuno che la Commissione di garanzia utilizzi più incisivamente le attribuzioni ed i poteri accordati dalla legge, intensificando la propria attività anche in funzione di mediazione e conciliazione dei conflitti. In quest’ottica di applicazione più coerente della legge 83/2000 occorre ad avviso del Governo attuare con maggiore rigore il principio di “rarefazione oggettiva”, richiamando le amministrazioni e le imprese ad una più puntuale osservanza degli obblighi previsti con riferimento all’informazione degli utenti e consumatori in caso di sciopero. La legge 83/2000 che ha riformato la legge 146/1990 dispone che nei contratti o accordi collettivi concordati per individuare le prestazioni indispensabili da garantire in caso di sciopero “devono in ogni caso essere previste procedure di raffreddamento e conciliazione obbligatorie per entrambe le parti, da esperire prima della proclamazione dello sciopero”. Appare cruciale che tali accordi, sottoposti alla validazione della Commissione di garanzia per acquistare efficacia generalizzata, contengano effettivamente questo genere di clausole, decisive per dare al conflitto in questi contesti caratteristiche di civiltà. Nell’ambito della nozione di ‘raffreddamento’ del conflitto appare utile sperimentare l’istituto del referendum, come preventivo accertamento della volontà di tutti coloro che verrebbero chiamati a scioperare dai promotori del conflitto e come condizione quindi per la legittima proclamazione dello sciopero. L’ indizione del referendum – almeno in forma consultiva, senza quindi coinvolgere la questione della titolarità alla proclamazione e all’ esercizio dello sciopero - potrebbe essere proposta dai soggetti interessati alla promozione dello sciopero, congiuntamente o disgiuntamente. Del pari interessante sarebbe la sperimentazione di forme di sciopero virtuale e/o solidale, prevedendo azioni di protesta che, pur comportando il sacrificio economico di ambedue le parti, non producano la sospensione o l’interruzione del pubblico servizio. L’ammontare del sacrificio/danno economico sopportato dalle parti potrebbe essere devoluto ad un fondo gestito bilateralmente dalle parti e la cui utilizzazione verrebbe da esse concordata Il Governo ritiene che occorra approfondire l’ipotesi di sostituire la Commissione di Garanzia con un organismo specializzato in materia di prevenzione e composizione delle controversie collettive di lavoro, con particolare, ma non esclusiva, competenza nella gestione del conflitto nei servizi essenziali. Occorrerebbe in tale prospettiva valutare anche l’opportunità 89 di dotare questo organismo di professionisti con esperienza nella gestione diretta delle vertenze collettive di lavoro, incaricandolo delle attribuzioni fino ad oggi esercitate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, nonché della stessa Commissione di garanzia per l’esercizio del diritto sciopero nei servizi essenziali. SETTEMBRE/OTTOBRE/ NOVEMBRE 2004 Anno 1 Numero 6/2004 Settore Politiche Attive per il Lavoro SERVIZI PER L’IMPIEGO Provincia di Verona NOTIZIARIO Sommario: Nuovo apprendistato. In attesa delle regolamentazioni regionali Con circolare 14 ottobre 2004, n. 40, il Ministero del Lavoro interviene opportunamente per chiarire che non possono essere considerate operative le previsioni della contrattazione collettiva che hanno autonomamente disciplinato il contratto di apprendistato professionalizzante (si veda ad esempio l’accordo per il rinnovo del CCNL del Commercio siglato il 2 luglio 2004 e il CCNL degli edili firmato lo scorso 1° ottobre). La circolare nel confermare, in caso di assunzione con contratto di apprendistato, il venir meno della richiesta di autorizzazione alla Direzione Provinciale del Lavoro, ritiene illegittima la previsione, da parte di alcuni contratti collettivi, della procedura autorizzatoria demandata agli Enti bilaterali. Solo la normativa regionale potrà operare in tal senso. Anche per quanto riguarda l’età dell’apprendista e la durata del contratto, in attesa della regolamentazione dell’istituto dell’apprendistato a opera delle Regioni, viene confermata l’attualità della normativa previgente ( leggi 25/1995 e 196/1997) con esclusione delle espresse abrogazioni effettuate dall’ art. 85, comma 1, lett. b) e i) del D. Lgs. 276/2003 e pertanto: DISCIPLINA VIGENTE Età Durata 15 – 24 anni (26 anni nelle aree definite di declino industriale) elevabile a 29 anni nelle imprese artigiane, per il conseguimento di qualificazioni di alto contenuto professionale. 