UHI project has been implemented through the CENTRAL EUROPE Programme co-financed by ERDF
pianificazione urbanistica e clima urbano
Gruppo di Lavoro progetto
“Development and application of mitigation and adaptation strategies
and measures for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon (UHI)”
Regione del Veneto
Dipartimento Territorio - Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia
Vincenzo Fabris, Direttore di Dipartimento
Maurizio De Gennaro, Direttore di Sezione
Susanna Frare
Alberto Miotto
Federico Bossi
Università Iuav di Venezia
Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi
Francesco Musco, Coordinamento scientifico
Laura Fregolent
Davide Ferro
Giuliana Fornaciari
Filippo Magni
Denis Maragno
Davide Martinucci
Alessandro Salvati
I
--U
--A
--V
Pianificazione urbanistica e clima urbano
Manuale per la riduzione dei fenomeni
di isola di calore urbano
a cura di Francesco Musco e Laura Fregolent
Euris S.r.l. - UHI Project Technical Secretariat
Chiara Licata
Marco Meggiolaro
La comunità scientifica internazionale ha messo più volte in evidenza la costante progessione dei cambiamenti
climatici e i relativi impatti nelle aree urbane, sottolineando l’insufficienza delle sole politiche di mitigazione
(abbattimento delle emissioni clima alteranti) se non associate a opportune azioni di adattamento
dei sistemi urbani e territoriali al nuovo scenario climatico, sempre più caratterizzato da fenomeni meteorologici
estremi e variabili (IPCC, 2013).
L’Isola di Calore urbano (UHI) è un fenomeno microclimatico – ben delineato già dai primi studi svolti da T.R. Oke
negli anni Settanta – che si manifesta con un significativo incremento della temperatura delle città in rapporto
alle aree non-urbane circostanti e recentemente è stato rafforzato dai cambiamenti climatici in atto,
con ricadute rilevanti sia in termini di consumi energetici, che di salute pubblica.
Il manuale, rivolto in primo luogo agli enti locali del Veneto, è uno degli esiti del progetto Development and application
of mitigation and adaptation strategies and measures for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon
(3CE292P3 UHI), finanziato dal programma Central Europe - Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale,
promosso dal Dipartimento Territorio - Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia della Regione Veneto.
Nel testo si forniscono elementi per comprendere il fenomeno UHI, in particolare in alcuni sistemi urbani del Veneto;
si identificano possibili soluzioni con gli strumenti e le tecniche della pianificazione urbanistica; si inquadra il fenomeno
nell’ambito dei più recenti studi sulla pianificazione per la protezione del clima.
Il manuale è uno strumento di supporto previsto anche dall’ultima variante (2013) al Piano Territoriale Regionale
di Coordinamento (PTRC) della Regione Veneto che individua negli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica,
derivanti dalla Legge regionale 11/2004, un ruolo di primo piano per la calmierazione strutturale degli effetti
dei cambiamenti climatici alla scala locale.
Il volume è corredato di tavole e immagini esemplificative a supporto della redazione degli strumenti
urbanistici attuativi di scala comunale.
Francesco Musco, architetto-urbanista e dottore di ricerca (PhD) in Analisi e Governance dello Sviluppo Sostenibile,
è professore associato di Tecnica e Pianificazione urbanistica presso l’Università Iuav di Venezia dove insegna Pianificazione
ambientale e Progettazione del territorio per i cambiamenti climatici. Ha coordinato numerosi progetti di ricerca
e consulenza scientifica in Italia e all’estero sul rapporto tra pianificazione urbanistica e cambiamenti climatici.
Regione del Veneto
Laura Fregolent, architetto-urbanista e dottore di ricerca (PhD) in Scienze e metodi per la città e i territori europei,
è professore associato di Tecnica e Pianificazione urbanistica presso l’Università Iuav di Venezia dove insegna Analisi urbana
e territoriale. Svolge attività di ricerca in particolare sui temi della dispersione insediativa e delle interazioni fra trasformazioni
territoriali, strumenti di piano, dinamiche sociali e principi dello sviluppo sostenibile.
isbn 978-88-7115-867-9
ilpoligrafo
disegno di copertina di Giuliana Fornaciari
ilpoligrafo
Pianificazione urbanistica e clima urbano
I
--U
--A
--V
UHI project has been implemented through the CENTRAL EUROPE Programme co-financed by ERDF
Pianificazione urbanistica e clima urbano
Manuale per la riduzione dei fenomeni
di isola di calore urbano
a cura di Francesco Musco e Laura Fregolent
ilpoligrafo
Indice
Gruppo di Lavoro progetto
Development and application of mitigation and adaptation strategies and measures
for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon (UHI)
Regione del Veneto
Area Infrastrutture
Dipartimento Territorio - Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia
Luigi Fortunato, Direttore dell’Area
Vincenzo Fabris, Direttore di Dipartimento
Maurizio De Gennaro, Direttore di Sezione
Susanna Frare
Alberto Miotto
Federico Bossi
Università Iuav di Venezia
Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi
Francesco Musco, Coordinamento scientifico
Laura Fregolent
Davide Ferro
Giuliana Fornaciari
Filippo Magni
Denis Maragno
Davide Martinucci
Alessandro Salvati
Euris S.r.l. - UHI Project Technical Secretariat
Chiara Licata
Marco Meggiolaro
9Presentazione
Luca Zaia
10Presentazione
Vincenzo Fabris
11 Strumenti e strategie per il controllo e il monitoraggio del territorio
Maurizio De Gennaro
13 Sostenibilità nella pianificazione: nuovi strumenti e applicazioni in Veneto
Francesco Musco, Laura Fregolent
Parte Prima
Pianificazione urbana e territoriale
nel contesto del cambiamento climatico
1. UHI nel contesto ampio del CC: pianificazione, città e clima
17 1.1.Mitigazione e adattamento: le sfide poste alla pianificazione del territorio
Francesco Musco, Filippo Magni
29 1.2. Dalla strategia nazionale per l’adattamento climatico all’azione locale.
Riflessioni sui percorsi da costruire
Andrea Filpa, Simone Ombuen
39 1.3. Integrare e attuare politiche per il clima urbano:
strumenti di pianificazione ordinaria e specialistica
Sara Verones
53 1.4. Il ruolo delle tecnologie ICT nelle attività di governo del territorio
in uno scenario di cambiamento climatico
Denis Maragno
2.Città, territorio e CC
Progetto grafico e realizzazione editoriale
Laura Rigon
Il Poligrafo casa editrice srl
35121 Padova
piazza Eremitani - via Cassan, 34
tel. 049 8360887 - fax 049 8360864
e-mail [email protected]
www.poligrafo.it
ISBN 978-88-7115-867-9
© copyright 2014 Regione del Veneto
Tutti i diritti sono riservati
Non è consentita la riproduzione, la memorizzazione
in qualsiasi forma (fotocopia, microfilm, scansione elettronica
o ogni altro tipo di supporto) senza autorizzazione scritta
dei detentori del copyright
61 2.1. Dalla città compatta alla metropoli diffusa:
crescita insediativa e implicazioni sui cambiamenti climatici a scala urbana
Luigi Perini, Luca Salvati
69 2.2. Forma urbana ed energia: verso una progettazione bioclimatica
per la riduzione di consumi e temperature
Filippo Magni
79 2.3. Dispersione urbana e misure di contenimento: verso un approccio sostenibile
Laura Fregolent
FOCUS 1
93 Un approccio integrato all’adattamento urbano: combinare la mitigazione
dell’effetto isola di calore con la laminazione delle acque di pioggia
Davide Ferro
96
Le carte tematiche per la sensibilità ambientale in provincia di Venezia
Denis Maragno
99
Relazioni tra il PTRC e il Progetto UHI
Alberto Miotto
102 104Metodi e strumenti per l’analisi spaziale dei fenomeni di sprawl urbano
Strategie e misure per il contenimento dello sprawl
Stefano Salata
Beniamino Murgante, Federico Amato, Federico Martellozzo
180
Spazi verdi da vivere: progetti di salute urbana
Maria Rosa Vittadini, Domenico Bolla, Armando Barp, Liliana Padovani
Nico Cattapan, Leonardo Filesi, Annarita Lapenna, Giuseppe Caldarola
Pianificazione urbana e territoriale:
Politiche, tecniche e strumenti
Sezione a cura dell’Università Iuav di Venezia
106
Processo di urbanizzazione e isole di calore urbane (UHI)
Ciro Gardi
(cofinanziata nell’ambito delle attività del Dipartimento di Pianificazione e Progettazione
in Ambienti Complessi - DPPAC)
1. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
112
Le emissioni di anidride carbonica nel settore dei trasporti
Silvio Nocera
Parte Seconda
Il fenomeno delle Isole di calore urbano e la sua identificazione
1.Strumenti e indici per la descrizione dell’UHI
117 1.1. Lo stato delle conoscenze sulle isole di calore urbane (UHI)
Alessandro Salvati
131 1.2. Dati, rilevazioni e descrizione del fenomeno UHI
Marco Noro, Renato Lazzarin
185 1.1. Veget-azione urbana
Antonio Musacchio
193 1.2.Mitigazione e adattamento ai fenomeni di UHI: il caso studio di Padova
Francesco Musco, Laura Fregolent, Davide Ferro, Filippo Magni,
Denis Maragno, Davide Martinucci, Giuliana Fornaciari
223 1.3. Tecniche di pianificazione per l’UHI: atlante e illustrazioni
Giuliana Fornaciari, Davide Ferro
245 1.4.Materiali intelligenti cool come contromisura all’isola di calore urbana
Alberto Muscio
FOCUS 3
149 1.3. I cambiamenti del clima urbano: vincoli globali e opportunità locali
Stefano Zauli Sajani, Rodica Tomozeiu, Stefano Marchesi
Paolo Lauriola, Lucio Botarelli, Giovanni Bonafè
2. UHI e ambiente urbano: cause ed effetti
157 2.1. Efficienza energetica e qualità dell’ambiente
Francesca Cappelletti, Fabio Peron, Ugo Mazzali
Alessandro Righi, Piercarlo Romagnoni
FOCUS 2
263 L’uso del verde in ambiente urbano
Martina Petralli, Giada Brandani, Luciano Massetti, Simone Orlandini
267 Le politiche urbane per il clima a Padova
Daniela Luise
269 Il Progetto EPOurban
“Enabling Private Owners of Residential Buildings
to Integrate them into Urban Restructuring Processes”
Sara Verones, Carlo Battisti
L’Approccio Ecosistemico: evoluzione dei principi
per la gestione dei sistemi sociali ed ecologici
Elena Gissi
271 Il progetto CABEE e l’iniziativa CESBA
per una nuova cultura dell’ambiente costruito in Europa
Vito Garramone, Franco Alberti, Claudio Chiapparini, Claudio Perin
170
L’Epproccio Ecosistemico all’effetto isola di calore
Linda Zardo, Davide Geneletti, Marta Pérez Soba
165 173
La caratterizzazione del metabolismo urbano
per la valutazione della sostenibilità del sistema urbano. Il caso del Comune di Treviso
Maurizio Pioletti, Roberto Pastres, Giacomo Cireddu
Michele Masè, Daniele Brigolin
176
Qualità dello spazio urbano e comfort termico
Alessandro Salvati
Ondate di calore e salute della popolazione
Alessandro Messeri, Marco Morabito, Martina Petralli
Giada Brandani, Francesca Natali, Simone Orlandini
178
275 Il Regolamento Edilizio Sostenibile di Bassano del Grappa
Roberta Michelon
277 Le infrastrutture verdi
Nicola Boscolo
279 L’educazione per lo sviluppo sostenibile: ondate di calore, verde ed energia
Giovanna Pizzo, Selene Verzola
Appendice
285 Rassegna di casi studio internazionali
Alessandro Salvati
301Gli Autori
Il miglioramento delle condizioni e della qualità della vita della popolazione che vive e lavora in
Veneto rientra tra i compiti della politica regionale, attuata anche attraverso una pianificazione territoriale e specifiche azioni atte a prevenire e a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.
La Regione del Veneto coniuga già all’interno degli strumenti di pianificazione quegli obiettivi
e quelle finalità che prevedono procedure mirate ad anticipare prospettive di miglioramento dell’ambiente umano e naturale.
Con la variante a valenza paesaggistica al Piano Territoriale Regionale di Coordinamento, in
attuazione alla Convenzione Europea del Paesaggio, viene accelerato il processo che promuove lo sviluppo urbano sostenibile, riconoscendo il ruolo della città quale motore di crescita e di sviluppo nonché di competitività.
L’occasione di fornire i risultati del progetto sulle misure di mitigazione e adattamento al fenomeno delle isole di calore urbane, nato da studi e collaborazioni a livello europeo, permetterà alle
Amministrazioni locali di aggiornare gli strumenti di pianificazione e gestione del contesto urbano per
consentire maggiori opportunità per uno sviluppo sostenibile stabile e garantito anche per le future
generazioni.
Luca Zaia
Presidente della Regione del Veneto
9
strumenti e strategie
per il controllo e il monitoraggio del territorio
Il progetto denominato UHI – Urban Heat Islands – prende avvio da una specifica analisi bibliografica del fenomeno delle “Isole urbane di calore” sulla base di misure microclimatiche in situ e con
l’uso di tecniche di telerilevamento, al fine di identificare e definire le necessarie misure di mitigazione
e le opportune strategie di prevenzione e gestione del rischio.
L’attività sviluppata in coerenza col programma operativo ha consentito il confronto dei risultati
scientifici, degli strumenti di pianificazione e delle esperienze in campo legislativo, per individuare,
all’interno delle aree pilota, modelli di pianificazione urbana e territoriale capaci di limitare il fenomeno e promuovere strategie di prevenzione e gestione del rischio che mirano a ridurre l’impatto, come il
disagio bioclimatico estivo, sulla vivibilità dei centri urbani.
Anche secondo queste finalità è stata aggiornata la pianificazione regionale di governo del territorio, con la quale si propone di tutelare e disciplinare il territorio stesso attribuendo al medesimo la
valenza paesaggistica al fine di migliorare la qualità della vita in un’ottica di sviluppo urbano sostenibile e in coerenza con i processi di integrazione e sviluppo dello spazio europeo.
In attuazione di questi obiettivi la Regione del Veneto, con le principali città dell’area del Central
Europe, partecipa a questo interessante processo, e ha individuato all’interno del territorio del comune
di Padova un’area pilota ove applicare questi modelli.
è quindi d’auspicio che lo studio del fenomeno delle “isole urbane di calore” sia valutato con tutte
le opportune attenzioni e che i risultati possano fornire quei supporti necessari alle corrette scelte nei
processi decisionali ad ogni livello.
Vincenzo Fabris
Direttore del Dipartimento Territorio
della Regione del Veneto
La Regione del Veneto, nell’ambito della propria azione di governo del territorio, ha da tempo
avviato un’attenta attività di ricerca e sperimentazione orientata allo sviluppo di strumenti e documentazioni a supporto delle analisi necessarie per una corretta pianificazione territoriale e un’oculata gestione delle risorse ambientali.
In questo scenario, la conoscenza e il monitoraggio del territorio, l’impatto dei processi dell’urbanizzazione e dell’antropizzazione sono tematiche di grande rilievo e di particolare interesse, che
richiedono una costante attenzione per le scelte e le soluzioni a supporto delle strategie proprie della
pianificazione territoriale e ambientale.
Il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC), che costituisce il principale strumento regionale di governo del territorio e documento di riferimento per la tematica ambientale e
paesaggistica, prevede, per l’attuazione delle proprie finalità, una serie di azioni mirate ad un razionale utilizzo della risorsa territoriale, secondo un equilibrato sviluppo socio-economico in rapporto
con l’ambiente.
Tra gli obiettivi e le finalità del PTRC, il fenomeno dell’adattamento climatico in ambiente urbano trova risposta in specifiche azioni atte a ridurre l’impatto di inquinamento nonché in azioni
mirate al miglioramento e alla tutela delle risorse ambientali.
Nell’articolato sistema di piani e progetti, avviati e sviluppati per la corretta attuazione delle politiche territoriali, la Regione del Veneto ha riconosciuto il ruolo e l’importanza dell’Informazione
Territoriale quale elemento fondamentale dai qualificati contenuti tecnico-scientifici, prevedendo
altresì forme di comunicazione nelle rete dei sistemi di conoscenza.
A tal fine è stato progettato e realizzato il Sistema Informativo Territoriale regionale, che rappresenta un sistema di servizi nel quale le diverse componenti dell’Informazione Territoriale – cartografie tecniche e tematiche, database geografici e geodetici, foto aeree e orto immagini digitali –
sono acquisite, standardizzate e organizzate in funzionali banche dati che costituiscono il “Quadro
Conoscitivo” regionale e sono rese fruibili nella rete del Sistema Pubblico di Connettività.
Garantire la qualità e la condivisione dell’Informazione Territoriale, che di fatto rappresenta la
base documentativa e informativa “certificata”, rientra tra i compiti dell’azione regionale, affinché la
stessa Informazione sia parte integrante delle iniziative e delle sperimentazioni per la conoscenza e
il monitoraggio del territorio.
Il progetto UHI rappresenta quindi un’efficace modello di gestione del patrimonio informativo
in un complesso sistema di azioni che si sono sviluppate sulla base di un’intensa attività di misurazione con l’utilizzo di innovative tecniche di rilievo e di basi di riferimento territoriali “certificate” e
condivise tra i diversi attori; un’iniziativa che ha fornito soluzioni per identificare e descrivere misure di mitigazione e strategie di prevenzione e gestione del rischio, al fine di promuovere appropriate
azioni pilota, a supporto delle tematiche proprie della pianificazione territoriale.
Maurizio De Gennaro
Regione del Veneto
Dipartimento Territorio
Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia
10
11
sostenibilità nella pianificazione:
nuovi strumenti e applicazioni in veneto
Francesco Musco, Laura Fregolent
I cambiamenti climatici sono senza dubbio emersi come questione cruciale a partire dall’inizio
del XXI secolo. Secondo le previsioni dell’International Panel for Climate Change (IPCC), i fenomeni
legati alla variabilità climatica si andranno intensificando nei prossimi decenni e gli eventi estremi
connessi al clima costituiranno in misura crescente un rischio a livello sociale ed ecologico.
Negli ultimi vent’anni la necessità di affrontare dinamiche legate al cambiamento climatico a
scala urbana è stata riconosciuta a livello istituzionale, accademico e operativo.
In questo contesto le sfide poste dagli scenari di clima che cambia richiedono una ridefinizione
del ruolo della pianificazione urbana e territoriale, così come un aggiornamento delle competenze
del pianificatore e degli strumenti di piano.
Il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici è sicuramente frutto di un recente dibattito
se posto in relazione con la pianificazione territoriale e urbanistica. La necessità di occuparsi dei
cambiamenti climatici dal punto di vista dell’adattamento e della mitigazione impone un considerevole salto di scala, includendo l’approccio globale richiesto dalla mitigazione per l’abbattimento
delle emissioni climalteranti, ad uno strettamente urbano ed estremamente localizzato per l’adattamento. L’adattamento in particolare è una questione urbana e locale, poiché non esistono politiche
e azioni di adattamento adeguate sempre e comunque. L’adattamento è un meccanismo complesso
che si basa principalmente sulle specificità geomorfologiche del luogo e sulla comunità locale che
lo vive, tenendo in stretta considerazione i sistemi economici locali, le infrastrutture e i flussi che
lo caratterizzano.
Specialmente nel contesto italiano, gli aspetti riguardanti una gestione oculata dell’energia in
ambito urbano e più in generale temi di resilienza urbana e di “protezione del clima” hanno cominciato timidamente a essere introdotti nei sistemi normativi, anche se le esperienze compiute sono
ancora molto contenute e in genere limitate a strumenti di natura volontaria, con risultati ancora
lontani dalle aspettative di drastica riduzione dei consumi energetici e di abbattimento delle emissioni climalteranti.
I piani volontari a seconda del livello di governo o della tipologia hanno assunto denominazioni differenti, non dimenticando che a denominazioni diverse non sempre corrispondono sostanziali differenze nei contenuti se non diversi livelli di attenzione alla mitigazione e/o all’adattamento:
climate strategy plans, national mitigation / adaptation strategies, Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), piani per la protezione del clima, climate action / protection plans, climate mitigation
plans sono alcuni degli strumenti e delle strategie costruiti nel panorama europeo e internazionale,
con la volontà di introdurre il tema della protezione del clima all’interno della pianificazione territoriale, tanto a scala vasta quanto a quella locale.
Nonostante i limitati risultati di questi strumenti, non va però sottaciuto che un merito ai piani
di natura volontaria finalizzati alla protezione dei sistemi urbani rispetto alle variabilità climatiche
vada assegnato: avere avviato un dibattito rilevante a livello istituzionale e locale favorendo l’avvio
di sperimentazioni alle varie scale e innovazioni dal punto di vista normativo.
Sicuramente è il caso del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC) della Regione
del Veneto che ha introdotto nell’ultima variante paesaggistica del 2013 esplicite indicazioni per
le amministrazioni locali per il recepimento delle indicazioni sulla mitigazione e l’adattamento ai
cambiamenti climatici.
Articolazione del libro
Il volume affronta attraverso un approccio interdisciplinare il tema delle isole di calore urbano
(UHI), ponendo l’accento, in particolare, sul contributo dell’urbanistica, dalla pianificazione territoriale alla mitigazione degli impatti del surriscaldamento delle aree urbane, e sulla predisposizione
13
di opportune soluzioni di adattamento nella prospettiva di un’intensificazione del fenomeno nei
prossimi anni.
Il testo assume la forma del “manuale” rivolto in particolare alle amministrazioni locali della
Regione del Veneto, impegnate in un progressivo adeguamento della pianificazione territoriale e
urbanistica alla gestione delle risorse energetiche e alla riduzione degli impatti locali del “clima che
cambia”. Si articola in tre parti principali finalizzate ad introdurre (1) il rapporto tra pianificazione
urbanistica e cambiamenti climatici, con attenzione alla forma urbana e alla specificità dei sistemi
urbani del Veneto; (2) alla descrizione dei fenomeni dell’isola di calore urbano (UHI); (3) alle tecniche urbanistiche più adeguate alla calmierazione del surriscaldamento urbano, non trascurando
fondamentali relazioni con la tecnologia e con la fisica tecnica per proporre soluzioni praticabili a
livello locale.
L’importanza assunta dal tema del fenomeno UHI e la necessità di osservare il fenomeno in una
dimensione sistemica e allargata ai temi della sostenibilità ambientale nel suo complesso ci ha spinto
a raccogliere nel libro contributi diversi e diversamente articolati ma finalizzati a dare il più possibile
un quadro ampio delle problematiche connesse ai temi della sostenibilità ambientale, dei progetti
in corso, delle azioni potenziali e delle politiche urbane e territoriali capaci di dare attuazione alla
Strategia europea di sostenibilità ambientale.
Per questo e a partire dal fenomeno UHI lo sguardo viene rivolto al contesto più ampio del
climate change – al quale viene dedicata la prima parte del testo – ponendo in relazione, attraverso i
diversi contributi raccolti, la relazione tra climate change, città e pianificazione. La città viene osservata nella sua forma compatta e dispersa perché la forma assunta dall’urbano e la sua regolazione
attraverso adeguati strumenti di pianificazione possono dare un contributo importante alla protezione del clima ed è per questo che una delle spinte maggiori, anche in sede europea, è proprio nella
direzione di un intervento sulla forma urbana, sulla compattazione dell’urbano e sul riuso delle aree
abbandonate e dismesse.
La seconda parte si concentra sul fenomeno UHI e sulla sua identificazione e misurazione attraverso l’uso di rilevazioni e dati specifici. Tra le cause e gli effetti individuati un’attenzione particolare è rivolta alle questioni energetiche e alla loro connessione con la qualità dell’ambiente e dello spazio urbano.
La terza parte, infine, si concentra sulle politiche, le tecniche e gli strumenti da utilizzare per la
mitigazione e l’adattamento. Trovano qui spazio la parte dedicata al caso studio di Padova e l’atlante
delle misure studiate e proposte proprio a partire dal caso studio.
Chiude il libro una rassegna di casi studio internazionali di politiche e interventi progettuali,
che forniscono un’osservazione interessante e contestualizzata in particolare alla scala urbana degli
effetti del fenomeno UHI e offrono validi spunti di riflessione e ipotesi di intervento.
La sperimentazione che ha portato alla realizzazione di questo manuale è stata sostenuta dalla
Regione del Veneto Dipartimento Territorio - Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia, nell’ambito del progetto di cooperazione territoriale europea Central Europe, UHI Development and application of mitigation and adaptation strategies and measures for counteracting the
global Urban Heat Islands phenomenon (3CE292P3 UHI).
14
Introduzione
parte prima
Pianificazione urbana e territoriale
nel contesto del cambiamento climatico
1. uhi nel contesto ampio del CC: pianificazione, città e clima
1.1. Mitigazione e Adattamento: le sfide poste alla pianificazione del territorio
Francesco Musco, Filippo Magni
Introduzione
I cambiamenti climatici rappresentano una minaccia e, allo stesso tempo, una nuova sfida per
le città del XXI secolo, proiettate in uno scenario di forte fragilità del sistema ambientale. In questa
prospettiva la pianificazione urbanistica e territoriale può offrire un contributo disciplinare rilevante
sia in termini di elaborazione di proposte di abbattimento delle emissioni (la città carbon free) che in
termini di integrazione di azioni di adattamento (portfoli e abachi di adattamento) mirate agli specifici contesti territoriali. È ormai largamente riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale, in particolare dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che ai ciclici mutamenti
naturali dei sistemi ambientali da sempre rilevati si sia andato a sovrapporre il contributo decisivo
e invasivo dell’attività antropica, in termini sia di incremento delle emissioni clima alternati che in
termini di mancata e soprattutto inefficace programmazione territoriale, contributo determinante nell’incremento di temperatura registrato, nello sconvolgimento del regime delle precipitazioni e nell’innalzamento del livello dei mari, nonché nell’aumento della frequenza e dell’intensità di
eventi estremi, che accrescono una pluralità di rischi a livello locale, per i territori e le città. Questo nuovo scenario, caratterizzato da forte incertezza, mette in crisi un apparato di paradigmi consolidati, ormai inadeguati a dare risposte utili di fronte a rischi che spesso valicano l’immaginabile.
La pianificazione tradizionale ha fatto in modo che le attività umane sul territorio fossero progettate
e dimensionate con il presupposto, esplicito o implicito, che la situazione e le condizioni ambientali e
territoriali rimanessero costanti e non mutassero nel tempo. Il territorio risulta impreparato ai possibili cambiamenti, in cui i sistemi urbani subiscono impatti sempre maggiori. Al centro di questo scenario di incertezza vi sono le città dove si concentra la popolazione mondiale, dove gli effetti negativi del
clima si presentano più severi per il prevalere dell’artificiale sul naturale. L’individuazione dei rischi ai
quali sono esposti gli abitanti, la valutazione della vulnerabilità urbana nel suo complesso e la formulazione di strategie atte a contrastare il problema degli impatti locali degli eventi esterni rappresentano
un banco di prova importante per una pianificazione che potrebbe essere definita climate proof.
Se da un lato hanno contribuito fortemente al cambiamento climatico, con i loro consumi e le
loro emissioni di gas serra, dall’altro le città e i governi locali in senso più ampio sono i centri dell’innovazione economica, politica e culturale, motori delle economie nazionali, e rivestono un ruolo
strategico nella sperimentazione di nuove politiche sia per la riduzione delle emissioni climalteranti
(strategie di mitigazione), sia per l’aumento della resilienza urbana agli inevitabili impatti che anche
con la mitigazione non potranno essere evitati. Sono ormai molteplici le realtà urbane che stanno
introducendo la questione dei cambiamenti climatici nelle proprie politiche urbane, (per citarne
alcune, New York, Chicago, Toronto, Stoccarda, Vienna, Londra, Padova, Bologna) redigendo strumenti di pianificazione di natura volontaria finora poco diffusi (Piani clima, Piani di adattamento, Piani per l’energia sostenibile ecc.), in cui vengono proposti e strutturati complessi programmi
di adattamento, integrati ad azioni di mitigazione secondo quella che si sta definendo come una
complessiva politica di protezione del clima che parte dalle città (Musco, 2014a). In Italia i primi
segnali positivi, di una nuova attenzione istituzionale, sono arrivati dall’ampia adesione al Patto
dei Sindaci e dalla recente Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNAC),
che ha ricevuto una prima approvazione dalla Conferenza Stato-Regioni e si auspica una prossima
definitiva adozione per passare alla fase operativa di redazione dei Piani di adattamento. Ponendo il
cambiamento climatico (e le relative politiche di contrasto) al centro delle politiche urbane, si apre
17
uno scenario che deve interrogare le discipline di governo del territorio rispetto al proprio ruolo,
alle modalità di progettazione e gestione della città di fronte alla capacità di adeguarsi al mutevole
scenario climatico. Come deve cambiare l’approccio pianificatorio? Quali caratteri dovranno avere
gli strumenti urbanistici per rispondere all’incertezza imposta dai cambiamenti climatici? Quali
nuove conoscenze e analisi occorrerà introdurre per identificare e prevenire rischi ed esternalità
negative? Sono alcune delle questioni a cui una pianificazione territoriale innovativa dovrà cercare
di rispondere nell’immediato futuro.
Le risposte ai cambiamenti climatici: mitigare e adattarsi
Considerando come il dibattito sui cambiamenti climatici – supportato dall’evidenza empirica introdotta dal rapporto Stern (2006), seguito dai rapporti periodici dell’IPCC (2007a; 2013), della Commissione Europea sull’innalzamento della temperatura, oltre a quello dell’EEA (2012) Urban
adaptation to climate change in Europe – abbia acquisito sempre maggiore rilevanza nelle questioni
urbane, si può affermare che la parte di policy makers – istituzionali e non – che spinge per introdurre
la ‘protezione del clima’ all’interno delle politiche locali di gestione ordinaria del territorio è in costante aumento. Guardando allora la “protezione del clima” come l’insieme delle politiche indirette di
adattamento e mitigazione finalizzate alla riduzione dell’impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali e antropizzati da un lato e dall’altro alla riduzione delle esternalità ambientali che possono
favorire le mutazioni climatiche nel medio e lungo periodo (Musco, 2008), risulta chiaro come si
faccia riferimento a un insieme di politiche definite nei sistemi di governo a tutte le scale, che prevedano l’applicazione congiunta di interventi per la mitigazione e l’adattamento. L’approccio congiunto
acquista allora una valenza strategica in quanto consente di tenere insieme diversi livelli di gestione,
molteplici settori di intervento e una pluralità di attori, sia in un’ottica top-down che bottom-up.
Il primo asse strategico riguarda la mitigazione, cioè quegli interventi e quelle misure che cercano di ridurre o contenere le emissioni di gas climalteranti, una tipologia di intervento, quindi,
che agisce sulle cause del cambiamento e non sull’effetto, su quelli che sono i settori maggiormente
responsabili dell’aumento delle emissioni (settori produttivi, mobilità, energia, uso dei suoli) (IPCC,
2007a). Il secondo asse riguarda le strategie di adattamento, azioni cioè attuabili in maniera preventiva (o reattiva), attraverso le quali ci si prepara ad affrontare il futuro, attrezzandosi opportunamente per convivere con i cambiamenti climatici, minimizzandone i contraccolpi negativi e anticipando
la previsione dei possibili danni (Manigrasso, 2013).
Quello a cui oggi stiamo assistendo è un cambiamento che sta procedendo a un ritmo troppo veloce, a causa della sovrapposizione del contributo antropico, al naturale e ciclico mutamento
climatico (Mercalli, 2011). L’intensità di questo cambiamento e gli impatti da esso provocati dipenderanno però dalle azioni che verranno intraprese oggi per controllare e ridurre le emissioni di
gas serra, come il mantenimento della temperatura globale di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali.
La concentrazione di CO2 dovrà infatti rimanere al di sotto dei 450 ppm. Ciò si dovrebbe tradurre in
una riduzione delle emissioni climalteranti del 25-40% entro il 2020 e dell’80% entro il 2050 rispetto al 1990. Al contempo non va dimenticato che il sistema climatico terrestre ha tempi di risposta
molto lunghi: gli esperti concordano oggi nell’affermare che i cambiamenti climatici non possono
più essere arrestati completamente (Stern, 2007). Gli eventi meteorologici estremi (alluvioni, tempeste, caldo estremo e siccità), che negli ultimi vent’anni sono aumentati di frequenza e intensità,
sono segni di una variabilità climatica e anche se oggi venissero azzerate le emissioni, il sistema
inerziale climatico non ne trarrebbe beneficio per diverse decine d’anni. Non bloccare l’aumento
della quantità di anidride carbonica in atmosfera significa correre il rischio di cambiare il clima in
modi imprevedibili che renderanno assolutamente complicato qualsiasi tentativo di adattamento.
18
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
È proprio la Stern Review che, contrariamente ai primi rapporti dell’IPCC, si rivolge al grande pubblico, per far capire che i cambiamenti climatici non sono solo un problema ambientale, ma anche
una importante questione di sviluppo economico, soprattutto per i paesi più poveri e vulnerabili.
Che diventerà, via commercio internazionale e fenomeni migratori, una questione cruciale anche
per i paesi più sviluppati. Occorre dunque l’intervento delle istituzioni (internazionali, nazionali
e locali) attraverso la definizione e la messa in atto di adeguate politiche oltre che di mitigazione
anche di adattamento, soprattutto per attenuare gli inevitabili effetti avversi nel breve periodo, fino
a quando le azioni di mitigazione non produrranno i primi effetti benefici (Carraro, 2009). Al contempo non va sottaciuto che la definizione di strategie di adattamento non adeguatamente supportate da un approccio site oriented, sia in termini di analisi che di progetto, può portare a forme di
maladattamento (Swart et al., 2014).
Climate protection planning: tra progetti internazionali ed esperienze locali
Lo stato dell’arte di quella che potrebbe essere definita climate protection planning in Europa è
assolutamente eterogeneo. Da una lettura d’insieme delle politiche europee di mitigazione e adattamento emerge una prospettiva non uniforme, guidata da sistemi istituzionali e caratterizzazioni
culturali-territoriali assai differenti. Ogni paese si caratterizza per un indirizzo nazionale (piani e
strategie nazionali di mitigazione e/o adattamento, ove presenti) e per la presenza di iniziative locali
in termini di piani clima e di strumenti o reti di enti locali. Lo stato di queste ultime varia notevolmente da un caso all’altro, e solo alcuni enti locali hanno introdotto in maniera integrata strategie di
adattamento, mitigazione ed efficienza energetica nel sistema di pianificazione territoriale esistente
(Musco - Patassini, 2012).
Pur essendo identificabili conseguenze ricorrenti agli impatti locali, ciascun contesto urbano
è soggetto a conseguenze anche molto diverse, derivanti da differenti combinazioni dell’exposure ai
cambiamenti climatici con le specifiche caratteristiche dimensionali, localizzative, sociali e produttive dell’insediamento stesso (che può presentare a seconda dei casi una maggiore o minore sensitivity
alle forme dei cambiamenti climatici). Per la definizione della exposure assume importanza centrale
il downscaling delle previsioni e delle analisi climatiche (gli attuali modelli climatici operano per lo
più alla scala vasta, offrendo indicazioni inadeguate per la pianificazione a scala locale), mentre per
la comprensione degli impatti e delle vulnerabilità locali risultano fondamentali i climate resiliency
studies1, strumenti di supporto per formulare strategie, priorità, piani di azione adattati alle reali
necessità di ciascun insediamento (Filpa et al., 2014).
Diverse amministrazioni locali italiane hanno avviato percorsi di formazione di piani di adattamento alla scala urbana di natura assolutamente volontaria che nella totalità dei casi sono frutto di
esperienze di partecipazioni a progetti internazionali cofinanziati dalla Commissione Europea nel
corso della programmazione appena chiusa 2007-20132 e in molti casi ancora in corso nel 2014.
Anche se il panorama scientifico (Betsill - Bulkeley, 2005; 2009; Biesbroek, 2009; 2014; Musco Van Staden, 2010) e le relazioni internazionali (IPCC, EEA, UE Libro Bianco) considerano la pianificazione del territorio come paradigma basilare per affrontare tanto le cause quanto le conseguenze del
cambiamento climatico, la traduzione di queste tematiche in politiche e processi di gestione ordinaria
del territorio non avviene (se non in rari casi) in maniera esplicita. Nel 2006, con la pubblicazione del
Libro Verde sull’Energia (COM/2006/105) An European Strategy for Sustainable, Competitive and Secure Energy, si è posto il problema dell’efficienza energetica e dello sfruttamento di fonti energetiche
rinnovabili, nelle politiche europee in materia. Strumento, questo, che è stato seguito, nel 2007, dalla
proposta di un piano d’azione per l’efficienza energetica (2007-2012) e da un piano (COM/2007/723)
SET (Strategic Energy Technology Plan). Con il cosiddetto pacchetto “Clima ed Energia” l’UE si è posta
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
19
finalmente un obbiettivo concreto e vincolante per i paesi membri: ridurre del 20% le proprie emissioni di gas serra (misurate in CO2 equivalente) entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, di ridurre i
consumi energetici del 20% rispetto a uno scenario business as usual e di produrre energia da fonti
rinnovabili pari al 20% dei consumi energetici finali. Il 2020 non è certamente un orizzonte temporale idoneo alla risoluzione dei problemi legati agli impatti dei cambiamenti climatici; per questo
la Commissione ha già iniziato a esplorare i diversi scenari che si profilano per il post 2020. Con la
comunicazione (COM/2011/112) Una tabella di marcia verso un’economia competitiva a basse emissioni
di carbonio nel 2050 la Commissione afferma che tale transizione passa attraverso tappe che prevedono la riduzione delle emissioni di gas climalteranti del 25% al 2020, del 40% al 2030, del 60% al 2040,
dell’80% al 2050 rispetto ai livelli del 1990, superando così l’obiettivo fissato dallo stesso pacchetto.
In Italia, come in altri paesi europei, alcuni aspetti riguardanti la realizzazione di un migliore
rendimento energetico urbano e più raramente la “protezione del clima” hanno cominciato progressivamente a essere introdotti nei sistemi normativi, anche se le esperienze portate a compimento rimangono ancora limitate o di natura esclusivamente volontaria; sicuramente i risultati non sono in
linea con le aspettative di riduzione dei consumi energetici e dei gas a effetto serra (Bulkeley, 2009).
Anche se l’attuazione di politiche e piani d’azione risulta variare a seconda del contesto nazionale e
della modalità di governance urbana e si registra una crescente quantità di esperienze, programmi e
progetti che legano direttamente realtà locali alla Comunità Europea, creando nuove reti (Covenant
of Mayors3, GRaBS4) o appoggiandosi a rapporti associativi già consolidati in Italia e a livello internazionale (Coordinamento Nazionale Italiano Agende 21 Locali, ICLEI, C40, Clinton Foundation,
Resilient cities program – Rockfeller Foundation ecc.).
Su queste premesse autorità locali, regionali e talvolta nazionali hanno iniziato a definire, in
molti casi in via sperimentale, una serie di piani volti alla protezione del clima, che a seconda del
livello o della tipologia hanno assunto denominazioni differenti, non trascurando che a denominazioni diverse non sempre corrispondono sostanziali differenze nei contenuti se non diversi livelli
di attenzione alla mitigazione e/o all’adattamento: climate strategy plans, national mitigation/adaptation strategies, Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile, piani per la protezione del clima, climate
action / protection plans, climate mitigation plans sono alcuni degli strumenti e delle strategie costruite nel panorama europeo e internazionale, con la volontà di introdurre il tema della protezione del
clima all’interno della pianificazione territoriale, tanto a scala vasta, quanto a quella locale.
A livello generale, però, il problema che accomuna tutte queste iniziative è rappresentato dal
fatto che i “i piani clima” risultano avere una struttura non completamente omogenea, sia in termini
di definizione che di contenuti. Come definire, quindi, un corretto piano climatico che abbia il territorio e la città come ambito privilegiato di azione? Come è possibile integrare strutturalmente le
questioni del clima negli strumenti ordinari di gestione del territorio? Come fare operare congiuntamente mitigazione e adattamento?
Clima e pianificazione urbanistica
Contrariamente alle attese, i danni provocati dai numerosi fenomeni climatici estremi che
nell’ultimo decennio hanno coinvolto tanto l’Europa (ad esempio l’ondata di calore del 2003 o le
numerose alluvioni avvenute nell’Europa centro-orientale) quanto l’Italia (Firenze, Genova, Treviso
e Foggia come esempi più recenti) non hanno portato, se non in minima parte, cambiamenti sostanziali nell’approccio alle problematiche urbane legate al clima e allo sviluppo di nuove misure o
azioni, relegando le politiche di protezione del clima in un quadro teorico più generale, scoraggiando
confronti e approcci interdisciplinari. La tendenza generale, infatti, è di interpretare i temi legati al
clima in maniera mono-disciplinare e di utilizzare evidenze e informazioni da un numero limitato
20
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
di discipline scientifiche. Come conseguenza, la pianificazione climatica è rimasta un dominio settoriale, consegnato alla redazione di un proprio “piano” e in genere a iniziative di specifici organismi
tecnico-amministrativi (l’ufficio ambiente, l’ufficio energia, l’ufficio protezione civile ecc.). In questo
modo si è perso il ruolo di regia complessiva delle amministrazioni locali in merito a temi le cui molteplici implicazioni richiedono una forte integrazione a scala territoriale e urbana in particolare.
A livello internazionale, la Climate Roadmap del 2007, il Covenant of Mayor del 2009 e gli impegni più recenti assunti dai governi locali con il Global Cities Covenant on Climate - the Mexico City
Pact 2011 e la Bonn Declaration of Mayors del 2011 hanno messo le basi perché venga riconosciuto ai
governi locali un ruolo strategico nell’affrontare i cambiamenti climatici per la loro responsabilità
in piani e regolamenti capaci di influenzare processi e soluzioni innovative di adattamento e mitigazione. In Italia, dove invece le esperienze dei governi locali sono ancora molto limitate rispetto al
contesto europeo, questo sforzo è stato fatto dal Coordinamento Nazionale Italiano Agende 21 Locali con la propria Carta delle città e dei territori per il clima e dalla Provincia di Rovigo con la Rovigo
Outreach: un protocollo di comportamento per le piccole e medie amministrazioni locali d’Europa
impegnate nella definizione di politiche per la protezione del clima.
Attraverso il City climate catalogue, che raccoglie la prima lista globale di piani per il clima
sviluppati (dagli obiettivi ai risultati) direttamente dalle singole amministrazioni locali, in maniera
indipendente rispetto ai propri governi nazionali, si può intendere che i settori di riferimento coinvolti da tali politiche, pur venendo esse inventariate e raggruppate in modo diverso dalle varie amministrazioni, contengono dei macro-settori di riferimento identificabili in tutti i piani analizzati.
Il diverso modo di raggruppare i settori può dipendere dal tipo di piano, dalla presenza di strategie
nazionali, dalle caratteristiche territoriali e dall’approccio adottato dall’amministrazione autrice del
piano. Tra i principali settori interessati si possono riconoscere:
– trasporto e mobilità;
– edifici: residenziali, commerciali, istituzionali;
– pianificazione urbanistica a scala di isolato/quartiere;
– produzione locale e distribuzione di energia;
– settori produttivi: industria, servizi, agricoltura e foreste.
L’adozione di obiettivi specifici di riduzione delle emissioni climalteranti da parte di ogni amministrazione locale fa ovviamente riferimento ai target stabiliti dall’UE5 o alle indicazioni contenute nelle strategie nazionali di riferimento. Molte città però hanno indipendentemente deciso di
porsi dei limiti più stringenti rispetto ai riferimenti europei o nazionali anticipando un possibile
innalzamento degli obiettivi di riduzione da parte dell’Unione stessa e investendo strategicamente
sulla protezione del clima. Diverse città europee si sono date obiettivi molto ambiziosi, in parte già
raggiunti. Fra queste Londra (60% di riduzione rispetto al 1990 nel 2025), Parigi (75% di riduzione al
2050 rispetto al 2004), Amsterdam (riduzione del 40% al 2025 rispetto al 1990) Copenhagen (riduzione del 20% rispetto al 2005 già conseguita nel 2010 e l’obiettivo di una riduzione del 100%), Madrid
(50% di riduzione nel 2050 rispetto al 2004). Il contesto nel quale si muovono le città italiane è invece
tutt’altro che confortante, per la mancanza di un non ancora adeguato indirizzo politico nazionale
e di uno stabile quadro di riferimento normativo, a cui si somma la perdurante scarsità di risorse
per investimenti pubblici strategici. Sul piano dei numeri è sufficiente un accenno: in Italia il ritardo
nell’attuazione delle direttive comunitarie nel settore residenziale e in quello dei servizi si accompagna a un incremento delle emissioni di gas climalteranti del 10,5% tra il 1990 e il 2008, a fronte del
calo del 13,6% registrato in Europa (in media, nello stesso periodo e per gli stessi settori). Ancora: in
un’Europa ormai indirizzata verso l’adempimento degli obblighi connessi al Protocollo di Kyoto, il
nostro paese è riuscito a recuperare parte del tempo perduto solo “grazie” agli effetti depressivi della
crisi economica, come dimostra la caduta della domanda di energia elettrica dal 2009.
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
21
Indipendentemente dal contesto in cui sono stati realizzati, è possibile identificare una lista di
contenuti di massima comune a quasi tutti i piani clima inseriti nel City climate catalogue. Il piano
tipo si apre con un documento strategico di inquadramento, che individua gli obiettivi di lungo periodo, dopo aver analizzato la realtà del territorio dal punto di vista socio-economico e ambientale,
i settori di intervento, i soggetti da coinvolgere, le strutture pubbliche impegnate e gli strumenti
della partecipazione. Segue l’inventario delle emissioni che contabilizza gli elementi e i settori sui
quali agire ai fini della mitigazione delle emissioni dirette, ovvero quelle riferibili ai consumi finali
di energia prodotta da combustibili fossili.
Tab. 1. Sintesi della struttura dei piani per il clima
Sezioni
Contenuti
Documento strategico
preliminare
Individua obiettivi di medio-lungo termine e provvede
a un inquadramento territoriale, definisce i soggetti coinvolti
Inventario di base delle emissioni
Contabilizza le emissioni e definisce i principali settori di interesse
per la mitigazione
Inventario degli impatti
potenziali*
Definisce gli impatti e le aree coinvolte direttamente
dai cambiamenti climatici
Piano d’azione
Definisce le azioni di intervento e i settori privilegiati
(pubblico/privato)
Schede delle azioni e delle misure
Per ogni azione una scheda specifica con risorse necessarie,
tempi e soggetti coinvolti
Pacchetto delle azioni
di adattamento*
Manuale di soluzioni edilizie/urbanistiche
e di progettazione ambientale a varie scale
* Sezioni presenti in caso di piani con specifico indirizzo all’adattamento (Fonte: Musco, 2012)
Segue alla parte di analisi e alla selezione dei settori d’intervento il Piano d’Azione, finalizzato
all’individuazione di azioni e misure da adottare per la riduzione delle emissioni di CO2. Nel caso
in cui il piano si spinga su tematiche di adattamento6, è possibile trovare l’inventario degli impatti
potenziali per uno scenario temporale breve e medio-lungo, identificando, tra le altre:
– aree a rischio idraulico e deflusso difficoltoso;
– aree costiere a rischio di erosione;
– aree a rischio di formazione di isole di calore urbane.
I potenziali impatti7 hanno ovviamente una natura “previsionale” (misura del rischio) e localizzativa (aree/fasce). Infine il prontuario di azioni di adattamento si configura prevalentemente come
manuale di soluzioni edilizie/urbanistiche e di progettazione ambientale a varie scale a seconda del
livello di azione del piano. Non tutti i piani, però, inseriscono esplicitamente il tema della pianificazione territoriale come asse strategico su cui lavorare, ma in molti casi arrivano a considerarla solo
“scomposta” in singole materie come l’edilizia, la mobilità e l’uso delle energie rinnovabili.
Nel contesto inglese i piani clima non inseriscono un capitolo specifico relativo alla pianificazione
urbanistica, il governo nazionale giuda però la pianificazione climatica a livello locale attraverso altri
strumenti che indirizzano direttamente i piani urbanistici locali: i Planning Policies Statements (PPS).
In alcuni casi, come per il piano clima di Londra, la pianificazione entra in causa con una proposta di
variante al London Plan (Draft replacement of London plan). Le indicazioni osservano argomenti specifici come la necessità di identificare delle nuove aree per la produzione di energia a livello di quartiere o
interventi come le azioni sulla mobilità pubblica (Musco, 2012). Il contesto francese dei piani per il clima
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Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
prevede di norma uno specifico approfondimento sui temi della pianificazione urbanistica, in coerenza
con le direttive della legge quadro nazionale sull’ambiente Grenelle Environnement, la quale dedica un
apposito capitolo al tema della pianificazione del territorio connessa al cambio climatico. Tale legge
incoraggiava a predisporre entro il 2012 un piano energia-clima territoriale per autorità locali con più di
50.000 abitanti e appoggia le comunità appartenenti ad agglomerati urbani di maggiori dimensioni nella realizzazione di programmi globali di innovazione architettonica, energetica, paesaggistica e sociale.
Se in Europa qualche timido passo verso l’integrazione delle politiche climatiche con quelle
di governo del territorio è stato fatto da alcuni dei membri dell’Unione, in Italia questo processo è
ancora molto lontano dalla sufficienza. A livello nazionale la Conferenza Unificata ha recentemente
espresso parere positivo sulla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici8, il documento redatto dal Ministero dell’Ambiente che delinea l’insieme di azioni e priorità volte a ridurre
l’impatto dei cambiamenti climatici sull’ambiente, sui settori socio-economici e sui sistemi naturali
italiani. Questo documento, redatto sulla base di un accurato lavoro tecnico-scientifico-giuridico e
sottoposto a una consultazione pubblica, fa diretto riferimento alla SEACC e rappresenta il più importante testo di “visione nazionale” su come affrontare l’impatto dei mutamenti del clima.
In attesa dell’adozione ufficiale della strategia nazionale, si riscontra che non esistono di fatto
altre normative vincolanti sulle questioni del clima all’interno della pianificazione territoriale, lasciando quindi ancora una volta fuori dall’agenda di Comuni, Province e Regioni le problematiche
legate agli impatti del cambio climatico. La Legge n. 10 del 9 gennaio 1991 è una delle normative
vigenti a livello nazionale che alla lontana tocca le questioni del clima, definendo le norme per
l’attuazione dei piani energetici. Tale disposizione, al comma 5 dell’articolo 5 sancisce l’obbligo per i
comuni aventi popolazione superiore a 50.000 abitati di dotarsi di un Piano Energetico Comunale
(PEC) nel quale siano indicati i principali consumi energetici, le politiche di risparmio energetico
e le politiche di sviluppo di energie da fonti rinnovabili. In moltissime realtà comunali (anche di
notevoli dimensioni e importanza a livello nazionale) questo strumento di natura obbligatoria non
è ancora stato redatto, lasciando quindi ai pochi amministratori locali consapevoli dell’importanza
del tema il compito di provare a inserire in altre politiche di settore i temi legati alla mitigazione e
all’adattamento (regolamenti edilizi, norme per l’uso del suolo, piani dei trasporti ecc.).
Interscalarità, interdisciplinarità, integrazione e governance:
prossime sfide della pianificazione climatica
Le scelte in merito alla pianificazione della città hanno finora trascurato (o lasciato in mano a
singole azioni volontarie) il rapporto tra clima e pianificazione territoriale. La crescente attenzione nei
confronti di questi processi non ha però ancora portato a risposte politiche adeguate. Come si è visto,
lo stato dell’arte sulla “protezione del clima” presenta situazioni piuttosto disomogenee con paesi dove
sono stati introdotti piani e strategie sull’adattamento e realtà dove invece i rischi e gli impatti sono sottovalutati malgrado la rilevanza dei fenomeni in corso. Nonostante questi rischi, molte città non hanno
ancora affrontato questo tema all’interno della propria agenda politica. Tra i risultati per i quali vi è
ampio consenso si impone la necessità di superare la specificità di una pianificazione parziale, esclusivamente dedicata ai consumi energetici, senza alcuna relazione con le altre forme di pianificazione. Le
ragioni principali si possono ricondurre a una mancanza di consapevolezza pubblica e condivisa sulla
variabilità del clima e sulle sue ripercussioni territoriali, a una lenta risposta ai disastri climatici a causa
della mancanza di capacità e di risorse e a una mancanza di politiche pubbliche e di regolamenti in
materia di pianificazione urbanistica e ambientale pensati per gestire il cambiamento climatico.
Oltre ai limiti vi è ampio consenso sulle potenzialità (ancora latenti) che risiedono nelle città,
le quali, se correttamente pianificate e gestite attraverso strutture di governance adeguate, hanno il
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
23
potenziale di ridurre le cause dei cambiamenti climatici (mitigazione) e di tutelarsi in modo efficace
dagli impatti locali, ormai attesi (adattamento).
Le esperienze precedentemente citate, tanto in contesti internazionali come Londra e Parigi,
quanto a livello nazionale, come Bologna e Padova, forniscono uno esempio da cui prendere spunto
per provare a delineare una roadmap per il nuovo design o l’integrazione degli esistenti strumenti di
pianificazione urbanistica e territoriale.
Governance e innovazione
In molti casi coloro che si occupano di pianificazione e politiche per la sostenibilità tendono a
ridurre successi e fallimenti di un piano o di un progetto a un problema di tipo istituzionale (institutional capacity) dei governi locali. In sostanza, meriti e colpe di un piano devono essere ricondotti
all’operato dell’amministrazione pubblica che ha disegnato e adottato quel tipo di piano e che si è
resa capace o meno di tradurlo in pratica. In alcuni casi si tende a porre l’accento sulla questione
dell’esperienza delle pubbliche amministrazioni come origine di un atteggiamento proattivo e propositivo verso l’attuazione di politiche climatiche. Bulkeley e Betsill (2005), invece, riconducono più
all’ambito finanziario e di accesso a risorse economiche il limite principale a una reale implementazione sugli strumenti di gestione del territorio. Essendo queste componenti sicuramente importanti
all’interno dell’implementation gap che i governi locali si trovano ad affrontare, risulta più significativo il contributo suggerito da altri autori (Allman et al., 2004; Baker - Eckerberg, 2009; Lombardi et
al., 2011; Wilson, 2010), che contrappongono all’implementation gap la mancanza di supporto professionale, tecnico e politico che, in altre parole, significa capacità di governance e di competenze,
conoscenze ed esperienze tra i funzionari e i consiglieri, nonché la mancanza di poteri e di risorse
umane. Questo si riflette inevitabilmente sulla definizione di piani e politiche a breve (brevissimo)
termine, cioè realizzabili all’interno del mandato politico e solide a livello finanziario.
La tendenza invece che dovranno avere le future scelte a livello di governance dovrà essere
legata, in primo luogo, a una temporalità al di là del mandato politico, portata avanti da personale
tecnicamente competente e capace di cogliere quelle innovazioni tematiche e tecnologiche che possano massimizzare i risultati e minimizzare i tempi di attuazione. Un processo, quindi, che porta a
un’innovazione della governance comunale ma anche alla capacità di tale amministrazione di accettare le sfide portate dall’innovazione.
Interdisciplinarità
Non va sottaciuto che i piani e le politiche per la protezione del clima si inseriscono nel quadro esistente delle politiche di gestione e pianificazione delle amministrazioni pubbliche e sono in
genere trasversali ai diversi settori di responsabilità (assessorati, ministeri ecc.). Molte delle politiche individuate per le loro caratteristiche di trasversalità per essere implementate necessitano
del coinvolgimento di più attori istituzionali, oltre che del settore privato. Le strategie inserite nei
piani clima propongono quindi nuove politiche e azioni che entrano in un quadro esistente, a volte
avviando nuovi filoni di implementazione e molto spesso esplicitandosi con indicazioni di variante
a piani o programmi già esistenti: varianti ai regolamenti edilizi, ai piani del traffico, ai piani energetici e via dicendo.
Un livello ulteriore di complessità è dato dalla necessità di coordinare le politiche del clima con il
quadro di altre strategie/piani di protezione dell’ambiente già in atto (programmi energetici, programmi di sostenibilità ecc.) sia a livello di amministrazione locale che macro-regionale o all’interno del
sistema nazionale. Molte delle politiche ambientali già implementate in precedenza – per non parlare
delle eredità di previgenti scelte urbanistiche – possono infatti pesare considerevolmente sul calcolo
del bilancio delle emissioni di un determinato ambito territoriale e, in questa prospettiva, molte delle
24
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
azioni già compiute nel periodo di riferimento per il calcolo delle baseline9 e il momento di stesura del
piano devono essere inserite nei piani clima e considerate azioni già in via di compimento.
Interscalarità
È indubbio che gli strumenti ordinari e volontari di governo del territorio e le politiche locali per il
clima e la sostenibilità siano direttamente dipendenti dalle condizioni istituzionali e politiche di governo del livello superiore. Molte delle politiche formulate dai governi locali tanto europei quanto italiani,
però, sono state sviluppate senza un quadro integrato di pianificazione urbana e le autorità locali hanno
indirizzato le loro politiche verso una fattibilità di breve termine, soprattutto quelle che prevedono
l’aumento degli standard energetici nelle nuove costruzioni, rispetto alle quali è relativamente semplice
prendere decisioni e avere un controllo diretto, come le politiche riguardanti gli edifici pubblici comunali e la gestione del traffico. Di conseguenza prospettive a lungo termine, come l’uso del suolo e la pianificazione dei trasporti trovano con difficoltà integrazione negli strumenti di pianificazione ordinaria.
Il tema della scala, sia in termini temporali (con una programmazione di breve e/o lungo periodo delle
azioni), ma soprattutto in termini territoriali-amministrativi, rappresenta uno degli aspetti su cui in
futuro si dovrà porre adeguata attenzione. Se infatti alcune politiche o misure, specialmente quelle in
merito alla qualità tecnologica degli impianti e degli edifici, hanno carattere sostanzialmente a-territoriale, le scelte urbanistiche in merito a uso del suolo, densità e sistemi di mobilità, variabili chiave per
l’efficienza energetica e la resilienza territoriale, non possono essre inserite indifferentemente sotto il
controllo di un unico soggetto amministrativo. Il raggiungimento di tali obiettivi nel contesto urbano
richiede strategie che superino i limiti delle amministrazioni locali, motivo per il quale in molti casi si
parla di implementation gap come problema di processo decisionale (Verones, 2012).
La scala comunale non è sempre la migliore per governare processi e politiche complessi per
una pianificazione climate proof. È questo il caso, ad esempio, della Provincia di Venezia, che negli
ultimi anni ha avviato un processo di policy design a supporto di politiche ambientali innovative,
anticipando di fatto la sperimentazione sulla scala vasta, in attesa della formale trasformazione in
“città metropolitana” attesa per il 2015. In questo senso vanno l’Agenda Metropolitana Ambiente10 e
l’idea di redigere una prima ipotesi di Piano clima che abbia come riferimento di attuazione la città
metropolitana (Musco, 2014b).
Integrazione
Spesso i Piani clima – permanendo nello loro natura di strumenti volontari – si inseriscono in
un contesto fatto di molteplici iniziative che toccano il tema della sostenibilità energetica e ambientale in modo più o meno diretto. Se questi processi vengono portati avanti ognuno in maniera indipendente, tendono a indebolirsi generando un uso inefficiente delle risorse interne alle amministrazioni
locali, se non addirittura a entrare in aperto conflitto (laddove si renda esplicita, ad esempio, una
sovrapposizione di competenze). Il percorso ottimale sarebbe quello di capitalizzare esperienze amministrative di ampia diffusione quali quelle intraprese con la pianificazione strategica e la programmazione complessa. L’abilità di portare avanti percorsi condivisi tra settori dell’amministrazione
locale quali l’urbanistica, l’ambiente, i lavori pubblici, la manutenzione, l’edilizia pubblica e privata,
nella condivisa prospettiva di attività centrate sulla destinazione d’uso di aree urbane, evidenzia in
maniera significativa quale sia la forma corretta di promuovere nuove forme di azione amministrativa integrata. Come esempi interessanti a livello nazionale si possono citare le esperienze di Torino
e Genova, che stanno perseguendo la strada dell’integrazione di iniziative diverse, utilizzando smart
city come contenitore principale in cui inserire anche la fase di pianificazione urbanistica.
A livello della Regione Veneto l’ultima variante al PTCR (Piano Territoriale di Coordinamento
Regionale a valenza paesaggistica) dell’aprile del 2013 ha introdotto alcune innovazioni, a partire
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
25
dall’apparato normativo11, che pongono il tema della pianificazione territoriale con finalità di mitigazione e adattamento tra gli obiettivi del piano regionale. Si tratta sicuramente di un primo segnale
– necessario ma non sufficiente – verso una pianificazione territoriale climate proof.
Riferimenti bibliografici
Allman, L. - Wallace, A. - Fleming, P.D. (2002), Climate Change: a Survey of Local Authorities. London: Local
Government Association.
Baker, S. - Eckerberg, K., eds (2009), In Pursuit of Sustainable Development: New Governance Practices at the
Sub-National Level in Europe. London: Routledge.
In generale un Climate Resilience Study può comprendere: 1) la valutazione della vulnerabilità dell’insediamento
urbano ai cambiamenti climatici; 2) la valutazione del rischio dei cambiamenti climatici nel futuro – con opportuno downscaling delle informazioni territoriali e climatiche; 3) un’identificazione delle aree prioritarie di azione di adattamento.
2 Numerosi sono i progetti a cui hanno partecipato amministrazioni locali italiane finanziati sia nell’ambito dei vari
programmi della Cooperazione territoriale europea, del programma Life (solo a titolo di esempio si vedano i risultati dei
progetti Amica, UHI, Larks, RACES, GRaBS, Adapto, Gaia, Life Act, Blue AP, Adapt Alp, Circe, SEAP-Alps).
3 Il Patto dei Sindaci è il principale movimento europeo che vede coinvolte le autorità locali e regionali impegnate
ad aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nei loro territori. Attraverso il loro impegno
i firmatari del Patto intendono raggiungere e superare l’obiettivo europeo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro
il 2020. Nel 2014 la Commissione Europea ha lanciato il programma gemello dedicato all’adattamento Mayors Adapt. Per
approfondimenti si rimanda a Magni e Musco (2014).
4 Il progetto UE Interreg. IV C “GRaBS - GReen and Blue Space adaptation for urban areas and eco towns” si pone come
obiettivo principale l’aumento delle capacità e competenze nell’ambito dell’infrastruttura “verde” e “blu” per affrontare la
vulnerabilità del territorio tramite strategie di pianificazione e di rafforzamento delle difese naturali.
5 Pacchetto clima energia - Commissione Europea.
6 Soprattutto i piani di ultima generazione hanno una forte propensione verso pratiche non solo di mitigazione ma
anche di adattamento. A livello italiano, con il documento Città resilienti - l’Adattamento dei sistemi urbani al cambiamento
climatico il Coordinamento Nazionale Italiano Agende 21 Locali fornisce un indirizzo verso il quale i piani clima e i PAES
dovrebbero orientarsi.
7 Problemi idraulici (innalzamento del livello del mare e irregolarità nelle precipitazioni) e termici (aumento delle
temperature) sono quelli presi maggiormente in considerazione in quanto sono riconosciuti da tutta la comunità scientifica
operante sulle tematiche del clima come principali impatti prodotti dal climate change.
8 Il parere positivo della Conferenza Stato-Regioni è dell’ottobre 2014.
9 Limiti di riferimento temporali rispetto ai quali verificare la riduzione.
10 Si rimanda a Benatelli (2014) (a cura di), Agenda Metropolitana Ambiente, Provincia di Venezia, Venezia http://
politicheambientali.provincia.venezia.it/.
11 In particolare all’articolo 68, Riordino del sistema insediativo e criteri di progettazione, si dà mandato agli strumenti
urbanistici sotto-ordinati di supportare adattamento e mitigazione, definendo opportune strategie per la mitigazione del
fenomeno dei cambiamenti climatici e l’adattamento agli effetti da esso generati.
1
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Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
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28
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
1.2. Dalla Strategia Nazionale per l’Adattamento Climatico all’azione locale. riflessioni sui percorsi da costruire
Andrea Filpa, Simone Ombuen
La Strategia Nazionale di Adattamento Climatico in Italia: contenuti e stato dell’arte
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) ha avviato nel
2012 la redazione della Strategia Nazionale di Adattamento Climatico (SNAC), finalizzata ad attivare
processi e interventi tesi a contrastare criticità e impatti che, secondo evidenze scientifiche, interesseranno il territorio italiano anche in presenza – ma i segnali planetari non vanno purtroppo in
questa direzione – di efficaci misure di contenimento delle emissioni.
La elaborazione della SNAC è stata coordinata dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti
Climatici (CMCC) e ha coinvolto sotto il profilo disciplinare – attese la multisettorialità e l’intersettorialità dei temi affrontati – un tavolo tecnico costituito da circa 100 esperti della comunità scientifica
nazionale; i passaggi principali del processo di redazione si sono avvalsi del contributo partecipativo
di altri Ministeri e delle Regioni, di istituzioni di rilievo nazionale, di stakeholders.
L’intero processo si è basato sulle good practices maturate in altri paesi europei – ad oggi sono
ben 18 le strategie di adattamento nazionali adottate in Europa – ed è stato orientato in coerenza con
la Strategia di adattamento europea adottata nell’aprile 2013 dalla Commissione Europea.
Il primo rapporto prodotto nell’ambito della SNAC – il Rapporto sullo stato delle conoscenze
scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici 1 – è di natura prettamente ricognitiva, e ha inteso fare il punto sulle variabilità climatiche passate, presenti e future,
nonché sugli impatti e sulle vulnerabilità attese in Italia. L’esame degli impatti e delle vulnerabilità
ha interessato un novero amplissimo di settori – risorse idriche, desertificazione, dissesto idrogeologico, biodiversità ed ecosistemi, salute, foreste, agricoltura, pesca, turismo, zone costiere, insediamenti urbani, infrastrutture, energia – e rappresenta oggi la più completa raccolta di conoscenze
in materia climatica disponibile in Italia. Il rapporto contiene anche quadri territoriali inerenti sia
all’area alpina e appenninica che al Distretto idrografico del Po.
In parallelo uno specifico gruppo di lavoro ha redatto un secondo documento, denominato Analisi della normativa comunitaria e nazionale rilevante per gli impatti, la vulnerabilità e l’adattamento ai
cambiamenti climatici, che raccoglie e interpreta gli elementi indispensabili per sviluppare nell’alveo
delle tendenze europee la nascente normativa climatica italiana, sia di livello nazionale che regionale.
A valle di questi due rapporti conoscitivi è stato sviluppato il prodotto progettuale del gruppo
di lavoro tecnico della SNAC, ovvero gli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, che individua i principali settori suscettibili di subire impatti rilevanti a causa
del cambiamento climatico e che propone gli obiettivi strategici e le azioni che – in funzione delle
specificità locali – potranno essere declinati a livello locale.
Occorre sottolineare che gli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici – pur essendo stati oggetto di importanti passaggi istituzionali e partecipativi – non
si identificano con la Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici che, al momento
in cui si scrive, è ancora in corso di verifica e affinamento presso il MATTM e non è dunque ancora
stata resa pubblica. Le considerazioni che si svilupperanno di seguito in merito ai possibili ausili
che la SNAC potrà offrire ai percorsi di adattamento climatico locale sono pertanto suscettibili di
variazioni a seguito del varo della SNAC vera e propria.
29
Non si ritiene in ogni modo inutile proporre, nei due paragrafi che seguono, un breve richiamo
alle principali vulnerabilità climatiche individuate per il contesto nazionale nonché ai principi ispiratori proposti dagli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici,
entrambi elementi che – ragionevolmente – non dovrebbero subire cambiamenti significativi nella
SNAC che verrà approvata, si auspica, a breve.
Principali vulnerabilità e impatti climatici individuati
Gli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici hanno individuato come segue le principali vulnerabilità e i potenziali impatti climatici in Italia2:
– possibile peggioramento delle condizioni già esistenti di forte pressione sulle risorse idriche,
con conseguente riduzione della qualità e della disponibilità di acqua, soprattutto in estate,
nelle regioni meridionali e nelle piccole isole; – possibili alterazioni del regime idrogeologico che potrebbero aumentare il rischio di frane, colate di fango e detriti (debris-flow), crolli di roccia e alluvioni improvvise (flash-flood). Le zone
maggiormente esposte al rischio idrogeologico comprendono la valle del fiume Po (soggetta
a un aumento del rischio di alluvione) e le aree alpine e appenniniche (soggette al rischio di
alluvioni improvvise);
– possibile degrado del suolo e rischio più elevato di erosione e desertificazione del terreno, con
una parte significativa del Sud del paese classificato a rischio di desertificazione e diverse regioni del Nord che mostrano condizioni preoccupanti;
– maggior rischio di incendi boschivi e siccità per le foreste italiane, con la zona alpina e le regioni insulari (Sicilia e Sardegna) che mostrano le maggiori criticità;
– maggior rischio di perdita di biodiversità e di ecosistemi naturali, soprattutto nelle zone alpine
e negli ecosistemi montani e nei corpi idrici;
– maggior rischio di inondazione ed erosione delle zone costiere a causa di una maggiore incidenza di eventi meteo-climatici estremi e dell’innalzamento del livello del mare (anche in
associazione al fenomeno della subsidenza, di origine sia naturale, sia antropica);
– potenziale riduzione della produttività agricola soprattutto per le colture di frumento, ma anche di frutta e verdura; le coltivazioni di ulivo, agrumi, vite e grano duro potrebbero diventare
possibili nel Nord dell’Italia, mentre nel Sud la coltivazione del mais potrebbe peggiorare e
risentire ancor più della scarsa disponibilità di acqua irrigua;
– sono possibili ripercussioni sulla salute umana, specialmente per i gruppi più vulnerabili della
popolazione, per via di un possibile aumento di malattie e mortalità legate al caldo, di disturbi
cardio-respiratori da inquinamento atmosferico, di infortuni, decessi e patologie causati da
inondazioni e incendi, di disturbi allergici e cambiamenti nella comparsa e diffusione di malattie di origine infettiva, o veicolate tramite l’acqua e gli alimenti;
– potenziali danni per l’economia italiana nel suo complesso, dovuti alla possibilità di un ridotto
potenziale di produzione di energia idroelettrica; a un’offerta turistica invernale ridotta (o più
costosa) e a una minore attrattività turistica della stagione estiva; a un calo della produttività
nel settore dell’agricoltura e della pesca; a effetti sulle infrastrutture urbane e rurali con possibili interruzioni o inaccessibilità della rete di trasporto con danni agli insediamenti umani e
alle attività socio-economiche.
Si tratta con tutta evidenza di fenomeni che non possono non interessare l’azione di amministratori pubblici consapevoli; sono impatti che riguardano direttamente gli insediamenti urbani e
l’ambiente in senso lato, che investono la qualità di vita dei cittadini e dunque impongono un’adeguata attenzione nelle agende urbane. Ne deriva che l’adattamento al climate change sarà un processo
30
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
di lungo termine che coinvolgerà tutte le articolazioni dell’amministrazione pubblica e della società;
un processo che – lo dimostrano le esperienze in atto – avrà tanto maggiori possibilità di successo
quanto più verrà condiviso dai cittadini.
I principi ispiratori e i campi di applicazione proposti per le strategie di adattamento climatico
Gli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici contengono
una vision sui percorsi e sulle modalità per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici, per individuare un insieme di azioni da porre in essere al fine di ridurre al minimo i diversi tipi di rischi,
per proteggere la salute e il benessere dei cittadini, per mantenere la funzionalità dei sistemi naturali,
sociali ed economici.
I principi ispiratori di questo disegno – derivati dalle esperienze di altri paesi europei, consolidate e sistematizzate in numerosi rapporti e contributi scientifici3 – sono utili come road map e
sono così sintetizzabili4:
– adottare un approccio basato sulla conoscenza e sulla consapevolezza. Le conoscenze sui possibili impatti dei cambiamenti climatici e sulla vulnerabilità del territorio nazionale necessitano
ancora di ampie e approfondite analisi scientifiche. Una precondizione essenziale per un’appropriata azione di adattamento è migliorare la base conoscitiva al fine di aumentare la disponibilità di stime più affidabili e ridurre le incertezze scientifiche circa i futuri cambiamenti
climatici e i loro impatti, anche economici;
– lavorare in partnership e coinvolgere gli stakeholders e i cittadini. L’adattamento alle conseguenze dei cambiamenti climatici è una sfida che coinvolge – oltre i governi centrali e le amministrazioni locali (multilevel governance) – un elevato numero di stakeholders sia del settore pubblico
che privato, rilevanti nel processo di adattamento. Il coinvolgimento attivo dei cittadini e delle
loro associazioni può apportare un significativo valore aggiunto al processo di adattamento;
– lavorare in stretto raccordo con il mondo della ricerca e dell’innovazione. Affinché i decisori
politici e gli operatori settoriali possano identificare efficaci strategie di adattamento a potenziali scenari futuri, è necessario che gli stessi siano a conoscenza delle potenzialità derivanti
dalla ricerca e dall’innovazione;
– considerare la complementarità dell’adattamento rispetto alla mitigazione. Adattamento e mitigazione non sono in contraddizione tra di loro, ma rappresentano due aspetti complementari
della politica sui cambiamenti climatici;
– agire secondo il principio di precauzione di fronte alle incertezze scientifiche. L’incertezza sulle
future emissioni di gas serra globali e sulla conoscenza del clima futuro e dei suoi impatti non
costituisce un valido motivo per non intervenire anche perché i danni prodotti dalla “non
azione”’ possono essere più elevati dei costi stessi delle azioni;
– agire con un approccio flessibile. Le politiche e le azioni di adattamento dovranno essere elaborate e pianificate caso per caso, al fine di rispondere in maniera efficace alle diverse necessità e
condizioni regionali e locali, evitando di adottare un unico approccio valido per tutti i contesti.
Questa gestione flessibile può attuarsi integrando diversi tipi di misure di adattamento, le “misure grigie” (soluzioni tecnologiche e ingegneristiche), le “misure verdi” (approcci basati sugli
ecosistemi) e le “misure leggere” (approcci gestionali, giuridici e politici);
– agire secondo il principio di sostenibilità ed equità intergenerazionale. Ogni forma di adattamento deve tener conto del principio della sostenibilità e dell’equità intergenerazionale a
fronte della limitatezza delle risorse non rinnovabili. Le risposte agli impatti dei cambiamenti
climatici non dovranno pregiudicare gli interessi delle generazioni future, nonché la capacità
di altri sistemi naturali e dei settori sociali ed economici di perseguire l’adattamento;
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
31
–
adottare un approccio integrato nella valutazione dell’adattamento. I cambiamenti climatici
e gli effetti a essi associati hanno impatti sulle attività economiche e sui sistemi ambientali in
tempi e su scale spaziali differenti. Essi potranno amplificare le differenze regionali in termini
di qualità e disponibilità delle risorse naturali ed esacerbare i conflitti negli usi di tali risorse;
– adottare un approccio basato sul rischio nella valutazione dell’adattamento. I rischi e le opportunità che deriveranno dai cambiamenti climatici dovranno essere analizzati, valutati e
confrontati al fine di formulare obiettivi chiari e identificare conseguentemente le risposte
prioritarie anche sulla base di determinati e opportuni criteri (ad esempio: urgenza, efficacia,
efficienza, flessibilità, reversibilità, sostenibilità, robustezza, equità ecc.);
– integrare l’adattamento nelle politiche esistenti. L’adattamento dovrà essere integrato nelle politiche e nei processi esistenti (ad esempio di decisione politica) che spesso non identificano
come azione di “adattamento” quanto viene espresso in quelle politiche, non solo in campo
ambientale ma anche nell’ambito economico e del settore privato;
– effettuare un regolare monitoraggio e la valutazione dei progressi verso l’adattamento. L’efficacia
delle decisioni e i progressi compiuti nell’ambito dell’adattamento dovranno essere oggetto di
un monitoraggio e di una valutazione continua attraverso indicatori opportunamente validati.
Non vi è dubbio che i principi ispiratori tratteggino un disegno di ampio respiro, e questa
ampiezza è ulteriormente testimoniata dai campi di applicazione previsti per gli interventi di adattamento (fig.1), interventi che nella stesura definitiva della SNAC saranno specificati nel dettaglio per
ciascun settore e micro-settore.
Si è già considerato in precedenza che, essendo gli insediamenti urbani uno dei nodi maggiormente critici dell’adattamento climatico, si prefigura un impegno consistente degli enti locali
coinvolti nel governo territoriale. Sarà in tal senso utile richiamare le azioni di adattamento che gli
Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici propongono per gli
insediamenti urbani, articolate in funzione della distinzione ormai canonica tra soft, green e grey 5.
A) Azioni soft
– incentivare la ricerca sui cambiamenti climatici in una logica di downscaling;
– promuovere la formazione di Strategie e di Piani di adattamento urbani nel contesto della
iniziativa Mayors Adapt;
– promuovere, sul modello europeo della piattaforma Climate-ADAPT, lo scambio di esperienze e la diffusione delle best practices;
– verificare le previsioni degli strumenti di governo del territorio vigenti;
– integrare gli atti di regolazione delle trasformazioni urbane e di gestione degli insediamenti esistenti;
– elaborare linee guida per l’adattamento climatico a scala locale;
– incrementare la consapevolezza dei cittadini, delle imprese e degli stakeholder;
– incentivare la ricerca scientifica in materia di adattamento climatico della città esistente.
B) Azioni green
– favorire e incentivare la diffusione dei tetti verdi e l’incremento del verde pubblico e privato, anche a fini di calmierazione dei fenomeni estremi di calore estivo;
– incrementare la dotazione del verde urbano adottando la logica delle green and blue infrastructures
– realizzare, anche a fini dimostrativi e di sensibilizzazione dei cittadini, interventi sperimentali
di adattamento climatico di spazi pubblici in quartieri particolarmente vulnerabili;
– favorire, nell’ambito delle green and blue infrastructures, la diffusione degli orti urbani.
32
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
Settore
Micrro-settore
Risorse idriche (quantità e qualità)
Desertificazione, degrado del territorio e siccità
Dissesto idrogeologico
Biodiversità ed ecosistemi
Ecosistemi terrestri
Ecosistemi marini
Ecosistemi di acque interne e di transizione
Saluti (rischi e impatti dei cambiamenti climatici,
determinanti ambientali e meteo climatici
Foreste
Agricolutra, acquacoltura e pesca
Agricoltura e produzione alimentare
Pesca Marittima
Acquacoltura
Energia (produzione e consumo)
Zone Costiere
Turismo
Insediamenti urbani
Infrastruttura critica
Patrimonio culturale
Trasporti e infrastrutture
Casi speciali
Area alpina e appenninica (aree montane)
Distretto idrografico padano
1. I settori e micro-settori d’azione per l’adattamento
(Fonte: Elementi per una Strategia Nazionale
di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, 2014).
2.Azioni soft; il sistema di preallarme climatico via SMS attivato a Rotterdam.
3.Azioni soft; lo studio sulla vulnerabilità climatica dell’insediamento romano
redatto dal Dipartimento di Architettura dell’Università di Roma Tre in collaborazione con ENEA (2014).
4. Le azioni grey: uno spazio pubblico multifunzionale (area ricreativa in situazioni normali,
bacino di raccolta della acque meteoriche in caso di eventi eccezionali)
previsto dal Climate Plan di Rotterdam.
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
33
C) Azioni grey
– prevenire l’incremento dei rischi idraulici e geomorfologici;
– intervenire nelle aree idraulicamente critiche degli insediamenti;
– selezionare e programmare la spesa per opere pubbliche, soprattutto infrastrutturali, privilegiando la messa in sicurezza di quelle esistenti di importanza strategica e la loro funzionalità nel corso di eventi estremi;
– incrementare le dotazioni infrastrutturali per la mobilità ciclabile e pedonale;
– favorire la sperimentazione di nuovi modelli insediativi capaci di far fronte ai cambiamenti climatici.
È del tutto evidente che, per governare una manovra di questa ampiezza, sarà necessario uno
sforzo di coordinamento e di programmazione innovativo e, per questo, dagli esiti non scontati;
in alcune realtà italiane – la più recente è Bologna con il suo progetto BlueAp6 – si sta comunque
sperimentando la redazione di Piani di adattamento locali che, sulla scorta di esperienze da tempo
maturate in Europa (ma non solo), hanno la finalità di orientare l’azione pubblica e privata nella
pratica di una sfida che prevedibilmente occuperà per lungo tempo un ruolo di massimo rilievo
nelle agende urbane.
Programmare l’adattamento climatico locale
La SNAC potrà costituire un riferimento importante per l’azione a livello locale, ma da parte delle amministrazioni sarà necessario un ingente lavoro progettuale teso a contestualizzare gli
obiettivi e le azioni appropriate per gli specifici contesti.
Attese la grande variabilità degli impatti climatici potenzialmente suscettibili di interessare gli insediamenti urbani e la conseguente complessità delle azioni necessarie per l’adattamento, la letteratura
scientifica e le esperienze operative finora implementate hanno sedimentato numerosi approcci metodologici tesi a guidare i percorsi che conducono a un Piano di adattamento locale. Tra i più recenti
si segnalano il Planning for adaptation to climate change. Guidelines for municipalities (Giordano et al.,
2013; fig. 5)7, nonché le Guidelines on developing adaptation strategies (EC, 2013), incluse nella Strategia
Europea di Adattamento della Commissione Europea (16 aprile 20138) e che si basano sul cosiddetto
Adaptation support tool della piattaforma europea raccomandando agli stati membri – per sviluppare
e attuare le proprie strategie di adattamento – una sequenza composta da sei passi (fig. 6):
– preparare il terreno per l’adattamento attraverso la creazione di una serie di assetti istituzionali
e attività organizzative;
– valutare i rischi e le vulnerabilità ai cambiamenti climatici;
– identificare le opzioni di adattamento;
– selezionare le opzioni di adattamento, stabilendone le priorità e organizzandole in una strategia;
– attuare la strategia, operazione che implica lo sviluppo di un piano di azione con l’assegnazione
dei ruoli e delle responsabilità, assicurando le risorse umane e finanziarie nel lungo termine;
– monitorare e valutare la strategia.
Come si è già accennato in precedenza, i percorsi verso la redazione di un Piano di adattamento
non solo sono complessi sotto i profili del coordinamento istituzionale e della decisione politica,
ma anche sotto quelli analitico-ricognitivi, comportando alcuni passaggi tecnici che – almeno nella
realtà italiana – potrebbero risultare piuttosto problematici. Si argomenta brevemente questa affermazione con due esempi.
Un fondamentale passaggio preliminare al Piano di adattamento comporta la conoscenza della
tipologia e della magnitudine dei cambiamenti climatici che interesseranno un dato territorio, ad
esempio un comune o una provincia.
34
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
5. Il processo di redazione di un Piano locale di adattamento climatico
suggerito da Planning for adaptation to climate change. Guidelines for municipalities
(Giordano et al., 2013).
6. La sequenza proposta dalle Guidelines on developing adaptation strategies
(EC, 2013) incluse nella Strategia Europea di Adattamento della Commissione
Europea.
7. Lo schema metodologico utilizzato per definire la Carta della vulnerabilità
climatica di Roma 1.0. (Università di Roma Tre - ENEA).
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
35
Questa operazione pone il problema rilevante del downscaling dei modelli climatici, attualmente predisposti per territori molto ampi e quindi non compiutamente suscettibili di fornire indicazioni dettagliate in merito a situazioni locali; il downscaling si presenta tuttavia un’operazione
complessa e costosa, in quanto necessita di competenze scientifiche a oggi esprimibili soltanto da
qualificati enti di ricerca nazionali, gli unici in grado di fornire – se messi in condizione di farlo con
adeguate risorse – climate services alle amministrazioni locali.
Una seconda operazione tecnicamente complessa è quella indispensabile per definire la vulnerabilità delle differenti parti del territorio oggetto del Piano di adattamento – ovvero la vulnerability analysis –
operazione che prevede, sulla base della letteratura scientifica, quattro passaggi sequenziali (fig. 7):
–la exposure analysis, che mette in evidenza l’entità e la natura dei mutamenti climatici che prevedibilmente si manifesteranno nelle differenti parti del territorio (ad esempio individuando
la temperatura attesa nei picchi nelle parti centrali della città e nelle parti periferiche);
–la sensitivity analysis, espressiva del grado di fragilità che le differenti parti della città presenteranno al manifestarsi dei mutamenti climatici considerati: la fragilità può essere riferita a caratteristiche insediative (quindi presenza di determinate funzioni urbane, continuità e densità
dell’edificato) oppure ad aspetti demografici e socioeconomici (ad esempio densità della popolazione, incidenza della popolazione anziana, concentrazione delle fasce a basso reddito ecc.);
–la impact analysis che, interpolando le informazioni raccolte con la exposure analysis e con la
sensitivity analysis, definisce con la massima precisione possibile l’estensione, la localizzazione
e l’incisività degli impatti attesi, che potranno riguardare sia risorse naturali che la città e le
infrastrutture, ma anche le componenti sociali della popolazione insediata;
– la valutazione della resilience del sistema esaminato, ovvero della sua capacità intrinseca di far
fronte agli impatti climatici: verrà in tal senso considerata la resilience sia dei sistemi naturali
(dipendente da situazioni pregresse di stress di habitat, ad esempio di corpi idrici) sia di opere
e infrastrutture (in questo caso la resilience varierà, ad esempio, in funzione della maggiore o
minore qualità di alcune caratteristiche costruttive, oppure dalla maggiore o minore disponibilità di risorse economiche impiegabili per la loro messa in sicurezza) sia infine degli abitanti
(influiranno in questo caso stato di salute, reddito, livello di istruzione, coesione sociale).
Dall’interpolazione della impact analysis e della resilience si dedurrà il grado di vulnerabilità
delle differenti parti del territorio e quindi si procederà alla definizione delle azioni di adattamento.
Si tratta di un processo evidentemente complesso, che ha necessità non solo di una quantità molto
elevata di informazioni, ma anche di una pluralità di competenze scientifiche e disciplinari; un processo che un’istituzione locale di contenute dimensioni è molto difficile possa riuscire a sviluppare
senza adeguati supporti da parte – ad esempio – della Regione.
In buona sostanza, le esperienze già maturate in materia di adattamento climatico sono ampiamente sufficienti per capire cosa fare; oggi, in Italia, il problema serio è come riuscire a farlo.
Ma l’adattamento climatico conviene sotto il profilo economico?
Non sono numerosi gli studi economici sui costi del cambiamento climatico in Italia, e neppure quelli che comparano i costi/benefici derivanti dal promuovere azioni di adattamento rispetto ai
costi dell’inazione (do nothing); la letteratura in materia non è ricca neppure a livello europeo, anche se nei paesi più avanzati la ricerca è vivace9. Si può in ogni caso affermare che non si incontrano
posizioni argomentate in merito alla preferibilità del do nothing, e dunque si concorda sull’opportunità di agire, anche se per ora si ammette la complessità di operare stime quantitative.
36
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
8. Modellazione tridimensionale degli effetti del sea rise level
(Fonte: Cloudburst adaptation: a cost-benefit analysis, Municipality of Copenhagen, 2014).
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
37
Pur in assenza di certezze quantitative, a parere di chi scrive la preferibilità dell’agire rispetto a
quella del non agire deriva da almeno tre ragioni.
La prima risiede nel fatto che azioni importantissime di adattamento sono praticamente a
costo zero, e dunque ragionare sui costi risulterebbe fuorviante. Evitare di pianificare nuovi insediamenti in aree soggette a rischio idraulico, evitare la proliferazione di infrastrutture che potrebbero
dover far fronte a requisiti funzionali oggi non prevedibili, tutelare la naturalità residua in ambito
urbano sono scelte insieme ragionevoli, a costo zero e suscettibili di promuovere importanti forme
di adattamento.
Una seconda ragione consiste nel fatto che molte opere di adattamento sono riconducibili ad
azioni già contabilizzate nell’ordinaria gestione urbana, ovvero ad azioni che fino a oggi non sono
state considerate nelle loro valenze ai fini dell’adattamento climatico. Attualmente le amministrazioni spendono per la manutenzione fognaria, per l’incremento del verde, per l’ammodernamento
delle reti e delle infrastrutture, interventi che potrebbero essere utilmente riprogrammati privilegiando quelli con la maggiore valenza adattativa. I costi dell’adattamento, quindi, non sarebbero totalmente nuovi ma dovrebbero essere al massimo – se necessario – computati come costi aggiuntivi
rispetto a quelli correnti già consolidati.
Una terza ragione, infine, dipende dal fatto che – in materia di adattamento – esistono differenti
soluzioni a un medesimo problema, e che esse hanno costi che possono presentarsi estremamente
diversi. Un insediamento a rischio di inondazione, per fare un esempio, può essere messo in sicurezza attraverso interventi (arginature, riconfigurazione di alvei, difese costiere) molto costosi, oppure
essere delocalizzato con costi considerevolmente minori (sotto questo aspetto l’Italia offre purtroppo
moltissimi esempi di opere di salvaguardia dal costo largamente maggiore dei beni tutelati, spesso
insediamenti abusivi ma condonati). Sempre in tema di messa in sicurezza, risultati analoghi alla
costruzione di nuovi argini potrebbero essere raggiunti attraverso la creazione di un sistema di allerta
fondato sulla telefonia mobile, ovviamente di costo incomparabilmente inferiore. Risolvere problemi
gravi può risultare non particolarmente costoso, anche se ovviamente non sarà sempre così.
Resta il fatto che per spendere bene in materia di adattamento climatico occorre un’accurata
programmazione; in tal senso – oggi in Italia – la priorità certa appare quella di redigere – in ogni
realtà urbana – un Piano di adattamento che individui con chiarezza i profili di una sfida di governo
che con il passare del tempo diverrà sempre più inevitabile.
1
I tre rapporti citati nel presente paragrafo sono disponibili al download sul sito del MATTM.
Da Il contesto della strategia nazionale di adattamento, in Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai
Cambiamenti Climatici (dicembre 2014).
3 Ad esempio il Libro Bianco della Commissione Europea su L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro
d’azione europeo (EC, 2009), Guiding principles for adaptation to climate change in Europe (2010) e i più recenti documenti di corredo alla Strategia Europea di Adattamento, in particolare il documento Guidelines on developing adaptation strategies (EC, 2013).
4 Cfr. nota 2; per esigenze di spazio non si è riportato il testo integrale, privilegiando i messaggi essenziali.
5 Anche in questo caso i contenuti del documento originale sono per motivi di spazio soltanto richiamati; informazioni più dettagliate emergeranno ovviamente dalla sua lettura integrale.
6 www.blueap.eu.
7 Queste linee guida, specifiche per le realtà locali, sono state sviluppate nell’ambito del progetto Life ACT (Adapting to
Climate change in Time) da ISPRA in collaborazione con le municipalità di Ancona, Bullas (Spagna) e Patras (Grecia); http://
www.actlife.eu/medias/306-guidelinesversionefinale20.pdf.
