Provincia di Verona
Il Piano di Azione Aziendale come strumento di
soddisfazione dei fabbisogni occupazionali
delle imprese
I casi di buon governo dei rapporti tra Pubblica Amministrazione Locale ed Imprese
Provincia di Verona - Il Piano di Azione Aziendale come strumento di soddisfazione dei fabbisogni occupazionali
delle imprese
Il contesto
La riforma del collocamento pubblico ha ridisegnato il quadro degli interlocutori istituzionali cui le imprese possono
rivolgersi per soddisfare i loro fabbisogni occupazionali, delegando alle Province la realizzazione di politiche attive
per il lavoro. Tali enti devono poter garantire la funzione essenziale di matching tra domanda ed offerta
conciliando, per quanto possibile, la tutela delle persone in cerca di occupazione con le esigenze di flessibilità delle
imprese. L’attività di intermediazione dei Servizi Pubblici per l’Impiego trova però un inatteso ostacolo proprio nel
basso numero di aziende che utilizzano l’operatore pubblico per il reclutamento delle risorse: una recente indagine
dell’Isfol (I Servizi per l’Impiego nelle relazioni con le imprese – Osservatorio Isfol XXIV,2,3 – 2003) evidenzia
come, su 100 aziende, solo 16 si rivolgono ai Centri per l’Impiego, ed una buona percentuale di esse non è al
corrente dei cambiamenti intervenuti nel collocamento pubblico a seguito della Riforma Biagi.
Il Piano di Azione Aziendale, realizzato all’interno del Settore Politiche Attive per il Lavoro della Provincia di
Verona, rappresenta il risultato di un processo di cambiamento organizzativo, finalizzato ad esplorare nuove
possibilità di interazione con le imprese presenti sul territorio, coerentemente con il nuovo ruolo assunto dalle
Province in seguito alla Riforma Biagi. La Legge, infatti, sottolinea il valore della funzione di consulenza direzionale
come elemento distintivo e caratterizzante la modernizzazione dei Servizi Pubblici per l’Impiego, in quanto migliora
la capacità di comprensione delle esigenze e l’individuazione dei fabbisogni occupazionali delle imprese. Il PAA,
per riprendere le parole del dott. Luigi Oliveri, Dirigente del Settore Politiche Attive per il Lavoro, parte dal
presupposto che “la clientela di un servizio per l'impiego non è solo la persona in cerca di lavoro, ma anche
l'azienda che ricerca personale”. Con la sottoscrizione del PAA si attiva un meccanismo di interazione tra la
Provincia (per il tramite del Settore Politiche Attive per il Lavoro), il CPI competente sul territorio e l’impresa, grazie
al quale:
gli operatori pubblici hanno modo di entrare nell’impresa, di conoscerne a fondo attività e problematiche e
definire un percorso di affiancamento finalizzato ad individuare i fabbisogni di personale attuali ma soprattutto
programmare quelli futuri, eventualmente “ritarando” le modalità dell’intervento;
le imprese hanno la possibilità di esplicitare in maniera puntuale e dettagliata le loro esigenze, ed entrano in
contatto con una Pubblica Amministrazione efficiente e competente.
Piano di Azione Aziendale
Ufficio di Progetto per
il Marketing
Input/Output
Imprese
Centro per l’Impiego
competente sul
territorio
Il PAA punta a stabilire un rapporto di collaborazione e cooperazione con le imprese, e la formalizzazione in un
documento è funzionale non solo alla chiarezza dei rapporti, ma soprattutto ad attivare un percorso di
affiancamento duraturo nel tempo. In tal modo, i SPI sono in grado di migliorare anche la qualità del servizio
prestato alle persone in cerca di occupazione, perché possono indirizzare l’offerta informativa ai target condivisi
con le aziende, orientare le risorse verso determinate attività lavorative, formarle per l’occasione, garantendo
dunque maggiori opportunità e molteplici sbocchi professionali e realizzando così l’obiettivo dell’occupabilità
richiesto dalla mission dei Servizi per l’Impiego.
I driver dell’innovazione
Il Piano di Azione Aziendale matura in un contesto economico fiorente, in quanto sia a livello regionale che a livello
provinciale non esistono particolari emergenze: il tasso medio di disoccupazione si attesta attorno al 3,4% ed il
tessuto imprenditoriale locale – 90.000 imprese di piccole, medie e grandi dimensioni iscritte alla Camera di
Commercio - è rimasto quasi del tutto estraneo alle crisi occupazionali ed alla congiuntura economica negativa
degli ultimi anni. Tali caratteristiche hanno stimolato il Settore Politiche Attive per il Lavoro a concentrare
l’attenzione sul target delle imprese – in coerenza con gli obiettivi definiti dal Masterplan regionale -, per cercare di
risolvere la criticità legata al basso numero di collocamenti intermediati dai Servizi per l’Impiego, motivata dal fatto
che la maggior parte delle imprese ricorreva a canali di reclutamento alternativi.
Il PAA rappresenta la formalizzazione di un modus operandi in realtà già diffuso e praticato sul territorio
provinciale, anche prima della Riforma e dunque del passaggio delle competenze dal Ministero del Lavoro alle
Province. Le risorse che gestivano i rapporti con le imprese avevano adottato un approccio diretto e collaborativo,
e gli imprenditori locali dimostravano di apprezzare la capacità propositiva e la “vivacità” degli operatori. A seguito
della Riforma (nel 2002), le risorse sono poi confluite nei diversi Centri per l’Impiego presenti sul territorio, dove
hanno potuto consolidare la loro professionalità, e soprattutto intensificare il rapporto di cooperazione con le
imprese, potendo godere di una maggiore libertà organizzativa e di strumenti informativi/consulenziali in
precedenza inesistenti. In particolare, i due Centri per l’Impiego di Verona e Legnago avevano, per motivi diversi,
adottato una politica di promozione dei servizi alle imprese particolarmente “aggressiva” ed efficace: molto spesso,
lo stesso operatore si recava presso la sede fisica dell’azienda a presentare all’imprenditore, o al Responsabile del
Personale, l’offerta di servizi del Centro e le nuove tipologie di contratto partorite dalla Riforma. Visto il positivo
riscontro e la forte motivazione del personale, la Provincia ha deciso di internalizzare tali competenze nel Settore
Politiche Attive per il Lavoro, in modo da centralizzare l’attività di promozione e di servizio alle imprese, e
dispiegarla a beneficio dell’intero territorio provinciale con l’istituzione, nel 2003, dell’Ufficio di Progetto per il
Marketing.
Giugno/ Luglio
2003
Ricognizione del servizio marketing dei CPI di
Legnago e Verona
Luglio /Agosto
2003
Elaborazione del manuale di descrizione dei processi
di lavoro
Agosto 2003
Validazione del manuale
Lettera di incarico
del 22 agosto 2003
Approvazione del processo per la costituzione
dell’Ufficio di Progetto per il Marketing
L’Ufficio di Progetto per il Marketing, coerentemente con quanto previsto con l’ordine di servizio che lo istituisce,
svolge un’attività di intelligence sul territorio, in quanto coordina l’attività delle risorse competenti per la gestione dei
contatti con le aziende, l’erogazione di informazioni e l’acquisizione di nuovi clienti, anche in collaborazione con i
Centri per l’Impiego presenti sul territorio. Altro elemento di innovazione riguarda le modalità con cui viene erogato
il servizio, che rovesciano le tradizionali modalità di interazione tra Pubblica Amministrazione ed utenti: in questo
caso, infatti, sono gli stessi operatori che “portano” il servizio a “casa” dell’imprenditore (a costo zero),
differentemente da quanto accadrebbe se si rivolgessero alle Agenzie private autorizzate.
I risultati
I dati in possesso dell’Ufficio di Progetto per il Marketing si riferiscono al primo anno di vita della struttura, e
testimoniano il generale apprezzamento per l’attività svolta. Nel corso dell’anno 2004 sono state visitate 204
aziende e 68 hanno aderito al PAA, con un’evasione delle richieste pari al 50% rispetto al fabbisogno di personale
evidenziato. Il livello di soddisfazione per i servizi resi è piuttosto elevato, come testimoniato dai risultati dei
questionari di customer satisfaction somministrati a tutte le aziende che hanno stipulato il PAA.
Per informazioni e contatti
Ufficio di Progetto per il Marketing – Settore Politiche Attive per il Lavoro
Via delle Franceschine 10, 80122 Verona
Responsabile: Carlo Scupola
E-mail: [email protected]
Telefono: 045/8088469
Fax: 045/8088821
Sito web: http://www.provincia.vr.it/newweb/Servizi al/Settore Po/index.asp
Per saperne di più: la riforma del mercato del lavoro
Il mercato del lavoro è al centro di una profonda trasformazione, e con esso
le Istituzioni, sia pubbliche che private, coinvolte nella riforma del
collocamento. Il decreto attuativo 276/2003 sancisce la fine del monopolio
pubblico e definisce un regime autorizzatorio che prevede la possibilità, per
una serie di attori (Agenzie private, Università, Ordine dei Consulenti del
lavoro) di esercitare una funzione che per mezzo secolo è stata gestita a
livello centralizzato dal Ministero del lavoro, che conserva esclusivamente
una funzione di pianificazione e indirizzo.
A livello locale, la Riforma rafforza il ruolo delle Province, delegando ad esse
la gestione dei Servizi Pubblici per l’Impiego e la definizione/attuazione di
politiche attive per il lavoro. L’obiettivo della occupabilità viene perseguito
dalle Province con l’erogazione di nuovi servizi (accoglienza, orientamento,
consulenza, formazione) finalizzati a semplificare l’incontro tra chi domanda
lavoro e chi offre lavoro.
Il Piano di Azione Aziendale: l'esperienza della Provincia di Verona
Intervista al dottor Luigi Oliveri, Dirigente del Settore Politiche Attive per il Lavoro della
Provincia di Verona
D: Le amministrazioni provinciali sono fortemente impegnate nella riconfigurazione
del sistema di offerta dei servizi per l’impiego, in ottemperanza a quanto previsto
dal d. lgs 469/97. A sei anni di distanza, qual è la Sua opinione sullo “stato dell’arte”
del processo di riforma nella Sua provincia?
R: La Provincia di Verona ha sostanzialmente concluso la fase di formazione e studio delle
riforme. Il personale si è già spinto molto avanti su linee di attività essenziali, quali
l'accoglienza e l'orientamento, nonchè l'incontro domanda-offerta, utilizzando sia le nuove
metodologie normative, sia anche gli strumenti operativi software messi a disposizione
dalla Regione Veneto. In particolare, uno strumento quale lo sportello e-labor, una sorta di
anticipazione di un sistema di incontro domanda-offerta aperto ai cittadini ed alle imprese,
ma controllato nei suoi canali di accesso dalle sinergie tra centri per l'impiego e sportelli
privati convenzionati attivati dalle associazioni sindacali e di categoria. La Provincia allo
scopo proprio di puntualizzare il quadro delle attività svolte, ha realizzato un progetto di
standardizzazione dei servizi resi, creando un manuale della qualità ed impostando una
carta dei servizi, che saranno attivati nei prossimi mesi. L'attivazione a regime di due
servizi fondamentali quali l'accoglienza e l'orientamento, oltre all'avvio di progetti
sperimentali indicano uno stato di avanzamento da considerare buono.
D: L’evoluzione degli SPI verso una funzione proattiva e di orientamento implica
necessariamente la riformulazione delle strategie di intervento sul mercato del
lavoro locale. Quale ruolo gioca la comunicazione all’interno di un sistema di offerta
di servizi orientato al mercato?
R: La comunicazione assolve ad un ruolo strategico, perchè talvolta la mancanza di
opportunità di lavoro, per i cittadini, deriva dalla mancanza di conoscenze. Per questa
ragione la Provincia ha investito in un forte piano di comunicazione sulle tematiche del
lavoro nel biennio 2003-2004, con l'obiettivo di rilanciarlo anche nelle successive
annualità. Si è puntato, sin qui, su una comunicazione "minimale", che chiarisse ai cittadini
intanto, un primo dato essenziale: competente a risolvere le problematiche del lavoro è la
Provincia, non il Ministero, un ente "vicino" al cittadino ed al territorio, sensibile alle
peculiarità . In abbinamento a tale piano, la Provincia ha anche avviato una serie di
convenzioni con i comuni, per estendere appunto le opportunità di conoscenze e relazioni
anche in quelle frazioni del territorio non presidiate da uffici provinciali.
D: Potrebbe indicarci, in ordine crescente di importanza, quegli obiettivi che ritiene
strategici per una efficace strategia di comunicazione?
R:
- Monitorare il livello di soddisfazione degli utenti degli SPI;
- Migliorare l'immagine dei Servizi Pubblici per l'Impiego;
- Motivare gli operatori degli SPI e facilitare la comprensione e l'accettazione del
cambiamento;
- Comunicare ai soggetti interessati i servizi disponibili, i tempi di risposta e la qualità delle
proposte attivabili da parte dei Centri Per l'Impiego;
- Creare/potenziare un legame con gli stakeholders coinvolti a vario titolo nel processo di
decentramento delle politiche attive per il lavoro;
- Raggiungere fasce di utenza poco partecipi.
D: La Provincia di Verona ha istituito un apposito Ufficio di Progetto per il Marketing
a cui ha deciso di affidare la pianificazione e gestione della strategia di
comunicazione e marketing dei SPI sul territorio provinciale. Quali sono gli obiettivi
sottesi alla nascita di questa struttura?
R: Il progetto marketing è parzialmente diverso da quello che generalmente si intende. La
Provincia non ha inteso fare marketing al solo scopo di sviluppare la comunicazione delle
attività, ma ha piuttosto inteso "acquisire clienti". Si è partiti dal presupposto che la
clientela di un servizio per l'impiego non è solo la persona in cerca di lavoro, ma anche
l'azienda che ricerca personale. Una delle funzioni essenziali previste dalla legge Biagi è
proprio l'attività di consulenza di direzione finalizzata alla risoluzione di una specifica
esigenza dell'organizzazione committente, attraverso l’individuazione di candidature
idonee a ricoprire una o più posizioni lavorative in seno all'organizzazione medesima, su
specifico incarico della stessa. E' chiaro che tale analisi, oltre a favorire la conoscenza dei
servizi per l'impiego, permette ai servizi di conoscere con anticipo le esigenze delle
aziende ed a tale scopo selezionare a monte i curricula adeguati, oppure rilevare
l'assenza nel territorio di figure richiese e così attivare la formazione, oppure creare con la
ditta percorsi di inserimento lavorativi finalizzati a completare professionalità solo
parzialmente rispondenti alle richieste. Insomma, si cerca di rimodulare l'offerta in base
alla domanda. In tal modo, a regime, l'efficienza del sistema dovrebbe aumentare.
D:L’ufficio di Progetto per il Marketing ha previsto un Piano di Marketing e
Comunicazione volto a favorire l’incontro domanda/offerta di lavoro rivolto
specificamente al target “impresa”. Quali le ragioni che hanno spinto a rivolgersi a
questo segmento di utenza?
R: La consapevolezza, come detto prima, che il valore aggiunto da dare a chi cerca lavoro
è la presenza di un "pacchetto di imprese" il cui fabbisogno è noto, il che consente di
creare canali di ricerca mirati e diretti.
D: Da un recente monitoraggio effettuato dall’Isfol in cinque province italiane sui
principali canali di reclutamento del personale utilizzati dalle imprese, emerge come
i Centri per l’Impiego vengano contattati solo nel 16% dei casi, mentre nel 28%
complessivo dei casi le imprese si rivolgono ad Agenzie private o ad Agenzie
interinali. Qual è la situazione nella Sua provincia a riguardo e quale impatto ha
avuto in termini di risultati concreti l’attuazione del Piano di Azione Aziendale su di
essa?
R: I dati definitivi del piano di marketing e del correlato sistema dei piani di azione
aziendale sono ancora da analizzare. Si tenga presente, per altro, che per l'anno 2004 il
progetto sperimentale si concluderà con una specifica analisi di customer satisfaction delle
aziende che hanno stipulato il patto, dalla quale verificare il livello di copertura del canale.
Certo, l'obiettivo del marketing è creare un contatto molto forte con le aziende che
stipulano i piani, le quali tendenzialmente dovrebbero utilizzare il canale pubblico per le
ricerche di lavoro con percentuali molto superiori. In effetti, i primi dati sin qui rilevati sono
al di sopra del 16% indicato, ma è prematuro commentarli.
D: Quali dati sono emersi dall’ attività di monitoraggio conseguente
all’implementazione del Piano di Marketing e Comunicazione alle imprese, in termini
di aziende visitate, convenzioni sottoscritte e lavoratori assunti?
R: Ad oggi sono state visitate 155 aziende, delle quali circa 60 hanno stipulato il Piano di
Azione Aziendale.
D: Ad un impegno concreto nei confronti del target “impresa” è corrisposta
un’azione di sensibilizzazione verso i servizi offerti dai CPI anche per altre fasce di
utenza, quali disoccupati, inoccupati, giovani in obbligo formativo, ecc.?
Sì, si tratta proprio delle funzioni di accoglienza e orientamento che sono già a regime da
quasi due anni.
D: Ci sono iniziative di comunicazione e marketing in cantiere nell’agenda
provinciale dei prossimi mesi?
R: L'azione di marketing verrà ripetuta e rafforzata, anche col coinvolgimento delle scuole
(l'esperimento per la verità è già partito nel 2004). Le iniziative di comunicazione saranno
connesse alla pianificazione legata alle risorse del FSE
SCHEDA DI RICHIESTA PERSONALE
Settore Politiche Attive per il Lavoro
S
P A Z I O
/
RIF.:
CENTRO PER L’IMPIEGO di
Servizi per
l’Impiego
PROVINCIA DI VERONA
__________________________________________________________________
R I S E R V A T O
RIF
A L L
’
U F F I C I O
/
:
Pratica:
Operatore del Centro per l’Impiego incaricato di seguire la
ricerca e selezione del personale
.....................................................................................................
Telefono...................................– fax ...........................................
e-mail............................................................................................
Progetto Marketing
Sportello Lavoro
Note:
c/o Istituto/Università:
DATI DELL’AZIENDA
Ragione sociale
Partita Iva
Codice Fiscale
Via
Comune (prov.)
tel.
fax
e mail
Referente azienda
n° dipendenti/soci
Settore attività
C.C.N.L.
PIANO DI AZIONE AZIENDALE STIPULATO IN DATA
SI
INCARICO DI PRESELEZIONE
NO
Modalità di ricerca/pubblicazione:
Ricerca archivio banca dati CpI
Pubblicazione all’albo dell’ufficio
Pubblicazione sul portale della Provincia
Pubblicazione su organi di stampa locali
Pubblicazione/Ricerca banca dati Elabor
Altro (specificare) .....................................................
Ai sensi della legge 196/2003 autorizzo il trattamento dei dati personali forniti al Centro Impiego.
MOD15
Rev. 00 del 04/06/2004
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MOD15 RICHIESTA DI PERSONALE
Questo documento è di proprietà della Provincia di Verona – Settore Politiche Attive del Lavoro che se ne riserva tutti i diritti
SCHEDA DI RICHIESTA PERSONALE
CENTRO PER L’IMPIEGO di
Servizi per
l’Impiego
PROVINCIA DI VERONA
Settore Politiche Attive per il Lavoro
__________________________________________________________________
Caratteristiche dell’offerta lavorativa
N° lavoratori
/
RIF.:
Luogo di lavoro
Trasferte
Il luogo di lavoro si può raggiungere con: Mezzo proprio
Mezzi pubblici: AMT
APTV
FF.SS.
Qualifica ...............................................................................................................................................................................................
Esperienza necessaria
Anche primo impiego
Anche lavoratore generico
Mansioni ...............................................................................................................................................................................................
Attrezzature da utilizzare in azienda ...........................................................................................................................................
Tipo rapporto di lavoro offerto
Indeterminato
Determinato
Apprendistato
Contratto
d’inserimento
mesi
gg.
mesi
gg.
mattino
Orario di lavoro
Contratto a progetto
Contratto di collaborazione
Domicilio
Altro (speciifcare): ____________________________
____________________________
/
pomeriggio
part-time: n° ore settimanali
/
notte
diurno
Turni
/
notturno
spezzato
Tipo di assunzione
Ordinaria
Agevolata:
Mobilità
Regione Veneto FSE
Stato di disoccupato > 24 mesi
Cassa Integrazione
data assunzione/periodo...................................... Altro:..................................................
Caratteristiche del lavoratore
Età
da
a
Militassolto:
Titolo di studio/attestato
Inglese
Lingue
base
Conoscenze
informatiche
livello
Patente:
A
buona
Tedesco
ottima
Word
Office
B
buona
base
C
ottima
Excel
D
Francese
base
AS400
E
K
buona
Altra
ottima
base
buona
ottima
Altro:
F
ADR
mezzo proprio
Dichiaro altresì che l’eventuale assunzione sarà effettuata nel rispetto del Contratto Collettivo Nazionale di categoria e delle vigenti leggi in
materia.
Data
Firma e timbro
Ai sensi della legge 196/2003 mi impegno ad utilizzare i dati personali forniti dal Centro Impiego esclusivamente ai fini di selezione di
personale da inquadrare nell’organico dell’Azienda da me rappresentata.
MOD15
Rev. 00 del 04/06/2004
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MOD15 RICHIESTA DI PERSONALE
Questo documento è di proprietà della Provincia di Verona – Settore Politiche Attive del Lavoro che se ne riserva tutti i diritti
3529,1&,$',9(521$
8IILFLRSURJHWWR0DUNHWLQJ
Prot
³3LDQRGL$]LRQH$]LHQGDOH´
/¶$]LHQGD
GLVHJXLWRVHPSOLFHPHQWH$]LHQGD
YLD
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6HGH/HJDOH
5HIHUHQWH
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&HQWURSHU
O¶,PSLHJRGL
FRQVHGHD
GLVHJXLWRVHPSOLFHPHQWH&S,
YLD
5HVSRQVDELOH
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5HIHUHQWHL
WHOHIRQRID[
(PDLOGHO&S,
2SHUDWRULGHO
VHUYL]LRGLULFHUFD
HVHOH]LRQHGHO
SHUVRQDOH
Pa g ina 1 d i 1
3529,1&,$',9(521$
8IILFLRSURJHWWR0DUNHWLQJ
3UHPHVVRFKH
-
i Centri per l’Impiego Provinciali di cui DOO¶DUWFRPPDOHWWHUDHGHOGHFUHWROHJLVODWLYR
sonoi “servizi competenti” alla gestione e alla erogazione dei servizi
connessi alle funzioni e compiti in materia di politica attiva del lavoro, con particolare
riferimento alla programmazione e coordinamento di iniziative volte ad incrementare
l’occupazione e ad incentivare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, GLFHPEUHQ
&RQVLGHUDWRFKH
-
comune intento dei 6HUYL]L 3URYLQFLDOL SHU O¶,PSLHJR e dell¶$]LHQGD aderente è la
promozione di cultura della legalità e qualità del lavoro;
-
comune obiettivo dei 6HUYL]L 3URYLQFLDOL SHU O¶,PSLHJR e dell’$]LHQGD aderente è la
promozione di interventi diretti alla ricerca e allo sviluppo di azioni idonee a facilitare il
reperimento di personale e il miglioramento delle opportunità occupazionali delle persone in
cerca di lavoro, anche attraverso l’analisi e lo studio dei nuovi strumenti di politica del lavoro
introdotti dalle recenti riforme del mercato del lavoro.
-
la 3URYLQFLD GL 9HURQD con determinazione n° 149, del 13.1.2004, del dirigente del Settore
Politiche Attive per il Lavoro, ha istituito presso i Centri per l’impiego Provinciali, nell’ambito
del Servizio “Incontro Domanda Offerta” lo specifico servizio di 5LFHUFD H 6HOH]LRQH GHO
3HUVRQDOH . Detto servizio, gestito direttamente dai &S,, col coordinamento dei rispettivi
responsabili, promosso dall’Ufficio di Progetto per il Marketing e gestito dagli operatori
incaricati, ha lo specifico compito di offrire alle Aziende che aderiscono al 3LDQR GL $]LRQH
D]LHQGDOH, le seguenti opportunità:
‰
,QIRUPD]LRQL
‰
&RQVXOHQ]D
‰
5LFHUFDHVHOH]LRQHGHOSHUVRQDOH
-
Pertanto,l¶$]LHQGD, come sopra rappresentata, con la sottoscrizione del presente Piano aderisce
ad una o più delle opportunità offerte e prende atto che tale adesione permette lo svolgimento
coordinato col &S, delle seguenti attività nel rispetto delle modalità operative di seguito
indicate:
-
/¶D]LHQGD, nell’assoluta libertà di contattare soggetti pubblici e privati nell’ambito della
ricerca di figure e profili professionali da inserire nel proprio organico, anche attraverso stage
e tirocini formativi, considera la relazione con il &HQWUR SHU O¶,PSLHJR un mezzo idoneo al
raggiungimento delle finalità di cui sopra;
-
,O &S, attiva procedure idonee per giungere all’effettiva valutazione delle competenze dei
candidati da segnalare all’azienda richiedente;
-
,O &S, effettua la segnalazione, anche attraverso strumenti informatici, dei nominativi
preselezionati entro 3 giorni lavorativi dalla ricezione della richiesta. Giustificati motivi che
impediscano la segnalazione sono tempestivamente comunicati al richiedente. Il mancato
Pa g ina 2 d i 2
3529,1&,$',9(521$
8IILFLRSURJHWWR0DUNHWLQJ
reperimento di profili corrispondenti alle caratteristiche indicate dall’azienda, impegna il
Centro, di concerto con l’azienda stessa, ad attivare misure ulteriori di ricerca;
-
/¶D]LHQGD che si avvale del servizio incontro domanda/offerta del &HQWURSHUO¶,PSLHJR per la
preselezione e il reclutamento del proprio personale, conviene sulla necessità di segnalare,
entro tempi ragionevolmente brevi, l’esito della ricerca al Centro anche al fine di consentire
l’analisi e il monitoraggio dei dati e dei flussi attuati;
-
,O &S, R O¶8IILFLR SUHSRVWR
, con cadenza mensile, trasmette all’azienda, anche attraverso
strumenti informatici, una FLUFRODUH LQIRUPDWLYD contenente gli aggiornamenti in materia di
procedure di assunzioni e relativa modulistica, forme di incentivazione nazionale e regionale
alle assunzioni, tipologie contrattuali, tirocini formativi e altre informazioni in materia di
lavoro;
-
predispone all’interno della propria struttura un punto denominato “6SD]LR ,PSUHVD”
accessibile da parte dell’azienda sottoscrittrice anche attraverso strumenti informatici, volto a
garantire un flusso, aggiornato e mirato di informazioni di interesse per l’azienda, erogato
anche mediante elaborazione e distribuzione di materiali informativi e campagne di
informazione relative all’introduzione di nuove misure di politica del lavoro e/o innovazioni
normative in materia di lavoro;
,O &S,
$WWLYD]LRQHGHOVHUYL]LRGLSUHVHOH]LRQH
-
/H SDUWL si impegnano sin d’ora a realizzare nei tempi e nei modi stabiliti le attività che
saranno di volta in volta concordate; in particolare, mediante apposita OHWWHUD GL LQFDULFR
l’azienda può affidare al Centro per l’Impiego il compito di ricerca e selezione del personale in
base a moduli operativi condivisi e nel rispetto della normativa vigente
&DUDWWHULVWLFKHGHO3LDQRGL$]LRQH$]LHQGDOH
-
Il presente Piano è costituito a tempo indeterminato e sarà sottoposto a eventuali verifiche,
conferme o modifiche nei modi che le due Parti vorranno stabilire e potrà essere disdettato, ad
insindacabile giudizio di ciascuna delle Parti, a mezzo di comunicazione scritta, in qualsiasi
momento.
-
Il presente Piano QRQKDFDUDWWHUHRQHURVR per le Parti.
3HUO¶D]LHQGD
_Luogo , data
6LJ
8IILFLR3URJHWWRSHULOPDUNHWLQJ
7HOHIRQR
(PDLO
Pa g ina 3 d i 3
PROVINCIA DI VERONA
AREA SERVIZI ALLA PERSONA E ALLA COMUNITA’
SETTORE POLITICHE ATTIVE PER IL LAVORO
STAFF AREA
Monica Fondriest
DIRIGENTE
Dott. Luigi Oliveri
UFFICIO DI PROGETTO
ORIENTAMENTO
Ref. Dott. Martina Permunian
U.O. COLLOCAMENTO MIRATO
Resp. Dott. Grazia Maria Ricci
UFFICIO DI PROGETTO
MARKETING
Ref. Carlo Scupola
OSSERVATORIO LAVORO
Ref. Maria Micovillovich
SERVIZIO
COORDINAMENTO PER
L’IMPIEGO
Resp. Flavio Pasetto
SERVIZIO
CENTRO PER L’IMPIEGO 1
Resp. Dott. Antonella Vezzini
SERVIZIO
CENTRO PER L’IMPIEGO 2
Resp. VACANTE
(Ref. Flavio Pasetto)
PROVINCIA DI VERONA
AREA SERVIZI ALLA PERSONA E ALLA COMUNITA’
SETTORE POLITICHE ATTIVE PER IL LAVORO
SERVIZIO
COORDINAMENTO PER
L’IMPIEGO
Resp. Flavio Pasetto
CONTABILITA’
Daniela Busato
(sub. Dirigente)
AMMINISTRAZIONE
Annamaria Bogoni
Giuliana Lucco
(sub. Dirigente)
SERVIZIO
CENTRO PER L’IMPIEGO 1
Resp. Dott. Antonella Vezzini
CENTRO PER L’IMPIEGO
AFFI
Resp. Raffaele Caiazzo
CENTRO PER L’IMPIEGO
VERONA
Resp. Dott. Antonella Vezzini
CENTRO PER L’IMPIEGO
SAN BONIFACIO
Resp. Dott. Antonella Vezzini
COMMISSIONE
PROVINCIALE PER
IL LAVORO
CFL, CIGS,
MOBILITA’,
DISPONIBILITA’
P.I.
Umberto Zancanella
Antonio Scupola
SERVIZIO
CENTRO PER L’IMPIEGO 2
Resp. VACANTE
(Ref. Flavio Pasetto)
CENTRO PER L’IMPIEGO
VILLAFRANCA DI VERONA
Resp. Flavio Pasetto
CENTRO PER L’IMPIEGO
BOVOLONE
Resp. VACANTE
(Ref. Giuseppe Veronese)
CENTRO PER L’IMPIEGO
LEGNAGO
Resp. Maria Micovillovich
PROVINCIA DI VERONA
AREA SERVIZI ALLA PERSONA E ALLA COMUNITA’
SETTORE POLITICHE ATTIVE PER IL LAVORO
SCHEMA FUNZIONALE DI UN CENTRO PER L’IMPIEGO
•
•
•
•
•
•
•
Segreteria amministrativa
Analisi e programmazione
Progettazione monitoraggio,
dati amministrativi e
produzioni statistiche
Ricerche indagini di mercato
e valutazione delle politiche
Programmazione e
progettazione servizi
•
•
Gestione sistema informativo
Registrazioni comunicazioni
obbligatorie
Manutenzione anagrafe
lavoratori
Accertamenti coordinati con
altre amministrazioni
RESPONSABILE
Accoglienza
Accogliere, filtrare ed
indirizzare la domanda
all’utenza
Mediazione domanda/offerta
Raccolta domanda ed offerta di
lavoro
Servizio di mediazione
Gestione avviamenti a selezione
nelle P.A.
Accompagnamento al lavoro
Le attività finalizzate alla
costruzione e gestione dei
percorsi d’inserimento
lavorativo
Marketing per le imprese
Presentazione servizi alle
imprese, al fine di ottenere
commissioni d’ordine per le
attività di preselezione o
mediazione domanda/offerta
Il Piano di Azione Aziendale
g
Il Piano di Azione Aziendale - PAA è una convenzione a tre tra l’Ufficio di Progetto
per il Marketing, l’operatore del CPI competente sul territorio per l’incontro
domanda/offerta e l’azienda;
g
Il PAA è costituito a tempo indeterminato, non ha carattere oneroso per l’azienda e
può essere rescisso in qualunque momento previa comunicazione di una delle
parti;
g
Il PAA è un contratto a prestazione unilaterale in quanto non vi è corrispettività
delle obbligazioni: l’unico soggetto “impegnato” è l’Ufficio di Progetto;
g
Il PAA offre, in aggiunta ai normali servizi, la possibilità di fruire dei servizi di
politica attiva erogati dai Centri.
Il “pacchetto” di offerta
L’azienda contraente, stipulando il PAA, può scegliere di usufruire in tutto o in parte
dei servizi di politica attiva offerti dai Centri.
g
Informazione mirata:
4 predisposizione, all’interno di ogni CPI, di un punto informativo
denominato “Spazio Impresa”, diretto alla fornitura di notizie ed
informazioni di interesse per l’azienda;
4 elaborazione e distribuzione di materiali informativi e del “Notiziario”
trasmesso con cadenza mensile, contenente tutti gli aggiornamenti in
materia di lavoro e mercato del lavoro e delle iniziative di maggior rilievo
attivate dalla Provincia.
g
Consulenza:
4 analisi e studio dei nuovi strumenti di politica attiva del lavoro introdotti
dalla riforma Biagi;
4 diffusione delle conoscenze in materia di contratti formativi, assunzioni
agevolate e nuove tipologie contrattuali.
Il “pacchetto” di offerta - segue
g
Ricerca e selezione del personale:
4
definizione dei profili di competenze e di capacità delle candidature
ideali;
4
valutazione delle candidature attraverso appropriati strumenti selettivi;
4
certificazione e riconoscimento di conoscenze e competenze;
4
pianificazione e realizzazione del programma di ricerca delle
candidature attraverso una pluralità di canali di reclutamento (banca dati
CPI, quotidiani, radio locali, sito provincia, programma e-labor veneto);
4
formazione della rosa di candidature maggiormente idonee;
4
preselezione dei candidati e segnalazione dei nominativi selezionati.
Regione Veneto: alcuni dati riguardanti il mercato del lavoro*
Occupati
Tasso regionale di occupazione
Tasso regionale di disoccupazione
Tasso di disoccupazione nazionale
2 milioni
63%
3,4%
9,2%
•
Uno dei dati di maggior rilievo riguarda la contrazione, registrata nel corso degli
ultimi dieci anni, nella partecipazione al Mercato del Lavoro Veneto dei giovani di
età compresa tra i 15 e i 19 anni;
•
Altro dato rilevante riguarda l’incidenza dell’occupazione femminile, il cui tasso di
attività è passato dal 35,9% del 1994 al 39,3% del 2002;
•
Il settore con il maggior numero di occupati è il terziario, con il 56% del totale;
Settori produttivi
•
Nel Veneto un ruolo significativo è ancora svolto dal settore manifatturiero, che
impiega il 40,2% del totale degli occupati;
•
Cresce il settore meccanico, mentre è in calo il sistema moda.
Tipologie contrattuali prevalenti (sul totale delle assunzioni)
Apprendistato
Tempo determinato
Lavoro interinale
Tempo indeterminato
15-16%
37%
13%
30%
* Fonte: Mercato del Lavoro e dintorni – Pubblicazione a cura del centro per l’Impiego
di Legnago (2002)
Provincia di Verona: alcuni dati riguardanti il mercato del lavoro*
Occupati
Tasso provinciale di occupazione
Tasso provinciale di disoccupazione
Tasso di disoccupazione nazionale
361.000
50,9%
3,6%
9,2%
•
Il lavoro femminile ha conosciuto un aumento significativo soprattutto nel settore
manifatturiero (+7,5%);
•
Il lavoro maschile fa registrare consistenti incrementi nel ramo commercio
(+12,5%), con particolare riguardo alle attività di intermediazione, e nel settore del
terziario;
Settori produttivi
•
Nella Provincia di Verona si rileva un forte incremento del settore commercio.
Occupazione dipendente, autonoma, parasubordinata
•
L’occupazione dipendente è pari al 66%, ed è più elevata tra le donne (75%), anche
se nel complesso si conferma un trend decrescente che vede la categoria dei
dipendenti in leggera flessione;
•
Una forte richiesta di lavoro dipendente si registra nel settore commerciale
(+12,5%) e si rivolge in maniera esclusiva agli uomini (+27,3%);
•
L’occupazione trova espansione in misura rilevante sulle posizioni autonome o
parasubordinate, con un progresso dell’11% (+17,2 per l’occupazione femminile,
+ 7,4% per l’occupazione maschile);
•
Il tasso di partecipazione dei giovani (15-24 anni) è in calo, probabilmente a causa
di una mancanza di disponibilità a spostarsi per raggiungere la sede di lavoro;
•
Si evidenzia un forte incremento nell’occupazione dei giovani adulti (25-29 anni),
pari all’80,5%.
* Fonte: Mercato del Lavoro e dintorni – Pubblicazione a cura del centro per l’Impiego
di Legnago (2002)
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
A - La missione dei SPI e il loro contributo alla
realizzazione e al miglioramento delle politiche del
lavoro
L’identificazione della specifica missione dei SPI (servizi per l’impiego) è
condizione fondamentale per poterne definire obiettivi e standard di funzionamento.
Tale missione, anche rispetto ad un recente passato, è oggi declinata
secondo schemi innovativi: in particolare l’attività affidata ai SPI è interpretata
soprattutto come messa in atto di azioni di facilitazione e supporto rispetto a
situazioni di tensione e squilibrio riscontrabili nel mercato del lavoro.
La ridefinizione degli obiettivi e quindi del ruolo dei SPI discende sia dagli
orientamenti formulati in sede comunitaria mano a mano che la SEO (Strategia
europea per l’occupazione) si è venuta precisando e arricchendo a partire dal suo
avvio, nel 1997, con il Consiglio europeo di Lussemburgo, sia dalla riforma avviata
dal legislatore italiano (in particolare con il d.lgs. 469/97 e con il d.lgs. 181/00).
La SEO si propone essenzialmente di favorire l’incremento del tasso di
occupazione e della qualità del lavoro: a ciò mira l’insieme delle 18 guidelines
delineate anche per il 2002 nel documento annuale di “Orientamenti per le politiche
degli Stati membri a favore dell’occupazione”1 e che articolano i quattro pilastri –
occupabilità, imprenditorialità, adattabilità e pari opportunità – della SEO.
La SEO valorizza il ruolo dei SPI in particolare con le guidelines riferite al
pilastro “occupabilità” e, con un’enfasi specifica, con la prima di esse: “combattere
la disoccupazione giovanile e prevenire la disoccupazione di lunga durata”. A tal fine
gli SPI sono chiamati sia all’erogazione di servizi innovativi sia allo svolgimento di
attività di accertamento, monitoraggio e verifica. Tanto i primi come le seconde
sono essenziali per rendere efficaci le politiche del lavoro, “legate” insieme da una
dimensione comune di accompagnamento al lavoro, che richiede opportune politiche
attive (di incentivazione, di servizi reali) e giustifica perciò anche le collegate
politiche passive di sostegno al reddito. In tale contesto gli Stati membri devono
“perseguire la modernizzazione dei servizi pubblici dell’occupazione, in particolare
monitorando i progressi compiuti, definendo un calendario preciso e prevedendo
un’adeguata riqualificazione del personale”, favorendo altresì “la collaborazione con
altri fornitori di servizi, in modo da rendere più efficace la strategia di prevenzione e
di attivazione”.
E’ opportuno ricordare che anche nell’ambito dell’ultimo documento di
“Raccomandazioni del Consiglio in merito all’attuazione delle politiche in materia di
occupazione degli Stati membri”2, l’Italia è destinataria di cinque raccomandazioni
specifiche; la quarta contiene l’esplicito invito ad “adottare ulteriori provvedimenti
1
COM (2001) 511 definitivo.
2
COM (2001) 512 definitivo.
pag. 1
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
per impedire che i giovani e gli adulti vadano ad ingrossare le fila dei disoccupati di
lunga durata. Tali azioni dovrebbero comprendere:
•
la piena attuazione della riforma dei SPI in tutto il paese;
•
una rapida introduzione del Sistema Informativo del Lavoro;
•
il proseguimento degli attuali sforzi per aggiornare il sistema di monitoraggio
statistico”.
Va infine ricordata l’esigenza riaffermata in sede comunitaria anche di
recente di “rafforzare la dimensione locale della Strategia europea per
l’occupazione”3. A tale riguardo agli SPI vengono assegnati:
•
un ruolo chiave nella produzione di un esame dettagliato dei bisogni del
mercato del lavoro locale e delle aziende (in particolare dovrebbero
sperimentare nuove soluzioni e promuovere approcci integrati che mettano in
relazione la disoccupazione con bisogni sociali più ampli, come ad esempio gli
alloggi, la salute, la cultura…; essi inoltre potrebbero fungere da interfaccia tra
le imprese e le organizzazioni di formazione e sviluppare legami con le scuole, le
università, gli enti di formazione, gli organismi di ricerca, le agenzie private di
collocamento)
•
una funzione di datori di lavoro modello fornendo formazione al loro personale e
promuovendo le pari opportunità, utilizzando le tecnologie dell’informazione per
migliorare i servizi e ridurre il gap digitale nell’area locale.
Queste indicazioni comunitarie indicano un risvolto assai importante della
nuova attività richiesta ai SPI. Essi infatti, oltre alle azioni espressamente previste
dalla normativa, devono rivestire un ruolo fondamentale come terminali intelligenti
delle politiche del lavoro disegnate dal legislatore italiano e comunitario. I SPI,
grazie al quotidiano contatto con imprese, lavoratori, persone in cerca di
occupazione, hanno occasioni, strumenti e motivazioni specifiche e insostituibili per:
•
verificare l’adeguatezza e la rilevanza delle politiche disegnate (soprattutto per
quanto riguarda l’aspetto del targeting) e, se del caso, suggerirne correzioni e
aggiustamenti;
•
osservare i principali bisogni espressi da lavoratori e aziende che, se utilmente
soddisfatti, potrebbero generare ricadute positive sul funzionamento del
mercato del lavoro.
In altre parole, i SPI devono e possono essere non solo un braccio operativo,
uno strumento di azione e di realizzazione, ma anche una struttura di “intelligence”
che fa risalire verso l’alto analisi, suggerimenti e indicazioni utili per indirizzare o re-
3
COM (2001) 629 definitivo. Il documento riprende la comunicazione di aprile 2000
“Agire a livello locale in materia di occupazione – Dare una dimensione locale alla Strategia
europea per l’occupazione” (COM (2000) 196 definitivo).
pag. 2
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
indirizzare le politiche pubbliche del lavoro, migliorando l’efficienza e l’efficacia dei
relativi investimenti.
È possibile, in definitiva, tenendo conto di tutto quanto elaborato in ambito
SEO e conseguente legislazione italiana (in particolare il d.lgs. 181/2000),
sintetizzare la missione dei SPI nello svolgimento delle seguenti macrofunzioni:
•
erogazione di servizi di facilitazione e supporto ad imprese e lavoratori rispetto
ad ambiti di bisogni che le dinamiche naturali del mercato del lavoro non
riescono ad affrontare e risolvere;
•
gestione delle misure di politica passiva del lavoro in un’ottica di stretta
integrazione con le misure di politica attiva;
•
partecipazione ai processi di monitoraggio del mercato del lavoro, garantendo
un ritorno informativo, non meramente statistico ma anche interpretativo,
relativamente all’attività svolta e al suo impatto sul mercato del lavoro locale.
La definizione della missione dei SPI così delineata sgombra il campo da
alcuni equivoci che spesso accompagnano i giudizi circa i compiti dei SPI e l’efficacia
con cui essi li assolvono.
Ai SPI vengono infatti frequentemente assegnate due missioni principali che
si discostano da quanto fin qui indicato:
•
incidere sull’entità della disoccupazione;
•
fungere da principale intermediario dell’incontro tra domanda ed offerta di
lavoro.
Si tratta in entrambi i casi di assunzioni scorrette:
la prima perché, come è stato ampiamente dimostrato, il ruolo di controllo
delle dinamiche occupazionali è affidato largamente alle scelte di politica economica
nell’assecondare i cicli positivi e nel contrastare le cadute della domanda; l’azione
dei SPI può portare un contributo importante sul terreno specifico della
disoccupazione di lunga durata;
la seconda perché la necessità generalmente condivisa di ridurre
significativamente il controllo, operato dai SPI, dei processi di reclutamento del
personale così da favorire le “dinamiche naturali” di incontro tra domanda ed
offerta, contrasta palesemente con l'aspettativa che i SPI svolgano un ruolo
generalizzato di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro.
Un’ulteriore rappresentazione stereotipata relativa alle funzioni dei SPI è
quella che ritiene che la cosiddetta componente adempimentale costituisca un
residuo negativo dell’attività passata, e che il suo peso nell’attività complessiva dei
SPI debba essere quanto più possibile ridotto. Va rilevato, invece, come la corretta
gestione delle misure di politica del lavoro (sia attive che passive) implichi
necessariamente un sistema gestionale efficiente tale da garantire sia l’efficacia
delle misure stesse, sia il controllo di un corretto utilizzo delle risorse. Pertanto la
pag. 3
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
componente adempimentale più che eliminata va razionalizzata, finalizzata e
soprattutto integrata nell’insieme delle altre funzioni svolte dai SPI. In tal modo essa
acquista un valore nuovo per i SPI, garantendo un supporto essenziale per quelle
funzioni irrinunciabili da parte di qualsiasi sistema erogatore di servizi quali il
monitoraggio dei propri interventi, l’efficiente controllo gestionale e la corretta
valutazione degli esiti.
pag. 4
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
B - Gli standard di attività dei SPI
La messa a punto di un piano di sviluppo dei SPI richiede una
rappresentazione di riferimento delle caratteristiche strutturali, organizzative ed
operative del sistema. In altri termini si tratta di definire un modello di SPI in grado
sia di essere letto come struttura di obiettivi che guidi la predisposizione e
l’attuazione di un piano di sviluppo dei servizi, sia come insieme di parametri
oggettivi di riferimento per valutare la qualità dei servizi offerti.
Se esistono quindi evidenti buoni motivi circa l’opportunità di procedere alla
definizione di un modello standardizzato di SPI, nel fare ciò devono essere
considerati anche quei fattori che suggeriscono di evitare un “appiattimento” dei
servizi ad un modello normativo eccessivamente dettagliato e astratto dal contesto
territoriale. Un piano di sviluppo dei SPI a livello regionale deve infatti tener conto
del processo di decentramento dei SPI e del conseguente assetto generale del
sistema dei servizi caratterizzato da una distribuzione delle competenze su più livelli
e tra molteplici attori. Nel concreto, ciò comporta che il modello regionale di SPI
deve saper coniugare l’esigenza di valorizzazione dell’autonomia delle Province nel
predisporre l’erogazione dei servizi e la necessità di garantire una uniforme presenza
di servizi base e modalità omogenee di attuazione delle misure di politica del lavoro
per l’intero mercato regionale.
Coerentemente con queste esigenze, il masterplan ha assunto quale
riferimento un modello di SPI in cui sono normati quegli elementi valutati essenziali
per garantire da parte dei SPI la realizzazione della loro missione. Ne deriva che gli
standard identificati e assunti come vincolanti per i SPI, costituiscono sul piano della
qualità dei servizi erogati non tanto il punto di arrivo quanto invece il punto di
partenza.
Il processo di costruzione del masterplan ha inoltre tenuto conto della
necessità di giungere ad una formulazione del modello condivisa da parte dei diversi
soggetti coinvolti nel sistema dei SPI. Ciò è stato effettuato adottando una
procedura di redazione del masterplan che ha visto il coinvolgimento diretto di tutti i
soggetti che hanno un ruolo significativo nell’assetto dei SPI.
Come già precedentemente sottolineato, uno degli elementi centrali della
missione dei SPI è di attuare, attraverso l’implementazione di adeguati servizi, le
misure di politica per il lavoro messe in campo. Ciò evidenzia che vi è un forte
legame tra l’attività di policy e quella dei SPI, ma anche che esiste una sostanziale
distinzione tra i due ambiti. La definizione del modello di SPI e la conseguente
pianificazione delle attività per la sua implementazione non può quindi che limitarsi
ad intervenire sugli aspetti relativi alla costruzione di servizi, e l’adeguamento dei
SPI agli standard definiti dal modello non assume alcun valore significativo di
indicatore di impatto delle politiche.
pag. 5
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Allo stesso tempo, l’esistenza di una relazione di necessità tra sviluppo di
servizi per l’impiego e l’attuazione di misure di politica del lavoro4 richiede
un’attenzione particolare sui vincoli che i due ambiti impongono rispettivamente
all’azione dell’altro. In particolare, SPI scollegati dalle scelte di politica del lavoro,
rinunciando alla strumentazione da queste garantita, perdono molto del loro potere
di intervento sul mercato del lavoro; in senso inverso, misure di politica del lavoro
che non dispongono di un adeguato sistema di servizi che ne garantiscano
l’attuazione, riducono sensibilmente il loro potenziale d’azione. Nella definizione di
un modello di SPI, ovviamente è possibile intervenire solo su uno dei due fattori in
gioco: quello dei servizi.
Nel masterplan le riflessioni qui proposte sono state pienamente accolte
adottando quale base di riferimento per l’individuazione dei contenuti di servizio dei
SPI la normativa esistente e le indicazioni provenienti dalla pianificazione
comunitaria, nazionale e regionale in materia di politiche del lavoro. Con ciò, ci si è
anche sostanzialmente allineati alle indicazioni del masterplan nazionale.
Sul piano formale, il modello sviluppato si articola su tre distinti livelli: a)
l’assetto generale dei SPI; b) le caratteristiche organizzative dei CPI; c) le funzioni
dei SPI. Per ciascuno dei tre livelli è stata prodotta una rappresentazione descrittiva
delle caratteristiche standard e sono stati individuati gli indicatori oggettivi con cui
misurare l’adeguatezza dei SPI al modello. Per ciascun indicatore è stato individuato
un parametro di riferimento che segnala la posizione standard da raggiungere.
4
Relazione valida soprattutto in riferimento alle misure di politica attiva.
pag. 6
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
B.1. Assetto dei SPI
L’assetto generale dei SPI è definito dal Decreto legislativo n. 469/97 e dalla
relativa Legge regionale n. 31/98 di attuazione, con cui si precisano i soggetti del
sistema dei SPI e le loro competenze.
STRUTTURA DEL SISTEMA
Il modello adottato prevede sostanzialmente una doppia articolazione del
sistema: a) distinguendo l’ambito funzionale di indirizzo, programmazione e governo
da quello di erogazione dei servizi; b) distribuendo le funzioni e le competenze tra il
livello regionale e quello provinciale.
Le funzioni di indirizzo, programmazione e governo sono demandate ai
soggetti istituzionali Regione e Province nell’ambito di un contesto di concertazione
con le parti sociali e di coordinamento tra i due livelli territoriali. Al fine di dare
concretezza a tale formula operativa, sono istituiti due organismi specifici per la
concertazione, la Commissione regionale per la concertazione tra le parti sociali
(CRCPS) e la Commissione provinciale per il lavoro (CPL), ed un apposito comitato
per coordinare l’attività istituzionale (Comitato di coordinamento istituzionale – CCI).
Le commissioni di concertazione sono composte dall’istituzione territorialmente
competente (Regione/Provincia) e dalle parti sociali, mentre al Comitato istituzionale
partecipano la Regione, le Province e una rappresentanza degli altri enti locali.
Relativamente alla erogazione dei servizi, i soggetti istituzionali responsabili
sono la Regione e le Province, che operano attraverso apposite strutture operative.
A livello regionale tali strutture sono individuate nelle direzioni competenti in
materia di formazione e lavoro e nell’Ente strumentale Veneto Lavoro. Quest’ultimo
è una struttura di nuova costituzione con compiti specifici di assistenza tecnica al
sistema dei SPI, osservatorio del mercato del lavoro, gestione del SILR e attuazione
di misure di politica del lavoro a carattere regionale e/o sperimentale. In generale le
strutture regionali operano come strutture di secondo livello con un ruolo, nei
confronti delle strutture provinciali, di coordinamento, indirizzo e assistenza tecnica.
Per l’erogazione diretta dei servizi all’utente finale le Province si avvalgono
dei Centri per l’impiego (CPI). Essi sono strutture territoriali i cui bacini di
competenza, nella fase d’impianto dei SPI, coincidono con quelli delle ex Sezioni
circoscrizionali per l’impiego. La Regione secondo una specifica procedura
coordinata con le Province e concertata con le parti sociali, provvede alla revisione
del numero e dislocazione dei CPI. Ciò è effettuato tenendo conto delle possibili
sinergie con servizi amministrativi già attivati o da attivare sul territorio, di
normative e programmi comunitari, statali e regionali e di un parametro generale
per cui ad ogni CPI corrisponda un bacino di popolazione pari almeno a 100.000
abitanti. Considerato l’attuale elevata distribuzione territoriale dei CPI con evidenti
effetti di inefficienza, l’indirizzo generale è di procedere ad una riduzione del numero
dei CPI, garantendo la diffusione dei servizi sul territorio attraverso l’attivazione di
agenzie e sportelli decentrati.
pag. 7
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
MODALITÀ GENERALI DI FUNZIONAMENTO
L’effettiva implementazione dei SPI secondo l’assetto predefinito è
supportata dall’adozione di alcuni procedure e strumenti operativi standardizzati. Ciò
riguarda in particolare: a) le modalità di funzionamento degli organismi di
concertazione e coordinamento e dell’Ente Veneto Lavoro; b) le procedure con le
quali deve essere svolta l’attività di programmazione; c) l’attivazione di un comune
sistema informativo e di monitoraggio del mercato del lavoro.
Per quanto riguarda le modalità di funzionamento degli organismi di
concertazione e coordinamento la L.R. 31/98 definisce i termini per la loro
attivazione, assegna la funzione di Presidenza all’Assessore regionale con delega alle
politiche dell'occupazione, fissa l’obbligo di adottare un regolamento che ne
disciplina il funzionamento, assegna alla Direzione Lavoro della Regione la funzione
di segreteria, sono individuate le modalità di convocazione.
L’Ente Veneto Lavoro è Ente strumentale della Regione, con personalità
giuridica di diritto pubblico, dotato di autonomia organizzativa, amministrativa.
L'organizzazione, la dotazione organica ed il funzionamento dell'Ente sono
disciplinati da apposito regolamento proposto dal Direttore e approvato dalla Giunta
regionale. L'Ente è tenuto a formulare un piano annuale delle attività, che viene
approvato dalla Giunta regionale, previo parere della Commissione regionale per la
concertazione e del Comitato di coordinamento istituzionale; predispone altresì una
relazione conclusiva sullo svolgimento delle attività stesse che viene sottoposta
all'approvazione della Giunta regionale. Sono organi dell’Ente il Direttore e il Collegio
dei Revisori. L'Ente dispone dei seguenti mezzi finanziari: a) finanziamento annuale
della Regione nella misura determinata dal provvedimento di approvazione del
bilancio di previsione; b) finanziamento statale annuo iscritto nel bilancio regionale;
c) finanziamenti regionali per la realizzazione di specifiche attività affidate dalla
Regione; d) proventi derivanti dalla fornitura di servizi a terzi a titolo oneroso; e)
entrate derivanti da cespiti patrimoniali.
La programmazione delle interventi sia in materia di politica del lavoro che di
sviluppo dei SPI avviene attraverso l’approvazione da parte del Consiglio regionale
su proposta della Giunta di un Programma regionale per il lavoro e dall’adozione da
parte delle Province di un Piano provinciale per il lavoro.
Lo sviluppo del Sistema informativo lavoro regionale (SILR) è affidato
all'Ente Veneto Lavoro nell'ambito del Sistema informativo-statistico Regione Veneto
(SIRV) e sulla base di apposita convenzione con il Ministero del lavoro. Veneto
Lavoro svolge tale funzione in collaborazione con le amministrazioni provinciali e con
i centri per l'impiego. L'Ente Veneto Lavoro svolge inoltre le funzioni di Osservatorio
regionale del mercato del lavoro.
pag. 8
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
INDICATORI
Tab. B.1 - Indicatori e standard di riferimento per l’assetto dei SPI
Tipologia
Sistema
Sistema
Sistema
Sistema
Sistema
Sistema
Sistema
Sistema
Sistema
Sistema
Sistema
Sistema
Sistema
Indicatore
Standard di riferimento
Costituzione CRCPS
Costituzione CCI
Costituzione Veneto Lavoro
Regolamentazione attività CRCPS
Regolamentazione attività CCI
Attivazione CRCPS
Attivazione CCI
Attivazione CPI
Costituzione entro 1999
Costituzione entro 1999
Costituzione entro 1999
Adozione Regolamento di funzionamento
Adozione Regolamento di funzionamento
Avvio attività entro 1999
Avvio attività entro 1999
All’atto del decentramento delle competenze dal
MLPS alla Regione
Attivazione presso Veneto Lavoro dell’Osservatorio All’atto del decentramento delle competenze dal
del mercato del lavoro
MLPS alla Regione
Attivazione Veneto Lavoro
All’atto del decentramento delle competenze dal
MLPS alla Regione
Approvazione Programma regionale per il lavoro
Entro aprile 1999
Approvazione Piani provinciali per il lavoro
Entro due mesi dall’approvazione del Programma
Regionale e, successivamente, con cadenza
annuale
Revisione numero e dislocazione CPI
Entro il 2003
pag. 9
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
B.2. Organizzazione dei CPI
Le specifiche modalità organizzative con le quali i CPI erogano i servizi
competono alle Province. Al fine di garantire sul territorio regionale livelli di servizio
e modalità di attuazione degli interventi di politica del lavoro omogenei, le specifiche
scelte organizzative delle Province avvengono all’interno dei seguenti indirizzi:
•
•
•
•
•
I CPI hanno organizzazione unitaria e competenza territoriale definita;
Per l’erogazione diretta dei servizi i CPI possono essere articolati in sportelli
diffusi sul territorio;
Il modello organizzativo del personale dei CPI risponde al criterio di autonoma
gestione amministrativa degli interventi attraverso specifiche attribuzioni di
responsabilità;
Nei CPI opera personale con adeguata professionalità secondo i profili di
competenze richiesti per l’erogazione dei servizi di base;
L’erogazione dei servizi di base è effettuata direttamente dai CPI con proprio
personale, ovvero, per segmenti particolari d’intervento, attraverso il ricorso ad
organismi esterni accreditati che operano in modo integrato con i CPI e sotto il
loro diretto controllo.
INDICATORI
Tab. B.2 - Indicatori e standard di riferimento per l’organizzazione dei CPI
Tipologia
Indicatore
Standard di riferimento
Organizzazione
Organizzazione
Organizzazione
Formalizzazione organizzazione unitaria dei CPI
Presenza della figura del Responsabile di Centro
Personale con competenze adeguate ai servizi di
base
Organizzazione
Svolgimento delle funzioni di base con proprio
personale
pag. 10
Tutte le Province a partire dal 2003
Tutti i CPI a partire dal 2003
In ogni CPI personale coni seguenti profili di
competenza: a) accoglienza; b)
accompagnamento al lavoro; c) incontro
domanda-offerta – A partire dal 2003
Per le funzioni di: a) accoglienza; b)
accompagnamento al lavoro; c) incontro
domanda-offerta
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
B.3. Funzionalità base dei SPI
I compiti e le funzioni assegnati ai SPI sulla base della normativa nazionale e
regionale si presentano come un insieme particolarmente ampio di indicazioni con
livelli di dettaglio diversificati. Al fine di ricondurre l’attività dei SPI ad uno schema
unitario e coerente sono state individuate sette aree funzionali di attività. Si tratta di
una struttura di classificazione con la quale sono evidenziati i macrobiettivi a cui
rispondono i singoli aspetti di attività; ne consegue che l’articolazione per aree
funzionali non è una prescrizione di modello organizzativo dei SPI, la scelta del
quale è infatti sostanzialmente nell’autonomia dei soggetti che devono garantire
l’erogazione dei servizi5.
Le aree funzionali così individuate sono:
•
Accoglienza – le attività finalizzate ad accogliere, filtrare ed indirizzare la
domanda dell’utenza;
•
Accompagnamento al lavoro – le attività finalizzate alla costruzione e
gestione dei percorsi d’inserimento lavorativo;
•
Mediazione domanda-offerta – le attività finalizzate a facilitare l’incontro
tra la domanda e l’offerta di lavoro;
•
Orientamento – le attività specialistiche di orientamento;
•
Informazione mirata per le imprese – le attività volte a garantire un
flusso aggiornato e mirato di informazioni d’interesse per i datori di
lavoro;
•
Gestione sistema informativo – le attività
aggiornamento e gestione delle banche dati;
•
Analisi e programmazione – le attività di monitoraggio e analisi del
mercato del lavoro e di supporto alla programmazione delle politiche.
di
implementazione,
Per ciascuna area funzionale è quindi individuato il pacchetto di servizi che i
SPI sono tenuti ad implementare (vedi Tab. B.3). L’erogazione di tale insieme di
servizi costituisce la base minima di attività richiesta ai SPI, che deve essere svolta
secondo parametri di prestazione omogenei su tutto il territorio regionale.
Di seguito sono definite le caratteristiche di ciascuna funzione in termini di
scopi da perseguire, utenza a cui sono destinati e modalità di erogazione dei servizi
afferenti a ciascuna funzione, risorse necessarie per la loro implementazione. Tale
5
Come evidenziato nelle sezioni B.1 e B.2, il Masterplan definisce solamente
l’assetto globale dei SPI e alcuni indirizzi rispetto ad aspetti generali di organizzazione dei
CPI.
pag. 11
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
modelizzazione è completata dall’individuazione di specifici standard di input, di
processo, di output e di risultato a cui i SPI dovranno mirare.
pag. 12
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Tab. B.3 - Servizi dei SPI per funzioni
Funzioni
Accoglienza
Servizi erogati
Informazioni e orientamento all’utilizzo dei SPI
Invio ad un servizio interno e gestione appuntamenti
Rinvio all’esterno
Registrazione nuovi utenti e sottoscrizione patto di servizio
Accompagnamento al lavoro
Colloqui e definizione Piano di azione individuale (PAI)
Consulenza orientativa
Promozione e tutoraggio working experiences
Offerte formative
Offerte d’impiego
Consulenza e gestione ammortizzatori sociali
Mediazione domanda-offerta
Raccolta domanda ed offerta di lavoro
Servizio di mediazione
Gestione avviamenti a selezione nelle P.A.
Orientamento
Supporto ai servizi territoriali di orientamento
Consulenza orientativa mirata
Servizio di autorientamento
Informazione mirata per le imprese
Informazione mirata per le imprese
Gestione sistema informativo
Registrazioni comunicazioni obbligatorie
Manutenzione anagrafe lavoratori
Accertamenti coordinati con altre amministrazioni
Analisi e programmazione
Progettazione monitoraggio, dati amministrativi e produzione statistiche
Ricerche indagini di mercato e valutazione delle politiche
Programmazione e progettazione servizi
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Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Funzione 1 - Accoglienza
FINALITÀ
Filtrare la domanda, selezionando quella propria da quella impropria.
Registrare i nuovi utenti. Orientare-canalizzare la domanda propria nell’utilizzo dei
servizi disponibili in modo congruente alle esigenze dell’utente. Rinviare la domanda
impropria verso servizi esterni adatti a rispondere al bisogno espresso.
Obiettivi specifici del servizio di accoglienza:
•
Informare ed orientare l’utente nell’utilizzo dei SPI
•
Registrare i nuovi utenti
•
Decodificare la domanda ed inviare l’utente al servizio appropriato
(interno/esterno)
•
Gestire la prenotazione dei servizi interni
UTENZA
L’utenza è costituita da qualsiasi soggetto che si presenta presso una sede
operativa dei SPI. Il servizio ha quindi un carattere universalistico. È ammesso e
consigliato un unico livello di articolazione del servizio in relazione alle due tipologie
base di utenza costituite dai lavoratori e dai datori di lavoro.
MODALITÀ DI EROGAZIONE
Il servizio di accoglienza è erogato in forma essenziale presso tutte le unità
operative dei SPI (sia quelle direttamente gestite dalla Provincia che quelle dalla
stessa affidate ad una gestione esterna). La forma essenziale consiste nel fornire
agli utenti che si presentano le indicazioni di base sui servizi dei SPI e su dove
rivolgersi per ottenere risposta alla specifica domanda espressa.
I CPI garantiscono il servizio di accoglienza nella sua forma completa
attraverso una specifica unità di servizio fisicamente identificata e con personale
dedicato.
L’accoglienza si realizza attraverso un breve colloquio volto ad identificare la
domanda dell’utente e ad indirizzarlo verso il servizio appropriato.
Rispetto all’invio a servizi interni, è garantita la possibilità di fissare
direttamente presso il servizio di accoglienza l’eventuale appuntamento.
Nel caso di nuovi utenti o per i quali il rapporto con i SPI era stato sospeso,
nella fase di accoglienza i CPI accolgono anche la dichiarazione di disponibilità al
lavoro, di cui al D.lgs 181/00. Ciò viene effettuato prevedendo l’immediata
registrazione nel SILR della disponibilità dichiarata e, qualora si tratti di un nuovo
utente, della registrazione della sua posizione anagrafica. L’accoglimento della
dichiarazione di disponibilità ha anche valore di costituzione iniziale del rapporto di
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Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
servizio tra lavoratore e SPI; pertanto in tale fase il CPI e l’utente sottoscrivono un
patto di servizio con il quale sono definite le condizioni generali che regolano
l’erogazione delle prestazioni dei SPI.
Per facilitare l’interazione con gli eventuali clienti stranieri il servizio di
accoglienza dei CPI è in grado di interloquire anche in lingua inglese.
Il servizio garantisce tempi d’attesa limitati e la possibilità di trascorrere
l’attesa in appositi spazi dove poter consultare materiali informativi. La gestione dei
turni di accesso al servizio prevede l’adozione di un sistema di prenotazione tramite
ticket numerico.
RISORSE NECESSARIE
Di seguito sono indicate le risorse necessarie per il funzionamento del
servizio di accoglienza nella sua forma completa presso i CPI. Negli altri casi non
sono necessarie risorse specifiche ad esclusione dei materiali informativi.
Materiali informativi
ƒ
Carta dei servizi dei SPI provinciali, contenente la tipologia dei servizi
disponibili, i riferimenti delle unità operative che li erogano e le condizioni di
accesso. La carta dei servizi è regolarmente aggiornata e resa disponibile al
pubblico secondo una formula redazionale che ne permetta una facile
lettura. Copie a stampa della carta dei servizi sono rese disponibili ai clienti
presso ogni punto della rete dei SPI.
ƒ
Materiali informativi specifici relativamente a strumenti di supporto e
agevolazioni per i lavoratori ed i datori di lavoro.
Dotazione strumentale
ƒ
Postazioni di lavoro per ogni operatore dotate di: a) PC; b) stampante; c)
connessione al SILR; d) connessione alla rete internet; e) applicativo per la
gestione degli appuntamenti; f) applicativi di office automation; c)
apparecchio telefonico.
ƒ
Fax e fotocopiatore
Locali e arredo
L’articolazione degli spazi dedicati alla funzione di accoglienza risponde ai
seguenti criteri specifici: a) riservatezza del rapporto operatore – cliente; b) posti a
sedere per l’eventuale attesa; c) dimensionamento adeguato all’afflusso medio
dell’utenza; d) segnaletica che ne identifica la funzione.
Personale
ƒ
Operatori con competenze specifiche di: a) relazioni con il pubblico; b)
conoscenza dei servizi e delle loro finalità; c) lingua inglese; d) utilizzo delle
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Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
procedure di registrazione dei nuovi utenti; e) utilizzo degli applicativi
adottati.
ƒ
Il numero di operatori adeguato a gestire il flusso di utenti medio giornaliero.
Un parametro ragionevole è dato da un rapporto operatori/clienti giornalieri
pari a 1/50 (poco meno di 10 minuti a utente su un orario di lavoro pari a 8
ore).
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INDICATORI
Tab. B.4 - Indicatori e standard di riferimento per il servizio di accoglienza
Tipologia
Indicatore
Standard di riferimento
Input
Caratteristiche sala d’attesa
Input
Dotazione informatica postazioni front office
Input
Formazione degli operatori
Input
Materiali informativi
Input
Input
N. CPI con soluzioni per garantire riservatezza
Presenza e contenuti segnaletica
Input
Processo
Rapporto tra operatori e media utenti giornaliera
Automazione redazione atti
Processo
Processo
Output
Fruizione del servizio tramite prenotazione numerica
Modalità registrazione dichiarazioni
Tipologia servizi erogati da strutture diverse dai CPI
Output
Tipologia servizi erogati dai CPI
Output
Lingue nelle quali sono erogati il servizio
Output
Output
Tempo medio di attesa
Utenza impedita all’accesso
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Disponibilità area d’attesa con posti a sedere, tutti i
CPI entro il 2003
Una postazione completa di: PC, stampante,
connessione al SILR e alla rete internet, applicativi
per la gestione degli appuntamenti e di office
automation, apparecchio telefonico.
Caratteristiche tecniche vedi Tab. B.11
Competenze certificate in: a) relazioni con il pubblico;
b) conoscenza dei servizi e delle loro finalità; c)
lingua inglese; d) utilizzo delle procedure di
registrazione dei nuovi utenti; e) utilizzo degli
applicativi adottati
Carta dei servizi – Guide specifiche, tutti i CPI a
partire dal 2003
Tutti i CPI entro il 2003 – almeno un’area di rispetto
Tutti i CPI entro il 2003 – indicazione sui servizi
erogati
Un operatore per 30 utenti
Stampa personalizzata della dichiarazione utente e
patto di servizio
In tutti i CPI a partire dal 2003
Registrazione in tempo reale delle dichiarazioni
Informazione e orientamento all’utilizzo dei SPI Invio utenti a servizio interno/esterno - Gestione
appuntamenti (tutti i servizi in ogni struttura entro il
2006)
Informazione e orientamento all’utilizzo dei SPI –
Raccolta e registrazione dichiarazioni –
Sottoscrizione patto di servizio – Invio utenti a
servizio interno/esterno - Gestione appuntamenti
(tutti i servizi in ogni CPI entro il 2003)
Italiano – Italiano e Inglese a partire dal 2004 (tutti i
CPI)
Non superiore a 30 minuti
Nessuna utenza
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Funzione 2 - Accompagnamento al lavoro
FINALITÀ
Concordare con i clienti un piano d’inserimento lavorativo e accompagnarne
la realizzazione attraverso un insieme d’interventi integrati volti a potenziare
l’occupabilità, a sostenere il reddito individuale nella fase di transizione ed a
individuare soluzioni occupazionali.
Il servizio di accompagnamento al lavoro svolge le seguenti attività:
ƒ
colloqui finalizzati a concordare, aggiornare, verificare i PAI;
ƒ
supporto e tutoraggio nella realizzazione del PAI;
ƒ
erogazione diretta delle seguenti tipologie di servizio qualora previste nel PAI
ƒ
consulenza orientativa volta a promuovere l’autonomia dell’utente
nella ricerca attiva di lavoro;
ƒ
organizzazione e tutoraggio di esperienze di formazione
orientamento in contesti lavorativi (working experiences);
ƒ
offerta di opportunità formative;
ƒ
ricerca e offerta di opportunità occupazionali;
ƒ
consulenza e supporto nell’accesso agli ammortizzatori sociali
e
UTENZA
Sono utenti del servizio almeno tutti gli utenti registrati che hanno
sottoscritto un patto di servizio.
Il servizio è erogato con intensità e con modalità diversa in relazione alle
particolari caratteristiche ed esigenze del cliente.
MODALITÀ DI EROGAZIONE
Colloquio per la definizione dei PAI
Per ogni utente che ha sottoscritto un patto di servizio è fissato un colloquio
attraverso il quale viene definito un PAI. Il colloquio si svolge entro il termine
massimo di 30 giorni (fino al 2003) ovvero 15 giorni (dal 2004) dalla data di
sottoscrizione del patto di servizio. Entro il 2003 i CPI convocano per il medesimo
colloquio tutti gli utenti già in carico alla data del 31.12.2001. Il PAI è formulato
secondo uno schema tipo definito a livello regionale ed è formalizzato in un
documento sottoscritto dal CPI e dall’utente. Nel PAI sono indicate le caratteristiche
dell’occupazione ricercata dal lavoratore, la tipologia di azioni che si intendono
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Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
realizzare per incrementare il grado di occupabilità del lavoratore, il tipo di supporto
e gli interventi garantiti dal CPI, le modalità di verifica del PAI.
Periodicamente, attraverso un nuovo colloquio con l’utente, è svolta una
verifica dell’andamento del PAI. Sono verificati prioritariamente i PAI relativi agli
utenti che non hanno avuto una collocazione lavorativa entro un periodo di sei mesi.
Per gli utenti disabili il servizio di accompagnamento al lavoro e la
formulazione del PAI avviene secondo le modalità specifiche del collocamento
mirato. Al fine di garantire a tali lavoratori un trattamento paritario, l’attività di
accompagnamento al lavoro è collocata all’interno del servizio di accompagnamento
al lavoro differenziandosi solamente per la maggiore tutela e disponibilità di
facilitazioni e supporti. Per migliorare l’efficacia dei PAI concordati con i lavoratori
disabili, sono attivati accordi specifici con i datori di lavoro in relazione alla
realizzazione di programmi aziendali e/o percorsi individuali d’inserimento lavorativo.
Ciò viene effettuato sulla base di schemi tipo di convenzione concertati a livello
regionale.
Supporto e tutoraggio nella realizzazione del PAI
All’utente è garantita un’azione costante di tutoraggio nella realizzazione del PAI. In
particolare tale servizio dovrà assicurare coerenza ed unitarietà di scopi tra le
singole attività e l’opportunità per l’utente di ricorrere all’aiuto del servizio per
affrontare le eventuali problematiche connesse all’attuazione del PAI.
Erogazione diretta di servizi
Relativamente alle diverse azioni del PAI, il servizio realizza direttamente gli
interventi di consulenza orientativa, di promozione di working experiences, di offerta
di opportunità formative, di offerta di occasioni occupazionali. Tali interventi sono
erogati secondo le modalità e gli standard di seguito indicati.
Consulenza orientativa
Ai lavoratori che durante il colloquio evidenziano scarsa conoscenza delle
caratteristiche del mercato del lavoro, sono fornite informazioni relativamente ai
canali e modalità di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, alle forme di lavoro,
alle professionalità richieste, ecc.; i lavoratori sono inoltre supportati nelle loro
scelte.
Il servizio è garantito sui seguenti tre livelli:
ƒ
Personalizzato di base: erogato durante i colloqui ed è focalizzato a chiarire i
diversi temi affrontati nel colloquio e a consigliare il lavoratore nelle scelte;
ƒ
Personalizzato avanzato: erogato da servizi specialistici del CPI o presenti sul
territorio (la presenza di tale servizio nei CPI non è richiesta);
ƒ
Standardizzato: erogato tramite incontri di gruppo predefiniti o attraverso la
messa a disposizione di prodotti informativi in autoconsultazione.
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Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Working experiences
Ai lavoratori che sono in una fase di transizione caratterizzata dalla necessità
di familiarizzarsi con il mondo del lavoro, aggiornare e/o adeguare le proprie
competenze professionali, verificare specifici sbocchi professionali, i CPI offrono
opportunità di esperienze di formazione e orientamento in contesti lavorativi,
utilizzando a tal fine gli strumenti di politica attiva disponibili (es. tirocini, piani
d’inserimento professionale, lavori socialmente utili).
I CPI garantiscono l’attività di promozione e tutoraggio delle singole
iniziative.
L’attività di promozione contempla:
ƒ
L’individuazione dell’impresa disponibile ad ospitare l’esperienza;
ƒ
L’organizzazione dell’esperienza in termini di contenuti e modalità di
svolgimento;
ƒ
La gestione mirata degli incentivi e facilitazioni.
L’attività di tutoraggio prevede:
ƒ
Il supporto all’utente relativamente alle problematiche che incontra durante
l’esperienza;
ƒ
La valutazione in itinere e finale dell’esperienza.
Opportunità formative
I CPI individuano sulla base del programma fissato nel PAI le opportunità
formative adeguate all’aggiornamento / qualificazione / riqualificazione /
specializzazione professionale dell’utente. Le opportunità vengono proposte agli
utenti ai quali è garantito anche il supporto nell’attivare le procedure di iscrizione ai
corsi. La proposta, l’adesione o il rifiuto da parte dell’utente seguono una procedura
formale definita a livello regionale. Il rifiuto ingiustificato delle proposte da parte
dell’utente determina la decadenza dalla condizione di disoccupazione.
Agli utenti dei SPI è reso disponibile alla libera consultazione il catalogo delle
opportunità formative presenti nel territorio.
Offerte di lavoro
Sulla base del programma fissato nel PAI, agli utenti sono proposte occasioni
d’impiego. L’utente è aiutato a contattare il datore di lavoro nonché ad espletare gli
atti necessari per l’eventuale assunzione. La proposta, l’adesione o il rifiuto da parte
dell’utente seguono una procedura formale definita a livello regionale. Il rifiuto
ingiustificato delle proposte da parte dell’utente determina la decadenza dalla
condizione di disoccupazione.
L’individuazione delle opportunità occupazionali avviene attraverso una forte
integrazione dell’esercizio della funzione di accompagnamento al lavoro con quella di
mediazione tra domanda e offerta di lavoro.
pag. 20
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Consulenza e supporto nel ricorso agli ammortizzatori sociali - Nel colloquio è
verificata la presenza dei requisiti che danno diritto al ricorso ad una qualche misura
di ammortizzatore sociale. Qualora ciò si verifichi, all’utente è segnalata la possibilità
di farvi ricorso ed è aiutato ad avviare la procedura di richiesta presso un altro
servizio ovvero a inoltrare l’istanza presso lo stesso CPI.
RISORSE NECESSARIE
Personale
ƒ
Operatori con competenze/conoscenze specifiche di: a) analisi dei profili
professionali e delle posizioni lavorative; b) tipologie dei rapporto di lavoro;
c) incentivi e agevolazioni all’assunzione; d) offerta formativa; e) gestione
relazioni; f) programmazione ed organizzazione interventi; g) articolazione
dei servizi socio-assistenziali territoriali; h) gestione procedure
amministrative collegate agli strumenti utilizzati; i) utilizzo degli applicativi
gestionali adottati dal servizio.
ƒ
Il numero di operatori necessario è fissato in ragione di un operatore ogni
100 utenti disoccupati da oltre 6 mesi.
Banche dati
ƒ
Catalogo dell’offerta formativa - catalogo aggiornato dell’offerta di
formazione professionale disponibile sul territorio, completo delle indicazioni
relative ai contenuti formativi, alla qualificazione assicurata, alla durata, alle
modalità di accesso, alla data di attivazione di ciascuna delle proposte.
ƒ
Banca dati tirocini – banca dati dei datori disponibili ad ospitare tirocinanti e
degli utenti disponibili a svolgere tirocini.
ƒ
Banca dati domanda-offerta di lavoro – collegamento diretto con la banca
dati per l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro (vedi funzione 3)
ƒ
Banca dati prospetti informativi ex L. 68/99
Applicazioni informatiche
ƒ
Applicativo per la gestione dei colloqui e dei PAI
ƒ
Applicativo per la gestione del collocamento mirato ex L. 68/99
ƒ
Applicativo per la gestione dei tirocini
Materiali informativi e di orientamento
ƒ
Materiali per l’aggiornamento degli operatori relativamente alle
caratteristiche del mercato del lavoro e agli strumenti di politica del lavoro
disponibili.
ƒ
Prodotti per l’autorientamento degli utenti.
pag. 21
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
ƒ
Materiali illustrativi di supporto all’attività di orientamento realizzata dagli
operatori durante i colloqui.
Locali e dotazione strumentale
ƒ
Postazioni individuali per il ricevimento dell’utenza attrezzate con: a) accesso
diretto al SILR; b) connessione alla rete internet; c) applicativi gestionali
specifici e di office automation; d) collegamento telefonico.
ƒ
Postazione di back office attrezzata per poter svolgere le funzioni di
segreteria.
INDICATORI
Tab. B.5 - Indicatori e
Accompagnamento al lavoro
Tipologia
standard
Indicatore
Dotazione postazione di lavoro
Input
Disponibilità postazione di lavoro informatizzate
individuali
Formazione degli operatori
Input
Input
Input
Input
Input
Input
Input
Input
Processo
Output
Output
Output
riferimento
per
la
funzione
di
Standard di riferimento
Input
Input
di
Rapporto operatori / utenti
Frequenza aggiornamento catalogo offerta
formativa
Modalità consultazione banca dati offerta formativa
Modalità consultazione banca dati domanda-offerta
Modalità consultazione banca dati tirocini
Modalità consultazione banca dati prospetti legge
68/99
Disponibilità materiali formativi aggiornamento
operatori
Disponibilità Materiali illustrativi di supporto
all’attività di orientamento realizzata dagli operatori
durante i colloqui
Standardizzazione procedure amministrative
Output
Output
Quantità di utenti disoccupati con PAI
Frequenza colloqui di verifica PAI
Disponibilità di prodotti informativi in
autoconsultazione
Tutoraggio progetti tirocinio
Monitoraggio andamento working experiences
Prestazione
Proposte ai lavoratori
pag. 22
a) PC e stampanti; b) accesso diretto al SILR; c)
connessione alla rete internet; d) applicativi gestionali
specifici e di office automation; e) collegamento
telefonico; Caratteristiche tecniche vedi Tab. B.11
100% degli operatori, dal 2004
Competenze su: a) analisi dei profili professionali e
delle posizioni lavorative; b) tipologie dei rapporto di
lavoro; c) incentivi e agevolazioni all’assunzione; d)
offerta formativa; e) gestione relazioni; f)
programmazione ed organizzazione interventi; g)
articolazione servizi socio-assistenziali territoriali; h)
gestione procedure amministrative; i) utilizzo degli
applicativi gestionali adottati dal servizio
1 operatore per 100 disoccupati da più di 6 mesi
In tempo reale, dal 2004
Accesso diretto per l’operatore
Accesso diretto per l’operatore
Accesso diretto per l’operatore
Accesso diretto per l’operatore
Dal 2002, a cura Analisi e Programmazione
Dal 2003, a cura Analisi e Programmazione
Informatizzazione gestione delle procedure
amministrative
100% utenti, entro il 2003
Almeno una verifica ogni 3 mesi
In tutti i CPI a partire da 2003
100% dei tirocini promossi dai CPI
Completamento, esito occupazionale, soddisfazione
utente; dal 2002 a campione; a partire dal 2004, 100%
delle esperienze promosse
Almeno un’offerta, tra quelle previste nel PAI, entro due
mesi dall’attivazione del PAI, 80% PAI a partire dal
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Prestazione
Prestazione
Processo
Prestazione
Prestazione
Prestazione
Prestazione
Prestazione
Stock utenti che superano i sei mesi di
disoccupazione
Tasso di ingresso nella disoccupazione di lunga
durata
Tempo di attesa tra Patto di Servizio e definizione
PAI
Attivazione convenzioni di programma ex L. 68/99
2004
Riduzione progressiva rispetto al dato giugno 2002: 20% entro il 2004; - 40% entro il 2006.
Riduzione progressiva rispetto al dato realizzato nel
primo semestre 2002: - 20% entro il 2004; - 40% entro
il 2006
30 giorni, fino al 2003 – 15 giorni, dal 2004
Con datori di lavoro con scoperture superiori a 50%:
entro il 2003 con 50% datori di lavoro, entro il 2005 con
100% dei datori di lavoro
Attivazione convenzioni d’inserimento ex L. 68/99
Con 50% dei disabili con difficoltà d’inserimento, entro il
2003 - con 80% dei disabili con difficoltà d’inserimento,
entro il 2006.
Tasso di afflusso dei disabili nella disoccupazione di Riduzione progressiva rispetto al dato 2002: - 20%
lunga durata
entro il 2004; - 40% entro il 2006.
Stock utenti disabili che superano i sei mesi di
Riduzione progressiva rispetto al dato 2002: -20% entro
disoccupazione
il 2004; - 40% entro il 2006.
Tempi redazione progetto formativo e valutazione
Mediamente 5 giorni dalla individuazione dell’azienda
ricorso incentivi e agevolazioni
ospitante.
pag. 23
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Funzione 3 - Mediazione domanda-offerta
FINALITÀ
Offrire un servizio d’incontro tra la domanda ed offerta di lavoro in grado di:
•
Raccogliere rispettivamente le candidature dei lavoratori e le richieste di
personale dei datori di lavoro;
•
Rendere disponibili all’autoconsultazione le candidature dei lavoratori e le
richieste di personale;
•
Fornire su richiesta il servizio di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro
raccolta dai SPI;
•
Svolgere su richiesta dei datori di lavoro preselezioni di candidati e campagne
di reclutamento sia tra gli utenti del proprio servizio che della rete dei SPI;
•
Supportare il Servizio di Accompagnamento al Lavoro nell’individuazione di
offerte occupazionali da sottoporre ai propri utenti.
Gestire l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro relativamente agli
avviamenti a selezione di lavoratori nelle P.A. secondo criteri che coniughino la
condizione di bisogno del lavoratore, la sua professionalità specifica e l’impegno
verificato nell’attuazione del PAI.
Il servizio d’incontro tra domanda ed offerta di lavoro garantisce al servizio di
accompagnamento al lavoro segnalazioni di opportunità lavorative da offrire ai
lavoratori che seguono un PAI.
UTENZA
I lavoratori che ricercano un impiego indipendentemente se occupati o
meno. Il servizio è offerto prioritariamente agli utenti che hanno attivato un PAI.
I datori di lavoro che richiedono personale.
Pubbliche Amministrazioni interessate ad assumere lavoratori attraverso la
procedura dell’avviamento a selezione.
MODALITÀ DI EROGAZIONE
Il servizio è garantito in modo diffuso sul territorio attraverso una
molteplicità di punti di contatto con l’utenza. I punti di contatto sono garantiti
attraverso una rete di sportelli collocati sia all’interno dei CPI che presso altri
organismi pubblici e privati convenzionati con le Province.
Attraverso gli sportelli e con l’assistenza degli operatori è effettuata: a) la
raccolta e l’inserimento in banca dati delle inserzioni dei lavoratori e dei datori di
lavoro; b) l’attività d’incontro tra domanda ed offerta di lavoro.
pag. 24
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
La rete di sportelli rientra a tutti gli effetti nel sistema pubblico dei SPI e le
Province ne controllano il mantenimento degli standard operativi fissati a livello
regionale in sede di CRCPS e CCI. In particolare il sistema di sportelli garantisce:
•
l’inserimento delle ricerche di personale nella banca dati entro 48 ore dalla
segnalazione;
•
una ricerca giornaliera in banca dati per soddisfare le richieste insoddisfatte;
•
l’aggiornamento costante delle informazioni inserite in banca dati.
Lo sportello presso i CPI opera in stretto collegamento con il Servizio di
accompagnamento al lavoro le cui richieste di opportunità occupazionali sono
trattate con priorità sulle altre.
Le inserzioni dei datori di lavoro e dei lavoratori sono rese disponibili in
autoconsultazione a tutti gli utenti attraverso la rete internet nonché attraverso la
loro pubblicazione presso i CPI.
Il servizio di mediazione dei CPI effettua gli avviamenti a selezione richiesti
dalle P.A. secondo la procedura prevista dalla normativa in proposito.
RISORSE NECESSARIE
Le risorse necessarie a realizzare la funzionalità sono riconducibili
all’attivazione e al funzionamento: a) del sistema nel suo complesso; b) dei singoli
sportelli.
Risorse per il sistema
ƒ
Banca dati comune e applicativo gestionale.
ƒ
Materiali promozionali.
Risorse per gli sportelli
ƒ
Operatori qualificati nella misura minima di una unità per sportello.
ƒ
All’interno dei locali aperti al pubblico dell’organismo che gestisce lo
sportello, uno spazio fisico specificatamente dedicato all’attività d’incontro tra
domanda offerta.
ƒ
Attrezzature standard per ufficio (telefono, fax, postazione informatizzata di
lavoro con collegamento internet veloce, fotocopiatore, ecc.).
ƒ
Arredo funzionale all’attività svolta.
ƒ
Per la consultazione pubblica delle inserzioni presso i CPI: terminali per la
consultazione della banca dati e pannelli per la pubblicazione delle inserzioni.
pag. 25
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Personale
Almeno un operatore per sportello con competenze in a) relazioni con il
pubblico; b) utilizzo degli applicativi adottati; c) raccolta, analisi, formulazione finale
delle inserzioni relative alla domanda ed offerta di lavoro; d) riscontro della
corrispondenza tra le domande ed offerte di lavoro disponibili
INDICATORI
Tab. B.6 - Indicatori e standard di riferimento per la funzione di Mediazione
domanda-offerta
Tipologia
Input
Input
Input
Input
Input
Input
Input
Input
Input
Input
Input
Output
Output
Output
Output
Output
Output
Output
Output
Prestazione
Prestazione
Prestazione
Prestazione
Prestazione
Prestazione
Indicatore
Arredo adeguato
Bacheca inserzioni cartacee
Materiali informativi
STANDARD DI RIFERIMENTO
A partire dal 2003
Una per ogni sportello a partire dal 2003
Materiali di illustrazione del servizio mirati per i
datori di lavoro e per i lavoratori; distribuiti a tutti
gli utenti dei sportelli; a partire dal 2003
Formazione degli operatori
Competenze certificate in: a) relazioni con il
pubblico; b) utilizzo degli applicativi adottati; c)
raccolta, analisi, formulazione delle inserzioni di
domanda ed offerta di lavoro; d) abbinamento
domanda ed offerta
Logistica
Area dedicata di ca. 12 mq
N. CPI con soluzioni per garantire riservatezza
Tutti, a partire dal 2003 – almeno un’area di
rispetto
N. operatori per sportello
1, dal 2003
Postazione di lavoro
PC, stampante, telefono, fax, connessione
internet Adsl, fotocopiatore
Recapito telefono, fax, mail
Recapiti dedicati, dal 2003
Software per postazione di lavoro
Applicativo gestione banca dati, office
automation, e-mail, internet
Terminali libera consultazione
Almeno uno per sportello, a partire dal 2003
Consulenza alla compilazione delle inserzioni
Disponibile in tutti gli sportelli a partire dal 2003
Consultazione libera delle inserzioni
A tutti gli utenti tramite rete internet
all’attivazione del servizio (2002)
Percentuale CPI della Provincia con uno sportello 50% entro il 2002; 100% entro il 2004
dedicato all’incontro domanda-offerta
Percentuale di sportelli con attrezzatura adeguata 100% sportelli, dal momento dell’attivazione
Percentuale di sportelli con spazi adeguati
100% sportelli, dal momento dell’attivazione
Postazioni riservate al pubblico per la
1 postazione per CPI entro il 2002 – 2
consultazione banca dati
postazioni per CPI entro il 2006
Quota di richieste dei datori di lavoro inevase
<=40%
Tempo medio per l’espletamento delle procedure Dal 2003 entro 10 giorni dalla richiesta;
di avviamento a selezione nelle P.A.
Tempi aggiornamento delle inserzioni
24 ore dalla comunicazione, dal 2003
Tempi di inserimento delle ricerche di personale 48 ore dal ricevimento, dal 2003
24 ore dall’esito, dal 2003
Tempi disattivazione delle inserzioni che hanno
avuto esito positivo o non rivestono più interesse
per l'inserzionista
Verifica nuove inserzioni in banca dati
Quotidiana, dal 2003
Quantità vacancies intercettate
Due volte lo stock dei disoccupati di lunga
durata, dal 2005
Rapporto tra datori di lavoro che sono ricorsi al
10% entro il 2002; 20% entro il 2006
servizio e datori di lavoro che hanno effettuato
assunzioni
pag. 26
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
pag. 27
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Funzione 4 - Orientamento
FINALITÀ
Offrire assistenza tecnica ad organismi che erogano servizi di orientamento
scolastico e/o professionale.
Erogare interventi di consulenza orientativa a target specifici di utenti dei
SPI.
Distribuire strumenti per l’autorientamento.
UTENZA
Organismi che erogano servizi di orientamento scolastico e professionale.
Utenti dei SPI.
MODALITÀ DI EROGAZIONE
Assistenza tecnica
Agli organismi presenti sul territorio che lo richiedono è assicurata
l’assistenza tecnica relativamente alla messa a punto degli interventi di
orientamento. In particolare, è assicurata l’assistenza nell’acquisizione delle
informazioni relative alle caratteristiche della domanda ed offerta di lavoro, alle
prospettive occupazionali nei diversi settori produttivi e per i singoli profili
professionali, alle tipologie dei rapporti contrattuali, alle facilitazioni occupazionali, ai
servizi di mediazione e accompagnamento al lavoro.
La produzione delle conoscenze di base sul mercato del lavoro è effettuata
attraverso l’attività dell’osservatorio regionale sul mercato del lavoro e dei servizi
provinciali di monitoraggio del mercato del lavoro.
Interventi diretti agli utenti
Gli interventi individualizzati di orientamento a favore degli utenti dei SPI
sono erogati all’interno delle funzioni di accoglienza e di accompagnamento al
lavoro. In particolare agli utenti che hanno stipulato un patto di servizio con il CPI, è
garantito un’azione di orientamento nel corso dei colloqui relativi alla definizione e
aggiornamento del PAI.
All’interno del sistema dei SPI sono attivate, direttamente dai CPI o da altre
strutture convenzionate, azioni di orientamento rivolte a gruppi di utenti. Sono
inoltre resi disponibili agli utenti prodotti per l’autorientamento. La distribuzione e
l’accesso ai prodotti è garantita almeno in tutti CPI. Sia gli interventi di orientamento
di gruppo che i prodotti di autorientamento sono destinati principalmente agli utenti
in grado di sviluppare un buon grado di autonomia nella ricerca attiva di lavoro.
pag. 28
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
RISORSE NECESSARIE
Supporti tecnici per operatori dell’orientamento
•
Materiali illustrativi delle caratteristiche del mercato del lavoro locale e
regionale. I materiali sono una elaborazione della produzione tecnico-scientifica
specialistica, mirata alle specifiche esigenze e competenze degli operatori
dell’orientamento. Sono trattate le tematiche della domanda ed offerta di
lavoro, delle prospettive occupazionali nei diversi settori produttivi e per i
singoli profili professionali, delle tipologie dei rapporti contrattuali, delle
facilitazioni all’assunzione, dei servizi di mediazione e accompagnamento
disponibili.
•
Catalogo aggiornato dell’offerta di formazione professionale disponibile sul
territorio, completo delle indicazioni relative ai contenuti formativi, alla
qualificazione assicurata, alla durata, alle modalità di accesso, alla data di
attivazione di ciascuna delle proposte.
•
Catalogo dei prodotti per l’orientamento.
Prodotti per l’autorientamento
•
Guida finalizzata a conoscere il mercato del lavoro e a sviluppare le
competenze necessarie a realizzare azioni di ricerca attiva di lavoro e a gestire
in maniera appropriata la fase di costituzione del rapporto di lavoro.
•
Materiali di esercitazione per la gestione delle interazioni nel mercato del
lavoro.
Personale
•
Lo svolgimento della funzione richiede un’unità operativa specializzata a livello
provinciale con personale qualificato in grado di trattare le fonti informative di
carattere statistico e normativo e di conoscere l’articolazione dei profili
professionali e il sistema della formazione professionale. In termini quantitativi
sono necessari almeno due operatori per ciascuna provincia.
Locali e attrezzature
•
In ogni CPI un locale per gli incontri di orientamento di gruppo. Il locale deve
essere attrezzato secondo i comuni standard delle aule formative.
•
Uno spazio composto da uno o più uffici a livello provinciale per l’operatività
dell’unità di orientamento, i locali sono cablati e dotati dell’abituale
strumentazione d’ufficio (computer, telefono, fax, fotocopiatore, ecc.)
•
Una dotazione mobile delle abituali attrezzature necessarie a gestire
presentazioni (computer, proiettore, lavagna, ecc.)
pag. 29
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
INDICATORI
Tab. B.7 - Indicatori e standard di riferimento per la funzione di Orientamento
Tipologia
Input
Input
Input
Input
Input
Input
Output
Output
Output
Output
Output
Output
Output
Indicatore
Attivazione dei servizi di monitoraggio provinciali
CPI che hanno attivato iniziative di orientamento
di gruppo
CPI che forniscono di saletta attrezzata per
incontri
Formazione degli operatori
Province con dotazione mobile per presentazioni
Qualità organismi che forniscono il servizio in
convenzione
Disponibilità catalogo prodotti per l’orientamento
Disponibilità catalogo regionale informatizzato
dell’offerta formativa
CPI presso i quali sono distribuiti/utilizzabili
prodotti di autorientamento
Numero unità operative specializzate di
orientamento
Numero operatori per unità operativa
specializzata di orientamento
Punti di erogazione del servizio di orientamento
specializzato
Prestazione
Percentuale di richieste di assistenza tecnica
evase
Aggiornamento catalogo offerta formativa
Prestazione
Tipologia dell’offerta formativa in catalogo
Prestazione
Aggiornamento catalogo prodotti per
l’orientamento
Tempi di risposta a richiesta di colloquio
approfondito da parte del servizio
Accompagnamento
Prestazione
pag. 30
STANDARD DI RIFERIMENTO
Entro il 2003
50% dei CPI entro il 2003 – 100% dei CPI entro
il 2005
50% entro il 2003 – 100% entro il 2005
Competenze in: a) interpretazione
documentazione statistica; b) interpretazione
documentazione normativa; c) analisi e
tecniche di classificazione profili professionali;
d) caratteristiche del sistema della formazione
professionale regionale, nazionale e europeo
100% entro il 2003
Accreditamento regionale; entro il 2004
Entro il 2003
Entro il 2003
50% dei CPI entro il 2003; 100% dei CPI entro il
2004
1 per ogni provincia, entro il 2003
1 entro il 2003 – 2 entro il 2005
1 a livello provinciale, entro il 2003; almeno 1 in
ogni ambito territoriale dei CPI, a partire dal
2005 (anche gestiti da soggetti convenzionati)
50% nel 2003 – 100% nel 2005
Aggiornamento in tempo reale, a partire
dall’implementazione del catalogo
Percorsi per la qualifica professionale, entro il
2003 (compreso apprendistato); percorsi di
aggiornamento, specializzazione, entro il 2004
Revisione annuale, a partire
dall’implementazione del catalogo
30 giorni entro il 2003; 15 giorni dal 2005
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Funzione 5 - Informazione mirata per le imprese
FINALITÀ
Il servizio è finalizzato ad offrire informazioni mirate ai datori di lavoro in
merito a:
ƒ
Incentivi e agevolazioni per le assunzioni;
ƒ
Procedure per le assunzioni;
ƒ
Servizi di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro e di selezione del
personale;
ƒ
Adempimenti e procedure amministrative.
UTENZA
Tutti i datori di lavoro privati e pubblici.
MODALITÀ DI EROGAZIONE
Il servizio è erogato nelle seguenti forme:
ƒ
Distribuzione materiali informativi mirati.
ƒ
Campagne d’informazione relativamente all’introduzione di nuove misure di
politica del lavoro e/o a innovazioni normative in materia di lavoro.
ƒ
Azioni informative ad hoc rivolte agli organismi che erogano servizi
consulenziali alle imprese.
Per la produzione dei materiali le Province utilizzano un apposito servizio di
assistenza tecnica realizzato dall’Ente strumentale regionale Veneto Lavoro.
RISORSE NECESSARIE
ƒ
Struttura regionale di assistenza tecnica per la produzione ed aggiornamento
dei contenuti informativi.
ƒ
Materiali informativi a stampa e guide informatizzate ipertestuali.
ƒ
Spazio web dedicato nel Portale Veneto per il Lavoro e nei siti delle Province.
ƒ
Risorse finanziarie per realizzazione campagne informative.
pag. 31
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
INDICATORI
Tab. B.8 - Indicatori e standard di riferimento per la funzione di informazione
mirata per le imprese
Tipologia
Input
Input
Output
Output
Output
Output
Indicatore
Standard di riferimento
Costituzione del servizio di assistenza tecnica
regionale al sistema dei SPI in materia di agevolazioni
alle assunzioni e forme contrattuali.
Spazio web dedicato all’informazione per i datori di
lavoro
Distribuzione presso i CPI di materiali informativi
dedicati ai datori di lavoro
Campagne informative realizzate
Presso Veneto Lavoro a partire dal 2003.
Nel Portale Veneto per il Lavoro e in tutti i siti web
delle Province, a partire dal 2003
In tutti i CPI a partire dal 2003.
Attivazione di campagne informative per ogni nuova
misura introdotta, a partire dal 2003
Iniziative informative a favore di organismi che erogano Iniziative a livello provinciale per ogni nuova misura
servizi di consulenza ai datori di lavoro
introdotta, tutte le Province a partire dal 2003
Argomenti trattati dai materiali informativi
Materiali informativi sull’intera gamma di agevolazioni
alle assunzioni e tipologie di rapporti di lavoro.
pag. 32
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Funzione 6 - Gestione sistema informativo e accertamenti
FINALITÀ
L’intera capacità di azione del sistema dei SPI sul mercato del lavoro poggia
su un insieme di banche dati da cui attingere le informazioni necessarie a
supportare le varie azioni, banche dati alimentate a loro volta dal flusso di
informazioni che giunge ai SPI.
Costituiscono requisiti indispensabili del sistema informativo:
-
la tempestività nell’acquisizione dei dati
-
la completezza delle informazioni
-
l’omogeneità dei criteri di trattamento e di codifica dei dati
-
l’unitarietà regionale del sw gestionale.
Il servizio:
•
garantisce l’implementazione, l’aggiornamento e la manutenzione delle banche
dati informatiche costruite a partire dai flussi informativi transitanti attraverso i
Centri per l’impiego e gestiti tramite il software di sistema;
•
gestisce le attività di controllo e accertamento, in coordinamento con altre
amministrazioni, tramite l’utilizzo delle diverse basi dati;
•
garantisce l’aggiornamento e lo sviluppo del sw in funzione sia dell’evoluzione
della normativa, sia di particolari esigenze funzionali dei SPI, sia delle esigenze
di monitoraggio del mercato del lavoro e delle attività dei SPI;
•
garantisce il coordinamento dell’insieme delle attività.
UTENZA
Sono da considerarsi utenti:
a) tutti i soggetti, pubblici o privati, tenuti a comunicare ai Cpi informazioni
riguardanti rapporti di lavoro, work experiences, obbligo scolastico e
formativo;
b) tutti coloro che si iscrivono all’anagrafe lavoratori;
c) le pubbliche amministrazioni che richiedono attività di verifica;
d) le diverse articolazione dei SPI;
e) le società private che operano nel mercato del lavoro (es. agenzie interinali,
agenzie di mediazione, ricerca e selezione del personale, enti di formazione)
pag. 33
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
f) i soggetti, pubblici e privati, che operano nel campo della ricerca e dello
studio sul mercato del lavoro.
MODALITÀ DI EROGAZIONE
Attività di implementazione
L’attività di implementazione e aggiornamento dell’anagrafe lavoratori è
garantita in tempo reale dalle altre funzioni di erogazione diretta dei servizi. Per
quanto concerne il flusso di comunicazioni obbligatorie, la garanzia della
tempestività della registrazione rappresenta un imprescindibile compito dell’attività
di back office dei Cpi, pertanto ne è assicurata la gestione attraverso il sistema del
protocollo informatico.
Al fine dell’ottenimento di questo risultato, con un notevole risparmio di
tempo e di risorse da parte degli utilizzatori, viene attivato il canale web per le
comunicazioni ufficiali. L’ottemperanza agli obblighi amministrativi in assenza di
supporto cartaceo, avviene attraverso il Portale Veneto per il Lavoro ed è garantita
dalla firma digitale.
Attività di scambio
Le modalità di scambio informativo con le altre amministrazioni sono
regolate da protocolli d’intesa che standardizzano i comportamenti ed evitano
ingorghi sistemici.
Attività di manutenzione e innovazione
La funzione di manutenzione e controllo di qualità delle basi dati è garantita
da un responsabile provinciale in coordinamento con Veneto Lavoro
Il sw gestionale è aggiornato a fronte delle innovazioni normative o di nuove
esigenze funzionali secondo un protocollo regionale. Alla fase di istruttoria e alla
validazione delle nuove funzionalità presiede un coordinamento regionale. Il
medesimo coordinamento regionale provvede alla progettazione, realizzazione e
implementazione di procedure di controllo della qualità dati, nonché alla definizione
e verifica di standard di riferimento.
RISORSE NECESSARIE
Personale
Un’unità operativa regionale responsabile della manutenzione e controllo
dell’integrità delle basi dati, con personale competente in gestione database
relazionali.
Un responsabile provinciale del controllo di qualità delle basi dati, con
competenze nelle procedure amministrative dei Cpi.
pag. 34
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Un gruppo di coordinamento regionale che presiede alle attività di
manutenzione e innovazione, composto da Veneto Lavoro e dai responsabili
provinciali della qualità dati.
Operatori addetti alla verifica e alla registrazione delle comunicazioni, con
competenze di uso del software applicativo e della normativa vigente.
L’organizzazione delle presenze in servizio del personale segue le oscillazioni
stagionali dei carichi di lavoro.
Dotazione strumentale
Per la dotazione tecnica vedi Tab B.11.
Postazioni di lavoro individuali, attrezzate secondo quanto previsto dalla Tab.
B.11.
INDICATORI
Tab. B.9 – Indicatori e standard di riferimento per la funzione di Gestione del
sistema informativo
Tipologia
Input
Input
Input
Processo
Output
Output
Output
Output
Output
Prestazione
Prestazione
Prestazione
Indicatore
Standard di riferimento
Istituzione unità operativa regionale responsabile
manutenzione delle basi dati
Individuazione dei responsabili provinciali controllo
qualità delle basi dati
Istituzione del coordinamento regionale per le attività
di manutenzione e innovazione
Modalità di aggiornamento software
Registrazione informazioni
Entro il 2002
Entro il 2002
Entro il 2002
Secondo protocollo regionale a partire dal 2003
Entro la giornata lavorativa di acquisizione
utilizzando il protocollo informatizzato, entro 2002
Tempi aggiornamento software
Entro 30 giorni dall’entrata in vigore delle innovazioni
normative
Congruenza informazioni banche dati rispetto agli
2004 e 2005 riduzione dei margini di errore (dato
standard definiti
mancante, incongruità); entro 2006 margine errore
<5%
Risposta alle richieste di accertamento da parte di altre Entro 30 giorni dalla richiesta, fino al 2003 – Entro 15
amministrazioni
giorni dalla richiesta, dal 2004
Modalità di conduzione degli accertamenti
Disponibilità ad utilizzare procedure informatizzate, a
partire dal 2004
Modalità acquisizione comunicazioni aziendali
Disponibilità acquisizione on-line, a partire dal 2003
– Acquisizione almeno 75% delle comunicazioni
entro il 2006.
Protocollo regionale aggiornamento sw gestionale
Entro il 2002
Standard di qualità di registrazione dei dati
Definizione entro il 2003
pag. 35
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Funzione 7 - Analisi e Programmazione
FINALITÀ
Progettare e realizzare il monitoraggio dei mercati locali del lavoro secondo
schemi armonizzati con le necessità nazionali e comunitarie.
Produrre e diffondere periodicamente informazioni amministrative sulla
domanda e l’offerta di lavoro desumibili dall’attività dei Cpi.
Condurre e promuovere analisi statistiche, studi e ricerche sul mercato del
lavoro e sul contesto economico regionale.
Valutare le opportunità occupazionali offerte dai diversi segmenti del sistema
produttivo, finalizzate a meglio indirizzare le funzioni di accompagnamento al lavoro.
Supportare l’attività di programmazione fornendo assistenza tecnica alla
CRCPS, alla CCI e alla Regione in tema di politiche del lavoro e di interventi
strutturali.
Svolgere un sistematico monitoraggio dello stato di attuazione del
Masterplan e valutare l’efficacia delle misure attivate.
UTENZA
Pur essendo l’utenza a carattere generalizzato (il bene informazione può da
tutti essere fruito), la funzione di target è rappresentata dagli attori sociali coinvolti
nel mondo del lavoro, dai decisori politici ai diversi livelli locali, dagli operatori dei
Spi impegnati in attività di orientamento e matching.
MODALITÀ DI EROGAZIONE
Analisi
Progettazione - La progettazione degli schemi analitici (standard minimo) con
cui leggere gli andamenti del mercato del lavoro desumibili dalla fonte
amministrativa è a carico di Veneto lavoro in coordinamento con le Amministrazioni
provinciali e l’Osservatorio nazionale. Ulteriori analisi possono essere condotte in
autonomia a livello locale per rispondere a particolari esigenze emerse nel territorio.
Produzione dati amministrativi - La funzione di estrazione delle informazioni
sarà integrata nel software gestionale e disponibile quindi a livello di singolo Cpi.
Compito delle Amministrazioni provinciali e di Veneto Lavoro sarà quello di
raccogliere e divulgare le stesse previa valutazione di congruenza.
Produzione statistica - Gli archivi amministrativi, opportunamente trattati e
normalizzati da Veneto lavoro, diverranno, a cadenze annuali, la base per la
produzione statistica relativa alla fonte Cpi che consentirà un’accurata analisi delle
tendenze in atto nei mercati locali del lavoro.
pag. 36
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Gli archivi statistici saranno a disposizione delle Amministrazioni provinciali
per autonome analisi. Inoltre, a seguito di apposite convenzioni con le Province,
sono disponibili, a titolo oneroso, per altri soggetti interessati all’analisi e alla ricerca
sul mercato del lavoro.
La distribuzione dell’informazione avverrà sfruttando tutti i canali
attualmente disponibili: dai siti internet regionali, provinciali e locali, alle
pubblicazioni che ai vari livelli e rispetto ai diversi pubblici potranno essere
realizzate.
Studi e ricerche - L’attività di ricerca viene svolta direttamente dagli
Osservatorii (regionale e provinciali), sfruttando in primo luogo la base informativa
del SILR, ma anche ricorrendo ad altre fonti disponibili o svolgendo/commissionando
a indagini ad hoc.
Programmazione
La programmazione avviene attraverso gli strumenti dei piani e programmi
pluriennali e annuali previsti dalla legislazione regionale, attingendo e
contemporaneamente orientando l’attività di analisi.
La verifica dello stato di attuazione del Masterplan e dell’adeguatezza dello
stesso avvengono tramite il sistema di monitoraggio e valutazione appositamente
predisposto.
RISORSE NECESSARIE
Personale
Osservatorio regionale: dieci esperti con
economiche, sociologiche, statistiche e informatiche;
competenze:
giuridiche,
Osservatorii provinciali: un esperto con competenze socio-economiche;
Individuazione (ed eventuale formazione) di referenti territoriali addetti al
monitoraggio.
Dotazione strumentale
Realizzazione e integrazione di un modulo statistico all’interno del software
gestionale;
Strumenti per la distribuzione del prodotto sul territorio;
Disponibilità di efficaci canali di trasmissione di archivi ed estrazioni
periodiche.
pag. 37
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
INDICATORI
Tab. B.10 - Indicatori e standard di riferimento per la funzione di Analisi e
programmazione
Tipologia
Input
Indicatore
Standard di riferimento
Output
Regolamento per l’accesso di utenti esterni ad Archivio
statistico unificato veneto (ASUV)
Istituzione Osservatori provinciali
Realizzazione del sistema di monitoraggio del
Masterplan
Produzione dati amministrativi
Output
Note congiunturali
Output
Output
Rapporto annuale regionale sul Mdl
Archivio statistico unificato veneto (ASUV)
Output
Output
Report dello stato di avanzamento Masterplan
Disponibilità materiali formativi aggiornamento
operatori Orientamento
Piani e programmi di attività
Input
Input
Prestazione
pag. 38
Entro il 2003
Entro il 2004
Entro 2003
Entro 2003 con cadenza trimestrale, copertura
territoriale totale
Entro 2003 con cadenza trimestrale, copertura
territoriale totale. Diffuse via web
Pubblicazione secondo standard già raggiunti
A partire dal 2003 (riferito al 2002), con cadenza
annuale
Cadenza annuale dal 2003
A partire dal 2003
Rispetto delle scadenze previste dalla normativa
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Standard per la dotazione informatica
Tab. B.11 - Indicatori e standard di riferimento per la dotazione informatica
Tipologia
Indicatore
Standard di riferimento
Input
Local area networck (LAN) dei CPI
Input
Apparati attivi di LAN
Input
Collegamento WAN – Intranet (SILR, Internet)
Input
Router
Input
Personal Computer
Input
Input
Monitor
Stampanti locali
Input
Stampanti di rete
Input
Stampanti a colori
Input
Software di Office Automation
Input
Software di Sistema Operativo
Input
Applicativi gestionali
Input
Server di Rete
Input
Server di Rete
Input
Scanner
Input
Masterizzatore
Input
PC Portatile
Input
Input
Input
Proiettore
Lavagna luminosa
Fotocopiatrice
Input
Apparecchio Telefonico
pag. 39
Tutti i CPI - Cablaggio strutturato UTP secondo lo
standard cat. 5 - Entro il 2002
Tutti i CPI – Hub o Switch Layer 2, dimensionati
sul numero dei PC 10/100 – Entro il 2002
Tutti i CPI – Uso della tecnologia migliore
presente nel territorio, tendenzialmente XDSL –
Entro il 2002
Tutti i CPI – Secondo la tecnologia del
collegamento – Entro il 2002
Uno per ogni postazione lavorativa - Pentium 1
GHertz – 4GB HDisk – 128 MB RAM – Scheda
rete 10/100 10BaseT – CD ROM – Entro il 2003
Dimensione 17 ‘’ o LCD 15 ‘’
Tutti i CPI – Una per ogni Operatore di Sportello
– Laser: formato A4; risoluzione minima richiesta
600x600 dpi - Entro il 2002
Una per ogni CPI e ogni 15 Client - Laser di rete:
cassetti standard formato A4 e A3; risoluzione
600x600 dpi – Entro il 2002
Una per ogni CPI - carta comune A3, A4 – Entro
il 2002
Tutti i CPI – Office 2000 PRO per ogni client –
Entro il 2002
Tutti i CPI – Windows 2000 per ogni client – Entro
il 2002
Tutti i CPI – Gestione Anagrafe Lavoratori e
Aziende, Gestione Movimenti, Gestione PAI,
Gestione IDO, Gestione Tirocini, Gestione
Obbligo Formativo, Gestione Collocamento
Mirato – Entro 2003
Per i CPI Capoluogo di Provincia - NT
biprocessore -640 MB-512 XEON 400 Mhz –
Entro il 2002
Per i CPI non Capoluogo di Provincia – NT
monoprocessore -512 MB-512 KB-Pentium II 400
Mhz – Entro il 2002
Tutti i CPI – risoluzione: ottica: 600 dpi; hardware:
600 x 1200 dpi – Entro il 2002
Tutti i CPI – Masterizzatore riscrivibile:
caratteristiche minime 4X-4X-12X – Entro il 2002
Tutti i CPI – Pentium 1 GHertz – 4GB HDisk –
128 MB RAM – Scheda rete 10/100 10BaseT –
CD ROM – Entro il 2003
Uno per provincia – Entro il 2003
Una per provincia – Entro il 2003
Una per ogni CPI – formato carta A4 e A3 – Entro
il 2002
Uno per singolo locale attrezzato – Entro il 2002
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
C - Piano d’azione per lo sviluppo dei SPI
Il raggiungimento da parte dei SPI degli standard operativi definiti avverrà attraverso un
insieme articolato di azioni volto ad acquisire i necessari fattori di input e a strutturare i
processi di erogazione dei servizi. Tali azioni rispondono sostanzialmente ai seguenti
macrobiettivi:
•
riqualificazione e aggiornamento del personale;
•
adeguamento della dotazione di personale;
•
informatizzazione dell’attività dell’intero sistema dei SPI;
•
realizzazione di materiali e strumenti di supporto all’erogazione dei servizi;
•
sviluppo di procedure operative standardizzate a livello regionale;
•
adeguamento delle sedi dei CPI;
•
definizione di accordi ed intese di collaborazione sia a livello regionale che a
livello locale.
