INTRODUZIONE Preghiera Corale Ave Maria!... Donna dell’attesa e madre di speranza, prega per noi! Donna del silenzio e madre del servizio, prega per noi! Donna di frontiera e madre del coraggio, prega per noi! Donna del sentiero e madre della mèta, prega per noi! Ave Maria!... Donna del deserto e madre del riposo, Donna della sera e madre del ricordo, Donna del presente e madre del futuro, Donna della terra e madre dell’amore, prega per noi! prega per noi! prega per noi! prega per noi! Ave Maria!... Donna del villaggio e madre dell'Agnello, Donna delle nozze e madre della gioia, Donna della Croce e madre del Risorto, Donna del perdono e madre della pace, prega per noi! prega per noi! prega per noi! prega per noi! Ave Maria!... Canto: Noi veglieremo Nella notte, o Dio, noi veglieremo, con le lampade, vestiti a festa: presto arriverai, e sarà giorno. Rallegratevi in attesa del Signore: improvvisa giungerà la sua voce. Quando lui verrà, sarete pronti, e vi chiamerà “amici” per sempre. Raccogliete per il giorno della vita, dove tutto sarà giovane in eterno. Quando lui verrà, sarete pronti, e vi chiamerà “amici” per sempre. PRIMA TAPPA – PIAZZA DEL POPOLO VERSO UN’INTEGRAZIONE EFFICACE, SOSTENIBILE E BIDIREZIONALE, FATTA DI CONDIVISIONE DELLE DIFFICOLTA’, ACCETTAZIONE DELLE DIVERSITA’, DISPONIBILITA’ AL CAMBIAMENTO. Il Ce.I.S. si occupa di immigrazione ormai da più di 10 anni. Il lavoro con le persone immigrate si sviluppa in due poli, la Parrocchia di S. Pellegrino e il Servizio Immigrati presso la sede legale del Ce.I.S. In Parrocchia è attivo un Centro d’Ascolto che negli ultimi 6 anni ha incontrato oltre 8400 persone , di cui circa 5850 donne. Il 95% delle donne lavorava o era interessato a lavorare nel settore domestico. Nel 2008 al Centro d’Ascolto si sono rivolte 1190 persone per la prima volta (nuovi ascolti) e in totale si sono ascoltate circa 2600 persone, di queste l’80% era di sesso femminile. Mensilmente al centro di ascolto si incontrano oltre 200 persone per attività di ascolto, accoglienza e orientamento Al Ce.I.S. si effettua un servizio più mirato che si occupa principalmente di dare consulenza a lavoratori stranieri, nella stragrande maggioranza donne, impegnati nel lavoro di cura, e a famiglie che si avvalgono di questi lavoratori per prestazioni a domicilio di vario genere, soprattutto assistenza ad anziani. La maggior parte dell’utenza straniera proviene dall’Europa dell’Est. Dal 2004 a ottobre 2008 al Servizio Immigrati del Ce.I.S. si sono rivolte 1840 persone, di queste più del 90% è di sesso femminile. L’età media è superiore ai 43 anni. Per quanto riguarda le consulenze alle famiglie dal 2004 a ottobre 2008 al servizio Immigrati del Ce.I.S. si sono rivolte quasi 2900 famiglie. Adesso ascoltiamo una testimonianza di una signora georgiana che da 4 anni vive in Italia. Il suo percorso parte da una condizione di irregolarità e dopo anni di fatiche diviene presenza regolare. LELA Mi chiamo Lela Eminashvili, vengo dalla Georgia e ho 36 anni. Ho 2 figli, una ragazza di 17 anni che si chiama Natia e un bimbo di 12 che si chiama Gurami. Vivo in Italia da quasi 4 anni e da circa 2 anni abito presso la chiesa di S. Croce. Ho deciso di lasciare il mio paese e la mia famiglia perchè lavorando come insegnante di scuola elementare riuscivo a guadagnare uno stipendio di € 40 al mese e con questi soldi riuscivo a comprare cibo per 1 settimana per 3 persone. A quel tempo vivevo con i miei genitori che mi aiutavano a mantenere i figli, ma la situazione non era sostenibile. In casa eravamo in 5 e vivevamo con il mio stipendio, la pensione di mio padre che era di € 20 e gli introiti dell’attività di mia madre, che aveva un piccolo negozio di vestiti e guadagnava circa € 200 al mese. Io vivevo alle loro spalle e questa situazione era per me insostenibile. Inoltre l’attività di mia madre, che oggi ha 72 anni, era in pericolo e per mantenere un piccolo guadagno lei era costretta a fare lunghi viaggi per acquistare i vestiti a prezzi bassi e rivenderli guadagnando qualcosa. In Georgia la popolazione stava bene, guadagnava abbastanza, andava in vacanza, tutti lavoravano fino al 1989, anno in cui c’è stata una grande guerra di separazione tra Georgia e Russia. Da quell’anno la situazione è sempre peggiorata, mancavano anche l’energia e il gas, la popolazione non aveva di che vivere. I miglioramenti che ci sono stati dall’1989 penso si possano imputare agli emigrati che mandano soldi a casa, sono circa l’80% dei georgiani, in ogni famiglia c’è almeno un emigrato. Passare nel giro di qualche mese da una situazione di discreto benessere ad una dove ti manca il pane per mangiare è una cosa terribile, indescrivibile. Sono partita da Tbilisi in autobus con un visto per turismo che ho comprato al costo di 3000 dollari. Sono arrivata in Italia 2 settimane dopo e mi sono fermata a Reggio Emilia, perché qui abitava mia zia da circa 4 mesi. Lei mi ha aiutata a muovermi per la città e ad andare alla chiesa di S. Pellegrino per chiedere aiuto per conoscere la lingua italiana, per trovare ospitalità e iniziare la ricerca di un lavoro. Ho trovato il mio primo lavoro dopo 5 mesi, i miei debiti nel frattempo erano diventati 4000 dollari, per me una cifra altissima (con il mio stipendio a pagare il debito avrei impiegato più di 8 anni senza avere niente in tasca). Da quando sono il Italia ho cambiato 3 lavori: ho fatto la badante a tempo pieno e la baby sitter che sto ancora facendo. Mi sono sempre trovata abbastanza bene e mi sono affezionata alla persone che ho assistito, anche se in alcuni casi ci sono state delle incomprensioni per me difficili da spiegare, perché a volte non ho capito cos’era che non andava bene. Per il mio futuro non riesco a fare programmi, riesco solo a pensare al domani, non riesco a programmare più avanti, non posso dire nulla. Certo vorrei stare con i miei figli, ma adesso non sono pronta, sarebbe un passo troppo azzardato per una donna sola. Oggi ringrazio Dio di avermi guidata in questa avventura e di aver messo sulla mia strada tante buone persone che mi hanno aiutata e protetta. Dalla nostra esperienza abbiamo maturato alcune riflessioni che vorremmo sottoporre alla vostra attenzione. Vorremmo che queste persone esistessero soltanto dalle 8.00 del mattino alle 20.00 di sera e che scomparissero nei festivi. Vorremmo che le badanti, e gli stranieri in genere, esistessero soltanto all’interno delle nostre case, per assistere i nostri anziani, ma che non occupassero posti pubblici e fossero invisibili nel loro tempo libero. Perché? Perché ci fanno paura, sono diverse da noi, portano storie, culture, abitudini e mode a noi non assimilabili, a noi estranee. Abbiamo bisogno di queste persone e loro hanno bisogno di noi, ma con loro non vogliamo avere a che fare, se non per ciò di cui abbiamo bisogno e quando ne abbiamo bisogno. Non è certamente giusto pretendere che noi cambiamo le nostre abitudini, così come non è nemmeno giusto che chi viene da una realtà diversa dalla nostra si adegui completamente all’ambiente in cui si trova, per necessità, a vivere e lavorare. Le differenze spesso sono una ricchezza, il conoscersi e confrontarsi è una ricchezza. Ma spesso ciò che non ci appartiene viene visto come qualcosa di estraneo, da sfuggire e respingere. Ciò che chiediamo loro è di assistere i nostri anziani o i nostri bambini e pulire le nostre case, i nostri regni, il nostro privato: questo è un lavoro importante e delicatissimo, che necessariamente comporta un grande impegno e estrema serietà da parte di chi lo svolge. A loro chiediamo affidabilità, correttezza, onestà, puntualità e in cambio cosa diamo loro? Soldi? Questi sono indispensabili, ma non sufficienti a far sì che un lavoro così delicato sia svolto nel migliore dei modi. Per assistere una persona anziana o accudire un bambino, chiediamo, a volte non esplicitamente ma è sottinteso, un coinvolgimento personale, un investimento in sentimenti. Ma spesso non siamo disponibili a condividere il vissuto delle persone che hanno un ruolo così importante nella nostra vita e nella nostra società. Queste frasi voglio essere uno spunto per riflettere e per suggerire disponibilità e curiosità nei confronti di chi incappa sulla nostra strada. E’ innegabile che anche da parte delle persone straniere che incontriamo sulla nostra strada a