8 http://www.climate-adapt.eea.europa.eu/.
9 Si veda, ad esempio, Cloudburst adaptation: a cost-benefit analysis, Municipality of Copenhagen, 2014.
2
38
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
1.3.Integrare e attuare politiche per il clima urbano:
strumenti di pianificazione ordinaria e specialistica
Sara Verones
Introduzione
Se il dibattito professionale e quello all’interno delle amministrazioni, per lo più in Italia, sono
attualmente incentrati sull’individuazione e redazione di strumenti riferiti ai cambiamenti climatici
e all’efficienza energetica, come i Piani Clima ma ancor più i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile
(PAES), il dibattito accademico riconosce la capacità dell’insieme di politiche già definite nei sistemi
di governo locale a ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici su sistemi naturali e antropizzati, da
un lato e a ridurre le esternalità ambientali che possono favorire le mutazioni climatiche nel medio e
lungo periodo dall’altro. Questo attraverso l’applicazione di un approccio di valenza strategica che sia
in grado di tenere assieme diversi livelli di gestione, di settori di intervento e di attori.
L’articolo propone delle considerazioni metodologiche per incoraggiare gli enti locali a utilizzare gli strumenti di pianificazione ordinaria e specialistica per il clima urbano, concentrando
maggiormente gli sforzi sull’integrazione delle politiche e l’attuazione delle strategie. I paragrafi
identificano i principali trend e i recenti sviluppi in merito all’integrazione e all’attuazione di obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.
Strumenti e aree di intervento
L’identificazione delle azioni principali è l’elemento chiave della definizione di strategie a lungo e breve-medio termine per il clima urbano. Le aree interessate da un processo di pianificazione
consapevole del clima urbano, come da tabella 1, sono da considerare una raccomandazione generale che necessita di essere coordinata rispetto alle sfide più rilevanti della pianificazione a livello
comunale. Le azioni chiave sono relative a molteplici Policy area che insistono principalmente su
quelle tradizionalmente legate al governo e alla pianificazione del territorio, come l’uso del suolo, la
mobilità, le attività produttive e l’ambiente (aria e acqua). Appare quindi evidente come all’interno
dell’organizzazione di un’amministrazione le politiche per il clima urbano non abbiano un’attribuzione predeterminata, non siano di competenza specifica di una determinata ripartizione/area
ma piuttosto i loro contenuti siano una variabile dipendente, che dovrebbe essere declinata nelle
differenti aree politiche. Il principale rischio, non comprendendo appieno l’interazione tra politiche
e pianificazione climatica e strumenti di pianificazione ordinaria e specialistica, è di rimanere una
azione non classificata, né politica economica, né dei trasporti, né strategia per lo sviluppo locale,
né politica ambientale e nemmeno politica urbana locale e provinciale.
39
Strumenti, livelli e scale della pianificazione
Tab. 1. Aree chiave d’intervento
Mitigazione
I campi di intervento della mitigazione mirano
a mantenere più bassi possibili gli impatti
del cambiamento climatico
Adattamento
I campi di intervento dell’adattamento mirano
ad aumentare la sensitività e la capacità
di adattamento ai cambiamenti climatici
A. Ridurre la domanda energetica
(favorire l’efficienza energetica):
– settore edifici/attrezzature/impianti
1.pubblici
2.privati
– illuminazione pubblica
– settore trasporti
1.pubblici
2.privati
– gestione rifiuti
– gestione acque
1. Evitare o ridurre l’esposizione ai rischi climatici:
– greening buildings (tetti verdi e rie)
– greening urbano (zone con minore disponibilità
di verde e presenza categorie deboli)
– reti ecologiche
– reti verdi di viabilità senza auto
– gestione delle acque (raccolta H2O piovana/riuso
acque grigie)
– permeabilità suoli
B. Promuovere l’uso di risorse rinnovabili locali:
– energia elettrica
1. centrali idroelettriche
2.microgenerazione
3. da cogenerazione
– energia eolica
– energia fotovoltaica
– energia termica da trigenerazione
–teleriscaldamento
–teleraffrescamento
– solare termico
–geotermico
2.Accettare gli impatti e limitare le perdite
che risultano dai rischi:
– aree sicure da inondazioni
– restrizioni alle aree destinate all’edificazione
in zone di pericolo
– identificare e proteggere infrastrutture critiche
– stabilizzare e migliorare la protezione di funzione
delle foreste
– coordinare l’uso della risorsa acqua
con le richieste dei settori dell’agricoltura
e dell’energia
– coordinare differenti richieste e spazi liberi
con la produzione di energia da fonti rinnovabili
[identificare, valutare e determinare aree
prioritarie adatte alla produzione]
3. Catturare nuove opportunità
– turismo (regolazione delle seconde case
e delle residenze per vacanze ecc.)
(Fonte: elaborazione dell’autore)
40
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
La variante parziale del PTRG con attribuzione della valenza paesaggistica della Regione Veneto,
di data 10 aprile 2013, dirime il ruolo del livello regionale nell’ambito delle politiche per il clima urbano.
Nello specifico, nell’articolo 68 la Regione Veneto intende farsi promotrice di strategie di mitigazione
e di adattamento che abbiano una ricaduta sulla governance del territorio principalmente attraverso la
pianificazione urbanistica stessa, supportata da sistemi sempre più avanzati di monitoraggio.
Se la «definizione di nuove proposte finalizzate alla previsione, nei piani della protezione civile
vigenti (gestione dell’emergenza) e in quelli territoriali e urbanistici, di misure preventive di allerta/
riduzione/contenimento per una più efficace gestione del rischio per la salute umana» pone l’accento su tutti i livelli di pianificazione, ordinari e specialistici, regionali, provinciali e comunali, la
«definizione di metodologie, tecniche e criteri d’intervento per l’edificazione, il recupero, la trasformazione, la progettazione del verde e degli spazi pubblici, atti a migliorare la qualità degli ambienti
urbani riguardo ai cambiamenti climatici» pone l’ente locale come il principale attore, attraverso i
propri strumenti, della partita sui cambiamenti climatici.
Inoltre, la «sperimentazione e sistema di monitoraggio avanzato» sottintende ancor più la partecipazione pioneristica di amministrazioni locali nei cui territori siano già in atto fenomeni legati
al cambiamento climatico.
Al riguardo, la tabella 2 evidenzia come il ruolo dell’ente locale di scala comunale interessi sia
le principali azioni chiave da intraprendere, sia le strategie di gestione delle stesse negli ambiti di
competenza dell’azione amministrativa.
Nel contesto sopra delineato, il ruolo della Pubblica Amministrazione (PA) è diventato sempre
più importante. Sebbene le riforme nazionali abbiano definito nel tempo un profilo della Pubblica
Amministrazione più complesso e ricco di strumenti e responsabilità anche in tema di energia grazie prima alla legge del 9 gennaio 1991, n. 10 e poi al decreto 27 luglio 2005 tra i numerosi dispositivi
normativi che sono stati promulgati, in merito alle azioni per l’adattamento ai cambiamenti climatici questo non è così facilmente individuabile se non proprio negli strumenti ordinari e specialistici
messi quotidianamente in campo.
I provvedimenti esistenti hanno disegnato un quadro in cui le competenze in materia energetica
sono molto decentrate, con forti responsabilità per gli enti locali in ambito autorizzativo e di programmazione. A questo riguardo la Regione Veneto, con la legge del 9 marzo 2007, n. 5 ha approvato
il PRS - Programma Regionale di Sviluppo che, uniformandosi alle linee guida della politica energetica
comunitaria e nazionale, tra gli orientamenti strategici per il settore energia prevede l’incremento
dell’efficienza degli usi finali di energia e l’incremento dell’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili.
Rispetto alle aree chiave d’intervento identificate nel paragrafo “Strumenti e aree di intervento”,
l’amministrazione comunale è divenuta in molti casi promotrice di processi di sviluppo sostenibile
a livello locale, con l’avvio di percorsi sperimentali di pratiche di sostenibilità e in particolare di corretta gestione di politiche energetiche e climatiche. Questa è quindi elemento trainante se si pensa
che a livello locale si prendono decisioni di sviluppo urbanistico, di localizzazione produttiva, di
infrastrutturazione viaria ecc., tutte con ripercussioni sul sistema territoriale complessivo e sulla
capacità dello stesso di rispondere ai cambiamenti climatici in corso.
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
41
Tab. 2. Ruolo dell’ente locale di scala comunale
Protezione di
lungo periodo
Limitazione
degli impatti
precedenti
agli interventi
stessi
Rapidità
della risposta
post evento
estremo
Ricostruzione
e rigenerazione
+++
+++
Ambiente Costruito
Regolamenti edilizi
+++
Uso del suolo e catasto
+++
+
+++
Edifici pubblici
+++
+
+++
Strumenti di pianificazione
urbanistica (zonizzazione)
+++
+++
+++
Infrastrutture
Distribuzione acqua potabile
+++
+
+++
+++
depurazione
+++
+
+++
+++
Raccolta acque reflue
+++
+++
+++
+++
Strade, ponti, superfici
+++
+
+++
+++
Rifiuti solidi e smaltimento
+++
+
+++
+++
Trattamento acque reflue
+++
+++
Servizi
Protezione da incendi
+++
+
+++
+
Ordine pubblico e allerta
++
+++
+++
+
Raccolta rifiuti solidi urbani
+++
+++
+++
+++
Scuole
++
++
+++
+++
Assistenza sanitaria
++
++
Salute/ambiente
Trasporti pubblici
+++
Welfare
++
+++
+++
+++
Risposta post disastro
++
+++
+++
+++
(Fonte: Elaborazione Iuav (2014) da ECO-LOGIC, Design of guidelines for the elaboration
of Regional climate change adaptations strategies, 2009)
Strumenti e integrazione
I principali strumenti di governo del territorio, sia di pianificazione, sia di settore, a livello
regionale, provinciale e comunale, sono tradizionalmente impegnati in alcune delle aree evidenziate nei precedenti paragrafi. Una delle principali sfide di una politica per il clima urbano è proprio
quella di integrare informazioni, conoscenze e dati raccolti da istituzioni competenti e tradurli in
strategie a lungo termine a sostegno di azioni a medio/breve termine.
42
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
1. Il processo di elaborazione delle azioni e degli strumenti.
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
43
La tabella 3 mostra, per il territorio della Regione Veneto, su quali strumenti e quali livelli un
comune deve indirizzare le sue attenzioni per la costruzione di un apparato conoscitivo adeguato.
L’elenco degli strumenti di pianificazione settoriale rispecchia quelli prescritti per legge nazionale
e/o regionale, come il Piano Energetico Comunale ed il Piano regolatore per l’illuminazione comunale, e generalmente approvati in parte dai comuni veneti. Per quanto riguarda i regolamenti edilizi
e i regolamenti comunali in genere, non sono molti i comuni che già prevedono l’obbligo di impiego
di fonti di energia rinnovabile nelle nuove costruzioni o che comunque prevedano incentivi per
chi decide di applicarle; per contro, più della metà dei comuni mette in atto un iter autorizzativo
semplificato per chi installa tali tipologie di impianti e più di metà dei comuni interpellati si sta impegnando in iniziative e interventi volti al risparmio energetico nell’edilizia scolastica.
Il workflow in figura 1 schematizza quale dovrebbe essere il processo di elaborazione delle azioni e degli strumenti partendo dalla pianificazione territoriale e dalla pianificazione di settore. Le
azioni e gli strumenti per il clima urbano devono essere il risultato di un forte coordinamento tra i
due livelli di pianificazione, tra le istituzioni e tra i settori di una stessa amministrazione.
PAT - Piano di Assetto
Territoriale
Pianificazione territoriale a scala comunale
di livello strategico. Impatta sul clima urbano attraverso:
–definizione e gestione uso del suolo
–gestione trasformazioni locali
–programmazione dotazione locale servizi
–applicazione standard qualità urbana e ambientale
–applicazione regole quantitative/qualitative
–pianificazione attuativa
PI - Piano degli Interventi
Individua e disciplina gli interventi di tutela
e valorizzazione, di organizzazione e di trasformazione
del territorio
PGTU - Piano Generale del
Traffico Urbano
Il piano del traffico è finalizzato a ottenere il miglioramento
delle condizioni di circolazione e della sicurezza stradale,
la riduzione degli inquinamenti acustico e atmosferico
e il risparmio energetico, in accordo con gli strumenti
urbanistici vigenti e con i piani di trasporto
Tab. 3. Strumenti pianificatori operanti nelle aree del cambiamento climatico
Livello
Piano
Policy area inerenti
PTCR - Piano Territoriale di
Coordinamento Regionale
Il PTCR rappresenta il documento di riferimento
per la tematica dei cambiamenti climatici.
Strategie di adattamento e di mitigazione
PER - Piano Energetico
Regionale
Regione
PI - Piano Idrogeologico
Il PI rappresenta il documento settoriale di riferimento.
Pianifica e definisce strategie di mitigazione e adattamento,
analizzando il rischio, la vulnerabilità ed il pericolo
del territorio e progettando misure di risposta
PRTV - Piano Regionale
Trasporti Veneto
Il PRTV è il documento settoriale di riferimento
per i trasporti. Strategie di mitigazione: infrastrutture di
mobilità collettiva, infrastrutture di mobilità non veicolare
PTCP - Piano Territoriale
Coordinamento Provinciale
Provincia
Il PER rappresenta il documento di riferimento
per la tematica dell’energia. Strategie di mitigazione: fonti
rinnovabili, efficienza energetica, risparmio energetico
PEAP - Piano Energetico
Ambientale Provinciale
Piano provinciale di
emergenza
Il PTCP rappresenta il documento di riferimento per lo
sviluppo territoriale provinciale. Strategie di mitigazione:
salvaguardia, protezione e diminuzione del carico antropico
e dell’uso del suolo; strategie di adattamento: definizione di
nuove modalità di sviluppo territoriale e urbano
Strategie di mitigazione: analizzare consumi e produzione
da fonti rinnovabili, promuovere efficienza e produzione
energetica attraverso azioni specifiche,
garantire la disponibilità di energia
Strategie di adattamento: valutazione e analisi di tutti
gli scenari incidentali sul territorio basati sui rischi
potenziali e suddivisione del territorio provinciale
in ambiti territoriali omogenei; risposta a eventi:
gestione situazioni di emergenza, soccorso
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
Mobilità
Comune
PEC - Piano Energetico
Comunale
PRIC - Piano Regolatore
Illuminazione Comunale
Il PUM si occupa di: intermodalità tra sistemi di trasporto;
pianificazione rete ciclabile; trasporto collettivo pubblico
su ferro e su gomma; trasporto collettivo “privato”;
traffico motorizzato privato; trasporto merci urbano
Strategie di mitigazione oggetto di analisi:
–azioni per la diminuzione della domanda energetica
–azioni per l’incentivazione dell’efficienza energetica
–azioni per la promozione delle fonti rinnovabili
– integrazione con la pianificazione urbana e territoriale
e con la regolazione dell’attività edificatoria
–certificazione energetica
Strategie di mitigazione: linee guida di risanamento
degli impianti esistenti e metodologia di intervento
per i nuovi impianti
Piano comunale di
emergenza
Strategie di adattamento e risposta agli eventi estremi:
redazione di una carta del proprio territorio
con indicazione delle aree esposte a rischi potenziali
e organizzazione e gestione delle emergenze
REC - Regolamento Edilizio
Comunale
Strategie di adattamento e mitigazione attuabili
sugli edifici
PAES - Piano d’Azione
per l’Energia Sostenibile
(Covenant of Mayors volontario) + Mayor Adapts
(segue)
44
PUM - Piano Urbano
Strategie di mitigazione e adattamento
(Fonte: elaborazione dell’autore)
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
45
Strumenti e modelli di governance
Bulkeley e Kern (2006) identificano 4 modelli di governance, attualmente presenti nelle pubbliche amministrazioni riguardo alle politiche per il cambiamento climatico e l’efficienza energetica:
governare attraverso l’imposizione di un’autorità, governare attraverso la fornitura di risorse e servizi, governare tramite la facilitazione dei processi e l’auto-governo.
In particolare, nella letteratura riguardante il cambiamento climatico, governing by authority
si riferisce a situazioni in cui la legislazione nazionale e locale interviene direttamente nelle politiche attraverso strumenti di regolazione, autoritativi o di comando e controllo (Bulkeley - Kern,
2006). In contrasto, governing by provision avviene con particolari modalità di erogazione dei servizi, anche attraverso incentivi positivi (inclusi fondi). Governare tramite la facilitazione si riferisce
a situazioni in cui i governi locali stimolano azioni da attori privati attraverso la facilitazione delle
condizioni. Per esempio, queste condizioni facilitatorie possono includere linee guida per autorità
locali o disseminazione d’informazioni e best practices. L’auto-governo è caratterizzato da azioni
di auto motivazione che possono avvenire tra città e regioni dove le politiche per il cambiamento
climatico in ambito urbano sono cruciali. Il self-governing può verificarsi in quegli ambiti in cui è
prevista competenza locale. Questo può anche essere esteso alle politiche per l’efficienza energetica.
Si tratta di uno dei modelli di governance più sviluppato in Europa, in particolare per quanto riguarda gli edifici, le attrezzature pubbliche e le flotte di mezzi.
Come Zanon e Verones (2013) rilevano, per ognuno di questi modelli di governo si possono
identificare degli strumenti specifici, più o meno efficaci ed efficienti.
Tab. 4. Identificazione modelli di governo per Policy area
Mitigazione
Ridurre la domanda
energetica
Policy area e interventi chiave
Ognuna delle principali aree d’intervento può, ovviamente, essere affrontata con differenti approcci. Esperienze di municipalità a livello italiano ed europeo mostrano un trend che vede lo spostamento del ruolo della PA da regolatore a facilitatore. Questo è ancor più da considerare in quelle
aree d’intervento in cui s’insiste sulla proprietà privata. In tutte le sue declinazioni d’intervento, il
principale focus dell’amministrazione pubblica dovrebbe ricadere su:
–cooperazione;
–connessione;
–partecipazione;
– facilitazione per trovare schemi di finanziamento.
Di seguito, riprendendo la tabella 1, si evidenziano i livelli di priorità in base ai consumi tendenziali e alle potenzialità di produzione dei diversi settori riguardo al territorio della provincia di
Venezia e i modelli di governo per l’intervento.
Promuovere l’uso di
risorse rinnovabili locali
Priorità
Modello
Settore edifici/
attrezzature/impianti
pubblici
Alta
Auto-governo
Settore edifici/
attrezzature/impianti
privati
Alta
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
Illuminazione pubblica
Media
Auto-governo
Settore trasporti pubblici
Media
Autoritativo/Auto-governo
Settore trasporti privati
Alta
Autoritativo/facilitatore
Gestione rifiuti
Bassa
Autoritativo
Gestione acque
Bassa
Autoritativo
Energia elettrica da maree
Bassa
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
Energia elettrica
microgenerazione
Media
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
Energia elettrica
da cogenerazione
Alta
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
Energia elettrica
da fotovoltaico
Alta
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
Energia eolica
Bassa
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
Energia termica
da trigenerazione
Media
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
Teleriscaldamento
Alta
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
Teleraffrescamento
Alta
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
Solare termico
Alta
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
Geotermico
Bassa
Autoritativo/facilitatore/
fornitura
(segue)
46
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
47
Adattamento
Evitare o ridurre
l’esposizione ai rischi
climatici
Accettare gli impatti
e limitare le perdite
che risultano dai rischi
Catturare nuove
opportunità
Priorità
Modello
Greening buildings
Alta
Autoritativo/facilitatore
Greening urbano
Alta
Autoritativo
Reti ecologiche
Media
Autoritativo/facilitatore
Reti verdi di viabilità
senza auto
Media
Autoritativo
Water management
Alta
Autoritativo/facilitatore
Permeabilità suoli
Alta
Autoritativo
Aree sicure
da inondazioni
Alta
Autoritativo
Restrizioni alle aree
destinate all’edificazione
in zone di pericolo
Alta
Autoritativo
Identificare e proteggere
infrastrutture critiche
Alta
Autoritativo
Stabilizzare e migliorare
la protezione di funzione
delle aree verdi
Media
Autoritativo/facilitatore
conto termico;
incentivi nazionali (deduzioni fiscali), regionali o locali (incentivi economici);
regolamenti edilizi;
norme di attuazione del piano regolatore;
incentivo volumetrico;
progetti finanziati dall’Unione Europea;
progetti finanziati dal governo italiano;
progetti finanziati dai governi regionali o dagli enti locali;
fondo di rotazione, in grado di:
1. attrarre investitori esterni;
2. lavorare sulle garanzie;
3. garantire tassi agevolati;
esempio: Delft ha un fondo di rotazione di 500.000 euro, istituito per 4 anni, prestiti per 10 anni
a tassi agevolati minimi all’1,5%.
Questi strumenti possono essere declinati in ambiti differenti, in considerazione delle modalità
di governo delle politiche per il cambiamento climatico, di mitigazione e adattamento, adottate in
quel principale frangente.
Di seguito verrà proposto un insieme di esempi significativi, sia in Italia che negli altri stati
europei, suddivisi per tipologia di approccio. Molti di questi sono attualmente in corso e attivati a
implementazione delle azioni locali.
Modello di governo - Auto-governo
Coordinare l’uso
della risorsa acqua
con le richieste
dei settori dell’agricoltura
e dell’energia
Media
Autoritativo/facilitatore
Coordinare differenti
richieste e spazi liberi
con la produzione
di energia da fonti
rinnovabili
Media
Autoritativo/facilitatore
Turismo
Alta
Autoritativo/facilitatore
(Fonte: elaborazione dell’autore)
Policy tools e loro finanziamento
La principale necessità e finalità di politiche per il clima urbano è quella di vedere la concreta realizzazione delle misure previste e per le quali vengono identificate delle azioni. Come visto
nei paragrafi precedenti, quelle azioni necessitano di strumenti specifici e finanziamenti per poter
vedere la luce. “Making the project bankable” dovrebbe essere lo slogan entro il quale elaborare le
strategie, le azioni e definire gli strumenti implementativi.
In particolare i principali strumenti, anche finanziari, utilizzati per sollecitare interventi orientati all’efficienza energetica, sono attualmente:
–mutui;
–prestiti;
– energy performance contracts (third party financing, come le ESCO / equity investors);
48
–
–
–
–
–
–
–
–
–
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
Generalmente le azioni intraprese dalle amministrazioni locali in questo ambito riguardano
l’introduzione di procedure amministrative che consentano di gestire le misure di efficienza energetica e l’integrazione di fonti energetiche rinnovabili dell’edificio.
La Legge 10/1991 introduceva la figura dell’energy manager per tutte quelle amministrazioni pubbliche
che hanno un consumo superiore ai 1.000 tep annuali. Inoltre, la Direttiva Europea 2012/27/UE del 25/10/2012
sull’Efficienza Energetica (Energy Efficiency Directive - EED), che nasce per garantire il raggiungimento degli obiettivi di riduzione e risparmio del 20% entro il 2020 previsti dal cosiddetto “pacchetto clima-energia
20/20/20” (2009/29/CE), indica il ruolo esemplare che assumerà la Pubblica Amministrazione. Questa, a partire dal primo gennaio 2014, dovrà rinnovare annualmente almeno il 3% della superficie coperta utile dei suoi
edifici, sia occupati, sia di proprietà. La norma sarà applicata in un primo momento a tutti gli edifici statali
con una superficie coperta utile superiore ai 500 mq, soglia che verrà abbassata a 250 mq a partire dal luglio
del 2015; gli stati membri potranno anche decidere di coinvolgere le amministrazioni di livello inferiore.
Nello specifico le pubbliche amministrazioni possono puntare a:
– armonizzare e coordinare le procedure amministrative allo scopo di rendere i procedimenti
più efficaci e più efficienti;
– costituire l’energy manager office dotato di potere decisionale, autorità di coordinamento degli
uffici tecnici e amministrativi, database energetico degli edifici pubblici allo scopo di monitorare i consumi e i costi energetici;
– redigere contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture che includono indici di prestazione energetica;
– redigere contratti di prestazione energetica garantita svincolati dal Patto di stabilità;
– partenariato pubblico-privato contrattuale (finanziato tramite schemi di project financing);
– partenariato pubblico-privato istituzionalizzato (società a capitale misto pubblico-privato sotto forma di ESCO, oppure tramite fondi europei come JASPERS, JESSICA; TEN-T).
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
49
Strumenti e azione amministrativa: livelli istituzionali e portatori d’interessi
Tab. 6. Le interazioni tra azioni chiave, aree politiche e organizzazione amministrativa
Dimensione verticale – relazioni intra-istituzionali
Allo stato attuale, la Provincia di Venezia ha assunto il compito di coordinatore locale del Patto
dei Sindaci (e attualmente anche per l’adesione al Mayor Adapt) con lo scopo di facilitare l’adesione
al Patto di nuovi Comuni e le attività che devono essere espletate dalle amministrazioni coinvolte.
È stata identificata una struttura di supporto al Patto dei Sindaci e sono state messe a disposizione
le risorse finanziarie attraverso i bandi energia della Regione Veneto. I livelli istituzionali coinvolti
sono, attraverso momenti formativi e seminariali, i comuni.
Tab. 5. La dimensione verticale attuale
Livello Istituzionale
Abilità
Competenze
Risorse
Provincia
Favorisce il coinvolgimento
di enti, associazioni e altri
soggetti operanti in provincia,
al fine di contribuire
alla migliore efficacia
delle azioni dei comuni
Coordinatore del Patto
Corsi di
formazione,
seminari, tavolo
di coordinamento,
bando energia
Comune
Pianificazione e regolazione
di parte dei settori coinvolti
nelle quotidiane attività
Può sottoscrivere il Patto
dei Sindaci (e Mayor
Adapt), può redigere
il PAES
Servizi PA
Azioni chiave
Ridurre domanda
energetica
Uso del suolo
attività produttive
Promuovere
produzione
energetica fonti
rinnovabili
Energia elettrica
Energia termica
Evitare/ridurre
l’esposizione a
rischi climatici
La tabella 6 descrive chi dovrebbe agire, quale servizio e quale area della Pubblica Amministrazione a scala locale in rapporto alle azioni prioritarie, alle aree politiche. L’identificazione dei
Servizi/Uffici, così come delle Ripartizioni/Aree, cambia da amministrazione ad amministrazione
ed è, quindi, puramente indicativa.
Ciò che deve emergere è la necessità d’integrazione tra le discipline e tra le competenze. L’integrazione fra le aree deve essere fattiva, misurando le capacità di costruire politiche complesse da
parte della Pubblica Amministrazione, come quelle inerenti il clima urbano. Inoltre alcune di queste
azioni possono trovare compimento con il coinvolgimento delle aziende municipalizzate erogatrici
di servizi e beni e del livello provinciale e regionale.
50
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
Uso del suolo
Ambiente
Amministrazione pubblica locale
Servizi/uffici
Urbanistica
Edilizia privata
Edilizia pubblica
Mobilità
Ambiente/Energia
*municipalizzate
Ripartizioni/aree
Urbanistica
Lavori pubblici
Patrimonio
Ambiente
Urbanistica
Edilizia privata
Edilizia pubblica
Mobilità
Infrastrutture
Ambiente
Urbanistica
Lavori pubblici
Patrimonio
Ambiente
Urbanistica
Lavori pubblici
Urbanistica
Attività Economiche
Accettare impatti e
adattarsi a perdite
Pianificazione
Ambiente
Infrastrutture
Urbanistica
Ambiente
Lavori pubblici
*protezione civile/
strade - livello
provinciale
Cogliere nuove
opportunità
Attività economiche/
produttive (es: turismo)
Urbanistica
Attività economiche
(Fonte: elaborazione dell’autore)
Dimensione orizzontale/verticale - coinvolgimento dell’intera amministrazione locale
Policy area
(Fonte: elaborazione dell’autore)
Per quanto concerne la dimensione orizzontale dell’integrazione, si pensi al livello di inclusione multilaterale, cioè al livello di coordinamento tra diverse aree/dipartimenti, e alla committenza
politica come ingredienti di successo. La multidisciplinarità richiede la necessità di inclusione dei
diversi settori della Pubblica Amministrazione in una logica differente da quella delle semplici competenze. Le politiche per il clima urbano fanno riferimento a un insieme di politiche già definite nei
sistemi di governo internazionali e locali, con la differenza che prevedono l’applicazione congiunta
di politiche per l’adattamento e per la mitigazione, con un approccio di valenza strategica che sia in
grado di tenere assieme diversi livelli di gestione, di settori di intervento e di attori. Queste, quindi,
prevedono la raccolta di informazioni relative ai consumi energetici interni (proprietà/gestione comunale) ed esterni (dal territorio) per il calcolo delle emissioni, la definizione di un inventario degli
impatti potenziali, di strategie a lungo e medio/breve termine e azioni collegate e la verifica dell’efficacia delle azioni che via via si realizzeranno. Un importante ruolo è giocato dall’organismo politico
che dovrà promuovere e sviluppare, attraverso un comitato tecnico e specifici gruppi di lavoro, le
principali linee di intervento previste; l’obiettivo dei gruppi di lavoro è anche quello di coinvolgere i
portatori di interessi con il fine di mobilitare la società civile intorno alle politiche.
Si sta consolidando in alcuni esempi internazionali – si pensi a Monaco di Baviera – la definizione di una cosiddetta Unità temporanea di coordinamento di progetto, che disegni la politica,
coordini le risorse interne, crei interfaccia con portatori di interessi e si attivi per il monitoraggio.
La struttura di progetto (oppure unità organizzative temporanee, unità temporanee di scopo e unità
temporanee di progetto) è un’unità o gruppo di lavoro temporaneo in grado di ricucire una tantum comUHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
51
petenze settoriali per un obiettivo di carattere straordinario. Esistono diversi modelli ai quali questo tipo
di organizzazione può riferirsi: nomina capofila, uffici temporanei, strutture di staff a supporto, gruppi
di lavoro, agenzie esterne, grazie ai quali adattarsi alla situazione organizzativa dell’amministrazione.
Fondamentali sono l’assegnazione di chiare responsabilità e risorse e la differenziazione tra comitato di
direzione, che rispecchia le indicazioni politiche, comitato tecnico e gruppi di lavoro.
Dimensione orizzontale - relazioni tra attori governativi e non governativi
L’inclusione di gruppi di interesse provenienti sia dal settore della domanda che da quello dell’offerta è fondamentale in quanto una parte significativa delle dinamiche analizzate coinvolge attori rappresentanti dell’amministrazione locale, esponenti delle altre istituzioni presenti sul territorio (Provincia
ecc.), membri delle associazioni economiche e della società, attraverso la cui partecipazione e condivisione tentare di raggiungere gli obiettivi. Il coinvolgimento dei portatori di interessi si può rivelare efficace nelle diverse fasi del processo di costruzione delle politiche per la protezione del clima urbano:
–nella fase iniziale l’inclusione di portatori di interessi per la condivisione degli obiettivi;
–nella fase di pianificazione potranno fornire importanti informazioni necessarie al Comune per
la definizione delle strategie d’azione;
–nella fase di attuazione del piano provvederanno alla realizzazione delle azioni che li riguardano, si faranno promotori di comportamenti energeticamente virtuosi e stimoleranno la partecipazione di altri portatori di interessi;
–nella fase di monitoraggio, infine, forniranno al Comune i dati necessari a valutare il progresso
delle azioni di loro interesse e parteciperanno all’aggiornamento.
Conclusioni
L’articolo analizza i temi dell’integrazione e dell’attuazione delle politiche riferite al clima urbano all’interno degli strumenti di pianificazione esistenti. L’obiettivo è di supportare le pubbliche
amministrazioni locali nel processo di costruzione delle politiche, nella scelta delle strategie a lungo
e a medio/breve termine e degli strumenti di attuazione per le azioni prescelte. Inoltre il rapporto
richiama l’attualità del tema della pianificazione di scala sovracomunale, essendo quella più adeguata per affrontare (e tentare di risolvere) temi quali la mobilità, la salvaguardia e la sicurezza del
territorio, così come la regolazione dell’efficienza energetica nel settore edilizio.
Pare sempre più necessario proporre da un lato un’attenzione maggiore agli strumenti attualmente già esistenti, con particolare riguardo al ruolo di primo piano che dovrebbero avere i comuni
e dall’altro supportare i comuni nella strutturazione di politiche e strategie trasversali sui temi del
cambiamento climatico. In aggiunta l’integrazione deve riguardare anche i settori della Pubblica
Amministrazione, riflettendo la multidisciplinarità delle tematiche affrontate.
In merito all’attuazione, cioè alla scelta degli interventi chiave e agli strumenti attraverso i quali
promuoverne l’implementazione, è fondamentale porre l’attenzione sul sempre più fondamentale
ruolo di facilitatore e promotore che la Pubblica Amministrazione deve mettere in atto per supportare gli operatori privati e gli attori del territorio nell’intraprendere percorsi comuni.
Riferimenti bibliografici
Bulkeley, H. - Kern, K (2006), “Local Government and the Governing of Climate Change in Germany and the UK”.
Urban Studies, 43(12): 2237-2259
Zanon, B. - Verones S. (2013), “Climate change, urban energy and planning practices: Italian ezperiences of
innovation in land management tools”. Land Use Policy, 32: 343-355.
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Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
1.4. Il ruolo delle tecnologie ICT nelle attività di Governo del Territorio
in uno scenario di cambiamento climatico
Denis Maragno
Introduzione
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT, Information and Communication
Technology1) sottendono un insieme di tecnologie (hardware, software) che consentono la raffigurazione, l’organizzazione, l’elaborazione e la condivisione delle informazioni. Tuttavia questa definizione si limita a considerare i soli ambiti tecnologici dell’informatica e delle telecomunicazioni,
senza tener conto che le applicazioni dell’ICT investono ormai qualsiasi settore della società, con le
relative conseguenze economiche e organizzative sulle competenze, le professionalità, la formazione
e la ricerca (Miola, 2012).
Il capitolo introduce lo stato dell’arte dell’evoluzione tecnologica al fine di offrire una prima
valutazione delle modalità di integrazione delle tecnologie ICT a supporto delle attività di governo
del territorio in un contesto di clima che cambia.
L’innovazione tecnologica e la diffusione delle tecnologie ICT: il nuovo paradigma tecnologico
L’innovazione tecnologica può essere definita come attività deliberata di imprese e istituzioni,
tesa a introdurre nuovi prodotti e servizi, nonché nuovi metodi per produrli, distribuirli e utilizzarli.
Osservando la storia economica a scala globale è facile intuire come ogni fase evolutiva sia dovuta
all’arrivo di un nuovo paradigma tecnologico (Dosi, 1982). Dalla prima rivoluzione industriale le
tecniche e le tecnologie sono in continua evoluzione ma solo alcune hanno avuto un’influenza tale
da riuscire a orientare completamente il sistema economico.
Joseph Schumpeter (1973) formulò una distinzione tra crescita e sviluppo economico, definendo crescita «un processo graduale di espansione produttiva basato su beni e tecnologie preesistenti»,
sviluppo «un processo di distruzione creatrice che si manifesta con l’introduzione sul mercato di
nuovi prodotti e processi produttivi».
La tassonomia di Freeman (Freeeman - Perez, 1988) definisce innovazioni incrementali le innovazioni continue che riguardano prodotti e processi già esistenti, mentre vengono definite innovazioni radicali gli eventi non continui, generati da intense attività di ricerca e sviluppo, come il forno
a microonde, ad esempio, o il climatizzatore.
Il paradigma tecnologico può essere inteso come un insieme di nuovi sistemi tecnologici che
estendono la propria influenza non più a un solo settore, ma all’intera sfera economica, determinando ripercussioni anche in ambito sociale.
Un recente studio svolto da Cisco System2 afferma che il traffico internet sulla rete mobile
globale è cresciuto del 70% durante il 2012 e crescerà di 13 volte nei prossimi 5 anni. Sul territorio
italiano, VNI3, prevede che nel 2017 circoleranno circa 6,8 milioni di tablet. Ma come possono essere
interpretati questi dati?
Portiamo l’esempio della diffusione del personal computer presso le abitazioni comuni. Essi
iniziano a diffondersi nelle case e a essere chiamati personal computer alla fine degli anni Ottanta,
con la nascita delle prime reti di computer (poi internet). Per mezzo delle reti telematiche i computer smettono di essere “solo” calcolatori di dati, adoperati nei laboratori di ricerca, e divengono
gestori e distributori di informazione digitale.
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Con la telefonia mobile si è assistito pressappoco allo stesso passaggio; non appena la rete dati
mobile ha garantito la possibilità di trasmettere informazioni con qualità e velocità pari alla rete
fissa, tutti i servizi web si sono rivolti anche al web mobile. Questo ha permesso (ma sicuramente
anche costretto) lo sviluppo di dispositivi mobili sempre più evoluti. La velocità con cui ogni utente
si è abituato ad accedere a servizi di ogni genere obbliga chi offre beni o servizi, di qualsiasi forma o livello, a rivedere completamente la propria struttura operativa o i propri progetti futuri. Per
esempio ogni testata giornalistica non può limitarsi all’edizione del mattino, ma deve riorganizzarsi
e aggiornare le notizie quasi in tempo reale sul proprio sito e sui social network per tutto il giorno.
Di contro, quando un sistema non è attento alle innovazioni, il rischio di venire escluso dagli altri
sistemi è molto forte. Il livello di diffusione (e integrazione) che l’ambiente delle tecnologie ICT ha
raggiunto costringe in qualche modo a non poter farne a meno. Una testata giornalistica difficilmente può sopravvivere se non garantisce gli stessi servizi offerti dai propri competitor.
Ecco perché si parla di paradigma tecnologico e risulta complicato oggi poter intrattenere relazioni (sociali, economiche, organizzative) senza interfacciarsi in qualche modo con il mondo della
comunicazione e dell’informazione digitale.
Le tecnologie ICT a supporto del governo del territorio
Dietro al concetto di smart city possono esserci prospettive e chiavi di lettura molto diverse tra
loro. In molti casi l’approccio “smart” si è limitato alla diffusione di dispositivi elettronici sul territorio senza una strategia d’uso complessiva.
L’utilizzo delle moderne tecnologie, private di una reale analisi dei bisogni, rischia di sbocciare in un’assenza di obiettivi, o meglio l’obiettivo nasce e finisce con l’introduzione del dispositivo
elettronico, come per le scuole pubbliche dove «anziché focalizzarli nei reali problemi come edifici
fatiscenti, classi pollaio, risorse limitate ecc., le priorità future sembrano essersi concentrate sull’acquisizione di lavagne interattive multimediali (LIM) e la migrazione verso il registro elettronico per
appaltare software di bassa qualità e tablet per i docenti» (Murgante - Borruso, 2013).
L’utilizzo di dispostivi intelligenti all’interno della città, nelle pubbliche amministrazioni, nelle
scuole o altro non deve essere un obiettivo, ma uno strumento per raggiungere un fine più ampio.
Un esempio efficiente nell’interpretazione dei concetti auspicati per la smart city è quello offerto dalla città di Santander, in Spagna. Tra i progetti avviati dall’amministrazione comunale, due
esperienze risultano particolarmente esplicative: il progetto Realidad augmentada4 e il progetto
Pulso de la ciudad 5. Il primo ha permesso ai cittadini di avere, in tempo reale, un gran numero
di informazioni utili attraverso l’uso di un’applicazione per smartphone distribuita gratuitamente
dall’amministrazione comunale. Orientando il proprio cellulare in direzione dei pannelli informativi (che s’incontrano lungo le vie della città) è possibile accedere all’informazione richiesta come
orari di mezzi pubblici, negozi o musei, parcheggi disponibili e altre informazioni che normalmente
si chiederebbero a un infopoint.
Se si volesse ipotizzare l’estensione di questo sistema di gestione dell’informazione ai problemi
imposti dal climate change, si potrebbe immaginare di ricevere sul proprio dispositivo anche informazioni inerenti a possibili ondate di calore previste su quell’area urbana, ad esempio, o i dati di
produzione di CO2 del quartiere, in modo da rafforzare la consapevolezza di cittadini e visitatori.
Il secondo progetto consente al cittadino di segnalare un problema come un ingorgo viario,
un allagamento o un incidente per ricevere, in poco tempo, eventuali informazioni sul problema
segnalato e il percorso alternativo consigliato per evitare l’ingorgo.
Questo servizio permette all’amministrazione di recepire costantemente informazioni territoriali dagli utilizzatori, ricambiando con altre informazioni. In questo modo aumenta l’efficienza di
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Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
intervento e al contempo è possibile organizzare la viabilità in modo collettivo nel più breve tempo
possibile, abbattendo le emissioni dovute a ingorghi e incentivando l’utilizzo del trasporto pubblico. Si deve tenere in considerazione anche la qualità dell’informazione reperita dalla PA: ricevendo informazioni tipologiche georeferite l’amministrazione ha la possibilità di aumentare il proprio
quadro conoscitivo e può decidere di utilizzarle, ad esempio, per geo-statistiche e monitoraggio di
azioni di pianificazione a tutte le scale. Il “motore” di questi servizi è la rete di sensori capillari in
grado di rilevare e distribuire informazioni quali temperatura, luminosità, rumore, concentrazione
di monossido di carbonio, la disponibilità e l’ubicazione dei parcheggi. In questi casi la diffusione
della sensoristica attiva all’interno dell’area urbana non è stata un obiettivo ma un mezzo per supportare innovative politiche di governance.
Un semplice dispositivo ICT utilizzato in un contesto urbano potrà svolgere più funzioni contemporaneamente. Per esempio può essere dotato di un rilevatore di umidità o temperatura di un
pannello informativo, al fine di mostrare informazioni contenute in altri dispositivi diversamente
dislocati e contenere uno storage per dati emessi da altri dispositivi minori, per poi inviare tutto a
un dispositivo centrale a intevalli di tempo giornalieri.
Appare evidente che tutte queste possibilità richiedono una forte organizzazione e obiettivi
chiari dal momento che «le città future non saranno quelle invisibili di Italo Calvino e nemmeno
quelle visionarie di Fritz Lang. Sono quelle attuali, viste e abitate con una prospettiva più efficiente,
al contempo tecnologica e creativa, soprattutto partecipata» (Ratti, 2013).
La costante diffusione degli apparati mobili e i numerosissimi servizi a essi associati hanno
modificato profondamente sia i modi di vedere sia di abitare le città. Essi vanno a costituire un
nuovo livello nelle città, mai esistito sinora, favorendo l’affermarsi di una cultura sempre più digitale.
Nascono nuove forme di spazi, definiti “spazi digitali” (Ciotti - Roncaglia, 2005), frequentati da
“cittadini digitali”.
Secondo queste logiche si inseriscono nuovi approcci di governance definibili Open Governance,
composta da strumenti e tecnologie che condividono una gestione “smart”, orientata verso un’organizzazione aperta e trasparente. Il nuovo approccio suggerito per le PA si allontana dal concetto di
possesso, avvicinandosi sempre più alla condivisione delle risorse e della conoscenza, abituandosi alla
cooperazione, indirizzandosi quindi verso modelli di governance fondati su partecipazione e coinvolgimento dei cittadini (Forghieri - Moschi Simoni, 2013). Informazione e comunicazione favoriscono
la partecipazione dei cittadini alla definizione e alla realizzazione di un sistema integrato di politiche
urbane sostenibili e mirate al miglioramento della qualità della vita di chi abita la città (Testa, 2014).
Cercando di definire quindi la struttura della smart city, possiamo intenderla composta da tre
strati differenti ma strettamente connessi (Forghieri, 2013):
– lo strato tecnologico, nel quale sono annesse tutte le tecnologie abilitanti, a diretto contatto con
il territorio e i suoi abitanti. Si compone di apparati per ricevere, gestire e diffondere dati. Questo è il livello cardine, costituisce la condizione innovativa a supporto della gestione urbana;
– lo strato informativo, il flusso di dati coinvolti dallo strato tecnologico. Se contestualizzati nella
definizione smart city, possono essere considerati la nuova materia prima. Questo strato si
occupa di organizzarla e distribuirla rendendola funzionale per più servizi;
– lo strato dei beni relazionali, lo strato superficiale del processo, composto da relazioni costanti
tra utenti, dati, software (applicazioni) e hardware ICT (telefonini, tablet, computer ecc.). Gli
elementi fondanti dello strato dei beni relazionali sono la partecipazione e la condivisione,
intesa nella sua accezione più ampia, in quanto produce a sua volta nuova informazione.
In che modo l’organizzazione smart city può supportare la gestione urbana in uno scenario
di cambiamento climatico? Nonostante l’imprevisto non possa essere pianificato per definizione,
una società sostenibile dovrebbe prevalere sull’imprevisto (Sterling, 2005). Ma in un contesto di
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione , città e clima
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cambiamento climatico com’è possibile aumentare la resilienza di un territorio dove non si conosce
con esattezza quale imprevisto e quando esso avverrà? In che modo la pianificazione di area vasta
godrebbe delle nuove informazioni reperite da un modello di gestione “smart”?
Nella città intelligente la PA raccoglie informazioni territoriali eterogenee, le traduce in informazione utile e le relaziona con bisogni delle persone in un processo partecipato continuo, dove
produce soluzioni e revisioni (Ratti, 2013). Per questo motivo focalizzare la concentrazione solo
sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, senza avere chiaro il modello di open governance da perseguire, risulta limitante. In uno scenario di cambiamento climatico significherebbe
quindi ridare centralità alle policy urbane – magari facilitate dall’introduzione di nuovi strumenti
urbanistici adattati alle nuove complessità di gestione del territorio – affiancate da un modello di
produzione, gestione e diffusione di informazioni integrato.
È necessario osservare il cambiamento climatico seguendo due diverse prospettive. Da un lato vi è
il fronte della mitigazione, rivolto a modificare la città e i modelli produttivi, al fine di ridurre le emissioni e promuovere una maggiore quota di energia rinnovabile. Dall’altro vi è il problema dell’adattamento,
mediante il quale si dovranno rivedere i modelli urbani di oggi e dotarli di una maggiore resilienza agli
effetti generati dal cambiamento climatico (es: piogge di maggiore intensità e ondate di calore).
La città del futuro sembra debba essere quindi affascinata dall’innovazione e dalle idee innovative attraverso le tecnologie ICT, vuole generare un potenziale per reagire con risposte efficaci su
sviluppi incerti (Sterling, 2005). In questo le tecnologie ICT non possono che essere uno strumento
a supporto delle attività di governo del territorio.
L’approccio “to be smart” nel contesto dei cambiamenti climatici
I dati ONU, presentati al rapporto annuale della World Meteorological Organization (Wmo), denunciano che il 2013 ha fatto registrare un nuovo record nella presenza di anidride carbonica e altri gas
serra nell’atmosfera terrestre. I più recenti studi concordano nell’affermare che “sta scadendo il tempo”
(Wmo, 2014; IPCC, 2014) e al contempo dimostrano che la CO2 emessa è in costante crescita dal secolo
scorso. Gli esiti dell’incremento dei fenomeni atmosferici e climatici estremi sono rilevabili sul territorio. I sistemi idrici non sono più in grado di gestire l’aumento delle precipitazioni indotte dal cambiamento climatico e l’urbanizzazione estesa e l’impermeabilizzazione hanno aggravato il carico d’acqua
da gestire, con un aumento progressivo dei rischi. Le conseguenze sono ormai note: esondazioni in
qualsiasi periodo dell’anno e scarsa qualità della vita d’estate a causa di fenomeni di surriscaldamento.
È chiaro che il mercato e le PA non potranno garantire attualmente una fornitura di beni e
servizi in grado di guidare il cambiamento. Sembrano necessari nuovi approcci, capaci di valutare
la questione climatica congiuntamente con le altre questioni urbane, in un modello integrato tra PA,
impresa, società e ricerca che portino all’innovazione sociale. Con la locuzione “innovazione sociale” vengono intese «j(prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni.
In altre parole, innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione per
la società stessa» (Murray et al., 2005).
L’innovazione sociale si differenzia dall’innovazione tradizionale proprio in questo: essa non
proviene dai grandi laboratori (finanziati dal governo e dalle grandi imprese), ma avviene in rete
per cui può prendere forma ovunque (Addarii, 2012). Il modello smart city, a differenza di quelli
auspicati qualche anno fa (uno su tutti, la crescita sostenibile), trae la sua forza nella maggiore sollecitazione dal basso, resa possibile dalle tecnologie della comunicazione.
Con la stessa naturalezza con la quale le persone entrano nei social network, ovunque esse si
trovino, s’informano, condividono, discutono e valutano informazioni, gli “spazi digitali” stanno
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Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
divenendo il terreno più idoneo per porre in relazione esigenze dei cittadini, questioni di gestione
urbana e sapere accademico.
Avviando approcci rivolti a una fase successiva all’attuale applicazione del concetto open data
– dove l’informazione non si limita a essere “solo” condivisa ma diviene anche un supporto al continuo dialogo tra le parti – si potrebbe implementare un processo continuo di pianificazione del territorio. Incoraggiare al confronto scienziati, tecnici, cittadini e stakeholders sulla questione climatica
aiuterebbe a individuare colli di bottiglia (tecnologici, burocratici o finanziari) nella lotta al cambiamento climatico; d’altro canto la nuova informazione prodotta diverrebbe un tesoro prezioso per
formulare soluzioni innovative e contribuire così alla ripresa economica locale (Sterlig, 2005).
L’Agenda Digitale Italiana (ADI)6 rimarca la necessità di puntare sull’economia digitale per
rilanciare la competitività italiana. Per farlo propone l’opportunità di creare infrastrutture di rete
e sviluppare servizi applicativi open data. In Italia, la diffusione delle nuove tecnologie ha favorito
e permesso la nascita di numerose soluzioni di social innovation (Ratti, 2013), idee nuove, scaturite
dalle nuove possibilità comunicative, per contrastare la crisi economica. Il numero di start-up innovative oggi presenti nel territorio (1415 nuove società innovative, 124 solo in Veneto)7 lo dimostra.
L’utilizzo di approcci open da parte delle PA – con il supporto dei servizi offerti dalle ICT – ricollocherebbe il problema del cambiamento climatico nella sua dimensione sociale, dove ogni singolo
cittadino può apprendere e contribuire. Una buona occasione per aumentare la partecipazione ai
temi del cambiamento climatico e per attivare politiche di prevenzione nei confronti di fenomeni
atmosferici e climatici estremi, senza dover investire economicamente, può essere offerta da Twitter.
Il sistema raccoglie messaggi di ogni genere, con una lunghezza standard e georeferiti su un sistema
di coordinate globali. Il sito Tweetping8 fornisce in tempo reale la mappa di tutti i tweet (messaggi
di testo) inviati dagli utenti nel mondo. Questo è reso possibile dalla logica open source della piattaforma e dal sistema di coordinate geografiche associato a ogni messaggio inviato (col servizio
geotagging dei device). I social network come Twitter possono dimostrarsi molto utili in un’ottica di
monitoraggio urbano diffuso, un modo intelligente per sapere cosa avviene sul territorio in tempo
reale. La tendenza a pubblicare gli eventi quotidiani sui social network da parte dei cittadini garantisce la possibilità di localizzare i messaggi che utilizzano hashtag9 di genere. L’accordo sull’utilizzo
di alcuni hashtag di pericolo per segnalare un problema nella città permetterebbe di intervenire
tempestivamente o organizzare i soccorsi con un largo tempo di anticipo. Invitare i propri cittadini a
segnalare eventuali allagamenti o ondate di calore attraverso Twitter utilizzando hashtag concordati
e accettati instaurerebbe un nuovo e importante rapporto cooperativo tra Pubblica Amministrazione e cittadini nella lotta al cambiamento climatico. Una piattaforma innovativa e collettiva, capace
di trasformare un semplice tweet in informazione digitale unica nel suo genere, a disposizione di chi
si occupa di governo del territorio e di imprenditori innovatori.
Nella pratica si potrebbe vivere in una città dov’è possibile conoscere in tempo reale la distribuzione del traffico, le informazioni inerenti il consumo di energia negli edifici e la misura della temperatura
per ogni quartiere. Queste informazioni potrebbero organizzate e georeferite (integrate eventualmente
con la mappa dei tweet) in modo da essere facilmente leggibili da web e mobile web. Dalla correlazione di queste poche informazioni è possibile avere moltissimi vantaggi. Incrociando ad esempio i dati
relativi al consumo di energia e la temperatura atmosferica, le amministrazioni pubbliche potrebbero
individuare quali aree urbane sono maggiormente soggette al fenomeno “isola di calore urbano”, comprendere quali edifici di quell’area consumano più elettricità per raffrescare gli ambienti interni e individuare con maggiore precisione le fonti di produzione dell’isola di calore del micro contesto urbano.
Con pochi dati ma organizzati in un geo-database condiviso è pensabile di potere:
– interrogare i dati di temperatura dell’aria incrociati con i consumi elettrici, individuando quindi gli edifici meno performanti in termini di bilancio energetico10;
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
57
–
identificare le aree meno resilienti alle ondate di calore estive e valutare gli interventi tenendo
in considerazione le peculiarità dell’area;
– studiare con precisione le cause dell’inefficienza del sistema fognario durante le intense piogge
e considerare interventi mitigatori innovativi per le differenti zone vulnerabili;
– valutare con i cittadini (utilizzando piattaforme di condivisione web e web mobile) le cause
principali del surriscaldamento di un’area e, aumentando consapevolezza nel problema, incoraggiarli nell’adozione di misure di mitigazione sulle superfici private;
– predisporre piani di sicurezza in difesa dalle ondate di calore estive, ad esempio l’azione sviluppata
durante la collaborazione al Progetto UHI. Tra le varie azioni di adattamento vagliate, l’idea di un’applicazione per telefonino che segnali pericoli di ondate di calore ai soli residenti anziani, guidandoli
dalla loro abitazione al luogo vicino più fresco (palestre, centri commerciali ecc.) è sembrata al
contempo efficiente e semplice da implementare. Il segnale di allerta acquisterebbe maggior efficienza se ponderato su livelli informativi quali: distribuzione demografica urbana, uso di elettricità
domestica, incidenza solare per ogni mq di superficie impermeabile, temperatura atmosferica.
Nella sperimentazione del caso studio sulla città di Padova si è provveduto a reperire le informazioni indicate mediante la tecnica del remote sensing. Con la tecnica del remote sensing è stata
possibile la composizione di un dataset innovativo per la tipologia delle informazioni contenute.
La tecnica di analisi ha previsto l’utilizzo di dati denominati LiDAR11 e ortofoto ad alta risoluzione.
Servendosi di software open source12 si sono prodotte informazioni quali: mq di vegetazione pubblica/privata, altezza vegetazione, incidenza solare al suolo e sui tetti (Wilson - Gallant et al., 2000),
Sky View Factor13; ogni livello informativo può raggiungere una precisione di 30 cm. Nei capitoli dedicati alla sperimentazione sarà descritta con maggiore accuratezza la tecnica utilizzata e le
modalità con le quali le informazioni prodotte sono state impiegate per individuare interventi di
mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.
La tecnica di analisi individuata (remote sensing) sulla città di Padova nel corso del progetto
europeo è ora impiegata a scala metropolitana dalla Provincia di Venezia in collaborazione con
l’Università Iuav di Venezia per supportare le amministrazioni locali nella stesura del PAES, arricchito di allegato tecnico sull’adattamento14.
Nel marzo 2014 la Provincia di Venezia, mediante un volo dedicato al rilievo aerofotogrammetrico (copertura di 3.000 kmq), ha acquisito un patrimonio informativo peculiare nel suo genere
dal quale è si è reso possibile ottenere un modello digitale del territorio in 3D. La tecnica utilizzata
prende il nome di Dense image matching15. L’elaborazione dei dati acquisiti consente di generare
immagini raster molto risolute, contenenti la quota dell’elemento territoriale; DSM (Digital Surface
Model) e DTM (Digital Terrain Model) per l’intero territorio.
Il DSM è una superficie che esprime l’altimetria di tutti gli elementi di un dato territorio, compresi i manufatti, gli edifici e le opere presenti. Il DTM mostra invece la morfologia del terreno nudo
depurato dalle opere, le infrastrutture e la vegetazione presente. Con l’utilizzo della tecnica del telerilevamento è possibile supportare la fase della valutazione dei rischi e delle vulnerabilità (propedeutica alla definizione delle strategie di intervento); l’approccio può condurre più agevolmente alla
redazione di una mappa del rischio urbano e territoriale legato ai cambiamenti climatici. Il tavolo di
lavoro avviato tra università, amministrazioni locali e le strutture tecniche della futura città metropolitana di Venezia e l’utilizzo dei dati digitali prodotti dalle tecnologie ICT porteranno alla stesura
delle linee guida per la redazione di uno schema di Piano Clima integrato e concordato per tutta
l’area metropolitana veneziana. Le linee guida supporteranno le amministrazioni locali nell’utilizzo
dei dati ricavati dal remote sensing e, omogenizzando la creazione delle mappe di vulnerabilità,
indirizzeranno le PA a implementare soluzioni costruite sulle peculiarità del contesto territoriale
in esame, fornendo abachi risolutivi composti da azioni integrabili e sinergiche. L’idea corrisponde
58
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
all’immagine di una cassetta degli attrezzi composta da soluzioni componibili, per meglio rispondere non solo alla fisicità del territorio, ma anche alle sue logiche di funzione nel contesto urbano.
Pianificare in uno scenario di cambiamento climatico oggi significa dover intervenire tentando
di organizzare ciò che sostanzialmente non si conosce. L’utilizzo delle ICT da parte delle amministrazioni pubbliche può garantire il reperimento, l’organizzazione e la diffusione di nuova informazione digitale, rendendo possibile l’individuazione di inefficienze strutturali, così da intervenire per
ridurne gli effetti (Gianoli, 2008).
La frequenza con cui gli eventi atmosferici estremi si presentano, recando danni e interrompendo il normale dinamismo urbano (tra cui quello economico), pongono le attività del governo
del territorio a operare a un livello di incertezza nuovo, dove la strumentazione urbanistica attuale
evidenzia tutta la sua inidoneità nel gestire gli eventi incerti (Musco, 2008).
Le città del prossimo futuro dovranno essere in grado di invertire una tendenza sociale, riuscendo ad adattare il territorio al cambiamento climatico e mitigare congiuntamene gli effetti
prodotti sul clima dalla attività umane. Tutto ciò sembra immaginabile solo attraverso una totale
collaborazione tra istituzioni, attori e cittadini. È possibile che gli strumenti e le tecnologie ICT
possano permetterci di avviare quella fase di revisione sociale (nello specifico nella relazione uomoambiente) a livello mondiale, ora in ritardo di 30 anni. Probabilmente, avendo gestito il problema
del cambiamento climatico con la strumentazione tradizionale, è stato possibile percepirne solamente il pericolo, senza comprenderne appieno le conseguenze dannose derivabili, valutabili solo
con la quantificazione del rischio16.
L’urgenza di affrontare i cambiamenti climatici potrebbe divenire l’occasione per ripensare gli
approcci urbanistici in campo, a partire dalla legge urbanistica nazionale oggi in revisione. Su questo
fronte le città (e le reti di città) possono diventare ottime esperienze laboratoriali di progettualità
urbana (Marcelli, 2008), in grado di formulare approcci che siano in grado di innescare modelli innovativi di gestione del territorio utili anche alla ripresa economica (altresì mediante l’apertura a nuove
professionalità). Per farlo, però, va presa piena coscienza della necessità di stabilire una più stretta
collaborazione tra PA, Università e mondo produttivo, impiegando le nuove tecnologie e la loro capacità di condivisione e integrazione, evidenziando il rilievo raggiunto dall’informazione digitale, integrandola con l’esigenza di apprendere e implementare sistemi in grado di saperla gestire e diffondere
efficacemente e con la fondamentale proprietà connettiva delle ICT e delle piattaforme social.
1 Si intende l’insieme dei metodi e delle tecnologie che realizzano i sistemi di trasmissione, ricezione ed elaborazione
di informazioni (tecnologie digitali comprese).
2 Cisco Visual Networking Index (VNI) – Global Mobile Data Traffic Forecast Update http://www.cisco.com/c/en/us/
solutions/collateral/service-provider/visual-networking-index-vni/white_paper_c11-520862.html.
3 Visual Networking Index (VNI), cfr. supra nota 2.
4 http://portal.ayto-santander.es/portal/page/portal/inet_santander/ficha/ficha_ayto?itemId=5805625.
5 http://www.elpulsodelaciudad.com.
6 Per approfondire: www.agenda-digitale.it.
7 Fonte: registrodelleimprese.it, dato aggiornato al 9/12/2013.
8 http://tweetping.net.
9 Sono sostanzialmente delle etichette utilizzate per raccogliere ciò che è pubblicato dagli utenti attraverso parole
chiave. Il format è #seguitodalnome, come: #IsoladiCalore o #EventoAtmosfericoEstremo.
10 Supponendo che il picco di consumo elettrico negli edifici durante il pomeriggio e le notti sia dovuto al funzionamento di apparecchi rinfrescanti per gli ambienti domestici.
11 LiDAR (Laser Imaging Detection and Ranging) è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie attraverso l’emissione di impulsi laser ad altissima frequenza da un sensore volante
(aereo o drone). La distanza dell’oggetto è data dalla misura del tempo trascorso fra l’emissione dell’impulso e la ricezione
UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima
59
2. città, territorio e cc
dello stesso. L’altissima frequenza di impulsi che colpiscono, rimbalzando dagli oggetti o dal suolo, viene convertita in punti
georeferenziati e quotati, dando origine così a una “nuvola di punti” dalla quale è possibile creare un’esatta ricostruzione del
territorio in modelli tridimensionali digitali.
12 Open source (in inglese “codice sorgente aperto”) in informatica indica un software i cui programmatori ne permettono e favoriscono l’uso aperto e lo studio da parte di altri programmatori indipendenti.
13 Sky-View Factor (SVF) indica la porzione di cielo visibile da un punto di osservazione. Più alto è lo SVF e maggiore è
la perdita di calore in atmosfera. Ad esempio, una strada urbana piccola e chiusa ai lati da edifici alti ha un SFV basso e quindi
un raffreddamento notturno ridotto, mentre al contrario uno spazio aperto ha un SVF elevato ed è sensibile a un raffreddamento più accentuato.
14 La sperimentazione è coordinata dal Progetto SEAP-Alps (http://seap-alps.eu/hp2/Startseite.htm), il cui obiettivo principale è promuovere la pianificazione dell’energia sostenibile a livello locale (PAES, Piani d’Azione per l’Energia
Sostenibile), condividendo una metodologia comune a tutti i partner partecipanti per individuare, oltre alle strategie di
riduzione di CO2 (mitigazione), strategie d’adattamento capaci di aumentare quindi la resilienza dei territori urbani agli effetti
dei cambiamenti climatici.
15 Tecnica che permette, per mezzo di software dedicati e hardware molto potenti, la restituzione di dati in tre dimensioni utilizzando la tecnica della stereoscopia.
16 Il Decreto Legislativo n. 81/2008 definisce il rischio come la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di
danno nelle condizioni di impiego o di esposizione a un determinato fattore o agente oppure alle loro combinazioni e nasce
quando contemporaneamente abbiamo un pericolo e un lavoratore esposto. Il rischio, quindi, è formato dal pericolo e dalla
gravità delle conseguenze dannose.
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2.1.Dalla città compatta alla metropoli diffusa: crescita insediativa
e implicazioni sui cambiamenti climatici a scala urbana
Luigi Perini, Luca Salvati
Introduzione
Le aree urbanizzate ricoprono lo 0,2% della superficie totale delle terre emerse, ma in esse si
concentra circa il 50% della popolazione mondiale (UN-Habitat, 2010). In svariate regioni, inoltre, la
popolazione urbanizzata diviene nettamente preponderante raggiungendo quote percentuali molto
elevate, come, ad esempio, in Europa, dove si attesta intorno al 75% (Matzarakis et al., 2007). Il carico
insediativo di un’area, tuttavia, non tiene conto della distribuzione della popolazione in relazione
alla conformazione dell’area considerata o alla tipologia degli insediamenti. Per le aree urbane appare opportuna una lettura integrata di tipo spaziale da cui può trasparire più chiara la relazione tra
la popolazione e la conformazione fisica dell’area stessa. In questo caso può essere considerato un
ulteriore parametro la densità dell’edificato, in grado di restituire una visione più aderente alla complessa realtà urbana (Inside Density, 2003). In generale si può affermare che l’urbanizzazione, nonostante abbia fornito (parallelamente ai processi di industrializzazione) sostentamento e opportunità
di sviluppo per milioni di abitanti, ha purtroppo aggravato notevolmente i problemi legati agli stessi
insediamenti umani per quanto riguarda, ad esempio, lo smaltimento dei rifiuti, il degrado della
terra, la concentrazione di agenti patogeni e di sostanze inquinanti, la contaminazione dell’aria, del
suolo, delle acque superficiali, tra gli altri.
La crescente espansione delle aree urbane e le tangibili conseguenze che ne derivano sul benessere umano hanno destato una crescente attenzione verso tutti quegli aspetti che condizionano la vivibilità delle città, compreso il clima e i fenomeni meteorologici correlati. Considerate le peculiarità
di questi aspetti, lo studio del clima urbano e periurbano ha assunto ormai la dignità di un settore
specialistico della climatologia (Souch - Grimmond, 2006). Le conoscenze che possono derivare da
questi studi sono necessarie per implementare i modelli di previsione del tempo, di qualità dell’aria
ma, soprattutto, per supportare la progettazione di insediamenti abitativi più efficienti sotto il profilo della sostenibilità ambientale in termini di più bassi consumi di energia, di acqua e di rilascio di
inquinanti (Johansson, 2006).
Gli aspetti peculiari del clima urbano derivano in prevalenza dagli effetti della cosiddetta “isola di calore urbana” o “Urban Heat Island” (UHI) che configura l’ambiente urbano come una sorta
di “isola bioclimatica”, in quanto sede di peculiari eventi meteorologici, non solo termici, ma anche
pluviometrici, di umidità, ventilazione, radiazione solare (Arnfield, 2003; Voogt, 2002; Oke, 1973).
L’UHI trae origine da diverse cause concomitanti ma, in particolar modo, dalla percentuale di albedo
espressa dalle superfici urbane, dalla capacità termica dei materiali che ricoprono il suolo e le strutture
della città, dalla conformazione e dall’orientamento delle costruzioni in rapporto alla direzione e alla
velocità del vento, dalla riduzione parziale o totale delle superfici evaporanti (Buyantuyev - Wu, 2010;
Kato - Yamaguchi, 2005). Tutto ciò contribuisce a formare una sorta di cupola di calore, alta generalmente 150-200 metri che, soprattutto nei mesi invernali e nelle ore notturne, determina una vera e
propria “inversione termica in quota”. In aggiunta alle cause strutturali dell’UHI, intervengono anche
fattori di produzione attiva di calore come, ad esempio, gli impianti di climatizzazione (soprattutto per
il riscaldamento delle abitazioni nei mesi invernali), il traffico veicolare e le correlate produzioni di gas
combusti ed incombusti, nonché le attività metaboliche dei residenti (Carnahan - Larson, 1990).
Wilson, J.P. - Gallant, J.C. (2000), Terrain Analysis - Principles and Applications. New York: Wiley.
60
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
61
Alla città “compatta” si è contrapposto negli anni più recenti un modello insediativo di città
“diffusa”. In questo caso le problematiche emergenti sono connesse essenzialmente all’elevato grado di frammentazione abitativa che, in risposta all’aumento delle distanze medie percorse, necessita
di infrastrutture sempre più grandi e invasive. Oltre alle ricadute sulla qualità della vita e all’impatto
paesaggistico, un tale sviluppo urbano comporta rilevanti oneri di funzionamento dovuti, ad esempio, alla compromissione/distruzione delle risorse naturali, agli elevati costi per la mobilità, nonché
alla manutenzione edilizia. Questo contributo intende, pertanto, proporre una riflessione sui possibili impatti del cambiamento climatico sulle aree periurbane e sui possibili effetti che tale fenomeno
ha sulle variazioni climatiche a scala locale.
Il bilancio termico della città
La radiazione emessa dal Sole si estende lungo tutto lo spettro elettromagnetico; la radiazione
solare che raggiunge la superficie della Terra è tuttavia costituita principalmente da radiazioni elettromagnetiche a onda corta in quanto, per l’effetto filtrante e schermante dell’atmosfera terrestre, le
altre componenti vengono estinte o direttamente riflesse nello spazio siderale. La residua quota di
radiazione viene in gran parte assorbita da oceani, litosfera, criosfera e biosfera, determinando un
aumento del livello di energia interna di detti sistemi (Visconti, 2001; Wallace - Hobbs, 2006). Il suolo,
l’acqua, i materiali e qualunque altro corpo la cui energia interna sia variata tenderanno a ristabilire le
condizioni di equilibrio con l’ambiente circostante emettendo a loro volta il surplus di energia assorbita. In questo caso, però, l’energia emessa sarà restituita sotto forma di radiazione elettromagnetica a
onda lunga, in particolare nel campo spettrale dell’infrarosso. Da ciò deriva che il riscaldamento degli
strati più bassi dell’atmosfera avviene principalmente per merito delle emissioni del suolo o delle altre
superfici radianti che hanno precedentemente assorbito l’energia solare (Wallace - Hobbs, 2006). I
meccanismi di assorbimento ed emissione di energia danno pertanto luogo a un bilancio termico in
perenne ricerca dell’equilibrio energetico. Volendo semplificare, i termini che partecipano al bilancio
termico in un sistema ambientale naturale possono essere ricondotti ai seguenti elementi:
Q+H+E+G=0
dove Q è la radiazione netta in tutte le lunghezze d’onda, H è il calore sensibile, assorbito o trasmesso
dall’aria o dalla superficie del suolo nel corso di una variazione di temperatura, E è il calore latente,
rilasciato o assorbito durante un cambiamento di stato dell’acqua (ad esempio, l’evaporazione comporta assorbimento di energia, mentre la condensazione determina un rilascio di energia), G è il
calore trasmesso per conduzione dal terreno. Nel caso di un sistema ambientale non naturale, come
può esserlo un’area urbana, il bilancio termico si arricchisce di ulteriori termini dovuti alla presenza
di strutture, materiali, superfici e fonti supplementari di emissione di calore. Il bilancio, in questo
caso, deve necessariamente comprendere almeno un termine aggiuntivo (Qp) per considerare gli
scambi di calore con le superfici di strade e muri e un ulteriore termine (Qf ) per rappresentare il
calore di induzione antropica generato dalla combustione di combustibili fossili:
Q + Qp +H + E + Qf = 0
Nelle suddette schematizzazioni sono ignorati gli apporti di calore dovuti a fenomeni di avvezione. Tuttavia, se si assume che una città è piuttosto uniforme per quanto riguarda tipo e uso del
suolo, allora il fattore avvettivo può essere considerato ragionevolmente trascurabile. Va considerato però il complesso delle fonti puntuali di riscaldamento domestico che emette ulteriore energia
nell’atmosfera urbana nei mesi invernali, così come in estate la diffusione degli impianti di climatizzazione rappresenta ormai un ulteriore carico di calore per l’aria già surriscaldata delle città.
62
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
Tutto ciò determina un effetto sinergico che amplifica e consolida il fenomeno dell’isola di calore, sia nei riguardi della vera e propria area urbanizzata (centro abitato), sia per quanto concerne
le aree periurbanizzate di contorno. Non va dimenticato, inoltre, che la maggior parte dei manufatti presenti in città risultano costruiti con materiali caratterizzati da elevata conducibilità termica.
I materiali edili, infatti, sono caratterizzati da superfici con elevata emittanza termica o potere di irraggiamento (in genere misurato in J), ovvero da capacità di accettare e rilasciare calore. In presenza
di un differenziale di temperatura fra esterno e interno di un edificio, si stabilisce un flusso di calore
che attraversa lo spessore delle mura da una superficie all’altra (dall’esterno verso l’interno e/o viceversa). Una città, quindi, durante la notte si raffredda più lentamente di un’area non urbana.
Il bilancio termico delle aree urbane è inoltre influenzato dalla concentrazione di motori endotermici (mezzi di trasporto, dispositivi di climatizzazione, macchinari di produzione industriale) dai
cui processi di combustione, oltre alla generazione di calore, derivano emissioni di gas a “effetto serra”.
La crescente domanda di trasporto, conseguente all’espansione urbana, comporta una crescita significativa di emissioni con immediate ricadute a scala locale e riflessi indiretti anche a quella globale. Il
trasporto su strada è responsabile del 93% di tutte le emissioni dei trasporti con i suoi circa 900 milioni
di tonnellate di CO2. Nella UE-25 il numero di chilometri su strada di passeggeri è aumentato del 26%
tra il 1990 e 2002, vale a dire molto più dell’incremento del PIL nello stesso periodo (Bart, 2010).
Insediamenti e clima urbano
Le aree urbane sono caratterizzate da una conformazione tridimensionale abbastanza intricata, determinata dall’insieme di edifici e dal reticolo stradale interposto. L’insieme di questi elementi,
con le strade delimitate da file di edifici su entrambi i lati, riproduce la struttura dei “canyon” naturali scavati dai corsi d’acqua. L’accostamento della città ai canyon non deriva solo dall’aspetto estetico;
anche a livello funzionale sussistono similitudini che accomunano le due strutture, in particolare
per quanto riguarda l’assorbimento della radiazione solare, la temperatura delle superfici, i tassi di
evaporazione, la conservazione/irradiazione del calore, nonché la direzione e l’intensità del vento
(Kusaka - Kimura, 2004). Come avviene in natura, la quantità di radiazione solare ricevuta nel complesso da un canyon urbano dipende dall’altezza degli edifici e dall’orientamento della strada. Inoltre
le proprietà dei materiali utilizzati per la costruzione di edifici e strade sono importanti, non solo a
causa del loro potere di emissione termica, ma anche in relazione alle loro proprietà di riflettere la
radiazione solare (albedo). Nel canyon urbano, come in quello naturale, si può infatti innescare il
cosiddetto fenomeno di “intrappolamento” dell’energia solare (solar trapping) quando, a causa del
reiterato riverbero da una parete all’altra del canyon, aumenta la frazione di energia assorbita dalle
superfici (Gordon Bonan, 2002). In tali situazioni, circa il 60% della radiazione netta viene quasi subito rilasciato sotto forma di calore sensibile, il 30% è immagazzinato nei muri e nelle strade, mentre
la restante frazione (circa il 10%) serve ad alimentare fenomeni di evaporazione dagli eventuali spazi
verdi o specchi d’acqua presenti in città (Spronken-Smith et al., 2006).
La presenza umana e le attività correlate, come già accennato, producono emissioni aggiuntive
di calore, di vapore acqueo e di sostanze inquinanti che gravano ancor di più sulla qualità dell’aria
delle città. Per quanto riguarda le precipitazioni atmosferiche, le alterazioni prodotte dall’urbanizzazione si possono evidenziare su scale territoriali più ampie rispetto alla superficie della città stessa,
in quanto i suddetti effetti si estendono ben oltre le aree circostanti (Long et al., 2014). L’urbanizzazione, infatti, è in grado di influire su quasi ogni elemento climatico e meteorologico dell’atmosfera
al di sopra e, spesso, anche sottovento alla città (Kishtawal et al., 2009). L’isola di calore urbana è più
intensa nelle ore notturne, diminuisce all’aumentare dell’intensità del vento e della copertura nuvolosa, risulta meno evidente in estate, mentre i valori di temperatura risultano strettamente collegati
Città, territorio e CC
63
alla superficie e conformazione degli edifici, al tipo di copertura/uso del suolo, alla presenza di vegetazione (spazi verdi urbani) e all’irraggiamento di calore dovuto alle attività antropiche (Giridharan
et al., 2004; Hawkins et al., 2004; Jonsson, 2004; Unger, 2004; Sakakibara - Owa, 2005).
Clima e forma urbana
L’analisi del clima urbano può non tenere conto della complessa articolazione dell’ambiente urbano e, di conseguenza, del gradiente urbano-rurale. A tal fine sarebbe necessario poter discernere
varie tipologie che compongono la città e poter disporre delle rispettive informazioni climatiche.
La procedura di classificazione delle zone urbane si può basare, ad esempio, sul criterio delle cosiddette Zone Climatiche Locali (LCZ), che cerca di individuare aree urbane omogenee per forma
e proprietà termiche utilizzando indicatori come, ad esempio, la frazione di superficie edificata, il
rapporto altezza-larghezza degli edifici (H/W), il fattore di vista cielo (SVF), l’altezza degli elementi
che costituiscono la “rugosità” della superficie (ZH), il flusso di calore di origine antropica (QF) nonché la superficie di irraggiamento termico (μ) (Stewart - Oke, 2009).
Il fattore di scala è fondamentale nel processo di classificazione urbana in quanto la rappresentatività territoriale di una stazione meteorologica varia a seconda del tipo di strumentazione disponibile, delle condizioni all’intorno della stazione e della geometria della superficie (Oke, 2004).
Le misurazioni di temperatura (rilevate in capannina e a 2 m dal suolo) hanno, infatti, un raggio di rappresentatività abbastanza ridotto se rilevate all’interno di un’area edificata piuttosto che in campo aperto.
Le dimensioni spaziali delle LCZ variano quindi in funzione delle condizioni di misurazione imposte dal
sito, anche se l’evidenza empirica suggerisce che l’area di rappresentatività intorno a un sensore di temperatura installato in una zona urbanizzata non si estende al di là di qualche centinaio di metri (Ashton,
2012). Struttura urbana e architettura degli edifici, oltre a giocare un ruolo sostanziale sul microclima
delle diverse zone della città, hanno effetti diretti sul comfort termico percepito dagli abitanti. Altezza
degli edifici, ampiezza e orientamento delle strade, presenza o meno di verde pubblico sono alcuni fra gli
elementi che entrano di diritto nei criteri attuali di progettazione delle aree urbane, proprio per garantire
le migliori condizioni possibili di vivibilità nell’ambiente cittadino (Correia Guedes et al., 2009).
Le temperature mediamente più elevate che si registrano negli ambienti urbani rispetto a quelli
naturali esigono una riflessione anche sulle conseguenze che il riscaldamento globale (global warming) comporta specificamente per le città. Le proiezioni IPCC1 riguardanti i futuri scenari climatici
indicano, oltre al mero aumento dei valori di temperatura, anche un incremento di frequenza, durata e intensità delle cosiddette onde di calore (heat wave). In base a ciò, l’ambiente urbano sembrerebbe ragionevolmente predestinato a subire le ripercussioni più rilevanti, soprattutto per i rischi
che ne possono derivare per la salute umana. Fra le concause delle “modificazioni del clima urbano”
si possono inoltre citare il riscaldamento globale antropogenico (AGW), l’incremento delle concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera dovuto alle attività antropiche, il progressivo processo
di inurbamento della popolazione mondiale (Georgiadis, 2008). Le specifiche condizioni meteoclimatiche dell’ambiente urbano non sono soltanto frutto dei fenomeni fisici sottesi alla ripartizione
dell’energia solare sulla superficie terrestre: essi rappresentano anche il prodotto di una “mediazione
culturale” che investe il modo di concepire e costruire le città, sia in termini di materiali utilizzati
che di progettazione urbanistica. In tal senso gran parte delle città appare ancora impreparata ad affrontare le nuove sfide poste dal cambiamento climatico. Da un’indagine condotta su circa 200 città
in Europa (Reckien et al., 2014), è risultato che il 35% non ha provveduto a redigere alcun piano di
adattamento né di mitigazione e appena un quarto si è dotato di entrambi, il 72% ha solo il piano di
mitigazione e nessuna ha prodotto solo quello di adattamento. La maggior parte dei piani di mitigazione si basa su opzioni tecnologiche tese a incrementare l’efficienza energetica, come, ad esempio,
64
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
il miglioramento della coibentazione degli edifici, mentre l’adattamento viene spesso affrontato in
maniera più sistemica ma meno concreta.
Fra i criteri più utilizzati, sia in fase di progettazione urbanistica, sia per il monitoraggio delle
diverse condizioni termiche che possono presentarsi in città, vi è la cosiddetta Temperatura Fisiologica Equivalente (PET)2, un indice funzionale che combina opportunamente temperatura, umidità e
ventosità e mediante il quale è possibile verificare come le condizioni termiche (e il correlato “comfort termico”)3 possano variare, non solo da zona a zona a seconda dei diversi parametri architettonici, ma anche in base alle stagioni e alle ore della giornata (Johansson, 2006). Gli studi sull’isola
urbana di calore richiedono informazioni ad alta risoluzione temporale in grado di monitorare
l’evoluzione degli eventi meteorologici a scala sub-giornaliera, tali da poter rilevare brusche discontinuità termiche dovute a fenomeni di avvezione e rapidi passaggi di fronti temporaleschi (Szymanowski, 2005). In tal senso anche la geometria degli edifici e la maggiore concentrazione di aerosol
rappresentano cause che concorrono a determinare la peculiare fenomenologia meteorologica delle
città e a marcare le maggiori differenze rispetto alle aree rurali. Un esempio è dato dagli eventi
temporaleschi, che diventano molto più violenti quando nella loro traiettoria di spostamento incontrano una città. L’utilizzazione di mezzi di indagine più efficaci sta recentemente favorendo la comprensione dei meccanismi di formazione delle nuvole, delle precipitazioni e delle tempeste (Lowry,
1998). Il telerilevamento da satellite4 (Schumacher - Houze, 2000), il LiDAR5 (Zhou et al., 2004) e il
Radar Doppler (Russo et al., 2005), consentono infatti di analizzare in maniera dettagliata la precipitazione piovosa, sia nei suoi aspetti quantitativi, sia per quanto riguarda la formidabile variabilità
spaziale che la caratterizza. Tali strumenti, quindi, benché necessitino di attenta calibrazione a terra,
si prestano molto bene allo studio di aree relativamente poco estese come, per l’appunto, possono
essere considerate le città. Da alcuni risultati preliminari (Souch - Grimmond, 2006) sembrano
essere confermati gli effetti “positivi” dell’urbanizzazione sulle precipitazioni, che discendono dalla
più elevata concentrazione di aerosol, dalla maggiore turbolenza dell’aria innescata dalla maggiore
“rugosità” delle superfici, dai moti convettivi derivanti dalle proprietà e dai differenti stati termici
dei materiali presenti, dalla convergenza dei venti sull’area urbana che possono dar luogo a nuvole
“piovose” e dall’apporto di vapor acqueo di origine antropica.
Conclusioni
La città contemporanea presenta forme di sviluppo, decentramento e diffusione che poco si
raccordano alle concezioni del passato, principalmente a causa di un diverso fattore di scala oltre che di regole e organizzazione degli spazi. Come evidenziato in questo breve excursus, il clima
urbano presenta caratteristiche molto peculiari che giustificano un approccio specialistico al suo
studio e alla soluzione delle problematiche connesse alla qualità della vita delle città. Le particolari
condizioni ambientali delle aree urbane non consentono di misurare le variabili meteo-climatiche
secondo gli standard convenzionali raccomandati dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale
(OMM-WMO) e anche gli schemi “classici” della modellistica meteo-climatologica mal si adattano
all’ambiente cittadino. La ricerca scientifica è pertanto focalizzata sulla comprensione dei processi
che determinano il clima urbano oltre che sugli effetti che ne derivano per i suoi abitanti. Nelle città
la temperatura supera mediamente di 1-2 °C quella delle aree rurali circostanti; tale peculiarità è particolarmente evidente nelle ore notturne e in estate, quando il differenziale aumenta sensibilmente
riducendo l’escursione termica giornaliera. Nelle città il traffico veicolare, la climatizzazione degli
edifici, la qualità dei materiali di copertura (cemento e asfalto) delle superfici urbane concorrono
a surriscaldare l’aria e riducono o impediscono l’infiltrazione di acqua nel suolo. La rarefazione del
verde, inoltre, associata alla minore ventilazione e al sigillamento dei suoli, riducono in città l’effiCittà, territorio e CC
65
cacia delle forme di mitigazione naturali. Il cambiamento climatico oltre a peggiorare le condizioni
di vivibilità nell’ambiente urbano può aggravare anche le condizioni di inquinamento preesistenti:
l’ondata di calore verificatasi in Europa nel 2003, evento paradigmatico del cambiamento climatico,
ha avuto nelle città gravi effetti sanitari diretti (Conti et al., 2005).
Per porre rimedio agli aspetti negativi citati, sono necessarie strategie di intervento mirate a
migliorare le condizioni ambientali in città. Le strategie comunitarie e i relativi atti sono riferimenti e
strumenti importanti per una politica nazionale per le città. Tra questi: il Libro Verde L’adattamento
ai cambiamenti climatici in Europa – quali possibilità di intervento per l’UE; la Strategia tematica
sull’ambiente urbano (COM/2004 e COM/2006); la Carta di Lipsia 2007; il VI Programma d’azione
ambientale; la Strategia energetica europea 20+20+20; l’Agenda 21; il V Aalborg commitment.
Nel 2005, su iniziativa del sindaco della città di Londra, nacque il gruppo C40, cui aderirono
inizialmente 18 città fra le più importanti del Mondo. Nel 2009 il C40 ha tenuto il suo terzo summit a
Seul (Corea del Sud) dove sono intervenute 65 città, con 24 sindaci (tra cui quelli di Londra, Toronto, Tokyo, Seul, Copenhagen, Sydney, Addis Abeba, San Paolo, Lima, Bangkok, Città del Messico,
Nuova Delhi), 13 assessori di amministrazioni locali (tra cui quelli di New York, Melbourne, Pechino, Parigi, Rio de Janeiro, Atene, Los Angeles) e 28 delegazioni. Per l’Italia erano presenti Roma e
Milano (anche se quest’ultima non è membro effettivo del C40). Alla conclusione dell’incontro, riconoscendo l’importanza di un coordinamento tra le grandi città per realizzare programmi di intervento e divulgare i risultati in merito alla riduzione delle emissioni per combattere il cambiamento
climatico, è stata sottoscritta una Dichiarazione con l’assunzione di precisi impegni in relazione alle
politiche e alle misure per affrontare il cambiamento climatico nelle città.
Sulla base di queste linee guida, la dimensione urbana e le ragioni dello sviluppo economico
ammettono, purtroppo, poche alternative. L’evoluzione della società umana si avvia inesorabile verso
una cosiddetta “era urbana” in cui la città sembra destinata a divenire globalmente l’habitat dominante
e il principale motore di sviluppo economico e di promozione sociale. In questa trasformazione progressiva e inarrestabile si trova la conferma del ruolo che le città hanno da sempre avuto e che le ha
consacrate nel tempo come luogo di prosperità, dove gli uomini si aggregano per realizzare le proprie
aspirazioni e soddisfare le proprie esigenze materiali e intangibili. Il concetto di città, pertanto, si arricchisce anche di significati culturali e sostanziali che sono in grado di condizionare la qualità della
vita umana trasfigurando a sua volta la città stessa in immagine speculare dell’identità dei suoi abitanti.
In quest’ottica, solo se la città assume espressioni di gradevolezza estetica, di benessere psicofisico
e di armonia funzionale fra tutti gli elementi in essa presenti (abitanti, edifici, strade, fabbriche, fiumi,
alberi, clima, servizi ecc.) può effettivamente svolgere il ruolo che le compete e che ogni suo abitante
si attende. Il clima urbano, attraverso le sue manifestazioni più o meno peculiari rispetto all’intorno
geografico con caratteristiche naturali, può pertanto riflettere una sintesi efficace di quanto i diversi
elementi presenti nelle città siano stati gestiti e pianificati in modo corretto e sostenibile. Il monitoraggio meteo-climatico di lungo corso assume quindi anche una valenza di supporto e valutazione dell’efficacia di una pianificazione improntata a forme urbane sostenibili e a un contenimento delle forme
diffuse e sfrangiate di insediamento a favore di morfologie più coese e possibilmente compatibili con
un modesto riscaldamento climatico e un maggior comfort termico per la popolazione.
Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Organismo internazionale delle Nazioni Unite istituito per la
valutazione dello stato attuale e dei cambiamenti del clima e delle potenziali conseguenze ambientali e socio-economiche
(http://www.ipcc.ch).
2 Equivale alla temperatura che si avrebbe in un ambiente interno (una stanza) in cui ci fossero le stesse condizioni
microclimatiche dell’esterno in base a: temperatura dell’aria (Ta), temperatura media radiante (Tmrt), velocità del vento (V),
pressione di vapore (Vp).
1
66
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
3 Il comfort termico viene definito dalla ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air Conditioning
Engineers INC) come una condizione di benessere psicofisico dell’individuo rispetto all’ambiente in cui vive e opera.
La valutazione di tale stato soggettivo può essere oggettivata e quantificata mediante l’utilizzo di indici integrati che tengono conto sia dei parametri microclimatici ambientali (Ta, Tr, Va, rh), sia del dispendio energetico (dispendio metabolico MET) connesso
all’attività lavorativa, sia della tipologia di abbigliamento (isolamento termico CLO) comunemente utilizzato (www.ashrae.org).
4 Si fa particolare riferimento al Tropical Rainfall Measuring Mission (TRMM), ovvero una missione spaziale congiunta tra la NASA e la Japan Aerospace Exploration Agency (JAXA), progettata per monitorare e studiare nello specifico le piogge
tropicali.
5 Light detection and ranging o Laser imaging detection and ranging è una tecnica di telerilevamento che permette
di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie mediante un impulso laser. Consente anche di stimare la concentrazione di particolari elementi in atmosfera.
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2.2. Forma urbana ed energia: verso una progettazione bioclimatica
per la riduzione di consumi e temperature
Filippo Magni
Introduzione
Secondo le previsioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) si stima per il 2030 una
crescita dei consumi energetici su scala mondiale (ottenuta dall’incremento della domanda pro capite) pari al 60% rispetto al consumo attuale. Considerando che attualmente la popolazione urbana
supera il 50% del totale, con aree in cui la percentuale tocca l’80%, e il tasso di crescita dei consumi
energetici è dell’1,9% annuo, si prevede che il consumo energetico urbano aumenterà del doppio
rispetto all’attuale tasso medio di crescita europeo (IEA, 2014). Questo processo di inurbamento
della popolazione, unito ai potenziali impatti del cambiamento climatico indotti dalla componente
antropica (IPCC, 2007), fornisce un nuovo impulso agli sforzi per comprendere come forme, funzioni e risorse interagiscono all’interno degli ambienti urbani. In alcune città, infatti, il consumo di
energia pro capite ha registrato un incremento direttamente proporzionale alla loro crescita spaziale
(Baynes - Bai, 2009).
Dato il crescente contributo delle città alle emissioni climalteranti (Bai, 2007), affrontare il
cambiamento climatico globale declinandolo a livello urbano assume una forte rilevanza, in quanto
garantisce una maggiore efficacia di intervento. Il livello locale, che costituisce al contempo “parte
del problema” e “parte della soluzione”, diventa in questo senso il punto di partenza ideale per avviare politiche e azioni per la protezione del clima che permettano una reale transizione verso un modello urbano sostenibile capace di combinare il semplice risparmio con investimenti per l’efficienza
energetica e l’uso di fonti energetiche rinnovabili. Consumo energetico, forma urbana, densità e
morfologia, se opportunamente messi in relazione, offrono infatti l’opportunità di affrontare localmente, tanto nel policy design quanto nella progettazione urbana, le questioni del clima.
