UHI project has been implemented through the CENTRAL EUROPE Programme co-financed by ERDF pianificazione urbanistica e clima urbano Gruppo di Lavoro progetto “Development and application of mitigation and adaptation strategies and measures for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon (UHI)” Regione del Veneto Dipartimento Territorio - Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia Vincenzo Fabris, Direttore di Dipartimento Maurizio De Gennaro, Direttore di Sezione Susanna Frare Alberto Miotto Federico Bossi Università Iuav di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Francesco Musco, Coordinamento scientifico Laura Fregolent Davide Ferro Giuliana Fornaciari Filippo Magni Denis Maragno Davide Martinucci Alessandro Salvati I --U --A --V Pianificazione urbanistica e clima urbano Manuale per la riduzione dei fenomeni di isola di calore urbano a cura di Francesco Musco e Laura Fregolent Euris S.r.l. - UHI Project Technical Secretariat Chiara Licata Marco Meggiolaro La comunità scientifica internazionale ha messo più volte in evidenza la costante progessione dei cambiamenti climatici e i relativi impatti nelle aree urbane, sottolineando l’insufficienza delle sole politiche di mitigazione (abbattimento delle emissioni clima alteranti) se non associate a opportune azioni di adattamento dei sistemi urbani e territoriali al nuovo scenario climatico, sempre più caratterizzato da fenomeni meteorologici estremi e variabili (IPCC, 2013). L’Isola di Calore urbano (UHI) è un fenomeno microclimatico – ben delineato già dai primi studi svolti da T.R. Oke negli anni Settanta – che si manifesta con un significativo incremento della temperatura delle città in rapporto alle aree non-urbane circostanti e recentemente è stato rafforzato dai cambiamenti climatici in atto, con ricadute rilevanti sia in termini di consumi energetici, che di salute pubblica. Il manuale, rivolto in primo luogo agli enti locali del Veneto, è uno degli esiti del progetto Development and application of mitigation and adaptation strategies and measures for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon (3CE292P3 UHI), finanziato dal programma Central Europe - Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale, promosso dal Dipartimento Territorio - Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia della Regione Veneto. Nel testo si forniscono elementi per comprendere il fenomeno UHI, in particolare in alcuni sistemi urbani del Veneto; si identificano possibili soluzioni con gli strumenti e le tecniche della pianificazione urbanistica; si inquadra il fenomeno nell’ambito dei più recenti studi sulla pianificazione per la protezione del clima. Il manuale è uno strumento di supporto previsto anche dall’ultima variante (2013) al Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC) della Regione Veneto che individua negli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica, derivanti dalla Legge regionale 11/2004, un ruolo di primo piano per la calmierazione strutturale degli effetti dei cambiamenti climatici alla scala locale. Il volume è corredato di tavole e immagini esemplificative a supporto della redazione degli strumenti urbanistici attuativi di scala comunale. Francesco Musco, architetto-urbanista e dottore di ricerca (PhD) in Analisi e Governance dello Sviluppo Sostenibile, è professore associato di Tecnica e Pianificazione urbanistica presso l’Università Iuav di Venezia dove insegna Pianificazione ambientale e Progettazione del territorio per i cambiamenti climatici. Ha coordinato numerosi progetti di ricerca e consulenza scientifica in Italia e all’estero sul rapporto tra pianificazione urbanistica e cambiamenti climatici. Regione del Veneto Laura Fregolent, architetto-urbanista e dottore di ricerca (PhD) in Scienze e metodi per la città e i territori europei, è professore associato di Tecnica e Pianificazione urbanistica presso l’Università Iuav di Venezia dove insegna Analisi urbana e territoriale. Svolge attività di ricerca in particolare sui temi della dispersione insediativa e delle interazioni fra trasformazioni territoriali, strumenti di piano, dinamiche sociali e principi dello sviluppo sostenibile. isbn 978-88-7115-867-9 ilpoligrafo disegno di copertina di Giuliana Fornaciari ilpoligrafo Pianificazione urbanistica e clima urbano I --U --A --V UHI project has been implemented through the CENTRAL EUROPE Programme co-financed by ERDF Pianificazione urbanistica e clima urbano Manuale per la riduzione dei fenomeni di isola di calore urbano a cura di Francesco Musco e Laura Fregolent ilpoligrafo Indice Gruppo di Lavoro progetto Development and application of mitigation and adaptation strategies and measures for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon (UHI) Regione del Veneto Area Infrastrutture Dipartimento Territorio - Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia Luigi Fortunato, Direttore dell’Area Vincenzo Fabris, Direttore di Dipartimento Maurizio De Gennaro, Direttore di Sezione Susanna Frare Alberto Miotto Federico Bossi Università Iuav di Venezia Dipartimento di Progettazione e Pianificazione in Ambienti Complessi Francesco Musco, Coordinamento scientifico Laura Fregolent Davide Ferro Giuliana Fornaciari Filippo Magni Denis Maragno Davide Martinucci Alessandro Salvati Euris S.r.l. - UHI Project Technical Secretariat Chiara Licata Marco Meggiolaro 9Presentazione Luca Zaia 10Presentazione Vincenzo Fabris 11 Strumenti e strategie per il controllo e il monitoraggio del territorio Maurizio De Gennaro 13 Sostenibilità nella pianificazione: nuovi strumenti e applicazioni in Veneto Francesco Musco, Laura Fregolent Parte Prima Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 1. UHI nel contesto ampio del CC: pianificazione, città e clima 17 1.1.Mitigazione e adattamento: le sfide poste alla pianificazione del territorio Francesco Musco, Filippo Magni 29 1.2. Dalla strategia nazionale per l’adattamento climatico all’azione locale. Riflessioni sui percorsi da costruire Andrea Filpa, Simone Ombuen 39 1.3. Integrare e attuare politiche per il clima urbano: strumenti di pianificazione ordinaria e specialistica Sara Verones 53 1.4. Il ruolo delle tecnologie ICT nelle attività di governo del territorio in uno scenario di cambiamento climatico Denis Maragno 2.Città, territorio e CC Progetto grafico e realizzazione editoriale Laura Rigon Il Poligrafo casa editrice srl 35121 Padova piazza Eremitani - via Cassan, 34 tel. 049 8360887 - fax 049 8360864 e-mail [email protected] www.poligrafo.it ISBN 978-88-7115-867-9 © copyright 2014 Regione del Veneto Tutti i diritti sono riservati Non è consentita la riproduzione, la memorizzazione in qualsiasi forma (fotocopia, microfilm, scansione elettronica o ogni altro tipo di supporto) senza autorizzazione scritta dei detentori del copyright 61 2.1. Dalla città compatta alla metropoli diffusa: crescita insediativa e implicazioni sui cambiamenti climatici a scala urbana Luigi Perini, Luca Salvati 69 2.2. Forma urbana ed energia: verso una progettazione bioclimatica per la riduzione di consumi e temperature Filippo Magni 79 2.3. Dispersione urbana e misure di contenimento: verso un approccio sostenibile Laura Fregolent FOCUS 1 93 Un approccio integrato all’adattamento urbano: combinare la mitigazione dell’effetto isola di calore con la laminazione delle acque di pioggia Davide Ferro 96 Le carte tematiche per la sensibilità ambientale in provincia di Venezia Denis Maragno 99 Relazioni tra il PTRC e il Progetto UHI Alberto Miotto 102 104Metodi e strumenti per l’analisi spaziale dei fenomeni di sprawl urbano Strategie e misure per il contenimento dello sprawl Stefano Salata Beniamino Murgante, Federico Amato, Federico Martellozzo 180 Spazi verdi da vivere: progetti di salute urbana Maria Rosa Vittadini, Domenico Bolla, Armando Barp, Liliana Padovani Nico Cattapan, Leonardo Filesi, Annarita Lapenna, Giuseppe Caldarola Pianificazione urbana e territoriale: Politiche, tecniche e strumenti Sezione a cura dell’Università Iuav di Venezia 106 Processo di urbanizzazione e isole di calore urbane (UHI) Ciro Gardi (cofinanziata nell’ambito delle attività del Dipartimento di Pianificazione e Progettazione in Ambienti Complessi - DPPAC) 1. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 112 Le emissioni di anidride carbonica nel settore dei trasporti Silvio Nocera Parte Seconda Il fenomeno delle Isole di calore urbano e la sua identificazione 1.Strumenti e indici per la descrizione dell’UHI 117 1.1. Lo stato delle conoscenze sulle isole di calore urbane (UHI) Alessandro Salvati 131 1.2. Dati, rilevazioni e descrizione del fenomeno UHI Marco Noro, Renato Lazzarin 185 1.1. Veget-azione urbana Antonio Musacchio 193 1.2.Mitigazione e adattamento ai fenomeni di UHI: il caso studio di Padova Francesco Musco, Laura Fregolent, Davide Ferro, Filippo Magni, Denis Maragno, Davide Martinucci, Giuliana Fornaciari 223 1.3. Tecniche di pianificazione per l’UHI: atlante e illustrazioni Giuliana Fornaciari, Davide Ferro 245 1.4.Materiali intelligenti cool come contromisura all’isola di calore urbana Alberto Muscio FOCUS 3 149 1.3. I cambiamenti del clima urbano: vincoli globali e opportunità locali Stefano Zauli Sajani, Rodica Tomozeiu, Stefano Marchesi Paolo Lauriola, Lucio Botarelli, Giovanni Bonafè 2. UHI e ambiente urbano: cause ed effetti 157 2.1. Efficienza energetica e qualità dell’ambiente Francesca Cappelletti, Fabio Peron, Ugo Mazzali Alessandro Righi, Piercarlo Romagnoni FOCUS 2 263 L’uso del verde in ambiente urbano Martina Petralli, Giada Brandani, Luciano Massetti, Simone Orlandini 267 Le politiche urbane per il clima a Padova Daniela Luise 269 Il Progetto EPOurban “Enabling Private Owners of Residential Buildings to Integrate them into Urban Restructuring Processes” Sara Verones, Carlo Battisti L’Approccio Ecosistemico: evoluzione dei principi per la gestione dei sistemi sociali ed ecologici Elena Gissi 271 Il progetto CABEE e l’iniziativa CESBA per una nuova cultura dell’ambiente costruito in Europa Vito Garramone, Franco Alberti, Claudio Chiapparini, Claudio Perin 170 L’Epproccio Ecosistemico all’effetto isola di calore Linda Zardo, Davide Geneletti, Marta Pérez Soba 165 173 La caratterizzazione del metabolismo urbano per la valutazione della sostenibilità del sistema urbano. Il caso del Comune di Treviso Maurizio Pioletti, Roberto Pastres, Giacomo Cireddu Michele Masè, Daniele Brigolin 176 Qualità dello spazio urbano e comfort termico Alessandro Salvati Ondate di calore e salute della popolazione Alessandro Messeri, Marco Morabito, Martina Petralli Giada Brandani, Francesca Natali, Simone Orlandini 178 275 Il Regolamento Edilizio Sostenibile di Bassano del Grappa Roberta Michelon 277 Le infrastrutture verdi Nicola Boscolo 279 L’educazione per lo sviluppo sostenibile: ondate di calore, verde ed energia Giovanna Pizzo, Selene Verzola Appendice 285 Rassegna di casi studio internazionali Alessandro Salvati 301Gli Autori Il miglioramento delle condizioni e della qualità della vita della popolazione che vive e lavora in Veneto rientra tra i compiti della politica regionale, attuata anche attraverso una pianificazione territoriale e specifiche azioni atte a prevenire e a mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici. La Regione del Veneto coniuga già all’interno degli strumenti di pianificazione quegli obiettivi e quelle finalità che prevedono procedure mirate ad anticipare prospettive di miglioramento dell’ambiente umano e naturale. Con la variante a valenza paesaggistica al Piano Territoriale Regionale di Coordinamento, in attuazione alla Convenzione Europea del Paesaggio, viene accelerato il processo che promuove lo sviluppo urbano sostenibile, riconoscendo il ruolo della città quale motore di crescita e di sviluppo nonché di competitività. L’occasione di fornire i risultati del progetto sulle misure di mitigazione e adattamento al fenomeno delle isole di calore urbane, nato da studi e collaborazioni a livello europeo, permetterà alle Amministrazioni locali di aggiornare gli strumenti di pianificazione e gestione del contesto urbano per consentire maggiori opportunità per uno sviluppo sostenibile stabile e garantito anche per le future generazioni. Luca Zaia Presidente della Regione del Veneto 9 strumenti e strategie per il controllo e il monitoraggio del territorio Il progetto denominato UHI – Urban Heat Islands – prende avvio da una specifica analisi bibliografica del fenomeno delle “Isole urbane di calore” sulla base di misure microclimatiche in situ e con l’uso di tecniche di telerilevamento, al fine di identificare e definire le necessarie misure di mitigazione e le opportune strategie di prevenzione e gestione del rischio. L’attività sviluppata in coerenza col programma operativo ha consentito il confronto dei risultati scientifici, degli strumenti di pianificazione e delle esperienze in campo legislativo, per individuare, all’interno delle aree pilota, modelli di pianificazione urbana e territoriale capaci di limitare il fenomeno e promuovere strategie di prevenzione e gestione del rischio che mirano a ridurre l’impatto, come il disagio bioclimatico estivo, sulla vivibilità dei centri urbani. Anche secondo queste finalità è stata aggiornata la pianificazione regionale di governo del territorio, con la quale si propone di tutelare e disciplinare il territorio stesso attribuendo al medesimo la valenza paesaggistica al fine di migliorare la qualità della vita in un’ottica di sviluppo urbano sostenibile e in coerenza con i processi di integrazione e sviluppo dello spazio europeo. In attuazione di questi obiettivi la Regione del Veneto, con le principali città dell’area del Central Europe, partecipa a questo interessante processo, e ha individuato all’interno del territorio del comune di Padova un’area pilota ove applicare questi modelli. è quindi d’auspicio che lo studio del fenomeno delle “isole urbane di calore” sia valutato con tutte le opportune attenzioni e che i risultati possano fornire quei supporti necessari alle corrette scelte nei processi decisionali ad ogni livello. Vincenzo Fabris Direttore del Dipartimento Territorio della Regione del Veneto La Regione del Veneto, nell’ambito della propria azione di governo del territorio, ha da tempo avviato un’attenta attività di ricerca e sperimentazione orientata allo sviluppo di strumenti e documentazioni a supporto delle analisi necessarie per una corretta pianificazione territoriale e un’oculata gestione delle risorse ambientali. In questo scenario, la conoscenza e il monitoraggio del territorio, l’impatto dei processi dell’urbanizzazione e dell’antropizzazione sono tematiche di grande rilievo e di particolare interesse, che richiedono una costante attenzione per le scelte e le soluzioni a supporto delle strategie proprie della pianificazione territoriale e ambientale. Il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC), che costituisce il principale strumento regionale di governo del territorio e documento di riferimento per la tematica ambientale e paesaggistica, prevede, per l’attuazione delle proprie finalità, una serie di azioni mirate ad un razionale utilizzo della risorsa territoriale, secondo un equilibrato sviluppo socio-economico in rapporto con l’ambiente. Tra gli obiettivi e le finalità del PTRC, il fenomeno dell’adattamento climatico in ambiente urbano trova risposta in specifiche azioni atte a ridurre l’impatto di inquinamento nonché in azioni mirate al miglioramento e alla tutela delle risorse ambientali. Nell’articolato sistema di piani e progetti, avviati e sviluppati per la corretta attuazione delle politiche territoriali, la Regione del Veneto ha riconosciuto il ruolo e l’importanza dell’Informazione Territoriale quale elemento fondamentale dai qualificati contenuti tecnico-scientifici, prevedendo altresì forme di comunicazione nelle rete dei sistemi di conoscenza. A tal fine è stato progettato e realizzato il Sistema Informativo Territoriale regionale, che rappresenta un sistema di servizi nel quale le diverse componenti dell’Informazione Territoriale – cartografie tecniche e tematiche, database geografici e geodetici, foto aeree e orto immagini digitali – sono acquisite, standardizzate e organizzate in funzionali banche dati che costituiscono il “Quadro Conoscitivo” regionale e sono rese fruibili nella rete del Sistema Pubblico di Connettività. Garantire la qualità e la condivisione dell’Informazione Territoriale, che di fatto rappresenta la base documentativa e informativa “certificata”, rientra tra i compiti dell’azione regionale, affinché la stessa Informazione sia parte integrante delle iniziative e delle sperimentazioni per la conoscenza e il monitoraggio del territorio. Il progetto UHI rappresenta quindi un’efficace modello di gestione del patrimonio informativo in un complesso sistema di azioni che si sono sviluppate sulla base di un’intensa attività di misurazione con l’utilizzo di innovative tecniche di rilievo e di basi di riferimento territoriali “certificate” e condivise tra i diversi attori; un’iniziativa che ha fornito soluzioni per identificare e descrivere misure di mitigazione e strategie di prevenzione e gestione del rischio, al fine di promuovere appropriate azioni pilota, a supporto delle tematiche proprie della pianificazione territoriale. Maurizio De Gennaro Regione del Veneto Dipartimento Territorio Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia 10 11 sostenibilità nella pianificazione: nuovi strumenti e applicazioni in veneto Francesco Musco, Laura Fregolent I cambiamenti climatici sono senza dubbio emersi come questione cruciale a partire dall’inizio del XXI secolo. Secondo le previsioni dell’International Panel for Climate Change (IPCC), i fenomeni legati alla variabilità climatica si andranno intensificando nei prossimi decenni e gli eventi estremi connessi al clima costituiranno in misura crescente un rischio a livello sociale ed ecologico. Negli ultimi vent’anni la necessità di affrontare dinamiche legate al cambiamento climatico a scala urbana è stata riconosciuta a livello istituzionale, accademico e operativo. In questo contesto le sfide poste dagli scenari di clima che cambia richiedono una ridefinizione del ruolo della pianificazione urbana e territoriale, così come un aggiornamento delle competenze del pianificatore e degli strumenti di piano. Il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici è sicuramente frutto di un recente dibattito se posto in relazione con la pianificazione territoriale e urbanistica. La necessità di occuparsi dei cambiamenti climatici dal punto di vista dell’adattamento e della mitigazione impone un considerevole salto di scala, includendo l’approccio globale richiesto dalla mitigazione per l’abbattimento delle emissioni climalteranti, ad uno strettamente urbano ed estremamente localizzato per l’adattamento. L’adattamento in particolare è una questione urbana e locale, poiché non esistono politiche e azioni di adattamento adeguate sempre e comunque. L’adattamento è un meccanismo complesso che si basa principalmente sulle specificità geomorfologiche del luogo e sulla comunità locale che lo vive, tenendo in stretta considerazione i sistemi economici locali, le infrastrutture e i flussi che lo caratterizzano. Specialmente nel contesto italiano, gli aspetti riguardanti una gestione oculata dell’energia in ambito urbano e più in generale temi di resilienza urbana e di “protezione del clima” hanno cominciato timidamente a essere introdotti nei sistemi normativi, anche se le esperienze compiute sono ancora molto contenute e in genere limitate a strumenti di natura volontaria, con risultati ancora lontani dalle aspettative di drastica riduzione dei consumi energetici e di abbattimento delle emissioni climalteranti. I piani volontari a seconda del livello di governo o della tipologia hanno assunto denominazioni differenti, non dimenticando che a denominazioni diverse non sempre corrispondono sostanziali differenze nei contenuti se non diversi livelli di attenzione alla mitigazione e/o all’adattamento: climate strategy plans, national mitigation / adaptation strategies, Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), piani per la protezione del clima, climate action / protection plans, climate mitigation plans sono alcuni degli strumenti e delle strategie costruiti nel panorama europeo e internazionale, con la volontà di introdurre il tema della protezione del clima all’interno della pianificazione territoriale, tanto a scala vasta quanto a quella locale. Nonostante i limitati risultati di questi strumenti, non va però sottaciuto che un merito ai piani di natura volontaria finalizzati alla protezione dei sistemi urbani rispetto alle variabilità climatiche vada assegnato: avere avviato un dibattito rilevante a livello istituzionale e locale favorendo l’avvio di sperimentazioni alle varie scale e innovazioni dal punto di vista normativo. Sicuramente è il caso del Piano Territoriale Regionale di Coordinamento (PTRC) della Regione del Veneto che ha introdotto nell’ultima variante paesaggistica del 2013 esplicite indicazioni per le amministrazioni locali per il recepimento delle indicazioni sulla mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Articolazione del libro Il volume affronta attraverso un approccio interdisciplinare il tema delle isole di calore urbano (UHI), ponendo l’accento, in particolare, sul contributo dell’urbanistica, dalla pianificazione territoriale alla mitigazione degli impatti del surriscaldamento delle aree urbane, e sulla predisposizione 13 di opportune soluzioni di adattamento nella prospettiva di un’intensificazione del fenomeno nei prossimi anni. Il testo assume la forma del “manuale” rivolto in particolare alle amministrazioni locali della Regione del Veneto, impegnate in un progressivo adeguamento della pianificazione territoriale e urbanistica alla gestione delle risorse energetiche e alla riduzione degli impatti locali del “clima che cambia”. Si articola in tre parti principali finalizzate ad introdurre (1) il rapporto tra pianificazione urbanistica e cambiamenti climatici, con attenzione alla forma urbana e alla specificità dei sistemi urbani del Veneto; (2) alla descrizione dei fenomeni dell’isola di calore urbano (UHI); (3) alle tecniche urbanistiche più adeguate alla calmierazione del surriscaldamento urbano, non trascurando fondamentali relazioni con la tecnologia e con la fisica tecnica per proporre soluzioni praticabili a livello locale. L’importanza assunta dal tema del fenomeno UHI e la necessità di osservare il fenomeno in una dimensione sistemica e allargata ai temi della sostenibilità ambientale nel suo complesso ci ha spinto a raccogliere nel libro contributi diversi e diversamente articolati ma finalizzati a dare il più possibile un quadro ampio delle problematiche connesse ai temi della sostenibilità ambientale, dei progetti in corso, delle azioni potenziali e delle politiche urbane e territoriali capaci di dare attuazione alla Strategia europea di sostenibilità ambientale. Per questo e a partire dal fenomeno UHI lo sguardo viene rivolto al contesto più ampio del climate change – al quale viene dedicata la prima parte del testo – ponendo in relazione, attraverso i diversi contributi raccolti, la relazione tra climate change, città e pianificazione. La città viene osservata nella sua forma compatta e dispersa perché la forma assunta dall’urbano e la sua regolazione attraverso adeguati strumenti di pianificazione possono dare un contributo importante alla protezione del clima ed è per questo che una delle spinte maggiori, anche in sede europea, è proprio nella direzione di un intervento sulla forma urbana, sulla compattazione dell’urbano e sul riuso delle aree abbandonate e dismesse. La seconda parte si concentra sul fenomeno UHI e sulla sua identificazione e misurazione attraverso l’uso di rilevazioni e dati specifici. Tra le cause e gli effetti individuati un’attenzione particolare è rivolta alle questioni energetiche e alla loro connessione con la qualità dell’ambiente e dello spazio urbano. La terza parte, infine, si concentra sulle politiche, le tecniche e gli strumenti da utilizzare per la mitigazione e l’adattamento. Trovano qui spazio la parte dedicata al caso studio di Padova e l’atlante delle misure studiate e proposte proprio a partire dal caso studio. Chiude il libro una rassegna di casi studio internazionali di politiche e interventi progettuali, che forniscono un’osservazione interessante e contestualizzata in particolare alla scala urbana degli effetti del fenomeno UHI e offrono validi spunti di riflessione e ipotesi di intervento. La sperimentazione che ha portato alla realizzazione di questo manuale è stata sostenuta dalla Regione del Veneto Dipartimento Territorio - Sezione Pianificazione Territoriale Strategica e Cartografia, nell’ambito del progetto di cooperazione territoriale europea Central Europe, UHI Development and application of mitigation and adaptation strategies and measures for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon (3CE292P3 UHI). 14 Introduzione parte prima Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 1. uhi nel contesto ampio del CC: pianificazione, città e clima 1.1. Mitigazione e Adattamento: le sfide poste alla pianificazione del territorio Francesco Musco, Filippo Magni Introduzione I cambiamenti climatici rappresentano una minaccia e, allo stesso tempo, una nuova sfida per le città del XXI secolo, proiettate in uno scenario di forte fragilità del sistema ambientale. In questa prospettiva la pianificazione urbanistica e territoriale può offrire un contributo disciplinare rilevante sia in termini di elaborazione di proposte di abbattimento delle emissioni (la città carbon free) che in termini di integrazione di azioni di adattamento (portfoli e abachi di adattamento) mirate agli specifici contesti territoriali. È ormai largamente riconosciuto dalla comunità scientifica internazionale, in particolare dall’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), che ai ciclici mutamenti naturali dei sistemi ambientali da sempre rilevati si sia andato a sovrapporre il contributo decisivo e invasivo dell’attività antropica, in termini sia di incremento delle emissioni clima alternati che in termini di mancata e soprattutto inefficace programmazione territoriale, contributo determinante nell’incremento di temperatura registrato, nello sconvolgimento del regime delle precipitazioni e nell’innalzamento del livello dei mari, nonché nell’aumento della frequenza e dell’intensità di eventi estremi, che accrescono una pluralità di rischi a livello locale, per i territori e le città. Questo nuovo scenario, caratterizzato da forte incertezza, mette in crisi un apparato di paradigmi consolidati, ormai inadeguati a dare risposte utili di fronte a rischi che spesso valicano l’immaginabile. La pianificazione tradizionale ha fatto in modo che le attività umane sul territorio fossero progettate e dimensionate con il presupposto, esplicito o implicito, che la situazione e le condizioni ambientali e territoriali rimanessero costanti e non mutassero nel tempo. Il territorio risulta impreparato ai possibili cambiamenti, in cui i sistemi urbani subiscono impatti sempre maggiori. Al centro di questo scenario di incertezza vi sono le città dove si concentra la popolazione mondiale, dove gli effetti negativi del clima si presentano più severi per il prevalere dell’artificiale sul naturale. L’individuazione dei rischi ai quali sono esposti gli abitanti, la valutazione della vulnerabilità urbana nel suo complesso e la formulazione di strategie atte a contrastare il problema degli impatti locali degli eventi esterni rappresentano un banco di prova importante per una pianificazione che potrebbe essere definita climate proof. Se da un lato hanno contribuito fortemente al cambiamento climatico, con i loro consumi e le loro emissioni di gas serra, dall’altro le città e i governi locali in senso più ampio sono i centri dell’innovazione economica, politica e culturale, motori delle economie nazionali, e rivestono un ruolo strategico nella sperimentazione di nuove politiche sia per la riduzione delle emissioni climalteranti (strategie di mitigazione), sia per l’aumento della resilienza urbana agli inevitabili impatti che anche con la mitigazione non potranno essere evitati. Sono ormai molteplici le realtà urbane che stanno introducendo la questione dei cambiamenti climatici nelle proprie politiche urbane, (per citarne alcune, New York, Chicago, Toronto, Stoccarda, Vienna, Londra, Padova, Bologna) redigendo strumenti di pianificazione di natura volontaria finora poco diffusi (Piani clima, Piani di adattamento, Piani per l’energia sostenibile ecc.), in cui vengono proposti e strutturati complessi programmi di adattamento, integrati ad azioni di mitigazione secondo quella che si sta definendo come una complessiva politica di protezione del clima che parte dalle città (Musco, 2014a). In Italia i primi segnali positivi, di una nuova attenzione istituzionale, sono arrivati dall’ampia adesione al Patto dei Sindaci e dalla recente Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (SNAC), che ha ricevuto una prima approvazione dalla Conferenza Stato-Regioni e si auspica una prossima definitiva adozione per passare alla fase operativa di redazione dei Piani di adattamento. Ponendo il cambiamento climatico (e le relative politiche di contrasto) al centro delle politiche urbane, si apre 17 uno scenario che deve interrogare le discipline di governo del territorio rispetto al proprio ruolo, alle modalità di progettazione e gestione della città di fronte alla capacità di adeguarsi al mutevole scenario climatico. Come deve cambiare l’approccio pianificatorio? Quali caratteri dovranno avere gli strumenti urbanistici per rispondere all’incertezza imposta dai cambiamenti climatici? Quali nuove conoscenze e analisi occorrerà introdurre per identificare e prevenire rischi ed esternalità negative? Sono alcune delle questioni a cui una pianificazione territoriale innovativa dovrà cercare di rispondere nell’immediato futuro. Le risposte ai cambiamenti climatici: mitigare e adattarsi Considerando come il dibattito sui cambiamenti climatici – supportato dall’evidenza empirica introdotta dal rapporto Stern (2006), seguito dai rapporti periodici dell’IPCC (2007a; 2013), della Commissione Europea sull’innalzamento della temperatura, oltre a quello dell’EEA (2012) Urban adaptation to climate change in Europe – abbia acquisito sempre maggiore rilevanza nelle questioni urbane, si può affermare che la parte di policy makers – istituzionali e non – che spinge per introdurre la ‘protezione del clima’ all’interno delle politiche locali di gestione ordinaria del territorio è in costante aumento. Guardando allora la “protezione del clima” come l’insieme delle politiche indirette di adattamento e mitigazione finalizzate alla riduzione dell’impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali e antropizzati da un lato e dall’altro alla riduzione delle esternalità ambientali che possono favorire le mutazioni climatiche nel medio e lungo periodo (Musco, 2008), risulta chiaro come si faccia riferimento a un insieme di politiche definite nei sistemi di governo a tutte le scale, che prevedano l’applicazione congiunta di interventi per la mitigazione e l’adattamento. L’approccio congiunto acquista allora una valenza strategica in quanto consente di tenere insieme diversi livelli di gestione, molteplici settori di intervento e una pluralità di attori, sia in un’ottica top-down che bottom-up. Il primo asse strategico riguarda la mitigazione, cioè quegli interventi e quelle misure che cercano di ridurre o contenere le emissioni di gas climalteranti, una tipologia di intervento, quindi, che agisce sulle cause del cambiamento e non sull’effetto, su quelli che sono i settori maggiormente responsabili dell’aumento delle emissioni (settori produttivi, mobilità, energia, uso dei suoli) (IPCC, 2007a). Il secondo asse riguarda le strategie di adattamento, azioni cioè attuabili in maniera preventiva (o reattiva), attraverso le quali ci si prepara ad affrontare il futuro, attrezzandosi opportunamente per convivere con i cambiamenti climatici, minimizzandone i contraccolpi negativi e anticipando la previsione dei possibili danni (Manigrasso, 2013). Quello a cui oggi stiamo assistendo è un cambiamento che sta procedendo a un ritmo troppo veloce, a causa della sovrapposizione del contributo antropico, al naturale e ciclico mutamento climatico (Mercalli, 2011). L’intensità di questo cambiamento e gli impatti da esso provocati dipenderanno però dalle azioni che verranno intraprese oggi per controllare e ridurre le emissioni di gas serra, come il mantenimento della temperatura globale di 2 °C rispetto ai livelli pre-industriali. La concentrazione di CO2 dovrà infatti rimanere al di sotto dei 450 ppm. Ciò si dovrebbe tradurre in una riduzione delle emissioni climalteranti del 25-40% entro il 2020 e dell’80% entro il 2050 rispetto al 1990. Al contempo non va dimenticato che il sistema climatico terrestre ha tempi di risposta molto lunghi: gli esperti concordano oggi nell’affermare che i cambiamenti climatici non possono più essere arrestati completamente (Stern, 2007). Gli eventi meteorologici estremi (alluvioni, tempeste, caldo estremo e siccità), che negli ultimi vent’anni sono aumentati di frequenza e intensità, sono segni di una variabilità climatica e anche se oggi venissero azzerate le emissioni, il sistema inerziale climatico non ne trarrebbe beneficio per diverse decine d’anni. Non bloccare l’aumento della quantità di anidride carbonica in atmosfera significa correre il rischio di cambiare il clima in modi imprevedibili che renderanno assolutamente complicato qualsiasi tentativo di adattamento. 18 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico È proprio la Stern Review che, contrariamente ai primi rapporti dell’IPCC, si rivolge al grande pubblico, per far capire che i cambiamenti climatici non sono solo un problema ambientale, ma anche una importante questione di sviluppo economico, soprattutto per i paesi più poveri e vulnerabili. Che diventerà, via commercio internazionale e fenomeni migratori, una questione cruciale anche per i paesi più sviluppati. Occorre dunque l’intervento delle istituzioni (internazionali, nazionali e locali) attraverso la definizione e la messa in atto di adeguate politiche oltre che di mitigazione anche di adattamento, soprattutto per attenuare gli inevitabili effetti avversi nel breve periodo, fino a quando le azioni di mitigazione non produrranno i primi effetti benefici (Carraro, 2009). Al contempo non va sottaciuto che la definizione di strategie di adattamento non adeguatamente supportate da un approccio site oriented, sia in termini di analisi che di progetto, può portare a forme di maladattamento (Swart et al., 2014). Climate protection planning: tra progetti internazionali ed esperienze locali Lo stato dell’arte di quella che potrebbe essere definita climate protection planning in Europa è assolutamente eterogeneo. Da una lettura d’insieme delle politiche europee di mitigazione e adattamento emerge una prospettiva non uniforme, guidata da sistemi istituzionali e caratterizzazioni culturali-territoriali assai differenti. Ogni paese si caratterizza per un indirizzo nazionale (piani e strategie nazionali di mitigazione e/o adattamento, ove presenti) e per la presenza di iniziative locali in termini di piani clima e di strumenti o reti di enti locali. Lo stato di queste ultime varia notevolmente da un caso all’altro, e solo alcuni enti locali hanno introdotto in maniera integrata strategie di adattamento, mitigazione ed efficienza energetica nel sistema di pianificazione territoriale esistente (Musco - Patassini, 2012). Pur essendo identificabili conseguenze ricorrenti agli impatti locali, ciascun contesto urbano è soggetto a conseguenze anche molto diverse, derivanti da differenti combinazioni dell’exposure ai cambiamenti climatici con le specifiche caratteristiche dimensionali, localizzative, sociali e produttive dell’insediamento stesso (che può presentare a seconda dei casi una maggiore o minore sensitivity alle forme dei cambiamenti climatici). Per la definizione della exposure assume importanza centrale il downscaling delle previsioni e delle analisi climatiche (gli attuali modelli climatici operano per lo più alla scala vasta, offrendo indicazioni inadeguate per la pianificazione a scala locale), mentre per la comprensione degli impatti e delle vulnerabilità locali risultano fondamentali i climate resiliency studies1, strumenti di supporto per formulare strategie, priorità, piani di azione adattati alle reali necessità di ciascun insediamento (Filpa et al., 2014). Diverse amministrazioni locali italiane hanno avviato percorsi di formazione di piani di adattamento alla scala urbana di natura assolutamente volontaria che nella totalità dei casi sono frutto di esperienze di partecipazioni a progetti internazionali cofinanziati dalla Commissione Europea nel corso della programmazione appena chiusa 2007-20132 e in molti casi ancora in corso nel 2014. Anche se il panorama scientifico (Betsill - Bulkeley, 2005; 2009; Biesbroek, 2009; 2014; Musco Van Staden, 2010) e le relazioni internazionali (IPCC, EEA, UE Libro Bianco) considerano la pianificazione del territorio come paradigma basilare per affrontare tanto le cause quanto le conseguenze del cambiamento climatico, la traduzione di queste tematiche in politiche e processi di gestione ordinaria del territorio non avviene (se non in rari casi) in maniera esplicita. Nel 2006, con la pubblicazione del Libro Verde sull’Energia (COM/2006/105) An European Strategy for Sustainable, Competitive and Secure Energy, si è posto il problema dell’efficienza energetica e dello sfruttamento di fonti energetiche rinnovabili, nelle politiche europee in materia. Strumento, questo, che è stato seguito, nel 2007, dalla proposta di un piano d’azione per l’efficienza energetica (2007-2012) e da un piano (COM/2007/723) SET (Strategic Energy Technology Plan). Con il cosiddetto pacchetto “Clima ed Energia” l’UE si è posta UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 19 finalmente un obbiettivo concreto e vincolante per i paesi membri: ridurre del 20% le proprie emissioni di gas serra (misurate in CO2 equivalente) entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, di ridurre i consumi energetici del 20% rispetto a uno scenario business as usual e di produrre energia da fonti rinnovabili pari al 20% dei consumi energetici finali. Il 2020 non è certamente un orizzonte temporale idoneo alla risoluzione dei problemi legati agli impatti dei cambiamenti climatici; per questo la Commissione ha già iniziato a esplorare i diversi scenari che si profilano per il post 2020. Con la comunicazione (COM/2011/112) Una tabella di marcia verso un’economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050 la Commissione afferma che tale transizione passa attraverso tappe che prevedono la riduzione delle emissioni di gas climalteranti del 25% al 2020, del 40% al 2030, del 60% al 2040, dell’80% al 2050 rispetto ai livelli del 1990, superando così l’obiettivo fissato dallo stesso pacchetto. In Italia, come in altri paesi europei, alcuni aspetti riguardanti la realizzazione di un migliore rendimento energetico urbano e più raramente la “protezione del clima” hanno cominciato progressivamente a essere introdotti nei sistemi normativi, anche se le esperienze portate a compimento rimangono ancora limitate o di natura esclusivamente volontaria; sicuramente i risultati non sono in linea con le aspettative di riduzione dei consumi energetici e dei gas a effetto serra (Bulkeley, 2009). Anche se l’attuazione di politiche e piani d’azione risulta variare a seconda del contesto nazionale e della modalità di governance urbana e si registra una crescente quantità di esperienze, programmi e progetti che legano direttamente realtà locali alla Comunità Europea, creando nuove reti (Covenant of Mayors3, GRaBS4) o appoggiandosi a rapporti associativi già consolidati in Italia e a livello internazionale (Coordinamento Nazionale Italiano Agende 21 Locali, ICLEI, C40, Clinton Foundation, Resilient cities program – Rockfeller Foundation ecc.). Su queste premesse autorità locali, regionali e talvolta nazionali hanno iniziato a definire, in molti casi in via sperimentale, una serie di piani volti alla protezione del clima, che a seconda del livello o della tipologia hanno assunto denominazioni differenti, non trascurando che a denominazioni diverse non sempre corrispondono sostanziali differenze nei contenuti se non diversi livelli di attenzione alla mitigazione e/o all’adattamento: climate strategy plans, national mitigation/adaptation strategies, Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile, piani per la protezione del clima, climate action / protection plans, climate mitigation plans sono alcuni degli strumenti e delle strategie costruite nel panorama europeo e internazionale, con la volontà di introdurre il tema della protezione del clima all’interno della pianificazione territoriale, tanto a scala vasta, quanto a quella locale. A livello generale, però, il problema che accomuna tutte queste iniziative è rappresentato dal fatto che i “i piani clima” risultano avere una struttura non completamente omogenea, sia in termini di definizione che di contenuti. Come definire, quindi, un corretto piano climatico che abbia il territorio e la città come ambito privilegiato di azione? Come è possibile integrare strutturalmente le questioni del clima negli strumenti ordinari di gestione del territorio? Come fare operare congiuntamente mitigazione e adattamento? Clima e pianificazione urbanistica Contrariamente alle attese, i danni provocati dai numerosi fenomeni climatici estremi che nell’ultimo decennio hanno coinvolto tanto l’Europa (ad esempio l’ondata di calore del 2003 o le numerose alluvioni avvenute nell’Europa centro-orientale) quanto l’Italia (Firenze, Genova, Treviso e Foggia come esempi più recenti) non hanno portato, se non in minima parte, cambiamenti sostanziali nell’approccio alle problematiche urbane legate al clima e allo sviluppo di nuove misure o azioni, relegando le politiche di protezione del clima in un quadro teorico più generale, scoraggiando confronti e approcci interdisciplinari. La tendenza generale, infatti, è di interpretare i temi legati al clima in maniera mono-disciplinare e di utilizzare evidenze e informazioni da un numero limitato 20 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico di discipline scientifiche. Come conseguenza, la pianificazione climatica è rimasta un dominio settoriale, consegnato alla redazione di un proprio “piano” e in genere a iniziative di specifici organismi tecnico-amministrativi (l’ufficio ambiente, l’ufficio energia, l’ufficio protezione civile ecc.). In questo modo si è perso il ruolo di regia complessiva delle amministrazioni locali in merito a temi le cui molteplici implicazioni richiedono una forte integrazione a scala territoriale e urbana in particolare. A livello internazionale, la Climate Roadmap del 2007, il Covenant of Mayor del 2009 e gli impegni più recenti assunti dai governi locali con il Global Cities Covenant on Climate - the Mexico City Pact 2011 e la Bonn Declaration of Mayors del 2011 hanno messo le basi perché venga riconosciuto ai governi locali un ruolo strategico nell’affrontare i cambiamenti climatici per la loro responsabilità in piani e regolamenti capaci di influenzare processi e soluzioni innovative di adattamento e mitigazione. In Italia, dove invece le esperienze dei governi locali sono ancora molto limitate rispetto al contesto europeo, questo sforzo è stato fatto dal Coordinamento Nazionale Italiano Agende 21 Locali con la propria Carta delle città e dei territori per il clima e dalla Provincia di Rovigo con la Rovigo Outreach: un protocollo di comportamento per le piccole e medie amministrazioni locali d’Europa impegnate nella definizione di politiche per la protezione del clima. Attraverso il City climate catalogue, che raccoglie la prima lista globale di piani per il clima sviluppati (dagli obiettivi ai risultati) direttamente dalle singole amministrazioni locali, in maniera indipendente rispetto ai propri governi nazionali, si può intendere che i settori di riferimento coinvolti da tali politiche, pur venendo esse inventariate e raggruppate in modo diverso dalle varie amministrazioni, contengono dei macro-settori di riferimento identificabili in tutti i piani analizzati. Il diverso modo di raggruppare i settori può dipendere dal tipo di piano, dalla presenza di strategie nazionali, dalle caratteristiche territoriali e dall’approccio adottato dall’amministrazione autrice del piano. Tra i principali settori interessati si possono riconoscere: – trasporto e mobilità; – edifici: residenziali, commerciali, istituzionali; – pianificazione urbanistica a scala di isolato/quartiere; – produzione locale e distribuzione di energia; – settori produttivi: industria, servizi, agricoltura e foreste. L’adozione di obiettivi specifici di riduzione delle emissioni climalteranti da parte di ogni amministrazione locale fa ovviamente riferimento ai target stabiliti dall’UE5 o alle indicazioni contenute nelle strategie nazionali di riferimento. Molte città però hanno indipendentemente deciso di porsi dei limiti più stringenti rispetto ai riferimenti europei o nazionali anticipando un possibile innalzamento degli obiettivi di riduzione da parte dell’Unione stessa e investendo strategicamente sulla protezione del clima. Diverse città europee si sono date obiettivi molto ambiziosi, in parte già raggiunti. Fra queste Londra (60% di riduzione rispetto al 1990 nel 2025), Parigi (75% di riduzione al 2050 rispetto al 2004), Amsterdam (riduzione del 40% al 2025 rispetto al 1990) Copenhagen (riduzione del 20% rispetto al 2005 già conseguita nel 2010 e l’obiettivo di una riduzione del 100%), Madrid (50% di riduzione nel 2050 rispetto al 2004). Il contesto nel quale si muovono le città italiane è invece tutt’altro che confortante, per la mancanza di un non ancora adeguato indirizzo politico nazionale e di uno stabile quadro di riferimento normativo, a cui si somma la perdurante scarsità di risorse per investimenti pubblici strategici. Sul piano dei numeri è sufficiente un accenno: in Italia il ritardo nell’attuazione delle direttive comunitarie nel settore residenziale e in quello dei servizi si accompagna a un incremento delle emissioni di gas climalteranti del 10,5% tra il 1990 e il 2008, a fronte del calo del 13,6% registrato in Europa (in media, nello stesso periodo e per gli stessi settori). Ancora: in un’Europa ormai indirizzata verso l’adempimento degli obblighi connessi al Protocollo di Kyoto, il nostro paese è riuscito a recuperare parte del tempo perduto solo “grazie” agli effetti depressivi della crisi economica, come dimostra la caduta della domanda di energia elettrica dal 2009. UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 21 Indipendentemente dal contesto in cui sono stati realizzati, è possibile identificare una lista di contenuti di massima comune a quasi tutti i piani clima inseriti nel City climate catalogue. Il piano tipo si apre con un documento strategico di inquadramento, che individua gli obiettivi di lungo periodo, dopo aver analizzato la realtà del territorio dal punto di vista socio-economico e ambientale, i settori di intervento, i soggetti da coinvolgere, le strutture pubbliche impegnate e gli strumenti della partecipazione. Segue l’inventario delle emissioni che contabilizza gli elementi e i settori sui quali agire ai fini della mitigazione delle emissioni dirette, ovvero quelle riferibili ai consumi finali di energia prodotta da combustibili fossili. Tab. 1. Sintesi della struttura dei piani per il clima Sezioni Contenuti Documento strategico preliminare Individua obiettivi di medio-lungo termine e provvede a un inquadramento territoriale, definisce i soggetti coinvolti Inventario di base delle emissioni Contabilizza le emissioni e definisce i principali settori di interesse per la mitigazione Inventario degli impatti potenziali* Definisce gli impatti e le aree coinvolte direttamente dai cambiamenti climatici Piano d’azione Definisce le azioni di intervento e i settori privilegiati (pubblico/privato) Schede delle azioni e delle misure Per ogni azione una scheda specifica con risorse necessarie, tempi e soggetti coinvolti Pacchetto delle azioni di adattamento* Manuale di soluzioni edilizie/urbanistiche e di progettazione ambientale a varie scale * Sezioni presenti in caso di piani con specifico indirizzo all’adattamento (Fonte: Musco, 2012) Segue alla parte di analisi e alla selezione dei settori d’intervento il Piano d’Azione, finalizzato all’individuazione di azioni e misure da adottare per la riduzione delle emissioni di CO2. Nel caso in cui il piano si spinga su tematiche di adattamento6, è possibile trovare l’inventario degli impatti potenziali per uno scenario temporale breve e medio-lungo, identificando, tra le altre: – aree a rischio idraulico e deflusso difficoltoso; – aree costiere a rischio di erosione; – aree a rischio di formazione di isole di calore urbane. I potenziali impatti7 hanno ovviamente una natura “previsionale” (misura del rischio) e localizzativa (aree/fasce). Infine il prontuario di azioni di adattamento si configura prevalentemente come manuale di soluzioni edilizie/urbanistiche e di progettazione ambientale a varie scale a seconda del livello di azione del piano. Non tutti i piani, però, inseriscono esplicitamente il tema della pianificazione territoriale come asse strategico su cui lavorare, ma in molti casi arrivano a considerarla solo “scomposta” in singole materie come l’edilizia, la mobilità e l’uso delle energie rinnovabili. Nel contesto inglese i piani clima non inseriscono un capitolo specifico relativo alla pianificazione urbanistica, il governo nazionale giuda però la pianificazione climatica a livello locale attraverso altri strumenti che indirizzano direttamente i piani urbanistici locali: i Planning Policies Statements (PPS). In alcuni casi, come per il piano clima di Londra, la pianificazione entra in causa con una proposta di variante al London Plan (Draft replacement of London plan). Le indicazioni osservano argomenti specifici come la necessità di identificare delle nuove aree per la produzione di energia a livello di quartiere o interventi come le azioni sulla mobilità pubblica (Musco, 2012). Il contesto francese dei piani per il clima 22 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico prevede di norma uno specifico approfondimento sui temi della pianificazione urbanistica, in coerenza con le direttive della legge quadro nazionale sull’ambiente Grenelle Environnement, la quale dedica un apposito capitolo al tema della pianificazione del territorio connessa al cambio climatico. Tale legge incoraggiava a predisporre entro il 2012 un piano energia-clima territoriale per autorità locali con più di 50.000 abitanti e appoggia le comunità appartenenti ad agglomerati urbani di maggiori dimensioni nella realizzazione di programmi globali di innovazione architettonica, energetica, paesaggistica e sociale. Se in Europa qualche timido passo verso l’integrazione delle politiche climatiche con quelle di governo del territorio è stato fatto da alcuni dei membri dell’Unione, in Italia questo processo è ancora molto lontano dalla sufficienza. A livello nazionale la Conferenza Unificata ha recentemente espresso parere positivo sulla Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici8, il documento redatto dal Ministero dell’Ambiente che delinea l’insieme di azioni e priorità volte a ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici sull’ambiente, sui settori socio-economici e sui sistemi naturali italiani. Questo documento, redatto sulla base di un accurato lavoro tecnico-scientifico-giuridico e sottoposto a una consultazione pubblica, fa diretto riferimento alla SEACC e rappresenta il più importante testo di “visione nazionale” su come affrontare l’impatto dei mutamenti del clima. In attesa dell’adozione ufficiale della strategia nazionale, si riscontra che non esistono di fatto altre normative vincolanti sulle questioni del clima all’interno della pianificazione territoriale, lasciando quindi ancora una volta fuori dall’agenda di Comuni, Province e Regioni le problematiche legate agli impatti del cambio climatico. La Legge n. 10 del 9 gennaio 1991 è una delle normative vigenti a livello nazionale che alla lontana tocca le questioni del clima, definendo le norme per l’attuazione dei piani energetici. Tale disposizione, al comma 5 dell’articolo 5 sancisce l’obbligo per i comuni aventi popolazione superiore a 50.000 abitati di dotarsi di un Piano Energetico Comunale (PEC) nel quale siano indicati i principali consumi energetici, le politiche di risparmio energetico e le politiche di sviluppo di energie da fonti rinnovabili. In moltissime realtà comunali (anche di notevoli dimensioni e importanza a livello nazionale) questo strumento di natura obbligatoria non è ancora stato redatto, lasciando quindi ai pochi amministratori locali consapevoli dell’importanza del tema il compito di provare a inserire in altre politiche di settore i temi legati alla mitigazione e all’adattamento (regolamenti edilizi, norme per l’uso del suolo, piani dei trasporti ecc.). Interscalarità, interdisciplinarità, integrazione e governance: prossime sfide della pianificazione climatica Le scelte in merito alla pianificazione della città hanno finora trascurato (o lasciato in mano a singole azioni volontarie) il rapporto tra clima e pianificazione territoriale. La crescente attenzione nei confronti di questi processi non ha però ancora portato a risposte politiche adeguate. Come si è visto, lo stato dell’arte sulla “protezione del clima” presenta situazioni piuttosto disomogenee con paesi dove sono stati introdotti piani e strategie sull’adattamento e realtà dove invece i rischi e gli impatti sono sottovalutati malgrado la rilevanza dei fenomeni in corso. Nonostante questi rischi, molte città non hanno ancora affrontato questo tema all’interno della propria agenda politica. Tra i risultati per i quali vi è ampio consenso si impone la necessità di superare la specificità di una pianificazione parziale, esclusivamente dedicata ai consumi energetici, senza alcuna relazione con le altre forme di pianificazione. Le ragioni principali si possono ricondurre a una mancanza di consapevolezza pubblica e condivisa sulla variabilità del clima e sulle sue ripercussioni territoriali, a una lenta risposta ai disastri climatici a causa della mancanza di capacità e di risorse e a una mancanza di politiche pubbliche e di regolamenti in materia di pianificazione urbanistica e ambientale pensati per gestire il cambiamento climatico. Oltre ai limiti vi è ampio consenso sulle potenzialità (ancora latenti) che