18 mesi – 4 anni (5 anni nelle aziende artigiane) Rimane il dubbio sulla legittimità delle modifiche temporali operate da alcuni contratti collettivi, ad esempio quello del Commercio, che, nell’aumentare la durata del rapporto di apprendistato si mantengono tuttavia nell’ambito dei limiti massimi imposti dalla vigente normativa. Per quanto attiene alla definizione delle modalità di svolgimento, di valutazione, di certificazione e di registrazione sul libretto formativo delle competenze acquisite mediante il percorso di apprendistato , spettano, come sottolinea la circolare ministeriale, alla Regione. A nulla valgono pertanto, le anticipazioni effettuate da alcuni contratti collettivi che, seppure in via (Continua a pagina 2) Il Notiziario viene pubblicato anche sul portale web della Provincia di Verona - http://www.provincia.vr.it con i rimandi (link) alla normativa riportata nel documento Nuovo apprendistato. In attesa delle regolamentazioni regionali 1 Job on call. Individuate 46 attività di utilizzo 3 Legge Biagi. In vigore il decreto correttivo 4 Focus sulle giurisprudenza del lavoro 6 Le Regioni competenti alla definizione degli aspetti formativi dell’istituto. Amedeo Modigliani, Il giovane apprendista, 1918, olio su tela, cm. 100 x 65, Parigi, Musée de l’Orangerie, Collezione Walter-Guillaume Pagina 2 Anno 1 Numero 6/2004 (Continua da pagina 1) transitoria, affidano al datore di lavoro il compito di registrare le competenze acquisite dall’apprendista. La circolare chiarisce in modo inequivocabile che, al momento, l’unica fattispecie, prevista dalla nuova normativa, pienamente operativa, in presenza di apposita convenzione tra regione – parti sociali – istituti formativi, è quella dell’ apprendistato specializzante (art. 50, D. Lgs. 276/2003). NUOVO APPRENDISTATO Tipologia Definizione Età Durata Espletamento diritto - dovere di istruzione e formazione Acquisizione di un titolo di studio qualifica attraverso lo strumento dell’alternanza scuola - lavoro 15 - 18 anni non superiore a 3 anni 18 - 29 anni; 17 anni se in possesso di qualifica professionale da 2 a 6 anni 18 - 29 anni; 17 anni se in possesso di qualifica professionale definita dalla Regolamentazione regionale e dalle parti sociali Professionalizzante Specializzante Qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e l’acquisizione di competenze di base, trasversali e tecnico - professionali Conseguimento di un titolo di studio secondario, universitario e di alta formazione, nonché per la specializzazione tecnica superiore DISCIPLINA GENERALE Limiti all’assunzione Forma del contratto Profili formativi Profili retributivi Principali novità procedurali Qualificazione Profili sanzionatori Importi contributivi Non superiore al 100% delle maestranze specializzate e qualificate. Nel caso di datore di lavoro che occupi meno di 3 lavoratori qualificati, non potranno essere assunti più di tre apprendisti Necessaria la forma scritta. Al contratto dovrà esser allegato il piano formativo individuale che dovrà indicare il percorso formativo formale e non formale nonché le ore di formazione aziendale o extra aziendale Minimo 120 ore di formazione. Spetta alla Regione individuare la ripartizione tra formazione aziendale o extra aziendale avendo cura di specificare che si tratterà di “formazione formale” che verrà effettuata attraverso strutture accreditate o all’interno dell’impresa secondo percorsi di formazione on the job. Rispetto alla disciplina previgente che consentiva di retribuire l’apprendista attraverso un meccanismo di sotto salario percentualizzato in elevazione progressiva con il maturare dell’anzianità, ora viene stabilita una modalità retributiva che, pur mantenendo il principio dell’elevazione progressiva, è regolata dal principio del sotto inquadramento (fino a due livelli inferiori rispetto alla qualifica di destinazione) Viene abolito l’obbligo della richiesta di autorizzazione alla Direzione Provinciale del Lavoro preventiva