CAPITOLO II
I BENI SUSCETTIBILI DI SEQUESTRO
GIUDIZIARIO
Sommario: 1. Premessa. 2. I beni incorporei. 3. I beni fungibili. 4. I crediti ed
i titoli rappresentativi del credito. 5. I titoli di credito, i titoli messi nel c.d.
sistema di deposito accentrato ed i titoli “decartolarizzati”. 6. Le azioni di
società. 7. Le quote di società a responsabilità limitata. 8. Le quote di
società personali e l’esecuzione su beni sociali. 9. I beni delle associazioni
non riconosciute. 10. Le aziende. 11. Gli immobili e le universalità di beni.
12. I provvedimenti di sequestro del giudice civile concernenti la pubblica
amministrazione. Il mutato ambito della giurisdizione esclusiva. 13. Segue. I
beni pubblici. 14. Segue. I beni oggetto di provvedimenti ablatori della
pubblica amministrazione. 15. Le aziende esercitate in base a
provvedimento amministrativo.
1. Premessa.
L’art. 670 c.p.c. individua in senso ampio e sembrerebbe
omnicomprensivo i beni che possono essere - nel concorso
naturalmente di tutti gli altri presupposti necessari alla concessione
del provvedimento cautelare - oggetto della misura cautelare; il
riferimento della disposizione legislativa è infatti genericamente “..a
beni mobili e immobili, aziende o altre universalità di beni…..”. La
compatibilità del sequestro giudiziario su determinate categorie di
beni è però oggetto di discussione in dottrina e giurisprudenza, ed è
necessario trattare analiticamente delle incertezze che su questi temi
oggi si presentano, e che attengono a profili diversi, vertendo sulle
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caratteristiche strutturali (beni immateriali, beni fungibili), ma anche
sul regime di circolazione giuridica (titoli di credito, beni pubblici), o
sulla possibilità di essere soggetto a custodia (aziende esercitate in
base a provvedimento autorizzativo della P.A.) del bene, e spesso, è
naturale, su più profili contemporaneamente.
Da qui l’esigenza di dedicare una riflessione analitica alle diverse
questioni in oggetto, poiché è da ritenersi un vero e proprio
presupposto del sequestro giudiziario anche l’ammissibilità giuridica della
pretesa alla consegna del bene.
2. I beni incorporei.
È controversa l’ammissibilità del sequestro giudiziario quando
esso sia chiesto su beni immateriali, o per essere più precisi,
incorporei perché non suscettibili di apprensione materiale, da
ultimo così efficacemente schematizzati: “L’espressione abbraccia
beni aventi tra loro una diversa oggettività giuridica: beni
genericamente incorporei o dematerializzati (ad es. le quote di s.r.l.,
le azioni di s.p.a.); beni che sono sì materiali, ma non hanno forma
corporale sensibile (ad es. le energie); beni immateriali in senso
stretto (ad es. le creazioni intellettuali)” 1.
Sotto un profilo teorico, la questione in oggetto manifesta di
certo un indubbio fascino, se la riflessione non si limita all’esame del
pur interessante piano esegetico, dal quale tuttavia è utile prendere le
mosse.
Chi ritiene inammissibile il sequestro su beni incorporei 2 fonda
esegeticamente la propria convinzione sull’art. 677 c.p.c., laddove
recita: “Il sequestro giudiziario si esegue a norma degli articoli 605 e
seguenti, in quanto applicabili, omessa la comunicazione del
precetto…”. Se ne deduce, dunque, che i beni sequestrabili
sarebbero solo quei beni che potrebbero essere assoggettati
CAPONI, op. ult. cit., 98.
ANDRIOLI, op. cit., 149; C. FERRI, op. loc. ult. cit., 468; LUISO, op. cit., IV, 196. In
giurisprudenza, il problema dell’ammissibilità del sequestro giudiziario su beni
immateriali si è manifestato naturalmente non in astratto ma su una serie di fattispecie
concrete, ed in particolare sulla tutela dei diritti di credito e sulle quote di società di
persone ed a responsabilità limitata. Se ne darà conto, pertanto, analiticamente nei
prossimi paragrafi. V. comunque ad es. Cass. pen., 21 aprile 1997, in Cass. pen. 1999,
635, con nota di LATTANZI, Brevi considerazioni sulla sequestrabilità dei beni immateriali.
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all’esecuzione forzata per consegna o rilascio, beni cioè
“determinati, infungibili e corporei” 3 4.
Ma la lettura della disposizione ora proposta, a nostro avviso,
non convince. Il punto di partenza di una riflessione esegetica va
ricondotto non all’art. 677 c.p.c., che si occupa dell’attuazione della
misura, ma in primis all’art. 670 c.p.c., disposizione che
espressamente definisce il possibile oggetto del sequestro
giudiziario. Questa norma espressamente richiama “l’azienda”, che
non sembra di per sé inquadrabile facilmente tra i beni materiali, e
che comunque può certo essere composta anche da beni
immateriali; più ancora, l’art. 670 c.p.c. fa riferimento a “beni” e non
a “cose” (come ad esempio invece l’art. 810 c.p.c.) utilizzando così
un termine che ricomprende tanto i beni materiali che i beni
immateriali. L’art. 677 c.p.c. va inquadrato per quello che è, solo
come una norma che deve delineare come eseguire un sequestro su
un oggetto che però già l’art. 670 aveva il compito di definire, come
in effetti ha definito; risulta già a tutta prima, dunque, come l’art.
677 c.p.c. possa incidere solo sul modo di eseguire il sequestro, non
anche sulla sua ammissibilità. Della stessa disposizione di cui all’art.
677, peraltro, è poi più logico dare una diversa lettura, se solo si
pone l’attenzione come quest’articolo richiama gli articoli
sull’esecuzione per consegna o rilascio soltanto “in quanto
applicabili…”, non escludendo pertanto affatto la possibilità, o
meglio l’onere, di individuare le più confacenti forme per
l’attuazione del sequestro giudiziario non suscettibile di esecuzione
nelle forme di cui agli art. 605 ss. c.p.c.
Queste considerazioni sono vieppiù confermate dalla riforma dei
procedimenti cautelari introdotta nel 1990 con le disposizioni di cui
agli art. 669 bis-quaterdecies c.p.c., che, ai sensi dell’espresso disposto
dell’art. 669 quaterdecies, sono applicabili anche alle sezioni sui
sequestri (senza previe valutazioni di compatibilità, come invece è
previsto per altre misure cautelari); e, segnatamente, dall’art. 669
duodecies c.p.c., che disciplina i poteri del giudice della cautela in
merito all’attuazione della misura attribuendo al giudice una ampia
discrezionalità nell’adattare l’attuazione al provvedimento ed al bene
CAPONI, op. ult. cit., 103.
Così G: VERDE-CAPPONI, Profili del processo civile, III, Napoli 1998, 362,
escludono che il sequestro giudiziario possa essere attuato sulle energie, in quanto
insuscettibili di detenzione.
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oggetto del provvedimento, e che deve essere intesa come norma
generale e di chiusura anche per l’attuazione dei sequestri, per tutti
gli aspetti non espressamente disciplinati dalle norme di cui agli art.
677 ss. c.p.c. 5 .
In conclusione, sotto un profilo esegetico non vi sono ragioni
che permettano di restringere la misura del sequestro giudiziario
escludendone la concessione su beni immateriali; argomentazione di
per sé probabilmente sufficiente a chiudere il discorso. Va
sottolineato, certo, che l’esclusione del ricorso al sequestro
giudiziario non comporterebbe altresì l’esclusione di una tutela
cautelare, potendo comunque ricorrersi alla misura residuale di cui
all’art. 700 c.p.c.; ma, a ben riflettere, anche questa possibilità
alternativa non condurrebbe comunque alla medesima situazione
per la tutela dei beni incorporei. Possiamo infatti fondatamente
sostenere l’identità delle soluzioni solo sotto il profilo
dell’attuazione, perché con una lettura ampia della norma di cui
all’art. 677 c.p.c. e dell’inciso “…in quanto applicabili…” in buona
sostanza otterremmo per l’esecuzione del sequestro giudiziario sui
beni immateriali la stessa libertà per il giudice della cautela che l’art.
669 duodecies c.p.c. riserva ai provvedimenti d’urgenza 6; ma
rimarrebbe una differenza essenziale tra la tutela dei beni incorporei
con la misura del sequestro giudiziario piuttosto che del
provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c. nei presupposti per la
concessione, nel senso che per la concessione del sequestro
giudiziario è richiesta una forma di periculum assai leggero, mentre al
contrario per la concessione del provvedimento d’urgenza si
richiede la presenza di un “imminente ed irreparabile pregiudizio” 7.
Da quanto esposto, si deduce l’inopportunità di accogliere una
proposta ricostruttiva, d’altronde poco sostenibile già su un piano
meramente esegetico, che conseguirebbe il solo risultato di rendere
5 Per una riflessione sui rapporti tra l’art. 669 duodecies e l’attuazione dei sequestri,
v. più avanti al par. 3 del Cap VIII.
6 Non si condivide, pertanto, la tesi di MONTESANO, Attuazione delle cautele e diritti
cautelabili nella riforma del processo civile, in Riv. dir. proc. 1991, 939 ss.; MONTESANOARIETA, Diritto processuale civile, III, Torino 1999, 287 che ritiene doversi restringere
l’area del sequestro giudiziario a favore dei provvedimenti d’urgenza per la più duttile
discrezionalità giudiziaria proprio nella fase di attuazione coattiva.
7 Anche CAPONI, op. ult. cit., 113 nota questa disparità di trattamento, pur
ritenendo tuttavia di mantenere ferma la sua opinione, contraria all’ammissibilità del
sequestro giudiziario per i beni incorporei.
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più difficile la tutela cautelare dei beni incorporei, in dissonanza con
il principio di eguaglianza, per la non giustificata disparità di
trattamento di tutela tra beni corporei e beni incorporei.
Un argomento di estremo interesse a favore della lettura
restrittiva dell’oggetto del sequestro giudiziario è però offerto da chi
prende le mosse da una rimeditazione del concetto di proprietà da
parte della dottrina civilistica, ritenuto solo una tra le possibili
tecniche in forza delle quali i privati si appropriano in forma
esclusiva dei beni, e che non sarebbe applicabile ai beni incorporei
(“se non per via di traslati ed indebite generalizzazioni” 8) ma
esclusivamente alle cose materiali, per dedurre l’inammissibilità della
misura del sequestro giudiziario per i beni immateriali 9. In buona
sostanza, a noi sembra che in questo modo la tesi che nega
l’applicabilità della misura del sequestro giudiziario alla tutela dei
beni incorporali si fonderebbe proprio sull’art. 670 c.p.c.,
mettendosi in discussione nel caso in specie l’esistenza di un altro
presupposto, l’esistenza di una controversia sulla proprietà o sul
possesso di un bene, dato che in questo caso le controversie non
sarebbero rivolte alla proprietà o al possesso, concetti che non
sarebbero applicabili ai beni immateriali. Ora, neanche questa
versione della tesi ci sembra potersi accogliere, ed in prima battuta
va già ricordato come la pur interessante prospettazione sulla
definizione del concetto di proprietà nei termini generali suesposti
non può certo dirsi unanimemente accolta 10, cosicché viene a
mancare in radice l’appiglio per estendere questo concetto alla
fattispecie di cui all’art. 670 c.p.c. In tutta onestà, sosterremmo
probabilmente l’opinione da noi espressa anche se effettivamente la
lettura civilistica in senso restrittivo del concetto di possesso e
proprietà fosse maggioritaria, perché tenderemmo comunque a
PUGLIATTI, La proprietà nel nuovo diritto, Milano 1964, 250; GIORGIANNI, voce
Diritti reali, in Noviss. Dig. It., V, Torino 1960, 748 ss.; SCOZZAFAVA, I beni e le forme
giuridiche di appartenenza, Milano 1983.
9 CAPONI, op. ult. cit., 105 ss.
10 Il problema dovrebbe essere affrontato analiticamente, distinguendo all’interno
della generale categoria dei beni immateriali le diverse ipotesi, e cioè quelle relative ai
beni genericamente incorporei o dematerializzati (quali azioni o quote sociali) dai beni
immateriali quali le creazioni intellettuali (queste probabilmente non inquadrabili nella
categoria della proprietà, ma per le quali peraltro soccorre l’espressa previsione della
sequestrabilità dei brevetti e dei marchi) alle energie.
Per una panoramica su tali profili cfr. GAMBARO, La proprietà. Beni, proprietà,
comunione, Giuffrè 1990, 28 ss.
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prediligere una scelta ermeneutica che eviti la penalizzazione della
tutela cautelare concessa ai beni incorporei rispetto ai beni materiali;
e propenderemmo, allora, per un più ampio concetto di “proprietà”
quando il termine sia utilizzato dall’art. 670 c.p.c., come indice
comunque semplicemente di un giudizio sull’appartenenza su un
bene, con una libertà esegetica del resto che la giurisprudenza ha già
dimostrato proprio sul punto laddove, nonostante il disposto
legislativo, ha interpretato la disposizione ammettendo anche la
tutela degli iura ad rem, e non soltanto degli iura in re, applicando la
fattispecie anche alle ipotesi di detenzione ed accogliendo
comunque una lettura quasi agiuridica dei termini “proprietà” e
“possesso” 11. Beninteso, la nostra opinione sulla tutela cautelare (e
in generale giudiziale) sui beni materiali e immateriali non pretende
di operare un equiparazione sulle discipline esecutive grazie alle
quali fornire la tutela richiesta, e del resto nell’un caso si
applicheranno le forme di cui all’art. 605 c.p.c. e nell’altro invece no,
ed è indubbiamente vero che spesso i “nuovi” diritti immateriali
sono meglio garantiti da “nuove” tutele cautelari speciali 12; e
tuttavia, ogni volta in cui ciò non accade, non v’è ragione per
consentire una lettura della norma a priori penalizzante per i beni
immateriali, concessi solo nelle ipotesi del periculum “estremo” del
700 e non anche del periculum “leggero” tutelato dalla misura del
sequestro giudiziario.
In argomento, non varrebbe neppure sottolineare come in questa
fase di ulteriore evoluzione del diritto si tende a prediligere per il
bene immateriale (la cui proprietà non sia soggetta a registrazione)
una tutela esclusivamente risarcitoria, più conveniente per ragioni
economiche rispetto a misure ripristinatorie; la questione, a nostro
avviso, ammesso e non concesso naturalmente che si voglia
accettare l’esattezza della anzidetta ricostruzione giuridicoeconomica come quadro di riferimento per la problematica in
esame, non può porsi nei termini ora evidenziati se si pone mente
che la posizione del terzo acquirente di buona fede è comunque
salvaguardata dalla disciplina del sequestro giudiziario 13, e
francamente apparrebbe eccessivo escludere un provvedimento
V. retro al par. 3 del Capitolo precedente.
V. così CAPONI, op. ult. cit., 237 ss.
13 V. più avanti al par. 1 del Cap. XIV.
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cautelare di tutela per il titolare del diritto per tutelare un terzo in
mala fede.