La realizzazione del piano d’interventi, per quanto riguarda i soggetti
attuatori, richiede un’azione coordinata tra il livello regionale e quello provinciale
secondo uno schema che tenga conto da un lato delle esigenze di economia di scala
e dall’altro della necessità di decentramento territoriale. Un’analoga prospettiva di
coordinamento va utilizzata relativamente alle fonti di finanziamento, mirando a
utilizzare a pieno i diversi canali di finanziamento, razionalizzandone l’utilizzo
attraverso la costruzione di un profilo unitario degli investimenti necessari. Un
ulteriore prerequisito per garantire efficienza ed efficacia al piano d’interventi
riguarda la necessità di adeguare le formule di assegnazione e gestione delle risorse
alle caratteristiche degli interventi pianificati.
pag. 40
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Tab. C.1 – Riqualificazione e aggiornamento del personale
Azione
Beneficiari
Soggetti attuatori
Riqualificazione di base degli operatori
Personale dei CPI provenienti dallo
Stato
Stato - Province
Formazione utilizzo sw NL
Formazione per la gestione dell’attività
degli sportelli incontro domanda-offerta
Formazione responsabili qualità dati a
livello provinciale
Personale dei CPI
Operatori della rete di sportelli incontro
domanda-offerta
Province, Regione
Formazione operatori per trattamento
dati
Risorse (Fonte)
Tempi
Entro 2002
Veneto Lavoro
Veneto Lavoro
Stato (Progetto Caravelle)
Regione (FSE – Misura A1)
Veneto Lavoro
Veneto Lavoro
Veneto Lavoro
Regione (FSE – Misura A1)
Entro 2003
Personale di: Province, Cpi, Regione
Veneto Lavoro
Regione (FSE – Misura A1)
Entro 2002
Formazione addetti territoriali al
monitoraggio amministrativo
Personale dei Cpi
Veneto Lavoro
Regione (FSE – Misura A1)
Entro primo semestre 2003
Formazione per l’utilizzo lingua
straniera
Personale dei Cpi
Province
Regione (FSE – Misura A1)
Entro 2003
Entro 2002
Tab. C.2 – Adeguamento della dotazione di personale
Azione
Valutazione fabbisogno di personale
Adeguamento dotazione personale
Beneficiari
Province
Province
Soggetti attuatori
Province
Province
Risorse (Fonte)
Province
pag. 41
Tempi
2002
2006
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Tab. C.3 – Informatizzazione dell’attività dei SPI
Azione
Acquisizione strumentazione
informatica secondo standard
Cablatura locali
Collegamento in rete regionale
Sviluppo ed installazione nuovo sw
gestionale di base (NL4)
Sviluppo ed installazione sw gestione
lavoratori disabili
Sviluppo ed installazione sw gestione
tirocini
Sviluppo ed installazione sw gestione
formazione apprendisti
Sviluppo ed installazione sw gestione
obbligo formativo
Sviluppo ed attivazione sw gestione
banca dati per la mobilità territoriale (elabor)
Sistema acquisizione on-line delle
comunicazioni ufficiali
Progettazione e realizzazione sw
integrato in NL4 per analisi statistica
Beneficiari
Soggetti attuatori
CPI – Veneto Lavoro
Province – Veneto Lavoro
CPI – Veneto Lavoro
CPI – Veneto Lavoro
CPI
Risorse (Fonte)
Tempi
50% entro il 2002; 100% entro il 2003
Province – Veneto Lavoro
Province – Veneto Lavoro
Veneto Lavoro – MLPS
Veneto Lavoro – Province - Regione
(FSE – Misura A1)
Province – Veneto Lavoro
Province – Veneto Lavoro
Stato
CPI
Province
Province – Veneto Lavoro
Entro 2002
CPI – Veneto Lavoro – Altri soggetti
promotori tirocini
Regione – Province
Veneto Lavoro
Regione
Entro 2002
Regione - Veneto Lavoro
Stato – Regione
Entro 2003
CPI
Regione - Veneto Lavoro
Stato – Regione
Entro 2003
Rete sportelli per l’incontro tra
domanda ed offerta di lavoro
MLPS
Stato
Entro 2002
Cpi, sistema imprese
Veneto Lavoro
Regione (FSE – Misura A1)
Avvio sperimentazione entro 2002;
Province, Cpi, Regione
Veneto Lavoro
Veneto Lavoro
Entro 2002; a regime entro 2004
pag. 42
Entro 2002
Entro 2002
Entro 2002
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Tab. C.4 – Realizzazione materiali e strumenti di supporto all’erogazione dei servizi
Azione
Progettazione e realizzazione ASUV
Catalogo dell’offerta formativa
Catalogo materiali per l’orientamento
Materiali base per l’orientamento
Siti provinciali sul lavoro
Produzione materiali informativi su
strumenti di supporto e agevolazioni
disponibili per i lavoratori e datori di
lavoro
Realizzazione carta dei servizi
Produzione di strumenti di
autorientamento
Campagna informativa per il servizio
d’incontro domanda-offerta
Realizzazione del Portale veneto per il
lavoro
Beneficiari
Soggetti attuatori
Risorse (Entità Fonte)
Tempi
Province, istituti ricerca
CPI, Servizi di orientamento
CPI, Servizi di orientamento
CPI, Servizi di orientamento
Sistema servizi
Sistema servizi
Veneto Lavoro
Regione
Regione
Regione, Veneto Lavoro, Province
Province
Province – Veneto Lavoro
Veneto Lavoro
Regione
Regione
Sistema servizi
Sistema servizi
Province
Regione, Veneto Lavoro, Province
Regione (FSE – Misura A1)
Regione
Entro 2003 – aggiornamento annuale
Entro 2004
Sistema servizi
Veneto Lavoro
Veneto Lavoro
Entro 2002
Sistema servizi
Veneto Lavoro
Regione (FSE – Misura A1)
Attivazione primi servizi entro 2002 –
Completamento servizi di base entro il
2003
pag. 43
Regione (FSE – Misura A1)
Province
Regione (FSE – Misura A1)
Entro 2003
Entro 2003
Entro 2003
Entro 2003
Entro 2003
Entro 2003 - aggiornamento annuale
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Tab. C.5 – Sviluppo procedure operative standard
Azione
Definizione regolamento per l’accesso
ad ASUV
Realizzazione procedure di controllo
qualità dati
Progettazione sistema monitoraggio
Masterplan
Definizione modello gestione “nuovo
collocamento”
Definizione sistema di accreditamento
degli organismi privati convenzionati
Definizione procedure di
funzionamento rete di sportelli incontro
domanda-offerta
Beneficiari
Università centri di ricerca, soggetti
sociali
Province, Cpi, Regione
Soggetti attuatori
Risorse (Fonte)
Tempi
Veneto Lavoro - Provincie
Entro primo semestre 2003
Entro 2003
Regione, Province
Coordinamento regionale (Veneto
Lavoro)
Veneto Lavoro
CPI
Regione, Province, Veneto Lavoro
Entro 2002
Province
Regione e Province
Entro 2003
Sistema servizi
Regione, Veneto Lavoro, Province,
Parti sociali
Entro 2002
Entro 2002
Tab. C.6 – Adeguamento delle sedi dei CPI
Azione
Acquisizione nuovi locali
Beneficiari
Soggetti attuatori
Risorse (Fonte)
Tempi
Comuni / Province
Comuni / Province
Entro 2004
Manutenzione straordinaria delle
strutture ed impianti dei locali già
disponibili
CPI con locali inadeguati per
dimensioni / accessibilità / condizioni
strutturali
CPI con locali deteriorati e/o non
conformi alla normativa sulla sicurezza
e accessibilità
Province
50% CPI entro 2003; 100% CPI entro
2004
Rinnovo arredo
Tutti i CPI
Province
Acquisizione segnaletica
Tutti i CPI
Province
Regione (FSE – Misura A1)
Stato (L. 388/00 e L. 448/01)
Province (risorse proprie)
Regione (FSE – Misura A1)
Stato (L. 388/00 e L. 448/01)
Province (risorse proprie)
Regione (FSE – Misura A1)
Stato (L. 388/00 e L. 448/01)
Province (risorse proprie)
pag. 44
50% CPI entro 2003; 100% CPI entro
2004
50% CPI entro 2003; 100% CPI entro
2004
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Tab. C.7 – Definizione di accordi ed intese di collaborazione
Azione
Stipula protocolli intesa con altre
amministrazioni per procedure
semplificate di accertamento
amministrativo
Convenzioni per l’attivazione sportelli
incontro domanda-offerta
Accordo quadro per l’avvio di un
sistema a rete di sportelli per l’incontro
domanda-offerta
Accordi territoriali di collaborazione per
l’attuazione della legge 68/98
Convenzioni quadro per la promozione
dei tirocini
Accordi generali di collaborazione per
l’integrazione dei servizi
Partnership con organismi privati per
l’erogazione di servizi specialistici
Soggetti
Promotore
Risorse (Fonte)
Tempi
Sistema istituzionale regionale
Veneto Lavoro
Entro 2003
Province – organismi privati
(associazioni dei datori di lavoro,
organizzazioni sindacali, organismi
non-profit)
Regione, Province, Veneto Lavoro,
Parti sociali
Province
A partire dal 2002
Veneto Lavoro
A partire dal 2002
Province, Comuni, Aziende Ulss, Parti Province
sociali
Province, Veneto Lavoro, Associazioni Province, Veneto Lavoro
dei datori di lavoro, Organizzazioni
sindacali dei lavoratori
Province, Comuni, Agenzie scolastiche Province
A partire dal 2002
Province, Agenzie formative e/o di
orientamento
A partire dal 2002
Province
pag. 45
A partire dal 2002
A partire dal 2002
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
Tab. C.8 – Quadro finanziario
Fonte
Trasferimento statale
FSE- Misura A1
Regione 61,5% - Stato
38,5%
Stato (finanziamento ad
hoc L. 388/00 e L. 448/01)
Regione
Totale
Beneficiario
Anno 2000
Anno 2001
Anno 2002
Anno 2003
Anno 2004
Anno 2005
Anno 2006
Regione e Province
11.125.536
11.125.536
11.125.536
11.125.536
11.125.536
11.125.536
11.125.536
77.878.752
Veneto Lavoro
4.112.631
2.763.531
7.294.884
2.763.531
7.278.782
2.763.531
4.364.356
2.763.531
4.036.157
2.763.531
4.116.879
2.763.531
4.199.220
2.763.531
35.402.909
19.344.717
Province
0
3.000.000
3.000.000
0
0
0
0
6.000.000
3.615.198
0
0
0
0
0
0
3.615.198
21.616.896
24.183.951
24.167.849
18.253.423
17.925.224
18.005.946
18.088.287
142.241.576
Veneto Lavoro per
SILR
pag. 46
Totale
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
D - Monitoraggio del Masterplan
Al fine di poter valutare l’attuazione del piano sarà implementato uno specifico sistema di
monitoraggio.
Entro tre mesi dall’approvazione del masterplan, Veneto Lavoro predisporrà il progetto
operativo per il monitoraggio. Nel progetto saranno definite le fonti informative le modalità di
raccolta e di classificazione delle informazioni i soggetti che parteciperanno all’azione di
monitoraggio, le caratteristiche dei rapporti intermedi e la loro cadenza.
Le linee generali a cui il sistema si ispirerà sono le seguenti:
•
Le informazioni raccolte si riferiscono agli indicatori individuati nel masterplan;
•
Sarà monitorato l’intero territorio regionale;
•
Saranno utilizzate sia le fonti informative di carattere amministrativo, sia rilevazioni ad
hoc;
•
Verrà prodotto un rapporto annuale nel quale saranno illustrate le condizioni dei SPI e il
grado di approssimazione agli standard fissati;
•
Veneto Lavoro sarà responsabile del puntuale svolgimento del monitoraggio e
produzione dei rapporti;
•
i servizi coinvolti parteciperanno al monitoraggio fornendo le informazioni richieste
secondo i parametri definiti in sede di progettazione del sistema di monitoraggio.
I risultati dell’attività di monitoraggio saranno portati a conoscenza e alla valutazione della
Commissione Europea, del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, della Regione, delle
Province e degli organismi di concertazione e di coordinamento istituzionale.
Annualmente, sulla base delle indicazioni provenienti dal monitoraggio, il Masterplan potrà
essere aggiornato. L’aggiornamento potrà riguardare gli standard fissati, le azioni da sviluppare,
l’articolazione temporale degli interventi e la destinazione delle risorse.
pag. 47
Regione Veneto - Masterplan dei Servizi per l’impiego
E - Glossario
SPI – Servizi per l’impiego
CPI – Centro per l’impiego
PAI – Piano di azione individuale. Piano delle azioni di ricerca attiva di lavoro e di sviluppo
professionale che l’utente in stato di disoccupazione ai sensi del D.lgs. 181/00 ha concordato con il
CPI. Per l’utente l’attuazione del piano è vincolante per il mantenimento dello stato di
disoccupazione e dei benefici connessi.
Standard di input: con il termine “standard di input” ci si riferisce ai diversi tipi di risorse
che risultano necessarie per l’erogazione del servizio: risorse umane e loro competenze, tecnologie
e attrezzature, risorse informative e documentazione, spazi e layout, risorse finanziarie, immagine
e comunicazione, etc.
Standard di processo: con il termine “standard di processo” ci si riferisce alle concrete
modalità di erogazione dei servizi che si concretizzano frequentemente in procedure, e cioè in
modalità formalizzate di progettare, realizzare, controllare e valutare specifiche fasi di attività
nell’ambito del processo complessivo.
Standard di output: con il termine “standard di output” ci si riferisce alle caratteristiche
standard di un particolare tipo di prodotto/servizio.
Standard di prestazione: con il termine “standard di prestazione” (o standard di
performance) ci si riferisce al risultato del servizio (o della struttura, o del sistema).
Standard di organizzazione: con il termine “standard di organizzazione” ci si riferisce
alle caratteristiche relative all’assetto organizzativo della struttura di erogazione dei servizi (aree
organizzative; ruoli; etc.)
Standard di sistema: con il termine “standard di sistema” si intende la configurazione
della rete dei soggetti e delle strutture di erogazione dei servizi, ciò che a volte viene definito
“architettura del sistema”.
pag. 48
L’innovazione organizzativa - La nascita dell’Ufficio Progetto per il Marketing
g
La creazione dell’Ufficio Progetto per il Marketing si basa sull’intuizione della
Dirigenza del Settore Politiche Attive per il lavoro della Provincia di Verona, che ha
inteso così formalizzare un modus operandi proprio dei Centri per l’Impiego di
Verona e Legnago.
g
I due CPI hanno svolto per anni una preziosa opera di supporto alle aziende presenti
sul territorio, fornendo servizi a forte valore aggiunto, di carattere sia informativo, che
consulenziale.
g
Visto il positivo riscontro e la forte motivazione del personale, la Provincia ha deciso
di internalizzare tali competenze nel Settore Politiche Attive per il Lavoro, in modo
da centralizzare l’attività di promozione e di servizio alle imprese, e dispiegarla a
beneficio dell’intero territorio provinciale.
L’innovazione organizzativa – Il CPI di Legnago
Nel CPI di Legnago il servizio è nato con l’obiettivo di qualificare le offerte del CPI e
creare un rapporto fiduciario con le imprese ed i datori di lavoro presenti sul territorio,
“spingendo” con un’intensa attività promozionale le attività del Centro. Di seguito si
riportano le fasi operative per la gestione del servizio marketing presso il CPI di
Legnago.
Fase 1
Invio di una nota informativa alle Associazioni di Categoria della Provincia di Verona
con la quale si richiedeva formalmente la disponibilità ad informare i rispettivi associati
di una eventuale visita presso le sedi aziendali di un operatore della Provincia per la
presentazione dei nuovi servizi di politica attiva per il lavoro
Fase 2
Analisi delle aziende, con organico pari o superiore a 10/15 dipendenti, presenti nel
bacino del CPI di Legnago, con un elevato grado di attenzionerivolto all’impresa
metalmeccanica, a quella del settore terziario e del commercio, realizzata con il
supporto della banca dati del CPI di Legnago, utilizzata sul verante dell’offerta per
l’individuazione e la verifica di competenze di lavoratori disponibili
Fase 3
Preparazione di brochure informative e di materiale pubblicitario con la descrizione dei
nuovi servizi offerti dai CPI e nel corso dei due convegni organizzati dai CPI negli anni
2002/2003 sulle tematiche del nuovo ruolo dei Servizi per l’Impiego in un mercato del
lavoro profondamente rinnovati dalle recenti normative (Legge delega – legge Biagi)
Fase 4
Contatto telefonico con l’azienda nel corso del quale vengono fornite, dall’operatore
marketing. Informazioni, propedeutiche alla definizione dell’appuntamento, sui nuovi
servizi offerti dai Centri per l’Impiego.
L’innovazione organizzativa – Il CPI di Verona
Nel CPI di Verona il servizio è nato con l’obiettivo di fornire alle imprese servizi specifici
e sempre più qualificati all’impresa nella gestione della funzione di mediazione della
domanda e dell’offerta di lavoro. Di seguito si riportano le fasi operative per la gestione
del servizio marketing presso il CPI di Verona.
Fase 1
Analisi delle offerte di lavoro pervenute nel 2002 con la verifica delle figure
maggiormente richieste (contabile – impiegato amministrativo; magazziniere e
commessa)
Fase 2
Analisi delle persone disoccupate, subito disponibili al lavoro che possedevano
competenze prossime alle figura professionali sopraccitate
Fase 3
Analisi degli adempimenti amministrativi sulla verifica di tutte le comunicazioni di
cessazione di rapporti di lavoro riguardanti lavoratori che possedevano le competenze
relative al profilo professionale del contabile – impiegato amministrativo, magazzinieri
e commesse
Fase 4
Invio all’azienda, da parte dell’Ufficio Marketing, di una comunicazione, che
presentava il proprio servizio di ricerca di personale. Il primo tentativo riguardava 50
imprese, 14 di esse richiedevano altre informazioni
3529,1&,$',9(521$
6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR
Verona, 22/08/2003
Protocollo n. -
3777
pratica n.
Pagina 1/2
Responsabile Centro per l’Impiego 1
Responsabile Coordinamento per l’Impiego
Responsabili Unità Organizzative Centri
per l’Impiego
Responsabile
Unità
Organizzativa
Collocamento Mirato
Responsabile
Centro
Formazione
Professionale 1
Responsabile
Servizi
Amministrativi
dell’Area Servizi alla Comunità e alla
Persona
p. c.
Assessore al Lavoro
Vice Presidente della Provincia
Loro sedi
2JJHWWRAttivazione dell’ “Ufficio di progetto per il marketing – Provincia di Verona” presso
il Settore Politiche Attive per il Lavoro
'HFLVLRQH:
Presso il Settore Politiche Attive per il Lavoro, a far data dalla presente, viene
attivato l’Ufficio di progetto per il marketing. I soggetti che ne fanno parte, in seguito indicati,
provvederanno allo svolgimento delle attività inerenti, dalla sede di appartenenza, rispondendo
a tale fine al Servizio Coordinamento per l’Impiego.
0RWLYD]LRQH L’istituzione dell’ Ufficio di progetto per il marketing
è finalizzata
all’individuazione di strategie ed azioni idonee alla divulgazione e promozione dei nuovi
servizi erogati dai Centri per l’Impiego, sia in direzione dell’utenza classica (lavoratori in cerca
di occupazione ) che del mondo dell’impresa e della formazione/istruzione.
In particolare l’attività avrà cura di sensibilizzare e informare l’utenza circa le possibilità da
parte dei Centri per l’Impiego di erogare servizi reali indirizzati alla fornitura di interventi di
tipo orientativo/consulenziale relativi alla preselezione del personale, ai tirocini formativi,
all’offerta formativa e a tutte quelle informazioni inerenti il mercato del lavoro in grado di
stimolare le dinamiche dell’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro.
Ufficio referente
referente
telefono e fax
web
Luigi Oliveri
045 8088818
www.provincia.vr.it
Centro per l’Impiego di Legnago
rif. protocollo n.
allegati n.
5
3529,1&,$',9(521$
6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR
Pagina 2/2
$YYHUWHQ]H
L’Ufficio di progetto per il marketing, svolgerà prevalentemente le seguenti
attività.
¾
¾
¾
¾
¾
Predisposizione e standardizzazione di materiale informativo;
Individuazione dei soggetti destinatari delle azioni;
Gestione dei contatti con le imprese e gli altri soggetti mediante anche la collaborazione
degli operatori dei CpI secondo modalità concertate con i Responsabili dei Centri
medesimi;
Predisposizione di calendari di visite esterne ottimizzati secondo i criteri che saranno
ritenuti più efficaci ed effettuazione degli interventi;
Analisi, monitoraggio e controllo delle azioni intraprese anche attraverso
l’interpretazione dei dati ricavati dai sistemi di rilevazione identificati più opportuni.
Considerata l’esperienza acquisita presso il Centro per l’Impiego di Legnago e presso il Centro per
l’Impiego di Verona e visto l’ampio lavoro propedeutico già svolto, si dispone che il gruppo per il
marketing della Provincia di Verona sia costituito da:
¾
¾
¾
¾
Bisighin Giampaolo (CpI Legnago)
Dal Colle Laura (CpI Verona)
Lanza Alberto (CpI Legnago)
Scupola Carlo (CpI Verona)
I Sigg. Bisighin Giampaolo e Lanza Alberto svolgeranno le loro attività con riferimento al bacino
territoriale di competenza dei Centri per l’Impiego di Legnago, Bovolone e Villafranca, i Sigg. Dal
Colle Laura e Scupola Carlo con riferimento al bacino territoriale di competenza dei Centri per
l’Impiego di Verona, San Bonifacio e Affi.
Il personale costituente il Gruppo per il marketing dipenderà funzionalmente dal Dirigente del Settore
Politiche Attive per il Lavoro.
IL DIRIGENTE COORDINATORE D’AREA
Dott. Luigi Oliveri
L’organigramma dei Servizi per l’Impiego
STAFF AREA
DIRIGENTE
UFFICIO DI PROGETTO
ORIENTAMENTO
U.O. COLLOCAMENTO MIRATO
UFFICIO
UFFICIODI
DIPROGETTO
PROGETTO
MARKETING
MARKETING
OSSERVATORIO MERCATO DEL
LAVORO
SERVIZIO COORDINAMENTO
PER L’IMPIEGO
SERVIZIO CENTRO PER
L’IMPIEGO 1
SERVIZIO CENTRO PER
L’IMPIEGO 2
L’Ufficio di Progetto per il Marketing
UFFICIO
UFFICIODI
DIPROGETTO
PROGETTO
MARKETING
MARKETING
L’Ufficio di Progetto per il Marketing:
g
ha in organico cinque operatori, di cui quattro hanno competenza sull’intero territorio
provinciale (sei CPI), ed un operatore è dedicato allo sviluppo della documentazione
informativa;
g
ha due sedi “distaccate” all’interno dei CPI di Verona e Legnago;
g
si interfaccia in maniera continua con gli operatori che, all’interno dei CPI, si
occupano del servizio ricerca e selezione del personale;
g
è funzionalmente indipendente rispetto a tutti gli altri servizi offerti dai CPI presenti
sul territorio, anche se interagisce con essi.
L’Ufficio di Progetto per il Marketing – Le attività
UFFICIO
UFFICIODI
DIPROGETTO
PROGETTO
MARKETING
MARKETING
L’Ufficio di Progetto per il Marketing svolge le seguenti attività:
g
promuove i servizi erogati dai CPI presenti sul territorio e realizza azioni di
comunicazione mirate per diffondere i temi della riforma del mercato del lavoro;
g
effettua un primo intervento diretto in azienda, dopo averla individuata e contattata
con l’ausilio e la collaborazione del Responsabile del CPI e/o dell’operatore;
g
promuove e dà impulso alle attività offerte dalla Provincia attraverso i CPI e crea e/o
consolida le relazioni tra aziende e CPI locali;
g
produce attività di reportisitica relativa agli esiti dell’attività svolta e fornisce adeguata
informazione sulle attività, esigenze e bisogni dell’azienda intervistata, al fine di
consentire al Responsabile del CPI o dell’operatore locale, di attivarsi per lo sviluppo
di successivi contatti con l’azienda stessa per l’eventuale definizione del Piano di
Azione Aziendale.
3529,1&,$',9(521$
6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR
Verona, 15/09/2003
Protocollo n. 4119
- pratica n.
Pagina 1/2
Responsabile Coordinamento per l’Impiego
Responsabile Centro per l’Impiego 1
Responsabili Unità Organizzative Centri
per l’Impiego
Responsabile
Unità
Organizzativa
Collocamento Mirato
Responsabile
Centro
Formazione
Professionale 1
Responsabile
Servizi
Amministrativi
dell’Area Servizi alla Comunità e alla
Persona
Ai Sigg. Bisighin Paolo, Lanza Alberto ;
Scupola Carlo
p. c.
Assessore al Lavoro
Vice Presidente della Provincia
Loro sedi
2JJHWWR
Ordine di servizio – attività dell’Ufficio di progetto per il marketing.
In riferimento alla nota di servizio, n° 3777 del 22/08/2003, con la quale si è data
comunicazione della creazione dell’Ufficio di progetto per il marketing, con competenza su
tutto il territorio provinciale, di seguito, si forniscono le prime indicazioni operative necessarie
ad un corretto ed efficace funzionamento dell’attività di marketing, articolata di concerto con i
Sigg. Responsabili dei CpI e/o con gli operatori che i Sigg. Responsabili medesimi avranno
deciso di dedicare a tale attività, fornendone tempestiva comunicazione all’Ufficio di progetto:
•
L’Ufficio di progetto per il marketing, strutturato a livello provinciale e individuato
sulla base di esperienze già effettuate presso alcuni CpI, avrà il compito di promuovere i
nuovi servizi all’impiego erogati dai centri provinciali e di divulgare conoscenze in
Ufficio responsabile del procedimento
indirizzo
responsabile
telefono e fax
e-mail
web
web fornitori
Via delle Franceschine, 10
Dr. Luigi Oliveri
045/8088818
L [email protected]
www.provincia.vr.it
rif. protocollo n.
codice fiscale
partita IVA
allegati n.
file
00654810233
00654810233
3529,1&,$',9(521$
6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR
Pagina 2/4
•
•
•
•
•
materia di riforma dei servizi stessi e più in generale del mercato del lavoro, sulla base
di interventi e procedure uniformi;
l’Ufficio di progetto per il marketing fornirà all’inizio di ogni anno solare al dirigente
del settore Lavoro, ai responsabili dei CpI al responsabile del collocamento mirato,
anche secondo le indicazioni del Peg, le priorità, il numero, le tipologie dei soggetti da
contattare nel corso dell’anno e le modalità di gestione delle richieste d’intervento
provenienti dai responsabili dei Cpi o dai soggetti da loro incaricati sia per i contatti
compresi nell’attività programmata dal gruppo che per contatti al di fuori di essa;
le attività di marketing saranno svolte dai due gruppi di lavoro secondo l’ambito
territoriale riportato nella nota n° 3777 del 22/08/2003. Ambiti territoriali di intervento
diversi o più estesi saranno individuati dal referente dell’Ufficio di progetto per il
Marketing e comunicati via e mail ai membri dell’Ufficio stesso e ai Responsabili dei
CpI.
l’Ufficio di progetto per il marketing effettuerà un primo intervento diretto in azienda,
individuata e contattata con l’ausilio e la fattiva collaborazione del Responsabile del
CpI e/o dell’operatore, come sopra identificato, del CpI competente per territorio;
L’azione, promossa dall’Ufficio di progetto per il marketing, avrà lo scopo di proporre
e di dare impulso alle attività fornite dalla Provincia di Verona attraverso i Centri per
l’Impiego (ricerca e preselezione del personale – orientamento –
informazione/consulenza) e di creare e/o consolidare le relazioni tra aziende e CpI
locali;
Sarà cura dell’Ufficio di progetto per il marketing, terminata la fase di accesso in
azienda, riferire sugli esiti dell’attività svolta e fornire adeguata informazione sulle
attività, esigenze e bisogni dell’azienda visitata, al fine di consentire al Responsabile del
CpI e/o dell’operatore locale, di attivarsi per lo sviluppo di successivi contatti con
l’azienda stessa e per l’eventuale definizione del Piano di Azione Aziendale, allegato al
presente ordine di servizio, strumento propedeutico all’instaurazione di un virtuoso
rapporto collaborativo tra aziende e CpI;
L’inizio dell’attività, le cui linee di indirizzo sono nel presente ordine indicate, sarà
preceduto da un incontro, convocato dal Dirigente Coordinatore d’Area, tra i membri
dell’Ufficio di progetto per il marketing e i Responsabili dei Centri per l’Impiego,
nell’occasione del quale saranno fornite ulteriori istruzioni operative.
Considerato che lo scopo principale dell’attività di marketing, è quello di aumentare la
capacità di seduzione del servizio pubblico nei confronti del privato e di investire, di
3529,1&,$',9(521$
6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR
Pagina 3/4
conseguenza, in misura maggiore nei servizi rivolti ai datori di lavoro, in funzione di un
coinvolgimento dei Spi su più larga scala, nelle procedure di reclutamento del
personale, si sollecita una convinta adesione, di tutti i soggetti interessati, allo sviluppo
dell’attività stessa.
IL DIRIGENTE COORDINATORE D’AREA
Dott. Luigi Oliveri
3529,1&,$',9(521$
6HWWRUH3ROLWLFKH$WWLYHSHULO/DYRUR
Pagina 4/4
L’interazione con le aziende - Le fasi del processo
Individuazione
delle aziende
Visita in
azienda
Descrizione
dei servizi
e proposta di
adesione al PAA
Redazione scheda
analitica del
profilo aziendale
Monitoraggio di
efficacia
(customer
satisfaction)
Stipula
del PAA
Fase 1 - Individuazione delle aziende
Gli operatori dell’Ufficio di Progetto per il Marketing individuano le aziende da
contattare ricostruendo in maniera approfondita il contesto economico e produttivo
locale, ricorrendo:
g
all’analisi delle caratteristiche della domanda e offerta di lavoro;
g
all’analisi delle comunicazioni di cessazione dei rapporti di lavoro;
g
alla consultazione delle banche dati;
g
all’individuazione delle aziende eventualmente interessate a progetti che la
Provincia ha in essere: progetto scuola, donne over 50, disoccupati di lunga
durata, mobilità;
g
all’individuazione delle aziende di grandi dimensioni stagionali;
g
all’analisi dei clienti che hanno usufruito del servizio stage – IDO;
g
alle indicazioni fornite dalla Associazioni di categoria.
Inoltre, gli operatori si attivano anche in relazione alle segnalazioni che arrivano dai
CPI, a seguito di contatti presi in funzione delle attività svolte o dei servizi erogati alle
imprese presenti negli ambiti territoriali di competenza.
Fase 2 - Visita in azienda: il sottoprocesso
Una volta individuato il target, l’operatore si reca fisicamente presso l’azienda per
effettuare una prima ricognizione della struttura ed acquisire elementi informativi utili a
valutare l’eventuale fabbisogno del potenziale cliente.
Operatore marketing
Colloquio
Titolare Azienda
Presentazione del Centro e
dei servizi erogati
Accoglienza
Orientamento
Accompagnamento
al lavoro
Incontro D/O
Responsabile del Personale
Informazioni in materia di
politiche per il lavoro
Consulenza
aziendale
Nuove
procedure in
materia di
collocamento
Novità legislative
in materia di
lavoro e mercato
del lavoro
Fase 3 - Descrizione dei servizi e proposta di adesione al PAA
Una volta descritti i nuovi servizi di politica attiva per il lavoro ed aver ascoltato il
titolare dell’impresa e/o anche il Responsabile delle Risorse Umane (nel caso di
aziende di maggiori dimensioni), l’operatore formula la proposta di adesione al Piano di
Azione Aziendale, illustrandone contenuti e finalità.
Operatore Marketing
Datore di Lavoro
g
Descrizione dell’attività aziendale
g
Il mercato di riferimento
g
Illustrazione dei bisogni e
fabbisogni aziendali
g
ASCOLTO
g
g
Proposta di adesione
al Piano di Azione
Aziendale
Acquisizione e verifica del
questionario
Elaborazione delle informazioni
fornite direttamente dal datore di
lavoro
Individuazione dei servizi
specifici da attivare presso il
Centro
Fase 4 – Redazione scheda analitica del profilo aziendale – il sottoprocesso
Una volta rientrato in sede, formula una prima ipotesi del fabbisogno dell’impresa,
valutando entità, tipologia e competenze delle risorse eventualmente necessarie, e la
trasmette agli operatori dei CPI presenti sul territorio, interagendo con essi a seconda
delle specificità del cliente - impresa.
Operatore Marketing
Redazione scheda
analitica della visita in
azienda
Trasmissione e-mail della
scheda agli operatori dei
servizi IDO, Stage,
Collocamento mirato, Spazio
Impresa
Servizi Centro Impiego
Verifica della
compatibilità della
richiesta rispetto alle
disponibilità presenti.
Attivazione del servizio
Spazio Impresa
Esito
Positivo
Negativo
Inserimento azienda nel
portafoglio clienti
Contatto da parte
del servizio
competente con
l’azienda
Fase 5 - Stipula del PAA
g
Il Piano di Azione Aziendale - PAA è una convenzione a tre tra l’Ufficio di Progetto
per il Marketing, l’operatore del CPI competente sul territorio per l’incontro
domanda/offerta e l’azienda;
g
Il PAA è costituito a tempo indeterminato, non ha carattere oneroso per l’azienda e
può essere rescisso in qualunque momento previa comunicazione di una delle
parti;
g
Il PAA è un contratto a prestazione unilaterale in quanto non vi è corrispettività
delle obbligazioni: l’unico soggetto “impegnato” è l’Ufficio di Progetto;
g
Il PAA offre, in aggiunta ai normali servizi, la possibilità di fruire dei servizi di
politica attiva erogati dai Centri.
Fase 5 - Stipula del PAA/segue
L’azienda contraente, stipulando il PAA, può scegliere di usufruire in tutto o in parte
dei servizi di politica attiva offerti dai Centri.
g
Informazione mirata:
4 predisposizione, all’interno di ogni CPI, di un punto informativo
denominato “Spazio Impresa”, diretto alla fornitura di notizie ed
informazioni di interesse per l’azienda;
4 elaborazione e distribuzione di materiali informativi e del “Notiziario”
trasmesso con cadenza mensile, contenente tutti gli aggiornamenti in
materia di lavoro e mercato del lavoro e delle iniziative di maggior rilievo
attivate dalla Provincia.
g
Consulenza:
4 analisi e studio dei nuovi strumenti di politica attiva del lavoro introdotti
dalla riforma Biagi;
4 diffusione delle conoscenze in materia di contratti formativi, assunzioni
agevolate e nuove tipologie contrattuali.
Fase 5 - Stipula del PAA/segue
g
Ricerca e selezione del personale:
4
definizione dei profili di competenze e di capacità delle candidature
ideali;
4
valutazione delle candidature attraverso appropriati strumenti selettivi;
4
certificazione e riconoscimento di conoscenze e competenze;
4
pianificazione e realizzazione del programma di ricerca delle
candidature attraverso una pluralità di canali di reclutamento (banca dati
CPI, quotidiani, radio locali, sito provincia, programma e-labor veneto);
4
formazione della rosa di candidature maggiormente idonee;
4
preselezione dei candidati e segnalazione dei nominativi selezionati.
Fase 6 - Monitoraggio di efficacia: la customer satisfaction
Tutte le fasi dell’attività sono soggette ad un’attività di monitoraggio al fine di verificare:
g
il numero di aziende visitate;
g
le convenzioni ed i PAA sottoscritti;
g
i posti di lavoro offerti;
g
il numero di lavoratori assunti rispetto all’offerta;
g
il gradimento del servizio tramite una scheda di customer satisfaction,
sottoposta alle aziende clienti:
4
la scheda di customer satisfaction chiede agli utenti di valutate la qualità
del servizio erogato sotto diversi aspetti, relativi: al colloquio in azienda
(contatto diretto in azienda/completezza e correttezza delle informazioni
ricevute/competenza e disponibilità del personale); all’attività di ricerca
del personale (adeguatezza del servizio rispetto alle indicazioni ricevute
in fase di colloquio/azioni che il CPI ha attivato per soddisfare le esigenze/
risultati ottenuti).
Customer satisfaction –L’attività di rilevazione
Servizio Marketing
n° questionari inviati
63
n° questionari compilati
44
punteggio medio questionario
somma punti
=
N° questionari compliati
Servizio I.D.O.
n° questionari compilati
punteggio medio questionario somma punti =
N° questionari compliati
293,75
punteggio massimo singolo
300
questionario
97,92%
grado raggiungimento
obiettivo
punteggio massimo singolo
questionario
questionario
obiettivo
554,58
Totale Punteggio questionario
600,00
Grado raggiungimento
92,43%
obiettivo generale
260,83
300
86,94%
grado raggiungimento
TOTALI GENERALI
Totale punteggio medio
30
Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio Marketing
S E RV IZIO
M A RK E TING
C ontatto diretto in az ienda
Grafic o delle
ris pos te
45
40
35
30
25
S erie1
20
15
10
5
0
Non soddis fatto P oco s oddis fatto
A bbas tanza
soddis fatto
S oddis fatto
Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio Marketing
SERVIZIO
MARKETING
Completezza e correttezza delle informazioni ricevute
40
35
30
25
20
Serie1
15
10
5
0
Non soddisfatto Poco soddisfatto
Abbastanza
soddisfatto
Soddisfatto
Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio Marketing
SERVIZIO
MARKETING
Competenza e disponibilità del personale
Grafico delle
risposte
45
40
35
30
25
Serie1
20
15
10
5
0
Non soddisfatto Poco soddisfatto
Abbastanza
soddisfatto
Soddisfatto
Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio I.D.O.
SERVIZIO
I.D.O.
Adeguatezza del servizio rispetto alle indicazioni ricevute nel
colloquio in azienda
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
Grafico delle
risposte
Serie1
Non soddisfatto
Poco
soddisfatto
Abbastanza
soddisfatto
Soddisfatto
Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio I.D.O.
SERVIZIO
I.D.O.
Azioni che il Centro per l'Impiego ha attivato per soddisfare le
esigenze
Grafico delle
risposte
20
15
10
Serie1
5
0
Non soddisfatto
Poco
soddisfatto
Abbastanza
soddisfatto
Soddisfatto
Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio I.D.O.
SERVIZIO
I.D.O.
Adeguatezza del servizio rispetto alle indicazioni ricevute nel
colloquio in azienda
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
Grafico delle
risposte
Serie1
Non soddisfatto
Poco
soddisfatto
Abbastanza
soddisfatto
Soddisfatto
Customer satisfaction –Risultati dei questionari servizio I.D.O.
SERVIZIO
I.D.O.
Grafico delle
risposte
Risultati ottenuti
14
12
10
8
Serie1
6
4
2
0
Non soddisfatto
Poco
soddisfatto
Abbastanza
soddisfatto
Soddisfatto
Customer satisfaction –Risultati generali
Grafico delle
risposte
RISULTATI GENERALI
1%
3%
17%
Non soddisfatto
Poco soddisfatto
Abbastanza soddisfatto
Soddisfatto
79%
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c/o Centro Impiego di Verona
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Referente
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Luogo
data
Timbro firma
testo in vigore dal: 13- 3-2003
Legge 14 febbraio 2003, n. 30
"Delega al Governo in materia di occupazione e mercato del lavoro"
(G. U. n. 47 del 26 Febbraio 2003)
Art. 1.
(Delega al Governo per la revisione della disciplina dei servizi pubblici e privati per l'impiego,
nonché in materia di intermediazione e interposizione privata nella somministrazione di lavoro)
1. Allo scopo di realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire
trasparenza ed efficienza al mercato del lavoro e a migliorare le capacità di inserimento
professionale dei disoccupati e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con particolare
riguardo alle donne e ai giovani, il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità ed entro il termine di un
anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi diretti a
stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e sicurezza del
lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli orientamenti
annuali dell'Unione europea in materia di occupabilità, i princìpi fondamentali in materia di
disciplina dei servizi per l'impiego, con particolare riferimento al sistema del collocamento,
pubblico e privato, e di somministrazione di manodopera.
2. La delega è esercitata nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) snellimento e semplificazione delle procedure di incontro tra domanda e offerta di lavoro;
b) modernizzazione e razionalizzazione del sistema del collocamento pubblico, al fine di
renderlo maggiormente efficiente e competitivo, secondo una disciplina incentrata su:
1) rispetto delle competenze previste dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, con
particolare riferimento alle competenze riconosciute alle regioni a statuto speciale e alle province
autonome di Trento e di Bolzano;
2) sostegno e sviluppo dell'attività lavorativa femminile e giovanile, nonché sostegno al
reinserimento dei lavoratori anziani;
3) abrogazione di tutte le norme incompatibili con la nuova regolamentazione del
collocamento, ivi inclusa la legge 29 aprile 1949, n. 264, fermo restando il regime di autorizzazione
o accreditamento per gli operatori privati ai sensi di quanto disposto dalla lettera l) e stabilendo, in
materia di collocamento pubblico, un nuovo apparato sanzionatorio, con previsione di sanzioni
amministrative per il mancato adempimento degli obblighi di legge;
4) mantenimento da parte dello Stato delle competenze in materia di conduzione coordinata
ed integrata del sistema informativo lavoro;
c) mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla conciliazione
delle controversie di lavoro individuali e plurime, nonché alla risoluzione delle controversie
collettive di rilevanza pluriregionale;
d) mantenimento da parte dello Stato delle funzioni amministrative relative alla vigilanza in
materia di lavoro, alla gestione dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all'Unione
europea, all'autorizzazione per attività lavorative all'estero;
e) mantenimento da parte delle province delle funzioni amministrative attribuite dal decreto
legislativo 23 dicembre 1997, n. 469;
f) incentivazione delle forme di coordinamento e raccordo tra operatori privati e operatori
pubblici, ai fini di un migliore funzionamento del mercato del lavoro, nel rispetto delle competenze
delle regioni e delle province;
g) ridefinizione del regime del trattamento dei dati relativi all'incontro tra domanda e offerta di
lavoro, nel rispetto della legge 31 dicembre 1996, n. 675, al fine di evitare oneri aggiuntivi e
ingiustificati rispetto alle esigenze di monitoraggio statistico; prevenzione delle forme di esclusione
sociale e vigilanza sugli operatori, con previsione del divieto assoluto per gli operatori privati e
pubblici di qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione dei
lavoratori, anche con il loro consenso, in base all'affiliazione sindacale o politica, al credo religioso,
al sesso, all'orientamento sessuale, allo stato matrimoniale, o di famiglia, o di gravidanza, nonché ad
eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro. È altresì fatto divieto di raccogliere,
memorizzare o diffondere informazioni sui lavoratori che non siano strettamente attinenti alle loro
attitudini professionali e al loro inserimento lavorativo;
h) coordinamento delle disposizioni sull'incontro tra domanda e offerta di lavoro con la
disciplina in materia di lavoro dei cittadini non comunitari, nel rispetto della normativa vigente in
modo da prevenire l'adozione di forme di lavoro irregolare, anche minorile, e sommerso e al fine di
semplificare le procedure di rilascio delle autorizzazioni al lavoro;
h) eliminazione del vincolo dell'oggetto sociale esclusivo per le imprese di fornitura di
prestazioni di lavoro temporaneo di cui all'articolo 2 della legge 24 giugno 1997, n. 196, e per i
soggetti di cui all'articolo 10, comma 2, del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e
successive modificazioni, garantendo un periodo transitorio di graduale adeguamento per le società
già autorizzate;
l) identificazione di un unico regime autorizzatorio o di accreditamento per gli intermediari
pubblici, con particolare riferimento agli enti locali, e privati, che abbiano adeguati requisiti
giuridici e finanziari, differenziato in funzione del tipo di attività svolta, comprensivo delle ipotesi
di trasferimento della autorizzazione e modulato in relazione alla natura giuridica dell'intermediario,
con particolare riferimento alle associazioni non riconosciute ovvero a enti o organismi bilaterali
costituiti da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più
rappresentative a livello nazionale o territoriale, ai consulenti del lavoro di cui alla legge 11 gennaio
1979, n. 12, nonché alle università e agli istituti di scuola secondaria di secondo grado, prevedendo,
altresì, che non vi siano oneri o spese a carico dei lavoratori, fatto salvo quanto previsto dall'articolo
7 della Convenzione dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) del 19 giugno 1997, n.
181, ratificata dall'Italia in data 1º febbraio 2000;
l) abrogazione della legge 23 ottobre 1960, n. 1369, e sua sostituzione con una nuova
disciplina basata sui seguenti criteri direttivi:
1) autorizzazione della somministrazione di manodopera, solo da parte dei soggetti
identificati ai sensi della lettera l);
2) ammissibilità della somministrazione di manodopera, anche a tempo indeterminato, in
presenza di ragioni di carattere tecnico, produttivo od organizzativo, individuate dalla legge o dai
contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative;
3) chiarificazione dei criteri di distinzione tra appalto e interposizione, ridefinendo
contestualmente i casi di comando e distacco, nonché di interposizione illecita laddove manchi una
ragione tecnica, organizzativa o produttiva ovvero si verifichi o possa verificarsi la lesione di diritti
inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al prestatore di lavoro;
4) garanzia del regime della solidarietà tra fornitore e utilizzatore in caso di
somministrazione di lavoro altrui;
5) trattamento assicurato ai lavoratori coinvolti nell'attività di somministrazione di
manodopera non inferiore a quello a cui hanno diritto i dipendenti di pari livello dell'impresa
utilizzatrice;
6) conferma del regime sanzionatorio civilistico e penalistico previsto per i casi di
violazione della disciplina della mediazione privata nei rapporti di lavoro, prevedendo altresì
specifiche sanzioni penali per le ipotesi di esercizio abusivo di intermediazione privata nonché un
regime sanzionatorio più incisivo nel caso di sfruttamento del lavoro minorile;
7) utilizzazione del meccanismo certificatorio di cui all'articolo 5 ai fini della distinzione
concreta tra interposizione illecita e appalto genuino, sulla base di indici e codici di comportamento
elaborati in sede amministrativa che tengano conto della rigorosa verifica della reale organizzazione
dei mezzi e dell'assunzione effettiva del rischio di impresa da parte dell'appaltatore;
m) attribuzione della facoltà ai gruppi di impresa, individuati ai sensi dell'articolo 2359 del
codice civile nonché ai sensi del decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74, di delegare lo svolgimento
degli adempimenti di cui all'articolo 1 della legge 11 gennaio 1979, n. 12, alla società capogruppo
per tutte le società controllate e collegate, ferma restando la titolarità delle obbligazioni contrattuali
e legislative in capo alle singole società datrici di lavoro;
o) abrogazione espressa di tutte le normative, anche se non espressamente indicate nelle lettere
da a) a n), che sono direttamente o indirettamente incompatibili con i decreti legislativi emanati ai
sensi del presente articolo;
p) revisione del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 18, che ha modificato l'articolo 2112 del
codice civile in tema di trasferimento d'azienda, al fine di armonizzarlo con la disciplina contenuta
nella presente delega, basata sui seguenti criteri direttivi:
1) completo adeguamento della disciplina vigente alla normativa comunitaria, anche alla
luce del necessario coordinamento con la legge 1º marzo 2002, n. 39, che dispone il recepimento
della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle
legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di
trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti;
2) previsione del requisito dell'autonomia funzionale del ramo di azienda nel momento del
suo trasferimento;
3) previsione di un regime particolare di solidarietà tra appaltante e appaltatore, nei limiti di
cui all'articolo 1676 del codice civile, per le ipotesi in cui il contratto di appalto sia connesso ad una
cessione di ramo di azienda;
q) redazione, entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, di uno
o più testi unici delle normative e delle disposizioni in materia di mercato del lavoro e incontro tra
domanda e offerta di lavoro.
Art. 2.
(Delega al Governo in materia di riordino dei contratti a contenuto formativo e di tirocinio)
1. Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
sentito il Ministro per le pari opportunità, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, con
il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca e con il Ministro per gli affari regionali,
entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti
legislativi diretti a stabilire, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni in materia di tutela e
sicurezza del lavoro dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e degli obiettivi indicati dagli
orientamenti annuali dell'Unione europea in materia di occupazione, la revisione e la
razionalizzazione dei rapporti di lavoro con contenuto formativo, nel rispetto dei seguenti princìpi e
criteri direttivi:
a) conformità agli orientamenti comunitari in materia di aiuti di Stato alla occupazione;
b) attuazione degli obiettivi e rispetto dei criteri di cui all'articolo 16, comma 5, della legge 24
giugno 1997, n. 196, al fine di riordinare gli speciali rapporti di lavoro con contenuti formativi, così
da valorizzare l'attività formativa svolta in azienda, confermando l'apprendistato come strumento
formativo anche nella prospettiva di una formazione superiore in alternanza tale da garantire il
raccordo tra i sistemi della istruzione e della formazione, nonché il passaggio da un sistema all'altro
e, riconoscendo nel contempo agli enti bilaterali e alle strutture pubbliche designate competenze
autorizzatorie in materia, specializzando il contratto di formazione e lavoro al fine di realizzare
l'inserimento e il reinserimento mirato del lavoratore in azienda;
c) individuazione di misure idonee a favorire forme di apprendistato e di tirocinio di impresa al
fine del subentro nella attività di impresa;
d) revisione delle misure di inserimento al lavoro, non costituenti rapporto di lavoro, mirate
alla conoscenza diretta del mondo del lavoro con valorizzazione dello strumento convenzionale fra
le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001,
n. 165, il sistema formativo e le imprese, secondo modalità coerenti con quanto previsto dagli
articoli 17 e 18 della legge 24 giugno 1997, n. 196, prevedendo una durata variabile fra uno e dodici
mesi ovvero fino a ventiquattro mesi per i soggetti disabili, in relazione al livello di istruzione, alle
caratteristiche della attività lavorativa e al territorio di appartenenza nonché, con riferimento ai
soggetti disabili, anche in base alla natura della menomazione e all'incidenza della stessa
sull'allungamento dei tempi di apprendimento in relazione alle specifiche mansioni in cui vengono
inseriti, e prevedendo altresì la eventuale corresponsione di un sussidio in un quadro di
razionalizzazione delle misure di inserimento non costituenti rapporti di lavoro;
e) orientamento degli strumenti definiti ai sensi dei princìpi e dei criteri direttivi di cui alle
lettere b), c) e d), nel senso di valorizzare l'inserimento o il reinserimento al lavoro delle donne,
particolarmente di quelle uscite dal mercato del lavoro per l'adempimento di compiti familiari e che
desiderino rientrarvi, al fine di superare il differenziale occupazionale tra uomini e donne;
f) semplificazione e snellimento delle procedure di riconoscimento e di attribuzione degli
incentivi connessi ai contratti a contenuto formativo, tenendo conto del tasso di occupazione
femminile e prevedendo anche criteri di automaticità;
g) rafforzamento dei meccanismi e degli strumenti di monitoraggio e di valutazione dei risultati
conseguiti, anche in relazione all'impatto sui livelli di occupazione femminile e sul tasso di
occupazione in generale, per effetto della ridefinizione degli interventi di cui al presente articolo da
parte delle amministrazioni competenti e tenuto conto dei criteri che saranno determinati dai
provvedimenti attuativi, in materia di mercato del lavoro, della legge costituzionale 18 ottobre 2001,
n. 3;
h) sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento, al fine di
determinare i contenuti dell'attività formativa, concordati da associazioni dei datori e prestatori di
lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e territoriale, anche all'interno di
enti bilaterali, ovvero, in difetto di accordo, determinati con atti delle regioni, d'intesa con il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali;
i) rinvio ai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro
comparativamente più rappresentative, a livello nazionale, territoriale e aziendale, per la
determinazione, anche all'interno degli enti bilaterali, delle modalità di attuazione dell'attività
formativa in azienda.
Art. 3.
(Delega al Governo in materia di riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale)
1. Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
sentito il Ministro per le pari opportunità, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore
della presente legge, uno o più decreti legislativi, con esclusione dei rapporti di lavoro alle
dipendenze di amministrazioni pubbliche, recanti norme per promuovere il ricorso a prestazioni di
lavoro a tempo parziale, quale tipologia contrattuale idonea a favorire l'incremento del tasso di
occupazione e, in particolare, del tasso di partecipazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori
con età superiore ai 55 anni, al mercato del lavoro, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri
direttivi:
a) agevolazione del ricorso a prestazioni di lavoro supplementare nelle ipotesi di lavoro a
tempo parziale cosiddetto orizzontale, nei casi e secondo le modalità previsti da contratti collettivi
stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su
scala nazionale o territoriale, anche sulla base del consenso del lavoratore interessato in carenza dei
predetti contratti collettivi;
b) agevolazione del ricorso a forme flessibili ed elastiche di lavoro a tempo parziale nelle
ipotesi di lavoro a tempo parziale cosiddetto verticale e misto, anche sulla base del consenso del
lavoratore interessato in carenza dei contratti collettivi di cui alla lettera a), e comunque a fronte di
una maggiorazione retributiva da riconoscere al lavoratore;
c) estensione delle forme flessibili ed elastiche anche ai contratti a tempo parziale a tempo
determinato;
d) previsione di norme, anche di natura previdenziale, che agevolino l'utilizzo di contratti a
tempo parziale da parte dei lavoratori anziani al fine di contribuire alla crescita dell'occupazione
giovanile anche attraverso il ricorso a tale tipologia contrattuale;
e) abrogazione o integrazione di ogni disposizione in contrasto con l'obiettivo della
incentivazione del lavoro a tempo parziale, fermo restando il rispetto dei princìpi e delle regole
contenute nella direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997;
f) affermazione della computabilità pro rata temporis in proporzione dell'orario svolto dal
lavoratore a tempo parziale, in relazione all'applicazione di tutte le norme legislative e clausole
contrattuali a loro volta collegate alla dimensione aziendale intesa come numero dei dipendenti
occupati in ogni unità produttiva;
g) integrale estensione al settore agricolo del lavoro a tempo parziale.
Art. 4.
(Delega al Governo in materia di disciplina delle tipologie di lavoro a chiamata, temporaneo,
coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite)
1. Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti
legislativi recanti disposizioni volte alla disciplina o alla razionalizzazione delle tipologie di lavoro
a chiamata, temporaneo, coordinato e continuativo, occasionale, accessorio e a prestazioni ripartite,
nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) riconoscimento di una congrua indennità cosiddetta di disponibilità a favore del lavoratore
che garantisca nei confronti del datore di lavoro la propria disponibilità allo svolgimento di
prestazioni di carattere discontinuo o intermittente, così come individuate dai contratti collettivi
stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su
scala nazionale o territoriale o, in via provvisoriamente sostitutiva, per decreto del Ministro del
lavoro e delle politiche sociali, ed in ogni caso prevedendosi la possibilità di sperimentazione di
detta tipologia contrattuale anche per prestazioni rese da soggetti in stato di disoccupazione con
meno di 25 anni di età ovvero da lavoratori con più di 45 anni di età che siano stati espulsi dal ciclo
produttivo in funzione di processi di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro e iscritti alle
liste di mobilità e di collocamento; eventuale non obbligatorietà per il prestatore di rispondere alla
chiamata del datore di lavoro, non avendo quindi titolo a percepire la predetta indennità ma con
diritto di godere di una retribuzione proporzionale al lavoro effettivamente svolto;
b) con riferimento alle prestazioni di lavoro temporaneo, completa estensione al settore
agricolo del lavoro temporaneo tramite agenzia, con conseguente applicabilità degli oneri
contributivi di questo settore;
1) ricorso alla forma del lavoro a tempo determinato di cui all'articolo 1 del decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368, ovvero alla forma della fornitura di lavoro temporaneo di cui
alla legge 24 giugno 1997, n. 196, anche per soddisfare le quote obbligatorie di assunzione di
lavoratori disabili di cui alla legge 12 marzo 1999, n. 68, secondo il principio pro rata temporis;
2) completa estensione al settore agricolo del lavoro temporaneo tramite agenzia, con
conseguente applicabilità degli oneri contributivi di questo settore;
c) con riferimento alle collaborazioni coordinate e continuative:
1) previsione della stipulazione dei relativi contratti mediante un atto scritto da cui risultino
la durata, determinata o determinabile, della collaborazione, la riconducibilità di questa a uno o più
progetti o programmi di lavoro o fasi di esso, resi con lavoro prevalentemente proprio e senza
vincolo di subordinazione, nonché l'indicazione di un corrispettivo, che deve essere proporzionato
alla qualità e quantità del lavoro;
2) differenziazione rispetto ai rapporti di lavoro meramente occasionali, intendendosi per tali
i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso
committente, salvo che il compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia superiore
a 5.000 euro;
3) riconduzione della fattispecie a uno o più progetti o programmi di lavoro o fasi di esso;
4) previsione di tutele fondamentali a presidio della dignità e della sicurezza dei
collaboratori, con particolare riferimento a maternità, malattia e infortunio, nonché alla sicurezza
nei luoghi di lavoro, anche nel quadro di intese collettive;
5) previsione di un adeguato sistema sanzionatorio nei casi di inosservanza delle
disposizioni di legge;
6) ricorso, ai sensi dell'articolo 5, ad adeguati meccanismi di certificazione della volontà
delle parti contraenti;
d) ammissibilità di prestazioni di lavoro occasionale e accessorio, in generale e con particolare
riferimento a opportunità di assistenza sociale, rese a favore di famiglie e di enti senza fini di lucro,
da disoccupati di lungo periodo, altri soggetti a rischio di esclusione sociale o comunque non ancora
entrati nel mercato del lavoro, ovvero in procinto di uscirne, regolarizzabili attraverso la tecnica di
buoni corrispondenti a un certo ammontare di attività lavorativa, ricorrendo, ai sensi dell'articolo 5,
ad adeguati meccanismi di certificazione;
e) ammissibilità di prestazioni ripartite fra due o più lavoratori, obbligati in solido nei confronti
di un datore di lavoro, per l'esecuzione di un'unica prestazione lavorativa.
f) configurazione specifica come prestazioni che esulano dal mercato del lavoro e dagli
obblighi connessi delle prestazioni svolte in modo occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo
di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salve le spese di
mantenimento e di esecuzione dei lavori, e con particolare riguardo alle attività agricole.
Art. 5.
(Delega al Governo in materia di certificazione dei rapporti di lavoro)
1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei rapporti di lavoro, con
esclusione dei rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, il Governo è
delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, entro il termine di
un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti
disposizioni in materia di certificazione del relativo contratto stipulato tra le parti, nel rispetto dei
seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) carattere volontario e sperimentale della procedura di certificazione;
b) individuazione dell'organo preposto alla certificazione del rapporto di lavoro in enti
bilaterali costituiti a iniziativa di associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente
più rappresentative, ovvero presso strutture pubbliche aventi competenze in materia, o anche
università;
c) definizione delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e di tenuta della
relativa documentazione;
d) indicazione del contenuto e della procedura di certificazione;
e) attribuzione di piena forza legale al contratto certificato ai sensi della procedura di cui alla
lettera d), con esclusione della possibilità di ricorso in giudizio se non in caso di erronea
qualificazione del programma negoziale da parte dell'organo preposto alla certificazione e di
difformità tra il programma negoziale effettivamente realizzato dalle parti e il programma negoziale
concordato dalle parti in sede di certificazione;
f) previsione di espletare il tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dall'articolo 410 del
codice di procedura civile innanzi all'organo preposto alla certificazione quando si intenda
impugnare l'erronea qualificazione dello stesso o la difformità tra il programma negoziale
certificato e la sua successiva attuazione, prevedendo che gli effetti dell'accertamento svolto
dall'organo preposto alla certificazione permangano fino al momento in cui venga provata l'erronea
qualificazione del programma negoziale o la difformità tra il programma negoziale concordato dalle
parti in sede di certificazione e il programma attuato. In caso di ricorso in giudizio, introduzione
dell'obbligo in capo all'autorità giudiziaria competente di accertare anche le dichiarazioni e il
comportamento tenuto dalle parti davanti all'organo preposto alla certificazione del contratto di
lavoro;
g) attribuzione agli enti bilaterali della competenza a certificare non solo la qualificazione del
contratto di lavoro e il programma negoziale concordato dalle parti, ma anche le rinunzie e
transazioni di cui all'articolo 2113 del codice civile a conferma della volontà abdicativa o transattiva
delle parti stesse;
h) estensione della procedura di certificazione all'atto di deposito del regolamento interno
riguardante la tipologia dei rapporti attuati da una cooperativa ai sensi dell'articolo 6 della legge 3
aprile 2001, n. 142, e successive modificazioni;
i) verifica dell'attuazione delle disposizioni, dopo ventiquattro mesi dalla data della loro entrata
in vigore, da parte del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentite le organizzazioni
sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano
nazionale.
Art. 6.
(Esclusione)
1. Le disposizioni degli articoli da 1 a 5 non si applicano al personale delle pubbliche
amministrazioni ove non siano espressamente richiamate.
Art. 7.
(Disposizioni concernenti l'esercizio delle deleghe di cui agli articoli da 1 a 5)
1. Gli schemi dei decreti legislativi di cui agli articoli da 1 a 5, deliberati dal Consiglio dei
ministri e corredati da una apposita relazione cui è allegato il parere della Conferenza unificata di
cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, sentite le associazioni sindacali
comparativamente più rappresentative dei datori e prestatori di lavoro, sono trasmessi alle Camere
per l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la
scadenza del termine previsto per l'esercizio della relativa delega.
2. In caso di mancato rispetto del termine per la trasmissione, il Governo decade dall'esercizio
della delega. Le competenti Commissioni parlamentari esprimono il parere entro trenta giorni dalla
data di trasmissione. Qualora il termine per l'espressione del parere decorra inutilmente, i decreti
legislativi possono essere comunque adottati.
3. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta
giorni che precedono la scadenza del termine per l'esercizio della delega o successivamente,
quest'ultimo è prorogato di sessanta giorni.
4. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1,
il Governo può adottare eventuali disposizioni modificative e correttive con le medesime modalità e
nel rispetto dei medesimi criteri e princìpi direttivi.
5. Dall'attuazione delle disposizioni degli articoli da 1 a 5 non devono derivare oneri aggiuntivi a
carico del bilancio dello Stato.
Art. 8.
(Delega al Governo per la razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza
sociale e di lavoro)
1. Allo scopo di definire un sistema organico e coerente di tutela del lavoro con interventi
omogenei, il Governo è delegato ad adottare, nel rispetto delle competenze affidate alle regioni, su
proposta del Ministro del lavoro delle politiche sociali ed entro il termine di un anno dalla data di
entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto della disciplina
vigente sulle ispezioni in materia di previdenza sociale e di lavoro, nonché per la definizione di un
quadro regolatorio finalizzato alla prevenzione delle controversie individuali di lavoro in sede
conciliativa, ispirato a criteri di equità ed efficienza.
2. La delega di cui al comma 1 è esercitata nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
a) improntare il sistema delle ispezioni alla prevenzione e promozione dell'osservanza della
disciplina degli obblighi previdenziali, del rapporto di lavoro, del trattamento economico e
normativo minimo e dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che
devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, anche valorizzando l'attività di consulenza
degli ispettori nei confronti dei destinatari della citata disciplina;
b) definizione di un raccordo efficace fra la funzione di ispezione del lavoro e quella di
conciliazione delle controversie individuali;
c) ridefinizione dell'istituto della prescrizione e diffida propri della direzione provinciale del
lavoro;
d) semplificazione dei procedimenti sanzionatori amministrativi e possibilità di ricorrere alla
direzione regionale del lavoro;
e) semplificazione della procedura per la soddisfazione dei crediti di lavoro correlata alla
promozione di soluzioni conciliative in sede pubblica;
f) riorganizzazione dell'attività ispettiva del Ministero del lavoro e delle politiche sociali in
materia di previdenza sociale e di lavoro con l'istituzione di una direzione generale con compiti di
direzione e coordinamento delle strutture periferiche del Ministero ai fini dell'esercizio unitario
della predetta funzione ispettiva, tenendo altresì conto della specifica funzione di polizia giudiziaria
dell'ispettore del lavoro;
g) razionalizzazione degli interventi ispettivi di tutti gli organi di vigilanza, compresi quelli
degli istituti previdenziali, con attribuzione della direzione e del coordinamento operativo alle
direzioni regionali e provinciali del lavoro sulla base delle direttive adottate dalla direzione generale
di cui alla lettera f).
3. Gli schemi dei decreti legislativi di cui al comma 1 sono trasmessi alle Camere per
l'espressione del parere da parte delle competenti Commissioni parlamentari permanenti entro la
scadenza del termine previsto per l'esercizio della delega. Le competenti Commissioni parlamentari
esprimono il parere entro trenta giorni dalla data di trasmissione. Qualora il termine per
l'espressione del parere decorra inutilmente, i decreti legislativi possono essere comunque adottati.
4. Qualora il termine previsto per il parere delle Commissioni parlamentari scada nei trenta giorni
che precedono la scadenza del termine per l'esercizio della delega o successivamente, quest'ultimo è
prorogato di sessanta giorni.
5. Entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1,
il Governo può emanare eventuali disposizioni modificative e correttive con le medesime modalità
di cui ai commi 3 e 4, attenendosi ai princìpi e ai criteri direttivi indicati al comma 2.
6. L'attuazione della delega di cui al presente articolo non deve comportare oneri aggiuntivi a
carico della finanza pubblica.
Art. 9.
(Modifiche alla legge 3 aprile 2001, n. 142)
1. Alla legge 3 aprile 2001, n. 142, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1, comma 3, primo periodo, le parole: «e distinto» sono soppresse;
b) all'articolo 2, comma 1, dopo il primo periodo, è inserito il seguente: «L'esercizio dei diritti
di cui al titolo III della citata legge n. 300 del 1970 trova applicazione compatibilmente con lo stato
di socio lavoratore, secondo quanto determinato da accordi collettivi tra associazioni nazionali del
movimento cooperativo e organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più
rappresentative»;
c) all'articolo 3, dopo il comma 2, è aggiunto il seguente:
«2-bis. In deroga alle disposizioni di cui al comma 1, le cooperative della piccola pesca di cui alla
legge 13 marzo 1958, n. 250, possono corrispondere ai propri soci lavoratori un compenso
proporzionato all'entità del pescato, secondo criteri e parametri stabiliti dal regolamento interno
previsto dall'articolo 6»;
d) all'articolo 5, il comma 2 è sostituito dal seguente:
«2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto
delle previsioni statutarie e in conformità con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le
controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del
tribunale ordinario»;
e) all'articolo 6, comma 1, le parole: «Entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della
presente legge» sono sostituite dalle seguenti: «Entro il 31 dicembre 2003»;
f) all'articolo 6, comma 2, dopo le parole: «del comma 1», sono inserite le seguenti: «nonchè
all'articolo 3, comma 2-bis» e le parole: «ai trattamenti retributivi ed alle condizioni di lavoro
previsti dai contratti collettivi nazionali di cui all'articolo 3» sono sostituite dalle seguenti: «al solo
trattamento economico minimo di cui all'articolo 3, comma 1»;
g) all'articolo 6 è aggiunto, in fine, il seguente comma:
«2-bis. Le cooperative di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n.
381, possono definire accordi territoriali con le organizzazioni sindacali comparativamente più
rappresentative per rendere compatibile l'applicazione del contratto collettivo di lavoro nazionale di
riferimento all'attività svolta. Tale accordo deve essere depositato presso la direzione provinciale
del lavoro competente per territorio».
Art. 10.
(Modifica dell'articolo 3 del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71)
1. L'articolo 3 del decreto-legge 22 marzo 1993, n. 71, convertito dalla legge 20 maggio 1993, n.
151, è sostituito dal seguente:
«Art. 3. - (Benefici alle imprese artigiane, commerciali e del turismo). - 1. Per le imprese
artigiane, commerciali e del turismo rientranti nella sfera di applicazione degli accordi e contratti
collettivi nazionali, regionali e territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, il riconoscimento di
benefici normativi e contributivi è subordinato all'integrale rispetto degli accordi e contratti citati,
stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più
rappresentative sul piano nazionale».
Avvertenza:
Il testo delle note qui pubblicato e' stato redatto dall'amministrazione competente per materia, ai
sensi dell'art. 10, commi 2 e 3, del testo unico delle disposizioni sulla promulgazione delle leggi,
sull'emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della
Repubblica italiana, approvato con D.P.R. 28 dicembre 1985, n. 1092, al solo fine di facilitare la
lettura delle disposizioni di legge modificate o alle quali e' operato il rinvio. Restano invariati il
valore e l'efficacia degli atti legislativi qui trascritti.
Per le direttive CEE vengono forniti gli estremi di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle
Comunita' europee (GUCE).
Note all'art. 1:
- Il testo della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 ottobre 2001, n. 248.
- Il testo della legge 29 aprile 1949, n. 264 (Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di
assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati),
e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 1 giugno 1949, n. 125, supplemento ordinario.
- Il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, reca: "Conferimento alle regioni e agli enti locali
difunzioni e compiti in materia di mercato del lavoro, a norma dell'art. 1 della legge 15 marzo 1997,
n. 59".
- Il testo della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al
trattamento dei dati personali), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 8 gennaio 1997, n. 5,
supplemento ordinario.
- Il testo dell'art. 2 della legge 24 giugno 1997, n. 196 (Norme in materia di promozione
dell'occupazione), e' il seguente:
"Art. 2 (Soggetti abilitati all'attivita' di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo). - 1. L'attivita'
di fornitura di lavoro temporaneo puo' essere esercitata soltanto da societa' iscritte in apposito albo
istituito presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale.
Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale rilascia, sentita la commissione centrale per
l'impiego, entro sessanta giorni dalla richiesta e previo accertamento della sussistenza dei requisiti
di cui al comma 2, l'autorizzazione provvisoria all'esercizio dell'attivita' di fornitura di prestazioni di
lavoro temporaneo, provvedendo contestualmente all'iscrizione delle societa' nel predetto albo.
Decorsi due anni il Ministero del lavoro e della previdenza sociale, su richiesta del soggetto
autorizzato, entro i trenta giorni successivi rilasciata l'autorizzazione a tempo indeterminato
subordinatamente alla verifica del corretto andamento dell'attivita' svolta.
2. I requisiti richiesti per l'esercizio dell'attivita' di cui al comma 1 sono i seguenti:
a) la costituzione della societa' nella forma di societa' di capitali ovvero cooperativa, italiana o di
altro Stato membro dell'Unione europea; l'inclusione nella denominazione sociale delle parole:
"societa' di fornitura di lavoro temporaneo"; l'individuazione, quale oggetto esclusivo, della predetta
attivita'; l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a un miliardo di lire; la sede legale o una
sua dipendenza nel territorio dello Stato o di altro Stato membro dell'Unione europea;
b) la disponibilita' di uffici e di competenze professionali idonee allo svolgimento dell'attivita' di
fornitura di manodopera nonche' la garanzia che l'attivita' interessi un ambito distribuito ull'intero
territorionazionale e comunque non inferiore a quattro regioni;
c) a garanzia dei crediti dei lavoratori assunti con il contratto di cui all'art. 3 e dei corrispondenti
crediti contributivi degli enti previdenziali, la disposizione, per i primi due anni, di un deposito
cauzionale di lire 700 milioni presso un istituto di credito avente sede o dipendenza nel territorio
nazionale o di altro Stato membro dell'Unione europea;
a decorrere dal terzo anno solare, la disposizione, in luogo della cauzione, di una fidejussione
bancaria o assicurativa non inferiore al 5 per cento del fatturato, al netto dell'imposta sul valore
aggiunto, realizzato nell'anno precedente e comunque non inferiore a lire 700 milioni;
d) in capo agli amministratori, ai direttori generali, ai dirigenti muniti di rappresentanza e ai soci
accomandatari: assenza di condanne penali, anche non definitive, ivi comprese le sanzioni
sostitutive di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, per delitti contro il patrimonio, per delitti
contro la fede pubblica o contro l'economia pubblica, per il delitto previsto dall'art. 416-bis del
codice penale, o per delitti non colposi per i quali la legge commini la pena della reclusione non
inferiore nel massimo a tre anni, per delitti o contravvenzioni previsti da leggi dirette alla
prevenzione degli infortuni sul lavoro o, in ogni caso, previsti da leggi in materia di lavoro o di
previdenza sociale;
assenza, altresi', di sottoposizione alle misure di prevenzione disposte ai sensi della legge 27
dicembre 1956, n. 1423, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, o della legge 13 settembre 1982, n.
646, e successive modificazioni.
3. L'autorizzazione di cui al comma 1 puo' essere concessa anche a societa' cooperative di
produzione e lavoro che, oltre a soddisfare le condizioni di cui al comma 2, abbiano almeno
cinquanta soci e tra di essi, come socio sovventore, almeno un fondo mutualistico per la
promozione e lo sviluppo della cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge 31 gennaio
1992, n. 9, e che occupino lavoratori dipendenti per un numero di giornate non superiore ad un terzo
delle giornate di lavoro effettuate dalla cooperativa nel suo complesso. Soltanto i lavoratori
dipendenti dalla societa' cooperativa di produzione e lavoro possono essere da questa forniti come
prestatori di lavoro temporaneo.
4. I requisiti di cui ai commi 2 e 3 nonche' le informazioni di cui al comma 7 sono dichiarati dalla
societa' alla camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura della provincia in cui ha la
sede legale, per l'iscrizione nel registro di cui all'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica 7
dicembre 1995, n. 581.
5. Il Ministro del lavoro e della previdenza sociale, con decreto da emanare entro trenta giorni dalla
data di entrata in vigore della presente legge, stabilisce le modalita' della presentazione della
richiesta di autorizzazione di cui al comma 1.
6. Il Ministero del lavoro e della previdenza sociale svolge vigilanza e controllo sull'attivita' dei
soggetti abilitati alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo ai sensi del presente articolo e
sulla permanenza in capo ai medesimi soggetti dei requisiti di cui al comma 2.
7. La societa' comunica all'autorita' concedente gli spostamenti di sede, l'apertura delle filiali o
succursali, la cessazione dell'attivita' ed ha inoltre l'obbligo di fornire all'autorita' concedente tutte le
informazioni da questa richiesta.
8. La disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e l'obbligo di riserva di cui all'art. 25, comma
1, della legge 23 luglio 1991, n. 223, non si applicano all'impresa fornitrice con riferimento ai
lavoratori da assumere con contratto per prestazioni di lavoro temporaneo. I predetti lavoratori non
sono computati ai fini dell'applicazione, all'impresa fornitrice, delle predette disposizioni.".
- Il testo dell'art. 10, comma 2, del citato decreto legislativo n. 469 del 1997, e' il seguente:
"2. L'attivita' di mediazione tra domanda ed offerta di lavoro puo' essere svolta, previa
autorizzazione del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, da imprese o gruppi di imprese,
anche societa' cooperative con capitale versato non inferiore a 200 milioni di lire nonche' da enti
non commerciali con patrimonio non inferiore a 200 milioni. Fermo restando forme societarie anche
non di capitali, per lo svolgimento di attivita' di ricerca e selezione nonche' di supporto alla
ricollocazione professionale, il limite di capitale versato ammonta a lire 50 milioni.".
- Il testo della legge 11 gennaio 1979, n. 12 (Norme per l'ordinamento della professione di
consulente del lavoro), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 20 gennaio 1979, n. 20.
- Il testo dell'art. 7 della Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) del
19 giugno 1997, n. 181 (Convenzione sulle agenzie per l'impiego private), e' il seguente:
"Art. 7. - 1. Le agenzie per l'impiego private non devono far pagare ai lavoratori, direttamente o
indirettamente, spese o altri costi.
2. Nell'interesse dei lavoratori, l'autorita' competente, previa consultazione delle organizzazioni di
datori di lavoro e di lavoratori maggiormente rappresentative, puo' autorizzare deroghe alle
disposizioni del paragrafo 1 di cui sopra per alcune categorie di lavoratori, e per servizi
specificamente identificati, forniti dalle agenzie per l'impiego private.
3. Ogni membro che avra' autorizzato deroghe ai sensi del paragrafo 2 di cui sopra dovra', nei suoi
rapporti a titolo dell'art. 22 della Costituzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro, fornire
informazioni su tali deroghe ed esplicitarne i motivi.".
- Il testo della legge 23 ottobre 1960, n. 1369 (Divieto di intermediazione ed interposizione nelle
prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell'impiego di mano d'opera negli appalti di opere e di
servizi), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 25 novembre 1960, n. 289.
- Il testo dell'art. 2359 del codice civile e' il seguente:
"Art. 2359 (Societa' controllate e societa' collegate). - Sono considerate societa' controllate:
1) le societa' in cui un'altra societa' dispone della maggioranza dei voti esercitabili nell'assemblea
ordinaria;
2) le societa' in cui un'altra societa' dispone di voti sufficienti per esercitare un'influenza dominante
nell'assemblea ordinaria;
3) le societa' che sono sotto influenza dominante di un'altra societa' in virtu' di particolari vincoli
contrattuali con essa.
Ai fini dell'applicazione dei numeri 1) e 2) del primo comma si computano anche i voti spettanti a
societa' controllate, a societa' fiduciarie e a persona interposta;
non si computano i voti spettanti per conto di terzi.
Sono considerate collegate le societa' sulle quali un'altra societa' esercita un'influenza notevole.
L'influenza si presume quando nell'assemblea ordinaria puo' essere esercitato almeno un quinto dei
voti ovvero un decimo se la societa' ha azioni quotate in borsa.".
- Il testo del decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74 (Attuazione della direttiva del Consiglio del 22
settembre 1994, 94/45/CE, relativa all'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una
procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese
di dimensioni comunitarie), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 aprile 2002, n. 96. - Il testo
dell'art. 1 della citata legge n. 12 del 1979, e' il seguente:
"Art. 1 (Esercizio della professione di consulente del lavoro). - Tutti gli adempimenti in materia di
lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti,
quando non sono curati dal datore di lavoro, direttamente od a mezzo di propri dipendenti, non
possono essere assunti se non da coloro che siano iscritti nell'albo dei consulenti del lavoro a norma
dell'art. 9 della presente legge, salvo il disposto del successivo art. 40, nonche' da coloro che siano
iscritti negli albi degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti
commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a darne comunicazione agli ispettorati del lavoro delle
province nel cui ambito territoriale intendono svolgere gli adempimenti di cui sopra.
I dipendenti del Ministero del lavoro e della previdenza sociale che abbiano prestato servizio,
almeno per quindici anni, con mansioni di ispettori del lavoro presso gli ispettorati del lavoro, sono
esonerati dagli esami per l'iscrizione all'albo dei consulenti del lavoro e dal tirocinio per esercitare
tale attivita'. Il personale di cui al presente comma non potra' essere iscritto all'albo della provincia
dove ha prestato servizio se non dopo quattro anni dalla cessazione del servizio stesso.
Il titolo di consulente del lavoro spetta alle persone che, munite dell'apposita abilitazione
professionale, sono iscritte nell'albo di cui all'art. 8 della presente legge.
Le imprese considerate artigiane ai sensi della legge 25 luglio 1956, n. 860, nonche' le altre piccole
imprese, anche in forma cooperativa, possono affidare l'esecuzione degli adempimenti di cui al
primo comma a servizi o a centri di assistenza fiscale istituiti dalle rispettive associazioni di
categoria. Tali servizi possono essere organizzati a mezzo dei consulenti del lavoro, anche se
dipendenti dalle predette associazioni.
Per lo svolgimento delle operazioni di calcolo e stampa relative agli adempimenti di cui al primo
comma, nonche' per l'esecuzione delle attivita' strumentali ed accessorie, le imprese di cui al quarto
comma possono avvalersi anche di centri di elaborazione dati costituiti e composti esclusivamente
da soggetti iscritti agli albi di cui alla presente legge con versamento, da parte degli stessi, della
contribuzione integrativa alle casse di previdenza sul volume di affari ai fini IVA, ovvero costituiti
o promossi dalle rispettive associazioni di categoria alle condizioni definite al citato quarto comma.
I criteri di attuazione della presente disposizione sono stabiliti dal Ministero del lavoro e della
previdenza sociale sentiti i rappresentanti delle associazioni di categoria e degli ordini e collegi
professionali interessati. Le imprese con oltre duecentocinquanta addetti che non si avvalgono, per
le operazioni suddette, di proprie strutture interne possono demandarle a centri di elaborazione dati,
di
diretta costituzione od esterni, i quali devono essere in ogni caso assistiti da uno o piu' soggetti di
cui al primo comma.
Presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale e' istituito un comitato di monitoraggio,
composto dalle associazioni di categoria, dai rappresentanti degli ordini e collegi di cui alla presente
legge e delle organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative a livello nazionale,
allo scopo di esaminare i problemi connessi all'evoluzione professionale ed occupazionale del
settore.".
- Il testo del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 18 (Attuazione della direttiva 98/50/CE relativa
al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di imprese, di stabilimenti o di
parti di stabilimenti), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 21 febbraio 2001, n. 43.
- Il testo della legge 1 marzo 2002, n. 39 (Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti
dall'appartenenza dell'Italia alle Comunita' europee. Legge comunitaria 2001), e' pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale 26 marzo 2002, n. 72, supplemento ordinario.
- Il testo della direttiva 12 marzo 2001, n. 2001/23/CE (Direttiva del Consiglio concernente il
ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei
lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti),
e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale C.E. 22 marzo 2001 n. L 82.
- Il testo dell'art. 1676 del codice civile e' il seguente:
"Art. 1676 (Diritti degli ausiliari dell'appaltatore verso il committente). - Coloro che, alle
dipendenze dell'appaltatore, hanno dato la loro attivita' per eseguire l'opera o per prestare il servizio
possono proporre azione diretta contro il committente per conseguire quanto e' loro dovuto, fino alla
concorrenza del debito che il committente ha verso l'appaltatore nel tempo in cui essi propongono la
domanda.".
Note all'art. 2:
- Il testo della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda
della Costituzione), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 24 ottobre 2001, n. 248.
- Il testo dell'art. 16, comma 5, della citata legge n. 196 del 1997, e' il seguente:
"5. Il Governo emana entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, previo
parere delle competenti commissioni parlamentari, norme regolamentari ai sensi dell'art. 17, comma
2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sulla proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri e del
Ministro del lavoro e della previdenza sociale in materia di speciali rapporti di lavoro con contenuti
formativi quali l'apprendistato e il contratto di formazione e lavoro, allo scopo di pervenire ad una
disciplina organica della materia secondo criteri di valorizzazione dei contenuti formativi, con
efficiente utilizzo delle risorse finanziarie vigenti, di ottimizzazione ai fini della creazione di
occasioni di impiego delle specifiche tipologiche contrattuali, nonche' di semplificazione,
razionalizzazione e delegificazione, con abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti. Dovra'
altresi' essere definito, nell'ambito delle suddette norme regolamentari, un sistema organico di
controlli sulla effettivita' dell'addestramento e sul reale rapporto tra attivita' lavorativa e attivita'
formativa, con la previsione di specifiche sanzioni amministrative per l'ipotesi in cui le condizioni
previste dalla legge non siano state assicurate.".
- Il testo dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali
sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e' il seguente:
"2. Per amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli
istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello
Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunita' montane, e loro
consorzi e associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari, le camere di
commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non
economici nazionali, regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio
sanitario nazionale, l'Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni
(ARAN) e le agenzie di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300.".
- Il testo dell'art. 17, della citata legge n. 196 del 1997, e' il seguente:
"Art. 17 (Riordino della formazione professionale). 1. Allo scopo di assicurare ai lavoratori adeguate opportunita' di formazione ed elevazione
professionale anche attraverso l'integrazione del sistema di formazione professionale con il sistema
scolastico e con il mondo del lavoro e un piu' razionale utilizzo delle risorse vigenti, anche
comunitarie, destinate alla formazione professionale e al fine di realizzare la semplificazione
normativa e di pervenire ad una disciplina organica della materia, anche con riferimento ai profili
formativi di speciali rapporti di lavoro quali l'apprendistato e il contratto di formazione e lavoro, il
presente articolo definisce i seguenti principi e criteri generali, nel rispetto dei quali sono adottate
norme di natura regolamentare costituenti la prima fase di un piu' generale, ampio processo di
riforma della disciplina in materia:
a) valorizzazione della formazione professionale quale strumento per migliorare la qualita'
dell'offerta di lavoro, elevare le capacita' competitive del sistema produttivo, in particolare con
riferimento alle medie e piccole imprese e alle imprese artigiane e incrementare l'occupazione,
attraverso attivita' di formazione professionale caratterizzate da moduli flessibili, adeguati alle
diverse realta' produttive locali nonche' di promozione e aggiornamento professionale degli
imprenditori, dei lavoratori autonomi, dei soci di cooperative, secondo modalita' adeguate alle loro
rispettive specifiche esigenze;
b) attuazione dei diversi interventi formativi anche attraverso il ricorso generalizzato a stages, in
grado di realizzare il raccordo tra formazione e lavoro e finalizzati a valorizzare pienamente il
momento dell'orientamento nonche' a favorire un primo contatto dei giovani con le imprese;
c) svolgimento delle attivita' di formazione professionale da parte delle regioni e/o delle province
anche in convenzione con istituti di istruzione secondaria e con enti privati aventi requisiti
predeterminati;
d) destinazione progressiva delle risorse di cui al comma 5 dell'art. 9 del decreto-legge 20 maggio
1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, agli interventi di
formazione dei lavoratori e degli altri soggetti di cui alla lettera a) nell'ambito di piani formativi
aziendali o territoriali concordati tra le parti sociali, con specifico riferimento alla formazione di
lavoratori in costanza di rapporto di lavoro, di lavoratori collocati in mobilita', di lavoratori
disoccupati per i quali l'attivita' formativa e' propedeutica all'assunzione; le risorse di cui alla
presente lettera confluiranno in uno o piu' fondi nazionali, articolati regionalmente e territorialmente
aventi configurazione giuridica di tipo privatistico e gestiti con partecipazione delle parti sociali;
dovranno altresi' essere definiti i meccanismi di integrazione del fondo di rotazione;
e) attribuzione al Ministro del lavoro e della previdenza sociale di funzioni propositive ai fini della
definizione da parte del comitato di cui all'art. 5, comma 5, dei criteri e delle modalita' di
certificazione delle competenze acquisite con la formazione professionale;
f) adozione di misure idonee a favorire, secondo piani di intervento predisposti dalle regioni, la
formazione e la mobilita' interna o esterna al settore degli addetti alla formazione professionale
nonche' la ristrutturazione degli enti di formazione e la trasformazione dei centri in agenzie
formative al fine di migliorare l'offerta formativa e facilitare l'integrazione dei sistemi; le risorse
finanziarie da destinare a tali interventi saranno individuate con decreto del Ministro del lavoro e
della previdenza sociale nell'ambito delle disponibilita', da preordinarsi allo scopo, esistenti nel
Fondo di cui all'art. 1, comma 7, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con
modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236;
g) semplificazione delle procedure, ivi compresa la eventuale sostituzione della garanzia
fidejussoria prevista dall'art. 56 della legge 6 febbraio 1996, n. 52, per
effetto delle disposizioni di cui ai commi 3 e seguenti definite a livello nazionale anche attraverso
parametri standard, con deferimento ad atti delle amministrazioni competenti, adottati anche ai sensi
dell'art. 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, e successive modificazioni, ed a strumenti
convenzionali oltre che delle disposizioni di natura integrativa, esecutiva e organizzatoria anche
della disciplina di specifici aspetti nei casi previsti dalle disposizioni regolamentari emanate ai sensi
del comma 2, con particolare riferimento alla possibilita' di stabilire requisiti minimi e criteri di
valutazione delle sedi operative ai fini dell'accreditamento;
h) abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti. 2. Le disposizioni regolamentari di cui al comma
1 sono emanate, a norma dell'art. 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi
dalla data di entrata in vigore della presente legge, con uno o piu' decreti, sulla proposta del
Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di
concerto con i Ministri della pubblica istruzione, dell'universita' e della ricerca scientifica e
tecnologica, per le pari opportunita', del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per
la funzione pubblica e gli affari regionali, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo
Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, previo parere delle competenti
commissioni parlamentari.
3. A garanzia delle somme erogate a titolo di anticipo o di acconto a valere sulle risorse del Fondo
sociale europeo e dei relativi cofinanziamenti nazionali e' istituito, presso il Ministero del tesoro Ragioneria generale dello Stato - Ispettorato generale per l'amministrazione del Fondo di rotazione
per l'attuazione delle politiche comunitarie (IGFOR), un fondo di rotazione con amministrazione
autonoma e gestione fuori bilancio ai sensi dell'art. 9 della legge 25 novembre 1971, n. 1041.
4. Il Fondo di cui al comma 3 e' alimentato da un contributo a carico dei soggetti privati attuatori
degli interventi finanziati, nonche', per l'anno 1997, da un contributo di lire 30 miliardi che gravera'
sulle disponibilita' derivanti dal terzo del gettito della maggiorazione contributiva prevista dall'art.
25 della legge 21 dicembre 1978, n. 845, che affluisce, ai sensi dell'art. 9, comma 5, del decretolegge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, al
Fondo di rotazione per la formazione professionale e per l'accesso al Fondo sociale europeo
previsto dal medesimo art. 25 della citata legge n. 845 del 1978.
5. Il Fondo di cui al comma 3 utilizzera' le risorse di cui al comma 4 per rimborsare gli organismi
comunitari e nazionali, erogatori dei finanziamenti, nelle ipotesi di responsabilita' sussidiaria dello
Stato membro, ai sensi dell'art. 23 del regolamento (CEE) n. 2082/93 del Consiglio del 20 luglio
1993, accertate anche precedentemente alla data di entrata in vigore della presente legge.
6. Entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge il Ministro del tesoro, di
concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza
sociale, stabilisce con proprio decreto le norme di amministrazione e di gestione del Fondo di cui al
comma 3. Con il medesimo decreto e' individuata l'aliquota del contributo a carico dei soggetti
privati di cui al comma 4, da calcolare sull'importo del funzionamento concesso, che puo' essere
rideterminata con successivo decreto per assicurare l'equilibrio finanziario del predetto Fondo. Il
contributo non grava sull'importo dell'aiuto finanziario al quale hanno diritto i beneficiari.".
- Il testo dell'art. 18, della citata legge n. 196 del 1997, e' il seguente:
"Art. 18 (Tirocini formativi e di orientamento). - 1. Al fine di realizzare momenti di alternanza tra
studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del
lavoro, attraverso iniziative di tirocini pratici e stages a favore di soggetti che hanno gia' assolto
l'obbligo scolastico ai sensi della legge 31 dicembre 1962, n. 1859, con decreto del Ministro del
lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della pubblica istruzione,
dell'universita' e della ricerca scientifica e tecnologica, da adottarsi ai sensi dell'art. 17 della legge
23 agosto 1988, n. 400, sono emanate, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore della presente
legge, disposizioni nel rispetto dei seguenti principi e criteri generali:
a) possibilita' di promozione delle iniziative, nei limiti delle risorse rese disponibili dalla vigente
legislazione, anche su proposta degli enti bilaterali e delle associazioni sindacali dei datori di lavoro
e dei lavoratori, da parte di soggetti pubblici o a partecipazione pubblica e di soggetti privati non
aventi scopo di lucro, in possesso degli specifici requisiti preventivamente determinati in funzione
di idonee garanzie all'espletamento delle iniziative medesime e in particolare: agenzie regionali per
l'impiego e uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza sociale; universita';
provveditorati agli studi; istituzioni scolastiche non statali che rilascino titoli di studio con valore
legale; centri pubblici di formazione e/o orientamento, ovvero a partecipazione pubblica o operanti
in regime di convenzione ai sensi dell'art. 5 della legge 21 dicembre 1978, n. 845; comunita'
terapeutiche enti ausiliari e cooperative sociali, purche' iscritti negli specifici albi regionali, ove
esistenti; servizi di inserimento lavorativo per disabili gestiti da enti pubblici delegati dalla regione;
b) attuazione delle iniziative nell'ambito di progetti di orientamento e di formazione, con priorita'
per quelli definiti all'interno di programmi operativi quadro predisposti dalle regioni, sentite le
organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale;
c) svolgimento dei tirocini sulla base di apposite convenzioni intervenute tra i soggetti di cui alla
lettera a) e i datori di lavoro pubblici e privati;
d) previsione della durata dei rapporti non costituenti rapporti di lavoro, in misura non superiore a
dodici mesi, ovvero a ventiquattro mesi in caso di soggetti portatori di handicap, da modulare in
funzione della specificita' dei diversi tipi di utenti;
e) obbligo da parte dei soggetti promotori di assicurare i tirocinanti mediante specifica convenzione
con l'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli
infortuni sul lavoro (INAIL) e per la responsabilita' civile e di garantire la presenza di un tutore
come responsabile didattico-organizzativo delle attivita'; nel caso in cui i soggetti promotori siano le
agenzie regionali per l'impiego e gli uffici periferici del Ministero del lavoro e della previdenza
sociale, il datore di lavoro ospitante puo' stipulare la predetta convenzione con l'INAIL direttamente
e a proprio carico;
f) attribuzione del valore di crediti formativi alle attivita' svolte nel corso degli stages e delle
iniziative di tirocinio pratico di cui al comma 1 da utilizzare, ove
debitamente certificati, per l'accensione di un rapporto di lavoro;
g) possibilita' di ammissione, secondo modalita' e criteri stabiliti con decreto del Ministro del lavoro
e della previdenza sociale, e nei limiti delle risorse
finanziarie preordinate allo scopo nell'ambito del Fondo di cui all'art. 1 del decreto-legge 20 maggio
1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236, al rimborso totale o
parziale degli oneri finanziari connessi all'attuazione di progetti di tirocinio di cui al presente
articolo a favore dei giovani del Mezzogiorno presso imprese di regioni diverse da quelle operanti
nella predetta area, ivi compresi, nel caso in cui i progetti lo prevedano, gli oneri relativi alla spesa
sostenuta dall'impresa per il vitto e l'alloggio del tirocinante;
h) abrogazione, ove occorra, delle norme vigenti;
i) computabilita' dei soggetti portatori di handicap impiegati nei tirocini ai fini della legge 2 aprile
1968, n. 482, e successive modificazioni, purche' gli stessi
tirocini siano oggetto di convenzione ai sensi degli articoli 5 e 17 della legge 28 febbraio 1987, n.
56, e siano finalizzati all'occupazione.".
Nota all'art. 3:
- Il testo della direttiva 15 dicembre 1997, n. 97/81/CE (Direttiva del Consiglio relativa all'accordo
quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES), e' pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale C.E. 20 gennaio 1998, n. L 14.
Note all'art. 5:
- Il testo dell'art. 410 del codice di procedura civile, e' il seguente:
"Art. 410 (Tentativo obbligatorio di conciliazione). - Chi intende proporre in giudizio una domanda
relativa ai rapporti previsti dall'art. 409 e non ritiene di avvalersi delle procedure di conciliazione
previste dai contratti e accordi collettivi deve promuovere, anche tramite l'associazione sindacale
alla quale aderisce o conferisca mandato, il tentativo di conciliazione presso la commissione di
conciliazione individuata secondo i criteri di cui all'art. 413.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione interrompe la
prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi
alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
La commissione, ricevuta la richiesta tenta la conciliazione della controversia, convocando le parti,
per una riunione da tenersi non oltre dieci giorni dal ricevimento della richiesta.
Con provvedimento del direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione e'
istituita in ogni provincia presso l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, una
commissione provinciale di conciliazione composta dal direttore dell'ufficio stesso, o da un suo
delegato, in qualita' di presidente, da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei datori
di lavoro e da quattro rappresentanti effettivi e da quattro supplenti dei lavoratori, designati dalle
rispettive organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su base nazionale.
Commissioni di conciliazione possono essere istituite, con le stesse modalita' e con la medesima
composizione di cui al precedente comma, anche presso le sezioni zonali degli uffici provinciali del
lavoro e della massima occupazione.
Le commissioni, quando se ne ravvisi la necessita', affidano il tentativo di conciliazione a proprie
sottocommissioni, presiedute dal direttore dell'ufficio provinciale del lavoro e della massima
occupazione o da un suo delegato che rispecchino la composizione prevista dal precedente terzo
comma.
In ogni caso per la validita' della riunione e' necessaria la presenza del presidente e di almeno un
rappresentante dei datori di lavoro e di uno dei lavoratori.
Ove la riunione della commissione non sia possibile per la mancata presenza di almeno uno dei
componenti di cui al precedente comma, il direttore dell'ufficio provinciale del lavoro certifica
l'impossibilita' di procedere al tentativo di conciliazione.". - Il testo dell'art. 2113 del codice civile e'
il seguente:
"Art. 2113 (Rinunzie e transazioni). - Le rinunzie e le transazioni che hanno per oggetto diritti del
prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi
collettivi concernenti i rapporti di cui all'art. 409 del codice di procedura civile, non sono valide.
L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione
del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la
cessazione medesima.
Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto
scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volonta'.
Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli
articoli 185, 410 e 411 del codice di procedura civile.".
- Per il testo dell'art. 6 della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia
cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore), si vedano le note
all'art. 9.
Nota all'art. 7:
- Il testo dell'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle
attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle
regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali), e' il
seguente:
"Art. 8 (Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e Conferenza unificata). - 1. La Conferenza
Stato-citta' ed autonomie locali e' unificata per le materie ed i compiti di interesse comune delle
regioni, delle province, dei comuni e delle comunita' montane, con la Conferenza Stato-regioni.
2. La Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e' presieduta dal Presidente del Consiglio dei
Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell'interno o dal Ministro per gli affari regionali; ne fanno
parte altresi' il Ministro del tesoro e del bilancio e della programmazione economica, il Ministro
delle finanze, il Ministro dei lavori pubblici, il Ministro della sanita', il presidente dell'Associazione
nazionale dei comuni d'Italia - ANCI, il presidente dell'Unione province d'Italia - UPI ed il
presidente dell'Unione nazionale comuni, comunita' ed enti montani - UNCEM. Ne fanno parte
inoltre quattordici sindaci designati dall'ANCI e sei presidenti di provincia designati dall'UPI.
Dei quattordici sindaci designati dall'ANCI cinque rappresentano le citta' individuate dall'art. 17
della legge 8 giugno 1990, n. 142. Alle riunioni possono essere invitati altri membri del Governo,
nonche' rappresentanti di amministrazioni statali, locali o di enti pubblici.
3. La Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali e' convocata almeno ogni tre mesi, e comunque in
tutti i casi il presidente ne ravvisi la necessita' o qualora ne faccia richiesta il presidente dell'ANCI,
dell'UPI o dell'UNCEM.
4. La Conferenza unificata di cui al comma 1 e' convocata dal Presidente del Consiglio dei Ministri.
Le sedute sono presiedute dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, su sua delega, dal Ministro
per gli affari regionali o, se tale incarico non e' conferito, dal Ministro dell'interno.".
Note all'art. 9:
- Il testo della legge 3 aprile 2001, n. 142 (Revisione della legislazione in materia cooperativistica,
con particolare riferimento alla posizione del socio
lavoratore), e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 23 aprile 2001, n. 94.
- Il testo dell'art. 1, comma 3, primo periodo, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato
dalla legge qui pubblicata, e' il seguente:
"3. Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente
all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o
autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non
occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali.".
- Il testo dell'art. 2, comma 1, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui
pubblicata, e' il seguente:
"1. Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la legge 20
maggio 1970, n. 300, con esclusione dell'art. 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di
lavoro, anche quello associativo.
L'esercizio dei diritti di cui al titolo III della citata legge n. 300 del 1970 trova applicazione
compatibilmente con lo stato di socio lavoratore, secondo quanto
determinato da accordi collettivi tra associazioni nazionali del movimento cooperativo e
organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente piu'
rappresentative. Si applicano altresi' tutte le vigenti disposizioni in materia di sicurezza e igiene del
lavoro. Agli altri soci lavoratori si applicano gli articoli 1, 8, 14 e 15 della medesima legge n. 300
del 1970, nonche' le disposizioni previste dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e
successive modificazioni, e quelle previste dal decreto legislativo 14 agosto 1996, n. 494, in quanto
compatibili con le modalita' della prestazione lavorativa.
In relazione alle peculiarita' del sistema cooperativo, forme specifiche di esercizio dei diritti
sindacali possono essere individuate in sede di accordi collettivi tra le associazioni nazionali del
movimento cooperativo e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, comparativamente piu'
rappresentative.".
- Il testo dell'art. 3, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, e'
il seguente:
"Art. 3 (Trattamento economico del socio lavoratore). - 1. Fermo restando quanto previsto dall'art.
36 della legge 20 maggio 1970, n. 300, le societa' cooperative sono tenute a corrispondere al socio
lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantita' e qualita' del lavoro
prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione
collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da
quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per
prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo.
2. Trattamenti economici ulteriori possono essere deliberati dall'assemblea e possono essere erogati:
a) a titolo di maggiorazione retributiva, secondo le
modalita' stabilite in accordi stipulati ai sensi dell'art. 2; b) in sede di approvazione del bilancio di
esercizio, a titolo di ristorno, in misura non superiore al 30 per cento dei trattamenti retributivi
complessivi di cui al comma 1 e alla lettera a), mediante integrazioni delle retribuzioni medesime,
mediante aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato, in deroga ai limiti stabiliti
dall'art. 24 del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577,
ratificato, con modificazioni, dalla legge 2 aprile 1951, n. 302, e successive modificazioni, ovvero
mediante distribuzione gratuita dei titoli di cui all'art. 5 della legge 31 gennaio 1992, n. 59. 2-bis.
In deroga alle disposizioni di cui al comma 1, le cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13
marzo 1958, n. 250, possono corrispondere ai propri soci lavoratori un compenso proporzionato
all'entita' del pescato, secondo criteri e parametri stabiliti dal regolamento interno previsto dall'art.
6.".
- Il testo della legge 13 marzo 1958, n. 250 (Previdenze a favore dei pescatori della piccola pesca
marittima e delle acque interne) e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 5 aprile 1958, n. 83.
- Il testo dell'art. 5, della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, e'
il seguente:
"Art. 5 (Altre normative applicabili al socio lavoratore). - 1. Il riferimento alle retribuzioni ed ai
trattamenti dovuti ai prestatori di lavoro, previsi dall'art. 2751-bis, numero 1), del codice civile, si
intende applicabile anche ai soci lavoratori di cooperative di lavoro nei limiti del trattamento
economico di cui all'art. 3, commi 1 e 2, lettera a). La presente norma costituisce interpretazione
autentica delle disposizioni medesime.
2. Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle
previsioni statutarie e in conformita' con gli articoli 2526 e 2527 del codice civile. Le controversie
tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale
ordinario.".
- Il testo dell'art. 2526 del codice civile e' il seguente:
"Art. 2526 (Recesso del socio). - La dichiarazione di recesso, nei casi in cui questo e' ammesso
dalla legge o dall'atto costitutivo, deve essere comunicata con raccomandata alla societa' e deve
essere annotata nel libro dei soci a cura degli amministratori. Essa ha effetto con la chiusura
dell'esercizio in corso, se comunicata tre mesi prima e, in caso contrario, con la chiusura
dell'esercizio successivo.".
- Il testo dell'art. 2527 del codice civile e' il seguente:
"Art. 2527 (Esclusione del socio). - L'esclusione del socio, qualunque sia il tipo della societa', oltre
che nel caso indicato nell'art. 2524, puo' aver luogo negli altri casi previsti dagli articoli 2286 e
2288, primo comma, e in quelli stabiliti dall'atto costitutivo. Quando l'esclusione non ha luogo di
diritto, essa deve essere deliberata dall'assemblea dei soci o, se l'atto costitutivo lo consente, dagli
amministratori, e deve essere comunicata al socio.
Contro la deliberazione di esclusione il socio puo', nel termine di trenta giorni dalla comunicazione,
proporre opposizione davanti al tribunale. Questo puo' sospendere l'esecuzione della deliberazione.
L'esclusione ha effetto dall'annotazione nel libro dei soci, da farsi a cura degli amministratori.".
- Il testo dell'art. 6 della citata legge n. 142 del 2001, come modificato dalla legge qui pubblicata, e'
il seguente:
"Art. 6 (Regolamento interno). - 1. Entro il 31 dicembre 2003, le cooperative di cui all'art. 1
definiscono un regolamento, approvato dall'assemblea, sulla tipologia dei rapporti che si intendono
attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori. Il regolamento deve essere depositato entro trenta
giorni dall'approvazione presso la direzione provinciale del lavoro competente per territorio. Il
regolamento deve contenere in ogni caso:
a) il richiamo ai contratti collettivi applicabili, per cio' che attiene ai soci lavoratori con rapporto di
lavoro subordinato;
b) le modalita' di svolgimento delle prestazioni lavorative da parte dei soci, in relazione
all'organizzazione aziendale della cooperativa e ai profili professionali dei soci stessi, anche nei casi
di tipologie diverse da quella del lavoro subordinato;
c) il richiamo espresso alle normative di legge vigenti per i rapporti di lavoro diversi da quello
subordinato;
d) l'attribuzione all'assemblea della facolta' di deliberare, all'occorrenza, un piano di crisi aziendale,
nel quale siano salvaguardati, per quanto possibile, i livelli occupazionali e siano altresi' previsti: la
possibilita' di riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi di cui al comma 2, lettera
b), dell'art. 3; il divieto, per l'intera durata del piano, di distribuzione di eventuali utili;
e) l'attribuzione all'assemblea della facolta' di deliberare, nell'ambito del piano di crisi aziendale di
cui alla lettera d), forme di apporto anche economico, da parte dei soci lavoratori, alla soluzione
della crisi, in proporzione alle disponibilita' e capacita' finanziarie;
f) al fine di promuovere nuova imprenditorialita', nelle cooperative di nuova costituzione, la facolta'
per l'assemblea della cooperativa di deliberare un pianod'avviamento alle condizioni e secondo le
modalita' stabilite in accordi collettivi tra le associazioni nazionali del movimento cooperativo e le
organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative. 2. Salvo quanto previsto alle lettere
d), e) ed f) del comma 1, nonche' all'art. 3, comma 2-bis, il regolamento non puo' contenere
disposizioni derogatorie in pejus rispetto al solo trattamento economico minimo di cui all'art. 3,
comma 1. Nel caso in cui violi la disposizione di cui al primo periodo, la clausola e' nulla. 2-bis. Le
cooperative di cui all'art. 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381, possono
definire accordi territoriali con le organizzazioni sindacali comparativamente piu' rappresentative
per rendere compatibile l'applicazione del contratto collettivo di lavoro nazionale di riferimento
all'attivita' svolta. Tale accordo deve essere depositato presso la direzione provinciale del lavoro
competente per territorio.".
- Il testo dell'art. 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n. 381 (Disciplina delle
cooperative sociali), e' il seguente:
"1. Le cooperative sociali hanno lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunita' alla
promozione umana e all'integrazione sociale dei cittadini attraverso:
a) (omissis);
b) lo svolgimento di attivita' diverse: agricole industriali, commerciali o di servizi, finalizzate
all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate.".
Data a Roma, addi' 14 febbraio 2003
CIAMPI
Berlusconi, Presidente del Consiglio
dei Ministri
Maroni, Ministro del lavoro e delle
politiche sociali
Visto, il Guardasigilli: Castelli
LAVORI PREPARATORI
Senato della Repubblica (atto n. 848): Presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri
(Berlusconi) e dal Ministro del lavoro e politiche sociali (Maroni) il 15 novembre 2001.
Assegnato alla 11a commissione (Lavoro, previdenza sociale), in sede referente, il 13 dicembre
2001, con pareri delle commissioni 1a, 2a, 3a, 5a, 6a, 7a, 8a, 9a, 10a, 12a, 13a della Giunta per gli
affari delle Comunita' europee e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Esaminato dalla commissione il 18 dicembre 2001; 22, 23, 24, 29, 30, 31 gennaio 2002; 5, 13, 19,
20, 21 febbraio 2002; 26, 27 marzo 2002; 2, 3, 9, 10, 11, 16, 17, 18 aprile 2002; 7, 8, 9, 14, 15, 16,
28, 29, 30 maggio 2002; 4, 5, 12, 13 e 19 giugno 2002.
Esaminato in aula il 13 dicembre 2001; 13 giugno 2002 (stralcio degli articoli 2, 3, 10 e 12 che
formano l'atto n. 848-bis); 17, 18, 19 e 24 settembre 2002 e approvato il
25 settembre 2002.
Camera dei deputati (atto n. 3193): Assegnato alla XI commissione (Lavoro), in sede
referente, il 30 settembre 2002 con pareri delle commissioni I, II, V, VII, X, XII, XIII, XIV e della
commissione parlamentare per le questioni regionali.
Esaminato dalla XI commissione, in sede referente, il 3, 8, 9, 15, 16, 17, 22, 24 ottobre 2002.
Esaminato in aula il 28, 29 ottobre 2002 e approvato, con modificazioni, il 30 ottobre 2002.
Senato della Repubblica (atto n. 848-B): Assegnato alla 11a commissione (Lavoro), in sede
referente, il 5 novembre 2002 con pareri delle commissioni 1a, 2a, 5a, 7a, 9a, 10a della Giunta per
gli affari delle Comunita' europee e della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Esaminato dalla 11a commissione, in sede referente, il 6, 12, 13, 14, 19, 26, 27 novembre 2002; il 3,
4, 11, 17 dicembre 2002; il 21, 23 gennaio 2003.
Esaminato in aula il 30 gennaio 2003; il 4 febbraio 2003 ed approvato il 5 febbraio 2003.
DECRETO LEGISLATIVO 10 settembre 2003, n.276
Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del
lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30.
Titolo I
DISPOSIZIONI GENERALI
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
Visti gli articoli 76 e 87, quinto comma, della Costituzione;
Visti gli articoli da 1 a 7 della legge 14 febbraio 2003, n. 30;
Vista la preliminare deliberazione del Consiglio dei Ministri,
adottata nella riunione del 6 giugno 2003;
Sentite
le
associazioni
sindacali
comparativamente
piu'
rappresentative dei datori e prestatori di lavoro;
Acquisito il parere della Conferenza unificata di cui all'articolo
8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, espresso nella
seduta del 3 luglio 2003;
Acquisiti i pareri delle competenti commissioni della Camera dei
deputati e del Senato della Repubblica;
Sentito il Ministro per le pari opportunita';
Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri, adottata nella
riunione del 31 luglio 2003;
Sulla proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
di concerto con i Ministri per la funzione pubblica, dell'istruzione,
dell'universita'
e della ricerca, per gli affari regionali e
dell'economia e delle finanze;
E m a n a
il seguente decreto legislativo:
Art. 1.
Finalita' e campo di applicazione
1. Le disposizioni di cui al presente decreto legislativo, nel dare
attuazione ai principi e criteri direttivi contenuti nella legge
14 febbraio 2003, n. 30, si collocano nell'ambito degli orientamenti
comunitari in materia di occupazione e di apprendimento permanente e
sono finalizzate ad aumentare, nel rispetto delle disposizioni
relative alla liberta' e dignita' del lavoratore di cui alla legge
20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni e integrazioni,
alla parita' tra uomini e donne di cui alla legge 9 dicembre 1977, n.
903,
e successive modificazioni ed integrazioni, e alle pari
opportunita' tra i sessi di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125, e
successive modificazioni ed integrazioni, i tassi di occupazione e a
promuovere la qualita' e la stabilita' del lavoro, anche attraverso
contratti a contenuto formativo e contratti a orario modulato
compatibili con le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei
lavoratori.
2. Il presente decreto non trova applicazione per le pubbliche
amministrazioni e per il loro personale.
3. Sono fatte salve le competenze riconosciute alle regioni a
statuto speciale ed alle province autonome di Trento e di Bolzano
dallo statuto e dalle relative norme di attuazione, anche con
riferimento alle disposizioni del Titolo V, parte seconda, della
Costituzione per le parti in cui sono previste forme di autonomie
piu' ampie rispetto a quelle gia' attribuite.
Art. 2.
Definizioni
1. Ai fini e agli effetti delle disposizioni di cui al presente
decreto legislativo si intende per:
a) «somministrazione di lavoro»: la fornitura professionale di
manodopera, a tempo indeterminato o a termine, ai sensi dell'articolo
20;
b) «intermediazione»: l'attivita' di mediazione tra domanda e
offerta di lavoro, anche in relazione all'inserimento lavorativo dei
disabili e dei gruppi di lavoratori svantaggiati, comprensiva tra
l'altro: della raccolta dei curricula dei potenziali lavoratori;
della preselezione e costituzione di relativa banca dati; della
promozione e gestione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro;
della effettuazione, su richiesta del committente, di tutte le
comunicazioni conseguenti alle assunzioni avvenute a seguito della
attivita' di intermediazione; dell'orientamento professionale; della
progettazione
ed erogazione di attivita' formative finalizzate
all'inserimento lavorativo;
c) «ricerca e selezione del personale»: l'attivita' di consulenza
di direzione finalizzata alla risoluzione di una specifica esigenza
dell'organizzazione
committente,
attraverso l'individuazione di
candidature idonee a ricoprire una o piu' posizioni lavorative in
seno all'organizzazione medesima, su specifico incarico della stessa,
e
comprensiva
di:
analisi
del
contesto
organizzativo
dell'organizzazione committente; individuazione e definizione delle
esigenze della stessa; definizione del profilo di competenze e di
capacita' della candidatura ideale; pianificazione e realizzazione
del programma di ricerca delle candidature attraverso una pluralita'
di canali di reclutamento; valutazione delle candidature individuate
attraverso appropriati strumenti selettivi; formazione della rosa di
candidature maggiormente idonee; progettazione ed erogazione di
attivita'
formative
finalizzate
all'inserimento
lavorativo;
assistenza nella fase di inserimento dei candidati; verifica e
valutazione dell'inserimento e del potenziale dei candidati;
d) «supporto
alla ricollocazione professionale»: l'attivita'
effettuata su specifico ed esclusivo incarico dell'organizzazione
committente, anche in base ad accordi sindacali, finalizzata alla
ricollocazione nel mercato del lavoro di prestatori di lavoro,
singolarmente
o
collettivamente
considerati,
attraverso
la
preparazione, la formazione finalizzata all'inserimento lavorativo,
l'accompagnamento
della persona e l'affiancamento della stessa
nell'inserimento nella nuova attivita';
e) «autorizzazione»: provvedimento mediante il quale lo Stato
abilita operatori, pubblici e privati, di seguito denominati «agenzie
per il lavoro», allo svolgimento delle attivita' di cui alle lettere
da a) a d);
f) «accreditamento»: provvedimento mediante il quale le regioni
riconoscono a un operatore, pubblico o privato, l'idoneita' a erogare
i servizi al lavoro negli ambiti regionali di riferimento, anche
mediante l'utilizzo di risorse pubbliche, nonche' la partecipazione
attiva
alla rete dei servizi per il mercato del lavoro con
particolare riferimento ai servizi di incontro fra domanda e offerta;
g) «borsa continua del lavoro»: sistema aperto di incontro
domanda-offerta di lavoro finalizzato, in coerenza con gli indirizzi
comunitari, a favorire la maggior efficienza e trasparenza del
mercato del lavoro, all'interno del quale cittadini, lavoratori,
disoccupati, persone in cerca di un lavoro, soggetti autorizzati o
accreditati e datori di lavoro possono decidere di incontrarsi in
maniera libera e dove i servizi sono liberamente scelti dall'utente;
h) «enti bilaterali»: organismi costituiti a iniziativa di una o
piu'
associazioni
dei
datori
e
dei
prestatori di lavoro
comparativamente piu' rappresentative, quali sedi privilegiate per la
regolazione del mercato del lavoro attraverso: la promozione di una
occupazione regolare e di qualita'; l'intermediazione nell'incontro
tra domanda e offerta di lavoro; la programmazione di attivita'
formative e la determinazione di modalita' di attuazione della
formazione professionale in azienda; la promozione di buone pratiche
contro la discriminazione e per la inclusione dei soggetti piu'
svantaggiati; la gestione mutualistica di fondi per la formazione e
l'integrazione del reddito; la certificazione dei contratti di lavoro
e di regolarita' o congruita' contributiva; lo sviluppo di azioni
inerenti la salute e la sicurezza sul lavoro; ogni altra attivita' o
funzione assegnata loro dalla legge o dai contratti collettivi di
riferimento;
i) «libretto formativo del cittadino»: libretto personale del
lavoratore
definito,
ai
sensi dell'accordo Stato-regioni del
18 febbraio 2000, di concerto tra il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali e il Ministero dell'istruzione, dell'universita' e
della
ricerca,
previa
intesa
con
la
Conferenza unificata
Stato-regioni e sentite le parti sociali, in cui vengono registrate
le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la
formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e
la formazione continua svolta durante l'arco della vita lavorativa ed
effettuata
da
soggetti accreditati dalle regioni, nonche' le
competenze acquisite in modo non formale e informale secondo gli
indirizzi
della
Unione
europea
in materia di apprendimento
permanente, purche' riconosciute e certificate;
j) «lavoratore»: qualsiasi persona che lavora o che e' in cerca
di un lavoro;
k) «lavoratore svantaggiato»: qualsiasi persona appartenente a
una categoria che abbia difficolta' a entrare, senza assistenza, nel
mercato del lavoro ai sensi dell'articolo 2, lettera f), del
regolamento (CE) n. 2204/2002 della Commissione del 12 dicembre 2002
relativo alla applicazione degli articoli 87 e 88 del trattato CE
agli aiuti di Stato a favore della occupazione, nonche' ai sensi
dell'articolo 4, comma 1, della legge 8 novembre 1991, n. 381;
l) «divisioni operative»: soggetti polifunzionali gestiti con
strumenti di contabilita' analitica, tali da consentire di conoscere
tutti i dati economico-gestionali specifici in relazione a ogni
attivita';
m) «associazioni
di
datori
e
prestatori
di
lavoro»:
organizzazioni
datoriali
e
sindacali
comparativamente
piu'
rappresentative.
Titolo II
ORGANIZZAZIONE E DISCIPLINA DEL MERCATO DEL LAVORO
Art. 3.
F i n a l i t a'
1. Le disposizioni contenute nel presente titolo hanno lo scopo di
realizzare un sistema efficace e coerente di strumenti intesi a
garantire
trasparenza ed efficienza del mercato del lavoro e
migliorare le capacita' di inserimento professionale dei disoccupati
e di quanti sono in cerca di una prima occupazione, con particolare
riferimento alle fasce deboli del mercato del lavoro.
2. Ferme restando le competenze delle regioni in materia di
regolazione e organizzazione del mercato del lavoro regionale e fermo
restando il mantenimento da parte delle province delle funzioni
amministrative attribuite dal decreto legislativo 23 dicembre 1997,
n. 469, e successive modificazioni ed integrazioni, per realizzare
l'obiettivo di cui al comma 1:
a) viene identificato un unico regime di autorizzazione per i
soggetti che svolgono attivita' di somministrazione di lavoro,
intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla
ricollocazione professionale;
b) vengono stabiliti i principi generali per la definizione dei
regimi di accreditamento regionali degli operatori pubblici o privati
che forniscono servizi al lavoro nell'ambito dei sistemi territoriali
di riferimento anche a supporto delle attivita' di cui alla lettera
a);
c) vengono identificate le forme di coordinamento e raccordo tra
gli
operatori,
pubblici
o privati, al fine di un migliore
funzionamento del mercato del lavoro;
d) vengono stabiliti i principi e criteri direttivi per la
realizzazione di una borsa continua del lavoro;
e) vengono abrogate tutte le disposizioni incompatibili con la
nuova regolamentazione del mercato del lavoro e viene introdotto un
nuovo regime sanzionatorio.
Capo I
Regime autorizzatorio e accreditamenti
Art. 4.
Agenzie per il lavoro
1. Presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e'
istituito un apposito albo delle agenzie per il lavoro ai fini dello
svolgimento delle attivita' di somministrazione, intermediazione,
ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione
professionale. Il predetto albo e' articolato in cinque sezioni:
a) agenzie
di
somministrazione
di
lavoro abilitate allo
svolgimento di tutte le attivita' di cui all'articolo 20;
b) agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato
abilitate a svolgere esclusivamente una delle attivita' specifiche di
cui all'articolo 20, comma 3, lettere da a) a h);
c) agenzie di intermediazione;
d) agenzie di ricerca e selezione del personale;
e) agenzie di supporto alla ricollocazione professionale.
2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali rilascia entro
sessanta
giorni
dalla
richiesta e previo accertamento della
sussistenza dei requisiti giuridici e finanziari di cui all'articolo
5, l'autorizzazione provvisoria all'esercizio delle attivita' per le
quali
viene
fatta
richiesta
di
autorizzazione, provvedendo
contestualmente alla iscrizione delle agenzie nel predetto albo.
Decorsi due anni, su richiesta del soggetto autorizzato, entro i
novanta
giorni
successivi
rilascia
l'autorizzazione a tempo
indeterminato subordinatamente alla verifica del corretto andamento
della attivita' svolta.
3. Nelle ipotesi di cui al comma 2, decorsi inutilmente i termini
previsti,
la domanda di autorizzazione provvisoria o a tempo
indeterminato si intende accettata.