risiedono nelle città, le quali, se correttamente pianificate e gestite attraverso strutture di governance adeguate, hanno il UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 23 potenziale di ridurre le cause dei cambiamenti climatici (mitigazione) e di tutelarsi in modo efficace dagli impatti locali, ormai attesi (adattamento). Le esperienze precedentemente citate, tanto in contesti internazionali come Londra e Parigi, quanto a livello nazionale, come Bologna e Padova, forniscono uno esempio da cui prendere spunto per provare a delineare una roadmap per il nuovo design o l’integrazione degli esistenti strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale. Governance e innovazione In molti casi coloro che si occupano di pianificazione e politiche per la sostenibilità tendono a ridurre successi e fallimenti di un piano o di un progetto a un problema di tipo istituzionale (institutional capacity) dei governi locali. In sostanza, meriti e colpe di un piano devono essere ricondotti all’operato dell’amministrazione pubblica che ha disegnato e adottato quel tipo di piano e che si è resa capace o meno di tradurlo in pratica. In alcuni casi si tende a porre l’accento sulla questione dell’esperienza delle pubbliche amministrazioni come origine di un atteggiamento proattivo e propositivo verso l’attuazione di politiche climatiche. Bulkeley e Betsill (2005), invece, riconducono più all’ambito finanziario e di accesso a risorse economiche il limite principale a una reale implementazione sugli strumenti di gestione del territorio. Essendo queste componenti sicuramente importanti all’interno dell’implementation gap che i governi locali si trovano ad affrontare, risulta più significativo il contributo suggerito da altri autori (Allman et al., 2004; Baker - Eckerberg, 2009; Lombardi et al., 2011; Wilson, 2010), che contrappongono all’implementation gap la mancanza di supporto professionale, tecnico e politico che, in altre parole, significa capacità di governance e di competenze, conoscenze ed esperienze tra i funzionari e i consiglieri, nonché la mancanza di poteri e di risorse umane. Questo si riflette inevitabilmente sulla definizione di piani e politiche a breve (brevissimo) termine, cioè realizzabili all’interno del mandato politico e solide a livello finanziario. La tendenza invece che dovranno avere le future scelte a livello di governance dovrà essere legata, in primo luogo, a una temporalità al di là del mandato politico, portata avanti da personale tecnicamente competente e capace di cogliere quelle innovazioni tematiche e tecnologiche che possano massimizzare i risultati e minimizzare i tempi di attuazione. Un processo, quindi, che porta a un’innovazione della governance comunale ma anche alla capacità di tale amministrazione di accettare le sfide portate dall’innovazione. Interdisciplinarità Non va sottaciuto che i piani e le politiche per la protezione del clima si inseriscono nel quadro esistente delle politiche di gestione e pianificazione delle amministrazioni pubbliche e sono in genere trasversali ai diversi settori di responsabilità (assessorati, ministeri ecc.). Molte delle politiche individuate per le loro caratteristiche di trasversalità per essere implementate necessitano del coinvolgimento di più attori istituzionali, oltre che del settore privato. Le strategie inserite nei piani clima propongono quindi nuove politiche e azioni che entrano in un quadro esistente, a volte avviando nuovi filoni di implementazione e molto spesso esplicitandosi con indicazioni di variante a piani o programmi già esistenti: varianti ai regolamenti edilizi, ai piani del traffico, ai piani energetici e via dicendo. Un livello ulteriore di complessità è dato dalla necessità di coordinare le politiche del clima con il quadro di altre strategie/piani di protezione dell’ambiente già in atto (programmi energetici, programmi di sostenibilità ecc.) sia a livello di amministrazione locale che macro-regionale o all’interno del sistema nazionale. Molte delle politiche ambientali già implementate in precedenza – per non parlare delle eredità di previgenti scelte urbanistiche – possono infatti pesare considerevolmente sul calcolo del bilancio delle emissioni di un determinato ambito territoriale e, in questa prospettiva, molte delle 24 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico azioni già compiute nel periodo di riferimento per il calcolo delle baseline9 e il momento di stesura del piano devono essere inserite nei piani clima e considerate azioni già in via di compimento. Interscalarità È indubbio che gli strumenti ordinari e volontari di governo del territorio e le politiche locali per il clima e la sostenibilità siano direttamente dipendenti dalle condizioni istituzionali e politiche di governo del livello superiore. Molte delle politiche formulate dai governi locali tanto europei quanto italiani, però, sono state sviluppate senza un quadro integrato di pianificazione urbana e le autorità locali hanno indirizzato le loro politiche verso una fattibilità di breve termine, soprattutto quelle che prevedono l’aumento degli standard energetici nelle nuove costruzioni, rispetto alle quali è relativamente semplice prendere decisioni e avere un controllo diretto, come le politiche riguardanti gli edifici pubblici comunali e la gestione del traffico. Di conseguenza prospettive a lungo termine, come l’uso del suolo e la pianificazione dei trasporti trovano con difficoltà integrazione negli strumenti di pianificazione ordinaria. Il tema della scala, sia in termini temporali (con una programmazione di breve e/o lungo periodo delle azioni), ma soprattutto in termini territoriali-amministrativi, rappresenta uno degli aspetti su cui in futuro si dovrà porre adeguata attenzione. Se infatti alcune politiche o misure, specialmente quelle in merito alla qualità tecnologica degli impianti e degli edifici, hanno carattere sostanzialmente a-territoriale, le scelte urbanistiche in merito a uso del suolo, densità e sistemi di mobilità, variabili chiave per l’efficienza energetica e la resilienza territoriale, non possono essre inserite indifferentemente sotto il controllo di un unico soggetto amministrativo. Il raggiungimento di tali obiettivi nel contesto urbano richiede strategie che superino i limiti delle amministrazioni locali, motivo per il quale in molti casi si parla di implementation gap come problema di processo decisionale (Verones, 2012). La scala comunale non è sempre la migliore per governare processi e politiche complessi per una pianificazione climate proof. È questo il caso, ad esempio, della Provincia di Venezia, che negli ultimi anni ha avviato un processo di policy design a supporto di politiche ambientali innovative, anticipando di fatto la sperimentazione sulla scala vasta, in attesa della formale trasformazione in “città metropolitana” attesa per il 2015. In questo senso vanno l’Agenda Metropolitana Ambiente10 e l’idea di redigere una prima ipotesi di Piano clima che abbia come riferimento di attuazione la città metropolitana (Musco, 2014b). Integrazione Spesso i Piani clima – permanendo nello loro natura di strumenti volontari – si inseriscono in un contesto fatto di molteplici iniziative che toccano il tema della sostenibilità energetica e ambientale in modo più o meno diretto. Se questi processi vengono portati avanti ognuno in maniera indipendente, tendono a indebolirsi generando un uso inefficiente delle risorse interne alle amministrazioni locali, se non addirittura a entrare in aperto conflitto (laddove si renda esplicita, ad esempio, una sovrapposizione di competenze). Il percorso ottimale sarebbe quello di capitalizzare esperienze amministrative di ampia diffusione quali quelle intraprese con la pianificazione strategica e la programmazione complessa. L’abilità di portare avanti percorsi condivisi tra settori dell’amministrazione locale quali l’urbanistica, l’ambiente, i lavori pubblici, la manutenzione, l’edilizia pubblica e privata, nella condivisa prospettiva di attività centrate sulla destinazione d’uso di aree urbane, evidenzia in maniera significativa quale sia la forma corretta di promuovere nuove forme di azione amministrativa integrata. Come esempi interessanti a livello nazionale si possono citare le esperienze di Torino e Genova, che stanno perseguendo la strada dell’integrazione di iniziative diverse, utilizzando smart city come contenitore principale in cui inserire anche la fase di pianificazione urbanistica. A livello della Regione Veneto l’ultima variante al PTCR (Piano Territoriale di Coordinamento Regionale a valenza paesaggistica) dell’aprile del 2013 ha introdotto alcune innovazioni, a partire UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 25 dall’apparato normativo11, che pongono il tema della pianificazione territoriale con finalità di mitigazione e adattamento tra gli obiettivi del piano regionale. Si tratta sicuramente di un primo segnale – necessario ma non sufficiente – verso una pianificazione territoriale climate proof. Riferimenti bibliografici Allman, L. - Wallace, A. - Fleming, P.D. (2002), Climate Change: a Survey of Local Authorities. London: Local Government Association. Baker, S. - Eckerberg, K., eds (2009), In Pursuit of Sustainable Development: New Governance Practices at the Sub-National Level in Europe. London: Routledge. In generale un Climate Resilience Study può comprendere: 1) la valutazione della vulnerabilità dell’insediamento urbano ai cambiamenti climatici; 2) la valutazione del rischio dei cambiamenti climatici nel futuro – con opportuno downscaling delle informazioni territoriali e climatiche; 3) un’identificazione delle aree prioritarie di azione di adattamento. 2 Numerosi sono i progetti a cui hanno partecipato amministrazioni locali italiane finanziati sia nell’ambito dei vari programmi della Cooperazione territoriale europea, del programma Life (solo a titolo di esempio si vedano i risultati dei progetti Amica, UHI, Larks, RACES, GRaBS, Adapto, Gaia, Life Act, Blue AP, Adapt Alp, Circe, SEAP-Alps). 3 Il Patto dei Sindaci è il principale movimento europeo che vede coinvolte le autorità locali e regionali impegnate ad aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti energetiche rinnovabili nei loro territori. Attraverso il loro impegno i firmatari del Patto intendono raggiungere e superare l’obiettivo europeo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2020. Nel 2014 la Commissione Europea ha lanciato il programma gemello dedicato all’adattamento Mayors Adapt. Per approfondimenti si rimanda a Magni e Musco (2014). 4 Il progetto UE Interreg. IV C “GRaBS - GReen and Blue Space adaptation for urban areas and eco towns” si pone come obiettivo principale l’aumento delle capacità e competenze nell’ambito dell’infrastruttura “verde” e “blu” per affrontare la vulnerabilità del territorio tramite strategie di pianificazione e di rafforzamento delle difese naturali. 5 Pacchetto clima energia - Commissione Europea. 6 Soprattutto i piani di ultima generazione hanno una forte propensione verso pratiche non solo di mitigazione ma anche di adattamento. A livello italiano, con il documento Città resilienti - l’Adattamento dei sistemi urbani al cambiamento climatico il Coordinamento Nazionale Italiano Agende 21 Locali fornisce un indirizzo verso il quale i piani clima e i PAES dovrebbero orientarsi. 7 Problemi idraulici (innalzamento del livello del mare e irregolarità nelle precipitazioni) e termici (aumento delle temperature) sono quelli presi maggiormente in considerazione in quanto sono riconosciuti da tutta la comunità scientifica operante sulle tematiche del clima come principali impatti prodotti dal climate change. 8 Il parere positivo della Conferenza Stato-Regioni è dell’ottobre 2014. 9 Limiti di riferimento temporali rispetto ai quali verificare la riduzione. 10 Si rimanda a Benatelli (2014) (a cura di), Agenda Metropolitana Ambiente, Provincia di Venezia, Venezia http:// politicheambientali.provincia.venezia.it/. 11 In particolare all’articolo 68, Riordino del sistema insediativo e criteri di progettazione, si dà mandato agli strumenti urbanistici sotto-ordinati di supportare adattamento e mitigazione, definendo opportune strategie per la mitigazione del fenomeno dei cambiamenti climatici e l’adattamento agli effetti da esso generati. 1 Benatelli, N., a cura di (2014), Agenda Metropolitana Ambiente. Venezia: Provincia di Venezia. Biesbroek, G.R. - Swart, R.J. - Capela Lourenço, T. (2014), “Science of Adaptation to Climate Change and Science for Adaptation”. Frontiers in Environmental Science, 29: 1-8. Biesbroek, G.R. - Swart, R.J. - Knaap, W.G.M. van der (2009), “The Mitigation–Adaptation Dichotomy and the Role of Spatial Planning”. Habitat International, 33: 230-237. Bulkeley, H. (2009), “Planning and Governance of Climate Change”. In Planning for Climate Change. Strategies for Mitigation and Adaptation for Spatial Planners, eds S. Davoudi - J. Crawford - A. Menhmood. London: Earthscan, 319. Bulkeley, H. - Betsill, M. (2005), “Rethinking Sustainable Cities: Multilevel Governance an the Urban Policies of Climate Change”. Environmental Politics, 14(1): 42-63. Carraro, C. (2009), “La Stern Review. Tra Scienza e politica dei cambiamenti climatici”. In N. Stern, Clima è vera emergenza. Milano: Francesco Brioschi editore, 9-18. 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Dalla Strategia Nazionale per l’Adattamento Climatico all’azione locale. riflessioni sui percorsi da costruire Andrea Filpa, Simone Ombuen La Strategia Nazionale di Adattamento Climatico in Italia: contenuti e stato dell’arte Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare (MATTM) ha avviato nel 2012 la redazione della Strategia Nazionale di Adattamento Climatico (SNAC), finalizzata ad attivare processi e interventi tesi a contrastare criticità e impatti che, secondo evidenze scientifiche, interesseranno il territorio italiano anche in presenza – ma i segnali planetari non vanno purtroppo in questa direzione – di efficaci misure di contenimento delle emissioni. La elaborazione della SNAC è stata coordinata dal Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) e ha coinvolto sotto il profilo disciplinare – attese la multisettorialità e l’intersettorialità dei temi affrontati – un tavolo tecnico costituito da circa 100 esperti della comunità scientifica nazionale; i passaggi principali del processo di redazione si sono avvalsi del contributo partecipativo di altri Ministeri e delle Regioni, di istituzioni di rilievo nazionale, di stakeholders. L’intero processo si è basato sulle good practices maturate in altri paesi europei – ad oggi sono ben 18 le strategie di adattamento nazionali adottate in Europa – ed è stato orientato in coerenza con la Strategia di adattamento europea adottata nell’aprile 2013 dalla Commissione Europea. Il primo rapporto prodotto nell’ambito della SNAC – il Rapporto sullo stato delle conoscenze scientifiche su impatti, vulnerabilità ed adattamento ai cambiamenti climatici 1 – è di natura prettamente ricognitiva, e ha inteso fare il punto sulle variabilità climatiche passate, presenti e future, nonché sugli impatti e sulle vulnerabilità attese in Italia. L’esame degli impatti e delle vulnerabilità ha interessato un novero amplissimo di settori – risorse idriche, desertificazione, dissesto idrogeologico, biodiversità ed ecosistemi, salute, foreste, agricoltura, pesca, turismo, zone costiere, insediamenti urbani, infrastrutture, energia – e rappresenta oggi la più completa raccolta di conoscenze in materia climatica disponibile in Italia. Il rapporto contiene anche quadri territoriali inerenti sia all’area alpina e appenninica che al Distretto idrografico del Po. In parallelo uno specifico gruppo di lavoro ha redatto un secondo documento, denominato Analisi della normativa comunitaria e nazionale rilevante per gli impatti, la vulnerabilità e l’adattamento ai cambiamenti climatici, che raccoglie e interpreta gli elementi indispensabili per sviluppare nell’alveo delle tendenze europee la nascente normativa climatica italiana, sia di livello nazionale che regionale. A valle di questi due rapporti conoscitivi è stato sviluppato il prodotto progettuale del gruppo di lavoro tecnico della SNAC, ovvero gli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, che individua i principali settori suscettibili di subire impatti rilevanti a causa del cambiamento climatico e che propone gli obiettivi strategici e le azioni che – in funzione delle specificità locali – potranno essere declinati a livello locale. Occorre sottolineare che gli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici – pur essendo stati oggetto di importanti passaggi istituzionali e partecipativi – non si identificano con la Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici che, al momento in cui si scrive, è ancora in corso di verifica e affinamento presso il MATTM e non è dunque ancora stata resa pubblica. Le considerazioni che si svilupperanno di seguito in merito ai possibili ausili che la SNAC potrà offrire ai percorsi di adattamento climatico locale sono pertanto suscettibili di variazioni a seguito del varo della SNAC vera e propria. 29 Non si ritiene in ogni modo inutile proporre, nei due paragrafi che seguono, un breve richiamo alle principali vulnerabilità climatiche individuate per il contesto nazionale nonché ai principi ispiratori proposti dagli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, entrambi elementi che – ragionevolmente – non dovrebbero subire cambiamenti significativi nella SNAC che verrà approvata, si auspica, a breve. Principali vulnerabilità e impatti climatici individuati Gli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici hanno individuato come segue le principali vulnerabilità e i potenziali impatti climatici in Italia2: – possibile peggioramento delle condizioni già esistenti di forte pressione sulle risorse idriche, con conseguente riduzione della qualità e della disponibilità di acqua, soprattutto in estate, nelle regioni meridionali e nelle piccole isole; – possibili alterazioni del regime idrogeologico che potrebbero aumentare il rischio di frane, colate di fango e detriti (debris-flow), crolli di roccia e alluvioni improvvise (flash-flood). Le zone maggiormente esposte al rischio idrogeologico comprendono la valle del fiume Po (soggetta a un aumento del rischio di alluvione) e le aree alpine e appenniniche (soggette al rischio di alluvioni improvvise); – possibile degrado del suolo e rischio più elevato di erosione e desertificazione del terreno, con una parte significativa del Sud del paese classificato a rischio di desertificazione e diverse regioni del Nord che mostrano condizioni preoccupanti; – maggior rischio di incendi boschivi e siccità per le foreste italiane, con la zona alpina e le regioni insulari (Sicilia e Sardegna) che mostrano le maggiori criticità; – maggior rischio di perdita di biodiversità e di ecosistemi naturali, soprattutto nelle zone alpine e negli ecosistemi montani e nei corpi idrici; – maggior rischio di inondazione ed erosione delle zone costiere a causa di una maggiore incidenza di eventi meteo-climatici estremi e dell’innalzamento del livello del mare (anche in associazione al fenomeno della subsidenza, di origine sia naturale, sia antropica); – potenziale riduzione della produttività agricola soprattutto per le colture di frumento, ma anche di frutta e verdura; le coltivazioni di ulivo, agrumi, vite e grano duro potrebbero diventare possibili nel Nord dell’Italia, mentre nel Sud la coltivazione del mais potrebbe peggiorare e risentire ancor più della scarsa disponibilità di acqua irrigua; – sono possibili ripercussioni sulla salute umana, specialmente per i gruppi più vulnerabili della popolazione, per via di un possibile aumento di malattie e mortalità legate al caldo, di disturbi cardio-respiratori da inquinamento atmosferico, di infortuni, decessi e patologie causati da inondazioni e incendi, di disturbi allergici e cambiamenti nella comparsa e diffusione di malattie di origine infettiva, o veicolate tramite l’acqua e gli alimenti; – potenziali danni per l’economia italiana nel suo complesso, dovuti alla possibilità di un ridotto potenziale di produzione di energia idroelettrica; a un’offerta turistica invernale ridotta (o più costosa) e a una minore attrattività turistica della stagione estiva; a un calo della produttività nel settore dell’agricoltura e della pesca; a effetti sulle infrastrutture urbane e rurali con possibili interruzioni o inaccessibilità della rete di trasporto con danni agli insediamenti umani e alle attività socio-economiche. Si tratta con tutta evidenza di fenomeni che non possono non interessare l’azione di amministratori pubblici consapevoli; sono impatti che riguardano direttamente gli insediamenti urbani e l’ambiente in senso lato, che investono la qualità di vita dei cittadini e dunque impongono un’adeguata attenzione nelle agende urbane. Ne deriva che l’adattamento al climate change sarà un processo 30 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico di lungo termine che coinvolgerà tutte le articolazioni dell’amministrazione pubblica e della società; un processo che – lo dimostrano le esperienze in atto – avrà tanto maggiori possibilità di successo quanto più verrà condiviso dai cittadini. I principi ispiratori e i campi di applicazione proposti per le strategie di adattamento climatico Gli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici contengono una vision sui percorsi e sulle modalità per affrontare gli impatti dei cambiamenti climatici, per individuare un insieme di azioni da porre in essere al fine di ridurre al minimo i diversi tipi di rischi, per proteggere la salute e il benessere dei cittadini, per mantenere la funzionalità dei sistemi naturali, sociali ed economici. I principi ispiratori di questo disegno – derivati dalle esperienze di altri paesi europei, consolidate e sistematizzate in numerosi rapporti e contributi scientifici3 – sono utili come road map e sono così sintetizzabili4: – adottare un approccio basato sulla conoscenza e sulla consapevolezza. Le conoscenze sui possibili impatti dei cambiamenti climatici e sulla vulnerabilità del territorio nazionale necessitano ancora di ampie e approfondite analisi scientifiche. Una precondizione essenziale per un’appropriata azione di adattamento è migliorare la base conoscitiva al fine di aumentare la disponibilità di stime più affidabili e ridurre le incertezze scientifiche circa i futuri cambiamenti climatici e i loro impatti, anche economici; – lavorare in partnership e coinvolgere gli stakeholders e i cittadini. L’adattamento alle conseguenze dei cambiamenti climatici è una sfida che coinvolge – oltre i governi centrali e le amministrazioni locali (multilevel governance) – un elevato numero di stakeholders sia del settore pubblico che privato, rilevanti nel processo di adattamento. Il coinvolgimento attivo dei cittadini e delle loro associazioni può apportare un significativo valore aggiunto al processo di adattamento; – lavorare in stretto raccordo con il mondo della ricerca e dell’innovazione. Affinché i decisori politici e gli operatori settoriali possano identificare efficaci strategie di adattamento a potenziali scenari futuri, è necessario che gli stessi siano a conoscenza delle potenzialità derivanti dalla ricerca e dall’innovazione; – considerare la complementarità dell’adattamento rispetto alla mitigazione. Adattamento e mitigazione non sono in contraddizione tra di loro, ma rappresentano due aspetti complementari della politica sui cambiamenti climatici; – agire secondo il principio di precauzione di fronte alle incertezze scientifiche. L’incertezza sulle future emissioni di gas serra globali e sulla conoscenza del clima futuro e dei suoi impatti non costituisce un valido motivo per non intervenire anche perché i danni prodotti dalla “non azione”’ possono essere più elevati dei costi stessi delle azioni; – agire con un approccio flessibile. Le politiche e le azioni di adattamento dovranno essere elaborate e pianificate caso per caso, al fine di rispondere in maniera efficace alle diverse necessità e condizioni regionali e locali, evitando di adottare un unico approccio valido per tutti i contesti. Questa gestione flessibile può attuarsi integrando diversi tipi di misure di adattamento, le “misure grigie” (soluzioni tecnologiche e ingegneristiche), le “misure verdi” (approcci basati sugli ecosistemi) e le “misure leggere” (approcci gestionali, giuridici e politici); – agire secondo il principio di sostenibilità ed equità intergenerazionale. Ogni forma di adattamento deve tener conto del principio della sostenibilità e dell’equità intergenerazionale a fronte della limitatezza delle risorse non rinnovabili. Le risposte agli impatti dei cambiamenti climatici non dovranno pregiudicare gli interessi delle generazioni future, nonché la capacità di altri sistemi naturali e dei settori sociali ed economici di perseguire l’adattamento; UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 31 – adottare un approccio integrato nella valutazione dell’adattamento. I cambiamenti climatici e gli effetti a essi associati hanno impatti sulle attività economiche e sui sistemi ambientali in tempi e su scale spaziali differenti. Essi potranno amplificare le differenze regionali in termini di qualità e disponibilità delle risorse naturali ed esacerbare i conflitti negli usi di tali risorse; – adottare un approccio basato sul rischio nella valutazione dell’adattamento. I rischi e le opportunità che deriveranno dai cambiamenti climatici dovranno essere analizzati, valutati e confrontati al fine di formulare obiettivi chiari e identificare conseguentemente le risposte prioritarie anche sulla base di determinati e opportuni criteri (ad esempio: urgenza, efficacia, efficienza, flessibilità, reversibilità, sostenibilità, robustezza, equità ecc.); – integrare l’adattamento nelle politiche esistenti. L’adattamento dovrà essere integrato nelle politiche e nei processi esistenti (ad esempio di decisione politica) che spesso non identificano come azione di “adattamento” quanto viene espresso in quelle politiche, non solo in campo ambientale ma anche nell’ambito economico e del settore privato; – effettuare un regolare monitoraggio e la valutazione dei progressi verso l’adattamento. L’efficacia delle decisioni e i progressi compiuti nell’ambito dell’adattamento dovranno essere oggetto di un monitoraggio e di una valutazione continua attraverso indicatori opportunamente validati. Non vi è dubbio che i principi ispiratori tratteggino un disegno di ampio respiro, e questa ampiezza è ulteriormente testimoniata dai campi di applicazione previsti per gli interventi di adattamento (fig.1), interventi che nella stesura definitiva della SNAC saranno specificati nel dettaglio per ciascun settore e micro-settore. Si è già considerato in precedenza che, essendo gli insediamenti urbani uno dei nodi maggiormente critici dell’adattamento climatico, si prefigura un impegno consistente degli enti locali coinvolti nel governo territoriale. Sarà in tal senso utile richiamare le azioni di adattamento che gli Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici propongono per gli insediamenti urbani, articolate in funzione della distinzione ormai canonica tra soft, green e grey 5. A) Azioni soft – incentivare la ricerca sui cambiamenti climatici in una logica di downscaling; – promuovere la formazione di Strategie e di Piani di adattamento urbani nel contesto della iniziativa Mayors Adapt; – promuovere, sul modello europeo della piattaforma Climate-ADAPT, lo scambio di esperienze e la diffusione delle best practices; – verificare le previsioni degli strumenti di governo del territorio vigenti; – integrare gli atti di regolazione delle trasformazioni urbane e di gestione degli insediamenti esistenti; – elaborare linee guida per l’adattamento climatico a scala locale; – incrementare la consapevolezza dei cittadini, delle imprese e degli stakeholder; – incentivare la ricerca scientifica in materia di adattamento climatico della città esistente. B) Azioni green – favorire e incentivare la diffusione dei tetti verdi e l’incremento del verde pubblico e privato, anche a fini di calmierazione dei fenomeni estremi di calore estivo; – incrementare la dotazione del verde urbano adottando la logica delle green and blue infrastructures – realizzare, anche a fini dimostrativi e di sensibilizzazione dei cittadini, interventi sperimentali di adattamento climatico di spazi pubblici in quartieri particolarmente vulnerabili; – favorire, nell’ambito delle green and blue infrastructures, la diffusione degli orti urbani. 32 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Settore Micrro-settore Risorse idriche (quantità e qualità) Desertificazione, degrado del territorio e siccità Dissesto idrogeologico Biodiversità ed ecosistemi Ecosistemi terrestri Ecosistemi marini Ecosistemi di acque interne e di transizione Saluti (rischi e impatti dei cambiamenti climatici, determinanti ambientali e meteo climatici Foreste Agricolutra, acquacoltura e pesca Agricoltura e produzione alimentare Pesca Marittima Acquacoltura Energia (produzione e consumo) Zone Costiere Turismo Insediamenti urbani Infrastruttura critica Patrimonio culturale Trasporti e infrastrutture Casi speciali Area alpina e appenninica (aree montane) Distretto idrografico padano 1. I settori e micro-settori d’azione per l’adattamento (Fonte: Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, 2014). 2.Azioni soft; il sistema di preallarme climatico via SMS attivato a Rotterdam. 3.Azioni soft; lo studio sulla vulnerabilità climatica dell’insediamento romano redatto dal Dipartimento di Architettura dell’Università di Roma Tre in collaborazione con ENEA (2014). 4. Le azioni grey: uno spazio pubblico multifunzionale (area ricreativa in situazioni normali, bacino di raccolta della acque meteoriche in caso di eventi eccezionali) previsto dal Climate Plan di Rotterdam. UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 33 C) Azioni grey – prevenire l’incremento dei rischi idraulici e geomorfologici; – intervenire nelle aree idraulicamente critiche degli insediamenti; – selezionare e programmare la spesa per opere pubbliche, soprattutto infrastrutturali, privilegiando la messa in sicurezza di quelle esistenti di importanza strategica e la loro funzionalità nel corso di eventi estremi; – incrementare le dotazioni infrastrutturali per la mobilità ciclabile e pedonale; – favorire la sperimentazione di nuovi modelli insediativi capaci di far fronte ai cambiamenti climatici. È del tutto evidente che, per governare una manovra di questa ampiezza, sarà necessario uno sforzo di coordinamento e di programmazione innovativo e, per questo, dagli esiti non scontati; in alcune realtà italiane – la più recente è Bologna con il suo progetto BlueAp6 – si sta comunque sperimentando la redazione di Piani di adattamento locali che, sulla scorta di esperienze da tempo maturate in Europa (ma non solo), hanno la finalità di orientare l’azione pubblica e privata nella pratica di una sfida che prevedibilmente occuperà per lungo tempo un ruolo di massimo rilievo nelle agende urbane. Programmare l’adattamento climatico locale La SNAC potrà costituire un riferimento importante per l’azione a livello locale, ma da parte delle amministrazioni sarà necessario un ingente lavoro progettuale teso a contestualizzare gli obiettivi e le azioni appropriate per gli specifici contesti. Attese la grande variabilità degli impatti climatici potenzialmente suscettibili di interessare gli insediamenti urbani e la conseguente complessità delle azioni necessarie per l’adattamento, la letteratura scientifica e le esperienze operative finora implementate hanno sedimentato numerosi approcci metodologici tesi a guidare i percorsi che conducono a un Piano di adattamento locale. Tra i più recenti si segnalano il Planning for adaptation to climate change. Guidelines for municipalities (Giordano et al., 2013; fig. 5)7, nonché le Guidelines on developing adaptation strategies (EC, 2013), incluse nella Strategia Europea di Adattamento della Commissione Europea (16 aprile 20138) e che si basano sul cosiddetto Adaptation support tool della piattaforma europea raccomandando agli stati membri – per sviluppare e attuare le proprie strategie di adattamento – una sequenza composta da sei passi (fig. 6): – preparare il terreno per l’adattamento attraverso la creazione di una serie di assetti istituzionali e attività organizzative; – valutare i rischi e le vulnerabilità ai cambiamenti climatici; – identificare le opzioni di adattamento; – selezionare le opzioni di adattamento, stabilendone le priorità e organizzandole in una strategia; – attuare la strategia, operazione che implica lo sviluppo di un piano di azione con l’assegnazione dei ruoli e delle responsabilità, assicurando le risorse umane e finanziarie nel lungo termine; – monitorare e valutare la strategia. Come si è già accennato in precedenza, i percorsi verso la redazione di un Piano di adattamento non solo sono complessi sotto i profili del coordinamento istituzionale e della decisione politica, ma anche sotto quelli analitico-ricognitivi, comportando alcuni passaggi tecnici che – almeno nella realtà italiana – potrebbero risultare piuttosto problematici. Si argomenta brevemente questa affermazione con due esempi. Un fondamentale passaggio preliminare al Piano di adattamento comporta la conoscenza della tipologia e della magnitudine dei cambiamenti climatici che interesseranno un dato territorio, ad esempio un comune o una provincia. 34 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 5. Il processo di redazione di un Piano locale di adattamento climatico suggerito da Planning for adaptation to climate change. Guidelines for municipalities (Giordano et al., 2013). 6. La sequenza proposta dalle Guidelines on developing adaptation strategies (EC, 2013) incluse nella Strategia Europea di Adattamento della Commissione Europea. 7. Lo schema metodologico utilizzato per definire la Carta della vulnerabilità climatica di Roma 1.0. (Università di Roma Tre - ENEA). UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 35 Questa operazione pone il problema rilevante del downscaling dei modelli climatici, attualmente predisposti per territori molto ampi e quindi non compiutamente suscettibili di fornire indicazioni dettagliate in merito a situazioni locali; il downscaling si presenta tuttavia un’operazione complessa e costosa, in quanto necessita di competenze scientifiche a oggi esprimibili soltanto da qualificati enti di ricerca nazionali, gli unici in grado di fornire – se messi in condizione di farlo con adeguate risorse – climate services alle amministrazioni locali. Una seconda operazione tecnicamente complessa è quella indispensabile per definire la vulnerabilità delle differenti parti del territorio oggetto del Piano di adattamento – ovvero la vulnerability analysis – operazione che prevede, sulla base della letteratura scientifica, quattro passaggi sequenziali (fig. 7): –la exposure analysis, che mette in evidenza l’entità e la natura dei mutamenti climatici che prevedibilmente si manifesteranno nelle differenti parti del territorio (ad esempio individuando la temperatura attesa nei picchi nelle parti centrali della città e nelle parti periferiche); –la sensitivity analysis, espressiva del grado di fragilità che le differenti parti della città presenteranno al manifestarsi dei mutamenti climatici considerati: la fragilità può essere riferita a caratteristiche insediative (quindi presenza di determinate funzioni urbane, continuità e densità dell’edificato) oppure ad aspetti demografici e socioeconomici (ad esempio densità della popolazione, incidenza della popolazione anziana, concentrazione delle fasce a basso reddito ecc.); –la impact analysis che, interpolando le informazioni raccolte con la exposure analysis e con la sensitivity analysis, definisce con la massima precisione possibile l’estensione, la localizzazione e l’incisività degli impatti attesi, che potranno riguardare sia risorse naturali che la città e le infrastrutture, ma anche le componenti sociali della popolazione insediata; – la valutazione della resilience del sistema esaminato, ovvero della sua capacità intrinseca di far fronte agli impatti climatici: verrà in tal senso considerata la resilience sia dei sistemi naturali (dipendente da situazioni pregresse di stress di habitat, ad esempio di corpi idrici) sia di opere e infrastrutture (in questo caso la resilience varierà, ad esempio, in funzione della maggiore o minore qualità di alcune caratteristiche costruttive, oppure dalla maggiore o minore disponibilità di risorse economiche impiegabili per la loro messa in sicurezza) sia infine degli abitanti (influiranno in questo caso stato di salute, reddito, livello di istruzione, coesione sociale). Dall’interpolazione della impact analysis e della resilience si dedurrà il grado di vulnerabilità delle differenti parti del territorio e quindi si procederà alla definizione delle azioni di adattamento. Si tratta di un processo evidentemente complesso, che ha necessità non solo di una quantità molto elevata di informazioni, ma anche di una pluralità di competenze scientifiche e disciplinari; un processo che un’istituzione locale di contenute dimensioni è molto difficile possa riuscire a sviluppare senza adeguati supporti da parte – ad esempio – della Regione. In buona sostanza, le esperienze già maturate in materia di adattamento climatico sono ampiamente sufficienti per capire cosa fare; oggi, in Italia, il problema serio è come riuscire a farlo. Ma l’adattamento climatico conviene sotto il profilo economico? Non sono numerosi gli studi economici sui costi del cambiamento climatico in Italia, e neppure quelli che comparano i costi/benefici derivanti dal promuovere azioni di adattamento rispetto ai costi dell’inazione (do nothing); la letteratura in materia non è ricca neppure a livello europeo, anche se nei paesi più avanzati la ricerca è vivace9. Si può in ogni caso affermare che non si incontrano posizioni argomentate in merito alla preferibilità del do nothing, e dunque si concorda sull’opportunità di agire, anche se per ora si ammette la complessità di operare stime quantitative. 36 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 8. Modellazione tridimensionale degli effetti del sea rise level (Fonte: Cloudburst adaptation: a cost-benefit analysis, Municipality of Copenhagen, 2014). UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 37 Pur in assenza di certezze quantitative, a parere di chi scrive la preferibilità dell’agire rispetto a quella del non agire deriva da almeno tre ragioni. La prima risiede nel fatto che azioni importantissime di adattamento sono praticamente a costo zero, e dunque ragionare sui costi risulterebbe fuorviante. Evitare di pianificare nuovi insediamenti in aree soggette a rischio idraulico, evitare la proliferazione di infrastrutture che potrebbero dover far fronte a requisiti funzionali oggi non prevedibili, tutelare la naturalità residua in ambito urbano sono scelte insieme ragionevoli, a costo zero e suscettibili di promuovere importanti forme di adattamento. Una seconda ragione consiste nel fatto che molte opere di adattamento sono riconducibili ad azioni già contabilizzate nell’ordinaria gestione urbana, ovvero ad azioni che fino a oggi non sono state considerate nelle loro valenze ai fini dell’adattamento climatico. Attualmente le amministrazioni spendono per la manutenzione fognaria, per l’incremento del verde, per l’ammodernamento delle reti e delle infrastrutture, interventi che potrebbero essere utilmente riprogrammati privilegiando quelli con la maggiore valenza adattativa. I costi dell’adattamento, quindi, non sarebbero totalmente nuovi ma dovrebbero essere al massimo – se necessario – computati come costi aggiuntivi rispetto a quelli correnti già consolidati. Una terza ragione, infine, dipende dal fatto che – in materia di adattamento – esistono differenti soluzioni a un medesimo problema, e che esse hanno costi che possono presentarsi estremamente diversi. Un insediamento a rischio di inondazione, per fare un esempio, può essere messo in sicurezza attraverso interventi (arginature, riconfigurazione di alvei, difese costiere) molto costosi, oppure essere delocalizzato con costi considerevolmente minori (sotto questo aspetto l’Italia offre purtroppo moltissimi esempi di opere di salvaguardia dal costo largamente maggiore dei beni tutelati, spesso insediamenti abusivi ma condonati). Sempre in tema di messa in sicurezza, risultati analoghi alla costruzione di nuovi argini potrebbero essere raggiunti attraverso la creazione di un sistema di allerta fondato sulla telefonia mobile, ovviamente di costo incomparabilmente inferiore. Risolvere problemi gravi può risultare non particolarmente costoso, anche se ovviamente non sarà sempre così. Resta il fatto che per spendere bene in materia di adattamento climatico occorre un’accurata programmazione; in tal senso – oggi in Italia – la priorità certa appare quella di redigere – in ogni realtà urbana – un Piano di adattamento che individui con chiarezza i profili di una sfida di governo che con il passare del tempo diverrà sempre più inevitabile. 1 I tre rapporti citati nel presente paragrafo sono disponibili al download sul sito del MATTM. Da Il contesto della strategia nazionale di adattamento, in Elementi per una Strategia Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (dicembre 2014). 3 Ad esempio il Libro Bianco della Commissione Europea su L’adattamento ai cambiamenti climatici: verso un quadro d’azione europeo (EC, 2009), Guiding principles for adaptation to climate change in Europe (2010) e i più recenti documenti di corredo alla Strategia Europea di Adattamento, in particolare il documento Guidelines on developing adaptation strategies (EC, 2013). 4 Cfr. nota 2; per esigenze di spazio non si è riportato il testo integrale, privilegiando i messaggi essenziali. 5 Anche in questo caso i contenuti del documento originale sono per motivi di spazio soltanto richiamati; informazioni più dettagliate emergeranno ovviamente dalla sua lettura integrale. 6 www.blueap.eu. 7 Queste linee guida, specifiche per le realtà locali, sono state sviluppate nell’ambito del progetto Life ACT (Adapting to Climate change in Time) da ISPRA in collaborazione con le municipalità di Ancona, Bullas (Spagna) e Patras (Grecia); http:// www.actlife.eu/medias/306-guidelinesversionefinale20.pdf. 8 http://www.climate-adapt.eea.europa.eu/. 9 Si veda, ad esempio, Cloudburst adaptation: a cost-benefit analysis, Municipality of Copenhagen, 2014. 2 38 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 1.3.Integrare e attuare politiche per il clima urbano: strumenti di pianificazione ordinaria e specialistica Sara Verones Introduzione Se il dibattito professionale e quello all’interno delle amministrazioni, per lo più in Italia, sono attualmente incentrati sull’individuazione e redazione di strumenti riferiti ai cambiamenti climatici e all’efficienza energetica, come i Piani Clima ma ancor più i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), il dibattito accademico riconosce la capacità dell’insieme di politiche già definite nei sistemi di governo locale a ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici su sistemi naturali e antropizzati, da un lato e a ridurre le esternalità ambientali che possono favorire le mutazioni climatiche nel medio e lungo periodo dall’altro. Questo attraverso l’applicazione di un approccio di valenza strategica che sia in grado di tenere assieme diversi livelli di gestione, di settori di intervento e di attori. L’articolo propone delle considerazioni metodologiche per incoraggiare gli enti locali a utilizzare gli strumenti di pianificazione ordinaria e specialistica per il clima urbano, concentrando maggiormente gli sforzi sull’integrazione delle politiche e l’attuazione delle strategie. I paragrafi identificano i principali trend e i recenti sviluppi in merito all’integrazione e all’attuazione di obiettivi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Strumenti e aree di intervento L’identificazione delle azioni principali è l’elemento chiave della definizione di strategie a lungo e breve-medio termine per il clima urbano. Le aree interessate da un processo di pianificazione consapevole del clima urbano, come da tabella 1, sono da considerare una raccomandazione generale che necessita di essere coordinata rispetto alle sfide più rilevanti della pianificazione a livello comunale. Le azioni chiave sono relative a molteplici Policy area che insistono principalmente su quelle tradizionalmente legate al governo e alla pianificazione del territorio, come l’uso del suolo, la mobilità, le attività produttive e l’ambiente (aria e acqua). Appare quindi evidente come all’interno dell’organizzazione di un’amministrazione le politiche per il clima urbano non abbiano un’attribuzione predeterminata, non siano di competenza specifica di una determinata ripartizione/area ma piuttosto i loro contenuti siano una variabile dipendente, che dovrebbe essere declinata nelle differenti aree politiche. Il principale rischio, non comprendendo appieno l’interazione tra politiche e pianificazione climatica e strumenti di pianificazione ordinaria e specialistica, è di rimanere una azione non classificata, né politica economica, né dei trasporti, né strategia per lo sviluppo locale, né politica ambientale e nemmeno politica urbana locale e provinciale. 39 Strumenti, livelli e scale della pianificazione Tab. 1. Aree chiave d’intervento Mitigazione I campi di intervento della mitigazione mirano a mantenere più bassi possibili gli impatti del cambiamento climatico Adattamento I campi di intervento dell’adattamento mirano ad aumentare la sensitività e la capacità di adattamento ai cambiamenti climatici A. Ridurre la domanda energetica (favorire l’efficienza energetica): – settore edifici/attrezzature/impianti 1.pubblici 2.privati – illuminazione pubblica – settore trasporti 1.pubblici 2.privati – gestione rifiuti – gestione acque 1. Evitare o ridurre l’esposizione ai rischi climatici: – greening buildings (tetti verdi e rie) – greening urbano (zone con minore disponibilità di verde e presenza categorie deboli) – reti ecologiche – reti verdi di viabilità senza auto – gestione delle acque (raccolta H2O piovana/riuso acque grigie) – permeabilità suoli B. Promuovere l’uso di risorse rinnovabili locali: – energia elettrica 1. centrali idroelettriche 2.microgenerazione 3. da cogenerazione – energia eolica – energia fotovoltaica – energia termica da trigenerazione –teleriscaldamento –teleraffrescamento – solare termico –geotermico 2.Accettare gli impatti e limitare le perdite che risultano dai rischi: – aree sicure da inondazioni – restrizioni alle aree destinate all’edificazione in zone di pericolo – identificare e proteggere infrastrutture critiche – stabilizzare e migliorare la protezione di funzione delle foreste – coordinare l’uso della risorsa acqua con le richieste dei settori dell’agricoltura e dell’energia – coordinare differenti richieste e spazi liberi con la produzione di energia da fonti rinnovabili [identificare, valutare e determinare aree prioritarie adatte alla produzione] 3. Catturare nuove opportunità – turismo (regolazione delle seconde case e delle residenze per vacanze ecc.) (Fonte: elaborazione dell’autore) 40 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico La variante parziale del PTRG con attribuzione della valenza paesaggistica della Regione Veneto, di data 10 aprile 2013, dirime il ruolo del livello regionale nell’ambito delle politiche per il clima urbano. Nello specifico, nell’articolo 68 la Regione Veneto intende farsi promotrice di strategie di mitigazione e di adattamento che abbiano una ricaduta sulla governance del territorio principalmente attraverso la pianificazione urbanistica stessa, supportata da sistemi sempre più avanzati di monitoraggio. Se la «definizione di nuove proposte finalizzate alla previsione, nei piani della protezione civile vigenti (gestione dell’emergenza) e in quelli territoriali e urbanistici, di misure preventive di allerta/ riduzione/contenimento per una più efficace gestione del rischio per la salute umana» pone l’accento su tutti i livelli di pianificazione, ordinari e specialistici, regionali, provinciali e comunali, la «definizione di metodologie, tecniche e criteri d’intervento per l’edificazione, il recupero, la trasformazione, la progettazione del verde e degli spazi pubblici, atti a migliorare la qualità degli ambienti urbani riguardo ai cambiamenti climatici» pone l’ente locale come il principale attore, attraverso i propri strumenti, della partita sui cambiamenti climatici. Inoltre, la «sperimentazione e sistema di monitoraggio avanzato» sottintende ancor più la partecipazione pioneristica di amministrazioni locali nei cui territori siano già in atto fenomeni legati al cambiamento climatico. Al riguardo, la tabella 2 evidenzia come il ruolo dell’ente locale di scala comunale interessi sia le principali azioni chiave da intraprendere, sia le strategie di gestione delle stesse negli ambiti di competenza dell’azione amministrativa. Nel contesto sopra delineato, il ruolo della Pubblica Amministrazione (PA) è diventato sempre più importante. Sebbene le riforme nazionali abbiano definito nel tempo un profilo della Pubblica Amministrazione più complesso e ricco di strumenti e responsabilità anche in tema di energia grazie prima alla legge del 9 gennaio 1991, n. 10 e poi al decreto 27 luglio 2005 tra i numerosi dispositivi normativi che sono stati promulgati, in merito alle azioni per l’adattamento ai cambiamenti climatici questo non è così facilmente individuabile se non proprio negli strumenti ordinari e specialistici messi quotidianamente in campo. I provvedimenti esistenti hanno disegnato un quadro in cui le competenze in materia energetica sono molto decentrate, con forti responsabilità per gli enti locali in ambito autorizzativo e di programmazione. A questo riguardo la Regione Veneto, con la legge del 9 marzo 2007, n. 5 ha approvato il PRS - Programma Regionale di Sviluppo che, uniformandosi alle linee guida della politica energetica comunitaria e nazionale, tra gli orientamenti strategici per il settore energia prevede l’incremento dell’efficienza degli usi finali di energia e l’incremento dell’utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili. Rispetto alle aree chiave d’intervento identificate nel paragrafo “Strumenti e aree di intervento”, l’amministrazione comunale è divenuta in molti casi promotrice di processi di sviluppo sostenibile a livello locale, con l’avvio di percorsi sperimentali di pratiche di sostenibilità e in particolare di corretta gestione di politiche energetiche e climatiche. Questa è quindi elemento trainante se si pensa che a livello locale si prendono decisioni di sviluppo urbanistico, di localizzazione produttiva, di infrastrutturazione viaria ecc., tutte con ripercussioni sul sistema territoriale complessivo e sulla capacità dello stesso di rispondere ai cambiamenti climatici in corso. UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 41 Tab. 2. Ruolo dell’ente locale di scala comunale Protezione di lungo periodo Limitazione degli impatti precedenti agli interventi stessi Rapidità della risposta post evento estremo Ricostruzione e rigenerazione +++ +++ Ambiente Costruito Regolamenti edilizi +++ Uso del suolo e catasto +++ + +++ Edifici pubblici +++ + +++ Strumenti di pianificazione urbanistica (zonizzazione) +++ +++ +++ Infrastrutture Distribuzione acqua potabile +++ + +++ +++ depurazione +++ + +++ +++ Raccolta acque reflue +++ +++ +++ +++ Strade, ponti, superfici +++ + +++ +++ Rifiuti solidi e smaltimento +++ + +++ +++ Trattamento acque reflue +++ +++ Servizi Protezione da incendi +++ + +++ + Ordine pubblico e allerta ++ +++ +++ + Raccolta rifiuti solidi urbani +++ +++ +++ +++ Scuole ++ ++ +++ +++ Assistenza sanitaria ++ ++ Salute/ambiente Trasporti pubblici +++ Welfare ++ +++ +++ +++ Risposta post disastro ++ +++ +++ +++ (Fonte: Elaborazione Iuav (2014) da ECO-LOGIC, Design of guidelines for the elaboration of Regional climate change adaptations strategies, 2009) Strumenti e integrazione I principali strumenti di governo del territorio, sia di pianificazione, sia di settore, a livello regionale, provinciale e comunale, sono tradizionalmente impegnati in alcune delle aree evidenziate nei precedenti paragrafi. Una delle principali sfide di una politica per il clima urbano è proprio quella di integrare informazioni, conoscenze e dati raccolti da istituzioni competenti e tradurli in strategie a lungo termine a sostegno di azioni a medio/breve termine. 