all’instaurazione del rapporto di apprendistato (art. 85, comma 1, lett. b), D. Lgs. 276/2003) Decade il divieto di adibire l’apprendista a lavori di manovalanza e di produzione in serie (art. 19, D. Lgs. 251/2004) La visita sanitaria preventiva all’assunzione dell’apprendista viene meno nel caso di apprendista che abbia raggiunto la maggiore età (art. 2, Legge Regionale n. 41/2003). Al termine del periodo di apprendistato, l’apprendista si riterrà mantenuto in servizio, con contratto di lavoro a tempo indeterminato, fatta salva la possibilità per il datore di lavoro di recedere dal contratto ai sensi dell’art. 2118 c.c.. Nel caso di inadempimento dell’ obbligo formativo tale da impedire il raggiungimento della qualifica da parte dell’apprendista, il datore di lavoro sarà tenuto a versare all’Inps, a titolo di sanzione, la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%. Contribuzione fissa settimanale: •Artigiani: Euro 0,02 •Non artigiani: Euro 2,79 senza Inail e 2,88 con Inail Pagina 3 Anno 1 Numero 6/2004 Job on call . Individuate 46 attività di utilizzo. Con l’emanazione del DM 23 ottobre 2004 (Gazzetta Ufficiale n. 259 del 4 novembre 2004) si completa il quadro giuridico previsto dalla riforma Biagi in ordine ai casi che consentono l’instaurazione di contratti di lavoro a chiamata: a)In via sperimentale con giovani con meno di 25 anni o con lavoratori over 45 espulsi dal ciclo produttivo. b)Prestazioni rese nei fine settimana, nei periodi di ferie estive e delle vacanze pasquali e natalizie c) Prestazioni saltuarie così come individuate, in attesa della disciplina della contrattazione collettiva, attraverso il richiamo effettuato dal DM 23 ottobre 2004 alla tabella allegata al regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657. Nel caso di lavoro a chiamata di cui alla lettera c), vengono richiamate 46 categorie di attività delle quali, considerata la non recente individuazione delle stesse, più di qualcuna non ha grande diffusione. Tra le prestazioni più comuni, si segnalano quelle che, nell’ambito dei pubblici esercizi, vengono rese dai camerieri e dal personale di servizio e di cucina, dagli impiegati di albergo con mansioni implicanti rapporti con la clientela (addetti al ricevimento) e quelle svolte da barbieri e parrucchieri nonché da commessi di negozio. Per queste due ultime tipologie di attività, il regio decreto 2657/1923 faceva riferimento alle città con meno di 100.000 abitanti relativamente alle prestazioni dei barbieri e dei parrucchieri e alle città con meno di 50.000 abitanti per quelle dei commessi di negozio. Tenuto conto che l’art. 1 del DM 23 ottobre 2004, fa riferimento alla tabella allegata al regio decreto al fine di individuare le “tipologie di attività” ammesse al lavoro a chiamata, sono da ritenersi non applicabili le limitazioni territoriali o di numero di abitanti richiamate nella medesima tabella. Per quanto riguarda, in particolare le prestazioni lavorative effettuate da commessi e parrucchieri, si tratta di attività che normalmente vengono svolte in azienda in forma stabile. Si ritiene pertanto che requisito indispensabile per la legittimità del ricorso al lavoro a chiamata, sia si la presenza del tipo di attività nella citata tabella ma anche il carattere discontinuo e intermittente delle modalità di esecuzione della prestazione così come stabilito dall’ art. 34 del D. Lgs. 276/2003. Per un richiamo completo all’istituto del job on call si rinvia al precedente nostro notiziario (n.5/2004). Il Ministero del Lavoro, sostituendosi provvisoriamente alla contrattazione collettiva, rende pienamente operativa la disciplina del lavoro a chiamata. Tipologie di attività indicate nella tabella allegata al Regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657 1. Custodi. 2. Guardiani diurni e notturni, guardie daziarie. 3. Portinai. 4. Fattorini (esclusi quelli che svolgono mansioni che richiedono un'applicazione assidua e continuativa) uscieri e inservienti . L'accertamento che le mansioni disimpegnate dai fattorini costituiscono un'occupazione a carattere continuativo è fatta dall'Ispettorato del lavoro. 