4. Le agenzie autorizzate comunicano alla autorita' concedente,
nonche' alle regioni e alle province autonome competenti, gli
spostamenti di sede, l'apertura delle filiali o succursali, la
cessazione della attivita' ed hanno inoltre l'obbligo di fornire alla
autorita' concedente tutte le informazioni da questa richieste.
5. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da
emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente
decreto
legislativo,
stabilisce
le modalita' della
presentazione della richiesta di autorizzazione di cui al comma 2, i
criteri per la verifica del corretto andamento della attivita' svolta
cui
e'
subordinato il rilascio della autorizzazione a tempo
indeterminato,
i
criteri
e
le
modalita'
di revoca della
autorizzazione,
nonche'
ogni
altro
profilo
relativo
alla
organizzazione e alle modalita' di funzionamento dell'albo delle
agenzie per il lavoro.
6. L'iscrizione alla sezione dell'albo di cui alla lettera a),
comma 1, comporta automaticamente l'iscrizione della agenzia alle
sezioni di cui alle lettere c), d) ed e) del predetto albo.
L'iscrizione alla sezione dell'albo di cui al comma 1, lettera c),
comporta automaticamente l'iscrizione della agenzia alle sezioni di
cui alle lettere d) ed e) del predetto albo.
7. L'autorizzazione di cui al presente articolo non puo' essere
oggetto di transazione commerciale.
Art. 5.
Requisiti giuridici e finanziari
1.
I
requisiti richiesti per l'iscrizione all'albo di cui
all'articolo 4 sono:
a) la costituzione della agenzia nella forma di societa' di
capitali ovvero cooperativa o consorzio di cooperative, italiana o di
altro Stato membro della Unione europea. Per le agenzie di cui alle
lettere d) ed e) e' ammessa anche la forma della societa' di persone;
b) la sede legale o una sua dipendenza nel territorio dello Stato
o di altro Stato membro della Unione europea;
c) la disponibilita' di uffici in locali idonei allo specifico
uso e di adeguate competenze professionali, dimostrabili per titoli o
per specifiche esperienze nel settore delle risorse umane o nelle
relazioni industriali, secondo quanto precisato dal Ministero del
lavoro e delle politiche sociali con decreto da adottarsi, d'intesa
con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni
e le province autonome di Trento e di Bolzano e sentite le
associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente
piu' rappresentative, entro trenta giorni dalla data di entrata in
vigore del presente decreto legislativo;
d) in
capo agli amministratori, ai direttori generali, ai
dirigenti muniti di rappresentanza e ai soci accomandatari: assenza
di condanne penali, anche non definitive, ivi comprese le sanzioni
sostitutive di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, e successive
modificazioni ed integrazioni, per delitti contro il patrimonio, per
delitti contro la fede pubblica o contro l'economia pubblica, per il
delitto previsto dall'articolo 416-bis del codice penale, o per
delitti non colposi per i quali la legge commini la pena della
reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, per delitti o
contravvenzioni previsti da leggi dirette alla prevenzione degli
infortuni sul lavoro o, in ogni caso, previsti da leggi in materia di
lavoro o di previdenza sociale; assenza, altresi', di sottoposizione
alle misure di prevenzione disposte ai sensi della legge 27 dicembre
1956, n. 1423, o della legge 31 maggio 1965, n. 575, o della legge
13 settembre 1982, n. 646, e successive modificazioni;
e) nel caso di soggetti polifunzionali, non caratterizzati da un
oggetto sociale esclusivo, presenza di distinte divisioni operative,
gestite con strumenti di contabilita' analitica, tali da consentire
di conoscere tutti i dati economico-gestionali specifici;
f) l'interconnessione con la borsa continua nazionale del lavoro
di cui al successivo articolo 15, attraverso il raccordo con uno o
piu' nodi regionali, nonche' l'invio alla autorita' concedente di
ogni informazione strategica per un efficace funzionamento del
mercato del lavoro;
g) il rispetto delle disposizioni di cui all'articolo 8 a tutela
del
diritto
del
lavoratore alla diffusione dei propri dati
nell'ambito da essi stessi indicato.
2. Per l'esercizio delle attivita' di cui all'articolo 20, oltre ai
requisiti di cui al comma l, e' richiesta:
a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 600.000
euro ovvero la disponibilita' di 600.000 euro tra capitale sociale
versato e riserve indivisibili nel caso in cui l'agenzia sia
costituita in forma coo- perativa;
b) la garanzia che l'attivita' interessi un ambito distribuito
sull'intero territorio nazionale e comunque non inferiore a quattro
regioni;
c) a
garanzia dei crediti dei lavoratori impiegati e dei
corrispondenti crediti contributivi degli enti previdenziali, la
disposizione, per i primi due anni, di un deposito cauzionale di
350.000 euro presso un istituto di credito avente sede o dipendenza
nei territorio nazionale o di altro Stato membro della Unione
europea; a decorrere dal terzo anno solare, la disposizione, in luogo
della cauzione, di una fideiussione bancaria o assicurativa non
inferiore al 5 per cento del fatturato, al netto dell'imposta sul
valore aggiunto, realizzato nell'anno precedente e comunque non
inferiore a 350.000 euro. Sono esonerate dalla prestazione delle
garanzie di cui alla presente lettera le societa' che abbiano assolto
ad
obblighi
analoghi previsti per le stesse finalita' dalla
legislazione di altro Stato membro della Unione europea;
d) la regolare contribuzione ai fondi per la formazione e
l'integrazione del reddito di cui all'articolo 12, il regolare
versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, il rispetto
degli obblighi previsti dal contratto collettivo nazionale delle
imprese di somministrazione di lavoro applicabile;
e) nel caso di cooperative di produzione e lavoro, oltre ai
requisiti indicati al comma 1 e nel presente comma 2, la presenza di
almeno sessanta soci e tra di essi, come socio sovventore, almeno un
fondo
mutualistico
per
la
promozione
e lo sviluppo della
cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge 31 gennaio
1992, n. 59, e successive modificazioni;
f)
l'indicazione
della somministrazione di lavoro di cui
all'articolo 4, comma 1, lettera a), come oggetto sociale prevalente,
anche se esclusivo.
3. Per l'esercizio di una delle attivita' specifiche di cui alle
lettere da a) ad h) del comma 3, dell'articolo 20, oltre ai requisiti
di cui al comma 1, e' richiesta:
a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 350.000
euro ovvero la disponibilita' di 350.000 euro tra capitale sociale
versato e riserve indivisibili nel caso in cui l'agenzia sia
costituita in forma cooperativa;
b) a
garanzia dei crediti dei lavoratori impiegati e dei
corrispondenti crediti contributivi degli enti previdenziali, la
disposizione, per i primi due anni, di un deposito cauzionale di
200.000 euro presso un istituto di credito avente sede o dipendenza
nel territorio nazionale o di altro Stato membro della Unione
europea; a decorrere dal terzo anno solare, la disposizione, in luogo
della cauzione, di una fideiussione bancaria o assicurativa non
inferiore al 5 per cento del fatturato, al netto dell'imposta sul
valore aggiunto, realizzato nell'anno precedente e comunque non
inferiore a 200.000 euro. Sono esonerate dalla prestazione delle
garanzie di cui alla presente lettera le societa' che abbiano assolto
ad
obblighi
analoghi previsti per le stesse finalita' dalla
legislazione di altro Stato membro della Unione europea;
c) la regolare contribuzione ai fondi per la formazione e
l'integrazione del reddito di cui all'articolo 12, il regolare
versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, il rispetto
degli obblighi previsti dal contratto collettivo nazionale delle
imprese di somministrazione di lavoro applicabile;
d) nel caso di cooperative di produzione e lavoro, oltre ai
requisiti indicati al comma 1 e nel presente comma 3, la presenza di
almeno venti soci e tra di essi, come socio sovventore, almeno un
fondo
mutualistico
per
la
promozione
e lo sviluppo della
cooperazione, di cui agli articoli 11 e 12 della legge 31 gennaio
1992, n. 59.
4. Per l'esercizio della attivita' di intermediazione, oltre ai
requisiti di cui al comma 1, e' richiesta:
a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 50.000
euro;
b) la garanzia che l'attivita' interessi un ambito distribuito
sull'intero territorio nazionale e comunque non inferiore a quattro
regioni;
c) l'indicazione
della attivita' di intermediazione di cui
all'articolo 4, comma 1, lettera c), come oggetto sociale prevalente,
anche se non esclusivo.
5. Per l'esercizio della attivita' di ricerca e selezione del
personale, oltre ai requisiti di cui al comma 1, e' richiesta:
a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 25.000
euro;
b) l'indicazione della ricerca e selezione del personale come
oggetto sociale, anche se non esclusivo.
6. Per l'esercizio della attivita' di supporto alla ricollocazione
professionale, oltre ai requisiti di cui al comma 1, e' richiesta:
a) l'acquisizione di un capitale versato non inferiore a 25.000
euro;
b) l'indicazione della attivita' di supporto alla ricollocazione
professionale come oggetto sociale, anche se non esclusivo.
Art. 6.
Regimi particolari di autorizzazione
1. Sono
autorizzate
allo
svolgimento
della
attivita'
di
intermediazione le universita' pubbliche e private, comprese le
fondazioni universitarie che hanno come oggetto l'alta formazione con
specifico riferimento alle problematiche del mercato del lavoro, a
condizione che svolgano la predetta attivita' senza finalita' di
lucro e fermo restando l'obbligo della interconnessione alla borsa
continua nazionale del lavoro, nonche' l'invio di ogni informazione
relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto
disposto al successivo articolo 17.
2. Sono altresi' autorizzati allo svolgimento della attivita' di
intermediazione, secondo le procedure di cui all'articolo 4 o di cui
al comma 6 del presente articolo, i comuni, le camere di commercio e
gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e
paritari, a condizione che svolgano la predetta attivita' senza
finalita' di lucro e che siano rispettati i requisiti di cui alle
lettere c), f) e g) di cui all'articolo 5, comma 1, nonche' l'invio
di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro
ai sensi di quanto disposto al successivo articolo 17.
3. Sono altresi' autorizzate allo svolgimento della attivita' di
intermediazione le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori
di lavoro comparativamente piu' rappresentative che siano firmatarie
di contratti collettivi nazionali di lavoro, le associazioni in
possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale e
aventi come oggetto sociale la tutela e l'assistenza delle attivita'
imprenditoriali,
del
lavoro o delle disabilita', e gli enti
bilaterali a condizione che siano rispettati i requisiti di cui alle
lettere c), d), e), f), g) di cui all'articolo 5, comma 1.
4. L'ordine nazionale dei consulenti del lavoro puo' chiedere
l'iscrizione
all'albo
di
cui all'articolo 4 di una apposita
fondazione o di altro soggetto giuridico dotato di personalita'
giuridica
costituito
nell'ambito
del Consiglio nazionale dei
consulenti del lavoro per lo svolgimento a livello nazionale di
attivita' di intermediazione. L'iscrizione e' subordinata al rispetto
dei requisiti di cui alle lettere c), d), e), f), g) di cui
all'articolo 5, comma 1.
5. E' in ogni caso fatto divieto ai consulenti del lavoro di
esercitare individualmente o in altra forma diversa da quella
indicata
al
comma 3 e agli articoli 4 e 5, anche attraverso
ramificazioni a livello territoriale, l'attivita' di intermediazione.
6.
L'autorizzazione allo svolgimento delle attivita' di cui
all'articolo 2, comma 1, lettere b), c), d), puo' essere concessa
dalle regioni e dalle province autonome con esclusivo riferimento al
proprio territorio e previo accertamento della sussistenza dei
requisiti di cui agli articoli 4 e 5, fatta eccezione per il
requisito di cui all'articolo 5, comma 4, lettera b).
7. La regione rilascia entro sessanta giorni dalla richiesta
l'autorizzazione provvisoria all'esercizio delle attivita' di cui al
comma 6, provvedendo contestualmente alla comunicazione al Ministero
del lavoro e delle politiche sociali per l'iscrizione delle agenzie
in una apposita sezione regionale nell'albo di cui all'articolo 4,
comma 1. Decorsi due anni, su richiesta del soggetto autorizzato,
entro
i
sessanta
giorni
successivi
la
regione
rilascia
l'autorizzazione a tempo indeterminato subordinatamente alla verifica
del corretto andamento della attivita' svolta.
8. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da
emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo, stabilisce d'intesa con la Conferenza
unificata
le modalita' di costituzione della apposita sezione
regionale dell'albo di cui all'articolo 4, comma 1 e delle procedure
ad essa connesse.
Art. 7.
Accreditamenti
1. Le regioni, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori
di
lavoro
comparativamente
piu' rappresentative, istituiscono
appositi elenchi per l'accreditamento degli operatori pubblici e
privati che operano nel proprio territorio nel rispetto degli
indirizzi da esse definiti ai sensi dell'articolo 3 del decreto
legislativo 21 aprile 2000, n. 181, e successive modificazioni, e dei
seguenti principi e criteri:
a) garanzia della libera scelta dei cittadini, nell'ambito di una
rete
di
operatori
qualificati,
adeguata
per
dimensione e
distribuzione alla domanda espressa dal territorio;
b) salvaguardia
di
standard
omogenei a livello nazionale
nell'affidamento di funzioni relative all'accertamento dello stato di
disoccupazione e al monitoraggio dei flussi del mercato del lavoro;
c) costituzione
negoziale
di
reti
di
servizio ai fini
dell'ottimizzazione delle risorse;
d) obbligo della interconnessione con la borsa continua nazionale
del lavoro di cui all'articolo 15, nonche' l'invio alla autorita'
concedente
di
ogni
informazione
strategica per un efficace
funzionamento del mercato del lavoro;
e) raccordo con il sistema regionale di accreditamento degli
organismi di formazione.
2. I provvedimenti regionali istitutivi dell'elenco di cui al
comma 1 disciplinano altresi':
a) le forme della cooperazione tra i servizi pubblici e operatori
privati,
autorizzati ai sensi delle disposizioni di cui agli
articoli 4, 5 e 6 o accreditati ai sensi del presente articolo, per
le funzioni di incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevenzione
della disoccupazione di lunga durata, promozione dell'inserimento
lavorativo dei lavoratori svantaggiati, sostegno alla mobilita'
geografica del lavoro;
b) requisiti
minimi
richiesti per l'iscrizione nell'elenco
regionale in termini di capacita' gestionali e logistiche, competenze
professionali, situazione economica, esperienze maturate nel contesto
territoriale di riferimento;
c) le procedure per l'accreditamento;
d) le modalita' di misurazione dell'efficienza e della efficacia
dei servizi erogati;
e) le
modalita'
di tenuta dell'elenco e di verifica del
mantenimento dei requisiti.
Ambito
Capo II
Tutele sul mercato e disposizioni speciali con riferimento ai
lavoratori svantaggiati
Art. 8.
di diffusione dei dati relativi all'incontro domanda-offerta
di lavoro
1. Ferme restando le disposizioni di cui alla legge 31 dicembre
1996, n. 675, e successive modificazioni ed integrazioni, le agenzie
per il lavoro e gli altri operatori pubblici e privati autorizzati o
accreditati assicurano ai lavoratori il diritto di indicare i
soggetti o le categorie di soggetti ai quali i propri dati devono
essere comunicati, e garantiscono l'ambito di diffusione dei dati
medesimi indicato dai lavoratori stessi, anche ai fini del pieno
soddisfacimento del diritto al lavoro di cui all'articolo 4 della
Costituzione.
2. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con decreto
da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo, sentite le regioni e le province
autonome di Trento e di Bolzano nonche', ai sensi dell'articolo 31,
comma 2, della legge 31 dicembre 1996, n. 675, il Garante per la
protezione dei dati personali, definisce le modalita' di trattamento
dei dati personali di cui al presente decreto, disciplinando, fra gli
altri, i seguenti elementi:
a) le informazioni che possono essere comunicate e diffuse tra
gli operatori che agiscono nell'ambito del sistema dell'incontro fra
domanda e offerta di lavoro;
b) le
modalita'
attraverso le quali deve essere data al
lavoratore la possibilita' di esprimere le preferenze relative alla
comunicazione e alla diffusione dei dati di cui al comma 1;
c) le ulteriori prescrizioni al fine di dare attuazione alle
disposizioni contenute nell'articolo 10.
3.
Per
le
informazioni
che
facciano riferimento a dati
amministrativi in possesso dei servizi per l'impiego, con particolare
riferimento alla presenza in capo al lavoratore di particolari
benefici contributivi e fiscali, gli elementi contenuti nella scheda
anagrafico-professionale prevista dal decreto legislativo 19 dicembre
2002, n. 297, hanno valore certificativo delle stesse.
Art. 9.
mezzo stampa internet, televisione o altri mezzi di
informazione
1.
Sono
vietate
comunicazioni,
a mezzo stampa, internet,
televisione o altri mezzi di informazione, in qualunque forma
effettuate,
relative ad attivita' di ricerca e selezione del
personale,
ricollocamento
professionale,
intermediazione
o
somministrazione effettuate in forma anonima e comunque da soggetti,
pubblici o privati, non autorizzati o accreditati all'incontro tra
domanda e offerta di lavoro eccezion fatta per quelle comunicazioni
che facciano esplicito riferimento ai soggetti in questione, o
entita' ad essi collegate perche' facenti parte dello stesso gruppo
di imprese o in quanto controllati o controllanti, in quanto
potenziali datori di lavoro.
2.
In
tutte
le
comunicazioni verso terzi, anche a fini
pubblicitari, utilizzanti qualsiasi mezzo di comunicazione, ivi
compresa
la corrispondenza epistolare ed elettronica, e nelle
inserzioni o annunci per la ricerca di personale, le agenzie del
lavoro e gli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o
accreditati
devono
indicare gli estremi del provvedimento di
autorizzazione
o
di accreditamento al fine di consentire al
lavoratore, e a chiunque ne abbia interesse, la corretta e completa
identificazione del soggetto stesso.
3. Se le comunicazioni di cui al comma 2 sono effettuate mediante
annunci pubblicati su quotidiani e periodici o mediante reti di
comunicazione elettronica, e non recano un facsimile di domanda
comprensivo dell'informativa di cui all'articolo 13 del decreto
legislativo 30 giugno 2003, n. 196, indicano il sito della rete di
comunicazioni
attraverso
il
quale
il medesimo facsimile e'
Comunicazioni
a
conoscibile in modo agevole.
Art. 10.
Divieto di indagini sulle opinioni e trattamenti discriminatori
1. E' fatto divieto alle agenzie per il lavoro e agli altri
soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare
qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di
preselezione di lavoratori, anche con il loro consenso, in base alle
convinzioni personali, alla affiliazione sindacale o politica, al
credo religioso, al sesso, all'orientamento sessuale, allo stato
matrimoniale o di famiglia o di gravidanza, alla eta', all'handicap,
alla
razza,
all'origine
etnica, al colore, alla ascendenza,
all'origine nazionale, al gruppo linguistico, allo stato di salute
nonche' ad eventuali controversie con i precedenti datori di lavoro,
a meno che non si tratti di caratteristiche che incidono sulle
modalita'
di
svolgimento
della
attivita'
lavorativa o che
costituiscono un requisito essenziale e determinante ai fini dello
svolgimento dell'attivita' lavorativa. E' altresi' fatto divieto di
trattare dati personali dei lavoratori che non siano strettamente
attinenti alle loro attitudini professionali e al loro inserimento
lavorativo.
2. Le disposizioni di cui al comma 1 non possono in ogni caso
impedire ai soggetti di cui al medesimo comma 1 di fornire specifici
servizi o azioni mirate per assistere le categorie di lavoratori
svantaggiati nella ricerca di una occupazione.
Art. 11.
Divieto di oneri in capo ai lavoratori
1. E' fatto divieto ai soggetti autorizzati o accreditati di
esigere o comunque di percepire, direttamente o indirettamente,
compensi dal lavoratore.
2. I contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori di
lavoro
e
dei
prestatori
di
lavoro
comparativamente
piu'
rappresentative a livello nazionale o territoriale possono stabilire
che la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione per
specifiche categorie di lavoratori altamente professionalizzati o per
specifici servizi offerti dai soggetti autorizzati o accreditati.
Art. 12.
Fondi per la formazione e l'integrazione del reddito
1. I soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono
tenuti a versare ai fondi di cui al comma 4 un contributo pari al 4
per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con
contratto a tempo determinato per l'esercizio di attivita' di
somministrazione. Le risorse sono destinate per interventi a favore
dei lavoratori assunti con contratto a tempo determinato intesi, in
particolare,
a
promuovere
percorsi
di
qualificazione
e
riqualificazione anche in funzione di continuita' di occasioni di
impiego e a prevedere specifiche misure di carattere previdenziale.
2. I soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro sono
altresi' tenuti e versare ai fondi di cui al comma 4 un contributo
pari al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori
assunti
con contratto a tempo indeterminato. Le risorse sono
destinate a:
a) iniziative comuni finalizzate a garantire l'integrazione del
reddito dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato in
caso di fine lavori;
b) iniziative comuni finalizzate a verificare l'utilizzo della
somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche in termini di
promozione della emersione del lavoro non regolare e di contrasto
agli appalti illeciti;
c) iniziative per l'inserimento o il reinserimento nel mercato
del
lavoro
di
lavoratori
svantaggiati
anche in regime di
accreditamento con le regioni;
d) per
la
promozione
di
percorsi
di
qualificazione e
riqualificazione professionale.
3. Gli interventi e le misure di cui ai commi 1 e 2 sono attuati
nel quadro di politiche stabilite nel contratto collettivo nazionale
delle imprese di somministrazione di lavoro ovvero, in mancanza,
stabilite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali,
sentite le associazioni dei datori di lavoro e dei
prestatori
di lavoro maggiormente rappresentative nel predetto
ambito.
4. I contributi di cui ai commi 1 e 2 sono rimessi a un fondo
bilaterale appositamente costituito, anche nell'ente bilaterale,
dalle parti stipulanti il contratto collettivo nazionale delle
imprese di somministrazione di lavoro:
a) come
soggetto giuridico di natura associativa ai sensi
dell'articolo 36 del codice civile;
b) come soggetto dotato di personalita' giuridica ai sensi
dell'articolo
12
del
codice civile con procedimento per il
riconoscimento rientrante nelle competenze del Ministro del lavoro e
delle politiche sociali ai sensi dell'articolo 2, comma 1, della
legge 12 gennaio 1991, n. 13.
5. I fondi di cui al comma 4 sono attivati a seguito di
autorizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
previa
verifica
della
congruita',
rispetto
alle
finalita'
istituzionali previste ai commi l e 2, dei criteri di gestione e
delle strutture di funzionamento del fondo stesso, con particolare
riferimento alla sostenibilita' finanziaria complessiva del sistema.
Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali esercita la
vigilanza sulla gestione dei fondi.
6. All'eventuale adeguamento del contributo di cui ai commi 1 e 2
si provvede con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali previa verifica con le parti sociali da effettuare decorsi
due anni dalla entrata in vigore del presente decreto.
7. I contributi versati ai sensi dei commi 1 e 2 si intendono
soggetti alla disciplina di cui all'articolo 26-bis della legge 24
giugno 1997, n. 196.
8. In caso di omissione, anche parziale, dei contributi di cui ai
commi 1 e 2, il datore di lavoro e' tenuto a corrispondere, oltre al
contributo omesso e alle relative sanzioni, una somma, a titolo di
sanzione amministrativa, di importo pari a quella del contributo
omesso; gli importi delle sanzioni amministrative sono versati ai
fondi di cui al comma 4.
9. Trascorsi dodici mesi dalla entrata in vigore del presente
decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali con proprio
decreto, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di
lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale puo'
ridurre i contributi di cui ai commi 1 e 2 in relazione alla loro
congruita' con le finalita' dei relativi fondi.
Art. 13.
Misure di incentivazione del raccordo pubblico e privato
1. Al fine di garantire l'inserimento o il reinserimento nel
mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati, attraverso politiche
attive e di workfare, alle agenzie autorizzate alla somministrazione
di lavoro e' consentito:
a) operare in deroga al regime generale della somministrazione di
lavoro, ai sensi del comma 2 dell'articolo 23, ma solo in presenza di
un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del
lavoro, con interventi formativi idonei e il coinvolgimento di un
tutore con adeguate competenze e professionalita', e a fronte della
assunzione del lavoratore, da parte delle agenzie autorizzate alla
somministrazione, con contratto di durata non inferiore a sei mesi;
b) determinare altresi', per un periodo massimo di dodici mesi e
solo in caso di contratti di durata non inferiore a nove mesi, il
trattamento retributivo del lavoratore, detraendo dal compenso dovuto
quanto eventualmente percepito dal lavoratore medesimo a titolo di
indennita' di mobilita', indennita' di disoccupazione ordinaria o
speciale, o altra indennita' o sussidio la cui corresponsione e'
collegata allo stato di disoccupazione o inoccupazione, e detraendo
dai contributi dovuti per l'attivita' lavorativa l'ammontare dei
contributi figurativi nel caso di trattamenti di mobilita' e di
indennita' di disoccupazione ordinaria o speciale.
2. Il lavoratore destinatario delle attivita' di cui al comma 1
decade dai trattamenti di mobilita', qualora l'iscrizione nelle
relative liste sia finalizzata esclusivamente al reimpiego, di
disoccupazione ordinaria o speciale, o da altra indennita' o sussidio
la cui corresponsione e' collegata allo stato di disoccupazione o in
occupazione, quando:
a) rifiuti di essere avviato a un progetto individuale di
reinserimento nel mercato del lavoro ovvero rifiuti di essere avviato
a un corso di formazione professionale autorizzato dalla regione o
non lo frequenti regolarmente, fatti salvi i casi di impossibilita'
derivante da forza maggiore;
b) non accetti l'offerta di un lavoro inquadrato in un livello
retributivo non inferiore del 20 per cento rispetto a quello delle
mansioni di provenienza;
c) non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla
competente
sede
I.N.P.S.
del
lavoro
prestato
ai
sensi
dell'articolo 8, commi 4 e 5 del decreto-legge 21 marzo 1988, n. 86,
convertito, con modificazioni, dalla legge 20 maggio 1988, n. 160.
3. Le disposizioni di cui al comma 2 si applicano quando le
attivita' lavorative o di formazione offerte al lavoratore siano
congrue rispetto alle competenze e alle qualifiche del lavoratore
stesso e si svolgano in un luogo raggiungibile in 80 minuti con mezzi
pubblici da quello della sua residenza. Le disposizioni di cui al
comma 2, lettere b) e c) non si applicano ai lavoratori inoccupati.
4. Nei casi di cui al comma 2, i responsabili della attivita'
formativa ovvero le agenzie di somministrazione di lavoro comunicano
direttamente
all'I.N.P.S.,
e
al
servizio
per
l'impiego
territorialmente competente ai fini della cancellazione dalle liste
di mobilita', i nominativi dei soggetti che possono essere ritenuti
decaduti
dai
trattamenti
previdenziali.
A seguito di detta
comunicazione, l'I.N.P.S. sospende cautelativamente l'erogazione del
trattamento medesimo, dandone comunicazione agli interessati.
5. Avverso gli atti di cui al comma 4 e' ammesso ricorso entro
trenta giorni alle direzioni provinciali del lavoro territorialmente
competenti
che decidono, in via definitiva, nei venti giorni
successivi alla data di presentazione del ricorso. La decisione del
ricorso e' comunicata al competente servizio per l'impiego ed
all'I.N.P.S.
6. Fino alla data di entrata in vigore di norme regionali che
disciplinino la materia, le disposizioni di cui al comma 1 si
applicano solo in presenza di una convenzione tra una o piu' agenzie
autorizzate alla somministrazione di lavoro, anche attraverso le
associazioni di rappresentanza e con l'ausilio delle agenzie tecniche
strumentali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, e i
comuni, le province o le regioni stesse.
7. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano anche con
riferimento ad appositi soggetti giuridici costituiti ai sensi delle
normative regionali in convenzione con le agenzie autorizzate alla
somministrazione
di
lavoro,
previo
accreditamento
ai sensi
dell'articolo 7.
8. Nella ipotesi di cui al comma 7, le agenzie autorizzate alla
somministrazione di lavoro si assumono gli oneri delle spese per la
costituzione e il funzionamento della agenzia stessa. Le regioni, i
centri per l'impiego e gli enti locali possono concorrere alle spese
di
costituzione
e
funzionamento
nei
limiti
delle proprie
disponibilita' finanziarie.
Art. 14.
inserimento
lavorativo dei lavoratori
svantaggiati
1. Al fine di favorire l'inserimento lavorativo dei lavoratori
svantaggiati
e
dei
lavoratori
disabili,
i servizi di cui
all'articolo 6, comma 1, della legge 12 marzo 1999, n. 68, sentito
l'organismo di cui all'articolo 6, comma 3, del decreto legislativo
23 dicembre 1997, n. 469, cosi' come modificato dall'articolo 6 della
legge 12 marzo 1999, n. 68, stipulano con le associazioni sindacali
dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative
a livello nazionale e con le associazioni di
rappresentanza,
assistenza
e tutela delle cooperative di cui
all'articolo 1, comma 1, lettera b), della legge 8 novembre 1991, n.
381, e con i consorzi di cui all'articolo 8 della stessa legge,
convenzioni quadro su base territoriale, che devono essere validate
da parte delle regioni, sentiti gli organismi di concertazione di cui
al decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, e successive
modificazioni ed integrazioni, aventi ad oggetto il conferimento di
commesse di lavoro alle cooperative sociali medesime da parte delle
imprese associate o aderenti.
2. La convenzione quadro disciplina i seguenti aspetti:
a) le modalita' di adesione da parte delle imprese interessate;
b) i criteri di individuazione dei lavoratori svantaggiati da
inserire al lavoro in cooperativa; l'individuazione dei disabili
sara' curata dai servizi di cui all'articolo 6, comma 1, della legge
12 marzo 1999, n. 68;
c) le modalita' di attestazione del valore complessivo del lavoro
annualmente conferito da ciascuna impresa e la correlazione con il
numero dei lavoratori svantaggiati inseriti al lavoro in cooperativa;
d) la determinazione del coefficiente di calcolo del valore
unitario delle commesse, ai fini del computo di cui al comma 3,
secondo criteri di congruita' con i costi del lavoro derivati dai
contratti
collettivi
di categoria applicati dalle cooperative
sociali;
e) la promozione e lo sviluppo delle commesse di lavoro a favore
delle cooperative sociali;
f) l'eventuale
costituzione,
anche nell'ambito dell'agenzia
sociale di cui all'articolo 13 di una struttura tecnico-operativa
senza scopo di lucro a supporto delle attivita' previste dalla
convenzione;
g) i limiti di percentuali massime di copertura della quota
d'obbligo da realizzare con lo strumento della convenzione.
3. Allorche' l'inserimento lavorativo nelle cooperative sociali,
realizzato in virtu' dei commi 1 e 2, riguardi i lavoratori disabili,
che
presentino
particolari
caratteristiche
e difficolta' di
inserimento nel ciclo lavorativo ordinario, in base alla esclusiva
valutazione dei servizi di cui all'articolo 6, comma 1, della legge
12 marzo 1999, n. 68, lo stesso si considera utile ai fini della
copertura della quota di riserva, di cui all'articolo 3 della stessa
legge cui sono tenute le imprese conferenti. Il numero delle
coperture per ciascuna impresa e' dato dall'ammontare annuo delle
commesse dalla stessa conferite diviso per il coefficiente di cui al
comma 2, lettera d), e nei limiti di percentuali massime stabilite
con le convenzioni quadro di cui al comma 1. Tali limiti percentuali
non hanno effetto nei confronti delle imprese che occupano da 15 a 35
Cooperative
sociali
e
dipendenti.
La
congruita' della computabilita' dei lavoratori
inseriti in cooperativa sociale sara' verificata dalla Commissione
provinciale del lavoro.
4.
L'applicazione
delle disposizioni di cui al comma 3 e'
subordinata
all'adempimento
degli
obblighi
di assunzione di
lavoratori disabili ai fini della copertura della restante quota
d'obbligo a loro carico determinata ai sensi dell'articolo 3 della
legge 12 marzo 1999, n. 68.
Capo III
Borsa continua nazionale del lavoro e monitoraggio statistico
Art. 15.
Principi e criteri generali
1. A garanzia dell'effettivo godimento del diritto al lavoro di cui
all'articolo 4
della
Costituzione,
e
nel
pieno
rispetto
dell'articolo 120 della Costituzione stessa, viene costituita la
borsa
continua
nazionale del lavoro, quale sistema aperto e
trasparente di incontro tra domanda e offerta di lavoro basato su una
rete di nodi regionali. Tale sistema e' alimentato da tutte le
informazioni utili a tale scopo immesse liberamente nel sistema
stesso
sia dagli operatori pubblici e privati, autorizzati o
accreditati, sia direttamente dai lavoratori e dalle imprese.
2.
La
borsa
continua nazionale del lavoro e' liberamente
accessibile da parte dei lavoratori e delle imprese e deve essere
consultabile da un qualunque punto della rete. I lavoratori e le
imprese hanno facolta' di inserire nuove candidature o richieste di
personale direttamente e senza rivolgersi ad alcun intermediario da
qualunque punto di rete attraverso gli accessi appositamente dedicati
da tutti i soggetti pubblici e privati, autorizzati o accreditati.
3. Gli operatori pubblici e privati, accreditati o autorizzati,
hanno l'obbligo di conferire alla borsa continua nazionale del lavoro
i dati acquisiti, in base alle indicazioni rese dai lavoratori ai
sensi dell'articolo 8 e a quelle rese dalle imprese riguardo l'ambito
temporale e territoriale prescelto.
4. Gli ambiti in cui si articolano i servizi della borsa continua
nazionale del lavoro sono:
a) un livello nazionale finalizzato:
1) alla definizione degli standard tecnici nazionali e dei
flussi informativi di scambio;
2) alla interoperabilita' dei sistemi regionali;
3)
alla
definizione dell'insieme delle informazioni che
permettano la massima efficacia e trasparenza del processo di
incontro tra domanda e offerta di lavoro;
b) un livello regionale che, nel quadro delle competenze proprie
delle regioni di programmazione e gestione delle politiche regionali
del lavoro:
1) realizza l'integrazione dei sistemi pubblici e privati
presenti sul territorio;
2) definisce e realizza il modello di servizi al lavoro;
3)
coopera alla definizione degli standard nazionali di
intercomunicazione.
5. Il coordinamento tra il livello nazionale e il livello regionale
deve in ogni caso garantire, nel rispetto degli articoli 4 e 120
della Costituzione, la piena operativita' della borsa continua
nazionale del lavoro in ambito nazionale e comunitario. A tal fine il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali rende disponibile
l'offerta degli strumenti tecnici alle regioni e alle province
autonome che ne facciano richiesta nell'ambito dell'esercizio delle
loro competenze.
Art. 16.
Standard tecnici e flussi informativi di scambio
1. Il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con decreto da
adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo, stabilisce, di concerto con il Ministro
della innovazione e della tecnologia, e d'intesa con le regioni e le
province autonome, gli standard tecnici e i flussi informativi di
scambio tra i sistemi, nonche' le sedi tecniche finalizzate ad
assicurare il raccordo e il coordinamento del sistema a livello
nazionale.
2. La definizione degli standard tecnici e dei flussi informativi
di scambio tra i sistemi avviene nel rispetto delle competenze
definite nell'Accordo Stato-regioni-autonomie locali dell'11 luglio
2002 e delle disposizioni di cui all'articolo 31, comma 2, della
legge 31 dicembre 1996, n. 675.
Art. 17.
Monitoraggio statistico e valutazione delle politiche del lavoro
1. Le basi informative costituite nell'ambito della borsa continua
nazionale del lavoro, nonche' le registrazioni delle comunicazioni
dovute dai datori di lavoro ai servizi competenti e la registrazione
delle attivita' poste in essere da questi nei confronti degli utenti
per
come
riportate
nella scheda anagrafico-professionale dei
lavoratori costituiscono una base statistica omogenea e condivisa per
le azioni di monitoraggio dei servizi svolte ai sensi del presente
decreto legislativo e poste in essere dal Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, le regioni e le province per i rispettivi
ambiti territoriali di riferimento. Le relative indagini statistiche
sono effettuate in forma anonima.
2. A tal fine, la definizione e la manutenzione applicativa delle
basi informative in questione, nonche' di quelle in essere presso gli
Enti previdenziali in tema di contribuzioni percepite e prestazioni
erogate, tiene conto delle esigenze conoscitive generali, incluse
quelle di ordine statistico complessivo rappresentate nell'ambito del
SISTAN e da parte dell'ISTAT, nonche' di quesiti specifici di
valutazione di singole politiche ed interventi formulati ai sensi e
con le modalita' dei commi successivi del presente articolo.
3. I decreti ministeriali di cui agli articoli 1-bis e 4-bis, comma
7 del decreto legislativo n. 181 del 2000, come modificati dagli
articoli 2 e 6 del decreto legislativo n. 297 del 2002, cosi' come la
definizione di tutti i flussi informativi che rientrano nell'ambito
della borsa continua nazionale del lavoro, ivi inclusi quelli di
pertinenza degli Enti previdenziali, sono adottati dal Ministero del
lavoro e delle politiche sociali, tenuto conto delle esigenze
definite nei commi 1 e 2, previo parere dell'ISTAT e dell'ISFOL. Il
Ministero del lavoro e delle politiche sociali impartisce inoltre,
entro tre mesi dalla attuazione del presente decreto, le necessarie
direttive agli Enti previdenziali, avvalendosi a tale scopo delle
indicazioni di una Commissione di esperti in politiche del lavoro,
statistiche del lavoro e monitoraggio e valutazione delle politiche
occupazionali, da costituire presso lo stesso Ministero ed in cui
siano presenti rappresentanti delle regioni e delle province, degli
Enti
previdenziali,
dell'ISTAT,
dell'ISFOL
e
del Ministero
dell'economia e delle finanze oltre che del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali.
4. La medesima Commissione di cui al comma 3, integrata con
rappresentanti
delle
parti sociali, e' inoltre incaricata di
definire, entro sei mesi dalla attuazione del presente decreto, una
serie di indicatori di monitoraggio finanziario, fisico e procedurale
dei diversi interventi di cui alla presente legge. Detti indicatori,
previo
esame
ed
approvazione
della
Conferenza
unificata,
costituiranno
linee guida per le attivita' di monitoraggio e
valutazione condotte dal Ministero del lavoro e delle politiche
sociali, dalle regioni e dalle province per i rispettivi ambiti
territoriali di riferimento e in particolare per il contenuto del
Rapporto annuale di cui al comma 6.
5. In attesa dell'entrata a regime della borsa continua nazionale
del lavoro il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
predispone,
d'intesa
con
la
Conferenza
unificata
di
cui
all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, uno o
piu' modelli di rilevazione da somministrare alle agenzie autorizzate
o accreditate, nonche' agli enti di cui all'articolo 6. La mancata
risposta al questionario di cui al comma precedente e' valutata ai
fini del ritiro dell'autorizzazione o accreditamento.
6. Sulla base di tali strumenti di informazione, e tenuto conto
delle linee guida definite con le modalita' di cui al comma 4 nonche'
della formulazione di specifici quesiti di valutazione di singole
politiche
ed interventi formulati annualmente dalla Conferenza
unificata o derivanti dall'implementazione di obblighi e programmi
comunitari, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
avvalendosi di proprie strutture tecniche e col supporto dell'ISFOL,
predispone un Rapporto annuale, al Parlamento e alla Conferenza
unificata, che presenti una rendicontazione dettagliata e complessiva
delle politiche esistenti, e al loro interno dell'evoluzione dei
servizi di cui al presente decreto legislativo, sulla base di schemi
statistico-contabili oggettivi e internazionalmente comparabili e in
grado di fornire elementi conoscitivi di supporto alla valutazione
delle singole politiche che lo stesso Ministero, le regioni, le
province o altri attori responsabili della conduzione, del disegno o
del coordinamento delle singole politiche intendano esperire.
7. Le attivita' di monitoraggio devono consentire di valutare
l'efficacia delle politiche attive per il lavoro, nonche' delle
misure contenute nel presente decreto, anche nella prospettiva delle
pari opportunita' e, in particolare, della integrazione nel mercato
del lavoro dei lavoratori svantaggiati.
8. Con specifico riferimento ai contratti di apprendistato, e'
istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali da
adottarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore del
presente decreto, una Commissione di sorveglianza con compiti di
valutazione in itinere della riforma. Detta Commissione e' composta
da rappresentanti ed esperti designati dal Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, nel cui ambito si individua il Presidente,
dal Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca dalle
regioni e province autonome, dalle parti sociali, dall'I.N.P.S. e
dall'ISFOL.
La Commissione, che si riunisce almeno tre volte
all'anno, definisce in via preventiva indicatori di risultato e di
impatto e formula linee guida per la valutazione, predisponendo
quesiti valutativi del cui soddisfacimento il Rapporto annuale di cui
al comma 6 dovra' farsi carico e puo' commissionare valutazioni
puntuali su singoli aspetti della riforma. Sulla base degli studi
valutativi commissionati nonche' delle informazioni contenute nel
Rapporto annuale di cui al comma precedente, la Commissione potra'
annualmente formulare pareri e valutazioni. In ogni caso, trascorsi
tre anni dalla approvazione del presente decreto, la Commissione
predisporra' una propria Relazione che, sempre sulla base degli studi
e delle evidenze prima richiamate, evidenzi le realizzazioni e i
problemi esistenti, evidenziando altresi' le possibili modifiche alle
politiche in oggetto. Le risorse per gli studi in questione derivano
dal bilancio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali Ufficio
centrale
orientamento
e formazione professionale dei
lavoratori.
Capo IV
Regime sanzionatorio
Art. 18.
Sanzioni penali
1. L'esercizio
non
autorizzato
delle
attivita'
di
cui
all'articolo 4, comma 1, e' punito con la sanzione dell'ammenda di
Euro 5 per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro.
L'esercizio abusivo della attivita' di intermediazione e' punito con
la pena dell'arresto fino a sei mesi e l'ammenda da Euro 1.500 a
Euro 7.500. Se non vi e' scopo di lucro la pena e' della ammenda da
Euro 500 a Euro 2.500. Se vi e' sfruttamento dei minori, la pena e'
dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda e' aumentata fino al
sestuplo. Nel caso di condanna, e' disposta in ogni caso la confisca
del mezzo di trasporto eventualmente adoperato per l'esercizio delle
attivita' di cui al presente comma.
2.
Nei
confronti
dell'utilizzatore
che
ricorra
alla
somministrazione di prestatori di lavoro da parte di soggetti diversi
da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a), ovvero da parte
di soggetti diversi da quelli di cui all'articolo 4, comma 1, lettera
b), o comunque al di fuori dei limiti ivi previsti, si applica la
pena dell'ammenda di Euro 5 per ogni lavoratore occupato e per ogni
giornata di occupazione. Se vi e' sfruttamento dei minori, la pena e'
dell'arresto fino a diciotto mesi e l'ammenda e' aumentata fino al
sestuplo.
3. La violazione degli obblighi e dei divieti di cui agli
articoli 20, commi 1, 3, 4 e 5, e 21, commi 1, 2, nonche' per il solo
somministratore, la violazione del disposto di cui al comma 3 del
medesimo
articolo 21 e' punita con la sanzione amministrativa
pecuniaria da Euro 250 a Euro 1.250.
4. Fatte salve le ipotesi di cui all'articolo 11, comma 2, chi
esiga o comunque percepisca compensi da parte del lavoratore per
avviarlo a prestazioni di lavoro oggetto di somministrazione e'
punito con la pena alternativa dell'arresto non superiore ad un anno
e dell'ammenda da Euro 2.500 a Euro 6.000. In aggiunta alla sanzione
penale e' disposta la cancellazione dall'albo.
5. In caso di violazione dell'articolo 10 trovano applicazione le
disposizioni di cui all'articolo 38 della legge 20 maggio 1970, n.
300, nonche' nei casi piu' gravi, l'autorita' competente procede alla
sospensione della autorizzazione di cui all'articolo 4. In ipotesi di
recidiva viene revocata l'autorizzazione.
6. Entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente
decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali dispone,
con proprio decreto, criteri interpretativi certi per la definizione
delle varie forme di contenzioso in atto riferite al pregresso regime
in materia di intermediazione e interposizione nei rapporti di
lavoro.
Art. 19.
Sanzioni amministrative
1. Gli editori, i direttori responsabili e i gestori di siti sui
quali siano pubblicati annunci in violazione delle disposizioni di
cui all'articolo 9 sono puniti con una sanzione amministrativa
pecuniaria da 4.000 a 12.000 euro.
2. La violazione degli obblighi di cui all'articolo 4-bis, comma 2,
del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, cosi' come modificato
dall'articolo 6, comma 1 del decreto legislativo 19 dicembre 2002, n.
297, e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 250 a
1.500 euro per ogni lavoratore interessato.
3. La violazione degli obblighi di cui all'articolo 4-bis, commi 5
e 7, del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, cosi' come
modificato dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 19
dicembre 2002, n. 297, di cui all'articolo 9-bis, comma 2, del
decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito, con modificazioni,
dalla
legge
28 novembre 1996, n. 608, cosi' come sostituito
dall'articolo 6, comma 3, del citato decreto legislativo n. 297 del
2002, e di cui all'articolo 21, comma 1, della legge 24 aprile 1949,
n. 264, cosi' come sostituito dall'articolo 6, comma 2, del decreto
legislativo n. 297 del 2002, e' punita con la sanzione amministrativa
pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato.
4. La violazione degli obblighi di cui all'articolo 4-bis, comma 4,
del decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, cosi' come modificato
dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 19 dicembre 2002,
n. 297, e' punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a
250 euro per ogni lavoratore interessato.
5.
Nel
caso
di
omessa
comunicazione contestuale, omessa
comunicazione di cessazione e omessa comunicazione di trasformazione,
i datori di lavoro comprese le pubbliche amministrazioni sono ammessi
al pagamento della sanzione minima ridotta della meta' qualora
l'adempimento della comunicazione venga effettuato spontaneamente
entro il termine di cinque giorni decorrenti dalla data di inizio
dell'omissione.
Titolo III
SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO APPALTO DI SERVIZI, DISTACCO
Capo I
Somministrazione di lavoro
Art. 20.
Condizioni di liceita'
1. Il contratto di somministrazione di lavoro puo' essere concluso
da ogni soggetto, di seguito denominato utilizzatore, che si rivolga
ad altro soggetto, di seguito denominato somministratore, a cio'
autorizzato ai sensi delle disposizioni di cui agli articoli 4 e 5.
2. Per tutta la durata della somministrazione i lavoratori svolgono
la propria attivita' nell'interesse nonche' sotto la direzione e il
controllo dell'utilizzatore. Nell'ipotesi in cui i lavoratori vengano
assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato essi rimangono
a disposizione del somministratore per i periodi in cui non svolgono
la prestazione lavorativa presso un utilizzatore, salvo che esista
una giusta causa o un giustificato motivo di risoluzione del
contratto di lavoro.
3. Il contratto di somministrazione di lavoro puo' essere concluso
a termine o a tempo indeterminato. La somministrazione di lavoro a
tempo indeterminato e' ammessa:
a) per
servizi
di
consulenza
e
assistenza nel settore
informatico,
compresa la progettazione e manutenzione di reti
intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di
software applicativo, caricamento dati;
b) per servizi di pulizia, custodia, portineria;
c) per servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone
e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci;
d) per la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi,
magazzini, nonche' servizi di economato;
e) per attivita' di consulenza direzionale, assistenza alla
certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo
e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del
personale;
f) per attivita' di marketing, analisi di mercato, organizzazione
della funzione commerciale;
g) per la gestione di call-center, nonche' per l'avvio di nuove
iniziative
imprenditoriali
nelle
aree Obiettivo 1 di cui al
regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999,
recante disposizioni generali sui Fondi strutturali;
h) per costruzioni edilizie all'interno degli stabilimenti, per
installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, per particolari
attivita' produttive, con specifico riferimento all'edilizia e alla
cantieristica navale, le quali richiedano piu' fasi successive di
lavorazione, l'impiego di manodopera diversa per specializzazione da
quella normalmente impiegata nell'impresa;
i) in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di
lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori
e prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative.
4. La somministrazione di lavoro a tempo determinato e' ammessa a
fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o
sostitutivo,
anche
se
riferibili
all'ordinaria
attivita'
dell'utilizzatore. La individuazione, anche in misura non uniforme,
di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a
tempo determinato e' affidata ai contratti collettivi nazionali di
lavoro stipulati da sindacati comparativamente piu' rappresentativi
in conformita' alla disciplina di cui all'articolo 10 del decreto
legislativo 6 settembre 2001, n. 368.
5. Il contratto di somministrazione di lavoro e' vietato:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di
sciopero;
b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso
unita' produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi
precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24
della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori
adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di
somministrazione ovvero presso unita' produttive nelle quali sia
operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario,
con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino
lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto
di somministrazione;
c)
da parte delle imprese che non abbiano effettuato la
valutazione
dei
rischi
ai sensi dell'articolo 4 del decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modifiche.
Art. 21.
Forma del contratto di somministrazione
1. Il contratto di somministrazione di manodopera e' stipulato in
forma scritta e contiene i seguenti elementi:
a) gli estremi dell'autorizzazione rilasciata al somministratore;
b) il numero dei lavoratori da somministrare;
c) i
casi e le ragioni di carattere tecnico, produttivo,
organizzativo o sostitutivo di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 20;
d)
l'indicazione
della
presenza di eventuali rischi per
l'integrita' e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione
adottate;
e) la data di inizio e la durata prevista del contratto di
somministrazione;
f) le mansioni alle quali saranno adibiti i lavoratori e il loro
inquadramento;
g) il luogo, l'orario e il trattamento economico e normativo
delle prestazioni lavorative;
h) assunzione da parte del somministratore della obbligazione del
pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonche'
del versamento dei contributi previdenziali;
i) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di rimborsare al
somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questa
effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro;
j) assunzione dell'obbligo dell'utilizzatore di comunicare al
somministratore i trattamenti retributivi applicabili ai lavoratori
comparabili;
k) assunzione
da
parte
dell'utilizzatore,
in
caso
di
inadempimento del somministratore, dell'obbligo del pagamento diretto
al lavoratore del trattamento economico nonche' del versamento dei
contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il
somministratore.
2. Nell'indicare gli elementi di cui al comma 1, le parti devono
recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi.
3. Le informazioni di cui al comma 1, nonche' la data di inizio e
la
durata
prevedibile
dell'attivita'
lavorativa
presso
l'utilizzatore, devono essere comunicate per iscritto al prestatore
di lavoro da parte del somministratore all'atto della stipulazione
del
contratto
di
lavoro
ovvero
all'atto dell'invio presso
l'utilizzatore.
4. In mancanza di forma scritta, con indicazione degli elementi di
cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 1, il contratto di
somministrazione e' nullo e i lavoratori sono considerati a tutti gli
effetti alle dipendenze dell'utilizzatore.
Art. 22.
Disciplina dei rapporti di lavoro
1. In caso di somministrazione a tempo indeterminato i rapporti di
lavoro tra somministratore e prestatori di lavoro sono soggetti alla
disciplina generale dei rapporti di lavoro di cui al codice civile e
alle leggi speciali.
2. In caso di somministrazione a tempo determinato il rapporto di
lavoro tra somministratore e prestatore di lavoro e' soggetto alla
disciplina di cui al decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368,
per
quanto compatibile, e in ogni caso con esclusione delle
disposizioni di cui all'articolo 5, commi 3 e 4. Il termine
inizialmente posto al contratto di lavoro puo' in ogni caso essere
prorogato, con il consenso del lavoratore e per atto scritto, nei
casi e per la durata prevista dal contratto collettivo applicato dal
somministratore.
3. Nel caso in cui il prestatore di lavoro sia assunto con
contratto stipulato a tempo indeterminato, nel medesimo e' stabilita
la misura della indennita' mensile di disponibilita', divisibile in
quote orarie, corrisposta dal somministratore al lavoratore per i
periodi
nei
quali il lavoratore stesso rimane in attesa di
assegnazione. La misura di tale indennita' e' stabilita dal contratto
collettivo applicabile al somministratore e comunque non e' inferiore
alla misura prevista, ovvero aggiornata periodicamente, con decreto
del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. La predetta misura
e' proporzionalmente ridotta in caso di assegnazione ad attivita'
lavorativa
a
tempo parziale anche presso il somministratore.
L'indennita' di disponibilita' e' esclusa dal computo di ogni
istituto di legge o di contratto collettivo.
4. Le disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 23 luglio
1991, n. 223, non trovano applicazione anche nel caso di fine dei
lavori connessi alla somministrazione a tempo indeterminato. In
questo caso trovano applicazione l'articolo 3 della legge 15 luglio
1966, n. 604, e le tutele del lavoratore di cui all'articolo 12.
5. In caso di contratto di somministrazione, il prestatore di
lavoro non e' computato nell'organico dell'utilizzatore ai fini della
applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, fatta
eccezione per quelle relative alla materia dell'igiene e della
sicurezza sul lavoro.
6. La disciplina in materia di assunzioni obbligatorie e la riserva
di cui all'articolo 4-bis, comma 3, del decreto legislativo n. 181
del 2000, non si applicano in caso di somministrazione.
Tutela
del
Art. 23.
prestatore di lavoro esercizio del potere disciplinare e
regime della solidarieta'
1. I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto a un
trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a
quello dei dipendenti di pari livello dell'utilizzatore, a parita' di
mansioni svolte. Restano in ogni caso salve le clausole dei contratti
collettivi nazionali di lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 1,
comma 3, della legge 24 giugno 1997, n. 196.
2. La disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione con
riferimento ai contratti di somministrazione conclusi da soggetti
privati autorizzati nell'ambito di specifici programmi di formazione,
inserimento e riqualificazione professionale erogati, a favore dei
lavoratori svantaggiati, in concorso con Regioni, Province ed enti
locali ai sensi e nei limiti di cui all'articolo 13.
3. L'utilizzatore e' obbligato in solido con il somministratore a
corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi
previdenziali.
4. I contratti collettivi applicati dall'utilizzatore stabiliscono
modalita' e criteri per la determinazione e corresponsione delle
erogazioni
economiche
correlate ai risultati conseguiti nella
realizzazione di programmi concordati tra le parti o collegati
all'andamento economico dell'impresa. I lavoratori dipendenti dal
somministratore hanno altresi' diritto a fruire di tutti i servizi
sociali e assistenziali di cui godono i dipendenti dell'utilizzatore
addetti
alla stessa unita' produttiva, esclusi quelli il cui
godimento sia condizionato alla iscrizione ad associazioni o societa'
cooperative o al conseguimento di una determinata anzianita' di
servizio.
5. Il somministratore informa i lavoratori sui rischi per la
sicurezza e la salute connessi alle attivita' produttive in generale
e li forma e addestra all'uso delle attrezzature di lavoro necessarie
allo svolgimento della attivita' lavorativa per la quale essi vengono
assunti
in
conformita'
alle disposizioni recate dal decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni ed
integrazioni. Il contratto di somministrazione puo' prevedere che
tale obbligo sia adempiuto dall'utilizzatore; in tale caso ne va
fatta indicazione nel contratto con il lavoratore. Nel caso in cui le
mansioni cui e' adibito il prestatore di lavoro richiedano una
sorveglianza
medica
speciale
o
comportino rischi specifici,
l'utilizzatore ne informa il lavoratore conformemente a quanto
previsto dal decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e
successive modificazioni ed integrazioni. L'utilizzatore osserva
altresi', nei confronti del medesimo prestatore, tutti gli obblighi
di protezione previsti nei confronti dei propri dipendenti ed e'
responsabile
per
la
violazione
degli obblighi di sicurezza
individuati dalla legge e dai contratti collettivi.
6. Nel caso in cui adibisca il lavoratore a mansioni superiori o
comunque a mansioni non equivalenti a quelle dedotte in contratto,
l'utilizzatore
deve
darne
immediata comunicazione scritta al
somministratore consegnandone copia al lavoratore medesimo. Ove non
abbia adempiuto all'obbligo di informazione, l'utilizzatore risponde
in
via
esclusiva per le differenze retributive spettanti al
lavoratore
occupato
in
mansioni superiori e per l'eventuale
risarcimento del danno derivante dalla assegnazione a mansioni
inferiori.
7. Ai fini dell'esercizio del potere disciplinare, che e' riservato
al somministratore, l'utilizzatore comunica al somministratore gli
elementi
che
formeranno oggetto della contestazione ai sensi
dell'articolo 7 della legge 20 maggio 1970, n. 300.
8. In caso di somministrazione di lavoro a tempo determinato e'
nulla ogni clausola diretta a limitare, anche indirettamente, la
facolta' dell'utilizzatore di assumere il lavoratore al termine del
contratto di somministrazione.
9. La disposizione di cui al comma 8 non trova applicazione nel
caso in cui al lavoratore sia corrisposta una adeguata indennita',
secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicabile al
somministratore.
Art. 24.
Diritti sindacali e garanzie collettive
1. Ferme restando le disposizioni specifiche per il lavoro in
cooperativa,
ai
lavoratori
delle
societa'
o
imprese
di
somministrazione e degli appaltatori si applicano i diritti sindacali
previsti
dalla
legge
20 maggio
1970, n. 300, e successive
modificazioni.
2.
Il prestatore di lavoro ha diritto a esercitare presso
l'utilizzatore, per tutta la durata della somministrazione, i diritti
di liberta' e di attivita' sindacale nonche' a partecipare alle
assemblee del personale dipendente delle imprese utilizzatrici.
2.
Ai
prestatori
di
lavoro che dipendono da uno stesso
somministratore e che operano presso diversi utilizzatori compete uno
specifico diritto di riunione secondo la normativa vigente e con le
modalita' specifiche determinate dalla contrattazione collettiva.
4. L'utilizzatore comunica alla rappresentanza sindacale unitaria,
ovvero
alle
rappresentanze
aziendali
e,
in mancanza, alle
associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni
dei
lavoratori comparativamente piu' rappresentative sul piano
nazionale:
a) il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione di
lavoro prima della stipula del contratto di somministrazione; ove
ricorrano motivate ragioni di urgenza e necessita' di stipulare il
contratto, l'utilizzatore fornisce le predette comunicazioni entro i
cinque giorni successivi;
b) ogni dodici mesi, anche per il tramite della associazione dei
datori di lavoro alla quale aderisce o conferisce mandato, il numero
e i motivi dei contratti di somministrazione di lavoro conclusi, la
durata degli stessi, il numero e la qualifica dei lavoratori
interessati.
Art. 25.
Norme previdenziali
1.
Gli
oneri
contributivi,
previdenziali, assicurativi ed
assistenziali, previsti dalle vigenti disposizioni legislative, sono
a carico del somministratore che, ai sensi e per gli effetti di cui
all'articolo 49 della legge 9 marzo 1989, n. 88, e' inquadrato nel
settore
terziario.
Sulla indennita' di disponibilita' di cui
all'articolo 22, comma 3, i contributi sono versati per il loro
effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in
materia di minimale contributivo.
2. Il somministratore non e' tenuto al versamento della aliquota
contributiva di cui all'articolo 25, comma 4, della legge 21 dicembre
1978, n. 845.
3. Gli obblighi per l'assicurazione contro gli infortuni e le
malattie professionali previsti dal decreto del Presidente della
Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, e successive modificazioni, sono
determinati in relazione al tipo e al rischio delle lavorazioni
svolte. I premi e i contributi sono determinati in relazione al tasso
medio,
o
medio ponderato, stabilito per la attivita' svolta
dall'impresa
utilizzatrice,
nella
quale sono inquadrabili le
lavorazioni svolte dai lavoratori temporanei, ovvero sono determinati
in base al tasso medio, o medio ponderato, della voce di tariffa
corrispondente
alla
lavorazione
effettivamente
prestata
dal
lavoratore temporaneo, ove presso l'impresa utilizzatrice la stessa
non sia gia' assicurata.
4. Nel settore agricolo e in caso di somministrazione di lavoratori
domestici
trovano applicazione i criteri erogativi, gli
previdenziali e assistenziali previsti dai relativi settori.
oneri
Art. 26.
Responsabilita' civile
1. Nel caso di somministrazione di lavoro l'utilizzatore risponde
nei confronti dei terzi dei danni a essi arrecati dal prestatore di
lavoro nell'esercizio delle sue mansioni.
Art. 27.
Somministrazione irregolare
1. Quando la somministrazione di lavoro avvenga al di fuori dei
limiti e delle condizioni di cui agli articoli 20 e 21, comma 1,
lettere a), b), c), d) ed e), il lavoratore puo' chiedere, mediante
ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura
civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la
prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze
di quest'ultimo, con effetto dall'inizio della somministrazione.
2. Nelle ipotesi di cui al comma 1 tutti i pagamenti effettuati dal
somministratore,
a
titolo
retributivo
o
di
contribuzione
previdenziale,
valgono
a
liberare
il
soggetto
che ne ha
effettivamente utilizzato la prestazione dal debito corrispondente
fino a concorrenza della somma effettivamente pagata. Tutti gli atti
compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del
rapporto, per il periodo durante il quale la somministrazione ha
avuto luogo, si intendono come compiuti dal soggetto che ne ha
effettivamente utilizzato la prestazione.
3. Ai fini della valutazione delle ragioni di cui all'articolo 20,
commi 3 e 4, che consentono la somministrazione di lavoro il
controllo giudiziale e' limitato esclusivamente, in conformita' ai
principi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza
delle ragioni che la giustificano e non puo' essere esteso fino al
punto
di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche,
organizzative o produttive che spettano all'utilizzatore.
Art. 28.
Somministrazione fraudolenta
1. Ferme restando le sanzioni di cui all'articolo 18, quando la
somministrazione di lavoro e' posta in essere con la specifica
finalita' di eludere norme inderogabili di legge o di contratto
collettivo applicato al lavoratore, somministratore e utilizzatore
sono puniti con una ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore
coinvolto e ciascun giorno di somministrazione.
Capo II
Appalto e distacco
Art. 29.
Appalto
1. Ai fini della applicazione delle norme contenute nel presente
titolo, il contratto di appalto, stipulato e regolamentato ai sensi
dell'articolo
1655
del
codice
civile,
si
distingue dalla
somministrazione di lavoro per la organizzazione dei mezzi necessari
da parte dell'appaltatore, che puo' anche risultare, in relazione
alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto,
dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei
lavoratori utilizzati nell'appalto, nonche' per la assunzione, da
parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa.
2. In caso di appalto di servizi il committente imprenditore o
datore di lavoro e' obbligato in solido con l'appaltatore, entro il
limite di un anno dalla cessazione dell'appalto, a corrispondere ai
lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali
dovuti.
3. L'acquisizione del personale gia' impiegato nell'appalto a
seguito di subentro di un nuovo appaltatore, in forza di legge, di
contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto
d'appalto,
non costituisce trasferimento d'azienda o di parte
d'azienda.
Art. 30.
Distacco
1. L'ipotesi del distacco si configura quando un datore di lavoro,
per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o piu'
lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una
determinata attivita' lavorativa.
2. In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del
trattamento economico e normativo a favore del lavoratore.
3. Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire
con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un
trasferimento a una unita' produttiva sita a piu' di 50 km da quella
in cui il lavoratore e' adibito, il distacco puo' avvenire soltanto
per
comprovate
ragioni
tecniche, organizzative, produttive o
sostitutive.
4. Resta ferma la disciplina prevista dall'articolo 8, comma 3, del
decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni,
dalla legge 19 luglio 1993, n. 236.
Titolo IV
DISPOSIZIONI IN MATERIA DI GRUPPI DI IMPRESA E TRASFERIMENTO
D'AZIENDA
Art. 31.
Gruppi di impresa
1. I gruppi di impresa, individuati ai sensi dell'articolo 2359 del
codice civile e del decreto legislativo 2 aprile 2002, n. 74, possono
delegare lo svolgimento degli adempimenti di cui all'articolo 1 della
legge 11 gennaio 1979, n. 12, alla societa' capogruppo per tutte le
societa' controllate e collegate.
2. I consorzi, ivi compresi quelli costituiti in forma di societa'
cooperativa di cui all'articolo 27 del decreto legislativo del Capo
provvisorio dello Stato 14 dicembre 1947, n. 1577, possono svolgere
gli adempimenti di cui all'articolo 1 della legge 11 gennaio 1979, n.
12, per conto dei soggetti consorziati o delegarne l'esecuzione a una
societa' consorziata.
3. Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non rilevano ai fini della
individuazione del soggetto titolare delle obbligazioni contrattuali
e legislative in capo alle singole societa' datrici di lavoro.
Art. 32.
Modifica all'articolo 2112 comma quinto, del Codice civile
1. Fermi restando i diritti dei prestatori di lavoro in caso di
trasferimento d'azienda di cui alla normativa di recepimento delle
direttive europee in materia, il comma quinto dell'articolo 2112 del
codice civile e' sostituito dal seguente: «Ai fini e per gli effetti
di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda
qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o
fusione, comporti il mutamento nella titolarita' di un'attivita'
economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al
trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identita' a
prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base
del quale il trasferimento e' attuato ivi compresi l'usufrutto o
l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si
applicano altresi' al trasferimento di parte dell'azienda, intesa
come articolazione funzionalmente autonoma di un'attivita' economica
organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al
momento del suo trasferimento».
2. All'articolo 2112 del codice civile e' aggiunto, in fine, il
seguente comma: «Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente
un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo
d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un
regime di solidarieta' di cui all'articolo 1676».
Titolo V
TIPOLOGIE CONTRATTUALI A ORARIO RIDOTTO, MODULATO O FLESSIBILE
Capo I
Lavoro intermittente
Art. 33.
Definizione e tipologie
1. Il contratto di lavoro intermittente e' il contratto mediante il
quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che
ne puo' utilizzare la prestazione lavorativa nei limiti di cui
all'articolo 34.
2. Il contratto di lavoro intermittente puo' essere stipulato anche
a tempo determinato.
Art. 34.
Casi di ricorso al lavoro intermittente
1. Il contratto di lavoro intermittente puo' essere concluso per lo
svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente
secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi stipulati da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative
sul piano nazionale o territoriale o, in via
provvisoriamente
sostitutiva, dal Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, con apposito decreto da adottarsi trascorsi sei
mesi
dalla
data
di entrata in vigore del presente decreto
legislativo.
2. In via sperimentale il contratto di lavoro intermittente puo'
essere altresi' concluso anche per prestazioni rese da soggetti in
stato di disoccupazione con meno di 25 anni di eta' ovvero da
lavoratori con piu' di 45 anni di eta' che siano stati espulsi dal
ciclo produttivo o siano iscritti alle liste di mobilita' e di
collocamento.
3. E' vietato il ricorso al lavoro intermittente:
a) per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di
sciopero;
b) salva diversa disposizione degli accordi sindacali, presso
unita' produttive nelle quali si sia proceduto, entro i sei mesi
precedenti, a licenziamenti collettivi ai sensi degli articoli 4 e 24
della legge 23 luglio 1991, n. 223, che abbiano riguardato lavoratori
adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro
intermittente
ovvero presso unita' produttive nelle quali sia
operante una sospensione dei rapporti o una riduzione dell'orario,
con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino
lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di
lavoro intermittente;
c) da
parte
delle imprese che non abbiano effettuato la
valutazione
dei
rischi
ai sensi dell'articolo 4 del decreto
legislativo 19 settembre 1994, n. 626, e successive modificazioni.
Art. 35.
Forma e comunicazioni
1. Il contratto di lavoro intermittente e' stipulato in forma
scritta ai fini della prova dei seguenti elementi:
a) indicazione
della
durata e delle ipotesi, oggettive o
soggettive, previste dall'articolo 34 che consentono la stipulazione
del contratto;
b) luogo e la modalita' della disponibilita', eventualmente
garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata del
lavoratore che in ogni caso non puo' essere inferiore a un giorno
lavorativo;
c) il trattamento economico e normativo spettante al lavoratore
per
la
prestazione
eseguita
e
la
relativa indennita' di
disponibilita', ove prevista, nei limiti di cui al successivo
articolo 36;
d) indicazione delle forme e modalita', con cui il datore di
lavoro e' legittimato a richiedere l'esecuzione della prestazione di
lavoro, nonche' delle modalita' di rilevazione della prestazione;
e) i tempi e le modalita' di pagamento della retribuzione e della
indennita' di disponibilita';
f) le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in
relazione al tipo di attivita' dedotta in contratto.
2. Nell'indicare gli elementi di cui al comma 1, le parti devono
recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi ove
previste.
3. Fatte salve previsioni piu' favorevoli dei contratti collettivi,
il datore di lavoro e' altresi' tenuto a informare con cadenza
annuale
le
rappresentanze sindacali aziendali, ove esistenti,
sull'andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente.
Art. 36.
Indennita' di disponibilita'
1. Nel contratto di lavoro intermittente e' stabilita la misura
della indennita' mensile di disponibilita', divisibile in quote
orarie, corrisposta al lavoratore per i periodi nei quali il
lavoratore stesso garantisce la disponibilita' al datore di lavoro in
attesa di utilizzazione. La misura di detta indennita' e' stabilita
dai contratti collettivi e comunque non e' inferiore alla misura
prevista, ovvero aggiornata periodicamente, con decreto del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali, sentite le associazioni dei
datori
e
dei
prestatori
di
lavoro
comparativamente
piu'
rappresentative sul piano nazionale.
2.
Sulla
indennita'
di disponibilita' di cui al comma 1
i contributi sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in
deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo.
3. L'indennita' di disponibilita' e' esclusa dal computo di ogni
istituto di legge o di contratto collettivo.
4. In caso di malattia o di altro evento che renda temporaneamente
impossibile rispondere alla chiamata, il lavoratore e' tenuto a
informare tempestivamente il datore di lavoro, specificando la durata
dell'impedimento. Nel periodo di temporanea indisponibilita' non
matura il diritto alla indennita' di disponibilita'.
5. Ove il lavoratore non provveda all'adempimento di cui al comma
che precede, perde il diritto alla indennita' di disponibilita' per
un periodo di quindici giorni, salva diversa previsione del contratto
individuale.
6. Le disposizioni di cui ai commi da 1 a 5 si applicano soltanto
nei
casi in cui il lavoratore si obbliga contrattualmente a
rispondere alla chiamata del datore di lavoro. In tal caso, il
rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata puo' comportare la
risoluzione del contratto, la restituzione della quota di indennita'
di disponibilita' riferita al periodo successivo all'ingiustificato
rifiuto, nonche' un congruo risarcimento del danno nella misura
fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto di
lavoro.
7. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali,
di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, e'
stabilita la misura della retribuzione convenzionale in riferimento
alla quale i lavoratori assunti ai sensi dell'articolo 33 possono
versare la differenza contributiva per i periodi in cui abbiano
percepito una retribuzione inferiore rispetto a quella convenzionale
ovvero abbiano usufruito della indennita' di disponibilita' fino a
concorrenza della medesima misura.
Art. 37.
intermittente per periodi predeterminati nell'arco della
settimana, del mese o dell'anno
1. Nel caso di lavoro intermittente per prestazioni da rendersi il
fine settimana, nonche' nei periodi delle ferie estive o delle
vacanze natalizie e pasquali l'indennita' di disponibilita' di cui
all'articolo 36 e' corrisposta al prestatore di lavoro solo in caso
di effettiva chiamata da parte del datore di lavoro.
2. Ulteriori periodi predeterminati possono esser previsti dai
contratti
collettivi
stipulati
da associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano
nazionale o territoriale.
Lavoro
Art. 38.
Principio di non discriminazione
1. Fermi restando i divieti di discriminazione diretta e indiretta
previsti dalla legislazione vigente, il lavoratore intermittente non
deve ricevere, per i periodi lavorati, un trattamento economico e
normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di
pari livello, a parita' di mansioni svolte.
2.
Il
trattamento economico, normativo e previdenziale del
lavoratore
intermittente
e' riproporzionato, in ragione della
prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per
quanto riguarda l'importo della retribuzione globale e delle singole
componenti di essa, nonche' delle ferie e dei trattamenti per
malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, maternita',
congedi parentali.
3. Per tutto il periodo durante il quale il lavoratore resta
disponibile a rispondere alla chiamata del datore di lavoro non e'
titolare di alcun diritto riconosciuto ai lavoratori subordinati ne'
matura alcun trattamento economico e normativo, salvo l'indennita' di
disponibilita' di cui all'articolo 36.
Art. 39.
Computo del lavoratore intermittente
1. Il prestatore di lavoro intermittente e' computato nell'organico
dell'impresa, ai fini della applicazione di normative di legge, in
proporzione all'orario di lavoro effettivamente svolto nell'arco di
ciascun semestre.
Art. 40.
Sostegno e valorizzazione della autonomia collettiva
1. Qualora, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore del
presente
decreto
legislativo,
non sia intervenuta, ai sensi
dell'articolo 34,
comma
1,
e
dell'articolo 37, comma 2, la
determinazione da parte del contratto collettivo nazionale dei casi
di ricorso al lavoro intermittente, il Ministro del lavoro e delle
politiche sociali convoca le organizzazioni sindacali interessate dei
datori di lavoro e dei lavoratori e le assiste al fine di promuovere
l'accordo. In caso di mancata stipulazione dell'accordo entro i
quattro mesi successivi, il Ministro del lavoro e delle politiche
sociali individua in via provvisoria e con proprio decreto, tenuto
conto
delle
indicazioni
contenute
nell'eventuale
accordo
interconfederale di cui all'articolo 86, comma 13, e delle prevalenti
posizioni espresse da ciascuna delle due parti interessate, i casi in
cui e' ammissibile il ricorso al lavoro intermittente ai sensi della
disposizione di cui all'articolo 34, comma 1, e dell'articolo 37,
comma 2.
Capo II
Lavoro ripartito
Art. 41.
Definizione e vincolo di solidarieta'
1. Il contratto di lavoro ripartito e' uno speciale contratto di
lavoro
mediante
il
quale due lavoratori assumono in solido
l'adempimento di una unica e identica obbligazione lavorativa.
2. Fermo restando il vincolo di solidarieta' di cui al comma 1 e
fatta salva una diversa intesa tra le parti contraenti, ogni
lavoratore
resta
personalmente
e
direttamente
responsabile
dell'adempimento della intera obbligazione lavorativa nei limiti di
cui al presente capo.
3. Fatte salve diverse intese tra le parti contraenti o previsioni
dei contratti o accordi collettivi, i lavoratori hanno la facolta' di
determinare discrezionalmente e in qualsiasi momento sostituzioni tra
di loro, nonche' di modificare consensualmente la collocazione
temporale dell'orario di lavoro, nel qual caso il rischio della
impossibilita' della prestazione per fatti attinenti a uno dei
coobbligati e' posta in capo all'altro obbligato.
4.
Eventuali
sostituzioni da parte di terzi, nel caso di
impossibilita' di uno o entrambi i lavoratori coobbligati, sono
vietate e possono essere ammesse solo previo consenso del datore di
lavoro.
5.
Salvo diversa intesa tra le parti, le dimissioni o il
licenziamento
di
uno
dei
lavoratori
coobbligati comportano
l'estinzione dell'intero vincolo contrattuale. Tale disposizione non
trova applicazione se, su richiesta del datore di lavoro, l'altro
prestatore di lavoro si renda disponibile ad adempiere l'obbligazione
lavorativa, integralmente o parzialmente, nel qual caso il contratto
di lavoro ripartito si trasforma in un normale contratto di lavoro
subordinato di cui all'articolo 2094 del codice civile.
6. Salvo diversa intesa tra le parti, l'impedimento di entrambi i
lavoratori coobbligati e' disciplinato ai sensi dell'articolo 1256
del codice civile.
Art. 42.
Forma e comunicazioni
1. Il contratto di lavoro ripartito e' stipulato in forma scritta
ai fini della prova dei seguenti elementi:
a) la misura percentuale e la collocazione temporale del lavoro
giornaliero, settimanale, mensile o annuale che si prevede venga
svolto da ciascuno dei lavoratori coobbligati, secondo le intese tra
loro intercorse, ferma restando la possibilita' per gli stessi
lavoratori di determinare discrezionalmente, in qualsiasi momento, la
sostituzione tra di loro ovvero la modificazione consensuale della
distribuzione dell'orario di lavoro;
b) il luogo di lavoro, nonche' il trattamento economico e
normativo spettante a ciascun lavoratore;
c) le eventuali misure di sicurezza specifiche necessarie in
relazione al tipo di attivita' dedotta in contratto.
2. Ai fini della possibilita' di certificare le assenze, i
lavoratori sono tenuti a informare preventivamente il datore di
lavoro, con cadenza almeno settimanale, in merito all'orario di
lavoro di ciascuno dei soggetti coobbligati.
Art. 43.
Disciplina applicabile
1. La regolamentazione del lavoro ripartito e' demandata alla
contrattazione collettiva nel rispetto delle previsioni contenute nel
presente capo.
2. In assenza di contratti collettivi, e fatto salvo quanto
stabilito
nel presente capo, trova applicazione, nel caso di
prestazioni rese a favore di un datore di lavoro, la normativa
generale
del lavoro subordinato in quanto compatibile con la
particolare natura del rapporto di lavoro ripartito.
Art. 44.
Principio di non discriminazione
1. Fermi restando i divieti di discriminazione diretta e indiretta
previsti dalla legislazione vigente, il lavoratore coobbligato deve
ricevere,
per i periodi lavorati, un trattamento economico e
normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di
pari livello, a parita' di mansioni svolte.
2. Il trattamento economico e normativo dei lavoratori coobbligati
e'
riproporzionato,
in
ragione
della prestazione lavorativa
effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l'importo
della retribuzione globale e delle singole componenti di essa,
nonche' delle ferie e dei trattamenti per malattia, infortunio sul
lavoro, malattia professionale, congedi parentali.
3. Ciascuno dei lavoratori coobbligati ha diritto di partecipare
alle riunioni assembleari di cui all'articolo 20, legge 20 maggio
1970, n. 300, entro il previsto limite complessivo di dieci ore
annue,
il
cui
trattamento economico verra' ripartito fra i
coobbligati
proporzionalmente
alla
prestazione
lavorativa
effettivamente eseguita.
Art. 45.
Disposizioni previdenziali
1. Ai
fini delle prestazioni della assicurazione generale e
obbligatoria per la invalidita', la vecchiaia ed i superstiti, della
indennita' di malattia e di ogni altra prestazione previdenziale e
assistenziale e delle relative contribuzioni connesse alla durata
giornaliera,
settimanale,
mensile o annuale della prestazione
lavorativa i lavoratori contitolari del contratto di lavoro ripartito
sono assimilati ai lavoratori a tempo parziale. Il calcolo delle
prestazioni
e
dei
contributi andra' tuttavia effettuato non
preventivamente ma mese per mese, salvo conguaglio a fine anno a
seguito dell'effettivo svolgimento della prestazione lavorativa.
Norme
di
Capo III
Lavoro a tempo parziale
Art. 46.
modifica al decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, e
successive modifiche e integrazioni
1. Al decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, cosi' come
modificato dal decreto legislativo 26 febbraio 2001, n. 100, sono
apportate le seguenti modificazioni:
a) all'articolo 1, comma 2, la lettera a) e' sostituita dalla
seguente:
«a)
per "tempo pieno" l'orario normale di lavoro di cui
all'articolo 3, comma 1, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n.
66,
o l'eventuale minor orario normale fissato dai contratti
collettivi applicati;»;
b) all'articolo 1, il comma 3 e' sostituito dal seguente:
«3. I contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative
sul
piano nazionale e i contratti collettivi
aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui
all'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive
modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie possono
determinare condizioni e modalita' della prestazione lavorativa del
rapporto di lavoro di cui al comma 2. I contratti collettivi
nazionali possono, altresi', prevedere per specifiche figure o
livelli professionali modalita' particolari di attuazione delle
discipline rimesse alla contrattazione collettiva ai sensi del
presente decreto.»;
c) all'articolo 1, il comma 4 e' sostituito dal seguente:
«Le assunzioni a termine, di cui al decreto legislativo 9 ottobre
2001, n. 368, e successive modificazioni, di cui all'articolo 8 della
legge 23 luglio 1991, n. 223, e di cui all'articolo 4 del decreto
legislativo 26 marzo 2001, n. 151, possono essere effettuate anche
con rapporto a tempo parziale, ai sensi dei commi 2 e 3.»;
d) all'articolo 3, il comma 1 e' sostituito dal seguente:
«1. Nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo orizzontale,
anche a tempo determinato ai sensi dell'articolo 1 del decreto
legislativo 9 ottobre 2001, n. 368, il datore di lavoro ha facolta'
di richiedere lo svolgimento di prestazioni supplementari rispetto a
quelle concordate con il lavoratore ai sensi dell'articolo 2, comma
2, nel rispetto di quanto previsto dai commi 2, 3 e 4.»;
e) all'articolo 3, il comma 2 e' sostituito dal seguente:
«2.
I
contratti collettivi stipulati dai soggetti indicati
nell'articolo 1, comma 3, stabiliscono il numero massimo delle ore di
lavoro supplementare effettuabili e le relative causali in relazione
alle quali si consente di richiedere ad un lavoratore a tempo
parziale
lo
svolgimento
di lavoro supplementare, nonche' le
conseguenze
del superamento delle ore di lavoro supplementare
consentite dai contratti collettivi stessi.»;
f) all'articolo 3, il comma 3 e' sostituito dal seguente:
«3. L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare richiede
il
consenso
del
lavoratore
interessato ove non prevista e
regolamentata dal contratto collettivo. Il rifiuto da parte del
lavoratore non puo' integrare in nessun caso gli estremi del
giustificato motivo di licenziamento.»;
g) all'articolo 3, il comma 4, ultimo periodo, e' soppresso;
h) all'articolo 3, il comma 5 e' sostituito dal seguente:
«5. Nel rapporto di lavoro a tempo parziale verticale o misto,
anche
a
tempo
determinato, e' consentito lo svolgimento di
prestazioni lavorative straordinarie. A tali prestazioni si applica
la disciplina legale e contrattuale vigente ed eventuali successive
modifiche ed integrazioni in materia di lavoro straordinario nei
rapporti a tempo pieno.»;
i) all'articolo 3, il comma 6 e' abrogato;
j) all'articolo 3, il comma 7 e' sostituito dal seguente:
«7. Fermo restando quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, le
parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono, nel rispetto
di quanto previsto dal presente comma e dai commi 8 e 9, concordare
clausole flessibili relative alla variazione della collocazione
temporale della prestazione stessa. Nei rapporti di lavoro a tempo
parziale di tipo verticale o misto possono essere stabilite anche
clausole elastiche relative alla variazione in aumento della durata
della prestazione lavorativa. I contratti collettivi, stipulati dai
soggetti indicati nell'articolo 1, comma 3, stabiliscono:
1) condizioni e modalita' in relazione alle quali il datore di
lavoro puo' modificare la collocazione temporale della prestazione
lavorativa;
2) condizioni e modalita' in relazioni alle quali il datore di
lavoro
puo'
variare
in aumento la durata della prestazione
lavorativa;
3) i limiti massimi di variabilita' in aumento della durata della
prestazione lavorativa.»;
k) all'articolo 3, il comma 8 e' sostituito dal seguente:
«8. L'esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare
in aumento la durata della prestazione lavorativa, nonche' di
modificare la collocazione temporale della stessa comporta in favore
del prestatore di lavoro un preavviso, fatte salve le intese tra le
parti, di almeno due giorni lavorativi, nonche' il diritto a
specifiche compensazioni, nella misura ovvero nelle forme fissate dai
contratti collettivi di cui all'articolo 1, comma 3.»;
l) all'articolo 3, il comma 9 e' sostituito dal seguente:
«9. La disponibilita' allo svolgimento del rapporto di lavoro a
tempo parziale ai sensi del comma 7 richiede il consenso del
lavoratore formalizzato attraverso uno specifico patto scritto, anche
contestuale
al
contratto
di lavoro, reso, su richiesta del
lavoratore, con l'assistenza di un componente della rappresentanza
sindacale aziendale indicato dal lavoratore medesimo. L'eventuale
rifiuto del lavoratore non integra gli estremi del giustificato
motivo di licenziamento.»;
m) all'articolo 3, il comma 10 e' sostituito dal seguente:
«10. L'inserzione nel contratto di lavoro a tempo parziale di
clausole flessibili o elastiche ai sensi del comma 7 e' possibile
anche nelle ipotesi di contratto di lavoro a termine.»;
n) i commi 11, 12, 13 e 15 dell'articolo 3 sono soppressi;
o) l'articolo 5 e' sostituito dal seguente:
«Art. 5 (Tutela ed incentivazione del lavoro a tempo parziale). 1. Il rifiuto di un lavoratore di trasformare il proprio rapporto di
lavoro a tempo pieno in rapporto a tempo parziale, o il proprio
rapporto di lavoro a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, non
costituisce giustificato motivo di licenziamento. Su accordo delle
parti
risultante da atto scritto, convalidato dalla direzione
provinciale del lavoro competente per territorio, e' ammessa la
trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in rapporto a
tempo parziale. Al rapporto di lavoro a tempo parziale risultante
dalla trasformazione si applica la disciplina di cui al presente
decreto legislativo.
2. Il contratto individuale puo' prevedere, in caso di assunzione
di personale a tempo pieno, un diritto di precedenza in favore dei
lavoratori assunti a tempo parziale in attivita' presso unita'
produttive site nello stesso ambito comunale, adibiti alle stesse
mansioni od a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo
alle quali e' prevista l'assunzione.
3. In caso di assunzione di personale a tempo parziale il datore di
lavoro e' tenuto a darne tempestiva informazione al personale gia'
dipendente con rapporto a tempo pieno occupato in unita' produttive
site nello stesso ambito comunale, anche mediante comunicazione
scritta in luogo accessibile a tutti nei locali dell'impresa, ed a
prendere in considerazione le eventuali domande di trasformazione a
tempo parziale del rapporto dei dipendenti a tempo pieno. I contratti
collettivi di cui all'articolo 1, comma 3, possono provvedere ad
individuare criteri applicativi con riguardo a tale disposizione.
4.
Gli incentivi economici all'utilizzo del lavoro a tempo
parziale,
anche
a
tempo
determinato,
saranno
definiti,
compatibilmente con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di
Stato,
nell'ambito
della riforma del sistema degli incentivi
all'occupazione.»;
p) il comma 2 dell'articolo 6 e' soppresso;
q) l'articolo 7 e' soppresso;
r) all'articolo 8, il comma 2 e' sostituito dal seguente:
«L'eventuale mancanza o indeterminatezza nel contratto scritto
delle indicazioni di cui all'articolo 2, comma 2, non comporta la
nullita'
del
contratto
di lavoro a tempo parziale. Qualora
l'omissione riguardi la durata della prestazione lavorativa, su
richiesta del lavoratore puo' essere dichiarata la sussistenza fra le
parti di un rapporto di lavoro a tempo pieno a partire dalla data del
relativo accertamento giudiziale. Qualora invece l'omissione riguardi
la sola collocazione temporale dell'orario, il giudice provvede a
determinare le modalita' temporali di svolgimento della prestazione
lavorativa a tempo parziale con riferimento alle previsioni dei
contratti collettivi di cui all'articolo 3, comma 7, o, in mancanza,
con valutazione equitativa, tenendo conto in particolare delle
responsabilita' familiari del lavoratore interessato, della sua
necessita' di integrazione del reddito derivante dal rapporto a tempo
parziale mediante lo svolgimento di altra attivita' lavorativa,
nonche'
delle esigenze del datore di lavoro. Per il periodo
antecedente la data della pronuncia della sentenza, il lavoratore ha
in entrambi i casi diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta,
alla
corresponsione
di
un ulteriore emolumento a titolo di
risarcimento del danno, da liquidarsi con valutazione equitativa. Nel
corso del successivo svolgimento del rapporto, e' fatta salva la
possibilita'
di
concordare per iscritto clausole elastiche o
flessibili ai sensi dell'articolo 3, comma 3. In luogo del ricorso
all'autorita' giudiziaria, le controversie di cui al presente comma
ed al comma 1 possono essere, risolte mediante le procedure di
conciliazione ed eventualmente di arbitrato previste dai contratti
collettivi nazionali di lavoro di cui all'articolo 1, comma 3.»;
s) all'articolo 8, dopo il comma 2 sono inseriti i seguenti:
«2-bis. Lo svolgimento di prestazioni elastiche o flessibili di cui
all'articolo 3, comma 7, senza il rispetto di quanto stabilito
dall'articolo 3, commi 7, 8, 9 comporta a favore del prestatore di
lavoro il diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla
corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento
del danno.
2-ter. In assenza di contratti collettivi datore di lavoro e
prestatore di lavoro possono concordare direttamente l'adozione di
clausole elastiche o flessibili ai sensi delle disposizioni che
precedono.»;
t) dopo l'articolo 12 e' aggiunto, in fine, il seguente:
«Art. 12-bis (Ipotesi di trasformazione del rapporto di lavoro a
tempo pieno in rapporto di lavoro a tempo parziale). - 1. I
lavoratori affetti da patologie oncologiche, per i quali residui una
ridotta capacita' lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti
di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita
presso l'azienda unita' sanitaria locale territorialmente competente,
hanno diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo
pieno in lavoro a tempo parziale verticale od orizzontale. Il
rapporto
di
lavoro a tempo parziale deve essere trasformato
nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno a richiesta del
lavoratore. Restano in ogni caso salve disposizioni piu' favorevoli
per il prestatore di lavoro.».
Titolo VI
APPRENDISTATO E CONTRATTO DI INSERIMENTO
Capo I
Apprendistato
Art. 47.
Definizione, tipologie e limiti quantitativi
1.
Ferme
restando
le
disposizioni vigenti in materia di
diritto-dovere di istruzione e di formazione, il contratto di
apprendistato e' definito secondo le seguenti tipologie:
a) contratto
di
apprendistato
per
l'espletamento
del
diritto-dovere di istruzione e formazione;
b) contratto
di
apprendistato
professionalizzante
per il
conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul
lavoro e un apprendimento tecnico-professionale;
c) contratto di apprendistato per l'acquisizione di un diploma o
per percorsi di alta formazione.
2. Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro
puo' assumere con contratto di apprendistato non puo' superare il 100
per cento delle maestranze specializzate e qualificate in servizio
presso il datore di lavoro stesso. Il datore di lavoro che non abbia
alle proprie dipendenze lavoratori qualificati o specializzati, o che
comunque
ne
abbia in numero inferiore a tre, puo' assumere
apprendisti in numero non superiore a tre. La presente norma non si
applica alle imprese artigiane per le quali trovano applicazione le
disposizioni di cui all'articolo 4 della legge 8 agosto 1985, n. 443.
3. In attesa della regolamentazione del contratto di apprendistato
ai sensi del presente decreto continua ad applicarsi la vigente
normativa in materia.
Art. 48.
l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e
formazione
1. Possono essere assunti, in tutti i settori di attivita', con
contratto di apprendistato per l'espletamento del diritto-dovere di
istruzione e formazione i giovani e gli adolescenti che abbiano
compiuto quindici anni.
2.
Il
contratto
di
apprendistato
per l'espletamento del
diritto-dovere di istruzione e di formazione ha durata non superiore
a tre anni ed e' finalizzato al conseguimento di una qualifica
professionale.
La
durata
del
contratto
e'
determinata in
considerazione della qualifica da conseguire, del titolo di studio,
dei crediti professionali e formativi acquisiti, nonche' del bilancio
delle competenze realizzato dai servizi pubblici per l'impiego o dai
soggetti privati accreditati, mediante l'accertamento dei crediti
formativi definiti ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53.
3.
Il
contratto
di
apprendistato
per l'espletamento del
diritto-dovere di istruzione e formazione e' disciplinato in base ai
seguenti principi:
a) forma scritta del contratto, contenente indicazione della
prestazione lavorativa oggetto del contratto, del piano formativo
individuale, nonche' della qualifica che potra' essere acquisita al
termine
del rapporto di lavoro sulla base degli esiti della
formazione aziendale od extra-aziendale;
b) divieto di stabilire il compenso dell'apprendista secondo
tariffe di cottimo;
c) possibilita' per il datore di lavoro di recedere dal rapporto
di lavoro al termine del periodo di apprendistato ai sensi di quanto
disposto dall'articolo 2118 del codice civile;
d) divieto per il datore di lavoro di recedere dal contratto di
apprendistato in assenza di una giusta causa o di un giustificato
motivo.
4. La regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato per
Apprendistato
per
l'espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione e'
rimessa alle regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano,
d'intesa con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e del
Ministero dell'istruzione, dell'universita' e della ricerca, sentite
le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro
comparativamente
piu' rappresentative sul piano nazionale, nel
rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi:
a) definizione della qualifica professionale ai sensi della legge
28 marzo 2003, n. 53;
b) previsione di un monte ore di formazione, esterna od interna
alla azienda, congruo al conseguimento della qualifica professionale
in funzione di quanto stabilito al comma 2 e secondo standard minimi
formativi definiti ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53;
c) rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello
nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative per la
determinazione,
anche all'interno degli enti bilaterali, delle
modalita' di erogazione della formazione aziendale nel rispetto degli
standard generali fissati dalle regioni competenti;
d) riconoscimento sulla base dei risultati conseguiti all'interno
del percorso di formazione, esterna e interna alla impresa, della
qualifica professionale ai fini contrattuali;
e) registrazione
della
formazione
effettuata nel libretto
formativo;
f) presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze
adeguate.
Art. 49.
Apprendistato professionalizzante
1. Possono essere assunti, in tutti i settori di attivita', con
contratto di apprendistato professionalizzante, per il conseguimento
di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e la
acquisizione
di
competenze
di
base,
trasversali
e
tecnico-professionali, i soggetti di eta' compresa tra i diciotto
anni e i ventinove anni.
2. Per soggetti in possesso di una qualifica professionale,
conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, il contratto di
apprendistato professionalizzante puo' essere stipulato a partire dal
diciassettesimo anno di eta'.
3. I contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano
nazionale
o
regionale
stabiliscono, in ragione del tipo di
qualificazione
da
conseguire,
la
durata
del
contratto di
apprendistato
professionalizzante che, in ogni caso, non puo'
comunque essere inferiore a due anni e superiore a sei.
4.
Il
contratto
di
apprendistato
professionalizzante
e'
disciplinato in base ai seguenti principi:
a) forma scritta del contratto, contenente indicazione della
prestazione oggetto del contratto, del piano formativo individuale,
nonche' della eventuale qualifica che potra' essere acquisita al
termine
del rapporto di lavoro sulla base degli esiti della
formazione aziendale od extra-aziendale;
b) divieto di stabilire il compenso dell'apprendista secondo
tariffe di cottimo;
c) possibilita' per il datore di lavoro di recedere dal rapporto
di lavoro al termine del periodo di apprendistato ai sensi di quanto
disposto dall'articolo 2118 del codice civile;
d) possibilita' di sommare i periodi di apprendistato svolti
nell'ambito del diritto-dovere di istruzione e formazione con quelli
dell'apprendistato
professionalizzante
nel rispetto del limite
massimo di durata di cui al comma 3.
e) divieto per il datore di lavoro di recedere dal contratto di
apprendistato in assenza di una giusta causa o di un giustificato
motivo.
5. La regolamentazione dei profili formativi dell'apprendistato
professionalizzante e' rimessa alle regioni e alle province autonome
di Trento e Bolzano, d'intesa con le associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano
regionale e nel rispetto dei seguenti criteri e principi direttivi:
a) previsione di un monte ore di formazione formale, interna o
esterna alla azienda, di almeno centoventi ore per anno, per la
acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali;
b) rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello
nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e
prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative per la
determinazione,
anche all'interno degli enti bilaterali, delle
modalita' di erogazione e della articolazione della formazione,
esterna e interna alle singole aziende, anche in relazione alla
capacita' formativa interna rispetto a quella offerta dai soggetti
esterni;
c) riconoscimento sulla base dei risultati conseguiti all'interno
del percorso di formazione, esterna e interna alla impresa, della
qualifica professionale ai fini contrattuali;
d) registrazione
della
formazione
effettuata nel libretto
formativo;
e) presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze
adeguate.
Art. 50.
Apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per percorsi di alta
formazione
1. Possono essere assunti, in tutti i settori di attivita', con
contratto di apprendistato per conseguimento di un titolo di studio
di livello secondario, per il conseguimento di titoli di studio
universitari e della alta formazione, nonche' per la specializzazione
tecnica superiore di cui all'articolo 69 della legge 17 maggio 1999,
n. 144, i soggetti di eta' compresa tra i diciotto anni e i ventinove
anni.
2.
Per soggetti in possesso di una qualifica professionale
conseguita ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53, il contratto di
apprendistato di cui al comma 1 puo' essere stipulato a partire dal
diciassettesimo anno di eta'.
3. Ferme restando le intese vigenti, la regolamentazione e la
durata dell'apprendistato per l'acquisizione di un diploma o per
percorsi di alta formazione e' rimessa alle regioni, per i soli
profili che attengono alla formazione, in accordo con le associazioni
territoriali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro, le
universita' e le altre istituzioni formative.
Art. 51.
Crediti formativi
1. La qualifica professionale conseguita attraverso il contratto di
apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento nei
percorsi di istruzione e di istruzione e formazione professionale.
2. Entro dodici mesi dalla entrata in vigore del presente decreto,
il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il
Ministero dell'istruzione, della universita' e della ricerca, e
previa intesa con le regioni e le province autonome definisce le
modalita' di riconoscimento dei crediti di cui al comma che precede,
nel rispetto delle competenze delle regioni e province autonome e di
quanto
stabilito
nell'Accordo
in
Conferenza
unificata
Stato-regioni-autonomie locali del 18 febbraio 2000 e nel decreto del
Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 31 maggio 2001.
Art. 52.
Repertorio delle professioni
1. Allo scopo di armonizzare le diverse qualifiche professionali e'
istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali il
repertorio delle professioni predisposto da un apposito organismo
tecnico di cui fanno parte il Ministero dell'istruzione, della
universita' e della ricerca, le associazioni dei datori e prestatori
di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale,
e i rappresentanti della Conferenza Stato-regioni.
Art. 53.
Incentivi economici e normativi e disposizioni previdenziali
1.
Durante
il
rapporto di apprendistato, la categoria di
inquadramento del lavoratore non potra' essere inferiore, per piu' di
due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto
collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o
funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al
conseguimento delle quali e' finalizzato il contratto.
2. Fatte salve specifiche previsioni di legge o di contratto
collettivo, i lavoratori assunti con contratto di apprendistato sono
esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti
collettivi per l'applicazione di particolari normative e istituti.
3. In attesa della riforma del sistema degli incentivi alla
occupazione, restano fermi gli attuali sistemi di incentivazione
economica la cui erogazione sara' tuttavia soggetta alla effettiva
verifica della formazione svolta secondo le modalita' definite con
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa
con la Conferenza Stato-regioni. In caso di inadempimento nella
erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il
datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle
finalita' di cui agli articoli 48, comma 2, 49, comma 1, e 50, comma
1, il datore di lavoro e' tenuto a versare la quota dei contributi
agevolati maggiorati del 100 per cento.
4. Resta ferma la disciplina previdenziale e assistenziale prevista
dalla legge 19 gennaio 1955, n. 25, e successive modificazioni e
integrazioni.
Capo II
Contratto di inserimento
Art. 54.
Definizione e campo di applicazione
1. Il contratto di inserimento e' un contratto di lavoro diretto a
realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle
competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto
lavorativo, l'inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del
lavoro delle seguenti categorie di persone:
a) soggetti di eta' compresa tra i diciotto e i ventinove anni;
b) disoccupati di lunga durata da ventinove fino a trentadue
anni;
c) lavoratori con piu' di cinquanta anni di eta' che siano privi
di un posto di lavoro;
d) lavoratori che desiderino riprendere una attivita' lavorativa
e che non abbiano lavorato per almeno due anni;
e) donne di qualsiasi eta' residenti in una area geografica in
cui il tasso di occupazione femminile determinato con apposito
decreto del Ministro dei lavoro e delle politiche sociali di concerto
con il Ministro dell'economia e delle finanze entro sessanta giorni
dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sia inferiore
almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di
disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile;
f) persone
riconosciute
affette, ai sensi della normativa
vigente, da un grave handicap fisico, mentale o psichico.
2. I contratti di inserimento possono essere stipulati da:
a) enti pubblici economici, imprese e loro consorzi;
b) gruppi di imprese;
c) associazioni professionali, socio-culturali, sportive;
d) fondazioni;
e) enti di ricerca, pubblici e privati;
f) organizzazioni e associazioni di categoria.
3. Per poter assumere mediante contratti di inserimento i soggetti
di cui al comma 2 devono avere mantenuto in servizio almeno il
sessanta per cento dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia
venuto a scadere nei diciotto mesi precedenti. A tale fine non si
computano i lavoratori che si siano dimessi, quelli licenziati per
giusta causa e quelli che, al termine del rapporto di lavoro, abbiano
rifiutato la proposta di rimanere in servizio con rapporto di lavoro
a tempo indeterminato, i contratti risolti nel corso o al termine del
periodo di prova, nonche' i contratti non trasformati in rapporti di
lavoro a tempo indeterminato in misura pari a quattro contratti. Agli
effetti della presente disposizione si considerano mantenuti in
servizio i soggetti per i quali il rapporto di lavoro, nel corso del
suo svolgimento sia stato trasformato in rapporto di lavoro a tempo
indeterminato.
4. La disposizione di cui al comma 3 non trova applicazione quando,
nei diciotto mesi precedenti alla assunzione del lavoratore, sia
venuto a scadere un solo contratto di inserimento.
5. Restano in ogni caso applicabili, se piu' favorevoli, le
disposizioni di cui all'articolo 20 della legge 23 luglio 1991, n.
223,
in materia di contratto di reinserimento dei lavoratori
disoccupati.
Art. 55.
Progetto individuale di inserimento
1. Condizione per l'assunzione con contratto di inserimento e' la
definizione,
con
il consenso del lavoratore, di un progetto
individuale di inserimento, finalizzato a garantire l'adeguamento
delle competenze professionali del lavoratore stesso al contesto
lavorativo.
2. I contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da
associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente piu'
rappresentative
sul
piano nazionale e i contratti collettivi
aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui
all'articolo 19 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive
modificazioni,
ovvero
dalle
rappresentanze sindacali unitarie
determinano, anche all'interno degli enti bilaterali, le modalita' di
definizione dei piani individuali di inserimento con particolare
riferimento alla realizzazione del progetto, anche attraverso il
ricorso ai fondi interprofessionali per la formazione continua, in
funzione
dell'adeguamento
delle
capacita'
professionali
del
lavoratore, nonche' le modalita' di definizione e sperimentazione di
orientamenti, linee-guida e codici di comportamento diretti ad
agevolare il conseguimento dell'obiettivo di cui al comma 1.
3. Qualora, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore del
presente decreto legislativo, non sia intervenuta, ai sensi del comma
2, la determinazione da parte del contratto collettivo nazionale di
lavoro delle modalita' di definizione dei piani individuali di
inserimento, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convoca
le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei
lavoratori e le assiste al fine di promuovere l'accordo. In caso di
mancata stipulazione dell'accordo entro i quattro mesi successivi, il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali individua in via
provvisoria e con proprio decreto, tenuto conto delle indicazioni
contenute
nell'eventuale
accordo
interconfederale
di
cui
all'articolo 86, comma 13, e delle prevalenti posizioni espresse da
ciascuna delle due parti interessate, le modalita' di definizione dei
piani individuali di inserimento di cui al comma 2.
4. La formazione eventualmente effettuata durante l'esecuzione del
rapporto di lavoro dovra' essere registrata nel libretto formativo.
5. In caso di gravi inadempienze nella realizzazione del progetto
individuale di inserimento il datore di lavoro e' tenuto a versare la
quota dei contributi agevolati maggiorati del 100 per cento.
Art. 56.
Forma
1. Il contratto di inserimento e' stipulato in forma scritta e in
esso deve essere specificamente indicato il progetto individuale di
inserimento di cui all'articolo 55.
2. In mancanza di forma scritta il contratto e' nullo e il
lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato.
Art. 57.
Durata
1. Il contratto di inserimento ha una durata non inferiore a nove
mesi e non puo' essere superiore ai diciotto mesi. In caso di
assunzione di lavoratori di cui all'articolo 54, comma 1, lettera f),
la durata massima puo' essere estesa fino a trentasei mesi.
2. Nel computo del limite massimo di durata non si tiene conto
degli eventuali periodi dedicati allo svolgimento del servizio
militare o di quello civile, nonche' dei periodi di astensione per
maternita'.
3. Il contratto di inserimento non e' rinnovabile tra le stesse
parti. Eventuali proroghe del contratto sono ammesse entro il limite
massimo di durata indicato al comma 1.
Art. 58.
Disciplina del rapporto di lavoro
1. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi nazionali o
territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di
lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale e
dei contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze
sindacali aziendali di cui all'articolo 19 della legge 20 maggio
1970, n. 300, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze
sindacali unitarie, ai contratti di inserimento si applicano, per
quanto compatibili, le disposizioni di cui al decreto legislativo
6 settembre 2001, n. 368.
2. I contratti collettivi di cui al comma 1 possono stabilire le
percentuali
massime
dei
lavoratori assunti con contratto di
inserimento.
Art. 59.
Incentivi economici e normativi
1.
Durante
il
rapporto
di
inserimento, la categoria di
inquadramento del lavoratore non puo' essere inferiore, per piu' di
due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto
collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o
funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al
conseguimento delle quali e' preordinato il progetto di inserimento
oggetto del contratto.
2. Fatte salve specifiche previsioni di contratto collettivo, i
lavoratori assunti con contratto di inserimento sono esclusi dal
computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi
per l'applicazione di particolari normative e istituti.
3. In attesa della riforma del sistema degli incentivi alla
occupazione,
gli incentivi economici previsti dalla disciplina
vigente in materia di contratto di formazione e lavoro trovano
applicazione
con
esclusivo
riferimento ai lavoratori di cui
all'articolo 54, comma, 1, lettere b), c), d), e) ed f).
Art. 60.
Tirocini estivi di orientamento
1. Si definiscono tirocini estivi di orientamento i tirocini
promossi durante le vacanze estive a favore di un adolescente o di un
giovane,
regolarmente
iscritto
a
un ciclo di studi presso
l'universita' o un istituto scolastico di ogni ordine e grado, con
fini orientativi e di addestramento pratico.
2 Il tirocinio estivo di orientamento ha una durata non superiore a
tre mesi e si svolge nel periodo compreso tra la fine dell'anno
accademico e scolastico e l'inizio di quello successivo. Tale durata
e' quella massima in caso di pluralita' di tirocini.
3. Eventuali borse lavoro erogate a favore del tirocinante non
possono superare l'importo massimo mensile di 600 euro.
4. Salvo diversa previsione dei contratti collettivi, non sono
previsti limiti percentuali massimi per l'impiego di adolescenti o
giovani al tirocinio estivo di orientamento.
5. Salvo quanto previsto ai commi precedenti ai tirocini estivi si
applicano le disposizioni di cui all'articolo 18 della legge n. 196
del 1997 e al decreto del Ministro del lavoro e della previdenza
sociale 25 marzo 1998, n. 142.
Titolo VII
TIPOLOGIE CONTRATTUALI A PROGETTO E OCCASIONALI
Capo I
Lavoro a progetto e lavoro occasionale
Art. 61.
Definizione e campo di applicazione
1. Ferma restando la disciplina per gli agenti e i rappresentanti
di commercio, i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa,
prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui
all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere
riconducibili a uno o piu' progetti specifici o programmi di lavoro o
fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal
collaboratore
in
funzione
del
risultato,
nel rispetto del
coordinamento
con
la
organizzazione
del
committente
e
indipendentemente
dal
tempo
impiegato per l'esecuzione della
attivita' lavorativa.
2. Dalla disposizione di cui al comma 1 sono escluse le prestazioni
occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva
non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo
stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito
nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro, nel qual caso
trovano applicazione le disposizioni contenute nel presente capo.
3. Sono escluse dal campo di applicazione del presente capo le
professioni intellettuali per l'esercizio delle quali e' necessaria
l'iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di
entrata in vigore del presente decreto legislativo, nonche' i
rapporti e le attivita' di collaborazione coordinata e continuativa
comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle
associazioni e societa' sportive dilettantistiche affiliate alle
federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e
agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come
individuate e disciplinate dall'articolo 90 della legge 27 dicembre
2002, n. 289. Sono altresi' esclusi dal campo di applicazione del
presente
capo i componenti degli organi di amministrazione e
controllo delle societa' e i partecipanti a collegi e commissioni,
nonche' coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.
4. Le disposizioni contenute nel presente capo non pregiudicano
l'applicazione di clausole di contratto individuale o di accordo
collettivo piu' favorevoli per il collaboratore a progetto.
Art. 62.
F o r m a
1. Il contratto di lavoro a progetto e' stipulato in forma scritta
e deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi:
a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della
prestazione di lavoro;
b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di
esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene
dedotto in contratto;
c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione,
nonche' i tempi e le modalita' di pagamento e la disciplina dei
rimborsi spese;
d) le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al
committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione
lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne
l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione lavorativa;
e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del
collaboratore
a
progetto,
fermo
restando
quanto
disposto
dall'articolo 66, comma 4.
Art. 63.
Corrispettivo
1. Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere
proporzionato alla quantita' e qualita' del lavoro eseguito, e deve
tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe
prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.
Art. 64.
Obbligo di riservatezza
1. Salvo diverso accordo tra le parti il collaboratore a progetto
puo' svolgere la sua attivita' a favore di piu' committenti.
2. Il collaboratore a progetto non deve svolgere attivita' in
concorrenza con i committenti ne', in ogni caso, diffondere notizie e
apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di essi,
ne' compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attivita'
dei committenti medesimi.
Art. 65.
Invenzioni del collaboratore a progetto
1. Il lavoratore a progetto ha diritto di essere riconosciuto
autore della invenzione fatta nello svolgimento del rapporto.
2. I diritti e gli obblighi delle parti sono regolati dalle leggi
speciali, compreso quanto previsto dall'articolo 12-bis della legge
22 aprile 1941, n. 633, e successive modificazioni.
Art. 66.
Altri diritti del collaboratore a progetto
1. La gravidanza, la malattia e l'infortunio del collaboratore a
progetto non comportano l'estinzione del rapporto contrattuale, che
rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo.
2. Salva diversa previsione del contratto individuale, in caso di
malattia e infortunio la sospensione del rapporto non comporta una
proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il
committente puo' comunque recedere dal contratto se la sospensione si
protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita
nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta
giorni per i contratti di durata determinabile.
3. In caso di gravidanza, la durata del rapporto e' prorogata per
un periodo di centottanta giorni, salva piu' favorevole disposizione
del contratto individuale.
4. Oltre alle disposizioni di cui alla legge 11 agosto 1973, n.
533, e successive modificazioni e integrazioni, sul processo del
lavoro e di cui all'articolo 64 del decreto legislativo 26 marzo
2001, n. 151, e successive modificazioni, ai rapporti che rientrano
nel campo di applicazione del presente capo si applicano le norme
sulla sicurezza e igiene del lavoro di cui al decreto legislativo n.
626 del 1994 e successive modifiche e integrazioni, quando la
prestazione
lavorativa
si
svolga
nei luoghi di lavoro del
committente, nonche' le norme di tutela contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali, le norme di cui all'articolo 51,
comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488, e del decreto del
Ministero del lavoro e della previdenza sociale in data 12 gennaio
2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 71 del 26 marzo 2001.
Art. 67.
Estinzione del contratto e preavviso
1. I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al
momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase
di esso che ne costituisce l'oggetto.
2. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per
giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalita', incluso
il
preavviso,
stabilite dalle parti nel contratto di lavoro
individuale.
Art. 68.
Rinunzie e transazioni
1. I diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente
capo possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in
sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo V del
presente decreto legislativo.
Art. 69.
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa
atipici e conversione del contratto
1. I
rapporti
di
collaborazione
coordinata e continuativa
instaurati
senza
l'individuazione
di uno specifico progetto,
programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell'articolo 61, comma
1,
sono
considerati
rapporti di lavoro subordinato a tempo
indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto.
2. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato
ai sensi dell'articolo 61 sia venuto a configurare un rapporto di
lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro
subordinato
corrispondente
alla
tipologia negoziale di fatto
realizzatasi tra le parti.
3. Ai fini del giudizio di cui al comma 2, il controllo giudiziale
e' limitato esclusivamente, in conformita' ai principi generali
dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza del progetto,
Divieto
di
programma di lavoro o fase di esso e non puo' essere esteso fino al
punto
di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche,
organizzative o produttive che spettano al committente.
Capo II
Prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari
soggetti
Art. 70.
Definizione e campo di applicazione
1. Per prestazioni di lavoro accessorio si intendono attivita'
lavorative di natura meramente occasionale rese da soggetti a rischio
di esclusione sociale o comunque non ancora entrati nel mercato del
lavoro, ovvero in procinto di uscirne, nell'ambito:
a) dei
piccoli lavori domestici a carattere straordinario,
compresa la assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane,
ammalate o con handicap;
b) dell'insegnamento privato supplementare;
c) dei piccoli lavori di giardinaggio, nonche' di pulizia e
manutenzione di edifici e monumenti;
d) della
realizzazione di manifestazioni sociali, sportive,
culturali o caritatevoli;
e) della collaborazione con enti pubblici e associazioni di
volontariato per lo svolgimento di lavori di emergenza, come quelli
dovuti a calamita' o eventi naturali improvvisi, o di solidarieta'.
2. Le attivita' lavorative di cui al comma 1, anche se svolte a
favore di piu' beneficiari, configurano rapporti di natura meramente
occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attivita' che
coinvolgono il lavoratore per una durata complessiva non superiore a
trenta giorni nel corso dell'anno solare e che, in ogni caso, non
danno complessivamente luogo a compensi superiori a 3 mila euro
sempre nel corso di un anno solare.
Art. 71.
Prestatori di lavoro accessorio
1. Possono svolgere attivita' di lavoro accessorio:
a) disoccupati da oltre un anno;
b) casalinghe, studenti e pensionati;
c) disabili e soggetti in comunita' di recupero;
d) lavoratori
extracomunitari,
regolarmente soggiornanti in
Italia, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro.
2. l soggetti di cui al comma 1, interessati a svolgere prestazioni
di lavoro accessorio, comunicano la loro disponibilita' ai servizi
per
l'impiego
delle
province,
nell'ambito
territoriale
di
riferimento, o ai soggetti accreditati di cui all'articolo 7. A
seguito
della
loro comunicazione i soggetti interessati allo
svolgimento di prestazioni di lavoro accessorio ricevono, a proprie
spese, una tessera magnetica dalla quale risulti la loro condizione.
Art. 72.
Disciplina del lavoro accessorio
1. Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio i beneficiari
acquistano presso le rivendite autorizzate uno o piu' carnet di buoni
per prestazioni di lavoro accessorio del valore nominale di 7,5 euro.
2. Il prestatore di prestazioni di lavoro accessorio percepisce il
proprio compenso presso uno o piu' enti o societa' concessionari di
cui al comma 5 all'atto della restituzione dei buoni ricevuti dal
beneficiario della prestazione di lavoro accessorio, in misura pari a
5,8 euro per ogni buono consegnato. Tale compenso e' esente da
qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato
o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.
3. L'ente o societa' concessionaria provvede al pagamento delle
spettanze alla persona che presenta i buoni per prestazioni di lavoro
accessorio, registrando i dati anagrafici e il codice fiscale e
provvedendo per suo conto al versamento dei contributi per fini
previdenziali all'INPS, alla gestione separata di cui all'articolo 2,
comma 26, della legge n. 335 del 1995, in misura di 1 euro e per fini
assicurativi contro gli infortuni all'INAIL, in misura di 0,5 euro.
4. L'ente o societa' concessionaria trattiene l'importo di 0,2
euro, a titolo di rimborso spese.
5. Entro sessanta giorni dalla entrata in vigore delle disposizioni
contenute nel presente decreto legislativo il Ministro del lavoro e
delle
politiche
sociali
individua
gli
enti e le societa'
concessionarie
alla riscossione dei buoni, nonche' i soggetti
autorizzati alla vendita dei buoni e regolamenta, con apposito
decreto, criteri e modalita' per il versamento dei contributi di cui
al comma 3 e delle relative coperture assicurative e previdenziali.
Art. 73.
Coordinamento informativo a fini previdenziali
1. Al fine di verificare, mediante apposita banca dati informativa,
l'andamento delle prestazioni di carattere previdenziale e delle
relative
entrate contributive, conseguenti allo sviluppo delle
attivita' di lavoro accessorio disciplinate dalla presente legge,
anche al fine di formulare proposte per adeguamenti normativi delle
disposizioni di contenuto economico di cui all'articolo che precede,
l'INPS e l'INAIL stipulano apposita convenzione con il Ministero del
lavoro e delle politiche sociali.
2. Decorsi diciotto mesi dalla entrata in vigore del presente
provvedimento il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
predispone, d'intesa con INPS e INAIL, una relazione sull'andamento
del
lavoro occasionale di tipo accessorio e ne riferisce al
Parlamento.
Art. 74.
Prestazioni che esulano dal mercato del lavoro
1. Con specifico riguardo alle attivita' agricole non integrano in
ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni
svolte da parenti e affini sino al terzo grado in modo meramente
occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo
aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le
spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori.
Titolo VIII
PROCEDURE DI CERTIFICAZIONE
Capo I
Certificazione dei contratti di lavoro
Art. 75.
Finalita'
1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione
dei contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale e
a progetto di cui al presente decreto, nonche' dei contratti di
associazione in partecipazione di cui agli articoli 2549-2554 del
codice civile, le parti possono ottenere la certificazione del
contratto secondo la procedura volontaria stabilita nel presente
Titolo.
Art. 76.
Organi di certificazione
1. Sono organi abilitati alla certificazione dei contratti di
lavoro le commissioni di certificazione istituite presso:
a) gli enti bilaterali costituiti nell'ambito territoriale di
riferimento ovvero a livello nazionale quando la commissione di
certificazione sia costituita nell'ambito di organismi bilaterali a
competenza nazionale;
b) le Direzioni provinciali del lavoro e le province, secondo
quanto stabilito da apposito decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali entro sessanta giorni dalla entrata in vigore del
presente decreto;
c) le universita' pubbliche e private, comprese le Fondazioni
universitarie, registrate nell'albo di cui al comma 2, esclusivamente
nell'ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con
docenti di diritto del lavoro di ruolo ai sensi dell'articolo 66 del
decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382.