42 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 1. Il processo di elaborazione delle azioni e degli strumenti. UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 43 La tabella 3 mostra, per il territorio della Regione Veneto, su quali strumenti e quali livelli un comune deve indirizzare le sue attenzioni per la costruzione di un apparato conoscitivo adeguato. L’elenco degli strumenti di pianificazione settoriale rispecchia quelli prescritti per legge nazionale e/o regionale, come il Piano Energetico Comunale ed il Piano regolatore per l’illuminazione comunale, e generalmente approvati in parte dai comuni veneti. Per quanto riguarda i regolamenti edilizi e i regolamenti comunali in genere, non sono molti i comuni che già prevedono l’obbligo di impiego di fonti di energia rinnovabile nelle nuove costruzioni o che comunque prevedano incentivi per chi decide di applicarle; per contro, più della metà dei comuni mette in atto un iter autorizzativo semplificato per chi installa tali tipologie di impianti e più di metà dei comuni interpellati si sta impegnando in iniziative e interventi volti al risparmio energetico nell’edilizia scolastica. Il workflow in figura 1 schematizza quale dovrebbe essere il processo di elaborazione delle azioni e degli strumenti partendo dalla pianificazione territoriale e dalla pianificazione di settore. Le azioni e gli strumenti per il clima urbano devono essere il risultato di un forte coordinamento tra i due livelli di pianificazione, tra le istituzioni e tra i settori di una stessa amministrazione. PAT - Piano di Assetto Territoriale Pianificazione territoriale a scala comunale di livello strategico. Impatta sul clima urbano attraverso: –definizione e gestione uso del suolo –gestione trasformazioni locali –programmazione dotazione locale servizi –applicazione standard qualità urbana e ambientale –applicazione regole quantitative/qualitative –pianificazione attuativa PI - Piano degli Interventi Individua e disciplina gli interventi di tutela e valorizzazione, di organizzazione e di trasformazione del territorio PGTU - Piano Generale del Traffico Urbano Il piano del traffico è finalizzato a ottenere il miglioramento delle condizioni di circolazione e della sicurezza stradale, la riduzione degli inquinamenti acustico e atmosferico e il risparmio energetico, in accordo con gli strumenti urbanistici vigenti e con i piani di trasporto Tab. 3. Strumenti pianificatori operanti nelle aree del cambiamento climatico Livello Piano Policy area inerenti PTCR - Piano Territoriale di Coordinamento Regionale Il PTCR rappresenta il documento di riferimento per la tematica dei cambiamenti climatici. Strategie di adattamento e di mitigazione PER - Piano Energetico Regionale Regione PI - Piano Idrogeologico Il PI rappresenta il documento settoriale di riferimento. Pianifica e definisce strategie di mitigazione e adattamento, analizzando il rischio, la vulnerabilità ed il pericolo del territorio e progettando misure di risposta PRTV - Piano Regionale Trasporti Veneto Il PRTV è il documento settoriale di riferimento per i trasporti. Strategie di mitigazione: infrastrutture di mobilità collettiva, infrastrutture di mobilità non veicolare PTCP - Piano Territoriale Coordinamento Provinciale Provincia Il PER rappresenta il documento di riferimento per la tematica dell’energia. Strategie di mitigazione: fonti rinnovabili, efficienza energetica, risparmio energetico PEAP - Piano Energetico Ambientale Provinciale Piano provinciale di emergenza Il PTCP rappresenta il documento di riferimento per lo sviluppo territoriale provinciale. Strategie di mitigazione: salvaguardia, protezione e diminuzione del carico antropico e dell’uso del suolo; strategie di adattamento: definizione di nuove modalità di sviluppo territoriale e urbano Strategie di mitigazione: analizzare consumi e produzione da fonti rinnovabili, promuovere efficienza e produzione energetica attraverso azioni specifiche, garantire la disponibilità di energia Strategie di adattamento: valutazione e analisi di tutti gli scenari incidentali sul territorio basati sui rischi potenziali e suddivisione del territorio provinciale in ambiti territoriali omogenei; risposta a eventi: gestione situazioni di emergenza, soccorso Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Mobilità Comune PEC - Piano Energetico Comunale PRIC - Piano Regolatore Illuminazione Comunale Il PUM si occupa di: intermodalità tra sistemi di trasporto; pianificazione rete ciclabile; trasporto collettivo pubblico su ferro e su gomma; trasporto collettivo “privato”; traffico motorizzato privato; trasporto merci urbano Strategie di mitigazione oggetto di analisi: –azioni per la diminuzione della domanda energetica –azioni per l’incentivazione dell’efficienza energetica –azioni per la promozione delle fonti rinnovabili – integrazione con la pianificazione urbana e territoriale e con la regolazione dell’attività edificatoria –certificazione energetica Strategie di mitigazione: linee guida di risanamento degli impianti esistenti e metodologia di intervento per i nuovi impianti Piano comunale di emergenza Strategie di adattamento e risposta agli eventi estremi: redazione di una carta del proprio territorio con indicazione delle aree esposte a rischi potenziali e organizzazione e gestione delle emergenze REC - Regolamento Edilizio Comunale Strategie di adattamento e mitigazione attuabili sugli edifici PAES - Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile (Covenant of Mayors volontario) + Mayor Adapts (segue) 44 PUM - Piano Urbano Strategie di mitigazione e adattamento (Fonte: elaborazione dell’autore) UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 45 Strumenti e modelli di governance Bulkeley e Kern (2006) identificano 4 modelli di governance, attualmente presenti nelle pubbliche amministrazioni riguardo alle politiche per il cambiamento climatico e l’efficienza energetica: governare attraverso l’imposizione di un’autorità, governare attraverso la fornitura di risorse e servizi, governare tramite la facilitazione dei processi e l’auto-governo. In particolare, nella letteratura riguardante il cambiamento climatico, governing by authority si riferisce a situazioni in cui la legislazione nazionale e locale interviene direttamente nelle politiche attraverso strumenti di regolazione, autoritativi o di comando e controllo (Bulkeley - Kern, 2006). In contrasto, governing by provision avviene con particolari modalità di erogazione dei servizi, anche attraverso incentivi positivi (inclusi fondi). Governare tramite la facilitazione si riferisce a situazioni in cui i governi locali stimolano azioni da attori privati attraverso la facilitazione delle condizioni. Per esempio, queste condizioni facilitatorie possono includere linee guida per autorità locali o disseminazione d’informazioni e best practices. L’auto-governo è caratterizzato da azioni di auto motivazione che possono avvenire tra città e regioni dove le politiche per il cambiamento climatico in ambito urbano sono cruciali. Il self-governing può verificarsi in quegli ambiti in cui è prevista competenza locale. Questo può anche essere esteso alle politiche per l’efficienza energetica. Si tratta di uno dei modelli di governance più sviluppato in Europa, in particolare per quanto riguarda gli edifici, le attrezzature pubbliche e le flotte di mezzi. Come Zanon e Verones (2013) rilevano, per ognuno di questi modelli di governo si possono identificare degli strumenti specifici, più o meno efficaci ed efficienti. Tab. 4. Identificazione modelli di governo per Policy area Mitigazione Ridurre la domanda energetica Policy area e interventi chiave Ognuna delle principali aree d’intervento può, ovviamente, essere affrontata con differenti approcci. Esperienze di municipalità a livello italiano ed europeo mostrano un trend che vede lo spostamento del ruolo della PA da regolatore a facilitatore. Questo è ancor più da considerare in quelle aree d’intervento in cui s’insiste sulla proprietà privata. In tutte le sue declinazioni d’intervento, il principale focus dell’amministrazione pubblica dovrebbe ricadere su: –cooperazione; –connessione; –partecipazione; – facilitazione per trovare schemi di finanziamento. Di seguito, riprendendo la tabella 1, si evidenziano i livelli di priorità in base ai consumi tendenziali e alle potenzialità di produzione dei diversi settori riguardo al territorio della provincia di Venezia e i modelli di governo per l’intervento. Promuovere l’uso di risorse rinnovabili locali Priorità Modello Settore edifici/ attrezzature/impianti pubblici Alta Auto-governo Settore edifici/ attrezzature/impianti privati Alta Autoritativo/facilitatore/ fornitura Illuminazione pubblica Media Auto-governo Settore trasporti pubblici Media Autoritativo/Auto-governo Settore trasporti privati Alta Autoritativo/facilitatore Gestione rifiuti Bassa Autoritativo Gestione acque Bassa Autoritativo Energia elettrica da maree Bassa Autoritativo/facilitatore/ fornitura Energia elettrica microgenerazione Media Autoritativo/facilitatore/ fornitura Energia elettrica da cogenerazione Alta Autoritativo/facilitatore/ fornitura Energia elettrica da fotovoltaico Alta Autoritativo/facilitatore/ fornitura Energia eolica Bassa Autoritativo/facilitatore/ fornitura Energia termica da trigenerazione Media Autoritativo/facilitatore/ fornitura Teleriscaldamento Alta Autoritativo/facilitatore/ fornitura Teleraffrescamento Alta Autoritativo/facilitatore/ fornitura Solare termico Alta Autoritativo/facilitatore/ fornitura Geotermico Bassa Autoritativo/facilitatore/ fornitura (segue) 46 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 47 Adattamento Evitare o ridurre l’esposizione ai rischi climatici Accettare gli impatti e limitare le perdite che risultano dai rischi Catturare nuove opportunità Priorità Modello Greening buildings Alta Autoritativo/facilitatore Greening urbano Alta Autoritativo Reti ecologiche Media Autoritativo/facilitatore Reti verdi di viabilità senza auto Media Autoritativo Water management Alta Autoritativo/facilitatore Permeabilità suoli Alta Autoritativo Aree sicure da inondazioni Alta Autoritativo Restrizioni alle aree destinate all’edificazione in zone di pericolo Alta Autoritativo Identificare e proteggere infrastrutture critiche Alta Autoritativo Stabilizzare e migliorare la protezione di funzione delle aree verdi Media Autoritativo/facilitatore conto termico; incentivi nazionali (deduzioni fiscali), regionali o locali (incentivi economici); regolamenti edilizi; norme di attuazione del piano regolatore; incentivo volumetrico; progetti finanziati dall’Unione Europea; progetti finanziati dal governo italiano; progetti finanziati dai governi regionali o dagli enti locali; fondo di rotazione, in grado di: 1. attrarre investitori esterni; 2. lavorare sulle garanzie; 3. garantire tassi agevolati; esempio: Delft ha un fondo di rotazione di 500.000 euro, istituito per 4 anni, prestiti per 10 anni a tassi agevolati minimi all’1,5%. Questi strumenti possono essere declinati in ambiti differenti, in considerazione delle modalità di governo delle politiche per il cambiamento climatico, di mitigazione e adattamento, adottate in quel principale frangente. Di seguito verrà proposto un insieme di esempi significativi, sia in Italia che negli altri stati europei, suddivisi per tipologia di approccio. Molti di questi sono attualmente in corso e attivati a implementazione delle azioni locali. Modello di governo - Auto-governo Coordinare l’uso della risorsa acqua con le richieste dei settori dell’agricoltura e dell’energia Media Autoritativo/facilitatore Coordinare differenti richieste e spazi liberi con la produzione di energia da fonti rinnovabili Media Autoritativo/facilitatore Turismo Alta Autoritativo/facilitatore (Fonte: elaborazione dell’autore) Policy tools e loro finanziamento La principale necessità e finalità di politiche per il clima urbano è quella di vedere la concreta realizzazione delle misure previste e per le quali vengono identificate delle azioni. Come visto nei paragrafi precedenti, quelle azioni necessitano di strumenti specifici e finanziamenti per poter vedere la luce. “Making the project bankable” dovrebbe essere lo slogan entro il quale elaborare le strategie, le azioni e definire gli strumenti implementativi. In particolare i principali strumenti, anche finanziari, utilizzati per sollecitare interventi orientati all’efficienza energetica, sono attualmente: –mutui; –prestiti; – energy performance contracts (third party financing, come le ESCO / equity investors); 48 – – – – – – – – – Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Generalmente le azioni intraprese dalle amministrazioni locali in questo ambito riguardano l’introduzione di procedure amministrative che consentano di gestire le misure di efficienza energetica e l’integrazione di fonti energetiche rinnovabili dell’edificio. La Legge 10/1991 introduceva la figura dell’energy manager per tutte quelle amministrazioni pubbliche che hanno un consumo superiore ai 1.000 tep annuali. Inoltre, la Direttiva Europea 2012/27/UE del 25/10/2012 sull’Efficienza Energetica (Energy Efficiency Directive - EED), che nasce per garantire il raggiungimento degli obiettivi di riduzione e risparmio del 20% entro il 2020 previsti dal cosiddetto “pacchetto clima-energia 20/20/20” (2009/29/CE), indica il ruolo esemplare che assumerà la Pubblica Amministrazione. Questa, a partire dal primo gennaio 2014, dovrà rinnovare annualmente almeno il 3% della superficie coperta utile dei suoi edifici, sia occupati, sia di proprietà. La norma sarà applicata in un primo momento a tutti gli edifici statali con una superficie coperta utile superiore ai 500 mq, soglia che verrà abbassata a 250 mq a partire dal luglio del 2015; gli stati membri potranno anche decidere di coinvolgere le amministrazioni di livello inferiore. Nello specifico le pubbliche amministrazioni possono puntare a: – armonizzare e coordinare le procedure amministrative allo scopo di rendere i procedimenti più efficaci e più efficienti; – costituire l’energy manager office dotato di potere decisionale, autorità di coordinamento degli uffici tecnici e amministrativi, database energetico degli edifici pubblici allo scopo di monitorare i consumi e i costi energetici; – redigere contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture che includono indici di prestazione energetica; – redigere contratti di prestazione energetica garantita svincolati dal Patto di stabilità; – partenariato pubblico-privato contrattuale (finanziato tramite schemi di project financing); – partenariato pubblico-privato istituzionalizzato (società a capitale misto pubblico-privato sotto forma di ESCO, oppure tramite fondi europei come JASPERS, JESSICA; TEN-T). UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 49 Strumenti e azione amministrativa: livelli istituzionali e portatori d’interessi Tab. 6. Le interazioni tra azioni chiave, aree politiche e organizzazione amministrativa Dimensione verticale – relazioni intra-istituzionali Allo stato attuale, la Provincia di Venezia ha assunto il compito di coordinatore locale del Patto dei Sindaci (e attualmente anche per l’adesione al Mayor Adapt) con lo scopo di facilitare l’adesione al Patto di nuovi Comuni e le attività che devono essere espletate dalle amministrazioni coinvolte. È stata identificata una struttura di supporto al Patto dei Sindaci e sono state messe a disposizione le risorse finanziarie attraverso i bandi energia della Regione Veneto. I livelli istituzionali coinvolti sono, attraverso momenti formativi e seminariali, i comuni. Tab. 5. La dimensione verticale attuale Livello Istituzionale Abilità Competenze Risorse Provincia Favorisce il coinvolgimento di enti, associazioni e altri soggetti operanti in provincia, al fine di contribuire alla migliore efficacia delle azioni dei comuni Coordinatore del Patto Corsi di formazione, seminari, tavolo di coordinamento, bando energia Comune Pianificazione e regolazione di parte dei settori coinvolti nelle quotidiane attività Può sottoscrivere il Patto dei Sindaci (e Mayor Adapt), può redigere il PAES Servizi PA Azioni chiave Ridurre domanda energetica Uso del suolo attività produttive Promuovere produzione energetica fonti rinnovabili Energia elettrica Energia termica Evitare/ridurre l’esposizione a rischi climatici La tabella 6 descrive chi dovrebbe agire, quale servizio e quale area della Pubblica Amministrazione a scala locale in rapporto alle azioni prioritarie, alle aree politiche. L’identificazione dei Servizi/Uffici, così come delle Ripartizioni/Aree, cambia da amministrazione ad amministrazione ed è, quindi, puramente indicativa. Ciò che deve emergere è la necessità d’integrazione tra le discipline e tra le competenze. L’integrazione fra le aree deve essere fattiva, misurando le capacità di costruire politiche complesse da parte della Pubblica Amministrazione, come quelle inerenti il clima urbano. Inoltre alcune di queste azioni possono trovare compimento con il coinvolgimento delle aziende municipalizzate erogatrici di servizi e beni e del livello provinciale e regionale. 50 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Uso del suolo Ambiente Amministrazione pubblica locale Servizi/uffici Urbanistica Edilizia privata Edilizia pubblica Mobilità Ambiente/Energia *municipalizzate Ripartizioni/aree Urbanistica Lavori pubblici Patrimonio Ambiente Urbanistica Edilizia privata Edilizia pubblica Mobilità Infrastrutture Ambiente Urbanistica Lavori pubblici Patrimonio Ambiente Urbanistica Lavori pubblici Urbanistica Attività Economiche Accettare impatti e adattarsi a perdite Pianificazione Ambiente Infrastrutture Urbanistica Ambiente Lavori pubblici *protezione civile/ strade - livello provinciale Cogliere nuove opportunità Attività economiche/ produttive (es: turismo) Urbanistica Attività economiche (Fonte: elaborazione dell’autore) Dimensione orizzontale/verticale - coinvolgimento dell’intera amministrazione locale Policy area (Fonte: elaborazione dell’autore) Per quanto concerne la dimensione orizzontale dell’integrazione, si pensi al livello di inclusione multilaterale, cioè al livello di coordinamento tra diverse aree/dipartimenti, e alla committenza politica come ingredienti di successo. La multidisciplinarità richiede la necessità di inclusione dei diversi settori della Pubblica Amministrazione in una logica differente da quella delle semplici competenze. Le politiche per il clima urbano fanno riferimento a un insieme di politiche già definite nei sistemi di governo internazionali e locali, con la differenza che prevedono l’applicazione congiunta di politiche per l’adattamento e per la mitigazione, con un approccio di valenza strategica che sia in grado di tenere assieme diversi livelli di gestione, di settori di intervento e di attori. Queste, quindi, prevedono la raccolta di informazioni relative ai consumi energetici interni (proprietà/gestione comunale) ed esterni (dal territorio) per il calcolo delle emissioni, la definizione di un inventario degli impatti potenziali, di strategie a lungo e medio/breve termine e azioni collegate e la verifica dell’efficacia delle azioni che via via si realizzeranno. Un importante ruolo è giocato dall’organismo politico che dovrà promuovere e sviluppare, attraverso un comitato tecnico e specifici gruppi di lavoro, le principali linee di intervento previste; l’obiettivo dei gruppi di lavoro è anche quello di coinvolgere i portatori di interessi con il fine di mobilitare la società civile intorno alle politiche. Si sta consolidando in alcuni esempi internazionali – si pensi a Monaco di Baviera – la definizione di una cosiddetta Unità temporanea di coordinamento di progetto, che disegni la politica, coordini le risorse interne, crei interfaccia con portatori di interessi e si attivi per il monitoraggio. La struttura di progetto (oppure unità organizzative temporanee, unità temporanee di scopo e unità temporanee di progetto) è un’unità o gruppo di lavoro temporaneo in grado di ricucire una tantum comUHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 51 petenze settoriali per un obiettivo di carattere straordinario. Esistono diversi modelli ai quali questo tipo di organizzazione può riferirsi: nomina capofila, uffici temporanei, strutture di staff a supporto, gruppi di lavoro, agenzie esterne, grazie ai quali adattarsi alla situazione organizzativa dell’amministrazione. Fondamentali sono l’assegnazione di chiare responsabilità e risorse e la differenziazione tra comitato di direzione, che rispecchia le indicazioni politiche, comitato tecnico e gruppi di lavoro. Dimensione orizzontale - relazioni tra attori governativi e non governativi L’inclusione di gruppi di interesse provenienti sia dal settore della domanda che da quello dell’offerta è fondamentale in quanto una parte significativa delle dinamiche analizzate coinvolge attori rappresentanti dell’amministrazione locale, esponenti delle altre istituzioni presenti sul territorio (Provincia ecc.), membri delle associazioni economiche e della società, attraverso la cui partecipazione e condivisione tentare di raggiungere gli obiettivi. Il coinvolgimento dei portatori di interessi si può rivelare efficace nelle diverse fasi del processo di costruzione delle politiche per la protezione del clima urbano: –nella fase iniziale l’inclusione di portatori di interessi per la condivisione degli obiettivi; –nella fase di pianificazione potranno fornire importanti informazioni necessarie al Comune per la definizione delle strategie d’azione; –nella fase di attuazione del piano provvederanno alla realizzazione delle azioni che li riguardano, si faranno promotori di comportamenti energeticamente virtuosi e stimoleranno la partecipazione di altri portatori di interessi; –nella fase di monitoraggio, infine, forniranno al Comune i dati necessari a valutare il progresso delle azioni di loro interesse e parteciperanno all’aggiornamento. Conclusioni L’articolo analizza i temi dell’integrazione e dell’attuazione delle politiche riferite al clima urbano all’interno degli strumenti di pianificazione esistenti. L’obiettivo è di supportare le pubbliche amministrazioni locali nel processo di costruzione delle politiche, nella scelta delle strategie a lungo e a medio/breve termine e degli strumenti di attuazione per le azioni prescelte. Inoltre il rapporto richiama l’attualità del tema della pianificazione di scala sovracomunale, essendo quella più adeguata per affrontare (e tentare di risolvere) temi quali la mobilità, la salvaguardia e la sicurezza del territorio, così come la regolazione dell’efficienza energetica nel settore edilizio. Pare sempre più necessario proporre da un lato un’attenzione maggiore agli strumenti attualmente già esistenti, con particolare riguardo al ruolo di primo piano che dovrebbero avere i comuni e dall’altro supportare i comuni nella strutturazione di politiche e strategie trasversali sui temi del cambiamento climatico. In aggiunta l’integrazione deve riguardare anche i settori della Pubblica Amministrazione, riflettendo la multidisciplinarità delle tematiche affrontate. In merito all’attuazione, cioè alla scelta degli interventi chiave e agli strumenti attraverso i quali promuoverne l’implementazione, è fondamentale porre l’attenzione sul sempre più fondamentale ruolo di facilitatore e promotore che la Pubblica Amministrazione deve mettere in atto per supportare gli operatori privati e gli attori del territorio nell’intraprendere percorsi comuni. Riferimenti bibliografici Bulkeley, H. - Kern, K (2006), “Local Government and the Governing of Climate Change in Germany and the UK”. Urban Studies, 43(12): 2237-2259 Zanon, B. - Verones S. (2013), “Climate change, urban energy and planning practices: Italian ezperiences of innovation in land management tools”. Land Use Policy, 32: 343-355. 52 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 1.4. Il ruolo delle tecnologie ICT nelle attività di Governo del Territorio in uno scenario di cambiamento climatico Denis Maragno Introduzione Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT, Information and Communication Technology1) sottendono un insieme di tecnologie (hardware, software) che consentono la raffigurazione, l’organizzazione, l’elaborazione e la condivisione delle informazioni. Tuttavia questa definizione si limita a considerare i soli ambiti tecnologici dell’informatica e delle telecomunicazioni, senza tener conto che le applicazioni dell’ICT investono ormai qualsiasi settore della società, con le relative conseguenze economiche e organizzative sulle competenze, le professionalità, la formazione e la ricerca (Miola, 2012). Il capitolo introduce lo stato dell’arte dell’evoluzione tecnologica al fine di offrire una prima valutazione delle modalità di integrazione delle tecnologie ICT a supporto delle attività di governo del territorio in un contesto di clima che cambia. L’innovazione tecnologica e la diffusione delle tecnologie ICT: il nuovo paradigma tecnologico L’innovazione tecnologica può essere definita come attività deliberata di imprese e istituzioni, tesa a introdurre nuovi prodotti e servizi, nonché nuovi metodi per produrli, distribuirli e utilizzarli. Osservando la storia economica a scala globale è facile intuire come ogni fase evolutiva sia dovuta all’arrivo di un nuovo paradigma tecnologico (Dosi, 1982). Dalla prima rivoluzione industriale le tecniche e le tecnologie sono in continua evoluzione ma solo alcune hanno avuto un’influenza tale da riuscire a orientare completamente il sistema economico. Joseph Schumpeter (1973) formulò una distinzione tra crescita e sviluppo economico, definendo crescita «un processo graduale di espansione produttiva basato su beni e tecnologie preesistenti», sviluppo «un processo di distruzione creatrice che si manifesta con l’introduzione sul mercato di nuovi prodotti e processi produttivi». La tassonomia di Freeman (Freeeman - Perez, 1988) definisce innovazioni incrementali le innovazioni continue che riguardano prodotti e processi già esistenti, mentre vengono definite innovazioni radicali gli eventi non continui, generati da intense attività di ricerca e sviluppo, come il forno a microonde, ad esempio, o il climatizzatore. Il paradigma tecnologico può essere inteso come un insieme di nuovi sistemi tecnologici che estendono la propria influenza non più a un solo settore, ma all’intera sfera economica, determinando ripercussioni anche in ambito sociale. Un recente studio svolto da Cisco System2 afferma che il traffico internet sulla rete mobile globale è cresciuto del 70% durante il 2012 e crescerà di 13 volte nei prossimi 5 anni. Sul territorio italiano, VNI3, prevede che nel 2017 circoleranno circa 6,8 milioni di tablet. Ma come possono essere interpretati questi dati? Portiamo l’esempio della diffusione del personal computer presso le abitazioni comuni. Essi iniziano a diffondersi nelle case e a essere chiamati personal computer alla fine degli anni Ottanta, con la nascita delle prime reti di computer (poi internet). Per mezzo delle reti telematiche i computer smettono di essere “solo” calcolatori di dati, adoperati nei laboratori di ricerca, e divengono gestori e distributori di informazione digitale. 53 Con la telefonia mobile si è assistito pressappoco allo stesso passaggio; non appena la rete dati mobile ha garantito la possibilità di trasmettere informazioni con qualità e velocità pari alla rete fissa, tutti i servizi web si sono rivolti anche al web mobile. Questo ha permesso (ma sicuramente anche costretto) lo sviluppo di dispositivi mobili sempre più evoluti. La velocità con cui ogni utente si è abituato ad accedere a servizi di ogni genere obbliga chi offre beni o servizi, di qualsiasi forma o livello, a rivedere completamente la propria struttura operativa o i propri progetti futuri. Per esempio ogni testata giornalistica non può limitarsi all’edizione del mattino, ma deve riorganizzarsi e aggiornare le notizie quasi in tempo reale sul proprio sito e sui social network per tutto il giorno. Di contro, quando un sistema non è attento alle innovazioni, il rischio di venire escluso dagli altri sistemi è molto forte. Il livello di diffusione (e integrazione) che l’ambiente delle tecnologie ICT ha raggiunto costringe in qualche modo a non poter farne a meno. Una testata giornalistica difficilmente può sopravvivere se non garantisce gli stessi servizi offerti dai propri competitor. Ecco perché si parla di paradigma tecnologico e risulta complicato oggi poter intrattenere relazioni (sociali, economiche, organizzative) senza interfacciarsi in qualche modo con il mondo della comunicazione e dell’informazione digitale. Le tecnologie ICT a supporto del governo del territorio Dietro al concetto di smart city possono esserci prospettive e chiavi di lettura molto diverse tra loro. In molti casi l’approccio “smart” si è limitato alla diffusione di dispositivi elettronici sul territorio senza una strategia d’uso complessiva. L’utilizzo delle moderne tecnologie, private di una reale analisi dei bisogni, rischia di sbocciare in un’assenza di obiettivi, o meglio l’obiettivo nasce e finisce con l’introduzione del dispositivo elettronico, come per le scuole pubbliche dove «anziché focalizzarli nei reali problemi come edifici fatiscenti, classi pollaio, risorse limitate ecc., le priorità future sembrano essersi concentrate sull’acquisizione di lavagne interattive multimediali (LIM) e la migrazione verso il registro elettronico per appaltare software di bassa qualità e tablet per i docenti» (Murgante - Borruso, 2013). L’utilizzo di dispostivi intelligenti all’interno della città, nelle pubbliche amministrazioni, nelle scuole o altro non deve essere un obiettivo, ma uno strumento per raggiungere un fine più ampio. Un esempio efficiente nell’interpretazione dei concetti auspicati per la smart city è quello offerto dalla città di Santander, in Spagna. Tra i progetti avviati dall’amministrazione comunale, due esperienze risultano particolarmente esplicative: il progetto Realidad augmentada4 e il progetto Pulso de la ciudad 5. Il primo ha permesso ai cittadini di avere, in tempo reale, un gran numero di informazioni utili attraverso l’uso di un’applicazione per smartphone distribuita gratuitamente dall’amministrazione comunale. Orientando il proprio cellulare in direzione dei pannelli informativi (che s’incontrano lungo le vie della città) è possibile accedere all’informazione richiesta come orari di mezzi pubblici, negozi o musei, parcheggi disponibili e altre informazioni che normalmente si chiederebbero a un infopoint. Se si volesse ipotizzare l’estensione di questo sistema di gestione dell’informazione ai problemi imposti dal climate change, si potrebbe immaginare di ricevere sul proprio dispositivo anche informazioni inerenti a possibili ondate di calore previste su quell’area urbana, ad esempio, o i dati di produzione di CO2 del quartiere, in modo da rafforzare la consapevolezza di cittadini e visitatori. Il secondo progetto consente al cittadino di segnalare un problema come un ingorgo viario, un allagamento o un incidente per ricevere, in poco tempo, eventuali informazioni sul problema segnalato e il percorso alternativo consigliato per evitare l’ingorgo. Questo servizio permette all’amministrazione di recepire costantemente informazioni territoriali dagli utilizzatori, ricambiando con altre informazioni. In questo modo aumenta l’efficienza di 54 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico intervento e al contempo è possibile organizzare la viabilità in modo collettivo nel più breve tempo possibile, abbattendo le emissioni dovute a ingorghi e incentivando l’utilizzo del trasporto pubblico. Si deve tenere in considerazione anche la qualità dell’informazione reperita dalla PA: ricevendo informazioni tipologiche georeferite l’amministrazione ha la possibilità di aumentare il proprio quadro conoscitivo e può decidere di utilizzarle, ad esempio, per geo-statistiche e monitoraggio di azioni di pianificazione a tutte le scale. Il “motore” di questi servizi è la rete di sensori capillari in grado di rilevare e distribuire informazioni quali temperatura, luminosità, rumore, concentrazione di monossido di carbonio, la disponibilità e l’ubicazione dei parcheggi. In questi casi la diffusione della sensoristica attiva all’interno dell’area urbana non è stata un obiettivo ma un mezzo per supportare innovative politiche di governance. Un semplice dispositivo ICT utilizzato in un contesto urbano potrà svolgere più funzioni contemporaneamente. Per esempio può essere dotato di un rilevatore di umidità o temperatura di un pannello informativo, al fine di mostrare informazioni contenute in altri dispositivi diversamente dislocati e contenere uno storage per dati emessi da altri dispositivi minori, per poi inviare tutto a un dispositivo centrale a intevalli di tempo giornalieri. Appare evidente che tutte queste possibilità richiedono una forte organizzazione e obiettivi chiari dal momento che «le città future non saranno quelle invisibili di Italo Calvino e nemmeno quelle visionarie di Fritz Lang. Sono quelle attuali, viste e abitate con una prospettiva più efficiente, al contempo tecnologica e creativa, soprattutto partecipata» (Ratti, 2013). La costante diffusione degli apparati mobili e i numerosissimi servizi a essi associati hanno modificato profondamente sia i modi di vedere sia di abitare le città. Essi vanno a costituire un nuovo livello nelle città, mai esistito sinora, favorendo l’affermarsi di una cultura sempre più digitale. Nascono nuove forme di spazi, definiti “spazi digitali” (Ciotti - Roncaglia, 2005), frequentati da “cittadini digitali”. Secondo queste logiche si inseriscono nuovi approcci di governance definibili Open Governance, composta da strumenti e tecnologie che condividono una gestione “smart”, orientata verso un’organizzazione aperta e trasparente. Il nuovo approccio suggerito per le PA si allontana dal concetto di possesso, avvicinandosi sempre più alla condivisione delle risorse e della conoscenza, abituandosi alla cooperazione, indirizzandosi quindi verso modelli di governance fondati su partecipazione e coinvolgimento dei cittadini (Forghieri - Moschi Simoni, 2013). Informazione e comunicazione favoriscono la partecipazione dei cittadini alla definizione e alla realizzazione di un sistema integrato di politiche urbane sostenibili e mirate al miglioramento della qualità della vita di chi abita la città (Testa, 2014). Cercando di definire quindi la struttura della smart city, possiamo intenderla composta da tre strati differenti ma strettamente connessi (Forghieri, 2013): – lo strato tecnologico, nel quale sono annesse tutte le tecnologie abilitanti, a diretto contatto con il territorio e i suoi abitanti. Si compone di apparati per ricevere, gestire e diffondere dati. Questo è il livello cardine, costituisce la condizione innovativa a supporto della gestione urbana; – lo strato informativo, il flusso di dati coinvolti dallo strato tecnologico. Se contestualizzati nella definizione smart city, possono essere considerati la nuova materia prima. Questo strato si occupa di organizzarla e distribuirla rendendola funzionale per più servizi; – lo strato dei beni relazionali, lo strato superficiale del processo, composto da relazioni costanti tra utenti, dati, software (applicazioni) e hardware ICT (telefonini, tablet, computer ecc.). Gli elementi fondanti dello strato dei beni relazionali sono la partecipazione e la condivisione, intesa nella sua accezione più ampia, in quanto produce a sua volta nuova informazione. In che modo l’organizzazione smart city può supportare la gestione urbana in uno scenario di cambiamento climatico? Nonostante l’imprevisto non possa essere pianificato per definizione, una società sostenibile dovrebbe prevalere sull’imprevisto (Sterling, 2005). Ma in un contesto di UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione , città e clima 55 cambiamento climatico com’è possibile aumentare la resilienza di un territorio dove non si conosce con esattezza quale imprevisto e quando esso avverrà? In che modo la pianificazione di area vasta godrebbe delle nuove informazioni reperite da un modello di gestione “smart”? Nella città intelligente la PA raccoglie informazioni territoriali eterogenee, le traduce in informazione utile e le relaziona con bisogni delle persone in un processo partecipato continuo, dove produce soluzioni e revisioni (Ratti, 2013). Per questo motivo focalizzare la concentrazione solo sulle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, senza avere chiaro il modello di open governance da perseguire, risulta limitante. In uno scenario di cambiamento climatico significherebbe quindi ridare centralità alle policy urbane – magari facilitate dall’introduzione di nuovi strumenti urbanistici adattati alle nuove complessità di gestione del territorio – affiancate da un modello di produzione, gestione e diffusione di informazioni integrato. È necessario osservare il cambiamento climatico seguendo due diverse prospettive. Da un lato vi è il fronte della mitigazione, rivolto a modificare la città e i modelli produttivi, al fine di ridurre le emissioni e promuovere una maggiore quota di energia rinnovabile. Dall’altro vi è il problema dell’adattamento, mediante il quale si dovranno rivedere i modelli urbani di oggi e dotarli di una maggiore resilienza agli effetti generati dal cambiamento climatico (es: piogge di maggiore intensità e ondate di calore). La città del futuro sembra debba essere quindi affascinata dall’innovazione e dalle idee innovative attraverso le tecnologie ICT, vuole generare un potenziale per reagire con risposte efficaci su sviluppi incerti (Sterling, 2005). In questo le tecnologie ICT non possono che essere uno strumento a supporto delle attività di governo del territorio. L’approccio “to be smart” nel contesto dei cambiamenti climatici I dati ONU, presentati al rapporto annuale della World Meteorological Organization (Wmo), denunciano che il 2013 ha fatto registrare un nuovo record nella presenza di anidride carbonica e altri gas serra nell’atmosfera terrestre. I più recenti studi concordano nell’affermare che “sta scadendo il tempo” (Wmo, 2014; IPCC, 2014) e al contempo dimostrano che la CO2 emessa è in costante crescita dal secolo scorso. Gli esiti dell’incremento dei fenomeni atmosferici e climatici estremi sono rilevabili sul territorio. I sistemi idrici non sono più in grado di gestire l’aumento delle precipitazioni indotte dal cambiamento climatico e l’urbanizzazione estesa e l’impermeabilizzazione hanno aggravato il carico d’acqua da gestire, con un aumento progressivo dei rischi. Le conseguenze sono ormai note: esondazioni in qualsiasi periodo dell’anno e scarsa qualità della vita d’estate a causa di fenomeni di surriscaldamento. È chiaro che il mercato e le PA non potranno garantire attualmente una fornitura di beni e servizi in grado di guidare il cambiamento. Sembrano necessari nuovi approcci, capaci di valutare la questione climatica congiuntamente con le altre questioni urbane, in un modello integrato tra PA, impresa, società e ricerca che portino all’innovazione sociale. Con la locuzione “innovazione sociale” vengono intese «j(prodotti, servizi e modelli) che soddisfano dei bisogni sociali (in modo più efficace delle alternative esistenti) e che allo stesso tempo creano nuove relazioni e nuove collaborazioni. In altre parole, innovazioni che sono buone per la società e che accrescono le possibilità di azione per la società stessa» (Murray et al., 2005). L’innovazione sociale si differenzia dall’innovazione tradizionale proprio in questo: essa non proviene dai grandi laboratori (finanziati dal governo e dalle grandi imprese), ma avviene in rete per cui può prendere forma ovunque (Addarii, 2012). Il modello smart city, a differenza di quelli auspicati qualche anno fa (uno su tutti, la crescita sostenibile), trae la sua forza nella maggiore sollecitazione dal basso, resa possibile dalle tecnologie della comunicazione. Con la stessa naturalezza con la quale le persone entrano nei social network, ovunque esse si trovino, s’informano, condividono, discutono e valutano informazioni, gli “spazi digitali” stanno 56 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico divenendo il terreno più idoneo per porre in relazione esigenze dei cittadini, questioni di gestione urbana e sapere accademico. Avviando approcci rivolti a una fase successiva all’attuale applicazione del concetto open data – dove l’informazione non si limita a essere “solo” condivisa ma diviene anche un supporto al continuo dialogo tra le parti – si potrebbe implementare un processo continuo di pianificazione del territorio. Incoraggiare al confronto scienziati, tecnici, cittadini e stakeholders sulla questione climatica aiuterebbe a individuare colli di bottiglia (tecnologici, burocratici o finanziari) nella lotta al cambiamento climatico; d’altro canto la nuova informazione prodotta diverrebbe un tesoro prezioso per formulare soluzioni innovative e contribuire così alla ripresa economica locale (Sterlig, 2005). L’Agenda Digitale Italiana (ADI)6 rimarca la necessità di puntare sull’economia digitale per rilanciare la competitività italiana. Per farlo propone l’opportunità di creare infrastrutture di rete e sviluppare servizi applicativi open data. In Italia, la diffusione delle nuove tecnologie ha favorito e permesso la nascita di numerose soluzioni di social innovation (Ratti, 2013), idee nuove, scaturite dalle nuove possibilità comunicative, per contrastare la crisi economica. Il numero di start-up innovative oggi presenti nel territorio (1415 nuove società innovative, 124 solo in Veneto)7 lo dimostra. L’utilizzo di approcci open da parte delle PA – con il supporto dei servizi offerti dalle ICT – ricollocherebbe il problema del cambiamento climatico nella sua dimensione sociale, dove ogni singolo cittadino può apprendere e contribuire. Una buona occasione per aumentare la partecipazione ai temi del cambiamento climatico e per attivare politiche di prevenzione nei confronti di fenomeni atmosferici e climatici estremi, senza dover investire economicamente, può essere offerta da Twitter. Il sistema raccoglie messaggi di ogni genere, con una lunghezza standard e georeferiti su un sistema di coordinate globali. Il sito Tweetping8 fornisce in tempo reale la mappa di tutti i tweet (messaggi di testo) inviati dagli utenti nel mondo. Questo è reso possibile dalla logica open source della piattaforma e dal sistema di coordinate geografiche associato a ogni messaggio inviato (col servizio geotagging dei device). I social network come Twitter possono dimostrarsi molto utili in un’ottica di monitoraggio urbano diffuso, un modo intelligente per sapere cosa avviene sul territorio in tempo reale. La tendenza a pubblicare gli eventi quotidiani sui social network da parte dei cittadini garantisce la possibilità di localizzare i messaggi che utilizzano hashtag9 di genere. L’accordo sull’utilizzo di alcuni hashtag di pericolo per segnalare un problema nella città permetterebbe di intervenire tempestivamente o organizzare i soccorsi con un largo tempo di anticipo. Invitare i propri cittadini a segnalare eventuali allagamenti o ondate di calore attraverso Twitter utilizzando hashtag concordati e accettati instaurerebbe un nuovo e importante rapporto cooperativo tra Pubblica Amministrazione e cittadini nella lotta al cambiamento climatico. Una piattaforma innovativa e collettiva, capace di trasformare un semplice tweet in informazione digitale unica nel suo genere, a disposizione di chi si occupa di governo del territorio e di imprenditori innovatori. Nella pratica si potrebbe vivere in una città dov’è possibile conoscere in tempo reale la distribuzione del traffico, le informazioni inerenti il consumo di energia negli edifici e la misura della temperatura per ogni quartiere. Queste informazioni potrebbero organizzate e georeferite (integrate eventualmente con la mappa dei tweet) in modo da essere facilmente leggibili da web e mobile web. Dalla correlazione di queste poche informazioni è possibile avere moltissimi vantaggi. Incrociando ad esempio i dati relativi al consumo di energia e la temperatura atmosferica, le amministrazioni pubbliche potrebbero individuare quali aree urbane sono maggiormente soggette al fenomeno “isola di calore urbano”, comprendere quali edifici di quell’area consumano più elettricità per raffrescare gli ambienti interni e individuare con maggiore precisione le fonti di produzione dell’isola di calore del micro contesto urbano. Con pochi dati ma organizzati in un geo-database condiviso è pensabile di potere: – interrogare i dati di temperatura dell’aria incrociati con i consumi elettrici, individuando quindi gli edifici meno performanti in termini di bilancio energetico10; UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 57 – identificare le aree meno resilienti alle ondate di calore estive e valutare gli interventi tenendo in considerazione le peculiarità dell’area; – studiare con precisione le cause dell’inefficienza del sistema fognario durante le intense piogge e considerare interventi mitigatori innovativi per le differenti zone vulnerabili; – valutare con i cittadini (utilizzando piattaforme di condivisione web e web mobile) le cause principali del surriscaldamento di un’area e, aumentando consapevolezza nel problema, incoraggiarli nell’adozione di misure di mitigazione sulle superfici private; – predisporre piani di sicurezza in difesa dalle ondate di calore estive, ad esempio l’azione sviluppata durante la collaborazione al Progetto UHI. Tra le varie azioni di adattamento vagliate, l’idea di un’applicazione per telefonino che segnali pericoli di ondate di calore ai soli residenti anziani, guidandoli dalla loro abitazione al luogo vicino più fresco (palestre, centri commerciali ecc.) è sembrata al contempo efficiente e semplice da implementare. Il segnale di allerta acquisterebbe maggior efficienza se ponderato su livelli informativi quali: distribuzione demografica urbana, uso di elettricità domestica, incidenza solare per ogni mq di superficie impermeabile, temperatura atmosferica. Nella sperimentazione del caso studio sulla città di Padova si è provveduto a reperire le informazioni indicate mediante la tecnica del remote sensing. Con la tecnica del remote sensing è stata possibile la composizione di un dataset innovativo per la tipologia delle informazioni contenute. La tecnica di analisi ha previsto l’utilizzo di dati denominati LiDAR11 e ortofoto ad alta risoluzione. Servendosi di software open source12 si sono prodotte informazioni quali: mq di vegetazione pubblica/privata, altezza vegetazione, incidenza solare al suolo e sui tetti (Wilson - Gallant et al., 2000), Sky View Factor13; ogni livello informativo può raggiungere una precisione di 30 cm. Nei capitoli dedicati alla sperimentazione sarà descritta con maggiore accuratezza la tecnica utilizzata e le modalità con le quali le informazioni prodotte sono state impiegate per individuare interventi di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. La tecnica di analisi individuata (remote sensing) sulla città di Padova nel corso del progetto europeo è ora impiegata a scala metropolitana dalla Provincia di Venezia in collaborazione con l’Università Iuav di Venezia per supportare le amministrazioni locali nella stesura del PAES, arricchito di allegato tecnico sull’adattamento14. Nel marzo 2014 la Provincia di Venezia, mediante un volo dedicato al rilievo aerofotogrammetrico (copertura di 3.000 kmq), ha acquisito un patrimonio informativo peculiare nel suo genere dal quale è si è reso possibile ottenere un modello digitale del territorio in 3D. La tecnica utilizzata prende il nome di Dense image matching15. L’elaborazione dei dati acquisiti consente di generare immagini raster molto risolute, contenenti la quota dell’elemento territoriale; DSM (Digital Surface Model) e DTM (Digital Terrain Model) per l’intero territorio. Il DSM è una superficie che esprime l’altimetria di tutti gli elementi di un dato territorio, compresi i manufatti, gli edifici e le opere presenti. Il DTM mostra invece la morfologia del terreno nudo depurato dalle opere, le infrastrutture e la vegetazione presente. Con l’utilizzo della tecnica del telerilevamento è possibile supportare la fase della valutazione dei rischi e delle vulnerabilità (propedeutica alla definizione delle strategie di intervento); l’approccio può condurre più agevolmente alla redazione di una mappa del rischio urbano e territoriale legato ai cambiamenti climatici. Il tavolo di lavoro avviato tra università, amministrazioni locali e le strutture tecniche della futura città metropolitana di Venezia e l’utilizzo dei dati digitali prodotti dalle tecnologie ICT porteranno alla stesura delle linee guida per la redazione di uno schema di Piano Clima integrato e concordato per tutta l’area metropolitana veneziana. Le linee guida supporteranno le amministrazioni locali nell’utilizzo dei dati ricavati dal remote sensing e, omogenizzando la creazione delle mappe di vulnerabilità, indirizzeranno le PA a implementare soluzioni costruite sulle peculiarità del contesto territoriale in esame, fornendo abachi risolutivi composti da azioni integrabili e sinergiche. L’idea corrisponde 58 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico all’immagine di una cassetta degli attrezzi composta da soluzioni componibili, per meglio rispondere non solo alla fisicità del territorio, ma anche alle sue logiche di funzione nel contesto urbano. Pianificare in uno scenario di cambiamento climatico oggi significa dover intervenire tentando di organizzare ciò che sostanzialmente non si conosce. L’utilizzo delle ICT da parte delle amministrazioni pubbliche può garantire il reperimento, l’organizzazione e la diffusione di nuova informazione digitale, rendendo possibile l’individuazione di inefficienze strutturali, così da intervenire per ridurne gli effetti (Gianoli, 2008). La frequenza con cui gli eventi atmosferici estremi si presentano, recando danni e interrompendo il normale dinamismo urbano (tra cui quello economico), pongono le attività del governo del territorio a operare a un livello di incertezza nuovo, dove la strumentazione urbanistica attuale evidenzia tutta la sua inidoneità nel gestire gli eventi incerti (Musco, 2008). Le città del prossimo futuro dovranno essere in grado di invertire una tendenza sociale, riuscendo ad adattare il territorio al cambiamento climatico e mitigare congiuntamene gli effetti prodotti sul clima dalla attività umane. Tutto ciò sembra immaginabile solo attraverso una totale collaborazione tra istituzioni, attori e cittadini. È possibile che gli strumenti e le tecnologie ICT possano permetterci di avviare quella fase di revisione sociale (nello specifico nella relazione uomoambiente) a livello mondiale, ora in ritardo di 30 anni. Probabilmente, avendo gestito il problema del cambiamento climatico con la strumentazione tradizionale, è stato possibile percepirne solamente il pericolo, senza comprenderne appieno le conseguenze dannose derivabili, valutabili solo con la quantificazione del rischio16. L’urgenza di affrontare i cambiamenti climatici potrebbe divenire l’occasione per ripensare gli approcci urbanistici in campo, a partire dalla legge urbanistica nazionale oggi in revisione. Su questo fronte le città (e le reti di città) possono diventare ottime esperienze laboratoriali di progettualità urbana (Marcelli, 2008), in grado di formulare approcci che siano in grado di innescare modelli innovativi di gestione del territorio utili anche alla ripresa economica (altresì mediante l’apertura a nuove professionalità). Per farlo, però, va presa piena coscienza della necessità di stabilire una più stretta collaborazione tra PA, Università e mondo produttivo, impiegando le nuove tecnologie e la loro capacità di condivisione e integrazione, evidenziando il rilievo raggiunto dall’informazione digitale, integrandola con l’esigenza di apprendere e implementare sistemi in grado di saperla gestire e diffondere efficacemente e con la fondamentale proprietà connettiva delle ICT e delle piattaforme social. 1 Si intende l’insieme dei metodi e delle tecnologie che realizzano i sistemi di trasmissione, ricezione ed elaborazione di informazioni (tecnologie digitali comprese). 2 Cisco Visual Networking Index (VNI) – Global Mobile Data Traffic Forecast Update http://www.cisco.com/c/en/us/ solutions/collateral/service-provider/visual-networking-index-vni/white_paper_c11-520862.html. 3 Visual Networking Index (VNI), cfr. supra nota 2. 4 http://portal.ayto-santander.es/portal/page/portal/inet_santander/ficha/ficha_ayto?itemId=5805625. 5 http://www.elpulsodelaciudad.com. 6 Per approfondire: www.agenda-digitale.it. 7 Fonte: registrodelleimprese.it, dato aggiornato al 9/12/2013. 8 http://tweetping.net. 9 Sono sostanzialmente delle etichette utilizzate per raccogliere ciò che è pubblicato dagli utenti attraverso parole chiave. Il format è #seguitodalnome, come: #IsoladiCalore o #EventoAtmosfericoEstremo. 10 Supponendo che il picco di consumo elettrico negli edifici durante il pomeriggio e le notti sia dovuto al funzionamento di apparecchi rinfrescanti per gli ambienti domestici. 11 LiDAR (Laser Imaging Detection and Ranging) è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie attraverso l’emissione di impulsi laser ad altissima frequenza da un sensore volante (aereo o drone). La distanza dell’oggetto è data dalla misura del tempo trascorso fra l’emissione dell’impulso e la ricezione UHI nel contesto ampio dei CC: pianificazione, città e clima 59 2. città, territorio e cc dello stesso. L’altissima frequenza di impulsi che colpiscono, rimbalzando dagli oggetti o dal suolo, viene convertita in punti georeferenziati e quotati, dando origine così a una “nuvola di punti” dalla quale è possibile creare un’esatta ricostruzione del territorio in modelli tridimensionali digitali. 12 Open source (in inglese “codice sorgente aperto”) in informatica indica un software i cui programmatori ne permettono e favoriscono l’uso aperto e lo studio da parte di altri programmatori indipendenti. 13 Sky-View Factor (SVF) indica la porzione di cielo visibile da un punto di osservazione. Più alto è lo SVF e maggiore è la perdita di calore in atmosfera. Ad esempio, una strada urbana piccola e chiusa ai lati da edifici alti ha un SFV basso e quindi un raffreddamento notturno ridotto, mentre al contrario uno spazio aperto ha un SVF elevato ed è sensibile a un raffreddamento più accentuato. 14 La sperimentazione è coordinata dal Progetto SEAP-Alps (http://seap-alps.eu/hp2/Startseite.htm), il cui obiettivo principale è promuovere la pianificazione dell’energia sostenibile a livello locale (PAES, Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile), condividendo una metodologia comune a tutti i partner partecipanti per individuare, oltre alle strategie di riduzione di CO2 (mitigazione), strategie d’adattamento capaci di aumentare quindi la resilienza dei territori urbani agli effetti dei cambiamenti climatici. 15 Tecnica che permette, per mezzo di software dedicati e hardware molto potenti, la restituzione di dati in tre dimensioni utilizzando la tecnica della stereoscopia. 16 Il Decreto Legislativo n. 81/2008 definisce il rischio come la probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione a un determinato fattore o agente oppure alle loro combinazioni e nasce quando contemporaneamente abbiamo un pericolo e un lavoratore esposto. Il rischio, quindi, è formato dal pericolo e dalla gravità delle conseguenze dannose. Riferimenti bibliografici Ciotti, A. - Roncaglia, G. (2005), Il mondo digitale: introduzione ai nuovi media. Roma-Bari: Laterza. Dosi, G. (1982), “Technological Paradigms and Technological Trajectories”. Research Policy, 11, 3: 147-162. Forghieri, C. - Moschi Simoni, A. (2013), Il Paradigma Smart City, Verso Edizioni FORUM PA. SMART City Exhibition 2013. Roma: Forghieri, C. - Rosso, E. - Presutti, G. - Granelli, A. - Menduni, G. - Piaggio, G. - Testa, P. (2013), Il percorso verso la città Intelligente. Roma: CITTALIA - Fondazione Anci Ricerche. Freeman, C. - Perez, C. (1988), “Structural Crises of Adjustment: Business Cycles and Investment Behaviour”. In Technical Change and Economic Theory, eds G. Dosi et al. London: Printer, 38-66. Gianoli, R. (2008), “Tecnologia dell’informazione e cambiamenti climatici”. Rivista Micron, V, 10/08: 12-14. Marcelli, R. - Ricci, L. 