Gran parte della letteratura di riferimento (tra gli altri: Williams et al., 2000; Jenks - Burgess,
2000; Foley, 2005; Oke, 2006) si concentra sul tema della mitigazione considerandola come driver
di sostenibilità urbana. Secondo questo approccio, una migliore pianificazione e un miglior design
degli spazi e delle forme urbane dovrebbero essere in grado sia di mitigare gli effetti del cambiamento climatico, sia di garantire un processo graduale di adattamento per attenuarne gli impatti
diretti e indiretti. Finora i processi di mitigazione per ridurre le emissioni GHG hanno ruotato principalmente intorno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, al risparmio energetico degli
edifici, alle tecnologie “verdi” di produzione industriale, a carburanti alternativi con una maggiore
efficienza per i veicoli e all’aumento della rete di trasporto pubblico. Ci si è soffermati meno, invece,
sullo studio delle forme urbane e sul ruolo che ricoprono all’interno di una strategia energetica per
la conservazione e l’uso efficiente di tale risorsa. La delega del comfort interno degli edifici all’impiantistica ha infatti determinato una tendenza di fatto a realizzare edifici e strutture urbane poco
relazionati al loro contesto climatico, culturale e materiale. «Si fanno edifici uguali a Stoccolma e
a Nairobi, a Shangai e a San Paolo, spazzando d’un colpo principi costruttivi millenari» (Butera,
2004): una sfida lanciata dall’uomo alla natura, per dimostrare di essere capace di abitare indifferentemente in qualunque contesto e in qualunque clima.
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68
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
69
Approccio bioclimatico alla progettazione urbana
Parafrasando l’espressione secondo la quale la casa sarebbe il luogo geometrico dello spreco
di energia, si potrebbe considerare, in una visione più ampia, la totalità del territorio come luogo
geometrico del consumo di risorse, ivi compresa quella energetica (Olgyay, 1951). Adottando questa
prospettiva dove l’attenzione non ricade sul singolo elemento ma sull’efficienza dell’intero sistema,
la pianificazione urbana, i cui principi regolatori sposano quelli della sostenibilità ambientale, ricopre un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico.
Questa prospettiva prende realmente corpo quando forme architettoniche e strutture urbane vengono contestualizzate per morfologia, tipologia e uso dei materiali. Ciò non significa che
debbano essere necessariamente architetture vernacolari o tradizionaliste in quanto le soluzioni
tipologiche, morfologiche e tecnico-costruttive subiscono un’evoluzione nel tempo in relazione
all’emergere di nuovi bisogni, all’introduzione di nuovi materiali e sistemi di edificazione. Bisogna
riflettere inoltre sul fatto che l’uso (e lo spreco) di energia di una struttura urbana non dipende
soltanto dall’utilizzo che si fa dei singoli manufatti e dei loro impianti, bensì, spesso, dal modo in
cui questi sono stati progettati e messi in relazione tra loro. Parlare di città bioclimatica significa
non considerare unicamente la somma degli edifici che incorporano tecniche di condizionamento
passivo. A scala urbana vanno considerati altri tipi di interazioni e problematiche che non possono
essere affrontate se non con una prospettiva sistemica. In questo senso per la pianificazione generale
diventano fondamentali dei criteri bioclimatici come la disposizione sul terreno di un edificio, la sua
posizione rispetto ai venti dominanti, al corso del sole e alla relazione reciproca con altri manufatti
circostanti, al fine di chiudere i cicli ecologici di materia ed energia, ridurre l’impronta ecologica1
degli insediamenti, minimizzare gli impatti negativi su aria, acqua e suolo, utilizzando in modo
efficiente le energie disponibili. Assai raramente i regolamenti edilizi o le norme di attuazione degli
strumenti urbanistici contengono indicazioni in merito a questi fattori, mentre una pianificazione
e progettazione urbana attenta al contenimento dei consumi energetici e al comfort legato alla fruizione degli spazi della città deve adottare un approccio bioclimatico. Questo interviene contemporaneamente su tre livelli di relazioni: climatico-ambientale, tipologico e tecnico-costruttivo che, se
adeguatamente approfonditi possono fornire le seguenti indicazioni:
– per quanto attiene al controllo degli aspetti relativi al rapporto tra edificio e ambiente, la pianificazione e l’architettura (soprattutto quella legata a climi temperati) si sono da sempre dovute
confrontare con un clima caratterizzato da una notevole varietà stagionale (umidità, temperatura, irraggiamento solare, ventosità), che sollecita e impone soluzioni capaci di adattarsi a
tali variazioni stagionali. Oltre al clima, le singole costruzioni devono tenere conto anche delle
condizioni microclimatiche del sito, ossia di peculiarità dei luoghi quali la forma dell’insediamento urbano, i caratteri ambientali e paesaggistici (che influenzano e a volte modificano
le condizioni climatiche “tipiche” di temperatura, umidità, ventosità e irraggiamento solare,
caratterizzandole come condizioni specifiche locali);
– per quanto riguarda il controllo degli aspetti tipologici, gli insediamenti devono caratterizzarsi
per una ricerca di equilibrio tra forma compatta in inverno (in base al più vantaggioso rapporto tra superficie e volume rispetto alle dispersioni termiche) e aperta in estate (in base alla
possibilità di favorire la ventilazione naturale), con spazi ad assetto, aperto-chiuso, tra inverno
ed estate (porticati, logge, patii, spazi filtro). Per esempio, la consueta tipologia mediterranea è
la casa a patio, compatta ma “porosa” (Olgyay, 1998);
– dal controllo degli aspetti tecnico-costruttivi si ricava che la struttura urbana si deve caratterizzare per l’uso passivo dell’energia, grazie allo sfruttamento degli apporti solari in maniera
diretta (finestre) o indiretta (accumulatori di calore), e per la presenza di un’adeguata inerzia
termica che conservi il calore di tali contributi e smorzi i picchi di temperatura (attenuazione
70
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
e sfasamento dell’ingresso dell’onda termica) in estate. Orientamento e forma dell’edificio e caratteristiche dell’involucro sono gli aspetti su cui si deve concentrare maggiormente il progettista. Una costruzione che sfrutta le specificità climatiche del contesto si definisce “passiva” e va
distinta da quegli edifici che costruiscono invece artificialmente, tramite gli impianti (e dunque
in maniera “attiva”), il comfort all’interno degli ambienti (da non confondersi con il termine
passivhaus2, che fa riferimento a uno standard energetico). Una struttura urbana passiva abbina la possibilità di usare fattori climatici favorevoli (captare energia solare in inverno, veicolare
flussi di vento in estate) con la capacità di conservare le condizioni favorevoli (immagazzinare
calore in inverno e freddo notturno in estate) e di ostacolare quelle sfavorevoli, senza ricorrere
a costose ed energivore integrazioni impiantistiche.
È il progettista che deve occuparsi, a diversi livelli di scala, delle questioni legate alla regolazione normativa, alla conformazione delle strutture urbane, all’orientamento degli edifici, al sistema
degli involucri e degli impianti, operando verso una riduzione dei consumi energetici e garantendo
al contempo un comfort abitativo idoneo.
Tab. 1. Estratto realizzato da Higueras (2006) delle strategie di base proposte da Olgyay (1963)
per ognuna delle quattro regioni climatiche
Regione climatica
Obiettivi generali
Regione fredda
Incrementare la produzione di calore, aumentando
l’assorbimento della radiazione incidente e riducendo
la perdita dovuta a conduzione ed evaporazione
Regione temperata
Sia il periodo freddo che quello caldo rappresentano
una parte sostanziale dell’anno, quindi è necessario
stabilire un equilibrio stagionale tra misure
per ridurre o consentire (a seconda del caso)
la produzione di calore, di irraggiamento
e di convezione del calore
Regione calda umida
Ridurre la produzione di calore, facilitare
la perdita di radiazioni solari e promuovere
l’evapotraspirazione
Regione calda arida
Ridurre la produzione di calore. Diminuire
gli aumenti della radiazione assorbita e potenziare
la perdita di evaporazione
Pianificare con un clima in costante cambiamento significa comprendere le questioni legate
al microclima, alle risorse e ai materiali locali. Non impone un pedissequo riferimento alle forme
dell’architettura e della tradizione costruttiva ma, piuttosto, un’innovativa reinterpretazione delle ragioni che per secoli ne hanno guidato “naturalmente” la realizzazione (Higueras, 2006). Una
progettazione, quindi, che si definisce bioclimatica e che ha come obiettivo principale quello del
risparmio di energia (prevalentemente di origine fossile) e che risponde prima di tutto alle condizioni uniche di ogni clima e di ogni territorio, associando una specifica geografia urbana a una
corrispondente geografia climatica, un approccio, questo, che si potrebbe riassumere nel principio:
A cada lugar una planificación3.
Città, territorio e CC
71
Progettazione bioclimatica verso Europa 20-20-20: efficienza, risparmio e produzione sostenibile
Una politica energetica ispirata alle considerazioni che precedono impone un modo di progettare lo spazio urbano che, in primo luogo, riduca i consumi diretti (primi responsabili dell’immissione nell’atmosfera di CO2) attraverso un efficientamento dei sistemi tanto di produzione quanto
di consumo e, in secondo luogo, predisponga l’insediamento all’uso di fonti energetiche alternative.
Si tratta di vedere in che maniera possono essere progettate, riprogettate o riqualificate le strutture
urbane e in quale modo se ne può indirizzare l’assetto al fine di rendere minimo il consumo di energia, quale ne sia la fonte.
Le politiche di risparmio energetico coinvolgono due livelli di intervento: quello territoriale e
quello attuativo.
L’assetto territoriale
Un primo aspetto del risparmio energetico si riflette sui piani di assetto territoriale4 e si articola
in due obiettivi: minimizzare gli spostamenti di cose e persone all’interno dell’area considerata e
scegliere opportunamente le aree di insediamento in rapporto ai fattori del clima e del microclima.
Minimizzare gli spostamenti significa diminuire i consumi energetici per i trasporti, che sono,
com’è noto, molto elevati5. L’obiettivo di ridurre i viaggi da un punto all’altro del territorio si può raggiungere disegnando piani urbanistici che contemplino un certo numero di esigenze di contiguità e che
dispongano, per quanto possibile, le residenze vicino ai luoghi di lavoro, le industrie vicino alle fonti
delle materie prime (o del loro stoccaggio) e le attrezzature presso le residenze, compatibilmente con i
raggi di influenza delle medesime. In questo modo si ottiene una riduzione globale della domanda di
trasporto, cioè dell’esigenza che è a monte dello spostamento, mentre si può rispondere alla domanda
di trasporto residua con piani che contemplino l’uso preferenziale dei mezzi di trasporto collettivi piuttosto che di quelli individuali6. Visto che lo sviluppo dei trasporti su mezzi collettivi induce al risparmio solo se l’agglomerato urbano è abbastanza compatto, circostanza che in genere garantisce l’economicità della gestione, il sistema di trasporto non può essere considerato indipendentemente dall’assetto
territoriale. I piani urbanistici o di assetto del territorio che vogliano tenere in considerazione l’esigenza
primaria del risparmio energetico devono essere predisposti per favorire una struttura urbana prevalentemente compatta, con abitazioni, servizi e posti di lavoro localizzati con alta prossimità spaziale
ove possibile, oppure localizzati in luoghi ben definiti, in modo da diventare nodi di una rete urbana a
maglie strette capaci di essere serviti adeguatamente dalle reti di trasporto pubblico.
Un altro modo per limitare la mobilità interna a un’area urbana è quello di incentivare lo sviluppo di un’intensa vita “di quartiere”, così che la popolazione resti legata all’ambito spaziale che può
raggiungere a piedi, utilizzando mezzi di traposto (principalmente pubblico) solo per gli spostamenti
più lunghi. Il quartiere dovrà però contenere tutte le attrezzature culturali, gli impianti per lo svago e
per il tempo libero. Anche la rete commerciale, oggi disciplinata in Italia dai piani di dislocazione dei
punti vendita (urbanistica commerciale), dovrà essere calibrata a livello di vicinato e non soltanto per
l’acquisto dei generi di prima necessità.
L’altro obiettivo che la pianificazione urbanistica si pone, quale strumento per realizzare un
risparmio energetico a livello di Piano di Assetto del Territorio, consiste nella scelta delle aree d’insediamento da effettuare in funzione dei fattori del clima e del microclima. Oltre a fattori fisici di
base, come il substrato geologico, l’acclività, la vegetazione e l’esposizione ai rischi, anche il clima,
nelle sue componenti principali del soleggiamento, della temperatura, dell’umidità e del regime dei
venti, va considerato in fase di localizzazione ottimale degli insediamenti. In una prospettiva di
risparmio energetico si prediligono per l’urbanizzazione aree meglio soleggiate, riparate dai venti
freddi, il cui andamento orografico produca un minimo di ombre portate. Nei riguardi di questi
fattori naturali, che dovranno essere inseriti in altrettante carte di analisi morfologica e tecnologi72
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
ca, le zone residenziali e quelle ospedaliere, abitate in tutto l’arco della giornata, andranno pensate
su aree esposte prevalentemente a sud e su versanti poco acclivi ma protetti dai venti prevalenti.
Le zone scolastiche, invece, aventi una spiccata vocazione al solare perché frequentate soprattutto
nelle ore del mattino, potranno essere vantaggiosamente previste su terreni con esposizioni a oriente. Per le zone industriali saranno preferibili invece aree soggette a buona ventilazione, per favorire
lo smaltimento termico e di fumi inquinanti derivanti da processi di lavorazione, però sottovento
rispetto alle altre zone, specie residenziali.
La progettazione degli insediamenti all’interno di un piano regolatore generale7 o di un piano
territoriale dovrà essere effettuata tenendo conto di tutti i fattori climatici e microclimatici presenti
e, in seconda istanza, dovrà intervenire, quando si progettano per ciascuna zona i piani particolareggiati, sulla definizione dei volumi edilizi in rapporto al soleggiamento, al regime delle ombre e
delle temperature esterne che vengono a crearsi per effetto del microclima, al regime dei venti, alla
sistemazione delle aree verdi e della relativa vegetazione.
Il piano attuativo
Il secondo aspetto di una progettazione bioclimatica rivolta al risparmio energetico riguarda,
dopo aver definito l’assetto urbanistico alla scala territoriale o comunale e la conseguente rete viaria, la
disposizione reciproca degli edifici e la loro sistemazione rispetto agli elementi naturali o artificiali che
li circondano. È questo il livello del piano particolareggiato che studia, con un’ottica di maggiore dettaglio (in scala 1:2000, 1:1000, 1:500), le piante, le sezioni, i profili edilizi lungo le strade, lungo le linee di
maggior pendenza, con le relative opere di urbanizzazione primaria. A questo livello la pianificazione
attuativa, seguendo le indicazioni normative inserite all’interno del Piano di Assetto del Territorio,
interviene a definire la forma, le tipologie e l’articolazione esterna dei manufatti edilizi e a progettare le
aree esterne, gli spazi tra gli edifici, l’arredo stradale e la vegetazione ai vari livelli (Indovina, 2005).
L’importanza di un taglio progettuale indirizzato al risparmio energetico è fondamentale in questa fase di progettazione: una definizione “corretta” dei volumi edilizi in relazione all’ambiente in cui si
collocano può infatti consentire un considerevole risparmio di energia per il riscaldamento invernale
e il condizionamento estivo e ciò indipendentemente dalla possibilità di usare l’energia solare come
fonte diretta e alternativa di energia termica. Le carte solari, che forniscono indicazioni di massima su
una specifica macroarea, e i sofisticati software di calcolo dell’irraggiamento solare dei singoli edifici,
che forniscono invece dati relativi all’incidenza solare diurna e alla quantità di calore immagazzinata
dai singoli edifici attraverso le pareti soleggiate8 (Beccali, 2002), sono alcuni degli strumenti di cui
può servirsi il progettista per indirizzare al meglio il design della struttura urbana. La variazione della
quantità di calore assorbita dalle facce di un volume edilizio per radiazione diretta dal sole definisce
che la superficie rivolta a nord riceve sempre meno energia delle altre superfici; la superficie sud è
quella che riceve più energia nei mesi da settembre ad aprile, cioè nei mesi invernali; le superfici est e
ovest sono quelle che ricevono più energia nei mesi da maggio ad agosto, cioè quelli estivi (fig. 1).
Ne consegue che un edificio in linea, che abbia due esposizioni, con altrettante file di locali allineati su fronti opposti, assorbe la massima quantità di calore quando una delle facciate è orientata
a ovest e l’altra a est. I lati corti, possibilmente ciechi, sono così orientati a nord e sud (fig. 2).
Oltre a quello solare, altri fattori del microclima concorrono alla corretta impostazione di
un’urbanistica bioclimatica, quali, soprattutto, l’andamento dei rilievi del terreno, i venti e l’umidità.
La conoscenza e lo sfruttamento di questi fattori hanno però raramente orientato la pianificazione
urbanistica alla scala urbana: la formazione di imbuti, di vortici e di correnti è stata per esempio
scarsamente utilizzata per progettare la volumetria di nuovi quartieri allo scopo di ridurre le perdite termiche degli edifici. I tessuti antichi, in generale, sfruttavano meglio il microclima prodotto
dal surriscaldamento urbano e tuttora resistono meglio all’effetto del vento, che tende a scavalcarli
Città, territorio e CC
73
proprio per la loro compattezza e omogeneità morfologica. Un motivo ulteriore, dunque, per sostenerne il recupero, in un’ottica di risparmio energetico (fig. 3).
Risulta importante sottolineare che ciascuno di questi caratteri e dei suoi effetti sul microclima
va conosciuto dal progettista e va misurato e utilizzato nel modo più opportuno al fine di migliorare
le caratteristiche dell’ambiente e, in particolare, di massimizzare il risparmio energetico. Anche la
turbolenza dell’aria, a volte, può essere utilizzata in senso positivo per attenuare, ad esempio, gli
effetti dell’isola di calore. Allo stesso modo gli alberi, e comunque la vegetazione, sono anch’essi
elementi che possono contribuire ad addolcire il clima sia estivo che invernale e a far risparmiare
energia. Oltre alla funzione di schermo estivo e filtro invernale, è noto che inserendo nella maglia
urbana viali alberati, spazi pubblici con superfici a verde, giardini, parchi o altre infrastrutture verdi
si possono modificare i caratteri climatici propri della città, avvicinandoli almeno in parte a quelli
propri delle aree rurali (fig. 4).
Il verde urbano non deve essere valutato e inserito nella città per uno scopo puramente esteticodecorativo (favorire l’integrazione fra elementi architettonici nell’ambito della progettazione dell’arredo
urbano) o igienico-sanitario (assorbimento delle sostanze inquinanti, produzione di ossigeno, aumento
del benessere psicologico) come è stato fatto finora, ma in quanto fondamentale elemento di presenza
ecologica e ambientale, che contribuisce in modo sostanziale a mitigare gli effetti del microclima.
L’urbanistica delle fonti energetiche alternative
schermatura della radiazione solare diretta
VARIAZIONI GIORNALIERE
diminuzione delle temeprature superficiali diminuzione del raffrescamento radiativo
VARIAZIONI STAGIONALI
estate
1. Esempio di orientamento secondo l’asse equisolare,
nord est-sud ovest, proposto da G. Vinaccia (1940).
inverno
2. Rilettura, secondo gli stili di vita odierni,
del diagramma di orientamento
in base all’asse equisolare di un edificio,
elaborato da G. Vinaccia (1940).
deviazione del vento
incanalamento del vento
riduzione del vento
3. Fenomeni di interazione
tra ventilazione e contesto costruito.
Illustrazione delle principali fenomenologie
aerodinamiche.
4. Principali funzioni svolte dalla vegetazione
in ambito urbano (Fonte: R. Pantalfini 2013).
74
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
Se la progettazione urbana che tende al risparmio energetico cerca prevalentemente di ridurre la domanda di energia, con un’opportuna progettazione della forma dell’insediamento e con
un’idonea dislocazione delle zone destinate allo svolgimento delle varie attività, l’urbanistica che si
rivolge alle fonti alternative rispetto a quelle tradizionali (carbone, petrolio e derivati) ha come scopo quello di aumentare l’offerta energetica migliorandola. Tuttavia l’ampliamento della disponibilità è un fine che va perseguito insieme alla riduzione dei consumi, pianificando, pertanto, politiche
(urbanistiche ed energetiche) che non si escludano a vicenda.
È proprio sul tema della qualità e dell’integrazione dell’offerta energetica che si intravedono le
linee guida verso le quali si sta già orientando il futuro della progettazione, in rapporto all’uso di
fonti alternative, tanto a scala urbana9 quanto a livello di edificio10.
Se, come è stato accennato in apertura, l’aumento dei consumi energetici ha registrato un
incremento direttamente proporzionale alla crescita spaziale degli insediamenti in cui si localizza
tale domanda, appare chiaro che, fino ad ora, si è prediletta una produzione di energia in forme a
elevata “densità energetica”. Questa condizione ha visto adeguarsi reciprocamente insediamenti ad
alta densità abitativa e sistemi di alimentazione ad altrettanto elevata densità energetica generando
una forte polarizzazione dei luoghi di produzione e di consumo dell’energia e la diffusione di estese
reti di distribuzione soltanto per l’energia elettrica.
Un sistema alternativo, basato oltre che sul risparmio anche sul contributo di fonti alternative
e diversificate, dovrebbe favorire invece l’instaurarsi di nuovi rapporti tra insediamento e fonti di
energia. In particolare un sistema energetico che utilizza fonti a bassa densità dovrebbe incentivare
la formazione di un modello insediativo meno centralizzato e più omogeneo, in cui la periferia acquisti la stessa importanza (o quasi) del centro. Con la valorizzazione e la diffusione degli usi diretti
dell’energia (sia essa solare, eolica, geotermica o proveniente da biomassa) è possibile dunque prevedere l’attenuazione degli squilibri territoriali e l’evoluzione di un assetto urbano da una situazione
fortemente polarizzata e discontinua a una in cui il singolo insediamento (urbano o agricolo), il
singolo gruppo sociale, l’abitazione individuale e la singola famiglia possano esercitare un maggior
controllo sulla produzione e sul consumo dell’energia. Passare cioè da territori come luoghi geometrici dei consumi a nuove geografie capillari di produzione sostenibile di energia.
Città, territorio e CC
75
Conclusioni
Parlare di progettazione urbanistica bioclimatica significa riferirsi a una progettazione che propone un adeguamento delle strutture urbane alle specifiche condizioni del clima e del territorio in
cui esse sono insediate. Secondo questo approccio, pertanto, ogni situazione geografica deve essere
capace di generare una specifica progettazione urbana: “ad ogni luogo una pianificazione specifica”.
Attualmente la progettazione bioclimatica viene inquadrata all’interno dell’ambito disciplinare
afferente alla pianificazione ambientale o, più in generale, alla pianificazione sostenibile, i cui obiettivi principali sono il miglioramento della qualità della vita e delle persone, utilizzando le risorse
disponibili e controllando gli effetti dannosi che queste hanno sull’ambiente a tutte le scale (capacità
di carico, modifica del clima, spreco di energia ecc.).
Per raggiungere strutture urbane che siano coerenti con i principi della bioclimatica è necessario che i livelli di pianificazione comunale (PAT, PATI, PI11) e quelli progettuali relativi alla scala di
edificio (regolamenti edilizi e requisiti cogenti) siano capaci di assimilare le indicazioni precedentemente trattate che possono essere sintetizzate nelle seguenti indicazioni.
1. L’approccio alla pianificazione degli insediamenti urbani va ripensato in maniera globale: le
linee di indirizzo di piani e progetti devono essere costruite a partire dalle specifiche situazioni geografiche e climatiche. Evitare soluzioni comuni e indirizzi di carattere generale: ogni
territorio, con il suo ambiente, il suo clima e le sue caratteristiche, necessita di progettualità
specifiche.
2. Il quadro conoscitivo – sistema integrato delle informazioni e dei dati necessari alla comprensione delle tematiche svolte dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica – deve
essere corredato da ”nuove” tipologie di dati legati alle questioni climatiche. Informazioni georeferenziate dell’intero territorio comunale relative all’esposizione, al rischio (idraulico, idrogeologico ecc.), all’incidenza solare, all’intensità dei venti, alla tipologia dei suoli (processi geodinamici) sono alcuni dei dati che possono rivelarsi utili in fase di costruzione di un Piano di
Assetto Territoriale e soprattutto di redazione dei successivi Piani degli Interventi (PI).
3. Tecniche di condizionamento passivo, di architettura bioclimatica e di riqualificazione energetica devono costituire un elemento cardine all’interno della progettazione urbanistica e architettonica locale, definendo le tipologie appropriate di edifici per ogni specifica situazione
climatica. In questo senso è importante introdurre nei regolamenti edilizi indici e indicazioni
in grado di ridare importanza ai caratteri dell’architettura tradizionale e connessi al benessere
climatico. In questi casi, relativi tanto alle nuove edificazioni quanto ai processi di riqualificazione, appare opportuno seguire le raccomandazioni dettate da un disegno volto al condizionamento passivo, alla ventilazione incrociata, a murature con inerzia termica ecc. Il risultato di
questi processi permetterà un grande risparmio energetico e ridurrà i livelli di inquinamento
provocati dai sistemi di riscaldamento e rinfrescamento tradizionali.
4. Il pedone deve tornare a essere il protagonista dello spazio urbano fino a ora occupato quasi
integralmente dall’automobile, orientando di conseguenza gli interventi progettuali sulla rete
viaria delle città in maniera più confacente ai bisogni e alle necessità dei pedoni. I Piani Urbani
del Traffico (PUT12) dovranno fornire misure di riduzione del traffico. L’inserimento di reti di
trasporto pubblico a basso impatto ambientale che mettano in relazione i principali nodi urbani, strade a priorità pedonale con carreggiate per la circolazione automobilistica a sezione
ridotta, incroci e strisce pedonali allo stesso livello per i pedoni, strade senza separazione tra
carreggiata per automobili e marciapiedi, o la progettazione di parcheggi in superficie con
alberatura sono alcune delle soluzioni più consigliate.
5. La filosofia dello zoning dovrebbe essere abbandonata, potenziando, al contrario, gli usi misti
e la diversità delle attività concentrate nelle aree urbane più centrali in modo da ridurre gli
76
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
spostamenti e il conseguente consumo di energie nei trasporti e incentivare l’uso di percorsi
pedonali sicuri e gradevoli per tutti.
6.Andrebbero promossi l’integrazione, l’ampliamento e la nuova progettazione della rete degli
spazi liberi urbani. In questo senso è necessaria una condivisione degli obiettivi tra diversi settori all’interno di un’amministrazione comunale, tradotta nella redazione di piani del traffico,
piani della manutenzione urbana, piani del verde, piani energetici ecc. capaci di disegnare spazi
in grado di correggere e moderare le esternalità negative legate ai sempre più frequenti fenomeni climatici estremi.
7. Considerando che il 70% dei comuni italiani ha una dimensione medio-piccola (meno di 5.000
abitanti) e che la capacità di questi comuni di integrare piani e politiche settoriali verso obbiettivi condivisi legati alla bioclimatica urbana è maggiore rispetto alle grandi realtà comunali, i
livelli di pianificazione sovraordinata (PTCP e PTRC) dovrebbero essere capaci di favorire questi
processi di integrazione al fine di massimizzarne l’efficacia e l’efficienza.
8.Andrebbe promossa una pianificazione capace di privilegiare densità medio-alte, limitando la bassa densità costituita da residenze unifamiliari che impone costi molto elevati in termini di infrastrutture, consumi energetici, consumo di suolo e impatto sull’ambiente circostante. In situazioni
territoriali in cui l’insediamento è legato a una moltitudine di microstrutture è consigliabile combinare microcittà compatte con densità medio-alta, collegandole alle macrostrutture urbane a esse limitrofe in modo da limitare la dispersione nel territorio e strutturare una rete di città (Frey, 1999).
9. È auspicabile sostenere piani e progetti legati alla valorizzazione dei servizi ecosistemici forniti
da infrastrutture verdi (cicli biologici vegetali e acquatici), riconoscendone il molteplice valore
di assorbimento delle radiazioni solari, di stoccaggio di CO2, di laminazione delle acque e di
altri sevizi connessi alla riduzione degli impatti del cambiamento climatico.
10. Dovrebbe essere favorito il coinvolgimento attivo dei cittadini al fine di supportare processi
bottom-up individuali che garantiscano maggiore sostenibilità alle politiche urbane in materia
di efficienza energetica. A questo proposito la costruzione di specifiche agende locali è uno
strumento di grande efficacia per raggiungere questi obbiettivi.
1 L’impronta ecologica misura l’area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria a rigenerare le risorse
consumate da una popolazione umana e ad assorbire i rifiuti prodotti. Si può esprimere l’impronta ecologica anche da un
punto di vista energetico, considerando l’emissione di diossido di carbonio espressa quantitativamente in tonnellate, e di
conseguenza la quantità di terra forestata necessaria per assorbire le suddette tonnellate di CO2.
2 Lo standard Passivhaus è nato nel maggio 1988 da una collaborazione tra Bo Adamson dell’Università di Lund in
Svezia e Wolfgang Feist dell’Institut für Umwelt und Wohnen (Istituto per l’ambiente e l’edilizia) in Germania.
3 «Los principios generadores del urbanismo bioclimático se pueden resumir en los siguientes puntos: A CADA LUGAR
UNA PLANIFICACIÓN»: Higueras (2006).
4 Il Piano di Assetto del Territorio (PAT), come definito dall’articolo 13 della Legge Regionale 11 del 2004, fissa gli
obiettivi e le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni ammissibili ed è redatto dai comuni sulla base
di previsioni decennali.
5 I trasporti nelle città sono responsabili di oltre il 50% delle emissioni contaminanti, seguiti da quelle prodotte dai
settori residenziale e industriale. Delle emissioni contaminanti a livello urbano, quelle dovute al trasporto pubblico superano
il 60% a Barcellona, il 70% a Parigi e l’80% a Città del Messico (Pozueta, 2001).
6 Stessa considerazione può essere fatta per quei servizi di trasporto individuale aventi però valenza collettiva, forniti
da enti pubblici o imprese private, come il car sharing o il bike sharing.
7 Il piano territoriale dell’isola di Ischia, elaborato nel 1957 da Corrado Beguinot, è forse il primo esempio di urbanistica italiana che tiene presenti le caratteristiche climatiche locali (Cardarelli, 1982)
8 Il metodo delle carte solari, prima di una recente messa a punto per l’edilizia bioclimatica eseguita da un gruppo di studio
dell’università di Palermo (Beccali - Butera, 1974), non dava conto della quantità di calore ricevuta dal sole per radiazione diretta.
9 Ad esempio si veda il Patto dei Sindaci, il principale movimento europeo che vede coinvolte le autorità locali e
regionali impegnate ad aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti rinnovabili nei loro territori. Attraverso il loro
Città, territorio e CC
77
impegno i firmatari del Patto intendono raggiungere e superare l’obiettivo europeo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2
entro il 2020.
10 Si veda come esempio la Legge Regionale 30 luglio 2013, n. 15 dell’Emilia Romagna che indirizza i processi edilizi
verso «il risparmio energetico ed idrico e la riduzione degli impatti delle urbanizzazioni sull’ecosistema».
11 Articolazione degli strumenti di pianificazione della Regione Veneto, normata dalla Legge Regionale 23 aprile 2004, n. 11.
12 Obbligatorio per i comuni con più di 30.000 abitanti, è costituito da un insieme coordinato di interventi per il miglioramento delle condizioni della circolazione stradale nell’area urbana, dei pedoni, dei mezzi pubblici e dei veicoli privati.
2.3. Dispersione urbana e misure di contenimento:
verso un approccio sostenibile
Laura Fregolent
La dispersione urbana come questione problematica
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78
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
Lo sviluppo dell’edificato e la conseguente forma che esso assume determina ricadute positive
o negative delle quali tenere conto in un’azione di progetto e di riqualificazione degli spazi del vivere. Se la forma compatta ha manifestato nel tempo problemi di non facile soluzione (congestione,
inquinamento, costi elevati ecc.) che insieme all’aumento della popolazione hanno spinto la popolazione stessa a trovare forme alternative di residenzialità in contesti a bassa densità edilizia1, al tempo
stesso ora dobbiamo fare i conti con le problematiche che la forma urbana dispersa pone.
Una considerazione specifica sulla dispersione urbana, quindi, va fatta a partire dai caratteri
distintivi della città contemporanea – e cioè la bassa densità insediativa insieme all’alta mobilità e
alla polarizzazione e specializzazione di alcune funzioni e servizi fuori dai centri urbani: infrastrutturazione e insediamento di funzioni commerciali e terziarie a ridosso dei centri urbani anche di
piccola e media dimensione hanno contribuito da un lato a innescare processi di nuova urbanizzazione e consumo di suolo, dall’altro a incrementare la domanda di mobilità.
Nel corso degli ultimi decenni si sono progressivamente intensificate le ricerche sulla dispersione urbana, sugli effetti che essa comporta a livello territoriale, sugli impatti generati dall’urbanizzazione diffusa, sui costi collettivi che essa genera. Del fenomeno, noto in contesto anglosassone
come urban sprawl, si sono studiate le diversi componenti: sociali, economiche, culturali, politiche
e istituzionali; gli effetti delle regolazioni alla scala locale e sulla relazione tra frammentazione amministrativa e incremento dello sprawl (Pendall, 1999); le cause e gli impatti (Ewing et al., 2002); le
manifestazioni formali e le specificità locali, che hanno determinato manifestazioni del fenomeno
diverse a seconda dei diversi contesti territoriali e geografici. Sono state, quindi, messe in evidenza
la relazioni tra bassa densità insediativa e comportamenti sociali, stili di vita che nel corso dei decenni si sono profondamente modificati generando domande e usi diversi di territorio.
L’analisi del fenomeno è stata condotta osservandone le diverse manifestazioni fisiche e morfologiche, il ruolo avuto dalle infrastrutture di trasporto sulla crescita dell’urbanizzazione dispersa,
l’incremento di mobilità individuale e dei costi collettivi generati dallo sprawl, le esternalità negative
tra le quali possiamo includere il consumo di suolo.
Temi centrali e rilevanti che saranno trattati però solo sommariamente concentrando maggiormente l’attenzione sul tema del consumo di suolo. Tra questi il tema della mobilità è centrale
nell’analisi e nella descrizione del fenomeno dello sprawl per diventare però potenzialmente strumento di regolazione e di contenimento. Alcune ricerche condotte nello specifico sull’area metropolitana di Barcellona mettono in evidenza come «measures of urban form typically used (net population density and accessibility) have a greater capacity to explain municipal ecological footprints
variability than other factors, such as average municipal family income and the job ratio, which
leads the authors to conclude that urban form exercises a clear effect on the ecological footprint of
transport. Third, Municipalities with low-density levels located in the outer periphery have a higher
per capita ecological footprint of commuting than denser central areas» (Muñiz - Galindo, 2005,
p. 511); inoltre l’incremento di emissioni di CO2 apre ad alcune inevitabili considerazioni sulla relazione tra forma urbana, uso del suolo e cambiamento climatico poiché l’aumento delle emissioni
legate alla mobilità è il risultato di alcune scelte di carattere territoriale che hanno favorito la di79
spersione dell’edificato e il conseguente incremento degli spostamenti (Bart, 2010). Un modello di
sviluppo urbano diffuso non può, infatti, essere servito da infrastrutture di trasporto pubblico in
quanto la domanda è troppo bassa, la dispersione della domanda sul territorio è alta e la dispersione
delle destinazioni è in crescita a causa della suburbanizzazione di posti di lavoro (Camagni et al.,
2002b; Cervero, 1998; Ewing - Cervero, 2010). Lo sprawl nelle grandi aree urbane riduce l’accessibilità ai servizi e alle funzioni presenti nei centri urbani più grandi, esalta la parcellizzazione della
domanda di mobilità e riduce le opportunità di organizzare secondo economie di scala la pianificazione delle infrastrutture e dei servizi (cfr. Eurispes, 2013).
Un tema che ha assunto nel tempo rilievo nelle ricerche sugli effetti dello sprawl è quello legato
alla quantificazione dei costi collettivi, sociali e ambientali (Real Estate Research Corporation, 1974;
Ladd, 1992; Carruthers - Ulfarsson, 2003; Camagni et al., 2002a; Caperchione, 2003; Hortas-Rico - Solé-Ollé, 2008; Travisi et al., 2009; Fregolent et al., 2012), legati alla mobilità (McCann, 2000), sanitari2
che lo sprawl impone, anche se le ricerche empiriche sui suoi costi sono tuttora molto contenute.
Un filone relativamente più recente di studi è quello rivolto all’individuazione di strumenti,
politiche e misure capaci di contenere in primis il consumo di suolo, ritenuto la criticità più evidente
e con il maggior impatto poiché associato all’erosione di risorse naturali, ambientali e paesaggistiche
e all’impermeabilizzazione del terreno3.
Il consumo di suolo
Il fenomeno del consumo di suolo ha assunto nel tempo delle dimensioni preoccupanti, dal
punto di vista della quantità di terreno agricolo consumato, delle risorse paesaggistiche e ambientali
compromesse, della frantumazione dell’urbano, dei costi infrastrutturali e di gestione sempre più
elevati legati a un modello a bassa densità edilizia e disperso.
Secondo il rapporto dell’ISPRA il consumo di suolo supera, a livello nazionale, i 100 ha/giorno
e la superficie impermeabilizzata copre oltre il 6% dell’intera superficie del paese, con le punte maggiori nel Nord Italia (Munafò et al., 2011), ma il fenomeno è preoccupante anche per impatti negativi
quali la forte pressione esercitata sulle risorse idriche che riduce l’assorbimento della pioggia; la
perdita di biodiversità; l’impatto sulla sicurezza alimentare; il maggior assorbimento di energia dal
sole dovuto alle superfici scure asfaltate o in calcestruzzo, ai tetti e alle pietre che contribuiscono
in misura significativa, insieme al calore prodotto dal condizionamento e raffreddamento dell’aria
e al calore prodotto dal traffico, a produrre l’effetto noto come isola di calore urbano. Effetto che si
manifesta in particolare nelle città compatte ma la cui presenza e intensità, in base ad alcuni studi
condotti in contesto statunitense, è in aumento anche in aree sicuramente molto costruite ma con
evidenti caratteri di dispersione urbana e bassa densità edilizia: «the rate of increase in EHEs [Extreme Heat Events] is higher in sprawling than in more compact metropolitan regions, an association
that is independent of climate zone, metropolitan population size, or the rate of metropolitan population growth» (Stone et al., 2010, p. 1427).
In base al Rapporto ISPRA (2014) i valori percentuali più elevati di consumo di suolo «si registrano nel Nord Italia. Ma, mentre nelle regioni del Nord-Ovest assistiamo ad una fase di rallentamento della crescita, nel Triveneto e in Emilia Romagna si mantiene un tasso di consumo di
suolo elevato, dovuto principalmente alla continua diffusione urbana che si riscontra nella pianura
padano-veneta. Se negli anni ’50 il Centro e il Sud Italia mostrano percentuali di suolo consumato
simili, successivamente il Centro si distacca con valori in netta crescita, raggiungendo i valori medi
nazionali che, nel complesso, hanno un andamento piuttosto omogeneo» (p. 7). Significativo è
anche il dato sull’incremento di suolo consumato calcolato per abitante (tab. 1), che restituisce un
quadro nazionale di forte cambiamento, di impatto e soprattutto di un’intensità del fenomeno che
nemmeno la crisi ha arrestato.
80
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
Tab. 1. Stima del suolo consumato per residente a livello nazionale, per anno (mq/ab)
Anni ’50
178
1989
286
1996
312
1998
321
2006
350
2009
359
2012
369
(Fonte: ISPRA, 2014, p. 14)
Il consumo di suolo e la sua conseguente impermeabilizzazione sono diventati un tema sempre
più di interesse nelle direttive comunitarie poiché: «a seguito della proliferazione urbana e della richiesta sempre più insistente di terreni da parte di molti settori economici; questa situazione impone un utilizzo più sostenibile del suolo. Occorrono pertanto misure adeguate per contenere questo
fenomeno, ad esempio il recupero di siti abbandonati e contaminati che limiti lo sfruttamento dei
siti incontaminati. Laddove l’impermeabilizzazione sia presente, gli stati membri devono prevedere
tecniche di edificazione e di drenaggio che consentano di preservare il maggior numero possibile di
funzioni del suolo» (Direttiva COM(2006)232, p. 12).
Di una Direttiva suolo si parla ormai da molto tempo perché, nonostante la sensibilizzazione
progressiva sul tema della tutela delle risorse naturali – suolo compreso –, per promuovere un approccio più sostenibile alle trasformazioni del territorio, i processi di urbanizzazione non si sono
arrestati (ISPRA, 2014). La costante e progressiva impermeabilizzazione del suolo causa la perdita di
importanti funzioni ambientali (filtraggio; conservazione delle acque; produzione di alimenti): «Tra
il 1990 e il 2000 nell’UE si sono persi almeno 275 ettari di terreno al giorno, per un equivalente di
1.000 kmq all’anno. Tra il 2000 e il 2006 la perdita media nell’UE è cresciuta del 3%, con picchi del
14% in Irlanda e Cipro e del 15% in Spagna […]. Nel periodo 1990-2006, 19 stati membri hanno perso
una potenziale capacità di produzione agricola pari complessivamente a 6,1 milioni di tonnellate di
frumento, con grandi variazioni da una regione all’altra […]. Si tratta di una cifra tutt’altro che insignificante, visto lo stabilizzarsi dell’aumento della produttività agricola già percepito e il fatto che,
per compensare la perdita di un ettaro di terreno fertile in Europa, sarebbe necessario mettere in uso
un’area fino a dieci volte maggiore in un’altra parte del pianeta» (Direttiva COM(2012)46 final, p. 7)4.
La pianificazione urbana e territoriale può essere lo strumento principe nella regolazione dei
processi di trasformazione non più legati a logiche principalmente espansive, orientando scelte e
politiche urbane verso un uso sostenibile delle risorse, compresa la risorsa suolo che continua a
essere quotidianamente erosa.
Dispersione urbana e consumo di suolo in Veneto
Il fenomeno della dispersione urbana in Veneto è stato a lungo indagato; la ricerca sull’evoluzione del modello insediativo, sulla relazione tra modello economico e territoriale, sulle morfologie
presenti e costruitesi a partire dagli anni Settanta vanta numerosi studi. Nello specifico l’ambito del
centro Veneto – compreso tra le città di Treviso, Venezia, Padova e Castelfranco – presentava caratteri di grande interesse e peculiarità al punto da essere individuato come la forma urbana nota come
città diffusa (Indovina, 1989; Indovina et al., 1990; Secchi, 1996; Indovina et al., 2004; Tosi - Munarin,
2004; Indovina, 2009); caratteri successivamente individuati – anche se con intensità e in fasi temporali diverse – in un territorio più ampio (fig. 1) nel quale a partire dagli anni Novanta si sono resi
evidenti processi di metropolizzazione territoriale (Indovina, 2004; Fregolent, 2005).
Il sistema territoriale rappresentato5 ha avuto nel tempo degli andamenti diversi. A partire
degli anni Settanta si struttura come la dilatazione di un sistema policentrico e manifesta una stretta
integrazione funzionale tra centri di media e di piccola dimensione; si caratterizza per una spiccata
vocazione residenziale, in particolare a bassa densità edilizia, ma anche per una distribuzione consistente, omogenea e indifferenziata di attività produttive di piccola e media dimensione, ed aree
Città, territorio e CC
81
1. Costruito nell’area centrale veneta al 1970 e al 2007. (Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato, 2012)
82
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
commerciali, localizzate lungo gli assi di collegamento principale e a ridosso dei nodi di collegamento, ben servite e facilmente accessibili.
Alcune analisi condotte sull’area (Fregolent, 2005; Fregolent et al., 2012) hanno consentito di
osservare e misurare il fenomeno di crescita dispersa del costruito e di analizzare un processo di
urbanizzazione costante che ha portato a un progressivo consumo di suolo dovuto a un’attività edilizia che nel corso degli anni Settanta e Ottanta si manifesta con maggiore intensità ma che prosegue
anche nei decenni successivi (figg. 2-4).
Nella fase iniziale del processo di dispersione urbana notiamo come l’intervento pubblico per
le grandi opere infrastrutturali sia molto contenuto, se si escludono la tangenziale di Mestre (1972),
i tracciati delle “tangenziali padovane”, la Valdastico Nord (A31 nota come Pi-Ru-Bi, 1972-1976) o
il tracciato della Sp 111 Gasparona (Vicenza) gli interventi cioè sono principalmente legati al completamento delle tratte autostradali e a servizio del traffico nazionale e internazionale di attraversamento (Fregolent - Savino, 2011), mentre il potenziamento del sistema infrastrutturale secondario,
che diventa centrale in questa fase di trasformazione territoriale, è legato soprattutto a forme di
“incrementalismo infrastrutturale” (Secchi, 1996) che contraddistinguono le politiche locali e comunali: opere di urbanizzazione funzionali all’espansione edilizia e alla dotazione di servizi che una
popolazione sempre più dispersa sul territorio richiede.
Parallelamente le città principali perdono popolazione, che si riversa sui comuni della prima e
seconda cintura esprimendo, quindi, una nuova domanda abitativa, più accessibile dal punto di vista
economico ma anche da quello della mobilità legata a una sempre più diffusa motorizzazione; ma
che risponde anche a una crescente offerta di lavoro prossima alla residenza, a nuovi stili di vita: processi che ovviamente alimentano la costruzione di quel sistema disperso e a bassa densità edilizia.
La crescita dispersa continua per tutti gli anni Ottanta fino agli anni Novanta, quando si registrano forme di addensamento intorno ai poli più consolidati seppur ancora in presenza di fenomeni di frammentazione dell’edificato e di crescita dispersa: sono anni di grande trasformazione, di
sviluppo e crescita del tessuto economico della regione che si specializza nei settori del made in Italy
e delle costruzioni; anni in cui assistiamo a intensi fenomeni di costruzione edilizia e di frammentazione dell’urbano (Indovina - Savino, 1999), crescita che prosegue anche nel decennio successivo
anche se con un’intensità molto più contenuta (tab. 1).
A partire dalla metà degli anni Ottanta alcuni comuni registrano significativi incrementi della
loro superficie edificata e per l’intero arco di osservazione – cioè dal 1970 al 2007 – notiamo come
l’intera area di studio registri un incremento del costruito per oltre il 100% (tab. 2) mentre la popolazione complessiva aumenta solo del 17%. Questa media significa però che abbiamo comuni la cui
superficie costruita aumenta per valori prossimi al 50% e altri per oltre il 150 e 200%.
Nel corso degli anni Ottanta, infatti, si assiste a un intensificarsi dell’urbanizzazione dispersa
che corrisponde a un parallelo processo di sviluppo economico della piccola e media impresa che
ha interessato il Veneto e il Nordest più in generale e che registra proprio in questi anni una crescita
molto sostenuta proprio delle imprese minori, soprattutto quelle con meno di 20 addetti (Corò,
1998, p. 234), e che ha portato la regione a essere estremamente competitiva e trainante nell’economia italiana (Anastasia, 1989; Corò - Rullani, 1998; Anastasia - Corò, 1996; Feltrin - Tattara, 2009).
Negli ultimi anni si assiste a un rafforzamento del policentrismo metropolitano anche attraverso l’insediamento di nuove funzioni urbane nelle aree periferiche di cintura dei centri urbani
principali e una progressiva densificazione intorno ai nuclei urbani e lungo le principali vie di comunicazione dell’area.
L’analisi condotta sull’area consente di individuare e riconoscere le diverse forme urbane che
si sono nel tempo stratificate: forme più addensate e compatte intorno alle città principali e alle aree
contermini e lungo gli assi infrastrutturali principali; “filamenti” urbani del tessuto interstiziale che
Città, territorio e CC
83
2. Costruito al 1970. (Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato, 2012)
84
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
3. Costruito al 1998. (Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato, 2012)
Città, territorio e CC
85
si sono rafforzati e hanno assunto la dimensione dell’aggregato; nuclei compatti che hanno inglobato
porzioni urbane prima isolate e si sono quindi ampliati; edificazione minuta e sparsa che progressivamente diventa fenomeno meno intenso per l’incremento delle forme sopra elencate. Inoltre le polarità
quali “strade-mercato”, grandi nodi infrastrutturali, aree dei centri commerciali diventano elementi
catalizzatori della mobilità e delle attività delle famiglie, determinando pratiche di vita sociale dell’area
e inducendo modificazioni sostanziali nell’uso del territorio e degli spazi pubblici tradizionali.
Si assiste cioè a un processo iniziale di dispersione urbana in aree agricole che caratterizza
gli anni Settanta e Ottanta segue, a partire dagli anni Novanta, un fenomeno di densificazione dei
“frammenti urbani” dovuto a fattori e politiche di intervento diverse con il conseguente riempimento dei vuoti e il recupero di aree non utilizzate. Inoltre a partire dagli anni 2000 la nuova fase
di espansione si caratterizza per progetti e insediamenti industriali, commerciali e residenziali di
dimensioni consistenti in sostituzione di quella crescita diffusa e fatta di interventi più frammentati
e minuti propri della prima e in parte della seconda fase di crescita (Fregolent - Tonin et al., 2012).
Tab. 1. Costruito ai diversi anni (ha)
Ambito
Comuni della Provincia di Vicenza (n. 40)
Comuni della Provincia di Treviso (n. 39)
Comuni della Provincia di Venezia (n. 19)
Comuni della Provincia di Padova (n. 47)
Ambito complessivo dei 145 comuni
Sup.
68.202,1
98.945,5
91.629,1
95.940,9
354.717,7
1970
5.234,8
8.096,4
6.791,2
8.765,4
28.887,8
1998
13.554,1
17.833,7
14.728,6
20.506,3
66.622,7
2007
14.818,5
19.798,9
15.941,9
22.503,9
73.063,1
Sup. (ha)
68.202,1
98.945,5
91.629,1
95.940,9
354.717,7
1970-1998
158,93
120,27
116,88
133,95
130,63
1998-2007
9,33
11,02
8,24
9,74
9,67
1970-2007
183,08
144,54
134,74
156,74
152,92
(Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato 2012)
Tab. 2. Incremento ai diversi anni (%)
Ambito
Comuni della Provincia di Vicenza (n. 40)
Comuni della Provincia di Treviso (n. 39)
Comuni della Provincia di Venezia (n. 19)
Comuni della Provincia di Padova (n. 47)
Ambito complessivo dei 145 comuni
(Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato 2012)
4. Costruito al 2007. (Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato, 2012)
86
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
Nel corso degli anni Novanta si assiste a un consolidamento e a un addensamento intorno alle
città ma anche intorno ai nuclei di media e piccola dimensione attraverso processi di ispessimento
della trama urbana che va progressivamente assumendo una forma più consolidata e compatta
anche se permangono evidenti fenomeni di frammentazione e crescita dispersa. Inoltre gli anni
Novanta sono interessati dalla realizzazione di numerose aree produttive lungo gli assi principali
di viabilità: alla forma disgregata e dispersa del tessuto produttivo subentra una pianificazione alla
scala locale che tenta di trasferire le industrie esistenti ma non più compatibili con l’urbano in aree
congrue, ma anche di dare spazio a nuove attività produttive che si vogliono insediare nell’area.
Nel corso degli anni 2000 il processo di addensamento continua intorno ai nuclei urbani principali e lungo le più importanti vie di comunicazione. L’area si presenta complessivamente più compatta: i “filamenti” urbani riconoscibili distintamente nelle precedenti soglie storiche analizzate hanno
assunto uno spessore maggiore e in molti casi equivaolgono alla dimensione dell’aggregato; i nuclei
compatti si sono ampliati e densificati inglobando porzioni urbane in precedenza isolate; l’edificazione
minuta, frammentata e sparsa non è più la componente principale della crescita del costruito; inoltre ai
Città, territorio e CC
87
processi di compattazione e di addensamento si affianca una nuova fase di crescita caratterizzata da insediamenti di grande dimensione e ad alto impatto e dalla realizzazione delle “grandi opere infrastrutturali” (Savino, 2006; cfr. Cacciaguerra, 2012) la cui mancata realizzazione è stata denunciata dagli operatori economici come una delle cause della perdita di efficienza del sistema produttivo veneto. Sono
in prevalenza strade di grande comunicazione, che tendono a servire il traffico di lunga percorrenza e
di attraversamento, che creano un miglioramento delle condizioni di mobilità e di collegamento, ma
senza riuscire a sgravare significativamente la rete “secondaria” dai problemi di traffico e congestione.
La rete secondaria non registra significativi miglioramenti se non la realizzazione di rotonde,
sottopassi ferroviari, nuovi raccordi o ampliamento dei tracciati esistenti; le scelte operate non sembrano favorire né un’ottimizzazione della mobilità dell’area, né un controllo della motorizzazione
privata, che continua a rappresentare il mezzo principale di mobilità delle popolazioni insediate.
Questo e soprattutto all’oggi – in una situazione di uso intensivo del territorio, di dispersione
urbana che impone costi pubblici elevati legati alla gestione di un sistema territoriale a bassa densità edilizia – mette in evidenza come le strategie di sviluppo debbano prendere in considerazione
la possibilità di incidere in maniera significativa sulle preferenze localizzative di abitanti e imprese, di introdurre qualche elemento di razionalizzazione oltre che di contenimento dei processi
di urbanizzazione e soprattutto di riduzione dei consumi di suolo che il modello a bassa densità
insediativa ha imposto.
Misure, strumenti e politiche per il contenimento dello sprawl
L’evoluzione del fenomeno dello sprawl e la quantificazione dei suoi impatti hanno, quindi,
spinto in primis studiosi e ricercatori ma anche amministratori e politici a interrogarsi sulle misure
da intraprendere e sui possibili interventi da adottare attraverso politiche puntuali e di settore e una
pianificazione attenta.
La pianificazione urbana e territoriale può contenere lo sprawl grazie anche a interventi infrastrutturali e di regolazione dei trasporti che oltre a favorire una riduzione delle emissioni di gas a
effetto serra consentono di orientare crescita e forma dell’urbano. Infatti densità, mixité funzionale,
ricompattazione dell’urbano, disegno delle infrastrutture e promozione del trasporto pubblico e
collettivo sono i principi intorno ai quali sviluppare linee guida per una pianificazione sostenibile
che, attraverso la regolazione dell’urbano, controlla e contiene anche le emissioni di CO2. Per questo
la forma assunta dall’urbano e la pianificazione deputata a regolarne la crescita possono dare un
contributo importante alla protezione del clima (IPCC, 2014) ed è per questo che una delle spinte
maggiori, anche in sede europea, è proprio in direzione di un intervento sulla forma urbana, sulla
compattazione dell’urbano e sul riuso delle aree abbandonate e dismesse.
L’Unione Europea da tempo è impegnata nella promozione di una cultura di sostenibilità e
questo ha contribuito a far sì che nel corso degli ultimi due decenni sia maturata un’attenzione crescente nei confronti dei problemi ambientali, che la pone in posizioni di avanguardia rispetto alle
grandi questioni ambientali, dalla protezione della biodiversità alla lotta al cambiamento climatico
(cfr. Musco, 2008), tema sul quale si stanno approntando misure di intervento specifiche anche
attraverso strumenti di pianificazione ad hoc 6.
Per quanto riguarda il suolo e la sua tutela – con particolare riferimento al tema del consumo di suolo – le misure proposte dall’UE si scontrano ancora con i vincoli derivanti dal fatto che
la pianificazione territoriale è materia di competenza dei singoli stati membri. Ma altre politiche
che esercitano un’influenza, più o meno marcata, sui processi di trasformazione del territorio e sul
problema del consumo non sostenibile del suolo e della sua impermeabilizzazione sono al centro
dell’attenzione di numerose istituzioni europee (Commissione Europea, Agenzia ambientale euro88
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
pea, Eurostat), che hanno avviato programmi di monitoraggio, ricerca e sensibilizzazione, anche se
continuiamo a essere in attesa di una direttiva specifica sul suolo che stenta a uscire.
La pianificazione territoriale rientra tra gli strumenti strategici individuati dalla UE per la rivalorizzazione delle città e il contenimento della crescita urbana in una prospettiva di sostenibilità
poiché è compito della sostenibilità avere una visione trans-disciplinare dei fenomeni che richiede
osservazioni, punti di vista e approcci diversi, che la pianificazione sa coniugare e intersecare al fine
di trovare soluzioni efficaci. Per questo: «The majority of the EU Member States have established the
principle of sustainable development in their key spatial planning regulations, referring to economic
use of soil resources and avoidance of unnecessary urban sprawl. However, the existence of relevant
regulations does not give any insight on the effectiveness of implemented measures» (European
Commission, 2011, p. 204); inoltre le azioni intraprese dai diversi paesi europei e indirizzate a una
pianificazione sostenibilmente orientata poggiano su: «Quantitative limits for annual land take exist
only in six Member States: Austria, Belgium (Flanders), Germany, Luxembourg, the Netherlands,
and the United Kingdom. In all cases the limits are indicative and are used as monitoring tools»
(European Commission, 2011, p. 149). Ad esempio: «In England, 10% of the total land area, which
includes country roads, is urban and, according to the Department for Communities and Local Government (2008), over 70% of new development is taking place on this previously developed land (i.e.,
brownfield) at high densities to conserve greenfield land. This is a highly restrictive land use policy,
constraining the supply of new houses and limiting lifestyle choice» (Echenique et al., 2012, p. 130).
Norme simili sono state adottate in altri paesi europei: in Germania sono state introdotte misure di contenimento progressivo del consumo di suolo per raggiungere nel 2050 quota zero, prevedendo quindi il riuso dei brownfield e la nuova urbanizzazione solo in aree accessibili ai mezzi di
trasporto pubblico, ma anche programmi di sviluppo urbano volti a valorizzare e dotare di servizi i
centri urbani compatti come l’Active city and district centres (2008). In Francia attraverso gli Schémas
de la Cohérence Territoriale (SCOT) – piani di inquadramento di area vasta che fungono da guida
per quelli alla scala locale – vengono perimetrati gli spazi urbanizzati e quelli naturali sottoposti a
tutela. Gli SCOT impongono il principio di “extension limitée de l’urbanisation” che stabilisce limiti all’urbanizzazione su aree non antropizzate e alla realizzazione di grandi superfici commerciali.
In Italia diverse regioni stanno approntando normative urbanistiche volte al contenimento del consumo di suolo: la Regione Toscana è impegnata nella revisione della legge urbanistica regionale con
l’introduzione di misure specifiche al contenimento del consumo di suolo; la Regione Puglia ha già
emanato una legge volta a favorire l’accesso dei giovani all’agricoltura e contrastare l’abbandono e il
consumo dei suoli agricoli; la Regione Veneto sta portando avanti un progetto di legge sul contenimento del consumo di suolo che spinge verso politiche di rigenerazione urbana ma che è tuttora in
discussione. Il principio di fondo che regola tale proposta è quello di riuscire a limitare il consumo di
territorio agricolo attraverso politiche di riuso e recupero del patrimonio edilizio esistente, introducendo standard di qualità ed efficienza energetica e criteri di ecosostenibilità.
Le misure per contenere la crescita urbana e dispersa sono differenti. In diverse città del mondo (Londra, Berlino, Portland, Beijing, Singapore ecc.) sono state utilizzate le greenbelts e le Urban
Growth Boundaries finalizzate a delineare e delimitare il limite fisico tra città e campagna, ma a queste si aggiungono misure fiscali e normative che tendono a promuovere la cultura del riuso di aree ed
edifici abbandonati; incentivare la riqualificazione dell’esistente e l’avvio di processi di rigenerazione
urbana, onde contenere il consumo di suolo non antropizzato; consentire la costruzione su terreno
non antropizzato e/o agricolo solo quando sono stati recuperati tutti i suoli dismessi o sottoutilizzati,
e a condizione che sia stata verificata l’impossibilità di riusare aree già compromesse.
Diviene quindi centrale il ruolo della pianificazione territoriale, poiché attraverso la pianificazione è possibile misurare i reali fabbisogni e di conseguenza regolare gli usi del suolo e le quanCittà, territorio e CC
89
tità di suolo da trasformare. La pianificazione assume, quindi, un ruolo determinante soprattutto
alla scala d’area vasta o regionale, non solo perché i processi di dispersione insediativa interessano
ampie porzioni territoriali – più comuni e province contermini – come abbiamo visto nel caso del
Veneto, ma anche perché a questa scala è possibile affrontare in maniera integrata questioni quali
l’emissione di gas inquinanti attraverso politiche e scelte di mobilità (cfr. Ewing et al., 2008), la gestione delle risorse naturali, la salvaguardia degli ecosistemi ma anche implementare politiche di
welfare (Wheeler, 2009). Contenere il consumo di suolo diventa, in uno scenario di questo tipo, la
leva che consente di promuovere e adottare politiche di sostenibilità ampia per città e territorio in
piena sintonia con la Strategia europea di sostenibilità ambientale.
La regolazione e l’implementazione di politiche volte al governo delle trasformazioni urbane
deve avvenire alle diverse scale di intervento: la multiscalarità deve essere alla base di un progetto
complessivo di territorio e utilizzata come strumento di lettura e intervento sui diversi fenomeni
che si concretizzano e manifestano alla scala locale ma che vanno letti nella loro complessità e
interezza per poter essere governati a una scala più ampia. L’ampiezza spaziale e geografica del
fenomeno e l’uso estensivo del suolo suggeriscono quindi una pianificazione degli interventi che
tenga conto della dimensione regionale dell’ambiente urbano e dei processi di urbanizzazione che
avvengono ormai a una scala metropolitana o sovra-metropolitana. Nell’osservazione a questa scala
assume grande rilevanza l’intervento sulle infrastrutture e sulle scelte di investimento tecnologico e
infrastrutturale legate al commuting (ferrovie regionali e suburbane, metropolitane, metropolitane
leggere, tram, tranvie, people mover, filobus e bus in sede protetta e libera).
Il dibattito è acceso anche in Veneto dove però è necessario un intervento immediato e atto a
contenere non solo l’espansione urbana per impedire nuova erosione di suolo agricolo, spingendo
verso misure di riqualificazione degli spazi compromessi, ma anche riportando al centro di un’azione di tutela e salvaguardia del territorio la pianificazione urbana e territoriale. La nuova urbanizzazione e quindi il consumo di suolo vanno cioè analizzati e compresi all’interno di un intervento
complessivo sui processi di crescita, regolazione e trasformazione della città in chiave sostenibile,
di cui la pianificazione sa e può farsi carico.
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È quanto avvenuto, anche se con modalità e tempi diversi, negli Stati Uniti e in Europa. Il caso del Veneto – molto
peculiare dal punto di vista dell’analisi sulla dispersione urbana – verrà specificatamente trattato nei paragrafi successivi.
2 Alcuni recenti studi, infatti, mettono in evidenza la connessione esistente tra sprawl e salute degli individui: «The
study, Relationship Between Urban Sprawl and Physical Activity, Obesity, and Morbidity, found that people living in counties
marked by sprawling development are likely to walk less and weigh more than people who live in less sprawling counties.
In addition, people in more sprawling counties are more likely to suffer from hypertension (high blood pressure)» (McCann,
Ewing, 2003, p. 1). Inoltre essi evidenziano la necessità di intervenire a regolarne e contenerne lo sviluppo proprio in funzione
di una maggiore qualità di vita delle persone.
3 Tra gli altri e sul caso italiano: CRCS (2011), Giudice - Minucci (2013), Bonora (2013), ISPRA (2014).
4 Direttiva COM(2012)46 final: Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico
e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Attuazione della Strategia tematica per la protezione del suolo e attività in corso.
5 Area di 145 comuni compresi nelle province di Treviso, Venezia, Padova e Vicenza.
6 A questo proposito e riferendoci al contesto nordamericano è possibile fare un primo bilancio rispetto alle misure di pianificazione adottate, alla necessità di introdurre misure di adattamento e mitigazione maggiori: «The first generation of state and
local climate change plans reflects increasing consciousness of this, and these plans have begun to take important steps, such as
measuring emissions. But much stronger action is needed. Instead of pursuing slow, incremental policy changes, governments at
all levels must adopt a backcasting approach, setting goals for both mitigation and adaptation based on the best available scientific
knowledge, and working backward from these targets to develop plans and programs capable of achieving them. The initiatives
would then be regularly reviewed and revised to ensure progress at an appropriate rate» (Wheeler, 2008, p. 490); ma anche lavorando su più livelli «climate action plans adopted by both local and state governments should complement emissions reduction
strategies with programs designed to address the land-based drivers of warming» (Stone et al., 2012, p. 270).
1
90
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Molte delle nostre città si trovano sempre più spesso a dover gestire emergenze dovute al cambiamento climatico.
L’inadeguatezza degli attuali strumenti di gestione del territorio e la mancanza di una visione strategica conducono a
progettualità d’emergenza, con ovvie problematiche di gestione integrata di tutti gli aspetti che riguardano il governo
dello spazio urbano. Un approccio più efficace alle trasformazioni di adattamento auspicherebbe una scelta delle azioni
in grado di far fronte congiuntamente a più effetti del cambiamento climatico.
La manualistica che normalmente orienta le azioni di mitigazione dell’effetto “isola di calore” riconosce nell’utilizzo del
verde urbano uno degli elementi più importanti per mitigarne gli effetti1. Si tratta di un utilizzo del verde orientato alla
riduzione delle superfici impermeabili urbane, fonti di accumulo di calore, e di aumento dell’ombreggiatura attraverso
l’uso di alberature. Una tipologia di interventi che viene similmente adottata da molte città del mondo con l’obiettivo
però di laminare le acque di pioggia2.
L’utilizzo di questa doppia funzionalità potrebbe offrire una risposta alle soluzioni di verde urbano normalmente proposte per la mitigazione dell’effetto “isola di calore”, soprattutto in contesti come quelli del nord Italia, in cui l’emergenza
climatica primaria è rappresentata dalla gestione delle acque di pioggia, e dove il tema del calore urbano passa spesso in
secondo piano. Trattare congiuntamente le due tematiche potrebbe guidare quindi a una massimizzazione degli effetti e
a un’ovvia maggiore sostenibilità economica degli interventi.
Il verde urbano potrebbe in questo modo acquisire un ruolo strategico centrale nell’adattamento al cambiamento climatico delle nostre città in aggiunta agli altri servizi a esso comunemente riconosciuti.
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Gli eventi alluvionali e gli allagamenti che stanno colpendo le nostre città dovranno in primo luogo trovare risposte in
un governo del territorio di vasta scala nella gestione integrata dei bacini idrografici, la quale dovrà necessariamente
affrontare il tema dell’uso del suolo dei territori urbanizzati e di quella parte di dissesto idrogeologico dovuto a edificazioni e impermeabilizzazioni.
A questo riguardo anche nel nostro paese si sono cercate risposte per le nuove edificazioni, introducendo il concetto
d’invarianza idraulica, ma le problematiche legate al patrimonio infrastrutturale ed edilizio esistente sono rimaste quasi
del tutto insolute.
Su questa logica sarà importante riprendere in considerazione tutto quel suolo dei nostri territori sigillato dalle varie
artificializzazioni. Su queste superfici impermeabili, durante i forti eventi atmosferici, l’acqua non trova aree vegetate
per essere trattenuta o terreno permeabile per infiltrarsi; rimanendo in superficie o scorrendo più a valle, diventa una
delle cause dei noti problemi di allagamento. Un’emergenza che sta colpendo molte città del mondo e che si manifesta
attraverso un’ampia varietà di declinazioni, che vanno dalla gestione di alluvioni e allagamenti, ai costi di conduzione
degli impianti di depurazione, ai temi della qualità del reticolo idrico superficiale e sotterraneo.
Per ovviare a queste problematiche ci si trova ad affrontare la questione su diversi fronti, in primo luogo utilizzando infrastrutture definite grigie, modificando e rafforzando il sistema di scolo, costruendo grandi vasche volano, rafforzando
i sistemi di pompaggio e incrementando le sezioni di portata in uscita. A questo primo approccio viene a volte preferito
o abbinato un modello diverso, di utilizzo di infrastrutture verdi urbane: una scelta in primo luogo dettata da ragioni
economiche3, per gli elevati costi di realizzazione delle prime e per la quantità di altri benefit a livello urbano che un
approccio verde può offrire. Su questa opzione di uso delle infrastrutture verdi nasce la possibilità di poterne combinare
gli effetti anche per mitigare il calore urbano.
Wheeler, S.M. (2008), “State and Municipal Climate Change Plans. the First Generation”. Journal of the American Planning Association, 74(4): 481-496.
—(2009), “Regions, Megaregions, and Sustainability”. Regional Studies, 43(6): 863-876.
92
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
focus 1
93
Aspetti tecnici per un approccio combinato del verde urbano,
per mitigare l’effetto isola di calore e per laminare le acque di pioggia
Un approccio combinato dovrebbe partire da una visione a scala urbana in grado di identificare
gli ambiti con priorità d’intervento, mappando le aree a rischio allagamenti e incrociandole
con le zone più colpite dal calore urbano. Una successiva discesa di scala a livello di dettaglio
porterebbe allo studio delle tipologie di verde e alle relative tecniche per realizzarlo facendo
fronte a entrambi i fenomeni climatici.
Gli elementi di verde urbano che comunemente vengono utilizzati sono le alberature, il verde a
terra, i tetti verdi e le facciate verdi.
Le alberature. Per ciò che riguarda le alberature sarà molto importante combinare gli aspetti
di vastità e densità dell’ombreggiatura con i temi di ritenzione dell’acqua piovana4 che viene
trattenuta dalla massa fogliare. A questo proposito risulta evidente che la scelta di alberature
con chioma ampia e apparato fogliare spesso può risultare molto efficace5.
Per la piantumazione e il mantenimento delle alberature sono di fondamentale importanza la
dimensione e la forma dell’alloggiamento a terra: un alloggiamento vasto e di materiale permeabile può aiutare a infiltrare e contenere più acqua piovana, massimizzando anche i risultati
in termini di vitalità della pianta e conseguente evapotraspirazione. Da considerarsi anche le
soluzioni, già adottate in alcune città nordamericane6, di utilizzo di vasche sotterranee, con
accumulo durante gli eventi atmosferici e a lento rilascio per l’innaffio.
Il verde a terra è composto dalle aiuole verdi o vegetate da fiori o cespugli e dalle aree a prato o a orto,
i cortili e i giardini privati. Rientrano quindi in questo ambito tutte le frazioni di suolo che non siano
state coperte da impermeabilizzazione. Ai fini della laminazione delle acque, qualsiasi di queste frazioni
di terreno, se opportunamente progettate possono diventare spazio utile per infiltrare o accumulare
temporaneamente acqua piovana. Per migliorare la funzionalità di questi spazi e non sarà quindi suffi-
ciente la semplice deimpermeabilizzazione, ma si potrà lavorare per rendere quel suolo il più ricevente
possibile all’acqua, per massimizzarne l’evapotraspirazione e per ridurne l’albedo.
Per conseguire questi obiettivi si potrà lavorare su diversi fronti.
Sul livello d’imposta di queste aree, ponendola più bassa rispetto al livello delle superfici impermeabili in modo da diventare il più possibile spazio di convogliamento; sulla natura del substrato di suolo, massimizzando la permeabilità della superficie e la granulometria dei sottofondi
per renderli accoglienti ai volumi d’acqua; sul tipo di vegetazione, massimizzandola, in modo da
minimizzare l’albedo e aumentare l’effetto di raffrescamento dovuto all’evapotraspirazione.
I tetti verdi. Anche nella realizzazione delle coperture verdi acquista importanza la natura del
substrato assieme a quella della componente vegetazionale. Sono da preferire i tetti verdi con
un substrato profondo, per garantire una più elevata potenzialità di accumulo d’acqua e una
conseguente maggiore rigogliosità e durata della componente vegetazionale.
1
Reducing Urban Heat Islands: Compendium of Strategies (2008). Washington DC: EPA.
J. Mentens, D. Raes, M. Hermy (2006), Landscape and urban planning. Amsterdam: Elsevier.
3 F.A. Montalto, C.T. Behr, Z. Yu (2011), Accounting for Uncertainty in Determining Green Infrastructure Costeffectiveness, in H. Thurston, ed. Economic Incentives for Stormwater Control. Boca Raton, FL.: CRC Press, p. 256.
4 D.H. Locke, M. Grove, J.W.T. Lu, A. Troy, J.P.M. O’Neil-Dunne, B. Beck (2010), "Prioritizing preferable locations for increasing urban tree canopy in New York City". Cities and the Environment 3(1): article 4.
5 D.P. Turner, W.B. Cohen, R.E. Kennedy, K.S. Fassnacht, J.M. Briggs (1999), "Relationships between Leaf
Area Index and Landsat TM Spectral Vegetation Indices across Three Temperate Zone Sites". Remote Sensing
of Environment, 70, 1, pp. 52-68.
6 City of Philadelphia Green Street Design Manual (2014). Philadelphia: Philadelphia Water Department.
2
1. Esempio di alberature urbane con sistemi sotterranei di raccolta d’acqua piovana
(Fonte: City of Philadelphia Green Street Design Manual (2014), Philadelphia:
Philadelphia Water Department).
2. Esempio di aiuole urbane con sistemi superficiali e sotterranei di raccolta d’acqua piovana,
(Fonte: City of Philadelphia Green Street Design Manual, (2014), Philadelphia:
Philadelphia Water Department).
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Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
focus 1
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Le carte tematiche per la sensibilità ambientale in provincia di Venezia
Denis Maragno
I cambiamenti climatici in corso e il problema energetico sono tra le sfide più importanti che il governo del territorio si trova
oggi ad affrontare. Le risorse limitate e la crisi economica aggravano le difficoltà d’intervento, rendendo indispensabile l’individuazione di operazioni polifunzionali, capaci di rispondere a problemi complessi (Musco - Maragno et al. 2013).
Negli ultimi anni è cresciuto notevolmente l’interesse verso le forme di approvvigionamento energetico alternativo e rinnovabile (Pearce, 2002), parallelamente la difficoltà delle città nel resistere agli effetti prodotti dai cambiamenti climatici, sta
indirizzando le PA a formulare politiche integrate, finalizzate quindi a diminuire la produzione di CO2 e, allo stesso tempo,
aumentare la resilienza dei territori (Musco, 2008).
Le difficoltà che ne derivano portano ad analizzare gli ambienti urbani mediante le più avanzate tecnologie e i migliori
strumenti disponibili.
Si presenta una metodologia applicativa d’esempio in cui ci si avvale di una “nuvola di punti”1 generata dalla tecnica fotogrammetrica; ad esempio si potrà valutare quali edifici siano più adeguati a ricevere il posizionamento di un impianto
fotovoltaico e quali aree risentano maggiormente dell’incidenza solare diurna (Wilson - Gallant, et al. 2000).
La fotogrammetria, grazie ai recenti progressi dell’hardware e del software (Hirschmuller, 2008), mediante tecniche stereoscopiche, può restituire nuvole di punti 3D e modelli digitali del terreno paragonabili – a livello di definizione – a quelle
prodotte dalla sensoristica attiva (es. LiDAR2) a un costo molto più contenuto, rendendola accessibile alle PA
Per valutare l’incidenza solare sulle falde degli edifici e sulle superfici orizzontali urbane tracceremo una metodologia composta di tre fasi.
1. Immagine della nuvola di punti generata dalla tecnica DIM.
2. Digital Surface Model (DSM).
3. Livello informativo relativo all’incidenza solare potenziale dell’area.
In rosso le superfici con maggiore incidenza
Fase uno
Il primo passo da compiere per trasformare la nuvola di punti restituita dalla tecnica stereoscopica consiste nella sua trasformazione in DSM3 (Digital Surface Model), ovvero un file raster caratterizzato da pixel contenenti le quote medie dei punti
della nuvola.
L’altissima densità della nuvola ha permesso di creare un DSM con risoluzione 0,5 metri per pixel. La conversione può avvenire con l’ausilio di diversi software nel prototipo è stato utilizzato LAStolls. Il software in questione è un’applicazione a righe
di comando molto semplice, sviluppata da Martin Isenburg per i dati LiDAR, ma usufruibile (per questa operazione) anche
per dati fotogrammetrici se espressi in formato LAS. Il comando per l’operazione è:
las2dem -i name_file_input.las -o name_file_output.tif -step 0.5
Avvalendosi del comando attraverso il prompt dei comandi, il software trasformerà automaticamente la nuvola di punti nel
DTM desiderato.
Fase due
La seconda fase consiste nella produzione del livello informativo relativo all’incidenza solare e alla pendenza delle falde dei
tetti. Tale operazione è stata eseguita con il software open source System for Automated Geoscientific Analysis (SAGA). SAGA
GIS contiene al suo interno molti algoritmi, tra i quali uno in grado di calcolare la pendenza delle superfici (Olaya, 2004),
l’altro la potenziale incidenza solare delle superfici (Conrad, 2010).
Il layer informativo relativo alla pendenza delle falde sarà fondamentale nella classificazione dei tetti, in quanto, per lo
studio in questione, è importante distinguere i tetti piani da quelli inclinati. L’inclinazione dei tetti è indispensabile anche
nella scelta e nel suggerimento della tipologia d’impianto da inserire.
Il calcolo dell’incidenza solare sfrutta la conoscenza tridimensionale acquisita dal software in forma automatica dal file
raster in input, l’algoritmo, conoscendo la latitudine e la longitudine (sempre fornita dal raster georeferenziato), simula
l’altezza del sole e considera gli elementi urbani epressi in quote, proiettando le ombre e calcolando così la potenziale
incidenza solare per ogni pixel.
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Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
focus 1
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L’output prodotto sarà quindi un raster sempre di risoluzione 0,5 mq per pixel, dove all’interno
di ogni pixel è conenuta l’informazione in kWh. Tra le opzioni del processo vi è la possibilità
di scegliere il periodo dell’anno da analizzare (gennaio piuttosto che luglio) e del numero dei
giorni (da 1 a 365).
Fase tre
Come ultima fase di analisi si andrà a confrontare le informazioni ottenute, individuando le
aree urbane vulnerabili al forte irraggiamento solare, e per poter cosi indentificare con maggiore accuratezza soluzioni di mitigazione e/o adattamento.
Avvalendosi di un qualsiasi software GIS (nell’esempio si è utilizzato Quantum GIS) è possibile
analizzare a livello quantitativo le due dimensioni oggetto di studio.
Per quanto riguarda l’individuazione dei tetti maggiormente adatti a ricevere un impianto fotovoltaico o solare termico basterà valutare informazioni quali incidenza solare, pendenza, e
ampiezza della falda.
Per l’individuazione delle zone urbane calde (con incidenza solare maggiore) basterà interrogare l’informazione con Quantum GIS (meglio se si converte il file raster in formato vettoriale)
ottenendo la localizzazione delle zone vulnerabili all’incidenza solare. La zonizzazione ottenuta
sarà di grande supporto nella scelta dell’intervento, dove, a seconda della tipologia territoriale
(piazza, parcheggio, marciapiede, stazione intermodale ecc.), sarà possibile scegliere con maggior accuratezza l’intervento e individuare più facilmente soluzioni di ombreggiatura congiunte
alla produzione di energia rinnovabile.
1 La nuvola di punti è formata da punti georeferenziati e quotati, con densità media di 12 punti per mq,
restituendo cosi il territorio fotografato (o rilevato nel caso di processo LiDAR) in forma digitale e in tre
dimensioni. Gli algoritmi disponibili, anche in software open source, sono un grado di analizzare i punti sia
geograficamente organizzati sia definiti in quota e di restituire in forma numerica un’esatta composizione
urbana 3D.
2Il LiDAR (Laser Imaging Detection and Ranging) è una pratica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie attraverso l’emissione di impulsi laser ad altissima
frequenza da un sensore volante (aereo o drone). La distanza dell’oggetto è data dalla misura del tempo
trascorso fra l’emissione dell’impulso e la ricezione dello stesso. L’altissima frequenza di impulsi che colpiscono, rimbalzando dagli oggetti o dal suolo, viene convertita in punti georeferenziati e quotati, dando
origine così a una “nuvola di punti” dalla quale è possibile creare un’esatta ricostruzione del territorio in
modelli tridimensionali digitali.
3Il DSM è un modello digitale di elevazione espresso in formato raster. Ogni cella del modello, denominata pixel, contiene un numero che esprime l’altezza. Il DSM rappresenta quindi la distribuzione spaziale delle
quote di un territorio o di una superficie.
98
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
Riferimenti bibliografici
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IEEE Transaction on Pattern Analysis an Machine Intelligence, 30(2): 328-341.
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Musco, F. - Maragno, D. - Gariboldi, D. - Vedovo, E. (2013). ”Remote Sensign e Cambiamenti
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Contemporaneità: La città come motore di sviluppo. Roma: Edizioni INU, 187-189.
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Wilson, J.P. - Gallant, J.C. eds (2000), Terrain Analysis - Principles and Applications. New York: Wiley.
Relazioni tra il PTRC e il Progetto UHI
Alberto Miotto
Il PTRC affronta le questioni dei cambiamenti climatici in coordinamento con i seguenti piani di settore.
–Piano regionale di tutela e risanamento dell’atmosfera, che persegue la necessità di evitare, prevenire o ridurre le
emissioni di inquinanti atmosferici nocivi e definire adeguati obiettivi per la qualità dell’aria nell’ambiente che tengano conto degli orientamenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
–Piano di tutela delle acque, che persegue le azioni di protezione per il miglioramento dello stato degli ecosistemi acquatici, un utilizzo idrico sostenibile, di mitigazione degli effetti delle inondazioni e della siccità, tracciate in ambito
europeo.
–Piano Energetico Regionale finalizzato alla riduzione della dipendenza dalle importazioni di fonti primarie fossili,
definendo obiettivi conformi a quelli europei in un’ottica di “burden sharing”
–Piano Regionale dei Trasporti, che persegue politiche di mobilità, a garantire efficienza, sicurezza e sostenibilità;
in coordinamento con le politiche settoriali, PTRC indica una serie di azioni in relazione ai cambiamenti climatici,
declinate attraverso scelte progettuali su:
1. territorio rurale, con politiche orientate al minor consumo di suolo (art. 7);
2. tutela della biodiversità con la “rete ecologica regionale” (art. 24);
3. risorse energetiche con azioni su energia e ambiente (titolo IV);
4. mobilità con azioni di razionalizzazione dei sistemi di trasporto (art. 36);
5. risorse energetiche con azioni su energia e ambiente (titolo IV);
6. mobilità con azioni di razionalizzazione dei sistemi di trasporto (art. 36).
Il clima, tema urbano
Nel progetto generale del PTRC di riconquistare una visione di sistema del patrimonio naturale e ambientale e di estenderla programmaticamente allo spazio insediato diviene fondamentale l’assunzione di ambiti estesi di connettività
ecologica, reti naturali che contornano e penetrano nelle città e le connettono con il territorio rurale.
In tale prospettiva i piani e le politiche urbanistiche diventano strumenti fondamentali per l’individuazione e la salvaguardia di ambiti liberi da costruzioni, da destinare a forestazione urbana e/o di aree verdi percorribili e a parco urbano,
caratterizzati da una dimensione sufficiente alla rigenerazione ambientale e in grado di divenire collegamento tra l’urbano e il rurale.
Il PTRC riconosce alle città e ai sistemi di città un ruolo strategico, indicando le azioni per la razionalizzazione dei sistemi
produttivi (art. 43) e del sistema insediativo (art. 66), orientate a una particolare attenzione ai fenomeni del cambiamento climatico.
focus 1
99
Linee guida per l’adattamento ai cambiamenti climatici
L’articolo 68 del piano infatti, indica a province e comuni i principi insediativi e i criteri di progettazione per il riordino del sistema insediativo finalizzati al miglioramento delle condizioni
di qualità dell’aria e di difesa dall’inquinamento acustico e, sulla base delle indicazioni dell’European Environmental Agency, Urban adaptation to climate change in Europe, predispone «linee
guida per misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, per gli insediamenti
urbani, produttivi e per i centri storici» secondo le seguenti indicazioni operative:
– adattamento e mitigazione: definizione di opportune strategie per la mitigazione del fenomeno dei cambiamenti climatici e l’adattamento agli effetti da esso generati;
– governance del territorio: definizione di nuove proposte finalizzate alla previsione, nei piani
della protezione civile vigenti (gestione dell’emergenza) e in quelli territoriali e urbanistici,
di misure preventive di allerta/riduzione/contenimento per una più efficace gestione del
rischio per la salute umana;
– pianificazione urbanistica: definizione di metodologie, tecniche e criteri di intervento per l’edificazione, il recupero, la trasformazione, la progettazione del verde e degli spazi pubblici,
atti a migliorare la qualità degli ambienti urbani in relazione ai cambiamenti climatici;
– sperimentazione e sistema di monitoraggio avanzato: definizione di soluzioni operative e
di una rete permanente per il monitoraggio, finalizzati al contenimento del fenomeno del
cambiamento climatico;
– educazione ai cambiamenti climatici in rapporto alle città e al territorio: definizione di opportune campagne informative/formative.
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Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
focus 1
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Strategie e misure per il contenimento dello sprawl
Stefano Salata
Definizione
L’urban sprawl è un concetto che a oggi soffre la mancanza di una chiara definizione. La letteratura che si occupa del
tema indica che esso può essere riferito di volta in volta a modelli d’uso del suolo con densità abitativa, diversità funzionale ed eterogeneità spaziale sensibilmente differenti.
È comunemente accettato che lo sprawl si caratterizza quale fenomeno di crescita disorganizzata degli spazi costruiti che
alimenta un uso inefficiente delle risorse territoriali (Bhatta, 2010), ma è altrettanto vero che esistono forme di sprawl
totalmente pianificate.
Più chiare in letteratura sono la descrizione e l’analisi dell’effetto ambientale più dannoso del fenomeno, ovvero la
modifica irreversibile dell’uso e della copertura del suolo a favore di estesi processi di impermeabilizzazione (Sudhira Ramachandra, 2007).
Misurazione
Riferimenti bibliografici
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authors at the University of Massachusetts, available online at: http://www.umass.edu/
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Weitz, J. - Moore, T. (1998), “Development inside Urban Growth Bounderies. Oregon’s Empirical
Evidence of Contiguos Urban Form”. American Planning Association, 4(64): 425-440.
La misurazione dello sprawl si divide in due grandi categorie: da un lato viene rilevato in termini assoluti, ovvero definendo una soglia mediante la quale è possibile distinguere le zone sprawled da quelle compact in qualsiasi contesto
territoriale, dall’altro lato viene misurato in termini relativi, ovvero definendo e quantificando una serie di attributi di
crescita urbana che possono essere declinati da caso a caso e che caratterizzano lo sprawl.
Argomenti centrali nella letteratura che indaga lo sprawl sono:
– la sua misurazione in termini statistici e spaziali;
– l’utilizzo di indicatori sufficientemente utili a guidare strategie di piano efficaci nella sua limitazione.
Le quantificazioni vengono implementate prevalentemente mediante l’applicazione di analisi statistica standardizzata FRAGSTATS (McGarigal et al., 2002) mentre è largamente utilizzato nella misurazione dell’estensione dello sprawl lo
Shannon’s entropy method.
Regolazione
Le variabili centrali nei modelli di regolazione dello sprawl sono riferite alla costruzione nel piano urbanistico di strumenti e norme finalizzati al controllo dell’edificabilità su specifiche aree, in particolar modo mediante l’apposizione di
Urban Growth Boundaries (UGB). L’UGB è uno strumento che interviene sia per potenziare la capacità del piano di porre
limiti effettivi alle aree edificabili (definendo i limiti per lo sviluppo urbano) che di agire nel segno della compattazione
e della densificazione urbana.
La definizione delle UGB deve essere regolarmente revisionata sulla base delle necessità che intercorrono ogniqualvolta
si renda necessario predisporre un nuovo strumento di governo del territorio alla scala locale. L’UGB può essere considerato uno strumento efficace nel controllo dello sprawl se:
– si riscontra un basso numero di edifici costruiti al di fuori delle aree edificabili;
– si verifica un aumento delle densità nelle aree edificabili;
– le aree di trasformazione si concentrano all’interno delle aree edificabili;
– avviene una chiara definizione dei suoli urbani ed extraurbani.
È riconosciuto che lo sviluppo urbano può essere definito compatto quando almeno il 70% delle nuove abitazioni è
costruito all’interno delle UGB (Weitz - Moore, 1998).
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Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
focus 1
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Metodi e strumenti per l’analisi spaziale dei fenomeni di sprawl urbano
Beniamino Murgante, Federico Amato, Federico Martellozzo
Negli ultimi tempi, con l’aumentare della disponibilità dei dati e con lo sviluppo di nuove tecnologie, è sempre più
frequente trovare studi riguardanti le dinamiche dei sistemi insediativi.
Mentre è prassi abbastanza diffusa considerare all’interno del quadro conoscitivo a supporto del piano l’analisi dell’espansione urbana basata su cartografie a date diverse o analisi multitemporali di immagini satellitari, i modelli di previsione
dello sprawl urbano sono ancora utilizzati prevalentemente nel settore della ricerca. In questo approfondimento verranno analizzati due metodi di simulazione, uno basato su automi cellulari e l’altro su probabilità condizionata.
La principale differenza è riscontrabile negli ambiti di applicazione: il primo utilizza dati a una risoluzione meno elevata
per studi idonei a un livello comprensoriale o provinciale, il secondo si presta per studi alla scala urbana.
Lo SLEUTH (Clarke et al., 1998) è un modello sviluppato alla fine degli anni Novanta, che – a esclusione dei circoli polari –
è stato testato e applicato a casi di studio sparsi in tutto il mondo e deve la sua popolarità alla sua capacità di produrre
risultati attendibili. Lo SLEUTH è un modello ad automi cellulari, ovvero il comportamento di ogni singolo elemento (cellula) è simulato in base a regole che governano la sua interazione con le altre cellule vicine. Nel caso specifico ogni cellula
rappresenta una porzione di territorio, e ogni dato di input una caratteristica della cellula; ovvero la presenza, l’assenza o
il grado di intensità che un determinato fenomeno assume in prossimità di ogni singola cellula.