2. Per essere abilitate alla certificazione ai sensi del comma 1,
le universita' sono tenute a registrarsi presso un apposito albo
istituito presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
con apposito decreto del Ministro del lavoro e delle politiche
sociali
di
concerto
con
il Ministro dell'istruzione, della
universita' e della ricerca. Per ottenere la registrazione le
universita' sono tenute a inviare, all'atto della registrazione e
ogni sei mesi, studi ed elaborati contenenti indici e criteri
giurisprudenziali di qualificazione dei contratti di lavoro con
riferimento a tipologie di lavoro indicate dal Ministero del lavoro e
delle politiche sociali.
3. Le commissioni istituite ai sensi dei commi che precedono
possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione
di una commissione unitaria di certificazione.
Art. 77.
Competenza
1. Nel caso in cui le parti intendano presentare l'istanza di avvio
della procedura di certificazione presso le commissioni di cui
all'articolo 76,
comma 1, lettera b), le parti stesse devono
rivolgersi
alla commissione nella cui circoscrizione si trova
l'azienda
o
una sua dipendenza alla quale sara' addetto il
lavoratore. Nel caso in cui le parti intendano presentare l'istanza
di avvio della procedura di certificazione alle commissioni istituite
a iniziativa degli enti bilaterali, esse devono rivolgersi alle
commissioni costituite dalle rispettive associazioni dei datori e dei
prestatori di lavoro.
Art. 78.
Procedimento di certificazione e codici di buone pratiche
1.
La procedura di certificazione e' volontaria e consegue
obbligatoriamente a una istanza scritta comune delle parti del
contratto di lavoro.
2. Le procedure di certificazione sono determinate all'atto di
costituzione delle commissioni di certificazione e si svolgono nel
rispetto dei codici di buone pratiche di cui al comma 4, nonche' dei
seguenti principi:
a) l'inizio
del
procedimento
deve essere comunicato alla
Direzione
provinciale del lavoro che provvede a inoltrare la
comunicazione alle autorita' pubbliche nei confronti delle quali
l'atto
di certificazione e' destinato a produrre effetti. Le
autorita' pubbliche possono presentare osservazioni alle commissioni
di certificazione;
b) il procedimento di certificazione deve concludersi entro il
termine di trenta giorni dal ricevimento della istanza;
c) l'atto di certificazione deve essere motivato e contenere il
termine e l'autorita' cui e' possibile ricorrere;
d) l'atto di certificazione deve contenere esplicita menzione
degli effetti, civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in
relazione ai quali le parti richiedono la certificazione.
3. I contratti di lavoro certificati, e la relativa pratica di
documentazione,
devono
essere
conservati
presso le sedi di
certificazione, per un periodo di almeno cinque anni a far data dalla
loro scadenza. Copia del contratto certificato puo' essere richiesta
dal servizio competente di cui all'articolo 4-bis, comma 5, del
decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 181, oppure dalle altre
autorita'
pubbliche
nei
confronti
delle
quali
l'atto
di
certificazione e' destinato a produrre effetti.
4. Entro sei mesi dalla entrata in vigore del presente decreto
legislativo, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali adotta
con proprio decreto codici di buone pratiche per l'individuazione
delle clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti
di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti
economici e normativi. Tali codici recepiscono, ove esistano, le
indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati da
associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente
piu' rappresentative sul piano nazionale.
5. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali
vengono
altresi' definiti appositi moduli e formulari per la
certificazione del contratto o del relativo programma negoziale, che
tengano conto degli orientamenti giurisprudenziali prevalenti in
materia di qualificazione del contratto di lavoro, come autonomo o
subordinato, in relazione alle diverse tipologie di lavoro.
Art. 79.
Efficacia giuridica della certificazione
Gli
effetti
dell'accertamento
dell'organo
preposto
alla
certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i
terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di
merito,
uno
dei
ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi
dell'articolo 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari.
Art. 80.
Rimedi esperibili nei confronti della certificazione
1. Nei confronti dell'atto di certificazione, le parti e i terzi
nella cui sfera giuridica l'atto stesso e' destinato a produrre
effetti, possono proporre ricorso, presso l'autorita' giudiziaria di
cui all'articolo 413 del codice di procedura civile, per erronea
qualificazione del contratto oppure difformita' tra il programma
negoziale certificato e la sua successiva attuazione. Sempre presso
la medesima autorita' giudiziaria, le parti del contratto certificato
potranno impugnare l'atto di certificazione anche per vizi del
consenso.
2.
L'accertamento
giurisdizionale
dell'erroneita'
della
qualificazione
ha
effetto
fin dal momento della conclusione
dell'accordo
contrattuale.
L'accertamento giurisdizionale della
difformita' tra il programma negoziale e quello effettivamente
realizzato ha effetto a partire dal momento in cui la sentenza
accerta che ha avuto inizio la difformita' stessa.
3. Il comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di
certificazione
del rapporto di lavoro e di definizione della
controversia davanti alla commissione di certificazione potra' essere
valutato dal giudice del lavoro, ai sensi degli articoli 9, 92 e 96
del codice di procedura civile.
4.
Chiunque
presenti
ricorso
giurisdizionale
contro
la
certificazione ai sensi dei precedenti commi 1 e 3, deve previamente
rivolgersi obbligatoriamente alla commissione di certificazione che
ha adottato l'atto di certificazione per espletare un tentativo di
conciliazione ai sensi dell'articolo 410 del codice di procedura
civile.
5.
Dinnanzi al tribunale amministrativo regionale nella cui
giurisdizione ha sede la commissione che ha certificato il contratto,
puo' essere presentato ricorso contro l'atto certificatorio per
violazione del procedimento o per eccesso di potere.
Art. 81.
Attivita' di consulenza e assistenza alle parti
1. Le sedi di certificazione di cui all'articolo 75 svolgono anche
funzioni
di
consulenza
e
assistenza
effettiva
alle parti
contrattuali, sia in relazione alla stipulazione del contratto di
lavoro e del relativo programma negoziale sia in relazione alle
modifiche del programma negoziale medesimo concordate in sede di
attuazione del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla
disponibilita' dei diritti e alla esatta qualificazione dei contratti
di lavoro.
Capo II
Altre ipotesi di certificazione
Art. 82.
Rinunzie e transazioni
1. Le sedi di certificazione di cui all'articolo 76, comma 1,
lettera a), del presente decreto legislativo sono competenti altresi'
a certificare le rinunzie e transazioni di cui all'articolo 2113 del
codice civile a conferma della volonta' abdicativa o transattiva
delle parti stesse.
Art. 83.
Deposito del regolamento interno delle cooperative
1. La procedura di certificazione di cui al capo I e' estesa
all'atto di deposito del regolamento interno delle cooperative
riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si
intendono attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori, ai
sensi dell'articolo 6 della legge 3 aprile 2001, n. 142, e successive
modificazioni. La procedura di certificazione attiene al contenuto
del regolamento depositato.
2. Nell'ipotesi di cui al comma 1, la procedura di certificazione
deve essere espletata da specifiche commissioni istituite nella sede
di certificazione di cui all'articolo 76, comma 1, lettera b). Tali
commissioni sono presiedute da un presidente indicato dalla provincia
e sono costituite, in maniera paritetica, da rappresentanti delle
associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento
cooperativo
e
delle
organizzazioni sindacali dei lavoratori,
comparativamente piu' rappresentative.
Art. 84.
Interposizione illecita e appalto genuino
1. Le procedure di certificazione di cui al capo primo possono
essere utilizzate, sia in sede di stipulazione di appalto di cui
all'articolo 1655 del codice civile sia nelle fasi di attuazione del
relativo
programma negoziale, anche ai fini della distinzione
concreta tra somministrazione di lavoro e appalto ai sensi delle
disposizioni di cui al Titolo III del presente decreto legislativo.
2. Entro sei mesi dalla entrata in vigore del presente decreto, il
Ministro del lavoro e delle politiche sociali adotta con proprio
decreto codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia di
interposizione illecita e appalto genuino, che tengano conto della
rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi e della
assunzione
effettiva
del rischio tipico di impresa da parte
dell'appaltatore. Tali codici e indici presuntivi recepiscono, ove
esistano, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali o
di categoria stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di
lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale.
Titolo IX
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI
Art. 85.
Abrogazioni
1. Dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo
sono abrogati:
a) l'articolo 27 della legge 29 aprile 1949, n. 264;
b) l'articolo 2, comma 2, e l'articolo 3 della legge 19 gennaio
1955, n. 25;
c) la legge 23 ottobre 1960, n. 1369;
d) l'articolo 21, comma 3 della legge 28 febbraio 1987, n. 56;
e) gli articoli 9-bis, comma 3 e 9-quater, commi 4 e 18,
quest'ultimo
limitatamente
alla
violazione degli obblighi di
comunicazione, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510, convertito,
con modificazioni, dalla legge 28 novembre 1996, n. 608;
f) gli articoli da 1 a 11 della legge 24 giugno 1997, n. 196;
g) l'articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 25 febbraio
2000, n. 72;
h) l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica
7 luglio 2000, n. 442;
i) tutte
le
disposizioni
legislative
e
regolamentari
incompatibili con il presente decreto.
2. All'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 25 febbraio
2000, n. 61, le parole da: «Il datore di lavoro» fino a: «dello
stesso» sono soppresse.
Art. 86.
Norme transitorie e finali
1. Le collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi
della disciplina vigente, che non possono essere ricondotte a un
progetto o a una fase di esso, mantengono efficacia fino alla loro
scadenza e, in ogni caso, non oltre un anno dalla data di entrata in
vigore del presente provvedimento. Termini diversi, anche superiori
all'anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative
stipulate ai sensi della disciplina vigente potranno essere stabiliti
nell'ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime di
cui al presente decreto, stipulati in sede aziendale con le istanze
aziendali dei sindacati comparativamente piu' rappresentativi sul
piano nazionale.
2. Al fine di evitare fenomeni elusivi della disciplina di legge e
contratto
collettivo, in caso di rapporti di associazione in
partecipazione resi senza una effettiva partecipazione e adeguate
erogazioni a chi lavora, il lavoratore ha diritto ai trattamenti
contributivi, economici e normativi stabiliti dalla legge e dai
contratti collettivi per il lavoro subordinato svolto nella posizione
corrispondente del medesimo settore di attivita', o in mancanza di
contratto collettivo, in una corrispondente posizione secondo il
contratto di settore analogo, a meno che il datore di lavoro, o
committente, o altrimenti utilizzatore non comprovi, con idonee
attestazioni o documentazioni, che la prestazione rientra in una
delle tipologie di lavoro disciplinate nel presente decreto ovvero in
un contratto di lavoro subordinato speciale o con particolare
disciplina, o in un contratto nominato di lavoro autonomo, o in altro
contratto espressamente previsto nell'ordinamento.
3. In relazione agli effetti derivanti dalla abrogazione delle
disposizioni di cui agli articoli da 1 a 11 della legge 24 giugno
1997, n. 196, le clausole dei contratti collettivi nazionali di
lavoro stipulate ai sensi dell'articolo 1, comma 2, lettera a), della
medesima legge e vigenti alla data di entrata in vigore del presente
decreto, mantengono, in via transitoria e salve diverse intese, la
loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti collettivi
nazionali di lavoro, con esclusivo riferimento alla determinazione
per via contrattuale delle esigenze di carattere temporaneo che
consentono la somministrazione di lavoro a termine. Le clausole dei
contratti
collettivi
nazionali
di lavoro stipulate ai sensi
dell'articolo 1, comma 3, della legge 24 giugno 1997, n. 196, vigenti
alla data di entrata in vigore del presente decreto, mantengono la
loro efficacia fino a diversa determinazione delle parti stipulanti o
recesso unilaterale.
4. Le disposizioni di cui all'articolo 26-bis della legge 24 giugno
1997, n. 196, e di cui al n. 5-ter dell'articolo 2751-bis del codice
civile si intendono riferiti alla disciplina della somministrazione
prevista dal presente decreto.
5. Ferma restando la disciplina di cui all'articolo 17, comma 1,
della legge 28 gennaio 1994, n. 84, come sostituito dall'articolo 3
della legge 30 giugno 2000, n. 186, i riferimenti che lo stesso
articolo 17 fa alla legge 24 giugno 1997, n. 196, si intendono
riferiti alla disciplina della somministrazione di cui al presente
decreto.
6. Per le societa' di somministrazione, intermediazione, ricerca e
selezione
del
personale,
ricollocamento
professionale
gia'
autorizzate ai sensi della normativa previgente opera una disciplina
transitoria e di raccordo definita con apposito decreto del Ministro
del lavoro e delle politiche sociali entro trenta giorni dalla
entrata in vigore del presente decreto. In attesa della disciplina
transitoria restano in vigore le norme di legge e regolamento vigenti
alla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo.
7. L'obbligo di comunicazione di cui al comma 4 dell'articolo 4-bis
del decreto legislativo n. 181 del 2000 si intende riferito a tutte
le imprese di somministrazione, sia a tempo indeterminato che a tempo
determinato.
8. Il Ministro per la funzione pubblica convoca le organizzazioni
sindacali
maggiormente
rappresentative
dei
dipendenti
delle
amministrazioni pubbliche per esaminare i profili di armonizzazione
conseguenti alla entrata in vigore del presente decreto legislativo
entro sei mesi anche ai fini della eventuale predisposizione di
provvedimenti legislativi in materia.
9. La previsione della trasformazione del rapporto di lavoro di cui
all'articolo 27, comma 1, non trova applicazione nei confronti delle
pubbliche amministrazioni cui la disciplina della somministrazione
trova applicazione solo per quanto attiene alla somministrazione di
lavoro a tempo determinato. La vigente disciplina in materia di
contratti di formazione e lavoro, fatto salvo quanto previsto
dall'articolo 59, comma 3, trova applicazione esclusivamente nei
confronti della pubblica amministrazione. Le sanzioni amministrative
di cui all'articolo 19 si applicano anche nei confronti della
pubblica amministrazione.
10. All'articolo 3, comma 8, del decreto legislativo 14 agosto
1996, n. 494, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) la lettera b) e' sostituita dalla seguente:
«b)
chiede
alle
imprese
esecutrici
una
dichiarazione
dell'organico medio annuo, distinto per qualifica, nonche' una
dichiarazione
relativa al contratto collettivo stipulato dalle
organizzazioni
sindacali
comparativamente piu' rappresentative,
applicato ai lavoratori dipendenti;»;
b) dopo la lettera b) sono aggiunte, in fine, le seguenti:
«b-bis) chiede un certificato di regolarita' contributiva. Tale
certificato puo' essere rilasciato, oltre che dall'INPS e dall'INAIL,
per quanto di rispettiva competenza, anche dalle casse edili le quali
stipulano una apposita convenzione con i predetti istituti al fine
del rilascio di un documento unico di regolarita' contributiva;
b-ter)
trasmette
all'amministrazione
concedente,
prima
dell'inizio dei lavori oggetto della concessione edilizia o all'atto
della presentazione della denuncia di inizio attivita', il nominativo
dell'impresa esecutrice dei lavori unitamente alla documentazione di
cui alle lettere b) e b-bis).».
11. L'abrogazione ad opera dell'articolo 8 del decreto legislativo
19 dicembre
2002, n. 297, della disciplina dei compiti della
commissione regionale per l'impiego di cui all'articolo 5 della legge
28 febbraio 1987, n. 56, non si intende riferita alle regioni a
statuto speciale per le quali non sia effettivamente avvenuto il
trasferimento delle funzioni in materia di lavoro ai sensi del
decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469.
12. Le disposizioni di cui agli articoli 13, 14, 34, comma 2, di
cui al Titolo III e di cui al Titolo VII, capo II, Titolo VIII hanno
carattere sperimentale. Decorsi diciotto mesi dalla data di entrata
in vigore, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali procede,
sulla base delle informazioni raccolte ai sensi dell'articolo 17, a
una verifica con le organizzazioni sindacali, dei datori e dei
prestatori di lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano
nazionale degli effetti delle disposizioni in esso contenute e ne
riferisce al Parlamento entro tre mesi ai fini della valutazione
della sua ulteriore vigenza.
13. Entro i cinque giorni successivi alla entrata in vigore del
presente decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali
convoca le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di
lavoro comparativamente piu' rappresentative sul piano nazionale al
fine di verificare la possibilita' di affidare a uno o piu' accordi
interconfederali la gestione della messa a regime del presente
decreto,
anche
con riferimento al regime transitorio e alla
attuazione dei rinvii contenuti alla contrattazione collettiva.
14. L'INPS provvede al monitoraggio degli effetti derivanti dalle
misure del presente decreto, comunicando i risultati al Ministero del
lavoro e delle politiche sociali e al Ministero dell'economia e delle
finanze, anche ai fini della adozione dei provvedimenti correttivi di
cui all'articolo 11-ter, comma 7, della legge 5 agosto 1978, n. 468,
e
successive modificazioni, ovvero delle misure correttive da
assumere ai sensi dell'articolo 11, comma 3, lettera i-quater della
medesima legge. Limitatamente al periodo strettamente necessario alla
adozione
dei predetti provvedimenti correttivi, alle eventuali
eccedenze di spesa rispetto alle previsioni a legislazione vigente si
provvede mediante corrispondente rideterminazione, da effettuare con
decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di
concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, degli
interventi posti a carico del Fondo di cui all'articolo 1, comma 7,
del
decreto-legge
20 maggio
1993,
n.
148, convertito, con
modificazione, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236.
Il presente decreto, munito del sigillo dello Stato, sara' inserito
nella Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica
italiana. E' fatto obbligo a chiunque spetti di osservarlo e farlo
osservare.
Dato a Roma, addi' 10 settembre 2003
CIAMPI
Berlusconi,
Presidente
Consiglio dei Ministri
del
Maroni, Ministro del lavoro e delle
politiche sociali
Prestigiacomo, Ministro per le pari
opportunita'
Mazzella, Ministro per la funzione
pubblica
Moratti, Ministro dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca
La Loggia, Ministro per gli affari
regionali
Tremonti, Ministro dell'economia e
delle finanze
Visto, il Guardasigilli: Castelli
Piano d'azione nazionale
per l'occupazione 2004
Allegati
Piano d'azione nazionale
per l'occupazione 2004
INTRODUZIONE
Il Piano Nazionale d’Azione per l’Occupazione (NAP) rappresenta il documento programmatico con cui gli Stati membri dell’Unione Europea, con un ciclo a cadenza triennale, illustrano le linee guida delle politiche del lavoro adottate nel corso dell’anno precedente ed indicano le linee d’azione per il triennio successivo. Obiettivo del NAP è quello di innestare nella Strategia di Lisbona le politiche della Strategia per l’Occupazione con lo scopo di innalzare il tasso di occupazione e di ridurre la disoccupazione, in particolare quella dei giovani, delle donne e degli ultracinquantenni.
Il NAP si colloca come documento successivo al Documento di Programmazione Economico-Finanziaria e contemporaneo all’adozione, da parte del Consiglio dei Ministri, della Legge Finanziaria. Esso è dunque parte integrante delle scelte di politica
economica, da cui assume il quadro di riferimento macro-economico e le risorse finanziarie disponibili per l’attuazione delle
politiche ivi previste.
Il Piano 2004 è diverso da quello presentato lo scorso anno perché il ciclo triennale della Strategia per l’Occupazione prevede
che in questa annualità si proceda soltanto ad un aggiornamento degli interventi attuati. Il prossimo anno, invece, vi sarà una
completa azione di valutazione delle politiche intraprese nel corso del triennio e degli effetti sul mercato del lavoro italiano. Peraltro, in quella occasione si dovranno analizzare i risultati conseguiti a cinque anni dalla nuova Strategia per l’Occupazione,
il grado di raggiungimento degli obiettivi, le criticità determinatesi. Inoltre, il NAP 2004 è il primo tentativo di rispondere
alle conclusioni del Rapporto Kok I, e alle sollecitazioni da questo derivanti per interventi volti a favorire l’adattabilità, lo sviluppo del capitale umano, l’occupabilità, una governance efficace.
Il NAP 2004 reitera l’importanza per il Governo delle politiche strutturali adottate a partire dal 2001, ed in particolare la
legge Biagi di riforma del mercato del lavoro, la legge Bossi-Fini per la gestione dei flussi migratori e la legge di riforma dell’istruzione e formazione professionale. A queste si deve aggiungere la riforma del sistema previdenziale approvata nel luglio scorso, che ha completato il quadro degli strumenti necessari per garantire una società attiva, giusta, ed inclusiva. Queste politiche
contribuiscono ad accrescere l’occupazione, a migliorare la qualità del mercato del lavoro, ad innalzare il livello del capitale
umano, a costruire un futuro più sicuro e sostenibile.
La redazione del NAP 2004, coordinata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, è stata affidata ad un gruppo di
lavoro presieduto dal Sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali, Maurizio Sacconi. Alla sua stesura hanno partecipato i
Ministeri dell’Economia e Finanze, dell’Istruzione, Università e Ricerca, delle Attività Produttive, nonché i Dipartimenti della Funzione Pubblica, dell’Innovazione e Tecnologie e delle Pari Opportunità. Il NAP è stato discusso e approvato nel Consiglio dei Ministri del 28 Ottobre 2004.
La stesura del NAP 2004 ha registrato la stretta e positiva collaborazione con le Regioni e le Province autonome e il loro Coordinamento Interregionale, supportato dalla partecipazione della Tecnostruttura delle Regioni per il Fondo Sociale Europeo.
La cooperazione nella predisposizione di questo documento è una chiara testimonianza di una gestione condivisa negli obiettivi delle riforme strutturali necessarie per accrescere l’occupazione e migliorare la qualità del lavoro, quale solo può derivare
dal progressivo consolidarsi di una sussidiarietà verticale virtuosa. Altrettanto positivo, infatti, si è rivelato il confronto con le
Province e le Autonomie locali. Il NAP è stato approvato dalla Conferenza unificata Stato-Regioni-Città ed Autonomie locali del …..ottobre 2004.
Continuo è stato il confronto con le parti sociali nella preparazione del Piano 2004. Nello spirito del dialogo sociale europeo,
le parti sociali hanno elaborato quest’anno un documento comune, entrato pienamente a fare parte del NAP 2004, nel quale
hanno espresso una loro valutazione, a volte non unanime e conservando posizioni autonome, sulle riforme strutturali adotatte dal Governo. Esse inoltre hanno formulato osservazioni e commenti durante la predisposizione del documento che sono state valutate con attenzione, poiché il successo nell’opera di modernizzazione dell’Italia dipenderà anche dai percorsi innovativi
che sapranno scegliere nell’attuazione delle riforme strutturali, ed in particolare in quella del mercato del lavoro.
PIANO D'AZIONE NAZIONALE
PER L'OCCUPAZIONE 2004
INDICE
A Le politiche nazionali per l’occupazione: progressi verso i tre obiettivi generali
pag 1
La situazione del mercato del lavoro
Le politiche di intervento
B Risposta alle Linee Guida specifiche
pag 4
GL1: Misure attive e preventive per le persone disoccupate e inattive
GL2: Creazione di posti di lavoro e imprenditorialità
GL3: Affrontare il cambiamento e promuovere l’adattabilità
e la mobilità nel mercato del lavoro
GL4: Promuovere lo sviluppo del capitale umano e
l’apprendimento lungo l’arco della vita
GL5: Aumentare la disponibilità di manodopera e promuovere
l’invecchiamento attivo
GL6: Parità uomo-donna
GL7: Promuovere l’integrazione delle persone svantaggiate
sul mercato del lavoro e combattere la discriminazione nei loro confronti
GL8: Far si che il lavoro paghi attraverso incentivi finanziari
per aumentare l’attrattiva del lavoro
GL9: Trasformare il lavoro nero in occupazione regolare
GL10: Affrontare le disparità regionali in materia di occupazione
C Risposta alle raccomandazioni del Consiglio
pag 26
1. Raccomandazione comune: aumentare l’adattabilità
dei lavoratori e delle imprese.
2. Raccomandazione comune: attrarre più persone ad entrare
e rimanere nel mercato del lavoro: rendere il lavoro
una vera opportunità per tutti.
3. Raccomandazione comune: investire maggiormente
e con più efficacia nel capitale umano e nella formazione continua.
4. Raccomandazione comune: assicurare effettiva
attuazione alle riforme attraverso una migliore governance.
D Dialogo istituzionale e sociale
Relazioni tra le parti sociali e il governo
Relazioni tra le parti sociali
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A. LE POLITICHE NAZIONALI PER L’OCCUPAZIONE PROGRESSI VERSO I TRE
OBIETTIVI GENERALI
La situazione del mercato del lavoro
Nel mese di settembre 2004 l’ISTAT ha diffuso i primi dati (riguardanti i primi due trimestri del 2004) derivanti dalla
nuova indagine continua sulle forze lavoro1. Allo scopo di rendere i dati della vecchia indagine trimestrale coerenti con
i nuovi dati, è stata inoltre effettuata una revisione dell’intera serie storica (diffusa per adesso solo per quanto riguarda i
principali aggregati), dall’ottobre 1992 ad oggi. La ricostruzione presenta dati complessivamente più positivi per il mercato del lavoro italiano, con più elevati livelli dei tassi di occupazione e una più ridotta disoccupazione.
La tendenza del mercato del lavoro italiano rimane positiva. Nonostante un ciclo economico debole (+ 0,3% del PIL),
nel 2003 l’Italia fa registrare, per l’ottavo anno consecutivo, un consistente incremento occupazionale (+328 mila unità). Il tasso di crescita rispetto al 2002 è stato dell’1,5%, mantenendosi in linea con gli anni precedenti ed il numero di
occupati ha superato la barriera dei 22 milioni di unità (22 milioni e 241 mila). Ciò mentre il rallentamento della crescita economica in Europa ha avuto conseguenze negative sulla crescita dell’occupazione, che ha fatto registrare una significativa frenata, con disoccupazione in aumento.
La crescita dell’occupazione ha riguardato sia i lavoratori dipendenti che quelli indipendenti, i quali recuperano,
quindi, rispetto agli anni precedenti. Nel corso degli ultimi dodici mesi, secondo la nuova rilevazione Istat, inoltre,
si registra un vistoso aumento degli occupati a tempo indeterminato mentre diminuisce la quota di contratti a termine. Questa diminuzione, che porta a 8,6% la quota sugli occupati, appare dovuta interamente alla componente
maschile poiché la componente femminile registra un incremento. Dal punto di vista settoriale la crescita è stata
trainata soprattutto dal settore delle costruzioni, mentre il solo settore agricolo continua a registrare un calo che perdura ormai da molti anni.
La prima lettura di questi dati, dunque, sembra indicare un andamento molto positivo del mercato del lavoro in Italia con maggiore occupazione, più stabilità e con lo sviluppo di tipologie contrattuali che meglio si adattano alle esigenze dei lavoratori, in particolare all’occupazione femminile. Nello stesso tempo, questi risultati dovrebbe ridimensionare le paure per una crescente precarizzazione del mercato del lavoro, dovuta all’introduzione di nuove forme di contratto e alla piena trasparenza dei meccanismi di domanda e offerta. La crescita dell’occupazione appare
anche dovuta all’effetto di progressiva emersione del sommerso, un effetto di tipo indiretto ma che comunque segnalerebbe che l’introduzione di tipologie contrattuali più flessibili possa erodere alcune fasce di lavoro sommerso,
favorendone l’emersione.
Migliorano anche tutti i principali indicatori: il tasso di occupazione complessivo raggiunge il 57,5 (era il 56,7 nel 2002)
e quello delle donne il 45,1 (dal 44,4) ed il tasso di disoccupazione scende all’8,4%. La tendenza positiva si è mantenuta anche nei primi due trimestri del 2004, nei quali, tuttavia, si registra un lieve rallentamento della crescita. Positiva anche la performance dei “meno giovani”, per i quali i dati della vecchia indagine indicavano un recupero del tasso di occupazione superiore ad un punto percentuale (la ricostruzione delle serie storiche non è ancora disponibile per questa fascia di popolazione).
Il quadro positivo nasconde tuttavia tendenze diversificate all’interno dell’Italia: la crescita dell’occupazione si è infatti
concentrata soprattutto nel Centro e, in minor misura, nel Nord del Paese. Al contrario il Mezzogiorno, già caratterizzato da performance meno brillanti, ha fatto registrare una lieve flessione (-0,4%), che tuttavia non si è comunque ripercossa in una crescita della disoccupazione, quanto in una riduzione dell’offerta di lavoro. Come conseguenza di tali
tendenze, il divario tra i tassi di occupazione nelle due macroaree è pari ad oltre 17 punti (22 per le donne).
Alla luce dei dati risultanti dalla nuova ricostruzione della serie storica, l’obiettivo di raggiungere nel 2005 un tasso di
occupazione del 58,5% appare senz’altro percorribile, come pure sembra raggiungibile un tasso di occupazione femminile
Le modifiche metodologiche apportate all’indagine sulle forze di lavoro (rese necessarie anche dalla necessità di adeguarsi al Regolamento Comunitario n. 577/98) hanno interessato aspetti di rilevante importanza quali la tecnica e la tempistica con cui la rilevazione viene
eseguita, il frame per l’individuazione degli occupati e dei disoccupati e, in misura meno rilevante, la struttura del campione (allo stesso tempo l’ISTAT ha anche aggiornato alle risultanze censuarie le tecniche di riporto all’universo dei dati campionari).
Per dettagli circa le modifiche operate nella nuova rilevazione continua si veda ISTAT, La nuova rilevazione sulle forze di lavoro, giugno 2004,
reperibile presso l’indirizzo internet http://www.istat.it/Lavoro.index.htm).
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1
pari al 46%; perché tale obiettivo venga raggiunto, è tuttavia necessario puntare soprattutto ad accrescere l’occupazione
nella fasce di popolazione che hanno maggiori margini, ed in particolare nel Mezzogiorno, sia tra i maschi che, soprattutto nella componente femminile.
FIGURA
1
65,0
60,0
target 2005
55,0
50,0
target 2005
Nord e Centro
Mezzogiorno
Italia
45,0
40,0
35,0
30,0
Tasso di occupazione complessivo
Tasso di occupazione femminile
Esaminando più in dettaglio alcune tendenze, si deve osservare nell’ultimo anno – dati non ricostruiti – un forte incremento degli occupati nella fascia di età tra i 50 e i 59 anni, con +152 mila occupati in più rispetto all’anno precedente.
In particolare, se si considera separatamente la fascia 55-64 anni, si evidenzia a livello nazionale ancora un tasso di occupazione del 30,3%. Sulle serie storiche di indicatori quali la partecipazione e l’occupazione degli individui over 55 influiscono fattori demografici e sociali che possono essere di supporto nell’interpretazione di un contesto nel quale il tasso di occupazione (e partecipazione al mercato del lavoro) maschile risulta più alto in quei contesti territoriali – il Centro Sud - dove i percorsi lavorativi sono spesso meno lineari. Anche la partecipazione al mercato del lavoro delle donne
in età superiore ai 55 anni è cresciuta nelle regioni Centro-Settentrionali dove un mercato maggiormente dinamico ha
favorito e stimolato l’offerta di lavoro.
Per quanto attiene alla occupazione femminile,l’incremento tendenziale più forte di quello della componente maschile,
determina il ridursi del gap occupazionale, così come quello relativo ai tassi di disoccupazione. I dati statistici, inoltre,
sembrano indicare una crescita rilevante delle donne che lavorano con un contratto a tempo parziale –mentre gli uomini in tempo parziale diminuiscono- mostrando, dunque, come questa tipologia di lavoro presenti una non trascurabile
capacità di crescita tra le donne e possa contribuire al loro avvicinamento al mercato del lavoro.
Le politiche di intervento
Le politiche di intervento adotatte nel corso del 2003-2004 hanno avuto come obiettivo quello di sostenere le tendenze
positive del mercato del lavoro, al fine di accrescere il tasso di occupazione – che resta ancora troppo basso in Italia- e di
attirare sul mercato quelle fasce di popolazione che ne sono escluse: donne, ultracinquantenni, giovani del Mezzogiorno. In secondo luogo, esse hanno avuto lo scopo di diminuire il periodo di tempo trascorso nelle ricerca di un nuovo impiego o nella condizione di disoccupazione. L’Italia si è iscritta, dunque, a pieno titolo nella Strategia di Lisbona, promuovendo adeguate politiche di “welfare to work” e sviluppando azioni di valorizzazione del capitale umano.
A questo scopo si è accelerato il processo di adozione degli atti regolamentari e amministrativi necessari per attuare pienamente la legge Biagi, processo che ormai è quasi ultimato. La legge Biagi, intervenendo da un lato sul mercato, dall’altro sulle tipologie contrattuali può assicurare, infatti, una maggiore trasparenza nei meccanismi di incontro tra
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domanda e offerta e, ugualmente, può garantire alle imprese di beneficiare delle opportunità della competizione internazionale senza, però, penalizzare i lavoratori e, anzi, migliorando la qualità del lavoro.
L’attuazione della legge Biagi è stata accompagnata da una azione a livello microeconomico volta a favorire l’emersione
del lavoro irregolare. Il conseguimento di avvisi comuni tra Governo e parti sociali nel settore dell’edilizia e in quello dell’agricoltura, tradizionalmente i più esposti a questo fenomeno, ha rappresentato un significativo risultato nella lotta al
lavoro nero e per promuovere un lavoro di qualità superiore.
L’introduzione di maggiori flessibilità non ha indotto fenomeni di segmentazione del mercato del lavoro. Come abbiamo appena visto, i dati indicano anzi una caduta della quota dei contratti a termine, effetto questo sia di un non utilizzo di questa tipologia contrattuale in una situazione di incertezza economica, sia nelle difficoltà del sistema a gestire strumenti nuovi e che producono cambiamenti organizzativi significativi. Nonostante ciò, il Governo considera ora prioritaria il riordino del sistema di sostegni al reddito (ammortizzatori sociali) il cui iter intende accelerare in Parlamento.
Il riordino del sistema degli ammortizzatori sociali si fonda sul principio che, pure garantendo una serie di strumenti di
sostegno al reddito, deve essere scoraggiato ogni atteggiamento di tipo passivo, ogni pratica che tende a favorire una uscita prematura dal mercato del lavoro, ogni abitudine ad usare in maniera ripetuta di questo sostegno reddituale. Al contrario, le azioni di sostegno all’erogazione monetaria devono fondarsi su rigidi criteri di accesso, su solide azioni di formazione e addestramento, sull’incentivazione di atteggiamenti attivi o pro-attivi. Essenziale sarà il supporto delle Regioni e delle parti sociali nella definizione dei programmi formativi e di ricollocamento dei lavoratori.
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B. RISPOSTA ALLE LINEE GUIDA SPECIFICHE
GL1: Misure attive e preventive per le persone disoccupate e inattive
1.1 Attuazione della riforma Biagi e del collocamento
La riforma del mercato del lavoro, avviata con l’approvazione della Legge Biagi e del Decreto legislativo 276/03,
sta trovando la sua progressiva attuazione mediante atti regolamentari e contratti collettivi. In particolare, nel
corso del 2004:
• è stata ampliata la platea dei soggetti abilitati a svolgere attività di collocamento al lavoro. I Centri per l’impiego provinciali sono ora affiancati da altri organismi, pubblici o privati, autorizzati o accreditati mediante un regime unico di
accreditamento regionale. Sono state introdotte le Agenzie per il lavoro che, una volta autorizzate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, possono svolgere attività di somministrazione o fornitura professionale di manodopera,
intermediazione, ricerca e selezione del personale e supporto alla ricollocazione professionale;
• è stato approvato il sistema della Borsa continua nazionale del lavoro, un sistema aperto e trasparente di incontro domanda/offerta di lavoro e di offerta di servizi basato su nodi regionali. Si passa così da un sistema accentrato e gerarchico ad un sistema generale policentrico, in cui convivono attori diversi, dotati di autonomia, all’interno di standard codificati. Una “rete delle reti”, basata su standard terminologici ed organizzativi comuni e
condivisi che valorizza le soluzioni tecnologiche già avviate sul territorio in una logica integrata con le strategie
regionali di e-governement. Nel corso dei prossimi mesi la Borsa verrà gradualmente attivata, aprendosi anche
agli operatori privati;
• è stato istituito il “libretto formativo del cittadino”, che sarà definito d’intesa con le Regioni, le Autonomie locali e le
Parti Sociali. Lo strumento costituirà il libretto personale del lavoratore nel quale saranno registrate le competenze formali e informali acquisite durante il percorso formativo e lavorativo purché riconosciute e certificate;
• è stato riorganizzato il tirocinio, quale strumento di raccordo tra Pubbliche Amministrazioni, sistema formativo e aziende, e che comprende tutte le esperienze che non costituiscono rapporto di lavoro, in questo ambito è stato istituito il
tirocinio estivo, applicabile anche a soggetti minorenni con almeno 15 anni di età;
• sono state ricondotte le collaborazioni coordinate e continuative, attraverso un processo di graduale “svuotamento”, al
lavoro subordinato o al “ lavoro a progetto”;
• è stata definita la fattispecie normativa del lavoro “meramente occasionale”, intendendosi quello con durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare, con lo stesso committente, con un compenso totale percepito non superiore a 5.000 euro;
• sono state introdotte politiche di workfare per favorire l’inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati attraverso il
ricorso, in via sperimentale, a deroghe alla disciplina generale della somministrazione;,
• si è proceduto a ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei nuovi contratti, mediante una procedura volontaria di certificazione che prevede anche il coinvolgimento delle parti sociali e delle università.
1.2 Il “nuovo”collocamento
Significativi sono i progressi nella messa a regime del nuovo sistema di collocamento pubblico. Si è registrato un
notevole impulso da parte delle Regioni: 12 Regioni, tra il 2003 e il 2004, hanno approvato appositi atti. Le attività legate all’accertamento dello stato di disoccupazione associate ad una combinazione dei nuovi servizi attivati presso i Cpi hanno contribuito a “sburocratizzare” l’attività delle strutture. Si pensi alla notevole crescita delle funzioni di orientamento (più 11,4% rispetto al 2002) e di azioni di accompagnamento al lavoro (consulenza,
counselling, tutoraggio, elaborazione di piani individuali di inserimento) frequentemente codificate in carte dei
servizi che definiscono un rapporto con l’utenza più trasparente tanto sul piano degli obiettivi da raggiungere,
quanto su quello degli strumenti messi a disposizione. Peraltro, le prassi previste dagli strumenti normativi hanno accentuato l’esigenza di un maggiore raccordo tra le politiche del lavoro e quelle della formazione e dell’istruzione, tanto sul piano degli indirizzi regionali e provinciali, quanto su quello della realizzazione di reti territoriali. In particolare, riguardo a queste ultime: circa il 71% delle province italiane ha allacciato rapporti formalizzati con organismi pubblici o privati; il 54% di esse, inoltre, ha stipulato accordi quadro con i Comuni, soprattutto per garantire una maggiore diffusione del servizio sul territorio attraverso punti informativi comunali;
il 69% delle province, infine, è coinvolto nella realizzazione di iniziative o di implementazione di progetti cofinanziati dalla UE.
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1.3 La rete dei servizi per l’impiego
In Italia il sistema dei Servizi pubblici per l’impiego conta 536 strutture (Centri per l’impiego) a titolarità provinciale
(+9 rispetto alle 527 del 2002), alle quali vanno aggiunti i 220 Sportelli Multifunzionali attivati, a partire dal 2002, dalla Regione Siciliana con compiti di erogazione di politiche attive del lavoro. Nell’ultimo anno le azioni di monitoraggio condotte su scala nazionale (Rapporto di monitoraggio dell’ISFOL) hanno mostrato come il sistema nel suo complesso abbia registrato avanzamenti sul piano strutturale, strumentale, funzionale. Tali andamenti, peraltro, assumono
ulteriore significato se contestualizzati all’interno della riforma del mercato del lavoro, delle recenti disposizioni in materia di collocamento e definizione dello stato di disoccupazione attraverso le quali sono stati tradotti nell’ordinamento italiano e, soprattutto, nella prassi organizzativa degli uffici territoriali degli Spi, gli orientamenti della Commissione Europea in materia.
Riguardo alla gestione dei servizi da parte delle amministrazioni provinciali e, sotto il profilo dell’assistenza tecnica, delle Agenzie regionali per il lavoro si osserva l’introduzione di sistemi e di strumenti innovativi di organizzazione e gestione delle risorse, tanto strumentali (assetti e modalità operative di funzionamento, layout, logistica e dotazioni informatiche) quanto umane (politiche del personale).
Va evidenziato il generalizzato miglioramento del livello qualitativo dei servizi erogati dai Cpi, con un aumento significativo della quota di Centri in grado di offrire servizi altamente qualificati (dal 34,8% del 2002, al 48,4% del 2003).
Su base territoriale il maggiore incremento si registra nelle regioni del Sud Italia, che continuano, pur rimanendo ancora al di sotto della media nazionale, il processo di riduzione della distanza dalle regioni del Centro-Nord. A tale avanzamento ha contribuito anche la scelta, operata dall’Italia nel quadro del QCS Ob.1, di includere la messa a regime di
un numero di Servizi per l’Impiego tale da garantire la copertura di almeno il 50% della popolazione regionale, tra i
criteri in base ai quali è stata attribuita, nel corso del 2003, una riserva di premialità del 6% della quota nazionale di
cofinanziamento del QCS.
1.4 Attuazione della riforma del sistema educativo
Nel corso del 2004 è stato avviato anche l’iter di applicazione della legge delega n. 53/2003 di riforma del sistema scolastico e formativo. E’ stato emanato il decreto legislativo relativo alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione
(Decreto legislativo 19 febbraio 2004, n. 59). Sono stati, inoltre, approvati in via preliminare dal Consiglio dei Ministri i
seguenti decreti:
• Schema di decreto legislativo concernente il diritto - dovere all’istruzione e alla formazione;
• Schema di decreto legislativo concernente la definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola – lavoro;
• Schema di decreto legislativo concernente l’istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema di istruzione e
formazione, nonché riordino dell’Istituto nazionale per la valutazione del sistema dell’istruzione.
Politiche attive delle Regioni
Sul versante della programmazione delle policy in molte Regioni va rilevato il costante aggiornamento dei Piani per il lavoro e la formazione, con particolare riferimento agli obiettivi da perseguire in ordine alla nuova Strategia Europea per
l’Occupazione e al mutato contesto normativo nazionale. Allo stesso modo è importante segnalare un’intensa attività di
programmazione, che sta assumendo caratteristiche importanti anche a livello decentrato, con piani per l’occupazione
provinciali che dettagliano in molti casi gli atti di indirizzo regionali, realizzando così quel meccanismo di sussidiarietà
e di buona governance nelle politiche territoriali per l’impiego.
FSE: principali scelte di riprogrammazione.
Rispetto all’asse A le decisioni di investimento delle Regioni/PA hanno condotto ad un incremento complessivo
delle risorse. In particolare, si sottolinea che in relazione alla misura che promuove l’implementazione del sistema
dei Servizi per l’impiego si è inteso privilegiare una prospettiva di consolidamento e di innalzamento degli standard di funzionamento e di verifica della qualità. Rilevante e comune a molti, l’impegno ad implementare il monitoraggio sugli aspetti qualitativi delle attività svolte. In alcune realtà si è scelto di incrementare le azioni di contrasto delle forme di lavoro irregolare e gli interventi legati all’inserimento e reinserimento nel mercato del lavoro.
Inoltre, si tende a sostenere la transizione dei giovani al lavoro: piuttosto diffusa, infatti, la necessità di rafforzare
l’apprendistato. Rispetto alla disoccupazione di lunga durata si investirà in modo consistente in interventi formativi che possano consentire di superare situazioni di crisi e che contrastino l’impoverimento della professionalità
dei soggetti maggiormente esposti al rischio di marginalizzazione, prevedendo, in sintesi, azioni di supporto ai processi di ristrutturazione.
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GL2: Creazione di posti di lavoro e imprenditorialità
2.1. Gli strumenti di incentivazione dell’autoimprenditorialità e dell’autoimpiego
A partire dal secondo semestre del 2003, grazie ad un apposito stanziamento finanziario deliberato dal CIPE, l’attività
di concessione di nuove agevolazioni ha potuto essere riavviata. Per quanto riguarda il Titolo I del decreto 185/00, che
incentiva la creazione e lo sviluppo di imprese costituite da giovani nelle aree depresse del Paese attraverso quattro diverse misure di intervento, nel corso del 2003 sono pervenute 156 nuove domande di finanziamento, per il 98% concentrate nel Sud. Sono state ammesse alle agevolazioni 28 proposte per un totale di 37 j/ML. L’occupazione complessivamente generata dalle iniziative finanziate è pari a 330 unità. Il Titolo II del decreto, invece, offre tre opportunità di
autoimpiego: il Lavoro Autonomo, la Microimpresa e il Franchising. Queste tre misure costituiscono il principale strumento di sostegno per la realizzazione e l’avvio di piccole attività imprenditoriali da parte di disoccupati o persone in cerca di prima occupazione e sono applicabili in tutti i comuni del Sud e in oltre 3.400 comuni del Centro Nord, pari complessivamente al 74% circa del totale dei comuni italiani.
La gestione 2003 degli incentivi all’autoimpiego è stata caratterizzata dall’introduzione di modifiche di processo necessarie a renderlo coerente con un mutato quadro normativo e ad aumentarne il livello di efficacia ed efficienza.
Nel corso del 2003 sono state presentate 15.005 nuove domande e ne sono state ammesse a finanziamento 12.753.
Sul complesso delle domande istruite, il 5,1% riguarda richieste provenienti dalle aree del Centro Nord e il restante 94,9% domande provenienti dal Sud. Il tasso di ammissione del 2003 è risultato maggiore rispetto alla media storica (70% contro il 34%), evidenziando un sensibile miglioramento della qualità progettuale. A fronte di 12.753
domande ammesse alle agevolazioni sono stati complessivamente assunti impegni di spesa per agevolazioni finanziarie pari a 388.453.100,78 j. Ulteriori impegni di spesa, per complessivi 44.157.068,75 j, sono stati assunti per
servizi di assistenza tecnica ai beneficiari in fase di realizzazione degli investimenti e di start up. Nel corso del 2003
sono state erogate agevolazioni finanziarie per un importo complessivo pari a j 136.021.341,46. L’occupazione
complessivamente generata dalle iniziative finanziate è pari a 15.848 unità: 94,3% nelle regioni del Sud ed il restante
5,7% nelle regioni del Centro Nord.
Analisi di genere - Domande presentate e ammesse: distribuzione territoriale e settoriale
Risulta particolarmente significativo l’interesse manifestato dalle donne verso gli strumenti di promozione dell’Autoimpiego e, in particolare, verso gli incentivi erogati dal Lavoro Autonomo. Il 41% della domanda complessiva registrata su
tale misura è di genere femminile, con un divario, rispetto alla componente maschile, che si è annullato negli anni: la
percentuale della domanda femminile è passata dal 26% registrato nel 1996 al 48% del 2003. La scomposizione territoriale del totale delle richieste di finanziamento avanzato dalle donne evidenzia una maggiore presenza femminile per
le iniziative presentate da proponenti del Centro Nord (48% contro il 40% del Sud). Per Microimpresa, la rilevazione
di genere evidenzia dati meno brillanti indicando, probabilmente, una maggiore difficoltà delle donne a presentare iniziative imprenditoriali più complesse di quelle realizzabili sotto forma di ditta individuale. Per questa misura, infatti, la
componente femminile (calcolata sul numero complessivo dei soci delle imprese che hanno fatto richiesta delle agevolazioni) si attesta al 33%, con una ripartizione territoriale (33% al Sud e 27% al Centro Nord). L’analisi settoriale delle
iniziative ammesse alle agevolazioni segnala la forte presenza femminile nelle imprese del turismo con il 72% circa. Segue il settore del commercio con il 51% e quello dei servizi alle persone con il 38% circa delle ditte agevolate a titolarità femminile.
2.2 Il progetto Fertilità
Sono stati stanziati circa 36 milioni di euro per realizzare un programma di sostegno allo start up di cooperative sociali
(Progetto Fertilità) promosse da realtà cooperativistiche consolidate e da altre organizzazioni del Terzo Settore quali ONG,
associazioni, organizzazioni di volontariato, fondazioni, enti ecclesiastici. L’incentivo fondamentale è un contributo per
l’accrescimento patrimoniale, pari al doppio del capitale sociale, finalizzato alla realizzazione di investimenti e nuova occupazione. In risposta all’apposito bando sono pervenute 297 domande per complessivi 529 progetti di creazione o sviluppo di impresa sociale. La differenza tra il numero delle domande e quello dei progetti deriva dalla facoltà dei promotori di presentare fino ad un massimo di 10 iniziative imprenditoriali (cosiddetti progetti a grappolo). La valutazione ha
condotto all’approvazione di 116 domande per un totale di 182 progetti, 95 dei quali finanziati già nel corso del 2003.
L’occupazione a regime generata dalle iniziative finanziate è stimata in 706 unità, di cui il 54% costituito da persone
svantaggiate e disabili (in alcune Regioni - Emilia Romagna, Veneto, Piemonte e Basilicata - tutti i nuovi lavoratori sono svantaggiati o disabili).
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2.3 Il contributo del Fse (QCS Ob. 1 e 3 – misura D3) e di Equal (misura 2.2)
Il 2003 ha visto rafforzarsi e consolidarsi, su tutto il territorio nazionale, il contributo del FSE al raggiungimento degli obiettivi del Nap in materia di creazione di posti di lavoro e imprenditorialità. Dal punto di vista finanziario nel 2003 si registra
una capacità di spesa generalmente superiore rispetto alle annualità precedenti, anche se permangono specificità a livello territoriale a volte marcate. Dal punto di vista dell’attuazione fisica nel 2003, con riferimento alle sole Regioni ob. 3, risultano
approvati 1.209 progetti. Sempre con riferimento al Centro-nord gli interventi finanziati con il Fse, in coerenza con gli obiettivi della misura, hanno riguardato progetti riferibili prevalentemente a tre ambiti: gli incentivi per il lavoro autonomo, i percorsi integrati per la creazione di impresa e la formazione per la creazione di impresa. Tuttavia ampiamente diffuse sono state anche le attività di orientamento, consulenza e informazione rivolte alle persone. Dal punto di vista dei target raggiunti dalle azioni cofinanziate, emerge come gli interventi rivolti al sostegno dell’imprenditorialità abbiano intercettato un’utenza giovane, ma non necessariamente e non sempre giovanissima (il 40% è rappresentato infatti da persone con un’età compresa tra
i 30 e i 44 anni): in particolare le forme di incentivazione diretta alla creazione di impresa si sono indirizzate a una platea di
soggetti che nel 50% dei casi supera i 30 anni. Inoltre più del 60% degli utenti raggiunti presenta un titolo di studio elevato. Complessivamente dunque è possibile affermare che le azioni rivolte al sostegno dell’imprenditorialità finanziate dal Fse
si sono caratterizzate principalmente come misure di enterprise creation piuttosto che di job creation.
Per quanto riguarda la misura 2.2 (Asse Imprenditorialità) di Equal, le PS Settoriali (a valenza nazionale) ammesse a finanziamento sono 9 e le PS Geografiche 62 per un totale di spesa certificata nel 2003 di 27.235.791 Euro. Le finalità dei progetti attivati attraverso la misura in questione consistono in: promozione della governance dello sviluppo territoriale; miglioramento delle competenze organizzative e manageriali degli imprenditori sociali; emersione delle situazioni di lavoro precario o irregolare; sviluppo di strumenti di finanziamento del non profit; sviluppo dell’approccio multidimensionale per la sostenibilità dell’impresa sociale; approccio di partnership che permette di sviluppare le azioni individuate dalla misura, agendo
simultaneamente e in modo integrato su più dimensioni; rafforzamento delle competenze professionali ed organizzative nel
Terzo settore; crescita sociale ed economica dei lavoratori/soci delle cooperative sociali, nonché degli utenti dei servizi.
Il ruolo delle Regioni
Dal punto di vista della legislazione, le Regioni e P.A. hanno, da un lato, provveduto a rifinanziare le disposizioni normative esistenti e, dall’altro, disciplinato e promosso interventi per favorire il consolidamento e lo sviluppo delle PMI.
Una tendenza che emerge con forza è l’attenzione per la promozione, il sostegno e lo sviluppo della cooperazione sociale e del non-profit. Si sottolinea come siano in corso in alcune Regioni veri e propri processi di riordino degli strumenti di politica a favore delle imprese e la creazione di testi unici concertati con le categorie produttive e le forze sociali. Per
quanto riguarda la progettualità regionale, nell’ultimo anno si segnala il rafforzamento degli interventi formativi rivolti
alle persone per la creazione di impresa, dei percorsi di inserimento lavorativo, delle iniziative di sostegno di natura economica volti ad agevolare l’avvio e lo sviluppo di imprese innovative generate da spin-off aziendali o accademici, con particolare attenzione alla componente femminile, ai giovani ed alle fasce deboli. Inoltre, anche alla luce dell’allargamento
dell’Unione Europea, le Regioni e P.A. sono fortemente impegnate nei processi di internazionalizzazione e di promozione all’estero del sistema delle piccole e medie imprese e interessate a prendere parte al programma del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali finalizzato ad implementare ed a sostenere la mobilità transnazionale attraverso azioni di sistema dirette verso alcuni Paesi UE ed extra-UE. Un forte valore aggiunto all’attività delle Regioni/PA rispetto allo scorso anno viene fornito dalla presenza di numerosi progetti a valenza interregionale.
FSE: principali scelte di riprogrammazione.
L’asse D ha evidenziato un generale aumento di risorse rispetto alla dotazione inizialmente programmata. Tutte le Regioni hanno confermato il ruolo centrale degli interventi innovativi finalizzati allo sviluppo dell’imprenditorialità e all’adeguamento e adattabilità delle imprese e delle risorse umane all’evoluzione del mondo del lavoro. Una priorità di intervento comune a tutte le Regioni rimane lo sviluppo di nuova imprenditoria con particolare attenzione ai nuovi bacini per l’impiego. La strategia di consolidamento dell’imprenditoria e dell’occupabilità nei campi di interesse delle Regioni è inoltre perseguita attraverso lo sviluppo delle competenze e del potenziale umano quale fattore di competitività
nel settore della Ricerca e Sviluppo Tecnologico.
GL3: Affrontare il cambiamento e promuovere l’adattabilità e la mobilità nel mercato del lavoro
3.1 I nuovi istituti contrattuali della legge Biagi
I nuovi istituti contrattuali istituiti con la legge Biagi, in un’ottica di modernizzazione degli strumenti giuridici del mercato del lavoro, si pongono l’obiettivo di promuovere un lavoro regolare, adattabile, effettivamente tutelato. In particolare:
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– lavoro intermittente, ossia la disponibilità del lavoratore, anche a tempo indeterminato, a svolgere “prestazioni di carattere discontinuo o intermittente” (job on call), su richiesta del datore e con “congrua” indennità mensile di disponibilità, nei periodi di fermo;
– lavoro a coppia o job sharing;
– lavoro a progetto, per coloro che svolgono un “lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione” e
per il quale sono previste maggiori tutele;
– lavoro occasionale e accessorio, ovvero un’attività lavorativa sporadica, svolta da soggetti a rischio di esclusione sociale
o non ancora nel mercato del lavoro o prossimi all’uscita. Tali soggetti comunicano la loro disponibilità ai SPI provinciali o agli operatori, pubblici e privati, accreditati dalla Regione. Questa tipologia contrattuale comprende attività varie ma il dato distintivo è costituito dalla modalità di stipula, che dovrebbe avvenire non tra le parti contraenti ma con
l’acquisto presso agenzie autorizzate di voucher o buoni equivalenti ad un certo ammontare di prestazioni, la cui corrispondente cifra viene pagata al lavoratore dopo la prestazione.
3.2 La mobilità territoriale
Il processo di mobilità interna per motivi di lavoro costituisce un fenomeno quantitativamente significativo e crescente
nel nostro Paese. I dati ISTAT e le elaborazioni SVIMEZ degli ultimi anni stimano che il flusso attiene a 150.000-200.000
persone annue, la maggior parte delle quali di età compresa tra i 25 e i 35 anni, diplomati e laureati. Le zone di maggiore attrazione sono rappresentate dalle aree distrettuali del nord, dai cluster distrettuali del centro e della dorsale adriatica che sembrano costituire i nuovi poli di richiamo per le persone disoccupate che risiedono nel Mezzogiorno. La decisione di spostarsi è costituita da un insieme di fattori, tra cui di assoluto rilievo risulta il reddito derivante dall’opportunità di lavoro ma altrettanti importanti sono la qualità e la quantità di servizi cui si può fruire nel territorio di destinazione.
Allo scopo di accompagnre e di facilitare l’inserimento, non solo lavorativo, delle persone in mobilità, il Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali, in collaborazione con le Regioni e con il supporto di Italia Lavoro, ha realizzato nel corso del 2003 l’azione di sistema “SUDNORDSUD” con l’obiettivo di: a) progettare, formare e implementare una rete
nazionale di servizi per l’impiego pubblica e privata in grado di proporre un modello di servizio per l’incontro domanda offerta di lavoro in mobilità geografica; b) accompagnare i flussi con iniziative di stimolo, promozione e assistenza
tecnica; c) sperimentare, promuovere e articolare una gamma di interventi di politica attiva mirata ai soggetti in mobilità.
I risultati conseguiti dal progetto sono di rilievo: una rete costituita da 60 Centri per l’impiego e 75 nodi privati, dislocati in 17 regioni e in 70 province; 300 operatori pubblici e privati appositamente formati; 20 progetti di localizzazione
in accompagnamento per circa 2.000 lavoratori attraverso percorsi di formazione al nord per ritornare con il lavoro al
sud; 8 “laboratori di autoimpiego” attivi presso i Centri per l’impiego; 7 “tavoli dell’accoglienza” attivati in 6 regioni del
centro nord con il coinvolgimento di oltre 150 soggetti istituzionali e attori locali; 50 progetti di lavoro attivati dalla rete che riguardano 1500 soggetti in mobilità accompagnata e 250 imprese; dopo tre mesi di attivazione, oltre 1.000 posti di lavoro costantemente a rotazione presenti sulla bacheca telematica “ASPIDEA” insieme a circa 2.000 nominativi
di persone che hanno dato la propria disponibilità ad intraprendere esperienze di mobilità.
A questo percorso si sono aggiunti diverse azioni di supporto:
– un’intesa fra Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca per realizzare
4500 tirocini in mobilità post diploma collegati a progetti IFTS destinati a giovani del Mezzogiorno per figure professionali che difficilmente possono sperimentarsi sul territorio di provenienza (ICT e Meccatronica). Il progetto, con
il supporto delle Regioni, intende saggiare le opportunità offerte dal tirocinio svolto presso imprese del Centro - Nord
che già hanno investito risorse - o che mostrano interesse ad investire - nelle aree del Mezzogiorno, in modo da sostenere il rientro dei corsisti nelle regioni di provenienza. Il progetto è in fase di avvio, ha durata triennale, prevede l’attivazione entro la fine dell’anno di 33 corsi nel Mezzogiorno per formare 660 specialisti nel settore ICT;
– una collaborazione fra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e Ministero delle Attività Produttive per realizzare, nell’ambito della riprogrammazione Fse, tirocini formativi in mobilità di “andata e ritorno” e percorsi integrati di
inserimento lavorativo per soggetti svantaggiati presso imprese e stabilimenti realizzati grazie ai finanziamenti pubblici al sud (Legge 488/92);
– un’iniziativa con il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per interventi concertati sull’accoglienza abitativa dei
lavoratori in mobilità.
– un accordo tra Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e Sviluppo Italia per garantire l’interazione fra le opportunità
di finanziamento e di supporto per l’autoimpresa ed i servizi forniti nella rete dei laboratori per l’autoimprenditorialità ai giovani in mobilità geografica che intendano avviare un’attività in proprio;
– iniziative promosse dalle Province per integrare con risorse proprie le azioni della rete nazionale sostenendo strumenti flessibili di politica attiva;
un programma quadro integrato SudNord/NordSud tra Stato-Regioni-Autonomie Locali, per la realizzazione del quale
sono state impegnate risorse finanziarie pari a 10 milioni di euro. Il Programma si articola in due aree di attività che hanno
8
l’obiettivo di mettere a regime la sperimentazione dei tirocini formativi in mobilità geografica e di consolidare la rete di
servizi alle imprese e alle persone creata attraverso l’azione di sistema.
3.3 La mobilità nei Paesi dell’Unione: la rete EURES
E’ in corso di rinnovo il sistema di IT di EURES al fine di poter adempiere all’obbligo di rendere visibili e consultabili
da parte di tutti gli Stati Membri le offerte di lavoro entro il 2005. In tal senso, sarà necessario agevolare e monitorare il
superamento degli ostacoli alla mobilità; anche nel quadro dell’allargamento occorrerà fornire informazioni sui lavoratori facilmente accessibili durante il periodo di transizione; bisognerà infine predisporre un sistema di valutazione e monitoraggio dei risultati ottenuti dal servizio EURES.
Strategie regionali e scelte di riprogrammazione FSE
Al programma quadro hanno aderito 16 Regioni più la provincia Autonoma di Trento. Un ulteriore accordo interregionale per la realizzazione dei tirocini formativi vede coinvolte la Provincia Autonoma di Trento, la Calabria e la Campania. La finalità è quella di favorire lo sviluppo della mobilità del lavoro, dell’occupabilità e del partenariato fra territori ed imprese, dello sviluppo locale dei territori regionali e provinciali e della qualità dell’accoglienza.
In merito al Programma di Iniziativa Comunitaria Equal, nell’ambito della riprogrammazione del DOCUP, l’asse adattabilità è stato rivisitato alla luce della riforma del mercato del lavoro adottata a livello nazionale che promuove una nuova organizzazione del mercato del lavoro, basata su un innovativo modello di raccordo degli attori, pubblici e privati, che
modifica il sistema delle relazioni industriali e introduce nuovi istituti di diritto del lavoro.
Riguardo alle politiche per l’adattabilità finanziate dal FSE la formazione continua resta una delle politiche cardine finalizzate al raggiungimento di elevati livelli qualitativi della forza lavoro. Vengono confermati percorsi professionalizzanti finalizzati al supporto ai processi di qualificazione delle risorse umane e di stabilizzazione dell’occupazione per combattere eventuali rischi di precarizzazione del mercato del lavoro. Accanto ai tradizionali corsi formativi, divengono cruciali le azioni di sostegno e di sensibilizzazione finalizzate a sviluppare nelle imprese, soprattutto di piccola e media dimensione, la consapevolezza che la formazione continua sia un elemento di crescita e di competitività nel mercato. Le
Regioni confermano inoltre la priorità relativa alla formazione continua nel settore pubblico, con la finalità di accompagnare i processi di innovazione nel settore derivanti dalla riorganizzazione delle funzioni amministrative, attraverso
programmi di valorizzazione delle risorse umane coinvolte nella programmazione e nella gestione dei nuovi compiti a livello territoriale.
GL4: Promuovere lo sviluppo del capitale umano e l’apprendimento lungo l’arco della vita
4.1 Le politiche per la formazione continua
Le politiche per la formazione continua si basano su un sistema ampio e consolidato di strumenti di finanziamento e gestione, costituito in primo luogo dal FSE e dalla legge 236/93, ma anche dai nuovi Fondi Paritetici Interprofessionali.
Con il 2003 si è conclusa la fase transitoria di avvio dei Fondi Interprofessionali e si sta procedendo alla piena attuazione del meccanismo che consente alle imprese di destinare il gettito derivante dal contributo di parte dello 0,30 delle retribuzioni versato all’INPS alla formazione continua dei propri dipendenti. Dieci sono i Fondi (tab. 1) fino ad oggi costituiti e autorizzati, rappresentativi di una larga parte del mondo delle imprese e dei lavoratori. Al 30 giugno 2004 sono risultate iscritte 296.644 aziende, per un totale stimato dall’INPS di 4.272.178 lavoratori dipendenti (pari a circa il
40% degli interessati).
9
10
24/02/2003
06/03/2003
06/03/2003
Terziario, comparti turismo
e distribuzione-servizi
Artiginato; Piccole
e medie imprese
Cooperazione
Industria
Terziario, comparti del
commercio-turismo-servizi,
creditizio-finanziario, assicurativo
e logistica-spedizioni-trasporto
Piccole e medie
imprese industriali
FON.TER
FONDO
ARTIGIANATO
FORMAZIONE
FONCOOP
FONDIRIGENTI
FONDIR
FONDO
DIRIGENTI PMI
29/12/2003
04/08/2003
10/05/2002
80.000
26.500
Confindustria;
Federmamager
Confcommercio; Abi;
Ania; Confetra;
Fendac;
Federdirigenti
credito; Sinfub; Fidia
Consilp;
Confprofessioni;
Confedertecnica;
Cipa; Cgil; Cisl; Uil
9.966.655
535.000
5.218
470.765
A.G.C.I.;
Confcooperative;
Legacoop; Cgil;
Cisl; Uil
Confapi;
Federmanager
798.000
274.417
Confesercenti;
Cgil;
Cisl; Uil
Confartigianato;
Cna; Casartigiani;
Cgil; Cisl; Uil
2.474.276
1.140.000
4.162.479
49.502.393,77
-
-
739.049,82
2.231.093,80
2.350.418,76
3.984.226,03
1.370.099,44
12.353.477,26
5.691.751,48
20.782.277,18
Dipendenti
Risorse D.D.
(autodichiarazio- 148/I/2003-art. 2
ni)
(Euro) (*)
Confecommercio;
Abi; Ania;
Confetra; Cgil;
Cisl; Uil
Confapi; Cgil;
Cisl; Uil
Confindustria;
Cgil;
Cisl; Uil
Organizzazioni
firmatarie
-
77.278.500,00
46.481.120,92
-
1.153.735,35
3.482.974,65
3.669.253,58
6.219.800,45
2.138.870,91
19.285.091,48
8.885.429,23
32.443.344,35
Risorse D.D.
351/I/2003
(Euro) (*)
-
-
130.669,70
394.474,57
2.321.310,26
3.934.883,83
1.353.131,60
12.200.486,99
5.621.262,60
20.524.901,37
Risorse D.D.
148/I/2003-art. 1
(Euro) (*)
173.262.014,69
-
-
2.023.454,87
6.108.543,02
8.340.982,60
14.138.910,31
4.862.101,95
43.839.055,73
20.198.443,31
73.750.522,90
Totale risorse
(Euro) (*)
296.644
-
-
2.140
9.108
6.084
126.663
31.056
62.529
24.296
34.498
Adesioni
aziende
(***)
(*) Si tratta della ripartizione delle risorse ex art. 118 legge 388/2000 disposta con il Decreto Dirigenziale n. 148/I/2003 e il Decreto Dirigenziale n. 351/I/2003 (è in via di ripartizione la quota residua del
(**) Fondo costituito e autorizzato in data successiva al 30 giugno 2003.
(***) Stime INPS, ottobre 2003.
TOTALE
FONDOPROFESSIO- Studi professionali
e aziende ad essi collegate
NI
31/10/2002
Terziario, comparti del
commercio-turismo-servizi,
creditizio finanziario, assicurativo
e logistica-spedizioni-trasporto
FOR.TE
31/10/2001
21/01/2003
Industria
Fondo Formazione
PMI
28/11/2002
Decreti di
autorizzazioni
del MLPS
Industria
Settori
interessati
4.272.178
-
-
33.493
56.177
219.298
544.204
206.282
920.415
323.879
1.968.430
Adesioni
lavoratori
(***)
1
FONDIMPRESA
Fondi paritetici
interprofessionali
TABELLA
Prospetto riassuntivo dei fondi interprofessionali costituiti ed autorizzati a dicembre 2003
Per quanto riguarda la legge 236/93, il tradizionale canale di finanziamento della formazione continua in Italia, nel
corso del 2003 si è realizzata una svolta nella strategia attuativa della legge. La distribuzione di risorse alle Regioni
(50 milioni di euro) è stata accompagnata da un provvedimento sui criteri generali per la promozione dei Piani formativi individuali, aziendali e territoriali, che si muove in direzione di una ‘specializzazione’ degli strumenti di finanziamento esistenti tale da assicurare il coinvolgimento dei destinatari delle azioni di formazione continua più difficilmente raggiungibili dai nuovi Fondi Paritetici Interprofessionali. Si prevede infatti: da un lato, di favorire l’integrazione con il Fse e valorizzare le diverse linee del sostegno pubblico alla formazione continua tenendo conto dell’avvio dei Fondi; dall’altro, che il 70% delle risorse assegnate alle Regioni dovranno indirizzarsi ad interventi dedicati: a) ai lavoratori delle imprese private con meno di 15 dipendenti; b) ai lavoratori di qualsiasi impresa privata
con contratti di lavoro a tempo parziale, a tempo determinato o di collaborazione coordinata e continuativa nonché
inseriti nelle tipologie contrattuali ad orario ridotto, modulato o flessibile e a progetto previste dalla legge 30/2003;
c) ai lavoratori di qualsiasi impresa privata collocati in cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria, o con
età superiore a 45 anni o in possesso del solo titolo di licenza elementare o istruzione obbligatoria. Il restante 30%
delle risorse è finalizzato a destinatari definiti e individuati dalla stesse Regioni e Province Autonome. E’ prevista
un’attività di monitoraggio delle iniziative finanziate da realizzarsi sulla base indicatori elaborati dal Ministero con
il supporto dell’Isfol.
Relativamente al contributo del FSE, la misura D1, dedicata allo sviluppo della formazione continua quale strumento
di adattabilità delle imprese e dei lavoratori, è presente nella programmazione ob.1 e ob.3. Nel corso del 2003 la realizzazione dei progetti cofinanziati legati a tali obiettivi ha subito un notevole incremento rispetto agli anni precedenti di
attuazione del programma 2000-2006. Complessivamente sono stati spesi 228 milioni di euro che costituiscono il 49%
della spesa e impegnati 421 milioni di euro ossia il 42%. La valutazione intermedia dell’ob.3 conclude che, allo stato
attuale, risulta ancora difficile pensare alla formazione continua come strumento di garanzia dei lavoratori più deboli e
che le scelte formative delle aziende si concentrano su lavoratori relativamente forti.
Per quanto riguarda la Formazione Continua Individuale, la cui sperimentazione ha preso avvio nel 1998, con la legge 53/2000 essa si configura come un diritto soggettivo. I dispositivi organizzativi attraverso cui si realizza l’offerta da
parte delle Regioni (o Province, nei casi in cui la materia è stata decentrata) sono due: i cataloghi e i voucher. I lavoratori in genere sono tenuti a compartecipare alla spesa con quote fino al 20% del totale. Sebbene non siano ancora disponibili monitoraggi approfonditi in grado di delineare il quadro completo dell’esperienza, le analisi che sono state
condotte fino ad oggi segnalano, oltre ai risultati positivi in termini di adesione dei lavoratori e di gradimento delle amministrazioni regionali per la semplicità di gestione del meccanismo del voucher, anche alcune necessità relative: a) all’attivazione di misure di accompagnamento adeguate ai lavoratori più “deboli”; b) allo sviluppo di un’offerta mirata ai
fabbisogni professionali dell’area territoriale di riferimento e caratterizzata da condizioni logistiche e di flessibilità adeguati alle caratteristiche e alle esigenze dell’utenza. Occorre osservare che l’esperienza della FCI si sta configurando come un’opportunità di grande importanza per lo sviluppo di politiche di lifelong learning e che molte Regioni stanno attivando azioni di monitoraggio accurate . Cominciano a profilarsi anche nuovi comportamenti aziendali, che, in qualche caso, promuovono l’accesso dei lavoratori alla FCI, evitando le complicazioni organizzative e i costi economici connessi con l’attivazione di piani formativi aziendali. Tra le tipologie formative emergenti un’attenzione particolare va posta sui voucher aziendali, che possono definirsi come incentivi economici di natura individualizzata volti al finanziamento di attività formativa documentabile scelta dai destinatari (lavoratori delle imprese). Da un’analisi dei voucher
erogati attraverso gli strumenti di finanziamento nazionale (236/93 e 53/2000 tipologia B) si evidenzia come i lavoratori complessivamente coinvolti siano quasi 24.000 per la 236/93 e circa 10.000 per la 53/00. In considerazione
delle difficoltà incontrate dalle Regioni per l’attuazione degli interventi il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali nel
progettare il provvedimento relativo alla nuova fase di trasferimento di risorse alle Regioni (emanato nel maggio 2004,
ha suddiviso tra le Regioni poco più di 30 milioni di euro), ha previsto che una quota pari al 5% di quanto trasferito possa essere impiegata dalle Regioni per finanziare iniziative di informazione e pubblicità diretta “ai lavoratori, alle imprese ed alle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori”. E’ stato inoltre disposto l’invio da parte delle Regioni di un Rapporto annuale sull’andamento delle attività elaborato sulla base di linee guida e indicatori
predisposti dal Ministero. Si segnala, infine, che nel corso del 2003 l’analisi dei bandi di gara emessi dalle Amministrazioni centrali e regionali ob. 1 e ob. 3 ha evidenziato una crescita dell’utilizzo del voucher formativo nell’ambito
della programmazione del FSE.
4.2 Educazione degli adulti
L’attività dei Centri territoriali permanenti coinvolge 414.000 persone adulte attraverso l’offerta di tre tipologie di corso: finalizzati al conseguimento di un titolo di studio (utenti 62.451); di lingua in favore di cittadini stranieri (utenti
59.996); modulari, principalmente di informatica e lingua straniera (utenti 292.216). Pur in presenza di un incremento del numero degli adulti frequentanti i corsi serali nelle istituzioni secondarie superiori, pari a 63.000 unità, è stato
promosso un progetto finalizzato ad incrementare significativamente il numero degli adulti in possesso di un diploma
di scuola secondaria superiore.
11
4.3 Istruzione e formazione professionale per i giovani fino a 18 anni
La legge n. 53/03 ha previsto che l’obbligo scolastico nonché l’obbligo formativo siano ridefiniti ed ampliati con il diritto-dovere all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. In attesa che vengano emanati i decreti di attuazione, il MIUR, il MLPS, le
Regioni, le province autonome di Trento e Bolzano, le Province, gli Enti Locali, in sede di Conferenza unificata, nel
giugno 2003, hanno siglato un Accordo quadro per la realizzazione, di un’offerta formativa di istruzione e formazione professionale a carattere sperimentale. A seguito di tale accordo, le Regioni hanno stipulato distinti protocolli di
intesa con il MIUR e il MLPS, dando così avvio alle sperimentazioni. Complessivamente nell’anno scolastico
2003/2004 sono stati avviati 1.363 percorsi sperimentali triennali, per un totale di 24.552 allievi. Nel gennaio 2004,
al fine di consentire il rilascio di una qualifica professionale spendibile a livello nazionale, sono stati definiti, in sede di Conferenza Stato Regioni, standard formativi minimi relativi alle competenze di base. Attualmente si sta operando per giungere ad una definizione condivisa in relazione alle certificazioni intermedie e finali e al riconoscimento
dei crediti ai fini dei passaggi tra i sistemi. L’attuazione dei progetti pilota, registrerà per l’anno 2004/2005 un sensibile incremento.
Lo schema di decreto legislativo concernente la definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro la disciplina come modalità di realizzazione della formazione del secondo ciclo per quegli studenti che, avendo compiuto il quindicesimo anno d’età, sono tenuti a conseguire, nell’esercizio del diritto-dovere all’istruzione e
alla formazione, almeno una qualifica professionale. La finalità di tale innovazione è quella di assicurare ai giovani, oltre alle conoscenze di base, l’acquisizione di competenze spendibili sul mercato del lavoro. Con la sua introduzione il processo educativo “esce” dalla classe come luogo esclusivo di apprendimento e si realizza in contesti diversi, in un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e della società
civile. Tali esperienze possono essere realizzate anche in imprese simulate utilizzando il laboratorio come ambiente
di apprendimento contestualizzato: a tale proposito si segnala l’attivazione di un’apposita Rete telematica delle imprese formative simulate (IFS). A giugno 2004 le imprese formative simulate attive sono risultate 477. Dal prossimo anno scolastico ne saranno attivate altre 280, già autorizzate e finanziate con risorse del FSE, pari a 12 milioni di euro per il biennio 2004 - 2006, per un totale di 757. Gli allievi di istituzioni scolastiche del territorio nazionale coinvolti sono attualmente circa 8000 e si prevede che saliranno, nel prossimo anno scolastico, a circa
12.000. In attesa della compiuta definizione dell’iter di approvazione del decreto, circa 300 istituzioni scolastiche
dislocate su tutto il territorio nazionale stanno realizzando, attraverso convenzioni con imprese e agenzie pubbliche e private, una sperimentazione di progetti di alternanza scuola-lavoro che coinvolge circa 6.000 alunni. Nell’anno 2004, a tale scopo, è previsto un finanziamento pari a 13 milioni di euro, che diventeranno 30 nel 2005.
Con il PON scuola, inoltre, sono stati autorizzati 2.220 corsi relative ad esperienze di stage e di alternanza, per un
ammontare di risorse pari a euro 40.269.679.
Per quanto riguarda i contratti a contenuto formativo per i giovani, secondo i più recenti dati INPS la crescita sostenuta dell’occupazione in apprendistato registrata ininterrottamente a partire dal 1997 sembra essersi arrestata. La diminuzione della media degli occupati nel 2002 ha pesato in particolare nelle regioni del Nord Italia. Al contrario, il numero
di giovani che assolve il diritto dovere all’istruzione e alla formazione attraverso l’esercizio dell’apprendistato mostra segnali di crescita: il dato più recente riferito al totale degli apprendisti con età compresa tra 15 e 17 anni fa riferimento a
59.189 unità di occupati al 31 ottobre 2002. La domanda di formazione da parte dei giovani che assolvono il dirittodovere all’istruzione e formazione attraverso l’apprendistato ha trovato, finora, una risposta solo parziale da parte delle
Regioni. L’avanzamento nella costruzione dei sistemi di apprendistato non è uguale per tutte le Regioni: accanto a quelle che hanno un modello “consolidato” permangono Regioni in cui gli interventi per l’apprendistato conservano un carattere di “discontinuità”. La crescita dell’offerta formativa implica una crescita della spesa per l’apprendistato: le Regioni hanno fatto maggiore ricorso sia a risorse proprie che ai POR. L’entrata in vigore del decreto legislativo 276/2003 è
destinata a produrre un impatto rilevante sui sistemi regionali di apprendistato, richiedendo di rinnovare il modello alla luce di nuove indicazioni, prima fra tutte la differenziazione introdotta dalla nuova normativa fra tre tipologie di apprendistato. Allo stesso tempo, il decentramento amplifica il ruolo delle Regioni cui viene affidato il compito di regolamentare l’istituto.
4.4 Istruzione e formazione a livello post-secondario
La filiera IFTS, istituita per rispondere alla necessità di acquisire da parte di un più largo numero di giovani e adulti
competenze tecnico-specialistiche di livello medio-alto, in grado di rispondere all’evoluzione dei processi organizzativi e tecnologici del mondo produttivo, omogenee su tutto il territorio nazionale. Dalle analisi condotte in merito al
primo triennio di programmazione emerge che l’offerta si è triplicata, coinvolgendo un totale di circa 10.000 iscritti. I percorsi IFTS sembrano rispondere in maniera adeguata alle esigenze di un target di riferimento piuttosto eterogeneo: lieve la preponderanza della componente maschile (55,6%); significativa la presenza di adulti con più di 31
anni (15,7%). Ad un anno dal termine dei corsi risulta occupato il 50,8% dei corsisti: i dati mostrano che sono i
12
giovanissimi, con meno di 21 anni, ad essere stati facilitati nell’inserimento professionale; le difficoltà maggiori, invece, si registrano per gli ultra 35enni. La disaggregazione degli occupati per sesso mostra quanto le donne ancora
continuino a scontare le maggiori difficoltà per l’inserimento professionale. Per accrescere la rispondenza della specializzazione tecnica superiore ai fabbisogni formativi del territorio e, più in generale della società europea della conoscenza, la nuova fase sarà caratterizzata dalla stretta connessione tra il sistema dell’IFTS e gli interventi in materia
di ricerca scientifica e di trasferimento tecnologico. E’ in questo quadro che si inserisce l’iniziativa avviata con il Protocollo d’intesa sottoscritto dal MIUR, dal MLPS e dalle Regioni Piemonte e Sardegna. L’intesa riguarda i seguenti
obiettivi: a) definire un piano pluriennale di interventi per collegare istruzione, formazione, lavoro, ricerca scientifica e trasferimento tecnologico; b) intervenire, con priorità, per la messa a regime del sistema dell’IFTS attraverso la
promozione di Poli di eccellenza. Infine, con l'Accordo sancito in sede di Conferenza Unificata il 29 Aprile 2004
sugli standard delle competenze tecnico-professionali delle prime 37 figure nazionali di riferimento si concluderà, a
breve, la prima fase di programmazione dell'IFTS che si è svolta negli anni 1999/2003.
Le iniziative delle Regioni
Nell’ultimo anno la progressiva attuazione della L. 53/2003 ha visto le Regioni impegnate su diversi piani. All’interno
del Dlgs 276/03 stanno lavorando alla realizzazione del libretto formativo. Strettamente legato a questo il tema della
certificazione delle competenze, rispetto al quale le Regioni, nei loro diversi ambiti di pertinenza (istruzione/formazione/lavoro) hanno dato avvio ad un importante progetto interregionale per la definizione di un sistema nazionale condiviso. Per quanto riguarda gli interventi di sistema, le Amministrazioni regionali hanno scelto di continuare a investire
per rafforzare la qualità dei sistemi sinora messi a regime, in modo particolare supportando le successive fasi dell’accreditamento. Si rileva, inoltre, l’intento di diverse Regioni e PA di effettuare costantemente e regolarmente interventi di
“manutenzione qualitativa” dei sistemi con l’obiettivo di creare apparati complessi ma efficienti in grado di garantire
istruzione e formazione lungo tutto l’arco della vita. La scelta di investire nell’innovazione e sulla costante formazione
degli operatori è un fattore strategico. La lotta alla dispersione scolastica e formativa è una priorità. L’obiettivo della SEO
di posti di lavoro più numerosi e migliori è perseguito dalla gran parte delle Amministrazioni regionali con una forte attenzione a dotare di risorse adeguate l’alta formazione privilegiando il raccordo con il mondo dell’università e della ricerca scientifica.
GL5: Aumentare la disponibilità di manodopera e promuovere l’invecchiamento attivo
5.1 Riforma del mercato del lavoro
La riforma Biagi prevede numerosi interventi che, in via diretta o indiretta, risultano finalizzati a promuovere la permanenza o il reingresso nel mercato del lavoro di persone ultra cinquantenni. In particolare:
i) l’istituzione delle cd. agenzie sociali per l’impiego o di personal service che, sulla base di apposita convezione con il soggetto pubblico, sono incentivate1 alla temporanea “presa in carico” dei lavoratori svantaggiati al fine di un loro più
rapido ricollocamento sul mercato del lavoro;
ii) il lavoro intermittente che può essere sperimentato, tra l’altro, per i “lavoratori con più di 45 anni di età che siano
stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti alle liste di mobilità e di collocamento”;
iii) il contratto di inserimento che prevede, tra le categorie di soggetti ammessi, i “lavoratori con più di cinquanta anni di
età che siano privi di un posto di lavoro” ed in genere quelli “che desiderino riprendere una attività lavorativa e che
non abbiano lavorato per almeno due anni”;
iv) il lavoro a progetto;
v) il lavoro accessorio.
5.2 Riforma del sistema pensionistico
Il 28 luglio 2004 il Parlamento ha approvato la legge delega di riforma del sistema previdenziale. La riforma si propone
di raggiungere due obiettivi principali, sulla base anche degli orientamenti condivisi a livello europeo: a) elevare gradualmente l’età pensionabile, per tenere conto degli andamenti demografici; b) sviluppare la previdenza complementare,
A seconda della durata del contratto di lavoro stipulato con il lavoratore svantaggiato, alle agenzie è consentito di:
– operare in deroga al principio della parità di trattamento tra lavoratori somministrati e lavoratori dell’azienda utilizzatrice (contratto di durata non inferiore di 6 mesi),
– detrarre dal compenso e dalla contribuzione dovuta allo stesso lavoratore, l’indennità (sussidio) e la contribuzione figurativa ad spettante
in virtù del suo stato di disoccupazione (contratti di durata non inferiore a 9 mesi).
1
13
da affiancare a quella pubblica, al fine di garantire una migliore sostenibilità del sistema . La riforma, che avrà piena attuazione a partire dal 2008, prevede per il periodo 2004-2007, incentivi economici per i lavoratori dipendenti del settore privato che, pur in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità, decidano di continuare l’attività lavorativa:
essi riceveranno un aumento in busta paga, pari all’importo dei contributi previdenziali che dovrebbero essere versati all’ente di previdenza, che può raggiungere oltre il 45% dell’ammontare della retribuzione. Tale aumento sarà esente da
ogni tipo di imposta.
5.3 Il contributo del FSE e dell’IC Equal
La misura C4 dei QCS ob. 1 e ob. 3 finanzia attività di formazione permanente. Il suo specifico target è costituito da
adulti, occupati e inoccupati, di età compresa tra i 25 e i 64 anni e oltre. L’analisi dell’avanzamento finanziario della misura mostra un’accelerazione dell’impegnato e dello speso, che compensa la scarsa efficienza attuativa degli anni precedenti. Con riferimento alle tipologie di progetto, le azioni formative di aggiornamento culturale e professionale sono le
più numerose (più del 90%), anche se non mancano azioni di orientamento, consulenza e incentivi. L’analisi del target
mostra una prevalenza delle donne sugli uomini (51,4%) e una maggior consistenza del gruppo dei 35-44enni, anche se
è significativa la percentuale degli ultracinquantenni (12%); quasi il 20% dell’utenza complessiva della misura rientra
nella categoria degli inattivi o dei pensionati.
La misura 3.1 (Asse Adattabilità) di Equal, al fine di aumentare la disponibilità di manodopera, agisce promuovendo l’apprendimento lungo tutto l’arco della vita e le pratiche di lavoro orientate all’inserimento, che favoriscano l’assunzione e il mantenimento in situazioni di occupazione di coloro che sono vittime di discriminazione e disparità in relazione al mercato del lavoro. Particolare attenzione viene riservata ai lavoratori scarsamente scolarizzati o con professionalità a rischio di obsolescenza, a quelli che stentano ad uscire dall’economia sommersa e ai lavoratori stranieri, in particolare attraverso la promozione dell’invecchiamento attivo. Le PS Settoriali (a valenza nazionale) ammesse a finanziamento sono 9 e le PS Geografiche 72 per un totale di spesa certificata nel 2003 di
29.599.617,00 Euro.
Le politiche regionali
Le Regioni, consapevoli che le possibilità future di crescita economica e sociale dei territori di loro competenza, così
come anche il mantenimento degli attuali livelli di welfare, si basano sulla possibilità di disporre di capitale umano qualificato, competente ed in quantità tale da evitare strozzature nell’offerta di lavoro, hanno posto il miglioramento dell’occupabilità dei lavoratori più anziani come una delle priorità anche per i prossimi anni. Un’esperienza che merita
menzione riguarda un’amministrazione che ha accolto con particolare interesse l’invito della Commissione europea a
presentare progetti - da finanziare a valere sul Fondo Sociale Europeo, Iniziative innovative ai sensi dell’art. 6 del reg.
CE 1784/99 – per l’identificazione delle politiche, degli strumenti e delle buone pratiche, anche di tipo formativo, più
efficaci a sostenere l’adattabilità dei lavoratori anziani di fronte ai mutamenti culturali, organizzativi e tecnologici che
investono le imprese. Il progetto presentato, che si pone come precursore di una tendenza appena avviata soprattutto
nelle Regioni del centro nord, intende affrontare il “tema della gestione del cambiamento demografico” secondo una
modalità articolata su ambiti di analisi e di intervento che apparentemente distinti risultano tra loro strettamente complementari. La maggior parte delle Regioni, anche in un’ottica di particolare attenzione al raggiungimento dei benchmark della nuova SEO, ha previsto azioni di formazione dei lavoratori anziani anche attraverso la definizione di percorsi personalizzati.
GL6: Parità uomo-donna
6.1.Occupazione e inserimento professionale - tendenze
Nel 2003 il numero di donne occupate è cresciuto in maniera sensibile confermando l’andamento degli anni precedenti. L’incremento è stato pari a 128mila unità (rispetto all’anno precedente +1,6%; nello stesso periodo l’incremento
dell’occupazione maschile è stato dello 0,7%). L’incremento occupazionale ha riguardato prevalentemente la fascia
d’età compresa tra i 35 ed i 54 anni (+ 84mila) e quella immediatamente successiva (55-64, con circa 40mila donne
occupate in più). Guardando alle tendenze che si sono manifestate nell’ultimo quinquennio, l’incremento dell’occupazione femminile è stato favorito da un aumento della partecipazione delle donne in tutte le fasce di età, ad eccezione di quelle giovanissime (15-24) e delle over 65. Le prime, infatti, registrano una maggiore permanenza nei cicli
di istruzione e formazione e la crescita delle giovani diplomate è più sensibile nel Sud (+ 3,8%) rispetto al CentroNord (+1,7%).
14
FIGURA
1
Numeri indice dell’occupazione femminile (1993=100) per classi di età
In termini di composizione, e sulla base della serie non rivista, cresce l’occupazione a tempo parziale, arrivata al 17,3% del
totale e diminuisce quella full time; prosegue la progressiva riduzione della quota del lavoro autonomo e dei contratti a
tempo indeterminato, mentre nell’ambito del lavoro dipendente vi è una lieve ripresa del ricorso ai contratti a termine.
6.2 Valorizzazione e sostegno della rete familiare
Come sottolineato nel NAP 2003, negli ultimi anni il Governo ha mobilitato notevoli risorse per far fronte alla carenza
di servizi educativi per la prima infanzia. Le risorse destinate al Fondo per gli asili nido, istituito con legge finanziaria per
il 2002, pari a complessivi 300 milioni di per il triennio 2002-2004, sono già state per il 50% trasferite alle Regioni;
la quota restante, confluita nel Fondo nazionale per le politiche sociali, verrà trasferita in occasione del riparto del Fondo stesso. Alcune Regioni hanno previsto risorse finanziarie aggiuntive da destinare allo scopo ed è stata prevista un’attività di monitoraggio dell’intero sistema. Per la diffusione di misure atte a favorire la conciliazione dei tempi di lavoro
e dei tempi di cura familiare di grande importanza è, poi, il contributo che il settore produttivo può assicurare: per questo motivo sono state varate specifiche misure volte a favorire l’ampliamento della rete degli asili e micronidi nei luoghi
di lavoro al fine di soddisfare le esigenze dei datori di lavoro e dei lavoratori. Con la legge finanziaria del 2003 sono stati stanziati 10 milioni di euro a favore degli imprenditori che realizzano i nidi e micronidi all’interno dei posti di lavoro.
Sono state svolte le procedure di selezione dei progetti da ammettere al finanziamento. Le domande pervenute sono risultate 227 e di queste 97 ammesse al finanziamento (di cui 23 presentate da soggetti pubblici e 74 da soggetti privati). Nell’anno in corso dovrebbero nascere almeno 120 nuove strutture “alternative” per l’infanzia, con modalità di
funzionamento diversificate per tempi di apertura, iscrizione, orari di frequenza e progetti pedagogici e tra queste spicca la presenza di nidi di condominio organizzati dalle famiglie. Infine, nel quadro delle iniziative volte a rafforzare il sostegno alle responsabilità familiari ed alla conciliazione tra queste e gli impegni professionali, a fianco alle risorse assegnate per lo sviluppo della rete dei servizi, è stata varata una misura sperimentale a carattere universale, un assegno pari
ad euro 1.000,00 concesso alle cittadine italiane e comunitarie, per ogni figlio nato dal 1° dicembre 2003 al 31 dicembre 2004, che sia secondo od ulteriore per ordine di nascita. Ciò anche allo scopo di incentivare le nascite successive alla
prima, che rappresentano un concreto strumento di rilancio demografico. Lo stesso assegno è concesso per ogni figlio
adottato nel medesimo periodo. A fine settembre sono state registrate circa 70.000 assegnazioni effettuate dai comuni.
6.3 Conciliazione tra vita familiare e vita sociale
Nel corso dell’ultimo anno il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si è fortemente impegnato per dare ulteriore
impulso alle misure previste dall’articolo 9 della legge 53/00 in tema di flessibilità dell’orario di lavoro. Si sono ridotti i
tempi di approvazione dei progetti e si è svolta un’attività di consulenza alle aziende ed alle stesse organizzazioni sindacali. I risultati di questo impegno sono rinvenibili nell’aumento del numero di progetti presentati e approvati: nel 2003
15
(94), il 50% dei progetti presentati è stato ammesso a finanziamento (47) totale o parziale, con un incremento del 5%
rispetto all’annualità precedente. Relativamente all’anno in corso i dati ufficiali, non ancora definitivi, sembrano confermare il trend positivo ma occorre sottolineare che, nonostante gli sforzi compiuti e i risultati ottenuti le risorse finanziarie disponibili sono ancora sottoutilizzate. Pertanto, al fine di potenziare indirettamente la capacità delle aziende di
utilizzare le risorse pubbliche in favore della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare, è stato emanato un apposito bando di gara per l’affidamento di servizi di supporto tecnico-gestionale, di ricerca e di promozione territoriale nell’ambito degli interventi in materia di conciliazione.
6.4 Il contributo del Fse alla parità uomo/donna
L’integrazione delle politiche è l’elemento che caratterizza la promozione del principio di pari opportunità ed è in questa prospettiva che si caratterizza il contributo del Fse. Una parte rilevante delle azioni cofinanziate riguarda la misura
direttamente rivolta alla crescita della partecipazione femminile al mercato del lavoro (Mis. E1). I progetti formativi più
“tradizionali”, finalizzati all’occupabilità, continuano ad avere la maggior importanza e sembrano riuscire ad intercettare una parte di utenza femminile caratterizzata dall’esigenza di reinserimento lavorativo dopo un allontanamento temporaneo dal mercato del lavoro. Si registrano, poi, azioni di accompagnamento, che possono essere interpretate come
azioni di conciliazione e che si caratterizzano come azioni di servizio alle persone, con l’intento di accompagnare, o far
precedere, le specifiche iniziative da interventi finalizzati a sostenerne la effettiva realizzazione e, di conseguenza, supportare l’accesso delle donne alle attività programmate. Di estremo interesse per il mainstreaming di genere sono le azioni di sistema finanziate all’interno dell’Asse E, più numerose che negli altri assi. Queste hanno rappresentato il volano
per l’affermazione di strumenti di governance delle pari opportunità a livello regionale: affermazione di nuove figure professionali (animatrici di pari opportunità), coinvolgimento nella programmazione di figure che intervengono sul territorio in materia di pari opportunità (Consigliere di parità), istituzione di servizi specificamente dedicati a questi temi
nelle amministrazioni, ecc. Per quanto riguarda la priorità trasversale delle pari opportunità, si osserva che circa il 41%
del totale dei bandi emessi nel periodo 2000-2002 la assume come condizione di ammissibilità e criterio di selezione e
che il 49,2% dei destinatati degli interventi del Fse sono donne. Infine, la distribuzione per genere dei destinatari muta
sensibilmente a favore delle donne e negli assi A e C mostra una presenza femminile pari all’84,3% dei destinatari. Per
ciò che riguarda, l’attuazione fisica e finanziaria dell’Asse E per l’anno 2003, i dati mostrano una performance soddisfacente: per l’ob.1 si registra un’incidenza del 33,3% degli impegni sul periodo 2000-2003, del 69,6% dei pagamenti e del
57,5 dei destinatari di progetti approvati; per l’ob.3, invece, i dati mostrano una incidenza del 31,8% per gli impegni,
del 52% per i pagamenti; l’attuazione fisica indica una incidenza pari a 42,2% per i progetti approvati e del 41,8% per
i destinatari su progetti approvati.
Per quanto riguarda le azioni, dirette e indirette, in Ob.1 intraprese dal Dipartimento per le Pari Opportunità si segnala l’avvio della “Rete Pari Opportunità”, strumento di assistenza tecnica finalizzato a favorire la diffusione di informazioni e lo scambio di esperienze che possano migliorare la qualità di programmazione, progettazione e valutazione delle
politiche e delle attività in ambito comunitario dal punto di vista del genere. Inoltre, rispetto alle attività riguardanti forme flessibili di lavoro, è stata avviata un’analisi socio-economica sul telelavoro finalizzata a effettuare una ricognizione
delle esperienze realizzate presso Amministrazioni pubbliche o imprese private, sull’intero territorio italiano e finanziate
sia con il ricorso a fondi comunitari che con fondi nazionali o privati e a redigere un apposito vademecum. Per quanto
riguarda le attività relative alla rilevazione di Osservatori sulla condizione femminile, l’attività del Dipartimento si è concentrata sulla ricognizione degli organismi di pari opportunità istituiti nell’ambito dei Fondi strutturali, con l’obiettivo
di effettuare una mappatura degli organismi preposti ad assicurare il rispetto delle pari opportunità e del mainstreaming
di genere presso le Regioni dell’ob.1 e verificare il livello di istituzionalizzazione di tali organismi, la loro diffusione e il
grado di partecipazione ai processi decisionali. Infine, il Dipartimento per le Pari Opportunità ha sostenuto e intende
continuare a sostenere politiche di conciliazione attraverso la programmazione e l’implementazione dello strumento del
voucher di conciliazione. E’ stato effettuato un apposito monitoraggio rispetto all’attuazione dello strumento in questione, partendo da una definizione che considera tutti quei dispositivi che consentono l’acquisizione di servizi attraverso
l’erogazione di buoni e/o voucher di acquisto volti a supportare la conciliazione degli impegni familiari e delle esigenze
professionali al duplice scopo di agevolare: la partecipazione, permanenza e reingresso delle donne nel mercato del lavoro; la partecipazione delle donne agli interventi previsti dal POR.
Le strategie regionali
Il 2003 è stato positivamente contrassegnato da importanti momenti di confronto e dibattito tra le amministrazioni centrali e territoriali e tra gli studiosi e gli operatori del mercato del lavoro, con l’intento di approfondire, in un’ottica integrata, le problematiche connesse all’occupazione femminile ed ai divari di genere, mettendo in luce al contempo i percorsi operativi di sostegno alle pari opportunità intrapresi dalle Regioni e Province autonome e dal Governo, in coerenza con le raccomandazioni comunitarie. In questo scenario, inoltre, si è inserito da ultimo il complesso percorso di rimodulazione della programmazione operativa comunitaria, nell’ambito della verifica di metà periodo sul suo stato
16
intermedio di attuazione. Tale processo sta culminando sia nel potenziamento delle risorse finanziarie del Fondo sociale europeo destinate all’asse specifico, sia nel rafforzamento del mainstreming di genere su tutti gli assi. Nei modelli regionali l’integrazione del gender mainstreaming appare oggi in una fase di avanzata sperimentazione, con il sostegno, peraltro, anche di un’intensa produzione normativa decentrata che acquista un significato tanto più determinante alla luce della riforma della Costituzione. Un ulteriore aspetto che merita menzione è il continuo impegno delle Regioni nel
promuovere e finanziare, attraverso le misure dei POR e del PIC Equal, iniziative volte a favorire la conciliazione. Infine, tra la fine del 2003 e i primi mesi del 2004 sono state definite le linee di lavoro per l’avvio di un progetto integrato
interregionale sul tema della conciliazione, al quale allo stato attuale hanno aderito 8 Regioni.
GL7: Promuovere l’integrazione delle persone svantaggiate sul mercato del lavoro e combattere la discriminazione
nei loro confronti
7.1 Le azioni per prevenire/combattere l’abbandono scolastico
Relativamente al livello di attuazione della legge di riforma del sistema educativo e formativo e agli interventi di formazione e di transizione scuola-lavoro per combattere la disoccupazione giovanile si è già detto nelle precedenti GL 1 e 4.
Qui sembra opportuno richiamare alcune politiche di intervento specificamente mirate alla lotta all’abbandono scolastico. Il Piano nazionale per l’Orientamento, in via di definizione da parte del Ministero dell’istruzione d’intesa con le Istituzioni locali prevede l’attuazione di un sistema informativo nazionale per l’abbandono scolastico o anagrafe dello studente,
con il coinvolgimento e la partecipazione attiva delle famiglie. Inoltre, il progetto “Genitori e scuola”, volto a incrementare le iniziative di partenariato tra scuola e genitori con attività di apprendimento formale e non formale, prevede
diverse azioni, segnatamente: la messa in rete delle migliori prassi realizzate nelle istituzioni scolastiche; l’ampliamento
del sito Internet delle famiglie e del FoNAGS; un forum telematico dei genitori; un seminario (realizzato ad aprile 2004)
sulla riforma e sul partenariato dei genitori; 2^ Campus degli studenti d’Europa (novembre 2004).
7.2 Interventi per soggetti svantaggiati: i disabili
I servizi per il collocamento mirato previsti dalla Legge 68/99 sono operativi e rispondono in maniera nuova e più adeguata
alle richieste dei disabili e delle imprese. A fronte di un volume di iscritti disabili agli elenchi unici pari a 450.700, i dati sugli avviamenti effettuati nel 2003 (26.700) confermano come, a quattro anni dalla sua entrata in vigore, la nuova normativa
abbia effettivamente rappresentato un miglioramento per il mondo della disabilità soprattutto per i processi di inclusione lavorativa. Altro fattore positivo è da individuare nella avvenuta appropriazione, da parte di imprese, servizi e persone disabili, degli strumenti resi disponibili dalla riforma a favore dell’inserimento lavorativo, con una più consapevole ed equilibrata
applicazione di convenzioni (11.400), avviamenti numerici (2.600) e chiamate nominative (13.300). Si segnala, inoltre, il
progredire dell’integrazione e delle sinergie tra differenti articolazioni delle strutture competenti, rappresentate dal numero
elevato di protocolli di intesa stipulati fra i servizi per l’impiego, sociali, sanitari, della formazione professionale, ecc. Pur registrando visibili progressi nella qualità del sistema permangono attuali le necessità di interventi tesi ad una riduzione dei tassi di disoccupazione relativi alle persone disabili, attraverso l’attivazione di articolate misure di intervento. Per tali motivi, pertanto, Governo e Regioni mantengono inalterati i propri obiettivi volti ad un incremento delle opportunità offerte dal sistema formativo, da quello sociale e dal mercato del lavoro, mediante lo sviluppo di reti integrate di servizi capaci di assicurare
percorsi verso la piena autonomia a favore delle persone disabili. Per quanto riguarda le nuove opportunità offerte alle persone con disabilità dalla riforma del mercato del lavoro, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali si è assunto l’impegno,
d’intesa con le Associazioni delle persone disabili, di promuovere un’azione di carattere sperimentale per favorire la migliore
applicazione della normativa in materia ed in particolare dell’articolo 14 del D. Lgs. 276/03 (decreto attuativo della Legge
Biagi) , tenendo anche presenti gli elementi di collegamento con la legge 68/99 e partendo da quelle buone pratiche già realizzate sul territorio. Infine, tra gli impegni assunti dal Governo in occasione dell’Anno europeo delle persone con disabilità
si segnala il progetto che il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha promosso per introdurre in Italia la nuova Classificazione internazionale del funzionamento, della salute e disabilità (ICF). Le azioni che verranno realizzate riguardano, in
particolare, la formazione di operatori e la sperimentazione dell’uso della nuova Classificazione nell’ambito dell’inserimento
lavorativo e faranno riferimento principalmente, ma non solo, ai Servizi per l’Impiego.
7.3 Il contributo del Fse e di Equal
In un contesto comunitario e nazionale caratterizzato da una crescente attenzione verso le politiche di inclusione sociale, anche nel 2003 il Fse ha fornito il suo contributo alla realizzazione degli obiettivi di equità sociale
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direttamente rivolti alle fasce più deboli della popolazione. Le politiche di inclusione sociale cofinanziate, inoltre, sono caratterizzate da una dinamica finanziaria positiva ed in crescita rispetto al passato, con una netta accelerazione del dato di spesa; questa tendenza è ancora maggiore nelle Regioni del Mezzogiorno, che forniscono un
contributo comunque limitato al quadro nazionale della misura B1. Dai dati di realizzazione fisica attualmente
disponibili si evince che nel 2003 risultano approvati più di 2030 progetti nelle Regioni del Centro Nord2 e che
questi rappresentano il 32,4% del totale approvato in Obiettivo 3 nel periodo 2000-2003. Recenti analisi sulle
caratteristiche principali delle politiche di inclusione sociale cofinanziate dal Fse evidenziano l’attuazione di strategie diversificate e flessibili, orientate alle specificità dei bisogni delle diverse categorie di svantaggiati ed alla
multidimensionalità dei loro problemi. In relazione ai destinatari degli interventi del Fse, emerge poi la chiara intenzione delle amministrazioni di ampliare la platea dei gruppi target, senza tuttavia trascurare le esigenze di quelli più tradizionali.
Per quanto riguarda il PIC Equal tre risultano essere le misure rilevanti rispetto alla priorità indicata da questa
Linea Guida. La Misura 1.1 (Asse Occupabilità), finalizzata a facilitare l’accesso al mercato del lavoro per le categorie maggiormente discriminate. La logica dell’intervento, sotto il profilo operativo, è volta a creare le condizioni per l’inserimento lavorativo dei soggetti più deboli sul mercato sostenendone, al contempo, il processo di
inclusione. La Misura intende, infatti, sperimentare un mix di pratiche innovative che integri politiche formative e del lavoro con strumenti socio-assistenziali. Le PS Settoriali (a valenza nazionale) sono 10 e le PS Geografiche 74 per un totale di spesa certificata nell’anno 2003 di 27.110.378 Euro. La Misura 1.2, specificamente dedicata a immigrati e minoranze etniche, sperimenta azioni in grado di prevenire l’insorgere di fenomeni di razzismo e xenofobia, concependo l’integrazione come un processo reciproco di avvicinamento di mondi diversi attraverso strumenti di comprensione e conoscenza. Le PS Settoriali (a valenza nazionale) sono 7 e non sono state
ammesse a finanziamento PS Geografiche per un totale di spesa certificata nell’anno 2003 di 3.746.713 Euro. La
Misura 5.1, nello specifico, sostiene l’integrazione sociale e professionale dei richiedenti asilo, attraverso il miglioramento della qualità dell’accoglienza e la promozione di nuovi approcci formativi. Al fine di ottimizzare l’utilizzo delle risorse comunitarie e favorire la disseminazione e l’impatto delle sperimentazioni, la Misura favorisce l’attivazione di processi di complementarietà tra le azioni previste da Equal e le iniziative a valere sul fondo
europeo per i rifugiati (FER). Le PS Settoriali (a valenza nazionale) sono 2 per un totale di spesa certificata nell’anno 2003 di 31.665.236 Euro.
Le Regioni: principali scelte di riprogrammazione del FSE e linee di intervento interregionale.
Appare rilevante evidenziare un dato che ha caratterizzato la riprogrammazione del FSE sia in ob.3 che in ob.1, vale a
dire la particolare attenzione rivolta al rafforzamento, anche in termini finanziari, degli interventi finalizzati a utenze
svantaggiate o a rischio di esclusione. In ob. 3 l’asse B è quello che ha evidenziato l’incremento percentuale più elevato
rispetto agli altri (+ 15%). L’aumento in termini assoluti è pari a Euro 72.664.163. Un’elevata attenzione nei documenti programmatori è stata posta al nuovo quadro strategico, di livello comunitario e nazionale, in cui si colloca la misura.
In particolare l’individuazione degli interventi viene operata alla luce dell’orientamento specifico 7 della SEO che stabilisce gli obiettivi tendenziali delle politiche di inclusione sociale, sintetizzabili nella riduzione sia del divario sui tassi di
occupazione e di disoccupazione riscontrabile tra i soggetti svantaggiati e persone in età lavorativa, sia del divario in termini di tasso di disoccupazione riscontrabile tra cittadini extracomunitari e cittadini UE. In termini di orientamenti generali delle Regioni, si segnala la centralità, a fianco alle azioni a favore delle persone, delle azioni di sistema che mirano
soprattutto a creare una rete integrata di soggetti pubblici e privati competenti in materia di reinserimento sociale e lavorativo dei soggetti svantaggiati affinché si dia vita ad un raccordo organizzativo generatore di collaborazioni sinergiche. Nell’ambito delle azioni alle persone si evidenziano alcune priorità tra cui risulta centrale la finalizzazione all’occupazione, ossia l’inserimento e reinserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati. Inoltre, in alcuni casi, nell’ottica di una
concentrazione degli interventi, sono stati individuati target specifici a cui indirizzare prioritariamente le azioni, tra questi spiccano, a fianco a quelli tradizionali dei disabili o degli ex detenuti o dei cittadini non UE, i soggetti esposti alla
nuova povertà.
Un’ulteriore ambito di intervento ha riguardato, nell’ultimo anno, l’attività interregionale, in particolar modo nel
campo dello strumento “dei piccoli sussidi”, con il progetto “Fare rete per l’inclusione sociale”. L’iniziativa vede coinvolte 7 Amministrazioni, tra cui le due Province Autonome, con la finalità di coordinare a livello unitario gli interventi e le esperienze attuative condotte. Il progetto, inoltre, mira a proporre una strategia di intervento in grado
di orientare nella stessa direzione della strategia perseguita attraverso i “piccoli sussidi” risorse finanziarie non FSE,
in una logica finalizzata a dare continuità a questo strumento d’intervento anche a conclusione della attuale programmazione di questo Fondo.
2
18
Non è disponibile il dato delle Regioni Marche e Veneto e del PON Azioni di Sistema
GL8: Far si che il lavoro paghi attraverso incentivi finanziari per aumentare l’attrattiva del lavoro
8.1 La riforma fiscale
In conformità con la legge delega di riforma del sistema fiscale statale (L. 80/03), sono allo studio alcune ipotesi tecniche relative alla struttura che dovrà assumere, dal 1° gennaio 2005, l’IRE – nuova denominazione dell’attuale IRPEF - nell’ottica di incentivare l’attrattiva del lavoro, sia dipendente che autonomo, diminuendo le aliquote fiscali per il reddito di lavoro prodotto.
Questo il percorso di sviluppo ipotizzato: a) un’area di non tassazione, effetto di detrazioni trasformate in deduzioni decrescenti
in funzione del crescere del reddito imponibile; b) due aliquote, rispettivamente del 23% fino a 33.000 euro di imponibile e del
33% sull’ulteriore imponibile; c) in aggiunta alle due aliquote, vi è la possibile introduzione di una contribuzione etica, altresì
denominata “contributo di solidarietà”, anche in via temporanea, per le fasce di reddito più alte. L’attribuzione sarebbe operata,
in ragione del 2%, attraverso donazioni documentate dirette del contribuente a enti od organizzazioni riconosciute; in ragione
del 2% a favore di un Fondo per lo sviluppo etico e sociale dell’Italia iscritto nel bilancio dello Stato, destinato a famiglia e ricerca.
Nello stesso Fondo dovrebbero affluire altresì, le somme derivanti: da erogazioni liberali effettuate, dai soggetti all’imposta sul
reddito delle società oltre che le somme provenienti dai lavoratori persone fisiche. In attuazione degli articoli 9, 31 e 38 della
Costituzione, le finalità del Fondo sarebbero: a) la realizzazione di interventi finanziari, previsti da disposizioni legislative o comunque indicati nella legge finanziaria, a sostegno delle famiglie, con particolare riguardo alle famiglie giovani, a quelle meno
abbienti, agli anziani; b) la realizzazione di interventi finanziari orientati allo sviluppo della ricerca scientifica e del sistema universitario nel suo complesso.
Secondo le più recenti ipotesi, attualmente ancora allo studio per la valutazione degli oneri derivanti all’Erario dalla perdita di gettito, per avviare il secondo modulo della riforma fiscale nella prossima finanziaria dovrebbero essere previste 3
aliquote: una del 23%, un’altra del 33% e l’ultima del 39%. Gli scaglioni di reddito saranno fissati in via transitoria nel
2005 per poi entrare a regime nel 2006. La no tax area dovrebbe crescere per i pensionati a 7.500 euro, lo stesso livello
dei lavoratori dipendenti, benché questi ultimi abbiano logicamente rispetto ai primi maggiori spese di produzione del
reddito. In ogni caso i contribuenti, in sede di dichiarazione dei redditi per l’anno 2005, potranno applicare le disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi in vigore al 31 dicembre 2002, se più favorevoli. Il taglio delle aliquote dell’IRE terrà conto della “situazione familiare” e della tutela dei soggetti con redditi meno elevati, con particolare riguardo alle famiglie “monoreddito”. Per aumentare la forza lavoro futura verranno previsti interventi a più lungo termine. Il
DPEF per il 2005 prevede, infatti, misure di sostegno alle giovani coppie, in particolare per l’acquisto della prima casa
di abitazione. Tra le ipotesi possibili è attualmente allo studio quella delle agevolazioni sui mutui immobiliari, progetto
già avviato con le due precedenti leggi finanziarie ma poi non portato a termine per carenza dei fondi necessari.
8.2 Gli ammortizzatori sociali
Il riordino del sistema fiscale e di welfare deve potere garantire l’introduzione dei principi del Make Work Pay (MWP). Infatti, se
il livello dei trattamenti non è particolarmente elevato, difficoltà insorgono per via della scarsa interazione tra politiche di attivazione dei beneficiari e politiche passive e della ridotta capacità di controllo sui comportamenti dei beneficiari di sussidi. La strategia utilizzata dal Governo nell’ambito delle iniziative di riforma degli ammortizzatori sociali all’esame in Parlamento (disegno
di legge delega AS848bis) valorizza l’approccio MWP “preventivo” e di welfare, più che la definizione di programmi ad hoc su
singole popolazioni. Il disegno di legge delega prevede un miglioramento nell’estensione sino a 12 mesi della durata potenziale
del sussidio di disoccupazione, il cui importo diviene pari al 60% della precedente retribuzione nei primi sei mesi per poi decrescere al 40% (per altri 3 mesi) ed infine al 30%. Ugualmente, si prevede un rafforzamento della logica assicurativa di funzionamento dei sussidi e delle azioni preventive della disoccupazione di lunga durata da porre in essere nei confronti dei beneficiari.
Gli schemi attualmente esistenti sono ascrivibili a tre tipologie differenti di ammortizzatori sociali: i trattamenti del settore industriale; i trattamenti ordinari; i trattamenti agricoli e non agricoli con requisiti ridotti quale integrazione dei redditi.
Per quanto riguarda le politiche di contrasto della povertà, il Governo, le Regioni e le parti sociali, considerate le caratteristiche sociali ed economiche del mercato del lavoro, hanno ritenuto di affrontare le situazioni di povertà estrema con uno
strumento quale il reddito di ultima istanza, che viene istituito a livello locale e che prevede un cofinanziamento nazionale.
D’altra parte, le iniziative già poste in essere a seguto della riforma del mercato del lavoro si inscrivono in una strategia complessiva di riforma per favorire la partecipazione al lavoro delle donne, consentire un più significativo e diffuso intervento
di sostegno al reddito dei disoccupati e dei soggetti a rischio di esclusione sociale, nonché facilitare una maggiore flessibilità salariale favorendo l’occupazione dei soggetti, soprattutto di quelli localizzati nel Mezzogiorno, con minori potenzialità
di reddito nel mercato. Due gli elementi di rilievo nel consentire di coniugare sostegno al reddito dei soggetti più deboli e
incentivi al lavoro concernono l’uso di uno strumento omogeneo di valutazione delle condizioni di bisogno economico (l’Indicatore sulla Situazione Economica Equivalente definito dal decreto legislativo 109/1998 e successive modifiche) ed il rafforzamento del legame tra accesso a determinati prestazioni sociali e requisiti contributivi, connessi col lavoro, precedenti. In tale prospettiva, di grande importanza sono anche le previsioni contenute nel D.Lgs 276/03 e connesse con la possibilità di far emergere, con aliquote contributive ridotte, forme di lavoro che altrimenti verrebbero attuate nel sommerso.
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GL9: Trasformare il lavoro nero in occupazione regolare
9.1 Politiche di contrasto al lavoro irregolare
La consistenza del fenomeno del lavoro irregolare, soprattutto in alcuni contesti territoriali, ha indotto a porre la tematica dell’emersione al centro dell’agenda politica del Governo italiano, che negli ultimi due anni ha attivato politiche che
hanno contribuito a ridurne la portata, attraverso l’adozione di specifici provvedimenti in materia ma anche grazie al
consistente incremento occupazionale registrato. La principale fonte normativa che ha regolato questa attività è rappresentata dalla legge 383/2001, caratterizzata da incentivi all’emersione e da una maggiore severità nell’adozione di strumenti di repressione del fenomeno, descritta nel precedente NAP. In base ai dati dei CLES (Comitati per il Lavoro e l’Emersione del Sommerso) i piani di emersione presentati sono stati 1.029, per un totale di 3.854 lavoratori interessati. Rispetto alle iniziative più direttamente connesse all’azione di contrasto al lavoro sommerso, va sottolineato che il Governo ha pianificato, tra la fine del 2002 e l’inizio del 2003, un’intensificazione degli accessi ispettivi attraverso la predisposizione di un piano straordinario di accertamento in materia di lavoro e legislazione sociale, in raccordo fra tutte le amministrazioni competenti. Inoltre l’azione di regolarizzazione di lavoratori immigrati ha permesso di far emergere, nel
corso del 2003, circa 700.000 cittadini extra-UE pari al 18% dell’intero stock di lavoratori sommersi.
Preso atto dei risultati conseguiti, l’azione che il Governo ha attualmente messo in atto è caratterizzata da un approccio
basato su quattro pilastri:
• La riforma del mercato del lavoro - il processo intrapreso con l’approvazione della Legge Biagi consentirà un accrescimento dell’adattabilità e dell’occupabilità regolare;
• La riforma della vigilanza, mirata a razionalizzare, aggiornare e arricchire le attività dei diversi Istituti competenti, anche attraverso la creazione di una Direzione Generale ad hoc;
• La bilateralità - attraverso il coinvolgimento diretto delle parti sociali e con un’ottica di tipo settoriale, le politiche di
contrasto al sommerso saranno orientate all’individuazione di specifiche misure e azioni volte a favorire l’utilizzazione
di manodopera regolare attraverso strumenti incentivanti di natura premiale e con conseguenti penalizzazioni per le
imprese che non operano nell’ambito della regolarità;
• La territorialità - per intervenire efficacemente sul fenomeno del lavoro non dichiarato occorre creare servizi e in generale
un ambiente sociale favorevole alla regolarità dei rapporti d’impiego. Per tale ragione appare necessario: a) il supporto dei
servizi per l’impiego; b) la creazione di reti di cooperazione interistituzionali; c) il rafforzamento del dialogo sociale.