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Alla luce di quanto asserito, riteniamo ammissibile che si possa
procedere a sequestro giudiziario su beni immateriali; tuttavia, ma
allo stesso modo che per i beni materiali, per l’ammissibilità del
sequestro sul bene dovranno concorrere altre qualità, quale ad
esempio la determinatezza.
3. I beni fungibili.
Va riservata una riflessione autonoma quanto all’ammissibilità
della figura del sequestro giudiziario per quei beni materiali che sono
determinati solo nella qualità e nel genere, ritenuti non tutelabili con
la misura in questione dalla dottrina e dalla giurisprudenza
prevalente 14; una posizione che, tuttavia, va debitamente precisata.
Non può accogliersi tout court una tesi che fonda l’inammissibilità
della misura sull’inutilità di prevedere una custodia temporanea su
beni fungibili; la potenziale utilità di questa si potrebbe rinvenire,
invero, anche per le stesse somme di danaro (bene fungibile per
eccellenza), di cui si contesti la forma di investimento.
Appare invece centrata una opinione che si fondi
sull’impossibilità di individuare una controversia sulla proprietà o sul
possesso e di eseguire su un bene determinato, nelle ipotesi in cui
manca un bene (materiale o no) individuato su cui appunto
controvertere. Tale tesi, tuttavia, vale appunto se però riferita
esclusivamente ai beni fungibili ed indeterminati; se, per esempio, io ho
concluso un contratto per l’acquisto di 1000 bottiglie di acqua
minerale di una determinata marca nei confronti di un grossista, non
potrò agire per ottenere la statuizione sulla proprietà di 1000
bottiglie individualmente determinate, ma sul diritto a ottenere 1000
bottiglie di acqua minerale di quella marca. Una simile
considerazione, invece, non si può applicare de plano anche alle
ipotesi in cui il bene sia sì fungibile, ma determinato; in questi casi,
CAPONI, op. ult. cit., 103; C. FERRI, op. cit., 468; Trib. Milano, 28 marzo 1994, in
Giur. it. 1994, I, 2, 625; così anche Trib. Nocera Inferiore, 17 ottobre 1995, in Arch.
Civ. 1996, 622.
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infatti, a nostro avviso non c’è ragione di negare la tutela del
sequestro giudiziario all’attore che ad esempio contesti la proprietà
proprio di quelle 1000 bottiglie di acqua minerale (di una
determinata marca) che sono contenute nel tal magazzino (o che in
quel magazzino sono state separate dalle altre) e che egli afferma
essere state da lui comprate.
Quello che va precisata è, semmai, la necessaria correlazione tra il
provvedimento cautelare e l’azione di merito, che in buona sostanza
spiega il motivo del dissenso tradizionale sulla concedibilità, dato dal
fatto che sulle cose fungibili si eseguirebbe con la misura del
sequestro conservativo. In effetti, laddove, ad esempio, la domanda
sia diretta ad ottenere il risarcimento del danno, o la restituzione di
una somma data a mutuo, quel diritto di credito va tutelato con le
forme del sequestro conservativo, perché non esiste una
controversia sulla proprietà o sul possesso di somme di danaro
specificamente individuate; se anche fosse possibile individuare nel
caso in specie una quantità di denaro determinata e specifica (ad es.
€ 10.000 contenuti in una cassaforte) di proprietà del soggetto nei
cui confronti si chiede il risarcimento, la richiesta nel merito non si
riferirebbe comunque a quella somma individuata, ma pur sempre a
una somma di denaro individuata solo nel genere ( e quei 10 milioni
ben potranno essere “bloccati” con la misura del sequestro
conservativo). Una soluzione diversa dovrà però essere accolta nei
(rari) casi in cui la somma richiesta (con l’azione di merito) sia non
genericamente una certa quantità di beni fungibili ma espressamente
proprio un bene fungibile specificamente individuato; così,
riterremmo, ad esempio, per una somma in contanti versata a titolo
di caparra e depositata in busta in una cassaforte; allorquando
l’attore richieda nel giudizio di merito la consegna proprio della
somma contenuta in quella busta ed in quel luogo specifico. In
questo caso la richiesta (non solo della misura cautelare ma anche
dell’azione di merito) sarebbe rivolta esclusivamente ad un bene
fungibile ma determinato, ed a nostro giudizio il sequestro
giudiziario dovrebbe essere concesso. Quei beni hanno certo una
loro determinatezza ed individualità, sicché è ben possibile che essi
siano oggetto di una specifica richiesta di (condanna alla) consegna
nel processo di merito, e che poi già in sede cautelare si proceda alla
loro individuazione ed esecuzione.
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4. I crediti ed i titoli rappresentativi del credito
Parte della dottrina e della giurisprudenza sostengono che i
crediti possano essere sequestrati, sul riflesso che la norma non può
essere limitata, per l’ampiezza della sua dizione, alla tutela delle cose
materiali, perché (ai sensi dell’art. 813 c.c.) le disposizioni
concernenti i beni mobili si devono applicare anche a tutti gli altri
beni, compresi gli immateriali; e tra questi vanno annoverati i crediti
in quanto entità patrimoniali attive suscettibili di commercio
giuridico 15.
L’orientamento di gran lunga prevalente è contrario, invece,
all’ammissibilità del sequestro 16.
15 CARNELUTTI, Sequestro giudiziario di un credito?, in Riv. dir. proc. 1960, 526,
secondo cui le misure cautelari non sono eccezionali e le relative disposizioni sono
perciò applicabili in via analogica: tra la controversia sulla proprietà di una cosa e la
controversia sulla titolarità del credito ricorrerebbe appunto un rapporto di analogia
legis e consequenzialmente l’art. 670 n. 1 sarebbe applicabile; né potrebbe condividersi
la tesi per cui il sequestro è ammesso solo a garanzia della successiva esecuzione
specifica. Una posizione per certi versi simile è in SATTA, op. ult. cit., IV, 160 ss.;
nonché, in giurisprudenza, Pret. di Roma, ord. 10 novembre 1975, in Foro it. 1976, I,
1746; Pret. di Roma, ord. 10 gennaio 1969, in Giust. civ. 1969, I, 547 e in Banca, borsa,
tit. cred. 1969, II, 467, con nota di RUOPPOLO.
16 Così, ad es. ANDRIOLI, op. cit., 149; BONSIGNORI, Espropriazione della quota a
responsabilità limitata, Milano 1961, 105 ss.; CONIGLIO, op. cit., 36; Trib. Potenza, 2
agosto 1995, in Gius 1995, 3373: “… il creditore non ha diritto ad una determinata
somma costituita da una specifica quantità di danaro, ma, appunto, ha solo il diritto a
farsi consegnare una quantità di numerario corrispondente all’entità del credito”;
Cass., 23 novembre 1991 n. 12595, dichiara l’inammissibilità del sequestro giudiziario
concesso per un credito verso terzi avente ad oggetto la prestazione di una somma di
danaro. Nella fattispecie concreta la somma era stata sequestrata su un libretto di
deposito, ed era stato eseguito sulle somme portate nel certificato di deposito al
portatore di titoli obbligazionari. La parte assumeva che il sequestro in realtà era stato
richiesto e concesso non su una somma di danaro, ma su obbligazioni che erano
depositate in amministrazione, ai sensi dell’art. 1838 c.c., con l’obbligo della banca di
custodia e restituzione delle stesse cose ricevute, e che pertanto nel caso in specie era
invece configurabile una controversia sulla proprietà di detti titoli; la Cassazione ha
tuttavia replicato non prendendo posizione sull’ammissibilità del sequestro giudiziario
nell’ipotesi così costruita, ma negandone la veridicità nel caso di specie, e
dimostrando che la richiesta e la stessa esecuzione del sequestro giudiziario poi
revocato erano stato richieste e condotte su una parte della somma (fino al valore di
concessione del sequestro) portata in quei titoli (libretti di deposito, certificati di
deposito al portatore di titoli obbligazionari)), dunque pur sempre su una somma di
danaro.
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In questo paragrafo si affronta il problema della sequestrabilità
del credito che si riferisce alla controversia tra persone che si
contendono la titolarità dello stesso credito nei confronti del
debitore 17. Poiché il diritto di credito dà luogo ad una posizione
giuridica tutelata anche nei confronti dei terzi 18, la controversia
sull’appartenenza del credito è in qualche misura comparabile a
quella sulla proprietà di una cosa. Sennonché, ai sensi dell’art. 670 n.
1 c.p.c., occorre considerare che la misura cautelare non è concessa
a tutela di un diritto qualsiasi, bensì di quelli inerenti a beni
suscettibili di proprietà o possesso, dei quali (con l’azione di merito)
si pretenda la consegna, ed è finalizzata alla custodia o alla gestione
degli stessi. E ciò significa, per quanto concerne i diritti di credito
che la tutela è applicabile soltanto ai rapporti obbligatori il cui
oggetto - inteso nel senso innanzi precisato - sia una res determinata:
in queste ipotesi, in sostanza, la cautela concerne non la prestazione
in sé considerata, ma il bene che ne forma oggetto, consistente in
una cosa individuata.
Diversi sono i casi in cui oggetto della prestazione sia una somma
di denaro ovvero siano cose determinate soltanto nella qualità e
genere, nelle quali ipotesi in radice non si configurano i presupposti
della cautela, ove si consideri che la finalità della misura non può
essere allora quella di sottrarre alla disponibilità materiale e giuridica
delle parti la res controversa, che non è in discussione, bensì quella di
impedire al debitore l’adempimento dell’obbligazione nei confronti
di una delle parti in contesa, di corrispondere, cioè, la somma o,
comunque, di eseguire la prestazione dovuta. Conseguentemente (a
differenza di quanto disposto nell’art. 671 relativamente al sequestro
conservativo) è inammissibile il sequestro giudiziario di un credito
verso terzi, avente ad oggetto la prestazione di carattere obbligatorio
e personale di una certa quantità di danaro o di derrate fungibili non
individuate né separate, ma determinate soltanto nel genere; in
queste ipotesi, quando si voglia impedire al debitore di pagare ad
una delle parti e di pregiudicare così le eventuali ragioni degli altri
17 Già nel paragrafo precedente si sono offerti esempi che attenevano ad ipotesi
in cui la controversia ineriva alla contestazione circa l’esistenza di un debito tra i
soggetti attivo e passivo del rapporto obbligatorio.
18 Sulla tutela nei diritti di credito nei confronti dei terzi, v. CANTILLO, Le
obbligazioni, vol. I, in Giur. sistematica dir. civ. comm. fondata da Bigiavi, Torino 1993, 149
ss.
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contendenti, tale risultato può essere raggiunto mediante un
provvedimento d’urgenza compreso tra quelli innominati previsti
dall’art. 700 c.p.c., che importi il divieto giudiziale al terzo di pagare e
quindi la temporanea indisponibilità del diritto di credito 19.
Rimane, a nostro avviso, l’ammissibilità del sequestro giudiziario
se richiesto in una controversia di merito tra più parti per
l’individuazione di quella a cui favore il terzo sia legittimato alla
consegna o al pagamento se rivolta ad un bene fungibile ma
determinato, ad una somma di danaro individuata e determinata; ad
esempio, una somma determinata custodita in una busta e
depositata in una cassaforte da un notaio che si sia impegnato a
consegnarla alla parte adempiente, quando le parti controvertano su
chi sia adempiente ed abbia diritto ad ottenere il bene determinato
costituito dalla busta 20. Abbiamo, del resto, già evidenziato come la
figura del sequestro giudiziario sia ammissibile anche su beni
immateriali, quale è il diritto di credito 21, purché, si può ora
aggiungere, siano comunque individuati e determinati (e se ne chieda
la consegna con l’azione di merito); pertanto, la soluzione ora
proposta sarà allo stesso modo applicabile se la somma di danaro sia
stata depositata in banca in una cassetta di sicurezza (così
conservando la sua materialità), sia se sia stata depositata in un
apposito conto, fino a che mantiene le suddette caratteristiche. Il
problema dell’ammissibilità del sequestro giudiziario in queste
ipotesi va tuttavia attenzionato anche alla luce dei documenti che
potrebbero essere emessi come titoli rappresentativi del credito (del
deposito), che in alcuni casi devono anche rispondere alle proprie
leggi di circolazione dei titoli; di questo si darà conto nel prossimo
paragrafo, per quanto attiene ai titoli di credito. La giurisprudenza,
ad esempio, ha avuto modo di pronunciare sull’ammissibilità del
sequestro giudiziario sull’atto fideiussorio, “sia come documento in
sé che come titolo voluto a garantire il soddisfacimento di una
19 Cfr. Cass., 6 agosto 1965 n. 1879, in Foro it. 1966, I, 316; Cass., 25 maggio 1973
n. 1536; App. Milano, 26 giugno 1973, in Dir. fall. 1974, II, 320; Trib. Lanciano, 8
novembre 1979, in Giur. it. 1980, I, 2,450. BRACCI, op. cit., 181 ss., GUARNIERI, op. cit.,
37 ss.; C. FERRI, op. cit., 468; PROTO PISANI, op. ult. cit., 612; CONSOLO, op. ult. cit., I,
271.
20 Per una dimostrazione dell’assunto, si rimanda in fine al precedente paragrafo.
21 In buona sostanza, l’inquadramento giuridico che va dato al denaro depositato
in banca da un correntista va qualificato come un diritto di credito su un bene
immateriale.
33
pretesa creditoria” laddove sussista un contrasto sull’esigibilità del
credito fideiussorio 22.
5. I titoli di credito, i titoli messi nel c.d. sistema di deposito accentrato ed i
titoli “decartolarizzati”.
In materia dottrina e giurisprudenza non hanno individuato
soluzioni univoche.
Non si discute che il titolo di credito, come res costituita dal
documento, possa formare oggetto di diritti soggettivi e, come tale,
sia in astratto sequestrabile, ma occorre considerare in via di
principio, che i diritti sul documento che incorpora il credito possono farsi
valere esclusivamente secondo la legge di circolazione del titolo, in conformità
alla funzione propria del documento. In concreto il problema della
sequestrabilità si pone principalmente quando esiste un vizio (o una
vicenda estintiva o modificativa) del rapporto sottostante
l’emissione del titolo.