SLEUTH è l’acronimo di Slope, Land cover, Exclusion, Urban extent, Transportation network e Hill-shade, ovvero i dati utilizzati in input che raffigurano i fattori limitanti o favorevoli l’urbanizzazione. Per esempio, la pendenza (slope) e le aree
vincolate o dove non è possibile edificare (exclusion) rappresentano elementi che impediscono o ostacolano la crescita
urbana; al contrario la rete dei trasporti (transport) è sicuramente un elemento catalizzante lo sprawl urbano, mentre
il tessuto urbano (urban) e la copertura d’uso del suolo (land use) rappresentano le serie storiche di dati direttamente
correlati al fenomeno da indagare. L’orografia (hill-shade) serve solamente da sfondo per contestualizzare spazialmente
i risultati della simulazione, che vengono prodotti come output geografici. Per simulare le variazioni dell’uso del suolo è
sufficiente un singolo intervallo, quindi sono bastevoli due date distinte; mentre per il tessuto urbano è necessario avere
almeno tre intervalli temporali per un totale di quattro date differenti. Gli input come exclusion e transport possono
sia prendere carattere binario (1 = presenza del fenomeno, 0 = assenza del fenomeno) che essere pesati. Ovvero è
possibile associare un paramento che definisca il grado di intensità del fenomeno rappresentato; per esempio, nel caso
di exclusion un valore massimo corrisponderà a una totale impossibilità di prendere parte al processo di simulazione (per
esempio mare, fiumi, laghi ecc.); mentre un fattore di impedenza minore potrà essere associato in corrispondenza di
vincoli paesaggistico-ambientali e/o prescrizioni normative, dove, benché altamente improbabile, lo sviluppo urbano
potrebbe verificarsi in minima parte e dunque non può essere escluso a priori. Analogamente allo strato informativo
transport è possibile associare un valore maggiore in corrispondenza di reti/tipi di trasporto che maggiormente veicolano l’urbanizzazione (per esempio autostrade, ferrovie ecc.) e valori minori a reti/tipi di trasporto che lo veicolano in maniera ridotta (strade secondarie, strade di campagna, strade urbane ecc.). I dati di input e il loro peso vengono definiti a
priori dall’analista, ma il modello prima di poter essere utilizzato per la simulazione ha bisogno di essere calibrato. Infatti
SLEUTH impiega cinque coefficienti (o parametri) che controllano quattro differenti procedure di crescita urbana (growth
rules). Tali parametri vengono determinati in fase di calibrazione per raffinazioni successive applicando e comparando
le regole di crescita ai dati di input. Al termine della calibrazione si sceglieranno per i parametri di controllo i valori che
meglio simulano l’espansione urbana e il cambiamento di uso del suolo osservabili dalle serie storiche. Le regole di
crescita consentite e analizzate sono: crescita spontanea, nuovi poli di dispersione, crescita ai margini del tessuto urbano,
crescita influenzata dalla rete stradale. I coefficienti che controllano il comportamento delle regole di crescita non sono
necessariamente statici durante ogni singola applicazione, ma si automodificano e rispondono a fenomeni di estremamente rapida o estremamente lenta urbanizzazione. In conclusione, la finalità di SLEUTH è simulare l’uso del suolo e la
possibile urbanizzazione di una porzione di territorio in funzione di ciò che è stato osservato nel passato e di come tale
porzione di territorio interagisce con il territorio circostante.
104
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
L’altro modello vuole da una parte misurare le variazioni dell’uso del suolo e operare una previsione sulle variazioni future utilizzando due tecniche. In una prima fase il Joint information uncertainty viene utilizzato per valutare le relazioni tra le variabili spaziali. Successivamente il Weights of
evidence viene applicato per creare una mappa di probabilità condizionata, ovvero un raster in cui
a ciascun pixel è assegnato un valore compreso tra 0 e 100, per cui un valore più elevato indica una
maggiore probabilità che in quel pixel si verifichi una variazione nell’uso del suolo.
L’applicazione del modello richiede l’utilizzo di almeno tre mappe dell’uso del suolo a tre differenti istanti temporali, che da ora indicheremo come T0, T1 e T2. Occorre poi essere in possesso delle mappe relative alle variabili spaziali, ovvero a quei fattori, come vincoli o disciplina urbanistica,
che incidono in maniera rilevante sulle variazioni degli usi del suolo.
Il modello può essere scomposto in due fasi distinte. La prima, detta di calibrazione, mira a una
corretta definizione delle relazioni tra le variabili spaziali, producendo così simulazioni coerenti
con le reali tendenze di variazione dell’uso del suolo. In questa fase, utilizzando come dati in input le mappe agli istanti T0 e T1, si realizza una simulazione all’istante T2. La mappa di simulazione
ottenuta viene quindi confrontata con la mappa di riferimento allo stesso T2, e quando si registra
un’apprezzabile somiglianza fra le due mappe si può considerare il modello come adeguatamente calibrato. Si prosegue dunque con la seconda fase, detta di simulazione, in cui, essendo
ormai note le relazioni tra le differenti variabili, si utilizzano in input le mappe agli istanti T1 e T2,
producendo una simulazione a un istante temporale futuro, che potremmo denominare T3.
I due modelli illustrati si prestano particolarmente ad arricchire il quadro conoscitivo a supporto delle scelte di piano, mentre studi riguardanti le analisi quantitative del consumo di suolo
relativo ad ampie aree del territorio italiano ed europeo sono illustrate nei lavori di Romano e
Zullo (2013a, 2013b, 2014).
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focus 1
105
Processo di urbanizzazione e isole di calore urbane (UHI)
Ciro Gardi
Introduzione
Il cambio d’uso e di copertura del suolo è riconosciuto tra le cause del riscaldamento globale. La deforestazione, lo
sprawl urbano, l’agricoltura intensiva e altre influenze umane hanno sostanzialmente alterato e frammentato il nostro paesaggio. Questo genere di alterazioni del suolo può modificare la concentrazione atmosferica globale di
anidride carbonica – il gas che maggiormente intrappola calore e che affetta il clima locale, regionale e globale –
modificando il bilancio energetico sulla superficie terrestre (Marland et al., 2003). In particolare, l’influenza dell’urbanizzazione sul clima è stata ben documentata (Landberg, 1981; Kukla et al., 1986; Karl et al., 1988; Changon, 1992; Gallo
et al., 1993), e poichè più del 50% della popolazione vive in città, c’è un crescente interesse nei confronti del fenomeno
come importante contributo al riscaldamento globale. Le isole di calore urbano (Urban Heat Islands – UHI) sono uno degli effetti meglio conosciuti dell’urbanizzazione sul clima e sono state ampiamente studiate (Atkinson, 1985; Oak,1995;
Ben-Dor - Saaroni, 1997). In particolar modo negli ultimi vent’anni i ricercatori hanno significativamente compreso le
relazioni che intercorrono tra le aree urbane e il clima. Attualmente si ha una comprensione maggiore delle dinamiche
tra superficie urbana e bilancio energetico, ed è stabilito che le isole di calore urbane hanno un’incidenza maggiore
durante la notte rispetto al giorno (Lo et al., 1997; Banta et al., 1998).
Un altro degli effetti provocati dalla crescita delle aree urbane è sulle precipitazioni, infatti numerosi studi hanno indagato le relazioni tra aree urbane e precipitazioni (Shepherd, 2005). Questi contributi hanno dimostrato che l’urbanizzazione modifica le precipitazioni, tuttavia il meccanismo (o i meccanismi) attraverso il quale le precipitazioni vengono
modificate è ancora poco conosciuto (Lowry, 1998).
Le ampie superfici urbanizzate modificano i processi di bilanciamento dell’energia e dell’acqua, influenzando le dinamiche del movimento dell’aria (Oke, 1987), determinando un aumento della temperatura dell’aria al di sopra dell’area
centrale della città maggiore rispetto alle aree suburbane e la riduzione dell’intervallo di temperatura diurno (Diurnal
temperature range) (Gallo et al., 1996). Rao (1972) fu il primo a dimostrare che le aree urbane potevano essere indentificate attraverso l’analisi degli infrarossi termici acquisiti da satellite, mentre le ricerche condotte sulla temperatura
della superficie terrestre utilizzando i dati NOAA AVHRR hanno dimostrato che la compartimentazione dei flussi di calore,
sensibile e latente, è una funzione che varia in base alla presenza di acqua nel suolo e alla copertura vegetale della
superficie (Owen et al., 1998). Il principale effetto dell’urbanizzazione sul clima è probabilmente dovuto all’impermeabilizzazione dei suoli, che impedisce loro di immagazzinare e rilasciare acqua attraverso l’evapotraspirazione. Abbiamo
considerato che in una giornata estiva in clima temperato, 4-6 kWh della radiazione solare netta incida su ogni metro
quadro di terreno. Sulle superfici impermeabilizzate la maggior parte di questa energia viene convertita in calore sensibile, provocando una massiccia convezione dell’aria, mentre su quelle coperte da vegetazione la radiazione solare
viene in larga parte dissipata senza pericoli attraverso l’evapotraspirazione (Pokorny, 2001). Globalmente, il processo
di urbanizzazione è in costante aumento: ciò è dovuto sia all’aumento demografico, che al cambiamento negli stili di
vita della popolazione, ma soprattutto è il risultato della nuova economia globale (Cohen, 2004). Anche in Europa, dove
il numero della popolazione è sostanzialmente stabile, si assiste a una continua crescita delle aree urbanizzate. Negli
ultimi vent’anni l’estensione delle aree edificate nei paesi dell’Europa (occidentale ed orientale) è aumentata di circa il
20%, tasso che supera di gran lunga quello di crescita della popolazione dello stesso periodo (6%) (EEA, 2002). In Germania, ad esempio, il suolo edificato, includendo anche quello utilizzato per le infrastrutture di trasporto, è aumentato
sensibilmente passando da 350 mq per abitante nel 1950 a 508 mq nel 1995 (Dosch - Beckmann, 2000). L’obiettivo della
ricerca presentata è quello di valutare la crescita urbana del comune di Parma negli ultimi 122 anni e di fornire una stima
degli effetti provocati dal cambiamento del bilancio energetico del territorio.
Al fine di comprendere quale possa essere l’impatto della crescita urbana sui cambiamenti del clima locale è necessario
disporre di affidabili stime sia dell’estensione urbana sia del suo incremento progressivo.
Tra i dati più affidabili in merito all’estensione delle aree urbane, a scala globale, abbiamo le mappe e le analisi prodotte
da Schneider et al. (2009). In linea con questi dati, derivati da Modis, l’estensione globale delle aree urbane nel 2000 era di
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Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
726.943 kmq, dato che si traduce in un indice di urbanizzazione medio dello 0,55%. Questi dati,
riassunti come rapporto tra superficie artificiale e superficie totale a livello nazionale (copertura urbana relativa), sono presentati in figura 1. L’utilizzo in questo studio di Modis a 500 m di risoluzione
ha dimostrato l’efficacia di tali immagini telerilevate, poiché i risultati prodotti sono più precisi di
quelli relativi a studi precedenti, dove le stime variavano tra lo 0,2% e il 2,4% (Potere e Schneider,
2007). Sulla base di analisi preliminari la stima del consumo di suolo a scala globale tra il 2000 e il
2010 è risultata pari a 160.000 kmq, che è equivalente a circa 4400 ha/giorno. Questo implica che
nel 2030 il territorio costruito sarà superiore a 1.350.000 kmq. Queste previsioni per l’insieme delle
aree urbanizzate globali si trovano in linea con il tasso di crescita delle aree urbane proposto da Seto
et al. (2011) i quali utilizzano un approccio diverso. In accordo con questa ricerca, la crescita delle
aree urbane tra il 2010 e il 2030 sarà compresa nell’intervallo tra i 430.000 kmq e i 12.568.000 kmq,
con una stima più probabile di 1.527.000 kmq.
Le radiazioni a onda lunga incidenti (L) sono state stimate utilizzando la legge di “StefanBoltzmann” utilizzando la media della temperatura dell’aria degli ultimi 10 anni. Per calcolare l’assorbenza della radiazione solare è stato necessario conoscere l’albedo delle differenti
superfici: l’albedo e l’emissività delle differenti superfici sono stati estrapolati da ricerche di
vari autori (Morgan et al., 1977; Ryszkowski - Kedziora, 1987) e sono indicate nella tabella 2.
Per discriminare i flussi di calore latente (LE), di calore sensibile (H), di calore a terra (G) e le
radiazioni a onde lunghe emesse (Le), il bilancio energetico è stato calcolato come segue:
Rabs - H - G - LE - Le = 0)
Il caso studio di Parma
L’evapotraspirazione, necessaria a calcolare il calore latente (LE), è stata quantificata su base
oraria, applicando il modello ET (Donatelli et al., 2006); il bilancio idrico del suolo è stato calcolato su base mensile, applicando il modello BIL3 (Caratteristiche climatiche, 1990) su una serie
di dati meteorologici degli ultimi 10 anni e utilizzando i coefficienti colturali dell’erba medica e
del grano e 200 mm di capacità idrica del suolo.
1. L’area di studio
4. Risultati e discussioni
La ricerca è stata svolta a Parma, città di medie dimensioni, situata ai margini dell’area compresa tra la valle del Po e gli Appennini.
4.1 Crescita dell’area urbanizzata
2. La valutazione della crescita urbana
La valutazione della variazione temporale dell’area urbanizzata del comune di Parma è stata
realizzata utilizzando differenti fonti di dati geografici (tab. 1). Tutte le mappe e foto aeree
sono state geo-referenziate, corrette e digitalizzate con il programma ArcGIS 9.0. Lo stesso programma è stato utilizzato per realizzare le analisi spaziali e per calcolare l’estensione dell’area
urbana. La valutazione dell’area a copertura vegetale è stata realizzata attraverso il programma
ENVI e le immagini MIVIS, calcolando l’indice NDVI su tre aree campione in ogni fase di urbanizzazione; un valore NDVI di 0,5 è stato utilizzato come soglia di discriminazione per identificare
le aree a copertura e vegetale e non all’interno dell’area urbanizzata.
3. Il modello di bilancio energetico
L’obbiettivo dell’approccio proposto era di definire la variazione temporale della somma di
energia dissipata come flusso sensibile di calore, flusso di calore a terra, flusso di calore latente
e le radiazioni a onde lunghe emesse, a causa del cambio d’uso del suolo. La quantità di radiazione assorbita dalle differenti superfici e dall’intera area analizzata, in un dato momento, è
stata calcolata come segue:
Rabs = αS (Sb + Sd) + αL L
dove αS e αL sono l’assorbenza nella lunghezza d’onda solare e termica, Sb e Sd sono rispettivamente la radiazione solare diretta e diffusa e L è la radiazione a onda lunga incidente. La radiazione solare nel comune di Parma, in momenti diversi, è stata stimata utilizzando le seguenti
equazioni (Campbell - Norman, 1998):
Sb = cos Ψ [Spo exp(-a-τm)]
Sd = Spo cs Ψ [1-exp(-a-τm)]
Dove Spo è la costante solare, Ψ è l’angolo solare zenitale, a è il coefficiente relativo alle lunghezze d’onda assorbite dall’atmosfera (a = 0,078), τ è un coefficiente di torbidità atmosferica
(τ = 0,007 per il cielo limpido) e m è il numero di massa ottica dell’aria, che dipende dal percorso del fascio solare attraverso l’atmosfera.
I dati relativi alla crescita dell’area urbanizzata sono evidenziati in figura 2. Il tasso del processo
di urbanizzazione, nel periodo tra il 1960 e il 1976, è stato molto elevato a causa della veloce
crescita economica seguito avvenuta alla fine della Seconda Guerra mondiale e dell’immigrazione delle popolazioni provenienti dalle aree rurali del sud Italia. Tuttavia, in un altro periodo
storico (1994-2003), la comparazione dei dati relativi all’espansione dell’area urbanizzata con
l’aumento della popolazione (fig. 3) mostra tra i due solo una debole correlazione. Tale comportamento può essere spiegato considerando non solo l’aumento della popolazione, ma anche
altri fattori trainanti e coinvolti nel processo, come ad esempio il cambiamento dei bisogni degli
individui, la struttura della società e, non ultimo, la speculazione (Cohen, 2004).
4.2 Bilancio energetico
Le radiazioni a onde brevi e lunghe assorbite dalle differenti superfici durante il giorno sono
state calcolate per quindici giorni al mese (tab. 3); tutti i calcoli si sono basati su situazioni di
cielo limpido. La variazione della quantità di energia assorbita dalle differenti superfici è stata
limitata, con valori compresi tra i 35,4 e i 40,2 MJ m-2 d-1. Una media ponderata di questi dati
elementari è stata utilizzata per definire la radiazione assorbita in zona urbana e in zona rurale.
Dati mensili e giornalieri sulla potenziale e attuale evapotraspirazione sono presentati in tabella 4, i dati giornalieri sono stati utilizzati per calcolare un bilancio energetico semplificato,
dal quale, considerando le differenze tra la radiazione assorbita (Rabs) e il calore latente (LE), è
stato stimato un valore globale (HL) che include il calore sensibile, il calore trasferito al suolo e
le radiazioni emesse a onda lunga. L’evapotraspirazione oraria per le date selezionate, stimata
con il modello ET, è stata usata per calcolare, invece, un bilancio energetico più dettagliato.
Nella figura 4 vengono mostrati i grafici del bilancio energetico di 1 mq di terreno con erba
medica e 1 mq di superficie urbanizzata (completamente impermeabilizzata), per un’ora dalle
12.00 alle 13.00 del 15 giugno. La quantità di radiazioni assorbite dai due terreni è simile; il
terreno con erba medica assorbe il 4,6% di energia in più a causa della differenza di albedo.
La differenza maggiore riguarda il calore latente che è quasi uguale a zero nel terreno impermeabilizzato. Tale differenza determina anche altre importanti variazioni nei valori del modello di bilancio energetico, come i flussi di calore sensibile e l’emissione delle radiazioni a onde
lunghe. La somma tra il flusso di calore sensibile e il flusso di calore a terra e le radiazioni a
focus 1
107
onde lunghe, che incidono direttamente sul microclima, sono rispettivamente 185% e 29%
più elevati nell’area urbanizzata. Questi dati sono in linea con i risultati di altre ricerche effettuate sulle aree urbane (Lamptey et al., 2005; Morgan et al., 1977). Il passaggio successivo
(upscaling) è consistito nel passare dalla modellizzazione a scala di 1 mq all’applicazione del
modello al mondo reale. Questi dati sono stati applicati al comune di Parma considerando le
variazioni d’uso del suolo avvenute tra il 1881 e il 2003. Inoltre il territorio è composto da un
complesso mosaico di usi del suolo, almeno per quanto riguarda l’evapotraspirazione o meno
delle superfici. Le stime delle frazioni di superfici evapotraspiranti, all’interno delle varie aree
di espansione urbana, sono presentate nella tabella 5.
La simulazione è stata basata sull’assunzione di un clima costante lungo tutto il periodo di
analisi. Si è ottenuto come risultato che il 13% in meno di energia viene dissipato come calore
latente, la somma di calore sensibile e di calore a terra aumenta del 7%, e le radiazioni a onde
lunghe emesse aumentano del 16%. Le implicazioni dell’urbanizzazione sul clima locale sono
ben conosciute e sono già state discusse nell’introduzione. Una prova dell’effetto delle isole
di calore urbane nel Comune di Parma è data dalla comparazione tra i valori massimi della
temperatura dell’aria nel centro città e nelle aree suburbane. Da questi dati, riferiti al 1999, è
possibile evidenziare un aumento nella variazione della temperatura tra l’area urbana e quella
suburbana. Analizzando la media mobile è possibile riconoscere differenti intensità di isole di
calore urbane durante l’anno; la variazione di temperatura maggiore si ha nella stagione estiva
poiché è associata a un’alta radiazione solare in entrata, e in inverno, probabilmente a causa del
massiccio uso di sistemi di riscaldamento delle abitazioni in città.
Conclusioni
Il cambio d’uso del suolo e in particolare il processo di urbanizzazione, modificando il bilancio
energetico delle superfici, possono determinare importanti effetti sul clima locale. Nel comune
di Parma l’aumento delle aree urbane avvenuto tra il 1881 e il 2003 è stato del 535% e ha
causato in media una riduzione dello 0,1% per anno di energia solare dissipata per evapotraspirazione portando conseguentemente a un aumento del calore sensibile.
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Tab. 1. Fonti di dati geografici utilizzati nell’analisi dei processi di urbanizzazione
Period
1881
1960
1976
1994
2003
2030
Source of data
Istituto Geografico Militare (IGM) mappe
Istituto Geografico Militare (IGM) mappe
Carte di uso del suolo, Regione
Carta tecnica regionale
Immagini a volo d’uccello
Previsioni di documenti di piano
Tab. 2. Albedo delle diverse superfici
Superfici
Bassa densità residenziale
Media densità residenziale
Alta densità residenziale
Parchi
Aree industriali
Autostrade
Bare soil
Grano
Erba medica
Albedo
0.20
0.23
0.25
0.16
0.26
0.30
0.15 - 0.19
0.17 - 0.23
0.19 - 0.22
Tab. 3. Stima della radiazione a onda corta e lunga assorbita da diverse superfici
il quindicesimo giorno di ogni mese dell’anno
MJ m-2 d-1
Gen.
Feb.
Mar.
Apr.
Mag.
Giu.
Lug.
Ago.
Set.
Ott.
Nov.
Dic.
Erba medica
20.5
26.6
34.8
44.9
53.6
57.4
57.5
52.1
44.3
34.1
26.2
20.2
Urbano
19.8
25.6
33.3
42.9
51.2
54.8
55.0
49.0
41.1
31.1
23.8
18.9
Parchi
21.1
27.5
36.0
46.5
55.5
59.3
59.5
53.0
44.3
33.5
25.4
20.2
Autostrade
19.0
24.5
31.8
40.6
48.8
51.9
52.6
46.8
39.2
29.8
22.8
18.3
Lo, C.P. - Quattrochi, D.A. - Luvall, J.C. (1997), “Application of High-resolution thermal infrared remote sensing and GIS to Assess the Urban Heat Island Effect“. Int. J. Remote Sens., 18: 287-304.
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Oke, T.R. (1987), Boundary Layer Climates, 2nd ed. London: Methuen.
108
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
focus 1
109
Tab. 4. Evapotraspirazione mensile e quotidiana, potenziale ed effettiva, ed evapotraspirazione
di grano invernale ed erba medica
Gen.
Feb.
Mar.
Apr.
Evotraspirazione mensile (mm)
Erba medica
Grano invernale
ETP
ETE
ETP
ETE
13.0
13.0
18.0
18.0
23.0
23.0
33.0
33.0
48.0
48.0
58.0
58.0
86.0
86.0
77.0
77.0
Evotraspirazione quotidiana (mm)
Erba medica
Grano invernale
ETP
ETE
ETP
ETE
0.4
0.4
0.6
0.6
0.8
0.8
1.2
1.2
1.5
1.5
1.9
1.9
2.9
2.9
2.6
2.6
Mag.
158.0
158.0
106.0
106.0
5.1
5.1
3.4
3.4
Giu.
Lug.
Ago.
Set.
Ott.
Nov.
Dic.
207.0
235.0
196.0
121.0
70.0
29.0
14.0
156.0
13.0
62.0
92.0
70.0
29.0
14.0
111.0
107.0
93.0
54.0
19.0
13.0
13.0
111.0
107.0
63.0
54.0
19.0
13.0
13.0
6.9
7.6
6.3
4.0
2.3
0.9
0.5
5.2
0.4
2.0
3.1
2.3
0.9
0.5
3.7
3.5
3.0
1.8
0.6
0.4
0.4
3.7
3.5
2.0
1.8
0.6
0.4
0.4
1. Copertura urbana relativa.
Tab. 5. Frazione di aree vegetate all’interno delle aree di espansione urbana in diversi periodi
2. Crescita dell’area urbanizzata di Parma (diverse soglie storiche).
Periodo
Until 1881
1881 - 1960
1960 -1976
1976 - 1994
1994 - 2003
3. Confronto tra crescita di popolazione e superficie urbanizzata.
4. Bilancio energetico di 1 mq di terreno con erba medica e 1 mq di superficie urbanizzata
(dalle 12.00 alle 13.00 del 15 giugno).
1881
1960
1976
1994
2003
2030
Frazione di area vegetata
0.18
0.26
0.28
0.29
0.26
300
Urbanized area
250
Population
6000
5000
200
4000
150
kJm-2h-1
Rabs
100
LE
3000
H+G
Loe
2000
50
1000
0
1996177619942003
110
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
0
alfalfa
urban area
focus 1
111
Le emissioni di anidride carbonica nel settore dei trasporti
Silvio Nocera
Il settore dei trasporti incide per circa il 25% delle emissioni totali di gas serra. Rispetto al 1990 si è assistito a una crescita del 20% (unico settore in crescita). A fronte di questa condizione, il tema ha ricevuto un’attenzione adeguata solo
di recente, che si è concretizzata con la stesura del Protocollo di Kyoto (1998). Tale evento ha aperto la strada a una serie
di proposte a livello globale, tuttora in fase di vivo dibattito.
Permane tuttavia una serie di criticità che riguardano i processi della quantificazione delle emissioni e della loro successiva valutazione economica. Ciò è dovuto alla presenza di una serie di elementi critici, conosciuti in letteratura con
il nome di “incertezze”. Esse possono essere di natura economica o scientifica: al primo gruppo appartengono il rapporto tra emissioni e concentrazione atmosferica, la previsione della domanda futura di trasporto e della relativa scelta
modale, i livelli futuri di emissioni, concentrazioni e temperature, l’impatto sul clima derivante da un aumento della
concentrazione di gas serra, gli impatti fisici causati dai cambiamenti climatici1. Sono invece di natura economica le incertezze riguardanti la valutazione del danno economico, la determinazione di un equity weight bilanciato, la scelta del
tasso di sconto e l’adozione di adattamento o mitigazione. Inoltre molto controversa rimane la scelta delle conseguenze
economiche, ambientali e sociali del cambiamento climatico da includere nella valutazione.
La valutazione degli impatti da CO2 può essere condotta attraverso la monetizzazione, strumento che traduce in termini economici le conseguenze del cambiamento climatico. Essa procede attraverso tre fasi: la quantificazione del gas
emesso (generalmente espresso in tCO2), la determinazione di un prezzo unitario e la conversione del gas emesso in un
valore monetario.
I prezzi unitari possono essere determinati in base a valutazioni politiche o accademiche: tra le prime si possono ricordare il Carbon-trading price e la Carbon tax; alle seconde, che valutano le conseguenze ambientali delle emissioni future,
appartengono invece gli Avoidance e i Damage costs.
Il Carbon-trading price è un metodo basato sulla borsa delle emissioni europee. Essa permette emissioni fino a un certo
tetto (“cap”), oltre il quale bisogna acquistare da altre aziende i diritti ad emettere (“trade”), secondo le regole di mercato. Tale metodo è stato progettato e applicato dopo la proposta, peraltro fallita, di introdurre a livello europeo una
Carbon tax, strumento che colpisce direttamente le emissioni di carbonio derivanti dall’uso di combustibili.
Gli Avoidance costs rappresentano i costi necessari per limitare le emissioni entro target prefissati (espressi in ppmv2 o °C).
Si basano sull’analisi costi-efficacia per esprimere il prezzo migliore con cui raggiungere un determinato obiettivo e sono
generalmente la base per politiche internazionali, quali ad esempio Europa 20-20-20.
I Damage cost valutano i costi dei possibili cambiamenti climatici legandoli ai loro effetti. Da un punto di vista scientifico,
la valutazione secondo tale metodo è generalmente preferibile, poiché lega i costi della CO2 alle possibili conseguenze a
livello sociale, economico ed ambientale. Si segnala tuttavia che i risultati di questo metodo sono quelli maggiormente
soggetti alle incertezze ricordate in precedenza.
Un’analisi bibliografica degli studi effettuati rivela un intervallo economico molto ampio, che varia da circa -3 a 1.977 $/
tCO2eq. Ciò evidentemente permette l’adozione delle tradizionali tecniche di valutazione economica quali l’analisi multicriteria o l’analisi benefici-costi solo a cura di utenti di una certa esperienza. Questo può portare a stime fortemente
distorte dei costi reali dei trasporti, con possibili conseguenze sociali di seria entità.
Il problema principale diventa quindi come stimare l’impatto dei gas serra, fornendo una valutazione economica appropriata. Studi precedenti degli autori hanno identificato un valore compreso tra i 20 e i 120 €/tCO2eq (circa 26-155 $/tCO2eq),
a seconda delle diverse scelte e degli obiettivi dei decisori politici.
La pianificazione dei trasporti ha rivelato finora qualche difficoltà a recepire tale messaggio: le forme tradizionali dei
piani del traffico prevedono misure che solo indirettamente mirano a ridurre le emissioni di CO2, né sembra valere il
ricorso a forme più innovative di piano quali i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), i quali si concentrano
esclusivamente sugli aspetti energetici ma trascurano tutte le conseguenze di tipo trasportistico che tali misure possono
comportare. La recente adozione dei piani urbani della mobilità sostenibile (PUMS) sembrerebbe invece avere margini
promettenti: questa nuova forma di piano include elementi non strettamente legati ad aspetti tecnici (per esempio, la
112
Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico
partecipazione pubblica nella definizione degli obiettivi), nonché elementi di solito non posti in primo piano, fra cui proprio l’emissione dei gas serra. La mancanza di una metodologia
chiara e replicabile rivela tuttavia la necessità di trasformare le pur utili linee guida dei PUMS
in strumenti efficaci a affrontare operativamente il problema: il ricorso a una specifica analisi
dell’impatto economico delle singole misure in termini di riduzione di CO2 sembra poter essere
la risposta a tale interrogativo, anche se questo metodo richiede livelli di dettaglio piuttosto fini
per la propria compiuta applicazione.
In conclusione le sempre più evidenti conseguenze dei cambiamenti climatici rendono il problema della valutazione della CO2 attualmente cogente. Nonostante il livello di attenzione sia
diventato mediamente alto, i tentativi compiuti finora a livello internazionale non hanno prodotto risultati soddisfacenti: se si vuole affrontare efficacemente una problematica diventata
centrale, occorre agire con uno sforzo interdisciplinare, che comprenda il settore dei trasporti
in maniera più risoluta.
1 Nella loro forma più estesa, essi includono: crescita del livello del mare; variazioni nei consumi energetici; agricoltura costretta a importanti adattamenti; variazione nella distribuzione dei consumi di acqua;
effetti sulla salute umana; minaccia a ecosistemi specifici; aumento di eventi atmosferici estremi; grandi
discontinuità.
2Parti per milioni in volume.
focus 1
113
parte seconda
il fenomeno delle isole di calore urbano
e la sua identificazione
1. strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
1.1. Lo stato delle conoscenze sulle isole di calore urbane (UHI)
Alessandro Salvati
Introduzione
Il cambiamento climatico in atto pone sfide insolite e nuove al nostro paese e il verificarsi – da alcuni anni a questa parte – di estati più lunghe e torride, così come di inverni miti, umidi e piovosi e più
in generale di eventi atmosferici estremi più frequenti ne è una riprova già tangibile nell’immediato.
Tra gli eventi climatici estremi rientrano le sempre più frequenti ondate di calore estive.
Secondo alcuni degli scenari prodotti dall’IPCC (Salomon et al., 2008) entro la metà di questo secolo
le temperature straordinarie registrate nel corso di questi periodi potrebbero essere la norma nella
media delle temperature estive. Le conseguenze di questo innalzamento di temperatura sarebbero
innumerevoli, prime fra tutte quelle sulla salute pubblica, con particolare preoccupazione per le
fasce di popolazione che per età (o altro) risultano più vulnerabili.
Tutto ciò rende particolarmente urgente la necessità di intervenire oltre una logica meramente
emergenziale e verso un progressivo adattamento nei confronti del cambiamento. Tuttavia il nostro
paese è al momento solo parzialmente attrezzato a fronteggiare questo tipo di scenari e, anche se
non mancano alcuni segnali positivi (negli ultimi vent’anni la capacità di adattamento della popolazione agli stress termici è generalmente migliorata in Europa proprio in seguito all’esperienza
pratica delle ondate di calore), sono molti di più le lacune e gli aspetti di preoccupazione.
Le case, gli edifici pubblici, le strade, le piazze e la maggior parte dell’infrastruttura fisica che
domina il nostro vivere quotidiano, non sono pensati tenendo in considerazione obiettivi di maggiore comfort termico, né tantomeno contemplano la possibilità di un cambiamento delle condizioni climatiche in futuro. Ciò riguarda particolarmente l’infrastruttura della ‘città moderna’, quella
sorta a partire dalla seconda metà del secolo scorso e che – diversamente dalla ‘città storica’ – è
caratterizzata da una scarsa qualità del progetto architettonico e urbanistico e dalla completa mancanza di requisiti in grado di garantire comfort termico e risparmio energetico.
Affrontare il problema dell’isola di calore urbana (UHI) è quindi un’occasione per riportare
l’attenzione su un tema di carattere più generale che è la vivibilità e la bellezza delle nostre città.
Quella che segue è una sintesi di alcuni dei materiali del Work Package 3 (WP3) del progetto
europeo “UHI - Central Europe” al quale hanno attivamente contribuito climatologi, geografi, meteorologi, ingegneri, architetti e urbanisti di diverse università, istituti di ricerca e amministrazioni
locali provenienti da tutta Europa, impegnati da anni nello studio del fenomeno dell’isola di calore
urbana e delle sue molte conseguenze.
Cosa sono le isole di calore urbane (UHI)?
Che il clima urbano sia generalmente più caldo rispetto a quello delle aree rurali circostanti è
ormai noto a tutti. Questo fenomeno è noto come “Isola di Calore Urbana” (Urban Heat Island in
inglese, da cui l’acronimo UHI) e nel nostro paese rappresenta un grosso problema specialmente nelle ore notturne delle stagioni estive. Il termine richiama la singolarità del fenomeno che è quella di
un’isola di aria calda circondata dall’aria più fredda delle aree rurali circostanti. La figura 1 mostra il
profilo ideale dell’isola di calore urbana ed è – di fatto – ciò che si verifica più comunemente. Tuttavia le temperature possono variare da una città a un’altra a seconda di molti altri fattori, compresi la
minore o maggiore altezza degli edifici, la forma urbana, i materiali del costruito, la presenza di zone
d’acqua o verdi, la morfologia del territorio (i fondovalle sono luoghi generalmente molto caldi),
117
picco
temperatura dell’aria
plateau
ΔT u - r
la presenza di venti, l’esistenza di fonti di calore antropogenico e – banalmente – la preesistenza di
un clima caldo e umido.
L’isola di calore urbana è principalmente causata dall’energia solare trattenuta dai materiali che
costituiscono il tessuto urbano durante il giorno e dal lento rilascio di questa energia nell’atmosfera
durante la notte. Il processo di urbanizzazione altera il naturale processo di raffreddamento delle
superfici vegetali, rimpiazzandole con materiali poco traspiranti e il più delle volte impermeabili. La
forza del fenomeno è misurata dall’intensità dell’isola di calore urbana, ovvero dalla massima differenza che intercorre tra le aree urbane e le aree circostanti in un determinato intervallo temporale
(∆Tu-r). I valori più alti si raggiungono durante le prime ore notturne e – come già accennato –
nel periodo estivo, a causa della maggiore quantità di energia solare assorbita dalle superfici durante
il giorno.
Qual è l’evoluzione del fenomeno?
rurale
suburbano
urbano
Le prime osservazioni del fenomeno risalgono già a due secoli fa. Col passar del tempo e con la
progressiva diffusione dell’urbanizzazione, le rilevazioni sono andate di pari passo con l’intensificazione del fenomeno. L’effetto UHI è in genere direttamente proporzionale alla grandezza delle aree urbane
(Oke, 1973) e il problema si è avvertito soprattutto nelle città divenute col tempo grandi metropoli.
Come accennato in apertura, le isole di calore urbane si stanno oggi ponendo in tutta la loro
criticità rispetto a una condizione di cambiamento climatico e di maggiore frequenza di eventi
atmosferici estremi. Una maggiore problematicità emerge infatti nell’anomalia e le conseguenze
maggiori si producono proprio laddove vi è un effetto sorpresa, come avvenuto durante l’ondata di
calore del 2003 in alcune città nordeuropee1. Ma ciò che è basicamente problematico è che – trattandosi di un fenomeno tipicamente urbano in un mondo in costante urbanizzazione – esso è destinato
a diffondersi a prescindere dalla sua maggiore o minore intensità.
Quali sono le principali conseguenze dell’Isola di Calore Urbana?
1. Profilo dell’Isola di Calore urbana. Tratto da Oke (1987).
2. Immagine in falsi colori del centro di Atlanta (Fonte: NASA). In rosso le zone più fredde
della città corrispondenti alla presenza di vegetazione.
3. Sintesi grafica delle principali dinamiche riguardanti la formazione dell’Isola di Calore Urbana. (Fonte: EPA, ND).
118
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Gli effetti negativi del fenomeno riguardano la salute umana, la qualità dell’aria e la domanda
di energia. In occasione di eventi meteorologici estremi come le ondate di calore, la presenza di
isole di calore urbane amplifica gli effetti negativi del caldo, mantenendo le temperature notturne
a livelli poco tollerabili per la salute umana. I dati di mortalità giornaliera in occasione di eventi di
caldo estremo dimostrano a tal proposito una più alta incidenza di decessi nei contesti urbani2, sebbene naturalmente non tutta la popolazione sia esposta allo stesso modo al pericolo: l’età avanzata è
ad esempio un elemento di vulnerabilità, così come contribuiscono le condizioni di salute pregresse
e lo status socio-economico (i poveri spesso vivono in abitazioni meno confortevoli). Ma non è solo
il calore diretto a incidere negativamente sulla salute: in condizioni atmosferiche anticicloniche e di
eccessivo calore, infatti, si ha un maggior livello di inquinanti come ozono e polveri sottili, i quali
– oltre certe concentrazioni – possono causare infiammazioni alle vie respiratorie.
Oltre agli impatti sulla salute, le UHI rappresentano un problema per i maggiori consumi energetici e di emissioni di biossido di carbonio connessi. Negli Stati Uniti si stima che il 3% e l’8% del
consumo annuo di energia elettrica sia necessario per contrastare gli effetti delle UHI (OECD, 2010).
Un aumento repentino della domanda di energia è spesso – in ragione delle caratteristiche attuali
dei nostri sistemi di produzione e distribuzione dell’elettricità – difficile da fronteggiare, richiedendo aumenti di capacità produttiva forniti da centrali termoelettriche vetuste, poco efficienti e molto
inquinanti3. Lo stesso problema può essere esteso anche ad altre risorse come l’acqua: nell’estate
del 2007 la città di Barcellona, in condizioni di estrema emergenza, è stata costretta ad acquistare
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
119
acqua dall’estero, con gravi disagi e un aggravio notevole dei costi dovuto alle modalità di trasporto
(l’acqua è stata trasportata con navi cisterna).
Un’analisi puntuale delle cause
Le isole di calore urbane rappresentano una modifica del microclima urbano dovuta a cambiamenti della forma e della composizione dell’uso del suolo in grado di alterare l’interazione fisica fra
tre livelli atmosferici (e non), che sono: il boundary layer (che è lo strato atmosferico più vicino al
suolo che va generalmente da alcune decine fino a 2.000 metri), l’Urban Canopy Layer (che va dal
suolo all’altezza massima raggiunta dagli edifici) e la superficie urbana (surface layer). Se una grande
quantità di edifici e strade sostituisce lo spazio verde preesistente – così come accadrebbe ponendo
un coperchio sopra una pentola – le proprietà termiche, radiative e aerodinamiche che caratterizzano la superficie urbana e il boundary layer atmosferico cambiano. Questo perché i materiali che
convenzionalmente costituiscono la città hanno conducibilità termica, riflettività ed emissività diverse rispetto alle zone rurali. Tutte le caratteristiche appena elencate contribuiscono a definire il bilancio energetico di superficie che – com’è ovvio – presenta valori in ambito urbano estremamente
differenti rispetto alla campagna. Il principale fattore che differenzia i due ambienti è in particolare
l’albedo, ovvero la frazione della radiazione solare riflessa verso lo spazio: in città questo valore è 5-6
volte più basso e, come conseguenza, la percentuale di calore assorbito è maggiore. Ma questa non
è l’unica causa: in molti casi la configurazione stessa del tessuto urbano può diventare una variabile
importante tanto quanto la riflettività dei materiali. L’altezza e la forma degli edifici, il modo in cui
sono disposti, la pianta stradale e dello spazio aperto influenzano notevolmente la dispersione notturna del calore, rallentandola e determinando un ambiente ancora molto caldo.
Inoltre le città stesse producono calore attraverso le attività quotidiane più o meno intense che
vi si dispiegano. Questo fenomeno – definito come calore di origine antropica – è principalmente dovuto ad attività quali trasporti, processi industriali e raffrescamento degli ambienti interni
durante la stagione estiva. Laddove questi processi si producono con maggiore intensità, il calore antropico può incidere significativamente sulla formazione dell’effetto “isola di calore” in città.
Complessivamente, quindi, il bilancio energetico della città è di gran lunga più alto rispetto alle zone
circostanti, e questo squilibrio tende a crescere in presenza di ulteriori forme di calore, delle caratteristiche morfologiche, d’uso del suolo, di estensione del corpo urbano e alla presenza di specifiche
caratteristiche geografiche delle aree considerate (Oke, 1980).
I materiali del tessuto urbano
Le differenti proprietà dei materiali impiegati nella costruzione del tessuto urbano – strade,
edifici, piazze ecc. – sono uno degli elementi meglio approfonditi nello studio del fenomeno. Molti
contributi individuano nella riflettività una caratteristica chiave dei materiali costruttivi urbani. In
realtà a un’analisi più dettagliata emergono diverse proprietà che allo stesso modo concorrono a
determinare le isole di calore urbane. Queste includono, ad esempio, la capacità e la conducibilità
termica dei materiali, ma anche la maggiore o minore permeabilità.
La capacità termica dei materiali, ad esempio, misura quanto essi sono in grado di conservare
calore; la conducibilità termica indica invece la proprietà dei materiali di condurre il calore. Queste
proprietà prescindono dal colore delle superfici e dipendono in definitiva dal tipo di materiale utilizzato. Si tratta di elementi tenuti ben in considerazione dai progettisti, soprattutto in una prospettiva di efficienza energetica, ma meriterebbero una maggiore attenzione anche per il contributo che
possono dare alla mitigazione del calore urbano.
120
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
4. Principali cause dell’isola di calore urbana
distinte tra: variabili permanenti (viola);
variabili temporanee (giallo); variabili cicliche
(in rosso); variabili controllabili (bordo continuo);
variabili non controllabili (bordo tratteggiato).
Immagine modificata da Emeis (2012).
5. Schemi grafici esemplificativi del rapporto
tra ambiente costruito. e flusso dei venti.
La disposizione degli edifici può ridurre
o agevolare la ventilazione. Tratto da EPD (2008).
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
121
Il discorso è leggermente più articolato per quanto riguarda i materiali di pavimentazioni e
manti stradali. In questo caso l’esempio fornito da molti centri storici italiani e dal loro tradizionale
sistema di pavimentazione (pietre levigate, acciottolato ecc.) può tornare utile: la permeabilità di
questi sistemi, infatti, limita il deflusso e favorisce l’assorbimento delle acque meteoriche, mentre l’alta traspirabilità consente di mantenere costante lo scambio termico tra la superficie e l’aria.
Questi materiali non si surriscaldano e non raggiungono temperature superiori di 40 gradi rispetto
all’ambiente circostante (Gartland, 2008), come avviene al contrario per l’asfalto e molti altri materiali impermeabili, i quali – peraltro – rilasciando lentamente il calore accumulato nelle ore diurne
contribuiscono ulteriormente al perdurare dell’effetto “isola di calore” nelle ore notturne.
La Morfologia del costruito
L’infrastruttura fisica urbana, nella sua disposizione (forma, altezza ecc.) influenza significativamente il microclima urbano. Gli effetti riguardano lo stravolgimento dei processi di evapo-traspirazione, di assorbimento delle radiazioni e della circolazione dei venti.
In presenza di edifici molto alti, come più spesso accade nelle grandi metropoli, gli spazi che
intercorrono tra le facciate degli edifici diventano dei veri e propri canyon. In queste circostanze, la
predominanza delle altezze degli edifici sugli spazi aperti interstiziali (strade e spazi collettivi) se da
un lato permette una riduzione dello Sky View Factor 4 e una maggiore ombreggiatura della superficie, dall’altro intrappola la radiazione solare rilasciata dal piano stradale e dalle facciate degli edifici,
determinando in ogni caso un effetto “isola di calore”. Alcuni studiosi (Ali-Toudert - Mayer, 2006;
Kleerekoper, 2012) sostengono che l’aspect ratio – ossia il rapporto altezza degli edifici / larghezza
del piano stradale – sia tra i fattori più importanti nel determinare il microclima urbano.
In molte regioni del Mediterraneo questo principio era ben noto, trovando piena realizzazione
nella struttura delle città storiche, composte da vicoli stretti e ombreggiati, spesso disposti in direzione del vento dominante.
D’altro canto, però, se gli elevati valori del fattore di vista in genere contribuiscono all’aumento della temperatura dell’aria durante il giorno – a causa della maggiore incidenza della radiazione solare – la
mancanza di ostacoli fisici alla dispersione del calore accumulato permette un abbassamento delle temperature più repentino durante le ore serali-notturne. Ciò sembrerebbe configurare una sorta di tradeoff tra benessere termico diurno e notturno: in realtà le questioni riguardanti la forma urbana sono in
genere complesse e una valutazione adeguata dei benefici netti conseguibili attraverso il disegno urbano
dovrebbe considerare anche altre variabili. Kolkotroni e Giridharan (2008) sostengono la necessità di
ricorrere a simulazioni tridimensionali dello Sky View Factor come base per ogni altra considerazione,
dal momento che l’indice (a due dimensioni) di aspect ratio rappresenterebbe una semplificazione. E in
effetti una variabile decisiva in queste circostanze è data dalle dimensioni degli edifici nelle grandi città,
per nulla paragonabili con i vecchi agglomerati storici. La vastità della struttura fisica delle città rappresenta una modifica sostanziale dei valori di albedo ed emissività complessivi, dal momento che questi
tendono inevitabilmente a peggiorare in presenza di edifici più alti (Kleerekoper, 2012).
Il calore antropogenico
Le principali fonti di calore antropiche sono rappresentate dalle attività nei settori civile, industriale e dei trasporti. La produzione di calore è in genere causata dall’energia utilizzata negli edifici
principalmente per il riscaldamento, il raffrescamento e i processi di trasformazione (in ambito industriale). Nel settore dei trasporti è invece noto che l’utilizzo massiccio di motori endotermici per il
trasporto privato comporta una notevole dissipazione sotto forma di calore dell’energia trasformata.
122
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Le emissioni di calore antropiche sono estremamente mutevoli e possono variare nel corso del
tempo e delle stagioni. Nei climi più freddi sono in genere più elevate durante l’inverno; viceversa
nei climi più caldi è il maggior ricorso ai condizionatori durante la stagione estiva a rappresentare
una delle principali cause dell’acuirsi del fenomeno “isola di calore” (Gartland, 2008). Molti studi
hanno concluso come sia quasi impossibile generalizzare i risultati delle rilevazioni ogni volta effettuate: le condizioni che determinano l’emissione di calore antropogenico sono infatti legate alle
caratteristiche dei territori, all’importanza e alla grandezza delle città, al clima, alla struttura dei trasporti, ai materiali e alle tecnologie degli involucri edilizi, alla maggiore/minore presenza di attività
industriali. Nel caso dei consumi per il raffrescamento degli ambienti domestici durante il periodo
estivo, le emissioni di calore antropico si intensificano proprio quando sussistono effetti di isola di
calore, in una sorta di loop che non fa altro che alimentare ulteriormente il fenomeno5.
A Londra è stato verificato come la domanda di raffrescamento degli ambienti durante l’estate
sia del 24% maggiore rispetto alle zone rurali circostanti, mentre quella per il riscaldamento invernale del 22% inferiore (Authority GL, 2006). Alla luce di questo bilanciamento si potrebbe pensare
che in fondo in alcune città nordeuropee un aumento delle temperature possa anche risultare tollerabile. Tuttavia la questione andrebbe analizzata considerando la totalità delle conseguenze: molte
città nordeuropee non sono in realtà attrezzate a convinvere con il calore eccessivo. Aspetti molto
distanti tra loro, come la struttura degli spazi costruiti o la percezione del pericolo da parte dei cittadini, si stanno adattando solo ora a fronteggiare il problema. Accade così che le conseguenze del
caldo anomalo siano in genere peggiori rispetto al verificarsi di inverni rigidi.
Quali sono le opzioni per la corretta gestione e mitigazione dell’effetto “isola di calore urbana”?
Le politiche di mitigazione e adattamento all’isola di calore urbana dovrebbero sempre considerare approcci multiscalari (con riferimento allo spazio) e dinamici (con riferimento al tempo).
Le isole di calore urbane, la loro percezione/problematicità sono fenomeni complessi e in mutazione,
un prodotto di molteplici fattori di cui occorrerebbe, ove possibile, approfondire la conoscenza.
Il clima sta cambiando, così come le città: cambia la loro struttura demografica, cambia la
capacità di adattamento, la resilienza; cambiano le abitudini o si consolidano modelli di consumo
talvolta insostenibili. Alla luce di ciò qualsiasi tentativo di azione dovrebbe necessariamente trarre le
mosse da scenari di riferimento futuri. Su questi è possibile innestare diversi tipi di intervento, a seconda della scala spaziale. Qui ne possiamo distinguere tre: la scala urbana o metropolitana, quella
locale o di quartiere, e infine la scala micro, di strada o edificio. A queste tre scale fanno banalmente
riferimento diverse tipologie di politiche e interventi (non per forza incoerenti tra di loro): se ad
esempio alla scala micro è possibile agire sugli elementi costruttivi del tessuto urbano – strade ed
edifici – alla scala locale occorre invece partire un disegno urbanistico che consideri organicamente
caratteristiche come l’orientamento e l’altezza degli edifici, la presenza di spazi verdi e la disposizione degli assi viari. A una scala vasta è possibile infine ripensare l’assetto funzionale e il disegno dei
grandi spazi aperti (corridoi di ventilazione).
Agire, tuttavia, non significa unicamente progettare in maniera diretta: le amministrazioni pubbliche possiedono tutti gli strumenti normativi per indirizzare una corretta progettazione.
I regolamenti edilizi o le norme tecniche di attuazione ai piani assolvono di fatto a questo scopo.
Inoltre, adottando un approccio orientato ai fini (il miglioramento delle condizioni microclimatiche urbane), la cassetta degli attrezzi – ovvero i mezzi a disposizione – arriva a comprendere
anche azioni e politiche costruite per altri obiettivi: la mitigazione e l’adattamento al fenomeno
dell’isola di calore sono infatti strategie che naturalmente ricadono all’interno di altri domini dell’azione pubblica.
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
123
Qui di seguito vengono brevemente elencate le soluzioni tecnologiche (e non) più comunemente adottate nelle politiche di mitigazione delle isole di calore urbane. Si tratta di materiali e
tecniche relativamente nuove, come i cool e green roofs (rispettivamente “tetti freddi” e “tetti verdi”),
o i cool streets/pavements. A un livello più ampio si collocano invece soluzioni come la progettazione
degli spazi verdi urbani o l’ottimizzazione dello Sky View Factor, anche definibile come l’ottimizzazione del rapporto tra volumi edificati e spazi aperti.
I tetti freddi (o cool roofs)
La maggior parte dei tetti delle città italiane è composta da tegole e materiale di copertura a
bassa albedo e a ridotta emissività termica. Durante le giornate più calde e a causa della grande
capacità di immagazzinare il calore questi materiali tendono a surriscaldarsi eccessivamente (fino
a 70-80 gradi), rilasciando lentamente il calore durante le ore notturne e determinando così un innalzamento delle temperature a livello locale6. Ciò non accade invece nel caso dei tetti freddi, i quali
non si surriscaldano eccessivamente per via delle alte albedo e per l’emissività termica dei materiali
e della colorazione che li compongono.
I tetti freddi rallentano i processi di deterioramento dovuti al calore (che – come noto – espande e contrae i materiali), garantiscono un adeguato livello di comfort termico degli spazi interni e
– quando integrati con altri interventi – anche degli spazi esterni. In astratto, se una città fosse coperta estensivamente da tetti freddi, gli effetti potrebbero essere talmente forti da modificare il microclima dell’intera area urbana (Gartland, 2008). Questo perché i tetti freddi possiedono valori di
riflessività maggiori rispetto anche alle coperture vegetali, garantendo in questo modo un feedback
positivo sulle temperature particolarmente incisivo.
I tetti freddi necessitano di pulizia e manutenzione frequenti, dal momento che i depositi di
sporcizia o di inquinanti compromettono nel tempo le capacità riflettenti; tuttavia i costi complessivi nell’intero ciclo di vita sono generalmente più bassi rispetto ai tetti convenzionali a causa della
minore compromissione dovuta al calore.
I materiali altamente riflettenti rappresentano un modo senz’altro efficace per mitigare l’effetto
“isola di calore urbana”, come è stato documentato in molti studi (su tutti Haberl - Cho, 2004). Essi
hanno inoltre il vantaggio di non essere particolarmente costosi o di difficile applicazione, non richiedendo perciò una manodopera estremamente specializzata.
Tetti verdi (o green roofs)
I tetti verdi sono composti da uno strato di suolo e vegetazione isolato alla base per mezzo di
una membrana impermeabile. Come i tetti freddi, anche i tetti verdi possono avere un forte impatto
sul clima locale e urbano se applicati estensivamente. Nelle ore diurne le temperature superficiali
possono essere fino a 20-40 gradi inferiori rispetto a quelle dei tetti convenzionali, in particolare
grazie alla capacità del tutto identica a quella delle aree verdi di favorire un equilibrato processo di
evapo-traspirazione.
La loro albedo è simile a quella dei tetti freddi, variando a seconda della maggiore/minore disponibilità di acqua. A differenza dei cool roofs, i tetti verdi offrono una serie di vantaggi ulteriori per
la loro capacità di raccolta dell’acqua piovana, di mantenimento di condizioni di umidità ottimali
e di miglioramento della qualità dell’aria nell’ambiente urbano. Le performance variano a seconda
del tipo di realizzazione: la maggior parte dei tetti verdi è di tipo estensivo con profondità limitata
(fino a 100 mm di strato superficiale), impossibilità di fruizione dello spazio e limitato sviluppo delle
piante. In questi casi anche le performance risultano meno efficienti rispetto ai tetti verdi intensivi
124
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
6-7. In alto, esempio di cool roof a Los Angeles.
In basso, veduta da satellite di Manhattan, sui cui grattacieli prevalgono i tetti “bianchi”.
8. La Chicago City Hall (foto del National Geographic) è uno degli esempi meglio riusciti
di intensive green roof.
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
125
(a partire da 100 mm di profondità), nei quali è invece possibile prevedere la fruizione a patto di
garantire – in fase di progetto – la stabilità strutturale (facendo fronte a un aumento dei costi7).
Tra gli altri vantaggi legati a questa soluzione c’è anche quello di ridurre la portata del flusso d’acqua nelle infrastrutture fognarie in modo da evitarne il sovraccarico e recuperare – ove possibile –
le acque meteoriche da destinare a usi domestici.
Urban greening: la progettazione di nuove aree verdi urbane
L’introduzione di nuove aree verdi in ambito urbano può essere uno dei metodi più efficaci
per fronteggiare il problema dell’effetto isola di calore e allo stesso tempo migliorare la qualità dello
spazio urbano. Ciò può essere fatto con interventi di maggiore o minore portata e con diverso grado di efficacia: in ogni caso è bene sapere che anche la sola presenza di filari di alberi è in grado di
fornire un grande contributo schermando la luce, offrendo riparo nei giorni più caldi e abbattendo
la temperatura alla superficie di 5-10 gradi (Chen et al., 2010). La semplice ombreggiatura degli spazi
è perciò un’azione tanto semplice quanto efficace, che può essere estesa anche alle superfici verticali
degli edifici: Sandifer e Givoni (2002) hanno infatti calcolato che le coperture vegetali verticali possono ridurre la temperatura superficiale delle facciate anche di 20 gradi.
L’effetto mitigatore delle aree verdi sulle temperature può estendersi fino a 200-400 metri dal
loro margine esterno, sebbene – come verificato nel caso di Firenze (Petralli et al., 2006) – l’effetto
tenda chiaramente ad attenuarsi man mano che ci si allontana.
Superfici “fredde” (o cool pavements)
Così come nel caso dei tetti, anche le strade e gli spazi pavimentati sono caratterizzati solitamente da superfici con bassa albedo ed emissività. L’installazione di materiali ad alta riflettività
solare e con una buona permeabilità è senz’altro un’altra strategia efficace per perseguire obiettivi di
mitigazione delle alte temperature urbane. L’uso di questi materiali riduce l’assorbimento del calore
e, non permettendo all’acqua di defluire negli impianti fognari, favorisce lo scambio termico al pari
di quanto avviene nelle aree verdi. Si conosce tuttavia ancora poco circa le interazioni tra l’utilizzo di
questi materiali e l’esistenza di effetti canyoning in cui il calore di scambio rimane intrappolato negli
spazi interstiziali presenti tra gli edifici. Per questo le soluzioni che prevedano l’impiego di materiali
ad alta riflettività dovrebbero essere supportate da modelli in grado di simulare il comportamento
termico degli spazi interessati.
Fattore di vista (o Sky View Factor)
9-10. Il verde urbano ha un’azione mitigatrice del clima locale,
migliorando le condizioni di umidità dell’aria (schema in alto)
e di estetica dello spazio (disegno in basso). (Fonte: EPA, 2008).
126
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
In aggiunta a quanto già descritto, vanno infine ricordate le soluzioni riguardanti la forma
urbana e il rapporto tra spazio costruito e spazio aperto. Un importante fattore che contribuisce al
processo di raffreddamento delle temperature notturne è la misura dello Sky View Factor, ovvero
la porzione di cielo visibile dalla superficie: il raffreddamento nelle ore notturne è infatti tanto più
lento quanto maggiore è l’altezza degli edifici e minore l’ampiezza delle strade. A questo va aggiunto
che la presenza di strade o spazi ampi il cui orientamento non sia in direzione dei venti prevalenti
ostacola il ricambio dell’aria e la rimozione del calore e degli inquinanti accumulati. Le nuove porzioni di città o quelle che stanno subendo trasformazioni rilevanti dovrebbero quindi essere pensate
per ottimizzare lo Sky View Factor e la ventilazione, due fattori decisivi nell’opera di mitigazione
dell’effetto isola di calore urbana.
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
127
Note conclusive
Riferimenti bibliografici
Sebbene i climatologi abbiano studiato il fenomeno delle isole di calore urbane per decenni,
l’interesse delle comunità e dell’opinione pubblica è maturato soltanto in tempi più recenti e in concomitanza con il verificarsi di eventi estremi – quali le ondate di calore – le cui conseguenze hanno
interessato prevalentemente i contesti urbani. Questa maggiore attenzione al problema sta contribuendo su scala globale a promuovere alcune strategie di adattamento e mitigazione del fenomeno.
Tuttavia il nostro paese sembra scontare un certo ritardo e ancora non si registrano esperienze
significative.
Questo contributo ha cercato di fornire qualche indizio per la comprensione del problema,
tentando di offrire una piccola panoramica delle tecniche esistenti di contrasto dell’isola di calore
urbana. È auspicabile tuttavia che dalle singole tecniche si passi a soluzioni e politiche maggiormente integrate, frutto di strategie urbanistiche di ampio respiro.
Sono ancora poche le città che stanno affrontando il problema attraverso un’ottica di piano.
Gli esempi tuttavia possono fornire idee e spunti, ma non possono sostituirsi a un’analisi (climatica) del contesto, dei suoi problemi e delle sue esigenze: questo è punto di partenza obbligatorio per
chiunque voglia cimentarsi in una nuova progettazione – climaticamente orientata – del territorio.
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1 Proprio a Londra l’intensità dell’effetto isola di calore è passato da una media notturna di 4-5 °C ai 7 gradi attuali,
con punte di 9 gradi durante eventi estremi come l’ondata di calore dell’estate 2003 (EST, 2005). In Italia la città di Milano
in 160 anni ha visto invece aumentare la temperatura dell’aria al suolo di 2,5 °C per le temperature massime e di 0,9 per le
minime (Rossi et al., 2007).
2 Durante l’ondata di calore anomalo che colpì l’Europa nell’estate del 2003, la gran parte dei decessi si è verificata
nelle grandi metropoli (Parigi e Londra su tutte). Sempre in occasione di un’ondata di calore nel 1995 a Chicago il numero dei
ricoveri ospedalieri registrò valori mediamente più alti nelle zone centrali e più dense della città (Authority GL, 2006).
3 A tal proposito il nostro paese ha sperimentato nel 2003 uno dei blackout elettrici storicamente più significativi
proprio in corrispondenza dell’ondata di caldo anomalo già menzionata.
4 Che tecnicamente è la porzione di cielo visibile da terra. Quanto maggiore è questo fattore, tanto maggiore è l’incidenza della radiazione solare diretta sulla superficie, con un conseguente minore comfort termico durante le giornate di forte
irraggiamento solare.
5 L’effetto dell’aumento della temperatura sulla domanda di energia è stato studiato da Akbari (2001), il quale ha concluso che aumenti di 1 grado (della scala Celsius) durante i periodi estivi comportano un aumento della domanda energetica
compreso tra il 2 e il 4%.
6 I processi di surriscaldamento accelerano inoltre il deterioramento delle coperture, intaccando le capacità di isolamento delle componenti e provocando nel lungo periodo un aumento della domanda di energia per il riscaldamento e il
raffrescamento degli ambienti sottostanti.
7 Questa tecnica sta trovando larga applicazione nei paesi del nord Europa (in Austria, Svizzera e Germania in particolare) e in Nord America, dove la città di Toronto ha avviato un ambizioso piano di adeguamento delle coperture cittadine,
con l’obiettivo ambizioso di coprire con tetti verdi il 50% della superficie disponibile.
128
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
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Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
129
1.2.Dati, rilevazioni e descrizione del fenomeno UHI
Marco Noro, Renato Lazzarin
Introduzione
In maniera del tutto generale è possibile delineare alcune caratteristiche peculiari dell’ambiente urbano: l’elevata densità abitativa, la concentrazione dei consumi di energia (per i fabbisogni degli edifici, il traffico veicolare e le attività dell’uomo) e la scarsità di aree verdi. Una delle
conseguenze principali è il fenomeno delle isole di calore urbane: il clima urbano, soprattutto ma
non solo nella stagione estiva, è sistematicamente più caldo di quello delle campagne limitrofe
con variazioni significative anche all’interno della città. In funzione della latitudine e quindi del
clima cui ci si riferisce, il fenomeno può essere positivo (in inverno diminuiscono i fabbisogni per
il riscaldamento degli edifici) ovvero negativo (aumento dei fabbisogni di raffrescamento e acutizzazione dei fenomeni di stress termico in soggetti particolarmente sensibili come gli anziani).
Gli effetti principali di questa differenza di temperatura all’interno dei centri urbani, dove il fenomeno si manifesta in modo sensibile, sono:
– un peggioramento per gli abitanti delle condizioni termoigrometriche estive nell’ambiente
esterno;
– un incremento del consumo energetico (degli edifici e dei trasporti);
– un aumento delle emissioni inquinanti e dei gas serra.
Alla base dello stesso vi è un notevole numero di concause che interagiscono reciprocamente,
in relazione al particolare tessuto urbano considerato. In estrema sintesi, i principali fattori che si
possono richiamare sono:
– la conformazione del tessuto e dei canyon urbani che influenzano gli scambi termici per radiazione e convezione tra le superfici (orizzontali e verticali) e la volta celeste;
– il valore tipicamente non elevato (0,1-0,4) del fattore di albedo delle superfici dell’ambiente
urbano che corrisponde a un’elevata quantità di radiazione solare assorbita dalle stesse;
– la presenza di un’elevata concentrazione di sorgenti endogene di calore come motori termici,
caldaie per riscaldamento, condensatori di gruppi frigoriferi e, in generale, tutte le apparecchiature legate alle attività umane;
– l’effetto serra che viene amplificato dall’elevata concentrazione di inquinanti generalmente
presente nei centri urbani;
– la scarsità di superfici verdi che ha come effetto un maggior riscaldamento dell’aria dovuto alla
predominanza degli scambi termici sensibili rispetto a quelli di raffreddamento evaporativo
innescati dall’evapotraspirazione delle piante.
Il fenomeno delle isole di calore urbane è stato studiato ampiamente negli ultimi cinquant’anni
nelle grandi metropoli mondiali (Atene, Londra, Berlino, Vancouver, Montréal, New York, Tokyo,
Hong Kong sono alcuni esempi). In Italia lo studio del fenomeno è relativamente più recente e sostanzialmente legato alle città di maggiori dimensioni come Bologna, Milano, Firenze e Roma. Studi
svolti su città di medie dimensioni, con popolazioni dell’ordine delle centinaia di migliaia, sono praticamente assenti: sono noti solo i casi di Modena e Trento. Un primo tentativo per quanto riguarda
una città del Veneto coinvolge Padova, dove tra il 2010 e il 2011 sono state svolte delle indagini sperimentali tramite transetto mobile da un gruppo di ricerca dell’Università degli Studi di Padova. Uno
studio di maggior respiro è stato intrapreso a partire dal 2012 da chi scrive, nell’ambito del progetto
131
di ricerca europeo “UHI - Development and application of mitigation and adaptation strategies and
measures for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon” (3CE292P3): in questa sede
vengono descritti le attività e i risultati raggiunti con riferimento alle attività sperimentali e di simulazione svolte. Preventivamente a questo, il paragrafo successivo dà un inquadramento generale
delle problematiche alla base della misurazione del fenomeno.
Le metodologie di analisi adottate
Acquisizione di dati meteorologici
Per caratterizzare il fenomeno risulta indispensabile avere a disposizione alcuni dati meteorologici, tra i quali i principali sono sicuramente la temperatura a bulbo secco (b.s.) e l’umidità
dell’aria, la radiazione solare incidente al suolo e la velocità del vento. In condizioni di abbondanza
di risorse, la soluzione migliore sarebbe certamente quella di disporre (con geometria radiale piuttosto che con disposizione a griglia) numerose stazioni fisse di misura sul territorio cittadino, in
modo da rilevare le variabili testé citate nei diversi tessuti (urbano, suburbano, rurale) in maniera
simultanea e continuativa per un periodo di tempo adeguato (uno o più anni). In realtà, in generale
si possono individuare almeno tre possibili modalità operative per le misure:
a) utilizzo dei dati misurati e registrati (con cadenza fissata) da due stazioni meteorologiche fisse
situate una in zona urbana e l’altra in zona rurale del territorio urbano;
b) misure su transetto mobile, realizzate utilizzando sensori di misura installati su un veicolo
che percorre numerose volte un prestabilito percorso attraversando i diversi ambiti territoriali
e misurando in maniera continuativa le variabili di interesse;
c) misure con stazione meteo mobile in siti prescelti del tessuto urbano, suburbano e rurale.
Le diverse modalità presentano aspetti sia positivi che negativi. La modalità a) è forse la meno
“onerosa” dal punto di vista operativo, ma consente di ottenere dei dati solo sulle grandezze misurate
dalla stazione e soprattutto nei luoghi in cui la stazione è costruita, senza possibilità di “mappatura”
del territorio. In tal senso, essa può essere utile al fine di una prima approssimativa identificazione
della presenza del fenomeno. La modalità b), effettuata ad esempio mediante un autoveicolo su cui
siano montati i sensori di misura necessari, consente di ottenere una sorta di “mappatura” della città, ma in una dimensione (quella del percorso stabilito). Per ottenere una mappatura sul territorio
(su due dimensioni quindi) occorrerebbe svolgere una serie molto numerosa di transetti, peraltro
in tempi necessariamente diversi e quindi con condizioni al contorno non costanti, con risultati poi
difficilmente confrontabili. La modalità c) appare un opportuno compromesso fra la necessità di
misurare dati in tempi non eccessivamente lunghi e la possibilità di caratterizzare, dal punto di vista
del fenomeno “isola di calore”, almeno alcune situazioni caratteristiche del territorio.
Le modalità operative che gli autori hanno utilizzato nel comune di Padova sono state quindi la
a) e la c), con svolgimento di misure in transetto fra i siti prescelti per quanto riguarda le grandezze
fisiche fondamentali per la caratterizzazione del fenomeno.
Descrizione dell’indagine sperimentale
In relazione alla prima metodologia succitata, sono stati utilizzati i dati misurati dalle stazioni
meteorologiche ARPAV (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Veneto) dell’Orto Botanico (zona urbana della città, nel centro cittadino) e di Legnaro (zona rurale a 8,5 km di distanza)
(tab. 1 e fig. 1). I dati utilizzati hanno riguardato la temperatura a b.s. dell’aria e la velocità del vento
a 2 m sul livello del terreno, forniti con cadenza oraria e misurati nell’arco temporale 01/01/1994
- 31/12/2011. Non tutti i valori orari sono risultati disponibili a causa di interruzioni o malfunzionamenti della strumentazione nel corso del periodo.
132
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
1. Posizione geografica delle due stazioni meteorologiche (Google Earth).
2. Il percorso lungo il quale sono state svolte le misure in transetto, dalla zona nord-ovest verso sud-est di Padova
(Google Earth).
3. Veicolo equipaggiato con la strumentazione utilizzata per le rilevazioni in transetto e in situ: termo-igrometro,
anemometro, globotermometro (la posizione ravvicinata alla vettura è solo esemplificativa),
acquisitore dati alimentato da batteria ricaricabile (12 V - 15 Ah).
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
133
Tab. 1. Caratteristiche geografiche delle due stazioni meteorologiche ARPAV
Stazione
Longitudine
Latitudine
Altitudine a.s.l.
Orto Botanico (tessuto urbano)
45° 23’ 58’’ N
11° 52’ 48’’ E
12 m
Legnaro (tessuto rurale)
45° 20’ 60’’ N
11° 57’ 25’’ E
8m
In relazione alla metodologia di indagine c) gli autori hanno svolto una campagna di misure sperimentali durante l’estate 2012 al fine di caratterizzare spazialmente il fenomeno. Il percorso
progettato (23+26 km di lunghezza) inizia e termina nella zona nord-est di Padova, attraversando il
centro cittadino fino alla campagna di Legnaro (fig. 2). Le sessioni di misura sono state principalmente notturne (tra 1 e 4 ore dopo il tramonto, al fine di indagare il fenomeno durante il periodo
in cui potenzialmente è di entità maggiore), ma in alcuni casi anche diurne (tardo pomeriggio, per
valutare il fenomeno anche durante il giorno). Le stesse sessioni di misura sono state svolte con
condizioni meteorologiche al contorno stabili (assenza di vento, cielo sereno).
Le principali variabili misurate dalla stazione mobile equipaggiata sul veicolo sono state la
temperatura a b.s., l’umidità relativa e la radiazione solare globale sull’orizzontale, con un timestep pari a 5 s (fig. 3 e tab. 2). Si è scelto si effettuare delle ulteriori misure in situ, cioè fermando il
veicolo e acquisendo i dati anche di temperatura media radiante (mediante un globotermometro e
solamente durante le sessioni notturne) e la velocità del vento (tramite un anemometro a coppette).
I siti scelti a tal fine sono stati cinque, esemplificativi di altrettante tipologie di tessuti urbani caratteristici di una media città italiana come Padova; lo scopo è quello di utilizzare le considerazioni
tratte dall’analisi sperimentale e simulativa che qui si sta descrivendo applicandole a realtà diverse
ma simili del contesto territoriale veneto e, più in generale, italiano. I siti scelti sono stati:
– tessuto misto;
– tessuto medievale (centro storico);
– tessuto residenziale (anni Settanta) ad alta densità;
– tessuto residenziale (anni Settanta) a bassa densità;
– tessuto produttivo (zona industriale).
134
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Tab. 2. Principali strumenti di misura e apparecchiature utilizzati
durante la campagna di misure nell’estate 2012 a Padova
Strumento /
apparecchiatura
Modello
Caratteristiche
Range:
Termoigrometro
Ricevitore GPS
Piranometro
Anemometro
Datalogger
LSI Lastem
DMA672,1
T: (-30÷70 °C)
RH: (0÷100%)
Accuratezza:
T: ±0,1 °C
RH: ±1,5% (5÷95%)
±2% (<5% or >95%)
Collegato al notebook (Garmin 16-HVS GPS) o iPhone app (EasyTrails)
o Android app (Maverick)
LSI Lastem
DPA053
Range: 300÷2800 nm
< 2000 W m-2
LSI Lastem
Range: 0÷65 m s-1
Accuratezza: ±1% valore letto
DNA031#C
E-Log ELO305
12 input (8 analogici, 2 impulso, 2 on/off)
6 output
A/D converter 16 bit
2 MB memoria
Alimentazione 12 VDC
Display 4 x 20 caratteri
2 serial output RS232
GPRS, GSM e Modbus RTU
Una singola sessione di misura si è articolata nei seguenti step successivi:
predisposizione dei sensori di misura e loro collegamento al sistema di acquisizione dati, con
verifica in tempo reale dei valori misurati tramite collegamento a notebook;
– sincronizzazione degli orologi del notebook (e quindi del sistema di acquisizione) con quelli
del sistema GPS di tracciatura del percorso;
– partenza con autoveicolo lungo il percorso stabilito, con misura in transetto delle variabili
succitate con time-step di 10 s;
– fermata presso il sito di misura di interesse preventivamente prestabilito. Qui si sono continuate le misure delle variabili e, contemporaneamente, si è determinato un punto di osservazione
caratteristico del sito, non troppo vicino alle superfici verticali (pareti degli edifici) e orizzontali (strada, marciapiede o verde) indicativamente a una distanza minima di 1,5 m e riparato
dalla radiazione solare diretta (com’é ovvio, nelle sessioni diurne). Da questo punto si sono
effettuate le misure di temperatura media radiante e di velocità del vento.
Il rilievo dei principali metadati (caratteristiche del sito come distanza degli edifici, dimensione
degli stessi, distanza di eventuali alberi, orientazioni, tipo di utilizzo prevalente del terreno, percentuali
indicative di coperture superficiali suddivise fra superfici erbose, costruite, acquose, altezza della vegetazione e degli edifici tipici, materiali delle superfici) è stato effettuato per uno solo dei cinque siti (tessuto
residenziale ad alta densità). Esso è stato svolto sia in maniera tradizionale, attraverso una rilevazione
visiva sul campo, sia mediante analisi dei dati tridimensionali LiDAR.
–
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
135
Elaborazione e analisi dei dati
Una volta raccolti tutti i dati in precedenza descritti si è proceduto alla loro elaborazione e
analisi, al fine di:
– quantificare l’entità del fenomeno UHI lungo il transetto e nei diversi siti scelti, principalmente
mediante il confronto delle temperature rilevate. In realtà, per compensare il fatto che i rilievi
sono stati effettuati in tempi diversi (ogni sessione di misura durava 2,5-3 ore), si è calcolato il
dato della differenza di temperatura dei diversi punti rispetto a una temperatura di riferimento
(la stazione ARPAV situata in zona rurale), confrontando i valori misurati in ogni punto a una
determinata ora con quelli registrati nella stazione meteo di riferimento alla medesima ora.
Questi ultimi sono forniti come media nel quarto d’ora: gli autori hanno considerato il valore
rappresentativo dell’istante centrale dell’intervallo, operando poi per interpolazione lineare per
gli istanti intermedi. L’effetto “isola di calore” è stato così quantificato in termini differenziali e
non assoluti. Si noti come si sia utilizzato il solo percorso sud-est verso nord-ovest (il “ritorno”)
per valutare nel modo appena descritto l’intensità del fenomeno UHI: questo per avere una
valutazione “in sicurezza”, sia dal punto di vista spaziale – ci si sta muovendo dalla campagna
al centro città – sia dal punto di vista temporale – si sta andando verso le ore notturne più fresche. Per le stesse ragioni, le rilevazioni in situ sono state svolte solamente durante il percorso
di “andata” (nord-ovest verso sud-est) (fig. 2);
– evidenziare delle possibili correlazioni tra l’effetto isola di calore misurato e le principali variabili da cui esso dipende, in particolare quelle rilevate e legate sostanzialmente alle caratteristiche del sito di misura descritte nel precedente paragrafo;
– ciò è stato fatto effettuando delle simulazioni con due modelli di calcolo, RayMan ed ENVI-met,
con lo scopo di verificare come varino i principali indicatori di comfort umano (temperatura
dell’aria, temperatura media radiante, PMV, PET, SET*) al variare di alcune caratteristiche dei siti
oggetto delle misure. Si fa cenno qui ai risultati relativi all’utilizzo del primo modello, rimandando ad altri lavori degli autori citati in bibliografia per i risultati relativi all’utilizzo di ENVI-met.
Analisi dei risultati sperimentali
Analisi dei dati meteorologici delle stazioni fisse
Per quanto riguarda la prima metodologia di analisi descritta in precedenza, sono stati calcolati i valori medi mensili dei minimi, medi e massimi giornalieri di temperatura dell’aria forniti da
ARPAV. Inoltre sono stati calcolati due ulteriori indici, utili ai fini della comprensione macroscopica
del fenomeno: il numero di gradi giorno di riscaldamento (Heating Degree Day, HDD) e di raffrescamento (Cooling Degree Day, CDD). Calcolati secondo il metodo Eurostat (Eurostat, 2010), questi
danno un’indicazione di quanta energia sia necessaria per il riscaldamento e il raffrescamento degli
edifici in funzione della temperatura dell’aria nella località considerata:
HDD = Σ(18-Tm) se Tm15 °C
CDD = Σ(18-Tm) se Tm≥15 °C
HDD = 0 se Tm>15 °C CDD = 0 se Tm<15 °C
dove Tm è la temperatura media giornaliera e la sommatoria è estesa all’intero anno.
Le medie annuali dei valori medi mensili delle temperature massime, medie e minime giornaliere
sono rispettivamente 0, 0,5 e 1,5 °C più elevate nella stazione meteorologica dell’Orto Botanico (centro
urbano) rispetto alla stazione di Legnaro (rurale) (fig. 4). Poiché i valori minimi si riferiscono tipicamente alle ore notturne, se ne può dedurre che esiste un effetto (medio) di più elevata temperatura
136
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
4. Valori medi mensili delle temperature minime, medie e massime giornaliere nel periodo 1994-2011
(elaborati a partire dai valori forniti dalle stazioni ARPAV dell’Orto Botanico (tessuto urbano) e di Legnaro (rurale).
I dati relativi agli anni 1995 e 1996 sono mancanti.
5. Valori medi annuali delle differenze tra le temperature minime, medie e massime giornaliere
nel periodo 1994-2011 (elaborati a partire dai valori forniti dalle stazioni ARPAV dell’Orto Botanico (tessuto urbano)
e di Legnaro (rurale). I dati relativi agli anni 1995 e 1996 sono mancanti.
6. Numero di gradi giorno di riscaldamento (HDD) e raffrescamento (CDD) calcolati a partire dai dati
rilevati dalla stazione ARPAV dell’Orto Botanico (tessuto urbano) nel periodo 1994-2011.
I dati relativi agli anni 1995 e 1996 non sono stati stimati perché mancanti
(per lo stesso motivo non è stato possibile determinare gli andamenti relativi alla stazione di Legnaro).
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
137
dell’aria nel centro cittadino rispetto alla campagna che si configura come essenzialmente notturno.
Tale differenza di temperatura è presente ogni mese dell’anno, ma risulta più evidente in estate (circa
2 °C in luglio).
Inoltre, la figura 5 evidenzia che, nonostante la differenza tra le temperature massime giornaliere registrate dalle due stazioni sia mediamente nulla nel periodo considerato (1994-2011), questo
in realtà è il risultato della compensazione che avviene tra una differenza negativa durante il primo
periodo (1994-2000) e una differenza positiva successiva, rivelando una tendenza che può essere
letta come un crescente aumento della presenza dell’effetto UHI nelle ore diurne (quando appunto
si registrano le temperature massime giornaliere). Questo potrebbe spiegare l’andamento crescente
anche dei gradi giorni di raffrescamento (fig. 6). Per inciso, l’aumento di traffico e la crescita del
vicino ospedale potrebbero almeno in parte giustificare l’aumento dell’intensità del fenomeno UHI
attorno all’Orto Botanico.
Misure sperimentali in transetto
Durante il periodo luglio-agosto 2012 sono state svolte numerose sessioni di misura delle quali
vengono qui sintetizzati i principali risultati. In generale le sessioni notturne hanno rilevato un
andamento più regolare delle variabili rispetto a quelle diurne, grazie alle più stabili condizioni
meteorologiche al contorno (minore ventosità, minore presenza di correnti d’aria ascensionali, assenza di ombreggiamenti). I risultati, in termini di temperatura b.s. dell’aria, indicano una presenza
significativa del fenomeno UHI essenzialmente durante le ore notturne (3-6 °C) piuttosto che in
quelle diurne (1,2-2 °C) (fig. 7). Per quanto già spiegato in precedenza, per la valutazione del fenomeno ci si riferisce ai dati misurati solamente durante il percorso di ritorno. Per quel che riguarda
le sessioni notturne, l’intensità UHI minima si è registrata in una via laterale (su fondo sterrato in
aperta campagna) di via Roma, percorsa solamente al termine del percorso di andata (vedi anche
la successiva tab. 7).
L’intensità massima del fenomeno è stata misurata invece nelle strette vie (elevato rapporto
H/W, altezza media degli edifici su larghezza media della strada) del centro storico. Si può notare
dalla figura 7 come, percorrendo via Guizza (una lunga strada che dal tessuto suburbano porta
verso il centro cittadino), l’intensità dell’isola di calore aumenti: ciò è dovuto all’aumentare del rapporto H/W e delle superfici impermeabili, sia verticali, sia orizzontali, che si affacciano sulla strada.
Il tratto successivo del percorso (via Goito) costeggia il canale San Gregorio: è evidente l’effetto di
raffreddamento evaporativo dell’aria che questo consente.
Alcune considerazioni possono essere fatte anche nei confronti delle misure dell’umidità
dell’aria. La figura 8 illustra l’andamento dell’umidità relativa e specifica (che, a differenza della prima, non dipende dalla temperatura) durante una sessione di misura notturna. La curva evidenzia
dei picchi in concomitanza con il passaggio vicino a zone del percorso caratterizzate da maggior
presenza di sorgenti d’acqua (canali, fiumi, vegetazione); tuttavia è evidente la presenza di un gradiente di umidità dalla campagna verso il centro urbano (da 12,8 a 12 gv kga-1). L’effetto è ancora più
marcato durante il giorno, a causa della maggior evapotraspirazione delle superfici permeabili del
tessuto rurale dovuta alla presenza della radiazione solare.
Si noti in figura 7 il particolare comportamento di Prato della Valle in centro città: si tratta di
una famosa e caratteristica piazza, la seconda per estensione in Europa (la prima è piazza Rossa a
Mosca). Come si nota anche dalla successiva tabella 8, vi è una notevole presenza di superfici erbose
e flussi d’acqua: ci si potrebbe attendere per questo una diminuzione della temperatura dell’aria durante le sessioni di misura in corrispondenza del passaggio del veicolo. Viceversa si nota la presenza
di un massimo (asterisco nella figura). In realtà proprio il fatto che il passaggio è avvenuto attorno
alla piazza e non attraverso la stessa evidenzia come l’influenza delle superfici verdi e dell’acqua
superficiale risulti essere molto localizzata.
Misure sperimentali in situ
Come scritto più sopra, in cinque punti caratteristici delle diverse tipologie urbane attraversate
durante il percorso sono state svolte delle sessioni di misura in situ, misurando, oltre a temperatura
b.s. e umidità dell’aria, velocità dell’aria e temperatura media radiante. Questi dati sono stati successivamente elaborati attraverso il modello RayMan al fine di calcolare alcuni indici di comfort
termoigrometrico outdoor: il voto medio previsto (Predicted Mean Vote, PMV), la Temperatura Fisiologica Equivalente (Physiological Equivalent Temperature, PET) e la temperatura effettiva standard (Standard Effective Temperature, SET*). La tabella 3 riporta un confronto tra i tre indici al fine
di rendere le successive tabelle (tab. 4 - tab. 10) più facilmente leggibili.
Tab. 3. Confronto tra le diverse scale dei tre indici di comfort termoigrometrico
PMV
PET (°C)
SET* (°C)
Sensazione
>3 (3,5)
41
>37,5
Molto caldo, elevato discomfort
2 – 3 (2,5)
35
34,5 – 37,5
Caldo, decisamente inaccettabile
1 – 2 (1,5)
29
30 – 34,5
Caldo, non confortevole, inaccettabile
0,5 – 1 (0,5)
23
25,6 – 30
Leggermente caldo, leggermente inaccettabile
22,2 – 25,6
Confortevole, accettabile
-1 – -0,5 (-0,5)
-0,5 – 0,5
18
17,5 – 22,2
Leggermente freddo, leggermente inaccettabile
-2 – -1 (-1,5)
13
14,5 – 17,5
Freddo, inaccettabile
-3 – -2 (-2,5)
8
10 – 14,5
Freddo, decisamente inaccettabile
< -3 (-3,5)
4
<10
Molto freddo, elevato discomfort
Tutti gli indici vengono calcolati sulla scorta della conoscenza della temperatura media radiante
Tmr: come noto, si tratta di una grandezza che, per come è definita, rende conto degli scambi termici
per radiazione che l’individuo ha con le superfici con le quali si interfaccia. RayMan è un modello di
simulazione per il calcolo dei flussi termici e della Tmr (e altre variabili) compatibile con il sistema operativo Windows® in grado di analizzare tessuti urbani complessi e altri ambienti. Il modello richiede in
input alcuni semplici dati meteorologici (temperatura, umidità e velocità dell’aria) per la simulazione
138
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
139
7. Intensità del fenomeno UHI rilevato durante alcune delle sessioni di misura
(diurne e notturne). La linea tratteggiata verticale indica il punto (temporalmente)
di inversione lungo il percorso (i nomi delle vie si riferiscono alla fig.2).
L’asterisco rosso rappresenta il sito di Prato della Valle.
8. Umidità relativa (a) e specifica (b) rilevate durante una sessione di
misura notturna (30/07/2012). La linea tratteggiata verticale indica il punto
(temporalmente)
di inversione lungo il percorso (i nomi delle vie si riferiscono alla fig. 2).
26/07/2012
27/07/2012
30/07/2012
31/07/2012
02/08/2012
09/08/2012
140
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
a
b
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
141
degli scambi energetici e il calcolo degli indici di comfort prima descritti. A tal proposito, è opportuno
ricordare che mentre PET e SET* sono stati specificatamente definiti per valutare il comfort termoigrometrico in ambiente esterno, l’uso del PMV in tal senso è più controverso. In questo studio l’uso del
globotermometro per misurare la temperature del globo Tg è stato limitato alle sole sessioni notturne
(in assenza quindi di radiazione solare). Per tale ragione gli autori hanno ritenuto utile anche l’indice
PMV per la valutazione delle condizioni di comfort nei punti di misura in situ.
Le tabelle 4-8 riportano i dati delle misure effettuate presso i cinque siti e le relative immagini.
I siti differiscono per la tipologia di tessuto urbano, quindi per il decrescente rapporto H/W, la tipologia di superfici e il crescente SVF (Sky View Factor, fattore di vista del cielo, la frazione di volta
celeste “vista” dal soggetto presente sul sito nel punto di misura).
Via Rinaldi è un canyon urbano nella zona del centro storico (tab. 4). Il fondo stradale è realizzato in porfido, gli edifici con muri in mattoni intonacati e i tetti con tegole, non è presente alcun
tipo di vegetazione. Il sito è caratterizzato da un valore relativamente elevato del rapporto H/W
(larghezza della strada 5,5 m, altezza degli edifici compresa tra 8 e 12 m) e un basso valore dello SVF
(calcolato mediante il modello RayMan). Quest’ultimo fattore ostacola il rilascio di calore notturno
delle superfici verso la volta celeste, mantenendo la temperatura media radiante a valori uguali se
non maggiori della temperatura dell’aria (rispettivamente attorno a 29 °C e compresa tra 28 e 29 °C).
L’intensità del fenomeno UHI misurata durante le sessioni è stata sempre maggiore di 4 °C. Tali condizioni ambientali determinano, per una persona con abbigliamento estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero (80 W) una situazione di leggero stress termico (secondo gli indici PMV e PET) o di comfort (SET*). L’intensità misurata durante le sessioni diurne risulta invece molto bassa (0,4-0,8 °C),
con valori che potenzialmente risultano ancora minori se misurati durante le ore mattutine, quando la radiazione solare diretta non è ancora giunta sul punto di misura (tab. 4).
I siti successivamente indagati sono due zone del tessuto urbano residenziale, una ad alta
densità (via Pindemonte, tab. 5) e una a bassa densità (via San Basilio, tab. 6). La prima è una via
laterale di via Guizza (fig. 2), con presenza di condomini (altezza 18 m) e larghe strade (15 m); ciò
determina un rapporto H/W caratteristico minore di quello di via Rinaldi. Il fondo stradale è in
asfalto e vi è presenza di alberi e superfici verdi o comunque permeabili all’acqua (tab. 5). Lo SVF
risulta leggermente maggiore di quello determinato per via Rinaldi, tuttavia i valori di temperatura
media radiante sono ancora molto vicini a quelli della temperatura dell’aria b.s. (rispettivamente
28 e 27,2-27,7 °C). In ogni caso, i valori minori di Tmr e maggiori di velocità del vento rilevati in via
Pindemonte rispetto a via Rinaldi determinano dei valori inferiori degli indici di comfort e quindi,
in ultima analisi, un benessere maggiore.
La zona di via San Basilio (tab. 6) è caratterizzata da prevalenza di villette mono o plurifamiliari
con altezze medie di 6-8 m e larghezza della strada di 18 m; ciò determina un rapporto H/W piccolo
(0,4) e, anche in virtù dell’assenza di alberi, un elevato valore di SVF (0,75). Ciò giustifica il fatto che Tmr
è sempre inferiore (di 0,5-1 °C) alla temperatura b.s., determinando valori di PMV e PET di pieno comfort; in ogni caso l’intensità dell’isola di calore misurata durante le sessioni notturne è stata rilevante
(3-5 °C). Al contrario, durante le sessioni diurne l’effetto è praticamente trascurabile.
Il quarto sito di misura è una stradina laterale di via Roma, con fondo sterrato, che porta
in aperta campagna (tab. 7, fig. 2). In tale contesto, in assenza di ostacoli, il fattore di vista del
cielo è massimo e la Tmr è decisamente minore della temperatura dell’aria misurata (2-3 °C).
Ciò è determinato sia dall’elevato raffreddamento che la superficie agricola, di notte, può avere verso la volta celeste, sia dalle caratteristiche termofisiche della superficie stessa (maggiore emissività,
minore inerzia termica e maggiore capacità di accumulo idrico rispetto alle superfici impermeabili
tipiche dei tessuti urbani precedentemente descritti), caratteristiche che ne determinano una minore temperatura superficiale.