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In svariate regioni, inoltre, la popolazione urbanizzata diviene nettamente preponderante raggiungendo quote percentuali molto elevate, come, ad esempio, in Europa, dove si attesta intorno al 75% (Matzarakis et al., 2007). Il carico insediativo di un’area, tuttavia, non tiene conto della distribuzione della popolazione in relazione alla conformazione dell’area considerata o alla tipologia degli insediamenti. Per le aree urbane appare opportuna una lettura integrata di tipo spaziale da cui può trasparire più chiara la relazione tra la popolazione e la conformazione fisica dell’area stessa. In questo caso può essere considerato un ulteriore parametro la densità dell’edificato, in grado di restituire una visione più aderente alla complessa realtà urbana (Inside Density, 2003). In generale si può affermare che l’urbanizzazione, nonostante abbia fornito (parallelamente ai processi di industrializzazione) sostentamento e opportunità di sviluppo per milioni di abitanti, ha purtroppo aggravato notevolmente i problemi legati agli stessi insediamenti umani per quanto riguarda, ad esempio, lo smaltimento dei rifiuti, il degrado della terra, la concentrazione di agenti patogeni e di sostanze inquinanti, la contaminazione dell’aria, del suolo, delle acque superficiali, tra gli altri. La crescente espansione delle aree urbane e le tangibili conseguenze che ne derivano sul benessere umano hanno destato una crescente attenzione verso tutti quegli aspetti che condizionano la vivibilità delle città, compreso il clima e i fenomeni meteorologici correlati. Considerate le peculiarità di questi aspetti, lo studio del clima urbano e periurbano ha assunto ormai la dignità di un settore specialistico della climatologia (Souch - Grimmond, 2006). Le conoscenze che possono derivare da questi studi sono necessarie per implementare i modelli di previsione del tempo, di qualità dell’aria ma, soprattutto, per supportare la progettazione di insediamenti abitativi più efficienti sotto il profilo della sostenibilità ambientale in termini di più bassi consumi di energia, di acqua e di rilascio di inquinanti (Johansson, 2006). Gli aspetti peculiari del clima urbano derivano in prevalenza dagli effetti della cosiddetta “isola di calore urbana” o “Urban Heat Island” (UHI) che configura l’ambiente urbano come una sorta di “isola bioclimatica”, in quanto sede di peculiari eventi meteorologici, non solo termici, ma anche pluviometrici, di umidità, ventilazione, radiazione solare (Arnfield, 2003; Voogt, 2002; Oke, 1973). L’UHI trae origine da diverse cause concomitanti ma, in particolar modo, dalla percentuale di albedo espressa dalle superfici urbane, dalla capacità termica dei materiali che ricoprono il suolo e le strutture della città, dalla conformazione e dall’orientamento delle costruzioni in rapporto alla direzione e alla velocità del vento, dalla riduzione parziale o totale delle superfici evaporanti (Buyantuyev - Wu, 2010; Kato - Yamaguchi, 2005). Tutto ciò contribuisce a formare una sorta di cupola di calore, alta generalmente 150-200 metri che, soprattutto nei mesi invernali e nelle ore notturne, determina una vera e propria “inversione termica in quota”. In aggiunta alle cause strutturali dell’UHI, intervengono anche fattori di produzione attiva di calore come, ad esempio, gli impianti di climatizzazione (soprattutto per il riscaldamento delle abitazioni nei mesi invernali), il traffico veicolare e le correlate produzioni di gas combusti ed incombusti, nonché le attività metaboliche dei residenti (Carnahan - Larson, 1990). Wilson, J.P. - Gallant, J.C. (2000), Terrain Analysis - Principles and Applications. New York: Wiley. 60 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 61 Alla città “compatta” si è contrapposto negli anni più recenti un modello insediativo di città “diffusa”. In questo caso le problematiche emergenti sono connesse essenzialmente all’elevato grado di frammentazione abitativa che, in risposta all’aumento delle distanze medie percorse, necessita di infrastrutture sempre più grandi e invasive. Oltre alle ricadute sulla qualità della vita e all’impatto paesaggistico, un tale sviluppo urbano comporta rilevanti oneri di funzionamento dovuti, ad esempio, alla compromissione/distruzione delle risorse naturali, agli elevati costi per la mobilità, nonché alla manutenzione edilizia. Questo contributo intende, pertanto, proporre una riflessione sui possibili impatti del cambiamento climatico sulle aree periurbane e sui possibili effetti che tale fenomeno ha sulle variazioni climatiche a scala locale. Il bilancio termico della città La radiazione emessa dal Sole si estende lungo tutto lo spettro elettromagnetico; la radiazione solare che raggiunge la superficie della Terra è tuttavia costituita principalmente da radiazioni elettromagnetiche a onda corta in quanto, per l’effetto filtrante e schermante dell’atmosfera terrestre, le altre componenti vengono estinte o direttamente riflesse nello spazio siderale. La residua quota di radiazione viene in gran parte assorbita da oceani, litosfera, criosfera e biosfera, determinando un aumento del livello di energia interna di detti sistemi (Visconti, 2001; Wallace - Hobbs, 2006). Il suolo, l’acqua, i materiali e qualunque altro corpo la cui energia interna sia variata tenderanno a ristabilire le condizioni di equilibrio con l’ambiente circostante emettendo a loro volta il surplus di energia assorbita. In questo caso, però, l’energia emessa sarà restituita sotto forma di radiazione elettromagnetica a onda lunga, in particolare nel campo spettrale dell’infrarosso. Da ciò deriva che il riscaldamento degli strati più bassi dell’atmosfera avviene principalmente per merito delle emissioni del suolo o delle altre superfici radianti che hanno precedentemente assorbito l’energia solare (Wallace - Hobbs, 2006). I meccanismi di assorbimento ed emissione di energia danno pertanto luogo a un bilancio termico in perenne ricerca dell’equilibrio energetico. Volendo semplificare, i termini che partecipano al bilancio termico in un sistema ambientale naturale possono essere ricondotti ai seguenti elementi: Q+H+E+G=0 dove Q è la radiazione netta in tutte le lunghezze d’onda, H è il calore sensibile, assorbito o trasmesso dall’aria o dalla superficie del suolo nel corso di una variazione di temperatura, E è il calore latente, rilasciato o assorbito durante un cambiamento di stato dell’acqua (ad esempio, l’evaporazione comporta assorbimento di energia, mentre la condensazione determina un rilascio di energia), G è il calore trasmesso per conduzione dal terreno. Nel caso di un sistema ambientale non naturale, come può esserlo un’area urbana, il bilancio termico si arricchisce di ulteriori termini dovuti alla presenza di strutture, materiali, superfici e fonti supplementari di emissione di calore. Il bilancio, in questo caso, deve necessariamente comprendere almeno un termine aggiuntivo (Qp) per considerare gli scambi di calore con le superfici di strade e muri e un ulteriore termine (Qf ) per rappresentare il calore di induzione antropica generato dalla combustione di combustibili fossili: Q + Qp +H + E + Qf = 0 Nelle suddette schematizzazioni sono ignorati gli apporti di calore dovuti a fenomeni di avvezione. Tuttavia, se si assume che una città è piuttosto uniforme per quanto riguarda tipo e uso del suolo, allora il fattore avvettivo può essere considerato ragionevolmente trascurabile. Va considerato però il complesso delle fonti puntuali di riscaldamento domestico che emette ulteriore energia nell’atmosfera urbana nei mesi invernali, così come in estate la diffusione degli impianti di climatizzazione rappresenta ormai un ulteriore carico di calore per l’aria già surriscaldata delle città. 62 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Tutto ciò determina un effetto sinergico che amplifica e consolida il fenomeno dell’isola di calore, sia nei riguardi della vera e propria area urbanizzata (centro abitato), sia per quanto concerne le aree periurbanizzate di contorno. Non va dimenticato, inoltre, che la maggior parte dei manufatti presenti in città risultano costruiti con materiali caratterizzati da elevata conducibilità termica. I materiali edili, infatti, sono caratterizzati da superfici con elevata emittanza termica o potere di irraggiamento (in genere misurato in J), ovvero da capacità di accettare e rilasciare calore. In presenza di un differenziale di temperatura fra esterno e interno di un edificio, si stabilisce un flusso di calore che attraversa lo spessore delle mura da una superficie all’altra (dall’esterno verso l’interno e/o viceversa). Una città, quindi, durante la notte si raffredda più lentamente di un’area non urbana. Il bilancio termico delle aree urbane è inoltre influenzato dalla concentrazione di motori endotermici (mezzi di trasporto, dispositivi di climatizzazione, macchinari di produzione industriale) dai cui processi di combustione, oltre alla generazione di calore, derivano emissioni di gas a “effetto serra”. La crescente domanda di trasporto, conseguente all’espansione urbana, comporta una crescita significativa di emissioni con immediate ricadute a scala locale e riflessi indiretti anche a quella globale. Il trasporto su strada è responsabile del 93% di tutte le emissioni dei trasporti con i suoi circa 900 milioni di tonnellate di CO2. Nella UE-25 il numero di chilometri su strada di passeggeri è aumentato del 26% tra il 1990 e 2002, vale a dire molto più dell’incremento del PIL nello stesso periodo (Bart, 2010). Insediamenti e clima urbano Le aree urbane sono caratterizzate da una conformazione tridimensionale abbastanza intricata, determinata dall’insieme di edifici e dal reticolo stradale interposto. L’insieme di questi elementi, con le strade delimitate da file di edifici su entrambi i lati, riproduce la struttura dei “canyon” naturali scavati dai corsi d’acqua. L’accostamento della città ai canyon non deriva solo dall’aspetto estetico; anche a livello funzionale sussistono similitudini che accomunano le due strutture, in particolare per quanto riguarda l’assorbimento della radiazione solare, la temperatura delle superfici, i tassi di evaporazione, la conservazione/irradiazione del calore, nonché la direzione e l’intensità del vento (Kusaka - Kimura, 2004). Come avviene in natura, la quantità di radiazione solare ricevuta nel complesso da un canyon urbano dipende dall’altezza degli edifici e dall’orientamento della strada. Inoltre le proprietà dei materiali utilizzati per la costruzione di edifici e strade sono importanti, non solo a causa del loro potere di emissione termica, ma anche in relazione alle loro proprietà di riflettere la radiazione solare (albedo). Nel canyon urbano, come in quello naturale, si può infatti innescare il cosiddetto fenomeno di “intrappolamento” dell’energia solare (solar trapping) quando, a causa del reiterato riverbero da una parete all’altra del canyon, aumenta la frazione di energia assorbita dalle superfici (Gordon Bonan, 2002). In tali situazioni, circa il 60% della radiazione netta viene quasi subito rilasciato sotto forma di calore sensibile, il 30% è immagazzinato nei muri e nelle strade, mentre la restante frazione (circa il 10%) serve ad alimentare fenomeni di evaporazione dagli eventuali spazi verdi o specchi d’acqua presenti in città (Spronken-Smith et al., 2006). La presenza umana e le attività correlate, come già accennato, producono emissioni aggiuntive di calore, di vapore acqueo e di sostanze inquinanti che gravano ancor di più sulla qualità dell’aria delle città. Per quanto riguarda le precipitazioni atmosferiche, le alterazioni prodotte dall’urbanizzazione si possono evidenziare su scale territoriali più ampie rispetto alla superficie della città stessa, in quanto i suddetti effetti si estendono ben oltre le aree circostanti (Long et al., 2014). L’urbanizzazione, infatti, è in grado di influire su quasi ogni elemento climatico e meteorologico dell’atmosfera al di sopra e, spesso, anche sottovento alla città (Kishtawal et al., 2009). L’isola di calore urbana è più intensa nelle ore notturne, diminuisce all’aumentare dell’intensità del vento e della copertura nuvolosa, risulta meno evidente in estate, mentre i valori di temperatura risultano strettamente collegati Città, territorio e CC 63 alla superficie e conformazione degli edifici, al tipo di copertura/uso del suolo, alla presenza di vegetazione (spazi verdi urbani) e all’irraggiamento di calore dovuto alle attività antropiche (Giridharan et al., 2004; Hawkins et al., 2004; Jonsson, 2004; Unger, 2004; Sakakibara - Owa, 2005). Clima e forma urbana L’analisi del clima urbano può non tenere conto della complessa articolazione dell’ambiente urbano e, di conseguenza, del gradiente urbano-rurale. A tal fine sarebbe necessario poter discernere varie tipologie che compongono la città e poter disporre delle rispettive informazioni climatiche. La procedura di classificazione delle zone urbane si può basare, ad esempio, sul criterio delle cosiddette Zone Climatiche Locali (LCZ), che cerca di individuare aree urbane omogenee per forma e proprietà termiche utilizzando indicatori come, ad esempio, la frazione di superficie edificata, il rapporto altezza-larghezza degli edifici (H/W), il fattore di vista cielo (SVF), l’altezza degli elementi che costituiscono la “rugosità” della superficie (ZH), il flusso di calore di origine antropica (QF) nonché la superficie di irraggiamento termico (μ) (Stewart - Oke, 2009). Il fattore di scala è fondamentale nel processo di classificazione urbana in quanto la rappresentatività territoriale di una stazione meteorologica varia a seconda del tipo di strumentazione disponibile, delle condizioni all’intorno della stazione e della geometria della superficie (Oke, 2004). Le misurazioni di temperatura (rilevate in capannina e a 2 m dal suolo) hanno, infatti, un raggio di rappresentatività abbastanza ridotto se rilevate all’interno di un’area edificata piuttosto che in campo aperto. Le dimensioni spaziali delle LCZ variano quindi in funzione delle condizioni di misurazione imposte dal sito, anche se l’evidenza empirica suggerisce che l’area di rappresentatività intorno a un sensore di temperatura installato in una zona urbanizzata non si estende al di là di qualche centinaio di metri (Ashton, 2012). Struttura urbana e architettura degli edifici, oltre a giocare un ruolo sostanziale sul microclima delle diverse zone della città, hanno effetti diretti sul comfort termico percepito dagli abitanti. Altezza degli edifici, ampiezza e orientamento delle strade, presenza o meno di verde pubblico sono alcuni fra gli elementi che entrano di diritto nei criteri attuali di progettazione delle aree urbane, proprio per garantire le migliori condizioni possibili di vivibilità nell’ambiente cittadino (Correia Guedes et al., 2009). Le temperature mediamente più elevate che si registrano negli ambienti urbani rispetto a quelli naturali esigono una riflessione anche sulle conseguenze che il riscaldamento globale (global warming) comporta specificamente per le città. Le proiezioni IPCC1 riguardanti i futuri scenari climatici indicano, oltre al mero aumento dei valori di temperatura, anche un incremento di frequenza, durata e intensità delle cosiddette onde di calore (heat wave). In base a ciò, l’ambiente urbano sembrerebbe ragionevolmente predestinato a subire le ripercussioni più rilevanti, soprattutto per i rischi che ne possono derivare per la salute umana. Fra le concause delle “modificazioni del clima urbano” si possono inoltre citare il riscaldamento globale antropogenico (AGW), l’incremento delle concentrazioni di anidride carbonica in atmosfera dovuto alle attività antropiche, il progressivo processo di inurbamento della popolazione mondiale (Georgiadis, 2008). Le specifiche condizioni meteoclimatiche dell’ambiente urbano non sono soltanto frutto dei fenomeni fisici sottesi alla ripartizione dell’energia solare sulla superficie terrestre: essi rappresentano anche il prodotto di una “mediazione culturale” che investe il modo di concepire e costruire le città, sia in termini di materiali utilizzati che di progettazione urbanistica. In tal senso gran parte delle città appare ancora impreparata ad affrontare le nuove sfide poste dal cambiamento climatico. Da un’indagine condotta su circa 200 città in Europa (Reckien et al., 2014), è risultato che il 35% non ha provveduto a redigere alcun piano di adattamento né di mitigazione e appena un quarto si è dotato di entrambi, il 72% ha solo il piano di mitigazione e nessuna ha prodotto solo quello di adattamento. La maggior parte dei piani di mitigazione si basa su opzioni tecnologiche tese a incrementare l’efficienza energetica, come, ad esempio, 64 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico il miglioramento della coibentazione degli edifici, mentre l’adattamento viene spesso affrontato in maniera più sistemica ma meno concreta. Fra i criteri più utilizzati, sia in fase di progettazione urbanistica, sia per il monitoraggio delle diverse condizioni termiche che possono presentarsi in città, vi è la cosiddetta Temperatura Fisiologica Equivalente (PET)2, un indice funzionale che combina opportunamente temperatura, umidità e ventosità e mediante il quale è possibile verificare come le condizioni termiche (e il correlato “comfort termico”)3 possano variare, non solo da zona a zona a seconda dei diversi parametri architettonici, ma anche in base alle stagioni e alle ore della giornata (Johansson, 2006). Gli studi sull’isola urbana di calore richiedono informazioni ad alta risoluzione temporale in grado di monitorare l’evoluzione degli eventi meteorologici a scala sub-giornaliera, tali da poter rilevare brusche discontinuità termiche dovute a fenomeni di avvezione e rapidi passaggi di fronti temporaleschi (Szymanowski, 2005). In tal senso anche la geometria degli edifici e la maggiore concentrazione di aerosol rappresentano cause che concorrono a determinare la peculiare fenomenologia meteorologica delle città e a marcare le maggiori differenze rispetto alle aree rurali. Un esempio è dato dagli eventi temporaleschi, che diventano molto più violenti quando nella loro traiettoria di spostamento incontrano una città. L’utilizzazione di mezzi di indagine più efficaci sta recentemente favorendo la comprensione dei meccanismi di formazione delle nuvole, delle precipitazioni e delle tempeste (Lowry, 1998). Il telerilevamento da satellite4 (Schumacher - Houze, 2000), il LiDAR5 (Zhou et al., 2004) e il Radar Doppler (Russo et al., 2005), consentono infatti di analizzare in maniera dettagliata la precipitazione piovosa, sia nei suoi aspetti quantitativi, sia per quanto riguarda la formidabile variabilità spaziale che la caratterizza. Tali strumenti, quindi, benché necessitino di attenta calibrazione a terra, si prestano molto bene allo studio di aree relativamente poco estese come, per l’appunto, possono essere considerate le città. Da alcuni risultati preliminari (Souch - Grimmond, 2006) sembrano essere confermati gli effetti “positivi” dell’urbanizzazione sulle precipitazioni, che discendono dalla più elevata concentrazione di aerosol, dalla maggiore turbolenza dell’aria innescata dalla maggiore “rugosità” delle superfici, dai moti convettivi derivanti dalle proprietà e dai differenti stati termici dei materiali presenti, dalla convergenza dei venti sull’area urbana che possono dar luogo a nuvole “piovose” e dall’apporto di vapor acqueo di origine antropica. Conclusioni La città contemporanea presenta forme di sviluppo, decentramento e diffusione che poco si raccordano alle concezioni del passato, principalmente a causa di un diverso fattore di scala oltre che di regole e organizzazione degli spazi. Come evidenziato in questo breve excursus, il clima urbano presenta caratteristiche molto peculiari che giustificano un approccio specialistico al suo studio e alla soluzione delle problematiche connesse alla qualità della vita delle città. Le particolari condizioni ambientali delle aree urbane non consentono di misurare le variabili meteo-climatiche secondo gli standard convenzionali raccomandati dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale (OMM-WMO) e anche gli schemi “classici” della modellistica meteo-climatologica mal si adattano all’ambiente cittadino. La ricerca scientifica è pertanto focalizzata sulla comprensione dei processi che determinano il clima urbano oltre che sugli effetti che ne derivano per i suoi abitanti. Nelle città la temperatura supera mediamente di 1-2 °C quella delle aree rurali circostanti; tale peculiarità è particolarmente evidente nelle ore notturne e in estate, quando il differenziale aumenta sensibilmente riducendo l’escursione termica giornaliera. Nelle città il traffico veicolare, la climatizzazione degli edifici, la qualità dei materiali di copertura (cemento e asfalto) delle superfici urbane concorrono a surriscaldare l’aria e riducono o impediscono l’infiltrazione di acqua nel suolo. La rarefazione del verde, inoltre, associata alla minore ventilazione e al sigillamento dei suoli, riducono in città l’effiCittà, territorio e CC 65 cacia delle forme di mitigazione naturali. Il cambiamento climatico oltre a peggiorare le condizioni di vivibilità nell’ambiente urbano può aggravare anche le condizioni di inquinamento preesistenti: l’ondata di calore verificatasi in Europa nel 2003, evento paradigmatico del cambiamento climatico, ha avuto nelle città gravi effetti sanitari diretti (Conti et al., 2005). Per porre rimedio agli aspetti negativi citati, sono necessarie strategie di intervento mirate a migliorare le condizioni ambientali in città. Le strategie comunitarie e i relativi atti sono riferimenti e strumenti importanti per una politica nazionale per le città. Tra questi: il Libro Verde L’adattamento ai cambiamenti climatici in Europa – quali possibilità di intervento per l’UE; la Strategia tematica sull’ambiente urbano (COM/2004 e COM/2006); la Carta di Lipsia 2007; il VI Programma d’azione ambientale; la Strategia energetica europea 20+20+20; l’Agenda 21; il V Aalborg commitment. Nel 2005, su iniziativa del sindaco della città di Londra, nacque il gruppo C40, cui aderirono inizialmente 18 città fra le più importanti del Mondo. Nel 2009 il C40 ha tenuto il suo terzo summit a Seul (Corea del Sud) dove sono intervenute 65 città, con 24 sindaci (tra cui quelli di Londra, Toronto, Tokyo, Seul, Copenhagen, Sydney, Addis Abeba, San Paolo, Lima, Bangkok, Città del Messico, Nuova Delhi), 13 assessori di amministrazioni locali (tra cui quelli di New York, Melbourne, Pechino, Parigi, Rio de Janeiro, Atene, Los Angeles) e 28 delegazioni. Per l’Italia erano presenti Roma e Milano (anche se quest’ultima non è membro effettivo del C40). Alla conclusione dell’incontro, riconoscendo l’importanza di un coordinamento tra le grandi città per realizzare programmi di intervento e divulgare i risultati in merito alla riduzione delle emissioni per combattere il cambiamento climatico, è stata sottoscritta una Dichiarazione con l’assunzione di precisi impegni in relazione alle politiche e alle misure per affrontare il cambiamento climatico nelle città. Sulla base di queste linee guida, la dimensione urbana e le ragioni dello sviluppo economico ammettono, purtroppo, poche alternative. L’evoluzione della società umana si avvia inesorabile verso una cosiddetta “era urbana” in cui la città sembra destinata a divenire globalmente l’habitat dominante e il principale motore di sviluppo economico e di promozione sociale. In questa trasformazione progressiva e inarrestabile si trova la conferma del ruolo che le città hanno da sempre avuto e che le ha consacrate nel tempo come luogo di prosperità, dove gli uomini si aggregano per realizzare le proprie aspirazioni e soddisfare le proprie esigenze materiali e intangibili. Il concetto di città, pertanto, si arricchisce anche di significati culturali e sostanziali che sono in grado di condizionare la qualità della vita umana trasfigurando a sua volta la città stessa in immagine speculare dell’identità dei suoi abitanti. In quest’ottica, solo se la città assume espressioni di gradevolezza estetica, di benessere psicofisico e di armonia funzionale fra tutti gli elementi in essa presenti (abitanti, edifici, strade, fabbriche, fiumi, alberi, clima, servizi ecc.) può effettivamente svolgere il ruolo che le compete e che ogni suo abitante si attende. Il clima urbano, attraverso le sue manifestazioni più o meno peculiari rispetto all’intorno geografico con caratteristiche naturali, può pertanto riflettere una sintesi efficace di quanto i diversi elementi presenti nelle città siano stati gestiti e pianificati in modo corretto e sostenibile. Il monitoraggio meteo-climatico di lungo corso assume quindi anche una valenza di supporto e valutazione dell’efficacia di una pianificazione improntata a forme urbane sostenibili e a un contenimento delle forme diffuse e sfrangiate di insediamento a favore di morfologie più coese e possibilmente compatibili con un modesto riscaldamento climatico e un maggior comfort termico per la popolazione. Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC). Organismo internazionale delle Nazioni Unite istituito per la valutazione dello stato attuale e dei cambiamenti del clima e delle potenziali conseguenze ambientali e socio-economiche (http://www.ipcc.ch). 2 Equivale alla temperatura che si avrebbe in un ambiente interno (una stanza) in cui ci fossero le stesse condizioni microclimatiche dell’esterno in base a: temperatura dell’aria (Ta), temperatura media radiante (Tmrt), velocità del vento (V), pressione di vapore (Vp). 1 66 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 3 Il comfort termico viene definito dalla ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air Conditioning Engineers INC) come una condizione di benessere psicofisico dell’individuo rispetto all’ambiente in cui vive e opera. La valutazione di tale stato soggettivo può essere oggettivata e quantificata mediante l’utilizzo di indici integrati che tengono conto sia dei parametri microclimatici ambientali (Ta, Tr, Va, rh), sia del dispendio energetico (dispendio metabolico MET) connesso all’attività lavorativa, sia della tipologia di abbigliamento (isolamento termico CLO) comunemente utilizzato (www.ashrae.org). 4 Si fa particolare riferimento al Tropical Rainfall Measuring Mission (TRMM), ovvero una missione spaziale congiunta tra la NASA e la Japan Aerospace Exploration Agency (JAXA), progettata per monitorare e studiare nello specifico le piogge tropicali. 5 Light detection and ranging o Laser imaging detection and ranging è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie mediante un impulso laser. Consente anche di stimare la concentrazione di particolari elementi in atmosfera. Riferimenti bibliografici Arnfield, J.A. 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Forma urbana ed energia: verso una progettazione bioclimatica per la riduzione di consumi e temperature Filippo Magni Introduzione Secondo le previsioni dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA) si stima per il 2030 una crescita dei consumi energetici su scala mondiale (ottenuta dall’incremento della domanda pro capite) pari al 60% rispetto al consumo attuale. Considerando che attualmente la popolazione urbana supera il 50% del totale, con aree in cui la percentuale tocca l’80%, e il tasso di crescita dei consumi energetici è dell’1,9% annuo, si prevede che il consumo energetico urbano aumenterà del doppio rispetto all’attuale tasso medio di crescita europeo (IEA, 2014). Questo processo di inurbamento della popolazione, unito ai potenziali impatti del cambiamento climatico indotti dalla componente antropica (IPCC, 2007), fornisce un nuovo impulso agli sforzi per comprendere come forme, funzioni e risorse interagiscono all’interno degli ambienti urbani. In alcune città, infatti, il consumo di energia pro capite ha registrato un incremento direttamente proporzionale alla loro crescita spaziale (Baynes - Bai, 2009). Dato il crescente contributo delle città alle emissioni climalteranti (Bai, 2007), affrontare il cambiamento climatico globale declinandolo a livello urbano assume una forte rilevanza, in quanto garantisce una maggiore efficacia di intervento. Il livello locale, che costituisce al contempo “parte del problema” e “parte della soluzione”, diventa in questo senso il punto di partenza ideale per avviare politiche e azioni per la protezione del clima che permettano una reale transizione verso un modello urbano sostenibile capace di combinare il semplice risparmio con investimenti per l’efficienza energetica e l’uso di fonti energetiche rinnovabili. Consumo energetico, forma urbana, densità e morfologia, se opportunamente messi in relazione, offrono infatti l’opportunità di affrontare localmente, tanto nel policy design quanto nella progettazione urbana, le questioni del clima. Gran parte della letteratura di riferimento (tra gli altri: Williams et al., 2000; Jenks - Burgess, 2000; Foley, 2005; Oke, 2006) si concentra sul tema della mitigazione considerandola come driver di sostenibilità urbana. Secondo questo approccio, una migliore pianificazione e un miglior design degli spazi e delle forme urbane dovrebbero essere in grado sia di mitigare gli effetti del cambiamento climatico, sia di garantire un processo graduale di adattamento per attenuarne gli impatti diretti e indiretti. Finora i processi di mitigazione per ridurre le emissioni GHG hanno ruotato principalmente intorno alla produzione di energia da fonti rinnovabili, al risparmio energetico degli edifici, alle tecnologie “verdi” di produzione industriale, a carburanti alternativi con una maggiore efficienza per i veicoli e all’aumento della rete di trasporto pubblico. Ci si è soffermati meno, invece, sullo studio delle forme urbane e sul ruolo che ricoprono all’interno di una strategia energetica per la conservazione e l’uso efficiente di tale risorsa. La delega del comfort interno degli edifici all’impiantistica ha infatti determinato una tendenza di fatto a realizzare edifici e strutture urbane poco relazionati al loro contesto climatico, culturale e materiale. «Si fanno edifici uguali a Stoccolma e a Nairobi, a Shangai e a San Paolo, spazzando d’un colpo principi costruttivi millenari» (Butera, 2004): una sfida lanciata dall’uomo alla natura, per dimostrare di essere capace di abitare indifferentemente in qualunque contesto e in qualunque clima. Zhou, G.Q. - Song, C. - Simmers, J. - Cheng, P. (2004), “Urban 3D GIS from LiDAR and Digital Aerial Images”. Computers and Geosciences, 30: 345-353. 68 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 69 Approccio bioclimatico alla progettazione urbana Parafrasando l’espressione secondo la quale la casa sarebbe il luogo geometrico dello spreco di energia, si potrebbe considerare, in una visione più ampia, la totalità del territorio come luogo geometrico del consumo di risorse, ivi compresa quella energetica (Olgyay, 1951). Adottando questa prospettiva dove l’attenzione non ricade sul singolo elemento ma sull’efficienza dell’intero sistema, la pianificazione urbana, i cui principi regolatori sposano quelli della sostenibilità ambientale, ricopre un ruolo chiave nel raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico. Questa prospettiva prende realmente corpo quando forme architettoniche e strutture urbane vengono contestualizzate per morfologia, tipologia e uso dei materiali. Ciò non significa che debbano essere necessariamente architetture vernacolari o tradizionaliste in quanto le soluzioni tipologiche, morfologiche e tecnico-costruttive subiscono un’evoluzione nel tempo in relazione all’emergere di nuovi bisogni, all’introduzione di nuovi materiali e sistemi di edificazione. Bisogna riflettere inoltre sul fatto che l’uso (e lo spreco) di energia di una struttura urbana non dipende soltanto dall’utilizzo che si fa dei singoli manufatti e dei loro impianti, bensì, spesso, dal modo in cui questi sono stati progettati e messi in relazione tra loro. Parlare di città bioclimatica significa non considerare unicamente la somma degli edifici che incorporano tecniche di condizionamento passivo. A scala urbana vanno considerati altri tipi di interazioni e problematiche che non possono essere affrontate se non con una prospettiva sistemica. In questo senso per la pianificazione generale diventano fondamentali dei criteri bioclimatici come la disposizione sul terreno di un edificio, la sua posizione rispetto ai venti dominanti, al corso del sole e alla relazione reciproca con altri manufatti circostanti, al fine di chiudere i cicli ecologici di materia ed energia, ridurre l’impronta ecologica1 degli insediamenti, minimizzare gli impatti negativi su aria, acqua e suolo, utilizzando in modo efficiente le energie disponibili. Assai raramente i regolamenti edilizi o le norme di attuazione degli strumenti urbanistici contengono indicazioni in merito a questi fattori, mentre una pianificazione e progettazione urbana attenta al contenimento dei consumi energetici e al comfort legato alla fruizione degli spazi della città deve adottare un approccio bioclimatico. Questo interviene contemporaneamente su tre livelli di relazioni: climatico-ambientale, tipologico e tecnico-costruttivo che, se adeguatamente approfonditi possono fornire le seguenti indicazioni: – per quanto attiene al controllo degli aspetti relativi al rapporto tra edificio e ambiente, la pianificazione e l’architettura (soprattutto quella legata a climi temperati) si sono da sempre dovute confrontare con un clima caratterizzato da una notevole varietà stagionale (umidità, temperatura, irraggiamento solare, ventosità), che sollecita e impone soluzioni capaci di adattarsi a tali variazioni stagionali. Oltre al clima, le singole costruzioni devono tenere conto anche delle condizioni microclimatiche del sito, ossia di peculiarità dei luoghi quali la forma dell’insediamento urbano, i caratteri ambientali e paesaggistici (che influenzano e a volte modificano le condizioni climatiche “tipiche” di temperatura, umidità, ventosità e irraggiamento solare, caratterizzandole come condizioni specifiche locali); – per quanto riguarda il controllo degli aspetti tipologici, gli insediamenti devono caratterizzarsi per una ricerca di equilibrio tra forma compatta in inverno (in base al più vantaggioso rapporto tra superficie e volume rispetto alle dispersioni termiche) e aperta in estate (in base alla possibilità di favorire la ventilazione naturale), con spazi ad assetto, aperto-chiuso, tra inverno ed estate (porticati, logge, patii, spazi filtro). Per esempio, la consueta tipologia mediterranea è la casa a patio, compatta ma “porosa” (Olgyay, 1998); – dal controllo degli aspetti tecnico-costruttivi si ricava che la struttura urbana si deve caratterizzare per l’uso passivo dell’energia, grazie allo sfruttamento degli apporti solari in maniera diretta (finestre) o indiretta (accumulatori di calore), e per la presenza di un’adeguata inerzia termica che conservi il calore di tali contributi e smorzi i picchi di temperatura (attenuazione 70 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico e sfasamento dell’ingresso dell’onda termica) in estate. Orientamento e forma dell’edificio e caratteristiche dell’involucro sono gli aspetti su cui si deve concentrare maggiormente il progettista. Una costruzione che sfrutta le specificità climatiche del contesto si definisce “passiva” e va distinta da quegli edifici che costruiscono invece artificialmente, tramite gli impianti (e dunque in maniera “attiva”), il comfort all’interno degli ambienti (da non confondersi con il termine passivhaus2, che fa riferimento a uno standard energetico). Una struttura urbana passiva abbina la possibilità di usare fattori climatici favorevoli (captare energia solare in inverno, veicolare flussi di vento in estate) con la capacità di conservare le condizioni favorevoli (immagazzinare calore in inverno e freddo notturno in estate) e di ostacolare quelle sfavorevoli, senza ricorrere a costose ed energivore integrazioni impiantistiche. È il progettista che deve occuparsi, a diversi livelli di scala, delle questioni legate alla regolazione normativa, alla conformazione delle strutture urbane, all’orientamento degli edifici, al sistema degli involucri e degli impianti, operando verso una riduzione dei consumi energetici e garantendo al contempo un comfort abitativo idoneo. Tab. 1. Estratto realizzato da Higueras (2006) delle strategie di base proposte da Olgyay (1963) per ognuna delle quattro regioni climatiche Regione climatica Obiettivi generali Regione fredda Incrementare la produzione di calore, aumentando l’assorbimento della radiazione incidente e riducendo la perdita dovuta a conduzione ed evaporazione Regione temperata Sia il periodo freddo che quello caldo rappresentano una parte sostanziale dell’anno, quindi è necessario stabilire un equilibrio stagionale tra misure per ridurre o consentire (a seconda del caso) la produzione di calore, di irraggiamento e di convezione del calore Regione calda umida Ridurre la produzione di calore, facilitare la perdita di radiazioni solari e promuovere l’evapotraspirazione Regione calda arida Ridurre la produzione di calore. Diminuire gli aumenti della radiazione assorbita e potenziare la perdita di evaporazione Pianificare con un clima in costante cambiamento significa comprendere le questioni legate al microclima, alle risorse e ai materiali locali. Non impone un pedissequo riferimento alle forme dell’architettura e della tradizione costruttiva ma, piuttosto, un’innovativa reinterpretazione delle ragioni che per secoli ne hanno guidato “naturalmente” la realizzazione (Higueras, 2006). Una progettazione, quindi, che si definisce bioclimatica e che ha come obiettivo principale quello del risparmio di energia (prevalentemente di origine fossile) e che risponde prima di tutto alle condizioni uniche di ogni clima e di ogni territorio, associando una specifica geografia urbana a una corrispondente geografia climatica, un approccio, questo, che si potrebbe riassumere nel principio: A cada lugar una planificación3. Città, territorio e CC 71 Progettazione bioclimatica verso Europa 20-20-20: efficienza, risparmio e produzione sostenibile Una politica energetica ispirata alle considerazioni che precedono impone un modo di progettare lo spazio urbano che, in primo luogo, riduca i consumi diretti (primi responsabili dell’immissione nell’atmosfera di CO2) attraverso un efficientamento dei sistemi tanto di produzione quanto di consumo e, in secondo luogo, predisponga l’insediamento all’uso di fonti energetiche alternative. Si tratta di vedere in che maniera possono essere progettate, riprogettate o riqualificate le strutture urbane e in quale modo se ne può indirizzare l’assetto al fine di rendere minimo il consumo di energia, quale ne sia la fonte. Le politiche di risparmio energetico coinvolgono due livelli di intervento: quello territoriale e quello attuativo. L’assetto territoriale Un primo aspetto del risparmio energetico si riflette sui piani di assetto territoriale4 e si articola in due obiettivi: minimizzare gli spostamenti di cose e persone all’interno dell’area considerata e scegliere opportunamente le aree di insediamento in rapporto ai fattori del clima e del microclima. Minimizzare gli spostamenti significa diminuire i consumi energetici per i trasporti, che sono, com’è noto, molto elevati5. L’obiettivo di ridurre i viaggi da un punto all’altro del territorio si può raggiungere disegnando piani urbanistici che contemplino un certo numero di esigenze di contiguità e che dispongano, per quanto possibile, le residenze vicino ai luoghi di lavoro, le industrie vicino alle fonti delle materie prime (o del loro stoccaggio) e le attrezzature presso le residenze, compatibilmente con i raggi di influenza delle medesime. In questo modo si ottiene una riduzione globale della domanda di trasporto, cioè dell’esigenza che è a monte dello spostamento, mentre si può rispondere alla domanda di trasporto residua con piani che contemplino l’uso preferenziale dei mezzi di trasporto collettivi piuttosto che di quelli individuali6. Visto che lo sviluppo dei trasporti su mezzi collettivi induce al risparmio solo se l’agglomerato urbano è abbastanza compatto, circostanza che in genere garantisce l’economicità della gestione, il sistema di trasporto non può essere considerato indipendentemente dall’assetto territoriale. I piani urbanistici o di assetto del territorio che vogliano tenere in considerazione l’esigenza primaria del risparmio energetico devono essere predisposti per favorire una struttura urbana prevalentemente compatta, con abitazioni, servizi e posti di lavoro localizzati con alta prossimità spaziale ove possibile, oppure localizzati in luoghi ben definiti, in modo da diventare nodi di una rete urbana a maglie strette capaci di essere serviti adeguatamente dalle reti di trasporto pubblico. Un altro modo per limitare la mobilità interna a un’area urbana è quello di incentivare lo sviluppo di un’intensa vita “di quartiere”, così che la popolazione resti legata all’ambito spaziale che può raggiungere a piedi, utilizzando mezzi di traposto (principalmente pubblico) solo per gli spostamenti più lunghi. Il quartiere dovrà però contenere tutte le attrezzature culturali, gli impianti per lo svago e per il tempo libero. Anche la rete commerciale, oggi disciplinata in Italia dai piani di dislocazione dei punti vendita (urbanistica commerciale), dovrà essere calibrata a livello di vicinato e non soltanto per l’acquisto dei generi di prima necessità. L’altro obiettivo che la pianificazione urbanistica si pone, quale strumento per realizzare un risparmio energetico a livello di Piano di Assetto del Territorio, consiste nella scelta delle aree d’insediamento da effettuare in funzione dei fattori del clima e del microclima. Oltre a fattori fisici di base, come il substrato geologico, l’acclività, la vegetazione e l’esposizione ai rischi, anche il clima, nelle sue componenti principali del soleggiamento, della temperatura, dell’umidità e del regime dei venti, va considerato in fase di localizzazione ottimale degli insediamenti. In una prospettiva di risparmio energetico si prediligono per l’urbanizzazione aree meglio soleggiate, riparate dai venti freddi, il cui andamento orografico produca un minimo di ombre portate. Nei riguardi di questi fattori naturali, che dovranno essere inseriti in altrettante carte di analisi morfologica e tecnologi72 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico ca, le zone residenziali e quelle ospedaliere, abitate in tutto l’arco della giornata, andranno pensate su aree esposte prevalentemente a sud e su versanti poco acclivi ma protetti dai venti prevalenti. Le zone scolastiche, invece, aventi una spiccata vocazione al solare perché frequentate soprattutto nelle ore del mattino, potranno essere vantaggiosamente previste su terreni con esposizioni a oriente. Per le zone industriali saranno preferibili invece aree soggette a buona ventilazione, per favorire lo smaltimento termico e di fumi inquinanti derivanti da processi di lavorazione, però sottovento rispetto alle altre zone, specie residenziali. La progettazione degli insediamenti all’interno di un piano regolatore generale7 o di un piano territoriale dovrà essere effettuata tenendo conto di tutti i fattori climatici e microclimatici presenti e, in seconda istanza, dovrà intervenire, quando si progettano per ciascuna zona i piani particolareggiati, sulla definizione dei volumi edilizi in rapporto al soleggiamento, al regime delle ombre e delle temperature esterne che vengono a crearsi per effetto del microclima, al regime dei venti, alla sistemazione delle aree verdi e della relativa vegetazione. Il piano attuativo Il secondo aspetto di una progettazione bioclimatica rivolta al risparmio energetico riguarda, dopo aver definito l’assetto urbanistico alla scala territoriale o comunale e la conseguente rete viaria, la disposizione reciproca degli edifici e la loro sistemazione rispetto agli elementi naturali o artificiali che li circondano. È questo il livello del piano particolareggiato che studia, con un’ottica di maggiore dettaglio (in scala 1:2000, 1:1000, 1:500), le piante, le sezioni, i profili edilizi lungo le strade, lungo le linee di maggior pendenza, con le relative opere di urbanizzazione primaria. A questo livello la pianificazione attuativa, seguendo le indicazioni normative inserite all’interno del Piano di Assetto del Territorio, interviene a definire la forma, le tipologie e l’articolazione esterna dei manufatti edilizi e a progettare le aree esterne, gli spazi tra gli edifici, l’arredo stradale e la vegetazione ai vari livelli (Indovina, 2005). L’importanza di un taglio progettuale indirizzato al risparmio energetico è fondamentale in questa fase di progettazione: una definizione “corretta” dei volumi edilizi in relazione all’ambiente in cui si collocano può infatti consentire un considerevole risparmio di energia per il riscaldamento invernale e il condizionamento estivo e ciò indipendentemente dalla possibilità di usare l’energia solare come fonte diretta e alternativa di energia termica. Le carte solari, che forniscono indicazioni di massima su una specifica macroarea, e i sofisticati software di calcolo dell’irraggiamento solare dei singoli edifici, che forniscono invece dati relativi all’incidenza solare diurna e alla quantità di calore immagazzinata dai singoli edifici attraverso le pareti soleggiate8 (Beccali, 2002), sono alcuni degli strumenti di cui può servirsi il progettista per indirizzare al meglio il design della struttura urbana. La variazione della quantità di calore assorbita dalle facce di un volume edilizio per radiazione diretta dal sole definisce che la superficie rivolta a nord riceve sempre meno energia delle altre superfici; la superficie sud è quella che riceve più energia nei mesi da settembre ad aprile, cioè nei mesi invernali; le superfici est e ovest sono quelle che ricevono più energia nei mesi da maggio ad agosto, cioè quelli estivi (fig. 1). Ne consegue che un edificio in linea, che abbia due esposizioni, con altrettante file di locali allineati su fronti opposti, assorbe la massima quantità di calore quando una delle facciate è orientata a ovest e l’altra a est. I lati corti, possibilmente ciechi, sono così orientati a nord e sud (fig. 2). Oltre a quello solare, altri fattori del microclima concorrono alla corretta impostazione di un’urbanistica bioclimatica, quali, soprattutto, l’andamento dei rilievi del terreno, i venti e l’umidità. La conoscenza e lo sfruttamento di questi fattori hanno però raramente orientato la pianificazione urbanistica alla scala urbana: la formazione di imbuti, di vortici e di correnti è stata per esempio scarsamente utilizzata per progettare la volumetria di nuovi quartieri allo scopo di ridurre le perdite termiche degli edifici. I tessuti antichi, in generale, sfruttavano meglio il microclima prodotto dal surriscaldamento urbano e tuttora resistono meglio all’effetto del vento, che tende a scavalcarli Città, territorio e CC 73 proprio per la loro compattezza e omogeneità morfologica. Un motivo ulteriore, dunque, per sostenerne il recupero, in un’ottica di risparmio energetico (fig. 3). Risulta importante sottolineare che ciascuno di questi caratteri e dei suoi effetti sul microclima va conosciuto dal progettista e va misurato e utilizzato nel modo più opportuno al fine di migliorare le caratteristiche dell’ambiente e, in particolare, di massimizzare il risparmio energetico. Anche la turbolenza dell’aria, a volte, può essere utilizzata in senso positivo per attenuare, ad esempio, gli effetti dell’isola di calore. Allo stesso modo gli alberi, e comunque la vegetazione, sono anch’essi elementi che possono contribuire ad addolcire il clima sia estivo che invernale e a far risparmiare energia. Oltre alla funzione di schermo estivo e filtro invernale, è noto che inserendo nella maglia urbana viali alberati, spazi pubblici con superfici a verde, giardini, parchi o altre infrastrutture verdi si possono modificare i caratteri climatici propri della città, avvicinandoli almeno in parte a quelli propri delle aree rurali (fig. 4). Il verde urbano non deve essere valutato e inserito nella città per uno scopo puramente esteticodecorativo (favorire l’integrazione fra elementi architettonici nell’ambito della progettazione dell’arredo urbano) o igienico-sanitario (assorbimento delle sostanze inquinanti, produzione di ossigeno, aumento del benessere psicologico) come è stato fatto finora, ma in quanto fondamentale elemento di presenza ecologica e ambientale, che contribuisce in modo sostanziale a mitigare gli effetti del microclima. L’urbanistica delle fonti energetiche alternative schermatura della radiazione solare diretta VARIAZIONI GIORNALIERE diminuzione delle temeprature superficiali diminuzione del raffrescamento radiativo VARIAZIONI STAGIONALI estate 1. Esempio di orientamento secondo l’asse equisolare, nord est-sud ovest, proposto da G. Vinaccia (1940). inverno 2. Rilettura, secondo gli stili di vita odierni, del diagramma di orientamento in base all’asse equisolare di un edificio, elaborato da G. Vinaccia (1940). deviazione del vento incanalamento del vento riduzione del vento 3. Fenomeni di interazione tra ventilazione e contesto costruito. Illustrazione delle principali fenomenologie aerodinamiche. 4. Principali funzioni svolte dalla vegetazione in ambito urbano (Fonte: R. Pantalfini 2013). 74 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Se la progettazione urbana che tende al risparmio energetico cerca prevalentemente di ridurre la domanda di energia, con un’opportuna progettazione della forma dell’insediamento e con un’idonea dislocazione delle zone destinate allo svolgimento delle varie attività, l’urbanistica che si rivolge alle fonti alternative rispetto a quelle tradizionali (carbone, petrolio e derivati) ha come scopo quello di aumentare l’offerta energetica migliorandola. Tuttavia l’ampliamento della disponibilità è un fine che va perseguito insieme alla riduzione dei consumi, pianificando, pertanto, politiche (urbanistiche ed energetiche) che non si escludano a vicenda. È proprio sul tema della qualità e dell’integrazione dell’offerta energetica che si intravedono le linee guida verso le quali si sta già orientando il futuro della progettazione, in rapporto all’uso di fonti alternative, tanto a scala urbana9 quanto a livello di edificio10. Se, come è stato accennato in apertura, l’aumento dei consumi energetici ha registrato un incremento direttamente proporzionale alla crescita spaziale degli insediamenti in cui si localizza tale domanda, appare chiaro che, fino ad ora, si è prediletta una produzione di energia in forme a elevata “densità energetica”. Questa condizione ha visto adeguarsi reciprocamente insediamenti ad alta densità abitativa e sistemi di alimentazione ad altrettanto elevata densità energetica generando una forte polarizzazione dei luoghi di produzione e di consumo dell’energia e la diffusione di estese reti di distribuzione soltanto per l’energia elettrica. Un sistema alternativo, basato oltre che sul risparmio anche sul contributo di fonti alternative e diversificate, dovrebbe favorire invece l’instaurarsi di nuovi rapporti tra insediamento e fonti di energia. In particolare un sistema energetico che utilizza fonti a bassa densità dovrebbe incentivare la formazione di un modello insediativo meno centralizzato e più omogeneo, in cui la periferia acquisti la stessa importanza (o quasi) del centro. Con la valorizzazione e la diffusione degli usi diretti dell’energia (sia essa solare, eolica, geotermica o proveniente da biomassa) è possibile dunque prevedere l’attenuazione degli squilibri territoriali e l’evoluzione di un assetto urbano da una situazione fortemente polarizzata e discontinua a una in cui il singolo insediamento (urbano o agricolo), il singolo gruppo sociale, l’abitazione individuale e la singola famiglia possano esercitare un maggior controllo sulla produzione e sul consumo dell’energia. Passare cioè da territori come luoghi geometrici dei consumi a nuove geografie capillari di produzione sostenibile di energia. Città, territorio e CC 75 Conclusioni Parlare di progettazione urbanistica bioclimatica significa riferirsi a una progettazione che propone un adeguamento delle strutture urbane alle specifiche condizioni del clima e del territorio in cui esse sono insediate. Secondo questo approccio, pertanto, ogni situazione geografica deve essere capace di generare una specifica progettazione urbana: “ad ogni luogo una pianificazione specifica”. Attualmente la progettazione bioclimatica viene inquadrata all’interno dell’ambito disciplinare afferente alla pianificazione ambientale o, più in generale, alla pianificazione sostenibile, i cui obiettivi principali sono il miglioramento della qualità della vita e delle persone, utilizzando le risorse disponibili e controllando gli effetti dannosi che queste hanno sull’ambiente a tutte le scale (capacità di carico, modifica del clima, spreco di energia ecc.). Per raggiungere strutture urbane che siano coerenti con i principi della bioclimatica è necessario che i livelli di pianificazione comunale (PAT, PATI, PI11) e quelli progettuali relativi alla scala di edificio (regolamenti edilizi e requisiti cogenti) siano capaci di assimilare le indicazioni precedentemente trattate che possono essere sintetizzate nelle seguenti indicazioni. 1. L’approccio alla pianificazione degli insediamenti urbani va ripensato in maniera globale: le linee di indirizzo di piani e progetti devono essere costruite a partire dalle specifiche situazioni geografiche e climatiche. Evitare soluzioni comuni e indirizzi di carattere generale: ogni territorio, con il suo ambiente, il suo clima e le sue caratteristiche, necessita di progettualità specifiche. 2. Il quadro conoscitivo – sistema integrato delle informazioni e dei dati necessari alla comprensione delle tematiche svolte dagli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica – deve essere corredato da ”nuove” tipologie di dati legati alle questioni climatiche. Informazioni georeferenziate dell’intero territorio comunale relative all’esposizione, al rischio (idraulico, idrogeologico ecc.), all’incidenza solare, all’intensità dei venti, alla tipologia dei suoli (processi geodinamici) sono alcuni dei dati che possono rivelarsi utili in fase di costruzione di un Piano di Assetto Territoriale e soprattutto di redazione dei successivi Piani degli Interventi (PI). 3. Tecniche di condizionamento passivo, di architettura bioclimatica e di riqualificazione energetica devono costituire un elemento cardine all’interno della progettazione urbanistica e architettonica locale, definendo le tipologie appropriate di edifici per ogni specifica situazione climatica. In questo senso è importante introdurre nei regolamenti edilizi indici e indicazioni in grado di ridare importanza ai caratteri dell’architettura tradizionale e connessi al benessere climatico. In questi casi, relativi tanto alle nuove edificazioni quanto ai processi di riqualificazione, appare opportuno seguire le raccomandazioni dettate da un disegno volto al condizionamento passivo, alla ventilazione incrociata, a murature con inerzia termica ecc. Il risultato di questi processi permetterà un grande risparmio energetico e ridurrà i livelli di inquinamento provocati dai sistemi di riscaldamento e rinfrescamento tradizionali. 