5. Camerieri, personale di servizio e di cucina negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici in genere, carrozze letto, carrozze ristoranti e piroscafi, a meno che nelle particolarità del caso, a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro, manchino gli estremi di cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955. 6. Pesatori, magazzinieri, dispensieri ed aiuti. 7. Personale addetto all'estinzione degli incendi. 8. Personale addetto ai trasporti di persone e di merci: Personale addetto ai lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro non abbiano carattere di discontinuità. 9. Cavallanti, stallieri e addetti al governo dei cavalli e del bestiame da trasporto, nelle aziende commerciali e industriali. 10. Personale di treno e di manovra, macchini(Continua a pagina 4) Pagina 4 (Continua da pagina 3) sti, fuochisti, manovali, scambisti, guardabarriere delle ferrovie interne degli stabilimenti. 11. Sorveglianti che non partecipano materialmente al lavoro. 12. Addetti ai centralini telefonici privati. 13. Personale degli ospedali, dei manicomi, delle case di salute e delle cliniche, fatta eccezione per il personale addetto ai servizi di assistenza nelle sale degli ammalati, dei reparti per agitati o sudici nei manicomi, dei reparti di isolamento per deliranti o ammalati gravi negli ospedali, delle sezioni specializzate per ammalati di forme infettive o diffusive, e, in genere, per tutti quei casi in cui la limitazione di orario, in relazione alle particolari condizioni dell'assistenza ospedaliera, sia riconosciuta necessaria dall'Ispettorato dell'industria e del lavoro, previo parere del medico provinciale. 14. Commessi di negozio nelle città con meno di cinquantamila abitanti a meno che, anche in queste citta, il lavoro dei commessi di negozio sia dichiarato effettivo e non discontinuo con ordinanza del prefetto, su conforme parere delle organizzazioni padronali ed operaie interessate, e del capo circolo dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro competente per territorio. 15. Personale addetto alla sorveglianza degli essiccatoi. 16. Personale addetto alla sorveglianza degli impianti frigoriferi. 17. Personale addetto alla sorveglianza degli apparecchi di sollevamento e di distribuzione di acqua potabile. 18. Personale addetto agli impianti di riscaldamento, ventilazione e inumidimento di edifici pubblici e privati. 19. Personale addetto agli stabilimenti di bagni e acque minerali, escluso il personale addetto all'imbottigliamento, imballaggio e spedizione. 20. Personale addetto ai servizi di alimentazione e d'igiene negli stabilimenti industriali. 21. Personale addetto servizi igienici o sanitari, dispensari ambulatori, guardie mediche e posti di pubblica assistenza, a meno che, a giudizio dell'Ispettorato corporativo, manchino nella particolarità del caso, gli estremi di cui all'art. 6 del Regolamento 10 settembre 1923, n. 1955 (prestazioni discontinue o di semplice attesa o custodia). 22. Barbieri, parrucchieri da uomo e da donna nelle città con meno di centomila abitanti, a meno che, anche in queste città, il lavoro dei barbieri e parrucchieri da uomo e da donna sia dichiarato effettivo e non discontinuo con ordinanza del prefetto su conforme parere delle organizzazioni padronali ed operaie interessate e del capo circolo dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro competente per territorio. 23. Personale addetto alla toeletta (manicure, pettinatrici). 24. Personale addetto ai gazometri per uso privato. Anno 1 Numero 6/2004 25. Personale addetto alla guardia dei fiumi, dei canali e delle opere idrauliche. 26. Personale addetto alle pompe di eduzione delle acque se azionate da motori elettrici. 27. Personale addetto all'esercizio ed alla sorveglianza dei forni a fuoco continuo nell'industria della calce e cemento, a meno che, a giudizio dell'Ispettorato del lavoro, nella particolarità del caso, concorrano speciali circostanze a rendere gravoso il lavoro. Fuochisti adibiti esclusivamente alla condotta del fuoco nelle fornaci di laterizi, di materiali refrattari, ceramiche e vetrerie. 28. Personale addetto nelle officine elettriche alla sorveglianza delle macchine, ai quadri di trasformazione e di distribuzione, e alla guardia e manutenzione delle linee e degli impianti idraulici, a meno che, a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro, la sorveglianza, nella particolarità del caso, non assuma i caratteri di cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955. 