Per la legge di circolazione del titolo, non è possibile opporre ai
terzi che non abbiano agito intenzionalmente ai danni del debitore
vicende attinenti al rapporto causale, cui questi ultimi sono per
definizione estranei (art. 1993 secondo comma c.c.). In forza di tale
principio, condiviso sia dalla dottrina unanime che dalla
giurisprudenza, questa ha precisato che non è ammissibile il
sequestro giudiziario di cambiali che, a seguito di una serie continua
Così Trib. Milano, 13 luglio 1992; Trib. Milano, 2 dicembre 1992, rigetta la
richiesta di un provvedimento d’urgenza sul credito fideiussorio, perché non v’è
motivo di ricorrere alla misura innominata cautelare quanto sussista tra le parti un
contrasto sulla esigibilità del credito fideiussorio, laddove invece la fattispecie va
inquadrata sulla normativa della cautela tipica ex art. 670 n. 1 c.p.c.;
conseguentemente Trib. Milano, 7 gennaio 1993, decidendo sulla medesima
fattispecie concreta, poiché “ sussiste come corollario, una controversia accessoria e
conseguente, sul diritto della venditrice-creditrice di ricevere i ratei, sul diritto
dell’acquirente-debitrice di non adempiere e, in definitiva, per quanto qui interessa,
sulla titolarità ed esigibilità del credito fideiussorio, tra la venditrice – creditrice da una
parte e l’acquirente-debitrice dall’altra: l’una assumendo di poterlo escutere e di
poterne quindi entrare in possesso l’altra negando tale possibilità, che la spoglierebbe
subito ed ingiustamente della somma mentre è in forse la validità del contratto
principale da lei impugnata….se non si sottoponesse a sequestro il titolo fideiussorio
e la somma da esso portata a garanzia, verrebbero frustrate le (eventuali) ragioni di
merito della ricorrente……P.Q.M. Autorizza, anche presso terzi, il sequestro
giudiziario degli atti di fideiussione… e dei diritti di credito in essi incorporati”.
22
34
di girate, siano in possesso di persone diverse dal contraente diretto
di chi richiede il sequestro. Ai sensi dell’art. 1994 c.c., il terzo
portatore di un titolo di credito in conformità delle norme che ne
disciplinano la circolazione non è soggetto a rivendicazione, e nei
suoi confronti non può essere invocato quello jus ad rem che riposa
soltanto su un rapporto diretto sottostante all’emissione o al
trasferimento e che costituisce il presupposto della misura cautelare,
fondata sulla possibilità di una controversia sulla proprietà o sul
possesso 23.
Dunque, il problema si pone esclusivamente nei rapporti tra i
contraenti immediati. Secondo un autorevole indirizzo24, nell’ipotesi
in cui l’emittente si avveda che il prenditore, pur non avendo il
diritto di chiedere il pagamento del titolo (perché ad esempio
emesso sine causa), sia intenzionato a girare il documento ad un terzo
di buona fede, la tutela giuridica può essere realizzata facendo
ricorso al sequestro giudiziario del titolo. E ciò - è stato osservato perché in tal caso l’emittente ha il diritto di ottenere la restituzione
del titolo, e si configura, quindi, controversia sulla proprietà o sul
possesso, richiesta ai fini della concessione del provvedimento
cautelare. A conforto di tale affermazione si aggiunge che la
giurisprudenza, formatasi sotto l’impero dei codici previgenti, già
accordava il sequestro giudiziario a tutela non soltanto di un diritto
reale, ma anche di un semplice jus ad rem, cioè a tutela di un diritto di
credito avente ad oggetto uno o più beni determinati.
Trib. Milano, 21 febbraio 1991, in Banca, borsa, tit. cred. 1992, II, 498; Cass., 17
gennaio 1985 n. 106; Trib. Verona, 26 luglio 1958, in Giur. it. 1959, I, 2, 660.
Trib. Milano, 18 novembre 1985, in Banca, borsa, tit. cred. 1988, II, 123; Trib.
Milano, 19 aprile 1982, ivi¸1983, II, 242, secondo cui non è opponibile al giratario il
sequestro del titolo che eventualmente l’emittente riesca ad ottenere nei confronti del
prenditore in data successiva alla girata da parte di quest’ultimo.
Un’ipotesi particolare è data dalle cessioni di cambiali al factor, su cui Trib.
Milano, 22 aprile 1989, in Riv. it. Leasing 1989, 660, (con nota di OLGIATI, Sequestro
giudiziario di cambiali cedute al factor): è legittimo il sequestro giudiziario di cambiali
consegnate al factor quale accessorio del credito ceduto, poiché il factor medesimo,
lungi dal poter essere considerato terzo giratario, per effetto della cessione subentra
invece nella identica posizione giuridica del fornitore-cedente, con la conseguente
possibilità che gli siano opposte le eccezioni relative al rapporto fondamentale.
24 BIGIAVI, Sequestro giudiziario di cambiale per vietarne la girata, in Riv. dir. civ. 1955,
II, 496, nota a Trib. Bologna 30 ottobre 1954; PAVONE LA ROSA, La cambiale, in
Tratt. di dir. civ. comm. a cura di Cicu e Messineo, Milano 1982, 663 ss. Per un esempio
di sequestro giudiziario concesso su un assegno, v. Trib. Bergamo, 21 novembre
2001, in Foro it. 2002, I, 605.
23
35
Tuttavia, altra parte della dottrina 25 ha osservato che il titolo di
credito segue le vicende attinenti alla propria legge di circolazione, le
quali implicano che il possesso del documento non può non seguire
le norme che disciplinano la vita del titolo fino al momento in cui la
sua funzione non si esaurisce col pagamento. Non è possibile cioè
all’emittente, esercitando diritti derivanti dal rapporto causale,
incidere sulla legge di circolazione del titolo, facendo valere
eccezioni che attengono non già al diritto sul titolo, ma al diritto
menzionato nel titolo 26. Si contesta che l’emittente, una volta
venuta meno la causa che determinò l’emissione della cambiale,
abbia diritto alla restituzione del titolo, perché le vicende del
rapporto causale non possono incidere sulla legge di circolazione del
titolo, neanche nei rapporti tra contraenti immediati. La possibilità
consentita all’emittente nei confronti del prenditore di paralizzare
nei rapporti tra le parti l’esercizio dell’azione cambiaria con le
eccezioni ex causa, non esclude che la cambiale conservi comunque
la sua struttura e funziona giuridica, tanto vero che nei rapporti
interni è il rapporto causale che consente all’emittente di respingere,
in via di eccezione, l’azione cartolare spettante per legge nei suoi
confronti al prenditore. É dimostrato così che, anche tra i contraenti
immediati, i diritti che l’emittente può far valere nei confronti del
prenditore attengono al rapporto che ha dato causa all’emissione del
titolo, e quindi non possono in nessun caso incidere sulla sua legge
di circolazione. L’emittente, una volta che ha rilasciato la cambiale,
subisce il rischio inerente alla sua utilizzazione da parte del
prenditore secondo la funzione specifica che la legge le riconosce, e
non può influire in nessun modo sui diritti spettanti al medesimo in
base alla disciplina propria del titolo 27.
Le riflessioni ora proposte possono essere riferite anche al
sequestro di libretti di deposito al risparmio pagabili al portatore 28, i
quali sono sostanzialmente ritenuti dei titoli di credito 29.
25 SATTA, op. ult. cit., IV, 161 ss.; MONTELEONE, Diritto processuale civile, Padova
2002, 1187; MONTESANO, Misure cautelari sulla cambiale a favore di chi la ha emessa senza
causa o per causa venuta meno?, in Banca Borsa e tit. cred. 1955, II, 547 ss., contrario anche
ad un provvedimento d’urgenza ex art. 700 c.p.c.
26 Cfr. ANDRIOLI, op. cit., 150.
27 In giurisprudenza v. così Trib. Napoli, 3 marzo 2000, in Giur. Napoletana 2000,
334.
28 Diversamente, ma con riguardo al sequestro penale (ex art. 316 c.p.p.), v. Cass.,
2 dicembre 1993 n. 11950, in Giust. civ. 1994, I, 672, e in Fallimento 1994, 566.
36
L’unica possibilità per l’emittente di ottenere il sequestro
giudiziario del titolo si configura, quindi, esclusivamente in relazione
al diritto alla restituzione del titolo che egli, secondo la legge di
circolazione, può far valere in caso di avvenuto pagamento, quando
ha diritto alla consegna della cambiale quietanzata (art. 45 legge cambiaria e
art. 1199 c.c.).
_____ ______ _____
Una riflessione ulteriore va dedicata ai titoli emessi nel sistema di
deposito accentrato ed ai c.d. titoli “decartolarizzati” o
“dematerializzati” in senso “forte” o in senso “debole”30, la cui
sottoponibilità a sequestro giudiziario è osservata con perplessità 31 a
seguito della incorporeità del bene; ma, a tal fine, abbiamo già
dimostrato 32 come l’incorporeità del bene non comporti il divieto di
ottenere il sequestro giudiziario.
6. Le azioni di società
É pacifico in giurisprudenza e in dottrina il principio secondo cui
le azioni di società - le quali sono per natura beni mobili e
suscettibili in quanto tali di diritti reali e di possesso 33 - possono
costituire oggetto di sequestro giudiziario. I problemi si pongono sul
ruolo ed i poteri del custode, e sulle modalità di esecuzione del
sequestro; temi che saranno trattati in altra sezione di questo scritto,
cui pertanto si rinvia 34.
Un esame delle diverse posizioni in materia in dottrina ed in giurisprudenza è
offerta da BRIOLINI, Osservazioni in tema di libretti di deposito a risparmio sottoposti a
sequestro penale e prescrizione del diritto alla restituzione, in Banca, borsa, tit. cred. 2000, 517,
laddove si rammentano anche le tesi contrarie che inclinano a ravvisare nel libretto di
deposito al portatore dei semplici documenti di legittimazione.
30 L’esame della normativa in argomento è offerta al par. 8 del Cap. IX cui si
rimanda.
31 SPADA, La circolazione della “ricchezza assente” alla fine del millennio in Banca, borsa,
tit. cred. 1999, I, 420; CIAN, Dematerializzazione degli strumenti finanziari e “possesso” della
registrazione in conto, in Banca, borsa, tit. cred. 2002, 185-186 nota 65.
32 V. retro al par. 2.
33 PELLIZZI, Principi di diritto cartolare, Bologna s.d., 1967, 16.
34 V. al par. 4 del Cap. VIII.
29
37
Da ultimo va segnalato che, nelle ipotesi di mancata emissione
dei titoli ex art. 5 r.d. n. 239 del 1942 35, si presentano gli stessi
problemi di ammissibilità e di esecuzione del sequestro giudiziario
che saranno esaminati nel paragrafo seguente per le quote di società
a responsabilità limitata.
La giurisprudenza ha poi avuto modo di pronunciarsi in un
giudizio di impugnazione per nullità di delibera assembleare, nullità
che avrebbe comportato l’annullamento delle nuove azioni emesse
sulla base della delibera; si è ritenuta inammissibile l’istanza di
sequestro giudiziario delle azioni, ammettendosi invece la pronuncia
di un provvedimento ex art. 700 c.p.c. teso a inibire l’esercizio del
voto con le nuove azioni 36. Nel caso in specie, riterremmo che
fosse in effetti difficilmente configurabile il requisito di una
controversia sulla proprietà delle azioni; se si può giungere a
sostenere che in via mediata si controverte sulla proprietà
discutendosi in via immediata sull’esistenza dei titoli, rimane però
che non è l’attore che si afferma titolare della proprietà dei nuovi
titoli, e pertanto sembra mancare il requisito della necessaria
controversia ai sensi dell’art. 670 c.p.c., comma 1° c.p.c., che ci
sembra richieda un’affermazione di lesione non a causa del bene, ma
direttamente sul bene da parte del richiedente. In ogni caso,
nell’ipotesi in specie ci sembra che non fosse stata avanzata la
richiesta della consegna dei titoli azionari la cui esistenza giuridica è
contestata, ciò che rende comunque il sequestro inammissibile 37.
35 Art. 5 R.D. 29 marzo 1942 n. 239: “Le società per azioni hanno facoltà di
deliberare in assemblea straordinaria che non si distribuiscano ai soci i titoli delle
azioni. In tal caso la qualità di socio è provata dalla iscrizione nel libro dei soci e i
vincoli reali sulle azioni si costituiscono mediante l’annotazione nel libro stesso”. Va
rammentato tuttavia il 1° comma del nuovo art. 2355 c.c. (contenuto nel d.lgs. n. 6
del 2003, e che andrà in vigore dall’ 1-1-2004): “(Circolazione delle azioni). Nel caso
di mancata emissione dei titoli azionari, il trasferimento delle azioni, ha effetto nei
confronti della società dal momento della iscrizione nel libro dei soci”.
36 Trib. Ancona, 15 giugno 1998, in Le Società 1998, 1336 ss. con nota di Giorgio
TARZIA, cit.
37 Con l’atto di citazione il tribunale avverte di come nell’atto introduttivo la
parte aveva domandato la nullità della delibera e la reintegrazione del capitale sociale
tramite riduzione; non si richiedeva, pertanto, la riconsegna-restituzione dei titoli
azionari.
38
7. Le quote di società a responsabilità limitata. (∗)
La questione dell’ammissibilità del sequestro giudiziario delle
quote di società a r. l. è oggetto di divergenti soluzioni in dottrina e
in giurisprudenza.
La tesi negativa pone l’accento sulla natura personale del diritto
attinente alla quota, sostenendone l’inquadramento nello schema dei
diritti di credito e quindi l’impossibilità di dar luogo a posizioni
giuridiche suscettibili di qualificazione nell’ambito della nozione di
proprietà o possesso, cui si riferisce l’art. 670 n. 1 c.p.c.38.
La tesi positiva, oggi prevalente in giurisprudenza, muove dal
rilievo che la quota si inquadra nella categoria dei beni e si presta,
quindi, ad essere assoggettata a misure cautelari, potendosi
configurare rispetto ad essa una controversia in ordine alla titolarità
o appartenenza 39.
(∗) Le osservazioni di cui al testo si riferiscono esclusivamente alla normativa in
vigore fino al 31-12-2003. Quando questa monografia era in fase di ultimazione sono
stati varati i decreti legislativi n. 5 e 6 del 2003, pubblicati sul S.O. n. 8 della Gazzetta
Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2003, che innovano radicalmente la disciplina delle
S.p.A., delle s.r.l. e delle cooperative, e istituiscono il c.d. “processo societario”.