9.2 Le politiche per l’emersione
A riscontro dell’impegno politico assunto dall’Italia durante il semestre di Presidenza Italiana del Consiglio dell’UE, il
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha avviato, nel 2003, un progetto, denominato IES – Iniziative per l’Emersione del Sommerso, in grado di rispondere a quattro obiettivi principali:
• attivare un sistema di monitoraggio continuo dei progetti e delle azioni realizzate sul territorio a sostegno dell’emersione del lavoro non dichiarato, con l’obiettivo di supportare le istituzioni ed i decisori centrali e locali nella definizione di politiche mirate;
• agevolare la diffusione dell’informazione sulle azioni e sulle prassi adottate in Italia ed in Europa, in tema di contrasto
al lavoro non dichiarato, con l’obiettivo di fornire supporto alla progettazione e realizzazione di nuove iniziative a livello territoriale;
• affermare la centralità dei nuovi servizi per l’impiego nella proposizione e nell’attuazione di iniziative di sviluppo locale,
affinché, si possano rimuovere parte dei vincoli che ancora impediscono l’emersione del lavoro e dell’economia locali;
• porre il tema del lavoro e dell’economia sommersi quale elemento trasversale a tutte le politiche di sviluppo socio-economico ed occupazionale.
Particolare rilevanza assume, nell’ambito del progetto, l’iniziativa di sensibilizzazione a favore dei SPI il cui ruolo è insostituibile nello sviluppo di strategie volte a contrastare l’economia sommersa ed il lavoro non regolare. Alla rete dei servizi per l’impiego, infatti, è demandato il compito di conoscere il territorio e le sue specializzazioni settoriali e produttive, far incontrare
l’offerta e la domanda di lavoro in condizioni di parità di forza contrattuale, assicurare le necessarie azioni nei confronti delle
aree deboli dell’offerta e della domanda, coinvolgere ed attivare in azioni di medio-lungo periodo le istituzioni e le forze sociali, dalla scuola alle autorità di controllo, perché siano coerenti con gli obiettivi di sviluppo socio economico del territorio.
Nel contempo, sulla base della risoluzione del Consiglio dei Ministri del Lavoro e delle Politiche Sociali dell’Unione Europea sulla trasformazione del lavoro nero in lavoro regolare, l’Italia si è attivata a livello internazionale per favorire la
costruzione di una rete di scambio e cooperazione tra i diversi Stati membri. In particolare, Italia e la Francia hanno realizzato, nel 2004, un seminario congiunto a Parigi dedicato alla tematica del lavoro irregolare e attualmente i due Paesi
stanno lavorando all’elaborazione di una proposta di cooperazione, da sottoporre anche all’attenzione di altri Stati e della Commissione Europea.
20
Strategie regionali di contrasto al lavoro non regolare
Le politiche regionali rappresentano un’occasione importante per approfondire la conoscenza del territorio e trasformare, man mano che vengono implementate, le azioni a favore dell’“emersione” in vere e proprie politiche per lo “sviluppo
del locale” e per l’aumento della coesione sociale. A ciò si aggiunga che le numerose iniziative locali, attivate ad un livello di governo più vicino al territorio, riescono in maniera più incisiva a fronteggiare, anche attraverso azioni innovative
e/o sperimentali, la problematica del lavoro nero a seconda delle peculiarità che essa assume rispetto al contesto di riferimento. Nell’ultimo anno, le azioni regionali si sono realizzate attraverso l’utilizzo delle risorse della programmazione
del FSE (misure 3.11 o 3.12 Por ob.1; misure A1 e D3 Por ob.3), nonché attraverso un sistema di norme articolate in
grado di rispondere efficacemente alle necessità locali che trovano copertura finanziaria sia nei fondi regionali sia in quelli nazionali. Nello specifico, tutte le Regioni/PA hanno predisposto e/o potenziato azioni di misurazione e/o di contrasto nei confronti dell’economia non dichiarata.
GL10: Affrontare le disparità regionali in materia di occupazione
10.1 Quadro di contesto
Le Regioni italiane sono tradizionalmente caratterizzate da disparità strutturali largamente riconducibili alle due macroaree geografiche di Centro-Nord e Mezzogiorno.
TABELLA
2
Scomposizione del Pil pro-capite (valori medi per area, Italia=100)
Pil pro-capite (2002)
Produttività (2002)
Tasso di occupazione 15-64 anni (2003)
Centro-Nord
117,3
105,0
111,8
Mezzogiorno
69,0
87,1
78,8
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Indagine sulle Forze di lavoro
La dimensione della disparità è evidenziata dai valori registrati dal Pil per abitante che nel 2002, rispetto alla media nazionale, ha raggiunto valori compresi fra i 131,1 per cento della Valle d’Aosta (129,1 del Trentino Alto-Adige) e il 63,4 per cento della Calabria. Tale divario è il risultato di una differenza nei livelli di produttività (valore aggiunto per unità di lavoro), che assumono valori fra il 112,2 per cento in Lombardia all’81,9 per cento in
Calabria, ma, soprattutto, nei tassi di occupazione per la classe di età 15-64 anni. Il tasso di occupazione è stato
pari nel 2003, sempre rispetto alla media italiana, al 121,9 per cento in Emilia-Romagna e al 74,7 per cento in
Sicilia.
Sardegna
Sicilia
Calabria
Basilicata
Puglia
Campania
Molise
Abruzzo
Lazio
Marche
Umbria
Toscana
E. Romagna
F.V. Giulia
Veneto
T.A. Adige
Liguria
Lombardia
Tasso di occupazione 15-64 anni per regione nel 2003 (valori percentuali)
Piemonte
2
V. D’Aosta
FIGURA
Fonte: elaborazioni su dati Istat, Indagine sulle Forze di lavoro
21
Negli ultimi anni si è verificata una tendenza alla riduzione degli squilibri regionali citati. Dalla metà degli anni novanta
le regioni meridionali sono cresciute più di quelle del Centro-Nord e hanno ridotto, anche se di poco, il differenziale rispetto all’Italia nel prodotto pro-capite . Dal 2001, in una fase di rallentamento dell’economia nel suo complesso, la crescita è stata sostenuta dall’espansione dell’occupazione che è stata più forte proprio nel Mezzogiorno. Nel 2003 la dinamica dell’occupazione, invece, ha subito nel Sud un rallentamento superiore a quello del resto del Paese. I dati, ancora
provvisori, segnalano tuttavia che il reddito pro-capite è stato sostenuto da un recupero di produttività. Inoltre, è da segnalare che la popolazione in età attiva si è stabilizzata nell’ultimo anno dopo la diminuzione del biennio precedente.
10.2 Risorse Finanziarie
La spesa in conto capitale procapite nel Mezzogiorno permane di poco superiore a quella del Centro-Nord ed è inferiore a quest’ultima se si considerano i soli investimenti pubblici in senso stretto (al netto dei trasferimenti in conto capitale). Gli obiettivi definiti nei documenti programmatici del Governo degli ultimi sei anni sono quindi tesi da un lato, a raggiungere livelli di spesa per lo sviluppo dell’area compatibili con obiettivi di convergenza e dall’altro, a riequilibrare la composizione della spesa in conto capitale a favore di interventi di investimento pubblico in senso stretto (investimenti in infrastrutture e servizi infrastrutturali). Il DPEF 2005-2008 conferma gli obiettivi programmatici della politica regionale dell’Italia relativi al raggiungimento della crescita dell’area al di sopra della media europea nella seconda
metà del decennio e all’aumento nello stesso periodo del tasso di attività fino al 60%. Le fonti di finanziamento specifiche destinate alle politiche di riduzione dei divari regionali sono, come noto, costituite dalle risorse nazionali incluse nel
Fondo Unico per le Aree Sottoutilizzate - ridefinito dalla legge Finanziaria per il 2003 - e dalle risorse comunitarie e di
cofinanziamento nazionale del Quadro Comunitario di Sostegno per le Regioni obiettivo 1; a queste si aggiungono le
risorse ordinarie di spesa pubblica in conto capitale. Pur in presenza di una contrazione della spesa in conto capitale complessiva nel Mezzogiorno - da attribuirsi in gran parte alle difficoltà registrate dalle politiche di incentivo all’investimento privato in un periodo di crescita modesta e incertezza - coerentemente con gli impegni presi in sede europea relativamente alla necessaria aggiuntività del contributo dei fondi strutturali rispetto alla politica regionale nazionale, sono
confermati gli obiettivi programmatici di spesa a favore del Mezzogiorno. Nella media del periodo 2004-2008 la spesa
in c/capitale a favore dell’area dovrebbe crescere annualmente, più rapidamente di quanto registrato nel periodo 20002003 dove si era attestata a circa il 6,4 per cento. A questo obiettivo contribuirà il conformarsi delle Amministrazioni
Centrali Pubbliche e degli Enti all’obiettivo di destinare al Mezzogiorno il 30 per cento della spesa in conto capitale.
Gli obiettivi programmatici sono raggiungibili con il mantenimento dei flussi annuali di finanziamento al Fondo Aree
Sottoutilizzate e della loro assegnazione a interventi infrastrutturali e a incentivi, ma dipendono largamente anche dalle
capacità di progettazione e spesa da parte delle Amministrazioni e degli Enti preposti alla realizzazione di infrastrutture
e dalle prospettive degli investimenti privati a cui si rivolgono le politiche di incentivazione. Le ipotesi programmatiche
per il periodo 2004-2008 incorporano sia l’esperienza relativa alla capacità di assorbimento della spesa da parte di amministrazioni e territori, sia le recenti evoluzioni del ciclo economico nazionale. Il conseguimento degli obiettivi programmatici di spesa è pertanto strettamente connesso con la realizzazione di progressi e innovazioni dal punto di vista
di composizione, qualità e gestione della spesa stessa. Tali aspetti includono le misure per l’accelerazione della spesa incluse nella Finanziaria per il 2004 e l’individuazione di infrastrutture a forte valenza strategica; il policy mix tra spesa pubblica in infrastrutture e aiuto all’investimento privato (in riduzione); alcune riforme ai meccanismi di incentivazione all’investimento privato (in particolare L.488/92 e Patti territoriali); il rafforzamento delle capacità delle Amministrazioni titolari di spesa sia per quanto riguarda la predisposizione e selezione di progetti di qualità sia per le attività di valutazione.
10.3 Strumenti di intervento per l’investimento pubblico
Gli obiettivi di sviluppo territoriale vengono perseguiti attraverso un’azione coordinata delle politiche regionali, nazionali e comunitarie. Esse mirano, in primo luogo, a promuovere e realizzare progetti infrastrutturali di valenza nazionale
e regionale e una maggiore efficacia degli incentivi per lo sviluppo locale e l’attrazione degli investimenti. Le risorse individuate nel quadro finanziario oggetto degli impegni programmatici del Governo costituiscono le fonti di finanziamento di tre gruppi di strumenti di intervento “strategico”, oltreché di interventi di tipo ordinario:
1) gli Accordi di programma quadro (APQ), attraverso i quali le Regioni e le Amministrazioni Centrali concordano le
priorità strategiche e gli interventi di investimento da realizzare sui singoli territori, individuando le risorse finanziarie
per la loro copertura. La stipula di un APQ è, inoltre, necessaria per programmare e spendere le risorse del Fondo per le
aree sottoutilizzate. Gli APQ stipulati al 30 luglio 2004 sono 219 (125 nel Centro–Nord e 94 nel Mezzogiorno), per un
valore di oltre 47.000 milioni di euro (al netto degli APQ per la ricostruzione post-terremoto in Marche ed Umbria); di
questi, circa 22.000 milioni riguardano investimenti nel Centro-Nord e oltre 25.000 milioni nel Mezzogiorno. Gli investimenti previsti nei soli APQ stipulati nel 2003, pari a un importo di circa 10.000 milioni di euro, sono allocati per
l’83,2 per cento al Sud.
22
TABELLA
3
APQ stipulati per Asse di intervento e per macroarea (valori in milioni di euro)
Centro - Nord
Mezzogiorno
Italia
Asse QCS
N
Valore
%
N
Valore
%
N
Valore
%
1- Risore naturali
42
3.597,9
16,4
22
7.112,1
28,4
64
10.709,9
22,7
2 - Risorse culturali
13
866,1
3,9
20
936,0
3,7
33
1.802,0
3,8
3 - Risorse umane
5
81,3
0,4
-
5
81,6
0,2
4 - Sistemi locali di Sviluppo
14
484,4
2,2
19
4.203,3
16,8
33
4.687,7
10,0
5 - Città
9
2.007,2
9,1
6
487,3
1,9
15
2.494,4
5,3
6 - città
42
14.968,1
68,0
27
12.342,9
49,2
69
27.311,0
58,0
Totale
125
22.005,2
100,0
94
25.081,5
100,0
219
47.311,0
100,0
Fonte: MEF- DPS (dati al 30 luglio 2004)
L’accelerazione nella programmazione degli interventi, riscontrata soprattutto nel 2003, è stata resa possibile anche per
l’introduzione di nuove regole, simili a quelle vigenti per i fondi strutturali del QCS 2000-2006, grazie alle quali, inclusi
i meccanismi di premialità e sanzioni, è stato dato notevole impulso sia all’attività di nuova programmazione sia a quella di riprogrammazione degli interventi previsti dagli APQ già stipulati;
2) il Quadro comunitario di sostegno (QCS) prevede specifiche politiche di intervento volte all’obiettivo di sviluppo
economico del Mezzogiorno e quindi di riequilibrio territoriale. Il QCS 2000-2006 prevede un volume di risorse complessive per 51 miliardi di euro da destinare a programmi di investimento pubblico. L’attuazione finanziaria degli interventi cofinanziati è stata avviata sulla base di un profilo programmatico (approvato dalla Commissione Europea), in base al quale sono stati fissati gli obiettivi di spesa per tutto il periodo di ammissibilità dei pagamenti (2000-2008). L’attuazione degli obiettivi finanziari programmatici ha dato esiti fortemente positivi e si è raggiunto, sia nel 2002 sia nel
2003, il pieno utilizzo delle risorse previste dal meccanismo europeo di disimpegno automatico. Al conseguimento di tale risultato ha concorso il meccanismo premiale previsto in base al quale ogni Amministrazione doveva conseguire l’obiettivo di spesa europeo entro fine ottobre, con due mesi di anticipo sulla scadenza. Nel complesso, oltre a sostenere l’obiettivo di spesa, il meccanismo della riserva ha costituito un volano per la modernizzazione amministrativa e per l’attuazione di importanti riforme in diversi settori di intervento, tra i quali la messa a regime dei Servizi per l’Impiego. Per
quanto riguarda la distribuzione settoriale, la quota maggiore della spesa è destinata all’asse “Sistemi locali di sviluppo”,
che con oltre 4 miliardi di euro rappresenta il 36,6 per cento della spesa totale, seguito dagli assi “Reti e nodi di servizio”
e “Risorse naturali” con circa il 19 per cento ognuno. Il 2003 ha rappresentato, inoltre, il momento della verifica dell’impianto strategico e della capacità attuativa del QCS. Pur confermando l’impostazione strategica del QCS e dei Programmi operativi ad esso correlati, la revisione ha consentito di aggiornare il QCS rispetto ai principali cambiamenti nelle politiche di sviluppo, sia comunitari, con l’orientamento del QCS verso l’attuazione della Strategia di Lisbona e Goteborg nei suoi vari campi di intervento (quali l’ambiente, la società dell’informazione, la ricerca, l’imprenditorialità, l’occupazione, l’istruzione e formazione, l’inclusione sociale), sia nazionali, quali la riforma del mercato del lavoro;
3) specifici programmi strategici di settore approvati dal CIPE. Nell’ultimo biennio, oltreché a programmi più tradizionali nel settore dei trasporti, si sono aggiunti specifici programmi diretti al rafforzamento della Ricerca e dell’Innovazione. Per tutti questi programmi l’attuazione è definita sempre più in partenariato tra Regioni e amministrazioni centrali
di settore di riferimento.
10.4 Sviluppo locale e integrazione delle politiche del lavoro
Nel corso del 2003 e nel 2004 è proseguita l’attuazione dei progetti di sviluppo locale inseriti nello strumento dei Patti territoriali. I patti territoriali sono attivi per la promozione dello sviluppo locale sia nel Centro-Nord, sia nel Mezzogiorno. Alla fine del 2003, i patti complessivamente attivi sono 218, ad essi è associato un ammontare di investimenti in azioni pubbliche e investimenti privati pari a oltre 11 milioni di euro, di cui circa il 60% nel Mezzogiorno. Nelle regioni dell’Ob.1 sono stati definiti - quale modalità di attuazione di una parte delle risorse finanziarie dei programmi operativi regionali cofinanziati dai fondi comunitari (POR)– numerosi progetti di sviluppo locale (progetti integrati territoriali - PIT).
23
I PIT sono Progetti di sviluppo complesso per aree delimitate da gruppi di comuni, composto da un insieme di interventi che, interagendo tra loro, contribuiscono ad una comune strategia di sviluppo definita dagli attori locali per rispondere a bisogni e opportunità concrete. La maggior parte dei progetti, che interessa quasi la totalità degli enti locali,
è stata compiutamente definita tra il 2001 e il 2003. Una particolare linea di intervento – coordinata dal Ministero del
Lavoro e delle Politiche sociali - è specificamente diretta a migliorare gli interventi nel campo delle risorse umane. La
completa definizione dei contenuti di tutti i progetti individuati è prevista per la fine del 2004.
La progettazione integrata territoriale (PIT), intesa quale nuova modalità operativa di attuazione dei fondi strutturali
nelle Regioni rientranti nell’obiettivo 1, è in una fase di piena espansione con una situazione abbastanza eterogenea nei
vari contesti territoriali. Nel corso del 2003, il MEF ha implementato il progetto “PIATAS”. Si tratta di un progetto integrato di azioni di assistenza tecnica e di sistema, finalizzato al coordinamento ed alla promozione di sinergie tra le tante e diversificate azioni di supporto che molte Amministrazioni hanno proposto o stanno realizzando, secondo le rispettive competenze, assistendo/accompagnando le amministrazioni regionali e gli stessi soggetti e percorsi attuativi della
Progettazione Integrata a livello locale.
L’intervento del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali mira a rafforzare i meccanismi di coordinamento delle politiche
attive del lavoro (con particolare attenzione ai servizi per l’impiego) all’interno dei PIT, attraverso il coinvolgimento delle istituzioni e dei soggetti locali, delle parti sociali e degli operatori pubblici e privati dei SPI. Il progetto prevede azioni di assistenza tecnica presso le strutture regionali, da realizzarsi in stretto raccordo con le Regioni, al fine di promuovere e sostenere l’integrazione tra la progettazione integrata e gli interventi per l’occupazione. Sono stati stipulati Protocolli di intesa tra Ministero del Lavoro e le Regioni ( AdG e Assessorato al lavoro) che definiscono obiettivi, strumenti,
e tempi delle attività di Assistenza Tecnica/Supporto fornita da apposite Task force. A livello nazionale è prevista una
struttura di coordinamento centrale che si raccorda con il Comitato di pilotaggio per la definizione delle linee strategiche di intervento e delle metodologie utilizzate. La durata totale del progetto è di 18 mesi, ed essa prevede, dopo una fase di verifica dei territori in cui avviare le attività, l’avvio dell’assistenza tecnica e congiuntamente l’attività di rilevazione
e l’allestimento di un sito dedicato: ad esse seguirà l’attività di animazione territoriale.
Il Ministero del Lavoro e Politiche Sociali ha poi inteso promuovere, nel corso del 2003, un’Azione di Sistema nell’ambito del suddetto PON ATAS Ob.1, con il Progetto Cl.U.S.Ter. (Capitale Umano e Sviluppo Territoriale), finalizzata ad accompagnare la PI nelle Regioni Ob. 1 e i suoi processi attuativi tuttora in evoluzione. Si è promosso un intervento che si configurasse quale sostegno agli attori regionali e locali per un pieno e qualificato impiego del FSE negli interventi di qualificazione del capitale umano, cogliendo anche l’opportunità di rafforzare e integrare i sistemi locali di
istruzione e formazione, attraverso la promozione di Patti Formativi Locali. Per realizzare l’AdS l’UCOFPL ha istituito
un Gruppo di Lavoro preposto alla regia istituzionale e al coordinamento strategico e operativo del progetto; tale gruppo, composto da personale del Ministero del Lavoro e dell’Isfol, oltre ad aver svolto attività di sostegno e assistenza alle
AdG regionali e agli stessi Progetti Integrati, ha avviato e formalizzato collaborazioni interistituzionali con il M.E.F. e
con il MIUR, individuando le più opportune sinergie per valorizzare i rispettivi PON Ob.1 nei territori interessati dalla PI. Per assicurare la più larga tempestività e la più diffusa e costante presenza nelle sette Regioni interessate e nei 139
Progetti Integrati ad oggi individuati, l’UCOFPL ha proceduto alla selezione di una struttura esterna in grado di offrire
un qualificato sostegno operativo alle molteplici attività in essere e a quelle da sviluppare, almeno sino al 2006.
Nell’ambito del PON ATAS Ob.1 2000-2006 Misura 1.2, il Dipartimento per le Pari Opportunità ha previsto una specifica azione di supporto e assistenza alle Regioni Ob.1 per la programmazione e attuazione dei PIT in un’ottica di genere. I risultati ottenuti sono allo stato attuale del progetto riconducibili principalmente ad un’attività di assistenza tecnica sulla progettazione integrata in ottica di genere attraverso analisi ex-post della programmazione strategica e della
programmazione attuativa secondo la metodologia VISPO e alla sperimentazione di un modello di integrazione del principio del mainstreaming su un PIT in fase di programmazione (PIT Isole Minori). Gli sviluppi futuri del progetto riguardano prevalentemente la realizzazione di un Manuale che porti a sistema gli elementi che hanno caratterizzato la partecipazione del DPO nella programmazione del PIT Isole Minori e l’esperienza condotta dalla Regione Campania sul
tema della Progettazione Integrata (Linee Guida e software), nonché la sperimentazione di una o più fasi del modello
previsto all’interno del Manuale in altre esperienze di progetti Integrati.
Nell’ambito della programmazione 2000-2006 particolare attenzione viene rivolta agli interventi che favoriscono lo sviluppo locale ed il Dipartimento della Funzione Pubblica, titolare della Misura II.2 del PON ATAS, ha attuato, attraverso
l’azione 3, “Sostegno alle politiche di sviluppo locale” un insieme di interventi rivolti ad accompagnare la programmazione cofinanziata a livello locale. Gli interventi previsti si inseriscono nell’ambito della più generale politica di miglioramento dell’efficienza dell’Amministrazione Pubblica, riconosciuta come una delle politiche settoriali trasversali dalla
cui attuazione dipende anche il successo del Quadro Comunitario di Sostegno. L’obiettivo degli interventi finanziati è
quello di incrementare in modo permanente le competenze e le capacità di intervento degli attori che intervengono a vario titolo nella progettazione integrata, promuovendo il processo di crescita delle Pubbliche Amministrazioni locali attraverso il sostegno alla costituzione e al consolidamento di Nuclei Territoriali amministrativi di operatori esperti nelle
tematiche di programmazione, gestione, monitoraggio, controllo e valutazione degli investimenti pubblici; nonché attraverso il sostegno, a livello locale, dei processi di innovazione istituzionale, amministrativa ed organizzativa attuati con
i PIT, in coerenza con lo sforzo di modernizzazione in atto nelle Regioni Obiettivo 1.
24
In presenza di realtà territoriali caratterizzate da molteplici differenze dei mercati del lavoro, che in alcuni casi danno luogo a veri e propri fenomeni di dualismo, la promozione dello sviluppo locale, inteso come valorizzazione delle risorse e
delle vocazioni territoriali, la concertazione ed il ricorso al partenariato locale pubblico e privato, divengono una strategia indispensabile per favorire, in maniera efficace, la crescita dell’occupazione e l’aumento della competitività. Del resto, tale dinamica risulta rafforzata anche alla luce dell’attuale scenario di riferimento europeo che, a seguito dell’allargamento dell’Unione ai paesi dell’est, ha rilevato la presenza di molteplici disparità. In tale contesto, le Amministrazioni regionali, nell’ultimo anno, hanno implementato gli strumenti a loro disposizione per cercare di affrontare e di ridurre
degli squilibri territoriali in materia di sviluppo e di occupazione:
1) l’integrazione delle politiche, specie tra le politiche attive del lavoro e della formazione con quelle economiche e sociali, ed i numerosi strumenti della programmazione integrata, al fine di favorire lo sviluppo e la crescita occupazionale
nei territori;
2) il maggior ricorso ad iniziative a carattere interregionale.
25
C. RISPOSTA ALLE RACCOMANDAZIONI DEL CONSIGLIO
1. Raccomandazione comune: aumentare l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese.
Raccomandazioni specifiche: monitorare la riforma volta a ridurre gli squilibri tra contratti a tempo determinato e indeterminato e la segmentazione del mercato del lavoro; aumentare il livello di copertura dell’indennità di disoccupazione; perseguire
un’ulteriore riduzione del costo del lavoro, specialmente per i lavori meno retribuiti; aumentare l’impegno nel contrasto al lavoro non regolare rimuovendo i disincentivi fiscali e aumentando la forza della legge; incoraggiare le Parti Sociali a rivisitare
il sistema di contrattazione collettiva per tenere in considerazione le differenze tra i mercati del lavoro regionali.
Un sistema permanente di monitoraggio statistico e di valutazione della riforma del mercato del lavoro è previsto dal decreto attuativo della legge Biagi (Dlgs 276/2003); nel corso del 2004 il sistema verrà reso operativo attraverso la costituzione della prevista Commissione di esperti. Nell’ambito di questo sistema verranno utilizzati dati sia di fonte amministrativa, sia tratti da indagini campionarie. Per quanto riguarda queste ultime, d’intesa tra il Ministero del lavoro e delle
politiche sociali e l’Istat, il questionario della nuova Rilevazione continua delle forze di lavoro è stato modificato in maniera da tenere in considerazione le nuove forme contrattuali introdotte dalla legge Biagi. Gli effetti della riforma ed in
particolare le possibili segmentazioni che dovessero emergere, sono comunque già oggetto di monitoraggio anche da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dell’ISFOL. Si deve ricordare, peraltro, che il Ministero conduce
da anni – basandosi soprattutto su fonti amministrative – un continuo monitoraggio delle politiche occupazionali, che
si estende anche alla misurazione della consistenza delle diverse forme contrattuali atipiche. In questo quadro è stato recentemente sviluppato, con il cofinanziamento dell’Eurostat, un campione longitudinale di dati amministrativi tratti dagli archivi dell’INPS, con lo scopo di valutare i percorsi occupazionali dei lavoratori dipendenti ed autonomi. Per meglio sfruttare queste fonti è stato predisposto un nuovo modello per le comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro
da inoltrare in modalità esclusivamente telematica; nello stesso senso opera la mensilizzazione del modello di comunicazione per i dati relativi ai lavoratori dipendenti (da gennaio 2005). L’utilizzo di queste indagini permette un monitoraggio costante dei passaggi da lavoro a tempo determinato a contratti diversi. E’ stato strutturato, inoltre, un Osservatorio sul part-time, anche con l’intento di verificare l’utilizzo di contratti a tempo indeterminato part-time verticale in sostituzione di altri rapporti a tempo determinato o stagionali. Vale la pena sottolineare come anche da parte di numerose amministrazioni regionali e provinciali vengano promosse indagini ascrivibili a quelle già citate. Anche all’interno delle attività degli Osservatori sul mercato del lavoro, molte regioni (tra cui specificamente Piemonte, Emilia Romagna, Toscana) elaborano dati con cadenza regolare sulle differenti forme di lavoro, la loro consistenza ed i flussi che, nel territorio regionale, le caratterizzano.
Sulla base delle prime osservazioni si può rilevare come la maggiore possibilità di utilizzare i contratti a termine e i contratti di lavoro temporaneo non abbia prodotto quei fenomeni di segmentazione del mercato del lavoro registratisi in altri Paesi. In particolare, l’analisi longitudinale dei dati tratti dall’indagine sulle forze lavoro mostra che la probabilità di
essere occupati ad un anno di distanza è cresciuta negli ultimi anni più per i lavoratori a termine che per quelli a tempo
indeterminato, e più per le donne che per gli uomini. Parte del merito può essere data anche al credito d’imposta per
nuova occupazione introdotto dalla legge 388/2000 e poi ridisciplinato dall’articolo 63 della legge 289/2002.
La riforma del sistema di sostegni al reddito è delineata in un provvedimento legislativo rimasto fermo presso il Parlamento. In essa, coerentemente con quanto previsto nel Patto per l’Italia, è contenuta la previsione di innalzamento dell’indennità di disoccupazione e il suo configurarsi quale strumento di politica attiva del lavoro. L’esame da parte del Parlamento è iniziato nuovamente solamente da alcune settimane, con lo scopo di giungere alla approvazione della legge delega entro i primi mesi del 2005.
L’attuazione della riforma fiscale delineata dalla legge di delega n. 80/2003 continua a rappresentare una priorità dell’azione di governo. Un primo modulo, già attuato con la legge finanziaria per il 2003, è stato concentrato nelle fasce di
reddito meno elevate, contribuendo a rendere più attrattivo il lavoro, soprattutto in relazione al secondo membro lavoratore della famiglia.
Nei prossimi due anni il Governo proseguirà nell’attuazione della riforma, procedendo alla realizzazione del secondo modulo di riforma dell’IRE, e riducendo l’IRAP. L’entità della riduzione complessiva che il Governo intende realizzare sarà
pari, nel biennio, ad un punto del PIL. In particolare, per quanto riguarda l’IRAP, gli interventi potranno essere selettivi e principalmente rivolti alle imprese più attive sul fronte dell’innovazione tecnologica.
Il Governo italiano, negli ultimi due anni, ha posto la tematica dell’emersione del lavoro irregolare al centro della propria agenda politica, procedendo all’adozione di specifici provvedimenti legislativi in materia. In particolare, si fa riferimento alla legge 383/01, che ha introdotto incentivi all’emersione e una maggiore severità rispetto alla repressione delle
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irregolarità; degna di nota è anche l’istituzione, a livello provinciale, dei Comitati per il Lavoro e l’Emersione del Sommerso, a composizione mista istituzioni-parti sociali. E’ stato poi varato un piano straordinario di accertamento in materia di lavoro e legislazione sociale, che ha previsto la creazione di una Direzione Generale ad hoc all’interno del Ministero del Lavoro e Politiche Sociali e un aumento significativo del numero degli ispettori del lavoro. Si segnala, inoltre,
che due dei tavoli settoriali, ispirati al principio della bilateralità e istituiti al fine di ricercare meccanismi di premialità
per le imprese virtuose e politiche per l’emersione condivise con le forse sociali, hanno già portato all’adozione di specifici Avvisi Comuni nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura.
Rispetto al settore edile, infine, il 15 aprile 2004 è stata siglata una convenzione tra Ministero del Lavoro, INPS, INAIL
e parti sociali firmatarie dell’Avviso Comune relativa al rilascio del Documento Unico di Regolarità Contributiva (DURC)
da parte delle Casse Edili che viene così esteso a tutti i lavori dell’edilizia privata, che rappresentano circa l’80% del settore, con la sola esclusione dei cosiddetti lavori in economia di piccoli proprietari che realizzano opere di modesta entità.
Come evidenziato nel NAP dello scorso anno, il Governo italiano sostiene la necessità di un maggiore decentramento
dei meccanismi di governance del mercato del lavoro, per favorire un’evoluzione verso un sistema contrattuale più decentrato. Tuttavia, questa materia è nelle mani delle parti sociali e attiene alla loro autonomia negoziale. Nel corso dell’anno sono stati fatti alcuni tentativi per avviare una discussione sulla riforma del sistema contrattuale ma la diversa impostazione delle parti sociali non ha permesso, al momento, di iniziare un approfondimnento su questo tema. A tale proposito si segnala, peraltro, l’intervenuta firma, il 17 marzo 2004, di un primo accordo interconfederale riguardante la riforma del modello contrattuale nel settore dell’artigianato. Tale accordo, sottoscritto da tutte le organizzazioni imprenditoriali artigiane e da CGIL, CISL e UIL, sposta il baricentro della contrattazione nell’artigianato dal livello nazionale
a quello regionale e aspira a costruire un modello di relazioni sindacali e di contrattazione che aiuti lo sviluppo, contribuisca a risolvere le difficoltà di aree e settori specifici, migliori le condizioni dei lavoratori all’interno e all’esterno dei
luoghi di lavoro, aumenti la competitività delle imprese artigiane e delle piccole imprese, favorisca l’innovazione e una
formazione di qualità nell’arco dell’intera vita lavorativa.
2. Raccomandazione comune: attrarre più persone ad entrare e rimanere nel mercato del lavoro: rendere il lavoro
una vera opportunità per tutti.
Raccomandazioni specifiche: assicurare lo sviluppo, d’intesa con le Regioni, di servizi per l’impiego efficaci in tutto il Paese e
favorire il partenariato tra operatori pubblici e privati; aumentare l’accesso a servizi personalizzati ed efficienti e la partecipazione alle politiche attive del lavoro, specialmente al Sud; riservare maggiore attenzione ai giovani, gli svantaggiati, i meno
qualificati; realizzare un sistema informativo nazionale senza ulteriori ritardi; aumentare la disponibilità e l’accessibilità di
servizi di cura per i bambini, specialmente i minori di 3 anni, e altre iniziative per promuovere la partecipazione femminile
al mercato del lavoro, anche attraverso il part-time; sviluppare la strategia per l’invecchiamento attivo disegnata e assicurare
che le riforme previste producano incentivi adeguati ad assicurare una più lunga permanenza nel lavoro e a scoraggiare i pensionamenti precoci.
Le ultime azioni di monitoraggio sui Servizi Pubblici per l’Impiego condotte dall’Isfol attestano una aumentata funzionalità ed una più diffusa omogeneità nella implementazione di servizi standard. La sottostante tabella, infatti, attesta un
complessivo aumento del numero di Cpi che attivano tutte le funzioni standard previste dal Masterplan dei Servizi per
l’impiego e, contemporaneamente, una diminuzione delle distanze tra le aree più avanzate del paese (Centro Nord) e quelle più in ritardo (cfr. riga relativa al “differenziale Nord – Sud”).
TABELLA
1
Percentuale di Cpi che attivano tutti i servizi standard
2003
2002
2001
Italia
79,3
75,2
61,5
Differenziale Nord - Sud
19,4
28,2
40,0
Fonte: Monitoraggio Isfol 2003
In questo contesto, si conferma negli ultimi 12 mesi una crescita nell’offerta di servizi specialistici e personalizzati da parte dei Centri per l’impiego: si tratta, in particolare, di quei servizi immediatamente collegati alle prassi di accertamento
dello stato di disoccupazione ed alla somministrazione di misure di politica attiva, i cui target principali sono adolescenti,
giovani, donne in reinserimento, disoccupati di lunga durata. Le azioni specifiche per questi gruppi risultano intensificate e migliorate sotto il profilo qualitativo: l’accoglienza è sempre più realizzata attraverso colloqui orientativi; l’orientamento registra più del 72% delle strutture in grado di realizzare servizi di consulenza orientativa; c’è un aumento
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del 36% di Cpi che realizzano progetti individuali di inserimento lavorativo. Nel complesso si osserva un aumento dei
tassi di copertura dell’utenza servita.
Nella attuale fase di apertura del mercato del lavoro a nuovi soggetti pubblici e privati, da parte dell’Amministrazione
centrale è stata avviata la procedura per le autorizzazioni a livello nazionale: alla fine di settembre 2004 risultano essere
pervenute 469 richieste di autorizzazione per le Agenzie per il Lavoro; 87 autorizzazioni sono già state rilasciate relativamente alla sezione relativa alle attività di Ricerca e Selezione del personale. Le Regioni sono impegnate nel recepimento
dei decreti attuativi della L. 30/2003 in merito alle procedure di accreditamento e autorizzazione dei nuovi soggetti che
possono operare nel mercato dell’intermediazione di manodopera; tali attività porteranno alla definizione degli standard
di accreditamento regionale dei nuovi operatori e alla costituzione di appositi elenchi regionali.
La riforma Biagi ha individuato come componente base di un moderno sistema di incrocio tra domanda e offerta la
Borsa Continua Nazionale del Lavoro, un sistema on line di incontro tra domanda ed offerta di lavoro, liberamente accessibile da cittadini ed imprese, operatori pubblici e privati, autorizzati ed accreditati, integrato con la rete dei servizi
forniti dagli enti locali. In questa ottica, il sistema informativo è stato riprogettato come un nodo di una rete più ampia di servizi al cittadino, di cui fanno parte, tra gli altri, enti come INPS ed INAIL, in cui le amministrazioni pubbliche sono interconnesse da una rete telematica ed interagiscono grazie ad un innovativo sistema di cooperazione applicativa basato su web services di ultima generazione. Questa rete, di cui il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali
è il nodo nazionale e svolge funzioni di monitoraggio e controllo tecnico, si basa su nodi informativi attestati presso le
Regioni, che fungono da aggregatori di servizi sul territorio, di cui la Borsa Continua è l’elemento strategico. Inoltre,
il sistema della Borsa del Lavoro alimenterà un nuovo osservatorio nazionale del mercato del lavoro, in grado di fornire tempestivamente dati esaurienti e corretti per orientare gli interventi di politiche attive e passive nel settore. Al 15
settembre 2004, le attività di sviluppo della Borsa Lavoro, delle componenti di servizio dei nodi regionali del sistema
che il Ministero offre alle Regioni in sussidiarietà, del sistema di gestione della cooperazione applicativa tra i nodi della rete del sistema, dell’osservatorio nazionale del mercato del lavoro, sono state completate per il 70% di quanto previsto ed è già iniziata la fase di sperimentazione con alcune regioni (Lombardia e Veneto). Permangono alcune criticità con riferimento all’operatività dei sistemi locali e alla partecipazione dei privati, per i quali si stanno cercando soluzioni in termini di offerta sussidiaria, in grado di sostenere temporaneamente i soggetti istituzionali in difficoltà. Infatti, essendo il SIL una rete di sistemi informativi federati distribuita, la capacità di servizio dei nodi costituenti la rete e la loro omogeneità di risposta alle richieste dei cittadini e delle imprese è una condizione indispensabile per il funzionamento del sistema. Si segnala, infine, che il 23 settembre è stato raggiunto l’accordo in Conferenza Stato-Regioni sullo schema di decreto ministeriale relativo alla definizione degli standard tecnici e dei flussi informativi di scambio tra i sistemi, nonché delle sedi tecniche finalizzate ad assicurare il raccordo e il coordinamento del sistema della Borsa continua del lavoro a livello nazionale.
Per quanto riguarda l’aumento della disponibilità e dell’accessibilità dei servizi di cura per i bambini, specialmente i minori di 3 anni, si sottolinea l’istituzione di un apposito Fondo per gli asili nido, con una dotazione finanziaria di 300 milioni di per il triennio 2002/2004 ripartita a favore delle Regioni. Inoltre, con la Legge finanziaria per il 2003 sono stati stanziati 10 milioni di a favore di imprenditori che realizzino micronidi nei luoghi di lavoro: attualmente è in corso
l’erogazione del finanziamento relativo a 97 progetti approvati. Infine si richiama l’emanazione del bando di gara per l’affidamento di servizi di supporto tecnico-gestionale per agevolare le aziende nella predisposizione dei progetti di flessibilità in favore della conciliazione previsti dalla legge 53/00 art. 9, nonché l’implementazione di buoni e/o voucher di conciliazione per acquisto di servizi di cura, di sostituzione per imprenditrici e lavoratrici autonome in caso di allontanamento temporaneo dal lavoro.
L’occupazione femminile a tempo parziale è cresciuta ed è il 17,3% del totale. Con il decreto legislativo attuativo della
legge Biagi (D.Lgs 276/003) è stato largamente promosso l’utilizzo del contratto part-time, soprattutto per le donne,
con: a) agevolazioni di tipo previdenziale, per favorire la trasformazione di contratti di lavoro da tempo pieno a tempo
parziale da parte di lavoratori anziani a favore delle assunzioni a tempo parziale di giovani lavoratori; b)l’estensione delle clausole flessibili ed elastiche anche ai contratti a tempo parziale determinato. I contratti collettivi definiranno le modalità a tutela del lavoratore rispetto alla ulteriore liberalizzazione del lavoro supplementare, già disciplinata dal legislatore in mancanza dell’accordo collettivo con il consenso del lavoratore.
Con il D.Lgs 276/03 i lavoratori ultracinquantacinquenni sono inseriti tra le categorie di lavoratori svantaggiati che potranno rivolgersi alle cd. agenzie sociali per l’impiego o personal service istituite con la riforma medesima (art. 13). Sono
previsti incentivi economici e normativi a favore di tali agenzie che, su apposita convezione con un soggetto pubblico,
provvedano alla loro temporanea “presa in carico” per un più rapido ricollocamento lavorativo (con il D.M. 18 novembre 2003, è stato istituto un “Comitato per il sostegno e l’incentivazione delle attività derivanti dall’applicazione dell’art.
13”). I lavoratori “senior” sono considerati anche nelle nuove tipologie contrattuali atipiche e flessibili previste dal D.Lgs
276/0 e riconducibili sia al lavoro subordinato ( il lavoro intermittente- art 33- favorisce anche i lavoratori con più di 45
anni di età espulsi dal ciclo produttivo o iscritti alle liste di mobilità e di collocamento mentre il contratto di
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inserimento- art 54- diretto a realizzare, con un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del
lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l’inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro favorisce
anche i lavoratori con più 50 anni di età privi di un posto di lavoro ed in genere che desiderino riprendere una attività
lavorativa e che non lavorano da almeno due anni) e sia al lavoro autonomo, per favorire l’emersione delle attività lavorative di natura meramente occasionale rese da particolari “soggetti a rischio di esclusione sociale o in procinto di uscire
dal mercato del lavoro, tra i quali, i pensionati (collaborazioni a progetto – art 61- e lavoro accessorio- art 70).
Il 28 luglio 2004 il Parlamento italiano ha approvato in via definitiva la legge delega di riforma del sistema previdenziale che avrà piena attuazione dal 2008 e prevede :a)l’elevazione graduale dell’età pensionabile,; b)lo sviluppo di forme di
previdenza complementare, affiancata a quella pubblica; c) un incentivo economico, per il periodo 2004-2007, per i lavoratori dipendenti del settore privato che, in possesso dei requisiti per la pensione di anzianità, continuano l’attività lavorativa, con un aumento in busta paga, esente da ogni tipo di imposta, pari all’importo dei contributi previdenziali che
dovrebbero essere versati all’ente di previdenza, ossia almeno il 32,7% dell’ammontare della retribuzione.
3. Raccomandazione comune: investire maggiormente e con più efficacia nel capitale umano e nella formazione
continua.
Raccomandazioni specifiche: monitorare le recenti riforme per assicurare l’effettivo innalzamento della preparazione della
forza lavoro, la riduzione dell’abbandono scolastico e il sostegno alla transizione scuola-lavoro; assicurare incentivi effettivi per
la formazione continua e, insieme alle Parti Sociali, aumentare la partecipazione alla formazione, in particolare per i meno
qualificati, attraverso – anche – l’effettivo sviluppo dei Fondi Interprofessionali.
La riforma del mercato del lavoro (Legge Biagi 30/2003 e Decreto legislativo attuativo 276/2003) e la riforma del sistema educativo sono volte a favorire e agevolare un ingresso nel mercato del lavoro più solido e a rafforzare le forme di alternanza “scuola-lavoro”.
In particolare, la legge Biagi prevede un’attività di intermediazione delle Agenzie per il Lavoro che amplia il ventaglio dei
servizi finalizzati all’utenza, con una attenzione particolare all’inserimento lavorativo dei disabili e dei lavoratori svantaggiati. Le Agenzie erogano attività di formazione e orientamento professionale; ricercano e selezionano il personale, offrendo consulenza di direzione e selezione delle candidature, nonché progettazione ed erogazione di attività finalizzate
alla formazione del profilo richiesto; sostengono il reinserimento professionale, individuale o collettiva, anche in base ad
accordi sindacali, offrendo formazione, accompagnamento e affiancamento alle persona da inserire in azienda.
L’introduzione del “libretto formativo del cittadino”, strumento a disposizione del lavoratore nel quale saranno registrate le competenze formali e informali acquisite durante il percorso formativo e lavorativo, purché siano riconosciute e certificate, rappresenta una innovazione di assoluto rilievo per il sistema formativo italiano.
Nel corso del 2004 è stato avviato l’iter di applicazione della legge delega n. 53/2003 riguardante la riforma del sistema
educativo. Questa, innanzitutto, ha previsto che l’obbligo scolastico e l’obbligo formativo siano ridefiniti ed ampliati alla
luce dell’affermazione di un diritto - dovere all’istruzione e alla formazione per almeno 12 anni o, comunque, sino al
conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. In attesa dell’emanazione dei decreti attuativi il MIUR,
il MLPS, le Regioni e le Province Autonome, le Province, i Comuni e le Comunità montane, in sede di Conferenza unificata hanno siglato un Accordo quadro per la realizzazione, a partire dall’anno in corso, di un’offerta formativa di istruzione e formazione a carattere sperimentale. Conseguentemente, in sede di Conferenza Stato Regioni, sono stati definiti gli standard formativi minimi relativi alle competenze di base. Allo stato attuale si sta lavorando ad una definizione condivisa di certificazioni intermedie e finali e, quindi, al riconoscimento dei crediti per i passaggi tra i sistemi.
Lo schema di decreto legislativo, approvato dalla Presidenza del Consiglio, relativo alla definizione delle norme generali
sull’alternanza scuola - lavoro, disciplina il sistema proposto come modalità di realizzazione della formazione del secondo
ciclo, sia nel sistema dei licei che in quello della formazione professionale, per quegli studenti che, avendo compiuto il quindicesimo anno d’età, sono tenuti a conseguire, nell’esercizio del diritto - dovere all’istruzione e alla formazione, almeno una
qualifica. Questo per assicurare ai giovani, oltre all’acquisizione delle conoscenze di base, l’acquisizione di competenze spendibili sul mercato del lavoro. Il processo educativo, in tal modo, “esce” dalla classe come luogo esclusivo di apprendimento
e si realizza in contesti diversi, creando un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del
lavoro e della società civile. I periodi di “apprendimento” possono essere svolti anche in imprese simulate utilizzando il laboratorio come ambiente di apprendimento contestualizzato. Su questa scia è attiva la Rete telematica delle imprese formative simulate (IFS) che attraverso un percorso di simulazione aziendale e l’utilizzo di metodologie didattiche innovative attua
un apprendimento “learning by doing”, che ha i suoi punti di forza nel problem solving, nel cooperative learning e nell’apprendimento organizzativo. Accanto a queste innovazioni il Ministero dell’istruzione d’intesa con le Istituzioni locali sta definendo il Piano nazionale per l’Orientamento che prevede una serie di azioni per prevenire e combattere l’abbandono scolastico: l’Anagrafe dello studente, il maggior coinvolgimento e partecipazione delle famiglie, la promozione di seminari informativi tematici. Per rafforzare il partenariato tra scuola e genitori è stato, infine, promosso il progetto “Genitori e scuola”
che mediante il ricorso ad attività di apprendimento formali e informali, prevede alcune azioni specifiche.
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Riguardo agli interventi di formazione e di transizione scuola – lavoro, per combattere la disoccupazione giovanile, oltre all’Accordo quadro sopra citato insistono una serie di provvedimenti. Infatti, l’entrata in vigore del decreto legislativo attuativo della legge Biagi (276/2003) è destinata a produrre un impatto rilevante anche sui sistemi regionali di apprendistato, chiamati a ripensare il modello esistente alla luce delle nuove indicazioni, prima fra tutte la differenziazione fra tre tipologie di apprendistato: a)per l’espletamento del diritto-dovere all’istruzione e formazione, b)professionalizzante, c)per l’alta formazione. In tal modo si evolve il modello di governo dell’apprendistato in Italia passando da un
sistema in cui la regolamentazione è prevalentemente definita dal Ministero del Lavoro ad un sistema decentrato alle Regioni. Da qui l’importanza di un’attenta azione di monitoraggio in grado di rilevare quello che avviene sui diversi territori, trasferire la conoscenza sulle esperienze in atto, promuovere il confronto sui modelli e sui risultati. In quest’ottica
registra alcune novità anche il sistema dei tirocini formativi che diventano un’occasione per l’azienda ospitante di formare in anticipo e pre-selezionare i profili professionali di cui hanno necessità e quindi, dopo averle “sperimentate”, valutare la possibilità di assunzione. Questo strumento, anche se di natura temporanea, presenta significative ricadute occupazionali, come dimostrano le indagini condotte in questo senso, ad esempio dal MLPS-ISFOL, che rilevano che più
del 60% dei soggetti coinvolti trova solitamente lavoro dopo il tirocinio ed il 44% presso la stessa azienda.
Nel 2003 si è conclusa la fase transitoria di avvio dei Fondi Paritetici Interprofessionali, nuovi organismi nati con l’obiettivo di promuovere la formazione continua nelle imprese italiane. Dieci sono i Fondi fino ad oggi costituiti e autorizzati, rappresentativi di una larga parte del mondo delle imprese e dei lavoratori. Nel 2004 alle risorse economiche già
previste sono state aggiunte altre risorse per sostenere i soggetti gestori dei Fondi:
– nell’affrontare le sfide di natura organizzativa e strategica a cui sono chiamati;
– nell’adozione di strutture e di modelli operativi adeguati alla gestione delle risorse e delle attività messe a disposizione;
– nello sviluppo di una prassi negoziale continua finalizzata all’elaborazione di interventi formativi concepiti in un’ottica di “Piano formativo” effettivamente condiviso (territoriale, settoriale, aziendale e individuale);
– nella realizzazione di intese territoriali che integrino e armonizzino le attività finanziate dai Fondi con quelle già esistenti
localmente (fondi comunitari, nazionali e regionali) e, quindi, coniugare le dinamiche territoriali con quelle settoriali.
Quest’ultimo aspetto riveste un’importanza fondamentale sia in termini strategici che operativi: i Fondi si inseriscono,
infatti, all’interno di un sistema più ampio e consolidato di strumenti di finanziamento e gestione delle iniziative per la
formazione continua quale strumento di adattabilità delle imprese e dei lavoratori (QCS ob. 1 e 3 FSE, POR, Azioni di
Sistema del Ministero del Lavoro, Equal, nuove riforme nazionali).
Al 2003, invece, risale la nuova distribuzione di risorse alle Regioni per la promozione dei Piani formativi individuali,
aziendali e territoriali. Il provvedimento (frutto dell’accordo raggiunto con le Regioni e con le Parti Sociali in sede di Comitato di Indirizzo per la Formazione Continua) si muove in direzione di una ‘specializzazione’ degli strumenti di finanziamento esistenti che possa assicurare il coinvolgimento dei destinatari delle azioni di formazione continua, più difficilmente raggiungibili dai nuovi Fondi Paritetici Interprofessionali. E’ importante sottolineare l’individuazione da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dei target di destinazione delle risorse disponibili, riconducibile alla
necessità di estendere le politiche distributive a soggetti più deboli, generalmente meno coinvolti dalle iniziative di formazione continua che privilegiano, in genere, i più giovani, i più scolarizzati, i più ‘forti’ professionalmente. D’altronde
anche i dati relativi all’utenza coinvolta nelle azioni finanziate dal FSE segnalano che le scelte formative delle aziende si
continuano a concentrare sui lavoratori relativamente più forti.
Inoltre, grazie alla legge 53/2000, la FCI si configura come un diritto soggettivo che affonda le sue radici nella mediazione tra interessi del lavoratore e interessi dell’azienda realizzata dalla contrattazione tra le parti sociali, ed è tutelato, anche in assenza di piani formativi aziendali/territoriali e di specifica contrattazione collettiva, da un intervento pubblico
che destina ad esso specifiche risorse. I dispositivi organizzativi attraverso cui si realizza l’offerta di FCI da parte delle Regioni (o Province, nei casi in cui la materia è stata decentrata ) sono principalmente due: i cataloghi e i voucher. In Italia, in questi ultimi anni la FCI si sta sempre più configurando come un’opportunità di rilievo per lo sviluppo di politiche di “lifelong learning”. E, tra le tipologie formative emergenti un’attenzione particolare va posta sui voucher aziendali che possiamo definire come incentivi economici di natura individualizzata, volti al finanziamento di attività formativa documentabile scelta dai destinatari (lavoratori delle imprese). Nel corso dell’anno precedente l’analisi dei bandi di
gara emessi dalle Amministrazioni centrali e regionali Obiettivo 1 e Obiettivo 3 ha evidenziato una crescita dell’utilizzo
del voucher formativo nell’ambito della programmazione del Fse.
Relativamente alle politiche rivolte all’integrazione delle persone svantaggiate si segnala che i servizi per il collocamento mirato previsti dalla Legge 68/99 sono oramai operativi. Molte le sinergie istituzionali e non attivate, molti i protocolli di intesa stipulati fra i servizi territoriali per l’impiego, sociali, sanitari, della formazione professionale. Pur registrando visibili progressi nella qualità del sistema permangono attuali le necessità di interventi tesi ad una riduzione dei
tassi di disoccupazione relativi alle persone disabili e per questo il Governo e le Regioni mantengono inalterati i propri
obiettivi volti ad un incremento delle opportunità offerte dal sistema nel suo complesso. La parola d’ordine per far fronte alla situazione è “lavorare in rete”. All’inclusione sociale di questi soggetti il Fse fornisce un contributo rilevante per
la realizzazione di obiettivi di equità sociale ricorrendo ad un mix di azioni. In tale ambito risultano prevalenti le attività formative e le azioni di orientamento, consulenza ed informazione; meno rilevante è invece è il ricorso agli incentivi
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economici, destinati soprattutto alle persone per partecipare ad attività formative ed alle work-experience (tirocini); altre
azioni specifiche e di sistema interessano l’insieme degli attori chiave da cui dipende il recupero sociale ed economico
delle persone più svantaggiate e finalizzate a migliorare le capacità di governo delle istituzioni coinvolte a tutti i livelli.
In relazione ai destinatari degli interventi del Fse le ricognizioni effettuate confermano che i destinatari prevalenti degli
interventi continuano ad essere i disabili, gli extracomunitari, i detenuti ed i soggetti a provvedimento giudiziario, i tossicodipendenti e gli ex tossicodipendenti. Inoltre, evidenziano il ruolo crescente assunto da “altre categorie di utenza”
come i soggetti appartenenti a minoranze etniche, i sieropositivi, gli alcolisti ed ex alcolisti, le donne in difficoltà con
basso reddito e debole titolo di studio, le persone in situazione di disagio familiare e sociale inquadrabili nei fenomeni
delle nuove povertà.
4. Raccomandazione comune: assicurare effettiva attuazione alle riforme attraverso una migliore governance.
In Italia è in corso un processo di riforma costituzionale in senso federalista iniziato nel 2001che tende alla riduzione
delle competenze dello Stato e alla loro contemporanea attribuzione alle Regioni e agli enti locali. La legge costituzionale 3/2001 è stato il primo provvedimento nella direzione della devoluzione, con l’ampliamento dei compiti delle Regioni mediante l’attribuzione di competenze legislative esclusive e concorrenti con lo Stato, la titolarità delle funzioni
amministrative ai Comuni nonché la previsione dell’ambito ambito più limitato di competenze legislative statali (es. politica estera, difesa, moneta, ordine pubblico, previdenza). Attualmente è all’esame del Parlamento- Ddl costituzionale
AS 254-), una altra legge di riforma costituzionale che oltre a prevedere ulteriori ambiti esclusivi di competenza delle
Regioni (es. scuola, sanità, polizia locale), per dare maggiore responsabilità alle Regioni, alle Province, ai Comuni e alle
Comunità montane e ai loro amministratori ridisegna l’impostazione delle istituzioni statali, a cominciare dal Parlamento,
nel cui ambito viene previsto un Senato federale.
Questo processo, avvicinando le responsabilità di governo alle realtà economiche e sociali del territorio deve permettere
di gestire in maniera più efficiente le politiche di intervento, in questo caso quelle del mercato del lavoro, e di governare con maggiore attenzione l’attuazione delle riforme. Realtà così diverse di mercato del lavoro e di tessuto produttivo
necessitano di diversificate e flessibili linee di intervento, pure se nell’ambito di uno stesso quadro regolatorio. L‘attuazione della Legge Biagi –così come il Piano d’Azione Nazionale per l’Occupazione- è sviluppata in stretto contatto con
i livelli di governo regionale, provinciale e locale, a cui spetta in molti casi la definizione delle linee di attuazione.
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D. DIALOGO ISTITUZIONALE E SOCIALE
(dichiarazione del Governo)
La Legge di riforma del mercato del lavoro (Legge Biagi) è il risultato di un lungo periodo di dialogo con le parti sociali, culminato con la sottoscrizione del Patto per l’Italia (luglio 2002) da parte di tutte le organizzazioni delle parti sociali, ad eccezione di una. In seguito, l’elaborazione del decreto attuativo (276/03) ha beneficiato di un approfondito confronto con le parti sociali e ha comunque affidato alla contrattazione collettiva una parte significativa di attuazione della legge. Ne consegue che la legge Biagi e gli atti da essa derivati sono stati oggetto di un continuo negoziato con le parti sociali e la loro attuazione dipende da come si comporterà la contrattazione collettiva. Il Governo, pertanto, giudica
positivamente questa fase del dialogo sociale, anche se vi è piena consapevolezza che mentre su moltissimi temi la condivisione degli obiettivi e degli strumenti è stata totale, a volte vi sono stati dissensi rilevanti con le organizzazioni delle
parti sociali. Non vi è stata, dunque, nessuna assenza né negazione di dialogo tra Governo e parti sociali, anzi il confronto
è stato continuo e approfondito e molte soluzioni di compromesso sono state raggiunte, con lo scopo di innalzare il tasso di occupazione e di offrire la possibilità a tutti di accedere ad un lavoro.
(contributo a cura di: Abi, Casartigiani, Cgil, Cida, Cipa, Cisl, Claai, Cna, Coldiretti, Confail, Confapi, Confartigianato,
Confcommercio, Confcooperative, Confedir – Manageritalia, Confesercenti, Confedertecnica, Confservizi, Confetra, Confindustria, Confsal, Lega Cooperative, Ugl, Uil, Unionquadri)
1. Relazioni tra le parti sociali e il governo
Nel 2003 è stato varato dal governo il decreto legislativo 276/03 in attuazione delle deleghe contenute negli articoli 1-5
della legge 30 di riforma del mercato del lavoro: su di esso, come sulla legge, le opinioni delle parti sociali e tra le parti
sociali sono state difformi. Tuttavia, la previsione di uno o più accordi interconfederali per la “messa a regime” delle norme contenute nel decreto, e per la gestione della fase transitoria riguardante la fine dei contratti di formazione/lavoro, è
stata rispettata. Le parti sociali, infatti, hanno concluso due accordi interconfederali, rispettivamente riguardanti la fase
transitoria del regime dei contratti di formazione-lavoro e l’attivazione del contratto di inserimento/reinserimento. I due
accordi stipulati dalle parti prevedono quanto segue:
a) per i contratti di formazione/lavoro, la validità di quelli derivanti da progetti approvati e notificati nelle sedi di esame
previste dai sistemi di valutazione vigenti per i differenti comparti, con il vincolo che la presentazione/approvazione
sia avvenuta entro il 23 ottobre 2003, data di cessazione dell’istituto;
b) per i contratti d’inserimento/reinserimento, che costituiscono una nuova tipologia contrattuale di lavoro subordinato a tempo determinato (minimo 9, massimo 18 mesi) con la finalità di garantire la collocazione o la ricollocazione
nel mercato del lavoro dei giovani fino a 29 anni di età e di altri soggetti svantaggiati, le parti hanno stabilito:
a. efficacia dell’Accordo interconfederale transitoria e comunque sussidiaria della contrattazione collettiva che, in materia, si svolgerà secondo i livelli e le titolarità attualmente previsti;
b. rimando alla contrattazione collettiva per ulteriori specificazioni delle clausole riferite alla durata, all’inquadramento,
alle percentuali di conferma in servizio;un minimo di 16 ore di formazione, ripartita fra l’apprendimento di nozioni di prevenzione antinfortunistica e di disciplina del rapporto di lavoro ed organizzazione aziendale ed accompagnata da congrue fasi di addestramento specifico, impartite anche con modalità di e-learning, in funzione dell’adeguamento delle capacità professionali del lavoratore.
Attualmente è in corso il confronto sull’istituto dell’apprendistato per la definizione di alcuni principi e linee-guida tese a favorire le successive fasi di concertazione a livello regionale previste dalla legge.
Il Governo ha proceduto ad emanare numerosi provvedimenti di attuazione e di interpretazione di diversi istituti previsti dalla legge di riforma del mercato del lavoro. Su tali provvedimenti le valutazioni delle parti sociali sono state discordanti. Nel mese di settembre 2004 il governo ha emanato, previo confronto con le parti sociali, un decreto legislativo recante prime correzioni alla nuova disciplina del mercato del lavoro, in attesa del decreto correttivo che potrà essere emanato entro il prossimo mese di aprile 2005, per apportare quelle modifiche che le stesse parti sociali potranno suggerire
al Governo sulla base dell’esperienza pratica e della contrattazione collettiva nel frattempo intervenuta. Il Governo ha altresì proceduto ad attuare la riforma dei servizi ispettivi con il decreto legislativo 124/04: anche qui, le parti hanno espresso opinioni non collimanti, in quanto non pienamente soddisfatte, sia pure per ragioni diverse, delle soluzioni definite.
Spicca in tale contesto la previsione della facoltà, per l’ispettore del lavoro, di “conciliare monocraticamente” eventuali
irregolarità riguardanti i rapporti di lavoro, su cui le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori hanno espresso la loro ferma contrarietà.
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Nel giugno 2003 Confindustria e le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil hanno raggiunto un accordo sulle misure per
incentivare la competitività del sistema economico italiano, riferite in particolare al sostegno all’innovazione ed alla formazione del personale, nonché al rilancio dello sviluppo nelle aree del Sud.
Nel corso del 2004, sono stati definiti dalle parti sociali territoriali, il Governo e le Regioni alcuni Accordi per le aree di
crisi finalizzati alla concessione della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (CIGS) anche ad imprese che non rientrano nel campo di applicazione degli articoli 1 e 12 della Legge 223/91, tra cui le imprese artigiane.
Va rilevato che le proposte delle parti sociali non hanno trovato accoglimento nei successivi provvedimenti di natura economica-finanziaria emanati dal Governo nel corso del 2003.
Nei rapporti con il governo, la fase di maggior crisi con i sindacati si è registrata riguardo alla modifica del sistema di
previdenza, su cui le organizzazioni sindacali hanno organizzato nel corso del 2004 due iniziative di sciopero generale.
Ciò nonostante, il governo ha proseguito la sua iniziativa in Parlamento. Nel corso dell’iter parlamentare di approvazione del disegno di legge delega, da parte delle singoli parti sociali sono state formulate numerose osservazioni e sono state proposte modifiche migliorative, anche successivamente tradotte in emendamenti al provvedimento di riforma. Il complesso e lungo iter parlamentare si è concluso il 29 luglio 2004, con la definitiva approvazione della legge delega di riforma del sistema previdenziale.
Le parti sociali hanno espresso opinioni diversificate sulle proposte di riforma fiscale, non ancora ben definite, presentate dal Governo
Relazioni tra le parti sociali
Azioni riguardanti il modello negoziale
Gli assetti negoziali sono stati oggetto di un dibattito assai ampio nel Paese e tra le organizzazioni di rappresentanza. Allo stato le organizzazioni sindacali confederali stanno dibattendo la possibile formulazione di una proposte di riforma su
cui intavolare il negoziato con le associazioni degli imprenditori.
Tuttavia, nel settore artigiano si è concluso un accordo (marzo 2004), che ridefinisce il modello contrattuale, valorizzando le competenze del livello regionale decentrato. Le linee guida previste nell’accordo affidano ai due livelli contrattuali (nazionale e regionale) la finalità di tutelare e valorizzare le retribuzioni. Il livello regionale, in tale percorso, avrà il
compito di ridistribuire la produttività, laddove prodotta, ed integrare la tutela del potere d’acquisto dei salari in caso di
scostamento dalla inflazione prevista e reale. In assenza di contrattazione regionale le parti nazionali garantiranno la tutela del potere di acquisto.
Anche nel settore del Terziario della distribuzione e dei servizi ed in quello delle aziende cooperative i rispettivi rinnovi
contrattuali si sono, di fatto, mossi su un’impostazione che riconferma il ruolo centrale del CCNL ma amplia, al tempo
stesso, le materie dei livelli integrativi territoriale ed aziendale e valorizza ulteriormente il filone della bilateralità.
Accordi interconfederali
a. Vedi paragrafo precedente per l’attività determinata dal decreto legislativo 276/03;
b. Nel giugno 2004, si è proceduto al recepimento, tramite accordo interconfederale, della direttiva europea sul telelavoro. Si è in tal modo completata, dando efficacia generalizzata alla disciplina europea, l’attività che in alcuni comparti e/o settori era già stata sviluppata per definire questa modalità di prestazione di lavoro (terziario, pubblica amministrazione, tessili, chimici, ecc.).
Attività contrattuale
Molti rinnovi contrattuali, intervenuti successivamente al varo della riforma del mercato del lavoro, hanno disciplinato,
tra l’altro, materie oggetto dei riforme legislative, rafforzando il corredo di diritti dei lavoratori e regolando le forme di
flessibilità ritenute dalle parti più adeguate alle specifiche esigenze settoriali.
Fondi interprofessionali
Definiti da una norma di legge del 2000, i fondi hanno proceduto nel 2004 a perfezionare i loro assetti interni, tramite la predisposizione e presentazione al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali dei Piani Operativi di Attività relativi al biennio 2004-2005.
Sono stati registrati numerosi ritardi nell’erogazione dei finanziamenti da parte del Ministero del Lavoro; ciò anche in
conseguenza dell’equivoco ancora non chiarito sulla loro natura (fondi pubblici o fondi privati). Inoltre l’erogazione è
stata effettuata in misura ridotta rispetto a quella prevista. Attualmente tutti i Fondi interprofessionali sono impegnati
nella predisposizione ed emanazione dei relativi bandi per il finanziamento degli interventi di formazione continua, ovvero hanno già predisposto i bandi.
Lavoro sommerso
Diverse iniziative sono scaturite dall’insediamento, nel marzo 2003, ad iniziativa del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di concerto con la Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Tavolo nazionale sul sommerso, quale sede permanente di confronto tra le parti sociali e i soggetti istituzionali sulla problematica in oggetto, con il compito di individuare a livello nazionale le strategie e le politiche attive volte a favorire i processi di emersione.
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I rappresentanti del settore edile e dell’agricoltura hanno siglato, rispettivamente il 16 dicembre 2003 e il 4 maggio 2004, due
avvisi comuni sull’emersione del lavoro non dichiarato nei relativi settori. Con particolare riferimento all’edilizia, le specificità che ne caratterizzano il settore hanno portato le parti stipulanti l’avviso comune a prevedere alcune misure ad hoc, volte a
contrastare pratiche irregolari diffuse nel settore, riscontrabili soprattutto nelle procedure di assunzione del personale.
Attualmente è in corso il negoziato per la definizione di un avviso comune sul sommerso nel settore del Turismo.
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MINISTERO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE
DIREZIONE GENERALE PER L’IMPIEGO
“ MASTERPLAN” DEI SERVIZI PER L’IMPIEGO: LINEE DI
ORGANIZZAZIONE
(concertato con Regioni, Province e parti sociali e adottato formalmente, per le
Regioni dell’obiettivo 3, nella seduta del Comitato di Sorveglianza del Q.C.S. del
20 dicembre 2000. L’allestimento del “Masterplan si articolerà in altrettanti
Masterplan regionali)
La realizzazione di un "masterplan" dei servizi per l'impiego si rende indispensabile per
allestire un quadro di riferimento entro cui sviluppare la riforma degli SPI,
valorizzando a tal fine l'opportunità del ricorso al cofinanziamento del Fondo Sociale
Europeo.
La logica del masterplan è quella di concordare obiettivi di realizzazione quantitativi e
standard qualitativi di funzionamento condivisi, fissando in precise fasi temporali il
raggiungimento di un'efficienza misurabile in effetti oggettivamente apprezzabili.
Costituiscono la "falsariga" del masterplan le scelte effettuate nell'ambito dei
documenti di programmazione del Fondo sociale europeo tanto al livello nazionale che
a quello regionale; il masterplan deve consentire di individuare preventivamente le
modalità di monitoraggio dei diversi stati di avanzamento dello sviluppo degli SPI e di
disporre, a tutti i livelli, azioni di sistema che possano agevolare, sia un rapido
recupero di efficienza da parte delle realtà meno avanzate, sia la disseminazione delle
esperienze più efficaci.
Anche nell'obiettivo di finalizzare le azioni di sistema dell'amministrazione centrale a
tali obiettivi di funzionalità, e di realizzare un monitoraggio congiunto che permetta di
rendere conto dello sviluppo degli SPI in coerenza con gli impegni assunti dall'Italia
nell'ambito della Strategia Europea per l'occupazione (NAP), sembra opportuno
articolare il masterplan in altrettanti documenti regionali, che possano dare visibilità a
stadi di avanzamento anche differenziati, in coerenza con le diverse situazioni
organizzative e di contesto occupazionale.
L'allestimento congiunto del "masterplan dei Servizi per l'impiego" trova fondamento
negli impegni assunti con la Commissione europea nell'ambito del negoziato sul Fondo
Sociale Europeo, tuttavia, ai fini del raggiungimento degli obiettivi e degli standard che
verranno stabiliti si può considerare opportuna, nonché fattibile, l'attivazione anche di
altre risorse in particolare del FESR e delle relative quote di cofinanziamento
nazionale. Non si deve inoltre trascurare la necessità di poter presentare, nel 2002, un
circostanziato e positivo stato di avanzamento della messa in funzione dei Servizi,
anche ai fini della partecipazione ai meccanismi di "premialità" previsti dai
1
regolamenti dei fondi strutturali allo scopo di poter attivare risorse aggiuntive
soprattutto nelle aree ricomprese nell'obiettivo 1.
Si devono considerare gli impegni assunti dall'Italia nell'ambito dei Piani nazionali per
l’occupazione dove, ai fini dell'attivazione di politiche preventive della disoccupazione
di lunga durata (linee guida 1 e 2), il paese si è impegnato a rendere pienamente
operativi in tutto il territorio nazionale entro il 2003 i servizi per l'impiego, in quanto
strumento indispensabile per l'individuazione ed il coinvolgimento delle utenze
appropriate e per una reale finalizzazione all'inserimento al lavoro delle politiche attive
per l'impiego. Questo è l’aspetto integrante del masterplan che diventerà, pertanto,
sede di monitoraggio nella realizzazione degli impegni.
Deve essere a tal proposito anche ricordato che, da ultimo, le linee guida sopra
ricordate hanno trovato esplicito ingresso nell’ordinamento italiano e sono divenute
giuridicamente vincolanti grazie al Decreto Legislativo 181/2000. Sono, difatti, ivi
fissati degli “Indirizzi generali ai servizi per l’impiego ai fini della prevenzione della
disoccupazione di lunga durata”, rispetto ai quali le Regioni, coerentemente con le
prescrizioni comunitarie, sono state chiamate a svolgere un’attività di monitoraggio.
Nella Nota di indirizzo diffusa del Ministero del Lavoro – contenete primi indirizzi
interpretativi del D. Lgs. 181/2000 – è previsto che gli enti regionali provvederanno,
nell’ambito della propria programmazione, alla realizzazione di “relazioni semestrali
sulle tipologie, modalità di svolgimento e ambiti di intervento delle azioni intraprese
nonché sulla tipologia dei destinatari di dette azioni”.
Gli orientamenti per l'elaborazione del masterplan sono in parte contenuti nei
documenti che hanno già fatto oggetto di concertazione e di progettazione comune:
l’Accordo in materia di standard minimi di funzionamento dei servizi per l’impiego e
l’Accordo sulle linee guida per la definizione di azioni per l’avvio della funzionalità dei
servizi all’impiego .
Il "masterplan" dovrà presentare anche le modalità e gli indicatori che si intenderanno
utilizzare congiuntamente ai fini della valutazione dei diversi stati di avanzamento del
programma.
2
1. Quadro di riferimento
1.1 La riforma dei Servizi pubblici per
amministrativo e riforma delle procedure
l’impiego
(SPI):
decentramento
A partire dalla fine del 1997 diversi provvedimenti normativi, aventi diversa “origine” e
natura, hanno avviato una ristrutturazione delle forme di organizzazione e di
funzionamento degli organi pubblici di controllo del mercato del lavoro.
Innanzi tutto, con riguardo alla riorganizzazione delle su richiamate istituzioni, il D.Lgs.
469/97 ha concretizzato i principi del c.d. “federalismo amministrativo” in materia di
mercato del lavoro, conferendo agli Enti territoriali le funzioni di gestione in questo
ambito.
In particolare, è stato così disposta l’attribuzione alle Regioni a statuto ordinario ed agli
altri Enti locali, di funzioni e compiti relativi non solo al collocamento ma anche alle
politiche attive del lavoro ed allo Stato, un ruolo generale d’indirizzo, promozione e
coordinamento e alcune competenze specifiche, quali ad esempio la vigilanza in materia
di lavoro, dei flussi di entrata dei lavoratori non appartenenti all’Unione Europea.
Riassumendo, il sistema delle deleghe a livello locale, andando anche oltre il disegno
originariamente previsto, prevede l’attribuzione alle Regioni del ruolo di legislazione, di
organizzazione amministrativa, di progettazione, di valutazione e controllo dei servizi
all’impiego, mentre alle Province quello di erogatore dei servizi sul territorio e quello di
raccordo con gli altri Enti locali.
Sempre dal punto del decentramento amministrativo va pure ricordato il D.Lgs. 112/98,
il quale, in attuazione delle leggi di riforma della P.A., ha provveduto ad implementare
le competenze regionali in materie, quali l’istruzione e la formazione professionale, da
integrare fortemente con quelle nel campo delle politiche del lavoro, così come, del
resto, più volte richiesto dal D.Lgs. 469 ed espressamente previsto dalla legislazione
regionale di attuazione.
Di rilievo inoltre la L. n. 68/99, recante “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” la
quale non solo attribuisce a Province e Regioni importanti funzioni in materia, ma
riforma, innovandole, le procedure del collocamento obbligatorio, secondo il principio
del c.d “collocamento mirato”.
Inoltre, dal punto di vista dell’intervento sulle procedure amministrative, e quindi sul
funzionamento degli SPI, devono essere menzionati due ulteriori provvedimenti, uno
attuativo delle leggi di riforma della P.A., e l’altro invece, del c.d. “Collegato Lavoro”
(L. 144/99). Nel primo caso si tratta del Regolamento di semplificazione del
“Procedimento per il collocamento ordinario” – definitivamente approvato dal
Consiglio dei Ministri nella riunione 9/6/2000 ed è, attualmente, in attesa di
pubblicazione sulla G.U. – finalizzato, attraverso un intervento abrogativo sulla
disciplina in vigore, alla deflazione dei carichi di lavoro degli uffici, mediante
l’introduzione di due nuovi istituti: l’elenco anagrafico delle persone in cerca di lavoro e
la scheda professionale.
3
L’altro importante provvedimento recentemente approvato – il Decreto Legislativo
n.181/2000 – verrà richiamato più dettagliatamente nel successivo paragrafo 3.
Merita infine un breve cenno – per una più esaustiva ricostruzione della materia – anche
il definitivo superamento del monopolio pubblico del collocamento, anch’esso stabilito
dal più volte citato D.Lgs. 469, il quale comunque sottopone gli operatori privati ad un
sistema preventivo di approvazione pubblica (come, del resto, previsto per le Agenzie di
fornitura di lavoro temporaneo ex Legge 24 giugno 1997, n. 196). Ciò coerentemente
alle prescrizioni contenute nella Convenzione ILO n. 181 del 19 giugno 1997, intitolata
“Private Employment Agencies Convention , entrata in vigore il 2/2/2000, a seguito del
deposito dello strumento di ratifica il 1° febbraio 2000.
1.2 Lo stato di avanzamento del processo di decentramento amministrativo
Come è noto il D.Lgs. 469 affidava alle Regioni a Statuto ordinario il compito di
emanare una legge disciplinante l'organizzazione amministrativa e le modalità di
esercizio delle funzione e compiti loro conferiti. Ad oggi risultano approvati 14
provvedimenti sui 15 previsti, con la sola esclusione di una regione, per la quale,
peraltro, “vale” temporaneamente l’intervento sostitutivo del Governo (il D.Lgs.
379/99). Per quanto riguarda, invece, le Regioni a Statuto speciale e le Province
autonome, va ricordato che a favore di Friuli-Venezia Giulia, Trento e Bolzano, seppur
in tempi diversi, sono state già attribuite le competenze in materia di lavoro. Peraltro,
ritardi nel processo di adeguamento al 469, sono da registrare soprattutto nelle Regioni
a Statuto speciale del Mezzogiorno, rispetto alle quali sarà necessario un comune
impegno.
Pertanto, sebbene realizzato con più o meno evidenti ritardi – al giugno ’98, termine
fissato per l’emanazione degli atti regionali, risultava approvato solo quello dell’EmiliaRomagna – lo sforzo normativo di attuazione del 469 risulta ora quasi completato.
Il successivo processo di attuazione, questa volta, delle disposizioni contenute nelle
leggi degli Enti locali, ha fortemente risentito del notevole ritardo con cui –
successivamente al DPCM dell’ottobre 1998 di “individuazione, in via generale, delle
risorse da trasferire” – sono stati emanati i singoli provvedimenti di assegnazione a
ciascuna Regione dei beni necessari a rendere concretamente esercitabili le funzioni
loro conferite, di fatto “immobilizzando” l’avvio dei Sistemi locali per l’impiego.
Infatti, senza certezza né circa la quantità di risorse attribuite, né in merito al momento
della loro disponibilità, si è a lungo indugiato in una situazione di attesa. La
pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei DPCM avvenuta nel Novembre 1999, quindi, ha
di fatto aperto una nuova “stagione” della riforma, formalmente chiudendo l’esperienza
degli Uffici periferici del Ministero del Lavoro, mediante la loro soppressione, e
ponendo in primo piano i nuovi “Sistemi regionali per l’impiego”.
Da un recente monitoraggio, realizzato dall’ISFOL sullo stato di avanzamento della
riforma, condotto presso tutte le Amministrazioni regionali e provinciali, è possibile
trarre numerose indicazioni sull’operatività effettiva degli SPI. A tal proposito si rinvia
al documento ISFOL - Ministero del Lavoro, “Primi elementi per il monitoraggio sullo
4
stato di attuazione dei nuovi Servizi per l’Impiego”, consultabile sui rispettivi siti
Internet. Il Ministero del Lavoro e l’Isfol effettueranno semestralmente tale rilevazione,
per evidenziare gli elementi fondamentali del processo di attuazione della riforma, i
principali problemi incontrati ai diversi livelli, gli interventi integrativi messi in atto, le
caratteristiche dei diversi assetti organizzativi adottati. In accordo con le Regioni e le
Province, il monitoraggio potrà anche costituire uno strumento di rilevazione dello stato
di avanzamento del Masterplan.
1.3 Il processo di definizione degli standard di funzionamento degli SPI
Gli organismi internazionali hanno focalizzato l’attenzione sui mutamenti del mercato
del lavoro e sulla ristrutturazione delle forme di organizzazione e funzionamento delle
istituzioni.
In particolare, l’OCSE ha posto l’attenzione sui meccanismi “di sicurezza” apprestati, in
molti paesi, contro gli effetti di discriminazione sociale e territoriale, potenzialmente,
derivanti dai processi di decentramento degli SPI da più parti avviati. In particolare è
stata rilevata la tendenza all’introduzione di nuove tecniche di management per
obiettivi, onde assicurare il permanere di servizi qualitativamente e quantitativamente
omogenei rispetto al territorio ed agli utenti. Ciò si traduce, concretamente, nella
fissazione di target delle prestazioni attese dagli SPI, la quale dovrebbe sostituire
l’emanazione di stringenti direttive, operazione quest’ultima ancora molto comune nelle
Amministrazioni Pubbliche.
Tale rilievo trova esplicito riscontro anche a livello comunitario, dove il tema viene
espressamente preso in considerazione nella Comunicazione della Commissione
Europea COM (1998) 641 def. del 13/11/1998 intitolata: “Modernizzare i Servizi
pubblici per l’impiego per sostenere la strategia europea per l’occupazione”. In tale
contesto, in particolare, al fine di conciliare “direzione programmatica ed “indipendenza
operativa” e salvaguardare, comunque, le esigenze locali viene suggerita l’utilizzazione
di strumenti concertativi, quali accordi annuali o pluriennali tra amministrazione
centrale ed enti periferici.
In Italia, il tema trova importante riscontro nel c.d. “Patto di Natale”, firmato nel
Dicembre 1998: è qui, difatti, consacrato l’impegno del Governo ad “assicurare
standards minimi di qualità dei servizi all’impiego”, attraverso “il consolidamento della
collaborazione con Regioni ed Enti locali” e “la concertazione con le parti sociali”.
In tale ottica è stato insediato presso il Ministero del Lavoro un Gruppo di lavoro con
l’intento di approdare alla definizione dei su richiamati standards minimi. Il Gruppo,
partecipato da rappresentanti delle istituzioni coinvolte sia a livello centrale (Lavoro e
Tesoro) sia periferico (Regioni, Provincie); parti sociali ed enti tecnici (FORMEZ,
ISAE ed ISFOL), ha concordato un primo documento. Quest’ultimo è divenuto parte
integrante dell’«Accordo in materia di standard minimi di funzionamento dei servizi per
l’impiego», tra Ministero del Lavoro, le Regioni e le Province autonome, le Province, i
Comuni e Comunità montane, sancito, il 16 dicembre 1999, presso la c.d. Conferenza
Unificata. Si è, al momento, escluso di ricorrere alla procedura prevista nella generale
5
materia della “qualità dei servizi pubblici” dal D.Lgs. 286/99, quando si tratti di servizi
“erogati direttamente o indirettamente dalle Regioni e dagli Enti locali”.
L’accordo definisce, nei diversi contesti territoriali,
le funzioni essenziali atte a
garantire livelli minimi e pari opportunità di prestazioni, di erogazione e di fruizione dei
servizi pubblici per l’impiego.
Tale Accordo rappresenta un primo passo – lungo il cui solco si inserisce il successivo
Accordo sulle “Linee guida per la definizione di azioni per l’avvio della funzionalità dei
servizi all’impiego” sancito in Conferenza Unificata il 26.10.2000 – che non solo ha
tracciato una rinnovabile linea procedurale concertata, ma ha anche definito dei principi
minimi indispensabili all’attività ulteriore di individuazione, anche per l’Italia, di
standard qualitativi e quantitativi, “in linea con le migliori pratiche a livello
comunitario”.
Le linee guida individuano le azioni finanziabili, nella programmazione 2000/2006 del
FSE, per l’avvio della funzionalità dei servizi all’impiego.
Se l'obiettivo generale della riforma è il miglioramento del funzionamento e della
trasparenza dei meccanismi allocativi, della diffusione dell'informazione sulle
caratteristiche e localizzazione delle opportunità per lavoratori ed imprese e la
costruzione di schemi di politica attiva del lavoro adeguati alle caratteristiche
dell'utenza e del territorio, soprattutto nel Mezzogiorno a questo va aggiunto l'obiettivo
di integrare l'azione dei servizi con le iniziative di sviluppo locale.
Il Gruppo di lavoro sugli standard continuerà ad operare secondo un calendario
condiviso di attività.
Le funzioni di coordinamento, indirizzo e promozione sono sintetizzate dal ruolo della
Commissione Centrale per l’Impiego, che assumerà la denominazione di Comitato per il
coordinamento, la promozione e l’indirizzo delle politiche attive dell’impiego e del
collocamento.
1.4 Le risorse finanziarie: il Fondo Sociale Europeo
In coerenza con il Regolamento comunitario, con gli impegni assunti dall'Italia
nell'ambito del Piano nazionale di Azione del 1999 e con le sollecitazioni della
Commissione Europea, la programmazione del Fondo Sociale Europeo dell'Italia, per il
periodo 2000-2006 situa in primo piano la strutturazione e lo sviluppo dei Servizi per
l'impiego (SPI).
In particolare, conformemente all'art.2 del Regolamento, in corrispondenza del policy
field n.1, troviamo nei documenti di programmazione l'Asse A il cui obiettivo globale è
quello di "contribuire all'occupabilità dei soggetti in cerca di lavoro attraverso l'offerta
di un'ampia gamma di misure, anche integrabili tra loro, di prevenzione della
disoccupazione; sostenere, al fine di rendere operativi gli obiettivi descritti, la riforma
dei servizi per l'impiego".
All'interno dell'Asse A è stato enucleato un obiettivo specifico
decollo dei servizi per l'impiego".
"Sostenere il
6
Tale obiettivo specifico viene declinato nell'ambito del Piano nazionale per l'obiettivo 3
e nei relativi Piani operativi regionali, (la situazione è analoga per il Piano nazionale
ob.1 e Programmi regionali) in una gamma molto articolata di tipologie di azione, tutte
volte a favorire il decollo della riforma degli SPI.
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In particolare, il concorso finanziario del FSE contribuirà a quanto segue:
- potenziamento complessivo del sistema con riguardo alle risorse umane (incluso
rafforzamento degli organici con l'integrazione di figure specialistiche), alle
strutture (sedi, attrezzature, logistica), agli assetti organizzativi e gestionali;
- manutenzione del SIL ai diversi livelli territoriali e nel suo funzionamento in
rete;
- costituzione e gestione attiva delle anagrafi connesse alle recenti disposizioni
attinenti all'apprendistato ed all'obbligo formativo a 18 anni;
- semplificazione delle procedure e degli adempimenti amministrativi,
ottimizzando i processi di automazione, al fine di liberare risorse per la gestione
attiva delle altre tipologie di intervento;
- riqualificazione ed aggiornamento del personale dei servizi, in coerenza con i
diversi assetti organizzativi, anche attraverso modalità di "formazioneintervento";
- azioni sistematiche di orientamento ed accompagnamento all'inserimento al
lavoro; counselling personalizzato, bilancio delle competenze;
- allestimento di modalità di prestazione, specifiche ed appropriate, in favore
dell'orientamento ed inserimento dei soggetti appartenenti alle diverse categorie
di svantaggio socio-lavorativo;
- progettazione di interventi appropriati ad un positivo inserimento
nell'occupazione dei lavoratori extra-comunitari;
- progettazione di interventi appropriati (e per promuovere pari opportunità di
genere nel mercato del lavoro) (e contrastare le discriminazioni);
- avvio e messa a regime di attività di supporto alle iniziative di contrasto del
lavoro sommerso;
- acquisizione e gestione attiva da parte degli SPI degli interventi previsti dalla
riforma del collocamento dei soggetti disabili;
- reperimento e sollecitazione delle vacancies;
- gestione attiva della mediazione tra domanda ed offerta di lavoro, copertura
delle vacancies;
- promozione verso i cittadini e verso le imprese delle misure per l'inserimento al
lavoro (dalla formazione alle misure di workfare e workexperiences);
- miglioramento del matching tra misure formative e per l'inserimento da un lato,
e soggetti beneficiari dall'altro;
- utilizzo delle informazioni prodotte dalle attività correnti degli SPI ai fini di una
migliore conoscenza dei mercati del lavoro locale, della consistenza dei flussi tra
condizioni, degli effetti delle misure ed interventi attivi per l'occupazione.
Per il sostegno all'avvio di quanto elencato è prevista la realizzazione di "azioni di
sistema" sia al livello delle singole Regioni che al livello centrale. A tal fine il Ministero
del lavoro è titolare per l'obiettivo 3 di un Programma operativo nazionale (Asse A
interamente dedicata alle azioni di sistema per gli SPI) e per l'obiettivo 1 di una misura
nell'ambito di un Programma Operativo a titolarità del Ministero del Tesoro. Tra le
azioni di sistema sono incluse in particolare quelle finalizzate all'innalzamento del
livello del management e degli operatori dei Servizi e che si tradurranno non solo in
interventi formativi, ma anche e soprattutto in azioni di consulenza e di "formazioneintervento". Allo scopo la Direzione per l'Impiego, a cui è affidata la realizzazione delle
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azioni di sistema di cui agli Assi ed alle Misure di intervento prima citate, sperimenterà
l’attivazione di apposite task forces consulenziali, operanti alle proprie dipendenze, in
quanto strumenti per l'avanzamento della riforma il cui utilizzo sarà ovviamente
concordato con le Regioni interessate.
La consistenza delle risorse finanziarie che, nell'ambito del FSE, verranno dedicate agli
SPI è definita in sede di approvazione dei "complementi di programmazione" da parte
dei Comitati di sorveglianza.
In linea di massima gli importi che nel complesso del periodo di programmazione
verranno dedicati alla misura sono stimabili in 600-900 miliardi di lire per il CentroNord ed in 300-400 miliardi di lire nel Mezzogiorno da dedicare al rafforzamento dei
Servizi per l’impiego ed a specifiche attività direttamente finalizzate all’inserimento al
lavoro, anche a vantaggio delle categorie svantaggiate, che gli stessi potranno attivare.
Per quanto riguarda l'obiettivo 1 la considerazione dello stato di avanzamento dei
Servizi per l'impiego è inclusa negli indicatori in base a cui si attribuiscono, ai
programmi regionali di utilizzo dei fondi comunitari le ulteriori risorse collegate al
meccanismo di premialità (vedi schema in allegato). Si tratta di un dispositivo, previsto
dai Regolamenti dei fondi strutturali, che permette la distribuzione ai programmi di
intervento, di risorse ulteriori sulla base di indicatori che segnalano il grado di impegno
e determinazione delle amministrazioni, nel raggiungimento degli obiettivi che hanno
annunciato nei propri programmi di intervento. L'Italia ha accolto con grande interesse
l'indicazione comunitaria inserendo per l'Ob.1 una riserva del 6% delle risorse, accanto
a quella obbligatoria del 4%. L'evoluzione dei servizi per l'impiego è dunque stata
inserita tra gli indicatori di "avanzamento istituzionale" che, assieme ad indicatori di
integrazione e concentrazione degli interventi, costituiscono l'architettura della riserva
del 6%. Esso dovrebbe contribuire a dare visibilità alla riforma ed a ricevere attenzione
e sostegno anche da parte di altri attori non direttamente coinvolti nel processo di
implementazione della riforma.
Il Ministero, per la realizzazione delle "Azioni di sistema" previste dal PON si avvarrà
della collaborazione dell'ISFOL, con affidamento diretto e sulla base del Piano di
attività che tale Istituto ha già predisposto.
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2. Primi elementi ed ipotesi per l'elaborazione del masterplan
2.1 Obiettivi, soggetti, strumenti
La costruzione di un masterplan presuppone di condividere obiettivi di realizzazione
quantitativi e standard qualitativi di funzionamento, di fissare in precise fasi temporali il
raggiungimento di un’efficienza misurabile in effetti oggettivamente apprezzabili, di
individuare gli strumenti e le risorse, finanziarie e non, da attivare in relazione alle
finalità specifiche individuate.
Ogni ragionamento sugli obiettivi quantitativi e gli standard qualitativi richiede di
individuare e concordare le funzioni/servizi da erogare, il volume quantitativo dei
beneficiari, il livello qualitativo e l'intensità delle prestazioni.
Nel caso dei servizi per l’impiego il masterplan diviene uno strumento di supporto alla
programmazione ed al monitoraggio di tutti gli interventi nazionali (statali, regionali,
provinciali) finalizzati all’organizzazione ed alla riforma degli SPI: interventi che, a
fronte del processo di decentramento realizzato, vengono attuati dallo Stato così come
dalle Regioni e dalle Provincie, precisando l’orientamento di specifiche azioni ovvero
organizzando e ponendo a sistema le opzioni ricondotte al livello regionale e locale.
Ciò vale sia per la complessiva programmazione del FSE, sia per le iniziative di natura
legislativa o amministrativa (trasformazione di assetti legislativi, semplificazione di
procedure, etc.).
Sono queste infatti le due grandi aree di operatività che i diversi soggetti coinvolti
nell’adozione delle misure collocabili in un masterplan sugli SPI (Ministero, Regioni,
Provincie) possono mettere in campo: programmazione di azioni di supporto sostenute
dal cofinanziamento FSE ed innovazioni normative, amministrative ed organizzative.
2.2 Misurare gli standard qualitativi
La generale finalità della riforma e, nel contempo, della misura A1 del FSE consiste
nell’organizzazione di efficienti ed efficaci servizi per l’impiego. Il masterplan può e
deve articolare questa finalità in obiettivi più specifici e di dettaglio (dalla
riqualificazione del lay out degli uffici alla formazione del personale, dalla tempestività
delle risposte relative all’incrocio domanda/offerta al rispetto dei termini previsti per gli
adempimenti amministrativi etc.) sui quali agiscono scelte realizzate dalle Regioni e
dalle Provincie, titolari delle nuove competenze.
L’insieme degli obiettivi specifici, che agiscono sulle strutture così come sulle risorse
umane oppure sulle caratteristiche dei servizi offerti, è riconducibile ad indicatori
comuni di efficienza (ed efficacia) degli SPI. Indicatori che oggi possono essere
riassunti nella quantificazione dell’entità dello sforzo dei singoli Centri per l’impiego
rivolto ad attività di servizio propriamente dette.
10
Le iniziative previste dal D.Lgs 181/2000 nei confronti delle persone non occupate che
aspirino ad un’occupazione, o, per altro verso, le attività di collocamento mirato ex L.
68/99, consistono sì anche in atti di natura adempimentale ed esclusivamente
amministrativa, ma sono anche, e in primo luogo, azioni di politica attiva, azioni di
servizio ai lavoratori ed alle imprese.
Non è possibile scindere le due “anime” di queste attività. È però possibile misurare,
almeno sulla base di indicatori d’efficacia (occupazionale, ma non solo) dell’azione
realizzata, il grado di servizio insito nel lavoro svolto dai diversi CI.
L’efficacia di una iniziativa, di un servizio, di un’attività di orientamento o di un
colloquio è fortemente condizionata dai contesti locali e dai target di riferimento
dell’azione, dai destinatari di una politica. Gli stessi criteri di misurazione dell’efficacia
possono così variare in funzione delle realtà territoriali o dei soggetti coinvolti.
Possiamo però ritenere che gli strumenti diretti ad assicurare efficacia alle azioni dei CI
siano più facilmente individuabili come comuni sull’intero territorio nazionale. Lo
stesso vale per gli indicatori dell’efficienza dei Centri.
I criteri di misurazione dell’efficacia dell’azione degli SPI, tenendo conto delle diverse
condizioni nelle quali si trovano ad operare i diversi servizi, possono essere, almeno in
questa fase, individuati nella capacità di intervento dei CI, in termini di numerosità ed
articolazione dei destinatari delle attività, nonché nella rapidità di risposta. Si tratta di
criteri che possono individuare la corrispondenza dell’attività dei servizi rispetto alla
generale finalità della riforma e del FSE sugli SPI, vale a dire la progressiva
qualificazione dei servizi.
In altri termini, posto che l’efficacia degli SPI è determinata fortemente dalle condizioni
ambientali nelle quali essi operano, riconoscendo, comunque, che la capacità di
interpretarle e di diversificarsi conseguentemente è uno dei presupposti e degli obiettivi
del D.lgs. 469 e delle finalità d’intervento della misura A1 del FSE, può risultare
impropria rispetto al masterplan la misurazione dell’efficacia dell’azione dei CI o la
qualità dei servizi svolti, mentre, più opportunamente ci si può proporre di perseguire e
accompagnare/verificare lo spostamento dello “sforzo” dei CI su attività cosiddette
avanzate.
La misurazione dello “sforzo” potrebbe poggiare o sul riparto, difficile e forse
improprio, fra iniziative adempimentali ed iniziative di “politica attiva”, oppure sulla
individuazione di condizioni che rendono un’azione di semplice natura adempimentale
oppure la caratterizzano come un vero e proprio servizio.
Per esempio, gli impegni previsti dal D.Lgs. 181/2000 o le attività di preselezione
diffuse in numerosi CI possono essere accompagnate o meno da una campagna locale di
informazione, comunicazione e pubblicità; possono prevedere o meno l’invio di
questionari a domicilio, il ricorso a professionalità consulenziali specifiche (interne o
esterne ai dipendenti degli SPI); possono comportare o non comportare la selezione
ragionata di informazioni presentate alle associazioni imprenditoriali o alle singole
imprese.
11
Senza dubbio i risultati, in termini di efficacia occupazionale, della stessa operazione
condotta nel medesimo modo potrebbero essere differenti in contesti socio-economici
differenti, caratterizzati da situazioni del mercato del lavoro diverse tra loro. La qualità
complessiva del servizio offerto può essere, dunque, misurata anche sulle modalità di
realizzazione dei servizi offerti oltre che sui risultati occupazionali.
In questa fase un primo obiettivo può proprio essere questo: innalzare la generale
qualità dei CI, misurabile in indicatori relativi agli strumenti ed ai piani di informazione
impiegati, alla facilità di accesso ai servizi (orario, tempi di attesa telefonici,
localizzazione della sede etc.), ai tempi di risposta rispetto agli adempimenti, alle
caratteristiche delle professionalità offerte. Si tratta di elementi che non garantiscono da
soli l’incrocio domanda/offerta, ma che comunque contribuiscono all’efficacia del
servizio e che, in ogni caso, orientano gli SPI italiani in una logica di politica attiva.
In questo senso verranno avviati sistemi di verifica e di monitoraggio delle attività
svolte, che permettano di valutare i percorsi adottati.
2.3 L’articolazione del processo di trasformazione dei SPI
Possiamo raccogliere in uno schema (la tabella a pag. 11) l’articolazione dei fattori che
interagiscono nella definizione del masterplan dei servizi per l’impiego e
nell’accompagnamento del processo di qualificazione degli SPI. A questo fine, diviene
necessario, fra l’altro, individuare:
- gli ambiti di intervento delle azioni statali, regionali e provinciali, sui quali misurare
il processo di qualificazione,
- i target di riferimento (destinatari) sui quali collocare, ricollocare o concentrare
l’azione dei CI,
- le tipologie di azione o le modalità di svolgimento delle azioni che distinguono
l’approccio adempimentale da quello di politica attiva e di servizio.
Innanzitutto i target di riferimento: possiamo, oggi, individuare fra i destinatari
dell’azione dei CI target definiti, a volte in condizione di esclusiva, target praticabili e
target di sviluppo.
In altri termini alcune categorie di disoccupati passano necessariamente dai CI ovvero a
questi i CI debbono assicurare alcuni servizi. È il caso, fra gli altri:
-
dei disoccupati e gli inoccupati ex D.Lgs. 181/2000
dei disabili
dei giovani che non hanno adempiuto al nuovo obbligo formativo
dei datori di lavoro soggetti ad obbligo ex L. 68/99.
Si tratta di categorie quantificabili, e che non sono nuove per i Servizi, ad eccezione dei
giovani che non hanno corrisposto all’obbligo scolastico. Le funzioni da erogare sono,
tuttavia, nuove o meglio possiamo pensare che le modalità di realizzazione attese siano
tali da connotare la differenza fra i nuovi SPI e le Scica (o le DPL). In questo senso
possiamo prevedere l’effettuazione di servizi secondo modalità di base o secondo
modalità avanzate.
12
Ai destinatari prioritari/indispensabili dei nuovi servizi occorre “necessariamente”
offrire fin da subito attività che possiamo ritenere di livello avanzato (o meglio, che
dovrebbero corrispondere a questo standard): è il caso dell’orientamento, degli
interventi per l’inserimento e dei servizi alle imprese.
In altri termini possiamo individuare alcuni target specifici dei CI ed alcune funzioni o
attività specifiche da misurare e da implementare al più presto nella modalità avanzata.
Su questi target possiamo misurare anche l’efficacia degli interventi (inserimenti,
adempimenti degli obblighi ex L. 68/99, oppure la corresponsione al NOF).
Analogo ragionamento vale per quanto attiene il volume quantitativo dei beneficiari: si
può, per esempio, pensare di utilizzare come indicatore le imprese (numero assoluto e
calcolo degli addetti) contattate, escludendo magari la semplice registrazione di
avviamenti e cessazioni.
Per quanto attiene gli aspetti connessi alle risorse possiamo individuare le caratteristiche
delle sedi dei Centri, la disponibilità di strumenti informativi in loco, l’impiego da parte
di Regioni, Provincie o singoli CI di piani di comunicazione o di campagne informative
mirate (anche la lettera a casa rientra in questo quadro), ovvero le reti telematiche, il
numero degli operatori, le competenze degli operatori (titoli, qualifiche), le prestazioni
svolte dagli operatori (funzioni e livello della prestazione), riportando fra queste anche
quelle derivanti da convenzioni o acquisizioni di servizi.
La tabella propone, quindi, un insieme di parametri del processo di trasformazione, vale
a dire ambiti e dimensioni strutturali dell’azione dei servizi per l’impiego, sui quali
connotare ed articolare il percorso di riforma: in altre parole i terreni sui quali misurare
il cambiamento. Si tratta, in particolare delle funzioni/servizi da erogare, dei destinatari
dei servizi (cercando di individuare target e volumi), del livello qualitativo e
dell’intensità delle prestazioni, delle risorse umane e tecniche.
È possibile individuare obiettivi specifici riferiti ad ognuno di questi ambiti/dimensioni,
anche se, ovviamente, fra loro strettamente interrelati: la diffusione in tutti i CI, o
almeno in ogni ambito provinciale, di standard funzionali minimi condivisi (carta dei
servizi, secondo modalità erogative di base) è strettamente connessa all’individuazione
dei target imprescindibili, anche in termini quantitativi, dell’azione degli SPI; così come
l’intensità e la qualità delle prestazioni è legata a doppio filo all’investimento in risorse
ed alle innovazioni normative ed organizzative dei CI.
La corrispondenza agli obiettivi può essere misurata individuando indicatori
qualiquantitativi, e può essere perseguita attraverso azioni specifiche articolabili sulla
base del soggetto responsabile, degli strumenti attivati, delle risorse messe in campo.
2.4 Funzioni ed avanzamento temporale.
Le funzioni da garantire sono quelle previste dal D.Lgs. 469/97 e dalla
regolamentazione delle Regioni, come anche esplicitate nella programmazione del FSE,
13
nonché nell'Accordo approvato dalla Conferenza unificata. E' tuttavia evidente che,
presentando la situazione di partenza (della riforma) diversi elementi di criticità e
risultando notevoli le disparità geografiche, solo gradualmente si potrà raggiungere in
tutto il territorio la funzionalità completa degli SPI.
Raggruppando le funzioni per tipologie, si può ipotizzare che ve ne siano alcune che
debbano (funzioni con valenza di adempimenti obbligatori) e possano essere attivate su
tutto il territorio, nel breve- medio termine (2002), ed altre che possano essere attivate,
nello stesso lasso di tempo, in parte del territorio e solo successivamente (2006) nelle
zone in cui la situazione, sia di partenza che di contesto, appare maggiormente critica.
Nell'ipotesi sottostante tutti gli SPI (in particolare i Centri per l'impiego) potrebbero
effettuare tutte le funzioni in modalità "livello di base" entro il 2002 e, entro la stessa
scadenza, una parte degli SPI potrebbe svolgere le stesse funzioni in modalità "livello
avanzato". Tale percorso d’altronde risulta coerente con gli impegni assunti in ambito
europeo entro il 2003 e con la tempistica prevista per il criterio di premialità. ”. Entro il
2006 tutti gli SPI dovranno operare in modalità "avanzata". In relazione, si vedano gli
schemi 1, 2 e 3 colonna “tempi”.
14
3. Disposizioni recenti
Per quanto riguarda il Fondo sociale Europeo sono stati, con Decisione della
Commissione, approvati i Quadri Comunitari di Sostegno sia dell'obiettivo 1 che 3.
Gli importi finanziari relativi alla Misura attinente ai Servizi per l'impiego verranno
precisati nell'ambito dei "complementi di programmazione" ed approvati dai Comitati di
Sorveglianza. Ciò potrà avvenire solo in seguito all'approvazione (ritenuta imminente)
da parte della Commissione, dei Programmi operativi a titolarità sia delle Regioni che
delle Amministrazioni centrali.
Le risorse che potranno essere destinate alla riforma dei Servizi per l'impiego
dipendono, dunque, dalle scelte che verranno effettuate dalle singole amministrazioni,
nell'attribuire una quota più o meno rilevante delle disponibilità dell'Asse A alla Misura
A1.
Nell'ambito del negoziato la Commissione ha invitato l'Italia a dedicare una parte
cospicua di risorse al rafforzamento degli SPI; a tal fine è stata concordata la possibilità
di ascrivere tale tipologia di intervento alle azioni di "prevenzione" della
disoccupazione di lunga durata, al fine di raggiungere rapidamente, in proposito, gli
obiettivi della strategia europea dell'occupazione e quelli enunciati dall'Italia nell'ambito
dei NAP 1999 e 2000.
Il Ministero del Lavoro nell'ambito del Programma "Azioni di sistema" di propria
titolarità ha dedicato al rafforzamento degli SPI ed alle altre iniziative connesse il totale
dell'importo Obiettivo 3 Asse A (pari a circa 86,5 Meuro) e gran parte della Misura
corrispondente inclusa nel PON ob.1 (Titolarità Ministero Tesoro)
Per quanto riguarda il già citato Decreto Legislativo n. 181/2000, “Disposizioni in
materia di incontro fra domanda ed offerta di lavoro”, tale provvedimento, nell’intento
di circoscrivere i potenziali beneficiari delle innovative misure di inserimento o
reinserimento lavorativo disposte nel suo stesso ambito, interviene – ridefinendolo –
sullo stato di disoccupazione. Oltre a far coincidere quest’ultimo con la “condizione del
disoccupato o dell'inoccupato che sia immediatamente disponibile allo svolgimento di
un’attività lavorativa”, fissa anche le cause di perdita dell’anzianità di appartenenza al
detto status.
Un ruolo assolutamente rilevante nell’attuazione di molte delle disposizioni contenute
nel Decreto è affidato agli SPI, in coerenza del resto con gli indirizzi comunitari. Questi,
difatti, non sono solo chiamati all’esercizio di attività, per così dire, più tradizionali,
quali quelle di accertamento e vigilanza, ma anche all’erogazione di servizi innovativi.
Quanto alle prime, i Servizi sono tenuti a verificare l’effettiva persistenza della
condizione di disoccupazione, provvedendo all’identificazione dei disoccupati e degli
inoccupati di lunga durata; per di più agli stessi è richiesto di realizzare indagini a
campione sulla veridicità delle dichiarazioni rese dai soggetti, loro volta obbligati a
presentarsi presso i medesimi uffici, onde vedersi riconoscere lo status di
disoccupazione.
15
Quanto ai servizi innovativi, il Decreto 181 fissa primi “Indirizzi generali ai servizi per
l’impiego ai fini della prevenzione della disoccupazione di lunga durata”. Ricalcando le
prime due guidelines comunitarie è previsto che gli SPI offrano:
1) un “colloquio di orientamento”, ai giovani ed agli adolescenti entro sei mesi
dall’inizio dello stato di disoccupazione,
2) una “proposta di adesione ad iniziative di inserimento lavorativo o di formazione e/o
riqualificazione professionale”, a favore di
a) donne in cerca di reinserimento lavorativo, non oltre sei mesi dall’inizio della
disoccupazione,
b) disoccupati e degli inoccupati di lunga durata, non oltre dodici mesi,
c) disoccupati beneficiari di trattamenti previdenziali, non oltre i sei mesi.
Va segnalato che, mentre al rifiuto di offerte di lavoro aventi determinati caratteristiche,
è collegata la sola perdita dell’anzianità dello status più volte richiamato, alla mancata
presentazione dei soggetti al “colloquio di orientamento” sopra richiamato è fatta
discendere il venir meno della condizione di disoccupato.
Su diversi punti del Decreto interverrà, a breve, una Nota di indirizzo ministeriale
finalizzata a dirimere, anche rilevanti, questioni interpretative.
Una prima bozza di Masterplan è stata discussa con le Amministrazioni regionali l’11
luglio u.s. Nell’ambito di tale incontro alcune Amministrazioni proposero di articolare
maggiormente gli obiettivi del documento, includendo criteri di avanzamento e
realizzazione relativi, non solo alle attività degli SPI, ma anche alle strutture e
soprattutto ai target di utenti. In una successiva riunione (3 ottobre 2000), nella quale
erano state approvate le articolazioni proposte nei tre schemi di riferimento, si
proponeva di integrare tali schemi con una lista-base di indicatori, atti ad una lettura
qualitativa e quantitativa dell’avanzamento dei sistemi. Schemi ed indicatori proposti
sono presentati qui di seguito; si precisa che in tale contesto si intende con CI riferirsi
alle strutture territoriali che erogano direttamente i servizi agli utenti finali.
16
Schema 1 - Masterplan per funzioni
Obiettivi e
livello di
operatività
Garantire in
tutti i CI
l’esercizio
delle
funzioni
definite dal
D.Lgs.
469/97 e
dalle leggi
regionali.
Modalità di
base
Garantire in
n. ____ CI
l’esercizio
delle
funzioni
definite dal
D.Lgs.
469/97 e
dalle leggi
regionali.
Modalità
avanzate di
servizio
Strategie
Funzioni
Strumenti
Soggetti
Risorse
Accoglienza
Smistamento utenti, Liste di attesa
Adempimenti amm. Max 70%
(tutti da normativa in vigore sia
nazionale, sia regionale)
Mediazione domanda/offerta
Modalità standard, solo filtro formale
delle richieste
Interventi per l’inserimento
Adempimenti amministrativi,
Preselezioni obbligatorie
Orientamento
Intervista, Attività informativa
standard
Servizi alle imprese
Azioni informative standard
Verifiche e controlli
Procedure formali verso servizi
ispettivi DPL, Tabelle statistiche
Soluzioni
normative
MLPS
Regioni
(*)
Soluzioni
organizzati
ve, anche
locali
Regioni
Provincie
SIL
MLPS
Regioni
Formazione
operatori
MLPS
Regioni
Provincie
Convenzion
i con terzi
Provincie
Regioni
Accoglienza
Presentazione servizi, Smistamento
utenti, Prenotazioni
Adempimenti amm. max 40%
(tutti da normativa in vigore sia
nazionale, sia regionale)
Mediazione domanda/offerta
Modalità mirata, Sollecitazione/
esplicitazione vacancies, Preselezioni
Interventi per l’inserimento
Promozione attiva e mirata soprattutto
verso le imprese
Orientamento
Colloquio, Sostegno elaborazione
curriculum
Elaborazione congiunta percorso di
inserimento
AZ IONI DI A CCOM PA GNA M ENT O
Servizi alle imprese
Azioni informative mirate (customer
oriented)
Soluzioni
normative
MLPS
Regioni
Soluzioni
organizzati
ve, anche
locali
Regioni,
Provincie
SIL
Regioni
MLPS
Formazione
operatori
Scambi fra
Regioni,
Provincie,
Servizi
MLPS
Regioni
Provincie
Convenzion
i con terzi
Provincie
Regioni
Servizi al territorio
Scambi fra
Regioni
Provincie
Servizi
Tempi
2002
2002
2006
per
tutti gli
SPI
Acquisizion Provincie
e di
Regioni
competenze
specialistic
he o
specifiche
17
AZ IONI DI A CCOM PA GNA M ENT O
Verifiche e controlli
Procedure formali, Monitoraggio
Campagne
informative
mirate
MLPS
Regioni
Provincie
Indicatori di riferimento (in corsivo quelli relativi alla fase 2003-2006):
-
definizione, in sede provinciale e locale, degli assetti organico/funzionali, dei servizi
offerti nel territorio e delle loro reti
sportelli disponibili per le differenti funzioni
accordi con altri servizi (formazione, scuola, università, servizi sociali ecc.) ed
istituti pubblici e privati
strumenti per il monitoraggio delle attività svolte
strumenti per la verifica della soddisfazione dei clienti
certificazione dei servizi
campagne informative a cadenza ordinaria relative a scadenze, servizi specifici,
opportunità
18
Schema 2 - Masterplan per target
Obiettivi
Garantire colloqui e/o
contatti con:
- disoccupati ed
inoccupati ex
D.Lgs. 181/2000
- disabili ex elenco
L. 68/99
- datori di lavoro
soggetti ad obbligo
ex L. 68/99
- giovani che non
hanno adempiuto al
nuovo obbligo
formativo
Strategie
Livello
Numero utenti
contattati
Modalità di base
(Adempimenti di
legge)
Numero utenti
trattati
Modalità avanzate
di servizio
(Servizi
differenziati e
mirati
Azioni integrate
con
servizi/organismi
con competenze
specifiche)
Strumenti *
Soggetti
Risorse
(*)
Tempi
Soluzioni
organizzative,
anche locali
Regioni
Provincie
SIL
(adeguamento a
L. 68/99)
Regioni
MLPS
Convenzioni con
terzi
Provincie
Regioni
Acquisizione di
competenze
specialistiche o
specifiche
Provincie
Regioni
2002 per
le
modalità
di base
in tutti
CI e
secondo
modalità
di
servizio
in parte
dei CI
Campagne
informative
mirate
MLPS
Regioni
Provincie
2006 per
la
totalità
degli
SPI
Disponibilità
liste di attesaprenotazione
Provincie
Attività di
valutazione
Supporto all’incrocio
d/o degli immigrati
Anagrafe
connessa a
obbligo
formativo
Anagrafe
Immigrati
MLPS
Indicatori di riferimento (in corsivo quelli relativi alla fase 2003-2006):
- colloqui con i disabili delle liste della L. 482/68 per la compilazione della specifica
-
scheda professionale
colloqui per i disabili di nuovo accesso
realizzazione ed aggiornamento annuale delle graduatorie (art. 8 L. 68/99)
proposta professionale agli utenti del collocamento mirato, di supporto
all’inserimento (tirocini) o formativa, entro 4 mesi dalla disponibilità della scheda
professionale
redazione delle convenzioni previste dalla L. 68/99
analisi dei posti di lavoro prevista dal collocamento mirato
attivazione di accordi specifici con altri servizi
19
- azioni integrate in raccordo con altri servizi del territorio
- servizi per il lavoro dei cittadini extraUE
- contatti (scritti e/o telefonici) con i disoccupati, come definiti dal D.Lgs. 181/2000,
-
ogni ... mesi per verificarne condizioni e disponibilità
liste per la prenotazione di colloqui (non superiori a ... gg)
colloqui di orientamento
azioni di raccordo con le sedi di progettazione delle attività formative e di
orientamento
convenzioni o altre modalità di raccordo per la promozione di tirocini
sportelli ( o attività) dedicati ai datori di lavoro
accordi con gli Istituti previdenziali e con i sindacati per informazioni specifiche
sulle forme atipiche di partecipazione al lavoro
anagrafe dei giovani che non hanno corrisposto all’obbligo formativo
contatti con i giovani che non hanno corrisposto al NOF entro ... gg dalla loro
segnalazione, e realizzazione di specifiche attività di orientamento
azioni di promozione di contratti di apprendistato
sportelli (o attività) dedicate alle pari opportunità di genere
20
Schema 3 - Masterplan per strutture/organizzazione
Obiettivi
Garantire la piena
operatività dei CI
Requisiti
Strumenti *
Sedi ed attrezzature
- accessibilità
- funzionalità
- …
Organizzazione
- management
- esternalizzazioni
- …
- …
Risorse informatiche
- postazioni attive
- collegamenti in rete
- …
Risorse umane
- organici
- livelli e
specializzazioni
Contratti
Strategie
Soggetti
MLPS,
Regioni,
Provincie
Risorse
(*)
Tempi
2002
2006
Convenzioni con MLPS,
terzi
Regioni,
Provincie
Acquisizione di
competenze
specialistiche o
specifiche
MLPS,
Regioni,
Provincie
Scambi di buone MLPS,
pratiche
Regioni,
Provincie
Formazione
…..
MLPS,
Regioni,
Provincie
…
Indicatori di riferimento (in corsivo quelli relativi alla fase 2003-2006):
Accessibilità e funzionalità
- disponibilità di sedi a norma rispetto al disposto del D.Lgs. 626/94 e della normativa
-
sulla sicurezza
loro localizzazione in aree facilmente raggiungibili con mezzi pubblici;
disponibilità di parcheggi per i clienti
assenza di barriere architettoniche, anche per quanto attiene i servizi
esistenza di segnaletica esterna ed interna per facilitare la visibilità e l’utilizzo dei
servizi
attivazione di servizi di pulitura
disponibilità di un numero di linee telefoniche sufficiente a non rendere difficoltoso
l’accesso ai servizi o le normali attività d’ufficio
esistenza di segreterie telefoniche e di risponditori (almeno per indicare orari
d’apertura)
disponibilità di fax
disponibilità di un pc per ogni operatore, tendenzialmente collegato in rete
accesso a internet
disponibilità di caselle di posta elettronica
disponibilità di fotocopiatori
attivazione di contratti di assistenza e di pronto intervento per le diverse attrezzature
tecnologiche
certificazione delle strutture
21
organizzazione
- individuazione per ogni CI di un responsabile delle attività
- presenza di un operatore per le prime informazioni (telefoniche o personali)
- disponibilità di figure o di competenze specifiche e riconosciute per i diversi servizi
o i diversi destinatari delle attività dei CI. Ad es.:
♦
♦
♦
♦
♦
♦
♦
disponibilità di personale o di competenze professionali di supporto alla redazione
delle convenzioni previste dalla L. 68/99
disponibilità di personale, competenze professionali e/o strumenti per l’analisi dei
posti di lavoro prevista dal collocamento mirato
disponibilità di personale specificamente dedicato alla progettazione integrata sul
territorio
disponibilità di personale o di competenze professionali specifiche per il lavoro dei
cittadini extraUE
disponibilità di personale o di competenze professionali per la realizzazione di
attività di orientamento
disponibilità di personale o competenze professionali dedicate ai datori di lavoro
disponibilità di personale o competenze professionali dedicate alle pari opportunità
di genere
- disponibilità di operatori o di competenze professionali tali da non determinare liste
d’attesa superiori a 20 giorni
- possibilità di potere effettuare attività formative per tutti gli operatori dei servizi (di
norma pari ad almeno 10/12 gg l’anno) senza gravi ricadute sull’operatività degli
uffici
(*) Risorse: stimabili ad approvazione dei Complementi di Programmazione dei
Programmi Operativi Regionali FSE.