volte ci sia questo stesso atteggiamento. Vengono in Italia per lavorare, guadagnare e sostenere le loro famiglie allargate a sopravvivere e pian piano ad uscire dall’indigenza. Molte di loro non riescono o non hanno voglia di investire in relazioni e di vivere attivamente la loro vita di immigrate. Su questo bisogna lavorare ed avere l’obbiettivo di costruire relazioni, integrazione, condivisione e crescita. Per concludere è necessario fare una riflessione sulle realtà di illegalità e sfruttamento. E’ importante prima di tutto segnalare che la legge sull’immigrazione attuale non risponde appieno e non consente il controllo della situazione che stiamo vivendo. Il sistema dei flussi d’ingresso, che fino ad oggi è stato l’unica opportunità di ingresso regolare per lavoro, è una sanatoria mascherata e crea ostacoli inutili e crudeli, come i tempi intollerabilmente lunghi per avere il permesso di soggiorno (basti dire che oggi non sono stati occupati tutti i posti disponibili per il decreto flussi dell’anno scorso). Inoltre questo sistema così complicato permette forme di sfruttamento osceno, come la richiesta di grosse somme di denaro per una firma su una domanda per un lavoro inesistente (io mi presto per te a presentare una domanda di ingresso per lavoro a patto che tu mi paghi €3 – 4.000). Questa legislazione non riesce a combattere condizioni di illegalità e sfruttamento, che proliferano continuamente. La linea dura e la chiusura delle frontiere non fermerà l’ingresso irregolare di persone disperate che non hanno alternative. E’ necessario riflettere e valutare se l’aumento di controlli e di sanzioni sia sufficiente a portare sicurezza e pace, o se invece ci siano altre strade da percorrere. Ad oggi ciò che si respira è un clima di illegalità e sfruttamento a discapito delle persone più deboli sia italiane che straniere. Per concludere riprenderei ciò che è stato sintetizzato nella frase introduttiva: è necessario lavorare insieme con determinazione per costruire condivisione e sintonia, consapevoli che le diversità creano tensioni e portano al cambiamento soltanto dopo sperimentazioni, fallimenti e sofferenza. La realtà futura è quella che ci vede insieme, ancorché provenienti da realtà e paesi diversi. Per chi ha voglia di approfondire: Parrocchia S. Pellegrino VALENTINA ZIMENKO 0522282821 Ce.I.S. 0522451800 Servizio Immigrati NORA MONTI 3351720071 _ RAMONA VIZITEU 3351721539 SECONDA TAPPA – PIAZZETTA OSPEDALE IL LAVORO NERO, IL LAVORO SOMMERSO E QUELLO PRECARIO Il lavoro “nero” e quello sommerso sono tra i “mali” che colpiscono il nostro mercato del lavoro. Fenomeni che, negli anni, sono diventati sempre più preoccupanti. Anche la nostra provincia non è immune rispetto a questo problema, lo dimostrano i dati relativi alle ispezioni effettuate dalla Direzione provinciale del lavoro di Reggio nel primo semestre 2008. A fronte di 794 aziende ispezionate del primo semestre 2007 sono risultare irregolari 265, mentre nel primo semestre 2008 a fronte di 601 aziende ispezionate sono risultare irregolari 322. In queste aziende nel primo semestre 2007 sono state individuati 719 lavoratori irregolari di cui 329 totalmente in “nero”, nel 2008 sono stati individuati 663 lavoratori irregolari di cui 343 totalmente in “nero”. I dati ci dicono che a fronte di un numero minore di aziende ispezionate, il numero di aziende irregolari e di lavoratori totalmente in “nero” cresce fortemente. Quindi questo fenomeno è presente anche nella ricca ed evoluta Reggio Emilia e si sviluppa a partire dallo sfruttamento di chi è in cerca di un lavoro “qualsiasi”, che in molti casi sono immigrati clandestini ed extracomunitari. Diventa vero e proprio sfruttamento della persona quando per poche decine di euro si svolgono prestazioni lavorative giornaliere nel dispregio delle più elementari forme di “sicurezza sul lavoro” e senza il rispetto di alcun diritto. Bisogna quindi riportare questo problema all’interno del più diffuso problema dell’illegalità. Coloro che ingaggiano persone per svolgere attività di lavoro “nero” e irregolare tendono quindi a trattare le persone come merci negando nei fatti la dignità di ogni individuo. Il lavoro dovrebbe essere uno degli strumenti di promozione delle dignità dell’uomo e di miglioramento delle condizioni materiali, e non solo. Rischia invece di diventare, attraverso il lavoro “nero” e irregolare, la peggiore forma di sopraffazione e di sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Abbiamo quindi un dovere fondamentale di non chiudere gli occhi di fronte a questi fenomeni (che tutti i giorni possiamo osservare) recuperando la capacità di scandalizzarci quando incontriamo queste situazioni che mortificano l’uomo e il suo lavoro. L’eliminazione di questa ingiustizia può diventare un elemento contro la debolezza di fronte ai propri bisogni in cui si trovano molte persone all’interno della nostra società che sono ultimi fra gli ultimi, in alcuni casi “invisibili”. Non possiamo rassegnarci. Anzi. Dobbiamo, tutti noi, “denunciare” le situazioni di ingiustizia e di sopraffazione. Solo così qualcosa potrà cambiare. Capacità di vedere, indignarsi e cambiare che dobbiamo esercitare anche di fronte alla preoccupante situazione di precarietà vissuta da tanti nostri giovani i quali vedono “bloccate” le porte d'accesso al mondo del lavoro. E spesso, quindi, ad un progetto di vita familiare. Il paradigma che la società e il mondo del lavoro propone alle nuove generazioni oggi è la “vita a termine”, attraverso occupazioni precarie che, quando va bene, durano un anno. Storie di giovani, stretti fra i ricatti della precarietà e l’aspirazione di un’esigenza il più possibile normale. Quella che permettere di progettare un futuro familiare o accedere ad un mutuo per comprare casa. Storie che ci riguardano tutti da vicino perché c’è una generazione, quella dei trentenni, che ci lancia una richiesta quotidiana di cittadinanza. Da tempo diciamo che la flessibilità non va demonizzata ma che essa non può essere però sinonimo di precarietà. La parola futuro, per un’intera generazione, non può e non deve essere cancellata. Per questo, tutti noi, dobbiamo raccogliere il grido d’allarme che viene dai nostri giovani. Per restituire loro ciò che oggi hanno perso: la speranza. REDUANE Io mi chiamo Reduane stato un giorno in un bar, è arrivato un tunisino che cercava un operaio specializzato. Mi sono messo d’accordo io e lui per 12 € all’ora con contratto di sei mesi. Mi ha fatto andare a lavorare solo 2 mesi in un cantiere pubblico, è ho fatto un lavoro più duro che non poteva fare nessuno quel lavoro li, perchè pericoloso. Poi alla fine dei due mesi mi ha mandato via. Allora ho detto “dammi la busta paga, dammi la busta paga” ma c’era solo un foglio con i soldi scritti , ma l’assegno non c’è- Dov’è l’assegno?? Ho chiesto e mi ha detto “per l’assegno aspettate venerdì, …venerdì” Allora ho parlato col patrono, con il direttore del lavoro. E il direttore del cantiere mi ha detto “ tu sei stato pagato” ma io l’assegno e i soldi non li ho avuti. Poi ho chiesto “dov’è la ferie?” Devi sentire il Tunisino. Ma che cos’è questa storia?? Io lavoro e un altro mi prende l’assegno… Io non so… TARAK Sono Tarak, Tunisino, con permesso di soggiorno regolare in Italia dal 2002- Ho lavorato all’alta velocità ai cantieri a Bologna e ho visto che ci sono assai casini. Ho lavorato per due anni con contratto a tempo indeterminato, ma però ci sono altri colleghi marocchini con me che lavorano anche senza permesso di soggiorno . Per me questo lavoro è pesante, così pesante che non tutti possono fare questo lavoro. Ho avuto assai problemi di salute e poi sono stato licenziato senza motivo perché, finita la galleria, è finito il lavoro pesante li. Io sono andato a chiedere i miei diritti, ma fino a ora non ho preso nulla. Ho avuto anche un infortunio nel lavoro “ tendinopatia all’astensore della mano”. E poi per fortuna che io ho il permesso di soggiorno e posso andare avanti magari con una causa posso entrare nel tribunale con l’aiuto del sindacato, per ottenere i soldi dell’infortunio. Invece ci sono altri di amici con me che non hanno il permesso di soggiorno che hanno lavorato li per 4 anni, non sono fortunati, …, io sono fortunato perché ho preso un TFR per un anno, loro hanno perso il posto di lavoro e il TFR non hanno