Le nuove disposizioni del processo societario non sembrano innovare quanto
alla disciplina del sequestro giudiziario (d. lgs. n. 5/2003), e peraltro, mercé il rinvio
del nuovo art. 2471 bis c.c. al nuovo art. 2352 c.c., ora si prevede espressamente il
sequestro delle quote di s.r.l.
Tuttavia la radicale riscrittura del procedimento e della struttura della misura di
cui all’art. 700 c.p.c. potrebbe consigliare una diversa riflessione quanto ai rapporti tra
sequestro giudiziario e provvedimento d’urgenza, argomento non inessenziale nelle
nostre riflessioni sulla stessa ammissibilità del sequestro giudiziario su beni
incorporei.
Abbiamo tuttavia ritenuto di astenerci del commentare anche le nuove
disposizioni (che andranno in vigore dal 1-1-2004), per non limitarci ad offrire
un’attività interpretativa non sufficientemente meditata, riservando la riflessione ad
altra occasione più avanti nel tempo.
38 Trib. Reggio Emilia, 7 giugno 1993, in Gius. 1994, I, 99; Trib. Roma, 23 marzo
1974 (decreto), in Giust. civ. 1974, I, 1164, in Foro it. 1974, I, 2502 ed in Riv. not. 1975,
586; Pret. Roma, 5 maggio 1969, in Giust. civ. 1969, I, 1589; Pret. Roma, 7 marzo
1967, in Giust. civ. 1967, I, 1301 e in Banca, borsa, tit. cred. 1967, II, 316, con nota
adesiva di RUOPPOLO, Sulla pretesa applicabilità dell’art. 670 c.p.c. alle quote di società a resp.
lim.; Trib. Roma, 18 ottobre 1960, in Foro it. 1961, I, 384, ed in Temi Romana 1960,
684, ivi, ulteriori richiami. In dottrina SANTINI, Società a responsabilità. limitata., in
Comm. cod. civ., a cura di Scialoja e Branca, Bologna-Roma 1964, 164 ss.; ANDRIOLI,
op. cit., 150; RIVOLTA, Sequestro giudiziario di quote sociali?, in Riv. dir. soc. 1960, 823.
39 Cass., 26 maggio 2000 n. 6957, in Le Società 2000, 1131 ss., (con commento di
COLLIA, Sequestro giudiziario di quote di società a responsabilità limitata); Trib. Biella, 6
39
Quest’ultimo indirizzo merita di essere condiviso.
L’equivoco in cui è caduta l’opinione negativa risiede nell’aver
sovrapposto tra loro nozioni che invece devono essere tenute
nettamente distinte per affrontare adeguatamente il problema.
Nessuno dubita che nei rapporti tra soci e società a r. l., proprio per
la distinta soggettività giuridica di quest’ultima, i diritti che il socio
può far valere sul patrimonio sociale nei limiti della quota non
possono essere che diritti di credito esercitabili secondo la legge o lo
statuto sociale. Ciò tuttavia non esclude che la posizione del socio,
in se stessa considerata, debba prendersi in esame partendo dal
rapporto tra il medesimo e la quota di cui è titolare. Sotto questo
profilo, non può essere trascurato che la quota costituisce la misura
della partecipazione del socio nella società, che comprende diritti di
natura patrimoniale (ad esempio, partecipazione agli utili e alla
ripartizione finale del patrimonio sociale), diritti di ingerenza e di
partecipazione alla vita della società (diritto al voto e all’opzione); e
comprende altresì i corrispondenti doveri derivanti dalla disciplina
dell’organizzazione societaria, assumendo così rilievo giuridico come
situazione unitaria avendo la consistenza di individualità ontologica
oggettiva, rispetto alla quale il soggetto socio si trova in relazione di
appartenenza.
marzo 1998, in Giur. Merito 1999, I, 242; Trib. Roma, 27 luglio 1994, in Giust. 1994,
fasc. 17, 79; Trib. Piacenza, 16 luglio 1993, in Banca, borsa, tit. cred. 1994, II, 537 con
nota di CAREDDA; Trib. Ferrara, 9 gennaio 1991, in Giur. Merito 1992, 1135, con nota
di BIANCO, Il sequestro giudiziale di quote di s.r.l.: presupposti e modalità; Trib. Bologna, 20
novembre 1991, in Le Società 1992, 691; Trib. Chiavari, 6 giugno 1990, in Foro it. 1991,
I, 621; Trib. Napoli, 6 aprile 1987, in Giur. Merito 1987, 847; Trib. Prato, 3 settembre
1986, in Foro it. 1987, I, 597; Trib. Napoli, 18 maggio 1981, in Dir. giur. 1981, 3160, ed
in Giur. comm. 1982, II, 364, con nota di RACUGNO, In tema di sequestro giudiziario di
quote di s.r.l.; Pret. di Roma, 23 febbraio 1974 (decreto), in Foro it. 1974, I, 2503; Trib.
Roma, ord. 7 giugno 1973, in Giust. civ. 1974, I, 1164, in Foro it. 1974, I, 2502 ed in
Riv. not. 1975, 586; Pret. di Roma, ord. 6 marzo 1970, in Giur. Merito 1971, I, 117;
App. Milano, 25 maggio 1970, in Foro pad. 1970, I, 607; App. Roma, 9 aprile 1963, in
Foro pad. 1964, I, 913; App. Palermo, 28 novembre 1958, in Foro it. 1959, I, 1988 ed in
Banca borsa e tit. di credito, 1960, II, 267, con nota di MAGRONE, Brevi osservazioni sul
sequestro giudiziario della quota di società a r. l.. In dottrina, cfr. FERRARA, Gli imprenditori e
le società, Milano 1971, 598, secondo cui il sequestro giudiziario e istituto generale
applicabile a tutti i beni in senso lato; MESSINEO, Manuale di dir. civ. comm., Milano
1954, IV, 534; SATTA, op. ult. cit., IV, 161 ss.; MILONE - LOPS, Il sequestro della quota, in
Dir. fall. 1985, I, 476; CAGNASSO, Sequestro giudiziario di quota di società a responsabilità
limitata o provvedimento d’urgenza?, in Giur. comm. 1978, II, 880; MORERA, Contributo allo
studio del sequestro di azioni e quote di società, in Banca, borsa, tit. cred. 1986, I, 502.
40
Pertanto, il concetto di quota sociale esprime la tutela giuridica di
un complesso di interessi che fanno capo al titolare e che
l’ordinamento gli garantisce sia nella titolarità e nel godimento sia
nella possibilità di disporne. Sussistono nella fattispecie gli elementi
essenziali che identificano nel rapporto anzidetto tra il titolare e
questa complessa serie di situazioni soggettive, unificate e vivificate
dallo status di socio, gli estremi del diritto di proprietà della quota (art. 832
c.c.). Il titolare, infatti, non soltanto può godere della quota
esercitando nei confronti della società i diritti ad essa inerenti, ma ha
il potere di disporne attraverso il trasferimento sia per atto tra vivi
che per successione mortis causa con effetti nei confronti della
società, la quale è tenuta ad operarne l’iscrizione nel libro dei soci,
salva contraria disposizione dell’atto costitutivo (art. 2479 c.c.).
Inoltre, la quota può formare oggetto di espropriazione (art. 2480
c.c.) e di pegno (come si desume con argomentazione a contrario
dall’art. 2483 c.c.), nonché di usufrutto; ed un argomento di
carattere testuale si ricava dall’art. 2482 c.c., secondo cui la quota
sociale può formare oggetto di proprietà comune, con la
conseguenza che torna applicabile il principio di indivisibilità della
gestione del bene, come sancito dall’art. 2347 c.c., cui la norma
rinvia 40. Va semmai verificata la tesi della cassazione allorquando
equipara la quota, bene immateriale, ad un bene mobile non iscritto
in pubblici registri: questa definizione, ineccepibile nella
considerazione che il libro soci non è un pubblico registro (in
quanto può essere visionato solo dai soci e le iscrizioni non hanno
efficacia se non verso la società), deve adesso essere riconsiderata
alla luce dell’istituzione del registro delle imprese 41; sicché a nostro
40 Cass., 26 maggio 2000 n. 6957: “….In particolare, questa Corte ha più volte
affermato che la quota di partecipazione in una s.r.l. esprime una posizione
contrattuale obiettivata, che va considerata come un bene immateriale equiparato al
bene mobile non iscritto in pubblico registro, ai sensi dell’art. 812 c.c., di talché ad
essa possono applicarsi- a mente dell’art. 813 ultima parte, c.c. - le disposizioni
concernente i beni mobili e, specificatamente, la disciplina delle situazioni soggettive
reali e dei conflitti tra di esse sul medesimo bene: la quota, se non può considerarsi
come un bene materiale al pari dell’azione, tuttavia ha un valore patrimoniale
oggettivo, che è dato dalla frazione del patrimonio che rappresenta, ed è trattata dalla
legge come oggetto unitario di diritti (oltre che di obblighi), che impediscono di
considerarla come un mero diritto di credito (cfr. Cass. 1355/85, 7409/86,
697/97)….”.
41 Al par. 5 del Cap. VIII mostreremo come l’istituzione del registro delle
imprese influisce sulle modalità di attuazione del sequestro giudiziario.
41
avviso dovrebbe adesso riflettersi sull’equiparazione della quota, ora,
semmai al bene materiale iscritto in pubblici registri 42.
Poche parole possono ora riservarsi per superare le tesi contrarie
all’ammissibilità del sequestro giudiziario alla luce dell’immaterialità
del bene e della conseguente impossibilità di eseguire ai sensi degli
art. 605 ss. c.p.c. 43; già nel secondo paragrafo, infatti, si è dimostrata
l’erroneità di questo assunto, ed in questa sede appare sufficiente il
rinvio alle considerazioni ivi espresse 44.
_____ ______ _____
La personalità giuridica della s.r.l. esclude poi la richiesta dei soci
di procedere al sequestro giudiziario dell’azienda quando si lamenti
la cattiva gestione dell’amministratore 45; in queste ipotesi non esiste
alcuna controversia sulla proprietà o sul possesso dell’azienda
societaria, e le esigenze di tutela del socio troveranno dunque
soddisfazione con i rimedi espressamente previsti dalla disciplina
societaria.
8. Le quote di società personali e l’esecuzione su beni sociali.
Iniziamo dall’ipotesi di una controversia su quale tra due soggetti
sia davvero il legittimo titolare della quota (ciò accade, in genere, a
seguito di un trasferimento della quota poi contestato). Riteniamo di
ammettere la possibilità di ottenere un sequestro giudiziario sulla
42 A nostro giudizio, peraltro, se anche si equiparasse la quota ad un diritto di
credito, si dovrebbe comunque utilizzare il sequestro giudiziario poiché la quota
appare come un bene individuato e determinato (in specie nel registro delle imprese)
di cui si chiede specificatamente la consegna.
43 C. FERRI, op. cit., 468, e similmente sembra VULLO, L’attuazione dei provvedimenti
cautelari, Torino 2001, 297, nota 126; GRASSO, L’espropriazione della quota, Milano 1957,
213 ss.; per l’indicazione di altri ulteriori autori che si riferiscono in generale
all’inammissibilità del sequestro sui beni immateriali, v. retro al par. 2.
44 Va poi richiamata l’opinione di VULLO, op. loc. ult. cit., che ritiene che un
argomento a favore dell’inammissibilità della tutela con il sequestro della quota delle
s.r.l. potrebbe essere ricavato dalla difficoltà che giurisprudenza e dottrina rinvengono
nell’individuazione delle modalità di esecuzione; non ci sembra comunque che una
(peraltro ingiustificata) incertezza applicativa possa indurre a ritenere l’inammissibilità
della misura.
45 Tribunale di Ascoli Piceno, 3 aprile 1993, in Foro Pad. 1995, I, 266.
42
quota 46 (ma non direttamente sui beni sociali 47), poiché abbiamo
già dimostrato come sia possibile sequestrare con la forma del
sequestro giudiziario anche beni non suscettibili di materiale
apprensione. Per il sequestro delle quote di società di persone
rimane però da risolvere un problema ulteriore, che invece non si
presenta per il sequestro di quote delle s.r.l., e che è dato dalla
presenza dell’intuitus personae 48, che potrebbe rivelarsi ostativo della
praticabilità del sequestro giudiziario, poiché la sostituzione dei
membri delle società di persone richiede il consenso di tutti i soci (in
quanto modificazioni del contratto sociale) 49. Tuttavia occorre
Favorevole, da ultimo, Cass., 30 gennaio 1997 n. 934, in Le Società 1997, 897
ss., Foro it. 1997, I, 2177 (che assimila la quota ad un bene mobile e non a un credito);
Trib. Monza, 21 gennaio 2001, in Giur. Mil. 2001, 209, che autorizza il sequestro di
tutte le quote sociali di una società in nome collettivo, che il ricorrente assume di aver
integralmente acquistato in forza di un contratto preliminare, negando al contempo
invece il sequestro direttamente sull’azienda; contra Trib. Trani, 20 luglio 1983, in Foro
it. 1984, I, 2358.
47 Trib. Cassino, 24 ottobre 1997, in Le Società 1998, 329 ss. (con commento di
GUFFANTI) assume che il socio di una società di persone, quando a seguito del
trasferimento della quota di partecipazione insorge una controversia sulla titolarità di
questa, può chiedere il sequestro giudiziario della quota sociale, ma non direttamente
dei beni sociali.
48 GUFFANTI, op. cit., 335, ricorda come i citati problemi vengano in parte meno
quando nello statuto della società è stata prevista una clausola di libera trasferibilità
delle quote, perché in questi casi i soci hanno concordato che anche un soggetto
terzo possa entrare a far parte della società senza alcuna necessità che gli altri soci
prestino il proprio consenso.
Guffani tuttavia opta per l’inammissibilità comunque del sequestro giudiziario
nei confronti delle società di persone per la difficoltà nell’esecuzione del sequestro
giudiziario, optando dunque per una ricostruzione che privilegia invece la
concessione del provvedimento ex art. 700 c.p.c. nelle ipotesi in specie. Una tesi che
riteniamo di non condividere, atteso che a nostro giudizio proprio nell’esecuzione su
quote il giudice della cautela ha la stessa discrezionalità nel disporre le modalità di
esecuzione di quelle che avrebbe determinando come eseguire un provvedimento ex
art. 700 c.p.c. (sul punto v. al par. 4 del Cap. VIII); ne deriva dunque l’inopportunità
dell’applicazione del provvedimento d’urgenza in luogo del sequestro giudiziario, alla
luce della maggiore gravosità dei presupposti richiesti dal provvedimento d’urgenza, e
dell’ingiustizia che ne deriverebbe vista la disparità di tutela che verrebbe a crearsi con
la tutela cautelare offerta per i beni materiali (in argomento, v. già al par. 2).