142
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Tab. 4. Valori sperimentali ottenuti durante le sessioni di misura in situ in via Rinaldi (centro storico, vedi
anche fig. 2). La “X” si riferisce al punto di misura. Gli indici di comfort si riferiscono a un individuo con
abbigliamento estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero (80 W sopra il metabolismo basale)
Via Rinaldi (H/W = 1,8 - SVF = 0,18)
Data
27 luglio
30 luglio
31 luglio
2 agosto
9 agosto
Ora
21:53
21:28
21:49
16:01
16:11
Temperatura (°C)
29,1
27,9
28,0
34,5
31,7
Intensità UHI (°C)
4,2
4,5
5,5
0,8
0,4
Umidità relativa (%)
57,1
45,6
41,9
33,4
33,1
Umidità specifica (gv kga-1)
14,5
10,7
9,9
11,4
9,7
0,3
0,2
0,2
0,9
0,5
T media radiante (°C)
28,7
29,0
28,9
PMV
1,4
1,2
1,2
PET (°C)
28,8
28,3
28,2
SET* (°C)
23,1
23,1
23,0
622
182
Velocità del vento
(m/s-1)
Radiaz. glob. orizz. (W m-2)
(Fonte: Google Earth - RayMan)
Tab. 5. Valori sperimentali ottenuti durante le sessioni di misura in situ in via Pindemonte (vedi anche fig. 2).
La “X” si riferisce al punto di misura. Gli indici di comfort si riferiscono ad un individuo con abbigliamento
estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero (80 W sopra il metabolismo basale)
Via Pindemonte (H/W = 1,2 - SVF = 0,29)
Data
27 luglio
30 luglio
2 agosto
Ora
22:37
22:09
16:28
Temperatura (°C)
27,7
27,2
34,2
Intensità UHI (°C)
4,2
4,8
0,8
Umidità relativa (%)
56,6
50,6
33,0
Umidità specifica (gv kga-1)
13,2
11,4
11,2
0,6
0,3
2,1
T media radiante (°C)
28,2
27,9
Velocità del vento
(m/s-1)
PMV
0,9
0,9
PET (°C)
26,8
27.0
SET* (°C)
21,1
21,7
Radiaz. glob. orizz. (W m-2)
548
(Fonte: Google Earth - RayMan)
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
143
Tab. 6. Valori sperimentali ottenuti durante le sessioni di misura in situ in via San Basilio (vedi anche fig. 2).
La “X” si riferisce al punto di misura. Gli indici di comfort si riferiscono a un individuo con abbigliamento
estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero (80 W sopra il metabolismo basale)
Tab. 8. Valori misurati in Prato della Valle (le dimensioni dell’ellisse sono 180 × 230 m, vedi anche fig. 2).
Gli indici di comfort si riferiscono ad un individuo con abbigliamento estivo (0,5 clo)
e livello di attività leggero (80 W sopra il metabolismo basale)
Via San Basilio (H/W = 0.4 - SVF = 0.75)
Prato della Valle
Data
27 luglio
30 luglio
9 agosto
Ora
22:59
23:06
16:57
Temperatura (°C)
26,4
25,9
31,5
Pos. 1
Pos. 2
Pos. 3
Pos. 4
Pos. 5
Pos. 6
Data
2 ago
2 ago
2 ago
2 ago
2 ago
2 ago
Ora
21:53
22:03
22:14
22:25
22:35
22:44
Intensità UHI (°C)
3,1
4,8
0,3
Temperatura (°C)
28,4
28,4
28,1
27,0
26,9
27,4
Umidità relativa (%)
65,2
58,7
33,2
Intensità UHI (°C)
3,2
3,9
4,3
3,8
3,7
4,7
14,1
12,3
9,6
Umidità relativa (%)
48,0
48,2
49,1
52,9
53,5
51,5
0,3
0,4
0,8
Umidità specifica (gv kga-1)
11,6
11,7
11,7
11,8
11,8
11,7
0,8
0,8
0,8
0,8
0,7
0,7
T media radiante (°C)
26,5
27,4
25,2
20,1
22,2
24,8
-1)
Umidità specifica (gv kga
Velocità del vento (m s-1)
T media radiante (°C)
25,8
Velocità del vento
24,8
(m/s-1)
PMV
0,6
0,3
PET (°C)
25,7
24,4
PMV
0,8
0,8
0,6
0,0
0,1
0,5
19,2
PET (°C)
26,1
26,5
25,3
22,5
23,3
24,7
SET* (°C)
20,1
20,5
19,3
16,5
17,6
19,0
SET* (°C)
20,5
Radiaz. glob. orizz. (W m-2)
432
(Fonte: Google Earth - RayMan)
(Fonte: Google Earth)
Tab. 7. Valori sperimentali ottenuti durante le sessioni di misura in situ in una laterale di via Roma,
con fondo sterrato (vedi anche fig. 2). La “X” si riferisce al punto di misura. Gli indici di comfort
si riferiscono a un individuo con abbigliamento estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero
(80 W sopra il metabolismo basale)
Infine sono state svolte alcune sessioni di misura in Prato della Valle. La piazza, di forma ellittica, è caratterizzata da una zona centrale con superficie erbosa delimitata da un canale d’acqua decorato da numerose statue circondata all’esterno da una cintura stradale in asfalto. Al centro si nota la
presenza di una fontana (tab. 8). Data la notevole ampiezza del sito, sono stati individuati sei punti
di misura con caratteristiche diverse. I risultati sperimentali indicano una differenza di temperatura
di 0,5-1 °C tra la posizione 4 (sull’erba) e quelle più esterne (con fondo asfaltato) vicine alle strade
(posizioni 1, 2, 3, 6). È interessante rilevare come, tra gli stessi punti, la differenza in termini di temperatura media radiante sia molto maggiore (fino a 7 °C); questo a causa delle diverse caratteristiche
della superficie (emissività, inerzia termica e capacità di accumulo idrico) e dello SVF (maggiore) nella posizione 4 (al centro) rispetto a quelle esterne. I valori degli indici di comfort calcolati riflettono
queste considerazioni: PMV e PET indicano una situazione neutrale (comfort) nel punto 4 e di leggero
caldo nelle posizioni esterne. Un’ulteriore interessante considerazione può essere fatta confrontando
le posizioni 4 e 5: la prima si trova su manto erboso, la seconda su fondo sterrato vicino alla fontana.
Nonostante questa diversità, la temperatura dell’aria rilevata è sostanzialmente la stessa (27 °C): ciò
è dovuto a una minor temperatura media radiante per la posizione 4 e all’effetto di raffreddamento
evaporativo dovuto all’acqua della fontana per la posizione 5.
Infine le sessioni di misura diurne hanno confermato il ridotto valore dell’intensità dell’isola
di calore, sempre inferiore al grado celsius.
Via Roma (SVF ≈ 1)
Data
30 luglio
31 luglio
2 agosto
Ora
22:46
22:52
16:53
Temperatura (°C)
21,4
22,9
33,6
Intensità UHI (°C)
0,5
0,4
0,8
80,8
61,2
35,8
13,0
10,7
11,6
0,0
0,2
2,4
T media radiante (°C)
18,4
20,6
PMV
-0.5
-0,4
PET (°C)
21,6
21,4
SET* (°C)
15,8
17
Umidità relativa (%)
-1)
Umidità specifica (gv kga
Velocità del vento (m s-1)
Radiaz. glob. orizz.
(W m-2)
502
(Fonte: Google Earth)
Conclusioni
L’attività sperimentale si è basata sia sull’analisi di dati forniti da stazioni meteorologiche fisse
sia su misure realizzate dagli autori con modalità “in transetto”. L’analisi dei primi ha evidenziato la presenza del fenomeno soprattutto durante le ore notturne; per cercare di indagare con
qualche dettaglio ulteriore la situazione è stata svolta una campagna di misure sperimentali con
transetto mobile durante l’estate 2012. I dati rilevati sono stati confrontati con quelli misurati, negli
stessi intervalli di tempo, dalla stazione meterologica ARPAV di Legnaro (situata in ambiente rurale)
ARPAV,
144
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
145
determinando il valore dell’intensità del fenomeno. Sono stati ottenuti valori fino a 7 °C di intensità
durante le sessioni di misura notturne (21-24), mentre il fenomeno è risultato molto ridotto o praticamente assente (0-2 °C) durante le ore pomeridiane (15-18).
Il fenomeno si è manifestato molto intenso nel centro storico della città, dove le strade percorse sono caratterizzate da un elevato rapporto H/W, valori ridotti di SVF e assenza di superfici verdi o
permeabili; d’altro canto nelle aree residenziali l’intensità del fenomeno è mediamente minore e diminuisce muovendosi da zone più densamente popolate (via Pindemonte) verso zone meno densamente popolate (via San Basilio). Le ragioni di ciò vanno ricercate in maggiori SVF, minori rapporti
H/W e maggiori percentuali di superfici verdi. Durante le misure in transetto è stato misurato anche
l’effetto di riduzione dell’intensità UHI dato da superfici d’acqua (ad es. in via Goito).
Per indagare ulteriormente il fenomeno sono state effettuate delle misure in situ in alcuni
ambiti caratteristici dei diversi tessuti urbani, misurando anche la temperatura media radiante.
Attraverso l’utilizzo del modello di calcolo RayMan sono stati poi valutati anche i valori degli indici
di comfort. I risultati indicano un’elevata diversificazione in funzione delle caratteristiche del sito
(SVF, rapporto H/W, tipo di superfici) in ragione dell’incidenza di queste sugli scambi termici tra
le superfici (costruite, verdi, corpo umano, volta celeste) e l’aria. In Prato della Valle tutte queste
considerazioni trovano un’utile sintesi: intensità dell’isola di calore, temperatura media radiante e
indici di comfort variano sensibilmente tra la parte interna dell’ellisse (sull’erba / vicino al canale)
e quella esterna (su asfalto / vicino a strade ed edifici).
Un’ulteriore fase di indagine è stata svolta poi utilizzando due modelli di calcolo per valutare
l’effetto di possibili azioni di mitigazione del fenomeno. La valutazione ha riguardato sia l’intensità
UHI sia i valori di Tmr e indici di comfort, mentre le strategie testate hanno riguardato modifiche
di tipo topologico (altezze edifici, larghezze strade) ma non solo (modifica del tipo o caratteristiche delle superfici, presenza di alberi / superfici d’acqua ecc.). Questi primi risultati suggeriscono
l’utilità di un approfondimento dello studio del fenomeno al fine di poter fornire al pianificatore
urbanistico delle utili indicazioni per l’attività di pianificazione del territorio.
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Riconoscimenti
Le considerazioni qui riportate sono state sviluppate nell’ambito del Progetto UHI implementato attraverso il programma Central Europe e co-finanziato da European Regional Development Fund (grant number
3CE292P3). Gli Autori ringraziano il Dott. Ingegnere Pierpaolo Campostrini e il Dott. Matteo Morgantin (CORILA) per il supporto, ARPAV ed il Dott. Matteo Sottana per l’utilizzo e l’analisi dei dati meteorologici.
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148
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
L’effetto dei cambiamenti climatici a scala urbana è spesso visto come la semplice proiezione
locale di un rischio globale. In effetti l’ambito urbano è certamente caratterizzato da particolare criticità in relazione agli effetti degli eventi estremi di tipo alluvionale e alle ondate di calore, fenomeni
strettamente connessi al climate change. In realtà, però, la scala locale e quella globale si influenzano
l’un l’altra plasmando vicendevolmente opportunità e vincoli. In questo senso un approccio integrato di mitigazione e adattamento rappresenta l’unica possibilità di ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici e di trasformare una minaccia in un’opportunità per uno sviluppo territoriale sostenibile non solo in termini climatici ma anche economici e sociali. Le azioni di riduzione dell’effetto
dell’isola di calore rappresentano a questo proposito un esempio emblematico di un’azione che si
inserisce sia nella prospettiva dell’adattamento ai cambiamenti climatici che della loro mitigazione.
Ridurre le condizioni di disagio bioclimatico in ambito urbano comporta non solo la capacità di innovare in termini di utilizzo di materiali e di tecniche costruttive, ma anche di modificare strutture
economiche e sociali, assicurando nel tempo qualità della vita e dell’ambiente.
In questo capitolo si vuole dare un quadro della rilevanza del fenomeno dell’isola di calore
in relazione ai cambiamenti climatici e illustrare le potenzialità degli interventi di pianificazione
urbana. L’isola di calore urbana è sicuramente il più noto degli effetti dell’urbanizzazione sul clima
locale. Per dare l’ordine di grandezza dell’intensità dell’isola di calore la figura 1 riporta l’andamento della temperatura nell’arco di una tipica giornata estiva in tre aree urbane europee (Vienna,
Varsavia e Modena) e nelle corrispondenti aree rurali. Come si può vedere, l’effetto dell’isola di
calore, pur presentando analogie qualitative tra gli andamenti, evidenzia anche marcate differenze
Le analogie derivano ovviamente dai meccanismi fisici di base. Nelle ore notturne le aree rurali si
raffreddano per irraggiamento e lo strato superficiale si stabilizza sviluppando un’inversione termica, mentre le aree urbane, a causa del calore accumulato e dell’ostacolo al flusso dell’aria rappresentato dagli edifici, conservano una turbolenza residua che attenua o annulla la stabilità atmosferica
degli strati più bassi. Questo comporta che se nelle aree rurali l’inversione termica si sviluppa subito
dopo il tramonto a partire dalla superficie, in quelle urbane l’inversione si manifesta solo alcune
ore dopo il tramonto. L’effetto di questi meccanismi di base è però perturbato dalle differenze delle
caratteristiche delle città tanto che, per esempio, il segno della differenza di temperatura tra area
urbana e area rurale risulta sempre positivo nella città di Varsavia, ma negativo in alcune ore del
giorno nelle città di Modena e di Vienna (fig. 1).
Per comprendere l’impatto che può avere un’area urbana sul clima locale occorre conoscere
quindi in profondità sia i meccanismi fisici di base dello strato limite atmosferico, sia le caratteristiche dell’area urbana considerata. Superfici impermeabili, scarsa vegetazione, consumi energetici
e la geometria della struttura urbana impattano in maniera significativa sulla sua entità e sulla sua
evoluzione temporale.
Le figure 2 e 3 evidenziano le diversità geografiche nella relazione tra l’entità dell’isola di calore
e alcune caratteristiche che è possibile associare a ogni ambito urbano. La figura 2 mostra il legame tra isola di calore e popolazione residente mentre la figura 3 analizza il fenomeno in relazione
alla densità di popolazione, un parametro strettamente legato alla struttura urbanistica della città.
149
1. Andamento temporale nell’arco di una giornata
estiva tipica della temperatura (potenziale)
nelle aree urbane di Vienna, Varsavia e Modena
e nelle corrispondenti aree rurali.
VIENNA urban
VIENNA rural
2. Relazione tra l’intensità dell’isola di calore urbana
e la popolazione in diverse aree geografiche
(da Chow - Roth, 2006).
MODENA urban
0 [°C]
3. Relazione tra l’intensità dell’isola di calore urbana
e la densità di popolazione per aree geografiche
WARSAW urban (da Spencer, 2010).
MODENA rural
WARSAW rural
TIME
USA vs. non-US
150
station pairs
UHIMAX (°C)
UHI Warming (deg. C)
North America cities
European cities
Tropical hot/dry cities
Tropical hot/wet cities
population (long scale)
150
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
population density (persons per sq. km)
Questa figura evidenzia come la densità demografica, pur essendo un parametro più appropriato rispetto alla semplice popolazione per l’analisi del fenomeno dell’isola di calore, non sia sufficiente a
trovare una relazione universalmente valida. Il fenomeno dell’isola di calore è infatti multifattoriale
e per essere modellizzato richiede l’analisi dell’effetto sinergico di svariati fattori tra cui la meteorologia del luogo, lo Sky View Factor, la tipologia dei materiali presenti nell’area urbana, la quantità e
la distribuzione delle aree verdi, la geometria degli edifici. (figg. 2, 3)
Presupposto informativo delle analisi climatologiche del progetto UHI sono stati l’ultimo rapporto IPCC AR5 (2013) e il Rapporto speciale dell’IPCC sulla gestione dei rischi legati agli eventi estremi
per migliorare l’adattamento ai cambiamenti climatici (SREX - Special Report on Managing the Risks
of Extreme Events to Advance Climate Change Adaptation, 2012). I risultati hanno evidenziato il
notevole aumento negli ultimi decenni degli eventi estremi sia di temperatura che di precipitazione
e la rilevanza dell’influenza umana sul sistema climatico.
Gli studi globali e regionali focalizzati sull’analisi delle serie storiche osservate evidenziano infatti un aumento delle temperature minime e massime giornaliere. In Europa nell’ultimo secolo la
frequenza delle ondate di calore è aumentata, così come è diminuita la frequenza degli eventi relativi alle basse temperature (Meehle e Tebaldi, 2004). Segnali simili sono stati osservati negli studi a
scala nazionale (Torreti e Desiato, 2010) e regionale (Tomozeiu et al., 2006). Volendo esemplificare
rispetto all’area di Modena-Bologna, una della aree di studio del progetto UHI, l’andamento della
temperatura nel periodo 1951-2011 mostra una tendenza statisticamente significativa all’aumento,
con un segnale più intenso dopo gli anni Novanta, quando le anomalie annue hanno raggiunto
picchi di 2,5 °C. Questo aumento è presente in tutte le stagioni seppur con trend più evidenti per la
temperatura minima invernale e per la massima estiva. Un altro indicatore che mostra una rilevante variazione in ambito urbano è la durata delle ondate di calore (intese come periodi prolungati di
caldo superiore al novantesimo percentile delle medie climatologiche). L’analisi della variabilità climatica sul periodo 1951-2011 mostra una tendenza all’aumento particolarmente evidente in estate.
Come già detto, l’effetto dei cambiamenti climatici va a sovrapporsi a quello legato al fenomeno dell’isola di calore, accentuando le condizioni di disagio all’interno delle aree urbane.
Di seguito viene mostrata un’analisi del fenomeno dell’isola di calore e della sua evoluzione nel corso degli anni sulla base di un confronto delle serie temporali dei dati di temperatura raccolti in una
stazione posizionata all’interno dell’area urbana di Modena e un’altra in area rurale a circa 30 km di
distanza. L’analisi evidenzia, come atteso, che le temperature minime nell’area urbana sono significativamente più elevate rispetto a quelle dell’area rurale, con differenze generalmente maggiori in
primavera e in estate (con valori che raggiungono i 6 °C). Se è vero che si evidenziano rilevanti trend
di segno positivo per la temperatura, è anche vero che questi segnali sono diversi fra l’area urbana
e quella rurale, con i valori urbani che mostrano gli incrementi maggiori. A questo proposito sono
stati analizzati anche i trend di lungo periodo per due indici largamente utilizzati in letteratura per
caratterizzare l’evoluzione del clima locale: l’Heating Degree Days (HDD) e il Cooling Degree Days
(CDD). Questi indici sono legati rispettivamente alla quantità di energia richiesta in inverno per
riscaldare adeguatamente gli ambienti e in estate per rinfrescarli. In altre parole, questi parametri
rappresentano l’accumulo delle differenze della temperatura in difetto (HDD) o in eccesso (CDD)
rispetto a prefissate soglie. Le figure 4 e 5 mettono in evidenza un rilevante trend in diminuzione
per le serie annuali di HDD, sia nell’area rurale che in quella urbana, dove esso risulta sensibilmente
più marcato. Un comportamento di segno opposto si riscontra per il CDD, con un trend più marcato
nell’area urbana, analogamente a quanto evidenziato per l’HDD. (figg. 4, 5)
Quindi cosa ci possiamo aspettare in relazione alle variazioni del regime termico nel prossimo
futuro? Non è facile fare previsioni sull’evoluzione del clima nelle aree urbane. Per fare questo occorrerebbe poter disporre di dati relativi non solo alle proiezioni climatiche, ma anche delle caratteristiStrumenti e indici per la descrizione dell’uhi
151
Proiezioni di cambiamento climatico della temperatura massima stagionale (ensemble mean
EM): Inverno (DJF), primavera (MAM), estate (JJA), autunno (SON) Bologna; Scenario A1B,
periodo 2021: 2050-1961: 1990
CDD urbano
Cooling Degree Days [°C]
CDD rurale
EM_djf 2021-2050
EM_mam 2021-2050
EM_jja 2021-2050
EM_son_2021-2050
Climate_djf 1961-1990
Climate_mam 1961-1990
Climate_jja 1961-1990
Climate_son_ 1961-1990
CDD urbano
CDD rurale
HWD (giorni consecutivi)
Cooling Degree Days [°C]
Scenario di cambiamento climatico onde di calore - Bologna
2021-2050; 2071-2099 e il clima attuale (1961-1990)
4. Andamento a lungo termine dell’indicatore “HDD”
(Heating Degree Days) nelle stazioni urbana e rurale.
5. Andamento a lungo termine dell’indicatore “CDD”
(Cooling Degree Days) nelle stazioni urbana e rurale.
152
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
6. Scenari di cambiamento climatico della
temperatura massima a Bologna; periodo 2021-2050,
scenario emissivo A1B.
clima 1961-1990
hwd_2021-2050
hwd_2071_2099
7. Valori osservati e scenari futuri
per la durata delle ondate di calore stagionali
(Heat Wave Duration - HWD).
Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
153
che socio-economiche e urbanistiche delle città. Quello che si può fare è quindi limitarsi a simulare
scenari climatici. In questo ambito i modelli di circolazione generale dell’atmosfera e dell’oceano
(AOGCM) costituiscono i principali strumenti per la valutazione dei cambiamenti climatici futuri su
varie scale spaziali e temporali. L’affidabilità di tali modelli è notevolmente migliorata negli ultimi
decenni come suggerisce, per esempio, l’aumento della risoluzione spaziale da circa 500 km (nel
1980) agli attuali 100 km. Nonostante questo incremento della risoluzione, sicuramente notevole,
i modelli globali non sono ancora adeguati per rappresentare i fenomeni climatici a scala locale.
Per incrementare la risoluzione spaziale e tenere conto anche degli effetti locali, negli ultimi anni
sono state sviluppate diverse tecniche di “regionalizzazione” (downscaling) di tipo deterministico
e di tipo statistico.
Queste tecniche sono state applicate anche all’interno del progetto UHI per l’area ModenaBologna da ARPA-SIMC (Tomozeiu et al., 2013). La figura 5 presenta, come esempio, gli scenari di
cambiamento climatico della temperatura massima stagionale a Bologna. Le proiezioni sono state
elaborate per i periodi 2012-2050 e 2071-2099 sotto l’ipotesi di scenario di emissione A1B (uno degli
scenari di medio impatto) e utilizzando come riferimento il periodo 1961-1990. Gli scenari futuri
mostrano per il periodo 2021-2050 un probabile incremento medio delle temperature minime e
massime stagionali di circa 2 °C. Come si può notare tutte le curve di distribuzione delle temperature massime stagionali sono spostate verso valori più caldi, con un incremento maggiore durante
l’estate (circa 2,5 °C in media). (fig. 6)
Nella seconda metà del secolo (periodo 2071-2099) questa tendenza è destinata ad accentuarsi
con anomalie medie di 5,5 °C nel periodo estivo e di 3-4 °C nelle altre stagioni. Questo porterà, ovviamente, a un conseguente aumento anche degli eventi estremi di temperatura e della durata delle ondate di calore (HWD). La durata media delle ondate di calore è prevista infatti in aumento da un valore
pari a 3 giorni a nel periodo 1961-1990 a un valore di 10 giorni consecutivi verso fine secolo. (fig. 7)
Questi risultati sottolineano l’urgenza e l’importanza dell’adozione nel prossimo futuro di
azioni di mitigazione del fenomeno dell’isola di calore urbano allo scopo di limitare il progressivo
aumento delle condizioni di disagio bioclimatico dovuto ai cambiamenti del clima. A questo scopo,
per ottimizzare gli interventi, sarà determinante il progresso nelle conoscenze nella mappatura
delle condizioni di disagio all’interno delle aree urbane, nella pianificazione urbana ecosostenibile,
nelle strategie di riduzione della vulnerabilità idrogeologica, nella simulazione dell’impatto bioclimatico delle modifiche urbanistiche, nella progettazione del verde urbano multifunzionale. Questi
interventi dovranno poi associarsi a imprescindibili azioni di adattamento che includano un’adeguata evoluzione dei sistemi di allerta unitamente alla trasformazione dei servizi socio-sanitari di
prevenzione e assistenza.
154
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
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Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi
155
2. uhi e ambiente urbano: cause ed effetti
2.1.Efficienza energetica e qualità dell’ambiente
Francesca Cappelletti, Fabio Peron, Ugo Mazzali, Alessandro Righi, Piercarlo Romagnoni
Introduzione
Non è difficile associare alla parola energia l’idea di funzionamento di una macchina o di produzione di calore. Per cercare di comprendere bene l’importanza che l’energia assume nella nostra
società occorre ricordare come la sua capacità di trasformarsi da una forma (calore, per esempio)
a un’altra (movimento di un’automobile, per esempio) sia di fatto la caratteristica che definisce la
sua essenza.
Infatti dal punto di vista fisico e storico, il primo a fornire una qualche definizione di tale
termine fu Hermann Von Helmholtz, medico, fisiologo e fisico tedesco, che evidenziò come «[...]
energia è qualunque entità che possa convertirsi da una forma ad un’altra [...]» (Über die Erhaltung
der Kraft, 1847).
Per chi opera nei settori della progettazione edilizia, della pianificazione ambientale, della produzione industriale, l’uso dell’energia è una necessità e la sua trasformabilità deve essere caratterizzabile in modo efficiente così da consentirne un uso economico. Ma, dalla rivoluzione industriale
in poi, l’uso dell’energia nelle diverse sue forme e le sue trasformazioni hanno avuto implicazioni
evidenti a carattere ambientale.
La prima conseguenza di un uso efficiente dell’energia si ha certamente in una migliore qualità
ambientale come diretta risultante di minori emissioni di CO2 e di altri gas climalteranti (effetto
serra) e inquinanti. L’uso intensivo di alcuni materiali (petrolio, gas naturale ecc.) per produrre
energia ha inoltre evidenziato il possibile esaurimento di tali risorse nel giro di pochi anni e quindi
la necessità di provvedere a contingentarne l’uso e, da un punto di vista tecnico, rendere più efficiente la trasformabilità dell’energia. Vi è quindi anche un aspetto etico che non va trascurato: un
controllo dei consumi significa anche un controllo delle risorse e quindi cercare di soddisfare le
giuste esigenze delle generazioni attuali senza compromettere quelle delle generazioni future.
È proprio ciò che è stato evidenziato nel Report of the World Commission on Environment
and Development (Rapporto Brundtland, 1987) con la definizione di sostenibilità. Essa è forse un
po’ generica, ma è possibile cercare di renderla un po’ più pratica specie in quei settori economici
per i quali il risparmio di energia risulta essere una questione cruciale: nel settore delle costruzioni
(uso “civile” dell’energia per riscaldare, raffrescare, ventilare gli ambienti occupati dall’uomo come
residenze e uffici) la questione è ampiamente dibattuta. Si tratta in questo caso di «sviluppare un
sistema di progettazione controllato e strutturato attraverso l’integrazione di saperi diversi, in modo
da fornire un prodotto in grado di soddisfare le esigenze dell’utente (qualità dell’ambiente interno) con
un impegno minimo di risorse naturali sia in fase di costruzione che di esercizio e con un significativo
contenimento degli impatti ambientali» (Filippi, 2010).
È opportuno sottolineare che “impegno minimo di risorse naturali” può significare usare le risorse
in modo “rinnovabile”, ovvero impiegando le stesse risorse senza che queste vengano meno così come,
da alcuni anni ormai, si sta facendo utilizzando sole, vento, acqua e biomasse per produrre energia.
157
Le direttive dell’Unione Europea
L’Unione Europea ha indicato come obiettivo da conseguire entro il 2020 il raggiungimento
della quota del 20% per l’energia prodotta da fonti rinnovabili; tale obiettivo sarebbe appropriato e
raggiungibile oltre a consentire di creare la stabilità a lungo termine di cui le imprese hanno bisogno
per effettuare investimenti razionali e sostenibili oltre a essere in grado di ridurre la dipendenza dai
combustibili fossili di importazione e di incrementare l’utilizzo delle nuove tecnologie energetiche.
La traduzione di tali indicazioni si trova in alcune importanti direttive europee: la Direttiva
28/2009/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, la Direttiva 31/2010/CE sulla
prestazione energetica nell’edilizia (recast della Direttiva EPBD 2002/91/CE) e la Direttiva 27/2012/
CE sull’efficienza energetica. Tali direttive forniscono a tutti gli effetti delle linee guida su quali
sistemi di produzione energetica e su quali tecnologie gli stati membri, mediante una legislazione
opportuna, debbano puntare per un uso corretto ed efficiente dell’energia. Inoltre gli stati membri
sono incoraggiati a spingere le autorità locali e regionali a fissare obiettivi superiori a quelli nazionali e
a coinvolgerle nell’elaborazione di piani d’azione nazionali e nel varo di iniziative di sensibilizzazione
del pubblico sui vantaggi dell’energia, ad esempio su quella da fonti rinnovabili.
La Direttiva 28/2009/CE definisce come “energia da fonti rinnovabili” l’energia proveniente da
fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica
e oceanica, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas.
La stessa direttiva ricorda come alcune tecnologie adottabili per la trasformazione energetica quali
le pompe di calore, che permettono l’utilizzo del calore aerotermico, geotermico o idrotermico a
un livello di temperatura utile, abbiano bisogno di elettricità o di altra energia ausiliaria per funzionare. L’energia utilizzata per attivare le pompe di calore dovrebbe quindi essere dedotta dal calore
utilizzabile totale e se ne propone la valutazione (Allegato VII).
La Direttiva 31/2010/CE stabilisce che per gli edifici di nuova costruzione gli stati membri garantiscano che, prima dell’inizio dei lavori di costruzione, sia valutata e tenuta presente la fattibilità
tecnica, ambientale ed economica di sistemi di produzione dell’energia alternativi ad alta efficienza
come quelli indicati di seguito, se disponibili:
a) sistemi di fornitura energetica decentrati basati su energia da fonti rinnovabili;
b)cogenerazione;
c) teleriscaldamento o teleraffrescamento urbano o collettivo, in particolare se basato interamente o parzialmente su energia da fonti rinnovabili;
d) pompe di calore.
Sempre la medesima direttiva impone agli stati membri l’adozione di misure necessarie per
garantire che la prestazione energetica degli edifici o di loro parti destinati a subire ristrutturazioni
importanti sia migliorata al fine di soddisfare i requisiti minimi di prestazione energetica fissati,
per quanto tecnicamente, funzionalmente ed economicamente fattibile. Gli stati membri adottano
inoltre le misure necessarie per garantire che la prestazione energetica degli elementi edilizi che
fanno parte e hanno un impatto significativo sulla prestazione energetica dell’involucro dell’edificio, destinati a essere sostituiti o rinnovati, soddisfi i requisiti minimi di prestazione energetica per
quanto tecnicamente, funzionalmente ed economicamente fattibile.
Nel caso di ristrutturazioni, si deve porre attenzione al fatto che agli stati membri è richiesto
che il calcolo del livello ottimale di prestazione energetica che comporta il costo più basso durante il ciclo di vita economico stimato sia effettuato in funzione dei costi avvalendosi del quadro
metodologico comparativo stabilito conformemente ai parametri quali le condizioni climatiche e
l’accessibilità pratica delle infrastrutture energetiche. Non è quindi sufficiente stabilire dei requisiti
minimi a priori, ma deve essere effettuata una valutazione pesata tramite i costi degli interventi
programmati in funzione della vita utile del sistema fabbricato (edificio-impianto).
158
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Nella direttiva si definiscono inoltre gli “edifici a energia quasi zero”, ovvero edifici ad altissima prestazione energetica, determinata conformemente all’Allegato I della Direttiva. Il fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo dovrebbe essere coperto in misura molto significativa
da energia da fonti rinnovabili, compresa quella da fonti rinnovabili prodotta in loco o nelle vicinanze. Tali edifici dovrebbero essere lo standard delle nuove costruzioni entro il 31 dicembre 2020
(31 dicembre 2018, per gli edifici pubblici).
La Direttiva Europea 2012/27/UE delinea un quadro normativo finalizzato a «rimuovere gli
ostacoli sul mercato dell’energia e a superare le carenze del mercato che frenano l’efficienza nella
fornitura e nell’uso dell’energia e prevede la fissazione di obiettivi nazionali indicativi in materia di
efficienza energetica», coerentemente con l’obiettivo al 2020 di una riduzione dei consumi energetici del 20% grazie all’efficienza energetica, al quale corrisponde un consumo complessivo dell’Unione pari a 1.483 Mtep di energia primaria al 2020.
Per ottenere tale obiettivo è necessario aumentare il tasso delle ristrutturazioni di immobili, in
quanto il parco immobiliare esistente rappresenta il settore individuale con le maggiori potenzialità
di risparmio energetico. La Pubblica Amministrazione dovrà ricoprire un ruolo esemplare, assicurando che «dal 1 gennaio 2014 il 3% della superficie coperta utile totale degli edifici riscaldati e/o
raffreddati di proprietà del governo centrale e da esso occupati sia ristrutturata ogni anno». A tale
proposito viene individuato lo strumento dell’audit energetico per permettere all’utente finale, tramite l’intervento di professionisti accreditati, di poter definire al meglio gli interventi di miglioria.
Le Direttive Europee ribadiscono quindi come termine chiave per i settori produttivi, per le
costruzioni e le ristrutturazioni edili l’uso efficiente dell’energia. Tale termine deve essere inteso
sia come risparmio (minori consumi o addirittura produzione energetica da parte di edifici, come
in parte avviene già oggi), che come efficienza degli impianti; infine un ruolo determinante riveste
l’utilizzo e/o l’integrazione di sistemi di produzione energetica che sfruttino fonti rinnovabili.
L’Allegato I della Direttiva 31/2010/CE, citato nella definizione di edificio a energia quasi zero, rammenta quali aspetti di una costruzione debbano essere valutati nella determinazione dei consumi energetici di un edificio sia per il riscaldamento che per il raffrescamento: le proprietà dell’involucro edilizio
(isolamento, capacità termica, definizione dei ponti termici, caratteristiche dei sistemi vetrati, sistemi
passivi) e quelle degli impianti di condizionamento, illuminazione, produzione di acqua calda.
La legislazione nazionale e le sue conseguenze
L’Italia ha ovviamente allineato la propria legislazione alle richieste europee e i provvedimenti
presi sono volti anche a una maggiore responsabilizzazione dell’utente finale. Senza voler essere
esaustivi, nel seguito si cercheranno di individuare le indicazioni che maggiormente denotano un
cambio di marcia nel settore dell’efficientamento energetico italiano.
Una prima sfida per i progettisti è certamente la capacità di integrare nell’edificio la produzione da energie rinnovabili.
Il D.Lgs. 28/2011, con cui il nostro paese attua la Direttiva 2009/28/CE, nell’Allegato 3, afferma
che nel caso di edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, gli impianti di produzione di
energia termica devono essere progettati e realizzati in modo da garantire il contemporaneo rispetto della copertura, tramite il ricorso a energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili,
del 50% dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria e delle seguenti percentuali della somma dei
consumi previsti per l’acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento:
a)il 20% quando la richiesta del pertinente titolo edilizio è presentata dal 31 maggio 2012 al
31 dicembre 2013;
b)il 35% quando la richiesta è presentata dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016;
UHI e ambiente urbano: cause ed effetti
159
c)il 50% quando la richiesta è rilasciata dal 1° gennaio 2017.
Tali obblighi non possono essere assolti tramite impianti da fonti rinnovabili che producano
esclusivamente energia elettrica la quale alimenti, a sua volta, dispositivi o impianti per la produzione di acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento.
La Legge n. 90 con cui l’Italia ha definito le Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, oltre a riprendere il precedente quadro legislativo volto a definire le procedure per la definizione dell’attestato di prestazione
energetica degli edifici, definisce la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche degli
stessi oltre alle prescrizioni e ai requisiti minimi nei casi di:
1) nuova costruzione;
2) ristrutturazioni importanti;
3) riqualificazione energetica.
Un importante aspetto riguarda sia lo sviluppo di strumenti finanziari e la rimozione di barriere
di mercato per la promozione dell’efficienza energetica degli edifici che la definizione di un piano di
azione per la promozione degli edifici a “energia quasi zero”. Ancora una volta è ribadita la necessità
di riferirsi, per il calcolo della prestazione energetica degli edifici, alla normativa tecnica UNI e CTI,
allineata con le norme predisposte dal CEN a supporto della Direttiva 2010/31/CE: nelle more dell’aggiornamento della normativa CEN, il riferimento resta all’utilizzo delle UNI TS 11300 (parti 1-4).
I requisiti dovranno essere determinati con l’utilizzo dell’“edificio di riferimento” [o target:
per un edificio sottoposto a verifica progettuale, diagnosi, o altra valutazione energetica: edificio
identico in termini di geometria (sagoma, volumi, superficie calpestabile, superfici degli elementi
costruttivi e dei componenti), orientamento, ubicazione territoriale, destinazione d’uso e situazione
al contorno, e avente caratteristiche termiche e parametri energetici predeterminati], in funzione
della tipologia edilizia e delle fasce climatiche, così come richiesto dal Regolamento.
Infine vi è la conferma (pur di breve durata) che tutti si auguravano (art. 14): «le disposizioni di
cui all’articolo 1, comma 48, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, e successive modificazioni, si applicano nella misura del 65% anche alle spese sostenute dalla data di entrata in vigore del presente decreto
al 31 dicembre 2013. La detrazione [...] si applica nella misura del 65% alle spese sostenute dalla data di
entrata in vigore del presente decreto al 30 giugno 2014 per interventi relativi a parti comuni degli edifici condominiali [...]. La detrazione spettante [...] è ripartita in dieci quote annuali di pari importo».
ENEA dovrà elaborare le informazioni inerenti agli interventi, ma i dati relativi agli incentivi
fiscali già applicati dalle leggi finanziarie dal 2006 indicano una consistente numerosità e (sembra) efficacia degli interventi già attuati (si veda a tale proposito il sito: www.efficienzaenergetica.
acs.enea.it). Tali interventi – è opportuno ricordarlo – sono relativi a: riqualificazione energetica
globale dell’edificio; interventi su strutture opache orizzontali, strutture opache verticali e finestre
comprensive di infissi; installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda; sostituzione
di impianti di climatizzazione invernale con altri dotati di caldaie a condensazione o, in alternativa,
con pompe di calore ad alta efficienza ovvero con impianti geotermici a bassa entalpia.
La Legge 90 prevede (non è la prima volta, ma si spera finalmente possa essere emanato il
relativo decreto attuativo) che le amministrazioni locali (regioni e province autonome) debbano
usufruire di un sistema informativo comune per tutto il territorio nazionale, di utilizzo obbligatorio,
che comprenda la gestione di un catasto degli edifici, degli attestati di prestazione energetica e dei
relativi controlli pubblici. La conoscenza dei dati del patrimonio edilizio è fondamentale per poter
effettuare programmi a medio e a lungo termine e per valutare i costi-benefici degli interventi.
Ultimo in ordine di tempo è stato emanato il D.Lgs. 102 del 4/7/2014 come attuazione della Direttiva 27/2014/UE, volto a promuovere un quadro di misure atte a migliorare l’efficienza energetica
per concorrere al raggiungimento dell’obiettivo nazionale di risparmio energetico.
160
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
La ristrutturazione del patrimonio esistente e degli impianti è ritenuta fondamentale: l’ENEA,
nel quadro dei Piani d’Azione nazionali per l’Efficienza Energetica (PAEE), dovrà elaborare una proposta di interventi di medio-lungo termine per il miglioramento della prestazione energetica degli
immobili. Tale azione dovrà passare attraverso «una rassegna del parco immobiliare nazionale fondata, se del caso, su campionamenti statistici» e «una stima del risparmio energetico e degli ulteriori
benefici conseguibili annualmente per mezzo del miglioramento dell’efficienza energetica del parco
immobiliare nazionale basata sui dati storici e su previsioni del tasso di riqualificazione annuo».
Importante è l’azione di pianificazione territoriale e ambientale da intraprendere, vista la necessità
di conciliare tali misure anche con l’importanza storico-artistica del patrimonio edilizio italiano,
oltre che con le tutele ambientali e del paesaggio.
Il GSE è il secondo soggetto coinvolto per la programmazione della gestione e produzione
dell’energia: dovrà predisporre e trasmettere al Ministero dello sviluppo economico, alle regioni e alle
province autonome un rapporto contenente una valutazione del potenziale nazionale di applicazione
della cogenerazione ad alto rendimento, nonché del teleriscaldamento e teleraffreddamento efficienti.
Un secondo importante passaggio si trova all’art. 9, comma 6, laddove si chiede alle imprese
di distribuzione, ovvero alle società di vendita di energia elettrica e di gas naturale al dettaglio, di
provvedere affinché, entro il 31 dicembre 2014, le informazioni sulle fatture emesse siano precise e
fondate sul consumo effettivo di energia; per consentire al cliente finale di regolare il proprio consumo di energia, la fatturazione deve avvenire sulla base dell’utilizzo effettivo almeno con cadenza
annuale. Le informazioni sulla fatturazione devono essere rese disponibili almeno ogni bimestre.
Alcune note a commento
La lettura delle direttive europee e degli atti legislativi emanati negli ultimi tre anni potrebbe
farci sentire ottimisti nell’ottica del raggiungimento dei traguardi di risparmio energetico e di tutela ambientali indicati. Il quadro generale sembra ben strutturato e coinvolge gli enti e le strutture
basilari per un’azione incisiva (ENEA, GSE ecc.) nel settore dell’efficienza energetica.
Una prima osservazione di carattere generale è tuttavia d’obbligo: le procedure di calcolo definite dalle normative CEN, e adottate in Italia da UNI, si riferiscono all’energia primaria (che non è
stata soggetta ad alcuna conversione o processo di trasformazione). È pertanto necessario ricordare
quanto ribadito nell'introduzione di questo scritto: la caratteristica dell’energia è la sua trasformabilità. Ma non tutte le materie prime da cui si parte per la trasformazione sono uguali (o possono
avere una resa identica): è pertanto necessario riferirsi a questo concetto se si vuole ottenere una
valutazione uniforme dei processi di produzione/trasformazione/utilizzo dell’energia. Tale concetto non è ribadito e ricordato con la dovuta attenzione nei Decreti legislativi. Il quadro legislativo è
ad oggi mancante dei Decreti di attuazione alla Legge n. 90, decreti con cui sono definite le modalità
di applicazione della metodologia di calcolo e dei requisiti minimi cui devono sottostare le opere di
nuova costruzione e le ristrutturazioni.
Dal lato operativo esiste, a nostro avviso, il problema della definizione degli edifici di riferimento, che dovrebbe passare attraverso un’attenta analisi del patrimonio edilizio esistente, azione
che è stata fatta solamente in alcuni casi (Peron et al., 2014). In particolare potrebbero costituire
problemi non irrilevanti la corrispondenza del costruito con i progetti depositati (mancanza di
controlli sull’edificato), la definizione delle proprietà termofisiche dei materiali da costruzione utilizzati, il reperimento di dati sugli impianti termici (non tanto sui generatori termici, quanto sulla
loro efficienza di trasformazione).
Resta aperta qualche questione in merito agli “edifici a energia zero” (Mazzarella, 2013): a
livello europeo deve essere ben chiarita la definizione di edificio ZEB (Zero Energy Building) e
UHI e ambiente urbano: cause ed effetti
161
quindi la modalità con cui l’energia (anche e soprattutto da fonti rinnovabili) può essere prodotta
e trasferita all’utenza.
Attualmente la Raccomandazione CTI 14/2013 fornisce al progettista alcune definizioni e consente di completare le specifica tecniche UNI/TS 11300 ai fini della determinazione della prestazione
energetica per la classificazione degli edifici. La CTI 14/2013 fornisce precisazioni e metodi di calcolo
per determinare il fabbisogno di energia primaria degli edifici in modo univoco e riproducibile applicando la normativa tecnica citata nei riferimenti normativi. Tali precisazioni e metodi di calcolo
riguardano, in particolare:
1) le modalità di valutazione dell’apporto di energia rinnovabile nel bilancio energetico;
2) la valutazione dell’energia elettrica esportata;
3) la definizione delle modalità di compensazione dei fabbisogni con energia elettrica attraverso
energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili;
4) la valutazione dell’energia elettrica prodotta da unità cogenerative.
È possibile definire alcune linee guida?
Per un progettista del settore edile l’efficienza energetica deve diventare uno dei principali
obiettivi da raggiungere. Le Direttive europee e il quadro legislativo nazionale richiamano spesso il
concetto di “semplificazione”: la realtà è un po’ diversa, sia per il numero di leggi e decreti, sia per
quello di normative che non sempre sono tra loro armonizzate.
Ottenere efficienza energetica in edilizia significa inoltre coinvolgere professionalità diverse
(dal politico all’installatore) che non sempre possiedono lo stesso linguaggio e, ancor meno, sono
disposte a discutere le loro posizioni e convinzioni. È pur vero che il progettista di edifici è oggi assai
più preparato nell’intervenire sul sistema edificio-impianto se non altro per ottenere un prodotto
finale rispettoso dei requisiti richiesti dalla legislazione: senza alcun dubbio i limiti di legge sono
divenuti più stringenti sia per i componenti sia per gli indici di consumo energetico globale. Ad
esempio, per le trasmittanze termiche U di pareti orizzontali di copertura sono diminuiti negli anni:
il D.Lgs. 192 e successive modifiche e integrazioni prevede per una copertura U = 0,3 W/(mq K) nel
caso di edifici di nuova costruzione, mentre per usufruire delle detrazioni del 65% occorre portarsi
a valori pari a U = 0,24 W/(mq K) nel caso di zona climatica E, valori che possono essere ottenuti con
un’accurata scelta del materiale isolante, oltre che con un’attenta valutazione dei carichi strutturali.
Relativamente all’involucro sono stati introdotti concetti nuovi (es. la trasmittanza termica periodica YIE, valutata secondo le indicazioni della norma UNI EN 13786 e richiamata nel D.P.R. 59/2009)
che hanno certamente aiutato a valutare in modo più completo la complessità della trasmissione
del calore in un edificio considerando, seppure non in modo esaustivo, i fenomeni legati al transitorio e all’inerzia termica delle strutture dell’edificio.
Si è finalmente iniziato a valutare il consumo energetico dell’edificio nell’arco temporale
dell’anno e, con riguardo alla necessità di comfort estivo, anche a porre maggiore attenzione ai
componenti vetrati (e quindi alla valutazione del carico dovuto alla radiazione solare, dominante in
tale periodo) e alle caratteristiche ottiche loro e di eventuali sistemi schermanti.
Dal lato impiantistico la migliorata efficienza, ottenuta anche e soprattutto ai carichi parziali,
dei generatori termici sia dal lato caldo che freddo (ovvero sia le caldaie che le pompe di calore) è
stata accompagnata dalla modifica e implementazione di altre componenti (in primis il sistema di
regolazione).
L’impianto termico residenziale è oggi prevalentemente un impianto a collettori inseriti nel
pavimento, con conseguenti modifiche nella distribuzione. Il sistema di controllo e regolazione ha
raggiunto un grado di sofisticazione impensabile alcuni anni fa: non solo da remoto è possibile
162
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
comandare i tempi di accensione e spegnimento di un impianto, ma è attuabile una zonizzazione
dell’impianto con regolazioni separate per singola zona termica. La domotica consente di inserirsi
in vari modi nella regolazione dell’impianto e dei componenti di edificio (apertura e chiusura di elementi di schermatura). La tecnologia ha inoltre realizzato prodotti innovativi per l’involucro, quali
materiali a cambiamento di fase (PCM), isolanti sottovuoto, componenti vetrati adattativi ecc.
Un certa attenzione deve essere inoltre dedicata alla possibilità di generare energia con sistemi
di cogenerazione (calore e energia elettrica) o di trigenerazione (caldo, freddo ed energia elettrica):
in questi casi, grazie a un’opportuna conoscenza della situazione urbanistica e delle destinazioni
d’uso degli edifici collegati alla rete e a un’attenta valutazione dei consumi annuali e della loro suddivisione (caldo, freddo, elettrico), è possibile ottenere consistenti risultati in termini di risparmio
energetico e di impatto ambientale.
Il sistema edificio deve però essere adeguatamente funzionante: un elevato grado di tecnologia
richiede un controllo e una manutenzione qualificati. Tali elementi possono far lievitare i costi di
costruzione e gestione.
L’intervento (soprattutto nei casi di ristrutturazioni) deve essere commisurato al ciclo di vita
(analisi LCA) dei componenti dell’edificio e dell’impianto: ciò comporta una valutazione dell’energia
necessaria alla costruzione degli elementi coinvolti nel processo e alla valutazione della durata della
loro vita utile.
Una vista di insieme è quindi assai complessa: si dovranno formare delle professionalità nuove
in grado di legare i diversi processi e capaci di fornire una valutazione complessiva in termini di incidenza ambientale. In quest’ottica sono nati i “Protocolli di sostenibilità ambientale” (ITACA, LEED,
Code for sustainable homes ecc.): si tratta di procedure di certificazione e controllo del progetto che
si basano sull’attribuzione di punteggi per diversi requisiti caratterizzanti la sostenibilità dell’edificio. Dalla somma dei crediti deriva il livello di certificazione ottenuto.
Il protocollo opta per una visione olistica della sostenibilità, sfruttando ogni possibilità di ridurre impatti ambientali di vario genere ed emissioni nocive degli edifici in costruzione. Si individuano e delineano così le best practice per ingegneri, architetti, professionisti e l’intera comunità del
settore, destinate a divenire linee guida.
I vantaggi competitivi per coloro che adottano questi standard, siano essi professionisti o imprese, sono identificabili soprattutto nella certificazione da parte di un ente terzo, considerata fondamentale per ottenere un riscontro positivo sul mercato. La certificazione finale fornisce al mercato una definizione condivisa, un obiettivo comune e uno standard misurabile. Si tratta comunque
di uno standard volontario, adottato dal mercato attraverso un processo di creazione del consenso.
È su questa strada che occorre procedere.
Riferimenti bibliografici
Communities and Local Government, Code for Sustainable Homes - A Step-change in Sustainable Home Building Practice, December 2006.
Decreto del presidente della Repubblica 2 Aprile 2009, n. 59, Regolamento di attuazione dell’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva
2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia, Gazzetta Ufficiale n. 132 del 10 giugno 2009
Decreto Legge 4 giugno 2013, n. 63 (in Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 130 del 5 Giugno 2013), coordinato
con la legge di conversione 3 Agosto 2013, n. 90 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 3), recante:
“Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 Maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia per la definizione delle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale”,
Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 181 del 3/8/2013.
UHI e ambiente urbano: cause ed effetti
163
focus 2
Decreto Legislativo n. 28 del 28/3/2011, Attuazione della Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle Direttive 2011/77/CE e
2003/30/CE, Gazzetta Ufficiale n. 71 del 28/3/2011, Suppl. Ord. n. 81.
L’Approccio Ecosistemico: evoluzione dei principi per la gestione dei sistemi sociali ed ecologici
Elena Gissi
Decreto Legislativo n. 102 del 4/7/2014, Attuazione della Direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica che modifica le direttive 2009/28/CE e 2010/31/UE e abroga le Direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE, Gazzetta Ufficiale
Serie Generale n. 165 del 18/7/2014.
Introduzione
Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso
dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e
2003/30/CE, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 05/06/2009.
Direttiva 2010/31/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 Maggio 2010 sulla prestazione energetica
nell’edilizia (rifusione), Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 18/06/2010.
Direttiva 2012/27/CE del Palamento europeo e del Consiglio del 25 Ottobre 2012 sull’efficienza energetica, che
modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 14/11/2012.
Filippi, M. (2010), “Sostenibilità degli edifici: cosa significa?”. AiCARR Journal, dicembre, 4: 6-10.
Mazzarella, L. (2013), “NZEB nella lingua (e mente) della UE”. AiCARR Journal, 21: 26-34.
Peron, F. - Righi, A. - Romagnoni, P. (2014), “Migliorare l’efficienza energetica del patrimonio edilizio esistente”. In Politiche locali per il clima - Metodologie d’analisi e strumenti di intervento, a cura di F. Disconzi A. Lorenzoni. Milano: FrancoAngeli: 60-135. Von Helmontz, H. (1847), Über die Erhaltung der Kraft. Berlin: Druck und Verlag, .
Raccomandazione CTI 14/2013, Prestazioni energetiche degli edifici - Determinazione dell’energia primaria e della
prestazione energetica EP per la classificazione dell’edificio.
Regolamento Delegato (UE) N. 244/2012 della Commissione del 16 Gennaio 2012 che integra la Direttiva 2010/31/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio sulla prestazione energetica nell’edilizia istituendo un quadro metodologico comparativo per il calcolo dei livelli ottimali in funzione dei costi per i requisiti minimi di prestazione energetica degli edifici e degli elementi edilizi, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 21/3/2012.
United Nations (1987), Report of the World Commission on Environment and Development: Our Common Future. UNI/TS 11300 - 1, Prestazioni energetiche degli edifici – Parte 1: Determinazione del fabbisogno di
energia termica dell’edificio per la climatizzazione estiva e invernale.
Nel presente approfondimento viene proposta una breve sintesi riguardo all’evoluzione della teoria intorno all’Approccio
Ecosistemico, che ha portato dall’elaborazione iniziale verso l’enunciazione nella cosiddeta “adaptive governance”, seguendo lo sviluppo del dibattito su principi, definizioni e implicazioni nell’ambito del policy making.
Il principio chiave rispetto al quale ruota l’evoluzione dell’approccio riguarda non solo il discorso sulla gestione degli ecosistemi per il mantenimento della biodiversità, ma prende in considerazione anche la discussione sul ruolo dell’Uomo
rispetto alla Natura, intesa come sistema vivente globale (Grumbine, 1994).
Ecosystem management, i fondamenti
L’Approccio Ecosistemico (AE), nella sua prima accezione di “Ecosystem Management”, trae origine dagli anni Trenta e
Quaranta nell’ambito delle scienze naturalistiche e dell’ecologia, dove, in maniera separata, vengono proposti i primi
concetti in maniera pionieristica negli Stati Uniti (Grumbine, 1994).
Inizialmente, il ruolo dell’Uomo è interpretato secondo gli effetti delle attività antropiche sugli ecosistemi (Age - Johnson, 1988, in Grumbine, 1994); il concetto si evolve, quindi, grazie anche all’affermarsi della teoria generale dei sistemi1
e alla sua applicazione ai sistemi ecologici (Odum, 1966; Naveh, 2000; Slocombe, 1993).
Il dibattito rispetto all’”Ecosystem Management” è spinto sull’onda dei movimenti ambientalisti degli anni Settanta e
della discussione sulla perdita della biodiversità (Folke et al., 2005; Grumbine, 1994) nell’ambito del crescente interesse
riguardo alla protezione e alla conservazione dell’ambiente a beneficio della collettività.
Come riferimento generale, Grumbine (1994) definisce l’AE come l’approccio alla gestione delle risorse e degli ecosistemi che «integra la conoscenza scientifica delle relazioni ecologiche nell’ambito di un complesso quadro di aspetti sociali
e politici e di valori, verso l’obiettivo generale della protezione dell’integrità degli ecosistemi in una prospettiva di lungo
termine» (p. 31, trad. propria). L’autore si occupa inoltre di sistematizzare i temi chiave che caratterizzano l’Approccio
Ecosistemico, sintetizzati nella tabella 1.
11300 - 2, Prestazioni energetiche degli edifici – Parte 2: Determinazione del fabbisogno di energia primaria e dei rendimenti per la climatizzazione invernale, per la produzione di acqua calda sanitaria, la
ventilazione e l’illuminazione.
UNI/TS
UNI/TS 11300 - 3, Prestazioni energetiche degli edifici – Parte 3: Determinazione del fabbisogno di energia prima-
ria e dei rendimenti per la climatizzazione estiva.
UNI/TS 11300 - 4, Prestazioni energetiche degli edifici – Parte 4: Utilizzo di energie rinnovabili e di altri metodi di
generazione per riscaldamento di ambienti e preparazione acqua calda sanitaria.
Per il protocollo LEED consultare: www.gbcitalia.org
Per il protocollo ITACA consultare: www.itaca.org
164
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Focus 2
165
Tab. 1. Analisi dei 10 temi chiave che caratterizzano l’Approccio Ecosistemico (sintesi dell’autrice da Grumbine, 1994)
Tema
Descrizione
1.
Contesto gerarchico
(Hierarchical Context)
Nell’AE è necessario adottare una prospettiva sistemica rispetto all’analisi e alla gestione del problema in esame: si devono considerare
più livelli gerarchici (geni, specie, popolazioni, ecosistemi, paesaggi) e le connessioni tra livelli
2.
Confini Ecologici (Ecological Boundaries)
Secondo l’AE è necessario definire i confini ecologici del problema in esame, alle scale (ecologiche) appropriate,
lavorando oltre la definizione che ne darebbero i soli confini amministrativi
3.
Integrità ecologica (Ecological Integrity)
L’AE prende in considerazione la protezione della diversità biologica, tramite, ad esempio, il mantenimento di strutture e processi
degli ecosistemi nell’ambito dei regimi di disturbo naturali, della protezione delle popolazioni animali e vegetali presenti nell’area-studio,
e, se necessario, della reintroduzione di specie autoctone
4.
Raccolta dati (Data collection)
L’AE si basa sulla raccolta, gestione e uso dei dati relativi allo stato ecologico e sui regimi di disturbo di strutture e processi ecologici,
di fondamentale importanza anche per identificare la baseline rispetto alla quale strutturare la gestione
5.
Monitoraggio (Monitoring)
È necessario organizzare un sistema di monitoraggio delle trasformazioni del sistema in modo da verificare avanzamenti
e risultati dell’azione di gestione secondo l’AE
6.
Gestione adattativa
(Adaptive management)
La gestione adattativa si basa sull’assunzione che la conoscenza scientifica che si ha è parziale e che l’azione di gestione secondo l’AE
si configura come un processo di apprendimento (learning process) sperimentale in cui si incorporano i risultati delle azioni precedenti,
secondo un processo flessibile e capace di adattarsi rispetto alle incertezze
7.
Cooperazione tra agenzie ed enti
di gestione (Interagency cooperation)
La cooperazione tra agenzie ed enti di gestione a scale differenti (da nazionali a locali) e tra attori privati e pubblici è necessaria
in quanto si lavora a cavallo di confini amministrativi, fra mandati differenti e diversi obiettivi di gestione
8.
Cambiamenti nell’organizzazione
(Organizational change)
L’attuazione di un processo secondo AE implica necessariamente un cambiamento nella prassi organizzativa degli enti di gestione,
cambiamenti che possono riguardare il modus operandi, oppure cambiamenti più complessi come quelli nei sistemi di norme
o nelle relazioni di potere
9.
Integrazione tra Uomo e Natura
(Humans Embedded in Nature)
Nell’AE la componente antropica non è separabile da quelle ambientali, dalle quali è indissolubilmente influenzata e dipendente
e di cui influenza processi e strutture
10.
Valori (Values)
Indipendentemente dalla funzione svolta dalla conoscenza scientifica, i valori umani giocano un ruolo fondamentale
nella definizione degli obiettivi della gestione secondo l’AE
Tab. 2. I dodici principi dell’Approccio Ecosistemico (Ecosystem Approach) secondo la Convenzione sulla Biodiversità (CBD, 2000, traduzione da Padovani et al. 2003)
Principi
1.
Gli obiettivi della gestione del territorio, dell’acqua e delle risorse viventi sono materia di scelta da parte della società
2.
La gestione dovrebbe essere decentralizzata al livello appropriato più basso
3.
Coloro che gestiscono l’ecosistema dovrebbero considerare gli effetti (attuali o potenziali) delle loro attività su ecosistemi adiacenti e su altri ecosistemi
4.
Riconoscendo i potenziali benefici derivanti dalla gestione, esiste in generale la necessità di comprendere e gestire l’ecosistema in un contesto economico.
Ogni programma di gestione degli ecosistemi dovrebbe quindi: a) ridurre quelle distorsioni di mercato che hanno effetti negativi sulla diversità biologica;
b) stabilire piani di incentivi per promuovere la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica; c) internalizzare il più possibile i costi e i benefici dell’ecosistema
5.
La conservazione della struttura e del funzionamento dell’ecosistema, al fine di mantenere inalterati i servizi ambientali forniti, dovrebbe essere un obiettivo prioritario
dell’Approccio Ecosistemico
6.
Gli ecosistemi devono essere gestiti nei limiti del loro funzionamento
7.
L’Approccio Ecosistemico dovrebbe essere intrapreso su scala spaziale e temporale appropriata
8.
Riconoscendo il variare delle scale temporali e gli effetti ritardati che caratterizzano i processi ecosistemici, gli obiettivi per la gestione degli ecosistemi
dovrebbero essere messi a punto su scala temporale di lungo termine
9.
La gestione deve riconoscere che il cambiamento è inevitabile
10.
L’Approccio Ecosistemico deve ricercare il giusto equilibri o e l’integrazione con la conservazione e l’uso della diversità biologica
11.
L’Approccio Ecosistemico dovrebbe considerare tutte le forme di informazione rilevanti, incluse le conoscenze scientifiche, le innovazioni e le pratiche indigene e locali
12.
L’Approccio Ecosistemico dovrebbe coinvolgere tutti i settori rilevanti della società e delle discipline scientifiche
166
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Rispetto al dibattito di fine anni Novanta, Slocombe (1998) traccia una distinzione tra “ecosystem management” (EM) e “ecosystem based management”2 (EBM). Nello specifico, “ecosystem
management” pone l’accento sulla gestione degli ecosistemi, a una scala limitata all’ecosistema (di norma piccola) e alle attività che incidono su di essi, da una prospettiva prettamente
ecologica. Al contrario, per “ecosystem based management” si intende un approccio alla gestione delle risorse e alla pianificazione territoriale che adotti una prospettiva di transdisciplinarità
e secondo un approccio integrato. A esso si aggiunge il fatto che l’approccio “ecosystem-based”
prende in considerazione aree ad una più vasta scala, territori e paesaggi intesi come sistemi
complessi e dinamici, la cui gestione è incentrata sull’analisi e la comprensione delle interazioni
e dei processi che caratterizzano diversi ecosistemi (Sample, 1994 in Folke et al., 2005). Nella
traduzione italiana, la distinzione si ritrova tra “gestione degli ecosistemi”, afferibile al primo, e
“Approccio Ecosistemico” per EBM, che come tale viene utilizzato nel presente testo.
È interessante notare inoltre come l’Approccio Ecosistemico si configuri come una strategia
integrata di gestione delle risorse orientata verso l’uso sostenibile delle risorse stesse, e non direttamente alla conservazione della natura di per sé (Slocombe, 1998). La protezione e la conservazione degli ecosistemi si configura come esito di un efficace processo “ecosystem based”,
piuttosto che come obiettivo centrale della strategia di gestione. Questo aspetto è sottolineato
anche dal fatto che nell’AE non si rifiuta la visione “antropocentrica” per una esclusivamente
“biocentrica” (Christensen et al., 1996). Al contrario, i bisogni della società devono confrontarsi
con il fatto che la reale capacità degli ecosistemi di fornire benefici abbia dei limiti, e che tali
limiti dipendano dal funzionamento degli ecosistemi, che deve essere preso in considerazione
nell’ambito della costruzione di processi di pianificazione e di gestione del territorio.
L’Approccio Ecosistemico trova, quindi, un vasto riconoscimento internazionale non solo in ambito scientifico-disciplinare ma anche nella costruzione delle politiche territoriali. Un esempio
ne è la definizione data nell’ambito della Convenzione sulla Biodiversità (CB, 2000), che riconosce come la conservazione della diversità biologica sia determinante per il mantenimento della
fornitura di beni e servizi ecosistemici a beneficio dell’uomo. Nell’ambito della Convenzione,
l’Approccio Ecosistemico è definito come «la strategia per la gestione integrata della terra,
dell’acqua e di ogni risorsa vivente, a supporto della conservazione e dell’uso sostenibile ed
equo» (CB, 2000). La definizione continua dicendo che l’AE si basa «sull’applicazione di appropriate metodologie scientifiche focalizzate rispetto ai livelli di organizzazione biologica che
comprendono i processi, le funzioni e le interazioni tra organismi viventi ed il loro ambiente»
(CB, 2000). La Convenzione riconosce infine che le popolazioni umane, con le loro diversità culturali, sono parte integrante degli ecosistemi, e come tali devono essere riconosciute e considerate nel processo di gestione. È importante notare che anche nell’accezione della CB l’Approccio
Ecosistemico rappresenta una prospettiva di gestione “ecologica” per il raggiungimento di un
equilibrio tra l’uso delle risorse e le priorità di conservazione della natura, integrando informazioni biologiche, sociali ed economiche secondo metodi scientifici appropriati (Padovani et al.,
2013). La Convenzione esplicita gli aspetti caratterizzanti tale prospettiva attraverso 12 principi
fondamentali dell’Approccio Ecosistemico (riportati in tabella 2), da applicare per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica3.
Verso l’“adaptive governance” dei sistemi sociali-ecologici
La teoria dell’Approccio Ecosistemico affonda quindi le proprie radici nella chiara integrazione
tra aspetti sociali ed ecologici, che compongono un unico sistema. Per descrivere questa prospettiva in maniera più esplicita, gli scienziati adottano nuove formulazioni linguistiche per
l’oggetto di studio dell’AE, come “coupled human and natural systems” (Liu et al., 2007), oppure
“coupled human-environment systems” (Turner et al., 2003), “ecosocial systems” (Waltner-Toews et al., 2003) e “socioecological systems” (Gallopin et al., 2001). La definizione data da Berke
e Folke (1998), adottata in questo scritto, stabilisce che l’oggetto dell’Approccio Ecosistemico
riguarda i “sistemi sociali-ecologici” (“social ecological systems”), al fine di mettere in rilievo le
relazioni e le interazioni tra le diverse componenti a livello multiscalare.
A seguito dell’avanzamento delle sperimentazioni e dell’analisi teorica, l’“Ecosystem-Based
Approach” si evolve verso quello che è stato definito da Dietz et al. (2003) e da Berke e Folke
(1998) come “adaptive governance” (governance adattativa, AG).
Per governance si intendono le strutture e i processi tramite i quali vengono elaborate e assunte
le decisioni (Lebel et al., 2006), processi e strutture che nell’ambito di assetti istituzionali policentrici danno luogo ad azioni coordinate e collaborative (Lee et al., 2003, in Folke et al., 2005),
in cui il decentramento (devolution) del potere fa posto a forme di partecipazione di soggetti
che operano a scale e a livelli istituzionali differenti (Folke et al., 2005).
Si parla di governance adattativa nel momento in cui tale assetto policentrico e il sistema di
norme e di azioni a esso collegato è capace di apprendere dall’esperienza tramite feedback
(Schultz e Lundholm, 2010), per rispondere e ri-organizzarsi in modo da adattarsi al meglio alle
dinamiche e alle condizioni socio-ecologiche a cui fa riferimento (Armitage et al., 2008).
Tramite l’accezione dell’AG si cerca di dare rilevanza e di rispondere nella sua complessità non
solo alla dimensione ecologica, ma anche alla dimensione sociale dei sistemi socio-ecologici
(Folke et al., 2005), mettendo in rilievo il fatto che la gestione degli ecosistemi non si basa soltanto sulla conoscenza scientifica, per quanto avanzata, degli stessi, ma che è necessario anche
attivare e riflettere sugli aspetti sociali, istituzionali e organizzativi che li caratterizzano, al fine
di comprenderne la capacità di adattarsi in maniera efficace ai cambiamenti.
L’AG poggia pertanto sui due concetti chiave di conoscenza (knowledge) e apprendimento (learning), che vengono in questa fase rielaborati in termini di caratterizzazione sociale (Schultz e
Lundholm, 2010). Se ogni attore è portatore di conoscenze4 (locale, tacita, tradizionale, pratica
o scientifica), come fonti multiple e distribuite, spesso associate a modelli mentali e sistemi di
valori differenti (Folke et al., 2005), è neccessario attivare e nutrire il processo di gestione dei
sistemi sociali ecologici di tutti questi attori. Il processo di costruzione della conoscenza vede
quindi la partecipazione di individui, manager e istituzioni, abbastanza flessibili da apprendere
dal processo e da rispondere e adattarsi ai cambiamenti in corso, in un processo continuo definito come “imparare facendo” (learning by doing).
Per dare attuazione alla AG la co-gestione adattativa di alcuni processi ecosistemici può supportare la fornitura di beni e servizi ecosistemici (Carpenter et al., 2009), a beneficio delle popolazioni umane (MA, 2005).
La prospettiva dell’“ecosystem based adaptation” ai cambiamenti climatici
Nel caso delle strategie di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici (CC), è ormai
riconosciuto che i sistemi sociali-ecologici che rispondono ai criteri dell’AG possono essere in
grado di rispondere ai cambiamenti improvvisi e alle incertezze, perchè la loro capacità di assorbire le perturbazioni, di riorganizzarsi e di rispondere ai cambiamenti per il mantenimento
delle proprie funzioni essenziali (cioè la loro resilienza, così definita da Walker et al., 2006; Lebel
et al., 2006) è potenziata.
In tale ottica sta prendendo campo una recente applicazione dell’AG nell’“Ecosystem-Based
Adaptation” (Approccio Ecosistemico all’Adattamento ai CC, EbAd), che pone alla base di una
più ampia strategia di adattamento ai CC l’utilizzo della biodiversità e dei servizi ecosistemici al
fine di mantenere e supportare la resilienza e di ridurre la vulnerabilità5 degli ecosistemi e delle
Focus 2
167
popolazioni umane (CB, 2009). Difatti, «ecosistemi sani forniscono servizi preziosi come cibo,
acqua potabile, protezione dalle malattie, controllo delle inondazioni e dell’erosione (servizi
di regolazione), […] e allo stesso tempo [permettono] la costruzione di resilienza contro gli
impatti del cambiamento climatico» (UNEP, 2012).
Le azioni “ecosystem-based” orientate alla gestione sostenibile, alla conservazione e al ripristino degli ecosistemi (CB, 2009) vanno di pari passo con azioni di educazione, formazione,
sensibilizzazione, collegate alla dimensione sociale dell’apprendimento (social learning) già
menzionate nell’ambito dell’AG, oltre allo sviluppo di sistemi di allerta e ad altre misure tecnologiche (Andrade Perez et al., 2010). Le sperimentazioni in corso6 stanno dimostrando che
l’EbAd, oltre a supportare la fornitura di co-benefici, richiede investimenti economici di minor
entità rispetto al raggiungimento di obiettivi sociali, economici e ambientali sul lungo periodo,
rispetto ad approcci più strettamente connessi a misure di tipo ingegneristico (UNEP, 2012).
Munang et al. (2013) riportano che un investimento annuo globale di 45 miliardi di dollari a tutela degli ecosistemi secondo EbAd potrebbe fornire una stima 5.000 miliardi di dollari all’anno
di benefici, con un rapporto costi-benefici di oltre 100:1.
1
La Teoria generale dei sistemi fu teorizzata da Bertanlaffy, sistematizzata in Bertalanffy, L. von, 1968.
Per una introduzione generale e sintesi sulla teoria dei sistemi, si veda Enciclopedia delle scienze sociali
(1998) di Francesco Pardi, http://www.treccani.it/enciclopedia/teoria-dei-sistemi_%28Enciclopedia_delle_scienze_sociali%29/.
2 Nell’evoluzione del sistema di concetti e dei principi a esso associati, dagli anni Novanta in poi, l’Approccio Ecosistemico viene mutuato alternativamente in Ecosystem-Based Approach (EBA) o Ecosystem-Based
Management (EBM), senza che ci siano fondamentali differenze di contenuto e significato (Farmer et al.,
2012).
3 Per una discussione approfondita si veda Atkins et al., 2011, Padovani et al., 2013.
4 Per una trattazione riguardo al ruolo della conoscenza si veda Berkes, F. 2009. Evolution of co-management: Role of knowledge generation, bridging organizations and social learning. «Journal of Environmental
Management» 90, 5: 1692–1702.
5 Per vulnerabilità si intende la propensione o la predisposizione a essere influenzati sfavorevolmente dagli
effetti del cambiamento climatico (IPCC, 2007, trad. a cura di L. Caciagli, Italian Focal point per IPCC,CMCC, 2014).
6 UCN sta attuando 45 progetti secondo l’approccio dell’Ecosystem based Adaptation in 58 paesi nel mondo; per un quadro a riguardo si veda Raza Rizvi, 2014.
168
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
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Focus 2
169
L’approccio ecosistemico all’effetto isola di calore
Linda Zardo, Davide Geneletti, Marta Pérez Soba
ES e azioni ecosistemiche
Nell’aprile 2013 l’Unione Europea ha lanciato con la nuova Strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici
(EU, 2013) un forte richiamo ad applicare l’approccio ecosistemico. Le azioni ecosistemiche implicano la pianificazione
e la gestione degli ecosistemi ai fini di garantire e regolare l’approvvigionamento dei servizi ecosistemici (ESs), ossia di
tutti quei benefici che l’ambiente fornisce, permettendo così il benessere umano (MA, 2005).
I tre problemi legati ai cambiamenti climatici che maggiormente affliggono le città sono: alluvioni (floods), isole di
calore urbane (UHI) e scarsità d’acqua. Si possono mitigare attraverso varie strategie ed approcci, ma quello ecosistemico
è stato riconosciuto dalla letteratura scientifica e dalle amministrazioni come “win-win, a basso costo e multifunzione”
e per questo è fortemente richiesto e sostenuto.
Costi e benefici delle azioni ecosistemiche
Se consideriamo i costi che le città europee hanno dovuto sostenere a causa dei cambiamenti climatici, è possibile constatare che un’applicazione di azioni ecosistemiche preventive avrebbe avuto un costo pari alla metà del denaro speso
per azioni di mitigazione o attenuazione (EEA, 2012). In termini di effetto isola di calore, la creazione di aree verdi non
solo riduce le temperature in città (variazioni fino a 10 gradi secondo Gomez - Barton, 2013) e influisce sulle questioni
correlate (costi minori per i sistemi di raffreddamento o condizionamento, maggior benessere e meno decessi dovuti ai
picchi estivi), ma sfocia – in esternalità non richieste – un paesaggio più gradevole, spazi per lo sport e la ricreazione,
maggior resilienza a esondazioni, conservazione della biodiversità.
Attenendosi comunque allo stretto beneficio diretto, vari studi hanno individuato un risparmio nella spesa per l’aria
condizionata di circa 15$ per ogni albero (McPherson et al., 1997).
Identikit del perfetto ecosistema urbano
Per definizione sono considerati ecosistemi urbani tutti gli spazi verdi e blu in aree urbane, inclusi parchi, cimiteri, viali,
giardini, foreste urbane, fiumi e laghi (Gomez - Barton, 2013). Ogni ecosistema urbano può produrre beni e servizi ecosistemici di tipo (di tipi) e intensità (quanto per ogni tipo) diversi a seconda delle sue caratteristiche e della sua struttura
biofisica. Un ecosistema opportunamente progettato può rappresentare un valido mezzo per la produzione di servizi
ecosistemici (ESs) d’interesse per il benessere della città (ad esempio quelli chiave per l’adattamento ai cambiamenti
climatici).
Il modello a cascata (Braat - De Groot, 2012) permette di esplicitare i legami tra a) l’ES prodotto, b) le funzioni biofisiche
dell’ecosistema da cui dipende la produzione dell’ES e c) la struttura dell’ecosistema che permette il funzionamento biofisico. Arrivare a identificare i caratteri della struttura che maggiormente sottendono l’ES d’interesse significa individuare
le leve su cui decision-makers e pianificatori possono intervenire per massimizzare la risposta degli ecosistemi urbani
alle loro necessità e valutarne le capacità di risposta allo stato di fatto.
Valutazione e progettazione del perfetto ecosistema urbano
Abbiamo applicato e rovesciato il modello a cascata (fig. 1) per individuare i tratti fisici di un ecosistema di maggior
rilevanza per la produzione di un ES chiave per l’adattamento e la mitigazione dell’UHI: regolazione locale del clima.
Il processo (o framework) consta di 5 fasi progressive. Individuato l’ES (a) da ottimizzare (fase 1), la fase 2 prevede
l’identificazione delle funzioni biofisiche (b) che influiscono maggiormente sulla sua produzione. Tramite un’analisi della letteratura (Gomez-Baggethun - Barton, 2013; Larondelle - Haase, 2013; McPhearson - Kremer - Hamstead, 2013;
Smith, 2013; Bolund - Hunhammar, 1999; Akbari, 1992; Taha et al.,1991; Oke, 1988) è stato possibile selezionarne tre:
ombreggiamento, protezione dal vento ed evapotraspirazione.
Proseguendo con la terza fase, abbiamo collegato ogni funzione biofisica ai tratti della struttura che la sottendono (c),
sintetizzando i tratti in due indicatori chiave:
170
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
1. Il modello a cascata.
2. Classificazione degli ecosistemi urbani per combinazione di caratteri fisici (20 tipi o assets).
Focus 2
171
– ombreggiamento: presenza d’alberi;
– protezione dal vento: presenza d’alberi;
– evapotraspirazione: presenza d’alberi e land-cover.
Anche questa fase è stata completata tramite un’analisi bibliografica (Gomez-Baggethun Barton, 2013; Larondelle - Haase, 2013; McPhearson, Kremer - Hamstead, 2013; Smith, 2013;
Bolund - Hunhammar, 1999; Akbari, 1992; Taha et al.,1991; Oke, 1988).
Il quarto passo vede la classificazione di tutti gli ecosistemi urbani per combinazione dei tratti
fisici, arrivando a delineare 20 possibili asset (o combinazione di tratti fisici dell’ecosistema)
(fig. 2). Il quinto step assegna a ogni asset un livello di performance per ognuna delle tre funzioni biofisiche. A questo stadio della ricerca ogni asset presenta tre valutazioni separate, una per
ogni funzione. Non è ancora stato formulato un unico punteggio finale per ogni asset in termini
di “local climate regulation performance” in quanto il grado d’influenza di ogni funzione sulla
mitigazione e adattamento per l’UHI dipende dal contesto (per esempio, in climi caldi e umidi
l’evapotraspirazione ha una rilevanza diversa che in climi caldi e secchi): quest’operazione verrà
presa in considerazione nel futuro prossimo della ricerca.
Allo stato attuale l’applicazione dei 5 step del processo rende possibile l’individuazione di classi
di ecosistemi urbani in base al loro grado di risposta all’UHI fino alla mappatura delle aree verdi
e blu di una stessa città che riporti il tipo di asset e il livello di performance rispetto al potenziale
massimo raggiungibile. Oltre a una fotografia spazialmente esplicita dello stato di fatto offre
inoltre veloci indicazioni per intervenire sull’esistente in modo da massimizzare la risposta degli
ecosistemi urbani al problema.
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Prossimi passi nella ricerca
La prossima fase di questo lavoro prevederà il completamento della framework estendendo
l’analisi alle implicazioni del contesto (come sopra anticipato) al contributo della dimensione e della forma dell’ecosistema urbano e verificandone l’influenza sulla produzione dell’ES
e sull’incidenza della posizione dell’area verde o blu (periferica o centrale all’interno dell’area
urbana).
Applicata la framework con questo grado di complessità all’analisi e ottimizzazione di un
servizio ecosistemico, sarà interessante iniziare ad aggregare più servizi ecosistemici, così da
individuare sinergie e trade-off per disegnare possibili alternative da mettere a servizio di pianificatori e decision-makers.
Per ulteriori informazioni: www.davidegeneletti.wordpress.it o [email protected].
172
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
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La caratterizzazione del metabolismo urbano per la valutazione della sostenibilità del sistema urbano.
Il caso del Comune di Treviso.
Maurizio Pioletti, Roberto Pastres, Giacomo Cireddu, Michele Masè, Daniele Brigolin
La caratterizzazione del metabolismo urbano implica uno sviluppo di modelli, indicatori e scenari (Moore - Kissinger - Rees 2013) basati su
un approccio ecologico. Questi strumenti possono integrarsi nelle politiche di governo del territorio e, quindi, nella pianificazione urbanistica
e ambientale. Il caso studio portato ad esempio, riguardante il Comune di Treviso, è in corso di realizzazione e prevede lo svolgimento delle
seguenti attività:
1) tracciamento e contabilità dei consumi di risorse, ovvero di materia ed energia (MEFA Material & Energy Flow Accounting; Barrett - Vallack Jones - Haq 2002) e relativa produzione di rifiuti come strumento per l’implementazione delle politiche smart city;
2) bilanciamento del sistema idrico come strumento per costruire scenari di ottimizzazione dello sfruttamento di acqua potabile;
3) calcolo della Carbon footprint a scala di comunità locale come impronta del complesso delle attività antropiche di un insediamento.
L’approccio ecologico (Bodini - Bondavalli - Allesina 2012) nello studio di un sistema di cui sono noti i confini geografici e il periodo di funzionamento che si intende considerare si basa sul principio del bilancio di massa:
IN – OUT (+ GEN) = ACC
[IN: input; OUT: output; GEN: produzione di rifiuti residui/emissioni; ACC: accumulo].
In questo lavoro si è espressamente scelto di limitare l’indagine al territorio comunale di Treviso, essendo il comune l’unità amministrativa primaria nel processo di policy making. Questa scelta è stata operata pur riconoscendo che il tessuto urbano del Comune di Treviso si trovi in continuità
con altri comuni e l’area urbanizzata complessiva sia caratterizzata da una dispersione del costruito (urban sprawl) che estende la città ben
oltre i confini dei comuni principali. A sostegno della scelta di limitare il sistema ai confini amministrativi, si riscontra il fatto che il Comune di
Treviso ha adottato il PAES (e si sta impegnando a implementarlo) autonomamente rispetto agli altri comuni limitrofi. Oltre che dal punto di vista
politico-amministrativo il comune risulta anche un’unità organizzativa di per sé, in grado di operare scelte rilevanti già all’interno della propria
struttura.
Per garantire la qualità tecnico-scientifica dell’indagine, i dati raccolti per comporre il MEFA hanno risposto ai requisiti richiesti da standard
internazionali come GHG protocol (www.ghgprotocol.org) e riportati di seguito:
–Rilevanza.
–Completezza.
–Consistenza.
– Trasparenza.
– Accuratezza.
– Misurabilità.
Al fine di analizzare i flussi di materia ed energia si è reso necessario mappare la governance dell’informazione sulle risorse, ovvero chiarire i
soggetti che detengono i dati sia qualitativi che quantitativi: i risultati di tale analisi sono sintetizzati nel diagramma seguente.
Il MEFA può essere utilizzato per valutare l’efficienza nell’uso delle risorse, anche in termini di smaltimento e recupero dei rifiuti, e l’efficacia delle
policies che lo determinano, e rappresenta un’ampia base di dati da cui è possibile scorporare singole risorse per cui stimare specifici bilanci di
massa. Un esempio di particolare rilevanza è quello dell’acqua, il cui studio può fornire utili indicazioni ai fini della pianificazione del servizio idrico integrato. Dalla ricostruzione del rete idropotabile si delineano i comparti di utilizzo come illustrato in figura 3. Una volta caratterizzati i flussi
all’interno della rete mediante il bilancio di massa è inoltre possibile derivare indicatori quantitativi del funzionamento di tale rete, mediante
metodologie mutuate dall’analisi delle reti ecologiche (Bodini - Bondavalli - Allesina, 2012).
Da un lato la mappatura dei comparti e dei flussi che compongono la rete idrica permette di identificare chiaramente i segmenti del sistema per i
quali non vengono effettuate adeguate misurazioni in campo (come nel caso dei pozzi in concessione a soggetti privati) ed è possibile ipotizzare
dei valori compresi entro determinati intervalli attraverso il bilanciamento della rete; dall’altro tale mappatura consente di stimare l’entità e la
localizzazione, a livello sistemico, delle perdite (come nel caso delle perdite in fase di distribuzione) o l’insufficienza di alcuni comparti (come nel
caso del depuratore). Il bilanciamento della rete idrica, permettendo di attribuire ai flussi valori reali o ipotetici, risulta di notevole utilità nella
redazione di scenari di miglioramento dello sfruttamento della risorsa.
Focus 2
173
Infine il MEFA, includendo il tracciamento dei rifiuti gassosi, permette di redigere un inventario delle emissioni, fondato sul Life cycle assessment (Browne - O’Regan - Moles 2007), con cui
elaborare indicatori come l’impronta di carbonio, di grande utilità per la comprensione dell’impatto della tecnosfera sulla biosfera, in termini di capacità della biosfera di smaltire il carbonio prodotto dalla tecnosfera; utile anche per l’inserimento nella pianificazione del territorio
di uno strumento di valutazione sia dello stato presente, sia dei successivi determinati dalle
trasformazioni previste dai piani, definendo scenari di emissioni. Questi rappresentano la base
per la costruzione delle strategie e dei piani per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti
climatici. Il Life cycle assessment, in genere, si calcola per un prodotto finito o un processo (ad
esempio industriale), o una organizzazione, ovvero un insieme chiuso di processi decisionali.
Per il territorio comunale di Treviso ci si è posti la sfida di considerare il sistema urbano come
un unicum, ovvero un’unica organizzazione territoriale. Considerato il carattere strategico e di
orientamento del Piano di Assetto del Territorio in Veneto, il calcolo dell’impronta di carbonio
di un PUA o di un PI in fase di approvazione potrebbe rappresentare un’efficace valutazione di
come la fase di implementazione dei piani risponda adeguatamente alle strategie, ovvero agli
obiettivi di sviluppo posti a livello strategico.
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Browne, D. - O’Regan, B. - Moles, R. (2007), ”Comparison of Energy Flow Accounting, Energy
Flow Metabolism Ratio Analysis and Ecological Footprinting as Tools for Measuring Urban
Sustainability: A Case-study of an Irish City-region”. Ecological Economics, 83: 97-107;
Moore, J. - Kissinger, M. - Rees, W.E. (2013), ”An Urban Metabolism and Ecological Footprint
Assessment of Metro Vancouver”. Journal of Environmental Management, 124: 51-61.
1. La rappresentazione del MEFA del territorio comunale di Treviso è in corso di redazione
e rappresenta l’inventario dei consumi di materia ed energia e dei relativi rifiuti (gassosi, liquidi e solidi).
I dati raccolti riguardano l’anno 2013.
2. Mappa della governance dell’informazione.
3. Modello concettuale della risorsa acqua potabile.
174
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Focus 2
175
Qualità dello spazio urbano e comfort termico
Alessandro Salvati
Le qualità dello spazio fisico in grado di influenzare anche in minima parte il microclima urbano sono innumerevoli: tra
queste l’orientamento, la forma, l’altezza e i materiali degli edifici, la minore o maggiore presenza di verde o di elementi
di ostacolo alla ventilazione sono i fattori meglio noti e più studiati dalla letteratura scientifica. Questi fattori alternano
in vario modo i normali processi di evapotraspirazione, ventilazione, assorbimento delle radiazioni solari ecc. che si
avrebbero in assenza di elementi artefatti quali edifici e strade e contribuiscono in questo modo alla formazione di
isole di calore urbane, acuendo il disagio termico delle persone e rendendo di fatto gli spazi urbani aperti (e non) meno
vivibili durante i periodi più caldi dell’anno. Un buon disegno dello spazio urbano è senza dubbio in grado di limitare il
fenomeno, sebbene – come si vedrà – non si tratti dell’unico fattore in gioco. Ali Toudert e Mayer considerano l’aspect
ratio (o H/W, ovvero il rapporto tra altezza degli edifici e larghezza del piano strade) come uno dei fattori principali nel
determinare il microclima urbano. Una considerazione di questo tipo può risultare molto utile nella progettazione di
spazi ex novo, mentre lo è un po’ meno quando – come nella maggior parte dei casi – si intenda agire sul tessuto urbano
già esistente. In quest’ultimo caso occorre considerare tutta una serie di micro-interventi e di soluzioni ad hoc in grado
di contribuire positivamente al comfort termico di chi vive questi spazi. Ad esempio le strade molto ampie (con H/W < 1)
– pur raffreddandosi più velocemente durante le ore notturne – sono generalmente assai poco confortevoli durante
il giorno (sebbene tutte quelle che non abbiano orientamento strettamente O-E garantiscano un ombreggiamento ai
lati). In questi casi la creazione di filari alberati, di porticati o di pergolati è l’unica soluzione di progetto capace di migliorare sostanzialmente le condizioni micro-climatiche diurne, aumentando l’area di superficie ombreggiata. In genere
la presenza di facciate sporgenti o di elementi ombreggianti tanto degli edifici quanto delle strade è in tutti i casi una
misura che riesce a garantire un buon livello di comfort termico: per di più, nel caso in cui essi siano strutture rimovibili,
è possibile prevederne un uso flessibile negli scopi e nel tempo, massimizzando la quantità di calore e luce necessari
durante i mesi invernali o utilizzandole anche in caso di pioggia.
Qualsiasi opera di rinverdimento ha una duplice funzione, contribuendo tanto a ripristinare i naturali processi di evapotraspirazione precedentemente alterati, quanto a migliorare la piacevolezza e la qualità estetica dello spazio. Il comfort
termico, infatti, non è solo ed esclusivamente influenzato dall’ambiente fisico o dal livello effettivo delle temperature:
trattandosi di un indice tipicamente soggettivo (che va spesso sotto il nome di PET, Physiologically Equivalent Temperature, ovvero l’indice con cui gli studiosi provano a darne una misura), esso dipende in buona sostanza anche da variabili
percettive o da quello che viene definito “adattamento psicologico” al clima, un fattore che al pari delle condizioni microclimatiche è possibile – sebbene in parte – controllare attraverso il disegno dello spazio fisico. La sensazione di comfort
termico dipende infatti dall’esperienza immediata e di breve termine ed è normalmente acuita in presenza di situazioni
contrastanti, motivo per cui la presenza di un elemento di differenziazione – ad esempio un’area verde in un ambiente
che ne è generalmente sprovvisto – assume in questo senso un valore particolarmente alto. In quest’ottica potrebbe
essere innovativo immaginare progetti che influenzino anche la percezione del calore e favoriscano l’adattamento termico: in letteratura una delle soluzioni sovente proposte è la creazione di spazi ed elementi transitori, discontinui e misti
(outdoor/indoor e più o meno o verdi e ombreggiati) proprio in grado – se vogliamo – di giocare sul contrasto.
In tutti i casi è comunque indispensabile basare qualsiasi intervento su un’analisi preventiva che consideri il tempo e il
tipo di fruizione degli spazi urbani, in modo da intervenire laddove più necessario. Nondimeno, dal momento che una
buona progettazione climatica degli spazi è in grado di aumentarne l’attrattività, è possibile farvi ricorso anche con scopi
di rivitalizzazione di spazi degradati o anche semplicemente poco fruiti.
176
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
Riferimenti bibliografici
Ali-Toudert, F. - Mayer, H. (2006), ”Numerical Study on the Effects of Aspect Ratio and Orientation of an Urban Street Canyon on Outdoor Thermal Comfort in Hot and Dry Climate”. Building and Environment, 41(2): 94-108.
Nikolopoulou, M. - Steemers, K. (2003), ”Thermal Comfort and Psychological Adaptation as a
Guide for Designing Urban Spaces”. Energy and Buildings, 35(1): 95-101.