preso. Io ho tutta la documentazione anche i nomi di queste persone. Anche l’indennità di galleria, non l’ho mai avuto, anche se dovevano darla. Lavoriamo in questa galleria dieci ore al giorno, entriamo in galleria alle 7.00 usciamo alle 6 (18), senza indennità di galleria 30%, non pagato, le ferie non sono pagate. Poi arriviamo in agosto e troviamo le ferie nella busta paga, PER ESEMPIO in agosto lavoriamo 10 giorni poi andiamo a casa e torniamo a settembre dalle ferie. Quando torniamo, a settembre, prendiamo questa busta paga e troviamo, per esempio, 1.200 euro. Ma poi il datore di lavoro, il capo, ci chiede di ritornare questi soldi con il nostro bancomat. E così noi ridiamo indietro i soldi al datore di lavoro, e diciamo che hanno fatto uno sbaglio. C’è gente così a Bologna che fa assumere persone con contratto indeterminato con permesso di soggiorno falso. Ci sono alcuni che lavorano come dipendenti o artigiani... Gli artigiani assumono così una persona in regola prendono un DURC per essere in regola, poi di quella persona in regola, falsificando il permesso di soggiorno con il cambio della sola fotografia di un altro amico e vai avanti così, capito?.... queste persone lavorano un mese due mesi…e poi non li pagano e così li fanno, lavorano per un mese, due mesi e poi li mandano via e non li pagano. RED ONE Io mi chiamo Red One dove sono lavoratori ci sono …..marocchini a 30 anni pagano come trentista 6 euro all’ora come …… si pagano in busta paga 800€ il resto in nero, la casa non hanno dove dormire, un sacco di casini, andati in via adua la..in quel cantiere di merda e come trattano la gente VERONICA Mi chiamo Veronica ho 19 anni, ho abbandonato la scuola a 17 anni. Nei primi giorni di giugno del 2008 e precisamente dal 10 giugno 08 ho cominciato a lavorare presso un albergo ristorante . Mi sono presentata il 9 giugno dopo aver letto un annuncio di lavoro che ricercava una cameriera. La Sig.ra Rosa si è presentata come uno dei soci/titolari e mi disse che avrei dovuto mettere a posto le stanze dell’albergo e solo se fosse stato necessario avrei fatto la cameriera al ristorante. La Sig.ra Rosa mi disse anche di portare i ducumenti che servivano per fare l’assunzione. Il primo giorno che ho cominciato a lavorare ho consegnato i documenti e mi è stato detto che in pochi giorni il commercialista dell’albergo avrebbe mandato il contratto di lavoro. Ho cominciato il lavoro il 10 giugno lavorando dalle 9.00 alle 11.00 ore al giorno, mettevo a posto le camere dell’albergo cominciando al mattino alle 8.30 con pausa pranzo di un’ora e finivo il mio lavoro alla sera alle 19.00 o alle 20.00. Alcune domeniche ho servito le colazioni. Dopo una decina di giorni ho chiesto se era pronto il mio contratto ma mi dissero che il commercialista era impegnato con le denuncie fiscali e quindi dovevo aspettare. Mentre lavoravo venivo incitata ad essere più svelta e a rendermi sempre più disponibile e che se avrei voluto lavorare dovevo essere più veloce. Il 29 Giugno ho richiesto ancora il mio contratto ed anche in che data sarei stata pagata. Da quel giorno incominciarono a dirmi, la Sig.ra Rosa in particolare, che non ero capace di lavorare e che loro ritenevano non avessi “ voglia” di lavorare. Il 19 Luglio la Sig.ra Rosa mi chiama e mi dice che dal giorno dopo dovevo stare a casa perché non avevano più bisogno; che non era in grado di essere veloce e quindi ripresentarmi alla fine del mese di luglio perché mi sarebbe stato dato quanto dovevo ricevere per il periodo lavorato. Dal 10 guigno al 1 luglio ho lavorato 183 ore facendo sempre quello che mi veniva ordinato. Ho capito solo alla fine del mese di Luglio, quando mi sono presentata per prendere ciò che mi spettava che non solo l’assunzione non erano riusciti ad attivarla, e quindi avevo lavorato in nero, ma mi comunicavano che dovevo tornare a fine settembre per prendere ciò che mi spettava, ma sempre e solo se avessero avuto “ disponibilità economiche “ perché avevano problemi a chiamarmi. Era la mia seconda esperienza di lavoro, e la cosa che più mi ha fatto rabbia e che sono stata sfruttata e non pagata, ma anche mi sono state raccontate un mucchio di bugie. Diventa quindi difficile avere per il futuro “ fiducia” nelle persone e per quanto ti raccontano. TERZA TAPPA – PARCHEGGIO EX CAAM CONSUMI E STILI DI VITA Conoscere i consumi e gli stili di vita correlati all’uso di sostanze è sempre più necessario. Le sostanze, un tempo individuate come legate al mondo del disagio e dell’illegalità, oggi rischiano di essere l’opposto: oggetto e indicatore di normalità e inserimento sociale. L’uso sempre più diffuso di ogni tipo di sostanza performante è realmente molto preoccupante e attraversa tutte le età e i ceti sociali. Per quanto riguarda le droghe illegali è fin troppo facile dimostrare che siamo in un periodo di aumento esponenziale. Ormai tutti i giornali riportano articoli sulla costante crescita di cocaina in tutti i contesti; Serpelloni, nuovo Direttore del Dipartimento Nazionale politiche antidroga, ha dichiarato al Cocaina Verona Congress che il 4% della popolazione italiana dice di aver fatto uso almeno una volta nella vita di cocaina; il che mette l’Italia al 4° posto in Europa per utilizzo di questa sostanza; inoltre sappiamo che i cocainomani uomini in 4 anni sono aumentati del 30%, quelli donne del 50%; e purtroppo sappiamo anche che questi numeri sembrano destinati a salire ancora e ad essere a affiancati ad altre novità del mercato. La crescita continua del consumo di cocaina risponde perfettamente al mutamento del nostro contesto sociale. In una società dove ciò che conta sempre di più è l’immagine, l’efficienza, la performance, qualsiasi “scorciatoia” che permetta all’uomo di superare i suoi limiti fisici è accettata e apprezzata. E lo si vede bene anche nella crescita di tutte le sostanze legali che permettono di sentirsi più performanti o più a proprio agio all’interno di situazioni di vita quotidiane: alcol, psicofarmaci, negozi Smart Shop, energy drink, sono in costante aumento. La ricerca sull’alcol dell’Eurobarometro, ha già sottolineato che l’Italia registra un preoccupante primato: il 10% degli intervistati dichiara di ubriacarsi periodicamente, percentuale che sale al 19% tra i giovani di 15-24 anni di età. Gli psicofarmaci negli ultimi anni hanno visto crescite esponenziali. Se consideriamo i farmaci che aiutano ad “essere più felici” vediamo che dal 1990 al 2006 la vendita di antidepressivi è cresciuta del 519%. Negli smart shop diffusi in ogni regione (uno è anche a Reggio Emilia) è possibile trovare 250 tipi di sostanze diverse fra gas, polveri, foglie da fumare o da mangiare; utilizzate per essere più stimolati, eccitati, divertiti, o altro ancora… Ma il vero boom commerciale degli ultimi anni sono gli energy drink; sostanze perfettamente legali acquistabili in ogni bar e supermercato che, come dice il sito dell’energy drink più venduto in Italia (46 milioni di lattine nel solo 2005): “migliora le prestazioni, migliora la capacità di reazione e di concentrazione, migliora la soglia di attenzione, aumenta la sensazione di benessere…”. Gli energy drink sono particolarmente significativi per spiegare la nostra società, non a caso la pubblicità on-line di uno di questi dice chiaramente che con questo prodotto “potrai sempre spingere sull'acceleratore senza rimanere a corto di benzina!” e ancora: “è ideale per tutti coloro che vogliono avere una marcia in più durante la giornata… soprattutto per i genitori sempre impegnati”. La lista ovviamente non finisce qui, potremmo parlare di quei “bibitoni” pensati per chi va in palestra o fa attività agonistiche, che permettono di essere più performanti, potremmo riportare l’aumento delle sostanze stimolanti vendute nelle erboristerie, o altro ancora… Ascoltiamo ora, alcune testimonianze e domande che ci sono arrivate via e-mail: “Io spesso ho tachicardie, stati di ansia e panico e uso come terapia il cipralex da 10 mg.... ora ho conosciuto una persona che amo e che mi piace... ma solo che qst persona fuma spinelli e mi chiede di fumarli insieme a lui. Devo farlo per amore? Che effetti può avere su di me?” “Buonasera! Una sera sono andato a cena con degli amici e mi hanno offerto del popper! Ho fatto 2 inalazioni a distanza di una decina di minuti circa! Al momento non ho avuto alcuna