4. Il pedone deve tornare a essere il protagonista dello spazio urbano fino a ora occupato quasi integralmente dall’automobile, orientando di conseguenza gli interventi progettuali sulla rete viaria delle città in maniera più confacente ai bisogni e alle necessità dei pedoni. I Piani Urbani del Traffico (PUT12) dovranno fornire misure di riduzione del traffico. L’inserimento di reti di trasporto pubblico a basso impatto ambientale che mettano in relazione i principali nodi urbani, strade a priorità pedonale con carreggiate per la circolazione automobilistica a sezione ridotta, incroci e strisce pedonali allo stesso livello per i pedoni, strade senza separazione tra carreggiata per automobili e marciapiedi, o la progettazione di parcheggi in superficie con alberatura sono alcune delle soluzioni più consigliate. 5. La filosofia dello zoning dovrebbe essere abbandonata, potenziando, al contrario, gli usi misti e la diversità delle attività concentrate nelle aree urbane più centrali in modo da ridurre gli 76 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico spostamenti e il conseguente consumo di energie nei trasporti e incentivare l’uso di percorsi pedonali sicuri e gradevoli per tutti. 6.Andrebbero promossi l’integrazione, l’ampliamento e la nuova progettazione della rete degli spazi liberi urbani. In questo senso è necessaria una condivisione degli obiettivi tra diversi settori all’interno di un’amministrazione comunale, tradotta nella redazione di piani del traffico, piani della manutenzione urbana, piani del verde, piani energetici ecc. capaci di disegnare spazi in grado di correggere e moderare le esternalità negative legate ai sempre più frequenti fenomeni climatici estremi. 7. Considerando che il 70% dei comuni italiani ha una dimensione medio-piccola (meno di 5.000 abitanti) e che la capacità di questi comuni di integrare piani e politiche settoriali verso obbiettivi condivisi legati alla bioclimatica urbana è maggiore rispetto alle grandi realtà comunali, i livelli di pianificazione sovraordinata (PTCP e PTRC) dovrebbero essere capaci di favorire questi processi di integrazione al fine di massimizzarne l’efficacia e l’efficienza. 8.Andrebbe promossa una pianificazione capace di privilegiare densità medio-alte, limitando la bassa densità costituita da residenze unifamiliari che impone costi molto elevati in termini di infrastrutture, consumi energetici, consumo di suolo e impatto sull’ambiente circostante. In situazioni territoriali in cui l’insediamento è legato a una moltitudine di microstrutture è consigliabile combinare microcittà compatte con densità medio-alta, collegandole alle macrostrutture urbane a esse limitrofe in modo da limitare la dispersione nel territorio e strutturare una rete di città (Frey, 1999). 9. È auspicabile sostenere piani e progetti legati alla valorizzazione dei servizi ecosistemici forniti da infrastrutture verdi (cicli biologici vegetali e acquatici), riconoscendone il molteplice valore di assorbimento delle radiazioni solari, di stoccaggio di CO2, di laminazione delle acque e di altri sevizi connessi alla riduzione degli impatti del cambiamento climatico. 10. Dovrebbe essere favorito il coinvolgimento attivo dei cittadini al fine di supportare processi bottom-up individuali che garantiscano maggiore sostenibilità alle politiche urbane in materia di efficienza energetica. A questo proposito la costruzione di specifiche agende locali è uno strumento di grande efficacia per raggiungere questi obbiettivi. 1 L’impronta ecologica misura l’area biologicamente produttiva di mare e di terra necessaria a rigenerare le risorse consumate da una popolazione umana e ad assorbire i rifiuti prodotti. Si può esprimere l’impronta ecologica anche da un punto di vista energetico, considerando l’emissione di diossido di carbonio espressa quantitativamente in tonnellate, e di conseguenza la quantità di terra forestata necessaria per assorbire le suddette tonnellate di CO2. 2 Lo standard Passivhaus è nato nel maggio 1988 da una collaborazione tra Bo Adamson dell’Università di Lund in Svezia e Wolfgang Feist dell’Institut für Umwelt und Wohnen (Istituto per l’ambiente e l’edilizia) in Germania. 3 «Los principios generadores del urbanismo bioclimático se pueden resumir en los siguientes puntos: A CADA LUGAR UNA PLANIFICACIÓN»: Higueras (2006). 4 Il Piano di Assetto del Territorio (PAT), come definito dall’articolo 13 della Legge Regionale 11 del 2004, fissa gli obiettivi e le condizioni di sostenibilità degli interventi e delle trasformazioni ammissibili ed è redatto dai comuni sulla base di previsioni decennali. 5 I trasporti nelle città sono responsabili di oltre il 50% delle emissioni contaminanti, seguiti da quelle prodotte dai settori residenziale e industriale. Delle emissioni contaminanti a livello urbano, quelle dovute al trasporto pubblico superano il 60% a Barcellona, il 70% a Parigi e l’80% a Città del Messico (Pozueta, 2001). 6 Stessa considerazione può essere fatta per quei servizi di trasporto individuale aventi però valenza collettiva, forniti da enti pubblici o imprese private, come il car sharing o il bike sharing. 7 Il piano territoriale dell’isola di Ischia, elaborato nel 1957 da Corrado Beguinot, è forse il primo esempio di urbanistica italiana che tiene presenti le caratteristiche climatiche locali (Cardarelli, 1982) 8 Il metodo delle carte solari, prima di una recente messa a punto per l’edilizia bioclimatica eseguita da un gruppo di studio dell’università di Palermo (Beccali - Butera, 1974), non dava conto della quantità di calore ricevuta dal sole per radiazione diretta. 9 Ad esempio si veda il Patto dei Sindaci, il principale movimento europeo che vede coinvolte le autorità locali e regionali impegnate ad aumentare l’efficienza energetica e l’utilizzo di fonti rinnovabili nei loro territori. Attraverso il loro Città, territorio e CC 77 impegno i firmatari del Patto intendono raggiungere e superare l’obiettivo europeo di riduzione del 20% delle emissioni di CO2 entro il 2020. 10 Si veda come esempio la Legge Regionale 30 luglio 2013, n. 15 dell’Emilia Romagna che indirizza i processi edilizi verso «il risparmio energetico ed idrico e la riduzione degli impatti delle urbanizzazioni sull’ecosistema». 11 Articolazione degli strumenti di pianificazione della Regione Veneto, normata dalla Legge Regionale 23 aprile 2004, n. 11. 12 Obbligatorio per i comuni con più di 30.000 abitanti, è costituito da un insieme coordinato di interventi per il miglioramento delle condizioni della circolazione stradale nell’area urbana, dei pedoni, dei mezzi pubblici e dei veicoli privati. 2.3. Dispersione urbana e misure di contenimento: verso un approccio sostenibile Laura Fregolent La dispersione urbana come questione problematica Riferimenti bibliografici Alberti, M. - Solera, G. - Tsesti, V. (1994), La città sostenibile. Analisi, scenari e proposte per un’ecologia urbana in Europa. Milano: FrancoAngeli. Bai, X.M. (2007), “Integrating Global Concerns into Urban Management: the Scale and Readiness Arguments”. Journal of Industrial Ecology, 22: 15-30. Baynes, T. - Bai, X.M. (2009), Trajectories of change: Melbourne’s Population, Urban Development, Energy Supply and Use 1960-2006. GEA Working Paper. Beccali, M. - Butera, F. - Ferrari, S. - Oliaro, P. (2002), “Energy Saving in Multi-Functional Buildings: an Historical Context for a Case Study in Rome”. In EPIC 2002 AIVC Energy Efficient & Healthy Buildings in Sustainable Cities, Conference Proceedings (Lyon 23-26 Ottobre 2002). Paris: AIVC. Butera, F.M. (1979), Quale energia per quale società?. Milano: Mazzotta. —(2004), Dalla caverna alla casa ecologica. Storia del comfort e dell’energia. Milano: Edizioni Ambiente. Cardarelli, U. (1982), Urbanistica ed energia: per una progettazione urbana consapevole dei problemi energetici. Firenze: La Nuova Italia. Foley, J.A. - DeFries, R., et al. (2005), “Global Consequences of Land Use”. Science, 309, 5734: 570-574. Frey, H. (1999), Designing the City: Towards a More Sustainable Urban Form. Londra - New York: E & FN Spon. Higueras, E. (2006), Urbanismo Bioclimatico. Barcellona: Gustavo Gili. IEA (2014), Energy Supply Security: Emergency Response of IEA Countries 2014. Paris: IEA Publications. Indovina, F. (2005), Governare la città con l’urbanistica. Milano: Maggioli Editore. IPCC (2007), Summary for Policymakers, Climate Change 2007: Synthesis Report, eds S. Solomon et al. Cambrid- ge: Cambridge University Press. —(2012), Managing The risks of Extreme Events and disaster to Advance Climate Change Adaptation. Special Report, eds C.B. Field et al. Cambridge: Cambridge University Press. Jenks, M. - Burgess, R., eds (2000), Compact Cities. Sustainable Urban Forms for Developing Countries. London: Spon Press, Taylor and Francis Group. 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Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Lo sviluppo dell’edificato e la conseguente forma che esso assume determina ricadute positive o negative delle quali tenere conto in un’azione di progetto e di riqualificazione degli spazi del vivere. Se la forma compatta ha manifestato nel tempo problemi di non facile soluzione (congestione, inquinamento, costi elevati ecc.) che insieme all’aumento della popolazione hanno spinto la popolazione stessa a trovare forme alternative di residenzialità in contesti a bassa densità edilizia1, al tempo stesso ora dobbiamo fare i conti con le problematiche che la forma urbana dispersa pone. Una considerazione specifica sulla dispersione urbana, quindi, va fatta a partire dai caratteri distintivi della città contemporanea – e cioè la bassa densità insediativa insieme all’alta mobilità e alla polarizzazione e specializzazione di alcune funzioni e servizi fuori dai centri urbani: infrastrutturazione e insediamento di funzioni commerciali e terziarie a ridosso dei centri urbani anche di piccola e media dimensione hanno contribuito da un lato a innescare processi di nuova urbanizzazione e consumo di suolo, dall’altro a incrementare la domanda di mobilità. Nel corso degli ultimi decenni si sono progressivamente intensificate le ricerche sulla dispersione urbana, sugli effetti che essa comporta a livello territoriale, sugli impatti generati dall’urbanizzazione diffusa, sui costi collettivi che essa genera. Del fenomeno, noto in contesto anglosassone come urban sprawl, si sono studiate le diversi componenti: sociali, economiche, culturali, politiche e istituzionali; gli effetti delle regolazioni alla scala locale e sulla relazione tra frammentazione amministrativa e incremento dello sprawl (Pendall, 1999); le cause e gli impatti (Ewing et al., 2002); le manifestazioni formali e le specificità locali, che hanno determinato manifestazioni del fenomeno diverse a seconda dei diversi contesti territoriali e geografici. Sono state, quindi, messe in evidenza la relazioni tra bassa densità insediativa e comportamenti sociali, stili di vita che nel corso dei decenni si sono profondamente modificati generando domande e usi diversi di territorio. L’analisi del fenomeno è stata condotta osservandone le diverse manifestazioni fisiche e morfologiche, il ruolo avuto dalle infrastrutture di trasporto sulla crescita dell’urbanizzazione dispersa, l’incremento di mobilità individuale e dei costi collettivi generati dallo sprawl, le esternalità negative tra le quali possiamo includere il consumo di suolo. Temi centrali e rilevanti che saranno trattati però solo sommariamente concentrando maggiormente l’attenzione sul tema del consumo di suolo. Tra questi il tema della mobilità è centrale nell’analisi e nella descrizione del fenomeno dello sprawl per diventare però potenzialmente strumento di regolazione e di contenimento. Alcune ricerche condotte nello specifico sull’area metropolitana di Barcellona mettono in evidenza come «measures of urban form typically used (net population density and accessibility) have a greater capacity to explain municipal ecological footprints variability than other factors, such as average municipal family income and the job ratio, which leads the authors to conclude that urban form exercises a clear effect on the ecological footprint of transport. Third, Municipalities with low-density levels located in the outer periphery have a higher per capita ecological footprint of commuting than denser central areas» (Muñiz - Galindo, 2005, p. 511); inoltre l’incremento di emissioni di CO2 apre ad alcune inevitabili considerazioni sulla relazione tra forma urbana, uso del suolo e cambiamento climatico poiché l’aumento delle emissioni legate alla mobilità è il risultato di alcune scelte di carattere territoriale che hanno favorito la di79 spersione dell’edificato e il conseguente incremento degli spostamenti (Bart, 2010). Un modello di sviluppo urbano diffuso non può, infatti, essere servito da infrastrutture di trasporto pubblico in quanto la domanda è troppo bassa, la dispersione della domanda sul territorio è alta e la dispersione delle destinazioni è in crescita a causa della suburbanizzazione di posti di lavoro (Camagni et al., 2002b; Cervero, 1998; Ewing - Cervero, 2010). Lo sprawl nelle grandi aree urbane riduce l’accessibilità ai servizi e alle funzioni presenti nei centri urbani più grandi, esalta la parcellizzazione della domanda di mobilità e riduce le opportunità di organizzare secondo economie di scala la pianificazione delle infrastrutture e dei servizi (cfr. Eurispes, 2013). Un tema che ha assunto nel tempo rilievo nelle ricerche sugli effetti dello sprawl è quello legato alla quantificazione dei costi collettivi, sociali e ambientali (Real Estate Research Corporation, 1974; Ladd, 1992; Carruthers - Ulfarsson, 2003; Camagni et al., 2002a; Caperchione, 2003; Hortas-Rico - Solé-Ollé, 2008; Travisi et al., 2009; Fregolent et al., 2012), legati alla mobilità (McCann, 2000), sanitari2 che lo sprawl impone, anche se le ricerche empiriche sui suoi costi sono tuttora molto contenute. Un filone relativamente più recente di studi è quello rivolto all’individuazione di strumenti, politiche e misure capaci di contenere in primis il consumo di suolo, ritenuto la criticità più evidente e con il maggior impatto poiché associato all’erosione di risorse naturali, ambientali e paesaggistiche e all’impermeabilizzazione del terreno3. Il consumo di suolo Il fenomeno del consumo di suolo ha assunto nel tempo delle dimensioni preoccupanti, dal punto di vista della quantità di terreno agricolo consumato, delle risorse paesaggistiche e ambientali compromesse, della frantumazione dell’urbano, dei costi infrastrutturali e di gestione sempre più elevati legati a un modello a bassa densità edilizia e disperso. Secondo il rapporto dell’ISPRA il consumo di suolo supera, a livello nazionale, i 100 ha/giorno e la superficie impermeabilizzata copre oltre il 6% dell’intera superficie del paese, con le punte maggiori nel Nord Italia (Munafò et al., 2011), ma il fenomeno è preoccupante anche per impatti negativi quali la forte pressione esercitata sulle risorse idriche che riduce l’assorbimento della pioggia; la perdita di biodiversità; l’impatto sulla sicurezza alimentare; il maggior assorbimento di energia dal sole dovuto alle superfici scure asfaltate o in calcestruzzo, ai tetti e alle pietre che contribuiscono in misura significativa, insieme al calore prodotto dal condizionamento e raffreddamento dell’aria e al calore prodotto dal traffico, a produrre l’effetto noto come isola di calore urbano. Effetto che si manifesta in particolare nelle città compatte ma la cui presenza e intensità, in base ad alcuni studi condotti in contesto statunitense, è in aumento anche in aree sicuramente molto costruite ma con evidenti caratteri di dispersione urbana e bassa densità edilizia: «the rate of increase in EHEs [Extreme Heat Events] is higher in sprawling than in more compact metropolitan regions, an association that is independent of climate zone, metropolitan population size, or the rate of metropolitan population growth» (Stone et al., 2010, p. 1427). In base al Rapporto ISPRA (2014) i valori percentuali più elevati di consumo di suolo «si registrano nel Nord Italia. Ma, mentre nelle regioni del Nord-Ovest assistiamo ad una fase di rallentamento della crescita, nel Triveneto e in Emilia Romagna si mantiene un tasso di consumo di suolo elevato, dovuto principalmente alla continua diffusione urbana che si riscontra nella pianura padano-veneta. Se negli anni ’50 il Centro e il Sud Italia mostrano percentuali di suolo consumato simili, successivamente il Centro si distacca con valori in netta crescita, raggiungendo i valori medi nazionali che, nel complesso, hanno un andamento piuttosto omogeneo» (p. 7). Significativo è anche il dato sull’incremento di suolo consumato calcolato per abitante (tab. 1), che restituisce un quadro nazionale di forte cambiamento, di impatto e soprattutto di un’intensità del fenomeno che nemmeno la crisi ha arrestato. 80 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Tab. 1. Stima del suolo consumato per residente a livello nazionale, per anno (mq/ab) Anni ’50 178 1989 286 1996 312 1998 321 2006 350 2009 359 2012 369 (Fonte: ISPRA, 2014, p. 14) Il consumo di suolo e la sua conseguente impermeabilizzazione sono diventati un tema sempre più di interesse nelle direttive comunitarie poiché: «a seguito della proliferazione urbana e della richiesta sempre più insistente di terreni da parte di molti settori economici; questa situazione impone un utilizzo più sostenibile del suolo. Occorrono pertanto misure adeguate per contenere questo fenomeno, ad esempio il recupero di siti abbandonati e contaminati che limiti lo sfruttamento dei siti incontaminati. Laddove l’impermeabilizzazione sia presente, gli stati membri devono prevedere tecniche di edificazione e di drenaggio che consentano di preservare il maggior numero possibile di funzioni del suolo» (Direttiva COM(2006)232, p. 12). Di una Direttiva suolo si parla ormai da molto tempo perché, nonostante la sensibilizzazione progressiva sul tema della tutela delle risorse naturali – suolo compreso –, per promuovere un approccio più sostenibile alle trasformazioni del territorio, i processi di urbanizzazione non si sono arrestati (ISPRA, 2014). La costante e progressiva impermeabilizzazione del suolo causa la perdita di importanti funzioni ambientali (filtraggio; conservazione delle acque; produzione di alimenti): «Tra il 1990 e il 2000 nell’UE si sono persi almeno 275 ettari di terreno al giorno, per un equivalente di 1.000 kmq all’anno. Tra il 2000 e il 2006 la perdita media nell’UE è cresciuta del 3%, con picchi del 14% in Irlanda e Cipro e del 15% in Spagna […]. Nel periodo 1990-2006, 19 stati membri hanno perso una potenziale capacità di produzione agricola pari complessivamente a 6,1 milioni di tonnellate di frumento, con grandi variazioni da una regione all’altra […]. Si tratta di una cifra tutt’altro che insignificante, visto lo stabilizzarsi dell’aumento della produttività agricola già percepito e il fatto che, per compensare la perdita di un ettaro di terreno fertile in Europa, sarebbe necessario mettere in uso un’area fino a dieci volte maggiore in un’altra parte del pianeta» (Direttiva COM(2012)46 final, p. 7)4. La pianificazione urbana e territoriale può essere lo strumento principe nella regolazione dei processi di trasformazione non più legati a logiche principalmente espansive, orientando scelte e politiche urbane verso un uso sostenibile delle risorse, compresa la risorsa suolo che continua a essere quotidianamente erosa. Dispersione urbana e consumo di suolo in Veneto Il fenomeno della dispersione urbana in Veneto è stato a lungo indagato; la ricerca sull’evoluzione del modello insediativo, sulla relazione tra modello economico e territoriale, sulle morfologie presenti e costruitesi a partire dagli anni Settanta vanta numerosi studi. Nello specifico l’ambito del centro Veneto – compreso tra le città di Treviso, Venezia, Padova e Castelfranco – presentava caratteri di grande interesse e peculiarità al punto da essere individuato come la forma urbana nota come città diffusa (Indovina, 1989; Indovina et al., 1990; Secchi, 1996; Indovina et al., 2004; Tosi - Munarin, 2004; Indovina, 2009); caratteri successivamente individuati – anche se con intensità e in fasi temporali diverse – in un territorio più ampio (fig. 1) nel quale a partire dagli anni Novanta si sono resi evidenti processi di metropolizzazione territoriale (Indovina, 2004; Fregolent, 2005). Il sistema territoriale rappresentato5 ha avuto nel tempo degli andamenti diversi. A partire degli anni Settanta si struttura come la dilatazione di un sistema policentrico e manifesta una stretta integrazione funzionale tra centri di media e di piccola dimensione; si caratterizza per una spiccata vocazione residenziale, in particolare a bassa densità edilizia, ma anche per una distribuzione consistente, omogenea e indifferenziata di attività produttive di piccola e media dimensione, ed aree Città, territorio e CC 81 1. Costruito nell’area centrale veneta al 1970 e al 2007. (Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato, 2012) 82 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico commerciali, localizzate lungo gli assi di collegamento principale e a ridosso dei nodi di collegamento, ben servite e facilmente accessibili. Alcune analisi condotte sull’area (Fregolent, 2005; Fregolent et al., 2012) hanno consentito di osservare e misurare il fenomeno di crescita dispersa del costruito e di analizzare un processo di urbanizzazione costante che ha portato a un progressivo consumo di suolo dovuto a un’attività edilizia che nel corso degli anni Settanta e Ottanta si manifesta con maggiore intensità ma che prosegue anche nei decenni successivi (figg. 2-4). Nella fase iniziale del processo di dispersione urbana notiamo come l’intervento pubblico per le grandi opere infrastrutturali sia molto contenuto, se si escludono la tangenziale di Mestre (1972), i tracciati delle “tangenziali padovane”, la Valdastico Nord (A31 nota come Pi-Ru-Bi, 1972-1976) o il tracciato della Sp 111 Gasparona (Vicenza) gli interventi cioè sono principalmente legati al completamento delle tratte autostradali e a servizio del traffico nazionale e internazionale di attraversamento (Fregolent - Savino, 2011), mentre il potenziamento del sistema infrastrutturale secondario, che diventa centrale in questa fase di trasformazione territoriale, è legato soprattutto a forme di “incrementalismo infrastrutturale” (Secchi, 1996) che contraddistinguono le politiche locali e comunali: opere di urbanizzazione funzionali all’espansione edilizia e alla dotazione di servizi che una popolazione sempre più dispersa sul territorio richiede. Parallelamente le città principali perdono popolazione, che si riversa sui comuni della prima e seconda cintura esprimendo, quindi, una nuova domanda abitativa, più accessibile dal punto di vista economico ma anche da quello della mobilità legata a una sempre più diffusa motorizzazione; ma che risponde anche a una crescente offerta di lavoro prossima alla residenza, a nuovi stili di vita: processi che ovviamente alimentano la costruzione di quel sistema disperso e a bassa densità edilizia. La crescita dispersa continua per tutti gli anni Ottanta fino agli anni Novanta, quando si registrano forme di addensamento intorno ai poli più consolidati seppur ancora in presenza di fenomeni di frammentazione dell’edificato e di crescita dispersa: sono anni di grande trasformazione, di sviluppo e crescita del tessuto economico della regione che si specializza nei settori del made in Italy e delle costruzioni; anni in cui assistiamo a intensi fenomeni di costruzione edilizia e di frammentazione dell’urbano (Indovina - Savino, 1999), crescita che prosegue anche nel decennio successivo anche se con un’intensità molto più contenuta (tab. 1). A partire dalla metà degli anni Ottanta alcuni comuni registrano significativi incrementi della loro superficie edificata e per l’intero arco di osservazione – cioè dal 1970 al 2007 – notiamo come l’intera area di studio registri un incremento del costruito per oltre il 100% (tab. 2) mentre la popolazione complessiva aumenta solo del 17%. Questa media significa però che abbiamo comuni la cui superficie costruita aumenta per valori prossimi al 50% e altri per oltre il 150 e 200%. Nel corso degli anni Ottanta, infatti, si assiste a un intensificarsi dell’urbanizzazione dispersa che corrisponde a un parallelo processo di sviluppo economico della piccola e media impresa che ha interessato il Veneto e il Nordest più in generale e che registra proprio in questi anni una crescita molto sostenuta proprio delle imprese minori, soprattutto quelle con meno di 20 addetti (Corò, 1998, p. 234), e che ha portato la regione a essere estremamente competitiva e trainante nell’economia italiana (Anastasia, 1989; Corò - Rullani, 1998; Anastasia - Corò, 1996; Feltrin - Tattara, 2009). Negli ultimi anni si assiste a un rafforzamento del policentrismo metropolitano anche attraverso l’insediamento di nuove funzioni urbane nelle aree periferiche di cintura dei centri urbani principali e una progressiva densificazione intorno ai nuclei urbani e lungo le principali vie di comunicazione dell’area. L’analisi condotta sull’area consente di individuare e riconoscere le diverse forme urbane che si sono nel tempo stratificate: forme più addensate e compatte intorno alle città principali e alle aree contermini e lungo gli assi infrastrutturali principali; “filamenti” urbani del tessuto interstiziale che Città, territorio e CC 83 2. Costruito al 1970. (Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato, 2012) 84 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 3. Costruito al 1998. (Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato, 2012) Città, territorio e CC 85 si sono rafforzati e hanno assunto la dimensione dell’aggregato; nuclei compatti che hanno inglobato porzioni urbane prima isolate e si sono quindi ampliati; edificazione minuta e sparsa che progressivamente diventa fenomeno meno intenso per l’incremento delle forme sopra elencate. Inoltre le polarità quali “strade-mercato”, grandi nodi infrastrutturali, aree dei centri commerciali diventano elementi catalizzatori della mobilità e delle attività delle famiglie, determinando pratiche di vita sociale dell’area e inducendo modificazioni sostanziali nell’uso del territorio e degli spazi pubblici tradizionali. Si assiste cioè a un processo iniziale di dispersione urbana in aree agricole che caratterizza gli anni Settanta e Ottanta segue, a partire dagli anni Novanta, un fenomeno di densificazione dei “frammenti urbani” dovuto a fattori e politiche di intervento diverse con il conseguente riempimento dei vuoti e il recupero di aree non utilizzate. Inoltre a partire dagli anni 2000 la nuova fase di espansione si caratterizza per progetti e insediamenti industriali, commerciali e residenziali di dimensioni consistenti in sostituzione di quella crescita diffusa e fatta di interventi più frammentati e minuti propri della prima e in parte della seconda fase di crescita (Fregolent - Tonin et al., 2012). Tab. 1. Costruito ai diversi anni (ha) Ambito Comuni della Provincia di Vicenza (n. 40) Comuni della Provincia di Treviso (n. 39) Comuni della Provincia di Venezia (n. 19) Comuni della Provincia di Padova (n. 47) Ambito complessivo dei 145 comuni Sup. 68.202,1 98.945,5 91.629,1 95.940,9 354.717,7 1970 5.234,8 8.096,4 6.791,2 8.765,4 28.887,8 1998 13.554,1 17.833,7 14.728,6 20.506,3 66.622,7 2007 14.818,5 19.798,9 15.941,9 22.503,9 73.063,1 Sup. (ha) 68.202,1 98.945,5 91.629,1 95.940,9 354.717,7 1970-1998 158,93 120,27 116,88 133,95 130,63 1998-2007 9,33 11,02 8,24 9,74 9,67 1970-2007 183,08 144,54 134,74 156,74 152,92 (Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato 2012) Tab. 2. Incremento ai diversi anni (%) Ambito Comuni della Provincia di Vicenza (n. 40) Comuni della Provincia di Treviso (n. 39) Comuni della Provincia di Venezia (n. 19) Comuni della Provincia di Padova (n. 47) Ambito complessivo dei 145 comuni (Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato 2012) 4. Costruito al 2007. (Fonte: Fregolent - Fantin - Ranzato, 2012) 86 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Nel corso degli anni Novanta si assiste a un consolidamento e a un addensamento intorno alle città ma anche intorno ai nuclei di media e piccola dimensione attraverso processi di ispessimento della trama urbana che va progressivamente assumendo una forma più consolidata e compatta anche se permangono evidenti fenomeni di frammentazione e crescita dispersa. Inoltre gli anni Novanta sono interessati dalla realizzazione di numerose aree produttive lungo gli assi principali di viabilità: alla forma disgregata e dispersa del tessuto produttivo subentra una pianificazione alla scala locale che tenta di trasferire le industrie esistenti ma non più compatibili con l’urbano in aree congrue, ma anche di dare spazio a nuove attività produttive che si vogliono insediare nell’area. Nel corso degli anni 2000 il processo di addensamento continua intorno ai nuclei urbani principali e lungo le più importanti vie di comunicazione. L’area si presenta complessivamente più compatta: i “filamenti” urbani riconoscibili distintamente nelle precedenti soglie storiche analizzate hanno assunto uno spessore maggiore e in molti casi equivaolgono alla dimensione dell’aggregato; i nuclei compatti si sono ampliati e densificati inglobando porzioni urbane in precedenza isolate; l’edificazione minuta, frammentata e sparsa non è più la componente principale della crescita del costruito; inoltre ai Città, territorio e CC 87 processi di compattazione e di addensamento si affianca una nuova fase di crescita caratterizzata da insediamenti di grande dimensione e ad alto impatto e dalla realizzazione delle “grandi opere infrastrutturali” (Savino, 2006; cfr. Cacciaguerra, 2012) la cui mancata realizzazione è stata denunciata dagli operatori economici come una delle cause della perdita di efficienza del sistema produttivo veneto. Sono in prevalenza strade di grande comunicazione, che tendono a servire il traffico di lunga percorrenza e di attraversamento, che creano un miglioramento delle condizioni di mobilità e di collegamento, ma senza riuscire a sgravare significativamente la rete “secondaria” dai problemi di traffico e congestione. La rete secondaria non registra significativi miglioramenti se non la realizzazione di rotonde, sottopassi ferroviari, nuovi raccordi o ampliamento dei tracciati esistenti; le scelte operate non sembrano favorire né un’ottimizzazione della mobilità dell’area, né un controllo della motorizzazione privata, che continua a rappresentare il mezzo principale di mobilità delle popolazioni insediate. Questo e soprattutto all’oggi – in una situazione di uso intensivo del territorio, di dispersione urbana che impone costi pubblici elevati legati alla gestione di un sistema territoriale a bassa densità edilizia – mette in evidenza come le strategie di sviluppo debbano prendere in considerazione la possibilità di incidere in maniera significativa sulle preferenze localizzative di abitanti e imprese, di introdurre qualche elemento di razionalizzazione oltre che di contenimento dei processi di urbanizzazione e soprattutto di riduzione dei consumi di suolo che il modello a bassa densità insediativa ha imposto. Misure, strumenti e politiche per il contenimento dello sprawl L’evoluzione del fenomeno dello sprawl e la quantificazione dei suoi impatti hanno, quindi, spinto in primis studiosi e ricercatori ma anche amministratori e politici a interrogarsi sulle misure da intraprendere e sui possibili interventi da adottare attraverso politiche puntuali e di settore e una pianificazione attenta. La pianificazione urbana e territoriale può contenere lo sprawl grazie anche a interventi infrastrutturali e di regolazione dei trasporti che oltre a favorire una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra consentono di orientare crescita e forma dell’urbano. Infatti densità, mixité funzionale, ricompattazione dell’urbano, disegno delle infrastrutture e promozione del trasporto pubblico e collettivo sono i principi intorno ai quali sviluppare linee guida per una pianificazione sostenibile che, attraverso la regolazione dell’urbano, controlla e contiene anche le emissioni di CO2. Per questo la forma assunta dall’urbano e la pianificazione deputata a regolarne la crescita possono dare un contributo importante alla protezione del clima (IPCC, 2014) ed è per questo che una delle spinte maggiori, anche in sede europea, è proprio in direzione di un intervento sulla forma urbana, sulla compattazione dell’urbano e sul riuso delle aree abbandonate e dismesse. L’Unione Europea da tempo è impegnata nella promozione di una cultura di sostenibilità e questo ha contribuito a far sì che nel corso degli ultimi due decenni sia maturata un’attenzione crescente nei confronti dei problemi ambientali, che la pone in posizioni di avanguardia rispetto alle grandi questioni ambientali, dalla protezione della biodiversità alla lotta al cambiamento climatico (cfr. Musco, 2008), tema sul quale si stanno approntando misure di intervento specifiche anche attraverso strumenti di pianificazione ad hoc 6. Per quanto riguarda il suolo e la sua tutela – con particolare riferimento al tema del consumo di suolo – le misure proposte dall’UE si scontrano ancora con i vincoli derivanti dal fatto che la pianificazione territoriale è materia di competenza dei singoli stati membri. Ma altre politiche che esercitano un’influenza, più o meno marcata, sui processi di trasformazione del territorio e sul problema del consumo non sostenibile del suolo e della sua impermeabilizzazione sono al centro dell’attenzione di numerose istituzioni europee (Commissione Europea, Agenzia ambientale euro88 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico pea, Eurostat), che hanno avviato programmi di monitoraggio, ricerca e sensibilizzazione, anche se continuiamo a essere in attesa di una direttiva specifica sul suolo che stenta a uscire. La pianificazione territoriale rientra tra gli strumenti strategici individuati dalla UE per la rivalorizzazione delle città e il contenimento della crescita urbana in una prospettiva di sostenibilità poiché è compito della sostenibilità avere una visione trans-disciplinare dei fenomeni che richiede osservazioni, punti di vista e approcci diversi, che la pianificazione sa coniugare e intersecare al fine di trovare soluzioni efficaci. Per questo: «The majority of the EU Member States have established the principle of sustainable development in their key spatial planning regulations, referring to economic use of soil resources and avoidance of unnecessary urban sprawl. However, the existence of relevant regulations does not give any insight on the effectiveness of implemented measures» (European Commission, 2011, p. 204); inoltre le azioni intraprese dai diversi paesi europei e indirizzate a una pianificazione sostenibilmente orientata poggiano su: «Quantitative limits for annual land take exist only in six Member States: Austria, Belgium (Flanders), Germany, Luxembourg, the Netherlands, and the United Kingdom. In all cases the limits are indicative and are used as monitoring tools» (European Commission, 2011, p. 149). Ad esempio: «In England, 10% of the total land area, which includes country roads, is urban and, according to the Department for Communities and Local Government (2008), over 70% of new development is taking place on this previously developed land (i.e., brownfield) at high densities to conserve greenfield land. This is a highly restrictive land use policy, constraining the supply of new houses and limiting lifestyle choice» (Echenique et al., 2012, p. 130). Norme simili sono state adottate in altri paesi europei: in Germania sono state introdotte misure di contenimento progressivo del consumo di suolo per raggiungere nel 2050 quota zero, prevedendo quindi il riuso dei brownfield e la nuova urbanizzazione solo in aree accessibili ai mezzi di trasporto pubblico, ma anche programmi di sviluppo urbano volti a valorizzare e dotare di servizi i centri urbani compatti come l’Active city and district centres (2008). In Francia attraverso gli Schémas de la Cohérence Territoriale (SCOT) – piani di inquadramento di area vasta che fungono da guida per quelli alla scala locale – vengono perimetrati gli spazi urbanizzati e quelli naturali sottoposti a tutela. Gli SCOT impongono il principio di “extension limitée de l’urbanisation” che stabilisce limiti all’urbanizzazione su aree non antropizzate e alla realizzazione di grandi superfici commerciali. In Italia diverse regioni stanno approntando normative urbanistiche volte al contenimento del consumo di suolo: la Regione Toscana è impegnata nella revisione della legge urbanistica regionale con l’introduzione di misure specifiche al contenimento del consumo di suolo; la Regione Puglia ha già emanato una legge volta a favorire l’accesso dei giovani all’agricoltura e contrastare l’abbandono e il consumo dei suoli agricoli; la Regione Veneto sta portando avanti un progetto di legge sul contenimento del consumo di suolo che spinge verso politiche di rigenerazione urbana ma che è tuttora in discussione. Il principio di fondo che regola tale proposta è quello di riuscire a limitare il consumo di territorio agricolo attraverso politiche di riuso e recupero del patrimonio edilizio esistente, introducendo standard di qualità ed efficienza energetica e criteri di ecosostenibilità. Le misure per contenere la crescita urbana e dispersa sono differenti. In diverse città del mondo (Londra, Berlino, Portland, Beijing, Singapore ecc.) sono state utilizzate le greenbelts e le Urban Growth Boundaries finalizzate a delineare e delimitare il limite fisico tra città e campagna, ma a queste si aggiungono misure fiscali e normative che tendono a promuovere la cultura del riuso di aree ed edifici abbandonati; incentivare la riqualificazione dell’esistente e l’avvio di processi di rigenerazione urbana, onde contenere il consumo di suolo non antropizzato; consentire la costruzione su terreno non antropizzato e/o agricolo solo quando sono stati recuperati tutti i suoli dismessi o sottoutilizzati, e a condizione che sia stata verificata l’impossibilità di riusare aree già compromesse. Diviene quindi centrale il ruolo della pianificazione territoriale, poiché attraverso la pianificazione è possibile misurare i reali fabbisogni e di conseguenza regolare gli usi del suolo e le quanCittà, territorio e CC 89 tità di suolo da trasformare. La pianificazione assume, quindi, un ruolo determinante soprattutto alla scala d’area vasta o regionale, non solo perché i processi di dispersione insediativa interessano ampie porzioni territoriali – più comuni e province contermini – come abbiamo visto nel caso del Veneto, ma anche perché a questa scala è possibile affrontare in maniera integrata questioni quali l’emissione di gas inquinanti attraverso politiche e scelte di mobilità (cfr. Ewing et al., 2008), la gestione delle risorse naturali, la salvaguardia degli ecosistemi ma anche implementare politiche di welfare (Wheeler, 2009). Contenere il consumo di suolo diventa, in uno scenario di questo tipo, la leva che consente di promuovere e adottare politiche di sostenibilità ampia per città e territorio in piena sintonia con la Strategia europea di sostenibilità ambientale. La regolazione e l’implementazione di politiche volte al governo delle trasformazioni urbane deve avvenire alle diverse scale di intervento: la multiscalarità deve essere alla base di un progetto complessivo di territorio e utilizzata come strumento di lettura e intervento sui diversi fenomeni che si concretizzano e manifestano alla scala locale ma che vanno letti nella loro complessità e interezza per poter essere governati a una scala più ampia. L’ampiezza spaziale e geografica del fenomeno e l’uso estensivo del suolo suggeriscono quindi una pianificazione degli interventi che tenga conto della dimensione regionale dell’ambiente urbano e dei processi di urbanizzazione che avvengono ormai a una scala metropolitana o sovra-metropolitana. Nell’osservazione a questa scala assume grande rilevanza l’intervento sulle infrastrutture e sulle scelte di investimento tecnologico e infrastrutturale legate al commuting (ferrovie regionali e suburbane, metropolitane, metropolitane leggere, tram, tranvie, people mover, filobus e bus in sede protetta e libera). Il dibattito è acceso anche in Veneto dove però è necessario un intervento immediato e atto a contenere non solo l’espansione urbana per impedire nuova erosione di suolo agricolo, spingendo verso misure di riqualificazione degli spazi compromessi, ma anche riportando al centro di un’azione di tutela e salvaguardia del territorio la pianificazione urbana e territoriale. La nuova urbanizzazione e quindi il consumo di suolo vanno cioè analizzati e compresi all’interno di un intervento complessivo sui processi di crescita, regolazione e trasformazione della città in chiave sostenibile, di cui la pianificazione sa e può farsi carico. Riferimenti bibliografici Anastasia, B. 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In addition, people in more sprawling counties are more likely to suffer from hypertension (high blood pressure)» (McCann, Ewing, 2003, p. 1). Inoltre essi evidenziano la necessità di intervenire a regolarne e contenerne lo sviluppo proprio in funzione di una maggiore qualità di vita delle persone. 3 Tra gli altri e sul caso italiano: CRCS (2011), Giudice - Minucci (2013), Bonora (2013), ISPRA (2014). 4 Direttiva COM(2012)46 final: Relazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni. Attuazione della Strategia tematica per la protezione del suolo e attività in corso. 5 Area di 145 comuni compresi nelle province di Treviso, Venezia, Padova e Vicenza. 6 A questo proposito e riferendoci al contesto nordamericano è possibile fare un primo bilancio rispetto alle misure di pianificazione adottate, alla necessità di introdurre misure di adattamento e mitigazione maggiori: «The first generation of state and local climate change plans reflects increasing consciousness of this, and these plans have begun to take important steps, such as measuring emissions. But much stronger action is needed. Instead of pursuing slow, incremental policy changes, governments at all levels must adopt a backcasting approach, setting goals for both mitigation and adaptation based on the best available scientific knowledge, and working backward from these targets to develop plans and programs capable of achieving them. The initiatives would then be regularly reviewed and revised to ensure progress at an appropriate rate» (Wheeler, 2008, p. 490); ma anche lavorando su più livelli «climate action plans adopted by both local and state governments should complement emissions reduction strategies with programs designed to address the land-based drivers of warming» (Stone et al., 2012, p. 270). 1 90 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Ewing, R. - Bartholomew, K. - Winkelman, S. - Walters, J. - Chen, D. (2008), Growing Cooler: The Evidence on Urban Development and Climate Change. Washington DC: ULI the Urban Land Institute. Ewing, R. - Cervero, R. (2010), “Travel and the Built Environment. A Meta-Analysis”. Journal of the American Planning Association, 76(3): 265-294. Ewing, R. - Pendall, R. - Chen, D. (2002), Measuring Sprawl and Its Impact. Washington, America-U.S. Environmental Protection Agency. DC: Smart Growth Feltrin, P. - Tattara, G. 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Ferlaino - P. Rizzi. Milano: FrancoAngeli, 267-293. Città, territorio e CC 91 focus 1 Giudice, M. - Minucci, F., a cura di (2013), Per governare il consumo di suolo. Firenze: Alinea. Hortas-Rico, M. - Solé-Ollé, A. (2008), “Does Urban Sprawl Increase the Costs of Providing Local Public Services? Evidence From Spanish Municipalities”. Urban Studies, 47(7): 1513-1540. Indovina, F. (1989), “La debolezza della città”. Democrazia e diritto, 4-5. Un approccio integrato all’adattamento urbano: combinare la mitigazione dell’effetto isola di calore con la laminazione delle acque di pioggia Davide Ferro Ladd, H. (1992), “Population Growth, Density, and the Costs of Providing Public Services”. Urban Studies, 29: 273-295. Molte delle nostre città si trovano sempre più spesso a dover gestire emergenze dovute al cambiamento climatico. L’inadeguatezza degli attuali strumenti di gestione del territorio e la mancanza di una visione strategica conducono a progettualità d’emergenza, con ovvie problematiche di gestione integrata di tutti gli aspetti che riguardano il governo dello spazio urbano. Un approccio più efficace alle trasformazioni di adattamento auspicherebbe una scelta delle azioni in grado di far fronte congiuntamente a più effetti del cambiamento climatico. La manualistica che normalmente orienta le azioni di mitigazione dell’effetto “isola di calore” riconosce nell’utilizzo del verde urbano uno degli elementi più importanti per mitigarne gli effetti1. Si tratta di un utilizzo del verde orientato alla riduzione delle superfici impermeabili urbane, fonti di accumulo di calore, e di aumento dell’ombreggiatura attraverso l’uso di alberature. Una tipologia di interventi che viene similmente adottata da molte città del mondo con l’obiettivo però di laminare le acque di pioggia2. L’utilizzo di questa doppia funzionalità potrebbe offrire una risposta alle soluzioni di verde urbano normalmente proposte per la mitigazione dell’effetto “isola di calore”, soprattutto in contesti come quelli del nord Italia, in cui l’emergenza climatica primaria è rappresentata dalla gestione delle acque di pioggia, e dove il tema del calore urbano passa spesso in secondo piano. Trattare congiuntamente le due tematiche potrebbe guidare quindi a una massimizzazione degli effetti e a un’ovvia maggiore sostenibilità economica degli interventi. Il verde urbano potrebbe in questo modo acquisire un ruolo strategico centrale nell’adattamento al cambiamento climatico delle nostre città in aggiunta agli altri servizi a esso comunemente riconosciuti. McCann, B. (2000), Driven to spend. The Impact of Sprawl on Household Transportation Expenses. Surface Trasportation Policy Project, Chicago Center for Neighborhood Technology. 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Travisi, C.M. - Camagni, R. - Nijkamp, P. (2009), “Impacts of Urban Sprawl and Commuting: a Modelling Study for Italy”. Journal of Transport Geography, 18(3): 382-392. Gli eventi alluvionali e gli allagamenti che stanno colpendo le nostre città dovranno in primo luogo trovare risposte in un governo del territorio di vasta scala nella gestione integrata dei bacini idrografici, la quale dovrà necessariamente affrontare il tema dell’uso del suolo dei territori urbanizzati e di quella parte di dissesto idrogeologico dovuto a edificazioni e impermeabilizzazioni. A questo riguardo anche nel nostro paese si sono cercate risposte per le nuove edificazioni, introducendo il concetto d’invarianza idraulica, ma le problematiche legate al patrimonio infrastrutturale ed edilizio esistente sono rimaste quasi del tutto insolute. Su questa logica sarà importante riprendere in considerazione tutto quel suolo dei nostri territori sigillato dalle varie artificializzazioni. Su queste superfici impermeabili, durante i forti eventi atmosferici, l’acqua non trova aree vegetate per essere trattenuta o terreno permeabile per infiltrarsi; rimanendo in superficie o scorrendo più a valle, diventa una delle cause dei noti problemi di allagamento. Un’emergenza che sta colpendo molte città del mondo e che si manifesta attraverso un’ampia varietà di declinazioni, che vanno dalla gestione di alluvioni e allagamenti, ai costi di conduzione degli impianti di depurazione, ai temi della qualità del reticolo idrico superficiale e sotterraneo. Per ovviare a queste problematiche ci si trova ad affrontare la questione su diversi fronti, in primo luogo utilizzando infrastrutture definite grigie, modificando e rafforzando il sistema di scolo, costruendo grandi vasche volano, rafforzando i sistemi di pompaggio e incrementando le sezioni di portata in uscita. A questo primo approccio viene a volte preferito o abbinato un modello diverso, di utilizzo di infrastrutture verdi urbane: una scelta in primo luogo dettata da ragioni economiche3, per gli elevati costi di realizzazione delle prime e per la quantità di altri benefit a livello urbano che un approccio verde può offrire. Su questa opzione di uso delle infrastrutture verdi nasce la possibilità di poterne combinare gli effetti anche per mitigare il calore urbano. Wheeler, S.M. (2008), “State and Municipal Climate Change Plans. the First Generation”. Journal of the American Planning Association, 74(4): 481-496. —(2009), “Regions, Megaregions, and Sustainability”. Regional Studies, 43(6): 863-876. 92 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico focus 1 93 Aspetti tecnici per un approccio combinato del verde urbano, per mitigare l’effetto isola di calore e per laminare le acque di pioggia Un approccio combinato dovrebbe partire da una visione a scala urbana in grado di identificare gli ambiti con priorità d’intervento, mappando le aree a rischio allagamenti e incrociandole con le zone più colpite dal calore urbano. Una successiva discesa di scala a livello di dettaglio porterebbe allo studio delle tipologie di verde e alle relative tecniche per realizzarlo facendo fronte a entrambi i fenomeni climatici. Gli elementi di verde urbano che comunemente vengono utilizzati sono le alberature, il verde a terra, i tetti verdi e le facciate verdi. Le alberature. Per ciò che riguarda le alberature sarà molto importante combinare gli aspetti di vastità e densità dell’ombreggiatura con i temi di ritenzione dell’acqua piovana4 che viene trattenuta dalla massa fogliare. A questo proposito risulta evidente che la scelta di alberature con chioma ampia e apparato fogliare spesso può risultare molto efficace5. Per la piantumazione e il mantenimento delle alberature sono di fondamentale importanza la dimensione e la forma dell’alloggiamento a terra: un alloggiamento vasto e di materiale permeabile può aiutare a infiltrare e contenere più acqua piovana, massimizzando anche i risultati in termini di vitalità della pianta e conseguente evapotraspirazione. Da considerarsi anche le soluzioni, già adottate in alcune città nordamericane6, di utilizzo di vasche sotterranee, con accumulo durante gli eventi atmosferici e a lento rilascio per l’innaffio. Il verde a terra è composto dalle aiuole verdi o vegetate da fiori o cespugli e dalle aree a prato o a orto, i cortili e i giardini privati. Rientrano quindi in questo ambito tutte le frazioni di suolo che non siano state coperte da impermeabilizzazione. Ai fini della laminazione delle acque, qualsiasi di queste frazioni di terreno, se opportunamente progettate possono diventare spazio utile per infiltrare o accumulare temporaneamente acqua piovana. Per migliorare la funzionalità di questi spazi e non sarà quindi suffi- ciente la semplice deimpermeabilizzazione, ma si potrà lavorare per rendere quel suolo il più ricevente possibile all’acqua, per massimizzarne l’evapotraspirazione e per ridurne l’albedo. Per conseguire questi obiettivi si potrà lavorare su diversi fronti. Sul livello d’imposta di queste aree, ponendola più bassa rispetto al livello delle superfici impermeabili in modo da diventare il più possibile spazio di convogliamento; sulla natura del substrato di suolo, massimizzando la permeabilità della superficie e la granulometria dei sottofondi per renderli accoglienti ai volumi d’acqua; sul tipo di vegetazione, massimizzandola, in modo da minimizzare l’albedo e aumentare l’effetto di raffrescamento dovuto all’evapotraspirazione. I tetti verdi. Anche nella realizzazione delle coperture verdi acquista importanza la natura del substrato assieme a quella della componente vegetazionale. Sono da preferire i tetti verdi con un substrato profondo, per garantire una più elevata potenzialità di accumulo d’acqua e una conseguente maggiore rigogliosità e durata della componente vegetazionale. 1 Reducing Urban Heat Islands: Compendium of Strategies (2008). Washington DC: EPA. J. Mentens, D. Raes, M. Hermy (2006), Landscape and urban planning. Amsterdam: Elsevier. 3 F.A. Montalto, C.T. Behr, Z. Yu (2011), Accounting for Uncertainty in Determining Green Infrastructure Costeffectiveness, in H. Thurston, ed. Economic Incentives for Stormwater Control. Boca Raton, FL.: CRC Press, p. 256. 4 D.H. Locke, M. Grove, J.W.T. Lu, A. Troy, J.P.M. O’Neil-Dunne, B. Beck (2010), "Prioritizing preferable locations for increasing urban tree canopy in New York City". Cities and the Environment 3(1): article 4. 5 D.P. Turner, W.B. Cohen, R.E. Kennedy, K.S. Fassnacht, J.M. Briggs (1999), "Relationships between Leaf Area Index and Landsat TM Spectral Vegetation Indices across Three Temperate Zone Sites". Remote Sensing of Environment, 70, 1, pp. 52-68. 6 City of Philadelphia Green Street Design Manual (2014). Philadelphia: Philadelphia Water Department. 2 1. Esempio di alberature urbane con sistemi sotterranei di raccolta d’acqua piovana (Fonte: City of Philadelphia Green Street Design Manual (2014), Philadelphia: Philadelphia Water Department). 2. Esempio di aiuole urbane con sistemi superficiali e sotterranei di raccolta d’acqua piovana, (Fonte: City of Philadelphia Green Street Design Manual, (2014), Philadelphia: Philadelphia Water Department). 94 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico focus 1 95 Le carte tematiche per la sensibilità ambientale in provincia di Venezia Denis Maragno I cambiamenti climatici in corso e il problema energetico sono tra le sfide più importanti che il governo del territorio si trova oggi ad affrontare. Le risorse limitate e la crisi economica aggravano le difficoltà d’intervento, rendendo indispensabile l’individuazione di operazioni polifunzionali, capaci di rispondere a problemi complessi (Musco - Maragno et al. 2013). Negli ultimi anni è cresciuto notevolmente l’interesse verso le forme di approvvigionamento energetico alternativo e rinnovabile (Pearce, 2002), parallelamente la difficoltà delle città nel resistere agli effetti prodotti dai cambiamenti climatici, sta indirizzando le PA a formulare politiche integrate, finalizzate quindi a diminuire la produzione di CO2 e, allo stesso tempo, aumentare la resilienza dei territori (Musco, 2008). Le difficoltà che ne derivano portano ad analizzare gli ambienti urbani mediante le più avanzate tecnologie e i migliori strumenti disponibili. Si presenta una metodologia applicativa d’esempio in cui ci si avvale di una “nuvola di punti”1 generata dalla tecnica fotogrammetrica; ad esempio si potrà valutare quali edifici siano più adeguati a ricevere il posizionamento di un impianto fotovoltaico e quali aree risentano maggiormente dell’incidenza solare diurna (Wilson - Gallant, et al. 2000). La fotogrammetria, grazie ai recenti progressi dell’hardware e del software (Hirschmuller, 2008), mediante tecniche stereoscopiche, può restituire nuvole di punti 3D e modelli digitali del terreno paragonabili – a livello di definizione – a quelle prodotte dalla sensoristica attiva (es. LiDAR2) a un costo molto più contenuto, rendendola accessibile alle PA Per valutare l’incidenza solare sulle falde degli edifici e sulle superfici orizzontali urbane tracceremo una metodologia composta di tre fasi. 1. Immagine della nuvola di punti generata dalla tecnica DIM. 2. Digital Surface Model (DSM). 