22
D.M. Lavoro 22 agosto 2000
Definizione dei compiti delle direzioni regionali e provinciali del lavoro
G.U. 12 settembre 2000, n. 213
IL MINISTRO DEL LAVORO E DELLA PREVIDENZA SOCIALE
Visto l'art. 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400;
Visto il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modifiche ed integrazioni;
Vista la legge 15 marzo 1997, n. 59;
Vista la legge 15 maggio 1997, n. 127;
Visto il decreto ministeriale 6 novembre 1996, n. 687, di unificazione degli uffici periferici del
Ministero del lavoro e della previdenza sociale e di istituzione delle direzioni regionali e provinciali
del lavoro;
Visto il decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, di conferimento alle regioni e agli enti locali
di funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro;
Visti i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 agosto 1999, concernenti l'individuazione
delle risorse in materia di mercato del lavoro da conferire alle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria,
Campania, Emilia-Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia,
Toscana, Umbria, Veneto;
Viste le disposizioni che attribuiscono al Ministero del lavoro nuovi compiti in materia, tra l'altro, di
immigrazione, di vigilanza sull'applicazione delle leggi di tutela del rapporto di lavoro, per la
conciliazione delle controversie nel settore pubblico e privato;
Considerata la necessità di definire i compiti delle direzioni regionali e provinciali del lavoro;
Sentiti i direttori delle direzioni generali dei rapporti di lavoro, dell'osservatorio del mercato del
lavoro, della cooperazione, della previdenza e assistenza sociale, per l'impiego nonché dell'ufficio
centrale orientamento e formazione professionale dei lavoratori;
Sulla proposta del direttore generale degli affari generali e del personale;
Decreta:
Articolo 1
Àmbito della disciplina
I compiti delle direzioni regionali e provinciali del lavoro, come risultanti per effetto del
decentramento amministrativo in materia di mercato del lavoro nonché delle nuove attribuzioni in
materia di vigilanza e di tutela del rapporto di lavoro, di conciliazione delle controversie nel settore
pubblico e privato nonché di immigrazione, sono definiti dal presente decreto.
Articolo 2
Compiti della direzione regionale del lavoro
1. La direzione regionale del lavoro:
a) coordina, indirizza e verifica l'attività delle direzioni provinciali del lavoro per il raggiungimento
degli obiettivi programmati, attraverso il monitoraggio e l'analisi dei risultati;
b) individua i fabbisogni di risorse nelle sedi territoriali; avanza proposte di acquisizione di nuove
risorse e provvede alla mobilità sul territorio regionale del personale in dotazione;
c) determina i fabbisogni formativi del personale;
d) assicura la funzionalità del S.I.L. - Sistema informativo lavoro, coordinando l'attività delle
direzioni provinciali, anche attraverso forme di collaborazione con le amministrazioni regionali.
I compiti prevalenti della direzione regionale del lavoro sono definiti nell'allegato 1 che costituisce
parte integrante del presente decreto.
Articolo 3
Compiti della direzione provinciale del lavoro
1. La direzione provinciale del lavoro:
a) programma, svolge e verifica l'attività di vigilanza del lavoro e sulle cooperative nonché l'azione
amministrativa in materia di conciliazione delle controversie di lavoro nel settore pubblico e nel
settore privato, di politica del lavoro relativamente alle attribuzioni statali e di promozione e
sviluppo della cooperazione;
b) svolge funzioni tecnico-legali connesse alle attività di ispezione del lavoro;
c) assicura la conduzione e la manutenzione del S.I.L.
I compiti prevalenti della direzione provinciale del lavoro sono definiti nell'allegato 2 che
costituisce parte integrante del presente decreto.
Articolo 4
Regioni a statuto speciale
Nelle regioni Valle d'Aosta e Sardegna il presente decreto, fatto salvo quanto disposto con
specifiche norme di attuazione, si applica dopo il decentramento amministrativo delle politiche
attive del lavoro e del collocamento, disposto nel rispetto dei relativi statuti.
Articolo 5
Organizzazione delle direzioni regionali e provinciali del lavoro
1. I criteri generali per l'organizzazione delle direzioni regionali e provinciali del lavoro sono fissati
con decreto del direttore generale degli A.A.G.G. e del personale.
2. Per effetto dell'art. 8 del decreto legislativo n. 469/1997 il “Settore delle politiche del lavoro”
della direzione regionale del lavoro assume la denominazione di “Settore delle politiche e dei
conflitti di lavoro”. Analogamente, il “Servizio delle politiche del lavoro” della direzione
provinciale del lavoro, assume la denominazione di “Servizio delle politiche e dei conflitti di
lavoro”.
Allegato 1
Direzione regionale del lavoro
1. Affari generali.
Segreteria;
Segreteria NATO-UEO;
Ufficio relazioni con il pubblico;
Servizio prevenzione e protezione sicurezza luoghi lavoro;
Partecipazione a comitati e a commissioni;
Rappresentanza presso altre amministrazioni;
Contenzioso con il personale dipendente;
Istruttoria stelle al merito;
Esami consulenti del lavoro.
2. Gestione delle risorse.
2.1. Risorse umane:
Amministrazione del personale;
Relazioni sindacali e contrattazione decentrata;
Trattamento di quiescenza del personale in àmbito regionale.
2.2. Risorse strumentali:
Bilancio e programmazione;
Gestione patrimoniale e contabile;
Centralino, protocollo e archivio.
2.3. Sistemi informativi e funzioni di osservatorio regionale S.I.L.:
Coordinamento e sviluppo dei sistemi informativi regionali;
Coordinamento e distribuzione delle risorse umane specialistiche nel territorio regionale;
Assistenza tecnico-sistemistica alle direzioni provinciali del lavoro;
Coordinamento ed analisi delle rilevazioni statistiche delle direzioni provinciali;
Indagini socio-economiche sul territorio ed analisi dei dati rilevati dal S.I.L.
2.4. Controllo di gestione:
Rilevazione ed elaborazione dei dati sull'attività;
Analisi costi benefìci;
Verifica e valutazione dei risultati;
Programmazione, organizzazione e metodi di lavoro.
3. Attività amministrativa, di coordinamento e di supporto.
Ricorsi amministrativi;
Coordinamento attività legale e del contenzioso amministrativo;
Controversie collettive di lavoro nelle materie di competenza;
Rilevazione dei fabbisogni per la determinazione dei flussi di immigrazione;
Rilascio autorizzazioni cittadini italiani nei paesi extracomunitari;
Supporto alle direzioni provinciali del lavoro in materia legale ed amministrativa;
Coordinamento e supporto tecnico nella vigilanza in materia di sicurezza, igiene del lavoro e
radiazioni ionizzanti;
Coordinamento e supporto in materia di controllo impianti e macchine soggette alle direttive di
mercato;
Coordinamento attività di vigilanza ordinaria, speciale, integrata e sulle attività formative;
Coordinamento e programmazione vigilanza congiunta FF.SS.;
Coordinamento attività di promozione e vigilanza sulle società cooperative.
4. Mercato del lavoro.
Rapporti con enti locali ed altri organismi per interventi sinergici sul mercato del lavoro, anche a
supporto dell'amministrazione centrale;
Compiti demandati a livello periferico nel processo di regolazione del mercato.
Allegato 2
Direzione provinciale del lavoro
1. Affari generali.
Segreteria;
Segreteria NATO-UEO;
Ufficio relazioni con il pubblico;
Servizio prevenzione e protezione sicurezza luoghi lavoro;
Partecipazione a comitati e commissioni diverse;
Rappresentanza presso organismi esterni;
Contenzioso con il personale dipendente.
2. Gestione delle risorse.
2.1. Risorse umane:
Amministrazione del personale;
Relazioni sindacati e contrattazione decentrata.
2.2. Risorse finanziarie e strumentali:
Bilancio e programmazione delle spese;
Gestione patrimoniale e contabile;
Centralino, protocollo e archivio.
2.3. Sistemi informativi:
Rilevazione ed elaborazione dei dati;
Conduzione e mantenimento dei sistemi informativi automatizzati.
2.4. Verifica dei risultati di gestione:
Controllo di gestione;
Programmazione, organizzazione e metodi di lavoro.
3. Attività legale.
Contenzioso illeciti amministrativi;
Rappresentanza in giudizio;
Ricorsi amministrativi;
Riscossione coattiva;
Consulenza legale;
Inchieste amministrative sugli infortuni sul lavoro.
4. Conflitti di lavoro.
Conciliazione controversie individuali e plurime dei settori pubblico e privato;
Controversie collettive di lavoro nelle materie di competenza;
Collegi di conciliazione e arbitrato;
Raccolta contratti e accordi collettivi di lavoro;
Costo del lavoro: analisi e certificazioni;
Consulenza contrattuale;
Ammortizzatori sociali.
5. Vigilanza.
5.1. Vigilanza tecnica:
Vigilanza nei cantieri;
Vigilanza congiunta con le FF.SS. in materia di sicurezza;
Vigilanza in materia di radiazioni ionizzanti;
Interventi di polizia giudiziaria in materia di sicurezza ed igiene lavoro;
Vigilanza, accertamenti e indagini in materia di tutela delle donne, dei minori, delle lavoratrici
madri, delle categorie protette, CIGS, orario di lavoro, ecc.
5.2. Vigilanza ordinaria:
Vigilanza sull'applicazione delle norme di tutela;
Programmazione ed attività di coordinamento di altri organi di vigilanza in materia previdenziale e
fiscale;
Vigilanza sulle attività formative: verifiche amministrativo-contabili;
Vigilanza sugli enti di patronato;
Esame verbali di accertamento degli istituti assicuratori e provvedimenti conseguenti;
Consulenza in materia di lavoro.
5.3. Sicurezza sul lavoro:
Collaudi e verifiche ascensori e montacarichi;
Provvedimenti amministrativi in materia di igiene e sicurezza sul lavoro;
Controllo impianti ed apparecchi soggetti alle direttive di mercato;
Consulenza in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro ex art. 24 decreto legislativo n. 625/1994, e
successive variazioni ed integrazioni;
Partecipazione a commissioni tecniche.
6. Provvedimenti amministrativi.
Autorizzazioni, dispense, certificazioni e convalide, ecc;
Attuazione delle norme in materia di immigrazione: flusso, rilascio di autorizzazioni per i lavoratori
extracomunitari, rilascio libretti di lavoro.
7. Cooperazione.
Archivio anagrafico delle società cooperative;
Vigilanza ordinaria e straordinaria sulle società cooperative;
Riscossione contributi;
Provvedimenti amministrativi e sanzionatori;
Informazione consulenza e promozione.
8. Mercato del lavoro.
Rapporti con enti locali e altri organismi per interventi sinergici sul mercato del lavoro, anche a
supporto dell'amministrazione centrale;
Compiti demandati a livello periferico nel processo di regolazione del mercato.
LIBRO BIANCO
SUL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA
PROPOSTE PER UNA SOCIETÀ ATTIVA E PER UN LAVORO DI QUALITÀ
Roma, ottobre 2001
II
Il Libro Bianco sul mercato del lavoro è stato redatto da un gruppo di
lavoro coordinato da Maurizio Sacconi e Marco Biagi, cui hanno
partecipato: Carlo Dell’Aringa, Natale Forlani, Paolo Reboani, Paolo
Sestito.
III
PRESENTAZIONE
EXECUTIVE SUMMARY
PARTE PRIMA. L’ANALISI
IL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA: INEFFICIENZE ED INIQUITÀ
1. Raccomandazioni dell’Unione Europea
2. Andamenti e caratteristiche del mercato del lavoro italiano
2.1. Crescita economica ed intensità occupazionale
2.2. Flessibilità e precarietà
2.3. Criticità…
2.4. Qualità del lavoro
2.5. Salari e produttività
3. Politiche attive e politiche passive
3.1. Ammortizzatori sociali
3.2. Incentivi all’occupazione
3.3. Incontro domanda- offerta
3.4. Formazione
PARTE SECONDA. LE PROPOSTE
PROMUOVERE UNA SOCIETÀ ATTIVA ED UN LAVORO DI QUALITÀ
V
VII
1
1
1
2
2
4
6
11
12
15
16
20
22
24
26
26
I. REGOLE E STRUMENTI
I.1. Europa e Federalismo
I.1.1. “Coordinamento aperto” per l’occupazione
I.1.2. Buone pratiche in Europa
I.1.3. Lavoro e federalismo
I.1.4. Coesione sociale
I.2. Dialogo sociale
I.2.1. Il modello comunitario
I.3. Tecniche regolatorie
I.3.1. Ordinamento comunitario e tecniche di trasposizione
I.3.2. Leggi e contratti
I.3.3. “Norme leggere” (soft laws)
I.3.4 . Norme semplici e certe
I.3.5. “Statuto dei Lavori”
I.3.6. Responsabilità sociale delle imprese
I.3.7. Giustizia del lavoro
26
26
26
27
28
29
30
32
33
33
35
36
38
38
41
42
II. OBIETTIVI E POLITICHE
II.1. Occupabilità (more jobs…)
II.1.1. Obiettivi quantitativi
II.1.2. Politiche attive
II.1.3. Servizi pubblici all’impiego
II.1.4. Operatori privati per il lavoro
II.1.5. Formazione e lavoro
II.1.6. Enti strumentali
II.1.7. Incentivi e ammortizzatori
44
44
44
45
46
49
50
53
54
IV
II.2. Qualità (...better jobs)
II.2.1. Lavoro regolare
II.2.2. Lavoro a tempo indeterminato
II.3. Flessibilità e sicurezza
II.3.1. Organizzazione e rapporti di lavoro
II.3.2. Part-time
II.3.3. Lavoro interinale e intermediazione
II.3.4. Lavoro intermittente
II.3.5. Lavoro a tempo determinato
II.3.6. Lavoro a progetto
II.3.7. Lavoro in cooperativa
II.3.8. Orario di lavoro
II.3.9. Igiene e sicurezza
II.4. Pari opportunità e inclusione sociale
II.4.1. Politiche di parità
II.4.2. Lavoro minorile
II.4.3. Immigrazione
59
60
63
64
64
66
68
71
71
72
73
74
74
76
76
79
79
III. RELAZIONI INDUSTRIALI
82
III.1. Sistema contrattuale
82
III.2. Partecipazione
83
III.3. Democrazia economica
86
III.4. Servizi pubblici essenziali e conflittualità
88
V
PRESENTAZIONE
Questo Libro Bianco è finalizzato a rendere partecipi tutti gli attori istituzionali e
sociali delle riflessioni che il Governo ha svolto in vista di un confronto finalizzato a
ricercare soluzioni confortate dal più ampio consenso.
Questi diversi interlocutori sono ora invitati a valutare il Libro Bianco, sia nella sua
dimensione analitica sia nella prospettiva propositiva e progettuale. Il Governo
procederà all’organizzazione di sedi di confronto per l’approfondimento delle singole
tematiche, al fine di conseguire una migliore comprensione dei reciproci punti di vista
e di pervenire, auspicabilmente, a specifiche intese.
Al termine del confronto il Governo si riserva di valutare i punti di intesa realizzati e
quelli per i quali eventualmente non si sia registrata una significativa convergenza di
analisi e di proposte. In entrambi i casi si terrà ampio conto dei risultati di questo
esercizio nella fase successiva di predisposizione di iniziative legislative da presentare
al Parlamento.
Il Governo si propone così di innovare nella metodologia del confronto prima ancora
che nella stessa portata dei contenuti. Ciò appare necessario alla luce delle
esperienze più recenti di dialogo sociale in Italia. Dopo i grandi accordi del 1984, del
1992 e del 1993, il confronto tra istituzioni e parti sociali è parso declinare verso
forme rituali e inefficaci.
Il Consiglio Europeo di Lisbona e il successivo Consiglio Europeo di Stoccolma
hanno stabilito che l’Unione Europea deve conseguire nel corso del prossimo
decennio una crescita economica sostenibile capace di garantire un aumento
sostanziale del tasso di occupazione, di migliorare la qualità del lavoro e di ottenere
una più solida coesione sociale. L’Italia in particolare ha molte ragioni per
raccogliere questa sfida.
L’Italia è infatti il paese europeo con il più basso tasso di occupazione generale e
femminile in particolare, il più alto livello di disoccupazione di lungo periodo, il più
marcato divario territoriale. Le Raccomandazioni rivolte all’Italia dall’Unione
Europea nell’ambito del processo di Lussemburgo hanno sottolineato, ormai dal
1998, l’insufficienza delle politiche fin qui attuate e la mancanza di interventi in grado
di migliorare sostanzialmente le caratteristiche del suo mercato del lavoro. Per questo
motivo, partendo proprio dagli orientamenti europei, il Governo intende procedere,
con la presentazione di questo Libro Bianco, ad un programma di legislatura,
orientato alla promozione di una società attiva, ove maggiori siano le possibilità di
occupazione per tutti, migliore sia la qualità complessiva dei lavori, più moderne le
regole che presiedono all’organizzazione dei rapporti e dei mercati del lavoro.
La strada per avvicinare l’obiettivo europeo di un tasso di occupazione attorno al
70% nel 2010, con il quale si realizza una condizione di largo impiego del capitale
umano, è lunga e tortuosa. A questo obiettivo devono concorrere vari fattori: dalla
più intensa partecipazione dei giovani, delle donne e degli anziani al mercato del
lavoro, ad una migliore integrazione dei disabili, all’ulteriore diffusione del lavoro
autonomo e di ogni forma di autoimpiego, all’emersione di tutte le forme di lavoro
irregolare, con particolare attenzione alla situazione del Mezzogiorno.
VI
Peraltro, le azioni che si vogliono promuovere attraverso le proposte contenute nel
Libro Bianco non sostituiscono gli strumenti di politica economica, di politica fiscale
e di politica industriale volti a garantire un percorso di crescita sostenuta. In
particolare, il documento qui presentato è definito in coerenza con l’obiettivo di una
progressiva riduzione degli oneri fiscali e contributivi che gravano sul lavoro, leva
non secondaria per l’incremento dell’occupazione e per migliorare le condizioni dei
lavoratori meno retribuiti. Analoga coerenza è stabilita con le linee di riforma del
sistema previdenziale. L’innalzamento del tasso di occupazione determina un
ampliamento della base dei contribuenti, concorrendo così a ridurre l’impatto
negativo derivante dalle tendenze demografiche in atto. Le politiche del lavoro, qui
identificate, hanno quindi lo specifico compito di rimuovere quegli ostacoli economici
o normativi che riducono l’intensità occupazionale della crescita economica,
soprattutto nel Mezzogiorno.
Nella definizione di nuove ipotesi di regolazione abbiamo assunto congiuntamente i
criteri della flessibilità e della sicurezza superando quella sterile contrapposizione tra
approcci ideologici che ha determinato la paralisi o il fallimento di molte riforme.
Le politiche del lavoro non possono poi prescindere dalle caratteristiche e dalle
differenze dei relativi mercati del lavoro locali in un Paese dai grandi contrasti.
Occorre costruire un quadro di riferimento generale all’interno del quale possano
essere adottate misure differenti per realtà diverse, riconoscendo e valorizzando le
diversità e specificità delle dimensioni regionali, proprio allo scopo di ricomporre
ogni dualismo. Appare quindi importante, ai fini del raggiungimento degli obiettivi
prefissati, realizzare il federalismo anche in materia di mercati e rapporti di lavoro.
Le organizzazioni dei lavoratori e degli imprenditori sono attori essenziali del
dialogo sociale, la cui autonomia responsabile il Governo vuole valorizzare con il
frequente rinvio al loro diretto negoziato in un disegno di sussidiarietà orizzontale.
Esse sono anche il veicolo per una crescente responsabilità delle imprese - attraverso
strumenti di autodisciplina - e dei lavoratori, attraverso istituti referendari e
partecipativi.
Queste politiche sono orientate dai valori dell’economia sociale di mercato, dai
principi fondamentali del lavoro che ormai compongono l’acquis communaitaire,
nonché ovviamente dalle indicazioni fondamentali provenienti dalle convenzioni e
raccomandazioni dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro per uno sviluppo
globale socialmente sostenibile. Ciò nel pieno rispetto dei precetti fondamentali
rinvenibili nella stessa Costituzione italiana e nell’elaborazione pluridecennale della
giurisprudenza costituzionale e di legittimità.
Roberto Maroni
VII
EXECUTIVE SUMMARY
Le difficoltà del mercato del lavoro italiano
La maggiore correlazione tra crescita del prodotto e crescita dell’occupazione
nonché la maggiore diffusione del lavoro atipico, dovute alle misure di
flessibilità introdotte a partire dal 1997, dimostrano come vi siano le condizioni
affinché anche in Italia possa crearsi un mercato del lavoro dinamico, efficiente
ed equo.
Tuttavia, l’Italia, con un tasso di occupazione che nel 2000 è ancora al 53,5%,
sconta un ritardo pesante rispetto a tutti gli altri paesi europei. La causa
principale del gap italiano è ascrivibile al Mezzogiorno, che dista dagli attuali
livelli medi UE di oltre venti punti percentuali sia per il totale sia per la
componente femminile. Nondimeno, anche nelle regioni del Centro-Nord i
livelli occupazionali rimangono inferiori rispetto ai livelli medi dell’UE (59,9%
contro 63,3% per il totale e 48% contro 53,4% per la componente femminile).
Il divario territoriale deve essere sommato ai problemi di carattere
generazionale. Le prospettive dei giovani per un rapido accesso al mercato del
lavoro, pure se migliorate negli ultimi anni grazie alle maggiori flessibilità
disponibili appaiono ancora contraddistinte da difficili processi di transizione
dalla scuola al lavoro, dal lavoro alla formazione e dalla formazione al lavoro. I
lavoratori anziani, penalizzati dagli scarsi incentivi alla prosecuzione
dell’attività lavorativa e che non appaiono beneficiare delle tipologie
contrattuali flessibili adottate, continuano a ridurre la loro quota ufficiale nella
popolazione lavorativa. Le donne, per le quali la crescita occupazionale
nell’ultimo quinquennio è stata più consistente, specie nel Centro-Nord,
continuano a soffrire di una difficile condizione di accesso e di permanenza sul
mercato del lavoro.
Il tasso di disoccupazione in Italia si è progressivamente ridotto e si presume
che continui a ridursi anche nei prossimi anni. Tuttavia, esiste un grave
problema di disoccupazione di lunga durata: il tasso di disoccupazione di
questo segmento è, infatti, pari all’8,3%, mentre la media europea si posiziona
al 4,9%. Ciò testimonia l’inefficacia delle azioni preventive e il rischio di
esclusione sociale da parte di coloro che perdono il posto di lavoro.
Per questo motivo la combinazione tra azioni di contesto atte ad innescare
processi di allargamento della base produttiva e di innalzamento della
produttività, introduzione di flessibilità nel mercato del lavoro, fuoriuscita dal
sommerso, appare come una strategia interconnessa, capace di innescare
sviluppo economico e crescita dell’occupazione regolare. Esistono, dunque,
grandi opportunità che devono essere sfruttate e situazioni che possono essere
migliorate, attuando politiche del lavoro e politiche macroeconomiche che
VIII
spingano dal lato dell’offerta come dal lato della domanda, anche in un
contesto macroeconomico congiunturalmente difficile.
Se creare più posti ed occasioni di lavoro rappresenta l’ambizioso traguardo dei
prossimi anni, occorre, tuttavia, anche migliorare la qualità del lavoro. In Italia,
la qualità “non buona” del lavoro è insita nei differenziali occupazionali ma,
soprattutto, nell’ampia fascia di lavoro sommerso, irregolare e clandestino che
contribuisce a creare condizioni di esclusione sociale e di sottoutilizzo di
capitale umano. Un mercato del lavoro flessibile deve migliorare la qualità,
oltre che la quantità dei posti di lavoro, rendere più fluido l’incontro tra
obiettivi e desideri delle imprese e dei lavoratori e consentire ai singoli
individui di cogliere le opportunità lavorative più proficue, evitando che essi
rimangano intrappolati in situazioni a rischio di forte esclusione sociale.
La criticità delle politiche praticate
La struttura della spesa sociale italiana denota un’accentuata caratterizzazione
pensionistica ed una bassa incidenza dei trattamenti di disoccupazione e di
quelli assistenziali a favore di soggetti in età lavorativa (invalidità, famiglia,
abitazione e assistenza sociale in senso proprio). Ciò è il risultato di rigidità
nella regolamentazione dei rapporti di lavoro ed in particolare del prevalere
della tutela dei rapporti in essere. Inoltre, permane l’assenza di interventi
strutturali che favoriscano la domanda e l’offerta di lavoro dei soggetti a più
basso reddito e di schemi di incentivazione che possano attenuare possibili
effetti di povertà nelle fasce cosiddette a rischio della popolazione.
Le esperienze dei paesi europei che hanno con più successo riformato il
mercato del lavoro, mostrano quanto sia importante disporre anche in Italia di
un nuovo assetto della regolazione e del sistema di incentivi e ammortizzatori,
che concorra a realizzare un bilanciamento tra flessibilità e sicurezza. Tale
sistema deve avere come obiettivo ultimo quello di accrescere l’occupazione e
di diminuire le forme di precarizzazione, evitando il sorgere di pericolose
fratture sociali tra generazioni, caratterizzate da segmenti più giovani che
trovano accesso al mercato del lavoro con contratti flessibili e popolazione
meno giovane e dinamica che rimane con contratti tradizionali da lavoro
dipendente.
Istituzioni, centrali e locali, e parti sociali sono chiamate a disegnare un sistema
di politiche del lavoro basato non più sul singolo posto di lavoro bensì
sull’occupabilità e sul mercato del lavoro. In Italia, un efficace funzionamento
del mercato del lavoro è anche impedito dall’inefficiente incontro tra domanda
e offerta. Solo il 4% di chi trova lavoro passa attraverso il servizio pubblico
all’impiego, mentre gli operatori privati non decollano a causa degli ostacoli
normativi oggi esistenti ed è ancora assente un adeguato sistema informativo
basato su standard accettativi che favoriscono un rapido incontro tra i
fabbisogni, i servizi, le soluzioni contrattuali.
IX
Gli strumenti per una società attiva
Le azioni per accrescere il tasso di occupazione si devono sviluppare
coerentemente con la Strategia Europea per l’Occupazione prevista dal
processo di Lussemburgo. Si tratta di adattare il metodo del “coordinamento
aperto” al nuovo quadro istituzionale che si sta delineando in Italia e che affida
alle Regioni e agli enti locali una più forte responsabilità politica. Definizione
degli obiettivi generali, monitoraggio dello stato di attuazione delle politiche,
valutazione dei risultati raggiunti, scambio di buone pratiche rappresentano gli
elementi portanti di un nuovo metodo che il Governo, d’intesa con tutti gli
attori interessati, intende varare.
Peraltro, il nuovo assetto federale, che interessa anche la regolazione del
mercato e dei rapporti di lavoro, può valorizzare questo metodo di intervento.
La potestà legislativa concorrente delle Regioni riguarda non soltanto il
mercato del lavoro bensì anche la regolazione dei rapporti di lavoro. Il
legislatore nazionale, nel dialogo con Regioni e parti sociali, dovrà intervenire
con una normativa-cornice, ma poi spetterà alle singole realtà territoriali
costruire un impianto regolatorio che valorizzi le diversità dei mercati del
lavoro locali e superi l’attuale stratificazione dell’ordinamento giuridico.
Accanto ad una rafforzata sussidiarietà verticale, occorre riqualificare la
responsabilità decisionale delle parti sociali e garantire un’efficace sussidiarietà
orizzontale. Il modello del dialogo sociale, così come regolamentato e
sperimentato a livello comunitario, costituisce il punto di riferimento più
convincente per una rinnovata metodologia nei rapporti fra istituzioni e parti
sociali anche a livello interno. Il confronto tra istituzioni e parti sociali deve
essere configurato come uno strumento volto a conseguire accordi progressivi
tali da essere tradotti rapidamente in politiche orientate ad obiettivi quantificati
e perciò monitorabili. Trattative globali si concludono talora con accordi
globali generici e di difficile implementazione, così come accaduto nel corso
della seconda metà degli anni novanta.
Al dialogo sociale, come dispone il Trattato dell’Unione Europea, spetta il
compito primario di trasposizione delle direttive comunitarie, soprattutto
quando esse derivino dal dialogo sociale comunitario. Tuttavia, la necessità di
modernizzare il mercato del lavoro esige che la qualità del processo
traspositivo sia alta ed eviti di introdurre surrettiziamente elementi distorsivi
della concorrenza – anche a danno del Paese che recepisce - che la direttiva
europea intende rimuovere. Inoltre, non deve essere trascurato il fatto che il
processo traspositivo deve tenere conto delle caratteristiche dei mercati del
lavoro locali, nel quadro del nuovo ordinamento federalista.
I mutamenti che intervengono nell’organizzazione del lavoro e la crescente
spinta verso una valorizzazione delle capacità dell’individuo stanno
trasformando il rapporto di lavoro. Ciò induce a sperimentate nuove forme di
regolazione, rendendo possibili assetti regolatori effettivamente conformi agli
interessi del singolo lavoratore ed alle specifiche aspettative in lui riposte dal
datore di lavoro, nel contesto d’un adeguato controllo sociale. Dal punto di
vista della contrattazione collettiva questo può significare un rafforzamento del
suo ruolo premiale, come nel caso della direttiva CAE; dal punto di vista della
X
normativa, l’introduzione di “norme leggere”, che mirino ad orientare l’attività
dei soggetti destinatari in relazione agli obiettivi piuttosto che ai
comportamenti. L’ordinamento giuridico deve essere sempre più basato sul
management by objectives piuttosto che sul management by regulation.
La maggiore “leggerezza” delle norme comporta anche una migliore
organizzazione del sistema normativo che passi, da un lato, attraverso la
redazione di un Testo unico sul lavoro volto a semplificare e chiarire il
complessivo assetto regolatorio; dall’altro, con la predisposizione di uno
“Statuto dei lavori”, che operi un’opportuna rimodulazione delle tutele in
ragione delle materie considerate, fermo restando un corpus di regole
fondamentali applicabili a tutti i rapporti di lavoro.
La riforma degli strumenti non può prescindere da un solido intervento sulla
giustizia del lavoro. I tempi di celebrazione dei processi, risolvendosi in
sostanza nel diniego della giustizia stessa, sottolineano il grave stato in cui
versa la giustizia del lavoro in Italia. Un efficiente mercato del lavoro necessita
di tempi di risoluzione delle controversie sufficientemente rapidi. Occorre
trovare nuove forme di amministrazione della giustizia, guardando alle
esperienze europee, quale l’istituzione di collegi arbitrali che siano in grado di
dirimere la controversia in tempi sufficientemente rapidi.
Dotarsi di nuove regole non significa necessariamente approvare nuove leggi.
Significa, dunque, sperimentare anche codici volontari di comportamento nella
logica di una “responsabilità sociale” delle imprese, come indicato dal recente
Libro Verde della Commissione Europea.
Le politiche per una maggiore e migliore occupazione
La società attiva è il contesto necessario per lo sviluppo delle risorse umane.
La qualità del lavoro è la nuova dimensione su cui riflettere. Il Governo ritiene
che sia necessario attivare misure finalizzate ad elevare la qualità del nostro
mercato del lavoro, tenendo conto delle caratteristiche e delle peculiarità della
situazione italiana. In Italia, la prima politica volta a garantire un lavoro di
qualità è quella rivolta all’emersione e al contrasto dell’economia sommersa,
cui il Governo ha dedicato immediatamente una “terapia d’urto”, che questo
Libro Bianco intende ulteriormente sostenere.
Il conseguimento di una maggiore occupazione non dipende esclusivamente
dalle politiche del lavoro qui delineate. Esse, tuttavia, devono assicurare che la
crescita economica possa essere pienamente sfruttata, accrescendo le
possibilità occupazionali degli individui ed aumentando l’intensità
occupazionale dello sviluppo economico. A questo fine deve essere rafforzata
la capacità di funzionamento efficiente del mercato, liberandolo dalle
inefficienze economiche e normative che hanno nel corso degli anni ostacolato
il pieno dispiegarsi delle sue potenzialità. Ciò, ovviamente, non dovrà avvenire
restringendo le tutele e le protezioni, bensì spostandole dalla garanzia del posto
di lavoro all’assicurazione di una piena occupabilità durante tutta la vita
XI
lavorativa, riducendo, quindi, i periodi di disoccupazione o di spreco di capitale
umano.
In questo quadro, diverse sono le azioni che vengono proposte. Anzitutto,
appare necessario imprimere una decisa accelerazione alle misure che possano
favorire un efficiente ed equo incontro tra domanda e offerta. Da un lato,
raccogliendo le indicazioni dell’Unione Europea, si deve proseguire con
determinazione nella modernizzazione dei servizi pubblici per l’impiego, nel
rispetto delle competenze delle Regioni e delle Province. Dall’altro, si deve
agire affinché si fondi stabilmente un sistema maggiormente concorrenziale fra
pubblico e privato, rivedendo pienamente la normativa introdotta per regolare
il ruolo degli operatori privati che si occupano a vario titolo della mediazione
tra domanda e offerta di lavoro e favorendo la diffusione di operatori privati
polifunzionali.
In secondo luogo, appare urgente intervenire sulle transizioni scuola-lavoroformazione. Ciò può essere assicurato innalzando la qualità dell’offerta
formativa con azioni dal lato della domanda, ma anche con un rinnovato
intervento pubblico, perché lasciato a se stesso il mercato non riesce a dare i
risultati migliori. Peraltro, così come si finanzia con risorse pubbliche il
processo di innovazione, altrettanto si deve fare con la formazione continua,
sostenendone la domanda. Nel contempo, Governo e parti sociali devono
intraprendere una sostanziale riforma dei contratti a causa mista, soprattutto in
riferimento allo strumento dell’apprendistato, approfondendo gli aspetti della
quantità e della qualità della formazione esterna ai luoghi di lavoro. In tale
quadro, l’apprendistato può essere valorizzato come strumento formativo per il
mercato, mentre il contratto di formazione-lavoro può essere concepito come
strumento per realizzare un inserimento mirato del lavoratore in azienda.
In terzo luogo, si deve procedere alla costituzione di un sistema di politiche che
intervenga in maniera attiva e preventiva, riformando profondamente
ammortizzatori sociali e incentivi all’occupazione. Tale riforma, poiché appare
in stretto collegamento con il riequilibrio complessivo della spesa per
protezione sociale, dovrà procedere in maniera graduale man mano che le
risorse finanziarie necessarie si renderanno effettivamente disponibili. Inoltre
occorre tenere presente che essa si inserisce nell’azione di riduzione
progressiva del carico fiscale e contributivo gravante sul lavoro. Un importante
elemento qualitativo risiederà nel coinvolgimento del beneficiario, che dovrà
ricercare attivamente un’occupazione secondo un percorso che può avere anche
natura formativa, da concordare preventivamente con i servizi pubblici per
l’impiego. Peraltro, anche se si preferiranno strumenti automatici, tanto nel
caso delle misure passive quanto in quello delle misure attive, i servizi per
l’impiego, pubblici e privati, dovranno operare nel senso della prevenzione di
abusi e di aumento della selettività effettiva di determinati strumenti,
promuovendone il ricorso effettivo tra i soggetti più deboli.
La scarsa partecipazione delle donne nel mercato del lavoro italiano
rappresenta, come già ricordato, una situazione di fortissimo ritardo del nostro
paese rispetto agli standard europei. Le politiche del lavoro che saranno
adottate dovranno tenere conto di questa peculiarità e dovranno anzitutto
rimuovere tutti quei fattori esterni al lavoro che influenzano negativamente la
XII
decisione delle donne di iniziare un’attività lavorativa. Inoltre, occorre
effettuare uno sforzo di ripensamento complessivo di tutte le politiche nella
prospettiva di rafforzare le opportunità di lavoro e di carriera delle donne. Si
tratta di agire non solo dunque per ragioni di equità sociale ma anche per un
miglioramento dell’efficacia del mercato del lavoro e della sua qualità.
Avvicinare la domanda e l’offerta di lavoro è una delle scelte di fondo a cui si
ispira il Libro Bianco. Tale principio va applicato anche ai fenomeni di
immigrazione che l’Italia ha finora subito, senza essere in grado di
programmare in maniera adeguata. Come recenti indagini hanno confermato,
un’immigrazione non controllata rischia di abbassare la qualità del mercato del
lavoro, poiché concorre ad alimentare l’economia sommersa. Inoltre, essa
genera pericolose frizioni sul piano sociale e dell’accesso ai diritti di
cittadinanza principali. Il disegno di legge predisposto e le successive misure,
coniugando strettamente contratto di lavoro e permesso di soggiorno possono
concorrere alla definizione di un mercato del lavoro più trasparente ed
efficiente, che inserisca pienamente i lavoratori extracomunitari nel lavoro
regolare, assicurando una prioritaria attenzione ai lavoratori extracomunitari
già iscritti nelle liste dei servizi pubblici per l’impiego ed ancora in cerca di
un’occupazione garantendo così le condizioni per una pacifica convivenza
sociale. La diffusione del lavoro autonomo tra gli immigrati può concorrere a
perpetuare mestieri altrimenti destinati a scomparire nonché a favorire i
processi di integrazione sociale.
Flessibilità e sicurezza
Mercato e organizzazione del lavoro si stanno evolvendo con crescente
velocità. Non altrettanto avviene per i rapporti di lavoro: il sistema regolativo
ancor oggi utilizzato in Italia non è più in grado di cogliere e governare la
trasformazione in atto. Assai più che semplice titolare di un “rapporto di
lavoro”, il prestatore di oggi e, soprattutto, di domani, è un collaboratore che
opera all’interno di un “ciclo”. Si tratti di un progetto, di una missione, di un
incarico, di una fase dell’attività produttiva o della sua vita. Il percorso
lavorativo è segnato da cicli in cui si possono alternare fasi di lavoro
dipendente ed autonomo, in ipotesi intervallati da forme intermedie e/o da
periodi di formazione e riqualificazione professionale. Il quadro giuridicoistituzionale ed i rapporti costruiti dalle parti sociali, quindi il diritto del lavoro
e le relazioni industriali, devono cogliere queste trasformazioni in divenire,
agevolandone il governo.
Il mercato del lavoro italiano necessita, quindi, di importanti modifiche al suo
apparato regolatorio, procedendo organicamente ad una modernizzazione
dell’organizzazione e dei rapporti di lavoro, auspicabilmente d’intesa con le
parti sociali. L’introduzione della nuova normativa sul contratto a termine
rappresenta un primo esempio di queste azioni.
Il miglioramento qualitativo del rapporto di lavoro deve avvenire mediante un
uso corretto del contratto di lavoro a tempo indeterminato, evitando che si
diffondano flessibilità in entrata per aggirare i vincoli o le tutele predisposte
XIII
per la flessibilità in uscita. Pertanto, appare importante incentivarne l’utilizzo,
con particolare riguardo alla trasformazione del contratto a termine, nonché
superare gli eventuali ostacoli normativi che frenano il ricorso a questa
tipologia contrattuale, senz’altro fondamentale per garantire una società attiva
basata sulla qualità del lavoro.
Interventi correttivi appaiono urgenti per eliminare quegli ostacoli normativi
che ancora rendono complicato l’utilizzo delle tipologie contrattuali flessibili,
che sono state utilizzate in larga misura in tutti i paesi europei senza che questo
abbia comportato situazioni di esclusione sociale o di bassa qualità del lavoro.
In questo ambito, il contratto di lavoro a tempo parziale deve essere reso più
usufruibile, intervenendo sulle cosiddette “clausole elastiche” e sull’istituto
della “denuncia”. Il contratto interinale, la cui disciplina deve essere coordinata
con quella del lavoro temporaneo, deve migliorare la sua funzione di strumento
che favorisce l’incontro tra domanda e offerta. Più in generale, appare
opportuno avviare una riforma complessiva della disciplina in materia di
intermediazione di manodopera, anche alla luce dei processi di
esternalizzazione del lavoro e nel rispetto delle condizioni di tutela del lavoro.
D’altro lato, occorre prevedere nuove tipologie contrattuali che abbiano la
funzione di “ripulire” il mercato del lavoro dall’improprio utilizzo di alcuni
strumenti oggi esistenti, in funzione elusiva o frodatoria della legislazione
posta a tutela del lavoro subordinato, e che, nel contempo, tengano conto delle
mutate esigenze produttive ed organizzative. In questa ottica, si segnala la
proposta di introdurre il “lavoro intermittente”, consentendo a numerosi
soggetti di percepire un compenso minimo per la propria disponibilità,
aumentando poi l’ effettiva retribuzione in ragione dell’ orario effettivamente
richiesto, nonché della prospettazione del lavoro a progetto, come forma di
lavoro autonomo parasubordinato in cui rileva fortemente il fattore della
realizzazione appunto di un progetto avente precisi requisiti in termini di
quantificazione temporale ma anche di qualità della prestazione. Questi
interventi sono finalizzati a bonificare il mercato del lavoro dalle
collaborazioni coordinate e continuative, spesso fonte di abusi frodatori.
Un moderno sistema di relazioni industriali
In Italia, più che in tutti i maggiori paesi europei esiste una fortissima
dispersione territoriale dei tassi di disoccupazione associata ad una quasi
omogeneità territoriale dei livelli salariali. Siamo un paese molto “egualitario”
in politica salariale, ma molto disuguale dal punto di vista delle condizioni del
mercato del lavoro.
Questa situazione appare il risultato anche di un sistema di contrattazione
collettiva che mantiene caratteristiche di centralizzazione inadatte ad assicurare
una flessibilità della struttura salariale, che sia capace di adeguarsi ai
differenziali di produttività e di rispondere ai diversi disequilibri del mercato.
Lo scarso legame esistente tra produttività aziendale e condizioni del mercato
locale del lavoro, da un lato, e retribuzioni, dall’altro, si traduce in più bassi
livelli occupazionali. A questo si aggiunga che la scarsa crescita, l’alta
XIV
disoccupazione, l’elevato carico fiscale e lo stesso modello contrattuale
definito dagli Accordi del 1992-1993 - sopravvissuto alle condizioni per le
quali fu concepito - hanno portato ad un’evoluzione poco lusinghiera dei salari
reali al netto delle imposte, anche grazie alla crescita della pressione fiscale sul
lavoro.
La crescita del tasso di occupazione e la riduzione del divario occupazionale tra
Nord e Sud possono essere determinati anche dalla mobilità delle persone e
delle imprese, stimolata da una più accentuata differenziazione dei rispettivi
salari reali.
Appare opportuno, dunque, che le parti sociali anzitutto, e le istituzioni
nazionali e locali, in quanto datori di lavoro, considerino l’opportunità di
rivisitare l’attuale assetto contrattuale, al fine di dotarlo di una maggiore
flessibilità. Ciò può avvenire rafforzando la contrattazione decentrata, e
legandola in maniera più stretta ai luoghi in cui si determinano i guadagni di
produttività, anche considerando le condizioni specifiche del mercato del
lavoro.
In tutta Europa si è avuta un’evoluzione partecipativa delle relazioni
industriali, nella convinzione che questo potesse contribuire ad accrescere le
potenzialità competitive dell’azienda e dell’intero sistema economico del
paese. In questo quadro, anche in Italia, di fronte alle sfide che si prospettano,
di modernizzazione dell’organizzazione del lavoro, di competitività, di
valorizzazione del capitale umano, i rapporti tra le parti sociali si devono
sviluppare in senso sempre più partecipativo, in particolare, ma non solo, nel
processo di trasposizione delle direttive comunitarie. Un primo importante
obiettivo riguarda la direttiva sulla Società Europea, che dovrà individuare le
sedi e le altre modalità per regolare convenientemente i diritti di informazione
e consultazione, ispirando l’esercizio delle prerogative manageriali ad una
logica di trasparenza e di fiducia tra le parti. Tuttavia, un maggiore sviluppo
della dimensione partecipativa potrà riguardare il tema della partecipazione
finanziaria dei lavoratori, ed in particolare del cosiddetto azionariato dei
dipendenti.
Nel corso del decennio appena trascorso il ricorso allo sciopero quale forma di
regolazione del conflitto tra le parti ha subito una progressiva perdita di
importanza. Tuttavia, ciò è avvenuto soprattutto nel settore industriale, mentre
comportamenti irrispettosi delle esigenze degli utenti e dei consumatori si sono
determinati nei servizi essenziali, con particolare riferimento al settore dei
trasporti. La riforma della legge avvenuta nell’ultima legislatura può indurre
decisioni più coraggiose da parte della Commissione di Garanzia, con
particolare attenzione al criterio della “rarefazione oggettiva” - che garantisce
adeguati intervalli agli utenti tra uno sciopero e l’altro - e alle procedure di
raffreddamento dei conflitti, a partire dal referendum consultivo obbligatorio.
Occorrerà verificare, inoltre, la possibilità di rafforzare, con sedi nuove e più
efficienti la prevenzione e composizione delle controversie collettive di lavoro,
con particolare ma non esclusiva competenza nella gestione del conflitto nei
servizi essenziali.
PARTE PRIMA. L’ANALISI
IL MERCATO DEL LAVORO IN ITALIA: INEFFICIENZE ED INIQUITÀ
1. Raccomandazioni dell’Unione Europea
Le ‘Raccomandazioni’ rivolte all’Italia dall’Unione Europea nell’ambito
della cosiddetta Strategia Europea sull’Occupazione hanno sottolineato, più
volte, la difficile situazione in cui versa il mercato del lavoro e l’insufficienza
delle politiche fin qui attuate. Peraltro, più anni sono trascorsi senza che
venissero introdotti quegli interventi in grado di modificarne in maniera
sostanziale la situazione.
Dal punto di vista delle condizioni del mercato del lavoro, la Commissione
Europea nella proposta di Rapporto Congiunto 2001 che deve essere ancora
discusso dal Consiglio Europeo, rileva che, nonostante nel gennaio 2001 il tasso
di disoccupazione in Italia sia sceso sotto il 10%, il tasso di occupazione rimane
sempre al 53,5%, 10 punti percentuali al di sotto della media europea e il più
basso fra tutti i paesi dell’Unione Europea. Inoltre, continuano ad essere presenti
persistenti difficoltà strutturali quali il basso livello di occupazione giovanile e di
attività delle generazioni più anziane, profonde differenze di genere, squilibri
regionali molto marcati.
Dal punto di vista delle politiche, la Commissione ritiene che nel complesso la
Strategia Europea sull’Occupazione non sia stata attuata da parte del nostro
Paese. Si rileva, infatti, che l’Italia ha proceduto all’implementazione di
politiche già previste, piuttosto che introdurre misure innovative al fine di
realizzare il policy mix raccomandato (coordinando cioè i quattro pilastri del
processo di Lussemburgo). Sono inoltre segnalati ritardi nella verifica del
sistema pensionistico, nelle azioni preventive della disoccupazione giovanile di
lungo periodo e più in generale nelle misure correttive in senso preventivo della
disoccupazione, nel sistema di servizi pubblici all’impiego. L’utilizzazione in
Italia di forme di lavoro non standard è ancora molto bassa (16,1%), tenuto
conto che il 60% dei nuovi posti di lavoro sono stati creati ricorrendo a tipologie
flessibili sul lavoro. Infine, per quanto riguarda le azioni sulle pari opportunità,
la Commissione rileva che le azioni intraprese hanno sortito solo miglioramenti
marginali ed è quindi necessario passare da misure erratiche ad una strategia più
globale, finalizzata, con priorità assoluta alla riduzione del gender gap.
Più in particolare, anche quest’anno, come negli anni precedenti, l’Italia è stata
invitata a:
- perseguire una riforma delle politiche del lavoro volte ad aumentare il
tasso di occupazione, in particolare delle donne. Queste riforme
dovrebbero indirizzarsi a ridurre gli squilibri regionali rafforzando le
politiche per l’occupabilità e promuovendo la creazione di posti di lavoro e
la riduzione del lavoro irregolare, con un attivo coinvolgimento delle parti
sociali;
2
- continuare ad accrescere la flessibilità del mercato del lavoro con un
approccio che possa meglio combinare la sicurezza con una maggiore
adattabilità al fine di facilitare l’accesso al lavoro; proseguire
l’implementazione della riforma del regime pensionistico attraverso la
revisione prevista per il 2001 ed avviare la prevista riorganizzazione degli
altri regimi previdenziali, onde ridurre le uscite dal mercato del lavoro, e
così elevare il grado di partecipazione degli anziani; proseguire inoltre gli
sforzi per la riduzione della pressione fiscale sul lavoro, in particolare per i
lavoratori scarsamente retribuiti e per quelli con bassa qualifica;
- nel contesto delle politiche per l’occupabilità, intraprendere ulteriori
azioni al fine di prevenire l’entrata nella disoccupazione di lunga durata
dei lavoratori giovani e adulti. Tali azioni dovrebbero includere: la piena e
completa attuazione della riforma dei servizi pubblici all’impiego in tutto
il paese; l’accelerazione dell’introduzione del sistema informativo del
lavoro; e la prosecuzione dell’impegno attuale volto a migliorare il sistema
di monitoraggio statistico;
- migliorare l’efficacia delle politiche attive per il lavoro e attuare
specifiche misure per ridurre l’ampio divario di genere in termini di
occupazione e di disoccupazione, nell’ambito di un approccio orizzontale
di genere, e in particolare fissando obiettivi per l’offerta di asili nido ed
altri servizi di sostegno;
- rafforzare le azioni per adottare ed attuare una strategia coerente per la
formazione continua, stabilendo obiettivi nazionali; le parti sociali
dovrebbero essere più attive nell’ offerta di maggiori opportunità di
formazione alla forza lavoro.
A tutte queste sollecitazioni occorrerà che l’Italia risponda con efficacia e
tempestività, trattandosi di obblighi derivanti dalla sua appartenenza
all’Unione Europea.
Il Governo ritiene che queste siano indicazioni molto puntuali e rigorose,
che non possono non essere condivise, e da cui occorre partire nel delineare
la politica sull’occupazione dei prossimi anni. Per questo motivo richiama
tutte le istituzioni coinvolte e tutte le parti sociali affinché siano predisposte
iniziative ed interventi per affrontare i nodi critici del mercato del lavoro
italiano. Come primo contributo in tal senso, il Governo, con questo Libro
Bianco, intende proporre a tutti i suoi interlocutori un’agenda di
discussione da cui possa derivare, in tempi rapidi, un programma di
politiche adeguate.
2. Andamenti e caratteristiche del mercato del lavoro italiano
2.1. Crescita economica ed intensità occupazionale
Il mercato del lavoro italiano è stato, per anni, caratterizzato da condizioni di
strutturale difficoltà, soprattutto dopo la grave crisi subita nei primi anni del
decennio appena trascorso. Pur continuando a sperimentare un ritardo rispetto a
tutti gli altri paesi industrializzati, di cui il tasso di occupazione è un fedele
3
indicatore, negli ultimi anni si è assistito allo svilupparsi di una
dinamica favorevole delle grandezze occupazionali. In particolare,
una maggiore correlazione tra crescita del prodotto e
dell’occupazione, nonché una forte diffusione delle cosiddette
lavoro atipico.
moderata
è emersa
crescita
forme di
Le flessibilità introdotte a partire dal 1997 (pacchetto Treu) hanno
consentito una prima inversione di tendenza. Nel quinquennio 1995-2000
l’elasticità dell’occupazione al PIL (misurata come rapporto tra dinamica della
prima e del secondo) si è ragguagliata al 54%, a fronte di un valore del 12%
nella fase di crescita registratasi nella seconda metà degli anni ottanta (Tav. 1;
Fig.1).
Tav. 1 – Elasticità dell’occupazione al PIL: evoluzione nell’ultimo
quindicennio
1985-1990 1990-1995 1995-2000
Variazione % cumulata del PIL
15,1
6,5
9,8
Variazione % cumulata delle unità standard di
3,7
-3,8
4,1
lavoro nei conti nazionali
Variazione % cumulata delle persone occupate
1,8
-4,7
5,3
nell’indagine forze di lavoro
Contenuto occupazionale della crescita (unità
0,24
-0,59
0,42
standard)
Contenuto occupazionale della crescita (persone
0,12
-0,72
0,54
occupate)
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, conti nazionali e indagini sulle forze di lavoro (per il periodo 1990-95, la
serie dell’occupazione nell’indagine forze di lavoro è quella ricostruita dalla Banca d’Italia per tener conto
del break nell’indagine all’ottobre 1992).
A denotare il legame tra aumentati margini di flessibilità e crescita
occupazionale è sia l’esame della composizione interna di quest’ultima –in cui
prevalgono il lavoro c.d. atipico1 e taluni gruppi demografici tradizionalmente
più ai margini del mercato del lavoro– sia il più forte ed immediato legame tra
crescita del PIL ed andamenti dell’occupazione. A tale risultato ha contribuito la
crescita del part time che ha elevato il numero di persone fisiche occupate a
parità di input di lavoro in termini di unità standard (come misurate nei conti
nazionali)2. Queste sono così cresciute meno del numero di persone fisiche
1
Per lavoro atipico si intendono qui i rapporti di lavoro a tempo parziale e/o determinato, come
tali facilmente identificabili nell’indagine sulle forze di lavoro. Questa classificazione peraltro
lascia indefinite, nel senso che non le caratterizza necessariamente né come tipico né come
atipico, le collaborazioni coordinate e continuative, che non sono identificabili come tali
nell’indagine citata. La crescita delle collaborazioni coordinate e continuative è stata
particolarmente marcata: in termini di iscritti alla speciale gestione presso l’INPS si è passati da
poco meno di un milione di unità al dicembre 1996 a quasi due milioni al luglio 2001; meno
marcata, ma pur sempre notevole, è la crescita dei soggetti per i quali siano stati effettivamente
versati contributi alla speciale gestione INPS (e che quindi nell’anno in questione abbiano
effettivamente operato e percepito dei redditi come collaboratori), nel cui caso si passa dagli
839mila individui del 1996 ai 1272mila del 1999 (cfr., Ministero del Lavoro, Rapporto di
monitoraggio no. 2-2000, Box A1 e no. 1-2001, scheda 12).
2
In senso opposto aveva invece operato, in tutti gli anni ottanta, la forte crescita del fenomeno
del doppio lavoro.
4
occupate (del 4,1% cumulato a fronte del +5,3% cumulato degli occupati
conteggiati nell’indagine sulle forze di lavoro nel quinquennio 1995-2000).
A denotare la crescita dell’occupazione si segnala come tra il 1995 e il 2000 il
tasso di occupazione nella classe d’età 15-64 anni sia passato dal 50,6 al 53,5%,
con una significativa accelerazione nel biennio 1998-2000 (a cui vanno attribuiti
due dei tre punti della crescita totale prima ricordata) in concomitanza con una
crescita del PIL che, pur se ancora stentata, è stata più sostenuta che nel triennio
precedente (Fig. 1). Il miglioramento è stato particolarmente marcato nella
componente femminile (+4,1 punti in termini di tasso di occupazione). Anche
per i più giovani, la disoccupazione esplicita, come quota della popolazione
totale tra 15 e 24 anni, è calata nello stesso quinquennio dal 12,6 all’11,8%, a
beneficio di un aumento sia dell’occupazione che della partecipazione alla
scuola.
Fig.1 - Tassi di variazione del PIL e dell'occupazione (dati trimestrali
destagionalizzati)
1,5
1
0,5
-1
Occupazione
Pil
Dal punto di vista settoriale, la crescita dell’occupazione nel quinquennio 19952000 è stata caratterizzata dall’espansione di settori ed attività a minore intensità
effettiva di capitale, uno sviluppo in parte connesso con lo spostamento
progressivo dell’occupazione dall’industria ai servizi –settori caratterizzati da un
più contenuto trend nella produttività del lavoro– ma favorito anche proprio
dalla maggiore flessibilità del lavoro.
2.2. Flessibilità e precarietà
Nonostante le preoccupazioni e i rilievi avanzati su un eccesso di flessibilità nel
mercato del lavoro italiano, alquanto contenuti sono rimasti sinora i rischi che
2001q1
2000q3
2000q1
1999q3
1999q1
1998q3
1998q1
1997q3
1997q1
1996q3
1996q1
1995q3
1995q1
1994q3
1994q1
1993q3
-0,5
1993q1
0
5
dalla maggiore flessibilità scaturisse un’accentuazione dei fenomeni di
precarietà.
Il lavoro atipico è certamente stata la componente principale della maggiore
occupazione, ma le vicende del biennio 1998-2000 testimoniano come, in
concomitanza di tassi significativi di sviluppo del PIL (cresciuto del 2,3%
all’anno nel biennio, a fronte di una crescita dell’1,6% nel triennio precedente),
anche il lavoro dipendente a tempo pieno e indeterminato cresca senza ostacoli
(Tav. 2). Peraltro, ancora basso appare il ricorso al lavoro a termine, anche nel
confronto internazionale (i rapporti a tempo determinato erano nel 2000 il 7,5%
dell’occupazione totale, in crescita rispetto al 5,4% del 1995, ma ancora ben al
di sotto dell’11,4% medio della UE).
Tav. 2 – Contributi alla variazione percentuale dell’occupazione delle diverse
tipologie di lavoro
Variazione totale
dell’occupazione
Contributi alla variazione
Autonomi
A tempo pieno
A tempo parziale
Dipendenti
Permanenti a tempo pieno
“atipici”
Di cui:
permanenti a tempo parziale
temporanei a tempo parziale
temporanei a tempo pieno
Livello
93-95
(a)
95-98
(a)
98-00
(a)
00-01
(a)
95-01
(a)
-2,8
1,9
2,6
2,6
7,3
100,0
-0,3
-0,4
0,1
-2,5
-3,4
0,9
0,2
0,3
-0,1
1,7
0,1
1,6
0,2
-0,1
0,2
2,4
0,1
2,3
0,5
0,5
0,0
2,1
1,6
0,5
0,9
0,7
0,2
6,4
1,9
4,5
27,9
25,8
2,1
72,1
60,8
11,3
0,4
0,6
-0,0
0,6
0,6
0,5
0,8
1,0
0,4
0,5
0,0
-0,0
2,0
1,6
0,9
4,5
4,6
2,2
2001 (b)
(a) variazione percentuale relativa alla media delle rilevazioni di gennaio ed aprile degli anni considerati.
(b) struttura percentuale dell’occupazione totale nella media delle rilevazioni di gennaio ed aprile 2001.
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, indagine sulle Forze di Lavoro.
Il lavoro atipico non sempre è sinonimo di precarietà. E’ sufficiente
osservare alcune prime evidenze empiriche. Nell’impiego a tempo ridotto,
cresciuto dal 6,3 all’8,4% dell’occupazione complessiva tra 1995 e 2000, la
componente volontaria prevale largamente, specie tra le donne e nel CentroNord. Il dato meno favorevole del Mezzogiorno evidenzia come la più diffusa
precarietà dell’occupazione nell’area, che interessa anche il part time, sia da
correlare al contesto economico generale meno favorevole e non tanto a specifici
problemi di tutela e regolamentazione di questo particolare rapporto di lavoro.
Gli sviluppi di questi ultimi anni testimoniano, dunque, che il marcato sviluppo
delle tipologie atipiche di lavoro non rappresenta un evento transitorio né appare
destinato ad esaurirsi poiché copre solamente un segmento del mercato del
lavoro. Anche per il lavoro a termine, pur denotandosi una probabilità di
occupazione nei successivi dodici mesi significativamente inferiore rispetto a
6
quella degli occupati a tempo indeterminato, il trend nel tempo è positivo, con
una riduzione delle differenze esistenti.
E’ peraltro possibile che, ove alla maggiore flessibilità in entrata non dovesse
corrispondere un complessivo riequilibrio della regolamentazione del mercato
del lavoro, con il passaggio da una tutela centrata sul rapporto di lavoro in essere
ad un regime di tutele garantite soprattutto nel mercato, i pericoli di
segmentazione nel mercato del lavoro finirebbero con l’aggravarsi.
Per questo motivo, il Governo sollecita tutte le parti sociali a segnalare le
tendenze percepite in questo senso e a valutare l’impatto delle asimmetrie
tra flessibilità in entrata e rigidità in uscita. Tali asimmetrie possono
nascondere anche una pericolosa frattura sociale tra generazioni, ove è
chiaro che i segmenti più giovani trovano accesso al mercato del lavoro con
contratti flessibili mentre la popolazione meno giovane e dinamica rimane
caratterizzata da contratti tradizionali da lavoro dipendente.
2.3. Criticità…
Il Governo ritiene che, nonostante i segnali di crescita occupazionale descritti,
l’eredità del passato rimane alquanto pesante e che molti sono i nodi critici
ancora irrisolti.
Il tasso di occupazione (53,5% nella classe 15-64anni d’età) è ancora ben
lontano dall’obiettivo che l’Unione Europea nel suo insieme si è posta per il
2010 (70%). Ancor più ampia è la distanza dei livelli attuali dell’occupazione
rispetto alle soglie UE al 2010 per la componente femminile (39,6% contro
60%) e per i 55-64enni (27,8% contro 50%). Per questi ultimi, le tendenze
realizzatesi nel periodo 1995-2000 sono addirittura nel senso di una riduzione
dei livelli occupazionali, ormai tra i più bassi nel panorama europeo3. Tenuto
conto del peso crescente che i lavoratori più anziani avranno nella popolazione
complessiva, è tra l’altro da rilevare come, ove non si arrestasse quella tendenza
declinante, da qui al 2005 ne risulterebbe, coeteris paribus, compresso di sei
decimi di punto lo stesso tasso di occupazione complessivo (Ministero del
Lavoro e Politiche Sociali, Rapporto di Monitoraggio, 1-2001, scheda 1).
La causa principale della distanza tra i livelli occupazionali medi dell’Italia
rispetto ai target europei è ascrivibile al Mezzogiorno, che dista dagli attuali
livelli medi UE di oltre venti punti percentuali sia per il totale che per la
componente femminile (Tav. 3). Tuttavia, anche nel Centro-Nord i livelli
occupazionali rimangono inferiori rispetto ai target europei ed agli stessi
odierni livelli medi dell’UE (59,9% contro 63,3% per il totale e 48% contro
53,4% per la componente femminile). Il divario è concentrato tra i giovani
e, soprattutto, nel caso dei maschi, tra i più anziani; più diffuso nel caso
della componente femminile. Fatto salvo il caso degli anziani, il Centro-Nord
ha però evidenziato una certa tendenza al recupero dei gap esistenti. Nel
quinquennio 1995-2000 la crescita del tasso d’occupazione è stata
3
Il Belgio, ove i livelli dell’occupazione dei più anziani erano significativamente più bassi che in
Italia, ha evidenziato una tendenza espansiva, mentre l’Italia è riuscita, a partire dal 1998,
soltanto a stabilizzare i propri livelli, che oggi l’accomunano sotto il 30% solo a Belgio, Austria,
Francia e Lussemburgo.
7
significativamente superiore a quella media UE per la componente femminile
(+5,7 punti percentuali nel Centro-Nord contro il +3,7 medio della UE); è invece
risultata leggermente meno accentuata per i maschi (+1,8 punti percentuali
contro il +2,3 medio della UE), nel cui caso ha influito soprattutto la negativa
performance dei 55-64enni. In termini di scenario, immaginando di replicare le
tendenze del biennio 1998-20004) e realizzando una qualche inversione di
tendenze per i soggetti più anziani, queste regioni sarebbero in grado di superare
al 2010 le soglie UE del 70% e del 60% rispettivamente per l’occupazione totale
e femminile (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, Rapporto di
Monitoraggio no. 1-2001, scheda 1).
Nell’ottica di una strategia che miri all’innalzamento dei livelli occupazionali
verso i traguardi posti in sede europea quattro appaiono le aree maggiormente
problematiche: il Mezzogiorno, l’ingresso nel mondo del lavoro dei più giovani,
la fuoriuscita ancora troppo precoce dal mondo del lavoro dei più anziani e la
scarsa, pur se crescente, partecipazione al mondo del lavoro della componente
femminile.
il Mezzogiorno…
Il dualismo territoriale rappresenta il nodo fondamentale del mercato del lavoro
italiano, quello in cui si esplicita la segmentazione più evidente. Tutti i dati
esistenti testimoniano di un’area che presenta un marcato squilibrio tra domanda
e offerta, con conseguente sottoutilizzo di risorse umane. I bassi livelli
occupazionali del Mezzogiorno si riconnettono con la più generale questione
delle prospettive di sviluppo economico di quelle regioni.
Il Mezzogiorno si caratterizza per un livello del PIL per abitante pari al 56%
circa di quello del Centro-Nord (SVIMEZ, 2000). Il divario, ampliatosi
nell’ultimo quindicennio5, è ascrivibile tanto ad una minore produttività per
occupato che ai più bassi livelli dell’occupazione nella popolazione. La bassa
produttività, conseguenza anche di diversi fattori ambientali, deprime la
domanda di lavoro e la capacità d’impiego, per dati salari, delle imprese
meridionali. Lo scarso legame esistente tra produttività aziendale e
condizioni del mercato locale del lavoro, da un lato, e retribuzioni,
dall’altro, si traduce quindi in più bassi livelli occupazionali.
In questo quadro, la “valvola di sfogo” rappresentata dall’economia sommersa
risulta essere inefficace, oltre che fonte di iniquità. Secondo le ultime stime
ISTAT disponibili (1999), le unità di lavoro classificabili come non regolari
4
Più accentuate di quelle medie dell’intero quinquennio 1995-2000 tanto per l’Italia (e il CentroNord al suo interno) che per la media UE complessiva.
5
Le tendenze dell’ultimo quinquennio appaiono peraltro più favorevoli, con un leggero
miglioramento relativo del Mezzogiorno in parte da ricollegare alla ripresa dei flussi migratori
tra le due aree (il saldo netto dei movimenti da Sud a Nord, pari a 30mila persone all’anno nel
decennio 1985-1994 è stato di 80mila persone nel 1999 ed in parte alla migliore performance
relativa del PIL meridionale, dopo il picco ciclico del 1995. Quest’ultima, non è peraltro da
sopravvalutare. Essa è infatti intervenuta in un momento di difficoltà sui mercati internazionali
delle produzioni italiane, comunque largamente localizzate nel Centro-Nord. Avuta presente la
condizione ciclica del periodo, più che di un maggior sviluppo del Mezzogiorno, si deve inoltre
parlare di una minore frenata di quelle regioni, il cui andamento è comunque tradizionalmente
meno dipendente dal ciclo economico.
8
erano quasi tre milioni e mezzo (come stimate nell’ambito dei conti nazionali),
pari al 15,1% del volume di lavoro complessivamente impiegato nell’economia.
L’incidenza del lavoro non regolare appare massima nei servizi domestici e
nell’agricoltura (rispettivamente 80% e 30% circa del volume complessivo di
lavoro). Valori significativamente più elevati della media si registrano però
anche nel commercio e nelle costruzioni. A livello territoriale, il fenomeno è poi
concentrato nel Mezzogiorno, dove l’irregolarità di solito travalica il mancato
assolvimento degli obblighi contributivi e fiscali, per comportare anche il ricorso
a condizioni lavorative, salariali e non, inferiori rispetto agli standard
contrattuali. Peraltro, molte attività svolte nel sommerso riescono a sopravvivere
proprio grazie al più basso costo del lavoro che le contraddistingue.
D’altro canto, la precarietà dei rapporti di lavoro propri dell’economia
sommersa, l’impossibilità di crescere delle imprese che al suo interno operano e
sopravvivono proprio grazie all’evasione delle diverse norme salariali, fiscali e
regolamentative, certo non facilita lo sviluppo della produttività e l’innesco di un
circolo virtuoso di sviluppo economico che dovrebbe consentire l’innalzamento
progressivo dei salari effettivi. In particolare nel Mezzogiorno, flessibilità nel
mercato del lavoro, fuoriuscita dal sommerso ed azioni di contesto atte ad
innescare processi di crescita della produttività globale dell’area appaiono
perciò come strategie interconnesse e non alternative al fine di innescare
nell’area un processo di sviluppo economico e di crescita dell’occupazione
regolare.
i giovani…
Il tasso di disoccupazione delle fasce di età più giovani continua ad essere uno
dei più elevati dei paesi europei a confermare come questo sia una delle
caratteristiche più negative del mercato del lavoro italiano. Ugualmente, le
prospettive dei giovani nel mercato del lavoro, pur se migliorate negli ultimi
anni proprio grazie alla maggiore flessibilità in ingresso introdotta (specie
nel Centro-Nord), ancora appaiono contraddistinte da una difficoltosa
transizione dalla scuola al lavoro. Si tratta di due ambiti piuttosto separati, con
il risultato di un prolungamento dei tempi di accesso nel mondo del lavoro e del
rischio di una progressiva disincentivazione degli investimenti in capitale
umano.
L’Italia, va ricordato, continua ad avere un significativo gap nei livelli educativi,
rispetto alla media dei paesi OCSE, anche considerando le classi d’età più
giovani: nel 1999, solo l’11,3% dei 35-44enni era in possesso d’un titolo di
studio universitario a fronte d’una media OCSE del 14,96. Gli anni novanta
hanno tra l’altro evidenziato un certo rallentamento nei ritmi di crescita degli
anni di scolarità media nella popolazione adulta7, anche se segnali favorevoli
risultano per quanto riguarda sia la frequenza scolare nel post-obbligo e sia le
immatricolazioni universitarie.
6
Il divario è ancor più ampio tra i 25-34enni (10% contro 16,5%) per via del ritardo alquanto
elevato con cui in Italia vengono conclusi gli studi: secondo le recenti valutazioni del Comitato
nazionale per la valutazione del sistema universitario (CNVSU), la laurea viene in media
conseguita in 7 anni, all’età di 27 anni e mezzo, con un ritardo rispetto alla durata legale del
corso universitario tra i due ed i quattro anni.
7
Tra i 25-34enni si è passati da 10 a 10,9 anni tra il 1991 ed il 1999, a fronte di incrementi di 1,4
e 2,3 anni nei due decenni precedenti.
9
Significativi miglioramenti nel facilitare l’accesso dei più giovani al mercato del
lavoro sono derivati dagli strumenti di flessibilità introdotti a partire dal 1997.
Un canale come quello dell’interinale, ad esempio, consente a chi sia studente di
fare brevi esperienze lavorative che poi potranno essere utili nel momento in cui
dovrà cercarsi una collocazione lavorativa a tempo pieno. Poco diffuse sono
però ancora le figure miste, di studenti che ad esempio svolgano lavori part time
di breve durata, a differenza di una situazione come quella olandese, dove il
forte sviluppo del part time è spiegato, oltre che dalla componente femminile,
dalla crescita sostenuta del cosiddetto part time breve (inferiore alle dodici ore
settimanali) tra gli studenti8.
gli anziani…
L’invecchiamento della popolazione, in Italia più rapido che in altri paesi
industrializzati, è stato un fenomeno che solo recentemente ha trovato
un’adeguata attenzione presso istituzioni e attori sociali. Il continuo aumento
della disoccupazione dei gruppi più anziani e la loro scarsa partecipazione al
mercato del lavoro sono segnali che sono stati a lungo sottovalutati.
Occorre rilevare come, nel caso della componente maschile, il forte calo
registratosi nei rapporti di lavoro a tempo pieno e indeterminato, connesso
con i processi di pensionamento, non è stato compensato dalla crescita del
lavoro atipico (a tempo parziale e/o determinato). Particolarmente scarso
risulta essere il ricorso al part time proprio per quanto riguarda i lavoratori
più anziani. L’aumento del part time realizzatosi nel complesso della
popolazione è nel caso dei 55-64enni piuttosto contenuto, addirittura irrilevante
nel caso dei maschi.
Sull’evoluzione di queste dinamiche hanno giocato un ruolo gli scarsi
incentivi alla prosecuzione dell’attività lavorativa. Paradossalmente per i
lavoratori anziani è rimasto accessibile il canale delle pensioni d’anzianità, non
applicandosi neppure le norme relative al nuovo sistema pensionistico
contributivo, che avrebbe invece già insiti meccanismi d’incentivazione del
proseguimento dell’attività lavorativa e, basando il calcolo dei trattamenti
pensionistici sull’intera vita lavorativa e non solo sugli ultimi anni di
contribuzione, non disincentiverebbero il passaggio eventuale a rapporti di
lavoro a tempo parziale. Più in generale va rilevato come, stante l’elevato livello
degli oneri contributivi ancora vigenti, i meccanismi di flessibilità all’ingresso
sinora introdotti, non operanti nel caso dei soggetti più anziani e basati spesso su
rapporti contrattuali caratterizzati da un minore peso contributivo, hanno
contribuito a favorire uno spostamento della domanda di lavoro verso le nuove
generazioni.
8
Va inoltre ricordato che le forme di alternanza tra scuola e lavoro concretamente realizzate
hanno spesso fatto ricorso a tipologie contrattuali in linea di principio pensate con altre finalità e
con una dote d’incentivazione finanziaria. Con riferimento al caso del Veneto, dove più intenso è
il lavoro estivo di chi durante l’inverno frequenti la scuola, si può stimare che circa un quarto
degli apprendisti in essere alla fine di luglio (picco stagionale del fenomeno) non è più tra gli
occupati a tre mesi di distanza, essendo rientrato (presumibilmente) sui banchi di scuola (cfr.,
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Rapporto di Monitoraggio no.2-2000, box B3 e
no. 1-2001, scheda 11).
10
le donne…
La componente femminile è quella per la quale la crescita occupazionale
nell’ultimo quinquennio è stata più consistente, specie nel Centro-Nord, ove
si è ridotto il gap che comunque permane rispetto alla media UE (gap che è
invece massimo ed è cresciuto ancora nel caso del Mezzogiorno; cfr. Tav. 3).
La crescita della presenza femminile nel mercato del lavoro ha interessato
pressoché tutte le classi d’età e, particolarmente nel Centro-Nord, sembra
comportare una modifica strutturale nel modello della presenza femminile nel
mercato del lavoro lungo il ciclo di vita. Opportunità importanti, atte a conciliare
vita familiare e presenza nel mercato del lavoro, sono discese anche dallo
sviluppo del part time, sostenuto proprio per le donne con figli minori a carico.
L’Italia da questo punto di vista rimane, però, un paese in cui scarsa è la
presenza di sostegni alle famiglie con figli minori, soprattutto in termini di
disponibilità di servizi, pubblici e privati, per cui spesso tra scelte lavorative e
scelte relative alla fecondità si genera un accentuato trade-off.
La maggiore presenza femminile, favorita dagli strumenti di flessibilità
all’ingresso oltre che da mutamenti tecnologici e culturali, non appare aver
portato a fenomeni di accentuata precarizzazione della componente femminile
nel mercato. Come detto, nel part time è particolarmente bassa l’incidenza della
componente involontaria proprio nel caso delle donne. L’aumento
dell’occupazione femminile non è, inoltre, andato a discapito della retribuzione
relativa delle donne, anche se rimane un divario di circa venti punti percentuali
nei salari maschili e femminili.
la disoccupazione di lunga durata
Un ulteriore squilibrio che caratterizza il mercato del lavoro in Italia è costituito
dalla quota estremamente elevata dei disoccupati con un lungo periodo di ricerca
di lavoro. Il tasso di disoccupazione di questo segmento specifico è pari
all’8,3% mentre la media europea si posiziona al 4,9%. Anche l’incidenza
risulta tra le più elevate in Europa, con differenziali molto sensibili.
La crescita dello stock di disoccupati è da attribuirsi al progressivo aumento
delle persone con una durata di ricerca particolarmente lunga. In
particolare, appaiono colpiti da questa condizione coloro che non possiedono
precedenti esperienze lavorative, vale a dire i segmenti più giovani della
popolazione, piuttosto che quelli che hanno perso un precedente posto di lavoro.
Questo fenomeno indica la presenza di ancora rilevanti barriere all’entrata o la
difficoltà di accesso al mercato del lavoro e quindi appare da imputare ad
ostacoli di carattere regolatorio.
Occorre sottolineare, tuttavia, come una lunga permanenza nella disoccupazione
di individui con precedenti esperienze lavorative, pure avendo minore rilevanza
in termini di funzionamento del mercato del lavoro, possa comportare effetti
sociali più pesanti, con seri rischi di marginalizzazione ed esclusione sociale per
questi soggetti.
11
Tav. 3 – Occupazione e disoccupazione: il gap con l’Europa (valori %)
Tasso di occupazione
Maschi(a) Femmine(a) Totale(a)
55-64enni
Tasso di disoccupazione.
Maschi Femmine Totale
15-24enni in cerca di
lavoro: % sulla
popolazione
Centro - Nord
Mezzogiorno
Italia
Unione
Europea
70,0
58,4
65,9
42,3
23,1
35,4
56,2
40,6
50,6
1995
27,3
30,9
28,5
5,2
16,3
9,0
11,4
28,9
16,2
7,6
20,4
11,6
9,9
17,0
12,8
70,2
49,7
60
35,9
9,4
12,5
10,7
10,2
Centro - Nord
Mezzogiorno
Italia
Unione
Europea
71,9
59,5
67,5
48,0
24,6
39,6
59,9
42,0
53,5
2000
26,2
30,8
27,7
3,9
16,3
8,1
8,4
30,4
14,5
5,7
21,0
10,6
7,1
17,7
11,7
*72,5
*54,0
63,3
*37,7
7
9,7
8,2
7,8
Fonti: Istat, rilevazione trimestrale delle forze di lavoro; Eurostat.
* Stime Eurostat.
(a) 15-64enni
2.4. Qualità del lavoro
La criticità del mercato del lavoro in Italia non è determinata solo dagli
indicatori quantitativi finora sottolineati. Esiste anche, ed è crescente, un
problema di qualità del lavoro. Diverse sono le evidenze empiriche che fanno
propendere per un giudizio non positivo sulla qualità del nostro mercato del
lavoro, come recentemente sottolineato anche dalla Commissione Europea. La
qualità non buona è anzitutto insita nei differenziali occupazionali già
richiamati, nel concentrarsi della disoccupazione a livello geografico, nel
gender gap e nei particolarmente bassi livelli occupazionali dei giovani e dei
più anziani. Aspetti altrettanto importanti della qualità del lavoro attengono
peraltro la presenza di investimenti formativi che facilitino lo sviluppo
professionale e di carriera, all’interno e all’esterno dell’azienda, dei lavoratori, la
tutela della sicurezza e della salute dei lavoratori, nonché il bilanciamento tra
esigenze e desideri di questi e flessibilità operative delle aziende.
Un mercato del lavoro flessibile, al contrario di quanto spesso temuto, può
migliorare la qualità oltre che la quantità dei posti di lavoro, rendendo più
fluido l’incontro tra obiettivi e desideri delle imprese e dei lavoratori in
tema di caratteristiche della prestazione lavorativa, consentendo ai singoli
individui di cogliere le opportunità lavorative più proficue ed evitando che
gli stessi rimangano intrappolati in ambiti ristretti e segmentati. I lavoratori
necessitano, in tale contesto, di adeguate forme di tutela, ma queste devono agire
innanzitutto nel mercato, non operare contro il mercato o comunque
esclusivamente nell’ambito del rapporto di lavoro in essere.
Da questo punto di vista, il nostro mercato del lavoro appare ancora alquanto
immobilizzato, scontando anche l’insoddisfacente funzionamento dei servizi
pubblici per l’impiego e dei processi di incontro tra domanda ed offerta. Se si
12
valutano i dati relativi alla mobilità occupazionale, risulta che in media in
Europa il 10% dei lavoratori di professionalità alta ha cambiato lavoro
nell’ultimo anno, cercando opportunità occupazionali più convenienti. Questo
dato sale al 12% per il Regno Unito, la Danimarca, la Francia e la Svezia. In
Italia siamo al 5%, cioè all’ultimo posto nel contesto comunitario. Si tratta di un
profilo poco analizzato (ci si concentra più spesso sul ben noto deficit di
mobilità geografica), che invece ben rivela la staticità del nostro mercato del
lavoro e l’inadeguatezza dei meccanismi di incrocio fra domanda e offerta.
In questo quadro il Governo condivide le preoccupazioni della Commissione
europea quanto al nesso fra bassa qualità del mercato del lavoro e rischio di
esclusione sociale. Come sottolineato a più riprese la segmentazione del mercato
del lavoro si basa su di una divisione fra soggetti titolari di retribuzioni
accettabili, con relativa sicurezza dell’impiego e prospettive di carriera, da un
lato, e, dall’altro, non soltanto disoccupati e lavoratori “scoraggiati” ma anche
quanti sono occupati in lavori di bassa qualità, basati sul precariato, senza
prospettive di formazione o sviluppi di carriera.
2.5. Salari e produttività
La politica dei redditi e l’assetto contrattuale derivati dagli Accordi del 1992 e
del 1993, da un lato hanno permesso il raggiungimento degli obiettivi
macroeconomici allora prefissati (entrata nell’Unione Economica e Monetaria e
risanamento della finanza pubblica), dall’altro hanno garantito la coerenza e la
compatibilità delle diverse variabili economiche, in particolare dei salari.
In questi anni, tuttavia, maggiore flessibilità e moderazione salariale non
sembrano aver portato ad uno spostamento a favore dei profitti lordi nella
distribuzione funzionale dei redditi. La quota del lavoro nel valore aggiunto
manifatturiero, specie se valutata al netto dello scalino connesso col passaggio
dai contributi sanitari all’IRAP (contabilmente inseriti i primi nei redditi lordi da
lavoro e la seconda nei profitti lordi nell’ambito dei conti nazionali), pur tra
fluttuazioni cicliche, non mostra tendenze al declino in confronto con gli anni
ottanta. Nei servizi privati emerge un trend negativo, peraltro arrestatosi negli
ultimissimi anni, che sembra però attribuibile principalmente agli effetti una
tantum della liberalizzazione di molti servizi e utilities–con le connesse
ristrutturazioni straordinarie che ne sono seguite, specie nei primi anni novanta–
ed all’ancora graduale e incompleto passaggio ad un regime di piena
concorrenza. Il permanere di strutture di mercato non pienamente
competitive rischia, infatti, di mantenere alti prezzi di vendita e profitti a
discapito dei volumi produttivi e della stessa occupazione.
Durante il medesimo arco temporale, peraltro, scarsa crescita, alta
disoccupazione ed elevato carico fiscale e lo stesso modello contrattuale
scaturito dagli Accordi del 1992-1993 hanno portato ad un’evoluzione poco
lusinghiera dei salari reali al netto delle imposte. Quest’ultima è da
ascrivere, in particolare, alla crescita della pressione fiscale sul lavoro, che,
nonostante la riduzione avviata negli ultimi anni, nel 2000 era ancora
superiore a quella media UE.
13
La struttura della contrattazione collettiva in Italia è rimasta fortemente
centralizzata, imperniata sul contratto nazionale di categoria. Un certo grado di
coordinamento è stato garantito, quanto meno potenzialmente, dal predominio
del livello confederale. Infatti, l’Accordo del 1993 ha trasformato il Ccnl in
contratto biennale per la parte economica e quadriennale per la parte normativa,
introducendo importanti principi generali di governo dei salari nominali. Il
riferimento all’inflazione programmata svolge, infatti, un’importante funzione di
coordinamento tra i diversi settori. Il principio di non automatico recupero
dell’inflazione passata -dovendosi tenere conto delle eventuali origini esterne al
sistema produttivo (variazioni delle ragioni di scambio), nonché delle condizioni
economiche generali- contrasta il rischio di spirali inflazionistiche.
Il contratto di secondo livello, che avrebbe dovuto consentire possibili
differenziazioni salariali, stabilendo uno stretto legame tra retribuzione e
performance dell’impresa non ha trovato quella maggiore diffusione che si
intendeva ottenere. Esso essendo non sistematico e non universale, e rimanendo
circoscritto alle imprese più grandi, è rimasto più instabile nel tempo. Il contratto
aziendale prevedeva una specializzazione tematica ed un orientamento verso
meccanismi di profit sharing. In azienda, l’enfasi posta sul profit sharing ha
contribuito ad un ulteriore passo in avanti verso relazioni industriali non
conflittuali e si è registrato un effettivo incremento della quota di salario
variabile.
Tuttavia, l’obiettivo di una maggiore decentralizzazione della contrattazione,
tale da permettere un’effettiva redistribuzione dei guadagni di produttività, è
stato solo parzialmente raggiunto. La distinzione dei ruoli dei due livelli di
contrattazione, nazionale ed aziendale, è stata importante per potenziare la
componente variabile del salario, ma non ha, di fatto, introdotto modifiche
sostanziali nei meccanismi di formazione dei differenziali salariali “esterni”,
cioè quelli fra imprese, fra settori, fra aree territoriali. Il sistema di
contrattazione collettiva ha mantenuto, dunque, caratteristiche di
centralizzazione che si sono rivelate eccessive e inadatte ad assicurare quella
flessibilità della struttura salariale capace di adeguarsi ai differenziali di
produttività e di rispondere ai diversi disequilibri del mercato.
Il sistema di determinazione del salario in Italia favorisce il permanere di una
struttura delle retribuzioni relativamente poco articolata. Inoltre, è da ricordare
l’assenza di un regime di salario minimo legale. Tale funzione, infatti, è
esercitata dai contratti collettivi nazionali di settore. Rispetto ad altri paesi,
questa funzione è però svolta con minore efficacia, in termini di prevenzione di
abusi, visto che i Ccnl hanno livelli salariali, in termini relativi rispetto alla
retribuzione media effettiva, piuttosto elevati. Il livello dei minimi sanciti dai
Ccnl corrisponde tra i due terzi e i tre quarti del salario medio effettivo, ben al di
sopra del 50% circa garantito dai salari minimi legali nella maggior parte degli
altri paesi europei che hanno questo strumento.
Al fine di determinare valori di equilibrio dei vari tipi di differenziali, il mercato
ha continuato ad operare attraverso varie forme di slittamento salariale, trovando
un limite, tuttavia, nei livelli minimi salariali fissati dai contratti nazionali, i
quali hanno determinato una struttura delle retribuzioni più “compressa” di
quella che sarebbe altrimenti risultata sulla base dell’azione dei fattori di
14
carattere economico. In sostanza, invece di “liberare” i salari, essi sono stati
ricondotti in un sistema di “gabbie”. Queste osservazioni valgono anche (e
soprattutto) per i differenziali salariali territoriali. I dati disponibili indicano che
le retribuzioni sono più elevate al Nord rispetto al Sud, ma molto probabilmente,
il differenziale è minore di quello che sarebbe necessario per avere un mercato
del lavoro più equilibrato e per correggere i differenziali territoriali nei tassi di
disoccupazione che contraddistinguono il nostro paese.
In confronto con altri grandi paesi europei, il nostro deteneva (1995, ultimi
dati disponibili) il primato della dispersione territoriale dei tassi di
disoccupazione, mentre è all’ultimo posto della graduatoria della
dispersione territoriale dei livelli salariali (Tav. 4). Siamo un paese molto
“egualitario” in politica salariale, ma molto disuguale dal punto di vista
delle condizioni di lavoro.
Tav. 4 - Dispersione territoriale di disoccupazione, produttività e salari in
alcuni paesi europei
Tasso di
Valore aggiunto Retribuzioni
disoccupazione
pro-capite
mensili
(1996)
(1994)
(1995)
ITALIA
Francia
Regno Unito
Spagna
62,8
18,4
14,4
21,1
24,6
25,1
13,1
18,4
8,4
16,0
12,8
11,7
N. aree
per paese
10
8
11
7
La situazione non è molto cambiata in questi ultimi 5 anni, anzi, si può
affermare che, per certi versi, è anche peggiorata. I differenziali territoriali delle
retribuzioni e della produttività del lavoro non sono significativamente cambiati
in questo periodo, mentre si è prodotta la progressiva de-fiscalizzazione degli
oneri sociali nel Mezzogiorno. Questo insieme di fattori, costanza dei
differenziali e de-fiscalizzazione, ha determinato un effetto perverso sui
differenziali territoriali sia del costo del lavoro che del costo del lavoro per unità
di prodotto. Il costo del lavoro medio nel Mezzogiorno si è avvicinato, in termini
relativi, a quello medio del Nord, mentre il Clup (costo del lavoro per unità di
prodotto) medio nel Mezzogiorno è aumentato ulteriormente, sempre in termini
relativi, rispetto a quello del Nord. Entrambi gli effetti hanno comportato una
perdita di competitività per le imprese del Mezzogiorno e, coeteris paribus, un
minor incentivo per le iniziative imprenditoriali a localizzarsi nel Mezzogiorno.
In questo quadro, nelle regioni settentrionali l’aumento del tasso di
occupazione appare conseguibile attraverso un aumento di offerta di lavoro.
Un aumento dell’offerta di lavoro al Nord ed una significativa riduzione
della disoccupazione al Sud possono richiedere, fra le altre cose, una più
accentuata differenziazione dei rispettivi salari reali.
15
3. Politiche attive e politiche passive
Alla luce del complesso di obiettivi diversi da quelli strettamente quantitativi in
tema di occupazione, oltre agli appena ricordati divari nei livelli e nelle chances
occupazionali, che sono una causa prima di iniquità, p.es. tra occupati e
disoccupati o tra maschi e femmine, occorre certamente valutare quanto le
misure di flessibilità sinora introdotte abbiano risolto vecchie iniquità o ne
abbiano introdotte di nuove.
L’impressione è che, nel facilitare l’accesso al lavoro di soggetti prima esclusi
(donne, giovani), gli strumenti di flessibilità all’ingresso abbiano contribuito a
ridurre le iniquità e le inefficienze discendenti da un mercato del lavoro rigido.
Al tempo stesso, però, l’incompletezza del processo di introduzione di nuove
flessibilità, lo scarso sviluppo di importanti strumenti di tutela nel mercato –un
tratto tradizionale dell’Italia, in cui scarsamente efficaci sono stati i meccanismi
di mediazione di manodopera e gli ammortizzatori sociali– il ridotto sviluppo di
strumenti di sostegno al reddito dei meno abbienti, possono avere conseguenze
negative nel nuovo contesto più flessibile. In altri termini, vi è il rischio che
all’attenuazione delle rigide tutele relative al singolo rapporto di lavoro posto in
essere non faccia da contraltare lo sviluppo di efficaci forme di tutele nel
mercato, tutele tanto più necessarie nel contesto attuale di maggiore flessibilità,
con un turn over occupazionale più intenso.
Da questo punto di vista i nodi maggiormente problematici riguardano tanto le
c.d. politiche attive (incentivi e servizi a favore del primo impiego dei giovani e
del reimpiego dei disoccupati) quanto quelle passive (ammortizzatori sociali) e,
più in generale, le politiche sociali e fiscali di sostegno ai meno abbienti.
La spesa per politiche attive nel 2000 è stimabile allo 0,6% del PIL, un importo
inferiore a quello medio dei paesi OCSE9. Tenuto conto dell’importo speso per
politiche passive, l’Italia emerge peraltro come un paese che già oggi spende
relativamente di più in politiche attive che in politiche passive. Al di là della
dimensione della spesa complessiva, i problemi principali sembrano però
riguardare la composizione interna e l’efficacia delle politiche attive.
Anzitutto va rilevato che, in ossequio agli standard contabili Eurostat, la spesa
per politiche attive ricomprende anche i Lavori Socialmente Utili, in quanto
schemi di creazione diretta di posti di lavoro (Ministero del Lavoro e delle
Politiche Sociali, Rapporto di monitoraggio no. 1-2001). Quanto al resto, la
voce prevalente è rappresentata dai cd contratti a causa mista (apprendistato e
cfl) e da altri schemi di incentivazione finanziaria dell’impiego. Meno rilevanti,
quanto a spesa e soprattutto quanto ad efficacia, sono gli interventi formativi
propriamente detti e l’ausilio alla ricerca del lavoro da parte dei disoccupati. Le
politiche attive del lavoro si sono identificate sostanzialmente con i sostegni al
reddito.
Scarse sono le esperienze di politiche attive, soprattutto quelle che combinano
azioni integrate finalizzate al reinserimento (orientamento, formazione,
inserimento). Si è, infatti, eseguito un decentramento di competenze ma non di
16
politiche. Esempi evidenti sono le carenze sulle politiche per l’immigrazione,
quelle per la mobilità territoriale, quelle per la rete informatica ed in generale
l’offerta di servizi per la disoccupazione di lunga durata. Al contrario, tra le
poche azioni di sistema che si muovono in questa direzione, cercando di attuare
azioni integrate, sono da ricordare quelle finalizzate alla riconversione dei
Lavori Socialmente Utili e per l’alfabetizzazione informatica.
3.1. Ammortizzatori sociali
Come è noto, con riguardo all’ammontare della spesa sociale complessiva,
l’Italia è il paese Europeo che destina la quota più piccola ai trattamenti di
disoccupazione (Fig. 2). La struttura della spesa sociale italiana denota,
infatti, un’accentuata caratterizzazione pensionistica ed una bassa
incidenza tanto dei trattamenti di disoccupazione quanto di quelli
assistenziali a favore di soggetti in età lavorativa (invalidità, famiglia,
abitazione e assistenza sociale in senso proprio)10. Rispetto al PIL, i dati
disponibili (ESSPROS, 1998) denotano un’incidenza dei trattamenti di
disoccupazione pari in Italia allo 0,7% a fronte di una media UE dell’1,9%11.
Fig. 2 – Benefici sociali per funzione – anno 1998
70,0
60,0
50,0
40,0
30,0
20,0
10,0
0,0
EU- EUR- EUR15
11
12
B
DK
disoccupazione
D
EL
E
salute
F
IRL
I
L
previdenza
NL
A
P
FIN
altro
Fonte: elaborazioni su dati Eurostat, European Social Statistic – Social Protection
Expenditure and Receipts – 1980-1998
10
Il dato riportato nella Figura 2, derivante dal set di dati ESSPROS dell’Eurostat, risente
ovviamente di peculiarità definitorie. In particolare è da ricordare che la spesa pensionistica
include le erogazioni relative al TFR e che i trattamenti pensionistici includono anche quelli
operanti a titolo assistenziale (pensioni sociali etc.) a favore dei soggetti più anziani. I
prepensionamenti in senso proprio, purché originati da cause economiche, sono invece inclusi
nella voce relativa ai trattamenti di disoccupazione. Operando definizioni diverse, ad esempio
escludendo il TFR, la connotazione pensionistica della spesa sociale italiana si attenuerebbe,
senza però venir meno da un punto di vista qualitativo.
11
I dati aggiornati del Rapporto di monitoraggio no. 1-2001 evidenziano come tale bassa
incidenza non muterebbe neppure includendovi la spesa relativa ai Lavori Socialmente Utili, che
per coerenza contabile con gli schemi Eurostat vengono normalmente inclusi tra le politiche
attive in quanto schemi di creazione diretta di posti di lavoro: il totale prima citato si eleverebbe
di poco meno di un decimo di punto percentuale di PIL (l’ultimo dato di consuntivo riguarda il
1999 e la spesa per LSU si può cifrare in circa 1.500 mld di lire).
S
UK
17
Il divario rispetto agli altri paesi europei nella spesa contrasta con quello nei
livelli della disoccupazione. Su tale tradizionale caratterizzazione del caso
italiano ha inciso il fatto che tra le persone in cerca di lavoro vi sia una quota
elevata di persone in cerca del primo impiego, non coperte dagli schemi
assicurativi contro la disoccupazione. Le rigidità nella regolamentazione dei
rapporti di lavoro - il prevalere della tutela dei rapporti in essere – ha reso
meno pressante l’esigenza di fornire un sostegno a fronte del rischio di
disoccupazione e, al tempo stesso, producendo una frattura tra occupati e
inoccupati, ha contenuto la platea di potenziali beneficiari dei trattamenti di
disoccupazione comunque esistenti. Sul volume complessivo di spesa, ha poi
inciso il fatto che i trattamenti previsti nello schema di carattere più generale (il
trattamento ordinario che copre tutti i lavoratori dipendenti) fossero alquanto
ridotti tanto nei livelli quanto nelle durate previste.
Un altro connotato degli ammortizzatori sociali è la sua estrema eterogeneità
interna. La tutela limitata fornita dallo schema ordinario (anche dopo
l’innalzamento introdotto dal gennaio del corrente anno)– contrasta con quella
propria dell’indennità di mobilità propria del settore industriale. Ancora più
ampio sarebbe poi il differenziale di trattamento ove si considerasse che, nella
pratica attuazione, i trattamenti di mobilità spesso intervengono successivamente
a quelli di CIG straordinaria, trattamento di importo pari a quello della mobilità
e che interviene in costanza del rapporto di lavoro in essere, il che tende a
prolungare ulteriormente la durata effettiva dei trattamenti .
Nonostante i più generosi trattamenti forniti da CIG e mobilità, il complesso dei
due strumenti evidenzia un sostanziale equilibrio finanziario tra contributi e
prestazioni (Fig. 3). L’avanzo della CIG, anzi, grazie anche al buon momento
congiunturale, nel 2000 più che compensava il deficit proprio della mobilità, che
intervenendo, come detto, nelle stesse fattispecie aziendali e spesso in
successione temporale rispetto alla CIG è stata perciò consolidata assieme a
quest’ultima nella figura qui riportata12. Le contribuzioni pagate nel settore
industriale, pur se ovviamente a prezzo di elevare il costo del lavoro
complessivo, sono infatti sufficienti a finanziare quei trattamenti. Ciò avviene
anche, pur se su livelli più contenuti tanto delle contribuzioni quanto delle
prestazioni, anche per quanto attiene il trattamento ordinario nei settori extra
agricoli13. Uno squilibrio strutturale tra contribuzioni e prestazioni caratterizza
invece i trattamenti (ordinari e speciali) riservati al settore agricolo.
Nel complesso (e tenendo conto anche delle indennità relative al settore edile),
gli strumenti ora citati appaiono in sostanziale equilibrio finanziario nel 2000,
anno in cui, l’avanzo dei settori industriali, in ciò favoriti dal quadro
congiunturale positivo, compensa il disavanzo strutturale dei trattamenti relativi
all’agricoltura. Includendo nella spesa per ammortizzatori sociali anche gli oneri
12
Tra gli oneri relativi a CIG e mobilità non è stata inclusa la spesa per gli sgravi all’assunzione
dei lavoratori in CIGS e mobilità (classificata tra le politiche attive).
13
La figura considera i trattamenti ordinari extra-agricoli escludendo la gestione speciale per
l’edilizia. Il quadro non muterebbe includendo pure quest’ultima. Il raggiungimento
dell’equilibrio finanziario per le indennità ordinarie extra-agricole è stato anche favorito dalla
previsione normativa, operante a tutti gli effetti dal 1999, che ha teso ad escludere più nettamente
i soggetti dimessisi dal precedente lavoro dalla platea dei beneficiari effettivi.
18
relativi a quegli schemi a totale carico della fiscalità generale prepensionamenti e LSU, che come più volte detto sono per convenzione
classificati tra le politiche attive ma hanno acquisito una natura sostanziale di
ammortizzatore sociale di ultima istanza – emerge, anche nel 2000, un sia pur
contenuto deficit tra prestazioni e contributi. Rispetto alla metà degli anni
novanta, netto appare, peraltro, il miglioramento causato dal miglior clima
congiunturale (Fig. 4).
Fig. 3 – Saldo fra prestazioni e contributi nei principali comparti settoriali
degli ammortizzatori sociali
3.000
2.000
1.000
1990
1991
1992
1993
1994
1995
1996
1997
1998
1999
2000
-1.000
-2.000
-3.000
-4.000
Cassa Integrazione e Mobilità
Ind. di disoccupazione non agricola
Ind. di disoccupazione agricola
Fonte: elaborazioni su dati INPS
Fig. 4 – Spesa per ammortizzatori sociali e contributi a finanziamento degli stessi –
anni 1990-2000
20.000
18.000
16.000
14.000
12.000
10.000
8.000
6.000
4.000
2.000
1990
1991
1992
1993
Prestazioni
Fonte: elaborazioni su dati INPS
1994
1995
1996
Copertura figurativa
1997
1998
Contributi
1999
2000
19
Tornando alle peculiarità dei diversi schemi, è da evidenziare come caratteristica
delle indennità destinate al settore agricolo, è il loro uso come strumento di
integrazione dei redditi da lavoro, più che di copertura del rischio di
disoccupazione in senso proprio. La platea dei beneficiari (580mila nel 1999;
Tav. 5) pressoché coincide con quella dei soggetti assicurati, che di fatto quasi
tutti ricevono nell’anno una qualche integrazione al reddito da lavoro corrente.
Qualcosa di simile sta peraltro progressivamente avvenendo anche nei settori
extra-agricoli tramite l’uso dei cd trattamenti con requisiti ridotti. Questi
intervengono per quei lavoratori che non raggiungano i requisiti contributivi
minimi richiesti per l’accesso ai trattamenti ordinari (almeno 52 settimane di
contribuzione nei precedenti due anni) e che però, avendo lavorato nel
precedente anno solare per almeno 78 giornate, hanno diritto ad un trattamento
pari al 30% della retribuzione per un numero di giornate pari a quelle
effettivamente lavorate nell’anno precedente. Più che d’un sussidio di
disoccupazione, si tratta pertanto d’un bonus a favore di chi abbia lavorato ma
non oltre certi limiti, per cui ne vengono ad usufruire, spesso su base stabile nel
tempo, soprattutto lavoratori precari e stagionali14. Questa modalità di utilizzo,
assieme alla crescita di peso del lavoro a termine in generale, spiega tra l’altro il
trend nettamente crescente dei trattamenti della specie, che sono giunti a
superare, nel numero dei beneficiari e nella spesa connessa, quelli con requisiti
pieni15.
Tavola 5 – Beneficiari di interventi di sostegno al reddito per area geografica e
composizione per età e sesso – anno 1999
Indennità ordinaria
non agricola
NordOvest
NordEst
Centro
CentroNord
Mezzogiorno
Italia
%maschi
%<25anni
%>45anni
req.
pieni. req. ridotti
45.816
48.012
60.107
76.840
42.647
65.008
148.570
189.860
75.506
146.679
224.076
336.539
42,8
38,0
6,5
8,0
21,7
17,4
Indennità
(a)
Indennità nel settore
Cassa Integrazione Guadagni
agricola
edile
(ordinaria (ordinaria Indennità
di cui
e speciale) e speciale) di mobilità straord.
ordinaria
edilizia
9.956
3.763
23.342
3.237
34.624
3.500
45.258
2.037
8.473
1.389
12.503
4.814
30.763
4.083
16.461
3.154
15.518
2.885
85.977
9.883
48.276
7.780
62.645
11.199
496.336
36.901
40.847
12.345
33.509
5.671
582.313
46.784
89.123
20.125
96.155
16.870
47,9
98,0
63,1
72,1
n.d.
n.d.
7,1
2,8
1,4
2,5
n.d.
n.d.
36,1
36,2
72,1
43,0
n.d.
n.d.
(a)
occupati equivalenti alle ore complessivamente integrate; i valori percentuali per sesso ed età fanno
riferimento ai soli trattamenti direttamente versati dall'INPS
Fonte: elaborazioni Ministero del Lavoro su dati INPS
14
Nel Rapporto di monitoraggio del Ministero del Lavoro no. 2-2000 si richiama l’attenzione
sulle cd ripetente nel ricorso agli ammortizzatori, sull’uso cioè ripetuto nel tempo dei diversi
ammortizzatori, facendo particolare riferimento proprio ai trattamenti con requisiti ridotti: vi si
stima (cfr. Box B8) che circa la metà dei beneficiari di un anno risulta tra i beneficiari anche
l’anno successivo; il 30% circa è tra i beneficiari anche 4 anni dopo.
15
Per quanto concerne il risultato relativo al 2001 è da ricordare che la spesa per trattamenti
ridotti potrebbe essere contenuta dal fatto che l’innalzamento dei trattamenti ordinari definito di
recente dal legislatore (dal 30 al 40% della precedente retribuzione) non è stato applicato anche
ai trattamenti con squisiti ridotti.
20
3.2. Incentivi all’occupazione
Gli schemi di incentivazione dell’occupazione, ai quali per vicinanza dei
caratteri sostanziali è possibile assimilare anche i cd. contratti a causa mista
(apprendistato e contratti di formazione e lavoro), coprono circa i due terzi della
spesa totale per politiche attive del lavoro. Complessivamente si è trattato, nel
1999, l’ultimo anno per cui è disponibile un consuntivo dettagliato, di 9.763
mld. di lire, pari allo 0,5% del PIL. Considerando gli stanziamenti di bilancio
previsti per il 2001 la spesa totale sarebbe di 10.452 mld. (Tav. 5)16.
Tra i soggetti interessati da incentivi vi è una netta predominanza dei più
giovani, in particolar modo nel Centro-Nord, in cui è maggiormente diffuso
l’apprendistato; nel Mezzogiorno ad essere più coperta è invece la classe di età
mediana (25-44), per la maggiore diffusione di strumenti diretti ai disoccupati di
lunga durata. Le donne sono rappresentate in proporzione alla percentuale di
occupati, anche se nel Centro-Nord tendono ad essere i beneficiari privilegiati
degli incentivi propriamente detti.
Per quanto attiene all’area territoriale, gli strumenti che non siano
specificamente diretti al Mezzogiorno, sono fortemente concentrati nel CentroNord (per oltre il 70%). Ciò è dovuto alla netta prevalenza, sotto il profilo
numerico, dei contratti a causa mista sugli incentivi per il reimpiego dei
disoccupati.
La modalità prevalente con cui vengono posti in essere gli incentivi è di
carattere automatico. Il prevalere degli incentivi automatici non è privo di
vantaggi: infatti, si riducono i costi amministrativi, i rischi di decisioni arbitrarie
e le conseguenti distorsioni. Entro certi limiti, non necessariamente implica una
perdita di selettività delle politiche. Nella quasi totalità dei casi vi è, in effetti,
l’identificazione di gruppi target (giovani, disoccupati di lunga durata, residenti
nelle aree depresse). A seguito dell’opposizione comunitaria ad incentivi
differenziati su base geografica, il focus territoriale degli interventi si è peraltro
progressivamente ridotto. All’interno di ciascuna categoria mancano i
riferimenti alle situazioni specifiche dei potenziali beneficiari, ivi inclusa la loro
situazione reddituale (con la sola eccezione dello sgravio capitario per il
Mezzogiorno, destinato a venir meno alla fine dell’anno in corso). Infine, le
politiche di incentivazione all’occupazione sono, nella quasi totalità, costruite
senza differenziare tra i sessi (se si esclude la legge per l’imprenditorialità
femminile e le azioni positive ex lege 125/91).
Tuttavia, l’intersecarsi di vari strumenti porta ad un grado di copertura di taluni
gruppi di popolazione quasi totalitario, il che può determinare una riduzione
della selettività effettiva degli interventi: è questo il caso dei giovani, la cui
inclusione universale nella popolazione target non sempre è giustificata dalla
situazione del mercato del lavoro, in particolare in molte regioni del CentroNord. La stessa riduzione dei costi amministrativi non sempre si realizza,
essendo le norme d’incentivazione comunque spesso complicate, difficili da
interpretare e richiedenti un certo ammontare di paper-work.
16
Per maggiori ragguagli si rimanda al Rapporto di monitoraggio del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali , no. 1-2001.
21
Gli incentivi all’occupazione sono attuati in larga parte con lo strumento dello
sgravio contributivo in misura proporzionale alla retribuzione del lavoratore
assunto. Peraltro, un trend recente è il crescente ricorso, a partire dal 1998, al
credito di imposta in cifra fissa a favore dell’impresa che operi nuove assunzioni
(questa è la modalità prevista dall’art. 7 della legge finanziaria per l’anno in
corso (L.388/2000) e già prima dalla L. 449/97 e 448/98).
Un esame dell’andamento dei singoli interventi sottolinea come, relativamente ai
contratti a causa mista si delineano due opposte tendenze: la crescita
dell’apprendistato e il decremento dei contratti di formazione-lavoro (cfl)17.
Appare opportuno ricordare che, in quanto strumento di socializzazione al lavoro
dei più giovani, i contratti a causa mista hanno avuto un importante ruolo nel
ridurre le difficoltà nella transizione dalla scuola al lavoro. Da questo punto di
vista, peraltro, un elemento particolarmente apprezzato dalle imprese è stato
fornito dalla natura a termine del rapporto di lavoro che si veniva ad instaurare.
Gli aspetti di socializzazione al lavoro, più che quelli di formazione “in aula” –
ben poco diffusi sia perché meno rientranti nelle convenienze immediate delle
imprese e dei lavoratori, sia per via della struttura dell’offerta formativa, in
genere poco orientata a rispondere alle esigenze della domanda18 – sono stati
rilevanti. Il rischio insito nell’incentivazione indiscriminata dei contratti a causa
mista è peraltro nel possibile spiazzamento dell’occupazione a tempo
indeterminato dei soggetti meno giovani e, tenuto conto dello scarso contenuto
formativo in senso proprio di tali contratti, degli investimenti in capitale umano
da parte dei più giovani.
Quanto agli incentivi all’occupazione in senso proprio, gli strumenti oggi in
vigore sono costituiti in massima parte da incentivi all’assunzione a tempo
indeterminato di soggetti beneficiari di trattamenti passivi o disoccupati di lunga
durata, e alla stabilizzazione di posti di lavoro a termine. Gli incentivi alla
stabilizzazione di posti di lavoro a termine riguardano tanto il caso della
trasformazione a tempo indeterminato di soggetti provenienti dalle liste di
mobilità, ed in precedenza assunti a tempo determinato, quanto quello di soggetti
in precedenza operanti con contratti a causa mista. Peraltro, nonostante molti
contratti a tempo determinato di per sé conducano a rapporti più stabili, le
trasformazioni incentivate dei contratti a causa mista sono però rimaste
quantitativamente contenute. Specie nelle regioni in cui il mercato è più vivace,
17
Su tale evoluzione ha influito, da un lato, la normativa nazionale – la cd. legge Treu (L.
196/1997), che ha ampliato l’area di copertura dell’apprendistato in termini di fasce d’età (oggi
si va dai 16 ai 24 anni, con possibilità di ulteriore innalzamento nelle aree depresse ed in caso di
soggetti con invalidità) ed indicato nell’apprendistato una delle tre forme di assolvimento del cd
obbligo formativo nella fascia d’età tra i 15 ed i 18 anni (cfr. oltre). Dall’altro la contestazione
comunitaria (con successiva condanna dello Stato italiano) della legittimità della differenziazione
degli sgravi previsti dai CFL in relazione all’area geografica, alla tipologia di azienda ed al
settore produttivo.
18
In base alla rilevazione ISTAT sulle forze lavoro dell’aprile 2000, si può stimare che solo il
5,4% dei giovani tra 15 e 24 anni impegnati in contratti a causa mista avessero partecipato ad
attività formative vere e proprie nelle 4 settimane precedenti l’indagine (cfr. Rapporto di
monitoraggio no. 1-2000). Tra le diverse difficoltà insite nella previsione dell’apprendistato
come cursus formativo in senso proprio, il Rapporto di monitoraggio no. 2-2000 evidenziava, a
partire dall’esperienza specifica del Veneto, la durata spesso assai breve dei singoli rapporti di
lavoro posti in essere, molti dei quali interessano del resto studenti che nella pausa estiva
lavorano come apprendisti ma che rientreranno a breve nell’iter formativo della scuola superiore
(o dell’università).
22
molti contratti a causa mista vengono interrotti dallo stesso lavoratore, che trova
di meglio o che inframmezza esperienze lavorative e frequenza scolastica, prima
della durata massima teorica, momento in cui le agevolazioni collegate alla
trasformazione apportano all’impresa il massimo vantaggio.
Un maggiore ricorso agli incentivi alla stabilizzazione dei rapporti di lavoro è
plausibile possa discendere dal credito d’imposta di cui alla legge finanziaria per
l’anno in corso (la legge 388/2000), che ha natura per certi versi complementare
rispetto al ricorso al lavoro a termine (ivi inclusi i contratti a causa mista) dei più
giovani: lo strumento è infatti rivolto ai soggetti di età non inferiore ai 25 anni
non occupati a tempo indeterminato nei 24 mesi precedenti, ivi inclusi quindi
quelli che in precedenza abbiano lavorato con contratti a causa mista o con
rapporti di collaborazione coordinata e continuativa. Tale misura si differenzia in
effetti dal credito d’imposta di cui alla L. 449/97 tanto per la minore selettività
della platea di potenziali beneficiari e per l’esclusivo riferimento
all’instaurazione di rapporti a tempo indeterminato (lo strumento precedente
consentiva anche l’instaurazione di rapporti a termine, pur se di durata oltre i 36
mesi ma era rivolto solo a iscritti al collocamento e soggetti in CIGs o mobilità)
quanto per la copertura dell’intero territorio nazionale (pur se con una
maggiorazione, nei limiti del cd. de minimis, per le aree depresse; cfr. Rapporto
di monitoraggio no.1-2001, scheda 8)19.
Fuoriesce dallo schema d’incentivazione al margine, per le nuove assunzioni,
unicamente lo sgravio capitario previsto nel Mezzogiorno in relazione allo stock
di lavoratori a basso reddito occupati alla data del 1 dicembre 199720, la cui
vigenza è tuttavia destinata a cessare al termine dell’anno in corso.
In questo quadro, permane l’assenza di interventi strutturali che favoriscano la
domanda e l’offerta di lavoro dei soggetti a più basso reddito, quali quelli
introdotti in diversi altri paesi industriali (si veda ad esempio l’Earned Income
Tax Credit degli Stati Uniti).
3.3. Incontro domanda- offerta
L’efficace funzionamento del mercato del lavoro risulta ostacolato da un
inefficiente incontro tra domanda e offerta. Tale inefficienza è chiaramente
evidenziata anche dal forte divario territoriale che caratterizza il mercato del
lavoro in Italia. Le difficoltà, che continuano ad incontrare le aree settentrionali
del Paese nel reclutamento di manodopera (qualificata e non), sono segnalate
quotidianamente dai più diversi indicatori qualitativi e quantitativi. Peraltro, esse
possono anche originare pericolose tensioni salariali e favorire il diffondersi di
fenomeni devianti quali il sommerso e l’immigrazione clandestina. Nonostante
alcuni forti segnali di ripresa della mobilità territoriale, ancora limitati appaiono
i movimenti di coloro che sono in cerca di lavoro, ostacolati da una struttura
19
Gran parte delle misure ora citate si applicano (in proporzione) anche alle nuove assunzioni a
tempo parziale. A queste è esplicitamente diretto lo strumento previsto dal decreto legislativo 61
del 2000, che però è stato utilizzato in maniera estremamente limitata.
20
Il contributo spetta tuttavia, fermo restando il requisito retributivo, anche per i lavoratori
assunti successivamente al 1 dicembre 1997 a seguito di turn-over ed escludendo i casi di
licenziamento effettuati nei dodici mesi precedenti all’assunzione.
23
eccessivamente rigida delle retribuzioni e da elevati costi indiretti (abitazione,
trasporti).
Pertanto, il Governo, chiede alle istituzioni locali e alle parti sociali se non si
convenga che l’incontro tra domanda e offerta di lavoro in Italia sia oggi
ostacolato da una serie di impedimenti normativi e dall’assenza di un
adeguato sistema informativo basato su standard accettativi che favoriscono
un rapido incontro tra i fabbisogni, i servizi, le soluzioni contrattuali. Allo
stato permane nei fatti il monopolio pubblico, per le alte barriere all’accesso
imposte ai soggetti privati, in un contesto –non a caso- di abusivismo diffuso
Anzitutto va osservato che la diffusione delle informazioni deve avvenire in un
vero e proprio mercato, con una domanda e un’offerta che si confrontano e che
determinano un prezzo di scambio. Questo mercato però è del tutto particolare e
richiede una certa dose di regolazione e di presenza pubblica. Si pone la
necessità di avere regole di accreditamento delle strutture autorizzate a svolgere
questa attività, ma le regole non devono essere tali da precludere che anche in
questo particolare mercato valgano i principi generali della concorrenza. Questo
è quanto insegna anche l’esperienza degli altri paesi più sviluppati.
Non vi è parimenti dubbio che vada potenziata la presenza pubblica. Purtroppo,
nel decentramento delle competenze dallo Stato alle Regioni, molti dei vecchi
uffici di collocamento si trovano in condizioni di funzionamento anche peggiori
di quelle in cui si trovavano prima della riforma. E questo succede proprio in
quelle regioni, quelle meridionali, in cui ci sarebbe maggior bisogno di politiche
del lavoro dirette ad aiutare e a potenziare l’offerta di lavoro al fine di renderla
più “appetibile” nei confronti della domanda. Questa situazione di grave
arretramento, documentata nelle periodiche analisi di monitoraggio condotte
dall’ISFOL, richiede una precisa azione di recupero e di sostegno. Non è un caso
che la stessa Unione Europea sia convinta che questo rappresenta uno dei
principali problemi della nostra situazione occupazionale e ci stimoli a condurre
una azione di sostegno nei confronti delle amministrazioni delle Regioni in cui
le carenze sono più gravi.
Peraltro, anche prima della recente riforma, i nostri uffici di collocamento
incidevano ben poco sull’incontro tra domanda e offerta nel mercato del lavoro.
Spesso a causa di tutti i passaggi burocratici necessari per procedere ad
assunzioni di nuovi lavoratori, il servizio pubblico ha consolidato presso le
imprese una cattiva immagine di se stesso, tale per cui ben pochi disoccupati
hanno effettivamente trovato lavoro con l’aiuto del servizio. Le indagini
disponibili indicano che solo il 4% di chi trova lavoro, lo deve a questo servizio.
Con questa bassissima percentuale non si può certo pretendere di incidere molto
sui segmenti più deboli dell’offerta. Una presenza efficace nel settore
dell’intermediazione, nonostante gli impedimenti e le difficoltà frapposti, è stata,
di fatto, fornita solo dalle agenzie interinali.
Grave è la mancanza di un adeguato sistema informativo che operi come una
borsa continua del lavoro. La legge di riforma ha previsto la costituzione del SIL
(Sistema Informativo Lavoro), con caratteristiche di unitarietà ed omogeneità,
con il prevalente compito di definire gli standard e realizzare una rete unificata
tra i vari livelli operativi (nazionale, regionale, provinciale e circoscrizionale).
24
Tuttavia, allo stato attuale gli obiettivi non sono stati conseguiti sia per le
difficoltà incontrate nella fase di avvio dei sottosistemi locali, sia per la mancata
affermazione di un chiaro modello organizzativo e funzionale dei nuovi servizi,
che sia di riferimento per disegnare l’architettura del sistema informativo nel suo
complesso. Ad una impostazione centralista, le Regioni hanno spesso
contrapposto un modello autonomista che, nei casi estremi, nega l’esigenza di
avere standard comuni (tecnologie compatibili, base dati d’interesse comune,
dizionari terminologici, protocolli di comunicazione).