complicazione, ho avvertito un po’ di tachicardia, e un senso di euforia! Dopo qualche giorno da quella sera, circa 4-5 giorni, ho iniziato ad avvertire dei sintomi strani che dopo 2 anni, nonostante vari accertamenti negativi, non sono ancora riuscito a risolvere; vi parlo di tremori, fitte al cuore, spasmi e stanchezza cronica! Mi è stata fatta una diagnosi di ansia! Credete che l’uso del popper possa avermi portato a questo? Forse dovevo pensarci prima….” “Se l'anfetamina è una droga perchè i dietisti la usano per far dimagrire i loro pazienti?” “Vi voglio chiedere una cosa sull’eroina. Io la fumo, vorrei e sto facendo il possibile, per smettere non credo nei centri di recupero… Crediate possibile che si possa smettere dal oggi a domani? Io non riesco. Sapete a volte intere giornate ringrazio il signore e non penso affatto all’eroina, poi mi basta incontrare qualcuno oppure parlarne in qualche discussione ed ecco che la lampada si accende…. Come posso fare per smettere?” “So solo che maledico quel giorno e non auguro nemmeno alla persona più cattiva del pianeta questa atroce ingannevole sostanza” ”Sono un ragazzo di 20 anni e sono molto preoccupato riguardo a una droga e vorrei chiedere consiglio a voi sul da farsi: per motivi di lavoro mi son trovato ad abitare con gente sconosciuta, un ragazzo di 23 anni che all'inizio andava d’accordo con tutti, simpatico, ora ha cominciato a chiudersi, lavora e dorme, non ha più amici, magari sparisce per alcune ora di notte, si chiude in bagno 20/30 minuti, fuma o brucia qualcosa e si sente continuamente accendersi un accendino, tossisce, quando esce nel bagno troviamo anke bustine vuote…. Sono preoccupato un po’ per lui, perchè non so gli effetti della sostanza, un pò per noi perchè temo dei suoi imprevedibili comportamenti e devo conviverci....chiedo consiglio a voi sul da farsi dato non so proprio come comportarmi e non so a chi rivolgermi” “Sono in una squadra ciclistica. Tutti i miei compagni prendono delle bibite che li aiutano a sentire meno la stanchezza. Io non vorrei farlo ma non riesco a tenere i loro ritmi. Che consiglio mi date?” Credo che tutto questo sia già sufficiente per la nostra riflessione. Come possiamo ben capire, questo mercato, risponde a due bisogni che si incontrano: da un lato quello delle persone che vogliono sempre sentirsi al massimo della forma e dall’altro a quello delle aziende produttrici che fomentano, tramite studiatissime campagne pubblicitarie, l’aumento della percezione che induce a credere che per poter essere integrati e “normali” sia utile e giusto cercare “aiuti” utilizzando sostanze. Non è un caso il fatto che, come rivela uno studio del New York Time Book Review, le industrie farmaceutiche spendano solo l’11% dei loro bilanci in ricerca, e ne spendano oltre il triplo (36%) in attività di marketing e pubblicità, infatti vennero definite “colossali organizzazioni di marketing e persuasione” ; e purtroppo la pubblicità non risparmia nessuno: è rivolta agli adulti, ai ragazzi (tutti abbiamo visto la pubblicità della bibita che “ti mette le ali”) e c’è già chi ha pensato a fidelizzare i bambini (da poco è apparso sul mercato lo spumante per bambini, che non contiene alcol ma diversi coloranti vietati in altri paesi europei per il rischio cancerogeno che comportano). Del resto come dice il Foresight, principale consulente scientifico del governo britannico, “in un mondo che è sempre più non stop e competitivo l’uso individuale di nuovi farmaci per il cervello che non provochino assuefazione può passare dall’eccezione alla regola”. La grande scommessa che ci interroga è legata al fatto che occorre aiutare tutto il nostro contesto sociale a capire che è necessario accettare i propri limiti, le proprie debolezze, il fatto di non essere sempre “al top” e che solo questa distanza dai modelli di perfezionebellezza-produttività che il mercato consumistico cerca di imporci, può aiutarci a relegare l’uso di sostanze in un contesto di nuovo periferico. Sarà quindi sempre più importante il ruolo dell’allenatore che sceglierà di non proporre energy drink per migliorare l’agonismo, il ruolo della madre che sceglierà di tollerare certe ansie senza per forza insistere per avere psicofarmaci, il ruolo dell’educatore che mostrerà quanto l’importante non è apparire ma essere. Matteo Iori Presidente dell’Associazione Onlus “Centro Sociale Papa Giovanni XXIII” [email protected] 4° TAPPA – EX PARCO TOCCI LIBERARE Sono Nilde, insieme ad altre/i incontro ogni settimana ragazze prostituite sulla strada e persone transessuali, provenienti dalla Nigeria, Romania, America Latina. Il fuoco che accendiamo in questa ultima tappa (si accende un piccolo fuoco in un braciere), vuole essere un segno dei fuochi che le ragazze accendono sulla strada per riscaldarsi, in questi freddi mesi d’inverno; e’ anche il fuoco dal quale è iniziato il cammino di liberazione del popolo d’Israele; è il fuoco pasquale dal quale scaturisce il Battesimo. E’ proprio il fuoco che si è acceso in noi nel Battesimo che ci rende tutti figli di un unico Padre, fratelli e sorelle tra noi. Questo fuoco incontenibile in me, è stata la certezza che il Signore mi voleva tutta per Lui, condividendo la vita con i più poveri, vivendo nella nostra chiesa diocesana e ricevendo la consacrazione dalle mani del Vescovo, il quale mi ha mandato in Via Turri, nella zona della stazione, dove vivono molte persone provenienti da diversi paesi del mondo, come segno della nostra chiesa, di vicinanza, amicizia e annuncio. Da circa 13 anni la Chiesa di Reggio, e in essa alcuni di noi, in forza e per grazia del Battesimo incontra le ragazze prostituite sulla strada. Ho detto sin dall’inizio che incontriamo ragazze prostituite, è un passivo, perché queste nostre sorelle, non sono lì per scelta ma sono costrette da altri/e. Le ragazze nigeriane devono pagare 50,000€ per essere libere. Le ragazze rumene sono costrette da un “fidanzato”, un uomo che fa parte del racket. Ciò che vediamo tutti noi è il corpo fatto oggetto di mercato, in realtà la radice, la causa della presenza delle ragazze prostituite è la tratta degli esseri umani per denaro. Vi sono organizzazioni che commerciano e sfruttano gli esseri umani per soldi. Anche le nuove proposte di legge parlano della prostituzione, sfiorano il tema della tratta, senza proposte risolutive per le vittime ridotte in condizione di schiavitù. Quasi tutte le ragazze arrivano con promesse false. Possiamo noi come cittadini e come cristiani restare in silenzio, possiamo non gridare la menzogna e la falsità che causa tutto questo? Per essere più di aiuto alle ragazze, ci è stato consigliato di formare un’associazione, che si chiama Rabbunì (Gv.20,16), parola pronunciata da Maria Maddalena come risposta alla voce di Gesù Risorto che la chiama per nome! Dall’inizio e sempre più, desideriamo sia un cammino di Chiesa, della nostra Chiesa reggiana-guastallese. Usciamo due volte alla settimana di notte e di giorno, in collaborazione con la chiesa di Parma. Andiamo nella zona Ponte Enza e sulla via Emilia, da S.Ilario a Rubiera. Incontriamo ragazze nigeriane, circa 40; ragazze rumene circa 20, persone transessuali circa 15. Spesso vi sono ragazze minorenni, la scorsa settimana Ionella sordomuta. Alla loro domanda: “Perché siete qua, rispondiamo: “God is our Father, you are our sister.” Dio è nostro Padre, tu sei nostra sorella. La loro risposta è fatta di segni di commozione e di conferma. Alcune settimane fa siamo andati da Violetta, rumena e le abbiamo detto: “Stasera, siamo venuti perché abbiamo saputo che sono successi alcuni episodi di violenza qui sulla strada, in questa zona, siamo preoccupati.” Lei ci ha risposto: “Se non vi preoccupate voi di noi non si preoccupa nessuno.” Dall’incontro con le ragazze rumene, di confessione ortodossa, è nato un cammino ecumenico, con la comunità ortodossa rumena presente a Reggio. Ci auguriamo che questo cammino continui e cresca, nell’ottica dello scambio dei doni. Con le persone sulla strada preghiamo il Vangelo e siamo testimoni della potenza della Parola. Eva dopo aver ascoltato il Vangelo ha pianto, dicendo di voler cambiare vita. Proponiamo anche loro la possibilità di cambiare vita, di scappare, di essere accolte, di fare i documenti e di trovare il lavoro. Tutto questo richiede la collaborazione di tante