3. Livello informativo relativo all’incidenza solare potenziale dell’area. In rosso le superfici con maggiore incidenza Fase uno Il primo passo da compiere per trasformare la nuvola di punti restituita dalla tecnica stereoscopica consiste nella sua trasformazione in DSM3 (Digital Surface Model), ovvero un file raster caratterizzato da pixel contenenti le quote medie dei punti della nuvola. L’altissima densità della nuvola ha permesso di creare un DSM con risoluzione 0,5 metri per pixel. La conversione può avvenire con l’ausilio di diversi software nel prototipo è stato utilizzato LAStolls. Il software in questione è un’applicazione a righe di comando molto semplice, sviluppata da Martin Isenburg per i dati LiDAR, ma usufruibile (per questa operazione) anche per dati fotogrammetrici se espressi in formato LAS. Il comando per l’operazione è: las2dem -i name_file_input.las -o name_file_output.tif -step 0.5 Avvalendosi del comando attraverso il prompt dei comandi, il software trasformerà automaticamente la nuvola di punti nel DTM desiderato. Fase due La seconda fase consiste nella produzione del livello informativo relativo all’incidenza solare e alla pendenza delle falde dei tetti. Tale operazione è stata eseguita con il software open source System for Automated Geoscientific Analysis (SAGA). SAGA GIS contiene al suo interno molti algoritmi, tra i quali uno in grado di calcolare la pendenza delle superfici (Olaya, 2004), l’altro la potenziale incidenza solare delle superfici (Conrad, 2010). Il layer informativo relativo alla pendenza delle falde sarà fondamentale nella classificazione dei tetti, in quanto, per lo studio in questione, è importante distinguere i tetti piani da quelli inclinati. L’inclinazione dei tetti è indispensabile anche nella scelta e nel suggerimento della tipologia d’impianto da inserire. Il calcolo dell’incidenza solare sfrutta la conoscenza tridimensionale acquisita dal software in forma automatica dal file raster in input, l’algoritmo, conoscendo la latitudine e la longitudine (sempre fornita dal raster georeferenziato), simula l’altezza del sole e considera gli elementi urbani epressi in quote, proiettando le ombre e calcolando così la potenziale incidenza solare per ogni pixel. 96 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico focus 1 97 L’output prodotto sarà quindi un raster sempre di risoluzione 0,5 mq per pixel, dove all’interno di ogni pixel è conenuta l’informazione in kWh. Tra le opzioni del processo vi è la possibilità di scegliere il periodo dell’anno da analizzare (gennaio piuttosto che luglio) e del numero dei giorni (da 1 a 365). Fase tre Come ultima fase di analisi si andrà a confrontare le informazioni ottenute, individuando le aree urbane vulnerabili al forte irraggiamento solare, e per poter cosi indentificare con maggiore accuratezza soluzioni di mitigazione e/o adattamento. Avvalendosi di un qualsiasi software GIS (nell’esempio si è utilizzato Quantum GIS) è possibile analizzare a livello quantitativo le due dimensioni oggetto di studio. Per quanto riguarda l’individuazione dei tetti maggiormente adatti a ricevere un impianto fotovoltaico o solare termico basterà valutare informazioni quali incidenza solare, pendenza, e ampiezza della falda. Per l’individuazione delle zone urbane calde (con incidenza solare maggiore) basterà interrogare l’informazione con Quantum GIS (meglio se si converte il file raster in formato vettoriale) ottenendo la localizzazione delle zone vulnerabili all’incidenza solare. La zonizzazione ottenuta sarà di grande supporto nella scelta dell’intervento, dove, a seconda della tipologia territoriale (piazza, parcheggio, marciapiede, stazione intermodale ecc.), sarà possibile scegliere con maggior accuratezza l’intervento e individuare più facilmente soluzioni di ombreggiatura congiunte alla produzione di energia rinnovabile. 1 La nuvola di punti è formata da punti georeferenziati e quotati, con densità media di 12 punti per mq, restituendo cosi il territorio fotografato (o rilevato nel caso di processo LiDAR) in forma digitale e in tre dimensioni. Gli algoritmi disponibili, anche in software open source, sono un grado di analizzare i punti sia geograficamente organizzati sia definiti in quota e di restituire in forma numerica un’esatta composizione urbana 3D. 2Il LiDAR (Laser Imaging Detection and Ranging) è una pratica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie attraverso l’emissione di impulsi laser ad altissima frequenza da un sensore volante (aereo o drone). La distanza dell’oggetto è data dalla misura del tempo trascorso fra l’emissione dell’impulso e la ricezione dello stesso. L’altissima frequenza di impulsi che colpiscono, rimbalzando dagli oggetti o dal suolo, viene convertita in punti georeferenziati e quotati, dando origine così a una “nuvola di punti” dalla quale è possibile creare un’esatta ricostruzione del territorio in modelli tridimensionali digitali. 3Il DSM è un modello digitale di elevazione espresso in formato raster. Ogni cella del modello, denominata pixel, contiene un numero che esprime l’altezza. Il DSM rappresenta quindi la distribuzione spaziale delle quote di un territorio o di una superficie. 98 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico Riferimenti bibliografici Hirschmuller, H. (2008), “Stereo Processing by Semi-global Matching and Mutual Information”. IEEE Transaction on Pattern Analysis an Machine Intelligence, 30(2): 328-341. Musco, F. (2008), ”Cambiamenti Climatici, politiche di adattamento e mitigazione: una prospettiva urbana”. Archivio di studi urbani e regionali, 93: 5-38. Musco, F. - Maragno, D. - Gariboldi, D. - Vedovo, E. (2013). ”Remote Sensign e Cambiamenti Climatici: rischi e opportunità nel riuso e riciclo delle città”. In Il Governo della Città nella Contemporaneità: La città come motore di sviluppo. Roma: Edizioni INU, 187-189. Pearce, J.M. (2002), ”Photovoltaics: a Path to Sustainable Futures”. Futures, 34(7): 663-674. Wilson, J.P. - Gallant, J.C. eds (2000), Terrain Analysis - Principles and Applications. New York: Wiley. Relazioni tra il PTRC e il Progetto UHI Alberto Miotto Il PTRC affronta le questioni dei cambiamenti climatici in coordinamento con i seguenti piani di settore. –Piano regionale di tutela e risanamento dell’atmosfera, che persegue la necessità di evitare, prevenire o ridurre le emissioni di inquinanti atmosferici nocivi e definire adeguati obiettivi per la qualità dell’aria nell’ambiente che tengano conto degli orientamenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. –Piano di tutela delle acque, che persegue le azioni di protezione per il miglioramento dello stato degli ecosistemi acquatici, un utilizzo idrico sostenibile, di mitigazione degli effetti delle inondazioni e della siccità, tracciate in ambito europeo. –Piano Energetico Regionale finalizzato alla riduzione della dipendenza dalle importazioni di fonti primarie fossili, definendo obiettivi conformi a quelli europei in un’ottica di “burden sharing” –Piano Regionale dei Trasporti, che persegue politiche di mobilità, a garantire efficienza, sicurezza e sostenibilità; in coordinamento con le politiche settoriali, PTRC indica una serie di azioni in relazione ai cambiamenti climatici, declinate attraverso scelte progettuali su: 1. territorio rurale, con politiche orientate al minor consumo di suolo (art. 7); 2. tutela della biodiversità con la “rete ecologica regionale” (art. 24); 3. risorse energetiche con azioni su energia e ambiente (titolo IV); 4. mobilità con azioni di razionalizzazione dei sistemi di trasporto (art. 36); 5. risorse energetiche con azioni su energia e ambiente (titolo IV); 6. mobilità con azioni di razionalizzazione dei sistemi di trasporto (art. 36). Il clima, tema urbano Nel progetto generale del PTRC di riconquistare una visione di sistema del patrimonio naturale e ambientale e di estenderla programmaticamente allo spazio insediato diviene fondamentale l’assunzione di ambiti estesi di connettività ecologica, reti naturali che contornano e penetrano nelle città e le connettono con il territorio rurale. In tale prospettiva i piani e le politiche urbanistiche diventano strumenti fondamentali per l’individuazione e la salvaguardia di ambiti liberi da costruzioni, da destinare a forestazione urbana e/o di aree verdi percorribili e a parco urbano, caratterizzati da una dimensione sufficiente alla rigenerazione ambientale e in grado di divenire collegamento tra l’urbano e il rurale. Il PTRC riconosce alle città e ai sistemi di città un ruolo strategico, indicando le azioni per la razionalizzazione dei sistemi produttivi (art. 43) e del sistema insediativo (art. 66), orientate a una particolare attenzione ai fenomeni del cambiamento climatico. focus 1 99 Linee guida per l’adattamento ai cambiamenti climatici L’articolo 68 del piano infatti, indica a province e comuni i principi insediativi e i criteri di progettazione per il riordino del sistema insediativo finalizzati al miglioramento delle condizioni di qualità dell’aria e di difesa dall’inquinamento acustico e, sulla base delle indicazioni dell’European Environmental Agency, Urban adaptation to climate change in Europe, predispone «linee guida per misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, per gli insediamenti urbani, produttivi e per i centri storici» secondo le seguenti indicazioni operative: – adattamento e mitigazione: definizione di opportune strategie per la mitigazione del fenomeno dei cambiamenti climatici e l’adattamento agli effetti da esso generati; – governance del territorio: definizione di nuove proposte finalizzate alla previsione, nei piani della protezione civile vigenti (gestione dell’emergenza) e in quelli territoriali e urbanistici, di misure preventive di allerta/riduzione/contenimento per una più efficace gestione del rischio per la salute umana; – pianificazione urbanistica: definizione di metodologie, tecniche e criteri di intervento per l’edificazione, il recupero, la trasformazione, la progettazione del verde e degli spazi pubblici, atti a migliorare la qualità degli ambienti urbani in relazione ai cambiamenti climatici; – sperimentazione e sistema di monitoraggio avanzato: definizione di soluzioni operative e di una rete permanente per il monitoraggio, finalizzati al contenimento del fenomeno del cambiamento climatico; – educazione ai cambiamenti climatici in rapporto alle città e al territorio: definizione di opportune campagne informative/formative. 100 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico focus 1 101 Strategie e misure per il contenimento dello sprawl Stefano Salata Definizione L’urban sprawl è un concetto che a oggi soffre la mancanza di una chiara definizione. La letteratura che si occupa del tema indica che esso può essere riferito di volta in volta a modelli d’uso del suolo con densità abitativa, diversità funzionale ed eterogeneità spaziale sensibilmente differenti. È comunemente accettato che lo sprawl si caratterizza quale fenomeno di crescita disorganizzata degli spazi costruiti che alimenta un uso inefficiente delle risorse territoriali (Bhatta, 2010), ma è altrettanto vero che esistono forme di sprawl totalmente pianificate. Più chiare in letteratura sono la descrizione e l’analisi dell’effetto ambientale più dannoso del fenomeno, ovvero la modifica irreversibile dell’uso e della copertura del suolo a favore di estesi processi di impermeabilizzazione (Sudhira Ramachandra, 2007). Misurazione Riferimenti bibliografici Bhatta, B. (2010), Analysis of Urban Growth and Sprawl from Remote Sensing Data. Berlin: Springer. Bhatta, B. - Saraswati S. - Bandyopadhyay D. (2010), “Urban Sprawl Measurement from Remote Sensing Data”. Applied Geography, 30: 731-740. CRCS (2011), Rapporto 2010. Roma: INU Edizioni. McGarigal, K. - Cushman, S. - Neel, M. - Ene, E. (2002), FRAGSTATS v4: Spatial Pattern Analysis Program for Categorical and Continuous Maps. Computer software program produced by the authors at the University of Massachusetts, available online at: http://www.umass.edu/ landeco/research/fragstats/fragstats.html. Sudhira, H. - Ramachandra, T. (2007), Characterizing Urban Sprawl from Remote Sensing Data and Using Landscape Metrics. Iguassu Falls (PR) Brazil: CUPUM. Weitz, J. - Moore, T. (1998), “Development inside Urban Growth Bounderies. Oregon’s Empirical Evidence of Contiguos Urban Form”. American Planning Association, 4(64): 425-440. La misurazione dello sprawl si divide in due grandi categorie: da un lato viene rilevato in termini assoluti, ovvero definendo una soglia mediante la quale è possibile distinguere le zone sprawled da quelle compact in qualsiasi contesto territoriale, dall’altro lato viene misurato in termini relativi, ovvero definendo e quantificando una serie di attributi di crescita urbana che possono essere declinati da caso a caso e che caratterizzano lo sprawl. Argomenti centrali nella letteratura che indaga lo sprawl sono: – la sua misurazione in termini statistici e spaziali; – l’utilizzo di indicatori sufficientemente utili a guidare strategie di piano efficaci nella sua limitazione. Le quantificazioni vengono implementate prevalentemente mediante l’applicazione di analisi statistica standardizzata FRAGSTATS (McGarigal et al., 2002) mentre è largamente utilizzato nella misurazione dell’estensione dello sprawl lo Shannon’s entropy method. Regolazione Le variabili centrali nei modelli di regolazione dello sprawl sono riferite alla costruzione nel piano urbanistico di strumenti e norme finalizzati al controllo dell’edificabilità su specifiche aree, in particolar modo mediante l’apposizione di Urban Growth Boundaries (UGB). L’UGB è uno strumento che interviene sia per potenziare la capacità del piano di porre limiti effettivi alle aree edificabili (definendo i limiti per lo sviluppo urbano) che di agire nel segno della compattazione e della densificazione urbana. La definizione delle UGB deve essere regolarmente revisionata sulla base delle necessità che intercorrono ogniqualvolta si renda necessario predisporre un nuovo strumento di governo del territorio alla scala locale. L’UGB può essere considerato uno strumento efficace nel controllo dello sprawl se: – si riscontra un basso numero di edifici costruiti al di fuori delle aree edificabili; – si verifica un aumento delle densità nelle aree edificabili; – le aree di trasformazione si concentrano all’interno delle aree edificabili; – avviene una chiara definizione dei suoli urbani ed extraurbani. È riconosciuto che lo sviluppo urbano può essere definito compatto quando almeno il 70% delle nuove abitazioni è costruito all’interno delle UGB (Weitz - Moore, 1998). 102 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico focus 1 103 Metodi e strumenti per l’analisi spaziale dei fenomeni di sprawl urbano Beniamino Murgante, Federico Amato, Federico Martellozzo Negli ultimi tempi, con l’aumentare della disponibilità dei dati e con lo sviluppo di nuove tecnologie, è sempre più frequente trovare studi riguardanti le dinamiche dei sistemi insediativi. Mentre è prassi abbastanza diffusa considerare all’interno del quadro conoscitivo a supporto del piano l’analisi dell’espansione urbana basata su cartografie a date diverse o analisi multitemporali di immagini satellitari, i modelli di previsione dello sprawl urbano sono ancora utilizzati prevalentemente nel settore della ricerca. In questo approfondimento verranno analizzati due metodi di simulazione, uno basato su automi cellulari e l’altro su probabilità condizionata. La principale differenza è riscontrabile negli ambiti di applicazione: il primo utilizza dati a una risoluzione meno elevata per studi idonei a un livello comprensoriale o provinciale, il secondo si presta per studi alla scala urbana. Lo SLEUTH (Clarke et al., 1998) è un modello sviluppato alla fine degli anni Novanta, che – a esclusione dei circoli polari – è stato testato e applicato a casi di studio sparsi in tutto il mondo e deve la sua popolarità alla sua capacità di produrre risultati attendibili. Lo SLEUTH è un modello ad automi cellulari, ovvero il comportamento di ogni singolo elemento (cellula) è simulato in base a regole che governano la sua interazione con le altre cellule vicine. Nel caso specifico ogni cellula rappresenta una porzione di territorio, e ogni dato di input una caratteristica della cellula; ovvero la presenza, l’assenza o il grado di intensità che un determinato fenomeno assume in prossimità di ogni singola cellula. SLEUTH è l’acronimo di Slope, Land cover, Exclusion, Urban extent, Transportation network e Hill-shade, ovvero i dati utilizzati in input che raffigurano i fattori limitanti o favorevoli l’urbanizzazione. Per esempio, la pendenza (slope) e le aree vincolate o dove non è possibile edificare (exclusion) rappresentano elementi che impediscono o ostacolano la crescita urbana; al contrario la rete dei trasporti (transport) è sicuramente un elemento catalizzante lo sprawl urbano, mentre il tessuto urbano (urban) e la copertura d’uso del suolo (land use) rappresentano le serie storiche di dati direttamente correlati al fenomeno da indagare. L’orografia (hill-shade) serve solamente da sfondo per contestualizzare spazialmente i risultati della simulazione, che vengono prodotti come output geografici. Per simulare le variazioni dell’uso del suolo è sufficiente un singolo intervallo, quindi sono bastevoli due date distinte; mentre per il tessuto urbano è necessario avere almeno tre intervalli temporali per un totale di quattro date differenti. Gli input come exclusion e transport possono sia prendere carattere binario (1 = presenza del fenomeno, 0 = assenza del fenomeno) che essere pesati. Ovvero è possibile associare un paramento che definisca il grado di intensità del fenomeno rappresentato; per esempio, nel caso di exclusion un valore massimo corrisponderà a una totale impossibilità di prendere parte al processo di simulazione (per esempio mare, fiumi, laghi ecc.); mentre un fattore di impedenza minore potrà essere associato in corrispondenza di vincoli paesaggistico-ambientali e/o prescrizioni normative, dove, benché altamente improbabile, lo sviluppo urbano potrebbe verificarsi in minima parte e dunque non può essere escluso a priori. Analogamente allo strato informativo transport è possibile associare un valore maggiore in corrispondenza di reti/tipi di trasporto che maggiormente veicolano l’urbanizzazione (per esempio autostrade, ferrovie ecc.) e valori minori a reti/tipi di trasporto che lo veicolano in maniera ridotta (strade secondarie, strade di campagna, strade urbane ecc.). I dati di input e il loro peso vengono definiti a priori dall’analista, ma il modello prima di poter essere utilizzato per la simulazione ha bisogno di essere calibrato. Infatti SLEUTH impiega cinque coefficienti (o parametri) che controllano quattro differenti procedure di crescita urbana (growth rules). Tali parametri vengono determinati in fase di calibrazione per raffinazioni successive applicando e comparando le regole di crescita ai dati di input. Al termine della calibrazione si sceglieranno per i parametri di controllo i valori che meglio simulano l’espansione urbana e il cambiamento di uso del suolo osservabili dalle serie storiche. Le regole di crescita consentite e analizzate sono: crescita spontanea, nuovi poli di dispersione, crescita ai margini del tessuto urbano, crescita influenzata dalla rete stradale. I coefficienti che controllano il comportamento delle regole di crescita non sono necessariamente statici durante ogni singola applicazione, ma si automodificano e rispondono a fenomeni di estremamente rapida o estremamente lenta urbanizzazione. In conclusione, la finalità di SLEUTH è simulare l’uso del suolo e la possibile urbanizzazione di una porzione di territorio in funzione di ciò che è stato osservato nel passato e di come tale porzione di territorio interagisce con il territorio circostante. 104 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico L’altro modello vuole da una parte misurare le variazioni dell’uso del suolo e operare una previsione sulle variazioni future utilizzando due tecniche. In una prima fase il Joint information uncertainty viene utilizzato per valutare le relazioni tra le variabili spaziali. Successivamente il Weights of evidence viene applicato per creare una mappa di probabilità condizionata, ovvero un raster in cui a ciascun pixel è assegnato un valore compreso tra 0 e 100, per cui un valore più elevato indica una maggiore probabilità che in quel pixel si verifichi una variazione nell’uso del suolo. L’applicazione del modello richiede l’utilizzo di almeno tre mappe dell’uso del suolo a tre differenti istanti temporali, che da ora indicheremo come T0, T1 e T2. Occorre poi essere in possesso delle mappe relative alle variabili spaziali, ovvero a quei fattori, come vincoli o disciplina urbanistica, che incidono in maniera rilevante sulle variazioni degli usi del suolo. Il modello può essere scomposto in due fasi distinte. La prima, detta di calibrazione, mira a una corretta definizione delle relazioni tra le variabili spaziali, producendo così simulazioni coerenti con le reali tendenze di variazione dell’uso del suolo. In questa fase, utilizzando come dati in input le mappe agli istanti T0 e T1, si realizza una simulazione all’istante T2. La mappa di simulazione ottenuta viene quindi confrontata con la mappa di riferimento allo stesso T2, e quando si registra un’apprezzabile somiglianza fra le due mappe si può considerare il modello come adeguatamente calibrato. Si prosegue dunque con la seconda fase, detta di simulazione, in cui, essendo ormai note le relazioni tra le differenti variabili, si utilizzano in input le mappe agli istanti T1 e T2, producendo una simulazione a un istante temporale futuro, che potremmo denominare T3. I due modelli illustrati si prestano particolarmente ad arricchire il quadro conoscitivo a supporto delle scelte di piano, mentre studi riguardanti le analisi quantitative del consumo di suolo relativo ad ampie aree del territorio italiano ed europeo sono illustrate nei lavori di Romano e Zullo (2013a, 2013b, 2014). Riferimenti bibliografici Amato, F. - Pontrandolfi, P. - Murgante, B. (2014), “Using Spatiotemporal Analysis in Urban Sprawl Assessment and Prediction, Lecture Notes”. Computer Science, 8580: 758-773. DOI: 10.1007/978-3-319-09129-7_55. Clarke, K.C. - Gaydos, L. (1998), “Loose-coupling a Cellular Automaton Model and GIS: Longterm Urban Growth Prediction for San Francisco and Washington/Baltimore”. Int. J. of Geographic Inf. Sci., 12: 699-714. Martellozzo, F. (2012), “Forecasting High Correlation Transition of Agricultural Landscapes into Urban Areas: Diachronic Case Study in North Eastern Italy”. Int. J. Agric. Environ. Inform. Syst (IJAEIS), 3(2): 22-34. Martellozzo, F. - Clarke, K.C. (2011), “Measuring Urban Sprawl, Coalescence, and Dispersal: a Case Study of Pordenone, Italy”. Environment and Planning B: Planning and Design, 38(6): 1085-1104. Romano, B. - Zullo, F. (2013a), “Models of Urban Land Use in Europe: Assessment Tools and Criticalities”. International Journal of Agricultural and Environmental Information Systems (IJAEIS), 4(3): 80-97. DOI:10.4018/ijaeis.2013070105. — (2013b), “Land urbanization in Central Italy: 50 Years of Evolution”. Journal of Land Use Science. DOI:10.1080/1747423X.2012.754963. — (2014), “The Urban Transformation of Italy’s Adriatic Coast Strip: Fifty Years of Unsustainability”. Land Use Policy, 38: 26-36. DOI:10.1016/j.landusepol.2013.10.001. Smith, E.P. - Lipkovich, I. - Ye, K. (2002), Weight of Evidence: Quantitative Estimation of Probability of impact. Blacksburg (VA): Virginia Tech, Dept. of Statistic. focus 1 105 Processo di urbanizzazione e isole di calore urbane (UHI) Ciro Gardi Introduzione Il cambio d’uso e di copertura del suolo è riconosciuto tra le cause del riscaldamento globale. La deforestazione, lo sprawl urbano, l’agricoltura intensiva e altre influenze umane hanno sostanzialmente alterato e frammentato il nostro paesaggio. Questo genere di alterazioni del suolo può modificare la concentrazione atmosferica globale di anidride carbonica – il gas che maggiormente intrappola calore e che affetta il clima locale, regionale e globale – modificando il bilancio energetico sulla superficie terrestre (Marland et al., 2003). In particolare, l’influenza dell’urbanizzazione sul clima è stata ben documentata (Landberg, 1981; Kukla et al., 1986; Karl et al., 1988; Changon, 1992; Gallo et al., 1993), e poichè più del 50% della popolazione vive in città, c’è un crescente interesse nei confronti del fenomeno come importante contributo al riscaldamento globale. Le isole di calore urbano (Urban Heat Islands – UHI) sono uno degli effetti meglio conosciuti dell’urbanizzazione sul clima e sono state ampiamente studiate (Atkinson, 1985; Oak,1995; Ben-Dor - Saaroni, 1997). In particolar modo negli ultimi vent’anni i ricercatori hanno significativamente compreso le relazioni che intercorrono tra le aree urbane e il clima. Attualmente si ha una comprensione maggiore delle dinamiche tra superficie urbana e bilancio energetico, ed è stabilito che le isole di calore urbane hanno un’incidenza maggiore durante la notte rispetto al giorno (Lo et al., 1997; Banta et al., 1998). Un altro degli effetti provocati dalla crescita delle aree urbane è sulle precipitazioni, infatti numerosi studi hanno indagato le relazioni tra aree urbane e precipitazioni (Shepherd, 2005). Questi contributi hanno dimostrato che l’urbanizzazione modifica le precipitazioni, tuttavia il meccanismo (o i meccanismi) attraverso il quale le precipitazioni vengono modificate è ancora poco conosciuto (Lowry, 1998). Le ampie superfici urbanizzate modificano i processi di bilanciamento dell’energia e dell’acqua, influenzando le dinamiche del movimento dell’aria (Oke, 1987), determinando un aumento della temperatura dell’aria al di sopra dell’area centrale della città maggiore rispetto alle aree suburbane e la riduzione dell’intervallo di temperatura diurno (Diurnal temperature range) (Gallo et al., 1996). Rao (1972) fu il primo a dimostrare che le aree urbane potevano essere indentificate attraverso l’analisi degli infrarossi termici acquisiti da satellite, mentre le ricerche condotte sulla temperatura della superficie terrestre utilizzando i dati NOAA AVHRR hanno dimostrato che la compartimentazione dei flussi di calore, sensibile e latente, è una funzione che varia in base alla presenza di acqua nel suolo e alla copertura vegetale della superficie (Owen et al., 1998). Il principale effetto dell’urbanizzazione sul clima è probabilmente dovuto all’impermeabilizzazione dei suoli, che impedisce loro di immagazzinare e rilasciare acqua attraverso l’evapotraspirazione. Abbiamo considerato che in una giornata estiva in clima temperato, 4-6 kWh della radiazione solare netta incida su ogni metro quadro di terreno. Sulle superfici impermeabilizzate la maggior parte di questa energia viene convertita in calore sensibile, provocando una massiccia convezione dell’aria, mentre su quelle coperte da vegetazione la radiazione solare viene in larga parte dissipata senza pericoli attraverso l’evapotraspirazione (Pokorny, 2001). Globalmente, il processo di urbanizzazione è in costante aumento: ciò è dovuto sia all’aumento demografico, che al cambiamento negli stili di vita della popolazione, ma soprattutto è il risultato della nuova economia globale (Cohen, 2004). Anche in Europa, dove il numero della popolazione è sostanzialmente stabile, si assiste a una continua crescita delle aree urbanizzate. Negli ultimi vent’anni l’estensione delle aree edificate nei paesi dell’Europa (occidentale ed orientale) è aumentata di circa il 20%, tasso che supera di gran lunga quello di crescita della popolazione dello stesso periodo (6%) (EEA, 2002). In Germania, ad esempio, il suolo edificato, includendo anche quello utilizzato per le infrastrutture di trasporto, è aumentato sensibilmente passando da 350 mq per abitante nel 1950 a 508 mq nel 1995 (Dosch - Beckmann, 2000). L’obiettivo della ricerca presentata è quello di valutare la crescita urbana del comune di Parma negli ultimi 122 anni e di fornire una stima degli effetti provocati dal cambiamento del bilancio energetico del territorio. Al fine di comprendere quale possa essere l’impatto della crescita urbana sui cambiamenti del clima locale è necessario disporre di affidabili stime sia dell’estensione urbana sia del suo incremento progressivo. Tra i dati più affidabili in merito all’estensione delle aree urbane, a scala globale, abbiamo le mappe e le analisi prodotte da Schneider et al. (2009). In linea con questi dati, derivati da Modis, l’estensione globale delle aree urbane nel 2000 era di 106 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 726.943 kmq, dato che si traduce in un indice di urbanizzazione medio dello 0,55%. Questi dati, riassunti come rapporto tra superficie artificiale e superficie totale a livello nazionale (copertura urbana relativa), sono presentati in figura 1. L’utilizzo in questo studio di Modis a 500 m di risoluzione ha dimostrato l’efficacia di tali immagini telerilevate, poiché i risultati prodotti sono più precisi di quelli relativi a studi precedenti, dove le stime variavano tra lo 0,2% e il 2,4% (Potere e Schneider, 2007). Sulla base di analisi preliminari la stima del consumo di suolo a scala globale tra il 2000 e il 2010 è risultata pari a 160.000 kmq, che è equivalente a circa 4400 ha/giorno. Questo implica che nel 2030 il territorio costruito sarà superiore a 1.350.000 kmq. Queste previsioni per l’insieme delle aree urbanizzate globali si trovano in linea con il tasso di crescita delle aree urbane proposto da Seto et al. (2011) i quali utilizzano un approccio diverso. In accordo con questa ricerca, la crescita delle aree urbane tra il 2010 e il 2030 sarà compresa nell’intervallo tra i 430.000 kmq e i 12.568.000 kmq, con una stima più probabile di 1.527.000 kmq. Le radiazioni a onda lunga incidenti (L) sono state stimate utilizzando la legge di “StefanBoltzmann” utilizzando la media della temperatura dell’aria degli ultimi 10 anni. Per calcolare l’assorbenza della radiazione solare è stato necessario conoscere l’albedo delle differenti superfici: l’albedo e l’emissività delle differenti superfici sono stati estrapolati da ricerche di vari autori (Morgan et al., 1977; Ryszkowski - Kedziora, 1987) e sono indicate nella tabella 2. Per discriminare i flussi di calore latente (LE), di calore sensibile (H), di calore a terra (G) e le radiazioni a onde lunghe emesse (Le), il bilancio energetico è stato calcolato come segue: Rabs - H - G - LE - Le = 0) Il caso studio di Parma L’evapotraspirazione, necessaria a calcolare il calore latente (LE), è stata quantificata su base oraria, applicando il modello ET (Donatelli et al., 2006); il bilancio idrico del suolo è stato calcolato su base mensile, applicando il modello BIL3 (Caratteristiche climatiche, 1990) su una serie di dati meteorologici degli ultimi 10 anni e utilizzando i coefficienti colturali dell’erba medica e del grano e 200 mm di capacità idrica del suolo. 1. L’area di studio 4. Risultati e discussioni La ricerca è stata svolta a Parma, città di medie dimensioni, situata ai margini dell’area compresa tra la valle del Po e gli Appennini. 4.1 Crescita dell’area urbanizzata 2. La valutazione della crescita urbana La valutazione della variazione temporale dell’area urbanizzata del comune di Parma è stata realizzata utilizzando differenti fonti di dati geografici (tab. 1). Tutte le mappe e foto aeree sono state geo-referenziate, corrette e digitalizzate con il programma ArcGIS 9.0. Lo stesso programma è stato utilizzato per realizzare le analisi spaziali e per calcolare l’estensione dell’area urbana. La valutazione dell’area a copertura vegetale è stata realizzata attraverso il programma ENVI e le immagini MIVIS, calcolando l’indice NDVI su tre aree campione in ogni fase di urbanizzazione; un valore NDVI di 0,5 è stato utilizzato come soglia di discriminazione per identificare le aree a copertura e vegetale e non all’interno dell’area urbanizzata. 3. Il modello di bilancio energetico L’obbiettivo dell’approccio proposto era di definire la variazione temporale della somma di energia dissipata come flusso sensibile di calore, flusso di calore a terra, flusso di calore latente e le radiazioni a onde lunghe emesse, a causa del cambio d’uso del suolo. La quantità di radiazione assorbita dalle differenti superfici e dall’intera area analizzata, in un dato momento, è stata calcolata come segue: Rabs = αS (Sb + Sd) + αL L dove αS e αL sono l’assorbenza nella lunghezza d’onda solare e termica, Sb e Sd sono rispettivamente la radiazione solare diretta e diffusa e L è la radiazione a onda lunga incidente. La radiazione solare nel comune di Parma, in momenti diversi, è stata stimata utilizzando le seguenti equazioni (Campbell - Norman, 1998): Sb = cos Ψ [Spo exp(-a-τm)] Sd = Spo cs Ψ [1-exp(-a-τm)] Dove Spo è la costante solare, Ψ è l’angolo solare zenitale, a è il coefficiente relativo alle lunghezze d’onda assorbite dall’atmosfera (a = 0,078), τ è un coefficiente di torbidità atmosferica (τ = 0,007 per il cielo limpido) e m è il numero di massa ottica dell’aria, che dipende dal percorso del fascio solare attraverso l’atmosfera. I dati relativi alla crescita dell’area urbanizzata sono evidenziati in figura 2. Il tasso del processo di urbanizzazione, nel periodo tra il 1960 e il 1976, è stato molto elevato a causa della veloce crescita economica seguito avvenuta alla fine della Seconda Guerra mondiale e dell’immigrazione delle popolazioni provenienti dalle aree rurali del sud Italia. Tuttavia, in un altro periodo storico (1994-2003), la comparazione dei dati relativi all’espansione dell’area urbanizzata con l’aumento della popolazione (fig. 3) mostra tra i due solo una debole correlazione. Tale comportamento può essere spiegato considerando non solo l’aumento della popolazione, ma anche altri fattori trainanti e coinvolti nel processo, come ad esempio il cambiamento dei bisogni degli individui, la struttura della società e, non ultimo, la speculazione (Cohen, 2004). 4.2 Bilancio energetico Le radiazioni a onde brevi e lunghe assorbite dalle differenti superfici durante il giorno sono state calcolate per quindici giorni al mese (tab. 3); tutti i calcoli si sono basati su situazioni di cielo limpido. La variazione della quantità di energia assorbita dalle differenti superfici è stata limitata, con valori compresi tra i 35,4 e i 40,2 MJ m-2 d-1. Una media ponderata di questi dati elementari è stata utilizzata per definire la radiazione assorbita in zona urbana e in zona rurale. Dati mensili e giornalieri sulla potenziale e attuale evapotraspirazione sono presentati in tabella 4, i dati giornalieri sono stati utilizzati per calcolare un bilancio energetico semplificato, dal quale, considerando le differenze tra la radiazione assorbita (Rabs) e il calore latente (LE), è stato stimato un valore globale (HL) che include il calore sensibile, il calore trasferito al suolo e le radiazioni emesse a onda lunga. L’evapotraspirazione oraria per le date selezionate, stimata con il modello ET, è stata usata per calcolare, invece, un bilancio energetico più dettagliato. Nella figura 4 vengono mostrati i grafici del bilancio energetico di 1 mq di terreno con erba medica e 1 mq di superficie urbanizzata (completamente impermeabilizzata), per un’ora dalle 12.00 alle 13.00 del 15 giugno. La quantità di radiazioni assorbite dai due terreni è simile; il terreno con erba medica assorbe il 4,6% di energia in più a causa della differenza di albedo. La differenza maggiore riguarda il calore latente che è quasi uguale a zero nel terreno impermeabilizzato. Tale differenza determina anche altre importanti variazioni nei valori del modello di bilancio energetico, come i flussi di calore sensibile e l’emissione delle radiazioni a onde lunghe. La somma tra il flusso di calore sensibile e il flusso di calore a terra e le radiazioni a focus 1 107 onde lunghe, che incidono direttamente sul microclima, sono rispettivamente 185% e 29% più elevati nell’area urbanizzata. Questi dati sono in linea con i risultati di altre ricerche effettuate sulle aree urbane (Lamptey et al., 2005; Morgan et al., 1977). Il passaggio successivo (upscaling) è consistito nel passare dalla modellizzazione a scala di 1 mq all’applicazione del modello al mondo reale. Questi dati sono stati applicati al comune di Parma considerando le variazioni d’uso del suolo avvenute tra il 1881 e il 2003. Inoltre il territorio è composto da un complesso mosaico di usi del suolo, almeno per quanto riguarda l’evapotraspirazione o meno delle superfici. Le stime delle frazioni di superfici evapotraspiranti, all’interno delle varie aree di espansione urbana, sono presentate nella tabella 5. La simulazione è stata basata sull’assunzione di un clima costante lungo tutto il periodo di analisi. Si è ottenuto come risultato che il 13% in meno di energia viene dissipato come calore latente, la somma di calore sensibile e di calore a terra aumenta del 7%, e le radiazioni a onde lunghe emesse aumentano del 16%. Le implicazioni dell’urbanizzazione sul clima locale sono ben conosciute e sono già state discusse nell’introduzione. Una prova dell’effetto delle isole di calore urbane nel Comune di Parma è data dalla comparazione tra i valori massimi della temperatura dell’aria nel centro città e nelle aree suburbane. Da questi dati, riferiti al 1999, è possibile evidenziare un aumento nella variazione della temperatura tra l’area urbana e quella suburbana. Analizzando la media mobile è possibile riconoscere differenti intensità di isole di calore urbane durante l’anno; la variazione di temperatura maggiore si ha nella stagione estiva poiché è associata a un’alta radiazione solare in entrata, e in inverno, probabilmente a causa del massiccio uso di sistemi di riscaldamento delle abitazioni in città. Conclusioni Il cambio d’uso del suolo e in particolare il processo di urbanizzazione, modificando il bilancio energetico delle superfici, possono determinare importanti effetti sul clima locale. Nel comune di Parma l’aumento delle aree urbane avvenuto tra il 1881 e il 2003 è stato del 535% e ha causato in media una riduzione dello 0,1% per anno di energia solare dissipata per evapotraspirazione portando conseguentemente a un aumento del calore sensibile. Riferimenti bibliografici Atkinson, B.W. (1985), The Urban Atmosphere. Cambridge: Cambridge University Press. Banta, R.M. et al. (1998), “Daytime Buildup and Night-time Transport of Urban Ozone in the Boundary Layer during a Stagnation Episode”. J. Geophys. Res., 103, 22519–22544. Ben-Dor, E. - Saaroni, H. (1997), “Airborne Video Thermal Radiometry as a Tool for Monitoring Microscale Structures of the Urban Heat Island“. Int. J. Remote Sensing, 18, 14: 3039-3053. Campbell, G.S. - Norman, J.M. (1998), An introduction to Environmental Biophysics. Berlin: Springer. Caratteristiche climatiche agronomiche e dei suoli per la stima del bilancio idrico in Emilia- Romagna (1990). 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Stima della radiazione a onda corta e lunga assorbita da diverse superfici il quindicesimo giorno di ogni mese dell’anno MJ m-2 d-1 Gen. Feb. Mar. Apr. Mag. Giu. Lug. Ago. Set. Ott. Nov. Dic. Erba medica 20.5 26.6 34.8 44.9 53.6 57.4 57.5 52.1 44.3 34.1 26.2 20.2 Urbano 19.8 25.6 33.3 42.9 51.2 54.8 55.0 49.0 41.1 31.1 23.8 18.9 Parchi 21.1 27.5 36.0 46.5 55.5 59.3 59.5 53.0 44.3 33.5 25.4 20.2 Autostrade 19.0 24.5 31.8 40.6 48.8 51.9 52.6 46.8 39.2 29.8 22.8 18.3 Lo, C.P. - Quattrochi, D.A. - Luvall, J.C. (1997), “Application of High-resolution thermal infrared remote sensing and GIS to Assess the Urban Heat Island Effect“. Int. J. Remote Sens., 18: 287-304. Lowry, W. P. (1998), “Urban Effects on Precipitation“. Prog. Phys. Geogr., 22 (4): 477-520. Morgan, D. - Myrup, L. - Rogers, D. - Baskett, R. (1977), “Microclimates within an Urban Area. Annals of the As- Oak T. R. 1995, The Heat Island of the Urban Boundary Layer: Characteristics, Causes and Effects“. In eds J.E. Cermak - A.G. 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Dic. 207.0 235.0 196.0 121.0 70.0 29.0 14.0 156.0 13.0 62.0 92.0 70.0 29.0 14.0 111.0 107.0 93.0 54.0 19.0 13.0 13.0 111.0 107.0 63.0 54.0 19.0 13.0 13.0 6.9 7.6 6.3 4.0 2.3 0.9 0.5 5.2 0.4 2.0 3.1 2.3 0.9 0.5 3.7 3.5 3.0 1.8 0.6 0.4 0.4 3.7 3.5 2.0 1.8 0.6 0.4 0.4 1. Copertura urbana relativa. Tab. 5. Frazione di aree vegetate all’interno delle aree di espansione urbana in diversi periodi 2. Crescita dell’area urbanizzata di Parma (diverse soglie storiche). Periodo Until 1881 1881 - 1960 1960 -1976 1976 - 1994 1994 - 2003 3. Confronto tra crescita di popolazione e superficie urbanizzata. 4. Bilancio energetico di 1 mq di terreno con erba medica e 1 mq di superficie urbanizzata (dalle 12.00 alle 13.00 del 15 giugno). 1881 1960 1976 1994 2003 2030 Frazione di area vegetata 0.18 0.26 0.28 0.29 0.26 300 Urbanized area 250 Population 6000 5000 200 4000 150 kJm-2h-1 Rabs 100 LE 3000 H+G Loe 2000 50 1000 0 1996177619942003 110 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico 0 alfalfa urban area focus 1 111 Le emissioni di anidride carbonica nel settore dei trasporti Silvio Nocera Il settore dei trasporti incide per circa il 25% delle emissioni totali di gas serra. Rispetto al 1990 si è assistito a una crescita del 20% (unico settore in crescita). A fronte di questa condizione, il tema ha ricevuto un’attenzione adeguata solo di recente, che si è concretizzata con la stesura del Protocollo di Kyoto (1998). Tale evento ha aperto la strada a una serie di proposte a livello globale, tuttora in fase di vivo dibattito. Permane tuttavia una serie di criticità che riguardano i processi della quantificazione delle emissioni e della loro successiva valutazione economica. Ciò è dovuto alla presenza di una serie di elementi critici, conosciuti in letteratura con il nome di “incertezze”. Esse possono essere di natura economica o scientifica: al primo gruppo appartengono il rapporto tra emissioni e concentrazione atmosferica, la previsione della domanda futura di trasporto e della relativa scelta modale, i livelli futuri di emissioni, concentrazioni e temperature, l’impatto sul clima derivante da un aumento della concentrazione di gas serra, gli impatti fisici causati dai cambiamenti climatici1. Sono invece di natura economica le incertezze riguardanti la valutazione del danno economico, la determinazione di un equity weight bilanciato, la scelta del tasso di sconto e l’adozione di adattamento o mitigazione. Inoltre molto controversa rimane la scelta delle conseguenze economiche, ambientali e sociali del cambiamento climatico da includere nella valutazione. La valutazione degli impatti da CO2 può essere condotta attraverso la monetizzazione, strumento che traduce in termini economici le conseguenze del cambiamento climatico. Essa procede attraverso tre fasi: la quantificazione del gas emesso (generalmente espresso in tCO2), la determinazione di un prezzo unitario e la conversione del gas emesso in un valore monetario. I prezzi unitari possono essere determinati in base a valutazioni politiche o accademiche: tra le prime si possono ricordare il Carbon-trading price e la Carbon tax; alle seconde, che valutano le conseguenze ambientali delle emissioni future, appartengono invece gli Avoidance e i Damage costs. Il Carbon-trading price è un metodo basato sulla borsa delle emissioni europee. Essa permette emissioni fino a un certo tetto (“cap”), oltre il quale bisogna acquistare da altre aziende i diritti ad emettere (“trade”), secondo le regole di mercato. Tale metodo è stato progettato e applicato dopo la proposta, peraltro fallita, di introdurre a livello europeo una Carbon tax, strumento che colpisce direttamente le emissioni di carbonio derivanti dall’uso di combustibili. Gli Avoidance costs rappresentano i costi necessari per limitare le emissioni entro target prefissati (espressi in ppmv2 o °C). Si basano sull’analisi costi-efficacia per esprimere il prezzo migliore con cui raggiungere un determinato obiettivo e sono generalmente la base per politiche internazionali, quali ad esempio Europa 20-20-20. I Damage cost valutano i costi dei possibili cambiamenti climatici legandoli ai loro effetti. Da un punto di vista scientifico, la valutazione secondo tale metodo è generalmente preferibile, poiché lega i costi della CO2 alle possibili conseguenze a livello sociale, economico ed ambientale. Si segnala tuttavia che i risultati di questo metodo sono quelli maggiormente soggetti alle incertezze ricordate in precedenza. Un’analisi bibliografica degli studi effettuati rivela un intervallo economico molto ampio, che varia da circa -3 a 1.977 $/ tCO2eq. Ciò evidentemente permette l’adozione delle tradizionali tecniche di valutazione economica quali l’analisi multicriteria o l’analisi benefici-costi solo a cura di utenti di una certa esperienza. Questo può portare a stime fortemente distorte dei costi reali dei trasporti, con possibili conseguenze sociali di seria entità. Il problema principale diventa quindi come stimare l’impatto dei gas serra, fornendo una valutazione economica appropriata. Studi precedenti degli autori hanno identificato un valore compreso tra i 20 e i 120 €/tCO2eq (circa 26-155 $/tCO2eq), a seconda delle diverse scelte e degli obiettivi dei decisori politici. La pianificazione dei trasporti ha rivelato finora qualche difficoltà a recepire tale messaggio: le forme tradizionali dei piani del traffico prevedono misure che solo indirettamente mirano a ridurre le emissioni di CO2, né sembra valere il ricorso a forme più innovative di piano quali i Piani d’Azione per l’Energia Sostenibile (PAES), i quali si concentrano esclusivamente sugli aspetti energetici ma trascurano tutte le conseguenze di tipo trasportistico che tali misure possono comportare. La recente adozione dei piani urbani della mobilità sostenibile (PUMS) sembrerebbe invece avere margini promettenti: questa nuova forma di piano include elementi non strettamente legati ad aspetti tecnici (per esempio, la 112 Parte Prima. Pianificazione urbana e territoriale nel contesto del cambiamento climatico partecipazione pubblica nella definizione degli obiettivi), nonché elementi di solito non posti in primo piano, fra cui proprio l’emissione dei gas serra. La mancanza di una metodologia chiara e replicabile rivela tuttavia la necessità di trasformare le pur utili linee guida dei PUMS in strumenti efficaci a affrontare operativamente il problema: il ricorso a una specifica analisi dell’impatto economico delle singole misure in termini di riduzione di CO2 sembra poter essere la risposta a tale interrogativo, anche se questo metodo richiede livelli di dettaglio piuttosto fini per la propria compiuta applicazione. In conclusione le sempre più evidenti conseguenze dei cambiamenti climatici rendono il problema della valutazione della CO2 attualmente cogente. Nonostante il livello di attenzione sia diventato mediamente alto, i tentativi compiuti finora a livello internazionale non hanno prodotto risultati soddisfacenti: se si vuole affrontare efficacemente una problematica diventata centrale, occorre agire con uno sforzo interdisciplinare, che comprenda il settore dei trasporti in maniera più risoluta. 1 Nella loro forma più estesa, essi includono: crescita del livello del mare; variazioni nei consumi energetici; agricoltura costretta a importanti adattamenti; variazione nella distribuzione dei consumi di acqua; effetti sulla salute umana; minaccia a ecosistemi specifici; aumento di eventi atmosferici estremi; grandi discontinuità. 2Parti per milioni in volume. focus 1 113 parte seconda il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione 1. strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 1.1. Lo stato delle conoscenze sulle isole di calore urbane (UHI) Alessandro Salvati Introduzione Il cambiamento climatico in atto pone sfide insolite e nuove al nostro paese e il verificarsi – da alcuni anni a questa parte – di estati più lunghe e torride, così come di inverni miti, umidi e piovosi e più in generale di eventi atmosferici estremi più frequenti ne è una riprova già tangibile nell’immediato. Tra gli eventi climatici estremi rientrano le sempre più frequenti ondate di calore estive. Secondo alcuni degli scenari prodotti dall’IPCC (Salomon et al., 2008) entro la metà di questo secolo le temperature straordinarie registrate nel corso di questi periodi potrebbero essere la norma nella media delle temperature estive. Le conseguenze di questo innalzamento di temperatura sarebbero innumerevoli, prime fra tutte quelle sulla salute pubblica, con particolare preoccupazione per le fasce di popolazione che per età (o altro) risultano più vulnerabili. Tutto ciò rende particolarmente urgente la necessità di intervenire oltre una logica meramente emergenziale e verso un progressivo adattamento nei confronti del cambiamento. Tuttavia il nostro paese è al momento solo parzialmente attrezzato a fronteggiare questo tipo di scenari e, anche se non mancano alcuni segnali positivi (negli ultimi vent’anni la capacità di adattamento della popolazione agli stress termici è generalmente migliorata in Europa proprio in seguito all’esperienza pratica delle ondate di calore), sono molti di più le lacune e gli aspetti di preoccupazione. Le case, gli edifici pubblici, le strade, le piazze e la maggior parte dell’infrastruttura fisica che domina il nostro vivere quotidiano, non sono pensati tenendo in considerazione obiettivi di maggiore comfort termico, né tantomeno contemplano la possibilità di un cambiamento delle condizioni climatiche in futuro. Ciò riguarda particolarmente l’infrastruttura della ‘città moderna’, quella sorta a partire dalla seconda metà del secolo scorso e che – diversamente dalla ‘città storica’ – è caratterizzata da una scarsa qualità del progetto architettonico e urbanistico e dalla completa mancanza di requisiti in grado di garantire comfort termico e risparmio energetico. Affrontare il problema dell’isola di calore urbana (UHI) è quindi un’occasione per riportare l’attenzione su un tema di carattere più generale che è la vivibilità e la bellezza delle nostre città. Quella che segue è una sintesi di alcuni dei materiali del Work Package 3 (WP3) del progetto europeo “UHI - Central Europe” al quale hanno attivamente contribuito climatologi, geografi, meteorologi, ingegneri, architetti e urbanisti di diverse università, istituti di ricerca e amministrazioni locali provenienti da tutta Europa, impegnati da anni nello studio del fenomeno dell’isola di calore urbana e delle sue molte conseguenze. Cosa sono le isole di calore urbane (UHI)? Che il clima urbano sia generalmente più caldo rispetto a quello delle aree rurali circostanti è ormai noto a tutti. Questo fenomeno è noto come “Isola di Calore Urbana” (Urban Heat Island in inglese, da cui l’acronimo UHI) e nel nostro paese rappresenta un grosso problema specialmente nelle ore notturne delle stagioni estive. Il termine richiama la singolarità del fenomeno che è quella di un’isola di aria calda circondata dall’aria più fredda delle aree rurali circostanti. La figura 1 mostra il profilo ideale dell’isola di calore urbana ed è – di fatto – ciò che si verifica più comunemente. Tuttavia le temperature possono variare da una città a un’altra a seconda di molti altri fattori, compresi la minore o maggiore altezza degli edifici, la forma urbana, i materiali del costruito, la presenza di zone d’acqua o verdi, la morfologia del territorio (i fondovalle sono luoghi generalmente molto caldi), 117 picco temperatura dell’aria plateau ΔT u - r la presenza di venti, l’esistenza di fonti di calore antropogenico e – banalmente – la preesistenza di un clima caldo e umido. L’isola di calore urbana è principalmente causata dall’energia solare trattenuta dai materiali che costituiscono il tessuto urbano durante il giorno e dal lento rilascio di questa energia nell’atmosfera durante la notte. Il processo di urbanizzazione altera il naturale processo di raffreddamento delle superfici vegetali, rimpiazzandole con materiali poco traspiranti e il più delle volte impermeabili. La forza del fenomeno è misurata dall’intensità dell’isola di calore urbana, ovvero dalla massima differenza che intercorre tra le aree urbane e le aree circostanti in un determinato intervallo temporale (∆Tu-r). I valori più alti si raggiungono durante le prime ore notturne e – come già accennato – nel periodo estivo, a causa della maggiore quantità di energia solare assorbita dalle superfici durante il giorno. Qual è l’evoluzione del fenomeno? rurale suburbano urbano Le prime osservazioni del fenomeno risalgono già a due secoli fa. Col passar del tempo e con la progressiva diffusione dell’urbanizzazione, le rilevazioni sono andate di pari passo con l’intensificazione del fenomeno. L’effetto UHI è in genere direttamente proporzionale alla grandezza delle aree urbane (Oke, 1973) e il problema si è avvertito soprattutto nelle città divenute col tempo grandi metropoli. Come accennato in apertura, le isole di calore urbane si stanno oggi ponendo in tutta la loro criticità rispetto a una condizione di cambiamento climatico e di maggiore frequenza di eventi atmosferici estremi. Una maggiore problematicità emerge infatti nell’anomalia e le conseguenze maggiori si producono proprio laddove vi è un effetto sorpresa, come avvenuto durante l’ondata di calore del 2003 in alcune città nordeuropee1. Ma ciò che è basicamente problematico è che – trattandosi di un fenomeno tipicamente urbano in un mondo in costante urbanizzazione – esso è destinato a diffondersi a prescindere dalla sua maggiore o minore intensità. Quali sono le principali conseguenze dell’Isola di Calore Urbana? 1. Profilo dell’Isola di Calore urbana. Tratto da Oke (1987). 2. Immagine in falsi colori del centro di Atlanta (Fonte: NASA). In rosso le zone più fredde della città corrispondenti alla presenza di vegetazione. 3. Sintesi grafica delle principali dinamiche riguardanti la formazione dell’Isola di Calore Urbana. (Fonte: EPA, ND). 