Focus 2
177
Ondate di calore e salute della popolazione
Alessandro Messeri, Marco Morabito, Martina Petralli, Giada Brandani, Francesca Natali, Simone Orlandini
L’Italia, così come gran parte dei paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, è una delle nazioni che maggiormente risente dei cambiamenti climatici che la rendono pertanto particolarmente vulnerabile agli eventi estremi come
piogge intense, ondate di caldo durante la stagione estiva e repentine diminuzioni termiche durante quella invernale
(IPCC, 2013). Particolarmente evidente è apparso, nel corso degli ultimi decenni, l’incremento termico nel periodo estivo,
con importanti ripercussioni sulla salute della popolazione, soprattutto quella anziana, che ha visto un incremento dei
decessi durante i periodi di caldo intenso e prolungato (Meehel - Tebaldi, 2004; Haines et al., 2006; Hajat, 2006; Luber et
al., 2008). Ne è un esempio l’ondata di calore del 2003 che ha causato oltre 70.000 morti in Europa, con effetti maggiori
sugli over 75 già con patologie croniche e residenti nei grandi centri abitati. Da ciò si intuisce come la “vulnerabilità
della popolazione” agli effetti delle ondate di calore sia strettamente dipendente dalla “vulnerabilità individuale”, che
a sua volta dipende dallo stato di salute dell’individuo, dalla sua capacità di adattamento e dal livello di esposizione. Esistono infatti numerose evidenze scientifiche che dimostrano una maggiore suscettibilità dei soggetti affetti
da malattie cardiovascolari, malattie croniche quali per esempio la BPCO – Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva –,
insufficienza renale, diabete, malattie neurologiche e disturbi psichici (Stafoggia et al., 2006; Morabito et al., 2012).
Tali disturbi si riscontrano con maggiore frequenza nei soggetti anziani che presentano un’ulteriore aggravante in una
profusa sudorazione compensativa come conseguenza di temperature elevate con perdita di liquidi e sali che, in un
soggetto già di per sé disidratato come quello anziano, costituisce un’ulteriore aggravante. Ulteriori studi hanno evidenziato che gli effetti maggiori in termini di decessi si osservano per le ondate di calore che presentano una durata
superiore ai 5 giorni, con un incremento della mortalità da 2 a 5 volte più alto rispetto alle ondate di calore di breve
durata. Inoltre è stato osservato che le ondate di calore più precoci, cioè quelle che si verificano all’inizio della stagione estiva, hanno un impatto maggiore sulla salute della popolazione rispetto a episodi di uguale intensità ma che si
verificano successivamente nel corso dell’estate: questo perché l’organismo non si è ancora abituato alle temperature
più elevate della stagione calda. Da qui si intuisce l’importanza di prevenire le conseguenze delle ondate di calore sulla
salute, in particolare attraverso l’attivazione di sistemi di previsione e di allerta in grado di informare in maniera tempestiva la popolazione e gli enti predisposti a tutelarne la salute. Studi recenti (Morabito et al., 2012; Schifano et al.,
2012) hanno chiaramente dimostrato che misure preventive, come i flussi di informazione e previsione (HEWS: Heatwave
Early Warning Systems) per prevenire gli effetti del caldo sulla popolazione anziana, sono in grado di ridurre l’eccesso di
mortalità da caldo di soggetti molto anziani. L’Italia è stato uno dei primi paesi a livello europeo a rendere operativo un
piano nazionale di interventi per la prevenzione degli effetti sulla salute delle ondate di calore, sulla base di indicazioni
ministeriali, e a introdurre sistemi di allarme specifici nelle principali città. In particolare, dal 2004 è attivo il Sistema
nazionale di sorveglianza, previsione ed allarme per la prevenzione degli effetti delle ondate di calore sulla salute della
popolazione promosso dal Dipartimento nazionale della protezione civile che prevede, sulle principali aree urbane del
paese, la realizzazione di sistemi di allarme per la previsione e per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute,
denominati Heat Health Watch Warning Systems (HHWWS). Inoltre il Ministero della Salute coordina il Piano operativo
nazionale per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute e ha predisposto linee guida nazionali per la definizione
di piani operativi in ambito regionale e comunale. Durante i mesi estivi è quindi possibile informarsi giornalmente sulle
condizioni meteorologiche locali e il relativo livello di rischio. Tale informazione è reperibile consultando via internet il
sito web del Dipartimento della protezione civile, dove ogni mattina vengono pubblicati i bollettini città specifici. Inoltre
i comuni hanno il compito di diffondere l’informazione a livello locale. Questa esigenza è nata dal fatto che il servizio
di allerta nazionale è valido solo per alcune città italiane, in genere per i capoluoghi di regione. Tuttavia alcune regioni,
come per esempio la Toscana, sono dotate di un proprio piano di previsione e prevenzione delle ondate di calore. Qui, il
Centro Interdipartimentale di Bioclimatologia dell’Università di Firenze (CIBIC) si occupa da ormai oltre quindici anni dello studio di tematiche relative all’impatto meteo-climatico sulla salute, con particolare riguardo a specifiche categorie
di soggetti definiti “a rischio” e concentrando l’attenzione su aree densamente urbanizzate e popolate e anche su zone
geografiche con caratteristiche ambientali molto diverse. Per quanto riguarda la criticità da caldo, vengono utilizzati i
178
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
risultati di alcuni studi condotti sulle relazioni tra dati di mortalità e temperature medie giornaliere in varie zone della Toscana, che hanno portato all’individuazione di soglie di criticità
da caldo decadali e specifiche per tre zone geografiche con caratteristiche meteo-climatiche
differenti (pianura interna, collina e località costiere; fig. 1). In caso di superamento delle soglie
di criticità, si procede alla segnalazione di rischio su tre livelli: Attenzione caldo (il primo giorno
di criticità), Allarme caldo (il secondo giorno consecutivo di superamento dei valori di soglia),
Emergenza caldo (per il terzo e i successivi giorni consecutivi di criticità da caldo).
Riferimenti bibliografici
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Health: Impacts, Vulnerability and Mitigation”. Lancet, 367: 2101-2109.
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Luber, G. - Mc.Geehin, M. (2008), “Climate Change and Extreme Heat Events”. Am. J. Prev. Med.,
35(5): 429-435.
Meehl, G.A. - Tebaldi, C. (2004), “More Intense, More Frequent, and Longer Lasting Heat Waves
in the 21st Century”. Science, 305: 994-997.
Morabito, M. - Profili, F. - Crisci, A. - Francesconi, P. - Gensini, G.F. - Orlandini, S. (2012), “Heat
Related Mortality in Florentine Area (Italy) before and after the Exceptional 2003 Heat Wave
in Europe: an Improbe Public Health Response?”. Int. J. Biometeorology, 56(5): 801-810.
Report IPCC (2013), “Intergovernmental Panel on Climate Change. Climate Change 2013. The
Physical Science Basis”. Working group I contribution to the fifth assessment report of the intergovernmental panel on climate change. DOI:10.1017/CBO9781107415324.
Schifano, P. - Leone, M. - Sario, M. - de’ Donato, F. - Bargagli, A.M. - D’Ippoliti, D. - Marino, C. Michelozzi, P. (2012), “Changes in the Effects of Heat on Mortality Namong the Elferly from
1998-2010: Results from a Multi Center Time Series Study in Italy”. Environ Health,11(1): 58.
Stafoggia, M. - Forastiere, F. - Agostini, D. - Biggeri, A. - Bisanti, L. - Cadum, E. - Caranci, N. de’ Donato, F. - De Lisio, S. - De Maria, M. - Michelozzi, P. - Miglio, R. - Pandolfi, P. - Picciotto, S. Rognoni, M. - Russo, A. - Scarnato, C. - Perucci, C. (2006), “Vulnerability to Heat-Related
Mortality: A Multicity, Population-Based, Case-Crossover Analysis”. Epidemiology, 13(3):
315-323.
1. Soglie di temperatura media giornaliera identificate per l’individuazione di criticità da caldo
e utilizzate dal servizio di previsione degli effetti delle temperature sull’anziano
in tre aree geografiche della Toscana (pianura, collina, costa).
Focus 2
179
Spazi verdi da vivere: progetti di salute urbana
Maria Rosa Vittadini, Domenico Bolla, Armando Barp, Liliana Padovani,
Nico Cattapan, Leonardo Filesi, Annarita Lapenna, Giuseppe Caldarola
La ricerca Spazi verdi da vivere – una risorsa per la salute urbana è un lavoro congiunto del Dipartimento di prevenzione
della ULSS 20 di Verona e di un gruppo di docenti dell’Università Iuav di Venezia. La progettazione, la realizzazione e la
manutenzione degli spazi verdi nell’ambito urbano hanno assunto in tempi relativamente recenti significati che vanno
ben al di là delle questioni estetico-formali, pure rilevanti, che hanno caratterizzato la tematica del verde nella manualistica urbana. Le aree verdi e gli spazi aperti intesi come vera e propria infrastruttura urbana sono anzi al centro delle
politiche di riqualificazione necessarie per mettere le città in grado di affrontare il profondo attuale cambiamento del
contesto economico, sociale e ambientale.
Su tema del verde urbano si intersecano infatti questioni connesse al governo delle acque e alla permeabilità dei suoli,
all’inquinamento dell’aria, alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico, alla salute fisica e mentale, al
consumo energetico attraverso il governo dell’isola di calore, compreso il tema, oggi in primissimo piano, del significato
sociale e inclusivo della progettazione e manutenzione partecipata delle diverse tipologie di verde urbano: dai giardini
fino agli orti urbani e al guerrilla gardening.
L’insieme di tali questioni appartiene strutturalmente alle cosiddette “determinanti sociali” da cui dipendono le condizioni di salute delle collettività e in particolare le diseguaglianze in fatto di salute. Diseguaglianze che il Rapporto
Marmott, elaborato per il governo inglese nel 2010, ha identificato come ingiustizie che è compito primario dei governi
superare.
Nel testo il tema del verde come risorsa per la salute urbana, intesa come insieme di salute degli individui e loro disponibilità alla collaborazione sociale, è organizzato in forma di linee guida. Le questioni rilevanti di carattere tecnico e
ambientale sono presentate in forma sintetica e sono accompagnate da una rassegna di casi e buone pratiche capaci di
fornire indicazioni circa il ruolo che il verde può giocare in ciascuna di esse.
Il testo è strutturato in quattro grandi tematiche. La prima è la questione degli standard urbanistici in materia di verde,
di cui si tracciano le principali criticità, e delle potenzialità insite in un’ampia gamma di strumenti programmatici, come
i Piani del verde o i Regolamenti del verde.
Al di là dei piani urbanistici una seconda tematica presenta le opportunità di “far verde” connesse a una vasta gamma
di politiche differenti da quelle urbanistiche, come le regole per il risparmio energetico, la gestione dell’isola di calore,
i piani per il clima, le regole per l’invarianza idraulica, fino alle esperienze di finanziamento del verde attraverso le
pratiche di compensazione volontaria delle emissioni di CO2 e gli interventi per la forestazione urbana. A ciascun argomento si associa l’indicazione di casi interessanti, di realizzazioni esemplari, di fonti da consultare per materiale di
approfondimento.
Una terza importante tematica affronta i problemi della progettazione delle aree verdi nell’ottica del superamento delle
categorie tradizionali provenienti dalla matrice urbanistica e della frammentazione che ne è conseguita. Un’importante
rassegna di casi e di logiche progettuali accompagna gli schemi proposti. Le indicazioni sono tese a una più stretta
integrazione tra verde e struttura urbana, con particolare cura degli elementi di connessione e di continuità della rete
del verde, come i viali e gli spazi aperti necessari a realizzare concretamente la green infrastructure in grado di offrire al
contesto urbano i molteplici servizi ecosistemici che le sono propri.
La quarta componente riguarda invece la progettazione e l’uso del verde, nelle sue differenti forme, come elemento di
coesione sociale. Le linee guida danno conto dell’esperienza di progettazione partecipata condotta a Verona, nell’ambito
del Giarol grande, traendone indicazioni per lo sviluppo di processi di partecipazione che costituiscono oggi un elemento
essenziale per la qualità urbana.
In definitiva le Linee Guida affrontano la questione del verde urbano con un’impostazione d’intesa a suggerire logiche
processuali piuttosto che schemi preordinati, possibili integrazioni della progettazione del verde con altri ambiti tematici come la salute o il benessere sociale piuttosto che soluzioni standardizzate. Si indicano invece criteri, strumenti e modelli di collocazione del verde nelle politiche strutturanti degli ambiti urbani piuttosto che schemi da replicare. Le linee
180
Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione
guida, che derivano da un amplissimo studio di casi, non rinunciano a trarre dalle esperienze in
atto coerenti criteri di progettazione delle diverse tipologie di aree verdi, in grado di condurre
progressivamente gli spazi verdi a costituire quella green infrastructure a cui sembrano affidati,
nel prossimo futuro, gli impegnativi compiti di far fronte al cambiamento climatico e ai suoi
molti effetti fisici e sociali.
Focus 2
181
I
--U
--A
--V
Pianificazione urbana e territoriale:
politiche, tecniche e strumenti
Sezione a cura dell’Università Iuav di Venezia
Sezione cofinanziata nell’ambito delle attività del Dipartimento di Pianificazione e Progettazione
in Ambienti Complessi (DPPAC) dell’Università Iuav di Venezia
1. quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a Uhi
1.1. Veget-azione urbana
Antonio Musacchio
Lo sviluppo urbano dell’ultimo secolo ha modificato radicalmente l’immagine della città, soprattutto per ciò che concerne l’ambiente metropolitano, in un approccio funzionalista legato a logiche di sviluppo economico che hanno cancellato dal contesto urbano buona parte del verde che ne
punteggiava il tessuto. Ma in questi ultimi anni, in funzione di una pulsione socio-culturale legata ai
temi della sostenibilità e dell’ambiente in genere, si assiste al proliferare di soluzioni architettoniche
di vario tipo che integrano apparati vegetali con l’involucro dell’edificio.
Non si tratta chiaramente di una rinnovata tensione verso la natura, quanto di una ritrovata
consapevolezza dei benefici che l’uso della vegetazione può indurre. Nuove acquisizioni scientifiche
ci permettono oggi di ascrivere ai vantaggi dell’impiego delle tecnologie green roof fattori esogeni
oltre che endogeni: Le Corbusier aveva già evidenziato come la presenza del terreno comportasse
benefici per l’edificio sul piano dell’isolamento, tanto termico quanto acustico; recenti ricerche attestano nuove potenzialità ai tetti verdi, permettendoci di considerarli a tutti gli effetti strumenti di
mitigazione ambientale, grazie alla possibilità di agire sul contesto in cui vengono inseriti, sia dal
punto di vista energetico che idrologico.
La contaminazione tra organico e inorganico è quanto mai oggi fonte di interesse per i ricercatori e presagita, come spesso accade, nelle cinematografia da fantascientifiche rappresentazioni
in cui forme biologiche ispirate alla natura divengono parti funzionali dei sistemi di rivestimento
degli edifici; l’ibridazione tra architettura e natura è utilizzata a mero scopo difensivo ma apre concettualmente a nuove prospettive in cui l’organic building assume valore sul piano della sostenibilità
degli edifici, nell’idea di una simbiotica integrazione con l’ambiente. Tale ibridazione rappresenta una
tendenza che interessa trasversalmente il mondo del design: dalla progettazione di oggetti a quella di
edifici, l’integrazione di apparati vegetali evoca e simboleggia un rinnovato approccio alla concezione
materiale dei manufatti, nella direzione di una migliore integrazione con le dinamiche eco-logiche.
L’utilizzo di materiali organici che mutuano codici e linguaggi propri della natura pone oggi una
nuova sfida nella progettazione di artefatti laddove il trasferimento tecnologico non si riduce all’imitazione delle caratteristiche della natura ma cerca di proporne l’intima intelligenza. È in tal senso
che sistemi tecnologici come i tetti verdi, la cui tradizione costruttiva è ormai consolidata, assumono
oggi un rinnovato valore in termini di sostenibilità ambientale: se fino a qualche anno fa venivano
impiegati per i noti benefici sul piano energetico (oltre che per il benessere psicologico che deriva
dalla presenza della vegetazione), più recentemente hanno destato grande interesse per la capacità di
ritenzione e detenzione idrica che offrono, soprattutto in corrispondenza di grandi agglomerati urbani. La presenza della vegetazione, infatti, mediante un meccanismo fisiologico delle piante chiamato evapotraspirazione, consente di abbassare sensibilmente la temperatura dell’aria immediatamente
circostante. È un effetto che possiamo avvertire nel passaggio tra città e campagna e che si presenta
particolarmente marcato in corrispondenza di agglomerati urbani densamente edificati.
Il tema della cosiddetta rinaturalizzazione urbana è particolarmente sentito in Nordamerica e
in alcuni paesi europei al punto che, negli ultimi dieci anni, numerose norme e protocolli sono stati
emanati a incentivazione dell’uso di sistemi di rivestimento vegetali in relazione all’involucro edilizio. Tetti-giardino e facciate vegetali sono ivi considerati fattori di qualità capaci di generare benefici
tanto alla scala dell’edificio quanto a quella dell’ambiente circostante.
Studi sui meccanismi fisiologici delle piante evidenziano infatti l’influenza della vegetazione
sui delicati equilibri che intercorrono tra ambienti densamente urbanizzati e aspetti climatici e non
185
a caso le più recenti sperimentazioni in materia sono state condotte presso istituti di ricerca statunitensi: le relazioni tra l’atmosfera e la distribuzione del costruito sulla superficie della terra pongono
in evidenza la criticità del fenomeno che va sotto il nome di Urban Heat Island (UHI), ovvero la
stretta correlazione tra la presenza di agglomerati urbani e il manifestarsi di flussi ascensionali di
aria calda che determinano un incremento statisticamente rilevante di precipitazioni atmosferiche;
in un’epoca dominata da fenomeni quali il surriscaldamento globale, l’impiego diffuso di strategie
di mitigazione ambientale può costituire un ausilio verso l’inversione di tali tendenze.
La cementificazione ha determinato il cosiddetto fenomeno “isola di calore urbano”, nonché
impermeabilizzato vaste porzioni di territorio, finendo per intaccare delicati equilibri nell’ecosistema. Una possibile forma di riduzione dell’isola di calore urbana consiste appunto nell’impiego della
vegetazione, in virtù di un fenomeno proprio della fisiologia delle piante: l’evapotraspirazione, per
la quale l’acqua contenuta nel terreno, per effetto della traspirazione dell’apparato fogliare, viene
riemessa nell’aria determinando un consistente abbassamento della temperatura.
È su questa linea che da alcuni anni gli enti governativi degli Stati Uniti d’America, del Canada e
di alcuni paesi del nord Europa si stanno muovendo nel tentativo di riqualificare il patrimonio urbano
esistente, particolarmente in quei contesti altamente urbanizzati che presentano notevoli differenze di
gradiente termico rispetto alle aree verdi circostanti. In Nord America, a partire dal 2005, le incentivazioni sotto forma di prestiti, crediti d’imposta e riduzione delle tasse sono progressivamente aumentate e a
queste si sono aggiunti ulteriori incentivi quali bonus di densità edilizia e riduzione dei tempi per l’ottenimento dei permessi di costruzione. Effetti benefici nell’applicazione estesa di tetti-giardino sono attesi sia
nella direzione di un abbassamento delle temperature percepite in estate, sia nel verso di una riduzione
dei costi di manutenzione delle infrastrutture per la canalizzazione e il deflusso delle acque meteoriche.
Le regolamentazioni alla base di tali incentivi differiscono ovviamente in relazione alle peculiarità del
contesto su cui agiscono ma sono essenzialmente incentrate sulla gestione delle acque meteoriche; è in
corrispondenza di aree come quella di New York, Chicago, Washington, Philadephia che assumono valore anche nel verso di una riduzione dell’“Urban Heat Island effect”. Gli strumenti di programmazione
dello sviluppo delle città sono poi raccordati a una più ampia strategia che ha come fnalità la riduzione
dell’80% delle emissioni di agenti inquinanti entro il 2050 e che introduce nella propria articolazione uno
specifico programma di finanziamento che promuove l’uso dei tetti verdi, l’Eco roof program (figg. 1-4).
L’antropizzazione ha effettivamente eliminato dallo sviluppo dell’ambiente urbano quei vantaggi generati dal suolo e dalla vegetazione: le città con le loro ampie superfici impermeabili (strade,
marciapiedi, tetti ecc.) riversano completamente l’acqua captata nelle tubature del sistema fognario,
cui si aggiunge il flusso d’acqua proveniente dagli scarichi domestici con conseguente sovraccarico
delle infrastrutture (collettori, sifoni ecc.) e dei meccanismi di depurazione collocati a valle dell’intero sistema. A protezione di questi ultimi e per evitare il riflusso dell’acqua nelle strade in caso di
piogge intense il volume in eccesso viene riversato in canalizzazioni che sversano direttamente in
corsi d’acqua o in mare, con conseguenze immaginabili in termini di inquinamento. L’evidenza
dei limiti di tale impostazione infrastrutturale è particolarmente marcata in aree caratterizzate da
un’orografia scoscesa (molte zone dell’Italia ne sono un esempio) che rende ancora più veloci tali
“travasi” e, sempre più spesso, devastanti.
La soluzione più semplice è operare sul sistema di captazione per ri-esporre il suolo alle piogge,
estendendo possibilmente il principio anche alle sedi stradali e alle aree pedonali. In tal senso nuovi
materiali a elevato grado di porosità, permeabili, e i sistemi di stoccaggio dell’acqua nonché i bacini di
bio-ritenzione e di infiltrazione costituiscono un sistema che può, in sinergia con i tetti pensili, rispondere efficacemente alle necessità di regimazione delle acque meteoriche.
Il volume di terreno presente nelle stratigrafie dei green roof agisce sul piano della regimazione
idrica come una spugna, assorbendo acqua fino al raggiungimento della saturazione, mentre le piante
186
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
ne reimmettono nell’atmosfera una consistente percentuale, operando la cosiddetta ritenzione idrica e
contribuendo a sottrarre volume di acqua piovana al sistema di drenaggio e canalizzazione.
I risultati relativi alla ritenzione idrica delle stratigrafie osservate indicano una percentuale
media annua di circa il 30% con punte massime (in estate) del 37%, attribuibili al maggiore sviluppo
della vegetazione. Piantumazioni diverse da quelle a sedum a oggi testate possono dar luogo a risultati differenti in virtù della forma dell’apparato fogliare della vegetazione: a una morfologia maggiormente frastagliata (e dunque a una più ampia superficie di scambio) corrisponderà in genere
una più elevata capacità di traspirazione. Il terreno rilascia l’acqua lentamente riducendo i carichi
idrici che, soprattutto in concomitanza di forti rovesci temporaleschi, incidono pesantemente sui
sifoni e i collettori della rete fognaria e riducono i rischi connessi con tali criticità.
I problemi legati alla cementificazione delle aree metropolitane si traducono dunque in un eccesso di impermeabilizzazione del suolo e nella cosiddetta “isola di calore”, con conseguenze a volte
disastrose in presenza di copiose precipitazioni atmosferiche. I giardini pensili offrono da questo
punto di vista notevoli vantaggi: grazie alla presenza della vegetazione e del relativo strato di coltura
permettono, durante le piogge, di ridurre drasticamente la velocità con cui l’acqua piovana raggiunge
la rete idrica. La limitazione del cosiddetto run-off dell’acqua avviene attraverso una duplice azione:
da un lato l’evapotraspirazione della vegetazione reimmette nell’atmosfera una buona percentuale
dell’umidità assorbita dalle piante, dall’altro la detenzione idrica del terreno permette di cedere alla
rete idrica l’acqua assorbita con uno sfasamento che riduce i picchi dell’idrogramma caratteristico
della precipitazione atmosferica. In pratica l’acqua captata viene trattenuta dal terreno e parzialmente riemessa nell’atmosfera; il 70% circa di quel volume viene ceduto, lentamente, alla rete idrica con
un ritardo variabile da una a tre ore in ragione dello spessore e della densità dello strato di coltura.
Studi sulla regimazione del deflusso delle acque meteoriche risultano quanto mai importanti
sia in contesti come quello delle aree metropolitane densamente edificate, sia in territori come quello italiano, caratterizzato da un’orografia che favorisce i fenomeni alluvionali, anche in relazione a
una certa incuria e miopia programmatica nel controllo dell’assetto idrogeologico dei corsi d’acqua;
in questo senso i tetti-giardino assumono un nuovo valore in termini di sostenibilità, agendo, oltre
che sulle già note qualità ambientali, anche sulla tutela di risorse come l’acqua.
In quest’ottica ai tetti verdi vengono sempre più frequentemente associati i cosiddetti raingarden: vasche per la raccolta delle acque piovane che possono essere depurate grazie all’introduzione di piante acquatiche e riutilizzate per diversi scopi: da quelli sanitari, quali l’alimentazione
di lavatrici opportunamente predisposte o degli scarichi dei WC, a quelli irrigui, tutti concorrenti
alla salvaguardia delle risorse idriche; inseriti a monte di già collaudati sistemi di accumulo idrico
sotterraneo nonché di bacini di infiltrazione, consentono un miglioramento della funzionalità degli
impianti di depurazione e una riduzione degli investimenti per la rete fognaria, oltre che un miglioramento del microclima delle aree urbane.
Tra le ricerche condotte sul tema degli involucri vegetali presso l’Università Iuav di Venezia
di particolare interesse a tal proposito sono poi le simulazioni ottenibili mediante l’uso di software
che permettono la visualizzazione delle emissioni termiche delle superfici di un modello e che, in
riferimento alle facciate verdi, hanno concentrato l’attenzione sui cosiddetti “canyon urbani”, aree
comprese tra fabbricati alti separati dalla viabilità, in corrispondenza dei quali l’applicazione di un
sistema vegetale sulle pareti degli edifici ha mostrato un abbassamento di circa 1,5 °C.
L’aumento delle superfici destinate a verde nell’ambiente urbano comporta infatti, oltre a un
beneficio sul piano del benessere psicologico, una serie di vantaggi di tipo ambientale così sintetizzabili: controllo microclimatico, produzione di ossigeno, abbattimento delle polveri sottili, attenuazione dei rumori, azione antisettica, depurazione idrica. Il fenomeno del fototropismo, unito alla
caducità delle foglie di alcune essenze “spoglianti”, rende inoltre quanto mai appropriato l’uso del
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
187
1-4. Tetti verdi a New York.
188
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
189
fogliame quale elemento di schermatura dalla radiazione solare, sia nell’uso di rampicanti su pergole o berceaux, sia nell’uso semplicemente ornamentale di opere murarie; la presenza delle foglie
permette l’ombreggiamento, la ventilazione e il raffrescamento per evapotraspirazione della parete
in estate. Le funzioni ambientali di protezione acustica e di protezione dall’inquinamento atmosferico sono invece da relazionare con la quantità di massa vegetale e la relativa densità.
È possibile dunque considerare i tetti-giardino come parte di un complesso apparato impiantistico
atto a mitigare gli impatti prodotti sulla natura dall’antropizzazione delle edificazioni. Il toit-jardin promosso da Le Corbusier torna in auge spinto da una rinnovata consapevolezza tecnica che vi attribuisce
nuove potenzialità in linea con i dettami della sostenibilità ambientale e, grazie alle evoluzioni tecniche
che hanno interessato le stratigrafie dei green roof, con l’introduzione dei sistemi estensivi leggeri moltiplica le possibilità di applicazione aprendo il campo anche a operazioni di retrofitting. Da questo punto
di vista la ricerca ha consentito lo sviluppo di stratigrafie dallo spessore estremamente ridotto cui consegue un peso limitato che consente di contenere anche i costi di intervento per il rinforzo strutturale.
Quanto detto tuttavia costituisce solo una parte dei benefici che un’azione strategica di impiego
del verde può indurre e non considera un aspetto essenziale delle qualità organiche offerte dagli
apparati vegetali: quello produttivo. La rivoluzione industriale ha modificato radicalmente l’assetto
organizzativo delle città, incidendo profondamente sul comparto alimentare e finendo per elidere,
anche in questo caso, il rapporto di integrazione tra città e campagna.
In questi ultimi anni la crisi economica mondiale da un lato e una crescente tendenza a preferire cibo biologico dall’altro hanno reintrodotto le coltivazioni entro il territorio urbano grazie
alle organizzazioni di consumatori che hanno visto nella possibilità di acquistare frutta e ortaggi a
chilometro zero una risposta sostenibile a nuove richieste del mercato alimentare.
In Italia la pratica degli orti urbani sta lentamente riaffermandosi, mentre nelle grandi metropoli statunitensi, dopo le esperienze degli anni Settanta dei guerrilla gardens, il fenomeno ha raggiunto
un livello di diffusione tale da coinvolgere anche le coperture di intere aree suburbane: a New York
nel 2010, grazie all’iniziativa della Brooklyn Garage, circa 5.000 mq di coperture sono state convertiti
a tetto coltivabile, garantendo ortaggi a sostentamento di un intero quartiere del Queens. Il carattere
pionieristico dell’iniziativa ha fatto sì che il lavoro eseguito per la produzione fosse affidato ad azioni
volontarie, ma i primi riscontri economici e il fatto che tali pratiche stiano già volgendo nella direzione di uno sviluppo di coltivazioni intensive lasciano presagire una crescente diffusione di tale
modello produttivo e commerciale.
È ovvio che nel caso di verde coltivato il substrato di coltura assuma un’importanza maggiore,
giacché anche da esso dipenderà la qualità dei vegetali prodotti, e si presenti composto in parti
uguali di terreno non trattato, perlite e terra di campo vagliato; lo spessore minimo necessario alla
coltivazione di ortaggi e piantine officinali è di circa 20 cm ma può crescere anche di molto nel caso
di tuberi o ortaggi dalle radici profonde.
Viceversa si stanno affermando e diffondendo nell’industria alimentare coltivazioni ortofrutticole che non impiegano terreno ma che si affidano alla coltura idroponica in serra, con risparmi notevoli anche nel consumo di risorse idriche: grazie a sistemi di recupero dell’umidità prodotta dalla
vegetazione per evapotraspirazione è possibile ridurre a un decimo la quantità d’acqua necessaria
al sostentamento di una pianta. Su questo principio un’azienda statunitense ha ideato una soluzione
per la produzione di ortaggi freschi da distribuire nei supermercati, coltivandoli direttamente in
serre collocate direttamente sulla copertura dei punti di vendita.
Siamo probabilmente all’alba di una nuova industrializzazione che interesserà il settore agricolo
e alimentare nel tentativo di integrare alcuni passaggi della filiera produttiva tagliando drasticamente
il consumo di suolo e le risorse idriche; bisogna infatti considerare che l’acqua destinata alla colti-
190
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
vazione incide, a livello globale, per il 70% del fabbisogno complessivo; se si aggiunge a ciò quanto
affermato da Dickson Despommier circa la saturazione delle aree coltivabili in ragione di un incremento demografico, al 2050, che porterà la popolazione mondiale ad aumentare di oltre 8 miliardi di
individui, è facile comprendere come, al di là degli innegabili vantaggi ambientali, lo sviluppo delle
tecnologie green roof porta con sé un germe costruttivo che ci permetterà di acquisire il necessario
know-how con la pratica e arrivare preparati qualora si dovessero realizzare le prospettive di carenza
di suolo descritte da Despommier. Coltivare “in verticale” appare dunque un passaggio necessario.
Le Vertical farm, in virtù delle figurazioni proposte, sono state oggetto di stupore quanto di perplessità, ma in fondo non sono altro che un passaggio immediatamente successivo verso la coltivazione “in laboratorio”: i sistemi di illuminazione che sostituiscono l’apporto di luce solare per stimolare
la fotosintesi clorofilliana nelle piante sono di tipo LED, già impiegati nelle coltivazioni in serra per migliorare l’illuminazione delle piante e controllarne il ritmo biologico, e consentono consumi energetici
relativamente bassi; il fatto che la coltivazione avvenga in ambiente climatizzato consente teoricamente
di eliminare l’uso di pesticidi e anticrittogamici, migliorando la qualità della produzione.
In alcune metropoli sono state già avviate sperimentazioni in tale direzione: a Singapore un
edificio di quattro piani produce cavoli cinesi e lattuga entro contenitori che vengono spostati meccanicamente a turno salendo per gruppi fino al tetto; a Shenzhen è in corso di realizzazione un
edificio-torre che contiene al proprio interno un intero comparto agricolo, ivi compresi gli alloggi
degli agricoltori; a Strenton, in Pennsylvania, è in procinto di essere inaugurata la più grande Vertical farm del mondo: distribuita su 6 livelli, produrrà lattuga, spinaci, pomodori, peperoni, basilico
e fragole, gestendo individualmente 17 milioni di piante in contenitori rotanti per fornire a tutte lo
stesso apporto di luce dai LED che faranno le veci del sole.
Se le Vertical farm costituiscono, soprattutto nel nostro contesto nazionale, un modello ancora
lontano dal trovare applicazione, quella degli orti pensili è forse una forma di produzione che più
facilmente potrà trovare riscontro nelle pratiche urbane, soprattutto nel Mezzogiorno, dove tradizionalmente, e in alcuni casi ancora oggi, le terrazze venivano impiegate per piccoli allevamenti e
coltivazioni in vaso.
In una congiuntura politica, economica e sociale come quella che stiamo attraversando è certamente auspicabile intervenire sulle riforme agricole e forse tra i fattori che potrebbero restituire
ossigeno all’industria edile sta proprio l’incentivazione dell’uso del verde in relazione all’involucro
dell’edificio: il nostro patrimonio edilizio necessita fondamentalmente di riqualificazione e l’implementazione di apparati come tetti e/o facciate verdi potrebbe consentire una diminuzione delle
dispersioni termiche e al contempo fornire una serie di vantaggi all’ambiente urbano, senza contare
il ritorno economico possibile nel caso venissero coltivate le superfici a verde.
L’idea di costruire un habitat per la produzione alimentare non va semplicisticamente intesa
come una nuova declinazione del principio delle coltivazioni in serra o degli allevamenti di bestiame: le valenze simbiotiche indotte dal materiale organico impiegato e prodotto possono generare
utili sinergie col contesto in cui la “fattoria del nuovo millennio” viene introdotta, aprendo un ventaglio di possibilità sia sul piano strategico, sia della progettazione urbana e architettonica.
L’idea della organic farm trova significativi punti di forza nei vantaggi che conseguono sul piano
economico e funzionale di un approccio globale ad alcune tematiche inerenti all’industria alimentare.
Al di là degli impliciti spunti di natura organizzativa e logistica che accompagnano tali speculazioni, questo approccio trova motivo di interesse anche nelle possibilità di controllo dell’ambiente
in cui vengono allevati gli animali e coltivate le piante, impedendo così la propagazione delle malattie che spesso trovano nei prodotti alimentari un veicolo di diffusione, come pure per il risparmio
indotto di energia fossile o, ancora, restituendo alla natura grandi aree coltivate. Studi recenti sulla
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
191
possibilità di organizzare sistemi vegetativi su più livelli con finalità produttive (orti e allevamenti),
integrandoli per un conveniente uso delle risorse in sistemi di recupero energetico, sono stati sviluppati innescando scambi organici e biologici tra ecosistemi.
Oltre a ovviare a tutti i fattori di rischio che condizionano in genere il ciclo di crescita annuale, le
Vertical farm consentirebbero di ridurre drasticamente o di eliminare il consumo di combustibili fossili mediante l’uso della materia organica di scarto per la produzione di biogas. A questo si aggiunge
l’implementazione di dispositivi per lo sfruttamento dell’energia solare, eolica, geotermica e marina.
I vantaggi del vertical farming si possono dunque tradurre in produzione uniforme di raccolti
nell’anno, senza sprechi dovuti a siccità o epidemie, in cibi prodotti senza l’uso di erbicidi, pesticidi
o fertilizzanti, nell’eliminazione dell’erosione del terreno, nella conversione delle acque grigie in
acqua potabile, nella generazione di energia dalle biomasse, nonché in una drastica riduzione degli
spazi destinati all’immagazzinamento e alla conservazione dei viveri. Il tutto porrà necessariamente
il problema di una progressiva e inevitabile ri-localizzazione dei sistemi alimentari, con effetti che
logicamente finirebbero col ripercuotersi sul disegno del suolo sottratto all’agricoltura.
Le Vertical farm assumono dunque un interesse che va al di là dalle mere questioni relative all’ingegnerizzazione degli aspetti produttivi o delle soluzioni costruttive: il superamento del
modello della grande distribuzione dei prodotti alimentari verso una rinnovata logica “local” del
sistema di produzione e vendita al dettaglio comporta nuove complessità spaziali e funzionali che
nell’ibridazione con il contesto urbano prima e con gli edifici poi offre nuove opportunità architettoniche. Ne è manifesto il padiglione del gruppo olandese MVRDV realizzato per l’Expo di Hannover
e nel quale la componente vegetale diventa attore protagonista della configurazione spaziale che
punta al concetto di densificazione sviluppato per le costruzioni in ambienti metropolitani trasferendolo agli apparati vegetali. Il verde “cresce” in verticale, dando luogo a inusitate spazialità,
giocando ambiguamente con gli elementi strutturali dell’edificio.
Nel nostro paese, a partire dal dopoguerra, dopo aver fagocitato con le costruzioni tutto il suolo disponibile nelle aree urbane al punto da dover fissare un limite con gli standard della prima legge
urbanistica, le istanze della sostenibilità auspicano oggi una nuova regolamentazione che restituisca
la presenza della vegetazione, con i suoi effetti benefici, all’ambiente urbano, in linea con un approccio alla costruzione più organico e sensibile al contesto, avvalorando così la massima secondo
la quale l’architettura del terzo millennio sarà meno costruita e più... coltivata.
192
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
1.2. Mitigazione e adattamento ai fenomeni di UHI: il caso studio di Padova
Francesco Musco, Laura Fregolent, Davide Ferro, Filippo Magni,
Denis Maragno, Davide Martinucci, Giuliana Fornaciari
Introduzione
La sperimentazione sviluppata dalla Regione Veneto e dal gruppo di lavoro dell’Università
Iuav di Venezia all’interno del progetto europeo “UHI - Development and application of mitigation
and adaptation strategies and measures for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon” parte da alcuni presupposti legati alle specificità territoriali della pianura veneta, per lo più
caratterizzata da centri storici di piccole dimensioni e da un sistema insediativo diffuso sviluppatosi
attorno a essi nell’arco degli ultimi quarant’anni.
L’urbanizzazione, avvenuta prevalentemente attorno ai centri storici in assenza di strategie e
regole, si è generalmente caratterizzata come somma di singoli interventi, che hanno amalgamato
funzioni e forme residenziali con grandi arterie viarie, zone produttive e commerciali (Selicato e Rotondo, 2003). Questo processo ha in qualche modo rotto gli equilibri ecologici dei centri medievali
(i quali presentavano invece attenzioni alla regolamentazione microclimatica locale nella loro progettazione), ponendosi spesso come barriera artificiale attorno a essi, soffocandoli e contribuendo
a innalzare di molto la quantità di superfici impermeabili a discapito di quelle permeabili. In questi
ultimi anni il rapporto tra urbanistica e architettura ha pagato la rigidità dettata dai PRG, attinenti
a regole omogenee e ripetute, piuttosto che caratterizzarsi con le peculiarità dei diversi contesti
territoriali (Samonà, 1980). Si tratta quindi di un territorio rigido, già intensamente antropizzato,
contraddistinto da poche tipologie insediative caratterizzanti, per il quale nel prossimo futuro sono
prevedibili sviluppi prevalentemente legati alla trasformazione dei tessuti esistenti.
La sperimentazione ha colto il legame tra clima locale, struttura urbana e formazione dell’effetto
isola di calore, con l’obiettivo di orientare nel prossimo futuro, mediante linee di indirizzo, gli interventi sul territorio (Musco et al., 2014). In questo quadro di riferimento è stata individuata una porzione
dell’area metropolitana della città di Padova, come ambito di sperimentazione analitico-progettuale,
con l’intenzione di applicare successivamente i risultati di tale sperimentazione al resto dell’area centrale veneta. Spesso le cause che generano le isole di calore urbane sono dei fattori puntuali (come ad
esempio grandi superfici pavimentate) relazionati direttamente con fattori sistemici estesi (come la
dispersione notturna del calore assorbito dai tessuti urbani periferici, o l’inquinamento prodotto dalle
aree produttive sempre in periferia). Questa pluralità di cause obbliga a studiare l’isola di calore a diversi livelli, sia orizzontale che verticale. Il modello espresso da Oke (2006) suggerisce di approcciarsi
al fenomeno analizzando il clima urbano a diverse scale, in quanto a tali livelli corrispondono disuguali eventi climatici, che si influenzano a vicenda. Oke infatti suddivide le scale in due categorie:
– scala orizzontale: Micro-scale, Local scale e Meso-scale;
– scala verticale (nelle diverse tipologie di UHI): Air UHI (Urban Canopy Layer UCL e Urban
Boundary Layer UBL), Surface UHI e Sub-surface UHI.
L’Urban Boundary Layer (UBL) comprende lo strato sopra l’altezza media degli edifici, mentre l’Urban Canopy Layer (UCL) include lo strato di copertura urbana, sotto il livello medio degli
edifici. Considerati gli obiettivi del progetto, ovvero analizzate le cause del fenomeno al livello di
miscroscala con lo scopo di poter individuare misure di mitigazione puntuali, si è proceduto considerando l’isola di calore nella scala verticale compresa tra il suolo e l’altezza media degli edifici,
ovvero nell’Urban Cabopy Layer. Tale livello di microscala è utile per verificare la relazione tra for-
193
ma urbana, materiali di copertura e UHI, con particolare riferimento alla copertura vegetativa, alla
permeabilità dei suoli e all’albedo dei materiali. All’interno di questo ambito acquistano particolare
rilievo nell’influenzare il microclima alle varie scale urbane fattori come: orientamento degli edifici,
copertura delle superfici, Sky View Factor (SVF), incidenza solare, materiali utilizzati, forma degli
edifici; ad esempio, in contesti dove si trovano edifici con facciate troppo ravvicinate tra di loro, le
temperature risentono dell’effetto generato dallo SVF, cioè di un maggiore surriscaldamento delle
facciate, rispetto ad altre poste su strade più aperte e ventilate (magari a poche decine di metri di
distanza). In un recente studio si dimostra come il microclima urbano influenzi le funzioni degli
edifici in termini di prestazioni termiche, comprovando quanto la forma urbana influisca poi sul
fenomeno UHI (Wong - Chen, 2009). L’isola di calore, in particolare nelle città italiane, non dipende
tanto dalle attività umane, ovvero dal calore antropogenico prodotto, ma da quello immagazzinato
dalle superfici urbane (edifici, strade, parcheggi) durante il giorno e poi rilasciato gradualmente
durante la notte. Questo effetto genera un’isola di calore notturna, in quanto il calore rilasciato
non permette alla città di raffreddarsi quanto gli ambienti rurali esterni a essa. La complessità del
fenomeno UHI è direttamente connessa alla relazione città-atmosfera: così come il clima urbano
risente di quello atmosferico e dei suoi impatti su popolazione e infrastrutture, così esso a sua volta
si relaziona con l’atmosfera influenzandola (Oke, 2006b).
Solitamente gli aspetti che sono in grado di influenzare il clima, generando un microclima
urbano differente da quello atmosferico (Shahmohamadi, 2012), sono i seguenti:
– quantità di erba, terreno permeabile e alberi, asfalto e cemento;
– rilascio di calore artificiale da edifici, impianti di condizionamento, automobili e zone produttive;
– laminazione e stoccaggio superficiale dell’acqua a favore di canali interrati e fognature;
– inquinamento atmosferico;
– ventilazione urbana.
L’isola di calore urbana deriva quindi da una forte antropizzazione, o meglio, si può affermare
che minore è la proprietà ecologica di una città, maggiore sarà l’isola di calore presente nella stessa.
Non a caso l’effetto è stato osservato per la prima volta già nel 1818, a Londra, nel pieno della sua
espansione speculativa, dal meteorologo Luke Howard. Al tempo non venne identificata come isola
di calore1; il termine “isola” fu utilizzato a causa della sua rappresentazione su mappa attraverso
le isoterme. Se le temperature dell’aria vengono mappate tramite le isoterme, la città appare come
un’isola ben distinta rispetto alle zone rurali circostanti, differenziate da temperatura inferiore.
Su queste logiche all’avvio del progetto si è ritenuto importante studiare i diversi comportamenti
dell’isola di calore urbana in relazione ai vari contesti urbani che caratterizzano la città di Padova,
considerata come città pilota di sperimentazione. La scelta dell’area ha tenuto conto anche della
finalità di redigere un manuale di tecnica urbanistica per la Regione Veneto da consegnare alle
amministrazioni comunali al fine di supportare le loro scelte strategiche future in termini di mitigazione del fenomeno UHI e di adattamento degli spazi urbani vulnerabili ai cambiamenti climatici.
La preferenza di tale area di studio, pertanto, ha tenuto in considerazione anche la sua conformità a
caratteristiche urbane e spaziali analoghe a quelle di altre città e territori presenti in Veneto.
La prima fase di approfondimento ha preso avvio dalla scelta di cinque aree pilota nel territorio comunale di Padova, sulle quali compiere le analisi urbanistiche e le rilevazioni sulla presenza
dell’effetto isola di calore urbano, aree identificate sulla base della loro localizzazione rispetto a un
transetto di rilevamento che attraversa la città di Padova lungo l’asse nord-ovest, sud-est e rispetto a
caratteristiche intrinseche legate alla loro struttura insediativa.
Gli ambiti individuati presentano le seguenti caratteristiche (fig. 1):
–Ambito 1, area urbana densa posta all’interno del centro storico di epoca medievale;
–Ambito 2, area a uso misto, compresa tra un importante corso d’acqua e un grande parcheggio;
194
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Aree Pilota
Legenda
Ambiti di studio
Nome
Ambito 1
Ambito 2
Ambito 3
Ambito 4
Ambito 5
Tessuto viario Padova
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
195
–Ambito 3, area residenziale, definita ad “alta densità”, realizzata negli anni Sessanta-Settanta;
–Ambito 4, area residenziale, definita a “bassa densità”, realizzata anch’essa negli anni SessantaSettanta, posta nel primo anello esterno alla città e composta da edifici isolati di 1-2 piani;
–Ambito 5, area produttiva localizzata all’esterno del comune di Padova.
Metodologie di analisi: rilievi tradizionali e remote sensing
La prima parte del progetto è stata dedicata all’implementazione di una metodologia efficiente
nello studio delle isole di calore urbane. L’attenzione posta sull’area pilota di Padova è stata sin da
subito focalizzata al suo possibile utilizzo dalle amministrazioni comunali, mediante il manuale di
tecnica urbanistica. In quest’ottica si è cercato di procedere adottando metodologie semplici ma
efficaci. Un processo di analisi ideale richiederebbe la possibilità di disporre delle misurazioni della
temperatura atmosferica rilevata in tutto l’ambiente urbano. Essa è un descrittore importante per
individuare il comportamento dell’eventuale UHI; purtroppo, però, i rilevatori non sono sempre
diffusi omogeneamente sull’ambiente urbano. Nelle città italiane la disposizione di centraline di
rilevazione di temperatura e umidità sono spesso organizzate secondo logiche di monitoraggio ambientale legato all’inquinamento più che per monitoraggio del microclima. Questa mancanza di
informazioni non ha reso possibile la costruzione di un quadro omogeneo capace di far emergere le
cause del surriscaldamento urbano alle varie scale. Inoltre alcuni dati, normalmente a disposizione
delle pubbliche amministrazioni nei processi di gestione del territorio, non considerano le variabili
utili per identificare tale fenomeno. All’interno del progetto la misurazione del calore atmosferico
in ambiente urbano è stato affidato all’unità di ricerca dell’Università di Padova2, che ha lavorato
all’identificazione dell’isola di calore all’interno della città, facendo specifica attenzione alle cinque
aree scelte e descritte in precedenza (fig. 2).
Il quadro emerso da queste analisi ha posto in evidenza una differenza termica significativa durante le ore notturne tra l’area urbana e l’area rurale periferica alla città. La presenza di un’isola di calore, di tipo notturno, con una maggiore intensità verso l’alba, è già un forte indicatore delle cause del
surriscaldamento urbano, dovuto principalmente alla sua morfologia e alla tipologia delle superfici.
È noto infatti nella letteratura scientifica (Oke, 1982; Santamouris, 2005) che l’isola di calore viene descritta come un fenomeno causato da fattori antropogenici quando si sviluppa gradualmente dal tardo
pomeriggio alla sera (derivante quindi da attività umane), mentre, se la rilevazione avviene a notte
inoltrata, i fattori di formazione sono dipendenti dal rapporto tra superfici permeabili e impermeabili,
materiali utilizzati e ventilazione urbana (Papadopoulos, 2001). È stato quindi evidente sin da subito
che le analisi e le possibili strategie dovevano rivolgersi all’ambito costruito piuttosto che alle attività
umane con cui esso si relaziona. Il lavoro di analisi sul tessuto urbano esistente è avvenuto tenendo
in considerazione le linee guida dettate della Technische Universität di Vienna, che ha proposto una
serie di indicatori utili a pesare e quantificare i differenti fattori di produzione dell’UHI (tab. 1).
Il lavoro proposto prevedeva la quantificazione e l’inserimento di tali indici relazionandoli
poi con le rilevazioni di temperatura per ottenere dei risultati coerenti e vicini alla realtà. Grazie a
questa modalità è stato possibile valutare i differenti microclimi urbani delle aree scelte e individuare la maggiore incidenza di un fattore rispetto a un altro. Per esempio nella prima area analizzata
i fattori di produzione dell’isola di calore sono maggiormente imputabili allo scarso rapporto tra
superfici permeabili-impermeabili e Sky View Factor, mentre nella quarta area (scelta poi come area
pilota finale) si è visto che la produzione di calore è prevalentemente da imputare alla tipologia dei
materiali che compongono la parte edificata. Appare chiaro, quindi, che le strategie di mitigazione
del fenomeno (e gli strumenti urbanistici per poter implementare le azioni di progetto) per le due
aree in questione risultano essere differenti.
196
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
2. Il transetto di rilevazione attraverso la città.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
197
Tab. 1. Indici utilizzati nell’analisi urbana per determinare i fattori di produzione UHI.
Gemetric properties
Symbol
Unit
Range
Definition
Sky View Factor
ψsky
–
0-1
Mean value of the fraction of sky hemisphere visible form ground level
Aspect ratio
H/W
–
0-3+
Mean height-to-width ratio of street canyons,
consider length of streets as a weighting factor
Ab/Atot
Ab: building plan area (mq)
Atot: total ground area (mq
–
0-1
Ratio of building plan area to total ground area; fraction of ground
surface with building cover
1-Ab/Atot
–
0-1
Ratio of unbuilt plan area to total ground area; fraction of ground
surface with building cover
Ai
–
0-1
Ap = (Ae + Ag + AH2O)
–
0-1
Ratio of unbuilt impervious plan area (bare soil, green water)
to total ground area
Ae: earth
–
0-1
Bare soil area
Ag: green
–
0-1
Green area
AH2O: water
–
0-1
Water bodies area
Ic
m
–
Ratio of built volume (above terrain) to tal building plan area
As/Ab
As: total built surface area [mq]
–
>1
Ratio of total built surface area (above terrain) of buildings
(walls and roofs) to tal bult area
Aw/Ab
Aw: total wall area [mq]
–
˜1
Walls
AR/Ab
AR = (AR,i+AR,p)
–
˜1
Roofs
AR,i/Ab
AR,i: total impervious roof area [mq]
–
˜1
Impervious roofs
AR,p/Ab
AR,p: total pervious roof area [mq]
–
˜1
Pervious roofs
hsi
m
–
Average height above sea level
Symbol
Unit
Range
Definition
Built area fraction
Unbuilt area fraction
Impervious surface fraction
Pervious surface
Mean building
compactness
Built surface fraction
Ic=Vb/Ab [m3/mq]
Vb: built volume [m3]
AR: total roof area [mq]
Mean sea level
Surface /material properties
Reflectance/albedo
Thermal conductivity
Specific heat capacity
Densiti
Anthtropogenic heat
outpunt
198
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
ρsw
–
0-1
Mean value of albedo (shortwave)
λ = (λi+λp)
Wm-1K-1
>0
The property of a material’s ability to conduct heat
λi: impervious surface
Wm-1K-1
>0
Thermal conductivity of impervious surfaces
λp: pervious surface
Wm-1K-1
>0
Thermal conductivity of pervious surfaces
c = (ci+cp)
Jkg-1K-1
>0
The amount of heat required to change a unit mass of a material
by one degree of temperature
ci: impervious surface
Jkg-1K-1
>0
Specific heat capacity of impervious surfaces
cp: pervious surface
Jkg-1K-1
>0
Specific heat capacity of pervious surfaces
ρ = (ρi+ρp)
kgm-3
>0
The mass density of a material is its mass per unit volume
ρi: impervious surface
kgm-3
>0
The mass density of impervious surfaces
ρp: pervious surface
kgm-3
>0
The mass density of pervious surfaces
QF
Wm-2
>0
Mean annual heat flux density from fuel combustion and human activity
(traffic, industry, heating and cooling of buildings ecc.)
Al fine di garantire l’efficacia degli interventi proposti va sottolineata l’importanza di individuare
con cura le cause di sovrapproduzione di calore nelle diverse aree, definendo così strategie specifiche
alle problematiche dell’area. L’individuazione di strategie site-specific diventa essenziale per mantenere elevata l’efficacia delle soluzioni proposte. Le informazioni indispensabili per valutare (e successivamente monitorare) la resilienza di un’area urbana alle ondate di calore sono state le seguenti:
– superficie aree pavimentate;
– superficie aree permeabili;
– superficie edificata;
– Sky View Factor (SVF);
– compattezza urbana;
– incidenza solare;
– riflettanza/albedo dei materiali;
– conducibilità termica dei materiali.
Il grande dettaglio richiesto per l’analisi di tutte queste informazioni ha richiesto una metodologia appropriata di raccolta dati. A questo scopo si è lavorato seguendo due metodi tra loro alternativi: uno, basato sul metodo tradizionale di analisi sul campo, classificando nello specifico le diverse
tipologie di copertura del suolo oltre che di altezza e classe tipologica degli edifici e un secondo che
si è affidato invece ai sistemi di remote sensing e di elaborazione tridimensionali di dati ricavabili da
LiDAR e ortofoto ad altissima risoluzione.
Il primo metodo ha permesso di mappare il tessuto urbano, identificando le tipologie di materiali
di tutte le superfici, oltre alle loro proprietà termiche. Il lavoro è stato fortemente dispendioso in termini
di tempo, soprattutto per le analisi sul campo, ma ha restituito uno stato di fatto completo dell’area.
Il secondo metodo, basato sull’impiego di sistemi di remote sensing, ha richiesto un minor
tempo di raccolta dei dati e ha permesso di reperire informazioni utili per descrivere e mappare il
fenomeno. Volendo estendere questa metodologia a tutto il territorio veneto si potrebbe assicurare
una facile e rapida replicabilità di processo, a seconda della dotazione informativa, informatica e
tecnologica delle singole amministrazioni locali.
Per eseguire le analisi mediante telerilevamento è importante disporre, per l’intera area amministrativa, di dati LiDAR e di ortofoto ad alta risoluzione (0,2-0,5 m per pixel) e preferibilmente contenenti la
banda dell’infrarosso. Questa metodologia ha offerto la possibilità di conoscere, per ogni area selezionata,
i mq di vegetazione (distinti per altezza), il rapporto tra superficie permeabile e impermeabile, l’irradiazione solare incidente e lo Sky View Factor (Berdahl - Bretz, 1997). Tecnicamente la fase di analisi è avvenuta mediante la creazione di modelli tridimensionali del terreno espressi in forma digitale, DSM (Digital
Surface Model) e DTM (Digital Terrain Model), i quali hanno permesso di identificare e inventariare la
composizione delle superfici urbane. Unendo i DEM (Digital Elevation Model) ottenuti attraverso l’elaborazione dei dati LiDAR con le ortofoto multispettrali, si ha avuto inoltre la possibilità di suddividere in
forma automatica le superfici orizzontali della città per tipologia e altezza, ottenendo così un atlante delle
superfici composto da spazi verdi, con relative altezze e spazi impermeabili (edifici, strade, parcheggi).
Successivamente, mediante l’utilizzo di software come LAStools, Saga Gis e eCognition, si sono
create le mappe dello Sky View Factor e quelle dell’irraggiamento solare, informazioni essenziali a
individuare non solo le azioni rivolte alla mitigazione del fenomeno UHI e all’adattamento urbano ai
cambiamenti climatici, ma soprattutto a determinare le specifiche zone di intervento.
Il punto di forza di queste innovative tecniche di analisi risiede nella loro replicabilità in aree
urbane molto estese, le quali richiederebbero mesi per raggiungere il dettaglio ottenuto con l’alternativo metodo di rilevazione topografica tradizionale. Bisogna sottolineare però che non tutti i
territori sono dotati di rilevamenti LiDAR o affini, il che rende la metodologia, se pur innovativa ed
efficiente, uno strumento ancora utilizzato in aree limitate (figg. 3-9).
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
199
3. Analisi delle superfici orizzontali urbane.
La tecnica utilizzata ha permesso la suddivisione
delle superfici dell’area selezionata attraverso
una procedura automatica. La possibilità di scomporre
e misurare le tipologie di copertura della città
con un dettaglio di 0,5 mq ha permesso la creazione
di un atlante delle superfici di grande dettaglio utile
non solo agli studi concernenti l’isola di calore urbana,
ma adatto anche a supportare le analisi
riguardanti il rischio idrologico e valutare i servizi
ecosistemici urbani.
Ambito “3”
Residenziale (anni’70) ad alta densità
-Remote Sensing-
5. Atlante delle superfici “a terra”. La figura illustra
il rapporto tra superfici verdi e pavimentate
al nudo degli edifici. Le informazioni tradotte
in forma vettoriale, contenenti le quote di ogni singolo
elemento individuato, permettono di interrogare il dato
e scomporre la città in tutte le tre dimensioni.
6. Atlante del verde urbano.
Ambito “3”
Residenziale (anni’70) ad alta densità
Suolo permeabile/impermeabile
-Remote Sensing-
4. Analisi degli edifici eseguita utilizzando
la metodologia Remote Sensing descritta
nella figura 5. I dati ricavati dall’analisi dei dati LiDAR
e le ortofoto ad altissima risoluzione (0,2 m)
possono essere elaborati da qualsiasi software GIS
e trasformati in dati vettoriali. In questo modo
è possibile sapere non solo il rapporto tra superficie
permeabile e superficie impermeabile,
ma anche l’altezza di ogni singolo oggetto riconosciuto
dalle analisi di Remote Sensing come “permeabile”
o “impermeabile”.
1: 1.000
1: 1.000
Ambito “3”
Ambito “3”
Residenziale (anni’70) ad alta densità
Altezza edifici
Residenziale (anni’70) ad alta densità
Altezza alberi
-Remote Sensing-
-Remote Sensing-
1: 1.000
200
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
1: 1.000
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
201
7. Analisi Sky View Factor. Lo SVF, o fattore vista cielo,
misura l’apertura angolare della vista cielo
dalla quota 0 dei Canyon urbani. Calcolare lo SVF
senza avere un modello digitale della città espresso
in forma tridimensionale è molto dispendioso
in termini di tempo e risorse, impensabile poterlo
eseguire su un’area urbana intera. Poter disporre
del calcolo dello SVF, nello studio dell’isola di calore
urbana, è molto importante in quanto permette
di identificare le superfici verticali degli edifici
maggiormente predisposte ad accumulare calore.
Ambito “3”
Residenziale (anni’70) ad alta densità
Sky View Factor
-Remote Sensing-
9. Rappresentazione dell’incidenza solare sul suolo
eseguita utilizzando la metodologia Remote Sensing.
Si noti la facilità con cui si distinguono le superfici
prive di ombreggiature da quelle ombreggiate
e conseguentemente meno calde.
Ambito “3”
Residenziale (anni’70) ad alta densità
kW-h Giornalieri - Strade
-Remote Sensing-
8. Analisi dell’irraggiamento solare compiuto
sugli edifici all’interno dell’area di studio. Il vantaggio
di disporre del modello digitale del terreno
in tre dimensioni permette ai software GIS di calcolare
l’irraggiamento solare di ogni superficie attraverso
complessi algoritmi che simulano il percorso solare
e la conseguente proiezione delle ombreggiature
degli oggetti urbani. In questo modo l’analisi
restituita, oltre a essere di grande dettaglio, permette
di quantificare l’irraggiamento accumulato in un dato
periodo di tempo di ogni elemento urbano in termini
di ore e Kwh.
1: 1.000
1: 1.000
Ambito “3”
Residenziale (anni’70) ad alta densità
kW-h Giornalieri - Edifici
-Remote Sensing-
1: 1.000
202
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
203
Le informazioni, raccolte e tradotte in forma vettoriale, permettono di essere interrogate grazie
ai dati relativi alle quote e alla tipologia di copertura. Scomponendo la città in tutte le sue dimensioni, è quindi possibile sia identificare le aree maggiormente vulnerabili alle ondate di calore che
adattare porzioni di città ai fenomeni atmosferici estremi, suggerendo alcune possibili strategie per
il raggiungimento di tale obiettivo. Per testare e valutare l’efficienza delle azioni si è poi proceduto
alla costruzione di quattro differenti scenari di trasformazione dell’area oggetto di studio. I quattro
scenari, con i loro specifici interventi, risultanti dall’integrazione delle misurazioni puntuali della
temperatura con la ricerca degli indicatori, sono stati poi elaborati mediante l’utilizzo del software
ENVI-met, che permette di simulare la variazione della temperatura dell’aria a seguito delle modifiche fisiche proposte all’interno dell’area selezionata. È in grado quindi di verificare, e indirizzare,
strategie di mitigazione al fenomeno UHI, restituendo i risultati delle azioni proposte. Ad esempio,
se da un’area considerata nel suo stato di fatto si vogliono vedere i benefici apportati da un inserimento arboreo o dalla modifica dell’albedo di alcune superfici, con questo tipo di simulatore è
possibile farlo. Avvalersi di software come ENVI-met permette non solo di verificare l’efficacia di
un’azione rispetto a un’altra ma anche la sua ottimale localizzazione.
Lo studio di fattibilità
Successivamente all’elaborazione delle informazioni relative alle aree all’interno del transetto di
rilevazione si è reso necessario comprendere quali “azioni” di mitigazione e adattamento potevano
venire prese in considerazione sulla base degli aspetti morfologici di questo specifico quartiere della
città di Padova: quali interventi per gli edifici, per gli spazi aperti pubblici e per quelli privati. Il
risultato di questi diversi portfoli di “azioni” – integrati tra di loro – ha dato vita agli “scenari di trasformazione”, testati successivamente con l’utilizzo del software ENVI-met per verificarne l’efficacia.
Attraverso questo processo è stato possibile dare una prima dimensione progettuale all’area pilota,
adattandone specificatamente le misure di mitigazione che venivano genericamente proposte in altri contesti territoriali. Successivamente alla sperimentazione compiuta con il progetto preliminare
all’interno dell’area pilota sono stati definiti quattro diversi scenari progettuali:
– green ground: scenario in cui si ipotizza di aumentare la superficie permeabile dell’area (dal 18%
al 23%) mediante conversione di un parcheggio asfaltato in superficie erbosa e piantumazione
di alberi alti 10 m lungo le principali strade della zona;
– cool pavements: sostituzione del tradizionale asfalto (albedo 0,2) e cemento (albedo 0,4) utilizzato su strade e marciapiedi con materiali “freddi”, cioè con elevata albedo (0,5);
– cool roofs: sostituzione dei tradizionali tetti a tegola o piani rivestiti con materiali “freddi” (albedo da 0,3 a 0,6);
– green ground + cool pavements: scenario dato dalla contemporanea adozione delle due azioni
di mitigazione descritte.
La precisione del modello digitale del terreno, ottenuto mediante l’utilizzo dei dati LiDAR e
delle ortofoto, ha permesso di accrescere il dettaglio con il quale eseguire le simulazioni riguardanti
la misura dell’efficacia, in termini di riduzione di temperatura, delle differenti azioni di mitigazione,
ipotizzate per ciascuno dei quattro scenari.
204
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Le simulazioni successivamente eseguite hanno permesso di chiudere il ciclo di lavoro, consentendo di testare virtualmente le azioni ipotizzate e permettendo il riconoscimento delle strategie
migliori per l’area pilota.
Il quarto scenario, denominato green ground + cool pavements, testato con l’utilizzo del software
ENVI-met, è quello che ha fornito i risultati più soddisfacenti dal punto di vista della riduzione di temperatura. Su questa base si è passati successivamente alla restituzione progettuale dello scenario prescelto.
L’area pilota come ambito di sperimentazione per la Regione Veneto
Lo scenario di riferimento scelto per l’area pilota è finalizzato all’incremento della resilienza
alle esternalità negative causate dalla variabilità climatica. La progettazione di infrastrutture verdi
urbane, così intesa, diventa un volano per adattare i sistemi urbani e territoriali ai cambiamenti climatici. Si attribuisce infatti a una rete di spazi naturali e seminaturali una buona capacità di rendere
il territorio più resiliente: se ben progettate, le infrastrutture verdi possono mitigare gli effetti delle
alluvioni e contenere i crescenti fenomeni di siccità, migliorare la qualità delle acque e dell’aria e
favorire efficacemente la tutela del suolo e il contrasto del dissesto idrogeologico. Tutto questo garantendo la filtrazione dell’aria, la protezione dall’erosione, la regolazione dei flussi d’acqua, la tutela delle
coste, il mantenimento della struttura del suolo, lo stoccaggio di carbonio. I molteplici vantaggi delle
infrastrutture verdi sono stati evidenziati anche nella strategia europea per le infrastrutture verdi
pubblicata lo scorso anno (EU, 2013). Ad esempio, nelle città gli alberi e le aree verdi possono impedire inondazioni, ridurre l’inquinamento atmosferico e limitare i livelli di rumore. Inoltre, l’utilizzo di
sistemi naturali spesso può essere più economico e più resistente di una struttura hard artificiale.
I risultati ottenuti dalle misurazioni di efficacia dei quattro scenari di trasformazione dell’area
pilota hanno dato diverse risposte sulla modalità di raggiungimento di alcuni risultati di riduzione
della temperatura. Risultano però ancora da comprendere le modalità di applicazione delle trasformazioni previste in un contesto territoriale reale. Il territorio del Veneto centrale infatti, essendo
stato fortemente trasformato negli ultimi quarant’anni, necessita di un approccio progettuale fortemente legato a questa specificità territoriale. In questa stessa ottica, il progetto per la trasformazione
dell’area pilota, risultato dallo studio di fattibilità, potrà trovare la sua attuazione attraverso piccoli
interventi, che verranno compiuti presumibilmente in un arco temporale di circa vent’anni.
In questo caso, il progetto esprime, anche attraverso una rappresentazione grafica, uno scenario potenziale di riferimento, al quale si potrà presumibilmente tendere. Le misure di mitigazione previste per attenuare l’effetto isola di calore potranno venire efficacemente utilizzate in primo
luogo attraverso l’adozione di strumenti adeguati di gestione e pianificazione del territorio fino alla
tecnica urbanistica, in grado di accogliere e interpretare al proprio interno le nuove priorità di adattamento ai cambiamenti climatici.
Su queste basi, il gruppo di lavoro, per rendere il più possibile applicabili le misure di mitigazione,
ha compiuto una ricognizione degli strumenti di gestione e pianificazione del territorio esistenti, connettendo a ciascuna misura il relativo strumento pianificatorio potenzialmente modificabile (tab. 2).
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
205
Tab. 2. Strumenti ordinari della pianificazione e gestione urbanistica.
Azioni possibili di calmierazione delle UHI: superfici a terra, riflettanza ed emissività
Superfici
a terra
Azione
Soggetto
regolatore
prevalente
Strumento
(urbanistico
o di gestione)
Tab. 3. Strumenti ordinari della pianificazione e gestione urbanistica.
Azioni possibili di calmierazione delle UHI: superfici a terra gestione delle superfici verdi non impermeabilizzate
Tipo
di indicazione
Note
Superfici a terra
Azione
Soggetto
regolatore
Piano urbanistico Indicazioni
comunale (diverse sulle superfici
di ciascuna ATO
denominazioni
a seconda
della legislazione
regionale
di riferimento)
Gestione
della riflettanza
ed emissività
delle superfici
impermeabili
di spazi
pubblici
e privati
1) Tipologia
di pigmentazione
2) Tipologia
di materiale
Piano
di manutenzione
ordinaria
Amministrazioni e straordinaria
comunali
Piano
delle
infrastrutture
Regolamento
edilizio
Parametri
di riflettanza
delle superfici
esistenti
Parametri
di riflettanza
delle superfici
di nuove
infrastrutture
(Fonte: elaborazione Iuav, 2014)
Ipotesi di trasformazione dell’area pilota
Le azioni di trasformazione dell’area pilota di seguito ipotizzate fanno riferimento allo scenario green ground + cool pavements precedentemente analizzato. Lo schema, utilizzato come base
di riferimento per la modellazione ENVI-met, è stato di seguito declinato in una serie di potenziali
trasformazioni dell’area pilota. Gli interventi ipotizzati non fanno riferimento quindi a un eventuale
programma unitario di progettazione urbana, ma sono strutturati come piccoli interventi, da eseguirsi attraverso l’applicazione degli strumenti urbanistici analizzati (tabb. 3-6).
Vale la pena sottolineare come le azioni proposte possano da sole essere efficaci per mitigare
l’effetto isola di calore, però necessitino di approfondimenti specifici legati al contesto territoriale
in cui si vanno ad applicare, in modo da poter scegliere con oculatezza gli interventi più efficaci e
meno costosi. Va altresì evidenziato che per ottenere la massima efficacia tutte le azioni andrebbero
inserite all’interno di una strategia generale di adattamento al cambiamento climatico, in modo da
poter combinare azioni che agiscano sui diversi effetti del cambio climatico e allo stesso tempo possano essere importanti per le priorità urbane o socioeconomiche di un particolare territorio.
206
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Gestione
delle superfici
verdi e non
impermeabilizzate
Private e pubbliche
Indicazione
sulle superfici
impermeabilizzate
di ciascuna ATO.
Piano
del verde
Modalità tecniche
di collocazione
e realizzazione
delle diverse tipologie
di aiuole verdi
Informazione/
comunicazione
Informare i cittadini
sull’importanza
di togliere superficie
impermeabile
per la creazione
di calore
e per la gestione
delle acque.
1) Massimizzare
le superfici
a verde
2) Ridurre
le superfici
impermeabilizzate
non necessarie
Tipo di norma
Piano
degli interventi
Comune
Per le pavimentazioni esistenti
è conveniente modificare progressivamente
la pigmentazione.
Per le nuove superfici conviene impiegare
materiali che combinino una maggiore
riflettanza e un tasso
di impermeabilizzazione basso
Parametri
di riflettanza
delle superfici
di nuovi edifici
privati e pubblici
Strumento
Piano direttore
Ente
di gestione
gestore
del servizio
del servizio
idrico
idrico
Piano delle acque
Note
Gestisce la tariffa
del servizio
in base alla superficie
impermeabilizzata
Identifica ambiti
di particolare
vulnerabilità
e detta parametri
massimi
di impermeabilizzazione
Gestisce la tariffa
di scolo delle acque
in base alla superficie
impermeabilizzata
Consorzio
di Bonifica
Piano di bonifica
Piano delle acque
Identifica ambiti
di particolare
vulnerabilità
e detta parametri
massimi
di impermeabilizzazione
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
207
Tab. 4. Strumenti ordinari della pianificazione e gestione urbanistica.
Azioni possibili di calmierazione delle UHI: coperture degli edifici, gestione della colorazione (pigmentazione)
Coperture
degli edifici
Azioni
Dettare
parametri
Gestione
di riflessività
della
ed emissività
colorazione
per membrane
(pigmentazione)
e materiali
di copertura
Soggetto
regolatore
Tipo
di norma
Strumento
Piano
degli interventi
Note
Indicazione
sulle superfici
di copertura
di ciascuna ATO
Comune
Regolamento
edilizio
Azioni
Massimizzazione
delle superfici
di copertura verde
Dettare
parametri
per la
realizzazione
di tetti verdi
Soggetto
regolatore
Comune
Strumento
Importante
per aree
produttive
Dare
dei parametri
di riflessività
minima
per le superfici
di copertura
Tipo di norma
Indicazione
Piano
sulle superfici
degli interventi di copertura
di ciascuna ATO
Regolamento
edilizio
Alberature
Azioni
Soggetto
regolatore
Per ogni ATO
verranno
dettati
parametri
diversi.
Tab. 5. Strumenti ordinari della pianificazione e gestione urbanistica.
Azioni possibili di calmierazione delle UHI: massimizzazione delle superfici di copertura verde
Coperture
degli edifici
Tab. 6. Strumenti ordinari della pianificazione e gestione urbanistica.
Azioni possibili di calmierazione delle UHI: massimizzazione delle superfici ombreggiate da alberature
Note
Importante
per aree produttive
Strumento
Tipo di norma
Piano
degli interventi
Massimizzazione
della superficie
ombreggiata
da alberature
per spazi pubblici
e privati
Dettare
parametri
per la
piantumazione
di nuove
alberature
in ambiti
già costruiti
e in ambiti
di nuova
realizzazione
Comune
Indicazione
sulle superfici
coperte da
alberature
per ciascuna ATO
Note
Importante
per aree
produttive
Fornire parametri
di piantumazione
minima
per ogni lotto
Regolamento
edilizio
o piano
del verde
Costruire
parametri tecnici
per le specie
da utilizzare
e per le tecniche
di piantumazione
Informazione/
comunicazione
Informare
i cittadini
sull’importanza
di aumentare
per tutta la città
la superficie
a tree canopy
Introdurre
degli incentivi
per gli interventi
che prevedono
i tetti verdi.
Incentivare
i tetti verdi
negli edifici
esistenti dotati
di tetto piano.
Informare
i cittadini
sulle possibilità
d’uso,
realizzazione
Informazione/
e manutenzione
comunicazione
di tetti verdi
nel contesto
climatico
dell’area
centrale veneta
208
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Importante
sensibilizzare
sulla possibilità
di usare i tetti verdi
come giardini
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
209
MATERIALE RIFLETTENTE
MATERIALE PERMEABILE
MATERIALE IMPERMEABILE OPACO
MANTO STRADALE RIFLETTENTE
ALBERI
TETTI VERDI
TETTI BIANCHI
VETRO
COPPI IN LATERIZIO
GUAINA BITUMINOSA
TEGOLE MINERALI/
CEMENTO
CEMENTO ARGILLA
BLOCCHETTI CEMENTO
VEGETAZIONE
PORFIDO
PIASTRELLE
GHIAIA
CEMENTO
BLOCCHETTI CEMENTO E ERBA
ASFALTO
11a. Azione 0 stato di fatto.
11b. Azione 0 stato di fatto, sintesi: superfici permeabili
e non permeabili.
210
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
211
212
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
12a. Azione 1: modifica albedo delle strade.
13a. Azione 2: modifica albedo di marciapiedi
e parcheggi.
12b. Azione 1, sintesi: caratteristiche dei materiali.
13b. Azione 2, sintesi: caratteristiche dei materiali.
12c. Azione 1, sintesi: modifica della riflettanza
del manto stradale.
13c. Azione 2, sintesi: modifica della riflettanza
di marciapiedi e parcheggi.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
213
14a. Azione 3: aggiunta di verde a terra su spazi
pubblici oltre agli alberi.
14b. Azione 3, sintesi: caratteristiche dei materiali.
14c. Azione 3, sintesi: verde pubblico:
apertura di nuove aiuole e piantumazione
di nuove alberature.
214
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
15a. Azione 4: albedo su pavimentazione privata.
15b. Azione 4, sintesi: caratteristiche dei materiali.
15c. Azione 4, sintesi: modifica della riflettanza
su superfici private.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
215
16a. Azione 5: inserimento di verde su superfici private.
16b. Azione 5, sintesi: caratteristiche dei materiali.
16c. Azione 5, sintesi: inserimento di verde
su superfici private.
216
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
17a. Azione 6: tetti verdi, azione extra scenario.
17b. Azione 6, sintesi: caratteristiche dei materiali.
17c. Azione 6, sintesi: tetti verdi, azione extra scenario.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
217
Spazi aperti pubblici
18a. Sintesi delle azioni.
18b. Sintesi delle azioni: caratteristiche dei materiali.
218
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
La prima azione prevede un livello di intervento sulle superfici stradali, ipotizzando un aumento dell’indice di riflettanza del manto carrabile. Tale modifica potrà avvenire attraverso l’utilizzo
di materiali di vario tipo, prendendo in considerazione due diverse opzioni tecniche: una prima
più immediata, di intervento sulla colorazione/pigmentazione, e una seconda più strutturale, di
intervento sulla tipologia di asfalto. Interventi di questo tipo possono venire programmati alla scala
dell’intero territorio comunale e sono da compiersi in un periodo prestabilito di anni, per esempio
nell’arco di tempo necessario per la riasfaltatura o per il rifacimento di alcuni tipi di segnaletica a
terra. Per ragioni di sostenibilità economica, avrebbe senso identificare (con apposita cartografia) le
aree comunali in cui risulti prioritario intervenire. La mappatura, nelle città più grandi, può essere
legata a studi orientati all’individuazione del calore urbano, attraverso metodi diretti di misurazione
o con metodi indiretti di elaborazione di dati fotogrammetrici. I comuni che non possono disporre
di analisi complesse sui fenomeni di riscaldamento urbano possono dare priorità agli ambiti più
densamente occupati del loro territorio, facendo anche riferimento agli indici suggeriti dall’Università di Vienna per questo specifico progetto.
La seconda azione è da considerarsi all’interno dello stesso ambito della prima. Anch’essa prevede l’intervento sulla riflettanza delle superfici urbane impermeabilizzate, si orienta però sugli spazi non considerati di carreggiata automobilistica: marciapiedi, parcheggi e piazze. Anche per queste
superfici, come per le carreggiate stradali, sarà importante dotarsi di una metodologia in grado di
identificare gli ambiti, a livello cittadino, in cui è prioritario intervenire. Sarà possibile orientare la
modifica di queste aree attraverso gli strumenti urbanistici che regolano l’arredo urbano, inserendo
dei limiti di riflettanza alla realizzazione o al rifacimento della pavimentazione di piazze e marciapiedi. Per l’applicazione di questa azione all’interno dell’area pilota, sono stati presi in considerazione anche i parcheggi e le singole aree di sosta lungo le careggiate, aree normalmente asfaltate, per
le quali si dovrà immaginare un trattamento diverso rispetto alla normale asfaltatura, tenendo in
considerazione anche le potenzialità di assorbimento delle acque meteoriche, con l’utilizzo di materiali maggiormente permeabili.
La terza azione è focalizzata sugli interventi di aumento della superficie verde all’interno dello
spazio pubblico. Anche in questo caso non si tratta di nuovi grandi parchi o estese aree verdi, si fa
riferimento a una serie di micro interventi, eseguibili all’interno della città consolidata e infrastrutturata. Concretamente si tratta di apertura di nuove aiuole urbane e piantumazione di nuove alberature. Interventi che per essere eseguiti necessitano di un approccio innovativo legato a una nuova
visione della gestione dello spazio pubblico.
Attualmente, per la maggior parte delle città italiane, inserire nuovi alberi e aprire nuove aiuole
in contesti urbani già costruiti potrebbe comportare un aumento dei costi di manutenzione e una
perdita di spazio urbano da dedicare ad altre esigenze (viabilità carrabile, ciclabile e pedonale, parcheggio ecc.): per queste ragioni, l’adozione di questo nuovo approccio dovrebbe avvenire all’interno di un cambio di paradigma a livello strategico nella gestione generale degli spazi della città.
Dedicare nuovi spazi al verde all’interno della città già costruita significa uscire dalla percezione
dello spazio della strada intesa principalmente come spazio di transito, parcheggio e manovra di
autoveicoli. Un nuovo paradigma di uso del verde pubblico significa ripensare a livello strategico
il verde urbano in un ambito di valorizzazione dei servizi ecosistemici che lo stesso può offrire in
un nuovo contesto di adattamento ai cambiamenti climatici. Scegliere questa strada significa comprendere e valorizzare la varietà di servizi che il verde può offrire – sia per la mitigazione dell’effetto
isola di calore, sia per la riduzione di altre esternalità negative dovute a fenomeni meteorologici –,
quali: la laminazione per il contenimento delle acque durante i grandi fenomeni piovosi, la riduzione dell’inquinamento atmosferico, l’aiuto alla riduzione della velocità del traffico urbano e infine
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
219
anche l’incentivo verso un miglioramento generale della qualità estetica e ambientale dello spazio
pubblico. All’interno dell’area pilota sono state inserite nuove aiuole lungo le strade in cui si poteva
ipotizzare una riduzione dell’ampiezza della careggiata, o un passaggio da doppio senso a senso
unico di circolazione. Si è inserito del verde anche su uno spazio adibito a piazza lungo via Guizza.
isola di calore potrà avvenire soltanto attraverso un lavoro in grado di abbracciare diversi fronti:
dagli approfondimenti sulle evoluzioni del clima a scala regionale e locale, all’uso della modellazione
climatica, a un utilizzo delle nuove tecnologie come supporto dell’agire urbanistico, alla scoperta di
nuovi materiali nel settore edilizio, alla revisione del sistema di governance urbana e soprattutto attraverso la creazione di una nuova strategia in grado di rivedere e coniugare tutti gli aspetti in gioco.
Spazi aperti privati
Anche la gestione degli spazi aperti privati gioca un ruolo determinante sulla presenza e
sull’intensità dell’isola di calore urbana. Nelle nostre città, dipendendo dalla tipologia di insediamento, una porzione importante di territorio non coperto da edifici risponde a un regime di proprietà privata che nel caso dell’area pilota di Padova corrisponde a più di 1/3 della superficie totale.
Risulta evidente che la gestione di queste superfici acquisisce particolare rilevanza nella mitigazione
dell’effetto isola di calore. In questo caso, però, anche una semplice soluzione tecnica (aumento della
superficie verde e aumento della riflettanza delle superfici impermeabili) deve trovare una valida
giustificazione di tipo gestionale e legislativo, e la risposta deve necessariamente avere fondamento
all’interno di una visione strategica generale in grado di coniugare le esigenze di gestione individuale degli spazi privati con la comprensione dell’importanza di adattarsi al cambiamento climatico.
Gli spazi aperti privati possono essere più facilmente trattati nel caso di una nuova edificazione e
attraverso un regolamento edilizio. Esigono invece magglior approfondimento gli ambiti urbani
consolidati come l’area pilota, poiché è più difficile trovare delle soluzioni normative o forme di
incentivo capaci di favorire reazioni di intervento sul patrimonio costruito.
In questi casi, le modalità di implementazione potranno essere:
– adottare programmi di formazione dei cittadini per stimolare processi autonomi di manutenzione ordinaria degli spazi privati da parte della popolazione più sensibile;
– coordinare azioni comuni con l’ente gestore del servizio idrico integrato, per implementare
politiche incentivanti in cui la quota di pagamento del servizio idrico dipende dalla porzione
di proprietà impermeabilizzata.
All’interno dell’area pilota, si propone nell’azione 4 di modificare solamente la riflessività delle
superfici private attualmente impermeabilizzate da asfalto, cemento o simili, mentre nell’azione 5 di
sostituirle con superfici a verde.
Azione post-scenario
L’ultima azione di progetto sull’area pilota fa compiere un passo in avanti rispetto agli interventi
previsti dallo studio di fattibilità, spingendo verso una proposta di trasformazione più incisiva che
non considera solo le superfici orizzontali a terra ma coinvolge anche gli edifici. Questa azione immagina una graduale trasformazione dei tetti degli edifici privati, prevedendo, in prima istanza, una
modifica della riflettanza delle superfici piane e successivamente un utilizzo progressivo degli stessi
per ospitare tetti verdi. Anche nel caso specifico dei tetti verdi, si potrà vederne una reale espansione
soltanto se le nostre città saranno in grado di comprenderne e valutarne il valore, dal punto di vista
dei servizi che possono offrire alla comunità, in termini di mitigazione dell’effetto isola di calore, di
laminazione delle acque meteoriche, di miglioramento della qualità dell’aria e non ultimo di utilizzo per scopi ricreativi. Lo scenario conclusivo che deriva dalla sperimentazione sull’area pilota non
intende offrire una nuova visione utopistica della città; tenta piuttosto di proporre l’applicazione di
soluzioni per adattare lo stato attuale a una prospettiva, non più così remota, di un clima in rapido
cambiamento. Il percorso per aumentare concretamente la resilienza del nostro sistema urbano al
cambiamento climatico, in questo caso, come dimostra questo progetto, a una mitigazione dell’effetto
220
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
1 L’esperessione “urban heat island” compare per la prima volta nel 1958 in un saggio di Gordon Manley nel Quarterly
Journal of the Royal Meteorology Society.
2 Marco Noro, Filippo Busato, Renato M. Lazzarin.
3
LiDAR (Laser Imaging Detection and Ranging) è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la
distanza di un oggetto o di una superficie utilizzando un impulso laser da una piattaforma aerea. L’altissima frequenza di impulsi garantisce la rilevazione del territorio nelle sue tre dimensioni. L’output restituito si presenta mediante una fitta nuvola
di punti quotati e georeferenziati.
Riferimenti bibliografici
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and Buildings, 25: 149-158.
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1.3. Tecniche di pianificazione per l’UHI: atlante e illustrazioni
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Introduzione
Il progetto UHI ha prodotto una serie di potenziali scenari di riqualificazione dello spazio pubblico frutto delle riflessioni raccolte durante le fasi di sperimentazione, esito delle campagne di rilevazione e delle simulazioni testate nell’area pilota di Padova. Le soluzioni adottate possono essere
applicate ai contesti urbani del Veneto centrale basandosi ovviamente sugli elementi di uniformità
formale e climatica che il patrimonio urbano possiede.
Le proposte non fanno riferimento a specificità microclimatiche di ogni territorio, ma operano
delle semplificazioni, considerando l’area della pianura veneta un contesto mediamente omogeneo
dal punto di vista climatico nel quale utilizzare alcune soluzioni di mitigazione del potenziale surriscaldamento, tramite la riqualificazione dello spazio urbano. Le soluzioni sono orientate principalmente a promuovere la trasformazione degli ambiti urbani esistenti e a tutto quel patrimonio
edilizio e infrastrutturale che è attualmente possibile concausa dell’effetto isola di calore. Per le rappresentazioni – contenute nell’atlante – sono stati scelti dei contesti urbani tipo, sui quali vengono
rappresentati degli scenari potenziali di riqualificazione. Gli scenari pongono l’accento sulle possibili soluzioni di adattamento, che partono dalle semplici modifiche delle pigmentazioni per arrivare
a proporre ridefinizioni più profonde dei contesti spaziali.
Le soluzioni di trasformazione più rilevanti riguardano principalmente un utilizzo funzionale
ed esteso del verde urbano, in tutte le sue forme e declinazioni. Si tratta di un approccio che va a
contrastare la diffusa percezione del verde come elemento non indispensabile, legato ad elevati costi
di manutenzione, oppure utilizzato a soli fini estetici e decorativi. Le soluzioni sono da contestualizzare all’interno di una strategia climatica locale complessiva.
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Trasformare una piazza
Le piazze delle nostre città rappresentano i luoghi più importanti della vita civica all’aperto,
spazi di aggregazione e incontro dei cittadini, tradizionalmente costruiti tenendo in considerazione
i diversi aspetti di comfort rispetto alle condizioni climatiche locali. Una cura progettuale, molto
spesso dimenticata, che ha lasciato spazio ad altre priorità.
L’esercizio prefigura una serie di scenari progettuali descritti un questa sezione del manuale,
con la finalità di offrire alcuni spunti di riflessione, per ripensare lo spazio pubblico e lo spazio
costruito nel suo complesso. Non si è fatto riferimento, per la loro specificità, alle piazze storiche tutelate da vincolo monumentale, ma alla miriade di altri spazi pubblici a cui può essere riconosciuto
un carattere di piazza.
Per le piazze storiche, nella loro ristrutturazione periodica, si suggerisce di condurre approfondimenti sull’uso dei materiali lapidei, dove è possibile fare uso di quelli maggiormente riflettenti, e
di riconsiderare l’uso del verde.
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222
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
223
1. Stato di fatto. Piazza pavimentata con asfalto
o altri materiali poco riflettenti.
2. Esempio di intervento 1. Questo intervento
riguarda la modifica dell’albedo della pavimentazione,
ottenibile in questo caso lavorando su due diverse
potenziali direzioni: modificandone la pigmentazione,
quindi colorando la superficie con materiali
più riflettenti, oppure intervenendo sul tipo
di materiale, sostituendolo con materiali più riflettenti
e permeabili.
224
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
3. Esempio di intervento 2. Questa soluzione dimostra
come si possa intervenire sulla piazza togliendo
superficie impermeabile, inserendo delle aiuole verdi
e massimizzando l’ombreggiatura piantando
nuove alberature.
4. Esempio di intervento 3. L’utilizzo dell’acqua
per mitigare il microclima urbano viene da sempre
proposto nelle piazze del nostro paese.
Anche l’impiego di sistemi di ombreggiatura
temporanei, come i velari, molto utilizzati storicamente
nelle città mediterranee, possono aiutare a proteggere
dalle ondate di calore.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
225
Trasformare una strada
Una strada in ambito urbano denso
Lo spazio stradale rappresenta per definizione un’area, più o meno lunga e di sezione sensibilmente costante, attrezzata per il transito di persone e di veicoli, uno spazio che può assumere un’ampia varietà di classificazioni, che dipendono dal tipo di lettura scelta. La strada vista esclusivamente
come ambito della circolazione veicolare trova le sue distinzioni nel codice della strada; lo stesso
concetto di strada può essere ampliato entrando nelle definizioni di tipo urbanistico/architettonico,
in cui acquisisce significati e caratteri più ampi, contraddistinti anche dalla forma e dall’utilizzo
degli spazi e degli edifici a essa prospicienti. Un progetto di riqualificazione di una strada coinvolge
quindi un numero molto ampio di fattori e per giungere a concretizzazione deve essere in grado di
farne convergere la quasi totalità. Le soluzioni progettuali di seguito adottate suggeriscono la trasformazione di spazi stradali tipici dei nostri centri urbani e delle periferie, utilizzando le tecniche a
disposizione per mitigarne l’effetto l’isola di calore, abbinandole dove possibile con le altre tematiche
della progettazione urbana.
Questa sezione stradale vuole affrontare alcune tematiche tipiche di ambiti urbani densi, prendendo in considerazione anche parti di centro storico o aree a esso limitrofe. Si tratta di zone con
un preponderante uso dello spazio per la circolazione e il parcheggio di automobili, un utilizzo
che contrasta con la qualità estetica e l’uso a scopi ricreativi. Restituire spazio alla città, limitando
l’accesso alla mobilità privata, può in questo contesto offrire delle soluzioni per adattare la città al
cambiamento climatico, in particolare all’effetto isola di calore. Soluzioni adottabili con a monte una
gestione appropriata del trasporto pubblico e del sistema dei parcheggi.