29. Personale addetti alla sorveglianza ed all'esercizio: a) degli apparecchi di concentrazione a vuoto; b) degli apparecchi di filtrazione; c) degli apparecchi di distillazione; d) dei forni di ossidazione, riduzione e calcinazione nelle industrie chimiche, a meno che si tratti di lavori che, a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro, non rivestano i caratteri di cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955; e) degli impianti di acido solforico e acido nitrico; f) degli apparcchi per l'elettrolisi dell'acqua; g) degli apparecchi per la compressione e liquefazione dei gas. 30. Personale addetto alle gru. 31. Capistazione di fabbrica e personale dell'ufficio ricevimento bietole nella industria degli zuccheri. 32. Personale addetto alla manutenzione stradale. 33. Personale addetto esclusivamente nell'industria del candeggio e della tintoria, alla vigilanza degli autoclavi ed apparecchi per la bollitura e la lisciviatura ed alla produzione con apparecchi automatici del cloro elettrolitico. 34. Personale addetto all'industria della pesca. 35. Impiegati di albergo le cui mansioni implichino rapporti con la clientela e purchè abbiano carattere discontinuo (così detti impiegati di bureau come i capi e sottocapi addetti al ricevimento, cassieri, segretari con esclusione di quelli che non abbiano rapporti con i passeggeri), a meno che nella particolarità del caso, a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro, manchino gli estremi di cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955 (presiazioni discontinue o di semplice attesa o cusiodia). 36. Operai addetti alle pompe stradali per la distribuzione della benzina, comunemente detti pompisti. a meno che nella particolarità del caso, a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro manchino gli estremi di cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955 (prestazioni discontinue o di semplice attesa o custodia) (2), (8). 37. Operai addetti al funzionamento e alla sorveglianza dei telai per la segatura del marmo, a meno che nella particolarita` del caso a giudizio dell'Ispettorato corporativo manchino gli estremi di cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955 (4), (9). 38. Interpreti alle dipendenze di alberghi o di agenzie di viaggio e turismo, esclusi coloro che hanno anche incarichi od occupazioni di altra natura e coloro le cui prestazioni, a giudizio dell'Ispettorato corporativo, non presentano nella particolarita` del caso i caratteri di lavoro discontinuo o di semplice attesa. 39. Operai addetti alle presse per il rapido raffreddamento del sapone, ove dall'Ispettorato corporativo sia nei singoli casi, riconosciuto il carattere discontinuo del lavoro. 40. Personale addetto al governo, alla cura ed all'addestramento dei cavalli nelle aziende di allevamento e di allenamento dei cavalli da corsa. 41. Personale addetto esclusivamente al governo e alla custodia degli animali utilizzati per prodotti medicinali o per esperienze scientifiche nelle aziende o istituti che fabbricano sieri. 42. Personale addetto ai corriponti, a meno che nella particolarità del caso, a giudizio dell'Ispettorato del lavoro, manchino gli estremi di cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955 (prestazioni discontinue o di semplice attesa o custodia). 43. Artisti dipendenti da imprese teatrali, cinematografiche e televisive; operai addetti agli spettacoli teatrali, cinematografici e televisivi; cineoperatori, cameramen recording o teleoperatori da ripresa, fotografi e intervistatori occupati in imprese dello spettacolo in genere ed in campo documentario, anche per fini didattici. 44. Operai addetti esclusivamente alla sorveglianza dei generatori di vapore con superficie non superiore a 50 mq. quando, nella particolarità del caso, detto lavoro abbia carattere di discontinuità, accertato dall'Ispettorato del lavoro. 45. Operai addetti presso gli aeroporti alle pompe per il riempimento delle autocisterne e al rifornimento di carburanti e lubrificanti agli aerei da trasporto, eccettuati i singoli casi nei quali l'Ispettorato del lavoro accerti l'inesistenza del carattere della discontinuità. 