persone. Per l’accoglienza si sono rese disponibili alcune famiglie, diverse realtà di ospitalità della nostra diocesi e di altre città. In questi anni, in collaborazione col Comune di Reggio, hanno compiuto un percorso di liberazione circa 250 ragazze. Ci sono alcune condizioni legislative che permettono alle ragazze di fare i documenti, se accettano un percorso sociale e collaborano, ma spesso incontriamo rigidità e tempi lunghissimi delle Questure. Ci auguriamo che possano aprirsi collaborazioni e un tavolo di lavoro tra i diversi soggetti coinvolti. E’ molto bello partecipare con alcuni laici, comunità e famiglie disponibili, al cammino di liberazione delle nostre sorelle, e ringraziare il Signore per il loro aiuto. Oggi però è necessaria una nuova e maggior disponibilità di persone e spazi, per le ragazze che vogliono cambiare vita. I bisogni e le esigenze sono molte di più di quello che riusciamo a sostenere. Sarebbe bello e lo speriamo, anche come frutto di questa marcia della pace, che cresca il cammino insieme alle comunità parrocchiali che si trovano sulla strada, anche formando ad esempio un piccolo gruppo interparrocchiale. Il corpo venduto delle persone sulla strada e comprato dai clienti, fa emergere quelle dinamiche sociali prostituite nella quale possiamo essere coinvolti anche noi: la ricerca del piacere, prestazioni per ottenere favori o posti di lavoro. Il corpo considerato e guardato come oggetto in TV, nella pubblicità, esibito in internet, fotografato e ripreso per divertimento. Tutto questo fa emergere l’importanza educativa, etica e morale nelle famiglie e nelle nostre comunità non solo per i giovani, ma anche per gli uomini adulti che incontriamo anche sulla strada, i clienti. Anche il nostro sguardo da stasera dovrebbe cambiare, da sguardo di giudizio o di desiderio a sguardo di compassione e gratuità. Anche noi che siamo qui siamo chiamati a fare un cammino di liberazione. Scrive una donna aborigena: “Se sei venuto ad aiutarmi, sprechi il tuo tempo, ma se sei venuto perché la mia liberazione è legata alla tua allora possiamo collaborare.” A volte ci accorgiamo che la strada asfalta tutti i desideri e i sogni del cuore, ne lascia solo uno: avere i soldi (per pagare il debito o anche per fare una casa per la famiglia…) Chiediamoci anche noi, quali sono i nostri desideri e se le preoccupazioni, le condizioni di vita li hanno appiattiti, possiamo senza paura ma con verità e coraggio intraprendere un cammino di liberazione. Un cammino verso la libertà da tutto ciò che non è indispensabile, libertà nelle relazioni, non per interesse ma crescendo nella gratuità, libertà da noi stessi. Ogni ragazza che esce e inizia una nuova vita ci fa vedere e toccare con mano che la libertà è più forte della schiavitù, che la luce è più forte della notte, che la verità è più forte della menzogna, che il bene è più forte del male, che l’Amore è più forte, sì è più forte di tutto e di tutti!!! È il fuoco del roveto che continua a bruciare proprio là dove meno ce lo aspettiamo! BRIDGET Sono Briget vengo dalla Nigeria, ho 27 anni sono in Italia da 10 anni. Vedevo le persone che tornavano dall’Europa con tanti soldi, facevano un palazzo, avevano una pelle bellissima. Volevo venire in Italia per avere una bella vita come loro. Il mio fidanzato era d’accordo, pensando di sistemarci per il nostro futuro matrimonio, l’ho detto a mio padre. Un mio parente Kisly, che viveva in Italia ed era venuto in vacanza in Nigeria, mi ha detto che in Italia avrei potuto fare la baby-sitter a sua figlia. Prima di partire. mi ha portato da sua madre che mi ha fatto il vodù: mi ha fatto giurare che i soldi che lui ha usato per portarmi in Italia li dovevo pagare. Se non pagavo a causa del giuramento morivo. Solo quando ero già partita da Benin in Lagos, Kisly mi disse: “Sai quanti soldi devi pagare? 60 milioni di lire.” Quando arrivai in Italia, a Milano, con documenti falsi, avevo 17 anni, ero minorenne. Poi la moglie di Kisly, Ester, mi ha detto che dovevo pagare 70 milioni, più 5 milioni sempre di lire, alla suocera per il rito vodù vodù. Con la moglie di Kisly e la bambina, viveva un’altra ragazza Ogosta e dalle sue parole ho capito che non avrei mai fatto la baby-sitter e che Ester era la mia madame. A lei dovevo dare i soldi, ogni settimana per pagare il debito. Ogosta, mi ha portato sulla strada, mi sono sentita una schifezza. Il primo uomo era vecchio, più grande del mio papà, ho detto: “Io non ci entro in macchina con lui.” E’ stato lì finchè non sono entrata. Ogosta mi parlava e diceva: “Vai, la vita che si trova qua è così.” Stavo dal Lunedì sera al Sabato sulla strada, dormivo lì, era il mese di Novembre, faceva molto freddo, facevo il fuoco per scaldarmi un po’. Poi bussavamo ai camion parcheggiati e chiedevamo di poter dormire qualche ora. Pensavo, che sono finita, che sono morta. Io non sono stata tanto sulla strada: due mesi. Una sera sono arrivati i vigili, si sono fermati davanti a me e mi hanno detto: “Sali in macchina”, mi hanno portato in Questura e in Ospedale, dove dai test hanno capito che ero minorenne. Dopo sono stata accolta da una famiglia cristiana. Ho parlato con i miei genitori, mi hanno incoraggiato a farmi aiutare per fare una nuova vita, anche se loro sono stati minacciati e tanto picchiati dal mio magnaccio. Non avevo paura del vodù, perché sapevo che la forza di Dio è più potente. Ho cominciato ad andare a scuola, ho imparato a scrivere, a leggere e ad imparare l’italiano. Mi hanno dato i documenti e andavo a lavorare in fabbrica con lo scooter. La cosa più difficile è che volevo tutto in fretta. Ho parlato con il mio fidanzato e ho detto: “Guarda, guarda cosa mi hanno fatto fare.” Mi avevano detto il falso. Sono andata a sposarmi in Nigeria, ho fatto il ricongiungimento familiare, abbiamo tre figli, lavoriamo in fabbrica tutti e due e i bambini vanno a scuola. La cosa più bella è che sono contenta, ho la mia famiglia, lavoriamo. Il Signore ha fatto meraviglie per me, grazie a Dio per sempre! Per ulteriori informazioni: RABBINI' 3339412113 / 3474651601 www.rabbunì.it Mentre entriamo in chiesa per la Veglia, cantiamo e Preghiamo Ritornello: I HAVE DECIDED TO FOLLOW JESUS (3V.) NO TURNING BACK, NO TURNING BACK Signore, sono una donna e condivido con giovani nigeriane e rumene, il freddo,il buio,la paura e le ingiustizie della strada. Ho ascoltato le loro storie, ho consolato le loro lacrime, ho fasciato le loro ferite, ho pregato con loro,Te,Padre misericirdioso. Ho trovato Maria,ogni volta lì con noi che ci proteggeva e aiutava a liberarle dalle loro catene inique. Come la Madre voglio serbare nel mio cuore ogni gesto d'amore che ho ricevuto da questi angeli della strada...amen Ritornello: I HAVE DECIDED TO FOLLOW JESUS (3V.) NO TURNING BACK, NO TURNING BACK Ti affidiamo Padre, la sofferenza interiore delle ragazze, la loro dignità violata, I loro sogni spezzati e le loro ansiose attese, affinché tu possa illuminare i loro cammini, aprire loro nuove speranze, ridare loro gioia e voglia di vivere. Ritornello: I HAVE DECIDED TO FOLLOW JESUS (3V.) NO TURNING BACK, NO TURNING BACK Ti preghiamo Signore per i paesi d'origine delle ragazze, Nigeria, Romania, Moldavia, Albania, Ecuador, Brasile, Uruguay,.. Perchè possano risollevarsi dalle complesse situazioni politiche, sociali ed economiche in cui si trovano, e ridare così dignità e speranza ai più poveri Ritornello: I HAVE DECIDED TO FOLLOW JESUS (3V.) NO TURNING BACK, NO TURNING BACK Ti affidiamo Signore anche tutte le persone che sfruttano e fanno del male alle ragazze. Possa tu accogliere e perdonare i loro peccati e condurle sulla via della conversione. Ritornello: I HAVE DECIDED TO FOLLOW JESUS (3V.) NO TURNING BACK, NO TURNING BACK Ti ringraziamo Padre buono per tutte le ragazze che con coraggio sono uscite dalla strada, per la fiducia che continuamente hanno in te, perchè hanno saputo vincere la loro paura e ricominciare un cammino pieno di speranza Ritornello: I HAVE DECIDED TO FOLLOW JESUS (3V.) NO TURNING BACK, NO TURNING BACK Gesù, cambia il nostro sguardo, rendilo misericordioso come il tuo, fa che nelle nostre comunità la paura e il giudizio siano vinte dall’amore e dall’accoglienza e diversi cristiani si rendano disponibili per le tante necessità. Ritornello: I HAVE DECIDED TO FOLLOW JESUS (3V.) NO TURNING BACK, NO