Una strada urbana ad alto traffico
La tipologia di strada presa in considerazione per questo esercizio progettuale si può incontrare diffusamente in molte delle nostre città venete, nelle direttrici più importanti di attraversamento
o di uscita dall’area urbana.
Una delle caratteristiche più importanti di questa sezione stradale è legata alla presenza di una
fascia di proprietà privata, posta tra la careggiata e il limite degli edifici si tratta di fatto di due fasce
spaziali che, pur essendo private, fanno fisicamente parte della strada. In queste aree si trovano
normalmente i parcheggi o gli spazi d’ingresso a servizio delle attività commerciali: vaste superfici
pavimentate ad asfalto, che rappresentano una fonte importante di accumulo di calore. Si tratta di
spazi che andrebbero trasformati adottando le soluzioni tecniche più appropriate attraverso una
progettazione mirata, cercando una convergenza tra le attuali funzioni e una chiara strategia di
adattamento al cambiamento climatico.
Per la parte di strada pubblica si possono trovare diverse forme di trasformazione, partendo
dagli interventi più semplici di lavoro sulla riflettanza dei marciapiedi e negli ambiti in cui il traffico
è meno intenso, arrivando a soluzioni di modifica dell’assetto della circolazione.
226
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Strada con traffico poco intenso o a fondo chiuso
Si tratta di vicoli dove la superficie asfaltata della careggiata e dei marciapiedi non ha motivo di
essere molto estesa per il bassissimo flusso di veicoli. Si tratta di strade che si prestano a una modifica della loro identità spaziale e a un utilizzo civico diverso. In esempi centroeuropei simili questi
bracci di strada a fondo chiuso diventano spesso ambito di attività comuni degli abitanti.
Una strada in ambito urbano a traffico poco intenso
Questa tipologia di strada è tipica delle aree residenziali realizzate negli anni Sessanta e Settanta, normalmente caratterizzate da un traffico poco intenso. Lo spazio della careggiata è utilizzato in
uno o in entrambi i lati per il parcheggio di automobili.
Una strada di lottizzazione
Si tratta di una strada presente all’interno delle aree residenziali normalmente urbanizzate attraverso i piani di lottizzazione, un esempio d’infrastruttura viaria progettata con standard dimensionali, non più attuali, orientati esclusivamente alla facilità di spostamento di veicoli e conflittuale
con le esigenze odierne di riduzione al minimo delle superfici impermeabilizzate.
La soluzione qui proposta dimostra come una comune strada di lottizzazione potrebbe venire
trasformata, aumentando le superfici a verde per scopi di adattamento al cambiamento climatico e
utilizzandole anche come elemento di limitazione della velocità veicolare.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
227
5. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature.
6. Esempio di intervento 1. Questa prima fase
di intervento riguarda la modifica dell’albedo
delle superfici meno utilizzate per la circolazione
dei veicoli, come i marciapiedi e gli spazi a parcheggio.
7. Esempio di intervento 2.
Questa soluzione prevede la massimizzazione
delle possibilità di ombreggiatura e riduzione
delle superfici impermeabili attraverso l’utilizzo
del verde urbano.
8. Esempio di intervento 3.
Il verde come limitatore della velocità veicolare.
Questa proposta, con l’inserimento di un’aiuola
centrale, dà una diversa identità spaziale
alla carreggiata che, in alcuni casi, può acquisire
la funzione di limitatore della velocità
del traffico veicolare.
228
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
229
9. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature.
10. Esempio di intervento 1. Modificare l’albedo
dei marciapiedi e degli spazi a parcheggio.
11. Esempio di intervento 2. Inserimento di nuovo
verde urbano, lavorando sugli spazi interstiziali,
senza togliere area agli utilizzi attuali.
12. Esempio di intervento 3. Inserimento di nuovo
verde urbano in forma estesa, invadendo aree
attualmente utilizzate per il parcheggio.
230
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
231
13. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature.
14. Esempio di intervento 1. Interventi di modifica
dell’albedo di parcheggi e marciapiedi.
15. Esempio di intervento 2. Inserimento di verde
urbano, con il posizionamento di alberature
e aiuole verdi.
16. Esempio di intervento 3. Il verde è utilizzato
per ridurre la superficie impermeabile e aumentare
l’area ombreggiata, che diventa anche elemento
di aiuto alla riduzione della velocità veicolare.
232
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
233
17. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature.
18. Esempio di intervento 1. Interventi di modifica
dell’albedo di parcheggi e marciapiedi.
19. Esempio di intervento 2. Inserimento di verde
urbano, con il posizionamento di alberature
e aiuole verdi.
20. Esempio di intervento 3. Il verde è utilizzato
per ridurre la superficie impermeabile e aumentare
l’area ombreggiata, che diventa anche elemento
di aiuto alla riduzione della velocità veicolare.
234
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
235
236
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
21. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature.
Trasformare un’area produttiva: indicazioni
22. Esempio di intervento. Il verde è utilizzato
per ridurre la superficie impermeabile e aumentare
l’area ombreggiata, che diventa anche elemento
di aiuto alla riduzione della velocità veicolare.
Questa proposta prende in considerazione le trasformazioni applicabili all’interno di aree
produttive tipo, realizzate senza dare priorità agli aspetti di sostenibilità ambientale. Si tratta di
zone che per ovvie ragioni di utilizzo dello spazio (capannoni, depositi delle merci, spazio di
circolo e manovra degli automezzi) sono state del tutto impermeabilizzate, diventando attrattori
di calore urbano e di difficile gestione delle acque piovane.
Le amministrazioni pubbliche potranno prendersi l’onere di guidare le riqualificazioni, lavorando sugli strumenti di governo del territorio, comprendendo le opportunità di adattamento
al cambiamento climatico, aprendo iniziative di confronto con il mondo imprenditoriale e tentando iniziative sinergiche con altri potenziali attori di gestione del territorio, come i consorzi di
bonifica o gli enti gestori del servizio idrico.
La trasformazione degli spazi pubblici di queste aree (strade, marciapiedi, parcheggi ecc.)
dovrà necessariamente garantire spazio di manovra e resistenza dei materiali a terra alla circolazione di mezzi pesanti. Il lavoro dovrà concentrarsi sulle aree interstiziali e sui marciapiedi,
tentando, dove possibile, di ricavare spazio per aiuole a terra e nuove alberature.
Gli spazi privati sono per la maggior parte composti da vasti piazzali per il deposito di
materiali e transito di automezzi e da spazi meno estesi di ingresso e rappresentanza. Nei grandi
piazzali si suggerisce di intervenire, in primo luogo, sulla pigmentazione delle superfici, mentre
per gli spazi aperti non utilizzati per deposito e transito si suggerisce di limitare al minimo le impermeabilizzazioni a terra e di massimizzare la presenza di alberature. Gli edifici possono trovare
riqualificazione nell’utilizzo dei tetti verdi e di facciate e schermature verdi.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
237
23. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature.
24. Esempio di intervento. Intervento sulla strada
e sugli edifici privati.
238
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
25. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature.
Trasformare le aree a parcheggio
Le aree a parcheggio che troviamo all’interno delle nostre aree urbane e nelle zone limitrofe a
servizio di importanti centri del terziario rappresentano veri e propri nuclei di formazione dell’effetto isola di calore, portando con sé anche altre problematiche legate al cambiamento climatico.
Questi spazi vengono progettati seguendo degli standard urbanistici che richiedono un numero
prestabilito di posti auto, a volte dettando anche dei parametri sul numero minimo di alberature
e sulla permeabilità delle pavimentazioni. Un approccio che ha condotto ad avere grandi superfici
asfaltate abbandonate dal punto di vista della gestione del verde.
Anche in questo caso, gli esempi di intervento proposti si orientano in primo luogo a una modifica dell’albedo delle pavimentazioni, realizzabile nel breve periodo, proponendo successivamente
degli interventi strutturali con l’inserimento di aiuole e alberature.
Per la gestione del verde si consiglia un approccio in grado di andare oltre la dettatura di parametri urbanistici, ma che si orienti a indicare standard di prestazione ai gestori degli spazi (superficie ombreggiata, quantità d’acqua piovana trattenuta ecc.).
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
239
26. Esempio di intervento. Intervento di modifica
dell’albedo.
27. Esempio di intervento. Inserimento di alberi
e aiuole.
Proposte per le coperture
All’interno delle nostre aree residenziali per mitigare l’effetto isola di calore è possibile intervenire anche sulle coperture. Le coperture rappresentano una delle componenti edili dell’edificio che
periodicamente necessitano di manutenzione o sostituzione; per queste ragioni, le amministrazioni
pubbliche, negli ambiti urbani più colpiti dall’isola di calore, potrebbero orientarne la trasformazione.
Gli interventi possono avere ovviamente uno sviluppo diverso, poiché dipendono dal tipo di copertura. Per i tetti piani e anche per quelli inclinati, come già avviene con alcuni protocolli di sostenibilità1, è possibile dettare, tramite normativa, dei parametri minimi di riflettanza. Si tratta di un’operazione facilmente eseguibile, considerato che il mercato già offre diversi materiali ad alta riflessività.
L’utilizzo dei tetti verdi non ha purtroppo trovato diffusione nel nostro paese; alcune ditte
hanno anche sviluppato dei prodotti di un certo interesse, ma la diffusione è stata minima. La motivazione principale viene rivolta all’avversità delle condizioni climatiche, ma è chiaro che non può
essere la motivazione principale, considerato che alcune città del Nord America in condizioni climatiche simili stanno avendo un forte sviluppo.
Si immagina quindi che l’insuccesso sia dovuto a una mancata formazione della cittadinanza e
a una scarsa incentivazione all’interno dei regolamenti edilizi comunali.
Anche i tetti verdi, come altre tecnologie innovative, potranno trovare sviluppo se le nostre
amministrazioni pubbliche saranno in grado di comprendere e valutare i numerosi servizi che possono offrire alla loro comunità, trovando di conseguenza i giusti percorsi legislativi e formativi per
poterli implementare.
1
240
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
7.2 Credit. LEED Protocol NC 2009 Italy.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
241
28. Stato di fatto.
29. Esempio di intervento 1. Aumento della riflettanza
per i tetti piani. Negli edifici esistenti,
la sostituzione periodica delle coperture con materiali
ad alta riflettanza può portare a risultati importanti
di miglioramento del microclima urbano
e delle prestazioni energetiche degli edifici stessi.
242
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
30. Esempio di intervento 3. L’inserimento di tetti verdi
su edifici esistenti, dove il sistema strutturale
lo permetta, può dare ottimi risultati di riduzione
del calore urbano oltre a contribuire a limitare
il volume delle acque di pioggia che giungono a terra.
32. Esempio di intervento 4. L’inserimento
di tetti verdi sugli edifici che attualmente
hanno copertura inclinata può avvenire attraverso
modifiche volumetriche, incentivate da regolamenti
edilizi e sgravi economici.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
243
1.4. MATERIALI INTELLIGENTI COOL COME CONTROMISURA ALL’ISOLA DI CALORE URBANA
Alberto Muscio
Il controllo degli apporti solari nella normativa energetica italiana
Tetti e pavimentazioni stradali costituiscono oltre il 60% delle superfici urbane in molte città.
In un pomeriggio estivo assolato queste superfici, tipicamente asciutte e scure, si surriscaldano al sole
e, a loro volta, surriscaldano l’aria soprastante. Nelle vicine zone rurali l’aria tende invece a essere più
fresca perché le superfici sono leggermente più riflettenti (cioè assorbono meno radiazione solare),
ma soprattutto sono più umide (quindi dissipano gli apporti solari facendo evaporare acqua). Ulteriori contributi al surriscaldamento dell’aria nelle città derivano dal calore antropogenico rilasciato
dagli impianti di condizionamento, dalle attività produttive, dai mezzi di trasporto. È questa in estrema sintesi la dinamica di formazione dell’isola di calore urbana, il surriscaldamento delle superfici
edificate delle città e dell’atmosfera urbana rispetto alle zone non urbanizzate e rurali circostanti.
Nella formazione dell’isola di calore urbana, il comportamento termico estivo degli edifici e
delle superfici a terra, specialmente nelle loro interazioni con il ciclo solare, è evidentemente fondamentale, e ci si può quindi attendere che sia stato oggetto di normazione specifica in ambito
urbanistico ed edilizio. Invece, come si vedrà nel seguito, le prescizioni normative circa gli edifici
sono blande e poco incisive e, comunque, riguardano principalmente le problematiche della climatizzazione interna e dei fabbisogni energetici a essa correlati, mentre nulla si può reperire nella
normativa comunitaria e nazionale per le superfici a terra.
In generale, in tema di efficienza energetica degli edifici e degli impianti, la promulgazione
dell’ormai celebre Decreto Legislativo n. 192 del 2005, attuazione della Direttiva Europea 2002/91/CE
sull’effficienza energetica degli edifici (detta anche EPBD – Energy Performance of Buildings Directive), ha avviato in Italia una vera e propria rivoluzione, che a cascata ha comportato lo stravolgimento delle metodologie progettuali e costruttive. Il processo non è stato certamente né rapido
né indolore, essendosi attuato attraverso numerose modificazioni, integrazioni e talora integrali
riscritture del suddetto Decreto Legislativo. I tecnici, le imprese, gli artigiani e i fornitori di materiali hanno spesso arrancato nell’adeguarsi ai nuovi requisiti, dovendo quasi da un giorno all’altro
abbandonare pratiche edilizie con radicamento pressoché secolare per familiarizzare in tempi forse
troppo brevi con i moderni approcci di isolamento termico di parete, eliminazione dei ponti termici, limitazione del rischio di condensa superficiale e interstiziale, contenimento delle dispersioni
invernali complessive. Si è così innescato un transitorio in cui le elevatissime prestazioni richieste
dal legislatore sono risultate tali solo sulla carta, e molti edifici certificati in classe energetica A si
sono in realtà dimostrati affetti da drammatici vizi progettuali e costruttivi, sovente al punto da
non risultare conformi a requisiti minimi anche blandi, né confortevoli o salubri per gli occupanti.
Per fortuna in questi ultimi tempi è stata finalmente maturata a tutti i livelli la consapevolezza che
il cosidetto cappotto termico deve essere integrale, adeguatamente spesso e privo di ponti termici
che lo interrompano, e si è inoltre presa coscienza dei rischi che la sigillatura assicurata dai moderni
serramenti e dalla permeabilità nulla delle pareti cappottate pone in termini di insufficiente rinnovo
dell’aria. L’edilizia nazionale sembrerebbe avere così raggiunto un’adeguata maturazione in tema di
efficienza energetica del riscaldamento, tale da poter assorbire senza troppi patemi anche gli ulteriori impulsi prescrittivi e di mercato susseguiti ai recenti eventi sismici.
245
Nella realtà dei fatti, un importante vulnus, quello dell’inefficienza energetica e del discomfort
nella stagione estiva con le sue ricadute sull’isola di calore urbana, è rimasto aperto e ha ricevuto
minime attenzioni – anzi, è stato paradossalmente aggravato dal perfezionamento delle pratiche
costruttive. Per meglio spiegare questo concetto possiamo ricorrere – e chi legge ci scusi della banalità – a una semplice metafora: agli edifici viene oggi applicato un cappotto invernale praticamente perfetto, che però, a differenza degli indumenti personali, non può essere svestito durante
la stagione estiva. Ecco che allora i seppur ridotti apporti termici legati alle attività svolte negli
ambienti e all’insolazione degli elementi vetrati non possono più essere smaltiti attraverso pareti
non cappottate a elevata trasmittanza termica, e vanno quindi a intensificare e, soprattutto, a estendere temporalmente i periodi di surriscaldamento interno, tanto che in gran parte degli edifici di
recente costruzione il fabbisogno energetico per condizionamento supera quello per riscaldamento.
Tutto ciò è conseguenza del fatto che il legislatore ha finora concentrato la propria attenzione sul
fabbisogno energetico per riscaldamento e su quello, meno importante ma non trascurabile, per
produzione di acqua calda sanitaria.
A oggi la classificazione energetica degli edifici non tiene in alcun conto il fabbisogno energetico per raffrescamento, complice il fatto che la norma tecnica armonizzata nazionale, la UNI/TS
11300-3 (parte terza), focalizzata sul calcolo delle prestazioni degli impianti di condizionamento a
compressione di vapori e ad assorbimento, è risultata carente in molti aspetti e non potrà perciò
essere applicata fintantoché non ne sarà stata svolta una completa revisione. Nel frattempo i requisiti da rispettare ai fini del contenimento dei surriscaldamenti sono pochi e relativamente blandi,
tutti focalizzati sull’involucro e sul contenimento degli apporti solari, ovvero sulla limitazione dei
loro effetti interni. Pressoché nulla è altresì specificato sull’impatto che gli edifici possono avere sul
surriscaldamento delle aree urbane, cioè sul problema dell’isola di calore, tanto quello in via diretta,
attraverso l’assorbimento della radiazione solare, quanto quello per via indiretta, per il calore scaricato in aria dalle unità esterne degli impianti di condizionamento.
Entrando nel dettaglio, il DPR n. 59 del 2009, che ha introdotto una completa riscrittura del
D.Lgs. n. 192/2005, all’art. 4, comma 3 ha stabilito in tema di fabbisogno energetico complessivo
per raffrescamento che «Nel caso di edifici di nuova costruzione e nei casi di ristrutturazione di
edifici esistenti [...] si procede in sede progettuale alla determinazione della prestazione energetica
per il raffrescamento estivo dell’involucro edilizio (EPe,invol)». Il parametro EPe,invol tiene conto solo
dell’energia da estrarre dall’involucro edilizio per mantenere gli ambienti interni a una temperatura
prestabilita, ad es. 26 °C per abitazioni e uffici, ed è definito come il «rapporto tra il fabbisogno annuo di energia termica per il raffrescamento dell’edificio, calcolata tenendo conto della temperatura
di progetto estiva secondo la norma UNI/TS 11300-1, e la superficie utile [calpestabile], per gli edifici
residenziali, o il volume [lordo], per gli edifici con altre destinazioni d’uso». EPe,invol è quindi calcolato a prescindere dalla prestazione degli impianti di condizionamento eventuali, e si deve verificare
in sede progettuale che esso non sia superiore:
a) per gli edifici residenziali di cui alla classe E1 [abitazioni, n.d.r.], ai seguenti valori:
1. 40 kWh/mq all’anno nelle zone climatiche A e B [quelle a clima più mite, n.d.r.];
2. 30 kWh/mq all’anno nelle zone climatiche C, D, E, e F [quelle a clima progressivamente più
rigido, n.d.r.];
b) per tutti gli altri edifici ai seguenti valori:
1. 14 kWh/m3 all’anno nelle zone climatiche A e B;
2. 10 kWh/m3 all’anno nelle zone climatiche C, D, E, e F.
Poiché gli apporti interni specifici sono legati alle attività svolte negli ambienti abitati e quindi sono convenzionalmente prefissati e costanti, gli interventi possibili per il soddisfacimento del
requisito su EPe,invol sono limitati al controllo degli apporti solari. Nella pratica si tratta di limiti
246
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
assai blandi, specialmente ove si tengano in considerazione soltanto gli apporti solari attraverso gli
elementi vetrati e non quelli attraverso gli elementi opachi (coperture, pareti verticali), più ridotti
in termini specifici ma riguardanti una superficie molto ampia e, nei fatti, non trascurabili. Negli
edifici ordinari non è spesso necessario prendere alcuna contromisura per rispettare il valore limite
di EPe,invol .
Al successivo comma 18 dell’art. 4, il D.P.R. n. 59/2009 introduce livelli di prestazione minima
per gli elementi di parete, specificando che «Per tutte le categorie di edifici, [...] ad eccezione, esclusivamente per le disposizioni di cui alla lettera b), delle categorie E.5, E.6, E.7 ed E.8 [rispettivamente
edifici commerciali, scuole, edifici per attività sportive e per attività industriali/artigianali, n.d.r.], il
progettista, al fine di limitare i fabbisogni energetici per la climatizzazione estiva e di contenere la
temperatura interna degli ambienti, nel caso di edifici di nuova costruzione e nel caso di ristrutturazioni [...]»:
a) valuta puntualmente e documenta l’efficacia dei sistemi schermanti delle superfici vetrate,
esterni o interni, tali da ridurre l’apporto di calore per irraggiamento solare;
b) esegue, in tutte le zone climatiche ad esclusione della F, per le località nelle quali il valore medio
mensile dell’irradianza sul piano orizzontale, nel mese di massima insolazione estiva, Im,s, sia
maggiore o uguale a 290 W/mq:
1. relativamente a tutte le pareti verticali opache con l’eccezione di quelle comprese nel quadrante nord-ovest / nord / nord-est, almeno una delle seguenti verifiche:
1.1 che il valore della massa superficiale Ms, di cui al comma 22 dell’allegato A, sia superiore
a 230 kg/mq;
1.2 che il valore del modulo della trasmittanza termica periodica (YIE), di cui al comma 4,
dell’articolo 2, sia inferiore a 0,12 W/m2K;
2. relativamente a tutte le pareti opache orizzontali ed inclinate che il valore del modulo della trasmittanza termica periodica YIE, di cui al comma 4, dell’articolo 2, sia inferiore a 0,20 W/m2K.
La prescrizione inerente agli elementi vetrati di cui al punto a), chiaramente generica e priva
di requisiti prestazionali, è meglio specificata al successivo comma 19 (e, con contenuti analoghi, al
comma 20), stabilendo che «Per tutte le categorie di edifici, [...] ad eccezione delle categorie E.6 ed
E.8 [rispettivamente scuole ed edifici per attività industriali/artigianali, n.d.r.], al fine di limitare i
fabbisogni energetici per la climatizzazione estiva e di contenere la temperatura interna degli ambienti, nel caso di edifici di nuova costruzione e nel caso di ristrutturazioni di edifici esistenti [...],
è resa obbligatoria la presenza di sistemi schermanti esterni». Non è specificato cosa si intenda per
sistemi schermanti esterni, anche se è facile pensare a frangisole, tendaggi, veneziane esterne ecc.,
né viene indicata una prestazione minima. Una scappatoia, sfruttabile nei casi in cui l’installazione
in facciata di sistemi schermanti esterni sia particolarmente inestetica o onerosa, è che «Qualora se
ne dimostri la non convenienza in termini tecnico-economici, detti sistemi possono essere omessi
in presenza di superfici vetrate con fattore solare (UNI EN 410) minore o uguale a 0,5».
Il fattore solare di una vetrata, solitamente indicato con la lettera g, è il rapporto tra l’energia
termica globalmente trasmessa dalla vetrata e quella apportata su di essa dall’irradiazione solare.
Vetrate a lastra singola non trattata presentano un fattore solare attorno a 0,85; moderne vetrate a
lastra doppia con trattamento bassoemissivo hanno fattore solare attorno a 0,67. Valori conformi
al limite normativo o anche molto più bassi, fino a 0,35 o meno, possono essere raggiunti mediante
opportuni trattamenti in fabbrica delle lastre, volti a ottenere vetri cosiddetti “selettivi”, in quanto in
grado di trasmettere fino al 65% e oltre della radiazione illuminante, quella che ricade nella banda
del visibile (con lunghezza d’onda tra 0,4 e 0,7 mm, vedi fig. 1), ma di filtrare la maggior parte della
radiazione infrarossa (tra 0,7 e 2,5 mm, oltre il 50% del totale) e di quella ultravioletta (tra 0,3 e 0,4
mm). Risultati analoghi e persino migliori possono essere ottenuti con pellicole adesive (vedi fig. 2)
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
247
Isol,λ / Isol,λmax
(irradianza spettrale normalizzata)
1.00
UV 4.7% (<400 nm)
0.80
VIS 42.8 (400-700 nm)
NR 52.5% (>700 nm)
0.60
CIE 1964 10° std. observer (y-curve)
0.40
0.20
0.00
300 500 700 9001100130015001700
190021002300
2500
λ (lunghezza d’onda) [nm]
1. Spettro standard dell’irradiazione solare normalizzato.
2. Vetrata con pellicola antisolare selettiva (Fonte: Serisolar).
248
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
o anche vernici trasparenti applicate esternamente alle lastre, in alcuni casi ottenendo solo impercettibili viraggi della colorazione esterna della vetrata.
È opportuno sottolineare come gli apporti solari attraverso le superfici vetrate, oltre che essere
pregiudizievoli del comfort interno estivo negli edifici, forniscono un contributo significativo anche
all’isola di calore urbana. Infatti, il calore captato viene rilasciato integralmente nell’aria esterna per
ventilazione e/o per condizionamento, nel secondo caso incrementato dall’energia assorbita e convertita in calore dai motori elettrici degli impianti di condizionamento.
In relazione alle pareti opache, la condizione circa l’irradianza (solare, media giornaliera) sul
piano orizzontale nel mese di massima insolazione estiva di cui al punto b) del sopraccitato comma
18 dell’art. 4 è valida per tutto il Centro-sud Italia e per buona parte del Centro-nord, con l’esclusione delle località montane. Al verificarsi della condizione, per le pareti verticali viene specificato un
limite minimo sulla massa superficiale Ms, definita come il rapporto tra massa della parete e superficie frontale, o in alternativa un limite massimo alla trasmittanza termica periodica, un parametro
calcolato attraverso un procedimento matematico in campo complesso con cui si vuole rendere la
capacità della parete di smorzare in ampiezza l’onda termica indotta dal ciclo dell’irradiazione solare
esterna e trasmessa attraverso la parete stessa. Sia il primo che il secondo requisito sono automaticamente soddisfatti in presenza di comuni pareti a due teste intonacate, anche in mattoni forati. Per le
pareti orizzontali si prescrive invece un limite massimo solo per la trasmittanza termica periodica, e
tale limite è più blando di quello per le pareti opache (0,20 W/mq/K anziché 0,12<W/mq/K), inspiegabilmente, in quanto l’intensità dell’irradiazione sulle superfici orizzontali è in estate di gran lunga
superiore a quella sulle superfici verticali.
In coda al medesimo comma 18 dell’art. 4 viene altresì stabilito che «Gli effetti positivi che si
ottengono con il rispetto dei valori di massa superficiale o trasmittanza termica periodica delle pareti opache previsti alla lettera b), possono essere raggiunti, in alternativa, con l’utilizzo di tecniche
e materiali, anche innovativi, ovvero coperture a verde, che permettano di contenere le oscillazioni
della temperatura degli ambienti in funzione dell’andamento dell’irraggiamento solare». L’alternativa
è consentita a patto che sia «prodotta una adeguata documentazione e certificazione delle tecnologie
e dei materiali che ne attesti l’equivalenza con le predette disposizioni», un requisito in realtà molto
gravoso perché l’equivalenza può essere in generale dimostrata solo mediante metodi di simulazione
dinamica che sono fuori portata per la maggior parte dei progettisti. La genericità della concessione
all’utilizzo di tecniche e materiali, anche innovativi, lascia comunque ampio spazio di manovra al
progettista, aprendo la strada a soluzioni anche notevomente avanzate come quelle che prevedono
l’integrazione nella parete di materiali a cambiamento di fase (PCM – Phase change Materials), in
grado di assorbire e rilasciare il calore sotto forma di calore latente, oppure l’utilizzo di tetti ventilati in cui, tra il manto di tegole delle falde e il piano di appoggio sottostante, sono ricavati canali
ascendenti ove l’aria, aspirata attraverso opportune aperture in gronda, risale per effetto camino e
viene rilasciata in atmosfera tramite altre aperture in colmo, portandosi così via durante la risalita
parte del calore apportato dal sole alle tegole. L’efficacia dei tetti ventilati, seppur innegabile, è generalmente limitata e comunque di difficilissima stima. È altresì evidente come le coperture a verde
presentino oneri e problematiche di installazione e di gestione notevoli e che il loro utilizzo vada più
probabilmente motivato con ragioni di ordine architettonico-paesaggistico ancorché energetiche.
Tirando le somme, la normativa energetica italiana (anche a livello regionale) sta portando
a ottimi risultati in termini di contenimento dei consumi in regime invernale e per produzione di
acqua calda sanitaria. Tuttavia l’assenza di analoghi sforzi mirati al contenimento dei consumi in regime estivo sta creando situazioni paradossali: un cittadino virtuoso, disposto a investire denaro in
interventi non banali di efficientamento energetico della propria abitazione (isolamento a cappotto,
sostituzione infissi, ammodernamento impianti ecc.), potrebbe trovarsi nella spiacevole situazione
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
249
di spendere d’estate, per il raffrescamento, ciò che ha risparmiato d’inverno con le soluzioni adottate. Inoltre – e soprattutto – poco o nulla viene previsto per limitare il surriscaldamento complessivo
delle aree urbane, cosa che espone drammaticamente le città ai rischi posti dalle sempre più frequenti ondate di calore.
In realtà, e contrariamente a ciò che molti pensano, gran parte delle lacune normative precedentemente evidenziate non richiede soluzioni di particolare complessità matematica o tecnologica,
ma solo un’adeguata gestione del fenomeno dell’irraggiamento solare sulle superfici urbane, nell’ottica di limitarne l’assorbimento e di smaltire in qualche modo il calore comunque assorbito.
I materiali cool: esperienze emiliane e riferimenti normativi regionali
Tra «tecniche e materiali, anche innovativi» previsti dal D.P.R. n. 59/2009 «al fine di limitare i
fabbisogni energetici per la climatizzazione estiva e di contenere la temperatura interna degli ambienti» possono essere con buona ragione iscritti i cosiddetti cool roofs. Sotto questa denominazione,
raramente tradotta dall’inglese in quanto ormai consolidata nella nomenclatura tecnica, si comprende
un’ampia varietà di prodotti e soluzioni di finitura superficiale (vernici, guaine a spruzzo e a stendere,
lamiere verniciate e pannelli preisolati a sandwich, piastrelle ceramiche e pietre naturali ecc.) che permettono di prevenire il surriscaldamento sia di singoli edifici che di intere aree urbane in virtù di:
– elevata capacità di riflettere la radiazione solare incidente, cioè elevata riflettanza solare, una
proprietà superficiale che esprime il rapporto tra frazione riflessa della radiazione solare e radiazione totale incidente;
– elevata capacità di restituire all’atmosfera, mediante irraggiamento nell’infrarosso, la frazione
(comunque) assorbita della radiazione solare incidente, cioè elevata emissività termica, un’altra
proprietà superficiale che esprime il rapporto tra radiazione termica emessa nell’infrarosso e
massima emissione teorica alla medesima temperatura;
– stabilità chimico-fisica delle proprietà superficiali, in particolare della riflettanza solare;
– bassa tendenza allo sporcamento causato dall’inquinamento e, in località a clima umido, dalle
formazioni biologiche.
I cool roofs nascono a fine anni novanta del secolo scorso negli USA, grazie specialmente all’attività dell’Heat Island Group coordinato dal professor Hashem Akbari presso il Lawrence Berkeley
National Laboratory (heatisland.lbl.gov), in risposta al problema dell’isola di calore urbana. In tempi recenti hanno trovato un buon interesse anche in Italia, in virtù delle attività di disseminazione
svolte da vari gruppi di lavoro attivi a livello nazionale e internazionale.
In Emilia-Romagna l’EELab - Energy Efficiency Laboratory (www.eelab.unimore.it) ha iniziato
i suoi studi nel 2005, tra l’altro realizzando un cool roof sperimentale (fig. 3) che è probabilmente il
primo cool roof italiano concepito in quanto tale. Proprio sulla scorta degli studi dell’EELab, la regione Emilia-Romagna ha apportato integrazioni specifiche alla delibera dell’Assemblea legislativa
regionale in tema di efficienza energetica degli edifici (D.A.L. n. 156/2008 e successive modificazioni
e integrazioni). In particolare, un recente aggiornamento promulgato mediante delibera della giunta regionale dell’Emilia-Romagna, la D.G.R. n. 1366 del 2011, recita quanto segue: «Gli effetti positivi
che si ottengono con il rispetto dei valori di massa superficiale o di trasmittanza termica periodica
delle pareti opache previsti alla lettera b), possono essere raggiunti, in alternativa, con l’utilizzo di
tecniche e materiali, anche innovativi, ovvero coperture a verde, che permettano di contenere le
oscillazioni della temperatura degli ambienti in funzione dell’andamento dell’irraggiamento solare
Analogamente, possono essere adottate soluzioni idonee a ridurre il carico termico di pareti e coperture (cool roofs), mediante l’utilizzo di materiali (quali intonaci, vernici, guaine, lastricati solari)
con riflettanza solare uguale o superiore a 0,65. In tali casi deve essere prodotta a corredo della
250
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
3. Cool roof sperimentale presso il campus
di Ingegneria a Modena (Fonte: Energy Seal Italia).
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
251
relazione tecnica di cui al successivo punto 25 una adeguata documentazione e certificazione delle
tecnologie e dei materiali che ne attesti l’equivalenza con le predette disposizioni».
I materiali cool come contromisura all’isola di calore
I cool roofs sono oggi considerati una soluzione cosiddetta win-win in quanto presentano tanto
vantaggi diretti per l’utente finale (minore fabbisogno energetico per raffrescamento e, di conseguenza,
minori costi per condizionamento dell’aria, maggiore comfort, minori stress strutturali e fatica delle
coperture, minore degradazione chimico-fisica dei materiali di rivestimento) quanto vantaggi indiretti
per la comunità (minore surriscaldamento delle aree urbane e rilascio di inquinanti dovuto a degradazione chimico-fisica, riduzione dello smog fotochimico, riduzione dei picchi di carico elettrico, minori
consumi elettrici e correlato rilascio di CO2). In questa sede preme in particolare sottolineare il favorevole contributo che può derivare, in termini di contenimento del surriscaldamento delle aree urbane
e, quindi, dell’isola di calore, dai materiali cool in genere, non solo cool roofs ma anche cool pavements
(pavimentazioni per parcheggi, strade a ridotta frequentazione e velocità, piazzali e aree cortilive lastricate, ove contraddistinti da riflettanza solare più elevata rispetto ai materiali ordinari).
Per ottenere materiali e soluzioni cool ad altissime prestazioni è necessario raggiungere un’elevata capacità di riflessione della radiazione solare su tutto lo spettro, di cui il visibile costituisce
una parte importante ma non maggioritaria. L’elevata capacità di riflessione che si deve pertanto
avere nel visibile corrisponde a una colorazione bianca delle superfici. Il colore non deve tuttavia
trarre in inganno, in quanto il visibile include poco più del 40% dell’energia apportata dalla radiazione solare, che cade altrimenti nell’infrarosso e, in misura poco rilevante, nell’ultravioletto (fig. 1).
L’innovazione tecnologica dei moderni materiali cool rispetto a quella che, in fondo, è una pratica
invalsa da millenni – in area mediterranea, le pareti esterne e anche i tetti delle case presentano
colorazioni bianche o molto chiare – risiede proprio nell’ottimizzazione della capacità di riflessione
su tutto lo spettro della radiazione solare.
A titolo esemplificativo, si riportano in fig. 4 gli spettri di riflessione misurati per alcuni materiali
commerciali qualificati come cool. Tali materiali sono accomunati da una colorazione bianca brillante
molto simile, conseguenza di uno spettro di riflessione nel visibile (lunghezza d’onda l tra 400 e 700 nm,
ovvero tra 0,4 e 0,7 mm) per tutti elevato e uniforme, ma presentano comportamento molto diversificato nell’infrarosso (l > 700 nm). In fig. 5 si riportano altresì gli spettri di riflessione misurati per alcuni
materiali commerciali ordinari, sbiancati o comunque molto chiari, che un osservatore non informato
potrebbe assimilare, in quanto sostanzialmente bianchi, ai materiali cool di cui alla fig. 4.
In generale, il colore delle superfici può essere fuorviante in quanto riguarda solo la radiazione
visibile e non rende misura della capacità di riflessione nell’infrarosso, ove cade oltre metà dell’energia apportata dal sole. Un colore bianco è quindi necessario, ma non sufficiente, all’ottenimento di
una prestazione elevata dei materiali cool commerciali. D’altra parte, vincoli architettonici e paesaggistici possono imporre il colore delle superfici edili nelle città (ad esempio, le coperture a falde
vengono difficilmente ammesse di colore diverso dal classico rosso terracotta nelle sue sfumature),
pertanto sono in avanzato stadio di sviluppo e non lontani dalla commercializzazione i cosiddetti
cool colors, soluzioni che, a fronte di un colore e, quindi, di uno spettro di riflessione assegnato nel
visibile, sono contraddistinte da elevatissima capacità di riflessione nell’infrarosso e, pertanto, da
riflettanza solare inferiore ma vicina a quella di superfici bianche in virtù di appropriate pigmentazioni e stratificazioni del rivestimento superficiale (fig. 6).
Per quanto sopra esposto, l’ottenimento di materiali cool richiede l’ottimizzazione della capacità di riflessione su sutto l’intervallo spettrale interessato dalla radiazione solare. Si può pertanto
dire che i cool roofs siano una riscoperta tecnologica recente, basata su metodologie oggettive di
252
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
piastrella/tegola smaltata
piastrella/tegola non smaltata
guaina bituminosa
guaina ardesiata
metallo verniciato
cemento bianco
graniglia di basalto
scaglio di ardesia
(rivestimento trasparente pigmentato)
(substrato a elevata riflettanza)
4. Spettri di riflessione di materiali cool commerciali.
(superficie solida di base)
5. Spettri di riflessione di materiali ordinari
sbiancati o chiari.
6. Tegola cool con rivestimento selettivo stratificato.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
253
determinazione e ottimizzazione delle prestazioni, di soluzioni in uso già da millenni: come già
accennato, gli edifici nella parte meridionale del bacino del Mediterraneo presentano colorazione
esterna bianca fin dall’antichità. Per l’attestazione e la confrontabilità delle prestazioni dei materiali
sono oggi richieste metodologie di misura e certificazione delle proprietà superficiali unificate. Negli USA un programma di certificazione delle proprietà superficiali dei cool roofs, la riflettanza solare
e l’emissività termica citate in precedenza, è stato promosso dal CRRC – Cool Roof Rating Council
(www.coolroofs.org), ente senza fini di lucro nato nel 1998 e volto a determinare in modo obiettivo
le prestazioni a nuovo e dopo invecchiamento almeno triennale in condizioni standard. Limiti minimi alle suddette proprietà superficiali, in particolare alla riflettanza solare, sono altresì imposti da
svariate amministrazioni nordamericane.
In Europa l’ECRC – European Cool Roof Council (www.coolroofcouncil.eu) sta lanciando un
programma di certificazione ricalcato su quello del CRRC. Tale programma prevede al momento la caratterizzazione dei prodotti a nuovo, mentre per quelli invecchiati sarà necessario un periodo di condizionamento almeno triennale in siti ancora da identificare, europei in quanto le condizioni ambientali
del nostro continente sono diverse da quelle degli USA. Si pone così il dubbio di come utilizzare le
proprietà a nuovo quando siano le uniche disponibili, per prevedere le prestazioni a medio-lungo termine di un edificio (si noti che l’attestato di prestazione energetica di un edificio si assume valido per
dieci anni). In proposito, la norma UNI/TS 11300-1, al paragrafo 14.2, stabilisce semplicisticamente che
«Nel calcolo del fabbisogno di calore occorre tenere conto anche degli apporti termici dovuti alla radiazione solare incidente sulle chiusure opache. In assenza di dati di progetto attendibili o comunque di
informazioni più precise, il fattore di assorbimento solare di un componente opaco può essere assunto
pari a 0,3 per colore chiaro della superficie esterna, 0,6 per colore medio e 0,9 per colore scuro».
I valori proposti dalla UNI/TS 11300-1 per il fattore di assorbimento solare, o assorbanza solare
(complementare a 1 della riflettanza solare in caso di superfici opache) – si noti, utilizzabili solo in
assenza di dati attendibili – sono, ancorché semplicistici, cautelativi nel calcolo invernale, in cui
è meglio sottostimare gli apporti solari, ma non lo sono affatto nel calcolo estivo, in cui è vero il
contrario. Né si può pensare di utilizzare i valori misurati a nuovo, seppur certificati dall’ECRC.
In attesa di disporre, sul medio-lungo periodo, di dati certificati dopo invecchiamento naturale
poliennale, oppure dopo invecchiamento accelerato in laboratorio (su entrambi i fronti stanno lavorando alcuni gruppi di lavoro da una parte e dall’altra dell’Atlantico), un’ipotesi plausibile può essere
quella di assumere valida dopo invecchiamento una formula come quella proposta, con fondamenta
scientifiche ragionevolmente solide, dal Dept. of Energy degli USA e dal Title 24 della California
(vedi in proposito California Energy Commission, Building Energy Efficiency Standards for Residential and Non-residential Buildings, ver. 2013: www.energy.ca.gov/2008publications/CEC-400-2008001/CEC-400-2008-001-CMF.PDFS):
rsol,aged = 0,20 + b × (rsol – 0,20)
ove b vale 0,65 per rivestimenti superficiali applicati in opera, 0,70 per rivestimenti applicati in
fabbrica.
In conclusione, disponendo di un approccio affidabile per la stima della riflettanza solare, sarebbe utile che questa venisse esplicitamente limitata a livello normativo, introducendo così una
terza alternativa alla massa superficiale e alla trasmittanza termica periodica. Limiti ragionevoli,
utilizzati da molte amministrazioni pubbliche degli USA, prevedono valori della riflettanza solare >0,65+0,75 a nuovo, e >0,50 dopo invecchiamento triennale, con valori dell’emissività termica
sempre >0,80. Con riferimento a quanto discusso nel primo paragrafo di questa appendice circa
la situazione normativa in Italia, una riga da introdurre nell’art. 4, comma 18 del D.P.R. n. 59/2009,
lettera a), punto 1), potrebbe in definitiva avere la seguente forma «1.3 che il valore della riflettanza
254
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
solare sia non inferiore a 0,65 (ovvero 0,75) a nuovo, e a 0,50 dopo invecchiamento, e che l’emissività
termica sia sempre >0,80».
Va altresì rilevato che, a prescindere dalle considerazioni inerenti al raffrescamento degli edifici e alla limitazione dell’effetto isola di calore urbana, l’adozione di un’elevata riflettanza solare
delle superfici opache può essere raccomandata presso gli operatori del settore edile anche ai fini
della limitazione del surriscaldamento delle superfici, a cui conseguono fenomeni di decadimento
delle guaine di tenuta all’acqua e, in generale, un più rapido deperimento delle soluzioni di finitura.
Il problema è oggi esacerbato dalle soluzioni di cappottatura esterna, che aumentano significativamente le temperature delle superfici più esterne quando queste sono irradiate dal sole.
La diffusione dei materiali intelligenti cool è in crescita nell’area mediterranea e sub-mediterranea, ma è ancora relativamente scarsa in molte regioni dove il clima sarebbe favorevole all’utilizzo.
Tuttavia i materiali cool spesso si basano su tecnologie consolidate e capitalizzano i risultati della ricerca e sviluppo nella forma di prodotti commerciali qualificati: materiali bianchi per coperture a bassa
pendenza (cool roofs) sono commercialmente disponibili, come pure materiali di colore chiaro per
pavimentazioni o altre superfici urbane contro terra (cool pavements). Soluzioni cool in commercio
coprono oggi tutte le principali tipologie di finitura delle superfici orizzontali esterne degli edifici.
– Vernici a spruzzo e a stendere, a base d’acqua e non, contraddistinte da:
1. riflettanza solare dipendente dal colore (valore iniziale >0,80 per colore bianco brillante);
2. emissività termica influenzata dal materiale di base (0,50+0,90).
– Guaine bituminose e non per tenuta all’acqua, verniciate o colorate in massa, con:
1. riflettanza solare dipendente dal colore (valore iniziale >0,70+0,80 per colore bianco brillante);
2. emissività termica influenzata dal materiale di base ma generalmente elevata (>0,85+0,90).
– Lastre con granulati sbiancati su base asfaltata tipo “tegola canadese”, con:
1. riflettanza solare dipendente dal colore (valore iniziale >0,40 per colore bianco)
2. emissività termica generalmente elevata (> 0,80+0,90).
– Tetti metallici verniciati (eventualmente preisolati a sandwich in lamiera grecata) o in fibrocemento, con:
1. riflettanza solare dipendente dal colore (valore iniziale >0,70+0,80 per colore bianco brillante);
2. emissività termica influenzata dallo spessore della vernice (>0,70+0,80 per vernici applicate
in fabbrica).
– Piastrelle smaltate e pietre naturali per lastrichi solari, con:
1. riflettanza solare dipendente dal colore (valore iniziale >0,70+0,80 per colore bianco brillante);
2. emissività termica elevata (>0,80+0,90).
A titolo comparativo, si consideri che tegole o mattoni in terracotta rossa hanno riflettanza
<0,20+0,30, emissività circa 0,90. Un tetto con guaina nera presenta riflettanza <0,10, emissitivà
circa 0,90.
In generale, la maggior parte dei materiali cool sono sostitutivi di materiali ordinari dello stesso
tipo e, quindi, solo il (relativamente basso) costo incrementale dovrebbe essere preso in considerazione per valutarne l’efficacia sotto il profilo dei costi. Prodotti colorati (cool colors) per pareti e tetti
a falda, a volte con i colori dell’edilizia tradizionale, sono in fase di sviluppo ma non lontani dalla
commercializzazione. Un prospetto con ambiti applicativi, soluzioni cool disponibili e principali
cautele all’uso è riportato nealla tabella 1. In generale, ove compatibile con i vincoli urbanistici e
architettonici e con la limitazione del riverbero, è preferibile l’utilizzo di soluzioni con colorazione
bianca. In molti ambiti, soluzioni cool color non sono ancora commercializzate, oppure presentano
riflettanza solare solo marginalmente superiore a prodotti standard.
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
255
Tab. 1. Quadro di sintesi dell’utilizzabilità di materiali cool
Ambito applicativo
Ambito applicativo
Soluzioni più diffuse
Principali cautele all’uso
– Guaine bituminose e non
per tenuta all’acqua, bianche
in massa o verniciate bianche
in fabbrica
– guaine bianche a spruzzo
o a stendere
– vernici bianche applicate in situ
piastrelle o lastre in pietra
bianche
– brecciolina bianca o
smaltata bianca
– Eliminare accuratamente
i ristagni e il conseguente
accumulo di particolato
sui rivestimenti
– ponderare l’installazione
in presenza di riverbero su pareti
finestrate nelle adiacenze
– lavare annualmente
i rivestimenti con acqua
– verificare il rischio di condensa
superficiale permanente
in climi molto umidi
(ai fini dello sviluppo
di formazioni biologiche)
– accedere con occhiali
per protezione solare
– Coperture piane orizzontali
esistenti
– Guaine bianche a spruzzo
o a stendere
– vernici bianche applicate in situ
– piastrelle o lastre in pietra
bianche flottanti
(con drenaggio sottostante)
– brecciolina bianca o
smaltata bianca
Come sopra, e inoltre, per guaine
e vernici:
– verificare la compatibilità
del rivestimento con il materiale
di fondo
– pulire e lavare accuratamente
le superfici
prima dell’applicazione
– lastrichi solari
– Piastrelle o lastre in pietra
di colore chiaro
applicate a colla
– piastrelle o lastre in pietra
di colore chiaro flottanti
(con drenaggio sottostante)
– Verificare l’effettiva riflettanza
solare (il colore non è
necessariamente indicativo)
– verificare il rischio
di abbagliamento delle persone
e, eventualmente prescrivere
l’accesso con occhiali e altri
dispositivi per protezione solare
– verificare il rischio di condensa
superficiale permanente
(eventualmente adottando
finiture antisdrucciolo)
– lavare annualmente con acqua
– Coperture piane orizzontali
di nuova costruzione
– coperture piane orizzontali
rinnovate (isolate)
– lastrichi solari non praticabili
(segue)
Soluzioni più diffuse
Principali cautele all’uso
– Tetti a falde con tegole o coppi
– Tegole o coppi bianchi
con rivestimento applicato
in fabbrica
– tegole o coppi colorati
con rivestimento cool color
applicato in fabbrica
– verniciatura bianca in situ
di tegole o coppi
– verniciatura cool color in situ
di tegole o coppi
– Verificare i vincoli urbanistici e
architettonici in termini
di colore
– verificare l’effettiva riflettanza
solare (specie per superfici
non bianche)
in caso di superfici bianche,
– ponderare l’installazione in
presenza di riverbero su pareti
finestrate nelle adiacenze
– Tetti a falde o inclinati senza
tegole o coppi
– Guaine bituminose e non
per tenuta all’acqua, bianche
in massa o verniciate bianche
in fabbrica
– guaine bianche a spruzzo
o a stendere
– vernici bianche applicate in situ
– lastre ondulate in fibrocemento
verniciate bianche
– lastre ondulate, grecate
o stampate in metallo verniciate
bianche
– lastre ondulate, grecate
o stampate in materiale plastico
colorato bianco in massa
o smaltato bianco
– tetti preisolati a sandwich
in lamiera grecata verniciata
bianca
– rivestimenti tipo tegola
canadese con graniglia bianca
o sbiancata su lastra asfaltata
tutte le soluzioni sopracitate, con
finitura colorata cool color
Come sopra, e inoltre:
– Evitare soluzioni a finitura
metallica bassoemissiva (lastre
metalliche non verniciate, vernici
a finitura metallica)
– Tetti a botte
– Guaine bituminose e non
per tenuta all’acqua, bianche
in massa o verniciate bianche in
fabbrica
– guaine bianche a spruzzo
o a stendere
– vernici bianche applicate in situ
– tutte le soluzioni sopracitate,
con finitura colorata cool color
Come sopra, incluso:
– evitare soluzioni a finitura
metallica bassoemissiva
(lastre metalliche non verniciate,
vernici a finitura metallica)
(segue)
256
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
257
Ambito applicativo
– Pareti verticali opache nuove
– pareti verticali opache
rinnovate
Soluzioni più diffuse
Principali cautele all’uso
Ambito applicativo
Soluzioni più diffuse
Principali cautele all’uso
Rivestimenti bianchi, chiari o
cool color delle seguenti tipologie
– vernici applicate su intonaco,
cemento o mattoni
– intonaci colorati in massa
– piastrelle o lastre in pietra
applicate a colla
– lastre e pannelli metallici
verniciati
– pareti ventilate con
rivestimento in lastra metallica
verniciata o ceramica
– Verificare i vincoli urbanistici
e architettonici in termini
di colore
– verificare l’effettiva riflettanza
solare (specie per superfici
non bianche)
– evitare soluzioni a finitura
metallica bassoemissiva
(lastre metalliche non verniciate,
vernici a finitura metallica)
– in caso di superfici bianche
o molto chiare, ponderare
l’installazione in presenza
di riverbero sulle persone,
su pareti finestrate
nelle adiacenze, oppure
verso i veicoli circolanti
– ponderare l’installazione
in vicoli, strade o piazze strette,
cavedi (in quanto
gli effetti positivi sono
vanificati dalle riflessioni mutue
delle superfici), verificando
l’alternativa di pareti verdi
o l’integrazione con alberature
a schermo
Superfici a terra a uso pubblico
e privato:
– piazze
– strade a ridotta frequentazione
di veicoli
– parcheggi
– aree cortilive
– Lastre in pietra naturale
o rigenerata, in aggregati
cementati, di colore chiaro
– piastrelle autobloccanti
in pietra naturale, pietra
rigenerata o materiali ceramici
di colore chiaro
– asfalti con legante pigmentato
chiaro e/o con aggregati
di colore chiaro
– cementi pigmentati chiari
e/o con aggregati di colore chiaro
– vernici di colore chiaro
applicate su asfalti, cementi
e altri lastricati
– brecciolina bianca
o di colore chiaro
– Evitare in generale colorazioni
troppo chiare, onde limitare
il rischio di abbagliamento
dei conducenti di veicoli
e dei passanti
– evitare l’installazione su arterie
stradali a elevato scorrimento
o frequentazione di veicoli
– verificare l’effettiva riflettanza
solare (il colore non è
necessariamente indicativo)
e la sua tenuta nel tempo
– in caso di superfici bianche
o molto chiare, ponderare
l’installazione in presenza
di riverbero su pareti finestrate
nelle adiacenze
– ponderare l’installazione
in vicoli, strade o piazze strette,
cavedi (in quanto gli effetti
positivi sono vanificati dalle
riflessioni mutue delle superfici)
– in generale, valutare
l’alternativa di superfici a terra
verdi, anche ai fini del drenaggio
delle acque piovane, oppure
l’integrazione di alberature
a schermo
(segue)
Proprio perché cool roof e cool pavements sono ancora scarsamente utilizzati in Europa, è stato
avviato nel 2013 il progetto MAIN – Materiaux Intelligents (www.med-main.eu), cofinanziato dal
Programma MED dell’Unione Europea e in buona sostanza complementare al Progetto UHI. In particolare, il Progetto MAIN è finalizzato a promuovere i materiali “intelligenti” tipo cool roofs e cool
pavements intervenendo su tutta la “filiera” del loro utilizzo, seguendo alcune linee di indirizzo:
– i concetti di base vanno diffusi tra i diversi operatori professionali del settore edile: tecnici,
costruttori, artigiani, fornitori di materiali, funzionari pubblici;
– specifica formazione di alto livello deve essere fornita ai tecnici progettisti, in quanto questi
sono il collegamento tra utenti finali da una parte, costruttori e fornitori di materiali dall’altra;
– informazioni e supporto devono essere forniti ai rappresentanti elettivi e ai funzionari pubblici, al fine di contribuire alla valutazione dell’impatto socio-economico dei materiali cool e
all’inserimento di indicazioni specifiche nella normativa edilizia;
– un criterio unico di certificazione delle proprietà dei materiali cool deve essere applicato a
livello europeo, al fine di verificare obiettivamente le prestazioni e consentire una concorrenza
leale dei produttori di materiali.
258
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
259
Per conseguire gli obiettivi prefissati, il progetto MAIN propone un marchio di qualità, che può
essere attribuito:
– agli operatori professionali del settore edile qualificatisi attraverso un programma specifico;
– ai materiali, previo raggiungimento di prestazioni minime certificate secondo i dettami dell’European Cool Roof Council;
– a proposte commerciali, ove queste siano verificate da un operatore professionale qualificato e
prevedano l’utilizzo di un materiale parimenti qualificato.
Lo studio documentato in questa appendice è stato realizzato nell’ambito del progetto MAIN.
7. Ambito di attuazione del progetto MAIN
(www.med-main.eu).
260
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI
261
focus 3
L’uso del verde in ambiente urbano
Martina Petralli, Giada Brandani, Luciano Massetti, Simone Orlandini
In un contesto di cambiamento climatico e di riscaldamento globale, le città svolgono un ruolo cardine: se da un lato
risultano vulnerabili alle conseguenze di questi fenomeni, dall’altro contribuiscono a intensificarli. Inoltre, come conseguenza del continuo aumento della popolazione e della popolazione residente in ambiente urbano, tenderà a aumentare anche l’estensione della superficie urbanizzata con le relative problematiche legate all’uso del suolo e alla gestione
dell’ampliamento delle città esistenti. Il forte contributo delle città al riscaldamento, sia a livello locale che globale, è
riconosciuto da molti studi internazionali (Dirmeyer et al., 2010): la concentrazione della popolazione e degli edifici
in una ristretta porzione di territorio ne altera le caratteristiche al punto da creare un clima locale significativamente
diverso da quello delle aree rurali circostanti (Oke, 1978). Le alterazioni prodotte dalla presenza delle città sul clima
derivano quindi in gran parte dalla struttura fisica delle città e dalle emissioni antropiche prodotte al loro interno. Sono
soprattutto gli eventi estremi, come le alluvioni o le ondate di calore, che possono avere le conseguenze più rilevanti sia
sull’ambiente urbano, sia sulla popolazione residente in città (Willems et al., 2012).
In questo contesto si evidenzia il ruolo fondamentale del verde in ambiente urbano. Di seguito si riportano, per punti, i
principali effetti del verde in ambiente urbano.
Il verde urbano e gli eventi estremi di precipitazione.
In ambiente urbano, a causa dell’elevata impermeabilizzazione delle superfici presenti e della fitta rete di fognature, i
tempi di corrivazione (tempo che occorre alla generica goccia di pioggia caduta nel punto idraulicamente più lontano a
raggiungere la sezione di chiusura del bacino considerato) sono molto ridotti e la quantità di acqua che viene immessa
nella rete fognaria e che quindi arriva al fiume più vicino è molto elevata rispetto al totale della pioggia precipitata
(coefficiente di deflusso – rapporto fra il volume d’acqua defluito e le precipitazioni). Questo fa sì che in concomitanza di
eventi di pioggia intensa, sempre più frequenti negli ultimi anni anche a causa dei cambiamenti climatici in atto, nei fiumi e nelle reti fognarie si riversino in poco tempo quantità di acqua tali da provocare esondazioni dei fiumi e sversamenti
delle reti fognarie. La presenza di un’adeguata vegetazione in ambiente urbano, se da una parte potrebbe contribuire a
intasare la rete fognaria (con foglie e rametti) dall’altra consentirebbe un aumento dei tempi di corrivazione e una riduzione del coefficiente di deflusso che risulterebbe in una riduzione della quantità di pioggia defluita e un allungamento
dei tempi in cui la pioggia precipitata si riversa nella rete fognaria e nei fiumi. Questa riduzione si potrebbe ottenere non
solo aumentando le aree verdi all’interno delle città al fine di aumentare le superfici permeabili e semipermeabili, ma
anche incrementando significativamente la realizzazione di tetti verdi (Lee et al., 2014). Inoltre è necessario che, al fine
di limitare gli eventi di piena che possono poi risolversi in esondazioni e alluvioni, si progettino e si realizzino le opere
necessarie all’allungamento dei tempi di corrivazione e alla riduzione dei tempi di deflusso su tutto il bacino del fiume,
e non solo nell’ambiente urbano su cui si intende limitare il possibile danno. Infine, fondamentali per quanto riguarda
gli eventi di esondazione dei fiumi, risultano essere le aree verdi sommergibili, da progettare in modo che le acque in
esubero siano indirizzate verso tali aree piuttosto che nei centri abitati.
Il verde urbano, le temperature in città e le ondate di calore.
Alle nostre latitudini, oltre agli eventi estremi di precipitazione, uno dei problemi più importanti riguarda la frequenza e
l’intensità delle ondate di calore: le città sono, infatti, caratterizzate dal fenomeno dell’isola di calore (Urban Heat Island –
UHI), che fa sì che, soprattutto nel periodo serale e notturno, le temperature dell’aria si mantengano più elevate rispetto
a quelle delle zone rurali circostanti. Questo rende i cittadini più vulnerabili agli effetti del caldo sulla salute (Gabriel Endlicher, 2011). Sono soprattutto le persone anziane a soffrire degli effetti del caldo a causa della minore efficienza del
loro sistema di termoregolazione; inoltre, in un’epoca in cui la popolazione tende a invecchiare, aumenta di conseguenza
anche il numero delle persone esposte potenzialmente a tale rischio. Caratteristiche urbanistiche differenti determinano
un’elevata variabilità delle condizioni termiche sia tra città diverse che all’interno della stessa città (Petralli et al., 2014).
Il fenomeno dell’isola di calore è particolarmente dannoso per la salute umana nella stagione estiva in corrispondenza
Focus 3
263
delle ondate di calore, in quanto la temperatura dell’aria in città, oltre a raggiungere valori più
elevati rispetto alle aree rurali circostanti nelle ore diurne, si mantiene elevata anche nelle ore
notturne, riducendo la capacità di ripresa dell’organismo umano dalle condizioni di estremo
calore a cui è stato sottoposto durante il giorno. Il verde urbano ha un ruolo fondamentale nella
mitigazione dell’UHI: ha, infatti, un valore di albedo e di inerzia termica diversi dal materiale
artificiale urbano, oltre a contenere un’elevata concentrazione di acqua. Per quanto riguarda
l’albedo, nel caso di vegetazione spontanea o coltivata è dell’ordine del 20-30%, mentre nelle
città è mediamente più basso, fino a valori inferiori al 5% nel caso di superfici asfaltate. L’albedo
maggiore fa sì che le aree verdi immagazzinino meno energia rispetto al resto delle superfici
urbane, le quali riemettono questo surplus di energia soprattutto sotto forma di calore latente.
Inoltre gran parte dell’energia assorbita dalle piante viene utilizzata per i processi vitali, di fatto
riducendo ulteriormente la radiazione riemessa. Inoltre la radiazione solare assorbita da parte
dei materiali artificiali viene rilasciata sotto forma di calore molto lentamente causando così
l’intensificarsi dell’isola di calore nelle ore serali e notturne. Al contrario la vegetazione, grazie
anche ai fenomeni evapotraspirativi, contribuisce ad abbassare la temperatura dell’aria. Infine
la presenza della vegetazione arborea in città ha una funzione ombreggiante che, impedendo
alla radiazione solare di riversarsi direttamente sui materiali artificiali, consente a questi ultimi
di riscaldarsi meno e di riemettere una quantità minore di energia sotto forma di calore. Studi
condotti nella città di Firenze dal Centro di Bioclimatologia e dall’Ibimet - CNR hanno messo a
confronto aree verdi contraddistinte da vegetazione erbacea con aree a verde caratterizzate da
vegetazione con una copertura arborea variabile dal 20% al 90%: è emerso come entrambe queste tipologie di verde possano contribuire alla riduzione della temperatura in ambiente urbano.
L’area a prato ha temperature minime (quindi generalmente notturne) più basse di circa 3 °C
rispetto all’area forestata, mentre quest’ultima ha temperature massime (quindi generalmente
diurne) più basse di circa 3 °C rispetto all’area a prato (Petralli et al., 2011). Questi effetti positivi
determinano anche benefici in termini energetici, soprattutto quando la vegetazione arborea si
trova in prossimità degli edifici. La presenza degli alberi, infatti, riduce la quantità di radiazione
incidente sulle pareti degli edifici: a seconda dell’esposizione delle pareti ombreggiate, è possibile osservare una riduzione della temperatura delle pareti stesse variabile tra 5 °C e 20 °C. Tutto
ciò suggerisce che una piantagione strategica di alberi in ambiente urbano potrebbe ridurre il
consumo di energia dovuto al raffreddamento degli ambienti con l’aria condizionata durante
il periodo estivo, che è stata quantificata mediamente nel 10-35%, ma con valori che possono
raggiungere anche l’80% in particolari condizioni sinottiche o momenti della giornata (Raeissi Taheri, 1999). È possibile quindi affermare che la presenza della vegetazione in ambiente urbano
risulta strategica per la mitigazione del fenomeno dell’isola di calore, ma, affinché l’informazione relativa alla vegetazione possa essere correttamente utilizzata dai pianificatori e dagli amministratori, sarebbe necessario conoscere più in dettaglio anche gli effetti della tipologia di verde
da utilizzare e della disposizione che questo deve avere all’interno del tessuto urbano.
Il verde urbano e la fissazione di CO2 .
Tutte le piante fissano CO2 per il loro accrescimento, e sono quindi gli organismi adatti per
limitare l’aumento del diossido di carbonio atmosferico in ambiente urbano (McPherson,
2007). La capacità di assimilare CO2 differisce nelle diverse specie vegetali, oltre a essere influenzata dalle condizioni ambientali del sito d’impianto e dallo stato di salute della pianta
stessa (Ferrini Fini, 2011). La piantagione di alberi in ambiente urbano risulta particolarmente efficace per questo scopo poiché, oltre alla riduzione diretta dell’anidride carbonica,
è in grado di innescare un feedback positivo che porta al miglioramento del microclima e a
264
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
una riduzione dell’uso dei combustibili fossili di circa 18 kg/anno per ciascun albero presente (Rosenfeld et al., 1998). Inoltre il carbonio allocato dalla pianta per fare legno (di
fusti, rami e radici) non ritorna all’atmosfera fino alla morte della pianta (salvo interventi eccessivi di potatura) e anche oltre, qualora il materiale di risulta dell’abbattimento sia
correttamente gestito (per esempio utilizzandolo come ammendante o pacciamante).
In quest’ottica, la selezione e la messa a dimora di specie caratterizzate da alti tassi di assimilazione del carbonio, buona capacità di tollerare gli stress, elevata longevità e dimensioni
a maturità è fondamentale per massimizzare il quantitativo di CO2 catturato dall’atmosfera
(Nowak - Crane, 2002).
Il verde urbano e l’inquinamento atmosferico.
Le piante hanno anche una notevole capacità di sequestrare inquinanti solidi (es. particolato)
e gassosi (in particolare ossidi di azoto e di zolfo). Il particolato atmosferico (PM) è formato da
particelle solide di diverso diametro e costituisce un problema sempre più serio per la salute
umana. L’efficacia del verde urbano contro il particolato è elevata, poiché quando le particelle, che fluiscono in modo turbolento nell’aria, incontrano una foglia, un ramo o un fusto, vi
aderiscono, attraverso un meccanismo denominato deposizione secca. Ogni mq di superficie
fogliare assorbe da 70 mg a 2,8 g di particolato all’anno (Beckett et al., 2000; Nowak et al.,
2002). Questi valori dipendono dalla concentrazione degli inquinanti presenti in atmosfera,
dalla velocità del vento e dalle caratteristiche fogliari, che insieme determinano il coefficiente
di assorbimento (che esprime le percentuale di particelle effettivamente intrappolate rispetto
a quelle che hanno impattato la foglia). Inoltre, grazie alla presenza degli stomi, le piante riescono a rimuovere anche gli inquinanti fitotossici dell’aria, che si distinguono in primari (emessi
direttamente nell’aria, come SO2, F2, Cl2, ossidi di azoto) e secondari (prodotti di reazione di
inquinanti primari, H2SO4, O3, PANs), facendoli dissolvere nel film acquoso presente sulla parete
delle cellule all’interno delle foglie e formando acidi grassi o reagendo con le pareti cellulari
(Nowak et al., 2002).
Le piante contribuiscono, però, anche alla formazione dell’ozono (O3): questo si forma mediante
una serie di reazioni fotochimiche, i cui principali reagenti sono gli ossidi di azoto (NOx), prodotti da attività antropica, e i composti organici volatili (VOCs) provenienti dalle piante, in condizioni di elevate temperature dell’aria e di forte radiazione solare. La presenza di vegetazione
arborea può, comunque, contribuire anche a limitare la formazione: le specie arboree, infatti,
assorbono direttamente una parte dell’ozono e indirettamente riducono la formazione di O3
abbassando la temperatura mediante l’ombreggiamento e filtrando la radiazione solare.
Il verde urbano e la salute dei cittadini.
Gli effetti del verde sulla salute dei cittadini sono quindi molteplici. Oltre a quelli sopra descritti (miglioramento del microclima e del comfort, miglioramento della qualità dell’aria), ci
sono anche benefici dal punto di vista psicologico e dello stimolo allo svolgimento di attività
all’aperto. D’altra parte, però, le piante producono polline, che può provocare allergie.
1)Allergeni. Uno dei problemi legati alla presenza di piante erbacee e arboree in ambiente urbano è legato alla produzione di polline, in quanto negli ultimi anni stanno aumentando i casi
di allergia. L’aumento della sensibilizzazione al polline della popolazione sembra sia associato
anche all’aumento dell’inquinamento dell’aria e all’interazione tra i pollini e gli inquinanti, in
quanto i granelli di polline in ambienti inquinati tendono a rompersi con più facilità, generando
delle particelle anche inferiori a 2,5 micron, e quindi capaci di penetrare più a fondo nell’apparato respiratorio (D’Amato et al., 2007; Barta et al., 2007). Dal punto di vista della progettazione
del verde, quindi, è necessario tenere in considerazione anche il grado di allergenicità dei pollini delle piante che si vogliono utilizzare in ambiente urbano, ricordandosi però di non usare
solo un numero limitato di specie, al fine di non ridurre la biodiversità, che in ambiente urbano
resta molto critica.
2)Psicologia. Gli effetti benefici del verde dal punto di vista psicologico sulla salute umana sono
stati studiati già nei primi anni Ottanta, quando in un articolo di Ulrich (1984), diventato ormai
un classico, si riporta che i pazienti post-chirurgici il cui ospedale aveva finestre che si affacciavano su alberi avevano un recupero più veloce e un minor bisogno di cure dal sollievo del dolore
rispetto a quelli che si trovavano in stanze le cui finestre non si affacciano su aree a verde. Sulla
base di studi come questo sono oggi progettati molti ospedali di nuova costruzione o in procinto di ristrutturazione. Altre ricerche hanno evidenziato che la presenza e la fruibilità del verde
sono correlate positivamente con una serie di benefici per l’uomo, compresa la salute generale,
il grado di interazione sociale e la fatica mentale. Un recente studio ha mostrato come, oltre alla
presenza e alla fruibilità del verde, siano importanti caratteristiche delle aree verdi quali il disegno e la variabilità in termini di biodiversità: aumentare all’interno di queste zone la variabilità
delle specie e il numero di habitat permetterebbe a chi usufruisce del parco di entrare in contatto
con una molteplicità di specie vegetali e animali, attività legata al miglioramento del benessere
psicofisico umano (Fuller et al., 2007).
3)Rumore. In letteratura si trovano studi che evidenziano come il rumore provocato dal traffico
urbano, oltre a peggiorare la qualità della vita, determini alterazioni psicologiche e cognitive, disturbi del sonno, stress e altri disturbi psico-sociali (Ohrström, 2004). Grazie al corretto uso della
vegetazione in ambiente urbano (dalla vegetazione stradale ai tetti e alle pareti verdi) è possibile
ottenere un certo grado di riduzione del rumore (Fang - Ling, 2005; Van Renterghem - Botteldooren, 2009; Pudjowati et al., 2013). Ci sono tre modi principali per la vegetazione di ridurre l’inquinamento acustico: diffrazione e riflessione delle onde sonore da elementi vegetali; assorbimento
delle onde sonore e trasformazione in vibrazioni meccaniche degli elementi vegetali; interferenza
distruttiva delle onde sonore (Borthwick, 1977). Infine recenti studi relativi alla percezione del
rumore hanno messo in evidenza che anche dal punto di vista psicologico la presenza di vegetazione può migliorare la percezione negativa del rumore (Dzhambov - Dimitrova, 2014).
4)Attività fisica. In letteratura si trovano numerosi studi che sottolineano la relazione tra
presenza di aree verdi e svolgimento di attività fisica dei cittadini, sottolineando gli importanti benefici che essa apporta alla salute delle persone (Donaldson, 2010). La ridotta attività fisica, infatti, è legata all’aumento di malattie cardiovascolari, diabete ed obesità (Mytton
et al., 2012). Tra le caratteristiche più importanti che devono avere le aree verdi per stimolare lo
svolgimento di attività fisica da parte della popolazione è possibile identificare, in primo luogo,
la vicinanza tra le abitazioni o i luoghi di lavoro e le aree verdi, oltre all’accessibilità in termini
di orari di apertura al pubblico (Richardson et al., 2013). La possibilità di creare all’interno delle
città delle linee ciclabili “verdi”, quindi ombreggiate e separate dal manto stradale, che colleghino gran parte del territorio urbano, sarebbe di particolare importanza per incentivare l’uso
di mezzi alternativi alle auto, favorendo l’attività fisica in luoghi più sicuri, protetti dal rumore e
dall’inquinamento e con un microclima migliore.
sono di fondamentale importanza quelle strutture verdi che, oltre a svolgere in ambiente
urbano le fondamentali funzioni di riduzione della temperatura estiva, fissazione di CO2
e inquinanti, riduzione del rumore, implementazione dell’attività fisica ecc., siano anche
in grado di fungere, ad esempio, da corridoi biologici, e che abbiano le caratteristiche di
ampiezza e variabilità specifica da poter svolgere la funzione di nicchia per lo sviluppo e il
mantenimento della vita di specie vegetali e animali. La conoscenza delle esigenze della
flora e della fauna autoctone è quindi di fondamentale importanza per una corretta gestione e manutenzione del verde urbano: alcune specie animali, ad esempio, necessitano della
presenza di determinate specie vegetali per la loro sopravvivenza, o di particolari tipologie
di suolo o soprassuolo, come per esempio raggruppamenti rocciosi o radure all’interno dei
parchi urbani.
In base a tutte le considerazioni sopra riportate e ai molteplici effetti che la vegetazione ha
sull’ambiente urbano, si suggerisce, nell’ambito delle progettazioni e delle riqualificazioni
delle aree verdi urbane di creare un team multidisciplinare in cui ci sia la possibilità di collaborazione tra più figure professionali, quali architetti, agronomi, forestali, pedologi e biologi.
Tab. 1. Principali effetti positivi e negativi sull’uomo e sull’ambiente del verde in ambiente urbano
effetti positivi
aumento dei tempi di corrivazione
fissazione di CO2
fissazione di inquinanti e PM
riduzione del rumore
aumento biodiversità – corridoio ecologico
riduzione consumi energetici
benessere psicofisico
riduzione UHI e temperature estive
aumento superfici permeabili
effetti negativi
aumento ostruzione fiumi, canali e fognature
produzione di VOC
produzione di ozono
produzione di pollini
costi di gestione/manutenzione
Il verde urbano e la biodiversità.
Le città sono caratterizzate da una bassa concentrazione di aree verdi, per cui anche la biodiversità che si ritrova in ambiente urbano è generalmente molto ridotta. Al fine di apportare
benefici alla biodiversità urbana, è necessario progettare il verde affinché possa assolvere a
funzioni tali da consentire alla flora e alla fauna urbana di svilupparsi al meglio. Per questo
Focus 3
265
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Per rispondere efficacemente all’obiettivo di contribuire localmente agli impegni nazionali per la riduzione delle emissioni
di CO2, il Comune di Padova si è dotato di strumenti di pianificazione che nel tempo hanno permesso di raggiungere i risultati attuali, agendo sia sull’organizzazione interna dell’ente che verso l’esterno rappresentato da aziende e cittadini.
Si è inoltre lavorato per creare un’apertura nazionale ed europea che permettesse lo scambio di esperienze, il confronto
con un ambito internazionale e il finanziamento di progetti ricorrendo alla presentazione di progetti europei. Il principale oggetto con il quale si è interagito a livello nazionale è il Coordinamento delle Agende 21 Locali Italiane, associazioni
di enti locali che portano l’esperienza nelle politiche di sostenibilità.
Nel 2004 l’amministrazione di Padova ha elaborato e dato attuazione al Piano di efficienza energetica comunale
finalizzato a:
– limitare l’impatto ambientale derivante dalle emissioni causate dalle attività dell’amministrazione comunale;
– contenere i costi derivanti da un uso inefficiente dell’energia nel patrimonio pubblico;
– diffondere buone pratiche attraverso la sensibilizzazione dei cittadini, fornendo strumenti per contenere i consumi.
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Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES)
Il Comune di Padova ha aderito al Patto dei Sindaci nel 2010 e nell’ambito dell’elaborazione del PAES ha avuto la possibilità di organizzare e mettere a sistema tutte le azioni volte a conseguire gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2
entro il 2020: il piano è stato approvato in Consiglio comunale il 6 giugno 2011.
Padova è fra le prime città italiane a dotarsi di una strategia integrata contro i cambiamenti climatici e, utilizzando i
finanziamenti EU, realizza il proprio PAES nel contesto del progetto LIFE LAKS.
Ridurre nel proprio territorio del 20% le emissioni di CO2 significa ridurre l’emissione di 390 mila tonnellate di anidride
carbonica nell’arco di 10 anni realizzando azioni concrete per rendere più efficiente l’uso di energia negli edifici pubblici
e privati, intervenire sull’illuminazione pubblica, nel comparto produttivo, potenziare la produzione di energia da fonti
rinnovabili, promuovere la mobilità sostenibile.
Il PAES, con 39 azioni suddivise in sei macroaree di intervento, prevede una riduzione corrispondente al 20,1% delle
emissioni a partire dal 2005:
1. Nuove energie a zero CO2 – sviluppo e potenziamento della produzione di energia da fonti rinnovabili: riduzione delle
emissioni di 70.335 ton di CO2 equivalenti a - 4%;
2. Una città più verde e più efficiente – diffusione dell’efficienza energetica negli edifici e aumento delle aree verdi:
riduzione di 135.000 ton di CO2 equivalenti a - 7%;
3. Reti e servizi intelligenti – miglioramento dell’efficienza energetica delle reti idriche ed elettriche, potenziamento
della raccolta differenziata dei rifiuti: riduzione di 70.824 ton di CO2 equivalenti a - 3,7%;
4. Una città che si muove meglio – potenziamento del trasporto pubblico, dell’intermodalità e della mobilità ciclopedonale: riduzione di 58.836 ton di CO2 equivalenti a - 3%;
5. Un’economia a basse emissioni – promozione di un’economia a basse emissioni attraverso lo sviluppo degli acquisti
verdi, del telelavoro e dell’efficienza energetica della zona industriale: riduzione di 63.417 ton di CO2 equivalenti a - 3,3%;
6. Adattarsi al clima che cambia – rafforzamento delle conoscenze e degli strumenti per prevenire e limitare gli impatti
negativi del cambiamento climatico sulla salute e sulla qualità della vita dei cittadini.
Superare la mitigazione... la strategia climatica di Padova
Contemporaneamente alla realizzazione delle attività previste nel PAES, Padova ha approfondito anche il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici, che è inserito nell’area 6 del PAES, in cui si indicava per tale tematica la necessità
di svolgere, a monte della realizzazione di un piano, ulteriori studi e approfondimenti. Ancora una volta attraverso la
partecipazione a un progetto europeo, EU Adapt (2012-2013), il Comune di Padova ha potuto usufruire della professionalità e delle esperienze di altre città europee più avanzate. Il personale interno ha partecipato alla formazione che ha
266
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Focus 3
267
permesso di redigere le linee guida della strategia di adattamento ai cambiamenti climatici
della città di Padova.
Inoltre, attraverso la sperimentazione del progetto UHI - Urban Heat Island che doterà il Comune
di Padova di un masterplan che individua le zone nelle quali si concentrano le isole urbane di calore, sarà possibile individuare strategie e misure per l’adattamento e la mitigazione dei rischi
connessi all’aumento delle temperature nei centri abitati.
Strumenti finanziari per realizzare le azioni per il clima su scala locale
Sempre nell’ottica di dare realizzazione al PAES utilizzando le opportunità offerte dai finanziamenti europei e dalle competenze acquisite attraverso il percorso fino a qui compiuto si pensa
di incidere sull’ambito abitativo-residenziale presentando due progetti diversi su linee di finanziamento messe a disposizione dalla Comunità Europea:
– Intelligent Energy Europe - MLEI (Mobilizing Local Energy Investments), che mette a disposizione fondi per promuovere interventi di risparmio ed efficienza energetica rivolti agli immobili
residenziali privati;
–Fondo ELENA (European Local Energy Assistance), che mette a disposizione fondi per interventi di risparmio ed efficienza energetica per gli edifici pubblici e sull’illuminazione pubblica.
Il progetto PadovaFIT! (2013-2016)
Il progetto – finanziato nell’ambito del Bando 2012 IEE MLEI PDA – si concentra sugli immobili
urbani residenziali, in parte privati e in parte pubblici, proponendo un’azione in grado di determinare considerevoli risparmi energetici ed economici su questi edifici, ottenendo anche effetti
di riqualificazione e riorganizzazione di isolati o di interi quartieri.
L’azione si sviluppa a partire dal ruolo del Comune che, in quanto promotore, intende mettere
in atto politiche di facilitazione e finanziamento degli interventi. Le diverse azioni prevedono il
coinvolgimento a livello locale dei vari portatori di interesse e dei beneficiari diretti dell’iniziativa: proprietari e inquilini degli immobili, amministratori di condominio, le organizzazioni degli
impresari edili, professionisti e tecnici del settore e le associazioni sensibili a tali tematiche.
Il progetto offre ai proprietari la possibilità di riqualificare i propri edifici utilizzando i vantaggi
tecnico-economici offerti dalle società di servizi energetici e le garanzie dell’ente pubblico, che
gestirà l’affidamento attraverso una procedura a evidenza pubblica che prevede l’applicazione
del “dialogo competitivo”.
Il progetto agisce da un lato costituendo un aggregato di soggetti privati, dall’altro offrendo
opportunità per le aziende locali di operare nel territorio ma in forma aggregata: solo unendosi
le aziende riusciranno ad affrontare l’investimento, che richiede una grande capacità finanziaria e gestionale.
L’intervento della politica pubblica, che si impegna a promuovere investimenti privati di alto
livello, rappresenta un importante volano per l’economia locale, promuovendo contemporaneamente l’approccio delle politiche economiche e ambientali della Comunità Europea verso
un’economia più attenta alla sostenibilità ambientale ed economica.
Il progetto si pone come obiettivo di ridurre la povertà energetica a Padova e di supportare la
riqualificazione degli edifici a uso abitativo in città. Tra i risultati si prevedono circa 15 milioni di
euro di investimenti avviati (i lavori si potranno svolgere anche a progetto concluso).
268
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Il progetto 3L - Less energy, Less cost, Less impact (2013-2016)
Aderendo alla proposta della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e della Provincia di
Padova è stato possibile ottenere il finanziamento della Banca Europea, che permetterà al Comune
di Padova e ad altri venti comuni della provincia di Padova, oltre al Comune di Rovigo e sei comuni
della Provincia di Rovigo, di effettuare interventi di riqualificazione energetica degli edifici pubblici
(scuole, uffici, palestre) oltre a interventi di efficientamento dell’illuminazione pubblica.
Gli obiettivi prioritari sono:
– ridurre i costi di gestione;
– migliorare il comfort abitativo;
– portare lavoro nel territorio.
Aspetto rilevante di questo progetto è l’aggregazione di enti locali per effettuare interventi di
efficientamento di edifici pubblici, di illuminazione pubblica e di mobilità sostenibile: comuni
e province, che di solito operano distintamente, diventano massa critica per ottenere opportunità, offerte dal mercato e dalla normativa europea e nazionale, di agire attraverso le società
di servizi energetici garantendo interventi che producono immediati risparmi economici nella
gestione dei beni pubblici, operando contemporaneamente fuori dal bilancio comunale (bloccato dal Patto di stabilità) e favorendo investimenti e attività economiche nel territorio che in
altro modo non sarebbero stati possibili.
Il Progetto EPOurban - “Enabling Private Owners of Residential Buildings
to Integrate them into Urban Restructuring Processes”
Sara Verones, Carlo Battisti
Consapevole dei reali ostacoli all’attuazione delle strategie di riduzione delle emissioni di gas serra nelle aree urbane e nel settore dell’edilizia privata, il progetto EPOurban si è posto l’obiettivo di sensibilizzare, attivare e mobilitare
i proprietari privati ​​mettendo in campo un sistema di consulenza tecnica, amministrativa e finanziaria che stimoli il
mercato della riqualificazione urbana ed edilizia in termini energetici. Questo costituisce un “cantiere” di consulenza
che comprende il comune, i consulenti tecnici incaricati, gli amministratori condominiali e attori locali come l’Agenzia
CasaClima. Venti condomini completamente privati, selezionati dal Comune di Bolzano, sono coinvolti nel progetto e
ricevono uno smart audit.
Il progetto persegue le sue finalità attraverso diversi momenti formativi/informativi, con i privati proprietari, gli amministratori e la cittadinanza tutta, che presuppongono una reale condivisione delle finalità e delle modalità di attuazione
del progetto, sostenendo una metodologia bottom-up. Le assemblee condominiali singole, il coinvolgimento in riunioni
periodiche tra amministratori condominiali, associazioni di amministratori, la Tutela consumatori e l’amministrazione
pubblica, oltre alla formazione dei consulenti e a incontri congiunti tra tutti gli attori coinvolti, sono i tools attraverso i
quali il Comune di Bolzano si pone come facilitatore di processi e reale innovatore.
Questi i principali aspetti innovativi, replicabili in altre realtà locali.
– Multidisciplinarità. EPOurban non si concentra solo sugli aspetti tecnologici della riqualificazione, ma affronta anche
quelli legali, finanziari e sociali. Proprietari privati e stakeholder sono coinvolti in un programma di smart audit condotto da un team multidisciplinare.
– Centralità del proprietario. Efficienza energetica e sostenibilità del costruito si ottengono solo se il proprietario diventa
partner consapevole, anche attraverso momenti collegiali di confronto, come la grande assemblea condominiale finale.
– L’amministratore condominiale. Sollecitato dalle opportunità che il mercato offre e dai bisogni dei proprietari amministrati, l’amministratore condominiale dovrebbe evolvere in una nuova figura di “imprenditore del condominio” o
property manager, in grado di gestire programmi d’azione a medio-lungo termine.
– Lavoro di squadra. L’approccio multidisciplinare di EPOurban è anche multilivello, con azioni di sensibilizzazione, informazione, formazione, consulenza diretta e confronto tra buone pratiche.
– Iniziare con l’esempio. Il merito di EPOurban è stato quello di aver avviato un’operazione su scala urbana, conquistando una partecipazione convinta dei proprietari residenziali. Il risanamento energetico può essere spiegato in modo
semplice, con scenari di intervento dai risultati e tempi di ritorno a volte interessanti.
– Il comfort. Oltre all’ambiente e all’efficienza energetica, è in gioco il comfort, quindi la qualità di vita all’interno degli
edifici. EPOurban si è occupato anche di questi aspetti; l’eliminazione delle barriere architettoniche, ad esempio. Il
risanamento energetico può essere integrato sinergicamente con altri interventi di miglioramento.
Dopo l’esperienza svolta in due anni di attività di consulenza diretta su venti edifici all’interno del territorio comunale di
Bolzano, ma con anche diverse possibilità di condivisione al di fuori dello stesso, le amministrazioni pubbliche intenzionate a replicare o prendere spunto da quest’esperienza tengano in estrema considerazione gli aspetti che seguono.
–Popolarità. La tematica dell’efficienza energetica deve diventare “popolare”, diffondendosi dalla cerchia degli specialisti fino a divenire materia di discussione comune. È il modo per aumentare la consapevolezza dei proprietari e
amplificare il coinvolgimento degli stakeholder.
– Tecnici evangelisti. Il professionista dell’efficienza energetica deve essere in grado di diffondere il messaggio e confrontarsi con esigenze variegate: l’adulto attento al portafoglio, il giovane già educato a ottimizzare le risorse, l’anziano estraneo alle dinamiche finanziarie. Un linguaggio comune con soluzioni differenti.
– Il portafoglio. L’efficienza energetica non è solo una questione ambientale, ma anche economica. Soprattutto in una
fase di recessione come l’attuale, la scelta di rimandare gli interventi di retrofitting non è accettabile. Anche rispetto
a questo aspetto le amministrazioni pubbliche dovrebbero facilitare esperienze innovative in termini di accesso al
credito o sistemi di certificazione a garanzia per istituti finanziari e bancari.
Focus 3
269
– Integrazione orizzontale all’interno dell’amministrazione pubblica locale. Gli uffici e i servizi
con competenze nelle aree d’intervento delle politiche per il clima urbano richiedono un
chiaro coordinamento che favorisca integrazione e sinergia, non solo nelle attività di gestione quotidiana, ma ancor più nell’attività pianificatoria, normativa e promulgativa.
– Integrazione verticale tra enti e istituzioni. In un sistema di competenze complesso come
quello italiano, gli enti locali, insieme agli attori del territorio, devono farsi portavoce delle
esperienze e delle necessità nei preposti tavoli tra istituzioni con la finalità di integrare l’attività legislativa.
270
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Il progetto CABEE e l’iniziativa CESBA per una nuova cultura dell’ambiente costruito in Europa
Vito Garramone, Franco Alberti, Claudio Chiapparini, Claudio Perin
Il progetto CABEE e la Capitalizzazione delle esperienze di valutazione degli edifici alpini
Il settore delle costruzioni è un settore molto influente non solo per la crescita e la competitività europea1 (influenza il
10% del PIL Europeo complessivo) ma anche per il mercato interno del lavoro (20 milioni di posti di lavoro). Si aggiunga,
poi, il contributo che fornisce (o potrebbe fornire) alla lotta ai cambiamenti climatici e al consumo di energia. Esso, infatti, influisce direttamente su quote pari al 36% delle emissioni di CO2 dell’UE e all’80% delle emissioni dei gas serra, oltre
che sul 42% dei consumi finali di energia, per non parlare di tutta la filiera del costruire con il suo consumo di materiali
e semilavorati (materie prime, prodotti chimici, apparecchiature elettriche ed elettroniche etc.)2, che sempre nell’UE
interessa il 50% di tutti i materiali estratti, il 30% dei consumi idrici e una cifra pari al 35% del totale dei rifiuti prodotti.
Di queste tematiche energetico-ambientali si occupa il progetto CABEE - Capitalizing Alpine Building Evaluation Experiences3, che è un progetto transnazionale dalla durata triennale (1° luglio 2012 - 30 giugno 2015), finanziato dal Programma di Cooperazione territoriale europea “Spazio Alpino” 2007-2013 e che vede impegnati dodici partners4 provenienti
da Unione Europea (Austria, Francia, Germania, Italia, Slovenia) e non (Svizzera).
Il progetto, nel dettaglio, si occupa della cultura edilizia e della pianificazione urbanistica alpina, riconoscendo sia agli edifici
che agli insediamenti un ruolo centrale per il perseguimento della sostenibilità dei territori, ancora di più in un ecosistema
(territoriale) complesso dal punto di vista storico, economico e ambientale come quello montano dell’arco alpino.
Il progetto CABEE fa tesoro della capitalizzazione di altri progetti europei precedenti e si mette in rete con i principali
progetti in corso sul tema aderendo e sostenendo l’iniziativa CESBA - Common European Sustainable Building Assessment,
di seguito descritta. Il principio da cui l’iniziativa prende le mosse è quello dell’armonizzazione dei protocolli di valutazione energetico-ambientale dell’edificato (nuovo o ristrutturato, pubblico o convenzionato, a scala edificio e a scala di
quartiere) a partire da una revisione del legal framework europeo e dalla proposta e implementazione di linee guida,
sempre a livello europeo, per la pianificazione, l’approvvigionamento, la produzione, la valutazione e la promozione
dell’edificato a emissioni quasi zero (NZEB - Nearly Zero Emission Building) e dei relativi quartieri in cui tali edificati si
organizzano. Pur non richiamandosi direttamente al climate change, il progetto CABEE e l’iniziativa CESBA mirano a dare il
loro contributo in tal senso attraverso la definizione e il sostegno a strategie low-carbon e ad alta efficienza energetica.
Punto di partenza è la “babele dei sistemi di certificazione”, che interessa non solo il livello transnazionale, ma anche
quello nazionale. Se in UE esistono più di 80 sistemi di certificazione, nelle varie regioni italiane diversi sono i riferimenti
e gli approcci alla valutazione della sostenibilità dell’edificato. Inoltre raramente la cultura del costruire, del progettare
e dell’abitare prende in seria considerazione tutte le fasi del ciclo di vita degli edifici.