118 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Gli effetti negativi del fenomeno riguardano la salute umana, la qualità dell’aria e la domanda di energia. In occasione di eventi meteorologici estremi come le ondate di calore, la presenza di isole di calore urbane amplifica gli effetti negativi del caldo, mantenendo le temperature notturne a livelli poco tollerabili per la salute umana. I dati di mortalità giornaliera in occasione di eventi di caldo estremo dimostrano a tal proposito una più alta incidenza di decessi nei contesti urbani2, sebbene naturalmente non tutta la popolazione sia esposta allo stesso modo al pericolo: l’età avanzata è ad esempio un elemento di vulnerabilità, così come contribuiscono le condizioni di salute pregresse e lo status socio-economico (i poveri spesso vivono in abitazioni meno confortevoli). Ma non è solo il calore diretto a incidere negativamente sulla salute: in condizioni atmosferiche anticicloniche e di eccessivo calore, infatti, si ha un maggior livello di inquinanti come ozono e polveri sottili, i quali – oltre certe concentrazioni – possono causare infiammazioni alle vie respiratorie. Oltre agli impatti sulla salute, le UHI rappresentano un problema per i maggiori consumi energetici e di emissioni di biossido di carbonio connessi. Negli Stati Uniti si stima che il 3% e l’8% del consumo annuo di energia elettrica sia necessario per contrastare gli effetti delle UHI (OECD, 2010). Un aumento repentino della domanda di energia è spesso – in ragione delle caratteristiche attuali dei nostri sistemi di produzione e distribuzione dell’elettricità – difficile da fronteggiare, richiedendo aumenti di capacità produttiva forniti da centrali termoelettriche vetuste, poco efficienti e molto inquinanti3. Lo stesso problema può essere esteso anche ad altre risorse come l’acqua: nell’estate del 2007 la città di Barcellona, in condizioni di estrema emergenza, è stata costretta ad acquistare Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 119 acqua dall’estero, con gravi disagi e un aggravio notevole dei costi dovuto alle modalità di trasporto (l’acqua è stata trasportata con navi cisterna). Un’analisi puntuale delle cause Le isole di calore urbane rappresentano una modifica del microclima urbano dovuta a cambiamenti della forma e della composizione dell’uso del suolo in grado di alterare l’interazione fisica fra tre livelli atmosferici (e non), che sono: il boundary layer (che è lo strato atmosferico più vicino al suolo che va generalmente da alcune decine fino a 2.000 metri), l’Urban Canopy Layer (che va dal suolo all’altezza massima raggiunta dagli edifici) e la superficie urbana (surface layer). Se una grande quantità di edifici e strade sostituisce lo spazio verde preesistente – così come accadrebbe ponendo un coperchio sopra una pentola – le proprietà termiche, radiative e aerodinamiche che caratterizzano la superficie urbana e il boundary layer atmosferico cambiano. Questo perché i materiali che convenzionalmente costituiscono la città hanno conducibilità termica, riflettività ed emissività diverse rispetto alle zone rurali. Tutte le caratteristiche appena elencate contribuiscono a definire il bilancio energetico di superficie che – com’è ovvio – presenta valori in ambito urbano estremamente differenti rispetto alla campagna. Il principale fattore che differenzia i due ambienti è in particolare l’albedo, ovvero la frazione della radiazione solare riflessa verso lo spazio: in città questo valore è 5-6 volte più basso e, come conseguenza, la percentuale di calore assorbito è maggiore. Ma questa non è l’unica causa: in molti casi la configurazione stessa del tessuto urbano può diventare una variabile importante tanto quanto la riflettività dei materiali. L’altezza e la forma degli edifici, il modo in cui sono disposti, la pianta stradale e dello spazio aperto influenzano notevolmente la dispersione notturna del calore, rallentandola e determinando un ambiente ancora molto caldo. Inoltre le città stesse producono calore attraverso le attività quotidiane più o meno intense che vi si dispiegano. Questo fenomeno – definito come calore di origine antropica – è principalmente dovuto ad attività quali trasporti, processi industriali e raffrescamento degli ambienti interni durante la stagione estiva. Laddove questi processi si producono con maggiore intensità, il calore antropico può incidere significativamente sulla formazione dell’effetto “isola di calore” in città. Complessivamente, quindi, il bilancio energetico della città è di gran lunga più alto rispetto alle zone circostanti, e questo squilibrio tende a crescere in presenza di ulteriori forme di calore, delle caratteristiche morfologiche, d’uso del suolo, di estensione del corpo urbano e alla presenza di specifiche caratteristiche geografiche delle aree considerate (Oke, 1980). I materiali del tessuto urbano Le differenti proprietà dei materiali impiegati nella costruzione del tessuto urbano – strade, edifici, piazze ecc. – sono uno degli elementi meglio approfonditi nello studio del fenomeno. Molti contributi individuano nella riflettività una caratteristica chiave dei materiali costruttivi urbani. In realtà a un’analisi più dettagliata emergono diverse proprietà che allo stesso modo concorrono a determinare le isole di calore urbane. Queste includono, ad esempio, la capacità e la conducibilità termica dei materiali, ma anche la maggiore o minore permeabilità. La capacità termica dei materiali, ad esempio, misura quanto essi sono in grado di conservare calore; la conducibilità termica indica invece la proprietà dei materiali di condurre il calore. Queste proprietà prescindono dal colore delle superfici e dipendono in definitiva dal tipo di materiale utilizzato. Si tratta di elementi tenuti ben in considerazione dai progettisti, soprattutto in una prospettiva di efficienza energetica, ma meriterebbero una maggiore attenzione anche per il contributo che possono dare alla mitigazione del calore urbano. 120 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione 4. Principali cause dell’isola di calore urbana distinte tra: variabili permanenti (viola); variabili temporanee (giallo); variabili cicliche (in rosso); variabili controllabili (bordo continuo); variabili non controllabili (bordo tratteggiato). Immagine modificata da Emeis (2012). 5. Schemi grafici esemplificativi del rapporto tra ambiente costruito. e flusso dei venti. La disposizione degli edifici può ridurre o agevolare la ventilazione. Tratto da EPD (2008). Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 121 Il discorso è leggermente più articolato per quanto riguarda i materiali di pavimentazioni e manti stradali. In questo caso l’esempio fornito da molti centri storici italiani e dal loro tradizionale sistema di pavimentazione (pietre levigate, acciottolato ecc.) può tornare utile: la permeabilità di questi sistemi, infatti, limita il deflusso e favorisce l’assorbimento delle acque meteoriche, mentre l’alta traspirabilità consente di mantenere costante lo scambio termico tra la superficie e l’aria. Questi materiali non si surriscaldano e non raggiungono temperature superiori di 40 gradi rispetto all’ambiente circostante (Gartland, 2008), come avviene al contrario per l’asfalto e molti altri materiali impermeabili, i quali – peraltro – rilasciando lentamente il calore accumulato nelle ore diurne contribuiscono ulteriormente al perdurare dell’effetto “isola di calore” nelle ore notturne. La Morfologia del costruito L’infrastruttura fisica urbana, nella sua disposizione (forma, altezza ecc.) influenza significativamente il microclima urbano. Gli effetti riguardano lo stravolgimento dei processi di evapo-traspirazione, di assorbimento delle radiazioni e della circolazione dei venti. In presenza di edifici molto alti, come più spesso accade nelle grandi metropoli, gli spazi che intercorrono tra le facciate degli edifici diventano dei veri e propri canyon. In queste circostanze, la predominanza delle altezze degli edifici sugli spazi aperti interstiziali (strade e spazi collettivi) se da un lato permette una riduzione dello Sky View Factor 4 e una maggiore ombreggiatura della superficie, dall’altro intrappola la radiazione solare rilasciata dal piano stradale e dalle facciate degli edifici, determinando in ogni caso un effetto “isola di calore”. Alcuni studiosi (Ali-Toudert - Mayer, 2006; Kleerekoper, 2012) sostengono che l’aspect ratio – ossia il rapporto altezza degli edifici / larghezza del piano stradale – sia tra i fattori più importanti nel determinare il microclima urbano. In molte regioni del Mediterraneo questo principio era ben noto, trovando piena realizzazione nella struttura delle città storiche, composte da vicoli stretti e ombreggiati, spesso disposti in direzione del vento dominante. D’altro canto, però, se gli elevati valori del fattore di vista in genere contribuiscono all’aumento della temperatura dell’aria durante il giorno – a causa della maggiore incidenza della radiazione solare – la mancanza di ostacoli fisici alla dispersione del calore accumulato permette un abbassamento delle temperature più repentino durante le ore serali-notturne. Ciò sembrerebbe configurare una sorta di tradeoff tra benessere termico diurno e notturno: in realtà le questioni riguardanti la forma urbana sono in genere complesse e una valutazione adeguata dei benefici netti conseguibili attraverso il disegno urbano dovrebbe considerare anche altre variabili. Kolkotroni e Giridharan (2008) sostengono la necessità di ricorrere a simulazioni tridimensionali dello Sky View Factor come base per ogni altra considerazione, dal momento che l’indice (a due dimensioni) di aspect ratio rappresenterebbe una semplificazione. E in effetti una variabile decisiva in queste circostanze è data dalle dimensioni degli edifici nelle grandi città, per nulla paragonabili con i vecchi agglomerati storici. La vastità della struttura fisica delle città rappresenta una modifica sostanziale dei valori di albedo ed emissività complessivi, dal momento che questi tendono inevitabilmente a peggiorare in presenza di edifici più alti (Kleerekoper, 2012). Il calore antropogenico Le principali fonti di calore antropiche sono rappresentate dalle attività nei settori civile, industriale e dei trasporti. La produzione di calore è in genere causata dall’energia utilizzata negli edifici principalmente per il riscaldamento, il raffrescamento e i processi di trasformazione (in ambito industriale). Nel settore dei trasporti è invece noto che l’utilizzo massiccio di motori endotermici per il trasporto privato comporta una notevole dissipazione sotto forma di calore dell’energia trasformata. 122 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Le emissioni di calore antropiche sono estremamente mutevoli e possono variare nel corso del tempo e delle stagioni. Nei climi più freddi sono in genere più elevate durante l’inverno; viceversa nei climi più caldi è il maggior ricorso ai condizionatori durante la stagione estiva a rappresentare una delle principali cause dell’acuirsi del fenomeno “isola di calore” (Gartland, 2008). Molti studi hanno concluso come sia quasi impossibile generalizzare i risultati delle rilevazioni ogni volta effettuate: le condizioni che determinano l’emissione di calore antropogenico sono infatti legate alle caratteristiche dei territori, all’importanza e alla grandezza delle città, al clima, alla struttura dei trasporti, ai materiali e alle tecnologie degli involucri edilizi, alla maggiore/minore presenza di attività industriali. Nel caso dei consumi per il raffrescamento degli ambienti domestici durante il periodo estivo, le emissioni di calore antropico si intensificano proprio quando sussistono effetti di isola di calore, in una sorta di loop che non fa altro che alimentare ulteriormente il fenomeno5. A Londra è stato verificato come la domanda di raffrescamento degli ambienti durante l’estate sia del 24% maggiore rispetto alle zone rurali circostanti, mentre quella per il riscaldamento invernale del 22% inferiore (Authority GL, 2006). Alla luce di questo bilanciamento si potrebbe pensare che in fondo in alcune città nordeuropee un aumento delle temperature possa anche risultare tollerabile. Tuttavia la questione andrebbe analizzata considerando la totalità delle conseguenze: molte città nordeuropee non sono in realtà attrezzate a convinvere con il calore eccessivo. Aspetti molto distanti tra loro, come la struttura degli spazi costruiti o la percezione del pericolo da parte dei cittadini, si stanno adattando solo ora a fronteggiare il problema. Accade così che le conseguenze del caldo anomalo siano in genere peggiori rispetto al verificarsi di inverni rigidi. Quali sono le opzioni per la corretta gestione e mitigazione dell’effetto “isola di calore urbana”? Le politiche di mitigazione e adattamento all’isola di calore urbana dovrebbero sempre considerare approcci multiscalari (con riferimento allo spazio) e dinamici (con riferimento al tempo). Le isole di calore urbane, la loro percezione/problematicità sono fenomeni complessi e in mutazione, un prodotto di molteplici fattori di cui occorrerebbe, ove possibile, approfondire la conoscenza. Il clima sta cambiando, così come le città: cambia la loro struttura demografica, cambia la capacità di adattamento, la resilienza; cambiano le abitudini o si consolidano modelli di consumo talvolta insostenibili. Alla luce di ciò qualsiasi tentativo di azione dovrebbe necessariamente trarre le mosse da scenari di riferimento futuri. Su questi è possibile innestare diversi tipi di intervento, a seconda della scala spaziale. Qui ne possiamo distinguere tre: la scala urbana o metropolitana, quella locale o di quartiere, e infine la scala micro, di strada o edificio. A queste tre scale fanno banalmente riferimento diverse tipologie di politiche e interventi (non per forza incoerenti tra di loro): se ad esempio alla scala micro è possibile agire sugli elementi costruttivi del tessuto urbano – strade ed edifici – alla scala locale occorre invece partire un disegno urbanistico che consideri organicamente caratteristiche come l’orientamento e l’altezza degli edifici, la presenza di spazi verdi e la disposizione degli assi viari. A una scala vasta è possibile infine ripensare l’assetto funzionale e il disegno dei grandi spazi aperti (corridoi di ventilazione). Agire, tuttavia, non significa unicamente progettare in maniera diretta: le amministrazioni pubbliche possiedono tutti gli strumenti normativi per indirizzare una corretta progettazione. I regolamenti edilizi o le norme tecniche di attuazione ai piani assolvono di fatto a questo scopo. Inoltre, adottando un approccio orientato ai fini (il miglioramento delle condizioni microclimatiche urbane), la cassetta degli attrezzi – ovvero i mezzi a disposizione – arriva a comprendere anche azioni e politiche costruite per altri obiettivi: la mitigazione e l’adattamento al fenomeno dell’isola di calore sono infatti strategie che naturalmente ricadono all’interno di altri domini dell’azione pubblica. Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 123 Qui di seguito vengono brevemente elencate le soluzioni tecnologiche (e non) più comunemente adottate nelle politiche di mitigazione delle isole di calore urbane. Si tratta di materiali e tecniche relativamente nuove, come i cool e green roofs (rispettivamente “tetti freddi” e “tetti verdi”), o i cool streets/pavements. A un livello più ampio si collocano invece soluzioni come la progettazione degli spazi verdi urbani o l’ottimizzazione dello Sky View Factor, anche definibile come l’ottimizzazione del rapporto tra volumi edificati e spazi aperti. I tetti freddi (o cool roofs) La maggior parte dei tetti delle città italiane è composta da tegole e materiale di copertura a bassa albedo e a ridotta emissività termica. Durante le giornate più calde e a causa della grande capacità di immagazzinare il calore questi materiali tendono a surriscaldarsi eccessivamente (fino a 70-80 gradi), rilasciando lentamente il calore durante le ore notturne e determinando così un innalzamento delle temperature a livello locale6. Ciò non accade invece nel caso dei tetti freddi, i quali non si surriscaldano eccessivamente per via delle alte albedo e per l’emissività termica dei materiali e della colorazione che li compongono. I tetti freddi rallentano i processi di deterioramento dovuti al calore (che – come noto – espande e contrae i materiali), garantiscono un adeguato livello di comfort termico degli spazi interni e – quando integrati con altri interventi – anche degli spazi esterni. In astratto, se una città fosse coperta estensivamente da tetti freddi, gli effetti potrebbero essere talmente forti da modificare il microclima dell’intera area urbana (Gartland, 2008). Questo perché i tetti freddi possiedono valori di riflessività maggiori rispetto anche alle coperture vegetali, garantendo in questo modo un feedback positivo sulle temperature particolarmente incisivo. I tetti freddi necessitano di pulizia e manutenzione frequenti, dal momento che i depositi di sporcizia o di inquinanti compromettono nel tempo le capacità riflettenti; tuttavia i costi complessivi nell’intero ciclo di vita sono generalmente più bassi rispetto ai tetti convenzionali a causa della minore compromissione dovuta al calore. I materiali altamente riflettenti rappresentano un modo senz’altro efficace per mitigare l’effetto “isola di calore urbana”, come è stato documentato in molti studi (su tutti Haberl - Cho, 2004). Essi hanno inoltre il vantaggio di non essere particolarmente costosi o di difficile applicazione, non richiedendo perciò una manodopera estremamente specializzata. Tetti verdi (o green roofs) I tetti verdi sono composti da uno strato di suolo e vegetazione isolato alla base per mezzo di una membrana impermeabile. Come i tetti freddi, anche i tetti verdi possono avere un forte impatto sul clima locale e urbano se applicati estensivamente. Nelle ore diurne le temperature superficiali possono essere fino a 20-40 gradi inferiori rispetto a quelle dei tetti convenzionali, in particolare grazie alla capacità del tutto identica a quella delle aree verdi di favorire un equilibrato processo di evapo-traspirazione. La loro albedo è simile a quella dei tetti freddi, variando a seconda della maggiore/minore disponibilità di acqua. A differenza dei cool roofs, i tetti verdi offrono una serie di vantaggi ulteriori per la loro capacità di raccolta dell’acqua piovana, di mantenimento di condizioni di umidità ottimali e di miglioramento della qualità dell’aria nell’ambiente urbano. Le performance variano a seconda del tipo di realizzazione: la maggior parte dei tetti verdi è di tipo estensivo con profondità limitata (fino a 100 mm di strato superficiale), impossibilità di fruizione dello spazio e limitato sviluppo delle piante. In questi casi anche le performance risultano meno efficienti rispetto ai tetti verdi intensivi 124 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione 6-7. In alto, esempio di cool roof a Los Angeles. In basso, veduta da satellite di Manhattan, sui cui grattacieli prevalgono i tetti “bianchi”. 8. La Chicago City Hall (foto del National Geographic) è uno degli esempi meglio riusciti di intensive green roof. Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 125 (a partire da 100 mm di profondità), nei quali è invece possibile prevedere la fruizione a patto di garantire – in fase di progetto – la stabilità strutturale (facendo fronte a un aumento dei costi7). Tra gli altri vantaggi legati a questa soluzione c’è anche quello di ridurre la portata del flusso d’acqua nelle infrastrutture fognarie in modo da evitarne il sovraccarico e recuperare – ove possibile – le acque meteoriche da destinare a usi domestici. Urban greening: la progettazione di nuove aree verdi urbane L’introduzione di nuove aree verdi in ambito urbano può essere uno dei metodi più efficaci per fronteggiare il problema dell’effetto isola di calore e allo stesso tempo migliorare la qualità dello spazio urbano. Ciò può essere fatto con interventi di maggiore o minore portata e con diverso grado di efficacia: in ogni caso è bene sapere che anche la sola presenza di filari di alberi è in grado di fornire un grande contributo schermando la luce, offrendo riparo nei giorni più caldi e abbattendo la temperatura alla superficie di 5-10 gradi (Chen et al., 2010). La semplice ombreggiatura degli spazi è perciò un’azione tanto semplice quanto efficace, che può essere estesa anche alle superfici verticali degli edifici: Sandifer e Givoni (2002) hanno infatti calcolato che le coperture vegetali verticali possono ridurre la temperatura superficiale delle facciate anche di 20 gradi. L’effetto mitigatore delle aree verdi sulle temperature può estendersi fino a 200-400 metri dal loro margine esterno, sebbene – come verificato nel caso di Firenze (Petralli et al., 2006) – l’effetto tenda chiaramente ad attenuarsi man mano che ci si allontana. Superfici “fredde” (o cool pavements) Così come nel caso dei tetti, anche le strade e gli spazi pavimentati sono caratterizzati solitamente da superfici con bassa albedo ed emissività. L’installazione di materiali ad alta riflettività solare e con una buona permeabilità è senz’altro un’altra strategia efficace per perseguire obiettivi di mitigazione delle alte temperature urbane. L’uso di questi materiali riduce l’assorbimento del calore e, non permettendo all’acqua di defluire negli impianti fognari, favorisce lo scambio termico al pari di quanto avviene nelle aree verdi. Si conosce tuttavia ancora poco circa le interazioni tra l’utilizzo di questi materiali e l’esistenza di effetti canyoning in cui il calore di scambio rimane intrappolato negli spazi interstiziali presenti tra gli edifici. Per questo le soluzioni che prevedano l’impiego di materiali ad alta riflettività dovrebbero essere supportate da modelli in grado di simulare il comportamento termico degli spazi interessati. Fattore di vista (o Sky View Factor) 9-10. Il verde urbano ha un’azione mitigatrice del clima locale, migliorando le condizioni di umidità dell’aria (schema in alto) e di estetica dello spazio (disegno in basso). (Fonte: EPA, 2008). 126 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione In aggiunta a quanto già descritto, vanno infine ricordate le soluzioni riguardanti la forma urbana e il rapporto tra spazio costruito e spazio aperto. Un importante fattore che contribuisce al processo di raffreddamento delle temperature notturne è la misura dello Sky View Factor, ovvero la porzione di cielo visibile dalla superficie: il raffreddamento nelle ore notturne è infatti tanto più lento quanto maggiore è l’altezza degli edifici e minore l’ampiezza delle strade. A questo va aggiunto che la presenza di strade o spazi ampi il cui orientamento non sia in direzione dei venti prevalenti ostacola il ricambio dell’aria e la rimozione del calore e degli inquinanti accumulati. Le nuove porzioni di città o quelle che stanno subendo trasformazioni rilevanti dovrebbero quindi essere pensate per ottimizzare lo Sky View Factor e la ventilazione, due fattori decisivi nell’opera di mitigazione dell’effetto isola di calore urbana. Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 127 Note conclusive Riferimenti bibliografici Sebbene i climatologi abbiano studiato il fenomeno delle isole di calore urbane per decenni, l’interesse delle comunità e dell’opinione pubblica è maturato soltanto in tempi più recenti e in concomitanza con il verificarsi di eventi estremi – quali le ondate di calore – le cui conseguenze hanno interessato prevalentemente i contesti urbani. Questa maggiore attenzione al problema sta contribuendo su scala globale a promuovere alcune strategie di adattamento e mitigazione del fenomeno. Tuttavia il nostro paese sembra scontare un certo ritardo e ancora non si registrano esperienze significative. Questo contributo ha cercato di fornire qualche indizio per la comprensione del problema, tentando di offrire una piccola panoramica delle tecniche esistenti di contrasto dell’isola di calore urbana. È auspicabile tuttavia che dalle singole tecniche si passi a soluzioni e politiche maggiormente integrate, frutto di strategie urbanistiche di ampio respiro. Sono ancora poche le città che stanno affrontando il problema attraverso un’ottica di piano. Gli esempi tuttavia possono fornire idee e spunti, ma non possono sostituirsi a un’analisi (climatica) del contesto, dei suoi problemi e delle sue esigenze: questo è punto di partenza obbligatorio per chiunque voglia cimentarsi in una nuova progettazione – climaticamente orientata – del territorio. Akbari, H. (2005), Energy Saving Potentials and Air Quality Benefits of Urban Heat Island Mitigation. Berkeley (CA): Lawrence Berkeley National Laboratory. Ali-Toudert, F. - Mayer, H. (2007), “Effects of Asymmetry, Galleries, Overhanging Façades and Vegetation on Thermal Comfort in Urban Street Canyons”. Solar Energy, 81: 742-754. 1 Proprio a Londra l’intensità dell’effetto isola di calore è passato da una media notturna di 4-5 °C ai 7 gradi attuali, con punte di 9 gradi durante eventi estremi come l’ondata di calore dell’estate 2003 (EST, 2005). In Italia la città di Milano in 160 anni ha visto invece aumentare la temperatura dell’aria al suolo di 2,5 °C per le temperature massime e di 0,9 per le minime (Rossi et al., 2007). 2 Durante l’ondata di calore anomalo che colpì l’Europa nell’estate del 2003, la gran parte dei decessi si è verificata nelle grandi metropoli (Parigi e Londra su tutte). Sempre in occasione di un’ondata di calore nel 1995 a Chicago il numero dei ricoveri ospedalieri registrò valori mediamente più alti nelle zone centrali e più dense della città (Authority GL, 2006). 3 A tal proposito il nostro paese ha sperimentato nel 2003 uno dei blackout elettrici storicamente più significativi proprio in corrispondenza dell’ondata di caldo anomalo già menzionata. 4 Che tecnicamente è la porzione di cielo visibile da terra. Quanto maggiore è questo fattore, tanto maggiore è l’incidenza della radiazione solare diretta sulla superficie, con un conseguente minore comfort termico durante le giornate di forte irraggiamento solare. 5 L’effetto dell’aumento della temperatura sulla domanda di energia è stato studiato da Akbari (2001), il quale ha concluso che aumenti di 1 grado (della scala Celsius) durante i periodi estivi comportano un aumento della domanda energetica compreso tra il 2 e il 4%. 6 I processi di surriscaldamento accelerano inoltre il deterioramento delle coperture, intaccando le capacità di isolamento delle componenti e provocando nel lungo periodo un aumento della domanda di energia per il riscaldamento e il raffrescamento degli ambienti sottostanti. 7 Questa tecnica sta trovando larga applicazione nei paesi del nord Europa (in Austria, Svizzera e Germania in particolare) e in Nord America, dove la città di Toronto ha avviato un ambizioso piano di adeguamento delle coperture cittadine, con l’obiettivo ambizioso di coprire con tetti verdi il 50% della superficie disponibile. 128 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Authority GL (2006), London’s Urban Heat Island: a Summary for Decision Makers. London: Greater London Authority. Chen, Y. - Wong, N.H. (2006), “Thermal Benefits of City Parks”. Energy and Buildings, 38, 105-120. Emeis, S. (2011), Surface-Based Remote Sensing of the Atmospheric Boundary Layer. Berlino: Springer. (“Atmospheric and Oceanographic Sciences Library”, 40) Energy Saving Trust (2005), Reducing Overheating: a Designer’s Guide (CE129). London: Energy Saving Trust. EPA - U.S. Environmental Protection Agency, (2008), Heat Island Effect. Reducing Urban Heat Islands: Compen- dium of Strategies. EPD (2008), Climate Booklet for Urban Development Online. Stuttgart: Ministry of Economy Baden- Württemberg & Environmental Protection Department of Stuttgart. Gartland, L. (2008), Heat Islands. Understanding and Mitigating Heat in Urban Areas. London: Earthscan. Haberl, J. - Cho, S. 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Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 129 1.2.Dati, rilevazioni e descrizione del fenomeno UHI Marco Noro, Renato Lazzarin Introduzione In maniera del tutto generale è possibile delineare alcune caratteristiche peculiari dell’ambiente urbano: l’elevata densità abitativa, la concentrazione dei consumi di energia (per i fabbisogni degli edifici, il traffico veicolare e le attività dell’uomo) e la scarsità di aree verdi. Una delle conseguenze principali è il fenomeno delle isole di calore urbane: il clima urbano, soprattutto ma non solo nella stagione estiva, è sistematicamente più caldo di quello delle campagne limitrofe con variazioni significative anche all’interno della città. In funzione della latitudine e quindi del clima cui ci si riferisce, il fenomeno può essere positivo (in inverno diminuiscono i fabbisogni per il riscaldamento degli edifici) ovvero negativo (aumento dei fabbisogni di raffrescamento e acutizzazione dei fenomeni di stress termico in soggetti particolarmente sensibili come gli anziani). Gli effetti principali di questa differenza di temperatura all’interno dei centri urbani, dove il fenomeno si manifesta in modo sensibile, sono: – un peggioramento per gli abitanti delle condizioni termoigrometriche estive nell’ambiente esterno; – un incremento del consumo energetico (degli edifici e dei trasporti); – un aumento delle emissioni inquinanti e dei gas serra. Alla base dello stesso vi è un notevole numero di concause che interagiscono reciprocamente, in relazione al particolare tessuto urbano considerato. In estrema sintesi, i principali fattori che si possono richiamare sono: – la conformazione del tessuto e dei canyon urbani che influenzano gli scambi termici per radiazione e convezione tra le superfici (orizzontali e verticali) e la volta celeste; – il valore tipicamente non elevato (0,1-0,4) del fattore di albedo delle superfici dell’ambiente urbano che corrisponde a un’elevata quantità di radiazione solare assorbita dalle stesse; – la presenza di un’elevata concentrazione di sorgenti endogene di calore come motori termici, caldaie per riscaldamento, condensatori di gruppi frigoriferi e, in generale, tutte le apparecchiature legate alle attività umane; – l’effetto serra che viene amplificato dall’elevata concentrazione di inquinanti generalmente presente nei centri urbani; – la scarsità di superfici verdi che ha come effetto un maggior riscaldamento dell’aria dovuto alla predominanza degli scambi termici sensibili rispetto a quelli di raffreddamento evaporativo innescati dall’evapotraspirazione delle piante. Il fenomeno delle isole di calore urbane è stato studiato ampiamente negli ultimi cinquant’anni nelle grandi metropoli mondiali (Atene, Londra, Berlino, Vancouver, Montréal, New York, Tokyo, Hong Kong sono alcuni esempi). In Italia lo studio del fenomeno è relativamente più recente e sostanzialmente legato alle città di maggiori dimensioni come Bologna, Milano, Firenze e Roma. Studi svolti su città di medie dimensioni, con popolazioni dell’ordine delle centinaia di migliaia, sono praticamente assenti: sono noti solo i casi di Modena e Trento. Un primo tentativo per quanto riguarda una città del Veneto coinvolge Padova, dove tra il 2010 e il 2011 sono state svolte delle indagini sperimentali tramite transetto mobile da un gruppo di ricerca dell’Università degli Studi di Padova. Uno studio di maggior respiro è stato intrapreso a partire dal 2012 da chi scrive, nell’ambito del progetto 131 di ricerca europeo “UHI - Development and application of mitigation and adaptation strategies and measures for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon” (3CE292P3): in questa sede vengono descritti le attività e i risultati raggiunti con riferimento alle attività sperimentali e di simulazione svolte. Preventivamente a questo, il paragrafo successivo dà un inquadramento generale delle problematiche alla base della misurazione del fenomeno. Le metodologie di analisi adottate Acquisizione di dati meteorologici Per caratterizzare il fenomeno risulta indispensabile avere a disposizione alcuni dati meteorologici, tra i quali i principali sono sicuramente la temperatura a bulbo secco (b.s.) e l’umidità dell’aria, la radiazione solare incidente al suolo e la velocità del vento. In condizioni di abbondanza di risorse, la soluzione migliore sarebbe certamente quella di disporre (con geometria radiale piuttosto che con disposizione a griglia) numerose stazioni fisse di misura sul territorio cittadino, in modo da rilevare le variabili testé citate nei diversi tessuti (urbano, suburbano, rurale) in maniera simultanea e continuativa per un periodo di tempo adeguato (uno o più anni). In realtà, in generale si possono individuare almeno tre possibili modalità operative per le misure: a) utilizzo dei dati misurati e registrati (con cadenza fissata) da due stazioni meteorologiche fisse situate una in zona urbana e l’altra in zona rurale del territorio urbano; b) misure su transetto mobile, realizzate utilizzando sensori di misura installati su un veicolo che percorre numerose volte un prestabilito percorso attraversando i diversi ambiti territoriali e misurando in maniera continuativa le variabili di interesse; c) misure con stazione meteo mobile in siti prescelti del tessuto urbano, suburbano e rurale. Le diverse modalità presentano aspetti sia positivi che negativi. La modalità a) è forse la meno “onerosa” dal punto di vista operativo, ma consente di ottenere dei dati solo sulle grandezze misurate dalla stazione e soprattutto nei luoghi in cui la stazione è costruita, senza possibilità di “mappatura” del territorio. In tal senso, essa può essere utile al fine di una prima approssimativa identificazione della presenza del fenomeno. La modalità b), effettuata ad esempio mediante un autoveicolo su cui siano montati i sensori di misura necessari, consente di ottenere una sorta di “mappatura” della città, ma in una dimensione (quella del percorso stabilito). Per ottenere una mappatura sul territorio (su due dimensioni quindi) occorrerebbe svolgere una serie molto numerosa di transetti, peraltro in tempi necessariamente diversi e quindi con condizioni al contorno non costanti, con risultati poi difficilmente confrontabili. La modalità c) appare un opportuno compromesso fra la necessità di misurare dati in tempi non eccessivamente lunghi e la possibilità di caratterizzare, dal punto di vista del fenomeno “isola di calore”, almeno alcune situazioni caratteristiche del territorio. Le modalità operative che gli autori hanno utilizzato nel comune di Padova sono state quindi la a) e la c), con svolgimento di misure in transetto fra i siti prescelti per quanto riguarda le grandezze fisiche fondamentali per la caratterizzazione del fenomeno. Descrizione dell’indagine sperimentale In relazione alla prima metodologia succitata, sono stati utilizzati i dati misurati dalle stazioni meteorologiche ARPAV (Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale del Veneto) dell’Orto Botanico (zona urbana della città, nel centro cittadino) e di Legnaro (zona rurale a 8,5 km di distanza) (tab. 1 e fig. 1). I dati utilizzati hanno riguardato la temperatura a b.s. dell’aria e la velocità del vento a 2 m sul livello del terreno, forniti con cadenza oraria e misurati nell’arco temporale 01/01/1994 - 31/12/2011. Non tutti i valori orari sono risultati disponibili a causa di interruzioni o malfunzionamenti della strumentazione nel corso del periodo. 132 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione 1. Posizione geografica delle due stazioni meteorologiche (Google Earth). 2. Il percorso lungo il quale sono state svolte le misure in transetto, dalla zona nord-ovest verso sud-est di Padova (Google Earth). 3. Veicolo equipaggiato con la strumentazione utilizzata per le rilevazioni in transetto e in situ: termo-igrometro, anemometro, globotermometro (la posizione ravvicinata alla vettura è solo esemplificativa), acquisitore dati alimentato da batteria ricaricabile (12 V - 15 Ah). Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 133 Tab. 1. Caratteristiche geografiche delle due stazioni meteorologiche ARPAV Stazione Longitudine Latitudine Altitudine a.s.l. Orto Botanico (tessuto urbano) 45° 23’ 58’’ N 11° 52’ 48’’ E 12 m Legnaro (tessuto rurale) 45° 20’ 60’’ N 11° 57’ 25’’ E 8m In relazione alla metodologia di indagine c) gli autori hanno svolto una campagna di misure sperimentali durante l’estate 2012 al fine di caratterizzare spazialmente il fenomeno. Il percorso progettato (23+26 km di lunghezza) inizia e termina nella zona nord-est di Padova, attraversando il centro cittadino fino alla campagna di Legnaro (fig. 2). Le sessioni di misura sono state principalmente notturne (tra 1 e 4 ore dopo il tramonto, al fine di indagare il fenomeno durante il periodo in cui potenzialmente è di entità maggiore), ma in alcuni casi anche diurne (tardo pomeriggio, per valutare il fenomeno anche durante il giorno). Le stesse sessioni di misura sono state svolte con condizioni meteorologiche al contorno stabili (assenza di vento, cielo sereno). Le principali variabili misurate dalla stazione mobile equipaggiata sul veicolo sono state la temperatura a b.s., l’umidità relativa e la radiazione solare globale sull’orizzontale, con un timestep pari a 5 s (fig. 3 e tab. 2). Si è scelto si effettuare delle ulteriori misure in situ, cioè fermando il veicolo e acquisendo i dati anche di temperatura media radiante (mediante un globotermometro e solamente durante le sessioni notturne) e la velocità del vento (tramite un anemometro a coppette). I siti scelti a tal fine sono stati cinque, esemplificativi di altrettante tipologie di tessuti urbani caratteristici di una media città italiana come Padova; lo scopo è quello di utilizzare le considerazioni tratte dall’analisi sperimentale e simulativa che qui si sta descrivendo applicandole a realtà diverse ma simili del contesto territoriale veneto e, più in generale, italiano. I siti scelti sono stati: – tessuto misto; – tessuto medievale (centro storico); – tessuto residenziale (anni Settanta) ad alta densità; – tessuto residenziale (anni Settanta) a bassa densità; – tessuto produttivo (zona industriale). 134 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Tab. 2. Principali strumenti di misura e apparecchiature utilizzati durante la campagna di misure nell’estate 2012 a Padova Strumento / apparecchiatura Modello Caratteristiche Range: Termoigrometro Ricevitore GPS Piranometro Anemometro Datalogger LSI Lastem DMA672,1 T: (-30÷70 °C) RH: (0÷100%) Accuratezza: T: ±0,1 °C RH: ±1,5% (5÷95%) ±2% (<5% or >95%) Collegato al notebook (Garmin 16-HVS GPS) o iPhone app (EasyTrails) o Android app (Maverick) LSI Lastem DPA053 Range: 300÷2800 nm < 2000 W m-2 LSI Lastem Range: 0÷65 m s-1 Accuratezza: ±1% valore letto DNA031#C E-Log ELO305 12 input (8 analogici, 2 impulso, 2 on/off) 6 output A/D converter 16 bit 2 MB memoria Alimentazione 12 VDC Display 4 x 20 caratteri 2 serial output RS232 GPRS, GSM e Modbus RTU Una singola sessione di misura si è articolata nei seguenti step successivi: predisposizione dei sensori di misura e loro collegamento al sistema di acquisizione dati, con verifica in tempo reale dei valori misurati tramite collegamento a notebook; – sincronizzazione degli orologi del notebook (e quindi del sistema di acquisizione) con quelli del sistema GPS di tracciatura del percorso; – partenza con autoveicolo lungo il percorso stabilito, con misura in transetto delle variabili succitate con time-step di 10 s; – fermata presso il sito di misura di interesse preventivamente prestabilito. Qui si sono continuate le misure delle variabili e, contemporaneamente, si è determinato un punto di osservazione caratteristico del sito, non troppo vicino alle superfici verticali (pareti degli edifici) e orizzontali (strada, marciapiede o verde) indicativamente a una distanza minima di 1,5 m e riparato dalla radiazione solare diretta (com’é ovvio, nelle sessioni diurne). Da questo punto si sono effettuate le misure di temperatura media radiante e di velocità del vento. Il rilievo dei principali metadati (caratteristiche del sito come distanza degli edifici, dimensione degli stessi, distanza di eventuali alberi, orientazioni, tipo di utilizzo prevalente del terreno, percentuali indicative di coperture superficiali suddivise fra superfici erbose, costruite, acquose, altezza della vegetazione e degli edifici tipici, materiali delle superfici) è stato effettuato per uno solo dei cinque siti (tessuto residenziale ad alta densità). Esso è stato svolto sia in maniera tradizionale, attraverso una rilevazione visiva sul campo, sia mediante analisi dei dati tridimensionali LiDAR. – Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 135 Elaborazione e analisi dei dati Una volta raccolti tutti i dati in precedenza descritti si è proceduto alla loro elaborazione e analisi, al fine di: – quantificare l’entità del fenomeno UHI lungo il transetto e nei diversi siti scelti, principalmente mediante il confronto delle temperature rilevate. In realtà, per compensare il fatto che i rilievi sono stati effettuati in tempi diversi (ogni sessione di misura durava 2,5-3 ore), si è calcolato il dato della differenza di temperatura dei diversi punti rispetto a una temperatura di riferimento (la stazione ARPAV situata in zona rurale), confrontando i valori misurati in ogni punto a una determinata ora con quelli registrati nella stazione meteo di riferimento alla medesima ora. Questi ultimi sono forniti come media nel quarto d’ora: gli autori hanno considerato il valore rappresentativo dell’istante centrale dell’intervallo, operando poi per interpolazione lineare per gli istanti intermedi. L’effetto “isola di calore” è stato così quantificato in termini differenziali e non assoluti. Si noti come si sia utilizzato il solo percorso sud-est verso nord-ovest (il “ritorno”) per valutare nel modo appena descritto l’intensità del fenomeno UHI: questo per avere una valutazione “in sicurezza”, sia dal punto di vista spaziale – ci si sta muovendo dalla campagna al centro città – sia dal punto di vista temporale – si sta andando verso le ore notturne più fresche. Per le stesse ragioni, le rilevazioni in situ sono state svolte solamente durante il percorso di “andata” (nord-ovest verso sud-est) (fig. 2); – evidenziare delle possibili correlazioni tra l’effetto isola di calore misurato e le principali variabili da cui esso dipende, in particolare quelle rilevate e legate sostanzialmente alle caratteristiche del sito di misura descritte nel precedente paragrafo; – ciò è stato fatto effettuando delle simulazioni con due modelli di calcolo, RayMan ed ENVI-met, con lo scopo di verificare come varino i principali indicatori di comfort umano (temperatura dell’aria, temperatura media radiante, PMV, PET, SET*) al variare di alcune caratteristiche dei siti oggetto delle misure. Si fa cenno qui ai risultati relativi all’utilizzo del primo modello, rimandando ad altri lavori degli autori citati in bibliografia per i risultati relativi all’utilizzo di ENVI-met. Analisi dei risultati sperimentali Analisi dei dati meteorologici delle stazioni fisse Per quanto riguarda la prima metodologia di analisi descritta in precedenza, sono stati calcolati i valori medi mensili dei minimi, medi e massimi giornalieri di temperatura dell’aria forniti da ARPAV. Inoltre sono stati calcolati due ulteriori indici, utili ai fini della comprensione macroscopica del fenomeno: il numero di gradi giorno di riscaldamento (Heating Degree Day, HDD) e di raffrescamento (Cooling Degree Day, CDD). Calcolati secondo il metodo Eurostat (Eurostat, 2010), questi danno un’indicazione di quanta energia sia necessaria per il riscaldamento e il raffrescamento degli edifici in funzione della temperatura dell’aria nella località considerata: HDD = Σ(18-Tm) se Tm15 °C CDD = Σ(18-Tm) se Tm≥15 °C HDD = 0 se Tm>15 °C CDD = 0 se Tm<15 °C dove Tm è la temperatura media giornaliera e la sommatoria è estesa all’intero anno. Le medie annuali dei valori medi mensili delle temperature massime, medie e minime giornaliere sono rispettivamente 0, 0,5 e 1,5 °C più elevate nella stazione meteorologica dell’Orto Botanico (centro urbano) rispetto alla stazione di Legnaro (rurale) (fig. 4). Poiché i valori minimi si riferiscono tipicamente alle ore notturne, se ne può dedurre che esiste un effetto (medio) di più elevata temperatura 136 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione 4. Valori medi mensili delle temperature minime, medie e massime giornaliere nel periodo 1994-2011 (elaborati a partire dai valori forniti dalle stazioni ARPAV dell’Orto Botanico (tessuto urbano) e di Legnaro (rurale). I dati relativi agli anni 1995 e 1996 sono mancanti. 5. Valori medi annuali delle differenze tra le temperature minime, medie e massime giornaliere nel periodo 1994-2011 (elaborati a partire dai valori forniti dalle stazioni ARPAV dell’Orto Botanico (tessuto urbano) e di Legnaro (rurale). I dati relativi agli anni 1995 e 1996 sono mancanti. 6. Numero di gradi giorno di riscaldamento (HDD) e raffrescamento (CDD) calcolati a partire dai dati rilevati dalla stazione ARPAV dell’Orto Botanico (tessuto urbano) nel periodo 1994-2011. I dati relativi agli anni 1995 e 1996 non sono stati stimati perché mancanti (per lo stesso motivo non è stato possibile determinare gli andamenti relativi alla stazione di Legnaro). Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 137 dell’aria nel centro cittadino rispetto alla campagna che si configura come essenzialmente notturno. Tale differenza di temperatura è presente ogni mese dell’anno, ma risulta più evidente in estate (circa 2 °C in luglio). Inoltre, la figura 5 evidenzia che, nonostante la differenza tra le temperature massime giornaliere registrate dalle due stazioni sia mediamente nulla nel periodo considerato (1994-2011), questo in realtà è il risultato della compensazione che avviene tra una differenza negativa durante il primo periodo (1994-2000) e una differenza positiva successiva, rivelando una tendenza che può essere letta come un crescente aumento della presenza dell’effetto UHI nelle ore diurne (quando appunto si registrano le temperature massime giornaliere). Questo potrebbe spiegare l’andamento crescente anche dei gradi giorni di raffrescamento (fig. 6). Per inciso, l’aumento di traffico e la crescita del vicino ospedale potrebbero almeno in parte giustificare l’aumento dell’intensità del fenomeno UHI attorno all’Orto Botanico. Misure sperimentali in transetto Durante il periodo luglio-agosto 2012 sono state svolte numerose sessioni di misura delle quali vengono qui sintetizzati i principali risultati. In generale le sessioni notturne hanno rilevato un andamento più regolare delle variabili rispetto a quelle diurne, grazie alle più stabili condizioni meteorologiche al contorno (minore ventosità, minore presenza di correnti d’aria ascensionali, assenza di ombreggiamenti). I risultati, in termini di temperatura b.s. dell’aria, indicano una presenza significativa del fenomeno UHI essenzialmente durante le ore notturne (3-6 °C) piuttosto che in quelle diurne (1,2-2 °C) (fig. 7). Per quanto già spiegato in precedenza, per la valutazione del fenomeno ci si riferisce ai dati misurati solamente durante il percorso di ritorno. Per quel che riguarda le sessioni notturne, l’intensità UHI minima si è registrata in una via laterale (su fondo sterrato in aperta campagna) di via Roma, percorsa solamente al termine del percorso di andata (vedi anche la successiva tab. 7). L’intensità massima del fenomeno è stata misurata invece nelle strette vie (elevato rapporto H/W, altezza media degli edifici su larghezza media della strada) del centro storico. Si può notare dalla figura 7 come, percorrendo via Guizza (una lunga strada che dal tessuto suburbano porta verso il centro cittadino), l’intensità dell’isola di calore aumenti: ciò è dovuto all’aumentare del rapporto H/W e delle superfici impermeabili, sia verticali, sia orizzontali, che si affacciano sulla strada. Il tratto successivo del percorso (via Goito) costeggia il canale San Gregorio: è evidente l’effetto di raffreddamento evaporativo dell’aria che questo consente. Alcune considerazioni possono essere fatte anche nei confronti delle misure dell’umidità dell’aria. La figura 8 illustra l’andamento dell’umidità relativa e specifica (che, a differenza della prima, non dipende dalla temperatura) durante una sessione di misura notturna. La curva evidenzia dei picchi in concomitanza con il passaggio vicino a zone del percorso caratterizzate da maggior presenza di sorgenti d’acqua (canali, fiumi, vegetazione); tuttavia è evidente la presenza di un gradiente di umidità dalla campagna verso il centro urbano (da 12,8 a 12 gv kga-1). L’effetto è ancora più marcato durante il giorno, a causa della maggior evapotraspirazione delle superfici permeabili del tessuto rurale dovuta alla presenza della radiazione solare. Si noti in figura 7 il particolare comportamento di Prato della Valle in centro città: si tratta di una famosa e caratteristica piazza, la seconda per estensione in Europa (la prima è piazza Rossa a Mosca). Come si nota anche dalla successiva tabella 8, vi è una notevole presenza di superfici erbose e flussi d’acqua: ci si potrebbe attendere per questo una diminuzione della temperatura dell’aria durante le sessioni di misura in corrispondenza del passaggio del veicolo. Viceversa si nota la presenza di un massimo (asterisco nella figura). In realtà proprio il fatto che il passaggio è avvenuto attorno alla piazza e non attraverso la stessa evidenzia come l’influenza delle superfici verdi e dell’acqua superficiale risulti essere molto localizzata. Misure sperimentali in situ Come scritto più sopra, in cinque punti caratteristici delle diverse tipologie urbane attraversate durante il percorso sono state svolte delle sessioni di misura in situ, misurando, oltre a temperatura b.s. e umidità dell’aria, velocità dell’aria e temperatura media radiante. Questi dati sono stati successivamente elaborati attraverso il modello RayMan al fine di calcolare alcuni indici di comfort termoigrometrico outdoor: il voto medio previsto (Predicted Mean Vote, PMV), la Temperatura Fisiologica Equivalente (Physiological Equivalent Temperature, PET) e la temperatura effettiva standard (Standard Effective Temperature, SET*). La tabella 3 riporta un confronto tra i tre indici al fine di rendere le successive tabelle (tab. 4 - tab. 10) più facilmente leggibili. Tab. 3. Confronto tra le diverse scale dei tre indici di comfort termoigrometrico PMV PET (°C) SET* (°C) Sensazione >3 (3,5) 41 >37,5 Molto caldo, elevato discomfort 2 – 3 (2,5) 35 34,5 – 37,5 Caldo, decisamente inaccettabile 1 – 2 (1,5) 29 30 – 34,5 Caldo, non confortevole, inaccettabile 0,5 – 1 (0,5) 23 25,6 – 30 Leggermente caldo, leggermente inaccettabile 22,2 – 25,6 Confortevole, accettabile -1 – -0,5 (-0,5) -0,5 – 0,5 18 17,5 – 22,2 Leggermente freddo, leggermente inaccettabile -2 – -1 (-1,5) 13 14,5 – 17,5 Freddo, inaccettabile -3 – -2 (-2,5) 8 10 – 14,5 Freddo, decisamente inaccettabile < -3 (-3,5) 4 <10 Molto freddo, elevato discomfort Tutti gli indici vengono calcolati sulla scorta della conoscenza della temperatura media radiante Tmr: come noto, si tratta di una grandezza che, per come è definita, rende conto degli scambi termici per radiazione che l’individuo ha con le superfici con le quali si interfaccia. RayMan è un modello di simulazione per il calcolo dei flussi termici e della Tmr (e altre variabili) compatibile con il sistema operativo Windows® in grado di analizzare tessuti urbani complessi e altri ambienti. Il modello richiede in input alcuni semplici dati meteorologici (temperatura, umidità e velocità dell’aria) per la simulazione 138 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 139 7. Intensità del fenomeno UHI rilevato durante alcune delle sessioni di misura (diurne e notturne). La linea tratteggiata verticale indica il punto (temporalmente) di inversione lungo il percorso (i nomi delle vie si riferiscono alla fig.2). L’asterisco rosso rappresenta il sito di Prato della Valle. 8. Umidità relativa (a) e specifica (b) rilevate durante una sessione di misura notturna (30/07/2012). La linea tratteggiata verticale indica il punto (temporalmente) di inversione lungo il percorso (i nomi delle vie si riferiscono alla fig. 2). 26/07/2012 27/07/2012 30/07/2012 31/07/2012 02/08/2012 09/08/2012 140 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione a b Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 141 degli scambi energetici e il calcolo degli indici di comfort prima descritti. A tal proposito, è opportuno ricordare che mentre PET e SET* sono stati specificatamente definiti per valutare il comfort termoigrometrico in ambiente esterno, l’uso del PMV in tal senso è più controverso. In questo studio l’uso del globotermometro per misurare la temperature del globo Tg è stato limitato alle sole sessioni notturne (in assenza quindi di radiazione solare). Per tale ragione gli autori hanno ritenuto utile anche l’indice PMV per la valutazione delle condizioni di comfort nei punti di misura in situ. Le tabelle 4-8 riportano i dati delle misure effettuate presso i cinque siti e le relative immagini. I siti differiscono per la tipologia di tessuto urbano, quindi per il decrescente rapporto H/W, la tipologia di superfici e il crescente SVF (Sky View Factor, fattore di vista del cielo, la frazione di volta celeste “vista” dal soggetto presente sul sito nel punto di misura). Via Rinaldi è un canyon urbano nella zona del centro storico (tab. 4). Il fondo stradale è realizzato in porfido, gli edifici con muri in mattoni intonacati e i tetti con tegole, non è presente alcun tipo di vegetazione. Il sito è caratterizzato da un valore relativamente elevato del rapporto H/W (larghezza della strada 5,5 m, altezza degli edifici compresa tra 8 e 12 m) e un basso valore dello SVF (calcolato mediante il modello RayMan). Quest’ultimo fattore ostacola il rilascio di calore notturno delle superfici verso la volta celeste, mantenendo la temperatura media radiante a valori uguali se non maggiori della temperatura dell’aria (rispettivamente attorno a 29 °C e compresa tra 28 e 29 °C). L’intensità del fenomeno UHI misurata durante le sessioni è stata sempre maggiore di 4 °C. Tali condizioni ambientali determinano, per una persona con abbigliamento estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero (80 W) una situazione di leggero stress termico (secondo gli indici PMV e PET) o di comfort (SET*). L’intensità misurata durante le sessioni diurne risulta invece molto bassa (0,4-0,8 °C), con valori che potenzialmente risultano ancora minori se misurati durante le ore mattutine, quando la radiazione solare diretta non è ancora giunta sul punto di misura (tab. 4). I siti successivamente indagati sono due zone del tessuto urbano residenziale, una ad alta densità (via Pindemonte, tab. 5) e una a bassa densità (via San Basilio, tab. 6). La prima è una via laterale di via Guizza (fig. 2), con presenza di condomini (altezza 18 m) e larghe strade (15 m); ciò determina un rapporto H/W caratteristico minore di quello di via Rinaldi. Il fondo stradale è in asfalto e vi è presenza di alberi e superfici verdi o comunque permeabili all’acqua (tab. 5). Lo SVF risulta leggermente maggiore di quello determinato per via Rinaldi, tuttavia i valori di temperatura media radiante sono ancora molto vicini a quelli della temperatura dell’aria b.s. (rispettivamente 28 e 27,2-27,7 °C). In ogni caso, i valori minori di Tmr e maggiori di velocità del vento rilevati in via Pindemonte rispetto a via Rinaldi determinano dei valori inferiori degli indici di comfort e quindi, in ultima analisi, un benessere maggiore. La zona di via San Basilio (tab. 6) è caratterizzata da prevalenza di villette mono o plurifamiliari con altezze medie di 6-8 m e larghezza della strada di 18 m; ciò determina un rapporto H/W piccolo (0,4) e, anche in virtù dell’assenza di alberi, un elevato valore di SVF (0,75). Ciò giustifica il fatto che Tmr è sempre inferiore (di 0,5-1 °C) alla temperatura b.s., determinando valori di PMV e PET di pieno comfort; in ogni caso l’intensità dell’isola di calore misurata durante le sessioni notturne è stata rilevante (3-5 °C). Al contrario, durante le sessioni diurne l’effetto è praticamente trascurabile. Il quarto sito di misura è una stradina laterale di via Roma, con fondo sterrato, che porta in aperta campagna (tab. 7, fig. 2). In tale contesto, in assenza di ostacoli, il fattore di vista del cielo è massimo e la Tmr è decisamente minore della temperatura dell’aria misurata (2-3 °C). Ciò è determinato sia dall’elevato raffreddamento che la superficie agricola, di notte, può avere verso la volta celeste, sia dalle caratteristiche termofisiche della superficie stessa (maggiore emissività, minore inerzia termica e maggiore capacità di accumulo idrico rispetto alle superfici impermeabili tipiche dei tessuti urbani precedentemente descritti), caratteristiche che ne determinano una minore temperatura superficiale. 