TURNING BACK Spirito Santo illumina la nostra Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla a crescere nella condivisione facendo scelte concrete per le nostre sorelle e fratelli che sono sulla strada, rendendo così possibili cammini di liberazione. Ritornello: I HAVE DECIDED TO FOLLOW JESUS (3V.) NO TURNING BACK, NO TURNING BACK MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI PER LA CELEBRAZIONE DELLA GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 1° GENNAIO 2009 COMBATTERE LA POVERTÀ, COSTRUIRE LA PACE 1. Anche all'inizio di questo nuovo anno desidero far giungere a tutti il mio augurio di pace ed invitare, con questo mio Messaggio, a riflettere sul tema: Combattere la povertà, costruire la pace. Già il mio venerato predecessore Giovanni Paolo II, nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1993, aveva sottolineato le ripercussioni negative che la situazione di povertà di intere popolazioni finisce per avere sulla pace. Di fatto, la povertà risulta sovente tra i fattori che favoriscono o aggravano i conflitti, anche armati. A loro volta, questi ultimi alimentano tragiche situazioni di povertà. « S'afferma... e diventa sempre più grave nel mondo – scriveva Giovanni Paolo II – un'altra seria minaccia per la pace: molte persone, anzi, intere popolazioni vivono oggi in condizioni di estrema povertà. La disparità tra ricchi e poveri s'è fatta più evidente, anche nelle nazioni economicamente più sviluppate. Si tratta di un problema che s'impone alla coscienza dell'umanità, giacché le condizioni in cui versa un gran numero di persone sono tali da offenderne la nativa dignità e da compromettere, conseguentemente, l'autentico ed armonico progresso della comunità mondiale » [1]. 2. In questo contesto, combattere la povertà implica un'attenta considerazione del complesso fenomeno della globalizzazione. Tale considerazione è importante già dal punto di vista metodologico, perché suggerisce di utilizzare il frutto delle ricerche condotte dagli economisti e sociologi su tanti aspetti della povertà. Il richiamo alla globalizzazione dovrebbe, però, rivestire anche un significato spirituale e morale, sollecitando a guardare ai poveri nella consapevole prospettiva di essere tutti partecipi di un unico progetto divino, quello della vocazione a costituire un'unica famiglia in cui tutti – individui, popoli e nazioni – regolino i loro comportamenti improntandoli ai principi di fraternità e di responsabilità. In tale prospettiva occorre avere, della povertà, una visione ampia ed articolata. Se la povertà fosse solo materiale, le scienze sociali che ci aiutano a misurare i fenomeni sulla base di dati di tipo soprattutto quantitativo, sarebbero sufficienti ad illuminarne le principali caratteristiche. Sappiamo, però, che esistono povertà immateriali, che non sono diretta e automatica conseguenza di carenze materiali. Ad esempio, nelle società ricche e progredite esistono fenomeni di emarginazione, povertà relazionale, morale e spirituale: si tratta di persone interiormente disorientate, che vivono diverse forme di disagio nonostante il benessere economico. Penso, da una parte, a quello che viene chiamato il « sottosviluppo morale » [2] e, dall'altra, alle conseguenze negative del « supersviluppo » [3]. Non dimentico poi che, nelle società cosiddette « povere », la crescita economica è spesso frenata da impedimenti culturali, che non consentono un adeguato utilizzo delle risorse. Resta comunque vero che ogni forma di povertà imposta ha alla propria radice il mancato rispetto della trascendente dignità della persona umana. Quando l'uomo non viene considerato nell'integralità della sua vocazione e non si rispettano le esigenze di una vera « ecologia umana » [4], si scatenano anche le dinamiche perverse della povertà, com'è evidente in alcuni ambiti sui quali soffermerò brevemente la mia attenzione. Povertà e implicazioni morali 3. La povertà viene spesso correlata, come a propria causa, allo sviluppo demografico. In conseguenza di ciò, sono in atto campagne di riduzione delle nascite, condotte a livello internazionale, anche con metodi non rispettosi né della dignità della donna né del diritto dei coniugi a scegliere responsabilmente il numero dei figli [5] e spesso, cosa anche più grave, non rispettosi neppure del diritto alla vita. Lo sterminio di milioni di bambini non nati, in nome della lotta alla povertà, costituisce in realtà l'eliminazione dei più poveri tra gli esseri umani. A fronte di ciò resta il fatto che, nel 1981, circa il 40% della popolazione mondiale era al di sotto della linea di povertà assoluta, mentre oggi tale percentuale è sostanzialmente dimezzata, e sono uscite dalla povertà popolazioni caratterizzate, peraltro, da un notevole incremento demografico. Il dato ora rilevato pone in evidenza che le risorse per risolvere il problema della povertà ci sarebbero, anche in presenza di una crescita della popolazione. Né va dimenticato che, dalla fine della seconda guerra mondiale ad oggi, la popolazione sulla terra è cresciuta di quattro miliardi e, in larga misura, tale fenomeno riguarda Paesi che di recente si sono affacciati sulla scena internazionale come nuove potenze economiche e hanno conosciuto un rapido sviluppo proprio grazie all'elevato numero dei loro abitanti. Inoltre, tra le Nazioni maggiormente sviluppate quelle con gli indici di natalità maggiori godono di migliori potenzialità di sviluppo. In altri termini, la popolazione sta confermandosi come una ricchezza e non come un fattore di povertà. 4. Un altro ambito di preoccupazione sono le malattie pandemiche quali, ad esempio, la malaria, la tubercolosi e l'AIDS, che, nella misura in cui colpiscono i settori produttivi della popolazione, influiscono grandemente sul peggioramento delle condizioni generali del Paese. I tentativi di frenare le conseguenze di queste malattie sulla popolazione non sempre raggiungono risultati significativi. Capita, inoltre, che i Paesi vittime di alcune di tali pandemie, per farvi fronte, debbano subire i ricatti di chi condiziona gli aiuti economici all'attuazione di politiche contrarie alla vita. È soprattutto difficile combattere l'AIDS, drammatica causa di povertà, se non si affrontano le problematiche morali con cui la diffusione del virus è collegata. Occorre innanzitutto farsi carico di campagne che educhino specialmente i giovani a una sessualità pienamente rispondente alla dignità della persona; iniziative poste in atto in tal senso hanno gia dato frutti significativi, facendo diminuire la diffusione dell'AIDS. Occorre poi mettere a disposizione anche dei popoli poveri le medicine e le cure necessarie; ciò suppone una decisa promozione della ricerca medica e delle innovazioni terapeutiche nonché, quando sia necessario, un'applicazione flessibile delle regole internazionali di protezione della proprietà intellettuale, così da garantire a tutti le cure sanitarie di base. 5. Un terzo ambito, oggetto di attenzione nei programmi di lotta alla povertà e che ne mostra l'intrinseca dimensione morale, è la povertà dei bambini. Quando la povertà colpisce una famiglia, i bambini ne risultano le vittime più vulnerabili: quasi la metà di coloro che vivono in povertà assoluta oggi è rappresentata da bambini. Considerare la povertà ponendosi dalla parte dei bambini induce a ritenere prioritari quegli obiettivi che li interessano più direttamente come, ad esempio, la cura delle madri, l'impegno educativo, l'accesso ai vaccini, alle cure mediche e all'acqua potabile, la salvaguardia dell'ambiente e, soprattutto, l'impegno a difesa della famiglia e della stabilità delle relazioni al suo interno. Quando la famiglia si indebolisce i danni ricadono inevitabilmente sui bambini. Ove non è tutelata la dignità della donna e della mamma, a risentirne sono ancora principalmente i figli. 