Rilevanti sono inoltre gli impedimenti di carattere normativo. Anzitutto, possono
pesare i requisiti di capitalizzazione e le barriere tra le attività di
intermediazione. Infatti, la normativa sulle agenzie di lavoro interinale, di
collocamento, di selezione prevede il regime di esclusiva nei diversi ambiti di
attività. E’ una normativa barocca che paralizza non solo l’attività economica
delle agenzie di intermediazione ma, soprattutto, i lavoratori e le imprese che
vedono ridimensionato il livello di potenziale offerta del servizio. In secondo
luogo, il trattamento dei dati relativi all’incontro tra domanda e offerta è
sottoposto a sistemi autorizzativi e vincoli che vanno ben oltre la necessità di
validare economicamente le Agenzie di intermediazione, di organizzare le
necessarie statistiche e di rispettare la privacy. Quest’ultimo aspetto, peraltro, è
insito nell’autorizzazione all’utilizzo dei dati prestata dai lavoratori per finalità
commerciali. L’obbligo di inserire in banca dati entro 5 giorni i curricula dei
lavoratori che cercano lavoro tramite agenzia appare eccessivo e disincentivante.
Non è, poi, certamente giustificato impedire alle imprese ed ai lavoratori di
interagire direttamente nella rete delle informazioni. Questa è una delle ragioni
principali che impediscono l’adozione di un sistema Internet, aperto e accessibile
a tutti, con un sistema autorizzativo limitato a rendere affidabile l’attività degli
intermediari, a garantire moralità e gratuità per i lavoratori, nonché
l’assolvimento delle funzioni statistiche.
Tav. 6 - Individui che hanno ricevuto offerte di lavoro e consulenza dal servizio pubblico
per l'impiego e da soggetti privati nel 2000 (soggetti tra 15 e 64 anni di età, in migliaia)
Tipologie di offerta
Centro-Nord
Iscritti SPI
1° sem.
20
Mezzogiorno
Non iscritti SPI Iscritti SPI
2° sem. 1° sem.
Italia
Non iscritti SPI Iscritti SPI
2° sem. 1° sem. 2° sem. 1° sem. 2° sem.
10
53
24
17
11
13
9
18
15
30
44
36
-
-
21
10
10
-
-
21
10
Non iscritti SPI
1° sem. 2° sem. 1° sem. 2° sem.
Partecipazione a corsi di formazione
professionale regionali
Progetti finanziati dallo Stato
7
5
37
21
60
29
Offerte di lavoro dai SPI
17
7
4
43
25
25
19
18
-
-
65
53
-
Consulenza nella ricerca di lavoro +
fornita dai SPI
Offerte da privati o agenzie private
-
-
-
31
20
-
-
105
90
354
313
38
34
27
18
143
124
381
330
Totale individui con almeno un'offerta
181
148
417
348
125
86
40
28
306
234
457
376
Fonte: elaborazioni su dati ISTAT, indagine sulle forze di lavoro (cfr. Rapporto di Monitoraggio del Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali sulle politiche del lavoro, no. 1-2001).
3.4. Formazione
Occorre prendere atto che il sistema formativo esistente è inadeguato rispetto
alle esigenze delle imprese e del mercato del lavoro, come è riconosciuto dalla
stessa Unione Europea, la quale riserva in genere un giudizio alquanto negativo
delle nostre politiche attive del lavoro, in occasione dei Piani Nazionali per
l’Occupazione, soprattutto per quanto concerne la formazione permanente. Non
25
si tratta certo di un problema di scarsità di risorse ma di governo, finalità e
allocazione delle stesse. Nonostante un processo di trasformazione in atto,
soprattutto nelle Regioni del Centro-Nord, centrato sulla definizione di obiettivi
di policy e sulla conseguente allocazione delle risorse finanziarie su base d’asta,
è ancora presente un contesto in cui l’offerta formativa, pubblica e
convenzionata, tende a condizionare la domanda e la qualità del servizio erogato.
In quest’ambito occorre rendere effettivo l’impegno, richiestoci ancora una volta
dalle autorità comunitarie, di costruire una società della conoscenza che si fondi
su un sistema formativo che accompagni il lavoratore durante tutto l’arco della
vita.
Il passaggio fra scuola e lavoro penalizza i nostri giovani. I lunghi tempi di
attesa dimostrano come quello della scuola e quello del lavoro siano due mondi
distanti, che quasi si ignorano. I tirocini, su cui i precedenti governi facevano
molto affidamento, riguardano meno del 5% dei giovani. Lo stesso istituto
dell’apprendistato, sia pure oggetto di una importante riforma, è ben lontano
dallo svolgere il ruolo che in altri Paesi svolge invece con grande successo.
Ma è tutto il sistema della formazione e dell’addestramento professionale a
soffrire di carenze di vario tipo. L’obiettivo di integrare le varie fasi in cui si
sviluppa il processo di apprendimento, quella della formazione scolastica, quella
della qualificazione professionale e quella dell’attività lavorativa, è stato
proclamato come un obiettivo fondamentale da tutta la nuova legislazione; di
fatto questa integrazione è ancora ben lontana dall’essere realizzata.
Il problema di una maggior integrazione tra formazione e lavoro non riguarda
solo i giovani, ma tutti i lavoratori occupati. In un’economia che richiede
continui adattamenti delle conoscenze, la formazione continua riveste un ruolo
di primo piano. Non si tratta solo di aumentare la produttività dei lavoratori sui
posti di lavoro occupati, bensì di potenziare il loro capitale umano in generale, al
fine di renderli più “forti” nel mercato del lavoro e di aumentare la mobilità, di
cui il nostro paese ha assolutamente bisogno. Proprio perché ogni forma di
formazione professionale contiene elementi di capitale umano di tipo generale e
quindi trasferibile da parte del lavoratore, da un’impresa ad un’altra, non sempre
le imprese sono disposte ad effettuare gli investimenti che sarebbe invece utile
fare, proprio per il timore di fare un investimento che sarebbe sfruttato da altri.
Il mercato della formazione continua è imperfetto, produce esternalità e non
sempre i lavoratori e le imprese sono sufficientemente lungimiranti (o hanno le
risorse necessarie) per investire nella loro formazione. Per questo il mercato
deve essere aiutato, attraverso l’utilizzo di risorse pubbliche che alzino il livello
di investimento; la formazione è importante quanto l’innovazione come fattore
di crescita economica.
26
PARTE SECONDA. LE PROPOSTE
PROMUOVERE UNA SOCIETÀ ATTIVA ED UN LAVORO DI QUALITÀ
I. REGOLE E STRUMENTI
I.1. Europa e Federalismo
I.1.1. “Coordinamento aperto” per l’occupazione
Primario obiettivo del Governo è la promozione di azioni funzionali al
rapido innalzamento del tasso di occupazione, in modo tale da conseguire
gli obiettivi - quantitativi ma anche qualitativi – indicati dal Consiglio
Europeo di Lisbona del 2000 e da quello di Stoccolma di quest’anno.
Il Governo italiano intende far proprio l’obiettivo dell’Unione Europea di
realizzare una condizione di piena occupazione (e di piena occupabilità,
quindi mettendo tutti in condizione di trovare un lavoro) con una
particolare attenzione alla qualità del lavoro. Per questo motivo nel
documento integrativo del Piano nazionale per l’occupazione 2001 inviato
alle autorità comunitarie dopo l’insediamento di questo Governo sono stati
esplicitamente indicati target quantitativi, coerenti con le azioni di politica
economia finora previste.
Occorre, infatti, ricordare che le politiche del lavoro devono essere condotte
coerentemente con la Strategia Europea sull’Occupazione, prevista dal Trattato
di Amsterdam e varata dal Consiglio Europeo straordinario sull’occupazione di
Lussemburgo (novembre 1997). In considerazione dell’eccezionale rilevanza del
tema occupazione, il Consiglio deliberò un’applicazione anticipata di questa
parte del Trattato, ancor prima della ratifica dei Parlamenti (ovvero in sede
referendaria) degli Stati membri. Dopo alcuni anni di sperimentazione il
“processo di Lussemburgo” si è affermato come il primo convincente esempio di
applicazione della metodologia del “coordinamento aperto”, esteso
successivamente dalla politica per l’occupazione a quella per la protezione
sociale e, ancor più recentemente, al tema dell’immigrazione extracomunitaria.
L’attendibilità di questo processo si è consolidata nel corso di questi anni ed
occorre pertanto assumere con grande attenzione le ‘Raccomandazioni’ che
nell’annuale Rapporto congiunto del Consiglio e della Commissione vengono
indirizzate dall’Unione Europea.
Occorre prestare maggiore attenzione a questo processo di “coordinamento
aperto”, poiché esso non riguarda soltanto i Governi, pur responsabili in
rappresentanza degli Stati membri. I diversi soggetti istituzionali territoriali
(Regioni ed enti locali) e le stesse parti sociali devono contribuire in modo più
efficace alla realizzazione delle “linee guida” sull’occupazione che ogni anno
vengono concordate in sede comunitaria e quindi diventano vincolanti. Il
Governo italiano condivide pienamente a tale proposito le proposte della
Commissione europea inserite nel Libro Bianco European Governance: A White
27
Paper (25 luglio 2001, COM(2001) 428) favorevole ad un ulteriore estensione di
questa innovativa metodologia regolatoria.
Il Governo richiama le Regioni e gli enti locali a dare seguito alle indicazioni
comunitarie che a loro volta prevedono - oltre al Piano Nazionale di Azione per
l’ Occupazione (National Action Plan for Employment, NAP) che coinvolge la
responsabilità del Governo - la predisposizione di Piani regionali di Azione
per l’ Occupazione (Regional Action Plan for Employment, RAP), davvero
essenziali anche per la programmazione dell’ uso dei fondi strutturali, ed anche
di Piani locali (Local Action Plan for Employment, LAP), sempre in attuazione
delle “linee guida” comunitarie. Se ed in quanto Regioni ed enti locali
matureranno tale orientamento, sarà possibile il loro concorso non
episodico ma organico alla predisposizione del NAP.
Anche le parti sociali sono invitate a concorrere all’attuazione di questo
esercizio di coordinamento comunitario, tenuto conto del fatto che sono
numerose le “linee guida” (ad esempio in tema di adattabilità) che assegnano
loro precise responsabilità nel predisporre un assetto regolatorio su base
negoziale. Ed in ogni caso ad esse si chiede di operare in funzione
maggiormente propositiva, unitariamente o singolarmente, ben oltre la semplice
informazione con richiesta di osservazioni che ha caratterizzato la preparazione
dei Piani Nazionali per l’occupazione negli anni passati. E’ opportuno invece
che questo esercizio annuale – di progettazione di misure future ma anche di
verifica e monitoraggio dell’attuazione di quelle già in essere – divenga un
momento di confronto fra parti sociali ed il Governo (e, al rispettivo livello, le
Regioni e gli enti locali) per realizzare un più maturo sistema di partenariato
istituzionale e sociale.
I.1.2. Buone pratiche in Europa
Non sembra possibile mantenere inalterato un assetto regolatorio dei rapporti e
dei mercati del lavoro che, sotto più profili, non appare in linea con le
indicazioni comunitarie e le migliori prassi derivanti dall’esperienza comparata.
Gli interventi comunitari regolano il nuovo mercato domestico ed il sistema
italiano deve adeguarsi, dotandosi di un assetto istituzionale in qualche modo
comparabile con quelli esistenti in altri Stati membri, in quanto altrimenti si
registrerebbero effetti distorsivi sul piano della concorrenza. L’equivalenza degli
assetti regolatori in materia di rapporti e mercati del lavoro assume una funzione
strategica per governare la tendenza alla delocalizzazione, effetto certo non
trascurabile della globalizzazione dell’economia.
Non si tratta di realizzare un’uniformità regolatoria su scala trasnazionale che,
soprattutto dopo il Trattato di Nizza, non è più negli obiettivi dell’ordinamento
comunitario che esclude ormai interventi di armonizzazione nell’area della
politica sociale. Occorre piuttosto ragionare in una logica di benchmarking, cioè
valutando di volta in volta il contesto di altri Stati membri dell’Unione Europea,
ma anche esperienze extracomunitarie di Paesi che con noi competono su scala
globale come gli Stati Uniti e il Giappone. Si tratta di individuare le buone
pratiche affermatesi nei diversi contesti nazionali od anche regionali,
approfondendone le potenzialità ed i fattori di successo, per riflettere in termini
di possibile trasposizione in altri contesti. E’ questa una metodologia che
28
costituisce parte integrante del ‘metodo aperto di coordinamento’, utilizzato in
sede comunitaria nell’ambito del ‘processo di Lussemburgo’.
L’ordinamento italiano del lavoro si è sviluppato per regolare un mercato
nazionale, un sistema economico non globalizzato. E’ quindi evidentemente
inadeguato a svolgere una funzione in un contesto in cui il mercato è ormai
divenuto trasnazionale, comunitario ed internazionale. L’adeguamento del
quadro normativo nazionale rispetto alle indicazioni comunitarie e all’esperienza
comparata diventa, dunque, un fattore essenziale nel gioco competitivo dei
soggetti economici che al rispetto di questo sistema di regole sono tenuti.
I.1.3. Lavoro e federalismo
Il dialogo fra diritto comunitario ed ordinamento interno può agire da
catalizzatore nel senso di una riforma dell’assetto istituzionale interno preposto
alla regolazione del mercato e dei rapporti di lavoro, con particolare attenzione
ad una re-distribuzione delle competenze attraverso i vari livelli istituzionali.
Una conseguenza che del resto potrà derivare anche dall’applicazione del nuovo
art. 117 della Costituzione, così come emendato dalla recente riforma
costituzionale, che assegna alle Regioni potestà legislativa concorrente in
materia di “tutela e sicurezza del lavoro”, “professioni”, nonché “previdenza
complementare e integrativa”.
L’intera disciplina del lavoro dipendente ed autonomo, unitamente ai profili
previdenziali che non ricadono nell’ambito del sistema pubblicistico, in questa
ipotesi verrebbe dunque attribuita alle Regioni alle quali, come ancora recita lo
stesso art. 117, spetta “la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei
principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”. Si tratta di un
progetto assai innovativo che impegna lo Stato a definire tali “principi
fondamentali”, tenendo conto, sempre a mente del medesimo disposto
costituzionale, che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni
nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario e dagli obblighi internazionali”.
Non sembrano del resto esservi dubbi di sorta circa la portata di queste
disposizioni. La potestà legislativa concorrente delle Regioni riguarda non
soltanto il mercato del lavoro, in una logica di ulteriore rafforzamento del
decentramento amministrativo in atto, bensì anche la regolazione dei rapporti di
lavoro, quindi l’ intero ordinamento del lavoro.
Il nuovo art. 120 della Costituzione, chiarisce ancora che non solo “la Regione
non può … limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del
territorio nazionale” ma aggiunge anche che “il Governo può sostituirsi a organi
delle Regioni … nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o
della normativa comunitaria … ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità
giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali”. Spetterà quindi alla
legislazione ordinaria precisare “le procedure atte a garantire che i poteri
sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio
di leale collaborazione”.
29
Dunque il nuovo assetto costituzionale attribuisce nuove funzioni alle Regioni,
senza tuttavia delineare compiutamente un modello federalista, ciò che anzitutto
presupporrebbe una rappresentanza a livello nazionale delle stesse Regioni.
Resta il fatto che il riconoscimento della potestà legislativa concorrente alle
Regioni in materia di mercato e rapporti di lavoro costituisce un elemento che
occorre pienamente valorizzare, respingendo interpretazioni riduttive che la
limiterebbero ad una funzione meramente implementativa delle politiche
nazionali. Sarà il principio di sussidiarietà (nel superamento del criterio di
competenza, transitando dalla logica di garanzia a quella di funzionalità) a
guidare un processo di riassetto istituzionale dell’impianto regolatorio, così
come è avvenuto e sta tuttora avvenendo nel dialogo fra diritto comunitario e
diritto nazionale.
Sarà così possibile realizzare differenziazioni regionali che colgano le diversità
dei mercati del lavoro locali, superando una stratificazione dell’ordinamento
giuridico inadeguata rispetto ai mutamenti intervenuti nell’organizzazione del
lavoro. Un’occasione di modernizzazione che non può essere persa, pure
perseguendo, nel contempo, la realizzazione di un più compiuto disegno
federalista di carattere generale.
I.1.4. Coesione sociale
La valorizzazione della potestà legislativa regionale non deve essere
compromessa drammatizzando il rischio di un’autonomia intesa come
disgregazione sociale. E’, infatti, l’ordinamento comunitario che in materia
economica e sociale provvede a fissare i principi fondamentali che devono
ispirare il legislatore regionale. Pur essendo auspicabile una larga intesa con
riferimento alla normativa cornice di carattere nazionale, così da salvaguardare il
principio di uguaglianza senza peraltro cedere alla logica centralistica di una
uniformità assoluta di trattamento, conviene indicare nella “Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea”, proclamata solennemente in occasione del
Consiglio europeo di Nizza del dicembre 2000, il punto di riferimento, certo non
esclusivo ma altamente significativo, per esercitare la potestà legislativa interna.
E’ utile richiamare in proposito alcuni disposti che più direttamente si
riferiscono alla tutela e sicurezza del lavoro:
a.
b.
c.
d.
e.
f.
g.
h.
i.
j.
i.
k.
l.
proibizione della schiavitù e del lavoro forzato (art. 5);
protezione dei dati di carattere personale (art. 8);
libertà di pensiero, di coscienza e di religione (art. 10);
libertà di espressione e di informazione (art. 11);
libertà di riunione e di associazione (art. 12);
libertà professionale e diritto di lavorare (art. 15);
non discriminazione (art. 21);
parità tra uomini e donne (art. 23);
diritti degli anziani (art. 25);
inserimento dei disabili (art. 26);
diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione
nell’ambito dell’ impresa (art. 27);
diritto di negoziazione e di azioni collettive (art. 28);
diritto di accesso ai servizi di collocamento (art. 29);
30
m.
n.
o.
p.
q.
tutela in caso di licenziamento ingiustificato (art. 30);
condizioni di lavoro giuste ed eque (art. 31);
divieto del lavoro minorile e protezione dei giovani sul luogo di
lavoro (art. 32);
vita familiare e vita professionale (art. 33); sicurezza sociale e
assistenza sociale (art. 34);
protezione della salute (art. 35).
Su queste materie, individuate nella “Carta” di Nizza, e, più in generale, sulle
tematiche oggetto di intervento comunitario, per mezzo di direttive anche di
recepimento di intese fra gli attori sociali, appare opportuno che il legislatore
nazionale intervenga con una normativa-cornice che assicuri un sufficiente
grado di tutela minima. Si tratta di adempimenti di obblighi traspositivi che
coinvolgono la responsabilità diretta dello Stato ed in ogni caso vengono toccati
diritti fondamentali che reclamano una regolazione nazionale. Sarebbe
oltremodo auspicabile che sul punto si esprimessero le stesse parti sociali,
oltre che le Regioni, in modo che si apra un fruttuoso confronto sulle
caratteristiche e quindi sulla portata della legislazione quadro in materia di
lavoro.
L’imperativo di salvaguardare sempre e comunque i “livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su
tutto il territorio nazionale” (art. 117 Cost.) implica uno sforzo progettuale che
comporterà necessariamente la rivisitazione di tutti gli istituti che compongono
attualmente la legislazione nazionale in materia di mercati e rapporti di lavoro.
Il Governo auspica che su questo argomento, - così innovativo dal punto di
vista istituzionale ed altrettanto complesso sul piano dei valori coinvolti e
delle tecniche regolatorie utilizzabili – si possano acquisire importanti e
significativi contributi di tutti gli interlocutori istituzionali e sociali
destinatari del presente Libro Bianco.
I.2. Dialogo sociale
Gli anni novanta sono stati gli anni della concertazione sociale. Le necessità di
conseguire importanti obiettivi a livello comunitario favorì l’opzione
concertativa. Imperativa era l’esigenza di rafforzare il coordinamento nel
governo delle dinamiche nominali dei redditi per evitare derive inflazionistiche.
Inoltre, l’intervento sui saldi netti del bilancio pubblico andava fatto rapidamente
ed in un clima di consenso sociale, onde evitare tensioni e ricadute
inflazionistiche. Va del resto sottolineato come molti dei paesi, anche al di fuori
del tradizionale novero di paesi cosiddetti corporativismi, che all’inizio del
decennio riscontravano problemi di convergenza rispetto ai criteri di Maastricht,
hanno optato per l’uso della concertazione sociale.
Tuttavia, nei fatti, la concertazione ha svolto compiti di governo ben di là degli
obiettivi di sviluppare un corretto rapporto tra le parti. Il processo avviato nel
1992 dal I° Governo Amato è stato progressivamente snaturato e portato a
31
ribaltare la logica culturale che l’aveva innestato. Quando, da parte dei diversi
governi che si sono succeduti, vi è stato un uso eccessivo della concertazione,
intesa come sede consultiva e di legittimazione politica in merito ad iniziative
che, in linea di principio, erano spesso di esclusiva competenza del Governo si è
determinato un uso distorto e viziato della concertazione stessa. Rispetto ad
alcune esperienze generalmente ritenute positive, in particolare il caso olandese,
è peraltro da rilevare come il potere d’iniziativa - di fissazione dell’agenda e
delle principali linee di azione- da parte dei governi sia stato, in Italia, piuttosto
limitato, in buona parte a causa dell’accentuata debolezza politica di quei
governi.
E’ del tutto evidente l’impossibilità del modello concertativo degli anni novanta
di affrontare la nuova dimensione dei problemi economici e sociali. La
concertazione ha, infatti, mantenuto fermi nella politica economica due obiettivi
fondamentali: il risanamento dei conti pubblici e l’ingresso dell’Italia nell’Euro.
Intorno al ruolo della contrattazione nazionale centralizzata e dell’inflazione
programmata si è sviluppato lo scambio fondamentale tra governo e parti sociali.
La moderazione salariale e l’abbassamento dell’inflazione hanno consentito il
risanamento dei conti pubblici sul versante degli interessi; la produttività del
sistema è stata assorbita in gran parte dall’aumento della pressione fiscale,
mentre è sostanzialmente rimasta inalterata la quota della spesa sociale sul PIL
(con un aumento della spesa pensionistica ed un calo di quella sanitaria). Difesa
del salario reale e delle prestazioni sociali (con una compressione della
dinamica) sono stati i vantaggi per i sindacati e per i lavoratori. La
contrattazione salariale è stata negli anni novanta il riflesso delle esigenze
macroeconomiche, rivelandosi irrilevante ai fini di una corretta allocazione dei
fattori produttivi. La forbice tra salari contrattuali e quelli di fatto (in alto e in
basso) si è aperta ulteriormente.
Tuttavia, raggiunti gli obiettivi dell’abbassamento dell’inflazione e dell’ingresso
nell’Euro, i suoi limiti sono subito apparsi evidenti. Emerge con evidenza
l’inadeguatezza di un sistema contrattuale centralizzato, il cui perno centrale è
rappresentato da un indicatore economico (l’inflazione programmata) che svolge
una funzione sociale (difesa del salario reale) ma è indifferente rispetto alle
esigenze reali delle singole imprese. La moneta unica, ed il patto di stabilità,
richiedono, invece, nel contempo una capacità di rendere strutturali le riforme
(mercato del lavoro, previdenza e welfare, fiscali e contributive) e di
flessibilizzare l’utilizzo dei fattori produttivi e della loro remunerazione. Inoltre,
la competitività del sistema Italia non è più mediata dalla politica monetaria.
Nel nuovo quadro macro-economico, l’espansione della base produttiva e
dell’occupazione non può prescindere da una riduzione della pressione fiscale e
contributiva nonché da corretta remunerazione dei fattori produttivi. Un eccesso
di rigidità delle remunerazioni penalizza l’espansione occupazionale nelle aree a
bassa produttività (ovvero favorisce la crescita del sommerso) e contribuisce alle
distorsioni territoriali dello sviluppo. La concertazione ha in realtà
sistematicamente rinviato la definizione di un nodo centrale delle relazioni
industriali, quello della struttura della contrattazione. Nell’Unione Monetaria
Europea, l’esigenza di riforma degli equilibri interni della contrattazione
salariale fa premio su quella della moderazione salariale aggregata. Al tempo
stesso un completamento organico delle riforme in tema di mercato del lavoro e
32
del welfare non può prescindere dall’iniziativa e dalla capacità decisionale del
Governo.
I.2.1. Il modello comunitario
In questa situazione le esigenze attuali dell’economia italiana inducono a
sperimentare una pratica di “partnership per la competitività e l’occupazione”,
dove il confronto fra istituzioni e parti sociali assuma la valenza non di un
obiettivo in sé, ma di uno strumento utile al conseguimento di obiettivi di volta
in volta condivisi. Il passaggio dalla politica dei redditi ad una politica per la
competitività impone l’adozione di una nuova metodologia di confronto, basata
su accordi specifici, rigorosamente monitorati nella loro fase implementativa,
restando meglio precisata la distinzione delle reciproche responsabilità tra
Governo e parti sociali.
Il Governo ritiene che il modello del dialogo sociale, così come
regolamentato e sperimentato a livello comunitario, costituisca il punto di
riferimento più convincente per una rinnovata metodologia nei rapporti fra
istituzioni e parti sociali anche a livello interno. In tal senso, appare del tutto
condivisibile la “posizione comune” assunta il 16 luglio 2001 in Francia dalle
parti sociali ed indirizzata a quel Governo. Il dialogo sociale non può soltanto
rappresentare la soluzione del tutto prioritaria per la trasposizione di direttive
comunitarie nell’ordinamento interno, bensì deve costituire anche il metodo per
regolare la produzione di regole in tema di affari sociali, con particolare riguardo
alla modernizzazione del mercato del lavoro.
Non soltanto a livello statale, ma anche delle Regioni, prima di assumere
interventi legislativi o comunque di natura regolatoria in campo sociale e
dell’occupazione, è necessario che le istituzioni consultino le parti sociali circa
l’intenzione di intervenire su una certa materia che non comporti impegni di
spesa pubblica, sollecitandone una reazione in termini di opportunità e modalità
di realizzazione. Al termine di questa prima fase di consultazione, da contenere
in tempi ragionevolmente brevi, qualora il Governo o la Regione intenda
proseguire con l’iniziativa regolatoria dichiarata nella fase precedente, alle parti
sociali dovrebbe essere offerta l’opportunità di negoziare sul tema che forma
oggetto della iniziativa in questione, assegnando anche in questa occasione un
termine ben determinato.
Solo in caso di rifiuto delle parti sociali di impegnarsi in un negoziato, ovvero
nell’ipotesi di un esito infruttuoso del medesimo, l’iniziativa legislativa
promanante dal Governo o dalla Regione potrà riprendere il suo corso. Nel caso
in cui invece il negoziato si sarà concluso positivamente, dovrà prevedersi un
impegno politico del Governo o della Regione alla traduzione legislativa
dell’intesa stessa.
La stessa funzione del presente Libro Bianco si ispira alla metodologia
comunitaria. Riconoscere il primato del dialogo sociale in funzione regolatoria
nell’area sociale e dell’occupazione significa riconoscere alle parti sociali un
ruolo assai impegnativo che comporta responsabilità quasi legislative. Del resto
il Governo ritiene che se questa importante responsabilità è stata riconosciuta
dall’ordinamento comunitario nei confronti di attori sociali caratterizzati da
33
un’attività di pochi lustri, a maggior ragione essa possa essere richiesta ad
organizzazioni che invece affondano le proprie radici in una storia talvolta
secolare, caratterizzandosi per alti livelli di rappresentatività. Naturalmente
l’adozione di tale metodologia, assai rispettosa delle reciproche competenze ed
attribuzioni, senza alcuna confusione di ruoli, non può compromettere la rapidità
del procedimento decisionale. In caso di disaccordo tra gli stessi attori sociali
sarà necessario, uniformandosi anche in questo senso all’ esperienza francese,
ricorrere alla regola della maggioranza, senza pretendere unanimismi che
pregiudicherebbero il buon funzionamento dello stesso dialogo sociale.
Il Governo auspica di poter raccogliere su questa proposta commenti e
valutazioni degli interlocutori istituzionali e sociali.
Quanto fin qui affermato non significa a giudizio del Governo escludere il
raggiungimento di nuove intese di tipo triangolare, sia a livello nazionale, sia a
quello regionale e territoriale. Del resto non solo in Italia ma in molti Paesi
europei intese trilaterali sfociano con crescente intensità in patti sociali.
Associazioni imprenditoriali ed organizzazioni sindacali in diversi contesti
nazionali hanno stipulato accordi con le autorità governative in materia
occupazionale, con ciò svolgendo una funzione in passato di esclusiva spettanza
dei poteri pubblici.
Le “linee guida per l’occupazione” -varate nell’ambito del processo di
Lussemburgo- attribuiscono alle parti sociali l’assunzione di crescenti
responsabilità a riguardo. In proposito appare necessario indirizzare questa
attività sul piano locale – anche tenendo conto dei nuovi poteri riconosciuti alle
Regioni dalla recente riforma sul federalismo - al fine di cogliere le peculiarità
del mercato del lavoro all’interno di ciascun contesto territoriale. Occorre quindi
sottoporre a valutazione critica la stagione dei “patti nazionali”, accogliendo una
visione regionalista delle politiche del lavoro che coinvolga a questo livello le
parti sociali. Tali intese definite su scala territoriale dovranno muoversi in un
contesto dinamico, fatto di utili deroghe concordate nei confronti della
legislazione e contrattazione a livello nazionale.
I.3. Tecniche regolatorie
I.3.1. Ordinamento comunitario e tecniche di trasposizione
Riflettendo sull’esperienza comunitaria e nella prospettiva di transitare verso un
ordinamento federale, si evince la necessità di ripensare radicalmente lo stesso
sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico del lavoro. Il ruolo della
legislazione nazionale dovrebbe essere limitato alla definizione dei diritti
fondamentali della persona nel contesto lavorativo. Allorché si tratti di
legislazione traspositiva di obblighi comunitari, il legislatore nazionale dovrà in
futuro introdurre norme che soddisfino di per se stesse l’obbligo traspositivo, nel
rispetto delle prerogative regionali di intervenire con atti di legislazione
concorrente per rendere il dato normativo comunitario e nazionale più aderente
34
alle caratteristiche dei mercati del lavoro locali. Del resto il nuovo ruolo
legislativo affidato alle Regioni non potrà certo sollevare lo Stato dalla
responsabilità primaria di fronte alle autorità comunitarie con riferimento alo
stesso processo traspositivo.
Anche la legislazione nazionale di trasposizione diverrà sempre più una
legislazione di principi, implementando la direttiva per quanto concerne le scelte
fondamentali di adattamento all’ordinamento interno, lasciando tuttavia al
legislatore regionale la possibilità di dispiegare pienamente l’esercizio della
potestà legislativa concorrente mediante interventi di specificazione dei principi
definiti nazionalmente.
Resta fermo, a giudizio del Governo, il primato del dialogo sociale nella
trasposizione delle direttive comunitarie, in ossequio a quanto disposto dal
Trattato dell’Unione Europea e soprattutto allorché le direttive stesse siano
il risultato di questo esercizio condotto su scala comunitaria. Le parti sociali
potranno in tale circostanza valutare forme appropriate per assicurare che
il processo traspositivo tenga conto delle caratteristiche dei mercati del
lavoro locali, nel quadro del nuovo ordinamento federalista.
Il Governo si riconosce pienamente nel principio per cui l'attuazione delle
direttive comunitarie non costituisce in nessun caso un valido motivo per
giustificare una riduzione del livello generale di protezione dei lavoratori nei
settori da esse trattati. Resta tuttavia impregiudicato il diritto degli Stati membri
e/o delle parti sociali di stabilire, alla luce dell'evolversi della situazione,
disposizioni legislative, regolamentari o contrattuali diverse rispetto a quelle
vigenti al momento dell'adozione della presente direttiva, purché le prescrizioni
minime previste da quest'ultima siano rispettate. Il significato di questa “clausola
di non regressione” è da intendersi nel senso che non deve verificarsi una
regressione del livello generale di protezione dei lavoratori in seguito
all'adozione della direttiva comunitaria, pur lasciando agli Stati membri la
possibilità di adottare misure diverse dettate dalla loro politica socioeconomica,
e questo nel rispetto dei requisiti minimi previsti dal legislatore comunitario. La
pretesa che l’ordinamento giuridico debba restare in sostanza immodificabile
contrasterebbe con la natura stessa del processo traspositivo che rappresenta esso
stesso un momento di aggiornamento del quadro regolatorio rispetto all’ insieme
di disposizioni entrate in vigore a livello comunitario, nonché in relazione all’
evolversi della sottostante realtà economica e sociale.
Il Governo italiano ritiene che occorra prestare molta attenzione alla
qualità del processo traspositivo, evitando che si ricostituiscano gli elementi
distorsivi della concorrenza che la direttiva stessa aveva inteso rimuovere.
In questo senso la “clausola di non regressione” mantiene un suo valore del tutto
indiscutibile, soprattutto nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione Europa
e l’integrazione con sistemi economici e sociali assai differenti da quelli degli
attuali Stati membri. La stessa Commissione europea dovrebbe prestare
maggiore attenzione alla qualità del processo traspositivo, non limitandosi a
rilevare soltanto gli estremi per le procedure di infrazione. Il Governo invita le
parti sociali ad approfondire nel dialogo fra di loro questi profili
dell’esercizio traspositivo, anche al fine di esaltarne le potenzialità di
35
modernizzazione per
lavoratori italiani.
assicurare
tutele qualitativamente efficaci ai
I.3.2. Leggi e contratti
Il principio di sussidiarietà – già fondamentale nel rapporto fra ordinamento
comunitario e nazionale, nonché a proposito del dialogo fra Stato e Regioni nel
costituendo ordinamento federalista - deve secondo il Governo applicarsi
anche nel rapporto fra intervento pubblico e attività delle parti sociali. Il
legislatore (nazionale o regionale) dovrebbe intervenire solo dove le parti non
abbiano sufficientemente svolto un ruolo regolatorio. In questo senso verrebbe
esaltata appieno la funzione del contratto collettivo (nella sua prospettiva
interaziendale) come strumento regolatore di una corretta competizione fra
imprese sul piano sociale.
Nel contempo, occorre, però, riconoscere i profondi mutamenti intervenuti
nell’organizzazione del lavoro, la crescente spinta verso una soggettività nel
vissuto della propria condizione lavorativa e quindi rivalutare convenientemente
il ruolo del contratto individuale. Tale valorizzazione potrebbe avvenire
quantomeno con riferimento a singoli istituti o laddove (per ragioni di mercato
del lavoro connesse anche all’alta professionalità del lavoratore in questione)
esistano condizioni di sostanziale parità contrattuale tra le parti ovvero anche in
caso di specifici rinvii da parte della fonte collettiva. Il Governo chiede alle parti
sociali se e a quali condizioni sia possibile modificare l’attuale contesto
normativo che inibisce al datore e prestatore di lavoro di concordare condizioni
in deroga non solo alla legge ma anche al contratto collettivo, se non entro il
limite, sempre più ambiguo, delle condizioni di miglior favore. In un contesto
crescentemente individualizzato di rapporti e contratti di lavoro sono
individualizzate anche le scelte dei prestatori: ciò che può essere migliorativo
per l’uno, può risolversi in una condizione di peggior favore per l’ altro.
E’ utile a tal proposito rifarsi all’esperienza comparata, anche al fine di
dimostrare che la prospettiva delineata in alcun modo comporta un
appannamento del ruolo della contrattazione collettiva, quanto semmai una sua
diversa concezione. Nei Paesi Bassi si sta sperimentando in proposito un sistema
di raccordo fra contratto collettivo e contratto individuale di lavoro definito "a
scelta multipla", dove cioè il lavoratore può optare, d’intesa con il datore di
lavoro, fra diversi istituti negoziati in sede collettiva. Ad esempio un livello
salariale inferiore in cambio di maggior sicurezza del posto di lavoro, scambio
fra miglior trattamento retributivo ed allungamento del nastro orario, rinuncia
all’indennità natalizia a fronte di azioni della società e così via.
Il Governo pertanto invita le parti sociali a valutare la possibile
ridefinizione del rapporto fra momento collettivo ed individuale nella
regolazione del rapporto di lavoro, rendendo possibile la definizione di
assetti regolatori effettivamente conformi agli interessi del singolo
lavoratore ed alle specifiche aspettative in lui riposte dal datore di lavoro,
nel contesto d’un adeguato controllo sociale. In aggiunta si potrebbero
studiare percorsi a garanzia della effettiva volontà del lavoratore (per
realizzare una sorta di “derogabilità assistita”, secondo meccanismi di
certificazione e/o validazione della volontà individuale), ad opera di
36
istituzioni pubbliche o anche delle stesse parti sociali, al fine di
corrispondere alle attese di flessibilità delle imprese ma anche alle nuove
soggettività dei prestatori di lavoro.
Sempre in sede comunitaria, è stata sperimentata con successo una nuova tecnica
nel rapporto fra legge e contrattazione collettiva che a giudizio del Governo
merita senz’altro di essere ripresa anche all’interno dell'ordinamento italiano. Il
riferimento è all’esperienza applicativa della direttiva comunitaria sui "comitati
aziendali europei" (CAE). Questa direttiva europea del 1994 affida, infatti, alle
parti (direzione centrale della società multinazionale e la rappresentanza dei
lavoratori) l’individuazione della composizione e delle funzioni del "comitato
aziendale europeo". Solo ed esclusivamente in mancanza di un accordo tra tali
soggetti scattano le previsioni di legge; altrimenti l’intesa negoziale è in grado di
sostituire interamente il testo normativo che in sostanza non si applica poiché si
ritiene già raggiunto il fine che il legislatore si era prefisso di conseguire. Nel
caso della direttiva CAE il risultato è stato di oltre 600 accordi stipulati fino ad
oggi: in pratica oltre un terzo delle multinazionali hanno preferito la strada
negoziale all’applicazione della legge.
Il Governo considera estremamente interessante questo tipo di intervento
legislativo che riconosce un ruolo non tanto promozionale quanto premiale
alla contrattazione collettiva e ritiene che la direttiva CAE dovrebbe
dunque essere assunta come modello anche in Italia ai fini dell’intervento
normativo nella materia del diritto del lavoro e delle relazioni industriali. Del
resto il compromesso adottato al Consiglio europeo di Nizza (dicembre 2000)
sugli aspetti partecipativi riguardanti la Società Europea è largamente ispirato a
questo modello. Il Governo auspica di ricevere su questa proposta adeguati
approfondimenti delle parti sociali, allo scopo di progettare nuove misure che
riprendano questa metodologia adottata in sede comunitaria, e conferire alle parti
sociali un ruolo sostanzialmente para-legislativo in modo di stimolare il
raggiungimento di intese per realizzare assetti regolatori più confacenti alle
singole realtà aziendali.
I.3.3. “Norme leggere” (soft laws)
L’ordinamento giuridico del lavoro in Italia è stato costruito sul presupposto che
i rapporti tra datori e prestatori di lavoro siano presidiati da regole vincolanti,
dettate dal legislatore o convenute in sede di contrattazione collettiva.
Un’impostazione precettiva e prescrittiva che, nella normalità dei casi, produce
norme inderogabili, cioè tali da escludere la libera pattuizione individuale e
comunque tali da non lasciare alcuna flessibilità alle parti, se non in senso
migliorativo per il lavoratore. Spesso si tratta di precetti eccessivamente rigidi,
sovente inattuabili, tali da favorire l’evasione e gli aggiramenti, fomentando
comunque il contenzioso.
Ancora una volta l’esperienza comparata dimostra che è possibile modernizzare
l’ordinamento del lavoro anche sul piano delle tecniche di regolazione. Nei Paesi
di tradizione di common law esistono strumenti diversi, come per esempio i
codes of practice e, più in generale, le soft laws (“norme leggere”), che mirano
ad orientare l’attività dei soggetti destinatari, senza peraltro costringerli ad uno
specifico comportamento, vincolandoli tuttavia al conseguimento di un
37
determinato obiettivo. Tali tecniche sono entrate ormai a far parte
dell’ordinamento giuridico comunitario. Nell’ambito della Strategia europea per
l’occupazione vengono annualmente definiti dal Consiglio gli “orientamenti” in
materia di occupazione che costituiscono senz’altro forme di soft laws. Il
Consiglio europeo di Stoccolma (aprile 2001) ha preannunciato l’elaborazione, a
cura del Consiglio di concerto con la Commissione, di indicatori (anche
quantitativi) sulla qualità del lavoro, da adottarsi al Consiglio europeo di Laeken
(dicembre 2001). Ancora una volta si tratterà di “norme leggere”, focalizzate
sull’obiettivo finale da conseguire assai più che non sulla coercizione ad
osservare un comportamento predeterminato minuziosamente in sede legislativa.
Il Governo intende contribuire alla riflessione in corso circa
l’identificazione di indicatori di qualità a livello europeo, nella
consapevolezza che, in ogni caso, essi non dovranno tradursi in ulteriori
vincoli, bensì in strumenti per incentivare opportuni investimenti, anche di
carattere formativo, nelle risorse umane.
Tutto lascia quindi prevedere che questa tecnica regolatoria si diffonderà sempre
più. I primi esempi di “norme leggere” potrebbero essere sperimentalmente
inseriti all’interno dei contratti collettivi nazionali di lavoro, sotto forma di
clausole che rinviino alla contrattazione di secondo livello, pur prefigurando il
conseguimento di obiettivi predeterminati e preconcordati. Le stesse parti sociali
a livello comunitario hanno peraltro già cominciato a sperimentare la
stipulazione di accordi sotto forma di “linee guida”, com’è accaduto nel dialogo
sociale settoriale che ha prodotto recentemente intese sulla regolamentazione del
telelavoro.
Il Governo esprime grande interesse nei confronti della recente intesa
intercategoriale sul telelavoro a livello comunitario sulla base di linee-guida
od orientamenti. Essa riveste, infatti, un grande significato paradigmatico,
costituendo un utile modello per la possibile utilizzazione di questo strumento
anche su scala nazionale, soprattutto nell’ottica di una transizione verso un
assetto federalista anche in materia di lavoro. Poiché non si tratta di un accordo
quadro non sarà necessario un intervento del Consiglio al fine di rendere l’intesa
vincolante tramite l’adozione di una direttiva che a sua volta dovrebbe essere
trasposta. L’accordo resterà in un ambito strettamente privatistico e la sua
attuazione su scala nazionale rimarrà del tutto nelle mani delle parti sociali. Una
prospettiva di notevole interesse, compatibile con il diritto comunitario che non
esclude questo genere di accordi, al tempo stesso utilmente sperimentabile in
Italia anche per realizzare eventualmente un coordinamento “soft” di un modello
contrattuale ad impianto federalista.
In ogni caso il Governo ritiene che già sul piano dell’intervento regolatorio
pubblico sarà necessario sperimentare queste tecniche innovative. Ad
esempio una rivisitazione della normativa sulla salute e sicurezza del lavoratore
dovrà comportare il passaggio dal management by regulation al management by
objectives. Superare l’inderogabilità della norma giuridica dunque non basta:
occorre dotare l’ordinamento del lavoro di una nuova gamma di strumenti
regolatori che già sono in uso in Paesi con cui l’Italia si confronta nella
competizione globale. Il Governo considererà l’opportunità di ricorrere a questi
38
strumenti regolatori di tipo innovativo ed auspica in quest’ambito di ricevere
commenti e proposte dagli attori istituzionali e sociali
I.3.4 . Norme semplici e certe
Il Governo ritiene che l’ordinamento giuridico del lavoro italiano sia, al pari di
altre branche del diritto dell’economia, estremamente complesso, frutto di
interventi normativi stratificatisi nel tempo con un andamento alluvionale che lo
rendono, per molti versi, inadeguato a disciplinare fenomeni sociali nuovi e in
continuo mutamento. I rapporti fra datori e prestatori di lavoro dovrebbero
essere governati da un corpus normativo assai più semplificato, effettivamente
utilizzabile dai diretti interessati senza ulteriore aggravio di costi per gli
operatori economici di minori dimensioni.
Modernizzare il sistema regolatorio dei rapporti di lavoro significa anche darsi
l’obiettivo di una riorganizzazione e di un riordino delle norme vigenti,
ricorrendo anche allo strumento dei testi unici. Tale metodologia potrebbe
risultare di grande utilità per le imprese ed a tal fine il Governo ha
immediatamente disposto affinché venga opportunamente ordinata e
semplificata la normativa in materia di sicurezza e salute sul lavoro. Regole più
semplici e chiare contribuirebbero ad agevolare l’opera di regolarizzazione delle
condizioni di lavoro con un effetto assai benefico sul piano della correttezza
della concorrenza fra imprese.
Il Governo ritiene che, una volta realizzata l’opera riformatrice delineata
nel presente Libro Bianco, così come risulterà arricchita ed integrata dai
soggetti istituzionali e sociali cui è rivolto, sarà comunque necessario
coordinare le nuove disposizioni con la normativa preesistente all’interno di
un Testo unico sul lavoro. Tale intervento potrà anche essere anticipato nel
corso della presente legislatura non appena saranno operative alcune
significative riforme, secondo uno schema di codificazione aperto e flessibile,
che consenta un continuo aggiornamento del Testo unico stesso. Sarà questa
l’occasione per un opportuno raccordo con le legislazioni regionali che nel
frattempo si saranno formate. Il Governo auspica che sul punto si possano
registrare utili commenti e proposte dai soggetti istituzionali e dalle parti sociali.
I.3.5. “Statuto dei Lavori”
Il Governo considera necessario alla luce di quanto sopra esposto procedere
ad
un’opera
di
complessiva
modernizzazione
dell’impianto
dell’ordinamento del lavoro in Italia nell’ ambito di uno ‘Statuto dei lavori’
che riprende alcune idee progettuali già circolati nel corso della precedente
legislatura, spunti che il Governo intende valorizzare pienamente pervenendo ad
un organico progetto riformatore sul quale si chiede il concorso dei soggetti
istituzionali e sociali.
Nell’accingersi a progettare un disegno riformatore di ampio respiro, occorre
tener conto dei vincoli di appartenenza dell’Italia a organismi sopranazionali,
unitamente alle logiche della globalizzazione e dell’internazionalizzazione dei
mercati, ciò che impone di prendere le mosse da due documenti di particolare
rilievo a livello internazionale: la Dichiarazione dell’Organizzazione
39
Internazionale del lavoro sui principi e diritti fondamentali sul lavoro approvata
dalla Conferenza Internazionale del Lavoro nel giugno del 1998, nonché la
Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea proclamata a Nizza lo
scorso 7 dicembre. La Dichiarazione dell’Organizzazione Internazionale del
Lavoro sancisce quattro diritti fondamentali (la libertà di associazione e il diritto
alla contrattazione collettiva; l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato od
obbligatorio; l’effettiva abolizione del lavoro minorile; l’eliminazione di ogni
discriminazione sul lavoro e nell’accesso all’impiego. La “Carta” dell’Unione
Europea, accanto a questi diritti fondamentali, ne indica in modo dettagliato una
serie ulteriore, tra cui il diritto di lavorare e di esercitare una professione
liberamente scelta o accettata; alla informazione e alla consultazione nell’ambito
dell’impresa; di accedere a un servizio di collocamento gratuito; alla tutela
contro ogni licenziamento ingiustificato; a un equo compenso; a condizioni di
lavoro sane, sicure e dignitose; di accesso alle prestazioni di sicurezza sociale e
ai servizi sociali, alla protezione dei dati personali. A prescindere dal valore
giuridico di questi documenti, in essi sono indubbiamente contenuti alcuni
principi profondamente radicati nella tradizione culturale europea e,
segnatamente, italiana. A ben vedere, si tratta di principi e diritti formalmente
sanciti dalla Carta Costituzionale del 1948.
A seguito dei profondi mutamenti intercorsi nell’organizzazione dei rapporti e
dei mercati del lavoro, il Governo ritiene che sia ormai superato il tradizionale
approccio regolatorio, che contrappone il lavoro dipendente al lavoro autonomo,
il lavoro nella grande impresa al lavoro in quella minore, il lavoro tutelato al
lavoro non tutelato. E’ vero piuttosto che alcuni diritti fondamentali devono
trovare applicazione, al di là della loro qualificazione giuridica, a tutte le forme
di lavoro rese a favore di terzi: si pensi al diritto alla tutela delle condizioni di
salute e sicurezza sul lavoro, alla tutela della libertà e della dignità del prestatore
di lavoro, all’abolizione del lavoro minorile, all’eliminazione di ogni forma di
discriminazione nell’accesso al lavoro, al diritto a un compenso equo, al diritto
alla protezione dei dati sensibili, al diritto di libertà sindacale. E’ questo zoccolo
duro e inderogabile di diritti fondamentali che deve costituire la base di un
moderno “Statuto dei lavori”.
Occorre precisare che il riconoscimento di questi diritti fondamentali a tutti i
lavoratori che svolgano prestazioni a favore di terzi (datori di lavoro,
imprenditori, enti pubblici, committenti, etc.) non risponde solo ed
esclusivamente a istanze di tutela della posizione contrattuale e della persona del
lavoratore. E’ vero anzi che il riconoscimento di standard minimali di tutela a
beneficio di tutti i lavoratori rappresenta — oggi più che nel passato — anche
una garanzia dei regimi di concorrenza tra i soggetti economici, arginando forme
di competizione basate su fenomeni di dumping sociale (dal lavoro nero tout
court a forme di sfruttamento del lavoro minorile, etc.).
Partendo dunque dalle regole fondamentali, applicabili a tutti i rapporti di lavoro
a favore di terzi, quale che sia la qualificazione giuridica del rapporto, è poi
possibile immaginare, per ulteriori istituti del diritto del lavoro, campi di
applicazione sempre più circoscritti e delimitati, operando un’opportuna
graduazione e diversificazione delle tutele in ragione delle materie di volta in
volta considerate e non (come nel vecchio ordinamento) a seconda delle
tipologie contrattuali di volta in volta considerate. Dunque non si tratta di
40
sommare al nucleo esistente delle tutele previste per il lavoro dipendente un
nuovo corpo normativo a tutela dei nuovi lavori (ivi comprese le collaborazioni
coordinate e continuative). Non può certo essere condiviso l’approccio –
proposto senza successo nel corso della precedente legislatura – di estendere
rigidamente l’area delle tutele senza prevedere alcuna forma di rimodulazione
all’interno del lavoro dipendente.
Individuato, dunque, un nucleo essenziale di norme e di principi inderogabili
(soprattutto di specificazione del dettato costituzionale), comuni a tutti i rapporti
negoziali aventi ad oggetto esecuzione di attività lavorativa in qualunque forma
prestata, occorrerà procedere a una rimodulazione delle tutele caratteristiche del
lavoro dipendente. Al di sopra di questo nucleo minimo di norme inderogabili,
sembra opportuno lasciare ampio spazio all’autonomia collettiva e individuale,
ipotizzando una gamma di diritti inderogabili relativi, disponibili a livello
collettivo o anche individuale (a seconda del tipo di diritto in questione).
A ciò dovrà aggiungersi un corrispondente riassetto delle prestazioni
previdenziali. L’avvicinamento dei regimi previdenziali contribuirebbe peraltro
a sdrammatizzare il problema qualificatorio delle singole fattispecie. Del resto il
processo di riallineamento o rimodulazione delle tutele caratteristiche del lavoro
subordinato riguarderà anche il profilo della stabilità dell’occupazione. A tal
proposito si potrebbero ipotizzare per alcune categorie di lavoratori e/o per
determinate tipologie contrattuali, meccanismi di tipo risarcitorio ovvero
garanzie crescenti a seconda dell’anzianità di servizio continuativo del
lavoratore. Si realizzerà in altri termini un sistema di tutela a geometria
variabile, raffigurabile in una serie di centri concentrici di diversa ampiezza
secondo le materie trattate, tali da comprendere tipologie più o meno ampie di
rapporti.
Sul piano della ridefinizione dei criteri di imputazione delle tutele del lavoro si
potrebbe peraltro andare anche oltre la semplice predisposizione di un nucleo di
disciplina comune a tutti i tipi di lavoro, rinunciando definitivamente ad una
definizione generale e astratta di lavoro subordinato, indicando invece, di volta
in volta, il campo di applicazione di ogni intervento normativo. Una soluzione,
in questa prospettiva, potrebbe essere quella della creazione di Testi Unici, che,
oltre a ridefinire il campo di applicazione — soggettivo e oggettivo — di ogni
tutela (equo compenso, licenziamenti, sospensione del rapporto di lavoro, diritto
di sciopero, sanzioni disciplinari, etc.), potrebbero anche concorrere alla
semplificazione e razionalizzazione della normativa esistente.
In sintesi, il Governo ritiene che sia indispensabile una complessiva
rivisitazione del nostro ordinamento giuridico del lavoro, innanzitutto
estendendo livelli minimi di tutela a tutte le forme in cui si estrinseca
l’attività lavorativa. Dunque partendo dalle regole fondamentali, applicabili a
tutte le forme di attività lavorativa rese a favore di terzi, quale che sia la
qualificazione giuridica del rapporto, sarà poi possibile ammettere, per ulteriori
istituti del diritto del lavoro, campi di applicazione via via più circoscritti, un
sistema di cerchi concentrici, con una tutela che si intensificherà a favore di un
novero sempre più ristretto di soggetti. Per consegnare alle imprese un nuovo
sistema di gestione dei rapporti di lavoro, semplice ed agile, sarebbe utile infine
sperimentare una procedura di certificazione, cioè di validazione anticipata della
41
volontà delle parti interessate all’utilizzazione di una certa tipologia contrattuale.
La funzione certificatoria, utile a prevenire controversie giudiziali sul piano
qualificatorio, potrebbe essere esercitata da strutture pubbliche (in sede
amministrativa) od anche sindacali (gli enti bilaterali, ad esempio).
Il Governo auspica che su questa proposta possano essere raccolte
osservazioni ed integrazioni, nella convinzione che una riforma di tal genere
necessiti del concorso progettuale di tutti gli attori, non esclusa la comunità
scientifica nell’ambito della quale esse sono state a lungo dibattute.
I.3.6. Responsabilità sociale delle imprese
Il Governo condivide il recente Libro Verde della Commissione europea
Promoting a European Framework for Corporate Social Responsibility (18
luglio 2001, COM(2001) 366 final), auspicando che gli operatori economici
italiani possano sviluppare una cultura orientata verso la “responsabilità
sociale”. Con questo concetto si allude, come noto, non soltanto al semplice
adempimento degli obblighi di carattere legale imposti da precetti legislativi od
anche di origine convenzionale, quanto anche all’impegno di andare oltre il
semplice adempimento investendo sempre più nelle risorse umane. Andare oltre
le prescrizioni legali minime in campo sociale può, del resto, avere un impatto
rilevante sulla produttività delle imprese, anche se non può certo considerarsi
una metodologia in alcun modo sostitutiva della regolazione dei diritti sociali
fondamentali.
La “responsabilità sociale”, intesa come investimento in capitale umano, può
rappresentare una scelta strategica vincente per l’impresa, nel senso di
migliorare il rendimento dei dipendenti, generando maggiori profitti, ed allo
stesso tempo destando una crescente attenzione nei consumatori e negli
investitori. Del resto in alcune regioni italiane la situazione del mercato del
lavoro impone all’operatore economico un comportamento assai attento ai profili
sociali, finalizzato ad attrarre e trattenere il capitale umano di migliore qualità. A
questo fine non è certamente sufficiente attenersi agli obblighi di legge od a
quanto previsto dal contratto collettivo: è necessario andare ben oltre. A ragione
dunque la Commissione europea raccomanda lo sviluppo di una cultura della
“responsabilità sociale” che valorizzi l’empowerment dei collaboratori,
realizzando condizioni di formazione permanente, sviluppo di carriera,
meccanismi di partecipazione ai profitti, puntando in definitiva alla realizzazione
di risorse umane di qualità.
Il Governo sollecita tutti gli attori a prestare attenzione al tema della
“responsabilità sociale” delle imprese, sperimentandolo anche a mezzo di
“codici di condotta” di tipo volontario che consentano ai lavoratori ed ai loro
rappresentanti di valutare la politica delle risorse umane delle organizzazioni,
instaurando un fruttoso dialogo con il management. Occorre in definitiva
sperimentare nuove tecniche, comprensive anche di un diverso funzionamento
dei meccanismi delle assicurazioni sociali, che sia ispirato alla logica del
management by objectives. Ciò pur nella consapevolezza della difficoltà di
definire standard di comportamento validi universalmente, compresa quella del
social auditing, del ‘marchio sociale’ ed altre analoghe. La prospettiva suggerita
dalla Commissione, autorevolmente confermata dal Consiglio europeo di
42
Goteborg (giugno 2001), appare in questo senso condivisibile: transitare da una
prospettiva meramente regolatoria ad un developmental approach costituisce la
garanzia per una visione non solo giuridico-istituzionale, ma anche dinamica del
funzionamento dei rapporti di lavoro e dei mercati in cui sono inseriti. Le tutele
dell’ambiente, dell’igiene e sicurezza nel lavoro, dei diritti fondamentali nella
filiera produttiva globale possono rappresentare gli ambiti in cui promuovere lo
sviluppo di queste iniziative volontarie.
I.3.7. Giustizia del lavoro
In un quadro regolatorio moderno dei rapporti di lavoro anche la prevenzione e
la composizione delle controversie individuali di lavoro deve ispirarsi a criteri di
equità ed efficienza, ciò che senza dubbio non risponde alla situazione attuale.
La crisi della giustizia del lavoro è, infatti, tale, sia per i tempi con cui vengono
celebrati i processi, sia per la qualità professionale con cui sono rese le
pronunce, da risolversi in un diniego della medesima, con un danno complessivo
per entrambe le parti titolari del rapporto di lavoro. E’ necessario anche in
proposito guardare alle esperienze straniere più consolidate (dai tribunali
industriali britannici ai probiviri francesi) per trarne motivo di riflessione e di
approfondimento.
La situazione, specialmente in alcune sedi giudiziarie, è davvero grave e deve
essere affrontata con assoluta urgenza. A tal proposito il Governo considera
assai interessante la proposta, da più parti avanzata, di sperimentare
interventi di collegi arbitrali che siano in grado di dirimere la controversia
in tempi sufficientemente rapidi.
Tutte le controversie di lavoro potrebbero essere amministrate con maggiore
equità ed efficienza per mezzo di collegi arbitrali. Con particolare riferimento al
regime estintivo del rapporto di lavoro indeterminato, si potrebbe anche
considerare a riguardo la possibilità di conferire allo stesso collegio arbitrale di
optare per la reintegrazione o per il risarcimento, avuto riguardo alle ragioni
stesse del licenziamento ingiustificato, al comportamento delle parti in causa,
alle caratteristiche del mercato del lavoro locale.
Fra l’altro alcune recenti intese fra le parti sociali hanno certamente rafforzato la
soluzione arbitrale in alternativa a quella giudiziale, pur nei limiti e nel rispetto
dei principi costituzionali che vietano l’obbligatorietà di tale mezzo di soluzione
delle controversie (v. recentemente Cass. SU 527/2000). Il Governo a riguardo
considera con perplessità le conclusioni, non unanimi, cui è approdata sul punto
la “Commissione per lo studio e la revisione della normativa processuale del
lavoro” che ha operato nel corso della passata legislatura per incarico del
Ministero della Giustizia e del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.
Si legge, infatti, nella Relazione che non si è raggiunto consenso
sull’abrogazione –pure sostenuta da numerosi commissari- del divieto di
compromettibilità in arbitri delle controversie ex art. 409 cod.proc.civ. e su
clausole compromissorie, trasfuse nel contratto collettivo e richiamate nel
contratto individuale, che consentano la devoluzione in arbitri anche quando
abbiano ad oggetto diritti dei lavoratori derivanti da disposizioni inderogabili di
legge o da contratti collettivi, nonché sull’impugnabilità, in un unico grado
davanti alla Corte d’Appello, e solo per vizi procedimentali. Insufficiente a
43
rilanciare l’istituto arbitrale nelle controversie di lavoro sarebbe poi la soluzione
che vincola l’arbitro al rispetto della legge e dei contratti collettivi –impedendo
così giudizi basati sull’equità- e considera impugnabile il lodo, per qualunque
vizio, innanzi alla Corte di Appello. Occorre approfondire comunque il
confronto su questa prospettiva, nella convinzione che in ogni caso l’ immediata
esecutività del lodo nonostante l’impugnazione proposta (principio accolto
anche nelle stesse intese fra le parti sociali) potrebbe incentivare
considerevolmente questo istituto processuale.
Pure nel rispetto dei limiti di natura costituzionale che impediscono di dichiarare
il lodo non impugnabile, l’istituto arbitrale sarebbe assai incentivato nel ricorso
volontario delle parti se la decisione venisse resa su base equitativa –unica
garanzia per tempi certi- e l’impugnabilità potesse essere proposta solo per vizi
di procedura. Il Governo auspica che su questo punto si apra un confronto
capace di produrre una proposta capace di modernizzare la gestione della
giustizia del lavoro.
44
II. OBIETTIVI E POLITICHE
II.1. Occupabilità (more jobs…)
II.1.1. Obiettivi quantitativi
Nel disegnare i diversi singoli interventi di politica del lavoro e più in generale
di politica economica e finanziaria, è intenzione del Governo fare costante
riferimento ad un obiettivo complessivo di crescita occupazionale –più
precisamente di crescita del tasso d’occupazione- verso i livelli posti in sede
europea. Intendimento del Governo è di procedere al confronto con le parti
sociali e con gli altri attori istituzionali interessati avendo sempre questo
obiettivo quantitativo di crescita come misura del proprio operare.
Rispetto ai target europei – 70% e 60 % rispettivamente per il tasso di
occupazione totale e femminile nel complesso delle classi d’età tra 15 e 64 anni,
50% per quello dei 55-64enni – il divario che ancora caratterizza il nostro paese
è particolarmente ampio. Avendo a riferimento il tasso di occupazione
complessivo, l’aumento necessario per eliminarlo (nell’arco di un decennio)
sarebbe pari all’incirca al triplo di quanto ottenuto nel quinquennio 1995-2000 e
richiederebbe di replicare quanto, in ambito europeo, ottenuto nello stesso
periodo solo da Olanda o Irlanda (facendo quindi meglio di Spagna, Finlandia o
Portogallo), situazioni in cui la crescita occupazionale è stata innalzata da fattori
peculiari, quali il forte sviluppo del part time ed il pieno dispiegarsi d’un
processo di catching-up.
Nel delineare lo scenario macroeconomico della legislatura da poco avviata, il
DPEF del luglio 2001 ha perciò fissato, come soglia al 2006, impegnativa ma
prudente, un livello del tasso d’occupazione complessivo del 58.5% ( cinque
punti in più rispetto al 2000). Il raggiungimento di tale obiettivo, che richiede
condizioni macroeconomiche favorevoli, già garantirebbe un balzo in avanti
rispetto al quinquennio 1995-2000, soprattutto alla luce del fatto che, al contrario
di quanto avvenuto in quel quinquennio, i fattori demografici non giocheranno a
favore della crescita dell’occupazione ed i livelli occupazionali ormai raggiunti
in taluni segmenti di mercato renderanno sempre più pressante il vincolo alla
crescita che potrà scaturire dalla carenza di manodopera in talune parti del
mercato21. La soglia ora indicata è anche l’obiettivo che il Governo ha indicato,
in sede Europea, come contributo italiano al raggiungimento dei target che
l’Unione ha fissato, al 2005 ed al 2010, per l’insieme dei Paesi Membri.
Il raggiungimento di quella soglia non sarebbe traguardo da poco, anche
considerando la necessità che le politiche occupazionali qui descritte si
dispieghino in un contesto macroeconomico positivo –un contesto su cui
potrebbero incidere in senso sfavorevole le vicende internazionali- e le difficoltà
che la situazione dei conti pubblici ereditata dal passato creano agli interventi
necessari di riduzione del carico contributivo e di attuazione di adeguate
politiche attive e passive del lavoro. Tuttavia, il Governo sottolinea come esso
21
Sull’entità i entrambi i fattori si veda il Rapporto di Monitoraggio del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali sulle politiche del lavoro no. 1-2001, scheda 1.
45
intenda operare affinché l’Italia possa progressivamente accostarsi ai livelli e ai
traguardi esistenti per l’UE nel suo insieme.
Le aree dove maggiore è il gap con quei traguardi e dove minori sono stati i
progressi pur registrati nel quinquennio 1995-2000 – in particolare il lavoro dei
più anziani (calato nel recente passato) e le regioni del Mezzogiorno (dove più
flebili e meno consolidati sono stati i segnali di miglioramento nel recente
passato) - sono, al tempo stesso, quelle più critiche al fine di raggiungere lo
stesso obiettivo minimo prima detto e quelle dove maggiori sono le opportunità
di superamento di quell’obiettivo.
II.1.2. Politiche attive
Le caratteristiche del nostro mercato del lavoro mostrano che abbiamo molta
strada da percorrere prima di raggiungere gli obiettivi che, con riferimento ai
tassi di occupazione, la Comunità ha indicato agli Stati membri. La
disoccupazione giovanile, la disoccupazione di lunga durata , la concentrazione
della disoccupazione nel Mezzogiorno, il modesto tasso di partecipazione delle
donne e degli anziani, sono tutti fattori di debolezza strutturale della nostra
economia , che ne limitano il grado di competitività all’interno della Comunità.
L’elevata disoccupazione e il basso tasso di occupazione trovano origini lontane
nel tempo e devono essere curati con interventi di carattere strutturale. Senza
questi interventi, vi è il pericolo che la politica di sviluppo indicata dal Governo
vada incontro a strozzature che ne possono limitare l’efficacia e le potenzialità.
L’offerta di lavoro da mobilitare è localizzata soprattutto nelle regioni
meridionali, ma anche in quelle settentrionali si riscontrano segmenti consistenti
di offerta potenziale che possono essere meglio sfruttati. Nei confronti di questa
offerta, in parte palese, in parte nascosta (e in parte impiegata nel lavoro
sommerso) occorre agire innanzitutto sui fattori che rendono più conveniente il
loro impiego da parte delle imprese del segmento ufficiale del mercato del
lavoro. In termini economici occorre sviluppare la domanda di lavoro attraverso
interventi sul costo del lavoro per unità di prodotto e, più in particolare, sulle
singole componenti in cui esso si articola: retribuzioni, cuneo fiscale e
produttività.
Gli strumenti vanno individuati ed attivati in modi diversi, a seconda del
segmento dell’offerta su cui si vuole intervenire. In diverse parti del Paese si è
raggiunta praticamente la piena occupazione, nel senso che la disoccupazione è
scesa a livelli fisiologici, eppure non si sono raggiunti ancora livelli dei tassi di
occupazione paragonabili a quelli dei nostri partners europei. Se ne deduce che
per raggiungere quell’obiettivo di occupazione occorre far leva sugli strumenti
che possano incentivare una maggiore offerta di lavoro, in particolare quella
delle donne e degli anziani.
Le componenti strutturali della nostra disoccupazione, quella giovanile, quella
concentrata nel Mezzogiorno, quella di lunga durata (e si osservi che esiste una
forte sovrapposizione fra queste diverse tipologie di disoccupazione) vanno
affrontate con un opportuno “mix” di tutti gli strumenti di politica del lavoro ,
anche dello strumento che sta alla base del funzionamento stesso del mercato
del lavoro e cioè i differenziali retributivi . E ciò vale soprattutto quando lo
46
strumento degli incentivi fiscali non può essere utilizzato nei modi e nelle
misure voluti. Questo è il caso della disoccupazione meridionale.
Il Governo ritiene che sia necessario, anche a seguito delle indicazioni che
continuano a provenire dalla Commissione Europea nell’ambito della
Strategia Europea sull’Occupazione, un nuovo assetto della regolazione e
del sistema di incentivi e ammortizzatori che realizzi un bilanciamento tra
flessibilità e sicurezza, avendo come obiettivo ultimo più occupazione e
meno precarizzazione. Pertanto, esso invita le parti sociali affinché si ponga
attivamente in costruzione un sistema di politiche di lavoro nel quale
stabilità e sicurezza siano riferite non più al singolo posto di lavoro bensì
all’occupazione e al mercato del lavoro.
II.1.3. Servizi pubblici all’impiego
Le politiche attive si basano anzitutto sul miglioramento del sistema di
diffusione delle informazioni nel mercato del lavoro, in particolare quelle sui
posti vacanti, sui fabbisogni di personale, sulle possibilità di “training” rivolte ai
giovani e ai lavoratori e, infine, sulle caratteristiche dei lavoratori disoccupati.
Su questo terreno il nostro paese è strutturalmente arretrato e ciò pesa
negativamente sul funzionamento di tutto il mercato del lavoro. L’assorbimento
di una quota della disoccupazione strutturale e l’innalzamento del tasso di
occupazione dipenderanno in misura rilevante dal successo che avranno le
politiche di diffusione e di scambio di queste informazioni.
Pertanto, il Governo auspica che, pure nel rispetto delle prerogative di ogni
attore, venga impressa una decisa accelerazione alle misure che possano
favorire un efficiente ed equo incontro tra domanda e offerta.
Il Governo ritiene che l’attuale ordinamento giuridico del lavoro si limiti a
realizzare la protezione del lavoratore in quanto titolare di una posizione
lavorativa, garantendo agli insiders una posizione di privilegio a scapito degli
outsiders, sostanzialmente abbandonati a se stessi da strutture di collocamento
pubblico del tutto inadeguate. Se occorre da un lato rimodulare
convenientemente la protezione accordata al lavoratore occupato, dall’altro è
necessario assicurare una più alta tutela sul mercato. Sul piano del rapporto di
lavoro si tratta quindi di stimolare l’adattabilità dei dipendenti (vale a dire
flessibilità e formazione); su quello del mercato le autorità comunitarie
richiedono agli Stati membri di realizzare un sistema pubblico di servizi
all’impiego che, integrando e lasciando competere al tempo stesso operatori
pubblici e privati, garantisca l’occupabilità. E’ del tutto evidente che
l’ordinamento italiano contrasta apertamente con tali indicazioni comunitarie:
alla iper-tutela degli occupati si contrappone, infatti, la sotto-tutela dei
disoccupati.
Come già anticipato, l’Italia non si è adeguata negli ultimi anni alla richiesta
fondamentale rivoltale dalle autorità comunitarie nell’ambito della Strategia
Europea per l’Occupazione, cioè di riorientare in forma preventiva il proprio
sistema di servizi pubblici all’impiego. Nel Paese, a livello di Governo ma anche
di Regioni e di enti locali, c’è stata una forte sottovalutazione di questi impegni
47
comunitari finalizzati a migliorare la capacità di inserimento professionale del
nostro sistema pubblico di collocamento
Il Governo intende raccogliere le Raccomandazioni rivolte dall’Unione
Europea, proseguendo con determinazione nella modernizzazione dei
servizi pubblici per l’impiego. A questo proposito sarà necessario un raccordo
più stretto con le competenze e l’attività delle Regioni e delle Province, anche al
fine di valutare il grado di efficienza raggiunto dalle strutture decentrate del
collocamento pubblico. Il d. lgs. 181 rimane certamente la cornice normativa per
l’attuazione concreta di politiche preventive, attribuendo ai servizi per l’impiego,
tra gli indirizzi generali, il compito di effettuare una proposta di adesione ad
iniziative di inserimento lavorativo, di formazione e riqualificazione a
disoccupati e inoccupati di lunga durata, non oltre dodici mesi dall’inizio dello
stato di disoccupazione (sei mesi per coloro che godono di trattamenti
previdenziali). Lo stesso decreto prevede inoltre l’offerta da parte dei servizi
pubblici per l’impiego di un colloquio di orientamento entro sei mesi dall’inizio
dello stato di disoccupazione a tutti i giovani disoccupati. Il Governo dunque si
impegna in questa prospettiva a riorientare, di intesa con le Regioni e le
Province, con maggiore incisività i servizi per l’impiego verso una logica di
prevenzione, al fine di ridurre i flussi e le permanenze nella disoccupazione.
In questo quadro, uno sforzo di maggiore attenzione verrà rivolto all’attuazione
degli interventi di prevenzione della disoccupazione di lunga durata dei
lavoratori anziani e di prolungamento della loro vita attiva. Tali misure
riguarderanno il sistema previdenziale, la riduzione nel livello dei sussidi e
l’incentivazione, sia sul fronte della domanda sia su quello dell’offerta di lavoro,
della permanenza dei lavoratori anziani nella vita lavorativa. Ugualmente ai
servizi pubblici all’impiego dovrà essere demandata la funzione di agire in
termini di controllo nell’erogazione dei sussidi di disoccupazione.
Il Governo ritiene, pertanto, urgente, una riforma organica delle regole sul
mercato del lavoro, nel senso della massima semplificazione delle procedure di
collocamento, del più efficace potenziamento delle azioni di prevenzione e della
massima efficacia dei servizi, attraverso un modello che contempli la
cooperazione e la competizione tra strutture pubbliche, convenzionate e private.
Pertanto, vanno individuate e sistematizzate le attività riconducibili ad una
residua funzione pubblica (anagrafe, scheda professionale, controllo dello stato
di disoccupazione involontaria e della sua durata, azioni di sistema) da
assicurare mediante i servizi pubblici all’impiego e strutture convenzionate
(pubbliche e private); mentre vanno affidate al libero mercato le attività di
servizio, in un regime di competizione e concorrenza tra i servizi pubblici e gli
operatori privati autorizzati.
Il Governo valuta positivamente l’esperienza in atto per iniziativa del
Comune di Milano dove è stata realizzata un’intesa fra le parti sociali e con la
collaborazione della Regione Lombardia e la Provincia di Milano si è dato luogo
ad un servizio pubblico finalizzato all’integrazione occupazionale e sociale di
categorie a rischio di esclusione (extracomunitari, over 40 espulsi da processi
produttivi, ecc.). Tale esperienza testimonia eloquentemente il possibile ruolo
che anche gli enti locali possono svolgere, nella collaborazione con le parti
48
sociali, avendo riguardo con maggiore prossimità alle caratteristiche di ogni
singolo mercato locale del lavoro.
Il Governo ritiene assai urgente un intervento che, nel rispetto delle
competenze delle Regioni e delle Province, consenta in tempi rapidi
un’accelerazione nel processo di riorganizzazione dei servizi pubblici
all’impiego, in ottemperanza alle raccomandazioni ricevute dall’Unione
Europea.
Occorre intervenire su più fronti. Un intervento prioritario è investire risorse nel
servizio stesso, soprattutto in termini di maggiori e migliori competenze e
professionalità degli operatori coinvolti. Fare efficacemente intermediazione nel
mercato del lavoro significa possedere capacità professionali di alto livello;
occorre rompere con la tradizione e la cultura dei timbri e delle pratiche
burocratiche. Le competenze necessarie sono di carattere specifico, quasi
imprenditoriali e implicano una profonda ed aggiornata conoscenza del mondo e
del mercato del lavoro. Al Governo spetta un insostituibile ruolo di
monitoraggio, di promozione, di “modellizzazione” degli interventi, di
diffusione delle pratiche migliori (gli esempi non mancano) e di indirizzo
generale.
La seconda direzione di intervento concerne un regime di competizione e, al
tempo stesso, di cooperazione fra attori privati e servizio pubblico. La
cooperazione non deve avvenire a discapito del pieno dispiegarsi dei
meccanismi concorrenziali tra i diversi operatori, ma sarebbe improponibile per
l’operatore pubblico fare a meno della cooperazione con i privati, immaginando
di poter gestire efficacemente in-house l’intero spettro di servizi. Il ricorso a
meccanismi di mercato in una logica di outsourcing di servizi andrebbe perciò
opportunamente valorizzato anche per quanto concerne la fornitura di servizi il
cui disegno generale rimanga nelle mani dell’operatore pubblico.
La cooperazione tra pubblico e privato è comunque essenziale soprattutto per
quanto riguarda la produzione e l’utilizzo delle informazioni. Tutti i segmenti
del mercato del lavoro vanno adeguatamente serviti, ma sarebbe pericoloso e
controproducente che il servizio pubblico continuasse a presentare l’immagine di
un servizio inefficiente e diretto unicamente alle frange marginali della forza di
lavoro. Certamente il target principale deve essere quello di aiutare i più
bisognosi, ma si ricordi quanto detto sopra e cioè che l’attivazione dell’offerta di
lavoro marginale e potenziale rappresenta nel nostro Paese un obiettivo non solo
di equità, ma anche di efficienza di tutto il mercato del lavoro. Questa offerta di
lavoro deve essere resa sì “adattabile” e “competitiva” sul mercato del lavoro,
ma deve essere resa anche “occupabile” in modo dignitoso e il problema della
occupabilità non può essere affrontato in modo tale da accentuare le
segmentazioni esistenti nel mercato del lavoro. Per offrire “buoni” posti di
lavoro anche a questi segmenti di offerta occorre dare a questi un accesso
adeguato alle informazioni che vengono raccolte sulle opportunità di impiego. Il
mondo della produzione e le strutture private che sorgeranno per garantire una
maggiore e migliore diffusione delle informazioni e per facilitare l’incontro
domanda ed offerta, dovranno aiutare il servizio pubblico ad abbandonare
l’immagine di un servizio inefficiente, tutt’al più capace di assicurare qualche
49
forma di assistenza diretta di tipo passivo e di svolgere talvolta il ruolo di datore
di lavoro di ultima istanza.
Va accelerata la realizzazione di un’infrastruttura informatica integrata,
pubblico-privata, per l’incontro domanda-offerta, riformando l’attuale SIL, che
dovrà connotarsi come un sistema policentrico, in cui il ruolo del livello centrale
sia ricondotto alle funzioni di supporto informativo alle politiche del governo,
alla definizione degli standard ed alla gestione dell’interoperabilità tra i vari
sistemi regionali e locali. Vanno progettati e supportati interventi specifici per
l’implementazione territoriale dell’infrastruttura, attraverso azioni di sistema
pilotate con un’agenzia strumentale, d’intesa con Regioni e province. Tali azioni
dovrebbero concentrarsi sulla diffusione degli standard, sull’evoluzione delle
soluzioni applicative in senso web-oriented e loro messa a disposizione sia dei
servizi pubblici (compresi gli istituti scolastici) sia degli operatori privati, sulla
formazione degli operatori pubblici alla loro utilizzazione, sullo sviluppo del
front-office per una migliore fruizione dei servizi da parte dei cittadini e delle
imprese. Al tempo stesso, andrà garantito il coordinamento operativo, anche a
fini di vigilanza oltre che di monitoraggio statistico dei fenomeni e delle
politiche, tra basi operative degli Enti previdenziali e SIL
Come regolare questo mercato dell’informazione non sarà facile: occorrerà
garantire un giusto “mix” fra pubblico e privato, fra comportamenti
concorrenziali e comportamenti collaborativi. Saranno le Regioni a trovare il
giusto dosaggio dei due fattori e a rendere compatibili le diverse esigenze, entro
regole fissate dal Governo e dal Parlamento.
II.1.4. Operatori privati per il lavoro
Il Governo ritiene che occorra agire affinché si fondi stabilmente un sistema
maggiormente concorrenziale fra pubblico e privato, consentendo di gestire
anche in forma imprenditoriale l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Appare urgente, a tale fine, innanzitutto superare il vincolo dell’“oggetto
esclusivo” e consentire l’attività di operatori privati polifunzionali, variamente
capitalizzati in relazione ai servizi autorizzati, opportunamente vigilati e regolati
in modo da limitare in particolare gli obblighi informativi.
L’attuale normativa sulle agenzie private di collocamento, a causa degli
eccessivi appesantimenti burocratici che la caratterizzano, è stata la causa
principale dell’evidente insuccesso che finora ha contrassegnato il ruolo degli
operatori privati, con l’eccezione delle società di lavoro temporaneo.
Il Governo considera allo stesso modo necessario rivedere pienamente la
normativa introdotta per regolare il ruolo degli operatori privati impegnati
nel lavoro temporaneo, nella ricerca e selezione del personale, nel supporto
alla ricollocazione professionale e, più in generale, che si occupano a vario
titolo della mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Il regime farraginoso
e inutilmente complesso varato nella scorsa legislatura appare di impossibile
gestione ed il Governo ritiene si debba pervenire ad un unico regime
autorizzatorio per tutte le organizzazioni private impegnate nel servizio di
collocamento nel mercato del lavoro. Una regolazione più semplice ed efficace
consentirà, peraltro, un più deciso contrasto di tutte le forme di abusivismo.
50
Ugualmente, il Governo auspica che venga impressa una decisa
accelerazione alle misure che possano favorire la diffusione di operatori
privati polifunzionali dedicati ad un efficiente ed equo incontro tra
domanda e offerta.
II.1.5. Formazione e lavoro
Occorre un ripensamento generale sugli obiettivi che il nostro paese deve
perseguire nel settore congiunto del lavoro e della formazione. Il traguardo di
elevare sensibilmente il tasso di occupazione comporta una serie di condizioni
da soddisfare.
Innanzitutto i giovani che, finiti i loro studi, si presentano sul mercato del lavoro,
devono trovare un posto molto più velocemente di quanto non succeda oggi, con
tempi di attesa lunghissimi, spesso superiori ad un anno. Appare necessario che
Stato e Regioni fissino una serie di tappe da percorrere in vista di un obiettivo
finale. Le tappe dovranno indicare una progressione nel numero di giovani che
dovranno essere coinvolti in un processo di apprendimento integrato che possa
facilitare ed accelerare il passaggio fra scuola e lavoro.
Il riordino dei contratti con finalità formative è stata una delle maggiori
inadempienze riscontratesi durante il corso della passata legislatura. Si tratta di
un adempimento al quale il Governo è chiamato dall’art. 16 della legge 196 del
1997, il quale prevede l’emanazione di norme regolamentari per disciplinare
organicamente la materia in questione. Occorre porre mano senza ulteriori ritardi
a questo adempimento, ed il Governo sollecita a tale proposito proposte e
commenti di Regioni, enti locali e parti sociali.
Per i contratti a causa mista in senso proprio gioverebbe senz’altro una maggiore
distinzione delle funzioni alle quali tali tipologie contrattuali possono assolvere.
In questa ottica potrebbe prospettarsi una distinzione orientata da un lato a
valorizzare il ruolo dell’apprendistato come strumento formativo per il
mercato, mentre il cfl dovrebbe essere concepito come strumento per
realizzare un inserimento mirato del lavoratore in azienda.
Un’impostazione del genere farebbe dell’apprendistato una tipologia contrattuale
funzionale alla esigenze effettive del mercato del lavoro, logica che dovrebbe
essere imposta anche dall’applicazione del principio innovativo introdotto dalla
stessa legge 196 del 1997, consistente nella subordinazione del riconoscimento
dei benefici contributivi alla partecipazione dell’ apprendista alle iniziative di
formazione esterne all’ azienda.
Il cfl dovrebbe, invece, concorrere a realizzare un adeguamento della
professionalità posseduta dal lavoratore alle concrete esigenze dell’impresa che
lo assume. Un intervento riformatore potrebbe utilmente uniformare i benefici
contributivi per tutti i settori, stabilendo una soglia di età unica ed estendendone
la durata. Anche l’iter procedimentale di assunzione andrebbe snellito e
velocizzato. Inoltre, potrebbe ipotizzarsi anche una revisione dei limiti di età ed
un’individuazione dei target di popolazione da raggiungere in coerenza con le
scelte comunitarie, rendendo tale istituto funzionale anche al reinserimento
51
lavorativo e aggiungendo una rimodulazione degli incentivi che – per i lavoratori
con anzianità superiore a quella consentita dalla normativa comunitaria –
potrebbero consistere in una forma di rimborso dei costi sopportati per le attività
formative.
Il Governo intende però anche verificare in che misura un sistema normativo
meno rigido – per quanto attiene il lavoro a termine in genere e l’inserimento nel
mondo del lavoro dei più giovani in particolare - possa consentire di liberare
risorse finanziarie dall’incentivazione dei contratti a causa mista.
Occorre semplificare e chiarire il sistema attuale, confermando la validità delle
“esperienze lavorative” (come i tirocini con finalità formative) che, per espressa
previsione legislativa, non costituiscono un rapporto di lavoro, occasioni
estremamente preziose per consolidare un collegamento fra scuole/università e
mondo delle imprese. A tale proposito, il Governo considera assolutamente
decisiva l’attuazione della riforma degli ordinamenti didattici universitari
laddove essa prevede che gli studenti possano maturare crediti formativi
attraverso lo svolgimento di tirocini presso aziende e pubbliche amministrazioni.
E’ davvero auspicabile che le Università italiane compiano uno sforzo per
assicurare a tutti gli studenti un’occasione di occupabilità, realizzando
un’insostituibile funzione di facilitare la transizione dalla scuola al lavoro. Il
Governo richiama anche l’attenzione delle Regioni, degli enti locali e delle parti
sociali affinché su scala territoriale si sviluppi un’intensa collaborazione con gli
Atenei per agevolare la nuova funzione di orientamento al lavoro.
Il Governo ritiene utile insistere nella sperimentazione del tirocinio d’impresa,
cioè del meccanismo finalizzato a favorire il subentro del tirocinante nell’attività
imprenditoriale. Al giovane dovrebbe essere corrisposto un sussidio simile a
quello già previsto per le borse-lavoro, mentre all’imprenditore verrebbero
riconosciute agevolazioni fiscali e previdenziali. Qualora il tirocinio si concluda
con la cessione dell’impresa al tirocinante, potrebbe essere riconosciuta una
sorta di prestito d’onore. Misure di questo genere devono essere promosse per
incoraggiare una cultura dell’imprenditorialità, consentendo, nel contempo, ai
titolari dell’impresa di programmare la cessione della propria attività.
Il Governo invita le parti sociali a riflettere in merito alla riforma dei
contratti a causa mista in corso, soprattutto sullo strumento
dell’apprendistato, approfondendo gli aspetti della quantità e della qualità
della formazione esterna e interna ai luoghi di lavoro, anche in
considerazione delle sollecitazioni che a tale riguardo provengono
dall’Unione Europea.
Così come si finanzia con risorse pubbliche il processo di innovazione,
altrettanto si deve fare con la formazione continua, sostenendone la
domanda. I sistemi migliori più rapidi e a maggior diffusione, utilizzati per
concedere agevolazioni in questo settore, sono quelli di tipo diretto.
L’intermediazione delle parti sociali può essere utile, soprattutto nei processi di
ristrutturazione, laddove la formazione può risultare necessaria per
salvaguardare il patrimonio di risorse umane costruito nel tempo. Per il resto è
opportuno rendere i finanziamenti più diretti e trasparenti. Molte lentezze di tipo
semi-burocratico hanno impedito sinora un sufficiente volume di investimenti in
52
formazione continua. Il credito di imposta può essere considerato nella
maggioranza dei casi, come lo strumento migliore per garantire tempestività e
trasparenza dell’aiuto pubblico.
Gli investimenti formativi effettivi decisi da imprese e lavoratori con strumenti
automatici, nello stimolare la domanda di formazione, inducono un effettivo
adeguamento dell’offerta formativa alla domanda medesima. In proposito si
ricorda che già sono state previste, nella cosiddetta Tremonti-bis, norme volte a
detassare gli investimenti in capitale umano. Ciò dovrebbe consentire una più
attenta destinazione di risorse ad azioni che difficilmente trovano una chiara e
puntuale applicazione da parte delle imprese. Oltre al credito di imposta per le
imprese si possono ipotizzare “bonus“ ai lavoratori e alle famiglie, da utilizzare
per “comprare” servizi di formazione presso le strutture private o convenzionate
che danno maggiore fiducia agli utilizzatori del servizio. Forme di “quasimercato” devono essere individuate e su queste deve aprirsi un confronto
costruttivo con le parti sociali. Il sostegno alla domanda delle imprese, dei
lavoratori e delle famiglie potrà stimolare la riqualificazione dell’offerta sulla
base di impulsi competitivi. Nel caso dei soggetti più deboli sul mercato del
lavoro che difficilmente hanno le capacità di accedere autonomamente alle
opportunità offerte, verranno previsti strumenti di supporto.
Il problema di un’adeguata informazione e della qualità dell’offerta
formativa deve essere risolto, oltre con l’azione dal lato della domanda,
anche con l’intervento pubblico, perché lasciato a se stesso il mercato non
riesce a dare, in questo campo, i risultati migliori. E’ in questo contesto che si
richiede un intervento pubblico per dare indirizzi e garantire standard minimi
della formazione. Gli indirizzi derivano da una migliore conoscenza di quali
sono i fabbisogni professionali espressi dal mondo della produzione. Occorre
uscire dalla logica, spesso seguita in passato, secondo la quale i contenuti della
formazione venivano fissati da chi gestiva l’offerta senza molto interesse per le
necessità espresse dalla domanda, vale a dire per i fabbisogni professionali
espressi dai processi produttivi. Non vi è dubbio che i contenuti della formazione
professionale devono rispondere alle esigenze del mondo produttivo e alla
necessità di produrre quelle competenze che le imprese maggiormente
richiedono, senza perdere di vista i valori formativi di carattere generale, le
competenze di base che, nella società dell’informazione, ogni lavoratore deve
possedere e quelle conoscenze che possono anticipare crescita e sviluppo. Anche
questo è un servizio di natura pubblica ed occorre che anche le parti sociali,
attraverso i loro enti bilaterali, diano il loro contributo. Ma l’autorità pubblica, le
Regioni, deve comunque garantire che queste informazioni sui fabbisogni
professionali vengano accuratamente raccolte, perché esse sono un ingrediente
necessario per fare correttamente una programmazione delle attività formative.
Anche in questo caso, il contributo delle parti sociali, indispensabile per creare
consenso sugli indirizzi da dare alla formazione professionale, deve costituire un
elemento di stimolo per i tempi di implementazione di questo strumento
strategico e non un improprio condizionamento in favore delle strutture
dell’offerta formativa. Il Governo invita le parti sociali ad una comune
riflessione critica sull’efficacia delle attività finanziate dal fondo alimentato
sulla base dello 0,30% del monte salari aziendale.
53
Gli standard minimi di qualità sono un altro importante settore di intervento
pubblico. Anche in questo caso le idee e le discussioni non sono mancate, si è
prodotta legislazione al riguardo, ma si è fatto in concreto molto poco. Gli
standard minimi devono riguardare da un lato la “qualità” dei produttori di
formazione, i quali ricevono risorse pubbliche e di queste devono rendere conto.
Questo problema riguarda il delicato processo di “accreditamento” delle
strutture: queste devono garantire standard minimi di efficienza. L’altro aspetto
riguarda la qualità del prodotto. Questo implica innanzitutto che il sistema delle
qualifiche, dei titoli, dei crediti formativi vada regolato: i contenuti della
formazione devono rispettare certi standard minimi per essere riconosciuti e
soprattutto per essere “apprezzati” da chi li deve utilizzare. In secondo luogo va
ripensato il problema sul se e sul come legare i finanziamenti pubblici alla bontà
dei risultati finali raggiunti. I finanziamenti pubblici, infatti, devono incoraggiare
l’efficienza e l’efficacia degli interventi di formazione.
II.1.6. Enti strumentali
Le politiche attive sono assegnate alle Regioni, ma al Governo (e alla
Conferenza unificata) compete un ruolo importante di raccordo. I mercati del
lavoro sono tendenzialmente locali, ma occorre facilitare al massimo la mobilità
tra i mercati locali. Questo è il motivo per cui il governo centrale deve svolgere
un ruolo di raccordo degli interventi regionali anche su questi delicati aspetti
della raccolta delle informazioni sul mercato del lavoro e sul garantire la qualità
della formazione. Ad esempio, i sistemi di monitoraggio dei fabbisogni
professionali nonché l’individuazione degli standard minimi della qualità delle
strutture formative e dei contenuti professionali delle qualifiche devono
condividere caratteristiche comuni sul territorio nazionale per evitare una
segmentazione dei mercati regionali del lavoro che andrebbero contro gli
interessi delle stesse Regioni. In ogni caso gli aspetti nazionali del nostro
mercato del lavoro vanno difesi, curati e potenziati, perché ci presentiamo
ancora all’interno e all’esterno, soprattutto nei confronti dell’Unione Europea,
come un unico sistema nazionale che vuole raggiungere obiettivi di carattere
nazionale. Per il resto, le Regioni devono esercitare in piena autonomia le loro
funzioni.
Il buon funzionamento del mercato del lavoro è un loro obiettivo specifico e
strategico: ne consegue che devono avere gli strumenti, le competenze, le
risorse, per raggiungerlo. Stato e Regioni potranno avvalersi dell’aiuto delle due
strutture nazionali presenti nel campo delle politiche del lavoro: ISFOL e Italia
Lavoro.
In particolare la missione dell’ISFOL è quella di svolgere, oltre alla sua attività
tradizionale di sostegno attraverso la ricerca e l’assistenza strategica al Governo
e alle Regioni con le azioni di sistema a favore della qualificazione e
dell’innovazione dei processi formativi previste dai Piani di utilizzazione del
Fondo Sociale, un’attività di analisi, di monitoraggio dei principali indicatori del
mercato del lavoro e di valutazione delle politiche. Ciò al fine di verificare se gli
obiettivi indicati nel programma governativo di crescita dell’occupazione e di
riforma del mercato del lavoro vengano progressivamente realizzati. A questo
scopo l’ISFOL si raccorderà con le diverse strutture pubbliche esistenti presso le
Amministrazioni centrali e regionali e sarà parte fondamentale dell’attività di
monitoraggio delle politiche intraprese, anche tramite iniziative ad hoc, da parte
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del Governo, predisponendo altresì rapporti periodici da presentare al Governo e
alle Regioni per farne oggetto di riflessione al fine di misure correttive.
Il decentramento delle competenze istituzionali aumenta l’esigenza di orientare
le politiche attive del lavoro attraverso l’adozione di standard minimi di
riferimento per i servizi e di azioni rivolte a riequilibrare i divari territoriali nel
mercato del lavoro. In questa direzione Italia Lavoro può svolgere il ruolo di
agenzia strumentale delle istituzioni, al fine di effettuare compiti di assistenza
tecnica per lo sviluppo delle politiche attive del lavoro, in particolare verso le
categorie deboli. Inoltre, può contribuire alla diffusione degli standard dei
servizi pubblici per l’impiego (informatici e metodologici), alla cooperazione tra
servizi pubblici e soggetti privati nell’ambito delle azioni di sistema verso la
disoccupazione di lunga durata, l’immigrazione, il reinserimento delle categorie
deboli.
In quest’ambito occorre rendere effettivo l’impegno, richiesto ancora una volta
dalle autorità comunitarie, di costruire una società della conoscenza che si fondi
su un sistema formativo che accompagni il lavoratore durante tutto l’arco della
vita. Il Governo promuoverà, in stretto raccordo con le Regioni e le stesse parti
sociali, azioni utili a che entro il 2003, tutti i lavoratori abbiano un’opportunità
di formazione nell’informatica, secondo gli impegni assunti in sede comunitaria
nell’ambito delle “linee guida” 2001 per l’occupazione.
II.1.7. Incentivi e ammortizzatori
Il Governo intende procedere, sempre in una prospettiva attiva e
preventiva, alla riforma degli ammortizzatori sociali e degli incentivi
all’occupazione, così da portare a razionalizzazione – e semplificare – un
quadro normativo diventato non solo ineffettivo e inefficace, ma anche fonte di
spreco di risorse pubbliche.
Il riesame degli ammortizzatori, non operato nella precedente legislatura, oltre
alle necessità discendenti dal quadro generale d’un mercato del lavoro diverso e
più flessibile, dovrà tener conto del fatto che, allo stato, coesistono almeno tre
diversi modelli d’uso degli ammortizzatori:
• Un sistema assicurativo con tutele limitate nel tempo e negli importi nei
settori extra-agricoli (l’indennità ordinaria);
• Un sistema assicurativo ben più generoso, soprattutto per quanto attiene le
durate complessivamente raggiungibili, proprio del settore industriale e che si
articola su due strumenti, la mobilità e la CIG – al suo interno ulteriormente
articolata su interventi ordinari, aventi una natura più ciclica, e interventi
straordinari, spesso anticamera della mobilità;
• Un uso come integrazione del reddito da lavoro dei trattamenti di
disoccupazione, in quanto tali non generosi, nel settore agricolo – dove vi è
uno squilibrio strutturale tra prestazioni e contribuzioni – e, crescentemente,
nello stesso settore extra-agricolo con lo strumento dei trattamenti con
requisiti ridotti.
Un mercato del lavoro più flessibile – caratterizzato da maggiori flussi di
creazione e distruzione di posti di lavoro e da una maggiore incidenza di carriere
e percorsi lavorativi più irregolari e discontinui nel tempo – ed in cui un ruolo in
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parte diverso, in connessione con lo sviluppo della previdenza complementare,
potrà essere assunto dalle somme oggi accantonate per il TFR, richiede
ammortizzatori sociali più sviluppati. È di tali sfide che deve farsi carico il
processo di superamento delle differenziazioni ed iniquità del sistema
tradizionale.
In una logica di medio termine ciò implica la necessità:
• di estendere il livello delle tutele minime fornite dagli ammortizzatori;
• di prevedere trattamenti omogenei e non ingiustificatamente difformi;
• di minimizzare, tenendo conto del nuovo contesto del mercato del lavoro, i
possibili disincentivi al lavoro che dagli ammortizzatori possono discendere.
La prima esigenza implicherà, sia pure gradualmente, un ampliamento verso le
medie comunitarie dei livelli del volume di spesa da finanziare per via
contributiva. Nella spesa complessiva - e quindi anche nel volume di
contribuzioni a suo finanziamento, stante la ridotta entità della spesa addebitale a
fiscalità generale - l’Italia dista dagli standard comunitari medi per oltre un
punto percentuale di PIL. La necessità di rafforzare la tutela a fronte del rischio
di disoccupazione, nel quadro del passaggio da un regime di tutele rigide e
spesso inefficaci nell’ambito dei singoli rapporti di lavoro in essere ad un regime
di tutele nel mercato e che favoriscano la mobilità del lavoro, ha perciò
implicazioni che vanno riconosciute anche da un punto macroeconomico e per la
politica finanziaria nel suo complesso.
Essendo ferma intenzione del Governo di procedere nella riduzione
progressiva del carico fiscale e contributivo gravante sul lavoro, stretti
appaiono i collegamenti tra riforma degli ammortizzatori e riequilibrio
complessivo della spesa per protezione sociale. Sarà inoltre
presumibilmente inevitabile procedere con un approccio graduale, in cui la
fermezza della direzione di marcia da intraprendere si abbini ad una
gradualità dei passi concreti, che andranno intrapresi man mano che le
risorse necessarie si renderanno effettivamente disponibili.
La seconda esigenza comporta il passaggio da una molteplicità di strumenti ad
un regime assicurativo di protezione dal rischio di disoccupazione unitario per
tutti i lavoratori dipendenti (ed assimilati) che abbiano, senza colpa e non per
propria iniziativa, perduto un posto di lavoro e che ne stiano attivamente
cercando un altro.
Coerentemente con l’approccio generale più volte esposto in questo Libro
Bianco, nulla vieta che ad un regime unico che fornisca una protezione
ragionevole ma contenuta si sovrappongano, per autonoma decisione degli
interessati e senza alcun onere per la finanza pubblica, schemi a carattere
mutualistico-settoriale. Questi possono tener conto della volontà di lavoratori ed
imprese di un particolare settore di mantenere il più alto livello di protezione che
oggi li caratterizza, ed utilmente mettere a frutto talune esperienze mutualistiche
realizzate nel territorio tramite gli enti bilaterali.
Al tempo stesso, è inoltre essenziale che determinate funzioni non propriamente
assicurative oggi svolte da taluni ammortizzatori sociali – si pensi ad esempio al
regime dei cd requisiti ridotti, di dimensioni tra l’altro crescenti nel tempo –
vengano considerate nel disegno complessivo del sistema fiscale e di protezione
56
sociale, al fine di incentivare l’offerta di lavoro e sostenere i redditi dei soggetti
più deboli. In tale ottica sarà opportuno integrare ammortizzatori sociali di
stampo assicurativo, schemi assistenziali soggetti alla prova dei mezzi, quali ad
esempio il Reddito Minimo d’Inserimento sperimentato nei passati anni, e
disegno del prelievo fiscale – in particolare per quanto concerne le detrazioni ed
i benefici connessi con lo svolgimento d’un lavoro – per far sì che il lavoro,
specie nel caso dei soggetti con minori potenzialità reddituali, sia conveniente e
quindi risulti essere incentivato .
La terza esigenza richiamata suggerisce che il disegno di prestazioni e
contribuzioni sottolinei la natura assicurativa degli ammortizzatori. Queste
ultime debbono essere strettamente connesse con le prime, il cui importo non
deve esser tale da disincentivare la ricerca di lavoro, dovendosi prevedere precisi
limiti al ricorso continuato o ripetuto nel tempo alle prestazioni. Rispetto alle
durate oggi garantite dal cumularsi nel tempo di più strumenti nei settori
industriali, intenzione del Governo è quella di pervenire ad una riduzione
significativa.
Altrettanto importante è infine il collegamento da istituire tra percezione delle
prestazioni e politiche attive, il cui fine primo deve esser quello di evitare abusi
nel ricorso agli ammortizzatori. Si tratta di introdurre anche nel nostro
ordinamento una fondamentale innovazione: nessuna forma di sussidio pubblico
al reddito potrà essere erogata se non a fronte di precisi impegni assunti dal
beneficiario secondo un rigoroso schema contrattuale. L’erogazione di
qualunque forma di “ammortizzatore sociale” dovrà preventivamente
basarsi su un’intesa con il percettore affinché questi ricerchi attivamente
un’occupazione secondo un percorso – che possa avere anche natura
formativa e che eventualmente potrà vedere anche il coinvolgimento di
operatori ed intermediari privati, da concordare preventivamente con i
servizi pubblici per l’impiego. Rafforzando il coordinamento, anche a livello di
assolvimento dei compiti ispettivi e di connessione tra sistemi informativi, tra
Centri per l’Impiego, DPL ed Enti previdenziali, la corresponsione del sussidio o
indennità dovrà immediatamente essere sospesa in caso di mancata accettazione
di opportunità formative od occupazionali o di inottemperanza dello schema a
cui il beneficiario si sia preventivamente impegnato. In caso di reiterato rifiuto il
beneficiario perderà ogni titolo a percepire il sostegno preventivamente
accordato.
Nel riordino dei diversi incentivi, una prima questione che il Governo intende
affrontare concerne l’esperibilità di bonus fiscali e/o contributivi che vadano
specificamente a vantaggio dei lavoratori a più basso reddito e più bassa
qualificazione e che ne incentivino la presenza nel mercato e l’offerta di ore
aggiuntive. La finalità, come in altri paesi in cui si è proceduto lungo questa
strada (come ad esempio il Family credit del Regno Unito, una deduzione di
imposta riservata ai lavoratori con basse retribuzioni e familiari a carico), è
quella di contrastare trappole della disoccupazione e della povertà.
Le questioni da affrontare in proposito sono complesse, dovendosi tener conto
della interazione tra trattamento fiscale e contributivo e dei rischi di elusione
fiscale e sottoinquadramento retributivo e contrattuale insiti nella presenza di
trasferimenti a favore di chi non superi una data soglia reddituale. Rispetto ad
57
altre esperienze internazionali, è anche da tenere in conto il fatto che dal
raccordo tra incentivi al singolo lavoratore e soglie di reddito familiare
potrebbero scaturire disincentivi all’offerta di lavoro femminile nel caso delle
donne sposate il cui coniuge sia già occupato, un segmento di offerta di lavoro
potenziale da sollecitare che, in Italia, è ben più importante di quello delle
singles con figli a carico22.
Alla complessità si associano peraltro potenzialità di rilievo, dato il contesto di
forte concentrazione geografica dei bassi salari nel caso italiano. La presenza di
misure di questo tipo potrebbe, infatti, facilitare il processo di decentramento
della contrattazione salariale e la creazione di differenziali salariali su base
geografica più rispondenti alle diversità esistenti al suo interno.
Il Governo chiede alle parti sociali se non sia giunto il momento di
provvedere alla definizione di schemi di incentivazione aventi tali
caratteristiche, al fine di attenuare possibili effetti di esclusione sociale e di
povertà in alcune fasce cosiddette a rischio della popolazione.
Per quanto concerne gli incentivi all’occupazione in senso proprio, le esigenze
da rispettare nel quadro di un riordino complessivo della materia, inattuato nella
precedente legislatura, sono:
• L’aumento di selettività degli incentivi a favore dei soggetti deboli,
identificabili su base territoriale (in base allo stato del mercato del lavoro
tanto a livello locale quanto della macroarea in cui il soggetto opera) o sulla
base di caratteristiche individuali ben precise (lavoratori licenziati, soggetti
con carichi familiari, persone a rischio di divenire disoccupati di lunga durata
etc.);
• La previsione di sostegni e di un regime contributivo che complessivamente
favorisca la trasformazione e il ricorso al contratto a tempo indeterminato,
tenendo così tra l’altro conto del minor rischio di disoccupazione in esso
insito e contrastando l’insorgere di segmentazioni nel mercato del lavoro.
Due considerazioni appaiono in proposito rilevanti. Intenzione del Governo è
riordinare gli strumenti esistenti alla luce del parallelo riordino delle tipologie
contrattuali. In questo quadro, spazi finanziari atti ad accrescere la selettività
degli incentivi potranno esser ottenuti dalla creazione d’un contesto normativo
generale meno rigido, ed in cui meno necessario sia prevedere specifici incentivi
finanziari a compensazione di rigidità normative. In particolare, il Governo
vuole verificare quanto tale strada possa essere perseguita nel caso dei contratti a
causa mista e delle esperienze lavorative a termine dei più giovani.
Una seconda considerazione, in parte peraltro collegata con quanto sinora detto,
attiene l’esigenza di tener conto, nell’individuazione dei soggetti deboli da
sostenere, delle modifiche del contesto economico e sociale. Da questo punto di
vista il Governo sottolinea in particolare l’esigenza di procedere ad un graduale
spostamento di enfasi dalla platea dei soggetti più giovani a quella dei soggetti
22
L’esperienza statunitense dell’Earned Income Tax Credit evidenzia come i forti effetti
d’incentivazione dell’offerta di lavoro femminile siano stati concentrati nel gruppo delle madri
non coniugate, dove i problemi di esclusione sociale e dipendenza dal sistema di welfare erano
peraltro concentrati. Nel caso italiano, la minore rilevanza di questo gruppo demografico
ovviamente dovrebbe suggerire soluzioni originali.
58
più anziani, la cui permanenza nel mondo del lavoro è tra gli obiettivi prioritari
dei prossimi anni, attraverso una combinazione di incentivi alla permanenza e
disincentivi alla fuoriuscita dal mondo del lavoro.
Un’importante questione da affrontare è quella che concerne il peso del dato
territoriale nell’identificazione dei soggetti deboli, un connotato senza dubbio
essenziale nel definire la difficoltà di accesso al mercato dei diversi soggetti e da
cui qualsiasi sistema d’incentivazioni non può prescindere. In questa prospettiva
si è già sottolineato come sia intenzione del Governo verificare in che misura
siano esperibili ed efficaci misure che facilitino la creazione di un differenziale
nei costi del lavoro tra aree territoriali attraverso la previsione di misure a
sostegno dei redditi da lavoro più bassi.
Allo stesso scopo è anche intenzione del Governo valutare attentamente anche
gli effetti della riforma in senso federale dello Stato sulle politiche di
incentivazione monetaria delle imprese. E’ noto, infatti, che l’art. 87 del Trattato
CE non vieta l’adozione di misure di incentivazione di applicazione generale e
automatica su tutto il territorio (c.d. misure generali), ma solo interventi selettivi
che favoriscano talune imprese o talune produzioni rispetto a quello che è il
«sistema generale di riferimento» in cui di volta in volta si colloca la singola
misura incentivante adottata. In uno Stato federale, a seconda della ripartizione
di competenze tra Stato federale e Stato federato, può infatti sostenersi che il
«sistema generale di riferimento» rispetto al quale le autorità comunitarie sono
chiamate a valutare la compatibilità di una singola misura non sia più quello
dello Stato federale ma quello del singolo Stato federato. Nella prospettiva delle
politiche di sviluppo del Mezzogiorno la riforma in senso federale dello Stato
potrebbe pertanto garantire maggiori margini di manovra rispetto al passato
anche con riferimento ai vincoli posti dall’Unione Europea.
Nel riordino delle misure d’incentivazione, i nessi tra queste e gli
ammortizzatori sociali, nonché tra interventi finanziari, passivi od attivi, e
servizi all’impiego dovranno essere riesaminati. Il ruolo semplicemente notarile
fino ad oggi assolto dalle strutture pubbliche è evidentemente inadeguato. Pur
dovendosi preferire il ricorso a strumenti automatici, tanto nel caso delle
misure passive quanto in quello delle misure attive, i servizi per l’impiego,
pubblici e privati, possono, infatti, utilmente operare nel senso della
prevenzione di abusi e di aumento della selettività effettiva di determinati
strumenti, promuovendone il ricorso effettivo tra i soggetti più deboli.
Il Governo ritiene che le tecniche di incentivazione economica debbano essere
opportunamente combinate con adeguate forme di incentivazione normativa,
specialmente con riferimento alle tipologie contrattuali più innovative. Il caso
offerto dal part time, dove gli incentivi di recente previsti per le assunzioni part
time a tempo indeterminato sono state sottoutilizzate per via delle rigidità
normative che tuttora persistono nel ricorso allo strumento, è al riguardo
particolarmente emblematico. Infatti, a fronte di 200 miliardi stanziati nel 2000,
ne sono stati utilizzati appena 5, pari al 2,6%, per un totale di poco più di 3300
contratti stipulati. Tra le forme di incentivazione normativa potrà essere
considerata anche l’esclusione dal computo dei dipendenti –al fine di stabilire le
soglie occupazionali necessarie per l’applicazione di istituti vari del diritto del
lavoro- dei soggetti che abbiano stipulato con il datore di lavoro tipologie
59
contrattuali che si intendono sostenere e promuovere al fine di incentivare
l’occupazione. In quest’ambito anche lo stesso contratto a tempo indeterminato
potrebbe essere considerato non computabile –sempre che esso sia funzionale
alla creazione di occupazione aggiuntiva- ancorché temporaneamente per
incentivare le imprese a sfuggire alla sindrome del “nanismo”, espandendosi
quindi oltre le dimensioni occupazionali minime stabilite per l’applicazione di
taluni istituti del diritto del lavoro.
II.2. Qualità (...better jobs)
La qualità del lavoro (e quindi del mercato in cui opera) è un problema europeo,
certamente non solo italiano. Il Consiglio europeo di Lisbona (2000) e quello di
Stoccolma (2001) hanno significativamente molto insistito sul tema dei more
and better jobs e tutti gli attori istituzionali e sociali devono indirizzare le
politiche del mercato del lavoro e la relativa regolazione istituzionale per
sostenere quanti si trovano occupati in lavori di bassa qualità, affinché
progrediscano verso occasioni di migliore qualità anziché scivolare
nell’esclusione sociale e nella disoccupazione, specie se di lunga durata.
Le proposte della Commissione Europea sono condensate in una recente
comunicazione intitolata Employment and social policies: a framework for
investing in quality (20.6.2001, COM(2001) 313 final), indirizzata al Consiglio
ed al Parlamento europeo in vista del Consiglio Europeo di Laeken, dove
dovranno essere adottati orientamenti vincolanti in materia per gli Stati membri,
incorporandoli nella stessa Strategia Europea per l’ Occupazione. Non è
evidentemente necessario ripercorrere in questa sede le proposte della
Commissione sulla qualità del lavoro. In ogni caso il Governo condivide
l’approccio, ormai consolidatosi da parte della Commissione europea, sempre
meno interessato al profilo regolatorio più tradizionale ed invece proiettato con
crescente intensità verso una dimensione altamente innovativa quanto a tecniche
di intervento per realizzare gli obiettivi condivisi in sede comunitaria.
Nell’impegnarsi a favore di una migliore qualità del lavoro il Governo intende
soprattutto impegnarsi a favore di un mercato privo di segmentazioni al suo
interno tra posti di lavoro precari ed ipergarantiti, ed in cui il lavoro sia effettivo
strumento d’inclusione sociale. Per un paese come il nostro, un primo concreto
estrinsecarsi di questo impegno per la qualità del lavoro è nella battaglia contro
il sommerso. Più in generale, ne deriva che la qualità del lavoro è da misurare
non solo e non tanto con riferimento a specifiche caratteristiche, salariali e non
salariali, dei singoli rapporti di lavoro concreti, quanto con le chances che a
questi si associano di ulteriore progresso nel mercato del lavoro, innanzitutto in
termini di chances lavorative future. Il riferimento alla qualità del lavoro non è
perciò da intendere come limitativo dell’obiettivo d’innalzamento del tasso
d’occupazione prima esplicitato.
Il Governo italiano sosterrà al Consiglio europeo di Laeken l’integrazione
del principio della “qualità del lavoro” fra gli obiettivi della Strategia
Europea per l’Occupazione, in una logica di mainstreaming. Non si deve
60
trattare di una semplice adesione formale, quanto della convinta utilizzazione di
una nuova metodologia per realizzare un confronto con Regioni, enti locali e
parti sociali sui temi del lavoro e dell’occupazione. Le riflessioni e gli indicatori
quantitativi di qualità proposti dalla Commissione devono essere attentamente
valutati in vista delle decisioni che, a fine anno, verranno adottate. A questo fine
il Governo raccomanda in particolare alle parti sociali di prestare a questi
indicatori la dovuta attenzione all’interno dello stesso dialogo sociale, così
che eventuali intese o comunque le convergenze realizzate possano giovarsi
di questa nuova metodologia.
Concordare, ad esempio, che un lavoro potrà definirsi “buono” quando ad esso
sono connesse prospettive di carriera o comunque sono apprestate misure
finalizzate alla promozione di una prospettiva di carriera implica poi convenire
sulle tecniche per realizzare questo obiettivo. Le parti sociali hanno un interesse
convergente a perseguirlo, in una logica di valorizzazione e fidelizzazione delle
risorse umane, per motivarle più convenientemente, esaltandone la lealtà e la
produttività. Il Governo non può certo a sua volta non fare una scelta in
proposito e senza dubbio occorre pronunciarsi per una politica delle risorse
umane che esalti le potenzialità, la creatività, la capacità innovativa dei
lavoratori italiani che devono essere messi in grado, anche con l’intervento
pubblico sul mercato del lavoro, di vivere da protagonisti l’esperienza della loro
vita lavorativa.
Il Governo auspica che il tema della “qualità del lavoro” diventi rilevante
nel confronto con gli attori istituzionali e sociali, producendo proposte ed
approfondimenti in relazione agli orientamenti espressi in proposito dalla
Commissione europea. In ogni caso, gli indicatori di qualità concordati in sede
comunitaria saranno opportunamente utilizzati anche per la definizione
dell’intervento legislativo di cornice in ragione della prospettiva federalista, al
fine di disegnare un nuovo assetto regolatorio orientato al perseguimento degli
obiettivi di qualità prefissati, pure nella varietà delle misure che verranno
adottate, di iniziativa legislativa oppure di natura convenzionale.
II.2.1. Lavoro regolare
Tutti gli obiettivi sin qui elencati non potranno essere facilmente raggiunti se
continueranno a perdurare gli attuali livelli di occupazione irregolare e
clandestina che, come noto, raggiungono stime percentuali due o tre volte
superiori rispetto a quanto si verifica negli altri paesi europei. Secondo dati
ISTAT, la percentuale di lavoratori irregolari sulla forza-lavoro totale è pari a
circa il 15 per cento mentre il CENSIS stima questa quota al 23 per cento. Altre
recenti indagini considerano il peso dell’economia sommersa in Italia in una
misura doppia rispetto a quella della media dei paesi dell’Unione Europea. In
continuo aumento è anche il fenomeno del lavoro irregolare da parte di
immigrati clandestini, privi di regolare permesso di soggiorno. La gravità del
fenomeno è evidente per tutti: non si tratta soltanto di arginare fenomeni di
concorrenza sleale, ma anche di creare regole per una competizione equa e
socialmente sostenibile, e che soprattutto eviti il rischio di degenerare in
fenomeni di collusione con la criminalità organizzata, con il caporalato, con lo
sfruttamento del lavoro minorile e di soggetti con scarsa forza contrattuale sul
mercato del lavoro.
61
Le analisi socio-economiche sulle ragioni di questa larga diffusione del lavoro
sommerso sono concordi nel sottolineare la maggiore convenienza del lavoro
nero rispetto a quello regolare, e questo sia sul lato della domanda sia su quello
dell’offerta. Le convenienze del lavoro irregolare, cioè, raramente sono imposte
da uno dei due contraenti, ma sono in genere tali da dare vita a fenomeni di
collusione difficili da sradicare. Da questo punto di vista la soluzione dei c.d.
contratti di riallineamento retributivo, da tempo sperimentata nel nostro
ordinamento, se certo ha rappresentato un’innovazione nelle strategie di
emersione del lavoro non regolare, in quanto affianca alla logica repressivosanzionatoria una prospettiva di tipo promozionale e incentivante, non pare
tuttavia in grado di fornire risposte soddisfacenti.
Il vero limite dei contratti di gradualità è che essi si limitano a neutralizzare
temporaneamente, con un incentivo economico, il disincentivo alla
regolarizzazione rappresentato da norme sul lavoro che risultano impraticabili in
alcune aree del Paese, senza incidere sulle cause che inducono le imprese e i
lavoratori a fuoriuscire dal mercato del lavoro regolare. Ampia dimostrazione di
ciò è data dalle enormi difficoltà di sopravvivenza in cui si imbattono le (non
molte) imprese sino a oggi emerse per un numero di posizioni lavorative
regolarizzate (circa 190.000) del tutto marginale rispetto alle attuali dimensioni
del fenomeno. La vera soluzione pare dunque quella di affrontare alla radice i
problemi del mercato del lavoro e dell’economia italiana, sia attraverso una seria
politica industriale che, invece di sprecare risorse pubbliche per ammortizzare i
costi del lavoro, incentivi le imprese a intraprendere i necessari cambiamenti, sia
attraverso un adattamento delle regole del mercato del lavoro. Per questo motivo
il Governo ritiene importante il nuovo provvedimento contenente “norme per
l’emersione dell’economia sommersa” adottato nell’ambito dei provvedimenti
dei 100 giorni per il rilancio dell’economia. Questa nuova misura di
incentivazione fiscale, per quanto innovativa rispetto al passato e perfettamente
compatibile con i vincoli posti dal diritto comunitario della concorrenza in
materia di aiuti di Stato, rappresenta peraltro solo il primo provvedimento di una
ben più ampia strategia di razionalizzazione del sistema produttivo e di lotta alla
illegalità.