49 Così, ad es. MORERA, op. cit., 492 ss.; Trib. Benevento, 24 settembre 1991, in
Dir. giur. 1993, 343 (con nota favorevole della SCHISÀ), ritiene inammissibile il
sequestro giudiziario della quota dell’accomandatario perché l’eventuale custode della
quota otterrebbe il diritto di amministrare la società, determinando così la violazione
della disciplina di cui all’art. 2319 c.c., da cui si desume che la società debba essere
46
43
sottolineare come con il sequestro non si sostituisce in via definitiva
al legittimo socio un terzo, ma si conferiscono in via provvisoria i
poteri connessi alla quota ad un custode imparziale proprio al fine di
consentire alla fine che l’esercizio dei poteri della quota torni di
competenza appunto del socio legittimo 50; a nostro avviso, nel
bilanciamento degli interessi è preferibile ritenere l’ammissibilità del
sequestro stante la temporaneità della situazione, la finalità sottesa
che è proprio quella di consentire all’esito del giudizio ordinario
l’uso dei poteri sociali al socio legittimo, la possibilità che il giudice
che ha emanato il sequestro possa, nella discrezionalità che per
l’attuazione di questa misura gli è concessa anche indicare al custode
di esercitare i poteri del socio allo scopo di effettuare un controllo
della gestione degli altri soci, valutando che le decisioni prese non
siano certo dannose per il valore della quota custodita, piuttosto che
una più diretta e pesante intromissione nelle decisioni squisitamente
gestorie, quando non siano dirette ad intaccare il valore della quota
51.
_____ ______ _____
L’ammissibilità del sequestro giudiziario della quota di società di
persone va invece esclusa tanto con riferimento alle ipotesi in cui si
discute dello scioglimento del vincolo sociale limitatamente ad un
socio, quanto riguardo alle fattispecie - che risultano essere
prevalenti fra quelle esaminate in giurisprudenza - in cui la
controversia fra i soci concerne difformità di vedute o di indirizzi
circa la gestione o l’amministrazione societaria, deducendosi dal
socio la violazione, da parte degli altri soci, degli obblighi assunti
amministrata da un socio accomandatario scelto dalla volontà sociale nel contratto o
in assemblea con quorum qualificato.
50 Così Cass., 30 gennaio 1997, n. 934, in Le Società 1997, 898: “…non si
comprende, poi, l’argomento dell’intuitus personae che è nell’essenza della società in
nome collettivo, dal momento che è proprio questo a venire in gioco in caso di
controversia sulla titolarità della quota, cioè l’appartenenza dei poteri e delle facoltà
connessi con tale titolarità, essendovi interesse a che essi vengano esercitati da chi ne
ha effettivamente diritto e, in attesa della decisione, da un gestore imparziale
nominato dal giudice”. GALLETTI, Appartenenza all’organizzazione, vincoli sulla quota ed
esercizio dei diritti sociali: ancora sulle “gestioni straordinarie”, in Giur. Comm. 2000, II, 142143 sottolinea che l’ammissibilità della nomina del custode deriva dal fatto che la
misura cautelare non è diretta a provocare la sostituzione di un terzo al socio, e
dunque non vi sono ostacoli ad ammettere la tutela d’urgenza.
51 V. più avanti al par. 6 del Cap.VIII.
44
con il contratto sociale. Nei casi suddetti la controversia fra i soci
non incide sulla proprietà o possesso dei beni conferiti, i quali per il
vincolo di destinazione impressovi non possono essere distolti dalla
realizzazione dello scopo sociale finché dura la società. Non si
configura un rapporto fra socio e società qualificabile in termine di
proprietà o di possesso, dovendosi al primo riconoscersi soltanto in caso di scioglimento del vincolo o della società - il diritto alla
somma di denaro che rappresenta il valore della quota 52 (e non
direttamente una quota dei beni).
Per quanto riguarda, poi, il controllo della gestione sociale,
qualsiasi controversia deve essere decisa all’interno del rapporto
societario in base alle regole che disciplinano il singolo tipo di
società, secondo la legge (v. art. 2259 e 2286 c.c.)e lo statuto sociale
53.
52 In dottrina: SATTA, op. ult. cit., IV, 157 e 163 ss.; ANDRIOLI, op. cit., 148. Trib.
Napoli, 25 febbraio 1994, in Foro it. 1994, I, 3226; Trib. Benevento, 24 settembre
1991, cit. (con nota di SCHISÀ); la sentenza riguarda la domanda di sequestro
giudiziario della quota di partecipazione del socio accomandatario, sequestro che è
stato ritenuto inammissibile anche sulla considerazione che l’attribuzione
dell’amministrazione della quota ad un custode estraneo produrrebbe l’interferenza,
nell’esercizio dei poteri di amministrazione, di un soggetto diverso di un socio, in
contrasto con la disciplina di cui all’art. 2319 c.c.; Trib. Trani, 20 luglio 1983, in Foro
it. 1983, I, 2358. In senso contrario, per l’ammissibilità del sequestro; ad es. App.
Napoli, 2 maggio 1960, in Giust. civ. 1960, I 1495; Trib. Napoli, 25 febbraio 1987
(decr.), in Giur. Merito 1987, 1166, in ipotesi di espulsione del socio per uso illegittimo
delle cose sociali, ex art. 2256 c.c.
53 Cfr. nello stesso senso, SATTA, op. ult. cit., IV, 163 ss.; Trib. Bari, 20 marzo
1965, in Dir. fall. 1965, II, 349 con nota adesiva di RAGUSA MAGGIORE, Applicazione
del sistema e del metodo del sequestro giudiziario dei beni appartenenti ad una società di persone;
Trib. Napoli, 13 giugno 1958, in Foro nap. 1958, I, 333 e in Foro pad. 1959, I, 1333.
Trib. Roma, 1 marzo 1986, in Foro it. 1986, I, 2658, che ha ritenuto inammissibile il
sequestro giudiziario di azienda conferita in una società di persone per una
controversia insorta tra i soci. Trib. Napoli, 20 aprile 1994, in Gius. 1994, fasc. 18, 69;
Trib. Napoli, 25 febbraio 1993, in Dir. e giur. 1993, 372, specifica che se si lamenta la
violazione ad opera dell’altro socio e co-amministratore dei diritti amministrativi di
cui è titolare anche l’altro socio, data nel caso di specie la previsione
dell’amministrazione congiuntiva, non si tratta di una controversia sulla proprietà o il
possesso dell’azienda sociale, e questa situazione può al più evocare una giusta causa
di revoca dell’amministratore ex art. 2259 o 2286 c.c., tutelabile semmai in via
cautelare ex art. 700 c.p.c., in vista della rimozione dell’amministratore. In nota alla
citata decisione, SANNINO, Note in tema di sequestro giudiziario dell’azienda sociale, in Dir e
giur. 1993, 367 ss. individua l’ammissibilità del sequestro giudiziario sull’azienda
sociale se chiesto dal co-amministratore estromesso dalla gestione, perché questi
potrebbe lamentare la lesione del suo possesso sull’azienda, così integrando il
45
A prescindere dai beni che costituiscono il patrimonio, l’esistenza
di una società implica l’applicazione delle regole societarie nelle
ipotesi in cui il socio controverta con gli organi societari sulle
modalità di godimento di un bene che fa parte del patrimonio
sociale; la struttura e le regole della disciplina societaria, dunque
differenziano la situazione rispetto ai casi in cui sul bene insiste (non
una società ma) una semplice comunione o comproprietà 54. Quanto
fino ora asserito consente di prendere posizione sulla controversa
ammissibilità del sequestro giudiziario direttamente sui beni sociali, e
non sulla quota, come spesso è richiesto, in specie quando la
richiesta punta direttamente ad ottenere il sequestro giudiziario
dell’azienda sociale. Se si rifiutano le tesi restrittive dell’autonomia
giuridica delle società di persone, pur autorevolmente sostenute 55,
che negano che queste società diano vita ad un centro autonomo
soggettivo di diritti (e che pertanto i beni sociali dovrebbero
considerarsi come in una comunione sui generis, con una
presupposto richiesta per il sequestro giudiziario; a nostro avviso, tuttavia anche in
questo caso le forme di tutela, cautelari e non, vanno comunque in prima battuta
ricavate dalla disciplina delle società, e pertanto al caso di specie sarà semmai
applicabile la disciplina prevista per la revoca dell’amministratore giudiziario.
In senso contrario PROTETTÌ, op. cit., 18 ss., ritenendo che la domanda del socio
che chiede il sequestro giudiziario con la revoca dell’amministratore della società darà
luogo ad una controversia sul possesso, che rientra nell’ambito di applicazione della
misura. App. Bologna, 21 luglio 1971, in Giur. it. 1971, I, 2, 1080; App. Firenze, 3
marzo 1967, in Giur. tosc. 1967, 395; Trib. Melfi, 8 novembre 1965, in Temi nap. 1966,
I, 141.
Trib. Piacenza, 28 febbraio 1995, in Le Società 1995, 1202, (con commento di
PATANIA), ritiene ammissibile il sequestro giudiziario dell’azienda su istanza del socio
di società di persone a tutela della quota di partecipazione, che concede all’interno di
una controversia in cui era stata sospesa la delibera di esclusione del socio, onde
evitare i pregiudizi derivanti dall’attività di gestione ed amministrazione nel frattempo
posti in essere dagli altri membri della compagine sociale (Patania, nel commento alla
sentenza pur contestando la soluzione adottata mette in luce come alla luce delle
disposizioni sulle società di persone sia prevista la revoca degli amministratori, ma
non l’amministrazione giudiziale ex art. 2409 c.c. sicché il sequestro giudiziario
colmerebbe una lacuna ordinamentale che rischia di paralizzare altrimenti la gestione
sociale). Anche Trib. Catania, 8 giugno 2000, in Giur. Comm. 2001, 476 ss., ammette il
sequestro giudiziario dell’azienda alla luce del rifiuto del socio-amministratore di
interlocuzione con il socio-ricorrente, di cui l’amministratore contesta la qualità di
socio.
54 Per i rapporti tra comunione e sequestro giudiziario, v. al par. 3 del Cap. I.
55 G. FERRI, Le società, Torino 1988, 266; GHIDINI, Società personali, Padova 1972,
204.
46
comproprietà dei soci direttamente sui singoli beni 56) e si ammette
invece che la società acquista una propria ed autonoma soggettività,
distinta da quella dei soci 57, appare immediato sostenere che il socio
non abbia un potere di discutere direttamente sulla proprietà e sul
possesso dei singoli beni 58, se non nelle ipotesi in cui si ritenga ad
esempio che la società si sia tramutata in comunione 59.
Tuttavia, la Corte di Cassazione, quando si è trovata a giudicare
espressamente sulla richiesta di sequestro giudiziario promossa da
un socio di una società irregolare (cui si applicano le regole della
società semplice) che lamentava di essere stato di fatto estraniato
dalla gestione sociale e privato dei poteri di disposizione ed
Ma v. comunque Trib. Napoli, 25 febbraio 1994, cit., che nega che anche così
ritenendo il sequestro giudiziario chiesto dal socio potrebbe essere autorizzato,
perché la ricostruzione così operata qualificherebbe la quota comunque come un
mero diritto di credito, ed inoltre perché in ogni caso la “comproprietà speciale” dei
soci non sarebbe equiparabile ad una normale comunione, in forza del vincolo di
destinazione comunque dei beni sociali. Diversamente invece, Trib. Piacenza, 28
febbraio 1995, cit., che ammette il sequestro giudiziario sui beni aziendali proprio sul
presupposto che nelle società di persone la relazione con i beni aziendali non è
imputabile alla società, ma direttamente ai singoli soci
57 Tale appare, inoltre, l’opinione della cassazione. V. ad es., anche per ulteriori
richiami, Cass., 24 maggio 1989 n. 3498, in Foro it. 1990, I, 1617. Contra, v. le
considerazioni espresse da ultimo da Trib. Piacenza, 28 febbraio 1995, cit., che
dall’art. 2248 c.c. desume che la differenza tra società di persone e la comunione è
costituita dal solo scopo del godimento, dalla finalità dello sfruttamento dei beni, ma
non su quello dell’imputazione soggettiva del potere di fatto sulle res comuni.
58 Da ultimo, v. ad es. Trib. Padova, 17 agosto 2000 (provvedimento emesso in
sede di reclamo, in riforma di un provvedimento che aveva invece accolto la richiesta
di sequestro dell’azienda del preteso socio di fatto che lamentava l’estromissione dalla
gestione), in Le Società 2001, 332, che esclude l’ammissibilità del sequestro d’azienda
proposto da un socio di una società di fatto anche nelle more del giudizio in cui si
contesti la stessa esistenza della compagine sociale, poiché se anche il processo si
concludesse con l’accertamento dell’esistenza della società, l’azienda non sarebbe in
proprietà del socio istante, ma appunto solo della società.
59 Un’ipotesi simile è data da Trib. Roma, 19 gennaio 1991, in Giur. Merito 1992,
1123 ss. (con nota di DI CAMILLO, Società di fatto, comunione di impresa, società di mero
godimento), che però, a differenza di quanto da noi assunto, ritiene in astratto
l’ammissibilità del sequestro giudiziario di una azienda già appartenente ad una società
di fatto tra due soci, allorquando l’erede del socio defunto affermi che prima dei sei
mesi ex art. 2722 n. 4 c.c. la società sarebbe proseguita per facta concludentia ed il socio
superstite neghi tale fatto, sostenendo la sola esistenza di un credito liquidatorio nei
confronti della controparte, quale erede del socio defunto (nel caso di specie, poi, il
sequestro non è stato comunque concesso perché non si è ritenuta assistita dal fumus
boni iuris la prospettazione della perdurante esistenza della società).
56
47
utilizzazione dei beni sociali, ha concesso la misura cautelare
richiesta direttamente sui beni sociali 60.