6. Un quarto ambito che, dal punto di vista morale, merita particolare attenzione è la relazione esistente tra disarmo e sviluppo. Suscita preoccupazione l'attuale livello globale di spesa militare. Come ho già avuto modo di sottolineare, capita che « le ingenti risorse materiali e umane impiegate per le spese militari e per gli armamenti vengono di fatto distolte dai progetti di sviluppo dei popoli, specialmente di quelli più poveri e bisognosi di aiuto. E questo va contro quanto afferma la stessa Carta delle Nazioni Unite, che impegna la comunità internazionale, e gli Stati in particolare, a “promuovere lo stabilimento ed il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale col minimo dispendio delle risorse umane ed economiche mondiali per gli armamenti” (art. 26) » [6]. Questo stato di cose non facilita, anzi ostacola seriamente il raggiungimento dei grandi obiettivi di sviluppo della comunità internazionale. Inoltre, un eccessivo accrescimento della spesa militare rischia di accelerare una corsa agli armamenti che provoca sacche di sottosviluppo e di disperazione, trasformandosi così paradossalmente in fattore di instabilità, di tensione e di conflitti. Come ha sapientemente affermato il mio venerato Predecessore Paolo VI, « lo sviluppo è il nuovo nome della pace » [7]. Gli Stati sono pertanto chiamati ad una seria riflessione sulle più profonde ragioni dei conflitti, spesso accesi dall'ingiustizia, e a provvedervi con una coraggiosa autocritica. Se si giungerà ad un miglioramento dei rapporti, ciò dovrebbe consentire una riduzione delle spese per gli armamenti. Le risorse risparmiate potranno essere destinate a progetti di sviluppo delle persone e dei popoli più poveri e bisognosi: l'impegno profuso in tal senso è un impegno per la pace all'interno della famiglia umana. 7. Un quinto ambito relativo alla lotta alla povertà materiale riguarda l'attuale crisi alimentare, che mette a repentaglio il soddisfacimento dei bisogni di base. Tale crisi è caratterizzata non tanto da insufficienza di cibo, quanto da difficoltà di accesso ad esso e da fenomeni speculativi e quindi da carenza di un assetto di istituzioni politiche ed economiche in grado di fronteggiare le necessità e le emergenze. La malnutrizione può anche provocare gravi danni psicofisici alle popolazioni, privando molte persone delle energie necessarie per uscire, senza speciali aiuti, dalla loro situazione di povertà. E questo contribuisce ad allargare la forbice delle disuguaglianze, provocando reazioni che rischiano di diventare violente. I dati sull'andamento della povertà relativa negli ultimi decenni indicano tutti un aumento del divario tra ricchi e poveri. Cause principali di tale fenomeno sono senza dubbio, da una parte, il cambiamento tecnologico, i cui benefici si concentrano nella fascia più alta della distribuzione del reddito e, dall'altra, la dinamica dei prezzi dei prodotti industriali, che crescono molto più velocemente dei prezzi dei prodotti agricoli e delle materie prime in possesso dei Paesi più poveri. Capita così che la maggior parte della popolazione dei Paesi più poveri soffra di una doppia marginalizzazione, in termini sia di redditi più bassi sia di prezzi più alti. Lotta alla povertà e solidarietà globale 8. Una delle strade maestre per costruire la pace è una globalizzazione finalizzata agli interessi della grande famiglia umana [8]. Per governare la globalizzazione occorre però una forte solidarietà globale [9] tra Paesi ricchi e Paesi poveri, nonché all'interno dei singoli Paesi, anche se ricchi. È necessario un « codice etico comune » [10], le cui norme non abbiano solo un carattere convenzionale, ma siano radicate nella legge naturale inscritta dal Creatore nella coscienza di ogni essere umano (cfr Rm 2,14-15). Non avverte forse ciascuno di noi nell'intimo della coscienza l'appello a recare il proprio contributo al bene comune e alla pace sociale? La globalizzazione elimina certe barriere, ma ciò non significa che non ne possa costruire di nuove; avvicina i popoli, ma la vicinanza spaziale e temporale non crea di per sé le condizioni per una vera comunione e un'autentica pace. La marginalizzazione dei poveri del pianeta può trovare validi strumenti di riscatto nella globalizzazione solo se ogni uomo si sentirà personalmente ferito dalle ingiustizie esistenti nel mondo e dalle violazioni dei diritti umani ad esse connesse. La Chiesa, che è « segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano », [11] continuerà ad offrire il suo contributo affinché siano superate le ingiustizie e le incomprensioni e si giunga a costruire un mondo più pacifico e solidale. 9. Nel campo del commercio internazionale e delle transazioni finanziarie, sono oggi in atto processi che permettono di integrare positivamente le economie, contribuendo al miglioramento delle condizioni generali; ma ci sono anche processi di senso opposto, che dividono e marginalizzano i popoli, creando pericolose premesse per guerre e conflitti. Nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale, il commercio internazionale di beni e di servizi è cresciuto in modo straordinariamente rapido, con un dinamismo senza precedenti nella storia. Gran parte del commercio mondiale ha interessato i Paesi di antica industrializzazione, con la significativa aggiunta di molti Paesi emergenti, diventati rilevanti. Ci sono però altri Paesi a basso reddito, che risultano ancora gravemente marginalizzati rispetto ai flussi commerciali. La loro crescita ha risentito negativamente del rapido declino, registrato negli ultimi decenni, dei prezzi dei prodotti primari, che costituiscono la quasi totalità delle loro esportazioni. In questi Paesi, per la gran parte africani, la dipendenza dalle esportazioni di prodotti primari continua a costituire un potente fattore di rischio. Vorrei qui rinnovare un appello perché tutti i Paesi abbiano le stesse possibilità di accesso al mercato mondiale, evitando esclusioni e marginalizzazioni. 10. Una riflessione simile può essere fatta per la finanza, che concerne uno degli aspetti primari del fenomeno della globalizzazione, grazie allo sviluppo dell'elettronica e alle politiche di liberalizzazione dei flussi di denaro tra i diversi Paesi. La funzione oggettivamente più importante della finanza, quella cioè di sostenere nel lungo termine la possibilità di investimenti e quindi di sviluppo, si dimostra oggi quanto mai fragile: essa subisce i contraccolpi negativi di un sistema di scambi finanziari – a livello nazionale e globale - basati su una logica di brevissimo termine, che persegue l'incremento del valore delle attività finanziarie e si concentra nella gestione tecnica delle diverse forme di rischio. Anche la recente crisi dimostra come l'attività finanziaria sia a volte guidata da logiche puramente autoreferenziali e prive della considerazione, a lungo termine, del bene comune. L'appiattimento degli obiettivi degli operatori finanziari globali sul brevissimo termine riduce la capacità della finanza di svolgere la sua funzione di ponte tra il presente e il futuro, a sostegno della creazione di nuove opportunità di produzione e di lavoro nel lungo periodo. Una finanza appiattita sul breve e brevissimo termine diviene pericolosa per tutti, anche per chi riesce a beneficiarne durante le fasi di euforia finanziaria [12]. 11. Da tutto ciò emerge che la lotta alla povertà richiede una cooperazione sia sul piano economico che su quello giuridico che permetta alla comunità internazionale e in particolare ai Paesi poveri di individuare ed attuare soluzioni coordinate per affrontare i suddetti problemi realizzando un efficace quadro giuridico per l'economia. Richiede inoltre incentivi alla creazione di istituzioni efficienti e partecipate, come pure sostegni per lottare contro la criminalità e per promuovere una cultura della legalità. D'altra parte, non si può negare che le politiche marcatamente assistenzialiste siano all'origine di molti fallimenti nell'aiuto ai Paesi poveri. Investire nella formazione delle persone e sviluppare in modo integrato una specifica cultura dell'iniziativa sembra attualmente il vero progetto a medio e lungo termine. Se le attività economiche hanno bisogno, per svilupparsi, di un contesto favorevole, ciò non significa che l'attenzione debba essere distolta dai problemi del reddito. Sebbene si sia opportunamente sottolineato che l'aumento del reddito pro capite non può costituire in assoluto il fine dell'azione politico-economica, non si deve però dimenticare che esso rappresenta uno strumento importante per raggiungere l'obiettivo della lotta alla fame e alla povertà assoluta. Da questo punto di vista va sgomberato il campo dall'illusione che una politica di pura ridistribuzione della ricchezza esistente possa risolvere il problema in maniera definitiva. In un'economia moderna, infatti, il valore della ricchezza dipende in misura determinante dalla capacità di creare reddito presente e futuro. La creazione di valore risulta perciò un vincolo ineludibile, di cui si deve tener conto se si vuole lottare contro la povertà materiale in modo efficace e duraturo. 