Gli alti tassi di lavoro irregolare spiegano peraltro i modesti tassi di occupazione
del nostro Paese. Questo fenomeno alimenta un circuito perverso: i bassi tassi di
occupazione e il lavoro regolare restringono la base imponibile e, con essa, il
gettito fiscale necessario per alimentare la spesa pubblica. La conseguenza è o
un inasprimento della pressione fiscale, con conseguente spinta all’immersione
nel lavoro irregolare, o un contenimento della spesa per occupazione, politiche
attive del lavoro, infrastrutture, ecc. Accanto all’intervento strutturale sul
mercato del lavoro e ad un migliore e più efficiente utilizzo degli incentivi
all’emersione, una strada per contrastare il lavoro nero potrebbe essere quella di
agire sulla leva fiscale, come peraltro suggerito dalla Commissione Europea e
realizzato in alcuni Paesi europei. Da questo punto di vista la riforma forse più
interessante è quella proposta dal Consiglio UE nell’ambito della Strategia
Europea per l’Occupazione, volta a ridurre in modo generalizzato la pressione
fiscale e contributiva sui salari più bassi, che sono poi la vera area di
proliferazione del sommerso. Considerato che i salari più bassi sono peraltro
particolarmente diffusi al Sud, soprattutto tra la popolazione giovanile e
62
femminile, questo provvedimento avrebbe innanzitutto un benefico effetto per il
Mezzogiorno aumentando nel contempo le prospettive di occupabilità per le
categorie sociali soggette a maggiori rischi di esclusione sociale.
Assieme alla Grecia, l’Italia è il Paese dell’Unione Europea con il più elevato
tasso di ‘lavoro nero’. L’incapacità di affrontare con coraggio una riforma del
mercato del lavoro è un vincolo non più sostenibile per le imprese che spesso
sono costrette a lavorare ai margini della legalità, anche in assenza di un intento
fraudolento. Proprio dall’angolo prospettico della modernizzazione del mercato
del lavoro, l’esperienza comparata insegna che l’adozione di nuove e più
moderne tipologie contrattuali può risultare decisiva nel contrastare il fenomeno
del lavoro non dichiarato. La diffusione del lavoro autonomo tra gli immigrati
può concorrere a perpetuare mestieri altrimenti destinati a scomparire nonché a
favorire i processi di integrazione sociale.
Assai interessante è ad esempio il caso spagnolo dove sono in corso di
sperimentazione i “contratti a costo zero”. Allorché occorra sostituire una
dipendente in permesso di maternità, viene consentito al datore che assuma una
disoccupata di essere esentato dal pagamento degli oneri previdenziali. Una
misura sicuramente convincente soprattutto per le unità aziendali di piccole e
piccolissime dimensioni. Anche l’esperienza belga del “lavoro accessorio” è
sorretta dalla medesima finalità di favorire la riemersione. Si tratta di attività
varie (assistenza familiare e domestica, aiuto alle persone ammalate o con
handicap, sorveglianza dei bambini, insegnamento supplementare, piccoli lavori
di giardinaggio, collaborazione a manifestazioni sociali, caritatevoli, sportive,
culturali). Tali attività vengono svolte a beneficio di famiglie, società senza
scopo di lucro ed enti pubblici da soggetti quali disoccupati di lunga durata,
casalinghe, studenti, pensionati. Fulcro dell’esperimento è costituito
dall’utilizzazione di “buoni” in alternativa ai pagamenti diretti, per semplificare
il processo e, nel contempo, certificare le prestazioni.
Ogni accorgimento volto a creare un sistema di convenienze nella gestione del
rapporto di lavoro contribuisce senz’altro a regolarizzare ampie zone di evasione
fiscale e contributiva. Si consideri ancora il settore dei servizi di assistenza alla
persona, con particolare riferimento agli anziani, caratterizzato da una
diffusissima area di clandestinità, anche in considerazione del massiccio ricorso
a personale di origine extracomunitaria. A tale riguardo è interessante il tentativo
di realizzare intese a livello locale (come è avvenuto, ad esempio, ad iniziativa
del Comune di Modena), valorizzando tipologie contrattuali come le
collaborazioni coordinate e continuative che possono agevolare il processo di
regolarizzazione nell’ambito di una disciplina concordata dalle parti sociali e
dagli enti locali in sede territoriale. Anche lo stesso ‘Patto di Milano’ sta
contribuendo a creare occupazione regolare coinvolgendo soggetti a rischio di
esclusione sociale (anche in questo caso lavoratori extracomunitari ed altre
categorie). La diffusione del lavoro autonomo tra gli immigrati può concorrere a
perpetuare mestieri altrimenti destinati a scomparire nonché a favorire i processi
di integrazione sociale.
Il Governo ritiene che anche dalla modernizzazione del mercato del lavoro
possa provenire una forte spinta alla regolarizzazione del lavoro non
dichiarato. Tutte le misure, sintetizzate nel presente Libro Bianco, devono
63
essere concepite nell’ottica di un disegno complessivo volto a semplificare e
quindi a bonificare il nostro tessuto occupazionale.
II.2.2. Lavoro a tempo indeterminato
Legislazione e contrattazione mantengono come obiettivo centrale la
conservazione del posto di lavoro piuttosto che la mobilità del singolo nelle
transizioni tra scuola e lavoro, tra non lavoro e lavoro, tra lavoro e formazione,
determinando in questo modo anche una crescente divaricazione rispetto alle
necessità delle imprese di forme flessibili di adeguamento della manodopera.
Peraltro il permanere di situazioni occupazionali caratterizzate da un alto livello
di tutela accanto a quelle, in rapida diffusione anche grazie a recenti riforme
(lavoro temporaneo, assunzioni a termine, ecc.), caratterizzate da rapporti di
lavoro altamente flessibili, genera nuove forme di segmentazione del mercato,
contrastando gli effetti benefici della liberalizzazione dei meccanismi di ingresso
nel mondo del lavoro. Una delle soluzioni potrebbe essere quella di una riforma
“simmetrica” della regolamentazione che si traduce in un duplice e
contemporaneo intervento sulla normativa relativa sia al contratto a tempo
determinato, sia a quello a tempo indeterminato. Ciò che rileva è rendere, tra l’
altro, meno difficoltoso il passaggio a condizioni di lavoro stabile per i lavoratori
che iniziano il proprio percorso con occupazioni temporanee ed eviterebbe
possibili fenomeni di riduzione degli investimenti in capitale umano.
Il Governo ritiene che alla nozione di sicurezza data dall’inamovibilità del
singolo rispetto al proprio posto di lavoro occorra sostituire un concetto di
sicurezza conferito dalla possibilità di scelta effettiva nel mercato del lavoro.
Non solo ma è davvero urgente creare le condizioni perché si elevi la qualità
della nostra occupazione, stimolando maggiori investimenti in risorse umane
assunte in forma stabile, a tutto vantaggio di una crescente fidelizzazione,
produttività, creatività e, quindi, qualità, della stessa forza lavoro. Occorre
dunque incentivare convenientemente il ricorso al contratto di lavoro a
tempo indeterminato, così da incrementarne l’uso, evitando, nel contempo,
che si diffondano forme di flessibilità in entrata per aggirare i vincoli o
comunque le tutele predisposte per la flessibilità in uscita.
Il Governo dichiara a tale proposito di riconoscersi pienamente nel principio del
“licenziamento giustificato”, peraltro ora solennemente proclamato nella Carta
di Nizza dell’Unione Europea. Il modello sociale europeo deve certamente
essere modernizzato ma non è assolutamente revocabile in dubbio la regola
fondamentale per cui atti estintivi del rapporto di lavoro devono essere
giustificati e motivati dal datore di lavoro, nonché sottoposti eventualmente al
vaglio di un’autorità indipendente. Fin dal 1966 questa fondamentale
acquisizione fa parte dell’ordinamento giuridico italiano ed il Governo dichiara
di ritenerla definitivamente acquisita. Del pari deve ritenersi consolidato il
regime attuale in connessione con i divieti del licenziamento discriminatorio, del
licenziamento della lavoratrice in concomitanza con il suo matrimonio e del
licenziamento in caso di malattia o maternità, tutte ipotesi che restano
completamente estranee alla riflessione in atto.
E’ bene aver presente in proposito ancora una volta l’esperienza comparata. In
primo luogo, esistono Stati membri dell’Unione in cui in caso di licenziamento
64
riconosciuto illegittimo il lavoratore può pretendere unicamente il risarcimento
del danno. Si tratta del Belgio, della Danimarca, del Regno Unito, della
Finlandia (dove il lavoratore può tuttavia pretendere interventi di formazione, a
carico del datore, che conservino o migliorino la sua professionalità). Negli altri
ordinamenti è sempre prevista la possibilità di corrispondere un’indennità
compensativa in alternativa alla reintegrazione nel posto di lavoro. Così in
Francia dove il datore non è tenuto a dar corso all’ ordine di reintegrazione del
conseil des purd’hommes, potendo liberarsi corrispondendo un’ indennità
sostitutiva fino ad un massimo di 39 settimane di retribuzione. Stesso regime
vige in Germania (dove tuttavia il datore di lavoro ha l’onere di motivare le
ragioni che rendono impraticabile la reintegrazione), in Grecia, in Spagna
(occorre un rifiuto motivato del datore a reintegrare e viene in tal caso
comminata una indennità fino ad un massimo di 15 giorni di retribuzione per
anno di lavoro, senza superare le 12 mensilità), in Svezia (l’indennità sostitutiva
è compresa tra le 16 e 48 mensilità, a seconda dell’ età e della anzianità di
servizio del prestatore).
Il Governo ritiene che, per valorizzare appieno il capitale umano, presente nel
nostro Paese debba essere creato un quadro istituzionale più favorevole
all’utilizzazione del contratto di lavoro a tempo indeterminato. Occorrerà
procedere ad un attento monitoraggio dell’utilizzazione di tipologie contrattuali
diverse, al fine di rilevare eventuali spinte verso un’eccessiva precarizzazione
del nostro mercato del lavoro. Nel contempo il Governo ritiene debbano
essere studiate nuove forme di incentivazione nell’ uso del contratto a tempo
indeterminato –con particolare riguardo alla trasformazione del contratto a
termine- e chiede in particolare modo alle parti sociali di confrontarsi su
questo argomento, accertando l’eventuale esistenza di ostacoli normativi
che frenino il ricorso a questa tipologia contrattuale, senz’ altro
fondamentale per garantire una società attiva basata sulla qualità del
lavoro.
II.3. Flessibilità e sicurezza
II.3.1. Organizzazione e rapporti di lavoro
Il Governo italiano condivide pienamente la affermazione della
Commissione europea secondo cui è necessario procedere organicamente ad
una modernizzazione dell’ organizzazione e dei rapporti di lavoro, così
come espressa nel Libro Verde Partnership for a new organisation of work
(COM(97) 128) e quindi nella Comunicazione Modernising the organisation of
work – a positive approach to change (COM(98) 592). Tale posizione si è poi
consolidata all’ interno delle “linee guida sull’ occupazione” nel quadro del
processo di Lussemburgo (v. § 3,4) dove è stato individuato un pilastro apposito,
quello della “adattabilità” che impone agli Stati membri obblighi molto precisi.
Giova ricordare in proposito che la ‘linea guida’ 14 per il 2001 prevede che “gli
Stati membri, se del caso assieme alle parti sociali, o sulla scorta di accordi
negoziati dalle parti sociali:
65
“esamineranno il quadro normativo esistente e vaglieranno proposte
relative a nuovi provvedimenti e incentivi per assicurarsi che essi contribuiscano
a ridurre gli ostacoli all’occupazione, ad agevolare l’introduzione di
un’organizzazione del lavoro moderna e ad aiutare il mercato del lavoro ad
adeguarsi ai mutamenti strutturali in campo economico;
al tempo stesso, tenendo in considerazione la crescente
diversificazione delle forme di lavoro, esamineranno la possibilità di
contemplare nella normativa nazionale tipologie contrattuali più flessibili e
faranno in modo che coloro che lavorano con contratti di tipo flessibile godano
di una sicurezza adeguata e di una posizione occupazionale più elevate,
compatibili con le esigenze e le aspirazioni dei lavoratori (…)”.
E’ bene tenere presente inoltre che la ‘linea guida’ 15 tratta della necessità di
sostenere l’adattabilità nelle aziende nell’ ambito dell’ apprendimento lungo
tutto l’arco della vita. A tal proposito si prevede che:
“le parti sociali, a tutti i livelli appropriati, sono invitate a concludere
accordi, se del caso, sull’apprendimento lungo tutto l’arco della vita per
agevolare l’adattabilità e l’innovazione, in particolare nel campo delle tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. In tale contesto dovrebbero essere
poste le condizioni per offrire entro il 2003 a ogni lavoratore un’opportunità di
apprendere le tecniche della società dell’informazione”.
Il Governo segnala alle parti sociali che alcune parti delle ‘linee guida’
appena citate riguardano direttamente la loro responsabilità e le invita ad
adoperarsi conseguentemente affinché nella redazione del Piano Nazionale di
azione per l’Occupazione (NAP) per il 2002 se ne possa dare adeguatamente
conto. Per quanto attiene alla sua diretta responsabilità il Governo dichiara di
considerare
urgente
predisporre
misure
di
modernizzazione,
auspicabilmente concordate con le parti sociali, anche al fine di facilitare la
transizione verso un’economia fondata sulla conoscenza, così come sottolineato
dalle conclusioni del Consiglio Europeo di Lisbona. Del resto, la stessa “Agenda
di Politica Sociale”, concordata al Consiglio Europeo di Nizza, insiste
sull’importanza di adattare la regolazione dei rapporti e dei mercati del lavoro al
fine di creare un opportuno equilibrio tra flessibilità e sicurezza, invitando
apertamente le parti sociali a continuare nel loro dialogo sull’organizzazione del
lavoro ed in particolare sulle nuove forme di occupazione.
Non è certo revocabile in dubbio che il progresso tecnologico così come i
mutamenti nelle condizioni di mercato abbiano, negli ultimi decenni, modificato
profondamente l’ambiente nel quale le imprese si trovano ad operare. Si è così
determinata una crescente necessità di reagire con maggiore flessibilità ai
cambiamenti sul fronte dell’ offerta e della domanda, mentre gli sviluppi
tecnologici hanno consentito alle imprese di introdurre modalità nuove e più
flessibili nell’ organizzazione dei processi produttivi. Al fine di trarre pieno
vantaggio da questo potenziale evolutivo, appare evidente – nella valutazione
delle autorità comunitarie, del tutto condivisa dal Governo italiano – la necessità
di adattare il presente quadro regolatorio, legislativo e contrattuale, a queste
nuove circostanze. L’attuale quadro regolatorio riflette, infatti,
un’organizzazione del lavoro oggi completamente superata.
66
Per quanto riguarda in particolare il contesto italiano, la modernizzazione
dell’ordinamento giuridico e contrattuale del lavoro è inoltre da considerarsi
componente essenziale di una politica che intende contrastare il preoccupante
fenomeno del lavoro non dichiarato e clandestino. Nella passata legislatura sono
stati realizzati interventi importanti (ad es. la legge 196/97, il cd. Pacchetto Treu)
ma ancora del tutto insufficienti. Si è proceduto troppo lentamente, scontando
pregiudiziali ideologiche incompatibili con gli orientamenti comunitari
richiamati. Il Governo è determinato nell’arco della presente legislatura a
realizzare le riforme concordate a livello comunitario, nella convinzione che la
necessità di rivedere l’assetto istituzionale preposto alla regolazione dei rapporti
e dei mercati del lavoro non possa ulteriormente essere messa in discussione.
Anche a tal proposito si ribadisce la finalità di questo Libro Bianco ad aprire un
confronto con i soggetti istituzionali e sociali che sia produttivo di idee e
proposte.
II.3.2. Part-time
E, bene ricordare come questa tipologia contrattuale, largamente valorizzata
negli orientamenti comunitari, pure conoscendo negli ultimi tempi un netto
incremento, viene ancora utilizzata in una misura ridotta rispetto agli altri paesi
comunitari. In Europa usano il part time meno di noi solo Spagna e Grecia, paesi
ai quali ci accomuna anche una quota ridottissima (meno dell’8%) di lavoratori
anziani (fra i 55 e i 64 anni) occupati con questa forma contrattuale, così da poter
favorire l’ingresso di giovani nel mercato del lavoro, uscendone loro stessi con
gradualità.
L’esperienza comparata è assai significativa quanto soprattutto alle tecniche
incentivanti utilizzate per incoraggiare la stipulazione di contratti a tempo
parziale. La Francia, al pari dell’Italia, rappresenta un caso dove gli incentivi di
natura contributiva sono vanificati nella loro finalità promozionale a causa di
una disciplina legislativa e regolamentare del tutto disincentivante. Invece in
Germania tra gli incentivi di natura normativa è bene ricordare che fin dal 1985
le imprese con meno di 5 dipendenti sono esentate dall’applicazione della
normativa sui licenziamenti illegittimi e nel computo di questo campo di
applicazione rientrano soltanto i prestatori che lavorano un minimo di 10 ore
settimanali o di 45 ore mensili. Sulla falsariga dell’esperienza olandese, è ora
riconosciuto al lavoratore tedesco con anzianità di servizio di almeno sei mesi il
diritto di ridurre l’orario di lavoro settimanale, salvo motivate ragioni aziendali.
Ancor più significativo è il fatto che in Germania il datore ed il prestatore di
lavoro possono concordare che quest’ultimo esegua la propria prestazione di
lavoro a seconda delle necessità (cd. lavoro a chiamata o a richiesta). Nei Paesi
Bassi non esistono limiti al ricorso al lavoro a chiamata, anche perché questo
non viene considerato dall’ordinamento alla stregua di un vero e proprio
contratto di lavoro subordinato
Anche in Spagna ci si è resi conto dell’insufficienza di incentivi economici non
collegati a quelli di natura normativa e con la riforma del 2001 sono stati
significativamente ampliati gli spazi di ricorso al lavoro supplementare,
flessibilizzando anche la distribuzione dell’orario concordato. Vale la pena
ricordare infine che nel Regno Unito non esistono limiti di sorta né al lavoro a
chiamata, né al lavoro supplementare.
67
In Italia l’attuazione della direttiva europea 97/81/CE sul lavoro a tempo parziale
ad opera dei decreti legislativi 61/2000 e 100/2001 costituisce ad avviso del
Governo un esempio di trasposizione non rispettosa della volontà delle parti
sociali a livello comunitario, confermata dalla suddetta direttiva. Mentre, infatti,
la direttiva stessa invita gli Stati membri a rimuovere gli ostacoli che si
frappongono alla piena utilizzazione di questa tipologia contrattuale in una
logica di promozione dell’occupazione, i decreti emanati nel corso della passata
legislatura introducono nuovi vincoli e pertanto tradiscono l’intento
promozionale del legislatore comunitario.
Da questo punto di vista, il d. lgs. 100/2001 rappresenta senza dubbio
un’ulteriore occasione mancata per rimuovere le incongruenze del quadro legale
scaturito dal d.lgs. 61/2000. Inutili appesantimenti burocratici mortificano
l’autonomia individuale delle parti. Soprattutto i vincoli legislativamente imposti
a quelle che il legislatore chiama impropriamente “clausole elastiche” (mentre in
realtà si tratta di “clausole flessibili”, relative cioè alla collocazione temporale
della prestazione lavorativa ad orario ridotto e non alla sua estensione)
costituiscono un vulnus all’autonomia delle parti sociali ed a quella dei soggetti
titolari dei rapporti di lavoro, trattati con ingiustificata subalternità dal
legislatore. Occorre rivedere prontamente tale disciplina, restituendo alla
contrattazione collettiva ed alle pattuizioni individuali piena operatività.
Con particolare riferimento al tema della “clausole elastiche” il d.lgs. 100/2001
ha mantenuto sostanzialmente inalterata la struttura di base del d.lgs. 61/2000,
che pure dichiarava di voler modificare. In particolare sopravvivono
sostanzialmente due vincoli che rendono questo strumento ben poco utilizzabile
in pratica. Anzitutto la contrattazione collettiva può prevedere clausole elastiche
“in ordine alla sola collocazione temporale della prestazione lavorativa”,
introducendo quindi un elemento di rigidità in un istituto che invece potrebbe, se
inteso con la necessaria flessibilità, contribuire a regolarizzare numerose forme
di lavoro prestato con intermittenza e non suscettibile di esatta
predeterminazione dalle parti. Il legislatore rivela in proposito un’ispirazione
vincolistica davvero non condivisibile e non si vede perché le parti, a livello
individuale, non possano accordarsi anche sulla elasticità della durata della
prestazione dedotta in contratto e non già soltanto sulla flessibilità della
collocazione temporale, peraltro penalizzata da vincoli di preavviso assai
rigorosi. Il Governo ritiene che possa essere richiesto al datore di lavoro di
specificare nel contratto le ragioni di natura tecnica, organizzativa o
produttiva che rendono necessaria la natura elastica della prestazione,
senza dar luogo ad ulteriori limiti od impedimenti ad opera della legge, così
da non comprimere inutilmente l’autonomia contrattuale delle parti.
In secondo luogo non si comprende la fondatezza del diritto del lavoratore di
denunciare lo stesso patto volontariamente stipulato in vista di una prestazione di
lavoro ad orario parziale secondo la formula delle “clausole elastiche”. Questo
esercizio di uno jus penitendi all’interno di un accordo contrattuale liberamente
sottoscritto appare del tutto incomprensibile e contravviene ai principi che
governano il generale il diritto delle obbligazioni. Ancora una volta è rilevabile
un atteggiamento di sospetto e di prevenzione nei confronti di forme innovative
che opportunamente utilizzate potrebbero arricchire il tessuto occupazionale di
68
nuovi posti di lavoro regolari, coniugando opportunamente esigenze di lavoro ed
aspettative familiari e personali. Il Governo ritiene che l’istituto della
“denuncia” debba senz’altro essere superato, al fine di rispettare
pienamente la libertà contrattuale delle parti.
Altri ancora sono gli aspetti in relazione ai quali il legislatore nazionale ha
disatteso alcune prescrizioni della direttiva comunitaria. E’ sufficiente in questa
sede ricordare la mancata esclusione dei lavoratori occasionali, nonché la
disciplina del diritto di precedenza dei lavoratori che hanno trasformato il
rapporto da full-time a part-time in caso di nuove assunzioni a tempo pieno da
parte del datore di lavoro, ben più temperata nella direttiva (“per quanto
possibile, i datori di lavoro dovrebbero prendere in considerazione…”) che nel
testo legislativo italiano, la cui assolutezza rischia peraltro di innescare ampi
spazi di contenzioso. Occorre anche ricordare che il testo della direttiva
scoraggia il ricorso al lavoro supplementare, vanificato dalla previsione del
diritto di rifiuto, dal diritto al consolidamento e dalle maggiorazioni previste per
legge.
Da ultimo è bene ricordare che le misure legislative, finora emanate con lo scopo
di incentivare il ricorso al lavoro a tempo parziale, sotto l’aspetto previdenziale
si sono dimostrate assolutamente inefficaci. In particolare, l’elemento che ha
inciso negativamente sulle finalità incentivanti è l’aver collegato i benefici
contributivi – come ha fatto il decreto interministeriale 12 aprile 2000, in
attuazione del disposto del decreto legislativo 61/2000 – solo alla stipula di parttime ad incremento della base occupazionale. Una conferma della inadeguatezza
della scelta legislativa è data dallo scarsissimo impiego delle risorse finanziarie,
stanziate dalle legge e già esigue di per se stesse.
Un reale ed efficace impulso all’attivazione di contratti di tale tipologia può,
invece, derivare da soluzioni più flessibili, tali da valorizzare convenientemente i
benefici contributivi accordati, con particolare riferimento anche alla stipula di
contratti a tempo parziale in favore di particolari categorie di lavoratori,
considerate svantaggiate ai fini dell’inserimento o reinserimento nel mercato del
lavoro (giovani disoccupati, pensionati, lavoratori nel ciclo conclusivo della
propria vita lavorativa, dopo che riprendono il lavoro dopo un periodo di
inattività, ecc.).
II.3.3. Lavoro interinale e intermediazione
Il Governo ritiene che il lavoro temporaneo tramite agenzia di cui alla legge 24
giugno 1997, n. 196 abbia costituito una positiva riforma nel senso della
modernizzazione del mercato del lavoro italiano. I risultati in termini di
promozione dell’occupazione appaiono estremamente eloquenti ed il Governo
auspica a tale riguardo che non vengano frapposti ulteriori ostacoli per
sperimentare altre forme di modernizzazione capaci di provocare ricadute così
interessanti sul piano occupazionale. Questo giudizio positivo non può esimere
tuttavia dal rilevare che si tratta comunque di una legislazione più restrittiva di
quella esistente in numerosi Paesi dell’area comunitaria, con particolare
riferimento al regime di ricorso alla fornitura di lavoro temporaneo.
69
Tuttavia la legge 196/1997, all’art. 2, comma 2, lett. A), secondo periodo,
prevede per le imprese di fornitura di lavoro temporaneo che tale attività
rappresenti, in via esclusiva, l’oggetto sociale. Ciò comporta che a tali imprese è
preclusa l’attività di mediazione privata tra domanda e offerta di lavoro, l’attività
di ricerca e selezione del personale non finalizzata immediatamente alla fornitura
di lavoro temporaneo, nonché le attività di supporto alla ricollocazione
professionale. Stante l’attuale situazione di grave ritardo nel funzionamento dei
servizi pubblici per l’ impiego, la esclusività dell’ oggetto sociale di tali imprese
comporta nei fatti una limitazione alle attività di incontro tra domanda e offerta
di lavoro già in concreto gestite con grande efficienza, per il solo lavoro
temporaneo, dalle imprese di fornitura.
Al fine di favorire l’incontro di domanda e offerta di lavoro nonché di aprire il
mercato della mediazione privata alle imprese di fornitura di lavoro temporaneo,
occorre superare l’attuale divieto posto dalla norma citata, prevedendo
espressamente che esse possano, in presenza dei requisiti stabiliti dall’art. 10 del
d. lgs. 23 dicembre 1997, n. 469, modificato dall’art. 117, legge 23 dicembre
2000, n. 388 (legge finanziaria per il 2001), svolgere anche le attività di
mediazione nonché di ricerca, selezione e di supporto alla ricollocazione
professionale. Poiché l’art. 10 appena citato prevede tuttavia l’ esclusività dell’
oggetto sociale anche per le imprese che attualmente svolgono mediazione,
ricerca e selezione o supporto alla ricollocazione professionale, anche tale
disposizione deve essere rivista nell’ ambito di un disegno riformatore che
riconduca ad un unico sistema autorizzatorio l’intervento dei privati nella
mediazione tra domanda e offerta di lavoro. Una riforma in tal senso
equiparerebbe la disciplina italiana a quella già vigente in Germania, nel Regno
Unito e nei Paesi Bassi.
Appare altresì opportuno provvedere ad un coordinamento tra la disciplina
del lavoro temporaneo e quella sui contratti a termine. E’, infatti, necessario
estendere alcune forme di flessibilità recentemente introdotte affinché il lavoro
temporaneo tramite agenzia non risulti ingiustificatamente penalizzato da questo
jus superveniens. Si tratta di introdurre nella normativa sul lavoro temporaneo
due principi, quello relativo alla causale generale di apposizione del termine e
quello che rinvia alla contrattazione collettiva per la definizione dei limiti
quantitativi di utilizzo del lavoro temporaneo, pur con l’esenzione da tali limiti
in alcuni casi specificamente individuati.
Il Governo italiano valuta infine con preoccupazione la conclusione infruttuosa
del dialogo sociale a livello comunitario, a lungo coltivato in vista di un’intesa
sul lavoro temporaneo mediante agenzia. Pur nel rispetto delle iniziative che ora
la Commissione europea vorrà intraprendere, il Governo segnala la necessità che
la futura disciplina comunitaria tenga convenientemente in considerazione le
peculiarità dei diversi sistemi nazionali, pur non rinunciando ad affermare il
fondamentale principio della parità di trattamento già peraltro sancito dalla
legislazione italiana.
Il Governo ritiene che il lavoro temporaneo tramite agenzia possa assolvere
anche ad un’importante funzione di integrazione sociale a favore di soggetti a
rischio di esclusione. Una prima utilizzazione in tal senso potrebbe riguardare gli
adempimenti di legge connessi al collocamento mirato dei disabili, ammettendo
70
che anche l’utilizzazione del lavoro interinale possa soddisfare gli obblighi di
legge. Una seconda prospettiva riguarda la regolarizzazione del mercato
irregolare dei lavoratori extracomunitari, impegnati in attività di assistenza
domiciliare a favore di anziani non autosufficienti. E’, in altri termini,
auspicabile che vengano esplorate ancor di più le potenzialità occupazionali di
una tipologia contrattuale troppo a lungo avversata che si sta dimostrando di
eccezionale efficacia.
La positiva sperimentazione della fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo
consente ora di ripensare criticamente l’impianto complessivo della legge n.
1369/1960 che vieta la somministrazione di lavoro altrui come disposizione di
carattere generale e tendenzialmente onnicomprensiva. Questa normativa, come
noto, non solo ha per lungo tempo vietato l’introduzione nel nostro ordinamento
del lavoro temporaneo tramite agenzia, ma ha altresì alimentato fenomeni
anomali di esternalizzazione del lavoro che incidono pesantemente sia sulla
correttezza della competizione fra le imprese sia sulle dimensioni delle aziende
stesse che compongono il tessuto produttivo del nostro Paese.
Buona parte dei precetti contenuti nella legge n. 1369/1960 appaiono superati,
almeno nella loro persistente perentorietà, dall’evoluzione dei rapporti di
produzione e di circolazione della ricchezza al punto da indurre spesso le
imprese a “saltarli” completamente: non tanto in ragione di finalità fraudolente o
di elusione dei diritti inderogabili del lavoro, quanto soprattutto per
l’incompatibilità del dato legale in essa contenuto con le logiche della nuova
economia. Le attuali forme di organizzazione del lavoro, soprattutto nel
terziario, presuppongono ipotesi di somministrazione di lavoro (si pensi, solo per
fare un esempio, alla pratica del c.d. body rental nell’ambito della consulenza
informatica) che nulla hanno a che vedere con le ipotesi di speculazione
parassitaria sul lavoro a cui si riferiva il legislatore all’inizio degli anni Sessanta.
Le ridigità nell’utilizzo della forza-lavoro introdotte dalla legge n. 1369/1960,
del resto, non trovano pari nella legislazione degli altri Paesi e penalizzano la
posizione delle aziende italiane nel confronto globalizzato. Pratiche di outsourcing, ampiamente diffuse in altri contesti (ad esempio negli Stati Uniti e in Gran
Bretagna), sono in Italia tuttora vietate. Il riferimento è, in particolare, all’istituto
del c.d. leasing di manodopera: una tecnica innovativa di gestione del personale
imperniata su rapporti con agenzie specializzate nella fornitura a carattere
continuativo e a tempo indeterminato (e non a termine, come nel lavoro
interinale) di parte della forza-lavoro di cui l’azienda ha bisogno per alimentare
il processo produttivo. Agenzie, è bene precisare, che opererebbero in forme
sicuramente più trasparenti e con maggiori tutele, di legge e di contratto
collettivo, di quanto non accada oggi per effetto di vincoli soffocanti.
Anche rispetto ai processi di esternalizzazione del lavoro il Governo reputa
dunque necessario avviare un percorso di riforma complessiva della
materia, di modo che le istanze di tutela del lavoro, che devono essere
mantenute rispetto a forme di speculazione parassitaria sul lavoro altrui,
non pregiudichino la modernizzazione dei meccanismi di funzionamento del
mercato del lavoro.
71
II.3.4. Lavoro intermittente
Il Governo ritiene che sarebbe utile introdurre nel nostro ordinamento una
nuova tipologia contrattuale definibile come “lavoro intermittente”
(altrimenti detto “a chiamata”), al fine di contrastare tecniche fraudolente o
addirittura apertamente contra legem, spesso gestite con il concorso di
intermediari e caporali. Forme di lavoro intermittente o a chiamata, consistenti
cioè in prestazioni svolte con discontinuità pur nell’ ambito dell’aspettativa
datoriale di poter contare sulla disponibilità del prestatore, quindi nell’ ambito
dello schema nagoziale del lavoro subordinato, sono assai diffuse naturalmente
nel mercato del lavoro nero, ma anche molti lavoratori titolari di partita Iva
ovvero inquadrati come parasubordinati costituiscono di fatto altrettante
fattispecie di job on call (stand-by workers) di cui brulica soprattutto il terziario.
Si tratta di elementi distorsivi della stessa competizione corretta tra imprese che
contrastano con un’impostazione volta a modernizzare le regole del nostro
mercato del lavoro.
Appare opportuno un intervento legislativo che consenta di inquadrare questo
fenomeno non tanto come sottospecie del part time, bensì come ideale sviluppo
del lavoro temporaneo tramite agenzia, da inquadrarsi non necessariamente nello
schema del lavoro subordinato. La versione più persuasiva è senz’altro quella
olandese che imposta appunto il lavoro intermittente o a chiamata” come una
forma contrattuale che a fronte della disponibilità del prestatore a rendersi
disponibile alla prestazione, prevede la corresponsione a carico del datore di
lavoro di una “indennità di disponibilità”, similmente a quanto accade
nell’ipotesi di lavoro interinale. Il Governo auspica di ricevere utili commenti a
questa proposta.
II.3.5. Lavoro a tempo determinato
Il Governo non può che ribadire la valutazione positiva del negoziato
attivato tra le parti sociali il 24 luglio 2000 ai fini della trasposizione della
direttiva 99/70/CE sul lavoro a tempo determinato. Nel merito del
provvedimento, la nuova disciplina stabilisce i principi generali ed i requisiti
minimi per la stipulazione di contratti a termine, semplificando a
razionalizzando il quadro normativo e ponendo la legislazione italiana al livello
di quella esistente negli altri paesi europei. Essa, infatti, intende contribuire al
miglioramento della qualità del lavoro a tempo determinato garantendo
l’applicazione del principio di non discriminazione e definendo un quadro per la
prevenzione degli abusi derivanti dalla utilizzazione di una successione di
contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato.
Sul piano del metodo il Governo sottolinea come si sia proceduto all’integrale
recepimento dell’accordo raggiunto fra le parti sociali italiane, pur nel rispetto
delle prerogative del Parlamento in cui si è svolto un dibattito che ha consentito
di apportare alcuni miglioramenti al testo negoziato. Si tratta quindi di
un’esperienza positiva in cui l’ esercizio del dialogo sociale si è saldato con l’
attività legislativa propria del Parlamento e, su delega di questo, del Governo.
Infine, è opportuno sottolineare ancora che, in conformità allo spirito ed alla
lettera della direttiva comunitaria, in ogni singolo contratto a termine devono
dunque essere indicate le ragioni che, direttamente o indirettamente, consentono
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l’apposizione di un termine al rapporto di lavoro, nonché i casi nei quali non è
invece ammesso il ricorso al contratto a termine. Si tratta di un sistema più
semplice ma al tempo stesso più controllabile di quello preesistente, capace di
realizzare un allargamento dell’ occupazione di buona qualità, cioè anzitutto
regolare, provvedendo ad assicurare al lavoratore tutele non meno efficaci del
regime precedente, visto che in caso di contenzioso incomberà pur sempre sul
datore di lavoro l’onere della prova della giustificatezza dell’ assunzione a
termine.
II.3.6. Lavoro a progetto
Le proposte discusse nel corso della passata legislatura con riferimento alle
collaborazioni coordinate e continuative suscitano ad avviso del Governo
profonde perplessità di metodo e di merito. E’ bene, infatti, non dimenticare che
la cosiddetta parasubordinazione appartiene pur sempre all’area del lavoro
autonomo e, almeno in certi casi, della auto-imprenditorialità (non si tratta
quindi di un tertium genus, ibridamente collocato in una grigia zona di frontiera,
intermedia fra lavoro autonomo e subordinato) e come tale deve essere trattata.
Del resto le parti sociali si stanno esercitando in una prima fase negoziale che
occorre seguire con interesse nel suo sviluppo, senza quindi precostituire in sede
legislativa soluzioni che finirebbero per mortificare l’autonomia contrattuale.
Sembra invece utile coltivare un’iniziativa legislativa limitatamente alla
identificazione e regolazione di una fattispecie particolarmente diffuse,
specialmente ma non esclusivamente nel terziario, comunque riconducibile all’
area dell’ art. 409, n.3, cod.proc.civ., e quindi introdurre una forma contrattuale
denominabile “lavoro a progetto”. Il Governo ritiene infatti che sia necessario
evitare l’utilizzazione delle “collaborazioni coordinate e continuative” in
funzione elusiva o frodatoria della legislazione posta a tutela del lavoro
subordinato, ricorrendo a questa tipologia contrattuale al fine di realizzare
spazi anomali nella gestione flessibile delle risorse umane. Sarebbero
riconducibili a questa tipologia i rapporti in base ai quali il lavoratore assume
stabilmente, senza vincolo di subordinazione, l’incarico di eseguire, con lavoro
prevalentemente od esclusivamente proprio, un progetto o un programma di
lavoro, o una fase di esso, concordando direttamente con il committente le
modalità di esecuzione, la durata, i criteri ed i tempi di corresponsione del
compenso.
In sintesi, si tratta di conferire riconoscimento giuridico ad una tendenza che si è
rivelata visibile con il passare degli anni, soprattutto in ragione della
terziarizzazione dell’economia, quella appunto di lavorare e progetto. Si
rintracciano sovente caratteristiche di coordinamento e continuità nella
prestazione, ma pur sempre in un ambiente di autonomia organizzativa,
circostanze che reclamano un’apposita configurazione. Il che non significa
affatto propendere per un intervento legislativo “pesante”: al contrario la
tipizzazione di questa forma contrattuale è finalizzata ad assicurare il
conveniente esercizio dell’autonomia contrattuale delle parti. Ancorché si
richieda la forma scritta, il compenso corrisposto dovrà essere proporzionato alla
quantità e qualità del lavoro eseguito, tenendo conto dei compensi normalmente
corrisposti per prestazioni analoghe nel luogo di esecuzione del rapporto, salva
la previsione di accordi economici collettivi.
73
La legge dovrebbe chiarire alcuni diritti fondamentali. Ad esempio, qualora il
progetto o programma consista in un impegno orario personale superiore alle 24
ore settimanali, calcolate su una media annuale, il collaboratore dovrebbe aver
diritto in ogni caso ad una pausa settimanale, di durata inferiore ad un giorno,
nonché ad una pausa annuale, comunque di durata non inferiore a due settimane,
secondo modalità concordate fra le parti. Tali pause non dovrebbero comportare
alcuna corresponsione di compensi aggiuntivi. Analoghe garanzie dovrebbero
essere previste in caso di malattia, gravidanza ed infortunio.
Sarà sufficiente in questa sede precisare ancora che, in omaggio alle
caratteristiche fattuali connaturate a questi rapporti, la cessazione non potrà che
avvenire al momento della realizzazione del programma o del progetto o della
fase di esso che ne costituisce l’oggetto, salva diversa volontà espressa dalle
parti nel contratto scritto.
Il Governo intende, infine, sperimentare una procedura di certificazione al
fine di ridurre il contenzioso in materia di rapporti di lavoro, consentendo
quindi alle parti di procedere alla stipulazione di contratti a progetto diminuendo
grandemente il rischio di contenzioso. La proposta è di delegare per legge il
Governo ad emanare una disciplina in materia ispirata ai seguenti criteri e
principi direttivi:
- carattere volontario e sperimentale della procedura di certificazione;
- individuazione dell’organo preposto alla certificazione del rapporto di lavoro
in enti bilaterali costituiti ad iniziativa delle associazioni imprenditoriali e
delle organizzazioni sindacali dei lavoratori comparativamente più
rappresentative, ovvero nella Direzione provinciale del lavoro;
- definizione delle modalità di organizzazione delle sedi di certificazione e di
tenuta della relativa documentazione;
- indicazione del contenuto e della procedura di certificazione;
- in caso di controversia sulla esatta qualificazione del rapporto di lavoro
realizzato, valutazione da parte dell’autorità giudiziaria competente anche del
comportamento tenuto dalle parti in sede di certificazione.
Al fine di evitare abusi o comunque utilizzazioni fraudolente di questa figura
contrattuale innovativa, converrà stabilire per legge che i contratti di lavoro
subordinato non possono essere convertiti in contratti di lavoro a progetto, salvo
che le parti esperiscano la procedura di certificazione appena sunteggiata. Il
Governo auspica di ricevere, in merito alla presente proposta, approfondimenti,
osservazioni e commenti.
II.3.7. Lavoro in cooperativa
La recente riforma della disciplina giuridica del socio di una cooperativa di
produzione e lavoro è un modello assai interessante, anzitutto sul piano del
metodo. Il legislatore, travolgendo una giurisprudenza di legittimità
acriticamente arroccata su posizione formaliste di chiusura, ora ammette che si
possa stipulare un contratto di lavoro subordinato, autonomo, parasubordinato od
altre tipologie contrattuali entro cui collocare la prestazione del cooperatore di
lavoro. Si supera dunque il principio del numerus clausus a favore di una
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soluzione aperta che quasi arieggia la tradizione contrattuale anglosassone.
Interessante è anche notare la possibilità di derogare ai minimi salariali
contrattuali in caso di crisi aziendale o start-up di nuova imprenditorialità. Non
solo ma si afferma che in caso di collaborazioni non occasionali (cioè coordinate
e continuative) i compensi dovranno essere ragguagliati ai prezzi di mercato,
senza interventi della contrattazione collettiva. Si tratta di innovazioni legislative
importanti che vanno ben al di là dell’area del lavoro cooperativo.
Il Governo invita le parti sociali ad approfondire queste aperture
metodologiche, assai interessanti per realizzare un’opera di complessiva
modernizzazione del quadro regolatorio del mercato del lavoro.
II.3.8. Orario di lavoro
In seguito al ricorso proposto alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee
l’Italia è stata condannata (assieme alla Francia) per insufficiente adozione delle
disposizioni di applicazione della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti
dell’organizzazione dell’orario di lavoro (Causa C-386/98, Commissione contro
Repubblica dell’Italia, sentenza del 9 marzo 2000). La Commissione europea ha
avvertito che, non avendo ricevuto alcuna comunicazione delle misure adottate
in esecuzione della sentenza della Corte, queste procedure di infrazione
continuano in base all’art. 228 del trattato CE. Il Governo intende prontamente
porre rimedio a questa persistente inottemperanza degli obblighi comunitari,
soprattutto in considerazione del fatto che già il 12 novembre 1997 le parti
sociali avevano raggiunto un’intesa che avrebbe dovuto favorire una tempestiva
e completa trasposizione.
La mancata trasposizione di questa direttiva europea sta, infatti, dando luogo a
non pochi problemi interpretativi (si pensi alla questione della esistenza o meno
nel nostro ordinamento di un unico limite settimanale alla durata normale
dell’orario di lavoro ovvero di due limiti concorrenti, uno giornaliero e l’altro
settimanale). L’implementazione della direttiva consentirebbe in particolare di
superare definitivamente alcune interpretazioni, tese a sminuire la riforma
dell’orario di lavoro delineata nell’art. 13 della Legge 196/1997, che ancora oggi
vorrebbero subordinare la possibilità di modulare l’orario di lavoro su base
settimanale, mensile o annuale al vincolo delle otto ore di lavoro giornaliere
come orario di lavoro normale.
Occorrerà pertanto procedere rapidamente a completare la trasposizione con
riferimento alle disposizioni riguardanti il riposo giornaliero, la pausa giornaliera
e le ferie annuali. Il Governo auspica di ricevere tempestivamente eventuali
suggerimenti a riguardo, trattandosi di una materia fondamentale per realizzare
una politica effettiva di qualità del lavoro per realizzare le pari opportunità.
II.3.9. Igiene e sicurezza
Numerose e importanti direttive comunitarie in materia di sicurezza e tutela della
salute dei lavoratori sono state recepite nel nostro ordinamento giuridico, a
partire dai primi anni del ‘90.
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Tali norme si sono sommate ad un precedente corpo normativo, tuttora vigente,
improntato a differenti principi di logica giuridica. Proprio la compresenza di
leggi vecchie di decenni con il nuovo impianto comunitario rappresenta la prima
e più importante giustificazione della necessità di riordinare e riunificare tutta la
materia attraverso la predisposizione di un testo unico.
Quest'ultima non è la sola motivazione che induce alla predisposizione di tale
testo. Infatti, la legislazione che ha recepito le numerose direttive europee è
stata, per molti versi, complicata e burocratizzata, tanto che nella sua pratica
attuazione stenta a portare effettivi benefici concreti al fenomeno infortunistico e
delle tecnopatie.
Infatti, nel corso del 2000, secondo dati di una ricerca del CENSIS,
commissionata dall'INAIL gli infortuni sono saliti dell'1,2% sfiorando il milione
di casi, distribuiti in tutti i settori produttivi e riguardanti sia i lavoratori uomini
sia le donne. Anzi per quest'ultime si registra un aumento, rispetto al 1999, di
circa 4000 unità (dal 22% al 24% del totale).
Inoltre, sono del tutto assenti, nelle attuali norme, criteri prevenzionistici
specifici, anche in chiave promozionale, per le piccole e medie imprese e per il
settore dell'agricoltura. Va, poi, notato che la nuova normativa sulla sicurezza è
stata interpretata più in chiave repressiva che preventivo consulenziale e, quindi,
poco orientata verso la creazione di buone prassi che si traducessero in reale
aiuto alle imprese anche sotto il profilo organizzativo e gestionale. Tutto questo
ha favorito un altro fenomeno negativo: un aumento del lavoro sommerso,
perché gli adempimenti di sicurezza sono tali e tanti che inducono all'elusione ed
al lavoro in nero.
Manca sufficiente chiarezza e, quindi, certezza del diritto, in materia di
applicazione soggettiva delle norme. Ciò vale, soprattutto, con riferimento alle
emergenti e sempre crescenti tipologie di lavoro alternative al modello
tradizionale dell'impiego a tempo pieno, a tempo indeterminato e svolto in
ambito aziendale. Valga per tutti l'esempio della lacuna costituita dalla mancata
regolamentazione delle norme a tutela dei telelavoristi e dei collaboratori
continuatitivi coordinati.
Va, poi, conferita maggiore chiarezza alla carente regolamentazione in materia
di obblighi contravvenzionali delle macchine, di rinvio a norme tecniche e di
libera circolazione delle macchine certificate CE.
Infine, va rimodulato il rapporto tra sanzioni contravvenzionali e amministrative
e vanno riesaminate le fattispecie contravvenzionali a carico dei preposti
erroneamente equiparate, quanto ad ampiezza delle fattispecie, a quelle a carico
dei datori di lavoro e dei dirigenti.
Pertanto, si rende opportuno ed urgente il varo di un Testo Unico i cui principi e
criteri direttivi siano i seguenti:
a) riordino e coordinamento in un unico Testo di tutte le norme vigenti in
materia di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori, nel rispetto delle
normative comunitarie e delle convenzioni internazionali in materia e tenendo
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conto degli indirizzi già espressi attraverso atti amministrativi dalle competenti
istituzioni pubbliche;
b) semplificazione di disposizioni che dalle esperienze fin qui maturate si siano
dimostrate praticamente inapplicabili, in relazione alla realtà lavorativa
nazionale o comunque abbiano rivelato la loro natura di mera burocraticità;
c) individuazione di criteri prevenzionistici specifici, anche in chiave
promozionale e di buone prassi, per le piccole e medie imprese e per il settore
dell'agricoltura;
d) delegificazione e riordino delle norme tecniche di sicurezza delle macchine e
degli istituti concernenti l'omologazione, la certificazione e l'autocertificazione;
e) riordino dell'apparato sanzionatorio, anche in omaggio al principio del
management by objectives, con precipuo riferimento alle fattispecie
contravvenzionali a carico dei preposti e alla rimodulazione delle sanzioni
amministrative accanto a quelle penali contravvenzionali;
f) studio di meccanismi contributivi propriamente basati sul principio
dell’experience-rating (con contribuzioni più alte per l’impresa in cui in passato
si siano avuti più incidenti, o indennizzi in parte a carico dell’impresa quando
l’incidente avvenga nei primissimi giorni di lavoro dell’individuo, caso che
potrebbe celare o una certa negligenza nell’addestramento o, molto spesso,
fenomeni di lavoro sommerso, denunciato solo contestualmente all’avvenuto
incidente;
g) integrazione dei sistemi informativi a fini di vigilanza e attuazione di pratiche
preventive
II.4. Pari opportunità e inclusione sociale
II.4.1. Politiche di parità
Una corretta politica delle pari opportunità deve innanzitutto basarsi su
interventi diretti ad abolire ogni pratica discriminatoria e quindi qualsiasi tipo di
differenziale retributivo, a parità di lavoro svolto. Al tempo stesso, però, la
presenza femminile nel mondo del lavoro deve essere promossa a tutti i livelli e
resa possibile operando con gli strumenti propri di un’economia di mercato.
Una politica delle pari opportunità deve basarsi sugli incentivi fiscali, sulle
politiche attive, sulla flessibilità dei contratti atipici (part-time), nonché sulle
politiche sociali di sostegno alle donne sposate che lavorano, per dare loro la
possibilità di meglio conciliare l’attività lavorativa con gli impegni familiari.
Una politica di pari opportunità, nel contesto del nostro paese, non va rafforzata
solo per ragioni di equità sociale, ma per motivi di efficienza del nostro mercato
del lavoro. In diverse parti del Paese si è raggiunta praticamente la piena
occupazione, nel senso che la disoccupazione è scesa a livelli fisiologici, eppure
non si sono raggiunti ancora livelli dei tassi di occupazione paragonabili a quelli
dei nostri partners europei. Se ne deduce che per raggiungere quell’obiettivo di
occupazione occorre far leva sugli strumenti che possano incentivare una
maggiore offerta di lavoro, in particolare quella delle donne e degli anziani.
77
Modernizzare le tecniche regolatorie del mercato del lavoro significa anche
ripensare tutto l’attuale quadro istituzionale in un’ottica di promozione delle pari
opportunità. Del resto un Paese caratterizzato da un gender gap superiore al
30%, inferiore soltanto a quello di Grecia e Spagna, non può che ammettere
l’insuccesso delle politiche finora adottate in proposito e che ci hanno meritato
una severa ‘raccomandazione’ da parte dell’ Unione Europea. Giustamente
viene infatti rilevato che nel nostro ordinamento manca un approccio basato
sull’integrazione di genere nell’attuazione delle ‘linee guida’ sull’occupazione.
Tutti gli strumenti richiamati nel presente Libro Bianco devono essere ritenuti
utili a concepire in modo più moderno le pari opportunità, affrontando anzitutto
il problema della discriminazione tra donne e uomini. Le politiche in materia di
interruzione della carriera, di congedo parentale, di lavoro part-time e di formule
di lavoro flessibili rivestono particolare interesse a riguardo. Occorre altresì
fornire sufficienti strutture di buona qualità per la custodia dei bambini e
l’assistenza alle persone a carico non autosufficienti, al fine di favorire l’ingresso
e la permanenza delle donne sul mercato del lavoro. E’ essenziale a questo
proposito un’equa ripartizione delle responsabilità familiari. In particolare
occorre agevolare il reinserimento delle donne sul mercato del lavoro dopo un
periodo di assenza.
Le politiche per l’occupabilità, l’imprenditorialità e l’adattabilità devono
pertanto essere ripensate complessivamente anche nella prospettiva di rafforzare
realmente le opportunità di lavoro e di carriera dei gruppi discriminati e a rischio
di esclusione sociale, con ciò contribuendo anche a rafforzare le politiche volte a
innalzare gli attuali tassi di occupazione. Parallelamente il Governo si impegnerà
a rimuovere tutti quei fattori esterni al lavoro che influenzano negativamente la
decisione delle donne di iniziare una attività lavorativa. L’occupazione e un
lavoro di qualità devono diventare gli elementi chiave per garantire pari
opportunità a tutti i cittadini e contribuire concretamente all’attuazione del
dettato costituzionale che riconosce la piena partecipazione di tutti i lavoratori,
anche e soprattutto di quelli a rischio di esclusione e segregazione, la piena
partecipazione alla vita economica, culturale e sociale del Paese e una
soddisfacente realizzazione personale.
Particolare importanza assume, in questa prospettiva, anche il processo di
trasposizione nel nostro ordinamento della Direttiva n. 2000/78/CE del
Consiglio del 27 novembre 2000, che “stabilisce un quadro generale per la lotta
alle discriminazioni fondate sulla religione o sulle convinzioni personali, gli
handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le
condizioni di lavoro”, al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio
della parità di trattamento. La direttiva in questione sollecita, infatti, ad
incoraggiare anche su questo versante, in conformità e nel rispetto delle
tradizioni e prassi nazionali, il dialogo tra le parti sociali al fine di promuovere il
principio della parità di trattamento, tra l’altro attraverso il monitoraggio delle
prassi nei luoghi di lavoro, la stipulazione di contratti collettivi, l’adozione di
codici di comportamento nella logica della legislazione promozionale e soft,
nonché ricerche e scambi di esperienze e di buone pratiche. Del pari ogni Stato
membro è invitato, nel rispetto delle tradizioni e prassi nazionali, a incoraggiare
le parti sociali a concludere al livello appropriato, e lasciando impregiudicata la
loro autonomia, accordi che fissino regole antidiscriminatorie con riferimento
alle condizioni di accesso all'occupazione e al lavoro, sia dipendente sia
78
autonomo, compresi i criteri di selezione e le condizioni di assunzione
indipendentemente dal ramo di attività e a tutti i livelli della gerarchia
professionale, nonché alla promozione e alle prospettive di carriera.
La Direttiva n. 2000/78/CE è davvero innovativa in questa materia anche perché
aiuta a comprendere il significato del concetto di «azione positiva» con
riferimento alle pari opportunità e alla parità di trattamento in materia di
occupazione e condizioni di lavoro: tema su cui si è aperta una polemica,
talvolta molto accesa, incentrata sulle azioni positive a favore dei lavoratori
extracomunitari e dei lavoratori over quaranta, previste nel già ricordato Patto
sul lavoro di Milano. Secondo la direttiva (art. 7.1), infatti, allo scopo di
assicurare completa parità nella vita professionale, il principio della parità di
trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure
specifiche, e quindi differenziate, dirette a evitare o compensare svantaggi
correlati all’appartenenza a uno dei gruppi a rischio di esclusione sociale. Si
tratta di una formula che coglie esattamente le tecniche promozionali in corso di
sperimentazione nell’intesa milanese.
La prospettiva delle pari opportunità richiede, in definitiva, l’adozione di
politiche più efficaci, volte a incidere sul contesto culturale, da un lato, e sulle
convenienze dei soggetti coinvolti, dall’altro lato, abbandonando definitivamente
una logica meramente repressivo-sanzionatoria come quella delle quote
obbligatorie, previste ancora oggi dalla nostra legislazione, logica in definitiva
controproducente nei confronti degli stessi soggetti che pur vorrebbero
garantire nei loro diritti fondamentali. Da questo punto di vista, in particolare,
per assicurare il rispetto del principio della parità di trattamento con riferimento
ai disabili, devono essere previste soluzioni ragionevoli e adeguati incentivi
economici. Ciò significa, come ancora chiarisce la Direttiva n. 2000/78/CE, che
il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze
delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di
svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione,
a meno che tali provvedimenti richiedano da parte dello stesso datore di lavoro
un onere finanziario sproporzionato.L’onere finanziario non è considerato
sproporzionato allorché sia compensato in modo sufficiente da misure esistenti
nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili.
Il Governo si impegnerà a rimuovere tutti quei fattori esterni al lavoro che
influenzano negativamente la decisione delle donne di iniziare una attività
lavorativa. Particolare attenzione verrà in proposito prestata al trattamento
fiscale dei redditi da lavoro, in modo da non disincentivare il lavoro femminile
anche quando aggiuntivo all’interno di un dato nucleo familiare, ed alla
disponibilità di servizi di cura a beneficio delle famiglie. Spazi concreti
d’ulteriore crescita dell’occupazione femminile potranno poi venire dalle forme
contrattuali flessibili, in particolare dal part time. E’ però altrettanto importante
che anche le parti, ed in primo luogo le imprese, adeguino le proprie politiche
del personale alla crescente presenza femminile nel mercato del lavoro,
imparando a gestire e valorizzare un segmento di forza lavoro comunque
caratterizzato da una più discontinua presenza sul mercato del lavoro. Da tale
valorizzazione, che il Governo intende promuovere e favorire, potrà discendere
un ulteriore stimolo all’offerta di lavoro femminile
79
II.4.2. Lavoro minorile
Il lavoro illegale dei minori in Italia presenta caratteri preoccupanti non solo o
non tanto per la sua dimensione globale quanto per la concentrazione in specifici
ambiti sociali, territoriali e merceologici.
Il Ministero del Lavoro ha conferito all’Istituto Nazionale di Statistica, in
collaborazione con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, l’incarico di
effettuare una ricerca sul fenomeno con lo scopo di produrre un sistema
informativo sul lavoro minorile in Italia. Tale sistema costituisce la premessa
indispensabile per orientare le azioni di prevenzione e contrasto e per verificare
periodicamente la loro efficacia in termini quantitativi.
Il Governo propone alle parti sociali una lettura congiunta dei primi
risultati prodotti allo scopo di focalizzare gli ulteriori campi di indagine,
con particolare riguardo alle situazioni che costituiscono immanente
pericolo per l’incolumità fisica o psichica dei minori secondo la definizione
della recente Convenzione ILO dedicata alle “forme peggiori” di
sfruttamento.
Il contrasto dello sfruttamento dei minori nel lavoro costituisce ovvia priorità nel
più generale programma di progressiva riduzione dell’economia sommersa in
Italia ma anche impegno internazionale, a partire dai processi di
delocalizzazione, fornitura e sub-fornitura cui sono interessate le imprese
italiane. A questo proposito il Governo intende invitare le parti sociali ad una
rinnovata fase negoziale per la produzione di codici di condotta condivisi e dei
relativi sistemi di controllo e divulgazione.
Il complesso delle azioni previste dalla “carta di impegni per la promozione dei
diritti dell’infanzia e dell’adolescenza ed eliminare il lavoro minorile”
sottoscritta dalle parti sociali con il Governo, dovrà essere oggetto di una
rivisitazione congiunta allo scopo di procedere finalmente a fatti operativi, di
ordine generale e più specificamente rivolti alle aree ove il fenomeno è
particolarmente concentrato.
II.4.3. Immigrazione
Il Governo considera con favore l’ iniziativa della Commissione europea di
indirizzare al Consiglio ed al Parlamento Europeo una Comunicazione
intitolata An open method of coordination for the Community Immigration
Policy (11 luglio 2001, COM(2001) 387 final) e ne condivide sia l’ ispirazione
sia le proposte operative. In essa si propone sostanzialmente di ricorrere alla
metodologia del “coordinamento aperto” applicandola alle tematiche
immigratorie, anziché ricorrere ai tradizionali strumenti regolatori del diritto
comunitario quali i regolamenti e le direttive.
In particolare della proposta della Commissione può essere condivisa l’idea di
una “linea guida” volta a “rinforzare la lotta contro l’immigrazione illegale”, con
particolare riguardo ai cd. “immigrati economici”. A tal proposito la
Commissione osserva giustamente che numerosi Stati membri stanno ora
attivamente reclutando immigrati economici, compresi lavoratori ad alta
80
professionalità, come per esempio ricercatori e specialisti di estrazione
accademica. Nel contesto di un invecchiamento e diminuzione della popolazione
su scala continentale europea, si ritiene necessaria la revisione dell’ uso dei
canali legali per l’ammissione dei cittadini provenienti da Paesi terzi per cogliere
le necessità del mercato del lavoro, prestando attenzione al tempo stesso ai rischi
che il fenomeno cd. di brain drain può comportare per i Paesi d’ origine. In
particolare va condivisa l’affermazione della Commissione secondo cui la
necessità di una politica di maggiore apertura nei confronti dell’immigrazione
extracomunitaria deve essere accompagnata da misure aggiuntive per eliminare
il lavoro non dichiarato che è esso stesso causa o comunque sostegno dell’
immigrazione illegale.
Negli anni novanta l’Italia ha subito i flussi migratori che si sono determinati in
larga parte a prescindere dalla domanda di lavoro e che si sono diretti a coprire i
lavori di cattiva qualità, alimentando il fenomeno del sommerso e del lavoro
clandestino. Pure escludendo che tale afflusso di manodopera abbia prodotto una
rilevante frizione diretta sugli stessi posti di lavoro tra lavoratori nazionali e
lavoratori immigrati, poiché ha interessato prevalentemente impieghi rifiutati dai
lavoratori nazionali, tuttavia essa ha prodotto una frizione di carattere indiretto
non meno pericolosa. Infatti, come afferma una ricerca commissionata dall’ILO,
alimentando l’economia sommersa, i flussi in entrata hanno contribuito alla
mancata modernizzazione dell’economia italiana, con ciò rallentando la
domanda di posti di lavoro più adatti ai lavoratori nazionali.
D’altra parte, la legge Turco-Napolitano non ha orientato i comportamenti dei
datori di lavoro perché si è rivelata di faticosa attuazione producendo una
programmazione di flussi che trovava il suo compimento nella metà dell’anno di
riferimento e non anticipatamente. Ne è conseguito che il risultato più
immediato è stato una sanatoria a posteriori dei lavoratori che erano già presenti
sul territorio nazionale in modo irregolare.
La scelta del Governo è, invece, quella di avvicinare la domanda e l’offerta di
lavoro. Questo obiettivo è conseguibile, da un lato, intervenendo sui Paesi di
origine dei flussi migratori e agendo in stretta collaborazione soprattutto con i
paesi con i quali esistono accordi di cooperazione su questa materia, al fine di
creare mercati del lavoro interregionali, trasparenti e governabili. In tale ambito,
è opportuno favorire azioni di formazione e screening preventivo nei paesi di
origine, supportando l’azione degli operatori privati e delle associazioni di
categoria.
Dall’altro, occorre pianificare in maniera più efficiente e tempestiva i flussi
migratori, in modo tale da orientare i comportamenti degli operatori e discutendo
tale programmazione con le parti sociali, soprattutto con le associazioni dei
datori di lavoro, per gli aspetti di domanda di lavoro, e con le Regioni e gli enti
locali per comprendere anche i problemi di una compiuta integrazione nel
territorio.
In questa direzione, anticipando anche i contenuti di altre misure in corso di
elaborazione da parte della stessa Commissione europea, il Governo ha
predisposto un disegno di legge che prevede modifiche al decreto legislativo
25 luglio 1998, n. 286 recente il Testo Unico delle disposizioni concernenti la
81
disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero e al
decreto legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con legge 28 febbraio
1990, n. 39. In questo provvedimento occorre segnalare l’introduzione del
“contratto di soggiorno per lavoro” che potrà essere sottoscritto in relazione ad
un lavoro stagionale con durata non superiore a nove mesi, ad un lavoro
subordinato a tempo determinato con durata pari a quella del contratto e
comunque non superiore ad un anno, ad un lavoro subordinato a tempo
indeterminato con durata non superiore a due anni. Il testo chiarisce che la
perdita del posto di lavoro non costituisce motivo per privare il lavoratore
extracomunitario ed i suoi familiari legalmente residenti del permesso di
soggiorno. Il lavoratore straniero in possesso del permesso di soggiorno per
lavoro subordinato che perde il posto di lavoro, anche per dimissioni, può essere
iscritto nelle liste di collocamento per il periodo di residua validità del permesso
di soggiorno, e, comunque, salvo che si tratti di permesso di soggiorno per
lavoro stagionale, per un periodo non superiore a sei mesi.
Il Governo ritiene del tutto prioritario assicurare ai lavoratori
extracomunitari, già iscritti nelle liste dei servizi pubblici per l’impiego ed
ancora in cerca di un’occupazione un adeguato sbocco nel mercato del
lavoro. Solo un mercato del lavoro efficiente e trasparente può garantire ai
lavoratori nazionali e agli immigrati già legalmente residenti quella naturale
priorità che ad essi va riconosciuta.
Come già accennato, le intese fra le parti sociali, anche a livello locale, potranno
sperimentare utilmente altre forme di regolarizzazione delle attività svolte da
cittadini extracomunitari in Italia, inserendoli pienamente nel circuito del
mercato del lavoro regolare. Inoltre, appare opportuno incentivare anche forme
di lavoro autonomo tra gli immigrati, al fine di favorire il permanere di quei
mestieri che appaiono oggi abbandonati dai lavoratori italiani, nonché per
garantire una maggiore inclusione sociale.
82
III. RELAZIONI INDUSTRIALI
III.1. Sistema contrattuale
La centralizzazione della contrattazione collettiva garantita dagli Accordi del
1992 e del 1993 anche se contribuisce a regolare la coerenza macroeconomica,
tuttavia ostacola gli aggiustamenti relativi dei salari, ciò che aiuterebbe il
processo di riduzione della disoccupazione.
Se si vuole optare per un maggior decentramento della struttura contrattuale (e
per una trasformazione del livello nazionale in una sorta di minimum wage,
fornitore di una protezione minima) appare necessario intervenire sugli assetti
della contrattazione.
Il CCNL potrebbe sempre più assumere il ruolo di “accordo quadro” capace di
salvaguardare il potere di acquisto delle retribuzioni minime, di fissare standard
minimi comuni, di assicurare un clima di fiducia reciproca nel sistema di
relazioni industriali. Tale funzione di “accordo quadro” potrebbe essere
rafforzata ipotizzandone un periodo di validità diversa dall’attuale, in coerenza
con i documenti programmatici del Governo che fissano le grandezze
economiche ed eliminando, eventualmente, il momento contrattuale intermedio.
Rafforzare la contrattazione decentrata può rendere più flessibile la struttura
della retribuzione. Questo livello di contrattazione non dovrebbe produrre un
effetto di sommatoria sulla dinamica complessiva delle retribuzioni e quindi
generare aspettative inflazionistiche. A questo fine occorrerebbe che la
contrattazione decentrata, pure non prevedendo trattamenti inferiori ai minimi
previsti dal CCNL, fosse concepita in senso non sovrapponibile allo stesso
CCNL.
Una rivisitazione dell’attuale modello dovrebbe rendere effettivo un principio
già presente nel Protocollo 23 luglio 1993, cioè l’affermazione del criterio
generale di coerenza complessiva del sistema, volto a far sì che la crescita
retributiva e le dinamiche inflattive risultino coerenti non rispetto ad un solo
livello di contrattazione (la sede categoriale), bensì considerando l’insieme delle
voci di costo collettivamente determinate, quale che sia la sede in cui sono
trattate.
Il Governo si rivolge alle parti sociali per prospettare loro l’opportunità di
rivisitare l’attuale assetto contrattuale, al fine di dotarlo di una maggiore
flessibilità. Ciò che risulterebbe utile, oltre che per redistribuire produttività,
anche per facilitare la riemersione del “sommerso” e per superare temporanee
crisi occupazionali, in particolare nelle piccole e medie imprese o in determinate
aree territoriali. Il Governo desidera ricordare ancora alle parti sociali che una
flessibilizzazione ed un riassetto dell’organizzazione contrattuale si giustifica
anche in considerazione del venir meno della fiscalizzazione degli oneri sociali e
degli sgravi contributivi differenziati per il Sud.
83
Va peraltro precisato che la riorganizzazione della struttura contrattuale riguarda
l’intero complesso del lavoro dipendente, compreso quello del settore pubblico.
Da tempo è in corso un processo di “privatizzazione” del rapporto di lavoro in
questo settore ed è intenzione del Governo proseguire con determinazione verso
una maggiore omogeneità non solo delle norme ma anche delle relazioni
sindacali e dei comportamenti effettivi nei due settori, pubblico e privato.
La tendenza verso un maggior decentramento delle relazioni industriali è, negli
ultimissimi anni, emersa in connessione con il decentramento nelle
amministrazioni pubbliche.
Il rafforzamento del livello decentrato della contrattazione collettiva non potrà
quindi non coinvolgere anche il settore pubblico. Le Regioni e gli enti locali
potranno svolgere un’azione di stimolo e di proposta su questo in parallelo alla
compiuta definizione di un contesto più responsabile della finanza regionale e
locale.
Il Governo è pienamente consapevole che tale materia è affidata anzitutto al
confronto tra le parti sociali e confida pertanto che questo produca risultati
coerenti con le complessive esigenze di modernizzazione del mercato del
lavoro. Al tempo stesso il Governo dichiara la propria intenzione di non
volere assumere iniziative legislative in materia di rappresentatività degli
attori negoziali, nel pieno rispetto della tradizione autoregolamentare delle
parti sociali italiane ed in ossequio al principio di reciproco riconoscimento,
consolidatosi ormai anche in sede comunitaria.
III.2. Partecipazione
Si può senz’altro riconoscere che gli assetti regolativi dei sistemi di relazioni
industriali in Europa si siano crescentemente caratterizzati, nel corso dell’ ultimo
decennio, in termini sempre più collaborativi e partecipativi ed un ruolo di
rilievo è stato assunto dalle misure adottate a livello comunitario. Già nel corso
degli anni ’80 l’adattamento alle sfide della globalizzazione e
dell’internazionalizzazione dei mercati aveva registrato rilevanti successi
soprattutto in quei Paesi che per tradizione disponevano di un quadro
istituzionale decisamente partecipativo e collaborativo (Paesi scandinavi, Paesi
Bassi, Austria e Germania). Nel corso del decennio successivo questo modello
regolatorio ha continuato ad estendersi ad di là di ogni previsione anche ad altri
Paesi, con la sola esclusione di Francia e Regno Unito, soprattutto grazie
all’adozione di politiche concertative a livello macro-economico e la
stipulazione di patti sociali a livello nazionale, comunque in ragione
dell’emersione generalizzata di risposte di tipo partecipativo nella soluzione
delle tensioni provocate dalle crisi di sviluppo delle economie europee.
Come chiaramente indicato da primo Rapporto della Commissione europea sulle
relazioni industriali, in tutta Europa i rapporti tra datori di lavoro e lavoratori
risultano oggi più partecipativi anche solo di un decennio fa e in ogni caso molto
meno conflittuali rispetto al passato, visto che il numero di scioperi si è
drasticamente ridotto. La ricerca di soluzioni partecipative è comunque delineata
ora dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata nel
84
dicembre 2000 a Nizza che all’ art. 27 sancisce il diritto dei lavoratori all’
informazione e alla consultazione nell’ ambito della impresa (“Ai lavoratori ed
ai loro rappresentanti devono essere garantite, ai livelli appropriati,
l’informazione e la consultazione in tempo utile nei casi e alle condizioni
previsti dal diritto comunitario e dalle legislazioni e prassi nazionali”).
Il Governo italiano condivide l’ispirazione della politica comunitaria in
tema di relazioni industriali e saluta con favore questa evoluzione così
caratterizzante del modello sociale europeo, auspicando che anche in Italia i
rapporti tra le parti sociali si sviluppino in senso sempre più partecipativo.
Pur nel massimo rispetto di un tema che, al pari di quello relativo agli assetti
contrattuali, è di primaria responsabilità e competenza delle parti sociali, è
opportuno creare le condizioni favorevoli allo sviluppo di intese partecipative fra
le stesse, nella convinzione che ciò possa contribuire ad accrescere la
competitività del nostro sistema economico. La partecipazione dei lavoratori e
dei loro rappresentanti nel quadro di un sistema di relazioni industriali, tanto a
livello macroeconomico quanto su scala micro, contribuisce ad elevare la qualità
del lavoro, accrescendo le potenzialità di sviluppo professionale e di carriera dei
dipendenti, incidendo positivamente sulla loro motivazione, nella ricerca di un
ambiente lavorativo fondato sul riconoscimento delle capacità personali e sulla
valorizzazione delle aspettative individuali e collettive.
L’esperienza comparata insegna che i sistemi di relazioni industriali più
partecipativi riescono a conferire maggiore competitività al sistema produttivo,
pure nella grande varietà dei modelli adottati, sia che la legge assuma un ruolo
centrale (Germania), sia che la partecipazione si fondi sulla prassi e la
consuetudine senza alcuna interferenza di carattere regolatorio (Giappone). Si
ottengono risultati incoraggianti sul piano del miglioramento dell’efficienza
organizzativa, riducendo le resistenze alle innovazioni tecnologiche,
supportando le decisioni manageriali con una maggiore legittimazione e
coinvolgendo i rappresentanti dei lavoratori in una logica di confronto che non
esclude certo la possibilità di ricorrere al conflitto ma privilegia la ricerca di
soluzioni condivise in quanto hanno più facilità di essere implementate con
successo. La partecipazione è dunque un elemento costitutivo di un sistema di
relazioni industriali basato sulla qualità, contribuendo positivamente a sostenere
e qualificare lo sviluppo di un sistema economico nel suo insieme e delle singole
imprese.
Dopo il successo della direttiva comunitaria sui Comitati Aziendali Europei
(CAE), con l’affermazione di un ruolo premiale della contrattazione collettiva in
funzione partecipativa, incentivata al punto da poter derogare interamente
rispetto a disposizioni minime di legge, sta per concludersi il pluridecennale
processo decisionale che porterà entro breve tempo alla normativa comunitaria
sulla costituzione della Società Europea (SE). Dopo l’accordo di Nizza, il
Consiglio ha approvato un testo che è attualmente in lettura al Parlamento
europeo. Appare pertanto opportuno, alla vigilia dell’approvazione definitiva di
questo provvedimento, così a lungo atteso, che il Governo sottolinei
l’importanza di una riflessione sui temi della partecipazione, in vista di
un’impegnativa fase di trasposizione che dovrà avvenire nell’arco di questa
legislatura.
85
La disciplina giuridica della Società Europea, sia nel regolamento sia nella
direttiva, si fonda sul riconoscimento del carattere fisiologico della
partecipazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti. Non sono mancate, in
passato, direttive comunitarie che hanno affermato diritti di informazione e
consultazione in presenza di situazioni di crisi aziendali (licenziamenti collettivi,
trasferimento di azienda) dando luogo ad atti di recepimento che anche
nell’ordinamento giuridico italiano hanno fondato diritti di informazione e
consultazione. Tuttavia è con la direttiva CAE, peraltro limitata alle relazioni
industriali che caratterizzano le imprese di dimensione trasnazionale, che si è
affermata una tendenza regolatoria a promuovere la partecipazione anche in cicli
economici favorevoli nella vita delle imprese, quindi non soltanto su base
eccezionale ma anche in una prospettiva permanente. La direttiva sulla SE
prosegue in questa direzione, anche se la parte riguardante la partecipazione
potrà (in omaggio al compromesso politico che ha consentito a Nizza di superare
le ultime resistenze della Spagna) essere oggetto di opting out da parte dei
singoli Stati membri ai quali sarà quindi consentito non procedere alla
trasposizione di questa parte delle disposizioni comunitarie.
Il Governo italiano invita fin d’ora le parti sociali ad avviare un confronto
sui modi di trasposizione della direttiva, anche per quanto riguarda le
disposizioni riguardanti il coinvolgimento dei lavoratori e dei loro
rappresentanti. E’ di grande interesse infatti che la direttiva stessa, riprendendo il
modello CAE, affermi che il regime di partecipazione della SE dovrebbe essere
definito a seguito di un’intesa da stipularsi ad opera delle parti interessate o, in
mancanza di essa, con l’ applicazione delle norme accessorie che ogni Stato
membro dovrà darsi nell’adempimento dell’obbligo traspositivo.
Può essere senz’ altro condivisa la tecnica, sempre mutuata dal modello CAE,
che consente alle parti sociali di regolare interamente la materia partecipatoria
nella singola SE prescrivendo tuttavia che l’accordo regolamenti
obbligatoriamente un certo numero di materie (ad es. il campo di applicazione
del medesimo accordo, le attribuzioni e la procedura prevista per l’ informazione
e la consultazione dell’organismo di rappresentanza, le risorse finanziarie e
materiali da attribuire all’organo di rappresentanza, ecc.). Si tatta di un modello
che il Governo ritiene debba essere attentamente seguito nell’opera traspositoria,
ed in tal senso confida che anche le parti sociali lo apprezzino ugualmente
sperimentandolo nel loro dialogo.
L’Unione Europea non impone al nostro sistema di relazioni industriali alcun
modello predeterminato, ma crea le condizioni di quadro istituzionale affinché le
parti sociali trovino intese per esercitare i diritti di informazione e consultazione
negoziando intese ovvero, in difetto di queste, utilizzando una disciplina di base
che dovrà essere realizzata in sede traspositiva. E’ questo il senso di un’altra
direttiva che sta per essere approvata (anche in questo caso è stato raggiunto in
Consiglio l’ accordo politico e si attende la lettura del Parlamento europeo),
quella che riguarda l’ esercizio dei diritti di informazione e consultazione nelle
imprese nazionali. Essa intende valorizzare il principio secondo cui
l’informazione e la consultazione in tempo utile può rappresentare una
condizione preliminare ed imprescindibile per il buon esito di processi di
ristrutturazione e di adattamento delle imprese alle nuove condizioni indotte
dalla globalizzazione dell’ economia, in particolare mediante lo sviluppo di
86
nuove procedure di organizzazione del lavoro. Attualmente, come già accennato,
il quadro giuridico in materia di informazione e consultazione è orientato, tanto a
livello comunitario quanto su scala nazionale, soprattutto in funzione del
trattamento ex post dei processi di cambiamento.
In vista di questi prossimi appuntamenti traspositivi il Governo sollecita le
parti sociali ad una riflessione che consenta di migliorare la qualità delle
nostre relazioni industriali rendendole maggiormente partecipative, secondo
formule liberamente concordate ed in relazione alle quali l’intervento legislativo
dovrà limitarsi a garantire la funzione premiale della contrattazione collettiva
unitamente all’esigibilità di condizione minime di esercizio dei diritti di
informazione e consultazione. In particolare il Governo ritiene auspicabile
che il dialogo sociale individui le sedi e le altre modalità per regolare
convenientemente i diritti di informazione e consultazione, affinché
l’esercizio delle prerogative manageriali sia ispirato da una logica di
trasparenza e di fiducia tra le parti.
III.3. Democrazia economica
Sul tema della partecipazione finanziaria dei lavoratori la Commissione europea
ha recentemente avviato una nuova iniziativa sottoponendo agli Stati membri un
documento di riflessioni al quale anche il Governo italiano risponderà (Financial
participation of employees in the European Union, 27 luglio 2001, SEC(2001)
1308). Si tratta, infatti, di una prospettiva della tematica partecipativa che deve
essere tenuta in considerazione ed a proposito della quale è necessario svolgere
una attività di stimolo, in quanto anche nel nostro Paese è riscontrabile quello
che nel documento comunitario appena richiamato viene definito “problema
culturale” ovvero di “deficit culturale”, nel senso che i dipendenti ed i loro
rappresentanti si sentono estranei ad una prassi di coinvolgimento di tipo
finanziario nell’impresa in cui sono occupati.
Lo stesso legislatore del resto ha recentemente contribuito a rilanciare l’idea di
un più esteso ricorso all’azionariato dei dipendenti. Il nuovo testo dell’art. 48, 2à
comma, del Testo Unico Imposte sui redditi, come modificato dall’art. 3, 1°
comma, del d. lgs. 314/1997, ha introdotto una disciplina di particolare favore
sotto il profilo fiscale per le società che emettono nuove azioni a favore dei
propri dipendenti. Successivamente, attraverso l’esercizio della delega sulla
riforma dei mercati finanziari e delle società quotate (d.lgs. 58/1998) è stata
confermata questa opzione di favore verso l’ accesso dei dipendenti al capitale
azionario, introducendo una disciplina di sostegno per le società aventi azioni
quotate, al fine di favorire i cd. piani di stock options e cioè l’ attribuzione del
diritto a sottoscrivere azioni da parte dei lavoratori.
E’ sin qui mancata tuttavia una disciplina organica che, sulla scorta di quanto da
tempo sollecitato in sede comunitaria, conducesse ad una regolamentazione di
sostegno in grado di sciogliere i nodi principali di una materia tanto controversa
quanto complessa. Non può quindi sorprendere che nel nostro Paese lo sviluppo
dell’azionariato dei dipendenti si sia fin qui manifestato in modo frammentario e
87
lacunoso (soprattutto a margine di singoli processi di privatizzazione di aziende
pubbliche), privo com’ è di una moderna base normativa di supporto e
incentivazione comparabile con quella presente in numerosi altri ordinamenti.
Le sfide della new economy, della società dell’informazione e delle nuove
tecnologie impongono ora di esplorare con più determinazione anche questa
strada per una modernizzazione delle nostre relazioni industriali.
Si possono in materia proporre alcuni spunti utili per aprire una riflessione ed un
confronto. Importanti esperienze di altri paesi dell’Unione Europea (Regno
Unito, Francia, Germania, Belgio ed Irlanda) dimostrano l’utilità di subordinare
ad esempio la concessione delle agevolazioni fiscali alla condizione che per le
azioni oggetto del piano di partecipazione finanziaria sia prevista, con apposita
deliberazione dell’assemblea ordinaria, la loro inalienabilità per un certo numero
di anni successivamente alla effettiva cessione. Previa intesa con le
rappresentanze dei lavoratori i piani di partecipazione finanziaria potrebbero
eventualmente prevedere un periodo maggiore di inalienabilità delle azioni. Un
intervento anche di natura legislativa potrebbe precisare, valorizzando in
proposito il ruolo della contrattazione collettiva, le modalità di sottoscrizione o
acquisto di azioni nell’ambito di un piano di partecipazione finanziaria,
prevedendo anticipazioni sul trattamento di fine rapporto, l’impiego di quote o
elementi della retribuzione, il ricorso al credito eventualmente attraverso
l’intervento dei fondi pensione in deroga a quanto disposto dal d. lgs. 124/1993.
E’ vero tuttavia che, in una prospettiva de jure condendo, la vera questione da
affrontare è quella dell’alternativa tra azionariato collettivo e azionariato
individuale: sembra questo il nodo politico più difficile da sciogliere per quanto
attiene alla partecipazione finanziaria dei lavoratori a livello di impresa.
Potrebbe essere utile un intervento legislativo che aprisse ulteriori possibilità di
azione al confronto tra le parti sociali, anche per facilitare i processi di
privatizzazione, rafforzando la posizione dei dipendenti azionisti e rendendo più
equilibrato il rapporto assunzione del rischio-potere di controllo insito nella
adesione ad un piano di partecipazione azionaria.
Il tema della partecipazione azionaria si lega evidentemente con quello
dell’utilizzazione del trattamento di fine rapporto (TFR) per la costituzione dei
fondi pensione, salvaguardando ben s’intende il principio di assoluta
volontarietà. Tuttavia, occorre aver sempre a mente la necessaria
sperimentazione che soluzioni di questa natura devono avere, nonché
l’inevitabile differenziazione della relativa disciplina. E’ la contrattazione
aziendale a potere produrre le applicazioni sperimentali più utili ed è pertanto in
questa sede che converrebbe, anzitutto, avviare un confronto costruttivo.
Il Governo ritiene utile verificare modalità di partecipazione finanziaria
finalizzate ad esaltare la fidelizzazione di figure apicali o comunque chiave
nell’ambito dell’organizzazione del lavoro di piccole e piccolissime imprese,
inclusi esercizi turistico-commerciali ed unità artigiane. A tal fine è
necessario ristabilire un uso corretto del contratto di associazione in
partecipazione, ovvero ricorrere ad altre forme di partecipazione agli utili,
sostenendo questi strumenti anche con opportuni incentivi di carattere
economico e fiscale.
88
III.4. Servizi pubblici essenziali e conflittualità
Il Governo ritiene che non si possa certo ignorare la situazione, spesso
caratterizzata da comportamenti irrispettosi delle esigenze degli utenti e dei
consumatori, del conflitto nei servizi essenziali, con particolare riferimento
al settore dei trasporti. Le modifiche introdotte nel 2000 alla legge che regola
l’esercizio del diritto di sciopero in questo contesto non sembrano essere state
adeguatamente valorizzate dalle parti sociali interessate ed è a questo proposito
opportuno che la Commissione di garanzia utilizzi più incisivamente le
attribuzioni ed i poteri accordati dalla legge, intensificando la propria attività
anche in funzione di mediazione e conciliazione dei conflitti. In quest’ottica di
applicazione più coerente della legge 83/2000 occorre ad avviso del Governo
attuare con maggiore rigore il principio di “rarefazione oggettiva”, richiamando
le amministrazioni e le imprese ad una più puntuale osservanza degli obblighi
previsti con riferimento all’informazione degli utenti e consumatori in caso di
sciopero.
La legge 83/2000 che ha riformato la legge 146/1990 dispone che nei contratti o
accordi collettivi concordati per individuare le prestazioni indispensabili da
garantire in caso di sciopero “devono in ogni caso essere previste procedure di
raffreddamento e conciliazione obbligatorie per entrambe le parti, da esperire
prima della proclamazione dello sciopero”. Appare cruciale che tali accordi,
sottoposti alla validazione della Commissione di garanzia per acquistare
efficacia generalizzata, contengano effettivamente questo genere di clausole,
decisive per dare al conflitto in questi contesti caratteristiche di civiltà.
Nell’ambito della nozione di ‘raffreddamento’ del conflitto appare utile
sperimentare l’istituto del referendum, come preventivo accertamento della
volontà di tutti coloro che verrebbero chiamati a scioperare dai promotori
del conflitto e come condizione quindi per la legittima proclamazione dello
sciopero. L’ indizione del referendum – almeno in forma consultiva, senza
quindi coinvolgere la questione della titolarità alla proclamazione e all’ esercizio
dello sciopero - potrebbe essere proposta dai soggetti interessati alla promozione
dello sciopero, congiuntamente o disgiuntamente. Del pari interessante sarebbe
la sperimentazione di forme di sciopero virtuale e/o solidale, prevedendo azioni
di protesta che, pur comportando il sacrificio economico di ambedue le parti,
non producano la sospensione o l’interruzione del pubblico servizio.
L’ammontare del sacrificio/danno economico sopportato dalle parti potrebbe
essere devoluto ad un fondo gestito bilateralmente dalle parti e la cui
utilizzazione verrebbe da esse concordata
Il Governo ritiene che occorra approfondire l’ipotesi di sostituire la
Commissione di Garanzia con un organismo specializzato in materia di
prevenzione e composizione delle controversie collettive di lavoro, con
particolare, ma non esclusiva, competenza nella gestione del conflitto nei
servizi essenziali. Occorrerebbe in tale prospettiva valutare anche l’opportunità
89
di dotare questo organismo di professionisti con esperienza nella gestione diretta
delle vertenze collettive di lavoro, incaricandolo delle attribuzioni fino ad oggi
esercitate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, nonché della stessa
Commissione di garanzia per l’esercizio del diritto sciopero nei servizi
essenziali.
SETTEMBRE/OTTOBRE/
NOVEMBRE 2004
Anno 1 Numero 6/2004
Settore Politiche
Attive per il Lavoro
SERVIZI PER
L’IMPIEGO
Provincia di Verona
NOTIZIARIO
Sommario:
Nuovo apprendistato.
In attesa delle regolamentazioni regionali
Con circolare 14 ottobre 2004,
n. 40, il Ministero del Lavoro
interviene opportunamente per
chiarire che non possono essere
considerate operative le previsioni della contrattazione
collettiva che hanno autonomamente disciplinato il contratto di apprendistato professionalizzante (si veda ad
esempio l’accordo per il rinnovo
del CCNL del Commercio siglato il 2 luglio 2004 e il CCNL
degli edili firmato lo scorso 1°
ottobre).
La circolare nel confermare, in
caso di assunzione con contratto di apprendistato, il venir meno della richiesta di autorizzazione alla Direzione Provinciale del Lavoro, ritiene illegittima la previsione, da parte di
alcuni contratti collettivi, della
procedura
autorizzatoria
demandata agli Enti bilaterali. Solo la normativa regionale
potrà operare in tal senso.
Anche per quanto riguarda l’età
dell’apprendista e la durata
del contratto, in attesa della
regolamentazione dell’istituto dell’apprendistato a opera
delle Regioni, viene confermata l’attualità della normativa
previgente ( leggi 25/1995 e 196/1997) con esclusione delle
espresse abrogazioni effettuate
dall’ art. 85, comma 1, lett. b) e i)
del D. Lgs. 276/2003 e pertanto:
DISCIPLINA VIGENTE
Età
Durata
15 – 24 anni (26 anni nelle
aree definite di declino industriale) elevabile a 29
anni nelle imprese artigiane,
per il conseguimento di qualificazioni di alto contenuto
professionale.
18 mesi – 4 anni (5 anni
nelle aziende artigiane)
Rimane il dubbio sulla legittimità
delle modifiche temporali operate da alcuni contratti
collettivi, ad esempio quello del
Commercio, che, nell’aumentare
la durata del rapporto di apprendistato si mantengono tuttavia
nell’ambito dei limiti massimi
imposti dalla vigente normativa.
Per quanto attiene alla definizione delle modalità di svolgimento, di valutazione, di
certificazione e di registrazione sul libretto formativo
delle competenze acquisite mediante il percorso di apprendistato , spettano, come sottolinea la
circolare ministeriale, alla Regione.
A nulla valgono pertanto, le anticipazioni effettuate da alcuni contratti collettivi che, seppure in via
(Continua a pagina 2)
Il Notiziario viene pubblicato anche sul portale web della
Provincia di Verona - http://www.provincia.vr.it con i rimandi (link) alla normativa riportata nel documento
Nuovo apprendistato.
In attesa delle regolamentazioni regionali
1
Job on call.
Individuate 46 attività di
utilizzo
3
Legge Biagi.
In vigore il decreto
correttivo
4
Focus sulle giurisprudenza
del lavoro
6
Le Regioni competenti alla
definizione degli aspetti
formativi dell’istituto.
Amedeo Modigliani,
Il giovane apprendista, 1918, olio su tela, cm. 100 x 65,
Parigi, Musée de l’Orangerie,
Collezione Walter-Guillaume
Pagina 2
Anno 1 Numero 6/2004
(Continua da pagina 1)
transitoria, affidano al datore di
lavoro il compito di registrare le
competenze acquisite dall’apprendista.
La circolare chiarisce in modo
inequivocabile che, al momento,
l’unica fattispecie, prevista dalla
nuova normativa, pienamente
operativa, in presenza di apposita
convenzione tra regione – parti
sociali – istituti formativi, è quella dell’ apprendistato specializzante (art. 50, D. Lgs. 276/2003).
NUOVO APPRENDISTATO
Tipologia
Definizione
Età
Durata
Espletamento
diritto - dovere di
istruzione e
formazione
Acquisizione di un titolo di studio qualifica attraverso lo strumento
dell’alternanza scuola - lavoro
15 - 18 anni
non superiore
a 3 anni
18 - 29 anni;
17 anni se in possesso di
qualifica professionale
da 2 a 6 anni
18 - 29 anni;
17 anni se in possesso di
qualifica professionale
definita dalla
Regolamentazione
regionale e dalle
parti sociali
Professionalizzante
Specializzante
Qualificazione attraverso una
formazione sul lavoro e l’acquisizione
di competenze di base, trasversali e
tecnico - professionali
Conseguimento di un titolo di studio
secondario, universitario e di alta
formazione, nonché per la
specializzazione tecnica superiore
DISCIPLINA GENERALE
Limiti all’assunzione
Forma del contratto
Profili formativi
Profili retributivi
Principali novità
procedurali
Qualificazione
Profili sanzionatori
Importi contributivi
Non superiore al 100% delle maestranze specializzate e qualificate. Nel caso di datore
di lavoro che occupi meno di 3 lavoratori qualificati, non potranno essere assunti
più di tre apprendisti
Necessaria la forma scritta.
Al contratto dovrà esser allegato il piano formativo individuale che dovrà indicare
il percorso formativo formale e non formale nonché le ore di formazione aziendale o
extra aziendale
Minimo 120 ore di formazione.
Spetta alla Regione individuare la ripartizione tra formazione aziendale o extra aziendale avendo cura di specificare che si tratterà di “formazione formale” che verrà effettuata attraverso strutture accreditate o all’interno dell’impresa secondo percorsi di formazione on the job.
Rispetto alla disciplina previgente che consentiva di retribuire l’apprendista attraverso
un meccanismo di sotto salario percentualizzato in elevazione progressiva con il maturare dell’anzianità, ora viene stabilita una modalità retributiva che, pur mantenendo il
principio dell’elevazione progressiva, è regolata dal principio del sotto inquadramento (fino a due livelli inferiori rispetto alla qualifica di destinazione)
Viene abolito l’obbligo della richiesta di autorizzazione alla Direzione Provinciale
del Lavoro preventiva all’instaurazione del rapporto di apprendistato (art. 85, comma 1,
lett. b), D. Lgs. 276/2003)
Decade il divieto di adibire l’apprendista a lavori di manovalanza e di produzione in serie (art. 19, D. Lgs. 251/2004)
La visita sanitaria preventiva all’assunzione dell’apprendista viene meno nel caso
di apprendista che abbia raggiunto la maggiore età (art. 2, Legge Regionale n.
41/2003).
Al termine del periodo di apprendistato, l’apprendista si riterrà mantenuto in servizio,
con contratto di lavoro a tempo indeterminato, fatta salva la possibilità per il datore di
lavoro di recedere dal contratto ai sensi dell’art. 2118 c.c..
Nel caso di inadempimento dell’ obbligo formativo tale da impedire il raggiungimento della qualifica da parte dell’apprendista, il datore di lavoro sarà tenuto a versare
all’Inps, a titolo di sanzione, la differenza tra la contribuzione versata e quella
dovuta con riferimento al livello di inquadramento contrattuale che sarebbe stato raggiunto dal lavoratore al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%.
Contribuzione fissa settimanale:
•Artigiani: Euro 0,02
•Non artigiani: Euro 2,79 senza Inail e 2,88 con Inail
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Anno 1 Numero 6/2004
Job on call .
Individuate 46 attività di utilizzo.
Con l’emanazione del DM 23 ottobre 2004 (Gazzetta Ufficiale n.
259 del 4 novembre 2004) si
completa il quadro giuridico previsto dalla riforma Biagi in ordine
ai casi che consentono l’instaurazione di contratti di lavoro a chiamata:
a)In via sperimentale con giovani con meno di 25 anni o
con lavoratori over 45 espulsi dal ciclo produttivo.
b)Prestazioni rese nei fine settimana, nei periodi di ferie estive e delle vacanze pasquali e natalizie
c) Prestazioni saltuarie così
come individuate, in attesa della disciplina della contrattazione collettiva, attraverso il richiamo effettuato dal DM 23
ottobre 2004 alla tabella allegata al regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657.
Nel caso di lavoro a chiamata di
cui alla lettera c), vengono richiamate 46 categorie di attività
delle quali, considerata la non
recente individuazione delle stesse, più di qualcuna non ha grande
diffusione.
Tra le prestazioni più comuni, si
segnalano quelle che, nell’ambito
dei pubblici esercizi, vengono
rese dai camerieri e dal personale di servizio e di cucina,
dagli impiegati di albergo con
mansioni implicanti rapporti con
la clientela (addetti al ricevimento) e quelle svolte da barbieri e parrucchieri nonché da
commessi di negozio.
Per queste due ultime tipologie di
attività, il regio decreto 2657/1923 faceva riferimento alle città con meno di 100.000 abitanti relativamente alle prestazioni dei barbieri e dei parrucchieri e alle città con meno
di 50.000 abitanti per quelle
dei commessi di negozio.
Tenuto conto che l’art. 1 del DM
23 ottobre 2004, fa riferimento
alla tabella allegata al regio decreto al fine di individuare le
“tipologie di attività” ammesse al
lavoro a chiamata, sono da ritenersi non applicabili le limitazioni territoriali o di numero di abitanti richiamate
nella medesima tabella.
Per quanto riguarda, in particolare le prestazioni lavorative effettuate da commessi e parrucchieri, si tratta di attività che
normalmente vengono svolte in
azienda in forma stabile.
Si ritiene pertanto che requisito
indispensabile per la legittimità
del ricorso al lavoro a chiamata,
sia si la presenza del tipo di
attività nella citata tabella
ma anche il carattere discontinuo e intermittente delle modalità di esecuzione della prestazione così come stabilito dall’ art.
34 del D. Lgs. 276/2003.
Per un richiamo completo all’istituto del job on call si rinvia al
precedente nostro notiziario
(n.5/2004).
Il Ministero del Lavoro,
sostituendosi
provvisoriamente
alla contrattazione
collettiva, rende pienamente
operativa la disciplina del
lavoro a chiamata.
Tipologie di attività indicate nella tabella allegata al Regio decreto 6 dicembre 1923, n. 2657
1. Custodi.
2. Guardiani diurni e notturni, guardie daziarie.
3. Portinai.
4. Fattorini (esclusi quelli che svolgono mansioni che richiedono un'applicazione assidua e
continuativa) uscieri e inservienti .
L'accertamento che le mansioni disimpegnate
dai fattorini costituiscono un'occupazione a
carattere continuativo è fatta dall'Ispettorato
del lavoro.
5. Camerieri, personale di servizio e di cucina
negli alberghi, trattorie, esercizi pubblici in genere, carrozze letto, carrozze ristoranti e piroscafi, a
meno che nelle particolarità del caso, a giudizio
dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro, manchino gli estremi di cui all'art. 6 del regolamento
10 settembre 1923, n. 1955.
6. Pesatori, magazzinieri, dispensieri ed aiuti.
7. Personale addetto all'estinzione degli incendi.
8. Personale addetto ai trasporti di persone e di
merci: Personale addetto ai lavori di carico e
scarico, esclusi quelli che a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro non abbiano
carattere di discontinuità.
9. Cavallanti, stallieri e addetti al governo dei
cavalli e del bestiame da trasporto, nelle aziende commerciali e industriali.
10. Personale di treno e di manovra, macchini(Continua a pagina 4)
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(Continua da pagina 3)
sti, fuochisti, manovali, scambisti, guardabarriere delle ferrovie interne degli stabilimenti.
11. Sorveglianti che non partecipano materialmente al lavoro.
12. Addetti ai centralini telefonici privati.
13. Personale degli ospedali, dei manicomi,
delle case di salute e delle cliniche, fatta eccezione per il personale addetto ai servizi di assistenza nelle sale degli ammalati, dei reparti per
agitati o sudici nei manicomi, dei reparti di
isolamento per deliranti o ammalati gravi negli
ospedali, delle sezioni specializzate per ammalati di forme infettive o diffusive, e, in genere,
per tutti quei casi in cui la limitazione di orario, in relazione alle particolari condizioni
dell'assistenza ospedaliera, sia riconosciuta
necessaria dall'Ispettorato dell'industria e del
lavoro, previo parere del medico provinciale.
14. Commessi di negozio nelle città con meno
di cinquantamila abitanti a meno che, anche in
queste citta, il lavoro dei commessi di negozio
sia dichiarato effettivo e non discontinuo con
ordinanza del prefetto, su conforme parere
delle organizzazioni padronali ed operaie interessate, e del capo circolo dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro competente per territorio.
15. Personale addetto alla sorveglianza degli
essiccatoi.
16. Personale addetto alla sorveglianza degli
impianti frigoriferi.
17. Personale addetto alla sorveglianza degli
apparecchi di sollevamento e di distribuzione
di acqua potabile.
18. Personale addetto agli impianti di riscaldamento, ventilazione e inumidimento di edifici
pubblici e privati.
19. Personale addetto agli stabilimenti di bagni
e acque minerali, escluso il personale addetto
all'imbottigliamento, imballaggio e spedizione.
20. Personale addetto ai servizi di alimentazione e d'igiene negli stabilimenti industriali.
21. Personale addetto servizi igienici o sanitari,
dispensari ambulatori, guardie mediche e posti
di pubblica assistenza, a meno che, a giudizio
dell'Ispettorato corporativo, manchino nella
particolarità del caso, gli estremi di cui all'art.
6 del Regolamento 10 settembre 1923, n. 1955
(prestazioni discontinue o di semplice attesa o
custodia).
22. Barbieri, parrucchieri da uomo e da donna
nelle città con meno di centomila abitanti, a
meno che, anche in queste città, il lavoro dei
barbieri e parrucchieri da uomo e da donna sia
dichiarato effettivo e non discontinuo con ordinanza del prefetto su conforme parere delle
organizzazioni padronali ed operaie interessate
e del capo circolo dell'Ispettorato dell'industria
e del lavoro competente per territorio.
23. Personale addetto alla toeletta (manicure,
pettinatrici).
24. Personale addetto ai gazometri per uso
privato.
Anno 1 Numero 6/2004
25. Personale addetto alla guardia dei fiumi,
dei canali e delle opere idrauliche.
26. Personale addetto alle pompe di eduzione
delle acque se azionate da motori elettrici.
27. Personale addetto all'esercizio ed alla sorveglianza dei forni a fuoco continuo nell'industria della calce e cemento, a meno che, a giudizio dell'Ispettorato del lavoro, nella particolarità del caso, concorrano speciali circostanze
a rendere gravoso il lavoro. Fuochisti adibiti
esclusivamente alla condotta del fuoco nelle
fornaci di laterizi, di materiali refrattari, ceramiche e vetrerie.
28. Personale addetto nelle officine elettriche
alla sorveglianza delle macchine, ai quadri di
trasformazione e di distribuzione, e alla guardia e manutenzione delle linee e degli impianti
idraulici, a meno che, a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro, la sorveglianza,
nella particolarità del caso, non assuma i caratteri di cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955.
29. Personale addetti alla sorveglianza ed all'esercizio:
a) degli apparecchi di concentrazione a vuoto;
b) degli apparecchi di filtrazione;
c) degli apparecchi di distillazione;
d) dei forni di ossidazione, riduzione e calcinazione nelle industrie chimiche, a meno che si
tratti di lavori che, a giudizio dell'Ispettorato
dell'industria e del lavoro, non rivestano i caratteri di cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955;
e) degli impianti di acido solforico e acido nitrico;
f) degli apparcchi per l'elettrolisi dell'acqua;
g) degli apparecchi per la compressione e liquefazione dei gas.
30. Personale addetto alle gru.
31. Capistazione di fabbrica e personale dell'ufficio ricevimento bietole nella industria degli
zuccheri.
32. Personale addetto alla manutenzione stradale.
33. Personale addetto esclusivamente nell'industria del candeggio e della tintoria, alla vigilanza degli autoclavi ed apparecchi per la bollitura e la lisciviatura ed alla produzione con
apparecchi automatici del cloro elettrolitico.
34. Personale addetto all'industria della pesca.
35. Impiegati di albergo le cui mansioni implichino rapporti con la clientela e purchè abbiano carattere discontinuo (così detti impiegati
di bureau come i capi e sottocapi addetti al
ricevimento, cassieri, segretari con esclusione
di quelli che non abbiano rapporti con i passeggeri), a meno che nella particolarità del
caso, a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e
del lavoro, manchino gli estremi di cui all'art. 6
del regolamento 10 settembre 1923, n. 1955
(presiazioni discontinue o di semplice attesa o
cusiodia).
36. Operai addetti alle pompe stradali per la
distribuzione della benzina, comunemente
detti pompisti. a meno che nella particolarità
del caso, a giudizio dell'Ispettorato dell'industria e del lavoro manchino gli estremi di cui
all'art. 6 del regolamento 10 settembre 1923, n.
1955 (prestazioni discontinue o di semplice
attesa o custodia) (2), (8).
37. Operai addetti al funzionamento e alla
sorveglianza dei telai per la segatura del marmo, a meno che nella particolarita` del caso a
giudizio dell'Ispettorato corporativo manchino
gli estremi di cui all'art. 6 del regolamento 10
settembre 1923, n. 1955 (4), (9).
38. Interpreti alle dipendenze di alberghi o di
agenzie di viaggio e turismo, esclusi coloro che
hanno anche incarichi od occupazioni di altra
natura e coloro le cui prestazioni, a giudizio
dell'Ispettorato corporativo, non presentano
nella particolarita` del caso i caratteri di lavoro
discontinuo o di semplice attesa.
39. Operai addetti alle presse per il rapido
raffreddamento del sapone, ove dall'Ispettorato corporativo sia nei singoli casi, riconosciuto
il carattere discontinuo del lavoro.
40. Personale addetto al governo, alla cura ed
all'addestramento dei cavalli nelle aziende di
allevamento e di allenamento dei cavalli da
corsa.
41. Personale addetto esclusivamente al governo e alla custodia degli animali utilizzati per
prodotti medicinali o per esperienze scientifiche nelle aziende o istituti che fabbricano sieri.
42. Personale addetto ai corriponti, a meno che
nella particolarità del caso, a giudizio dell'Ispettorato del lavoro, manchino gli estremi di
cui all'art. 6 del regolamento 10 settembre
1923, n. 1955 (prestazioni discontinue o di
semplice attesa o custodia).
43. Artisti dipendenti da imprese teatrali, cinematografiche e televisive; operai addetti agli
spettacoli teatrali, cinematografici e televisivi;
cineoperatori, cameramen recording o teleoperatori da ripresa, fotografi e intervistatori occupati in imprese dello spettacolo in genere ed in
campo documentario, anche per fini didattici.
44. Operai addetti esclusivamente alla sorveglianza dei generatori di vapore con superficie
non superiore a 50 mq. quando, nella particolarità del caso, detto lavoro abbia carattere di
discontinuità, accertato dall'Ispettorato del
lavoro.
45. Operai addetti presso gli aeroporti alle
pompe per il riempimento delle autocisterne e
al rifornimento di carburanti e lubrificanti agli
aerei da trasporto, eccettuati i singoli casi nei
quali l'Ispettorato del lavoro accerti l'inesistenza del carattere della discontinuità.
46. Operai addobbatori o apparatori per cerimonie civili o religiose ove dall'Ispettorato del
lavoro sia, nei singoli casi, riconosciuto il carattere discontinuo del lavoro.
Pagina 5
Anno 1 Numero 6/2004
Legge Biagi .
In vigore il decreto correttivo.
Dal 26 ottobre 2004 sono in
vigore le modifiche apportate dal
Decreto Legislativo 6 ottobre 2004, n. 251 al Decreto legislativo
10 settembre 2003, n. 276 (Legge
Biagi)
Nella tabella si fornisce un sunto
delle principali novità introdotte
D. Lgs
276/2003
(Legge Biagi)
Novità in materia di regimi sanzionatori - apprendistato contratti di inserimento - certificazione di contratti di lavoro collaborazioni coordinate e continuative e lavoro a progetto lavoro intermittente - lavoro accessorio - rapporti di lavoro
nel settore edile
dall’intervento del legislatore delegato:
Modifica
D. Lgs. 251/2004
(correttivo)
Contenuti
Art. 4
Vengono inasprite le sanzioni previste in caso di esercizio non autorizzato di attività di
somministrazione, in particolare se vi è sfruttamento di minori la pena è dell’arresto fino a 18 messi e l’ammenda aumentata fino al sestuplo.
Incrementata l’ammenda nei confronti dell’utilizzatore che ricorre alla somministrazione da parte di soggetti non autorizzati o al di fuori dei limiti previsti:
euro 50 per lavoratore occupato e per giornate di lavoro.
Art. 5
La violazione degli obblighi formali comporta in capo al somministratore una sanzione amministrativa da euro 250 a 1.250.
Il contratto di somministrazione si considera nullo e il lavoratore alle dipendenza dell’utilizzatore nel caso in cui manchi la forma scritta.
Art. 29
Appalto
Art. 6
Estensione dell’obbligo di solidarietà tra committente imprenditore (salvo il caso
che il committente sia una persona fisica che non eserciti attività d’impresa o professionale) e appaltatore non solo per l’esecuzione di contratti di appalto di servizi
ma anche di opere.
Nel caso di appalto non lecito, il lavoratore può chiedere al giudice la costituzione
di un rapporto di lavoro alle dipendenze di chi ne ha utilizzato la prestazione.
Art. 30
Distacco
Art. 7
Nel caso di distacco privo dei requisiti dell’interesse in capo al datore di lavoro
distaccante e della temporaneità, il lavoratore distaccato può chiedere al giudice
la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze del soggetto che ne ha utilizzato la prestazione.
Art. 34
Lavoro intermittente
Art. 10
Estensione delle ipotesi ammesse al ricorso al lavora a chiamata alle prestazioni da
rendersi per periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno
così come definiti dall’art. 37, D. Lgs 276/2003 (fine settimana, ferie estive e vacanze natalizie e pasquali)
Art. 18
Sanzioni
Art. 21
Forma e contenuto del contratto di somministrazione
Art. 53
Apprendistato
Art. 85
Disposizioni
abrogate con
riferimento all’apprendistato
Art. 11
Art. 19
Nel caso di mancata erogazione della formazione prevista, imputabile al datore
di lavoro, e che sia tale da impedire la realizzazione della finalità del contratto, il datore di lavoro dovrà versare la differenza tra la contribuzione versata e quella
dovuta con riferimento al livello di inquadramento che sarebbe stato raggiunto al termine del periodo di apprendistato, maggiorata del 100%.
Abrogazione del divieto di adibire l’apprendista a lavori di manovalanza e di
produzione in serie.
(Continua a pagina 6)
Sul Portale web della Provincia di Verona
http:\\www.provincia.vr.it
è disponibile la seguente pubblicazione
OSSERVATORIO SUL MERCATO DEL LAVORO
DELLA PROVINCIA DI VERONA
RAPPORTO 2004
SERVIZI PER L’IMPIEGO - GIUGNO 2004 - N. 3
Il percorso:
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Osservatorio sul Mercato del Lavoro
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Anno 1 Numero 6/2004
(Continua da pagina 5)
D. Lgs
276/2003
(Legge Biagi)
Modifica
D. Lgs. 251/2004
(correttivo)
Contenuti
Art. 13
Art. 14
Gli incentivi contributivi, in attesa della riforma del sistema degli incentivi all’occupazione , rimangono quelli previsti per i Cfl nel rispetto però dei criteri dettati dal Regolamento Ce 2204/2002.
Regime transitorio:
Per i Cfl i cui progetti siano stati approvati e autorizzati al 23 ottobre 2003,
è stata data la possibilità di assunzione con Cfl fino al 31 ottobre 2004, nel limite
massimo di 16.000 unità.
Le domande per l’ottenimento dei benefici contributi devono essere state inviate all’Inps (www.inps.it) nel rispetto dei seguenti termini:
• Assunzioni avvenute nel periodo 24 ottobre 2003 – 26 ottobre 2004 entro il
24 novembre 2004;
• Assunzioni avvenute nel periodo 26 ottobre – 31 ottobre 2004 entro il 30 novembre 2004.
L’Inps valuterà le richieste pervenute in base all’ordine cronologico di stipula
dei contratti di formazione assegnando la priorità a quelli stipulati nell’ambito
di contratti d’area o patti territoriali.
Art. 20
Le collaborazioni coordinate e continuative non ricondotte a un progetto o a una fase
di esso hanno perduto la loro efficacia alla data del 24 ottobre 2004.
Termini diversi, in ogni caso non superiori al 24 ottobre 2005, possono essere ritenuti legittimi se definiti nell’ambito di accordi sindacali aziendali di transizione,
stipulati con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi.
Art. 70
Art. 72
Lavoro
accessorio
Art.16
Art.17
Il contratto di lavoro accessorio ha luogo quando particolari categorie di lavoratori:
a) disoccupati da oltre un anno
b) casalinghe, studenti e pensionati
c) disabili e soggetti in comunità di recupero
d) lavoratori extracomunitari, nei sei mesi successivi alla perdita del lavoro
rendono prestazioni meramente occasionali nell’ambito di:
a) piccoli lavori domestici, compresa l’assistenza domiciliare a bambini e anziani
b) insegnamento privato supplementare
c) piccoli lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici e monumenti
d) realizzazione di manifestazioni sociali, sportive, culturali o caritatevoli
e) collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontariato per lavori resi in
situazioni di emergenza imputabili a calamità o eventi naturali, o di solidarietà
anche a favore di più beneficiari per una durata complessiva non superiore a 30
giorni nel corso dell’anno solare e che, in ogni caso, non danno complessivamente luogo a compensi superiori a 5 mila euro.
I beneficiari delle prestazioni di lavoro accessorio acquisteranno, presso le rivenditorie autorizzate, i buoni, da consegnare al lavoratore, il cui importo sarà fissato da apposito decreto ministeriale.
Art. 75
Certificazione
dei contratti di
lavoro
Art. 18
Anziché ai soli contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale, a
progetto, di associazione in partecipazione e di appalto, l’istituto della certificazione può essere applicato a tutte le tipologie del contratto di lavoro.
Art. 20
Nel caso di instaurazione di rapporti di lavoro nel settore edile, il datore di lavoro deve comunicare al Centro per l’ Impiego l’assunzione del lavoratore, il giorno
antecedente la data di instaurazione del rapporto stesso.
Tale obbligo sarà operativo dal momento in cui verrà adottato il modello unificato
per le comunicazioni obbligatorie dei datori di lavoro, previsto dall’ art. 6,
comma 1 del decreto legislativo 297/2002 .
Art. 59
Contratti di inserimento
Art. 86
Norme transitorie e finali in
riferimento alle
collaborazioni
coordinate e
continuative
Art. 86
Norme transitorie e finali con
riferimento al
lavoro in edilizia
Servizio di teleinformazione su:
(solo telefonia fissa)
dal LUNEDÌ al VENERDÌ
10.00 / 13.00 e 15.00 / 17.00.
Ammortizzatori sociali
Formazione
Gli strumenti e le opportunità di lavoro
Impresa
Interventi comunitari
Istituti contrattuali
Istruzione
Novità legislative sul mercato del lavoro
Politiche Sociali
Servizi per l'Impiego
Tutela delle condizioni di lavoro
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Anno 1 Numero 6/2004
Focus sulla Giurisprudenza del Lavoro
Rigorosa pronuncia della Corte di Cassazione in materia di obblighi del datore di
lavoro all’atto dell’assunzione
La consegna al lavoratore, avvenuta
un’ora e mezzo dopo l’assunzione,
della “lettera di assunzione” contenente i
dati della registrazione effettuata nel libro matricola, prevista dall’ art. 4 bis,
comma 2, del D. Lgs 181/2000 così come
modificato dall’ art. 6, comma 1 del D.
Lgs 297/2002, costituisce illecito amministrativo punito con la sanzione da 250
a 1.500 euro.
Questo il principio affermato dalla Corte
di Cassazione con sentenza n. 18714 del
16 settembre 2004.
Il tenore letterale della norma esaminata,
che parla di consegna all’atto dell’as-
sunzione, viene inteso dai giudici della
Suprema Corte, quale adempimento da
effettuarsi non in epoca successiva
alla costituzione del rapporto di lavoro, in considerazione della ragione
fondamentale del precetto che consiste
nel garantire un’adeguata e tempestiva
informazione al prestatore di lavoro, al
momento stesso dell’assunzione.
La Corte provvede inoltre, nell’estensione della sentenza, a sottolineare che l’illecito amministrativo si configura
anche in presenza di comportamento
colposo e non solo doloso da parte dell’agente.
La Provincia di Verona, in collaborazione con Il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – Italia
Lavoro S.p.a., sta realizzando sul territorio provinciale un progetto denominato “SPINN – i Servizi
incontrano le imprese” allo scopo di promuovere il catalogo dei prodotti e delle prestazioni fornite dai Servizi per l’Impiego nonché altre iniziative di politica attiva per il lavoro erogate direttamente dal Ministero del Lavoro attraverso l’agenzia tecnica Italia Lavoro.
La provincia di Verona è stata individuata dal Ministero del Lavoro quale partner ideale per la realizzazione dell’attività, insieme alle province di Bergamo, Forlì/Cesena, Macerata, Pistoia e Torino,
in considerazione delle esperienze, nella costruzione e consolidamento di un proficuo rapporto di collaborazione con il mondo delle imprese e nella promozione dei servizi per il lavoro, maturate soprattutto in quest’ ultimo periodo.
SERVIZI PER
L’IMPIEGO
Provincia di Verona
NOTIZIARIO
Provincia di Verona
Settore Politiche Attive per il Lavoro
Ufficio di progetto per il Marketing
Via delle Franceschine, 10
37122 Verona
Tel 0458088469 Fax 0458088458
Redazione a cura di
Lanza Alberto, Bisighin Giampaolo, Scupola Carlo
Laudanna Dario
Realizzazione grafica a cura di
Laudanna Dario
Stampa
Provincia di Verona Settore Politiche Attive per il lavoro
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Anno 1 Numero 6/2004
SERVIZI PER
L’IMPIEGO
Provincia di Verona
Cos’è l’UFFICIO DI PROGETTO PER IL MARKETING
La Provincia di Verona, Settore Politiche Attive per il Lavoro, ha costituito nell’anno 2003 un
”UFFICIO DI PROGETTO PER IL MARKETING” con lo scopo di promuovere le attività e i servizi per il
lavoro forniti dalla Provincia, attraverso i Centri per l’Impiego.
La costruzione e lo sviluppo di un rapporto di proficua e costante collaborazione con il mondo
delle imprese è l’obiettivo perseguito dall’attività di marketing, nella convinzione e consapevolezza che un aumento delle opportunità occupazionali e la configurazione di un mercato del lavoro
dinamico e coerente con gli indirizzi di politica per il lavoro comunitari e nazionali perseguiti, non
possono prescindere da una presenza qualificata e diffusa del Servizio pubblico per l’impiego.
L’Ufficio di Progetto per il Marketing ha contattato, nel corso dell’anno corrente, 220 aziende,
concordato 69 Piani di Azione Aziendale e rilevato, attraverso la somministrazione di un customer satisfaction, un grado di soddisfazione, per le attività svolte a favore delle imprese, superiore
al 90%.
Il risultato ci conforta e ci stimola nella prosecuzione e rafforzamento delle azioni intraprese e finalizzate, tramite una sempre più ampia ed estesa comunicazione dei servizi di politica per il lavoro sviluppati a favore dei lavoratori e dei datori di lavoro, ad aumentare l’occupabilità delle persone e a sostenere i bisogni degli imprenditori.
Provincia di Verona
Settore Politiche Attive per il Lavoro
Ufficio di Progetto per il Marketing
Via delle Franceschine, 10
37122 Verona VR
Per informazioni compilare il coupon ed inviare a
Ragione Sociale
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Comune
Attività economica
Referente e ruolo ricoperto
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In qualità di Azienda non cliente
Richiedo un contatto da parte dell’Ufficio di Progetto per il Marketing
Richiedo i recapiti per richiesta informazioni su PAA e Servizio
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Ai sensi del Decreto Legislativo 30 giugno 2003 n. 196 autorizzo
il trattamento dei dati personali forniti
all’Ufficio di Progetto per il Marketing - Settore Politiche Attive
per il Lavoro - della Provincia di Verona.
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I casi di buon governo dei rapporti tra Pubblica Amministrazione