_____ ______ _____
Altra è, invece, l’ipotesi in cui sia in discussione la stessa validità
ed efficacia del titolo costitutivo del conferimento perché si contesta
la validità della propria partecipazione sociale o addirittura del
contratto sociale, e pertanto la controversia potrebbe investire la
proprietà o il possesso dei beni conferiti. In tal caso il sequestro
giudiziario investirebbe non già la quota sociale, ma i singoli beni
conferiti in virtù del titolo contestato; con la conseguenza che in
queste ipotesi l’esistenza del vincolo di destinazione non varrebbe
ad impedire la cautela, perché con la caducazione dei titoli o del
conferimento verrebbe meno anche l’efficacia del vincolo 61; ciò,
naturalmente se si ritenga tuttavia di non dover applicare alle ipotesi
in specie per analogia la disciplina che l’art. 2332 c.c. detta per le
ipotesi di nullità delle società per azioni quando appunto si lamenti
60 Cass., 10 novembre 1992 n. 12087, che peraltro sembra giustificare il sequestro
sui beni proprio per l’esistenza di una società, mentre l’esistenza di una comunione
sembrerebbe sortire effetti negatori: “…qualora dovesse necessariamente farsi
applicazione delle norme sulla società semplice…per le quali l’amministrazione spetta
a ciascuno dei soci, che può opporsi alle operazioni che gli altri vogliono compiere
(art. 2257 c.c.) ed il socio non può servirsi, senza il consenso degli altri, delle cose
appartenenti al patrimonio sociale per fini estranei a quelli della società (2256
c.c.)…nell’ambito dei poteri che la disciplina giuridica applicabile al caso concreto
attribuisce a ciascun socio, è quindi configurabile una controversia, cautelativamente
tutelabile con il sequestro giudiziario, quando uno dei soci sia di fatto estraniato dalla
gestione in modo da togliere ogni contenuto sostanziale e ogni effettività ai suoi
diritti e da privarlo dei poteri di disposizione e di utilizzazione del bene, che
costituiscono oggetto di una controversia riflettendosi sulla proprietà e sul
possesso…”.
61 Così, ad es. in obiter Trib. Benevento, 24 settembre 1991, in Dir. e giur 1993, 343
ss.; Trib. Firenze, 1 agosto 1990, in Giur. Comm. 1993, II, 307, assume che la domanda
del socio receduto in seguito a revisione della stima, diretta ad ottenere il sequestro
giudiziario del bene conferito, introduce una fondata controversia in ordine alla
proprietà ed al possesso del bene medesimo. Particolare è poi la fattispecie concreta
su cui si pronuncia Trib. Cassino, 4 novembre 1995, in Le Società 1996, 1179 ss., (con
commento di FABRIZIO), che ammette il sequestro giudiziario di una farmacia
(azienda) che deve essere conferita in forza di un contratto preliminare di società in
nome collettivo in un giudizio in cui il contraente adempiente (che doveva conferire
una somma di denaro) richiede la pronuncia di cui all’art. 2932 c.c.; è tuttavia
immediato notare che la controversia sulla proprietà del bene investirà certo il socio
inadempiente, ma il socio adempiente che richiede il sequestro non si assume lo
stesso titolare del bene, che sarà la costituenda società.
48
l’invalidità del contratto sociale, nel qual caso il vincolo di
destinazione sul bene permarrebbe, rendendo inammissibile il
sequestro giudiziario 62 (e analogo discorso vale anche per l’invalidità
della singola partecipazione sociale, ove è controverso se il socio
abbia diritto alla restituzione del conferimento o alla liquidazione
della quota 63).
Nessun dubbio invece sembra poter sorgere quanto
all’ammissibilità del sequestro giudiziario quando il procedimento di
liquidazione si sia ormai completato, e dunque i beni residui (che
danno luogo ad una comunione pro indiviso) potranno essere
sottoposti a sequestro se sorga controversia sulla proprietà degli
stessi.
_____ _____ ______
Infine, scontata è l’ammissibilità del sequestro sui beni sociali
quando questo sia richiesto dalla società di persone che pretenda la
consegna del bene posseduto da altri soggetti, siano essi terzi o
singoli soci che ne assumano la titolarità.
9. I beni delle associazioni non riconosciute.
Il sequestro è stato ritenuto ammissibile nell’ipotesi di scissione
di un partito politico, in relazione alla controversia concernente la
proprietà o il possesso dei locali e degli arredi di una sezione del
partito che erano detenuti da un gruppo contrario alle deliberazioni
di trasformazione adottate dagli organi centrali e da quelli locali del
partito medesimo, gruppo dissidente che perciò aveva aderito ad
altra formazione politica 64.
Al riguardo va osservato che le sezioni dei partiti politici sono, al
pari di questi, associazioni non riconosciute, le quali, sebbene
sfornite di personalità giuridica, sono figure soggettive distinte dagli
associati in quanto, per gli scopi che perseguono, ad opera
In argomento, v. SANNINO, op. cit., 363 ss., ivi anche per un primo esame delle
posizioni in dottrina sul punto.
63 V. ad es. CAMPOBASSO, Diritto Commerciale. Diritto delle società, II, Torino 2002,
74-75 e 183-184.
64 Si trattava della trasformazione in partito democratico della sinistra deliberata
dal Congresso del P.C.I., tenutosi a Rimini dal 31 gennaio al 3 febbraio 1991; i
dissidenti costituirono una nuova associazione, denominata Rifondazione Comunista.
62
49
dell’ordinamento sono disciplinate come centri di imputazione delle
situazioni giuridiche soggettive concernenti il gruppo sociale. Esse,
fra l’altro, hanno capacità processuale attiva e passiva (art. 36 c.c.) e
sono titolari dei beni che costituiscono il fondo comune (id est, il
patrimonio dell’associazione), che è del tutto autonomo rispetto al
patrimonio dei singoli associati, essendo sottratto al godimento e
alle disposizioni degli stessi, nonché all’azione dei loro creditori
personali come si evince dall’art. 37 seconda parte c.c., che sancisce
il divieto di divisione del fondo e di liquidazione della quota in caso
di recesso degli associati medesimi. Inoltre la distinta soggettività è
attestata dall’enunciato dell’art. 2659 (come modificato con la l. 27
febbraio 1985, n. 52): secondo cui la trascrizione di atti fra vivi
riguardanti le associazioni non riconosciute, al pari di quelle relative
a società di persone, vanno fatte al nome dell’associazione
medesima 65.
Ciò comporta che una controversia sulla proprietà o sul possesso
di beni del fondo comune non può aversi nei rapporti fra
l’associazione e gli associati uti singuli giacché i beni non formano
oggetto di una comunione di diritto reale fra gli stessi, i quali non
hanno diritto ad una quota del patrimonio neppure nel caso di
scioglimento del rapporto individuale. Pertanto la richiesta dei soci
che chiedano un sequestro giudiziario sui beni dell’associazione non
potrà essere accolta.
Viceversa il presupposto della controversia sulla proprietà o sul
possesso è integrato quando sia l’associazione non riconosciuta a
lamentare uno spoglio o la contestazione sulla proprietà di beni (che
l’associazione assume di sua proprietà), sia che esso provenga da
terzi che da singoli associati. Nella fattispecie qui considerata, ad
esempio, giacché la controversia è fra due associazioni non
riconosciute, ciascuna delle quali pretende la titolarità e/o il
65 Cass., 23 giugno 1994 n. 6032; Cass., 10 dicembre 1988 n. 6725; Cass., 12
giugno 1986 n. 3898, in Giur. it. 1987, I, 1, 1016; Cass., 26 febbraio 1985 n. 1655, in
Giur. it. 1986, I, 1, 1247; Cass., 16 novembre 1976 n. 4252, in Giur. it. 1978, I, 1, 624.
In dottrina v. GALGANO, Delle associazioni non riconosciute e dei comitati, in Comm. cod. civ.
a cura di Scialoja e Branca, Bologna - Roma, 1972, 214 ss.; RESCIGNO, Sindacati e
partiti nel diritto privato, in Persona e comunità, I, Padova, 1987, 158 ss.; RUBINO, Le
associazioni non riconosciute, Milano, 1952; REALMONTE, Associazioni non riconosciute, in
Dizionario dir. priv. a cura di Irti, 1, Diritto civile, Milano, 1978, 57 ss.; SANTORONI,
Associazione, voce in Dig. disciplin. privatistiche, Sez. civ., I, Torino 1987, 484, cui si rinvia
per altri riferimenti.
50
possesso di beni che dovrebbero appartenere al fondo comune di
una di esse 66, la richiesta di sequestro giudiziario è stata a nostro
avviso correttamente accolta.
10. Le aziende
La questione dell’ammissibilità del sequestro giudiziario di
azienda è stata definitivamente risolta dall’art. 670 c.p.c. che, tra i
beni suscettibili della misura cautelare, comprende anche l’azienda 67
68. Si risponde così alle esigenze del sistema economico di tutela non
solo della proprietà, ma soprattutto dell’impresa, assicurandone la
gestione temporanea quando si controverta sulla proprietà o sul
possesso.
_____ _____ _____
Va tuttavia dato atto di una recente tesi che ritiene
l’inammissibilità del sequestro giudiziario d’azienda quando l’azienda
“presenti caratteristiche tali da non poter essere sequestrata
attraverso le norme sull’esecuzione forzata per consegna o rilascio”,
ed in quei casi invece “è aperta la strada dei provvedimenti
d’urgenza di cui all’art. 700 c.p.c.” 69; ma l’opinione ora richiamata è
contraddetta, oltre che immediatamente dal dato normativo, anche
dalla ricostruzione prima operata che ha già dimostrato
Nello stesso senso, v. Tribunale Brindisi, ord. 3 ottobre 1991, in Giur. it. 1993,
I, 2, 157, con nota di LIVI, Sulla “scissione” riferita alla sezione di un partito politico; ivi, ampi
richiami di dottrina e giurisprudenza.
67 È necessario che l’azienda sia ancora in vita, al momento dell’autorizzazione al
sequestro. Si veda, ad es. Cass., 9 giugno 1981 n. 3723: poiché l’azienda è un
complesso di beni e servizi (capitale, fisso e circolante, e lavoro) unificati dalla
unitaria destinazione produttiva, in funzione della quale sono organizzati e coordinati
dall’imprenditore, essa cessa di esistere quando i vari elementi siano stati dispersi,
assumendo i singoli beni destinazioni diverse, nella specie, per la chiusura
dell’esercizio di vendita, la rimozione delle merci e delle attrezzature e la restituzione
al proprietario del locale; pertanto, in tale situazione, non è configurabile una misura
cautelare (nella specie: sequestro conservativo) sull’azienda stessa, ormai cessata di
esistere.
68 Rimangono, naturalmente, aperti innumeri problemi che attengono alle
modalità di esecuzione ed ai poteri del custode giudiziario per l’attuazione della
misura cautelare, ma di essi daremo conto in altra parte di questo scritto.
69 CAPONI, op. ult. cit., 111.
66
51
l’ammissibilità del sequestro giudiziario anche quando richiesto su
beni incorporei 70.
Va ricordato, ancora, che in giurisprudenza sono stati rilevati
limiti all’ammissibilità del sequestro d’azienda in riferimento ad
ipotesi in cui la proprietà dell’azienda è imputabile ad una società di
persone per contrasti insorti tra i soci; sotto questo profilo, tuttavia,
va solo puntualizzato come eventuali problemi in ordine alla
sequestrabilità si pongono per l’azienda esattamente allo stesso
modo che per altri beni di appartenenza della società, e pertanto può
rinviarsi alle considerazioni ivi espresse 71.
11. Gli immobili e le universalità di beni.
Non dà luogo a particolari problemi interpretativi il sequestro
giudiziario dei beni immobili, in relazione al quale va comunque
applicata la disposizione dell’art. 816 c.c., in virtù del quale gli atti e i
rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale
comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto.
Ove si tratta, poi, di beni concessi in locazione a terzi si può
discutere circa l’ammissibilità del sequestro giudiziale, per la sua
eventuale incompatibilità con i diritti del locatario; ma, in ogni
modo, questo non incide sull’ammissibilità del sequestro, anche se
può comportare delle conseguenze anche radicali sulle modalità
attuazione della misura 72.
Non sorgono particolari problemi circa la sequestrabilità delle
universalità di beni, secondo la nozione da trarre dall’art. 816 c.c.,
per cui per aversi universalità occorre una pluralità di cose
autonome, materialmente e giuridicamente distinte, le quali
appartengono alla stessa persona ed hanno una destinazione
unitaria, svolgendo una funzione comune.
Considerato che l’assoggettabilità alla misura cautelare è appunto
correlata al carattere unitario del vincolo che avvince le universitates, il
sequestro giudiziario deve ritenersi ammissibile, ai sensi dell’art. 670
primo comma c.p.c. (che espressamente richiama anche le
universalità di beni), sia per le universalità di mobili che per le
V. retro al par. 2.
V. retro al par. 8.
72 V. al cap VI par. 2.
70
71
52
universalità di diritto. Ciò non esclude che il sequestro possa
eventualmente cadere su singole cose o rapporti compresi
nell’universitas, i quali possono costituire oggetto di separati atti o
rapporti giuridici ( art. 816 secondo comma c.c.).
In applicazione dei suddetti principi, quindi, sono assoggettabili
alla cautela le biblioteche, le pinacoteche, il gregge, l’eredità, ecc.
ovvero singoli elementi di tali universitates 73.
12. I provvedimenti di sequestro del giudice civile concernenti la pubblica
amministrazione. Il mutato ambito della giurisdizione esclusiva.
Il tema dei sequestri nei confronti della pubblica amministrazione
o, comunque, coinvolgenti un provvedimento amministrativo, sarà
considerato al par. 9 del sesto Capitolo con riferimento
all’abrogazione, operata dalla disciplina cautelare uniforme, dell’art.
672, comma 3, c.p.c., che consentiva al giudice ordinario, in base al
criterio del luogo di esecuzione della misura cautelare, la
concessione del sequestro nelle materie appartenenti alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Ivi si osserverà che, stante il carattere rigidamente strumentale
assunto in detta disciplina uniforme (anche) dai sequestri, al giudice
ordinario – in materia estranea alla sua giurisdizione – è consentito
emettere i provvedimenti cautelari solo quando ciò sia previsto da
un’espressa disposizione di legge. Conseguentemente, mancando
una siffatta disposizione, la concessione dei sequestri è inibita al
giudice ordinario relativamente a tuttora molta parte dell’attività
amministrativa ed in tutta la vasta area della giurisdizione esclusiva, il
cui ambito – com’è noto – è stato notevolmente ampliato in forza
delle leggi n. 80 del 1998 e n. 205 del 2000, che, nel contesto di
un’incisiva riforma del processo amministrativo, hanno
sostanzialmente spostato il baricentro del criterio discretivo di
riparto della giurisdizione dalla consistenza delle situazioni
soggettive, secondo l’alternativa diritto-interesse, alla specialità delle
Cass., 30 gennaio 1987 n. 892, concernente il sequestro giudiziario di beni
appartenenti ad un’eredità in ipotesi di nullità di testamento.