Per tali ragioni il progetto CABEE propone una filosofia di “processo” che, a partire da un set di base di indicatori, possa
consentire di strutturare servizi rivolti alle pubbliche amministrazioni (PA) e alle imprese (PMI), oltre che strumenti a supporto di tutte le fasi del ciclo di vita dell’edificato (edifici e quartieri), dal momento delle definizione degli obiettivi e delle
strategie alle fasi di utilizzo e rigenerazione dei manufatti, passando anche per un’attenta progettazione, la dovuta cura
nella redazione dei bandi d’appalto, la maestria e correttezza delle esecuzioni e dell’uso dei materiali (e delle tecniche costruttive), considerando anche un uso corretto dei manufatti da parte degli utenti (per maggiori dettagli si veda la fig. 2),
dato che passiamo oltre l’80% della nostra vita all’interno di edifici.
Il progetto CABEE si caratterizza anche per un altro aspetto, il ruolo di primo piano che assegna alle autorità pubbliche,
che con il loro parco edifici sono chiamate a svolgere un ruolo di volano e di esempio per tutto il comparto dell’edilizia,
un ruolo ribadito nella Direttiva 2010/31/UE del Parlamento Europeo5, datata 19 maggio 2010, e recepito anche dalla
Repubblica Italiana con il Decreto legge n. 63 del 4/6/20136. E se il decreto italiano entrato in vigore il 6 giugno 2013
all’art. 5 stabilisce che «[...] a partire dal 31 dicembre 2018 gli edifici di nuova costruzione occupati dalle pubbliche
amministrazioni e di proprietà di queste ultime, ivi compresi gli edifici scolastici, devono essere edifici a energia quasi
zero», il progetto CABEE va anche oltre nel sostenere che tale obiettivo debba essere raggiunto anche nel caso della
riqualificazione del patrimonio esistente, questione che costituisce il discrimine e la sfida sia in termini di effetto globale
che in termini context-based in una situazione come quella italiana, attenta sia al consumo di suolo che al recupero, riFocus 3
271
qualificazione e valorizzazione di un tessuto esistente e/o storicizzato. Al momento il ruolo e la
funzione di “modello” degli edifici pubblici sono stati sottolineati attraverso una raccolta di best
practices arrivata a una trentina di progetti front runner. Un primo passo verso il trasferimento
di esperienze e conoscenze che mira a una diffusione massiva.
Riguardo alle azioni messe in campo possiamo ricondurre la strategia del progetto CABEE a
quattro assi o pilastri. Innanzitutto, le sopra menzionate linee guida a livello europeo per la pianificazione, l’approvvigionamento, la produzione, la valutazione e la promozione dell’edificato
NZEB e dei relativi quartieri. Linee guida che verranno testate sulla valutazione degli appalti
pubblici e del Green Public Procurement (40 casi), sulla valutazione dei bisogni degli utenti per
un uso corretto degli edifici a emissione quasi o vicino allo zero e sulla valutazione del totale
“parco edifici pubblici” delle regioni aderenti al progetto.
Alle linee guida si affiancano due sperimentazioni: una legata alla costruzione di microreti sinergiche e intelligenti (micro smart energy grids) in grado sia di analizzare il potenziale degli
ambiti indicati (10 siti), sia di connettere a rete gli edifici presenti (10 casi studio), alla ricerca di
un’integrazione a scala di quartieri (6 studi di fattibilità); un’altra legata alla definizione di best
pratices di governance sulle questioni trattate, in grado di far emergere esperienze, modelli e
strumenti utili alla definizione e al sostegno delle linee guida a livello alpino.
Per quanto concerne il secondo asse, quello che riguarda le micro smart energy grids7, il progetto punta alla costruzione di reti integrate di edifici e quartieri per la valutazione delle emissioni
e per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità indicati dal progetto e dalle direttive europee (Direttiva 2012/31/EU). La definizione dei clusters permette, così, di gestire le richieste di
energia elettrica e di altri consumi in maniera più efficiente, oltre che rafforzare la consapevolezza degli utenti su un consumo energetico (e termico) responsabile e collettivo. Dimensione
collettiva, volta sicuramente alla ricerca di economie di scala, oltre che di esternalità positive,
ma anche attenta a un approccio olistico al problema e agli effetti e sinergie positive a livello
ecologico, sociale ed economico. Il progetto propone, dunque, un cluster tool per la valutazione
energetica ed ecologica dei “gruppi di edifici”. Il tool si compone di 40 indicatori (15 dei quali
must indicators, come indicato in Fig. 3) e tiene conto di vari aspetti: qualità di processo (qualità
della pianificazione e della gestione); qualità ambientale (qualità del sito, aspetti energetici,
materiali costruttivi, uso della risorsa acqua e ciclo dei rifiuti); qualità sociale (attrezzature e
servizi, mobilità, insiemi e catene di attività, livelli di comfort); qualità economica (aspetti e
valori di mercato, livelli di accessibilità).
Quanto al terzo pilastro (la governance), invece, un’azione strategica è la costruzione di un hub
della conoscenza open source facilmente accessibile e consultabile (user friendly), oltre che
implementabile, costruito attorno alla tecnologia wiki e che prende il nome dall’iniziativa congiunta CESBA8. Anche questa azione è pensata in risposta a uno dei principali problemi del settore delle costruzioni, ossia la mancanza di conoscenze strutturate sul problema, supportate da
dati accessibili e comparabili (“Opportunità per migliorare l’efficienza delle risorse nell’edilizia”,
COM (2014) 445 finale, e “Strategia per la competitività sostenibile del settore delle costruzioni
e delle sue imprese”, COM/2012/0433 finale).
La strategia si chiude, poi, con il quarto pilastro della “Formazione ed orientamento” delle PMI e
delle PA, volto sia alla diffusione di una cultura del costruire sostenibile (soprattutto mediante
l’uso di materiali e di tecniche costruttive sostenibili, e la progettazione integrata tra committenza, progettisti e operatori della filiera del costruire) che a una governance cooperativa tra
autorità pubbliche, Camere di commercio, professionisti e PMI (anche reti di imprese come
quella del settore edilizia sostenibile ed energia del NENA network9) intorno a un mercato smart
dell’edificato a basse emissioni (NZEB), sempre più indirizzato verso un approccio di massa e
272
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
verso la configurazione dell’obiettivo “100% delle prestazioni ecosostenibili”. Governance che
potrà disporre sia del supporto di una rete sostenibile transnazionale di esperti che di comitati
operativi locali (ROC - Regional Operation Committees), per lo scambio di metodologie, competenze e conoscenze.
La Regione del Veneto, il progetto CABEE e l’iniziativa CESBA
CESBA - Common European Sustainable Building Assessment è un’iniziativa bottom up che pro-
1. Logo del progetto CABEE e del programma Spazio Alpino.
muove l’armonizzazione della valutazione dell’edilizia sostenibile in tutta Europa. L’iniziativa
è nata nel febbraio 2011, all’interno della conferenza internazionale di Lione “Dall’Europa
i territori: quale possibile convergenza”, conferenza del progetto europeo ENERBUILD (“Fostering
of SMEs in the sustainable building sector”), dove il problema del disorientamento prodotto dai
diversi sistemi di valutazione era emerso con forza.
L’idea dello sviluppo dell’iniziativa per la creazione di un quadro europeo armonizzato e condiviso
si è sviluppata, poi, nell’Energy World Café, sempre a Lione, nel giugno 2012. In questa occasione
le partnership di diversi progetti europei hanno collaborato e prodotto prima una dichiarazione (luglio 2012) e poi una conferenza a Bruxelles (10 ottobre 2012), al fine di strutturare questa visione
in un rapporto destinato alla Commissione Europea. Contestualmente si è deciso di lanciare un sito
web (CESBA wiki) per la raccolta e la gestione della conoscenza su questa problematica. Lo scopo
non era quello di creare uno standard di qualità ambientale né un nuovo strumento di valutazione,
ma semplificare e armonizzare gli strumenti esistenti al fine di creare e raggiungere un mercato di
massa, sostenibile, adattabile alle varie realtà e a bassi costi. Il target dell’iniziativa CESBA è un target
multi-attore e interessa una vasta gamma di destinatari: gli utilizzatori degli edifici, gli architetti e
i progettisti, le Piccole e Medie Imprese, i costruttori e tutti gli operatori del comparto, le autorità
regionali e nazionali, le amministrazioni pubbliche a livello locale, regionale e nazionale che si occupano di edilizia sostenibile, le agenzie energetiche regionali e locali, gli attori del settore energia,
le università e gli istituti di ricerca.
Finora l’iniziativa CESBA ha svolto numerosi incontri internazionali e coinvolto più di 30 organizzazioni pubbliche e private da tutta Europa. Degli incontri si segnala solo il CESBA Sprint Workshop,
dell’ottobre 2013 tenutasi nel Vorarlberg (Austria), cui hanno partecipato oltre 100 persone provenienti da 11 nazioni europee. Sono stati svolti anche 22 laboratori locali con le PMI e le PA, che
hanno interessato un bacino di partecipanti superiore alle 700 unità, di cui 4 in Veneto con oltre 80
partecipanti10, oltre a numerosi eventi pubblici e di diffusione (attraverso il progetto CABEE).
Inoltre la piattaforma wiki in soli 2 anni di esistenza ha capitalizzato e diffuso conoscenze maturate
nell’ambito di 21 progetti europei e riguardanti la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti
climatici11, il costruire sostenibile12, la mobilità low carbon13, l’efficienza energetica e le energie
rinnovabili14, conoscenze raccolte in oltre 500 articoli, molti dei quali presenti in ben 8 lingue.
L’iniziativa CESBA nell’ambito dell’implementazione della direttiva europea “Opportunità per
migliorare l’efficienza delle risorse nell’edilizia” (COM (2014) 445) partecipa, con un suo rappresentante, ai gruppi di lavoro della DG Ambiente per lo sviluppo di un quadro di riferimento con
indicatori-chiave, inclusi i relativi metodi, da utilizzare per valutare la prestazione ambientale
degli edifici durante tutto il loro ciclo di vita.
Il Veneto, come già specificato, dà il proprio contributo all’iniziativa CESBA attraverso il progetto
CABEE, promosso dalla Sezione urbanistica della Regione del Veneto15, in collaborazione con la
Sezione energia e la Sezione lavori pubblici e con il supporto del Consorzio per lo sviluppo della
bioedilizia di Treviso.
2. Schema descrittivo-concettuale della filosofia del progetto CABEE.
3. I quindici must indicatore del CABEE cluster tool.
Focus 3
273
1
Dati ufficiali della Commissione europea nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: “Strategia per la competitività sostenibile del settore delle costruzioni e delle sue imprese”, COM/2012/0433 finale.
2 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: “Strategia per la competitività
sostenibile del settore delle costruzioni e delle sue imprese”, COM/2012/0433 finale.
3Per informazioni sul progetto europeo CABEE - Capitalizing Alpine Building Evaluation Experiences si
vedano i seguenti siti: http://cabee.regio-v.at/ (sito di progetto); http://www.regione.veneto.it/web/
ambiente-e-territorio/cabee (sito del partner veneto); http://wiki.cesba.eu/wiki/CABEE (sito di diffusione e
comunicazione delle conoscenze).
4 Il progetto CABEE ha come capofila l’Agenzia di sviluppo della regione del Voralberg (AT), mentre sono
partner l’Accademia di architettura di Salisburgo (AT), l’Accademia europea di Bolzano - EURAC (IT), il Centro
di sviluppo della Valle di Soca (SLO), la Regione del Veneto - Sezione urbanistica (IT), il Network Imprese
Alpine - NENA (AT), la Provincia di Alessandria (IT), la Regione Piemonte - Direzione programmazione strategica, Politiche territoriali ed edilizia (IT), l’Agenzia Energia e ambiente della regione Rhôn-Alpes (FR),
lo Studio di ingegneria ZRMK (SLO), l’Università di Scienze applicate di Rosenheim (DE) e il Centro per il
trasferimento delle innovazioni ITZ (CH). Per maggiori dettagli si veda il sito ufficiale del progetto: http://
cabee.regio-v.at/project-partner.
5Per la Direttiva europea 2012/31/EU si vedano i seguenti link: http://wiki.cesba.eu/wiki/Nearly-Zero-Emission-Buildings e http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:153:0013:0035:EN:PDF.
6 Decreto legge 4 giugno 2013, n. 63, “Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE
del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia per
la definizione delle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in
materia di coesione sociale”, GU n. 130 del 5-6-2013.
7Per informazioni sulle synergy grids del progetto CABEE si veda: http://wiki.cesba.eu/wiki/Synergy_Grids_
CABEE; http://wiki.cesba.eu/w/images/9/91/CABEE_WP6_SynergyGrids_Guideline.pdf (linee guida).
8Per informazioni sulla CESBA wiki si vedano: http://wiki.cesba.eu/wiki/Main_Page (informazioni generali);
http://wiki.cesba.eu/w/images/a/a1/CESBA_policy-paper_IT10-2014.pdf (documento programmatico).
9Per informazioni sul NENA network si veda: http://www.nena-network.euk.
274
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
10Per
informazioni sugli ultimi workshop del progetto CABEE si veda: http://it-wiki.cesba.eu/w/index.
php?search=op­portunità&title=Speciale%3ARicerca&go=Vai.
11 I progetti UE relativi alla mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici sono: ALPSTAR - Strategies and action plans towards a CO2 neutrality; SEAP Alps - Sustainable energy planning on municipal level;
C3-Alps - Capitalization of EU project experiences on climate change; CLUE - Climate Neutral Urban Districts
in Europe.
12 I progetti UE relativi al costruire sostenibile sono: AlpHouse - Traditional Alpine building culture and energy
efficiency; ENERBUILD - Fostering of SMEs in the sustainable building sector; SuPerBuildings - Indicators and
methods for sustainable building assessment; OpenHOUSE - Common European method for sustainable building
assessment; IRH-med - Competitiveness of sustainable forms of housing; CONSTRUCTION21 - European platform
on sustainable building; MARIE - Improvement of the energy efficiency of existing buildings; AlpBC - Conjunction
of traditional Alpine Building Culture and Sustainability; CABEE - Capitalization of EU project experiences on sustainable building; CEC5 - Role model of public buildings; AIDA - Fostering the market entry for Nearly Zero Energy
Buildings (NZEBs); ViSiBLE - Valorization of EU project experiences on low carbon economy and energy efficiency
focusing on NZEB; CLUE - Climate Neutral Urban Districts in Europe.
13 I progetti UE relativi alla mobiltà low carbon sono: CO -NeuTrAlp - Renewable energies for mobility use;
2
AlpStore - Intelligent Storage Systems and Mobility; MORECO - Settlement development versus Public transport.
14 I progetti UE relativi all’efficienza energetica e alle energie rinnovabili sono: AlpEnergy - Virtual Power
Stations; AlpStore - Intelligent Storage Systems and Mobility; recharge.green - Renewable energy use versus
conservation of nature and biodiversity; ViSiBLE - Valorization of EU project experiences on low carbon economy
and energy efficiency focusing on NZEB.
15 Lo staff della Sezione urbanistica della Regione del Veneto è coordinato dall’arch. Franco Alberti e comprende l’arch. Claudio Perin, l’arch. Fabio Mattiuzzo, il dott. Claudio Chiapparini, il PhD Vito Garramone,
la dott.ssa Francesca Borga, il dott. Alessio Minto.
Il Regolamento Edilizio Sostenibile di Bassano del Grappa
Roberta Michelon
L’amministrazione civica di Bassano del Grappa, consapevole dell’importanza che temi come sostenibilità e partecipazione rivestono per la cittadinanza e il territorio, ha promosso nel 2010 la stesura di un nuovo Regolamento Edilizio
Sostenibile (RES). Tale strumento, inteso come “impegno comune” (l’acronimo RES richiama anche la “cosa comune” alla
quale chi governa deve attendere con cura perché patrimonio di tutti), è stato condiviso fin dalla sua redazione con una
pluralità di stakeholders presenti nel territorio.
La sua stesura e la sua prima revisione nell’aprile 2014 sono infatti il risultato di un processo partecipativo che ha visto
la fattiva collaborazione di progettisti, operatori del settore edile, associazioni e anche di cittadini, consapevoli che tale
strumento può essere un importante momento di crescita per il nostro territorio.
Esso ha come primo scopo favorire e disciplinare lo sviluppo edilizio sostenibile del territorio comunale, indirizzando tutti gli attori di tale filiera a un utilizzo di metodi, tecnologie e materiali finalizzati al minore uso di risorse naturali e a un
ridotto impatto ambientale. Il regolamento non si presenta infatti come un consueto strumento normativo, ma assume
anche il ruolo, molto più importante, di linea guida per i professionisti e i committenti che devono affrontare la scelta di
una riqualificazione o una nuova costruzione. Gli interventi a cui si applica sono sia quelli di iniziativa pubblica che quelli
di iniziativa privata, compatibilmente con l’esigenza di conservazione dei caratteri storico-architettonici-ambientali degli edifici vincolati e delle aree soggette a vincolo ambientale e paesaggistico.
Inoltre le edificazioni e ristrutturazioni rispettose di tale regolamento, come l’efficienza energetica e il conseguente abbattimento delle emissioni nocive, potevano e possono tuttora attivare nuove dinamiche economiche in un importante
settore, quello edile, che sta patendo più di altri gli effetti della crisi.
Nello specifico, gli obiettivi che l’amministrazione comunale si prefigge con il RES sono:
– perseguire uno sviluppo sostenibile del territorio che soddisfi i bisogni delle generazioni presenti, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare le proprie necessità, e che salvaguardi il comfort abitativo e
la salute dei cittadini;
– incentivare una metodologia di sviluppo edilizio premiando gli interventi edilizi che adottano metodi, tecnologie e
materiali sostenibili;
– disincentivare interventi che presentano minore sensibilità in materia energetico-ambientale;
– attribuire un riconoscimento ai fabbricati che conseguono una qualità ambientale.
Il RES risulta strutturato con una serie di riferimenti normativi e requisiti minimi obbligatori da attuare e presenta una
gamma di opzioni volontarie che danno accesso, a seconda della tipologia dell’intervento edilizio proposto e alla qualità
della progettazione, a incentivi premianti o economici, attraverso la riduzione del contributo di costruzione o volumetrico, attraverso una percentuale di incremento della superficie utile.
Le norme che definiscono i requisiti di qualità e sostenibilità in edilizia sono distinte in cinque settori specifici:
– analisi del sito e dispositivi bioclimatici;
– prestazioni energetiche degli edifici;
– materiali e tecniche ecocompatibili;
– efficienza energetica degli impianti.
Un aspetto molto importante del Regolamento Edilizio Sostenibile è che non è strutturato unicamente dando evidenza
all’aspetto normativo e prescrittivo, bensì quasi come una linea guida per un corretto approccio progettuale agli interventi edilizi. La progettazione dell’intervento risulta infatti guidata attraverso una griglia di articoli obbligatori e/o facoltativi che indirizzano di fatto gli operatori del settore nel prestare una particolare attenzione al rapporto dell’edificio
con l’ambiente esterno (il sito, le condizioni climatiche locali ecc.) e con l’ambiente interno (inquinamento da gas radon
ed elettrosmog, materiali ecc.).
L’efficacia di tale strumento è dimostrata dalla sensibilizzazione ottenuta nel settore edile nel corso di questi ultimi anni,
nonostante la forte crisi non consenta di stimare correttamente l’incidenza di tale strumento nelle richieste di accesso
ai criteri facoltativi.
Focus 3
275
Le infrastrutture verdi
Nicola Boscolo
Di fatto, però, tutti gli interventi edilizi dal gennaio 2011 a ora hanno rispettato i parametri
obbligatori incrementando quindi in modo massivo la qualità dei nuovi interventi edili. A questo si aggiunge una percentuale ridotta di interventi a cui è stato riconosciuto l’accesso agli
incentivi premianti e alla targa di qualità, percentuale che è andata aumentando nel corso degli
anni. Oltre al riscontro numerico va però data evidenza agli effetti indiretti che la promozione
e l’utilizzo di tale regolamento ha indotto nella collettività, primo fra tutti un incremento della
conoscenza e della consapevolezza dell’importanza dell’utilizzo di tecniche costruttive innovative e biocompatibili.
L’utilizzo inoltre del metodo partecipativo nella redazione e revisione del RES ha contribuito a
riconoscere in tale strumento da parte della collettività più un’”opportunità” che un “vincolo”.
Il RES, per le specificità che tratta, è da considerarsi un processo in itinere da integrare anche con
contributi esterni, attraverso revisioni e aggiornamenti continui, in quanto materiali e tecniche
costruttive e impiantistiche sono soggetti a innovazioni frequenti.
La stessa fase di esame delle pratiche edilizie ha più un approccio indirizzato al dialogo e al
raffronto che alla rigida ispezione, contribuendo essa stessa a correggere e reindirizzare i contenuti del regolamento.
La variante al PTRC adottata nel 2013, con l’introduzione dello strumento della Pianificazione Paesaggistica Regionale
d’Ambito (PPRA), è stata l’occasione per avviare diverse attività inerenti la pianificazione e la riqualificazione riguardante
il territorio della Regione Veneto ai sensi del D.Lgs. 42/2004.
Si è dato quindi avvio a numerosi studi a scala regionale, uno dei quali rivolto al tema delle infrastrutture, con attenzione
alla sostenibilità e alla mitigazione attraverso interventi di ricucitura ambientale, riflettendo inoltre, con riferimento alla
Convenzione Europea del Paesaggio (20 ottobre 2000, Firenze), su alcuni primi interrogativi: le persone come percepiscono le infrastrutture? Ci sono infrastrutture che dovrebbero essere salvaguardate e/o riqualificate?
Si è pertanto provveduto all’elaborazione di un prototipo di studio e analisi applicabile al rapporto tra le infrastrutture e
il paesaggio, il cui riferimento iniziale sono stati gli Obiettivi di qualità paesaggistica contenuti nel Documento per la Pianificazione Paesaggistica (PTRC, variante 2013) e preliminari ai PPRA, riletti attraverso un punto di vista infrastrutturale:
per ciascuno degli obiettivi è stata individuata una serie di azioni e d’interventi che possono favorirne il raggiungimento.
Infine sono stati definiti otto caratteri che contribuiscono a qualificare un’infrastruttura dal punto di vista paesaggistico,
dall’infrastruttura in senso stretto fino al contesto territoriale in cui si colloca.
Parallelamente a queste riflessioni di carattere metodologico è stata avviata anche una sperimentazione applicativa
riguardante l’ambito “Arco costiero adriatico dal Po al Piave, laguna di Venezia e Delta del Po”, primo ambito oggetto di
PPRA. Sono stati considerati tre casi d’infrastrutture viarie: il Terraglio, la Rovigo-Adria e la Riviera del Brenta, che hanno
caratteristiche comuni; si tratta di sistemi lineari tutelati paesaggisticamente e caratterizzati dalla presenza di manufatti
di interesse storico, giardini, ville, filari alberati ecc., ma anche di criticità simili tra loro, dovute a fenomeni di progressiva
urbanizzazione lineare, alla presenza di traffico pesante e a un generale disordine visivo e funzionale.
La prospettiva in cui ci si è posti non è stata solamente quella di puntuali interventi di conservazione dei valori, ma si
è effettuata anche una valutazione di scenari alternativi di grande scala, nell’ottica di un progetto integrato tra l’infrastruttura e il territorio. La dimensione reticolare del sistema infrastrutturale ben si presta a ragionare in termini di
scenario, perché gli interventi sulle infrastrutture hanno ricadute territoriali potenzialmente molto lontane dal luogo
d’intervento, anche solo per la capacità di condizionare i flussi e i nodi della rete. Questa prospettiva ha portato a osservare che per ciascuno dei tre casi studio esiste almeno uno scenario alternativo che consentirebbe di spostare una parte
significativa dei flussi di traffico, diminuendone la fruizione automobilistica e dando la possibilità di una riqualificazione
non occasionale ma sistematica degli stessi. Nello specifico, la Nogara-Mare, il Terraglio Est e l’idrovia camionabile Padova-Venezia sono i tratti infrastrutturali di possibile contrappunto con i tre casi studio esaminati. L’attuazione di scenari
alternativi permetterebbe così di ridurre i flussi nelle tre arterie storiche e riqualificarle. Le azioni possibili da applicare
potrebbero riguardare l’aumento delle superfici permeabili, la scelta di materiali più congrui, l’incremento del verde e la
riduzione della sezione stradale, utilizzando ad esempio le tecniche dei woonerf olandesi, dove pedoni e ciclisti hanno
la precedenza, grazie a una serie di accorgimenti progettuali, tra cui l’aumento accorto della sinuosità, gli automobilisti
non solo sono costretti ad adottare comportamenti di guida più prudenti, ma nel contempo possono rapportarsi con il
paesaggio circostante in maniera più lenta e consapevole. Si tratta di interventi che contribuiscono a migliorare sia la
qualità estetico-visiva, sia il livello di prestazione ambientale, ma anche la fruibilità e il benessere degli utenti delle varie
tipologie (abitanti, turisti, automobilisti, ciclisti ecc.).
Gli obiettivi di sostenibilità e di mitigazione vengono così conseguiti e non solo s’intrecciano ma diventano anche dipendenti tra loro, fino a costituire l’asse principale di tutto il progetto. Tutto ciò si potrebbe attuare anche attraverso specifici
interventi di ricucitura ambientale ad hoc, creando un sistema-rete integrato che può essere potenziato tramite dei “progetti speciali” in termini di marketing territoriale, nei quali trovano la loro giusta diffusione non solo le specificità intese
come caratteristiche architettoniche e naturalistiche, ma anche come peculiarità riferite ai prodotti e saperi locali.
1. Copertina del regolamento edilizio sostenibile di Bassano del Grappa.
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Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Focus 3
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1. Tavole di analisi e progetto per il tratto Rovigo-Adria,
dall’alto al basso: valori, criticità, Obiettivi di qualità paesaggistica e azioni, progetto-estratto.
2. Caratteri della qualificazione morfologica e paesaggistica di un’infrastruttura.
L’educazione per lo sviluppo sostenibile: ondate di calore, verde ed energia
Giovanna Pizzo, Selene Verzola
L’Unione Europea, nella strategia 20-20-20, ha messo al centro dell’attenzione alcuni obiettivi: a partire dalla crescita intelligente, perché si sviluppino economie basate sulla conoscenza e l’innovazione, a una crescita inclusiva che promuova
un’economia che favorisca la coesione sociale, fino a una crescita sostenibile, che promuova un’economia più efficiente,
sotto il profilo delle risorse, più “verde” e più competitiva.
Rispetto a quest’ultimo obiettivo si é dunque particolarmente investito nella realizzazione di campagne nazionali di
sensibilizzazione sulle tematiche ambientali, anche nei paesi membri dove queste non erano ancora state attuate1.
Lo sviluppo di strumenti come la comunicazione, attraverso messaggi pubblicitari, siti web, mostre, eventi, programmi
scolastici e progettazioni specifiche2, è infatti ritenuto strategico anche per la protezione dell’ambiente e la gestione
sostenibile delle risorse naturali.
L’obiettivo di tali azioni, rivolte a policy makers, comunità, istituzioni scolastiche, è raggiungere significative trasformazioni nei comportamenti e in particolare, in questi ultimi anni, che possano contribuire alla gestione degli effetti dei
cambiamenti climatici, a migliorare la capacità di adattamento, a ridurre la vulnerabilità complessiva delle comunità.
Le campagne di sensibilizzazione costituiscono quindi un importante aspetto nelle politiche di adattamento, anche per
il superamento di ostacoli come la negazione di problematiche legate a tali eventi o lo scetticismo che può derivare da
una scarsità di informazioni relative a questi temi.
Tra le tante, innumerevoli, emergenze ambientali che si è cercato di affrontare, anche il cambiamento climatico ha
rappresentato una sfida importante per istituzioni, mondo civile e agenzie educative chiamati a intervenire e a costruire
in sinergia percorsi e iniziative educative.
Com’è noto, i cambiamenti climatici stanno coinvolgendo numerosi aspetti della società civile, non ultimo quello della
salute umana, con seri rischi per la stessa. Negli anni i governi e i sistemi sanitari nazionali hanno sviluppato strategie
per anticipare il rischio, tra cui lo studio di sistemi per eventi estremi, nell’ottica di prevenire e gestire gli impatti di
tali cambiamenti sulla popolazione. Misure sono state predisposte, quindi, combinando efficienza dei sistemi sanitari,
informazioni alla cittadinanza, assistenza, pianificazione urbana.
è infatti necessario che tutti i settori, per quanto di propria competenza, preparino le comunità e i territori all’aumento dei rischi climatici e delle temperature. La diffusione di informazioni scientifiche e di conoscenze precise, accanto
all’adeguata esperienza in condizioni di emergenza che ne deriva, sono infatti elementi importanti per creare consapevolezza.
L’Unione Europea per questo si è impegnata anche nel ribadire come «L’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dovrebbe
occupare un posto centrale nell’istruzione e la formazione lungo tutto il corso della vita e dovrebbe, se non già applicata,
essere integrata a tutti i livelli e in tutti gli aspetti della formazione, per meglio armare i cittadini a far fronte a problemi
imprevisti e imminenti e trovare soluzioni a lungo termine per questi problemi in molte situazioni diverse dalla vita»3.
Questo tipo di educazione, infatti, «oltre ad assicurare un pieno sviluppo delle persone, le attrezza ad affrontare in modo
critico e creativo le difficoltà e le sfide della vita e sostiene cambiamenti che portino ad una società migliore e ad un
mondo più pacifico»4.
Anche il contesto internazionale ha contribuito alla crescita dell’educazione ambientale, proclamando nella 78° Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la dichiarazione n. 27/257 del 20 Dicembre 2002, il DESS – Decennio dell’Educazione per lo Sviluppo Sostenibile 2005-2014, nell’ambito del quale in Italia si sono mosse le politiche promosse dal
Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.
In Italia da tempo un’intensa attività, promossa dalle regioni incaricate, ha consentito lo sviluppo di programmi a beneficio dei territori, che hanno portato anche le istituzioni centrali e locali a condividere nuove e più efficaci strategie.
Lo scorso anno ricorreva il ventesimo anniversario (1994-2014) della costituzione del Sistema nazionale per l’Informazione, la Formazione e l’Educazione Ambientale – INFEA5, nato per diffondere sul territorio la crescita di iniziative e
strutture, nell’ambito dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile, attraverso il coinvolgimento di enti locali, associazioni,
istituzioni scolastiche.
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Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Focus 3
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Il Sistema INFEA e l’Educazione alla sostenibilità possono rivestire un ruolo rilevante, così come
evidenziato negli indirizzi del Sistema veneto dell’educazione ambientale6, costituitosi nel
2008, che mira a «stimolare il pensiero critico, la partecipazione, la responsabilità», e individua «nella comunicazione, l’educazione e la formazione gli strumenti essenziali per incidere
sulla costruzione di competenze, anche nell’ambito del vasto e complesso tema dei Cambiamenti Climatici».
Ondate di calore ed educazione alla sostenibilità
Nelle aree urbane un particolare fenomeno che si sta evidenziando è quello delle ondate di
calore, per fronteggiare le quali vari stati si sono attivati con misure, come la pianificazione di
interventi di formazione e di scambio di conoscenze per la cittadinanza.
L’aumento della frequenza e dell’intensità di questi eventi potrebbe portare a un incremento
della mortalità e all’insorgere di malattie che si sviluppano con l’aumento delle temperature
come patologie da vettori e tossinfezioni alimentari, allungamento del periodo medio di crescita di piante che causano allergie, variazioni della qualità dell’acqua. Tutto ciò avrà impatti sulla
popolazione delle città, in particolare anziani e ammalati. Per questo è emersa la necessità
di introdurre misure preventive ulteriori e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, da diversi
anni, raccomanda a regioni e paesi europei di sviluppare e attuare piani d’azione per prevenire,
reagire e contenere i rischi per la salute legati al calore.
Il progetto EuroHEAT7, cofinanziato dalla Commissione Europea – Direzione generale salute e
consumatori, e coordinato dall’OMS Europa dal 2005 al 2007, ha quantificato gli effetti sulla
salute del calore nelle città, individuando azioni che migliorassero la preparazione dei sistemi
sanitari e la risposta agli effetti delle ondate di calore.
Misure specifiche per la salute pubblica sono state studiate, in particolare in Francia8, proprio
dopo le temperature record registrate nell’estate del 2003. In quell’occasione, infatti, molti paesi, scoprendosi impreparati e non in grado di fronteggiare la crisi, iniziarono a lavorare a piani di
azione per affrontare le ondate di calore. Tali piani prevedevano, oltre allo studio dei rischi associati a questo tipo di fenomeno, allo sviluppo di sistemi di sorveglianza ambientale e di allarme
in caso di evento estremo, attraverso il coordinamento tra le agenzie deputate e gli organi di
ricerca per fornire indicazioni chiare e tempestive, anche la redazione di piani di informazione
alla cittadinanza per fornire linee guida su come proteggersi di fronte a tali eventi. All’interno
dei piani i governi definirono ruoli, responsabilità e azioni che le varie organizzazioni pubbliche
avevano il compito di attivare a ogni livello.
In Inghilterra, il Piano delle ondate di calore (Heatwave plan for England)9, messo a punto dal
Dipartimento di salute pubblica, si pone l’obiettivo di ridurre il numero della mortalità estiva
e delle malattie, attraverso un aumento della consapevolezza pubblica e della prevenzione,
l’impegno della società civile, a supporto di quanti possono essere più vulnerabili in condizioni
di calore estivo. Il piano è frutto di molti anni di esperienza nello sviluppo e nell’incremento
delle competenze del settore sanitario e dei suoi partner. Prevede comunicazioni specifiche alla
comunità, a cui vengono forniti gli strumenti per allertare e prevenire gli effetti del calore sulle
persone maggiormente vulnerabili durante i periodi più caldi, e ogni ente locale è invitato ad
adottarlo all’interno dei propri piani di prevenzione.
Anche in Italia il Ministero della Salute ha attivato da diversi anni un sistema di informazione,
attraverso la divulgazione di opuscoli rivolti alla popolazione, e di monitoraggio, nell’ambito
del programma di attività Estate sicura10. Il Sistema nazionale di previsione allarme ondate
di calore permette di prevedere e prevenire gli effetti delle ondate di calore sulla salute della
popolazione, consentendo una migliore programmazione degli interventi.
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Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Accanto all’azione di sorveglianza, prevenzione e informazione, promossa da soggetti come i
sistemi sanitari nazionali, le regioni e gli enti locali, occorre però sottolineare quanto possa essere
decisivo un processo di educazione della cittadinanza, che fornisca non solo strumenti per affrontare concretamente e in modo cosciente questo tipo di fenomeni, ma che coinvolga anche il più
possibile i cittadini nello stesso processo decisionale per pianificare e prevenirne gli effetti.
La formazione alla società sostenibile è l’asse centrale di percorsi educativi che si fondano su
azioni orientate a conoscere e «imparare a valutare i problemi ambientali e ad effettuare delle
scelte al fine di adempiere a responsabilità individuali e collettive verso il nostro ambiente di
vita immediato, l’ambiente globale e le generazioni future»11.
Di fronte ai cambiamenti che colpiscono il pianeta a livello locale e globale, forte può dunque essere il contributo del mondo della formazione a elevare le conoscenze e a fare evolvere
i comportamenti individuali e collettivi, in quanto un’informazione generica o generale non è
più sufficiente a educare o a modificare le abitudini, ma è necessaria un’azione mirata a target
specifici, come veicolo di conoscenza e consapevolezza.
Dal momento che quindi è evidente l’aumento dei cambiamenti climatici, diviene fondamentale insegnare con maggiore efficacia cosa sia il clima, come si manifesti e perché oggi si osservino fenomeni improvvisi e devastanti, e al tempo stesso comunicare le conseguenze degli
effetti per i territori e le comunità.
L’evoluzione che ha subito in questi anni l’Educazione alla sostenibilità, nella direzione di un
approccio collegato anche alle incertezze individuali, chiarendo come nuovi comportamenti e
stili di vita, più rispettosi dell’ambiente, possano incidere in maniera significativa su riduzione di
emissioni climalteranti, risparmio energetico e salvaguardia dei sistemi naturali, ha significato
iniziare a ragionare sulla prevenzione del rischio, intervenendo sul controllo del territorio, la pianificazione delle città, incluse le scelte energetiche e l’efficienza dei sistemi urbani, e mettendoci
nella condizione di essere preparati in maniera adeguata a reagire agli impatti climatici.
Particolarmente vulnerabili di fronte a eventi estremi sono infatti le città. Come confermato
dalla relazione dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, molti sono i
rischi concentrati nelle aree urbane: stress da calore, precipitazioni estreme, inquinamento
atmosferico, che hanno effetti su persone, economie ed ecosistemi.
Gli enti locali diventano quindi soggetti strategici per promuovere piani a lungo termine che si
muovano nella direzione dell’adattamento alle ripercussioni dei cambiamenti climatici, offrendo per primi un esempio di società sostenibile e promuovendone i valori. Per questo diviene
sempre più stringente la necessità di avviare, oltre all’elaborazione di progetti, raccomandazioni, linee guida locali o attività di pianificazione di strategie come mitigazione ed adattamento,
anche iniziative educative e comunicative efficaci. E molte delle soluzioni messe in atto, adatte
a contrastare i cambiamenti climatici, hanno questa duplice valenza, perché possono essere
utilizzate proprio come strumento educativo nei confronti di comunità e istituzioni scolastiche.
Numerosi diventano allora i settori di intervento in ambito urbano, all’interno dei quali poter
attivare percorsi di ecologia urbana, con il coinvolgimento delle persone, anche nei processi
decisionali, facendoli passare da soggetti passivi a soggetti partecipativi e responsabilizzati:
dalla gestione del verde pubblico, alle soluzioni urbanistiche fino alla mobilità.
La costruzione di percorsi di questo tipo, in cui viene favorito un processo di crescita nei cittadini
tramite la loro partecipazione a esperienze significative, può incidere notevolmente sull’adozione di modelli di programmazione territoriale sostenibili, con il risultato di trovare più facilmente
soluzioni nell’ambito delle problematiche urbane. All’impegno delle comunità dovrebbe però
corrispondere un cambiamento reale nella città, per dare concretezza e coerenza al percorso.
Verde urbano: parchi, giardini e orti
Le città generano calore durante tutto l’anno, con le proprie attività e il traffico, costituendo una
vera e propria isola di calore, a cui si somma l’effetto di temperature maggiori che in questi anni
nel periodo estivo si sono notevolmente intensificate. Di fronte a ciò la ricerca scientifica ha evidenziato il ruolo fondamentale di spazi verdi urbani e periurbani, innanzitutto nel modificare
parametri ambientali come la temperatura o la qualità dell’aria, ma anche nel contribuire al
mantenimento della biodiversità, fornendo un habitat a molte specie animali, e del paesaggio
e nel promuovere comportamenti di vita più sani e sostenibili.
In diverse città si è invece registrato un impoverimento, anche culturale, per quanto riguarda il
ruolo delle zone verdi presenti in città, progressivamente ridotte, scomparse o non accessibili.
Per aumentare la copertura del terreno possibili azioni da mettere in atto in ambito urbano potrebbero essere l’espansione di boschi, orti comunitari, parchi e coperti di vegetazione nativa,
programmi di forestazione urbana basati sulla partecipazione dei cittadini.
Le opportunità di cittadinanza attiva che si possono sviluppare nella realizzazione di aree verdi
urbane sono innumerevoli, in primis la cura e la manutenzione, anche in considerazione del
fatto che il problema del verde per le amministrazioni non si riduce all’installazione, ma comprende, in una fase successiva, anche la gestione e la tutela di tali spazi. «La loro attrattiva non
è infatti direttamente legata alla loro naturalità, ma al fatto che siano accuratamente pianificati, progettati e gestiti»12.
In tal senso, il coinvolgimento delle comunità è uno strumento per ampliare una cultura degli
spazi verdi collettivi, che devono essere elementi integrati all’interno delle città e non separati
dalle stesse.
Altre possibilità legate alla coltivazione delle piante e alla realizzazione e alla manutenzione
del verde riguardano l’intera popolazione e in particolare i giovani in età scolastica, con la
progettazione di situazioni e attività che possano facilitare esperienze significative non solo
dal punto di vista scientifico, ma anche da quello esperienziale ed emotivo, aspetti fondanti
dell’educazione alla sostenibilità.
Osservazione dei mutamenti stagionali, aspetti naturalistici, modificazioni apportate dall’uomo al paesaggio, biodiversità, sono solo alcune delle attività e dei temi che possono essere
sviluppati, a partire da realtà maggiormente vicine al vissuto quotidiano dei ragazzi stessi.
Ciò è fondamentale anche per favorire un atteggiamento partecipativo alle scelte di gestione
dei territori e per assumere responsabilità per il controllo e la pianificazione di questi spazi.
La valorizzazione del patrimonio naturale delle nostre città non può quindi considerarsi slegata
da una reale educazione al rispetto dell’ambiente.
Infine va menzionata la progettazione di orti, moltiplicatasi in molte città a livello mondiale
in questi anni. Si tratta di un fenomeno in espansione, che si sviluppa oggi, rispetto al passato, all’interno delle città e non solo in zone periferiche, coinvolgendo tutte le fasce di età e
dimostrando il successo di numerose iniziative nate, anche in Italia, per l’impulso e l’impegno
dei cittadini.
Questo tipo di progettazione, che riprende un elemento che è sempre stato di grande importanza nell’urbanistica italiana, permette alle amministrazioni di recuperare aree abbandonate
e degradate, costituendo un momento di aggregazione e partecipazione alla vita sociale, con
una decisa valenza didattica.
ma tale accorgimento diventa anche un elemento di protezione, in quanto grazie alla vegetazione le precipitazioni vengono assorbite ritardando e diminuendo il deflusso dell’acqua.
La presenza di tetti verdi, in particolare su istituti scolastici, ma anche più semplicemente la
sistemazione di giardini e aree verdi scolastiche possono essere la spinta per sviluppare percorsi
didattici anche nelle classi. I cortili sono vere e proprie aule all’aperto per gli studenti, in cui
svolgere attività pratiche e sperimentali su argomenti complessi e infine integrare il percorso
all’interno delle discipline previste dalle indicazioni per il curricolo.
Ricreare un “giardino dei sensi” per le scuole dell’infanzia, costruire nidi artificiali e mangiatoie
per uccelli, contribuendo ad approfondire la conoscenza della biodiversità animale che si può
incontrare in ambiente urbano, anche attraverso piccoli biotopi, cioè mini-ecosistemi come
lo stagno, sono attività che permettono di attivare percorsi che sviluppino le conoscenze dei
bambini in questo campo.
Anche queste aree sono ideali per realizzare spazi coltivabili che possono produrre alimenti biologici a supporto delle mense interne, a impatto quasi nullo. Gli orti didattici permettono agli
studenti di sperimentare la preparazione del terreno, la messa a dimora delle piante, praticare il
compostaggio e la raccolta dei prodotti. è possibile studiare schede identificative e informative
di piante e animali che si incontrano durante le osservazioni, con l’obiettivo che questi spazi
diventino luogo di aggregazione anche per le comunità.
Per garantire la giusta incisività, una riqualificazione di questo tipo dovrebbe vedere la diretta
partecipazione di studenti, ma anche di personale scolastico, famiglie ed esperti.
Mobilità
La moderazione del traffico e l’applicazione di norme per rendere le strade più sicure per la
circolazione di pedoni e ciclisti può incentivare l’attivazione di progetti specifici anche per le
scuole, come il Piedibus. Le esperienze di questo tipo, ormai più che consolidate in numerose
città, hanno dimostrato come l’andare a scuola a piedi, meglio ancora da soli, possa aumentare l’autonomia dei bambini, ma soprattutto sia un modo per decongestionare il traffico, in
particolare per gli spostamenti di vicinato e per le aree sensibili, come quelle nella prossimità
delle scuole. è innegabile che il miglioramento delle condizioni di accessibilità agli istituti, la
risistemazione e la protezione dei luoghi che si trovano intorno alle scuole, ma anche dei principali itinerari scolastici svolga un’azione educativa e di sensibilizzazione fondamentale, che può
essere ulteriormente rafforzata da un’indagine svolta direttamente dalle classi, lungo le vie,
allo scopo di localizzare con precisione i luoghi più pericolosi, rilevare i flussi di traffico, studiare
le problematiche del percorso e proporre possibili alternative e soluzioni.
Risparmio energetico
Tra le principali voci del consumo urbano di energia va menzionato il settore residenziale, penalizzato, per citare alcune cause, da ritardi dei provvedimenti per il risparmio energetico negli
edifici e dalla scarsa politica in favore dell’architettura bioclimatica in ambito urbano. A questo
si deve aggiungere l’utilizzo massiccio, nelle abitazioni, di elettrodomestici che convertono
gran parte dell’energia consumata in calore, l’illuminazione spesso irrazionale, gli usi impropri
dell’elettricità.
Cortili e tetti verdi nelle scuole
La riconversione delle coperture degli edifici può ristabilire condizioni di benessere, dal momento che le superfici, non surriscaldandosi, si trasformano in fattori che migliorano il clima urbano,
Focus 3
281
Nel settore dell’energia la chiave sta invece nel ridurre il consumo di elettricità utilizzata, nel
periodo estivo, a scopo di refrigerazione con accorgimenti edili e tecnici o interventi di vegetalizzazione che accrescano l’efficienza energetica degli edifici e aumentino il raffrescamento
naturale.
Qualora non sia possibile provvedere a questo tipo di interventi, le famiglie possono contribuire
comunque al risparmio energetico e ridurre così la propria richiesta di energia:
– migliorando l’uso e le prestazioni degli elettrodomestici;
– usando dispositivi a basso consumo energetico, che vanno scollegati se non utilizzati;
– utilizzando razionalmente il climatizzatore per ridurre la temperatura interna della casa non
più di 3-4 °C rispetto a quella esterna. Gli apparecchi di raffrescamento in abitazioni e uffici
dovrebbero essere regolati per stabilizzare le temperature senza creare stanze troppo fredde, che possono comportare, in particolare per le persone anziane, rischi per la salute;
– chiudendo o schermando sempre le finestre per impedire un inutile quanto costoso scambio
di calore tra interno ed esterno;
– favorendo la luce naturale e migliorando l’uso dell’illuminazione artificiale, con lampade a LED.
Non va poi dimenticato che in generale incentivare l’aumento dell’utilizzo di fonti rinnovabili
rimane strategico nel campo energetico.
Priorità dovrebbe essere data anche alla riduzione della domanda di acqua. La diminuzione
dei consumi domestici contribuisce alla riduzione dei prelievi quando emergono problematiche
per diversi usi della risorsa. L’intervento sul ciclo dell’acqua riduce i fabbisogni e i consumi di acqua nelle abitazioni, attraverso il recupero, la depurazione, il riutilizzo per gli usi compatibili.
Patto dei Sindaci e Patto dei Sindaci per l’adattamento
Per aumentare e mantenere il profilo di adattamento e promuovere azioni per integrare la resilienza del clima in tutti i propri servizi gli enti locali e le amministrazioni hanno oggi un nuovo
strumento, offerto dall’Unione Europea, all’interno del Patto dei Sindaci13.
Il Patto dei Sindaci per l’adattamento14 è un’iniziativa istituita nel marzo 2014 per coinvolgere i
comuni sul cambiamento climatico e aiutarli a intraprendere azioni concrete sui propri territori.
Se il Patto dei Sindaci ritiene fondamentale, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle
emissioni climalteranti, interventi di mitigazione come l’efficientamento, il risparmio energetico e la promozione delle fonti energetiche rinnovabili, il Patto dei Sindaci per l’adattamento
rafforza il percorso prevedendo anche la sperimentazione di alcune misure concrete da attuare
a livello locale, per rendere le città meno vulnerabili e in grado di agire in caso di alluvioni,
siccità e altre conseguenze del mutamento del clima.
Non va dimenticato che le amministrazioni locali hanno un ruolo nel consumo di energia, ma
anche nella pianificazione di strategie per la sua razionalizzazione e sono quindi chiamate a intervenire direttamente per provvedere a efficientamento e riduzione dei consumi in particolare
per patrimonio edilizio e veicoli.
Rispetto al fenomeno delle isole di calore urbane, il PAES – Piano di Azioni per l’Energia Sostenibile – può contemplare, tra le politiche per la riduzione di tale effetto, azioni per l‘integrazione
e la qualificazione delle superfici a verde, finalizzate al contribuire al ribilanciamento delle
quote di CO2 in atmosfera, incentivi per le famiglie per l’efficienza energetica delle abitazioni e
l’utilizzo di fonti rinnovabili.
Nella redazione del PAES, inoltre, l’inclusione di iniziative di informazione e sensibilizzazione rivolte alla popolazione su temi quali energia pulita, fonti rinnovabili, riduzione dei rifiuti, emissioni
di CO2 e in generale per la diffusione di stili di vita sostenibili può rivelarsi un punto di forza.
282
Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti
Queste iniziative potrebbero essere dedicate alle scuole, sviluppando attività che prevedano
laboratori esperienziali, che possano coinvolgere le giovani generazioni impegnandole a comprendere le proprie responsabilità e coinvolgendole in un profondo cambiamento culturale.
La comunità scolastica, per la sua funzione di presidio territoriale, è poi lo strumento adatto
per estendere il messaggio a famiglie, docenti, amministratori, verso i quali è però fondamentale intervenire con azioni specifiche con cui mettere in mostra buone pratiche ed eccellenze
locali in campo energetico, per promuovere coinvolgimento e adesione a quei comportamenti
ecosostenibili che risultano essere oggi un contributo indispensabile al raggiungimento degli
obiettivi che ci vengono richiesti.
1
http://climate-adapt.eea.europa.eu.
You control the Climate Change, Coolplanet, World you like. With a climate you like, Connect4Climate,
Unite for Climate, Kid4energy, Kids4future.
3 Conclusione del Consiglio del 19 novembre 2010 sull’educazione allo sviluppo sostenibile (2010/C
327/05).
4 Sterling, S. (2001), Sustainable Education: Re-Visioning Learning and Change. Devon: Green Book.
5 http://www.minambiente.it/pagina/il-sistema-nazionale-infea.
6 http://www.arpa.veneto.it/rete-ea/retedamb_home.php.
7 www.euroheat-project.org.
8 http://www.sante.gouv.fr/vague-de-chaleur-recommandations-pour-la-population.html.
9 https://www.gov.uk/government/publications/heatwave-plan-for-england.
10 www.salute.gov.it.
11 Dieci proposte in favore dell’Educazione Ambientale e lo sviluppo sostenibile in Europa. Memorandum
sull’EASS, 2014.
12 Semenzato P., 2003. Un piano per il verde. Pianificare e gestire la foresta urbana. Padova: Signum Editrice.
13 http://www.pattodeisindaci.eu.
14 http://mayors-adapt.eu/.
2
appendice
Rassegna di casi studio internazionali
Alessandro Salvati
I processi di pianificazione potrebbero essere immaginati come un’arena nella quale storie, idee,
interessi o necessità di (maggiore/minore) cambiamento si incrociano nella produzione di una grande
quantità di decisioni, azioni e progetti di territorio i cui esiti non sono controllabili a priori. A prescindere dalla loro natura e dalla loro evoluzione, i processi sono sempre stati caratterizzati dal gioco
dell’interazione tra le parti: un meccanismo tanto complesso quanto decisivo, in cui – a dispetto dei
numerosi tentativi di semplificazione – la prassi contempla ripetuti rimescolamenti di carte e richiama a una generale esigenza di flessibililtà nella produzione delle scelte. A mio avviso, tuttavia, questa
esigenza sottostà a un prerequisito di ordine superiore che è la presenza tra le parti – e in primis a
carico dell’azione pubblica – di una visione futura o di un’idea del cambiamento legata al proprio
territorio: idealmente infatti, l’azione pubblica dovrebbe essere in grado di portare avanti una visione
di territorio, di costruire consenso intorno a essa, di recepire e integrare ciò che già proviene dal territorio e di correggere il tiro delle proprie azioni se e quando necessario. Ma questo decalogo di buone
condotte è tutt’altro che semplice e – nella pratica comune – è qualcosa di molto distante dalla realtà.
Purtroppo – duole constatarlo – l’azione pubblica nella maggior parte dei casi non è un reale
fautore di cambiamento. Il più delle volte le intenzionalità delle amministrazioni pubbliche sono povere, non si rifanno praticamente mai a visioni future del territorio, ma si riducono a scarne “agende
dei sindaci”, elenchi confusi di faccende puntuali, sconnesse, di ordinaria gestione, business as usual
o – nel caso peggiore – di recepimento delle uniche istanze di cambiamento sul tavolo: quelle degli
interessi particolari.
Comprenderne adeguatamente le ragioni non è semplice e richiederebbe una trattazione a
parte, ben oltre gli obiettivi di questo capitolo. Qui interessa solo rimarcare un aspetto che sarà
in seguito ribadito: l’importanza e la complessità della questione non può essere liquidata – né
tantomeno risolta – facendo unicamente richiamo a buone pratiche o a condotte ideali. Le best
practice così come l’informazione a riguardo abbondano e ciò nonostante – alla riprova dei fatti –
ci accorgiamo che né la loro osservazione, né la loro emulazione (qualora fosse praticabile) possono
ritenersi condizioni sufficienti o risolutive.
Quanto appena detto ridimensiona ragionevolmente una parte delle pretese di un contributo –
come questo – basato sui “casi” e intende invitare il lettore a una riflessione profonda riguardo la complessità delle condizioni in grado di portare un piano, una politica o un progetto ad avere successo.
Nel piccolo di questo contributo, si vuole provare a offrire spunti, idee o anche solo pretesti per
qualche “prova di cambiamento”, nell’auspicio di parlare agli amministratori e far loro ricordare che
essere portatori di cambiamento è una missione che rientra tra le prerogative più nobili dell’azione pubblica. Parlare di pianificazione climatica del territorio perciò altro non è che un pretesto
– nell’accezione positiva del termine – per evidenziare, con ancora più forza, la necessità di proporre piani, politiche, progetti migliori, giusti, sostenibili e innovativi (proprio nel senso di fautori di
cambiamento).
L’obiettivo di questo capitolo non vuole quindi essere la contemplazione entusiastica di casi
studio estremamente avanzati e talvolta anche unici nel loro genere: l’intento è quello di provare a
riflettere, a partire da ciò che è stato fatto prima e altrove, su quanto è possibile fare limitatamente
al proprio contesto, alle proprie risorse, alle proprie capacità, ma soprattutto alle proprie necessità.
Alcuni casi – non tutti – dimostrano essenzialmente questo, ovvero che è possibile includere gli
aspetti climatici in piani, politiche e progetti anche quando questi sono ritagliati su altri scopi e
obiettivi. I casi di Londra, Il Cairo o New York non includono il clima o le isole di calore tra i loro
temi o obiettivi portanti, ma si riferiscono a aspetti quali (rispettivamente) la socialità, la lotta alla
povertà e il lavoro. Da un’altra prospettiva ciò significa che destinare risorse e sforzi nella messa a
punto di politiche locali per il clima urbano non è per forza una scelta da privilegiati o un vezzo
da posporre a questioni ritenute socialmente più urgenti: nulla esclude la possibilità di perseguire
285
più obiettivi attraverso un’unica grande strategia di adattamento o mitigazione del cambiamento
climatico in atto.
La maggior parte dei casi presi in analisi è centrata su precisi obiettivi di mitigazione dell’effetto isola di calore urbana, sebbene siano inseriti all’interno di più ampie strategie di adattamento
al cambiamento climatico. Occorre considerare i casi per ciò che rappresentano realmente, vale a
dire delle nobili (e avanzate) sperimentazioni strettamente legate al loro contesto di appartenenza e
che – in quanto tali – non si può pensare si possano estendere in modo automatico al contesto del
Veneto (se non a costo di qualche forzatura). Dai casi è senz’altro possibile apprendere, trarre spunti
e guide per l’azione, dopodiché rimane comunque necessario massimizzare i risultati a partire dal
proprio contesto, dai limiti e dai vincoli che vi sussistono, ben sapendo che costruire piani e politiche di successo non è sempre e solo una questione di risorse a disposizione, ma anche di volontà,
competenza, creatività e di un pizzico di coraggio.
In quest’ottica è possibile ricavare dalla lettura dei casi differenti ordini di informazione: le informazioni contestuali, relative alle specifiche vicende del “processo” (ma non solo), che accompagnano i casi di politiche e pratiche riportati e che giocano un ruolo fondamentale nel determinarne
il successo, sono generalmente le più difficili da estrarre (e tantomeno da riprodurre). Il retroterra
normativo e culturale, il tipo di tradizione nel governo del territorio, il ruolo delle leadership da parte
dei responsabili politici e amministrativi, l’incorporazione delle conoscenze particolari e il rapporto
con università e centri di ricerca, le sinergie con gli altri enti di governo locale e sovra-locale, la disponibilità di risorse e le capacità di procurarsene, il capitale sociale e il grado di coinvolgimento e
attivazione della cittadinanza ecc. sono infatti aspetti che richiedono una lettura profonda e articolata
e in genere hanno finito per attrarre l’attenzione più degli studiosi che degli amministratori. Viceversa vi è un insieme di aspetti riconoscibili che anche una lettura veloce, qual è quella di carattere
essenzialmente divulgativo che qui viene offerta, permette di identificare. Questi caratteri ricorrono
in molti dei casi presentati e riguardano essenzialmente l’approccio adottato dai decisori pubblici che
hanno scelto di incorporare alcune considerazioni climatiche all’interno di piani, politiche e progetti
(non per forza riguardanti lo spazio fisico, come si vedrà più avanti). Se si volesse sommariamente
riassumerli, si potrebbero stabilire – anche in accordo con i contributi di Mills (2010) e Erell (2010) –
alcuni principi guida per il decisore che voglia intraprendere questo tipo di percorso. I punti sono:
1) una definizione puntuale degli obiettivi: come già accennato, l’integrazione degli aspetti climatici non dovrebbe essere vista come un fine in sé, bensì come un mezzo per il raggiungimento
di benefici a tutto campo. Una visione ben chiara dei vantaggi derivabili dovrebbe perciò essere
il punto di partenza, così come la loro valutazione dovrebbe considerare scenari possibilmente realistici, avvalendosi – quando necessario – di strumenti di misurazione quantitativa. In
assenza di studi e analisi di questo tipo e di ben documentate evidenze dei benefici, i decisori
politici finirebbero infatti per sottostimare l’importanza di considerare il clima come elemento
cardine dei processi di pianificazione;
2) l’integrazione: gli studi climatici dovrebbero essere una parte importante del processo di design,
da intraprendere a monte, per sciogliere ed evitare incongruenze con decisioni frutto di ragioni
e istanze di altro tipo. Strategie climatiche realmente efficaci raramente possono essere intraprese in maniera retroattiva se non al costo di rettifiche gravose e difficilmente accettabili;
3) a complessità: con lo scopo di prendere in analisi un particolare fenomeno, spesso gli studiosi
ne studiano le caratteristiche e gli effetti isolatamente, senza considerare la complessità dei fattori che potrebbero essere coinvolti nella sua produzione. Nella realtà, tuttavia, le soluzioni che
derivano da questo tipo di analisi finiscono per produrre effetti imprevisti e spesso indesiderati: di conseguenza anche l’integrazione degli aspetti climatici nei processi di pianificazione non
dovrebbe prescindere dall’adozione di un approccio ampio che consideri attivamente anche
286
Appendice
altri fattori o obiettivi quali possono essere (a titolo d’esempio) quelli di un maggior comfort
termico dei pedoni e un minor uso dell’energia negli edifici;
4) flessibilità: generalmente le soluzioni pensate a monte nel processo di pianificazione risultano
essere quelle più efficaci ed efficienti. Tuttavia le soluzioni adottabili in corso d’opera hanno
un maggior grado di flessibilità e si adattano meglio alle circostanze e al mutare degli eventi.
Ciò per dire che è senza dubbio importante stabilire una strategia di fondo, ma è altrettanto
importante darsi la possibilità, quando necessario, di correggere il tiro nel raggiungimento
dell’obiettivo finale;
5) la sostenibilità: il successo di progetti e iniziative e la loro fattibilità economica sono ormai
sempre più legati a obiettivi e logiche di breve periodo. Considerare gli aspetti climatici potrebbe perciò essere controproducente da questo punto di vista, incidendo profondamente sui
costi di investimento dei progetti. Tuttavia – ferma restando la necessità dettata anche dalla
sfavorevole congiuntura economica di privilegiare opzioni a bassa soglia di costo – occorrerebbe tenere presente nel computo dei benefici di lungo periodo anche i ritorni in termini sociali
e ambientali degli investimenti. Una prospettiva di questo tipo giustificherebbe senza dubbio
progetti più ambiziosi.
I casi presentati includono, chi più, chi meno e a seconda della loro natura, gli aspetti sopra
elencati. Alcuni grandi esempi di integrazione e definizione puntuale degli obiettivi sono rispettivamente i casi di Stoccarda (probabilmente città leader nel campo della pianificazione “climatica” del
territorio) e Honk Kong. I casi più attenti agli aspetti relativi alla complessità sono quelli di Londra,
New York o Il Cairo (gli ultimi due particolarmente attenti anche agli aspetti di sostenibilità economica e sociale delle azioni), mentre il caso del Seattle Green Factor dimostra come sia possibile generare benefici diffusi senza lo stretto ricorso a una progettazione fisica del territorio, ma ricorrendo
a un meccanismo apparentemente semplice quale può essere una politica di incentivo. Il Chicago
Green Alley è un progetto di riqualificazione degli spazi della mobilità che incorpora una grande
quantità di considerazioni tanto dal lato dell’adattamento quanto da quello della mitigazione, risultando così comprensivo, complesso, flessibile e sostenibile.
Tra i casi vengono riportati anche esempi di programmi di comunicazione e sensibilizzazione,
come quello austrialiano, oppure di vera e propria formazione, come nel caso della BEST di New
York. In definitiva l’obiettivo nella selezione dei casi è stato quello di offrire un quadro esaustivo in
grado di coprire il più possibile lo spettro delle soluzioni adottabili nella calmierazione dell’effetto
isola di calore e nell’adattamento al cambiamento climatico in atto.
Ricapitolando, perciò, vale la pena ribadire che, in ragione dell’urgente necessità di far fronte
al cambiamento climatico, i governi e le amministrazioni pubbliche dovrebbero rivestire un ruolo
fondamentale nel proporre, avviare e guidare un processo di adattamento. In questa prospettiva esse
dovrebbero: incrementare il loro impegno politico nella lotta ai cambiamenti climatici; progettare
o incentivare azioni effettive di adattamento (a livello fisico, comportamentale e anche tecnologico); integrare queste azioni all’interno di altre misure di politica territoriale; destinare – qualora
possibile – risorse per la loro attuazione e coinvolgere, ascoltare e – se necessario – coordinare la
comunità e la rete degli attori locali già impegnata (o da attivare) in iniziative coerenti con una strategia di adattamento che sia di ampio respiro e che operi su più livelli. Proprio nella misura in cui le
amministrazioni saranno capaci di coinvolgere le comunità in questa sfida e di formulare risposte
appropriate, si determinerà la futura resilienza delle città al cambiamento climatico.
Rassegna di casi studio internazionali
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Schelmenäcker district - Feuerbach (Stuttgart)
Sheung Wan - Hong Kong
Stoccarda, capitale della regione del Baden-Württemberg, rappresenta uno degli esempi più
avanzati di integrazione di misure di mitigazione dell’isola di calore urbana all’interno degli strumenti di pianificazione ordinaria. Diversamente da molti casi, l’attenzione qui è posta principalmente sui processi di pianificazione e sulla possibilità di integrare all’interno di questi considerazioni
ed elementi di progetto “climatici” realizzabili unicamente attraverso una strategia urbana di ampio
respiro e a partire da una conoscenza dettagliata delle caratteristiche microclimatiche del territorio1
(vedi anche Stuttgart VR, 2008).
In questa scheda si riporta il caso di Schelmenäcker (Hebbert e Webb, 2011), zona residenziale
di Feuerbach (sobborgo della periferia nord di Stoccarda), nel quale nel 2008 il Land use plan della
città ha previsto un ampliamento della zona residenziale esistente da realizzarsi a ridosso delle colline che separano il bosco di Lemberg dal nucleo urbano principale. Il progetto iniziale prevedeva la
realizzazione di un corridoio verde di attraversamento del nuovo nucleo abitato dell’ampiezza di soli
7 metri. Fortunatamente la collaborazione tra i dipartimenti di climatologia e pianificazione urbana
della municipalità tedesca ha permesso di rivedere il progetto durante la fase istruttoria, includendo
le importanti considerazioni dei climatologi volte a salvaguardare le funzioni di riequilibrio climatico ed ecologico dell’intera città garantite dal bosco di Lemberg. In particolare ciò ha comportato la
creazione di un corridoio di 100 metri di ampiezza con la ricollocazione dei volumi da edificare, in
modo così da salvaguardare l’esistenza di un corridoio di ventilazione tra il centro cittadino e le aree
rurali circostanti (con evidenti benefici climatici a scala urbana), migliorare le condizioni microclimatiche ed estetiche del nuovo quartiere e garantire un nuovo spazio verde a scopi ricreativi e di
mobilità da e verso il centro urbano.
Un altro caso studio derivante di una strategia urbana attenta agli aspetti climatici è quello di
Hong Kong. La città, a differenza di Stoccarda, ha avviato soltanto nell’ultimo decennio un percorso
conoscitivo formale delle caratteristiche climatiche della città: ciò nonostante essa rappresenta la
dimostrazione pratica di come si possano costruire percorsi virtuosi in poco tempo e in mancanza
di una solida tradizione alle spalle.
Diversamente da Stoccarda, la topografia del luogo e la morfologia densa del tessuto urbano
consentono solo ed esclusivamente di operare in un’ottica non poco onerosa di retro-fitting progettuale e di contenimento della fortissima domanda immobiliare che caratterizza uno dei centri
urbani “motore” della crescita globale. A supporto dell’apprezzabile strategia promossa dalla municipalità c’è tuttavia la presa d’atto del notevole peggioramento delle condizioni microclimatiche
della città – rese già difficili per la persistenza di un clima subtropicale umido, ma senza dubbio
attribuibili all’esponenziale crescita urbana registrata negli ultimi cinquant’anni.
Il distretto di Sheung e la sua futura configurazione urbanistica rappresentano quindi il tentativo da parte della municipalità di dare concretezza e visibilità a una nuova strategia di mitigazione
dell’isola di calore urbana, ridisegnando gli scenari di sviluppo previsti per il quartiere in maniera
compatibile con le indicazioni provenienti dall’Atlante del clima e dalle Urban climatic planning
recommendations2. La strategia adottata punta tutto sulla possibilità di migliorare il flusso dei venti
dominanti (da est verso ovest e in misura minore quelli provenienti dal mare in direzione nordsud), rivedendo l’altezza e i volumi previsti (vd. figure), provvedendo ad ampliare la sezione di
alcuni assi di comunicazione e aumentando la superficie a verde complessiva.
288
Appendice
Rassegna di casi studio internazionali
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100 pocket parks - Londra
The Green Food from Green Roofs - Il Cairo
La capitale inglese ha messo in atto a partire dal 2009 all’interno del programma “London Great
Outdoors” un’ampia serie di azioni definite di “urban greening” con lo scopo di rispondere all’ambizioso obiettivo di incrementare la superficie a verde pubblico del 5% al 2030 e del 10% al 2050 (Nickson
et al., 2011). Tra queste azioni è di estremo interesse il programma “100 pocket parks to 2015” (letteralmente, 100 piccoli parchi “tascabili” di meno di 0,4 ettari per il 2015), avviato nel 2012 e che ha per ora
portato alla realizzazione/rivitalizzazione di circa 60 parchi nei 17 “Boroughs” della città.
Le modalità con cui le opere sono state portate a compimento sono state finora piuttosto varie,
con i borough nella maggior parte dei casi impegnati nel ruolo di proponenti e la Greater London
Authority (GLA) nella veste di assistente alla progettazione. Tuttavia il bando pubblico avviato dalla
municipalità londinese (una call for projects) è stato pensato per essere aperto a chiunque – associazioni o semplici cittadini – desiderasse riqualificare parti pubbliche della città (anche parchi) in
stato di abbandono e degrado. La GLA ha messo a disposizione dei vincitori del bando finanziamenti
variabili dalle 20 alle 50 mila sterline oltre alla supervisione tecnica alla progettazione da parte dei
suoi uffici. Lo scopo di una politica rivelatasi in definitiva “di successo” (almeno per quanto riguarda
il numero di progetti presentati, che è stato maggiore rispetto alle opere effettivamente finanziabili)
è stato quello di dimostrare come fosse possibile attivare trasformazioni urbane diffuse e dal basso
con esigue risorse e pochi finanziamenti a disposizione3.
Questo caso studio rappresenta un esempio di progetto/politica alla cui modesta entità hanno
corrisposto, in 10 anni, esiti positivi (e in parte inaspettati) più che proporzionali. Nel 2004, sulla
scia di alcuni progetti pilota in Kenya, Senegal e Colombia, la FAO, il ministero dell’agricoltura egiziano e il Central Laboratory of Agricultural Climate del Cairo (CLAC) hanno intrapreso un progetto
con lo scopo di garantire a 96 famiglie del Cairo nuove forme di approvvigionamento mediante l’uso
a scopi orticoli dei tetti delle loro case4. I ricercatori del CLAC misero a punto alcune tecniche di produzione che richiedessero nel contempo poco spazio, scarsa manutenzione, minima irrigazione e
accessibilità economica (26 $ / mq) anche per le famiglie più svantaggiate5. Gli esiti del progetto, durato appena 2 anni e tutt’altro che inserito in un quadro coerente di politiche pubbliche, possono essere riassunti nella successiva nascita (stimata) di migliaia di tetti-orto tra i densi e affollati quartieri
delle città egiziane6. L’orticoltura urbana ha risposto – date le ridotte dimensioni dei tetti – quasi
unicamente a scopi di auto-approvvigionamento delle famiglie, ma ha permesso al contempo di
creare spazi (spesso condivisi) meglio curati, più salubri e meno caldi per via dell’ombreggiamento
fornito dalle aiuole pop-up e dall’evapotraspirazione garantita dalla vegetazione7. Sebbene l’azione
di raffrescamento non sia comparabile con le performance di tetti verdi pensati ad hoc, vale la pena
rilevare come sia possibile, attraverso politiche a bassa soglia di costo oppure costruite su obiettivi
differenti, produrre esiti interessanti di riqualificazione (anche climatica) degli spazi urbani. La significatività degli esiti climatici di questo fenomeno dipenderà dalla sua diffusione futura: il ricorso
a tecniche meno costose di coltura idroponiche e la nascita di reti di intermediazione per la compravendita dei prodotti orticoli ne starebbero incrementando sensibilmente l’attrattività economica
(si veda a tal proposito il progetto Shaduf al sito http://www.schaduf.com/ o il soilless colture info
system http://www.fao.org/hortivar/scis/scis.htm?TRX=Redirect&TO=SCT).
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Appendice
Rassegna di casi studio internazionali
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Seattle Green Factor - Seattle
The Green Alley program - Chicago
La città di Seattle ha introdotto nella sua normativa comunale dei requisiti paesaggistici minimi ai quali devono attenersi tutti i nuovi progetti ricadenti nei business district della città, ovvero le
aree centrali della downtown. Il programma noto come “Seattle Green Factor” prevede dal 2007 che
ogni nuovo progetto con più di 4 abitazioni, più di 370 mq a uso commerciale o più di 20 posti auto
garantisca obbligatoriamente una copertura a verde del 30% sui mq totali della proprietà. L’aspetto
particolarmente innovativo del programma – oltre alla caratteristica piuttosto rara di essere cogente –
è la possibilità per privati e costruttori di valutare liberamente una serie molto ampia di opzioni
costruttive pensate per rispondere all’obiettivo prefissato: attraverso un sito internet8, infatti, è possibile valutare gli interventi attuabili all’interno di una worksheet (nella forma di un file excel) che
restituisce uno score (punteggio) calcolato a partire dalle differenti combinazioni di interventi scelte.
Si possono piantare nuovi alberi, preservarne di già esistenti, creare tetti verdi o giardini verticali
e – non meno importante – si può accedere a una serie di bonus nel caso in cui si decidesse – per
fare un esempio – di installare sistemi di raccolta dell’acqua piovana, di impiantare orti urbani o di
privilegiare la vegetazione endogena, a bassa manutenzione e/o meno bisognosa d’acqua. La municipalità ha creato a questo scopo una sorta di Task Force (La “Emerald city task force”) con il compito di sensibilizzare e assistere costruttori e privati cittadini nei loro progetti che – anche in ragione
del rapido rinnovamento che caratterizza le aree urbane americane – stanno già cambiando il volto
della città (Stenning, 2008).
Il Chicago Department of Transport (CDOT) si è distinto nel corso degli ultimi anni per una
serie di iniziative di particolare interesse in campo ambientale.
Il Green Alley Program è un programma pilota partito nel 2006 e diventato – in virtù del suo
successo – pratica ordinaria nella gestione delle public alley, vale a dire vicoli, strade pedonali, viali
(di dimensioni ridotte) che arrivano a coprire una distanza di circa 3.000 km nella sola Chicago.
Ciò comporta che ogniqualvolta siano richieste opere di rifacimento e manutenzione straordinaria
delle alley, il CDOT adoperi soluzioni che prevedano: 1) l’uso di materiali permeabili e altamente riflettenti, 2) la corretta progettazione delle opere di scolo delle acque piovane e 3) il ricorso a sistemi
di illuminazione più efficaci e meno energivori9.
La permeabilità del manto stradale consente di ottenere un minor aggravio sul sistema fognario, convogliando meno acqua negli scoli, evitando gli allagamenti e favorendo allo stesso tempo
l’assorbimento delle acque e il riequilibrio dei livelli di falda. Questa caratteristica, unitamente all’alta riflettività (albedo) dei materiali, permette poi un’attenuazione sensibile dell’isola di calore urbana sia di notte che di giorno, con effetti positivi sul microclima urbano; infine il ricorso a impianti
di illuminazione intelligente riduce l’inquinamento luminoso, consente di risparmiare elettricità e
migliora la visibilità delle strade e – come conseguenza – la loro sicurezza. Il Chicago Green Alley
Program è stato un programma pioniere a cui ha fatto seguito negli Stati Uniti un numero molto alto
di iniziative dello stesso tipo (Newell et al., 2013).
292
Appendice
Rassegna di casi studio internazionali
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NYC CoolRoofs - New York
Bronx Environmental Stewardship Academy (BEST) - South Bronx - New York
La città di New York ha avviato nel 2010 un ambizioso programma di riduzione dei consumi
energetici e delle emissioni di CO2 da ottenere attraverso l’applicazione di rivestimenti bianchi e
riflettenti (cosiddetti cool roof, letteralmente “tetti freddi”) sui tetti della città. L’obiettivo è di raggiungere, nel corso di 5 anni, 6 milioni di piedi quadri (l’equivalente di circa 560 mila mq) di tetti
rivestiti, attraverso uno sforzo congiunto tra amministrazione e cittadini nell’implementazione del
programma (il che significa – prima di tutto – che rappresentano oggetto di trasformazione sia le
superfici orizzontali degli edifici pubblici sia quelle degli edifici privati). Naturalmente le modalità e
i tempi di realizzazione tra iniziativa pubblica e privata differiscono nettamente, con l’amministrazione pubblica impegnata in un doppio ruolo: da un lato è parte attiva nella realizzazione delle opere di rivestimento dei tetti, dall’altro fornisce supporto tecnico, organizzativo e finanziario (quando
necessario) alle opere dei privati. Il coinvolgimento della comunità è qui – come nel caso di Los Angeles – demandato a organizzazioni non profit (in questo caso il Community Environmental Center e
la Bronx Environmental Stewardship Academy10) che si occupano della diffusione delle informazioni
e del coinvolgimento di cittadini e imprese che intendano contribuire come volontari, committenti
o donatori nei lavori da eseguire. Il NYC CoolRoofs è un programma pensato e incluso all’interno del
PlaNYC (2011), ovvero il piano unico per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici di
New York che ha come obiettivo ridurre le emissioni di gas climalteranti del 30% al 2030. Al 2013
ha coperto più della metà della superficie di tetti posta come obiettivo, interessante 415 edifici e
coinvolgendo nei lavori più di 4.000 tra volontari e tecnici. I materiali utilizzati per le speciali verniciature sono generalmente composti da pitture acriliche miste a materiale plastico posti a formare
una sorta di membrana che oltre ad avere proprietà riflettenti, preserva le superfici dei tetti dalle
infiltrazioni d’acqua e dal surriscaldamento, allungandone i tempi di degradazione.
La Sustainable South Bronx è un organizzazione non profit che opera nel campo delle politiche
pubbliche congiuntamente con gli uffici del borough di South Bronx a New York. Dalla sua istituzione nel 2001, questa organizzazione ha portato avanti molteplici progetti di natura sociale e ambientale ed è oggi più che mai protagonista delle politiche ambientali nella città americana, essendo una
delle due organizzazioni scelte per implementare la NYC coolroofs initiative.
L’aspetto estremamente innovativo nell’opera di questa organizzazione sta nel tentativo di includere e formare nuova manodopera da impiegare nei suoi progetti di ambientalizzazione del quartiere e della città, rivolgendosi in primo luogo alle fasce di popolazione in condizioni economiche e
sociali più svantaggiate. A tale scopo ha fondato nel 2003 la BEST, ovvero una scuola di formazione
per carpentieri specializzati con una formazione ad hoc per opere di rinverdimento di strade, tetti e
superfici verticali. Così facendo, l’organizzazione e il borough hanno risposto a molteplici obiettivi,
tra cui: 1) garantire un lavoro ai più bisognosi; 2) attenuare – per quanto possibile – l’emergenza sociale e lavorativa che storicamente connota questa parte di città; 3) supplire alla carenza di manodopera specializzata e 4) riqualificare parti del quartiere attraverso il lavoro dei suoi stessi abitanti. Tra
il 2010 e il 2012 il team di lavoro della BEST ha realizzato 4 tetti verdi (alcuni di dimensioni notevoli),
circa 25 mila mq di tetti freddi, oltre a varie opere di manutenzione e miglioramento della cintura
verde urbana passante per South Bronx.
Un’altra dimostrazione di una politica integrata e multi-scopo con significativi risvolti nel
campo della riqualificazione (climatica) urbana.
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Appendice
Rassegna di casi studio internazionali
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Beat the Heat: don’t forget your drink - New South Wales (Australia)
Million Tree Program e City Plants - Los Angeles
Il caso qui riportato differisce sostanzialmente da tutti gli altri, trattandosi specificamente di una
campagna di sensibilizzazione realizzata allo scopo di portare a conoscenza e incentivare tra la popolazione i comportamenti necessari a contrastare l’eccessivo calore e le situazioni di discomfort termico.
Il programma – che ha interessato la popolazione della regione del Riverina-Murray nel New
South Wales (Adelaide – Australia) – è stato messo a punto dalla Greater Southern Area Health Service (GSAHS) a partire dai dati allarmanti registrati nell’estate del 2008 e riguardanti le temperature
(fino a 2 gradi in più nelle massime) e il diffuso verificarsi di patologie e sintomi da stress termico
(+65%)11 rispetto alle medie dei quattro anni precedenti. Pensato esclusivamente come un programma di educazione, il programma Beat the Heat si è dispiegato in tre fasi distinte di pianificazione,
implementazione e valutazione: nella prima fase sono stati elaborati i messaggi chiave e stabilite le
modalità di diffusione degli stessi, unitamente con l’avvio di una prima campagna pilota e la messa
a punto degli strumenti di valutazione. Il processo di implementazione ha coinciso invece con lo
svolgimento del programma, partito nel dicembre 2008 e consistito principalmente in un’opera di
diffusione di annunci sulla stampa locale12 e di brevi spot informativi trasmessi via radio e televisione in concomitanza con i bollettini meteo. Infine il processo di valutazione è servito a comprendere
quanto e in che modo i messaggi veicolati fossero stati recepiti e messi in pratica. Per far ciò si è
ricorsi a un’indagine telefonica a campione, nella quale sono state sottoposte agli intervistate alcune
domande riguardanti il loro grado di conoscenza circa la campagna informativa, le acquisizioni
pregresse sui comportamenti da adottare in caso di calore estremo, le azioni effettivamente messe
in pratica e alcuni dati demografici. L’indagine ha rilevato un buon livello di conoscenza del programma (63% degli intervistati), ottenuto principalmente grazie ai messaggi televisivi e all’utilizzo di
uno slogan efficace, a cui avrebbero corrisposto una serie di comportamenti virtuosi, in primis una
corretta idratazione e la non esposizione al sole nelle ore più calde del giorno. Altri dati interessanti
riguardano la percentuale (54%) di persone che avrebbero modificato i propri comportamenti in
caso di calore estremo, così come il grado di comprensione dei rischi per la salute legate al calore
eccessivo, valutato in 7.9 punti su 10 (più dell’anno precedente)13.
City Plants è una partnership pubblico-privata nata nel 2010 tra il comune di Los Angeles, i
community groups della città e un insieme di organizzazioni operanti nel terzo settore. Si tratta del
proseguimento di un programma capace di fare scuola14, avviato nel 2006 dal sindaco Villaraigosa
con l’obiettivo di mettere a dimora 1 milione di nuovi alberi entro i confini della città15. Il Million
Tree Program (MTLA) è stato un programma che oltre a raggiungere l’obiettivo prefissato ha ottenuto
nel 2009 un importante riconoscimento – l’Environmental Award – conferito annualmente dalla
US Environmental Agency Protection (EPA) a piani, progetti e politiche ambientali di particolare interesse pubblico. Nella fattispecie il MTLA si è distinto per aver coinvolto attivamente migliaia di
persone, gruppi e imprese in un’opera realmente collettiva, che ha interessato tanto gli spazi privati
quanto quelli pubblici della città e ha finito per apportare vantaggi sotto differenti punti di vista,
dall’estetica e vivibilità degli spazi, al maggiore ombreggiamento, alla riduzione di energia per il
raffrescamento degli ambienti interni, fino all’assorbimento della CO2 e di altri inquinanti (Pincetl,
2010). City Plants si è proposta di andare oltre gli obiettivi quantitativi e – ripercorrendo le modalità
di funzionamento del MTLA – ha provato a integrare le azioni proposte diffusamente all’interno di
progetti organici in grado di massimizzare i benefici garantiti dalle nuove piantumazioni. Questo
tipo di programmi sono particolarmente interessanti dal momento che fanno leva sull’azione diffusa a livello locale di una molteplicità di agenti sociali (persone, organizzazioni, imprese) che, volontariamente, offrono lo spazio per la piantumazione di alberi, si impegnano nella manutenzione degli
stessi e supportano il progetto anche attraverso donazioni. In questo modo, tali interventi non solo
apportano benefici nel contenimento dell’isola di calore urbana ma, attraverso la partecipazione e
l’attivazione, producono sensibilità e capitale sociale. In definitiva i fattori che ne fanno una strategia
di successo riguardano: la capacità di coniugare azione pubblica e privata, la natura molteplice dei
benefici prodotti e la semplicità estrema degli interventi.
296
Appendice
Rassegna di casi studio internazionali
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1 Stoccarda vanta infatti una lunghissima tradizione di studi nel campo della climatologia urbana, anche e soprattutto
in ragione della complessa morfologia del suo territorio – la città è situata nella valle del Necker ed è circondata da una cintura di colline che non agevola il ricambio di aria – e della sua latitudine, che ne giustificano le temperature medie più alte
rispetto ad altre città tedesche e, di conseguenza, una maggiore incidenza del fenomeno dell’isola di calore urbana.
2 Disponibili rispettivamente agli indirizzi: http://www.pland.gov.hk/pland_en/p_study/comp_s/avas/papers&reports/
executive_summary_english.pdf e http://www.pland.gov.hk/pland_en/tech_doc/hkpsg/full/ch11/ch11_text.htm.
3 Altre informazioni alla pagina: https://www.london.gov.uk/priorities/environment/greening-london/improvinglondons-parks-green-spaces/pocket-parks.
4 Altre informazioni sul progetto e sulla sua storia sono disponibili all’indirizzo http://thinkafricapress.com/egypt/
new-roof-top-revolution-emerges.
5 Si tratta di un sistema che utilizza cassette di legno di 1 mq rivestite internamente di materiale plastico drenante e
di un sistema di raccolta delle acque di irrigazione. La composizione del suolo comprende materiali come perlite, torba di
stagno, sabbia e lolla di riso, molto ricchi di nutrienti e resistenti agli agenti patogeni del suolo. Il costo di questo sistema è
stato calcolato nel 2004 in 26 $ per mq, in massima parte dati dal costo del suolo.
6 A onor del vero, l’utilizzo dei tetti in ambito urbano per scopi produttivi (principalmente per l’allevamento del pollame) è ed era una pratica molto diffusa nelle aree urbane egiziane. Tuttavia, sebbene l’idea di “coltivare i tetti” non fosse nuova
tra i tecnici, la pratica era pressoché inesistente in Egitto prima del 2004. A oggi non è possibile comunque avere un’idea
precisa del numero di tetti-orto, dal momento che manca un monitoraggio dettagliato.
7 Non vengono forniti dati circa il raffrescamento degli ambienti coperti, mancando rilevazioni puntuali a questo
scopo. Tra le informazioni raccolte si parla di differenze fino a 7 °C rispetto ad abitazioni sprovviste di una copertura a orto,
ma l’indicazione non è completa e affidabile. Del resto, il raffrescamento degli ambienti è un esito indiretto di una politica
nata per rispondere ad altri obiettivi.
8 http://www.seattle.gov/dpd/cityplanning/completeprojectslist/greenfactor/documents/default.htm.
9 Al 2010 sono circa 100 le nuove alley completate. Alla fine dei lavori il CDOT appone una targa per permettere un più
facile riconoscimento dell’opera realizzata.
10 La CEC è dal 1994 il principale partner non profit del Comune di New York per quanto concerne le opere di weatherization (termine, che non ha equivalenti in italiano, che indica le opere di manutenzione e protezione degli edifici rispetto agli
agenti atmosferici) e di efficientamento energetico degli stabili appartenenti a persone e famiglie con difficoltà economiche e
in situazione di “povertà energetica”.
11 A cui va sommato un peggioramento anche qualitativo e piuttosto marcato dei quadri clinici dei pazienti ricoverati
in occasione delle stesse ondate di calore estremo.
12 La campagna informativa si è dispiegata anche mediante volantinaggio (con particolare attenzione nei confronti
delle categorie di persone più a rischio) e ha inoltre utilizzato alcuni eventi estivi molto popolari quali festival e concerti
all’aperto come occasioni di informazione e sensibilizzazione.
13 Per maggiori informazioni si veda il lavoro di Oakman et al. (2010) e la pagina web http://www0.health.nsw.gov.au/
pubs/2011/beat_the_heat_booklet.html.
14 A partire da questa esperienza, le città di New York, Shanghai, Denver, Londra e Tokyo hanno avviato iniziative
identiche.
15 Il programma era parte integrante della visione generale proposta dal LA Climate Action Plan (City of LA, 2007).
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Appendice
Riferimenti bibliografici
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The Hillside Development Outline Plan (2008). Stuttgart: Rahmenplan Halbhöhenlagen City of Stuttgart.
Rassegna di casi studio internazionali
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AUTORI
Franco Alberti
Regione del Veneto
Federico Amato
Università degli Studi della Basilicata
Armando Barp
Università Iuav di Venezia
Carlo Battisti
TIS innovation park, Cluster Edilizia
Domenico Bolla
Università Iuav di Venezia
Giovanni Bonafè
ARPA Emilia Romagna
Nicola Boscolo Veneto Strade S.p.A.
Lucio Botarelli ARPA Emilia Romagna
Giada Brandani
Università degli Studi di Firenze
Giuseppe Caldarola
Università Iuav di Venezia
Francesca Cappelletti
Università Iuav di Venezia
Nico Cattapan
Università Iuav di Venezia
Claudio Chiapparini
Regione del Veneto
Giacomo Cireddu
Studio SMA srl, Treviso
Daniele Erigolin
Università Ca’ Foscari di Venezia
Davide Ferro
Università Iuav di Venezia
Leonardo Filesi
Università Iuav di Venezia
Andrea Filpa
Università degli Studi di Roma Tre
Giuliana Fornaciari
Università Iuav di Venezia
Laura Fregolent
Università Iuav di Venezia
Ciro Gardi
Università degli Studi di Parma
Vito Garramone
Regione del Veneto
Davide Geneletti
Università degli Studi di Trento
Elena Gissi
Università Iuav di Venezia
Annarita Lapenna
Università Iuav di Venezia
Paolo Lauriola ARPA Emilia Romagna
Renato Lazzarin Università degli Studi di Padova
Daniela Luise Comune di Padova
Filippo Magni
Università Iuav di Venezia
Denis Maragno
Università Iuav di Venezia
Stefano Marchesi ARPA Emilia Romagna
Federico Martellozzo
Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Davide Martinucci
Università Iuav di Venezia
Michele MasèComune di Treviso
Luciano Massetti
CNR - Istituto di Biometeorologia, Firenze
Ugo Mazzali
Università Iuav di Venezia
Alessandro Messeri
Università degli Studi di Firenze
Roberta Michelon
Comune di Bassano
Alberto Miotto
Regione del Veneto
Marco Morabito
Università degli Studi di Firenze
Beniamino Murgante
Università degli Studi della Basilicata
Antonio Musacchio
Università Iuav di Venezia
301
Alberto Muscio
Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
Francesco Musco
Università Iuav di Venezia
Francesca Natali
Università degli Studi di Firenze
Silvio Nocera
Università Iuav di Venezia
Marco Noro Università degli Studi di Padova
Simone Ombuen Università degli Studi di Roma Tre
Simone Orlandini
Università degli Studi di Firenze
Liliana Padovani
Università Iuav di Venezia
Robero Pastres
Università Ca’ Foscari di Venezia
Marta Pérez SobaAlterra Research Centre, Netherlands
Claudio Perin
Regione del Veneto
Luigi Perini
Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura Unità di ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura
(CRA-CMA), Roma
Fabio Peron
Università Iuav di Venezia
Martina Petralli
Università degli Studi di Firenze
Maurizio Pioletti
Università Ca’ Foscari di Venezia
Giovanni Pizzo
Provincia di Rovigo - INFEA
Alessandro Righi
Università Iuav di Venezia
Piercarlo Romagnon
Università Iuav di Venezia
Stefano Salata
Politecnico di Milano
Alessandro Salvati
Università Iuav di Venezia
Luca Salvati
Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura - Centro per lo
studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo (CRA-RPS), Roma
Rodica Tomozeiu
ARPA Emilia Romagna
Sara Verones Università degli Studi di Trento
Selene Verzola
Provincia di Rovigo - INFEA
Maria Rosa Vittadini
Università Iuav di Venezia
Linda Zardo
Università degli Studi di Trento
Stefano Zauli Sajani ARPA Emilia Romagna
302
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Stampato per conto della casa editrice Il Poligrafo srl
presso le Graficche Tintoretto di Viillorba (Treviso)
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