12. Mettere i poveri al primo posto comporta, infine, che si riservi uno spazio adeguato a una corretta logica economica da parte degli attori del mercato internazionale, ad una corretta logica politica da parte degli attori istituzionali e ad una corretta logica partecipativa capace di valorizzare la società civile locale e internazionale. Gli stessi organismi internazionali riconoscono oggi la preziosità e il vantaggio delle iniziative economiche della società civile o delle amministrazioni locali per la promozione del riscatto e dell'inclusione nella società di quelle fasce della popolazione che sono spesso al di sotto della soglia di povertà estrema e sono al tempo stesso difficilmente raggiungibili dagli aiuti ufficiali. La storia dello sviluppo economico del XX secolo insegna che buone politiche di sviluppo sono affidate alla responsabilità degli uomini e alla creazione di positive sinergie tra mercati, società civile e Stati. In particolare, la società civile assume un ruolo cruciale in ogni processo di sviluppo, poiché lo sviluppo è essenzialmente un fenomeno culturale e la cultura nasce e si sviluppa nei luoghi del civile [13]. 13. Come ebbe ad affermare il mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, la globalizzazione « si presenta con una spiccata caratteristica di ambivalenza » [14] e quindi va governata con oculata saggezza. Rientra in questa forma di saggezza il tenere primariamente in conto le esigenze dei poveri della terra, superando lo scandalo della sproporzione esistente tra i problemi della povertà e le misure che gli uomini predispongono per affrontarli. La sproporzione è di ordine sia culturale e politico che spirituale e morale. Ci si arresta infatti spesso alle cause superficiali e strumentali della povertà, senza raggiungere quelle che albergano nel cuore umano, come l'avidità e la ristrettezza di orizzonti. I problemi dello sviluppo, degli aiuti e della cooperazione internazionale vengono affrontati talora senza un vero coinvolgimento delle persone, ma come questioni tecniche, che si esauriscono nella predisposizione di strutture, nella messa a punto di accordi tariffari, nello stanziamento di anonimi finanziamenti. La lotta alla povertà ha invece bisogno di uomini e donne che vivano in profondità la fraternità e siano capaci di accompagnare persone, famiglie e comunità in percorsi di autentico sviluppo umano. Conclusione 14. Nell'Enciclica Centesimus annus, Giovanni Paolo II ammoniva circa la necessità di « abbandonare la mentalità che considera i poveri – persone e popoli – come un fardello e come fastidiosi importuni, che pretendono di consumare quanto altri hanno prodotto ». « I poveri – egli scriveva - chiedono il diritto di partecipare al godimento dei beni materiali e di mettere a frutto la loro capacità di lavoro, creando così un mondo più giusto e per tutti più prospero » [15]. Nell'attuale mondo globale è sempre più evidente che si costruisce la pace solo se si assicura a tutti la possibilità di una crescita ragionevole: le distorsioni di sistemi ingiusti, infatti, prima o poi, presentano il conto a tutti. Solo la stoltezza può quindi indurre a costruire una casa dorata, ma con attorno il deserto o il degrado. La globalizzazione da sola è incapace di costruire la pace e, in molti casi, anzi, crea divisioni e conflitti. Essa rivela piuttosto un bisogno: quello di essere orientata verso un obiettivo di profonda solidarietà che miri al bene di ognuno e di tutti. In questo senso, la globalizzazione va vista come un'occasione propizia per realizzare qualcosa di importante nella lotta alla povertà e per mettere a disposizione della giustizia e della pace risorse finora impensabili. 15. Da sempre la dottrina sociale della Chiesa si è interessata dei poveri. Ai tempi dell'Enciclica Rerum novarum essi erano costituiti soprattutto dagli operai della nuova società industriale; nel magistero sociale di Pio XI, di Pio XII, di Giovanni XXIII, di Paolo VI e di Giovanni Paolo II sono state messe in luce nuove povertà man mano che l'orizzonte della questione sociale si allargava, fino ad assumere dimensioni mondiali [16]. Questo allargamento della questione sociale alla globalità va considerato nel senso non solo di un'estensione quantitativa, ma anche di un approfondimento qualitativo sull'uomo e sui bisogni della famiglia umana. Per questo la Chiesa, mentre segue con attenzione gli attuali fenomeni della globalizzazione e la loro incidenza sulle povertà umane, indica i nuovi aspetti della questione sociale, non solo in estensione, ma anche in profondità, in quanto concernenti l'identità dell'uomo e il suo rapporto con Dio. Sono principi di dottrina sociale che tendono a chiarire i nessi tra povertà e globalizzazione e ad orientare l'azione verso la costruzione della pace. Tra questi principi è il caso di ricordare qui, in modo particolare, l'« amore preferenziale per i poveri » [17], alla luce del primato della carità, testimoniato da tutta la tradizione cristiana, a cominciare da quella della Chiesa delle origini (cfr At 4,32-36; 1 Cor 16,1; 2 Cor 8-9; Gal 2,10). « Ciascuno faccia la parte che gli spetta e non indugi », scriveva nel 1891 Leone XIII, aggiungendo: « Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancare mai e in nessun modo l'opera sua » [18]. Questa consapevolezza accompagna anche oggi l'azione della Chiesa verso i poveri, nei quali vede Cristo [19], sentendo risuonare costantemente nel suo cuore il mandato del Principe della pace agli Apostoli: « Vos date illis manducare – date loro voi stessi da mangiare » (Lc 9,13). Fedele a quest'invito del suo Signore, la Comunità cristiana non mancherà pertanto di assicurare all'intera famiglia umana il proprio sostegno negli slanci di solidarietà creativa non solo per elargire il superfluo, ma soprattutto per cambiare « gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società » [20]. Ad ogni discepolo di Cristo, come anche ad ogni persona di buona volontà, rivolgo pertanto all'inizio di un nuovo anno il caldo invito ad allargare il cuore verso le necessità dei poveri e a fare quanto è concretamente possibile per venire in loro soccorso. Resta infatti incontestabilmente vero l'assioma secondo cui « combattere la povertà è costruire la pace ». Dal Vaticano, 8 Dicembre 2008 BENEDICTUS PP. XVI [1] Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1. [2] Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 19. [3] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 28. [4] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 38. [5] Cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 37; Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 25. [6] Benedetto XVI, Lettera al Cardinale Renato Raffaele Martino in occasione del Seminario internazionale organizzato dal Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace sul tema « Disarmo, sviluppo e pace. Prospettive per un disarmo integrale », 10 aprile 2008: L'Osservatore Romano, 13.4.2008, p. 8. [7] Lett. enc. Populorum progressio, 87. [8] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 58. [9] Cfr Giovanni Paolo II, Discorso all'Udienza alle Acli, 27 aprile 2002, 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXV, 1 [2002], 637. [10] Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze sociali, 27 aprile 2001, 4: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIV, 1 [2001], 802. [11] Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 1. [12] Cfr Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 368. [13] Cfr ibid., 356. [14] Discorso nell'Udienza a Dirigenti di sindacati di lavoratori e di grandi società, 2 maggio 2000, 3: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIII, 1 [2000], 726. [15] N. 28. [16] Cfr Paolo VI, Lett. enc. Populorum progressio, 3. [17] Giovanni Paolo II, Lett. enc. Sollicitudo rei socialis, 42; cfr Idem, Lett. enc. Centesimus annus, 57. [18] Lett. enc. Rerum novarum, 45. [19] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Centesimus annus, 58. [20] Ibid. © Copyright 2008 - Libreria Editrice Vaticana