73
53
materie ricadenti in tale giurisdizione 74. E ciò anche nei giudizi nei
quali non sia direttamente parte la pubblica amministrazione.
Ai sensi dell’art. 6, 1° comma, la devoluzione alla giurisdizione
esclusiva – in tema di procedure di affidamento di lavori sottoposte
all’applicazione della normativa comunitaria o dei procedimenti ad
evidenza pubblica – avviene non già in base alla natura pubblica o
privata dei soggetti affidanti, ma con rinvio alle norme o
procedimenti che questi sono tenuti ad applicare. Inoltre, l’art. 7,
comma 4, l. n. 205 del 2000, attraverso la manipolazione dell’art. 35
d. lgs. n. 80 del 1998, ha attribuito al giudice amministrativo,
indipendentemente dalle controversie ascrivibili alla giurisdizione
esclusiva, quelle relative al risarcimento dei danni, anche attraverso
la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali. A
radicare la giurisdizione amministrativa, è sufficiente, quindi, che il
diritto alla restituzione o al risarcimento venga prospettato come
consequenziale ad una domanda demolitoria del provvedimento
amministrativo od anche ad una domanda di accertamento
dell’illegittimità di un atto o di un comportamento della p.a. 75.
74 Si tratta del punto di arrivo, pressoché esaustivo, di un disegno di politica
legislativa che valorizza, attraverso la ripartizione della giurisdizione per blocchi di
materie omogenee, la direttrice di sviluppo dell’organizzazione giudiziaria tracciata
dall’art. 103 Cost., tuttavia interpretato non già secondo la linea tradizionale della
previsione di ipotesi derogatorie rispetto al principio di tendenziale unicità della
giurisdizione, bensì come vera e propria fonte di rango costituzionale legittimante
l’espansione dell’ambito cognitivo dei giudici in essa previsti. La conformità di questo
disegno all’impianto costituzionale – che aveva presente il criterio di riparto
storicamente formatosi con riferimento alla violazione delle situazioni soggettive –
non è scevra da dubbi (accennati in alcune sentenze delle Sezioni Unite della Corte di
Cassazione, quali le n. 71 e 72 del 2000; diversamente v. sent. n. 40/2000), ma è
doveroso riconoscere la razionalità della scelta in punto di effettività della tutela dei
cittadini nei confronti della p.a.; e appunto in questo senso – al di là della battuta
d’arresto costituita dalla privatizzazione del rapporto di pubblico impiego e la
devoluzione, per altro parziale, delle relative controversie al giudice ordinario
(apparsa ingiustificata ad autorevole dottrina) – deve dirsi che il giudice
amministrativo tende sempre più ad assumere la veste di giudice naturalmente
competente a conoscere delle controversie su rapporti involgenti la posizione della
pubblica amministrazione o, comunque, regolate da un diritto pubblico derogatorio
rispetto al diritto comune.
75 La disposizione costituisce, a ben vedere, la risposta del legislatore
all’orientamento espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la
sentenza n. 500 del 1999, che riconosce il valore di norma primaria all’art. 2043 c.c. e
ritiene risarcibile il danno da illecito a prescindere dalla consistenza della posizione di
diritto o di interesse rispetto al bene della vita che si pretende leso. Ciò induce a
54
Sono comprese nella giurisdizione esclusiva, in quanto
appartenenti alla “materia urbanistica”, le controversie concernenti
tutti gli aspetti dell’uso del territorio determinate da atti,
provvedimenti o comportamenti della p.a., dunque ogni attività
giuridicamente rilevante, sia essa formale o materiale.
Per altro, fuori dalle ipotesi della giurisdizione esclusiva, due altri
principi limitano l’ammissibilità dei sequestri in materia. Il primo
attiene alla particolare disciplina cui sono assoggettati alcuni beni
dell’amministrazione, quali i beni demaniali e quelli indisponibili
riservati o destinati ad una funzione o ad un servizio pubblico. È
evidente che il sequestro, rendendo indisponibile il bene, ne
contraddice la destinazione pubblicistica. Il secondo limite è dato
dall’ordinario principio, posto dall’art. 4, comma 2, l. 20 marzo
1865, n. 2248, all. E, che vieta al giudice ordinario di incidere su atti
amministrativi: né il sequestro conservativo, né quello giudiziario
sono ammissibili quando elidono o limitano l’efficacia di un
provvedimento amministrativo, di carattere autoritativo, compiuto,
cioè, nell’esercizio di poteri pubblicisti attribuiti dalla legge 76.
13. Segue. I beni pubblici.
La sequestrabilità di beni demaniali non soggetti a concessione è
esclusa in ragione della loro destinazione a fini pubblici 77. In via di
principio il sequestro giudiziario di beni pubblici è inammissibile in
considerazione del regime giuridico degli stessi, in quanto destinati a
realizzare un fine di pubblico interesse, e consequenzialmente,
dell’impossibilità del giudice ordinario di adottare provvedimenti
che possono interferire con l’esercizio dei poteri autoritativi
spettanti alla p.a. sui beni medesimi 78.
ritenere che si sia inteso adottare un criterio di riparto fondato semplicemente sulla
domanda e non sul vecchio criterio dell’alternativa diritto-interesse; comunque sia in
tal modo tutte le controversie sul risarcimento del danno, compreso quello da illecito,
vengono attratte nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
76 V. ad esempio R. GALLI – D. GALLI, Corso di diritto amministrativo, II, Padova
2001, 1451 ss.; per tutti DOMINICHELLI, in Diritto amministrativo, a cura di MazzarolliPericu-Romano-Roversi Monaco-Scoca, Bologna 1998, 2111 ss.
77 G. VERDE-CAPPONI, op. ult. cit., III, 362.
78 Si veda invece Trib. Frosinone, 26 maggio 1986 in Foro it. 1987, I, 597, che
autorizza un sequestro giudiziario su un depuratore consortile del quale era stata
55
La preclusione non ricorre, quindi, in caso di concessione di beni
demaniali qualora insorga controversie fra privati su diritti oggetto
della concessione medesima, senza che il provvedimento cautelare,
operante inter partes, possa toccare l’esercizio dei poteri autoritativi
spettanti all’amministrazione concedente. In giurisprudenza si è
perciò ritenuta ammissibile la misura cautelare relativamente ai frutti
di un bene demaniale nel caso in cui abbiano formato oggetto di un
negozio di diritto privato fra il concessionario ed un terzo (trattavasi
di prodotti erbosi) 79. Il che appare corretto ove si consideri che in
base al negozio traslativo, consentito al concessionario, i prodotti
del bene demaniale erano destinati ad essere separati dal medesimo
ed a perdere pertanto la loro qualificazione pubblicistica.
Ugualmente è stato autorizzato il sequestro di un bene demaniale
nella controversia tra il concessionario ed un terzo, al quale il primo
si era obbligato a trasferire la facoltà e i poteri inerenti alla
concessione, consegnandogli il bene e obbligandosi a compiere le
formalità necessarie al subingresso dello stesso nella titolarità della
concessione 80. Bisogna, tuttavia, valutare se la materia non sia
attratta nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
laddove vengono in questione “atti, provvedimenti e i
comportamenti delle amministrazioni pubbliche …. in materia
urbanistica…”, ex art. 34 d. lgs. n. 80 del 1998.
Il sequestro è ammissibile quando si tratti di un bene disponibile della
p.a., la quale abbia stipulato con il privato un rapporto di carattere
privatistico, jure gestionis 81.
14. Segue. I beni oggetto di provvedimenti ablatori della pubblica
amministrazione.
revocata l’autorizzazione all’allacciamento: nominando un custode che provveda al
compimento di tutta una serie di attività tese al riallacciamento. Nel caso di specie,
appare evidente come il giudice ordinario sia intervenuto su un provvedimento di
revoca della Pubblica amministrazione.
79 Cass., 9 aprile 1954 n. 1135, in Giur. it. 1954, I, 1, 800.
80 Cass., 14 luglio 1981 n. 4592, in Giust. civ. 1981, I, 2488 ss., nella quale si
evidenzia, per altro, che la p.a. può non approvare il trasferimento e disporre la
revoca della concessione, così facendo venir meno la vicenda privatistica cui si
riferiva il sequestro; in ipotesi di sub concessione.
81 Cass., 22 febbraio 1974 n. 530.
56
In base alle considerazioni svolte nel precedente paragrafo, si
deve escludere il sequestro di immobili che abbiano formato oggetto
di provvedimenti amministrativi ablatori (espropriazioni,
occupazioni, requisizioni), a nulla rilevando che sia insorta
controversia in ordine alla legittimità del provvedimento. Infatti, il
potere del giudice ordinario di disporre il sequestro di un bene
privato di cui la p.a. abbia autoritativamente conseguito il possesso
deve essere coordinato con il principio di cui all’art. 4 della legge n.
2248 del 1865, nel senso che, comportando la modifica di tale
situazione, il sequestro può essere disposto solo se non esista un
titolo di diritto amministrativo che legittimi l’amministrazione a
detenere l’immobile, perché altrimenti il provvedimento medesimo
si risolverebbe in una revoca sia pure temporanea, dell’atto
amministrativo, che esula dall’ambito dei poteri del giudice ordinario
82. E poiché l’esistenza del titolo a favore dell’amministrazione
esclude lo jus possidendi del privato, che pertanto non è titolare di una
posizione di diritto soggettivo tutelabile dal giudice ordinario, il
divieto di adottare il provvedimento implica, in materia di sequestro,
anche il difetto di giurisdizione di detto giudice 83. Questa
conclusione è valida - si noti - non solo quando l’azione cautelare è
strumentale ad un giudizio proponibile o già proposto innanzi al
giudice amministrativo, ma anche quando, assumendosi che il
provvedimento sia stato emesso in carenza di potere, l’azione è
finalizzata alla tutela di una posizione di diritto soggettivo (la
proprietà o il possesso del bene ablato) ed è perciò proposta innanzi
al giudice ordinario. In tal caso è ugualmente precluso al giudice di
disporre la misura cautelare, la quale, comportando un sia pur
provvisorio spossessamento del bene controverso (affidato ad un
custode), si risolve in una revoca o riforma dell’atto amministrativo,
in violazione appunto dell'art. 4 della legge 20 marzo 1865, n. 2248,
all. E 84.
La situazione muta, invece, se l’atto ablatorio venga annullato dal
giudice amministrativo, perché allora la posizione del privato
riacquista l’originaria consistenza di diritto soggettivo e il potere del
V. ad es. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano 2001, 640.
V. sent. S. U. n. 3599 del 1989; n. 1158 del 1984; n. 373 del 1980; com’è noto,
ai fini della giurisdizione rileva la situazione soggettiva, non la natura del
provvedimento chiesto al giudice ordinario.
84 Cass. S. U., 16 gennaio 1980 n. 373.
82
83
57
giudice ordinario non trova ostacolo neppure quanto alla misura
cautelare 85.
A riguardo occorre aggiungere, anzi, che questa conseguenza si
produce ancorché la decisione di annullamento non sia diventata
cosa giudicata, stante l’esecutività stabilita dall’art. 33 comma primo
della legge n. 1034 del 1971 per la pronuncia del T.A.R. impugnata o
ancora soggetta al gravame.
In proposito si è talvolta sostenuto che, a differenza delle
decisioni coperte dal giudicato, quelle di annullamento prive di tale
forza precluderebbero all’amministrazione di dare ulteriore
esecuzione dell’atto annullato, ma non travolgerebbe, fino
all’eventuale giudicato formale, gli effetti già prodotti. La tesi non
può essere condivisa in quanto pone sullo stesso piano,
accomunandoli nella medesima disciplina, l’effetto proprio della
pronuncia di annullamento, cioè l’eliminazione dell’atto
amministrativo impugnato, e le modifiche sostanziali originate
dall’attività giuridica e materiale posta in essere sul presupposto della
validità dell’atto medesimo. Se in relazione a tali conseguenze
ulteriori si può porre, in concreto, un problema di rinvio al
passaggio in giudicato (ove si ritenga che per la loro rimozione,
dunque per la riduzione in pristino, si richieda il massimo grado di
certezza della statuizione), la sentenza di annullamento in ogni caso
elimina immediatamente l’atto impugnato, privandolo di efficacia
giuridica ed escludendo che possa essere considerato ancora
esistente dall’amministrazione; pertanto, la sentenza medesima
ripristina il rapporto precedente tra l’amministrazione e il privato, il
quale è restituito nella pienezza del diritto soggettivo di cui era
85 Laddove invece l’atto amministrativo sia non ancora annullato, ma soltanto
sospeso nel giudizio amministrativo, il giudice ordinario non riacquisterà alcun
potere, perché la sospensione riguarda l’efficacia, non l’atto in sé. Al riguardo, Cass.
S.U., 4 agosto 1989 n. 3599, in Giust. civ. 1990, I, 1046 ss., (con nota di CHIRULLI) ed
in Foro it. 1990, I, 552 precisa che il giudice ordinario avrebbe il potere di concedere il
sequestro giudiziario già anche a seguito della sospensione dell’atto amministrativo
ottenuta in via cautelare dal giudice amministrativo; la soluzione si giustifica tuttavia,
anche alla luce dell’esistenza del giudizio di convalida, che consente una valutazione
sul sequestro anche quando al giudice ordinario sia precluso il giudizio di merito
(nella specie di competenza del giudice amministrativo); istituto che adesso è ormai
abrogato. Sulla soluzione adottata, v. del resto già nel vigore della disciplina anteriore
al 1990 per il processo civile ed al 2000 per il processo amministrativo le perplessità
espresse dalla DI TARANTO, Sull’utilizzazione del sequestro giudiziario come mezzo di reazione
all’inadempimento di una ordinanza di sospensione, in Riv. trim. dir. proc. civ. 2000, 1383 ss.
58
titolare prima del provvedimento ablatorio. Ciò è sufficiente per
affermare la giurisdizione del giudice ordinario sulla domanda
cautelare proposta dal privato a tutela del suo diritto. Non ha rilievo,
infatti, la circostanza che la sentenza non è immutabile, giacché fin
quando non venga modificata (dal giudice dell’impugnazione), la
statuizione priva l’amministrazione del titolo autoritativo che le
attribuiva lo jus possidendi e che aveva efficacia degradatoria del
diritto del privato, per modo che, se ancora desse attuazione all’atto
impugnato, essa agirebbe sine titulo 86, e rimane naturalmente ferma la
possibilità di adire il giudice ordinario tutte le volte in cui
l’amministrazione abbia operato sine titulo 87.