46. Operai addobbatori o apparatori per cerimonie civili o religiose ove dall'Ispettorato del lavoro sia, nei singoli casi, riconosciuto il carattere discontinuo del lavoro. Pagina 5 Anno 1 Numero 6/2004 Legge Biagi . In vigore il decreto correttivo. Dal 26 ottobre 2004 sono in vigore le modifiche apportate dal Decreto Legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 al Decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (Legge Biagi) Nella tabella si fornisce un sunto delle principali novità introdotte D. Lgs 276/2003 (Legge Biagi) Novità in materia di regimi sanzionatori - apprendistato contratti di inserimento - certificazione di contratti di lavoro collaborazioni coordinate e continuative e lavoro a progetto lavoro intermittente - lavoro accessorio - rapporti di lavoro nel settore edile dall’intervento del legislatore delegato: Modifica D. Lgs. 251/2004 (correttivo) Contenuti Art. 4 Vengono inasprite le sanzioni previste in caso di esercizio non autorizzato di attività di somministrazione, in particolare se vi è sfruttamento di minori la pena è dell’arresto fino a 18 messi e l’ammenda aumentata fino al sestuplo. Incrementata l’ammenda nei confronti dell’utilizzatore che ricorre alla somministrazione da parte di soggetti non autorizzati o al di fuori dei limiti previsti: euro 50 per lavoratore occupato e per giornate di lavoro. Art. 5 La violazione degli obblighi formali comporta in capo al somministratore una sanzione amministrativa da euro 250 a 1.250. Il contratto di somministrazione si considera nullo e il lavoratore alle dipendenza dell’utilizzatore nel caso in cui manchi la forma scritta. Art. 29 Appalto Art. 6 Estensione dell’obbligo di solidarietà tra committente imprenditore (salvo il caso che il committente sia una persona fisica che non eserciti attività d’impresa o professionale) e appaltatore non solo per l’esecuzione di contratti di appalto di servizi ma anche di opere. Nel caso di appalto non lecito, il lavoratore può chiedere al giudice la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di chi ne ha utilizzato la prestazione. Art. 30 Distacco Art. 7 Nel caso di distacco privo dei requisiti dell’interesse in capo al datore di lavoro distaccante e della temporaneità, il lavoratore distaccato può chiedere al giudice la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione. Art. 34 Lavoro intermittente Art. 10 Estensione delle ipotesi ammesse al ricorso al lavora a chiamata alle prestazioni da rendersi per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno così come definiti dall’art. 37, D. Lgs 276/2003 (fine settimana, ferie estive e vacanze natalizie e pasquali) Art. 18 Sanzioni Art. 21 Forma e contenuto del contratto di somministrazione Art. 53 Apprendistato Art. 85 Disposizioni abrogate con riferimento all’apprendistato Art. 11 Art. 19 Nel caso di mancata erogazione della formazione prevista, imputabile al datore di lavoro, e che sia tale da impedire la realizzazione della finalità del contratto, il datore di lavoro dovrà versare la differenza tra la contribuzione versata e quella dovuta con riferimento al livello di inquadramento che sarebbe stato raggiunto al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%. Abrogazione del divieto di adibire l’apprendista a lavori di manovalanza e di produzione in serie. (Continua a pagina 6) Sul Portale web della Provincia di Verona http:\\www.provincia.vr.it è disponibile la seguente pubblicazione OSSERVATORIO SUL MERCATO DEL LAVORO DELLA PROVINCIA DI VERONA RAPPORTO 2004 SERVIZI PER L’IMPIEGO - GIUGNO 2004 - N. 3 Il percorso: Portale Provincia di Verona / i documenti on-line / Servizi alla persona e alla comunità / Settore Politiche Attive per il Lavoro / Osservatorio sul Mercato del Lavoro Pagina 6 Anno 1 Numero 6/2004 (Continua da pagina 5) D. Lgs 276/2003 (Legge Biagi) Modifica D. Lgs. 251/2004 (correttivo) Contenuti Art. 13 Art. 14 Gli incentivi contributivi, in attesa della riforma del sistema degli incentivi all’occupazione , rimangono quelli previsti per i Cfl nel rispetto però dei criteri dettati dal Regolamento Ce 2204/2002. Regime transitorio: Per i Cfl i cui progetti siano stati approvati e autorizzati al 23 ottobre 2003, è stata data la possibilità di assunzione con Cfl fino al 31 ottobre 2004, nel limite massimo di 16.000 unità. Le domande per l’ottenimento dei benefici contributi devono essere state inviate all’Inps (www.inps.it) nel rispetto dei seguenti termini: • Assunzioni avvenute nel periodo 24 ottobre 2003 – 26 ottobre 2004 entro il 24 novembre 2004; • Assunzioni avvenute nel periodo 26 ottobre – 31 ottobre 2004 entro il 30 novembre 2004. L’Inps valuterà le richieste pervenute in base all’ordine cronologico di stipula dei contratti di formazione assegnando la priorità a quelli stipulati nell’ambito di contratti d’area o patti territoriali. Art. 20 Le collaborazioni coordinate e continuative non ricondotte a un progetto o a una fase di esso hanno perduto la loro efficacia alla data del 24 ottobre 2004. Termini diversi, in ogni caso non superiori al 24 ottobre 2005, possono essere ritenuti legittimi se definiti nell’ambito di accordi sindacali aziendali di transizione, stipulati con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi. Art. 70 Art. 72 Lavoro accessorio Art.16 Art.17 Il contratto di lavoro accessorio ha luogo quando particolari categorie di lavoratori: a) disoccupati da oltre un anno b) casalinghe, studenti e pensionati c) disabili e soggetti in comunità di recupero d) lavoratori extracomunitari, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro rendono prestazioni meramente occasionali nell’ambito di: a) piccoli lavori domestici, compresa l’assistenza domiciliare a bambini e anziani b) insegnamento privato supplementare c) piccoli lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici e monumenti d) realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli e) collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lavori resi in situazioni di emergenza imputabili a calamità o eventi naturali, o di solidarietà anche a favore di più beneficiari per una durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare e che, in ogni caso, non danno complessivamente luogo a compensi superiori a 5 mila euro. I beneficiari delle prestazioni di lavoro accessorio acquisteranno, presso le rivenditorie autorizzate, i buoni, da consegnare al lavoratore, il cui importo sarà fissato da apposito decreto ministeriale. Art. 75 Certificazione dei contratti di lavoro Art. 18 Anziché ai soli contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale, a progetto, di associazione in partecipazione e di appalto, l’istituto della certificazione può essere applicato a tutte le tipologie del contratto di lavoro. Art. 20 Nel caso di instaurazione di rapporti di lavoro nel settore edile, il datore di lavoro deve comunicare al Centro per l’ Impiego l’assunzione del lavoratore, il giorno antecedente la data di instaurazione del rapporto stesso. Tale obbligo sarà operativo dal momento in cui verrà adottato il modello unificato per le comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro, previsto dall’ art. 6, comma 1 del decreto legislativo 297/2002 . Art. 59 Contratti di inserimento Art. 86 Norme transitorie e finali in riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative Art. 86 Norme transitorie e finali con riferimento al lavoro in edilizia Servizio di teleinformazione su: (solo telefonia fissa) dal LUNEDÌ al VENERDÌ 10.00 / 13.00 e 15.00 / 17.00. Ammortizzatori sociali Formazione Gli strumenti e le opportunità di lavoro Impresa Interventi comunitari Istituti contrattuali Istruzione Novità legislative sul mercato del lavoro Politiche Sociali Servizi per l'Impiego Tutela delle condizioni di lavoro Pagina 7 Anno 1 Numero 6/2004 Focus sulla Giurisprudenza del Lavoro Rigorosa pronuncia della Corte di Cassazione in materia di obblighi del datore di lavoro all’atto dell’assunzione La consegna al lavoratore, avvenuta un’ora e mezzo dopo l’assunzione, della “lettera di assunzione” contenente i dati della registrazione effettuata nel libro matricola, prevista dall’ art. 4 bis, comma 2, del D. Lgs 181/2000 così come modificato dall’ art. 6, comma 1 del D. Lgs 297/2002, costituisce illecito amministrativo punito con la sanzione da 250 a 1.500 euro. Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 18714 del 16 settembre 2004. Il tenore letterale della norma esaminata, che parla di consegna all’atto dell’as- sunzione, viene inteso dai giudici della Suprema Corte, quale adempimento da effettuarsi non in epoca successiva alla costituzione del rapporto di lavoro, in considerazione della ragione fondamentale del precetto che consiste nel garantire un’adeguata e tempestiva informazione al prestatore di lavoro, al momento stesso dell’assunzione. La Corte provvede inoltre, nell’estensione della sentenza, a sottolineare che l’illecito amministrativo si configura anche in presenza di comportamento colposo e non solo doloso da parte dell’agente. La Provincia di Verona, in collaborazione con Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Italia Lavoro S.p.a., sta realizzando sul territorio provinciale un progetto denominato “SPINN – i Servizi incontrano le imprese” allo scopo di promuovere il catalogo dei prodotti e delle prestazioni fornite dai Servizi per l’Impiego nonché altre iniziative di politica attiva per il lavoro erogate direttamente dal Ministero del Lavoro attraverso l’agenzia tecnica Italia Lavoro. La provincia di Verona è stata individuata dal Ministero del Lavoro quale partner ideale per la realizzazione dell’attività, insieme alle province di Bergamo, Forlì/Cesena, Macerata, Pistoia e Torino, in considerazione delle esperienze, nella costruzione e consolidamento di un proficuo rapporto di collaborazione con il mondo delle imprese e nella promozione dei servizi per il lavoro, maturate soprattutto in quest’ ultimo periodo. SERVIZI PER L’IMPIEGO Provincia di Verona NOTIZIARIO Provincia di Verona Settore Politiche Attive per il Lavoro Ufficio di progetto per il Marketing Via delle Franceschine, 10 37122 Verona Tel 0458088469 Fax 0458088458 Redazione a cura di Lanza Alberto, Bisighin Giampaolo, Scupola Carlo Laudanna Dario Realizzazione grafica a cura di Laudanna Dario Stampa Provincia di Verona Settore Politiche Attive per il lavoro Pagina 8 Anno 1 Numero 6/2004 SERVIZI PER L’IMPIEGO Provincia di Verona Cos’è l’UFFICIO DI PROGETTO PER IL MARKETING La Provincia di Verona, Settore Politiche Attive per il Lavoro, ha costituito nell’anno 2003 un ”UFFICIO DI PROGETTO PER IL MARKETING” con lo scopo di promuovere le attività e i servizi per il lavoro forniti dalla Provincia, attraverso i Centri per l’Impiego. La costruzione e lo sviluppo di un rapporto di proficua e costante collaborazione con il mondo delle imprese è l’obiettivo perseguito dall’attività di marketing, nella convinzione e consapevolezza che un aumento delle opportunità occupazionali e la configurazione di un mercato del lavoro dinamico e coerente con gli indirizzi di politica per il lavoro comunitari e nazionali perseguiti, non possono prescindere da una presenza qualificata e diffusa del Servizio pubblico per l’impiego. L’Ufficio di Progetto per il Marketing ha contattato, nel corso dell’anno corrente, 220 aziende, concordato 69 Piani di Azione Aziendale e rilevato, attraverso la somministrazione di un customer satisfaction, un grado di soddisfazione, per le attività svolte a favore delle imprese, superiore al 90%. Il risultato ci conforta e ci stimola nella prosecuzione e rafforzamento delle azioni intraprese e finalizzate, tramite una sempre più ampia ed estesa comunicazione dei servizi di politica per il lavoro sviluppati a favore dei lavoratori e dei datori di lavoro, ad aumentare l’occupabilità delle persone e a sostenere i bisogni degli imprenditori. Provincia di Verona Settore Politiche Attive per il Lavoro Ufficio di Progetto per il Marketing Via delle Franceschine, 10 37122 Verona VR Per informazioni compilare il coupon ed inviare a Ragione Sociale Indirizzo Comune Attività economica Referente e ruolo ricoperto Tel. Fax In qualità di Azienda cliente E-mail In qualità di Azienda non cliente Richiedo un contatto da parte dell’Ufficio di Progetto per il Marketing Richiedo i recapiti per richiesta informazioni su PAA e Servizio Segnalo altra azienda interessata ai servizi da Voi offerti Ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196 autorizzo il trattamento dei dati personali forniti all’Ufficio di Progetto per il Marketing - Settore Politiche Attive per il Lavoro - della Provincia di Verona. Firma