Le considerazioni ora svolte, tuttavia, non si applicheranno
quando si tratti di immobili, alla luce del t.u. 8 giugno 2001 n. 327
(testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
di espropriazione di pubblica utilità, in vigore dal 30 giugno 2003)
che, per quanto concerne “…. l’espropriazione, anche a favore di
privati, dei beni immobili o di diritti relativi ad immobili ….” (art. 1),
ne devolve la giurisdizione esclusiva al giudice amministrativo per
tutte “ … le controversie aventi per oggetto gli atti, i provvedimenti,
gli accordi ed i comportamenti delle amministrazioni pubbliche e dei
soggetti ad esse equiparati ….” (art. 53), ciò che esclude la
competenza, anche solo residuale, del giudice ordinario, anche
quando l’amministrazione agisca sine titulo, ponendo in essere
appunto un’attività che appare ricompresa nell’espressione
“comportamenti” ora richiamata.
15. Segue. Le aziende esercitate in base a provvedimento amministrativo.
Si è posto il problema circa l’ammissibilità del sequestro
giudiziario quando l’azienda si riferisce ad un’attività economica
esercitata dal titolare in base ad un apposito provvedimento
concessorio o autorizzatorio. Si è affermato al riguardo che la
misura cautelare non interferisce sul provvedimento amministrativo
di concessione o di autorizzazione in forza del quale l’azienda è stata
86 In questo senso, da ultimo v. sent. Cass. S. U., 3 agosto 1989 n. 3599, cit.; Cass.
S. U., 7 agosto 1991 n. 8585; Cass. S.U., 24 novembre 1993 n. 11607.
87 V. ad es. DOMINICHELLI, op. cit., 2114. Ma diversamente v. R. GALLI – D.
GALLI, op. cit., 1455. ss.
59
in precedenza gestita, in quanto esso è destinato ad esaurire i suoi
effetti nell’ambito dei rapporti di diritto privato fra il titolare del
potere concesso o autorizzato e i terzi, e non pregiudica quelli di
diritto pubblico fra il predetto e l’autorità amministrativa 88.
Si è ritenuta ad esempio la giurisdizione del giudice ordinario a
concedere il sequestro di aziende relative a distributori automatici di
carburante, ancorché non venga nominato custode il precedente
gestore e salvo, peraltro, l’obbligo per il custode di munirsi della
licenza prescritta dall’art. 3 primo comma d.l. 5 maggio 1957, n. 271,
convertito in l. 2 luglio 1957, n. 474 89.
Le licenze e le autorizzazioni occorrenti per l’esercizio di
un’impresa non entrano in collisione con il provvedimento di
sequestro perché rispetto a questo svolgono una funzione ed hanno
una efficacia del tutto propria e distinta. L’ipotesi di una modifica
dell’autorizzazione o della licenza potrebbe profilarsi se il giudice
ordinario, nominando custode dell’azienda sequestranda persona
diversa dal titolare della licenza o dell’autorizzazione, le trasferisse
l’intestazione di tali atti o comunque le conferisse il potere di gestire
senz’altro l’azienda sottoposta a vincolo. Ma che il custode è tenuto
a munirsi a sua volta di autorizzazione o licenza, sul rilascio della
quale l’autorità amministrativa deciderà senza che alcun vincolo ne
derivi dal provvedimento giurisdizionale 90. Sarà questo, invece, che
rimarrà privo di efficacia, e dovrà essere rinnovato con altra
designazione, qualora il custode non ottenga l’assenso della p.a. Si
potrebbe, tuttavia, più analiticamente distinguere a seconda che il
Cass., 25 novembre 1974 n. 3819, in Foro it. 1975, I, 588 con osservazione di
BARONE , La licenza amministrativa opera anche nei confronti dei legittimi sostituti, tra i quali
va annoverato il custode: v. Cass., 21 ottobre 1971 n. 2955; Trib. Monza, 29 gennaio
2001, cit., ha escluso il sequestro dell’autorizzazione amministrativa, concedendo
invece il sequestro di tutte le quote sociali di una società in nome collettivo (e non
direttamente dell’azienda: v. retro al par. 8) sulla cui proprietà si controverteva.
89 Cass., 25 novembre 1974 n. 3819.
90 Cass., 11 luglio 1996 n. 6325: “…D’altro canto la licenza, per il suo carattere
personale, consente l’esercizio dell’attività aziendale esclusivamente da parte del
titolare e dei suoi legittimi sostituti e tra questi ultimi deve ritenersi compreso anche il
custode nel sequestro giudiziario, il quale, anche se persona diversa dal titolare, può
legittimamente gestire l’esercizio commerciale: con la citata sentenza a S. U. n. 2955
del 1971, infatti, questa Corte ha affermato che la nomina del custode nel sequestro
d’azienda in persona diversa dal titolare non importa alcuna modificazione od
ingerenza nei poteri spettanti all’amministrazione che ha concesso la relativa licenza,
provvedimento che comunque condiziona il legittimo esercizio dell’azienda proprio
perché il custode è sostituto del titolare”.
88
60
provvedimento amministrativo di licenza o autorizzazione
riguardanti il soggetto o l’attività aziendale, riservando solo alla
prima ipotesi la necessità del custode di munirsi della prescritta
autorizzazione. Invero, l’autorizzazione e la licenza non hanno
carattere imperativo, bensì solo permissivo, nel senso che non
impongono a coloro cui sono rilasciate di svolgere una determinata
attività, ma si limitano a renderne possibile l’esercizio, talora a
determinate condizioni (che hanno natura di oneri accessori).
_____ ______ _____
È stato precisato in giurisprudenza ancora come non sia invece
ammissibile la richiesta del sequestro giudiziario proprio ed
esclusivamente sulla licenza 91, e non sull’azienda.
É sorta questione sull’ammissibilità del sequestro giudiziario di
una farmacia, in considerazione delle interferenze che possono
verificarsi tra il provvedimento giurisdizionale e l’atto
amministrativo che consente l’esercizio farmaceutico.
La giurisprudenza ha dato al quesito risposta positiva, sempre che
il sequestro giudiziario non determini la dissociazione della titolarità
della farmacia dalla relativa gestione; ciò che potrà essere evitato dal
giudice, imponendo particolari modalità della custodia, ai sensi dell’art.
676 c.p.c. 92.
In proposito è stato osservato che il sequestro giudiziario di una
farmacia, adottato nel rispetto della normativa in materia, non incide
sugli aspetti pubblicistici dell’attività farmaceutica, la quale, sebbene
regolata anche da norme di diritto pubblico che l’assoggettano al
controllo dell’amministrazione in relazione al conferimento della
titolarità e sia nello svolgimento del servizio, resta
fondamentalmente un’attività economica privata, cui si applica
91 Cass., 15 novembre 1985 n. 5596, in Giust. civ. 1986, I, 758; Cass., 21 ottobre
1971 n. 2955, in Riv. dir. civ. 1972, I, 85; da ultimo, Trib. Monza, 29 gennaio 2001, in
Giur. Mil. 2001, 209; PROTETTÌ, op. cit., 11, sostiene che il provvedimento di sequestro
sulla licenza riguarderebbe direttamente l’atto amministrativo, ed inciderebbe sul potere attribuito
alla P.A., perché il provvedimento di sequestro tenderebbe in pratica a vietare
l’esercizio impedendo la revoca la modifica il trasferimento dell’azienda e la
intestazione della licenza ad un nuovo titolare.
92 Cass. S. U., 17 gennaio 1986 n. 274, in Foro it. 1986, I, 1910, con nota di
FERRARA ; Cass., 13 febbraio 1963 n. 286, in Giust. civ. 1963, I, 1626 e Foro amm. 1963,
II, 322. In senso contrario, Trib. Napoli, 1° ottobre 1954, in Foro it. 1955, I, 1133.
61
l’ordinaria disciplina dell’impresa commerciale 93. Muovendo da
questa premessa, il principio è stato ritenuto valido anche nel
quadro della disciplina introdotta con la l. 2 aprile 1968, n. 475, che
ha modificato in parte qua il t.u. delle leggi sanitarie 27 luglio 1934, n.
1265. Una volta ritenuto, infatti, che l’azienda farmaceutica, intesa
come complesso dei beni organizzati dal farmacista per l’esercizio
dell’attività, forma oggetto di ordinari rapporti e situazioni di diritto
privato, non vi sono valide ragioni per negare in modo assoluto il
potere del giudice ordinario di adottare, a tutela di posizioni di
diritto soggettivo di terzi, provvedimenti cautelari concernenti
l’azienda medesima, in particolare di autorizzarne il sequestro
giudiziario ove ne sia controversa la proprietà o il possesso 94.
Effettivamente la l. n. 475 del 1968 ha reso necessaria la
coincidenza nella stessa persona delle qualità di titolare e di gestore
della farmacia, stabilendo che la titolarità impone inscindibilmente la
conduzione tecnico-professionale del servizio e la gestione
patrimoniale dell’azienda (art. 11), ed altresì sanzionando con la
decadenza dal servizio il trasferimento del diritto di esercizio non
accompagnato da quello della connessa azienda commerciale (art.
12) 95. Come la Corte di Cassazione ha più volte precisato, il titolare
deve avere, cioè, la gestione personale e diretta dei beni patrimoniali
della farmacia, per modo che non solo non è consentito che un
93 In questa prospettiva la Corte di Cassazione aveva in precedenza escluso che il
rapporto giuridico fra il farmacista e la p.a. abbia natura di concessione di pubblico
servizio. Cass. S. U., 9 novembre 1985, in Foro it. 1986, I, 982.
94 Come rileva la sent. n. 274 del 1986, una tale controversia può ora insorgere
anche in conseguenza di trasferimento inter vivos del diritto di esercizio della farmacia,
che la nuova legge, accentuando la connotazione patrimoniale dell’impresa
farmaceutica, ha consentito a determinare condizioni: art. 12 della l. n. 475 del 1968.
95 L’originario art. 11 della l. 475 del 1968 (“Il titolare della farmacia deve avere la
gestione diretta dell’esercizio e dei beni patrimoniali della farmacia… È tuttavia
consentita la sostituzione temporanea con altro farmacista iscritto all’ordine dei
farmacisti nella conduzione professionale ed economica della farmacia: a) per motivi
di salute; …………”) è stato in parte modificato dall’art. 11 della l. 362 del 1991 (“Il
titolare della farmacia ha la responsabilità del regolare esercizio e della gestione dei
beni patrimoniali della farmacia. L’unità sanitaria locale competente per territorio
autorizza, a seguito di motivata domanda del titolare della farmacia, la sostituzione
temporanea con altro farmacista iscritto all’ordine dei farmacisti nella conduzione
professionale della farmacia: a) per infermità;…. È facoltà del titolare della farmacia
conferire al sostituto la conduzione economica.”) Le richiamate modifiche, tuttavia,
non ci sembrano dover condurre a conseguenze rilevanti in ordine alle problematiche
sull’ammissibilità (e le modalità di attuazione) del sequestro giudiziario sulla farmacia.
62
terzo si sostituisca a lui o comunque interferisca nella direzione
tecnica del servizio, ma è altresì vietata la costituzione di rapporti
che attribuiscono ad un diverso soggetto la gestione economicopatrimoniale dell’azienda 96.
Alla stregua di tale disciplina, potrebbe dunque ritenersi viziato
per eccesso di potere giurisdizionale tanto il provvedimento di
sequestro che, incidendo immediatamente sull’atto amministrativo
di autorizzazione all’esercizio, sostituisce il titolare con il custode
(per sé munito di abilitazione professionale) anche nella conduzione
tecnica del servizio, quanto probabilmente anche il provvedimento
che affidasse al custode giudiziario la sola gestione economica
dell’azienda farmaceutica. Ma è altrettanto evidente che il
provvedimento di sequestro risulta legittimo quando la cautela
venga costituita in conformità alla disciplina suddetta, conservando
al titolare della gestione della farmacia. Ciò si verifica, anzitutto, nel
casi in cui la custodia ed amministrazione dell’azienda farmaceutica
vengono affidate allo stesso titolare destinatario della misura
cautelare: questa non interferisce con la titolarità e le modalità
dell’esercizio farmaceutico bensì incide soltanto sul titolo
(privatistico) della gestione dell’impresa, che viene svolta dal titolare
- custode non più nel proprio interesse, ma quale ausiliare del
giudice e per fini di giustizia.
Al medesimo risultato si perviene, poi, quando con il
provvedimento cautelare la custodia dell’azienda sia affidata ad un
estraneo e tuttavia il titolare venga autorizzato a gestire la farmacia,
così ottenendo la persona disponibilità, sia pure sotto la sorveglianza
anche contabile del custode (che curerà di acquisire i ricavi), dei beni
e dei mezzi occorrenti per l’esercizio dell’impresa 97. La misura
cautelare non interferisce con la disciplina pubblicistica dell’attività,
venendo ad incidere solo sugli aspetti patrimoniali della gestione, i
cui risultati utili sono acquisiti dall’amministrazione giudiziale.
Cfr., tra altre, Cass. S. U., 8 novembre 1983 n. 6587, in Foro it. 1984, I, 465.
V. ad es. Trib. Arezzo, 3 aprile 1995, in Ra. giu. farm. 1996, fasc. 34, 97: può
essere disposto, a norma dell’art. 670 c.p.c., nominando un custode con compiti di
controllo contabile ed attinenti all’acquisizione dei ricavi e con l’obbligo di offrire al
gestore i mezzi finanziari necessari per l’esercizio dell’impresa ed affidando la
gestione dell’azienda al titolare della farmacia. Trib. Salerno, 30 aprile 1996, in Ra. giu.
farm. 1996, fasc. 36, 47, affida la sorveglianza contabile ad un custode, lasciando il
titolare della farmacia nella gestione dell’impresa per il suo esercizio.
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In conclusione, in forza del principio che vieta la dissociazione
della titolarità della gestione della farmacia, il sequestro può essere
autorizzato solo con le modalità suddette - che il giudice ha il
potere-dovere di stabilire - giacché in tal caso non si riscontra
eccesso di potere giurisdizionale, secondo il principio innanzi
ricordato 98.
98 Ritenendo ammissibile con questi precisi limiti il provvedimento cautelare, si
superano le perplessità manifestate dalla dottrina: cfr. ANGELICI, L’organizzazione del
servizio farmaceutico, Milano 1972, 100 ss., il quale, pur ritenendo consentito, in via di
principio, il sequestro giudiziario che incide solo sui rapporti privatistici, sostiene che
esso non possa investire l’azienda nella sua globalità, ma debba essere limitato a
particolari categorie di merci giacenti nella farmacia.
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I beni suscettibili di sequestro giudiziario