142 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Tab. 4. Valori sperimentali ottenuti durante le sessioni di misura in situ in via Rinaldi (centro storico, vedi anche fig. 2). La “X” si riferisce al punto di misura. Gli indici di comfort si riferiscono a un individuo con abbigliamento estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero (80 W sopra il metabolismo basale) Via Rinaldi (H/W = 1,8 - SVF = 0,18) Data 27 luglio 30 luglio 31 luglio 2 agosto 9 agosto Ora 21:53 21:28 21:49 16:01 16:11 Temperatura (°C) 29,1 27,9 28,0 34,5 31,7 Intensità UHI (°C) 4,2 4,5 5,5 0,8 0,4 Umidità relativa (%) 57,1 45,6 41,9 33,4 33,1 Umidità specifica (gv kga-1) 14,5 10,7 9,9 11,4 9,7 0,3 0,2 0,2 0,9 0,5 T media radiante (°C) 28,7 29,0 28,9 PMV 1,4 1,2 1,2 PET (°C) 28,8 28,3 28,2 SET* (°C) 23,1 23,1 23,0 622 182 Velocità del vento (m/s-1) Radiaz. glob. orizz. (W m-2) (Fonte: Google Earth - RayMan) Tab. 5. Valori sperimentali ottenuti durante le sessioni di misura in situ in via Pindemonte (vedi anche fig. 2). La “X” si riferisce al punto di misura. Gli indici di comfort si riferiscono ad un individuo con abbigliamento estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero (80 W sopra il metabolismo basale) Via Pindemonte (H/W = 1,2 - SVF = 0,29) Data 27 luglio 30 luglio 2 agosto Ora 22:37 22:09 16:28 Temperatura (°C) 27,7 27,2 34,2 Intensità UHI (°C) 4,2 4,8 0,8 Umidità relativa (%) 56,6 50,6 33,0 Umidità specifica (gv kga-1) 13,2 11,4 11,2 0,6 0,3 2,1 T media radiante (°C) 28,2 27,9 Velocità del vento (m/s-1) PMV 0,9 0,9 PET (°C) 26,8 27.0 SET* (°C) 21,1 21,7 Radiaz. glob. orizz. (W m-2) 548 (Fonte: Google Earth - RayMan) Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 143 Tab. 6. Valori sperimentali ottenuti durante le sessioni di misura in situ in via San Basilio (vedi anche fig. 2). La “X” si riferisce al punto di misura. Gli indici di comfort si riferiscono a un individuo con abbigliamento estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero (80 W sopra il metabolismo basale) Tab. 8. Valori misurati in Prato della Valle (le dimensioni dell’ellisse sono 180 × 230 m, vedi anche fig. 2). Gli indici di comfort si riferiscono ad un individuo con abbigliamento estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero (80 W sopra il metabolismo basale) Via San Basilio (H/W = 0.4 - SVF = 0.75) Prato della Valle Data 27 luglio 30 luglio 9 agosto Ora 22:59 23:06 16:57 Temperatura (°C) 26,4 25,9 31,5 Pos. 1 Pos. 2 Pos. 3 Pos. 4 Pos. 5 Pos. 6 Data 2 ago 2 ago 2 ago 2 ago 2 ago 2 ago Ora 21:53 22:03 22:14 22:25 22:35 22:44 Intensità UHI (°C) 3,1 4,8 0,3 Temperatura (°C) 28,4 28,4 28,1 27,0 26,9 27,4 Umidità relativa (%) 65,2 58,7 33,2 Intensità UHI (°C) 3,2 3,9 4,3 3,8 3,7 4,7 14,1 12,3 9,6 Umidità relativa (%) 48,0 48,2 49,1 52,9 53,5 51,5 0,3 0,4 0,8 Umidità specifica (gv kga-1) 11,6 11,7 11,7 11,8 11,8 11,7 0,8 0,8 0,8 0,8 0,7 0,7 T media radiante (°C) 26,5 27,4 25,2 20,1 22,2 24,8 -1) Umidità specifica (gv kga Velocità del vento (m s-1) T media radiante (°C) 25,8 Velocità del vento 24,8 (m/s-1) PMV 0,6 0,3 PET (°C) 25,7 24,4 PMV 0,8 0,8 0,6 0,0 0,1 0,5 19,2 PET (°C) 26,1 26,5 25,3 22,5 23,3 24,7 SET* (°C) 20,1 20,5 19,3 16,5 17,6 19,0 SET* (°C) 20,5 Radiaz. glob. orizz. (W m-2) 432 (Fonte: Google Earth - RayMan) (Fonte: Google Earth) Tab. 7. Valori sperimentali ottenuti durante le sessioni di misura in situ in una laterale di via Roma, con fondo sterrato (vedi anche fig. 2). La “X” si riferisce al punto di misura. Gli indici di comfort si riferiscono a un individuo con abbigliamento estivo (0,5 clo) e livello di attività leggero (80 W sopra il metabolismo basale) Infine sono state svolte alcune sessioni di misura in Prato della Valle. La piazza, di forma ellittica, è caratterizzata da una zona centrale con superficie erbosa delimitata da un canale d’acqua decorato da numerose statue circondata all’esterno da una cintura stradale in asfalto. Al centro si nota la presenza di una fontana (tab. 8). Data la notevole ampiezza del sito, sono stati individuati sei punti di misura con caratteristiche diverse. I risultati sperimentali indicano una differenza di temperatura di 0,5-1 °C tra la posizione 4 (sull’erba) e quelle più esterne (con fondo asfaltato) vicine alle strade (posizioni 1, 2, 3, 6). È interessante rilevare come, tra gli stessi punti, la differenza in termini di temperatura media radiante sia molto maggiore (fino a 7 °C); questo a causa delle diverse caratteristiche della superficie (emissività, inerzia termica e capacità di accumulo idrico) e dello SVF (maggiore) nella posizione 4 (al centro) rispetto a quelle esterne. I valori degli indici di comfort calcolati riflettono queste considerazioni: PMV e PET indicano una situazione neutrale (comfort) nel punto 4 e di leggero caldo nelle posizioni esterne. Un’ulteriore interessante considerazione può essere fatta confrontando le posizioni 4 e 5: la prima si trova su manto erboso, la seconda su fondo sterrato vicino alla fontana. Nonostante questa diversità, la temperatura dell’aria rilevata è sostanzialmente la stessa (27 °C): ciò è dovuto a una minor temperatura media radiante per la posizione 4 e all’effetto di raffreddamento evaporativo dovuto all’acqua della fontana per la posizione 5. Infine le sessioni di misura diurne hanno confermato il ridotto valore dell’intensità dell’isola di calore, sempre inferiore al grado celsius. Via Roma (SVF ≈ 1) Data 30 luglio 31 luglio 2 agosto Ora 22:46 22:52 16:53 Temperatura (°C) 21,4 22,9 33,6 Intensità UHI (°C) 0,5 0,4 0,8 80,8 61,2 35,8 13,0 10,7 11,6 0,0 0,2 2,4 T media radiante (°C) 18,4 20,6 PMV -0.5 -0,4 PET (°C) 21,6 21,4 SET* (°C) 15,8 17 Umidità relativa (%) -1) Umidità specifica (gv kga Velocità del vento (m s-1) Radiaz. glob. orizz. (W m-2) 502 (Fonte: Google Earth) Conclusioni L’attività sperimentale si è basata sia sull’analisi di dati forniti da stazioni meteorologiche fisse sia su misure realizzate dagli autori con modalità “in transetto”. L’analisi dei primi ha evidenziato la presenza del fenomeno soprattutto durante le ore notturne; per cercare di indagare con qualche dettaglio ulteriore la situazione è stata svolta una campagna di misure sperimentali con transetto mobile durante l’estate 2012. I dati rilevati sono stati confrontati con quelli misurati, negli stessi intervalli di tempo, dalla stazione meterologica ARPAV di Legnaro (situata in ambiente rurale) ARPAV, 144 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 145 determinando il valore dell’intensità del fenomeno. Sono stati ottenuti valori fino a 7 °C di intensità durante le sessioni di misura notturne (21-24), mentre il fenomeno è risultato molto ridotto o praticamente assente (0-2 °C) durante le ore pomeridiane (15-18). Il fenomeno si è manifestato molto intenso nel centro storico della città, dove le strade percorse sono caratterizzate da un elevato rapporto H/W, valori ridotti di SVF e assenza di superfici verdi o permeabili; d’altro canto nelle aree residenziali l’intensità del fenomeno è mediamente minore e diminuisce muovendosi da zone più densamente popolate (via Pindemonte) verso zone meno densamente popolate (via San Basilio). Le ragioni di ciò vanno ricercate in maggiori SVF, minori rapporti H/W e maggiori percentuali di superfici verdi. Durante le misure in transetto è stato misurato anche l’effetto di riduzione dell’intensità UHI dato da superfici d’acqua (ad es. in via Goito). Per indagare ulteriormente il fenomeno sono state effettuate delle misure in situ in alcuni ambiti caratteristici dei diversi tessuti urbani, misurando anche la temperatura media radiante. Attraverso l’utilizzo del modello di calcolo RayMan sono stati poi valutati anche i valori degli indici di comfort. I risultati indicano un’elevata diversificazione in funzione delle caratteristiche del sito (SVF, rapporto H/W, tipo di superfici) in ragione dell’incidenza di queste sugli scambi termici tra le superfici (costruite, verdi, corpo umano, volta celeste) e l’aria. In Prato della Valle tutte queste considerazioni trovano un’utile sintesi: intensità dell’isola di calore, temperatura media radiante e indici di comfort variano sensibilmente tra la parte interna dell’ellisse (sull’erba / vicino al canale) e quella esterna (su asfalto / vicino a strade ed edifici). Un’ulteriore fase di indagine è stata svolta poi utilizzando due modelli di calcolo per valutare l’effetto di possibili azioni di mitigazione del fenomeno. La valutazione ha riguardato sia l’intensità UHI sia i valori di Tmr e indici di comfort, mentre le strategie testate hanno riguardato modifiche di tipo topologico (altezze edifici, larghezze strade) ma non solo (modifica del tipo o caratteristiche delle superfici, presenza di alberi / superfici d’acqua ecc.). Questi primi risultati suggeriscono l’utilità di un approfondimento dello studio del fenomeno al fine di poter fornire al pianificatore urbanistico delle utili indicazioni per l’attività di pianificazione del territorio. Bruse, M. - Fleer, H. (1998), “Simulating Surface-plant Air Interactions inside Urban Environments with a Three Dimensional Numerical Model”. Environ Modell Softw, 13: 373-384. Bueno, B. - Norford, L. - Pigeon, G. - Britter, R. (2012), “A Resistance-capacitance Network Model for the Analysis of the Interactions between the Energy Performance of Buildings and the Urban Climate”. Build Environ, 54: 116-125. Busato, F. - Lazzarin, R. - Noro, M. 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Int. J. Biometeorol., 43: 71-75. Riconoscimenti Le considerazioni qui riportate sono state sviluppate nell’ambito del Progetto UHI implementato attraverso il programma Central Europe e co-finanziato da European Regional Development Fund (grant number 3CE292P3). Gli Autori ringraziano il Dott. Ingegnere Pierpaolo Campostrini e il Dott. Matteo Morgantin (CORILA) per il supporto, ARPAV ed il Dott. Matteo Sottana per l’utilizzo e l’analisi dei dati meteorologici. Imhoff, M.L. - Zhang, P. - Wolfe, R.E. - Bounoua, L. (2010), “Remote Sensing of the Urban Heat Island Effect across Biomes in the Continental USA”. Remote Sens Environ, 114(3): 504-513. Jendritzky, G. - Menz, H. - Schirmer, H. - Schmidt-Kessen, W. (1990), “Methodik zur raumbezogenen Bewertung der thermischen Komponente im Bioklima des Menschen (Fortgeschriebenes KlimaMichelModell)”. Hannover: Akademie für Raumforschung und Landesplanung, Beiträge 114. Riferimenti bibliografici Jendritzky, G. - Nubler W. 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In questo senso un approccio integrato di mitigazione e adattamento rappresenta l’unica possibilità di ridurre l’impatto dei cambiamenti climatici e di trasformare una minaccia in un’opportunità per uno sviluppo territoriale sostenibile non solo in termini climatici ma anche economici e sociali. Le azioni di riduzione dell’effetto dell’isola di calore rappresentano a questo proposito un esempio emblematico di un’azione che si inserisce sia nella prospettiva dell’adattamento ai cambiamenti climatici che della loro mitigazione. Ridurre le condizioni di disagio bioclimatico in ambito urbano comporta non solo la capacità di innovare in termini di utilizzo di materiali e di tecniche costruttive, ma anche di modificare strutture economiche e sociali, assicurando nel tempo qualità della vita e dell’ambiente. In questo capitolo si vuole dare un quadro della rilevanza del fenomeno dell’isola di calore in relazione ai cambiamenti climatici e illustrare le potenzialità degli interventi di pianificazione urbana. L’isola di calore urbana è sicuramente il più noto degli effetti dell’urbanizzazione sul clima locale. Per dare l’ordine di grandezza dell’intensità dell’isola di calore la figura 1 riporta l’andamento della temperatura nell’arco di una tipica giornata estiva in tre aree urbane europee (Vienna, Varsavia e Modena) e nelle corrispondenti aree rurali. Come si può vedere, l’effetto dell’isola di calore, pur presentando analogie qualitative tra gli andamenti, evidenzia anche marcate differenze Le analogie derivano ovviamente dai meccanismi fisici di base. Nelle ore notturne le aree rurali si raffreddano per irraggiamento e lo strato superficiale si stabilizza sviluppando un’inversione termica, mentre le aree urbane, a causa del calore accumulato e dell’ostacolo al flusso dell’aria rappresentato dagli edifici, conservano una turbolenza residua che attenua o annulla la stabilità atmosferica degli strati più bassi. Questo comporta che se nelle aree rurali l’inversione termica si sviluppa subito dopo il tramonto a partire dalla superficie, in quelle urbane l’inversione si manifesta solo alcune ore dopo il tramonto. L’effetto di questi meccanismi di base è però perturbato dalle differenze delle caratteristiche delle città tanto che, per esempio, il segno della differenza di temperatura tra area urbana e area rurale risulta sempre positivo nella città di Varsavia, ma negativo in alcune ore del giorno nelle città di Modena e di Vienna (fig. 1). Per comprendere l’impatto che può avere un’area urbana sul clima locale occorre conoscere quindi in profondità sia i meccanismi fisici di base dello strato limite atmosferico, sia le caratteristiche dell’area urbana considerata. Superfici impermeabili, scarsa vegetazione, consumi energetici e la geometria della struttura urbana impattano in maniera significativa sulla sua entità e sulla sua evoluzione temporale. Le figure 2 e 3 evidenziano le diversità geografiche nella relazione tra l’entità dell’isola di calore e alcune caratteristiche che è possibile associare a ogni ambito urbano. La figura 2 mostra il legame tra isola di calore e popolazione residente mentre la figura 3 analizza il fenomeno in relazione alla densità di popolazione, un parametro strettamente legato alla struttura urbanistica della città. 149 1. Andamento temporale nell’arco di una giornata estiva tipica della temperatura (potenziale) nelle aree urbane di Vienna, Varsavia e Modena e nelle corrispondenti aree rurali. VIENNA urban VIENNA rural 2. Relazione tra l’intensità dell’isola di calore urbana e la popolazione in diverse aree geografiche (da Chow - Roth, 2006). MODENA urban 0 [°C] 3. Relazione tra l’intensità dell’isola di calore urbana e la densità di popolazione per aree geografiche WARSAW urban (da Spencer, 2010). MODENA rural WARSAW rural TIME USA vs. non-US 150 station pairs UHIMAX (°C) UHI Warming (deg. C) North America cities European cities Tropical hot/dry cities Tropical hot/wet cities population (long scale) 150 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione population density (persons per sq. km) Questa figura evidenzia come la densità demografica, pur essendo un parametro più appropriato rispetto alla semplice popolazione per l’analisi del fenomeno dell’isola di calore, non sia sufficiente a trovare una relazione universalmente valida. Il fenomeno dell’isola di calore è infatti multifattoriale e per essere modellizzato richiede l’analisi dell’effetto sinergico di svariati fattori tra cui la meteorologia del luogo, lo Sky View Factor, la tipologia dei materiali presenti nell’area urbana, la quantità e la distribuzione delle aree verdi, la geometria degli edifici. (figg. 2, 3) Presupposto informativo delle analisi climatologiche del progetto UHI sono stati l’ultimo rapporto IPCC AR5 (2013) e il Rapporto speciale dell’IPCC sulla gestione dei rischi legati agli eventi estremi per migliorare l’adattamento ai cambiamenti climatici (SREX - Special Report on Managing the Risks of Extreme Events to Advance Climate Change Adaptation, 2012). I risultati hanno evidenziato il notevole aumento negli ultimi decenni degli eventi estremi sia di temperatura che di precipitazione e la rilevanza dell’influenza umana sul sistema climatico. Gli studi globali e regionali focalizzati sull’analisi delle serie storiche osservate evidenziano infatti un aumento delle temperature minime e massime giornaliere. In Europa nell’ultimo secolo la frequenza delle ondate di calore è aumentata, così come è diminuita la frequenza degli eventi relativi alle basse temperature (Meehle e Tebaldi, 2004). Segnali simili sono stati osservati negli studi a scala nazionale (Torreti e Desiato, 2010) e regionale (Tomozeiu et al., 2006). Volendo esemplificare rispetto all’area di Modena-Bologna, una della aree di studio del progetto UHI, l’andamento della temperatura nel periodo 1951-2011 mostra una tendenza statisticamente significativa all’aumento, con un segnale più intenso dopo gli anni Novanta, quando le anomalie annue hanno raggiunto picchi di 2,5 °C. Questo aumento è presente in tutte le stagioni seppur con trend più evidenti per la temperatura minima invernale e per la massima estiva. Un altro indicatore che mostra una rilevante variazione in ambito urbano è la durata delle ondate di calore (intese come periodi prolungati di caldo superiore al novantesimo percentile delle medie climatologiche). L’analisi della variabilità climatica sul periodo 1951-2011 mostra una tendenza all’aumento particolarmente evidente in estate. Come già detto, l’effetto dei cambiamenti climatici va a sovrapporsi a quello legato al fenomeno dell’isola di calore, accentuando le condizioni di disagio all’interno delle aree urbane. Di seguito viene mostrata un’analisi del fenomeno dell’isola di calore e della sua evoluzione nel corso degli anni sulla base di un confronto delle serie temporali dei dati di temperatura raccolti in una stazione posizionata all’interno dell’area urbana di Modena e un’altra in area rurale a circa 30 km di distanza. L’analisi evidenzia, come atteso, che le temperature minime nell’area urbana sono significativamente più elevate rispetto a quelle dell’area rurale, con differenze generalmente maggiori in primavera e in estate (con valori che raggiungono i 6 °C). Se è vero che si evidenziano rilevanti trend di segno positivo per la temperatura, è anche vero che questi segnali sono diversi fra l’area urbana e quella rurale, con i valori urbani che mostrano gli incrementi maggiori. A questo proposito sono stati analizzati anche i trend di lungo periodo per due indici largamente utilizzati in letteratura per caratterizzare l’evoluzione del clima locale: l’Heating Degree Days (HDD) e il Cooling Degree Days (CDD). Questi indici sono legati rispettivamente alla quantità di energia richiesta in inverno per riscaldare adeguatamente gli ambienti e in estate per rinfrescarli. In altre parole, questi parametri rappresentano l’accumulo delle differenze della temperatura in difetto (HDD) o in eccesso (CDD) rispetto a prefissate soglie. Le figure 4 e 5 mettono in evidenza un rilevante trend in diminuzione per le serie annuali di HDD, sia nell’area rurale che in quella urbana, dove esso risulta sensibilmente più marcato. Un comportamento di segno opposto si riscontra per il CDD, con un trend più marcato nell’area urbana, analogamente a quanto evidenziato per l’HDD. (figg. 4, 5) Quindi cosa ci possiamo aspettare in relazione alle variazioni del regime termico nel prossimo futuro? Non è facile fare previsioni sull’evoluzione del clima nelle aree urbane. Per fare questo occorrerebbe poter disporre di dati relativi non solo alle proiezioni climatiche, ma anche delle caratteristiStrumenti e indici per la descrizione dell’uhi 151 Proiezioni di cambiamento climatico della temperatura massima stagionale (ensemble mean EM): Inverno (DJF), primavera (MAM), estate (JJA), autunno (SON) Bologna; Scenario A1B, periodo 2021: 2050-1961: 1990 CDD urbano Cooling Degree Days [°C] CDD rurale EM_djf 2021-2050 EM_mam 2021-2050 EM_jja 2021-2050 EM_son_2021-2050 Climate_djf 1961-1990 Climate_mam 1961-1990 Climate_jja 1961-1990 Climate_son_ 1961-1990 CDD urbano CDD rurale HWD (giorni consecutivi) Cooling Degree Days [°C] Scenario di cambiamento climatico onde di calore - Bologna 2021-2050; 2071-2099 e il clima attuale (1961-1990) 4. Andamento a lungo termine dell’indicatore “HDD” (Heating Degree Days) nelle stazioni urbana e rurale. 5. Andamento a lungo termine dell’indicatore “CDD” (Cooling Degree Days) nelle stazioni urbana e rurale. 152 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione 6. Scenari di cambiamento climatico della temperatura massima a Bologna; periodo 2021-2050, scenario emissivo A1B. clima 1961-1990 hwd_2021-2050 hwd_2071_2099 7. Valori osservati e scenari futuri per la durata delle ondate di calore stagionali (Heat Wave Duration - HWD). Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 153 che socio-economiche e urbanistiche delle città. Quello che si può fare è quindi limitarsi a simulare scenari climatici. In questo ambito i modelli di circolazione generale dell’atmosfera e dell’oceano (AOGCM) costituiscono i principali strumenti per la valutazione dei cambiamenti climatici futuri su varie scale spaziali e temporali. L’affidabilità di tali modelli è notevolmente migliorata negli ultimi decenni come suggerisce, per esempio, l’aumento della risoluzione spaziale da circa 500 km (nel 1980) agli attuali 100 km. Nonostante questo incremento della risoluzione, sicuramente notevole, i modelli globali non sono ancora adeguati per rappresentare i fenomeni climatici a scala locale. Per incrementare la risoluzione spaziale e tenere conto anche degli effetti locali, negli ultimi anni sono state sviluppate diverse tecniche di “regionalizzazione” (downscaling) di tipo deterministico e di tipo statistico. Queste tecniche sono state applicate anche all’interno del progetto UHI per l’area ModenaBologna da ARPA-SIMC (Tomozeiu et al., 2013). La figura 5 presenta, come esempio, gli scenari di cambiamento climatico della temperatura massima stagionale a Bologna. Le proiezioni sono state elaborate per i periodi 2012-2050 e 2071-2099 sotto l’ipotesi di scenario di emissione A1B (uno degli scenari di medio impatto) e utilizzando come riferimento il periodo 1961-1990. Gli scenari futuri mostrano per il periodo 2021-2050 un probabile incremento medio delle temperature minime e massime stagionali di circa 2 °C. Come si può notare tutte le curve di distribuzione delle temperature massime stagionali sono spostate verso valori più caldi, con un incremento maggiore durante l’estate (circa 2,5 °C in media). (fig. 6) Nella seconda metà del secolo (periodo 2071-2099) questa tendenza è destinata ad accentuarsi con anomalie medie di 5,5 °C nel periodo estivo e di 3-4 °C nelle altre stagioni. Questo porterà, ovviamente, a un conseguente aumento anche degli eventi estremi di temperatura e della durata delle ondate di calore (HWD). La durata media delle ondate di calore è prevista infatti in aumento da un valore pari a 3 giorni a nel periodo 1961-1990 a un valore di 10 giorni consecutivi verso fine secolo. (fig. 7) Questi risultati sottolineano l’urgenza e l’importanza dell’adozione nel prossimo futuro di azioni di mitigazione del fenomeno dell’isola di calore urbano allo scopo di limitare il progressivo aumento delle condizioni di disagio bioclimatico dovuto ai cambiamenti del clima. A questo scopo, per ottimizzare gli interventi, sarà determinante il progresso nelle conoscenze nella mappatura delle condizioni di disagio all’interno delle aree urbane, nella pianificazione urbana ecosostenibile, nelle strategie di riduzione della vulnerabilità idrogeologica, nella simulazione dell’impatto bioclimatico delle modifiche urbanistiche, nella progettazione del verde urbano multifunzionale. Questi interventi dovranno poi associarsi a imprescindibili azioni di adattamento che includano un’adeguata evoluzione dei sistemi di allerta unitamente alla trasformazione dei servizi socio-sanitari di prevenzione e assistenza. 154 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Riferimenti bibliografici IPCC (2012), “Managing the Risks of Extreme Events and Disasters to Advance Climate Change Adaptation”, A Special Report of Working Groups I and II of the Intergovernmental Panel on Climate Change, eds C.B. Field V. Barros - T.F. Stocker - D. Qin - D.J. Dokken - K.L. Ebi - M.D. Mastrandrea - K.J. Mach - G.-K. Plattner S.K. Allen - M. Tignor - P.M. Midgley. Cambridge - New York: Cambridge University Press, 582. IPCC (2013). “Summary for Policymakers”. In Climate Change 2013: The Physical Science Basis, Contribution of Working Group I to the Fifth Assessment Report of the Intergovernmental Panel on Climate Change, eds T.F. Stocker - D. Qin - G.K. Plattner - M. Tignor - S.K. Allen - J. Boschung - A. Nauels - Y. Xia - V. Bex P.M. Midgley. Cambridge - New York: Cambridge University Press. Meehl, G.A. - Tebaldi, C. (2004), “More Intense, More Frequent, and Longer Lasting Heat Waves in the 21st Century”. Science, 305 (5686): 994-997. http://dx.doi.org/10.1126/science.1098704. Tomozeiu, R. - Agrillo, G. - Cacciamani, C. - Pavan, V. (2013), “Statistically Downscaled Climate Change Projections of Surface Temperature over Northern Italy for the Periods 2021-2050 and 2070-2099”. Natural Hazards. DOI 10.1007/s11069-013-0552-y. Tomozeiu, R. - Pavan, V. - Cacciamani, C. - Amici, M. (2006), “Observed Temperature Changes in EmiliaRomagna: Mean Values and Extremes”. Climate Research, 31: 217-225. Toreti, A. - Desiato, F. - Fioravanti, G. - Perconti, W. (2010), “Seasonal Temperatures over Italy and their Relationship with Low-frequency Atmospheric Circulation Patterns”. Climatic Change, 99: 211-227. Strumenti e indici per la descrizione dell’uhi 155 2. uhi e ambiente urbano: cause ed effetti 2.1.Efficienza energetica e qualità dell’ambiente Francesca Cappelletti, Fabio Peron, Ugo Mazzali, Alessandro Righi, Piercarlo Romagnoni Introduzione Non è difficile associare alla parola energia l’idea di funzionamento di una macchina o di produzione di calore. Per cercare di comprendere bene l’importanza che l’energia assume nella nostra società occorre ricordare come la sua capacità di trasformarsi da una forma (calore, per esempio) a un’altra (movimento di un’automobile, per esempio) sia di fatto la caratteristica che definisce la sua essenza. Infatti dal punto di vista fisico e storico, il primo a fornire una qualche definizione di tale termine fu Hermann Von Helmholtz, medico, fisiologo e fisico tedesco, che evidenziò come «[...] energia è qualunque entità che possa convertirsi da una forma ad un’altra [...]» (Über die Erhaltung der Kraft, 1847). Per chi opera nei settori della progettazione edilizia, della pianificazione ambientale, della produzione industriale, l’uso dell’energia è una necessità e la sua trasformabilità deve essere caratterizzabile in modo efficiente così da consentirne un uso economico. Ma, dalla rivoluzione industriale in poi, l’uso dell’energia nelle diverse sue forme e le sue trasformazioni hanno avuto implicazioni evidenti a carattere ambientale. La prima conseguenza di un uso efficiente dell’energia si ha certamente in una migliore qualità ambientale come diretta risultante di minori emissioni di CO2 e di altri gas climalteranti (effetto serra) e inquinanti. L’uso intensivo di alcuni materiali (petrolio, gas naturale ecc.) per produrre energia ha inoltre evidenziato il possibile esaurimento di tali risorse nel giro di pochi anni e quindi la necessità di provvedere a contingentarne l’uso e, da un punto di vista tecnico, rendere più efficiente la trasformabilità dell’energia. Vi è quindi anche un aspetto etico che non va trascurato: un controllo dei consumi significa anche un controllo delle risorse e quindi cercare di soddisfare le giuste esigenze delle generazioni attuali senza compromettere quelle delle generazioni future. È proprio ciò che è stato evidenziato nel Report of the World Commission on Environment and Development (Rapporto Brundtland, 1987) con la definizione di sostenibilità. Essa è forse un po’ generica, ma è possibile cercare di renderla un po’ più pratica specie in quei settori economici per i quali il risparmio di energia risulta essere una questione cruciale: nel settore delle costruzioni (uso “civile” dell’energia per riscaldare, raffrescare, ventilare gli ambienti occupati dall’uomo come residenze e uffici) la questione è ampiamente dibattuta. Si tratta in questo caso di «sviluppare un sistema di progettazione controllato e strutturato attraverso l’integrazione di saperi diversi, in modo da fornire un prodotto in grado di soddisfare le esigenze dell’utente (qualità dell’ambiente interno) con un impegno minimo di risorse naturali sia in fase di costruzione che di esercizio e con un significativo contenimento degli impatti ambientali» (Filippi, 2010). È opportuno sottolineare che “impegno minimo di risorse naturali” può significare usare le risorse in modo “rinnovabile”, ovvero impiegando le stesse risorse senza che queste vengano meno così come, da alcuni anni ormai, si sta facendo utilizzando sole, vento, acqua e biomasse per produrre energia. 157 Le direttive dell’Unione Europea L’Unione Europea ha indicato come obiettivo da conseguire entro il 2020 il raggiungimento della quota del 20% per l’energia prodotta da fonti rinnovabili; tale obiettivo sarebbe appropriato e raggiungibile oltre a consentire di creare la stabilità a lungo termine di cui le imprese hanno bisogno per effettuare investimenti razionali e sostenibili oltre a essere in grado di ridurre la dipendenza dai combustibili fossili di importazione e di incrementare l’utilizzo delle nuove tecnologie energetiche. La traduzione di tali indicazioni si trova in alcune importanti direttive europee: la Direttiva 28/2009/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, la Direttiva 31/2010/CE sulla prestazione energetica nell’edilizia (recast della Direttiva EPBD 2002/91/CE) e la Direttiva 27/2012/ CE sull’efficienza energetica. Tali direttive forniscono a tutti gli effetti delle linee guida su quali sistemi di produzione energetica e su quali tecnologie gli stati membri, mediante una legislazione opportuna, debbano puntare per un uso corretto ed efficiente dell’energia. Inoltre gli stati membri sono incoraggiati a spingere le autorità locali e regionali a fissare obiettivi superiori a quelli nazionali e a coinvolgerle nell’elaborazione di piani d’azione nazionali e nel varo di iniziative di sensibilizzazione del pubblico sui vantaggi dell’energia, ad esempio su quella da fonti rinnovabili. La Direttiva 28/2009/CE definisce come “energia da fonti rinnovabili” l’energia proveniente da fonti rinnovabili non fossili, vale a dire energia eolica, solare, aerotermica, geotermica, idrotermica e oceanica, idraulica, biomassa, gas di discarica, gas residuati dai processi di depurazione e biogas. La stessa direttiva ricorda come alcune tecnologie adottabili per la trasformazione energetica quali le pompe di calore, che permettono l’utilizzo del calore aerotermico, geotermico o idrotermico a un livello di temperatura utile, abbiano bisogno di elettricità o di altra energia ausiliaria per funzionare. L’energia utilizzata per attivare le pompe di calore dovrebbe quindi essere dedotta dal calore utilizzabile totale e se ne propone la valutazione (Allegato VII). La Direttiva 31/2010/CE stabilisce che per gli edifici di nuova costruzione gli stati membri garantiscano che, prima dell’inizio dei lavori di costruzione, sia valutata e tenuta presente la fattibilità tecnica, ambientale ed economica di sistemi di produzione dell’energia alternativi ad alta efficienza come quelli indicati di seguito, se disponibili: a) sistemi di fornitura energetica decentrati basati su energia da fonti rinnovabili; b)cogenerazione; c) teleriscaldamento o teleraffrescamento urbano o collettivo, in particolare se basato interamente o parzialmente su energia da fonti rinnovabili; d) pompe di calore. Sempre la medesima direttiva impone agli stati membri l’adozione di misure necessarie per garantire che la prestazione energetica degli edifici o di loro parti destinati a subire ristrutturazioni importanti sia migliorata al fine di soddisfare i requisiti minimi di prestazione energetica fissati, per quanto tecnicamente, funzionalmente ed economicamente fattibile. Gli stati membri adottano inoltre le misure necessarie per garantire che la prestazione energetica degli elementi edilizi che fanno parte e hanno un impatto significativo sulla prestazione energetica dell’involucro dell’edificio, destinati a essere sostituiti o rinnovati, soddisfi i requisiti minimi di prestazione energetica per quanto tecnicamente, funzionalmente ed economicamente fattibile. Nel caso di ristrutturazioni, si deve porre attenzione al fatto che agli stati membri è richiesto che il calcolo del livello ottimale di prestazione energetica che comporta il costo più basso durante il ciclo di vita economico stimato sia effettuato in funzione dei costi avvalendosi del quadro metodologico comparativo stabilito conformemente ai parametri quali le condizioni climatiche e l’accessibilità pratica delle infrastrutture energetiche. Non è quindi sufficiente stabilire dei requisiti minimi a priori, ma deve essere effettuata una valutazione pesata tramite i costi degli interventi programmati in funzione della vita utile del sistema fabbricato (edificio-impianto). 158 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Nella direttiva si definiscono inoltre gli “edifici a energia quasi zero”, ovvero edifici ad altissima prestazione energetica, determinata conformemente all’Allegato I della Direttiva. Il fabbisogno energetico molto basso o quasi nullo dovrebbe essere coperto in misura molto significativa da energia da fonti rinnovabili, compresa quella da fonti rinnovabili prodotta in loco o nelle vicinanze. Tali edifici dovrebbero essere lo standard delle nuove costruzioni entro il 31 dicembre 2020 (31 dicembre 2018, per gli edifici pubblici). La Direttiva Europea 2012/27/UE delinea un quadro normativo finalizzato a «rimuovere gli ostacoli sul mercato dell’energia e a superare le carenze del mercato che frenano l’efficienza nella fornitura e nell’uso dell’energia e prevede la fissazione di obiettivi nazionali indicativi in materia di efficienza energetica», coerentemente con l’obiettivo al 2020 di una riduzione dei consumi energetici del 20% grazie all’efficienza energetica, al quale corrisponde un consumo complessivo dell’Unione pari a 1.483 Mtep di energia primaria al 2020. Per ottenere tale obiettivo è necessario aumentare il tasso delle ristrutturazioni di immobili, in quanto il parco immobiliare esistente rappresenta il settore individuale con le maggiori potenzialità di risparmio energetico. La Pubblica Amministrazione dovrà ricoprire un ruolo esemplare, assicurando che «dal 1 gennaio 2014 il 3% della superficie coperta utile totale degli edifici riscaldati e/o raffreddati di proprietà del governo centrale e da esso occupati sia ristrutturata ogni anno». A tale proposito viene individuato lo strumento dell’audit energetico per permettere all’utente finale, tramite l’intervento di professionisti accreditati, di poter definire al meglio gli interventi di miglioria. Le Direttive Europee ribadiscono quindi come termine chiave per i settori produttivi, per le costruzioni e le ristrutturazioni edili l’uso efficiente dell’energia. Tale termine deve essere inteso sia come risparmio (minori consumi o addirittura produzione energetica da parte di edifici, come in parte avviene già oggi), che come efficienza degli impianti; infine un ruolo determinante riveste l’utilizzo e/o l’integrazione di sistemi di produzione energetica che sfruttino fonti rinnovabili. L’Allegato I della Direttiva 31/2010/CE, citato nella definizione di edificio a energia quasi zero, rammenta quali aspetti di una costruzione debbano essere valutati nella determinazione dei consumi energetici di un edificio sia per il riscaldamento che per il raffrescamento: le proprietà dell’involucro edilizio (isolamento, capacità termica, definizione dei ponti termici, caratteristiche dei sistemi vetrati, sistemi passivi) e quelle degli impianti di condizionamento, illuminazione, produzione di acqua calda. La legislazione nazionale e le sue conseguenze L’Italia ha ovviamente allineato la propria legislazione alle richieste europee e i provvedimenti presi sono volti anche a una maggiore responsabilizzazione dell’utente finale. Senza voler essere esaustivi, nel seguito si cercheranno di individuare le indicazioni che maggiormente denotano un cambio di marcia nel settore dell’efficientamento energetico italiano. Una prima sfida per i progettisti è certamente la capacità di integrare nell’edificio la produzione da energie rinnovabili. Il D.Lgs. 28/2011, con cui il nostro paese attua la Direttiva 2009/28/CE, nell’Allegato 3, afferma che nel caso di edifici nuovi o sottoposti a ristrutturazioni rilevanti, gli impianti di produzione di energia termica devono essere progettati e realizzati in modo da garantire il contemporaneo rispetto della copertura, tramite il ricorso a energia prodotta da impianti alimentati da fonti rinnovabili, del 50% dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria e delle seguenti percentuali della somma dei consumi previsti per l’acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento: a)il 20% quando la richiesta del pertinente titolo edilizio è presentata dal 31 maggio 2012 al 31 dicembre 2013; b)il 35% quando la richiesta è presentata dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2016; UHI e ambiente urbano: cause ed effetti 159 c)il 50% quando la richiesta è rilasciata dal 1° gennaio 2017. Tali obblighi non possono essere assolti tramite impianti da fonti rinnovabili che producano esclusivamente energia elettrica la quale alimenti, a sua volta, dispositivi o impianti per la produzione di acqua calda sanitaria, il riscaldamento e il raffrescamento. La Legge n. 90 con cui l’Italia ha definito le Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, oltre a riprendere il precedente quadro legislativo volto a definire le procedure per la definizione dell’attestato di prestazione energetica degli edifici, definisce la metodologia per il calcolo delle prestazioni energetiche degli stessi oltre alle prescrizioni e ai requisiti minimi nei casi di: 1) nuova costruzione; 2) ristrutturazioni importanti; 3) riqualificazione energetica. Un importante aspetto riguarda sia lo sviluppo di strumenti finanziari e la rimozione di barriere di mercato per la promozione dell’efficienza energetica degli edifici che la definizione di un piano di azione per la promozione degli edifici a “energia quasi zero”. Ancora una volta è ribadita la necessità di riferirsi, per il calcolo della prestazione energetica degli edifici, alla normativa tecnica UNI e CTI, allineata con le norme predisposte dal CEN a supporto della Direttiva 2010/31/CE: nelle more dell’aggiornamento della normativa CEN, il riferimento resta all’utilizzo delle UNI TS 11300 (parti 1-4). I requisiti dovranno essere determinati con l’utilizzo dell’“edificio di riferimento” [o target: per un edificio sottoposto a verifica progettuale, diagnosi, o altra valutazione energetica: edificio identico in termini di geometria (sagoma, volumi, superficie calpestabile, superfici degli elementi costruttivi e dei componenti), orientamento, ubicazione territoriale, destinazione d’uso e situazione al contorno, e avente caratteristiche termiche e parametri energetici predeterminati], in funzione della tipologia edilizia e delle fasce climatiche, così come richiesto dal Regolamento. Infine vi è la conferma (pur di breve durata) che tutti si auguravano (art. 14): «le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 48, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, e successive modificazioni, si applicano nella misura del 65% anche alle spese sostenute dalla data di entrata in vigore del presente decreto al 31 dicembre 2013. La detrazione [...] si applica nella misura del 65% alle spese sostenute dalla data di entrata in vigore del presente decreto al 30 giugno 2014 per interventi relativi a parti comuni degli edifici condominiali [...]. La detrazione spettante [...] è ripartita in dieci quote annuali di pari importo». ENEA dovrà elaborare le informazioni inerenti agli interventi, ma i dati relativi agli incentivi fiscali già applicati dalle leggi finanziarie dal 2006 indicano una consistente numerosità e (sembra) efficacia degli interventi già attuati (si veda a tale proposito il sito: www.efficienzaenergetica. acs.enea.it). Tali interventi – è opportuno ricordarlo – sono relativi a: riqualificazione energetica globale dell’edificio; interventi su strutture opache orizzontali, strutture opache verticali e finestre comprensive di infissi; installazione di pannelli solari per la produzione di acqua calda; sostituzione di impianti di climatizzazione invernale con altri dotati di caldaie a condensazione o, in alternativa, con pompe di calore ad alta efficienza ovvero con impianti geotermici a bassa entalpia. La Legge 90 prevede (non è la prima volta, ma si spera finalmente possa essere emanato il relativo decreto attuativo) che le amministrazioni locali (regioni e province autonome) debbano usufruire di un sistema informativo comune per tutto il territorio nazionale, di utilizzo obbligatorio, che comprenda la gestione di un catasto degli edifici, degli attestati di prestazione energetica e dei relativi controlli pubblici. La conoscenza dei dati del patrimonio edilizio è fondamentale per poter effettuare programmi a medio e a lungo termine e per valutare i costi-benefici degli interventi. Ultimo in ordine di tempo è stato emanato il D.Lgs. 102 del 4/7/2014 come attuazione della Direttiva 27/2014/UE, volto a promuovere un quadro di misure atte a migliorare l’efficienza energetica per concorrere al raggiungimento dell’obiettivo nazionale di risparmio energetico. 160 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione La ristrutturazione del patrimonio esistente e degli impianti è ritenuta fondamentale: l’ENEA, nel quadro dei Piani d’Azione nazionali per l’Efficienza Energetica (PAEE), dovrà elaborare una proposta di interventi di medio-lungo termine per il miglioramento della prestazione energetica degli immobili. Tale azione dovrà passare attraverso «una rassegna del parco immobiliare nazionale fondata, se del caso, su campionamenti statistici» e «una stima del risparmio energetico e degli ulteriori benefici conseguibili annualmente per mezzo del miglioramento dell’efficienza energetica del parco immobiliare nazionale basata sui dati storici e su previsioni del tasso di riqualificazione annuo». Importante è l’azione di pianificazione territoriale e ambientale da intraprendere, vista la necessità di conciliare tali misure anche con l’importanza storico-artistica del patrimonio edilizio italiano, oltre che con le tutele ambientali e del paesaggio. Il GSE è il secondo soggetto coinvolto per la programmazione della gestione e produzione dell’energia: dovrà predisporre e trasmettere al Ministero dello sviluppo economico, alle regioni e alle province autonome un rapporto contenente una valutazione del potenziale nazionale di applicazione della cogenerazione ad alto rendimento, nonché del teleriscaldamento e teleraffreddamento efficienti. Un secondo importante passaggio si trova all’art. 9, comma 6, laddove si chiede alle imprese di distribuzione, ovvero alle società di vendita di energia elettrica e di gas naturale al dettaglio, di provvedere affinché, entro il 31 dicembre 2014, le informazioni sulle fatture emesse siano precise e fondate sul consumo effettivo di energia; per consentire al cliente finale di regolare il proprio consumo di energia, la fatturazione deve avvenire sulla base dell’utilizzo effettivo almeno con cadenza annuale. Le informazioni sulla fatturazione devono essere rese disponibili almeno ogni bimestre. Alcune note a commento La lettura delle direttive europee e degli atti legislativi emanati negli ultimi tre anni potrebbe farci sentire ottimisti nell’ottica del raggiungimento dei traguardi di risparmio energetico e di tutela ambientali indicati. Il quadro generale sembra ben strutturato e coinvolge gli enti e le strutture basilari per un’azione incisiva (ENEA, GSE ecc.) nel settore dell’efficienza energetica. Una prima osservazione di carattere generale è tuttavia d’obbligo: le procedure di calcolo definite dalle normative CEN, e adottate in Italia da UNI, si riferiscono all’energia primaria (che non è stata soggetta ad alcuna conversione o processo di trasformazione). È pertanto necessario ricordare quanto ribadito nell'introduzione di questo scritto: la caratteristica dell’energia è la sua trasformabilità. Ma non tutte le materie prime da cui si parte per la trasformazione sono uguali (o possono avere una resa identica): è pertanto necessario riferirsi a questo concetto se si vuole ottenere una valutazione uniforme dei processi di produzione/trasformazione/utilizzo dell’energia. Tale concetto non è ribadito e ricordato con la dovuta attenzione nei Decreti legislativi. Il quadro legislativo è ad oggi mancante dei Decreti di attuazione alla Legge n. 90, decreti con cui sono definite le modalità di applicazione della metodologia di calcolo e dei requisiti minimi cui devono sottostare le opere di nuova costruzione e le ristrutturazioni. Dal lato operativo esiste, a nostro avviso, il problema della definizione degli edifici di riferimento, che dovrebbe passare attraverso un’attenta analisi del patrimonio edilizio esistente, azione che è stata fatta solamente in alcuni casi (Peron et al., 2014). In particolare potrebbero costituire problemi non irrilevanti la corrispondenza del costruito con i progetti depositati (mancanza di controlli sull’edificato), la definizione delle proprietà termofisiche dei materiali da costruzione utilizzati, il reperimento di dati sugli impianti termici (non tanto sui generatori termici, quanto sulla loro efficienza di trasformazione). Resta aperta qualche questione in merito agli “edifici a energia zero” (Mazzarella, 2013): a livello europeo deve essere ben chiarita la definizione di edificio ZEB (Zero Energy Building) e UHI e ambiente urbano: cause ed effetti 161 quindi la modalità con cui l’energia (anche e soprattutto da fonti rinnovabili) può essere prodotta e trasferita all’utenza. Attualmente la Raccomandazione CTI 14/2013 fornisce al progettista alcune definizioni e consente di completare le specifica tecniche UNI/TS 11300 ai fini della determinazione della prestazione energetica per la classificazione degli edifici. La CTI 14/2013 fornisce precisazioni e metodi di calcolo per determinare il fabbisogno di energia primaria degli edifici in modo univoco e riproducibile applicando la normativa tecnica citata nei riferimenti normativi. Tali precisazioni e metodi di calcolo riguardano, in particolare: 1) le modalità di valutazione dell’apporto di energia rinnovabile nel bilancio energetico; 2) la valutazione dell’energia elettrica esportata; 3) la definizione delle modalità di compensazione dei fabbisogni con energia elettrica attraverso energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili; 4) la valutazione dell’energia elettrica prodotta da unità cogenerative. È possibile definire alcune linee guida? Per un progettista del settore edile l’efficienza energetica deve diventare uno dei principali obiettivi da raggiungere. Le Direttive europee e il quadro legislativo nazionale richiamano spesso il concetto di “semplificazione”: la realtà è un po’ diversa, sia per il numero di leggi e decreti, sia per quello di normative che non sempre sono tra loro armonizzate. Ottenere efficienza energetica in edilizia significa inoltre coinvolgere professionalità diverse (dal politico all’installatore) che non sempre possiedono lo stesso linguaggio e, ancor meno, sono disposte a discutere le loro posizioni e convinzioni. È pur vero che il progettista di edifici è oggi assai più preparato nell’intervenire sul sistema edificio-impianto se non altro per ottenere un prodotto finale rispettoso dei requisiti richiesti dalla legislazione: senza alcun dubbio i limiti di legge sono divenuti più stringenti sia per i componenti sia per gli indici di consumo energetico globale. Ad esempio, per le trasmittanze termiche U di pareti orizzontali di copertura sono diminuiti negli anni: il D.Lgs. 192 e successive modifiche e integrazioni prevede per una copertura U = 0,3 W/(mq K) nel caso di edifici di nuova costruzione, mentre per usufruire delle detrazioni del 65% occorre portarsi a valori pari a U = 0,24 W/(mq K) nel caso di zona climatica E, valori che possono essere ottenuti con un’accurata scelta del materiale isolante, oltre che con un’attenta valutazione dei carichi strutturali. Relativamente all’involucro sono stati introdotti concetti nuovi (es. la trasmittanza termica periodica YIE, valutata secondo le indicazioni della norma UNI EN 13786 e richiamata nel D.P.R. 59/2009) che hanno certamente aiutato a valutare in modo più completo la complessità della trasmissione del calore in un edificio considerando, seppure non in modo esaustivo, i fenomeni legati al transitorio e all’inerzia termica delle strutture dell’edificio. Si è finalmente iniziato a valutare il consumo energetico dell’edificio nell’arco temporale dell’anno e, con riguardo alla necessità di comfort estivo, anche a porre maggiore attenzione ai componenti vetrati (e quindi alla valutazione del carico dovuto alla radiazione solare, dominante in tale periodo) e alle caratteristiche ottiche loro e di eventuali sistemi schermanti. Dal lato impiantistico la migliorata efficienza, ottenuta anche e soprattutto ai carichi parziali, dei generatori termici sia dal lato caldo che freddo (ovvero sia le caldaie che le pompe di calore) è stata accompagnata dalla modifica e implementazione di altre componenti (in primis il sistema di regolazione). L’impianto termico residenziale è oggi prevalentemente un impianto a collettori inseriti nel pavimento, con conseguenti modifiche nella distribuzione. Il sistema di controllo e regolazione ha raggiunto un grado di sofisticazione impensabile alcuni anni fa: non solo da remoto è possibile 162 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione comandare i tempi di accensione e spegnimento di un impianto, ma è attuabile una zonizzazione dell’impianto con regolazioni separate per singola zona termica. La domotica consente di inserirsi in vari modi nella regolazione dell’impianto e dei componenti di edificio (apertura e chiusura di elementi di schermatura). La tecnologia ha inoltre realizzato prodotti innovativi per l’involucro, quali materiali a cambiamento di fase (PCM), isolanti sottovuoto, componenti vetrati adattativi ecc. Un certa attenzione deve essere inoltre dedicata alla possibilità di generare energia con sistemi di cogenerazione (calore e energia elettrica) o di trigenerazione (caldo, freddo ed energia elettrica): in questi casi, grazie a un’opportuna conoscenza della situazione urbanistica e delle destinazioni d’uso degli edifici collegati alla rete e a un’attenta valutazione dei consumi annuali e della loro suddivisione (caldo, freddo, elettrico), è possibile ottenere consistenti risultati in termini di risparmio energetico e di impatto ambientale. Il sistema edificio deve però essere adeguatamente funzionante: un elevato grado di tecnologia richiede un controllo e una manutenzione qualificati. Tali elementi possono far lievitare i costi di costruzione e gestione. L’intervento (soprattutto nei casi di ristrutturazioni) deve essere commisurato al ciclo di vita (analisi LCA) dei componenti dell’edificio e dell’impianto: ciò comporta una valutazione dell’energia necessaria alla costruzione degli elementi coinvolti nel processo e alla valutazione della durata della loro vita utile. Una vista di insieme è quindi assai complessa: si dovranno formare delle professionalità nuove in grado di legare i diversi processi e capaci di fornire una valutazione complessiva in termini di incidenza ambientale. In quest’ottica sono nati i “Protocolli di sostenibilità ambientale” (ITACA, LEED, Code for sustainable homes ecc.): si tratta di procedure di certificazione e controllo del progetto che si basano sull’attribuzione di punteggi per diversi requisiti caratterizzanti la sostenibilità dell’edificio. Dalla somma dei crediti deriva il livello di certificazione ottenuto. Il protocollo opta per una visione olistica della sostenibilità, sfruttando ogni possibilità di ridurre impatti ambientali di vario genere ed emissioni nocive degli edifici in costruzione. Si individuano e delineano così le best practice per ingegneri, architetti, professionisti e l’intera comunità del settore, destinate a divenire linee guida. I vantaggi competitivi per coloro che adottano questi standard, siano essi professionisti o imprese, sono identificabili soprattutto nella certificazione da parte di un ente terzo, considerata fondamentale per ottenere un riscontro positivo sul mercato. La certificazione finale fornisce al mercato una definizione condivisa, un obiettivo comune e uno standard misurabile. Si tratta comunque di uno standard volontario, adottato dal mercato attraverso un processo di creazione del consenso. È su questa strada che occorre procedere. 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Decreto del presidente della Repubblica 2 Aprile 2009, n. 59, Regolamento di attuazione dell’articolo 4, comma 1, lettere a) e b), del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192, concernente attuazione della direttiva 2002/91/CE sul rendimento energetico in edilizia, Gazzetta Ufficiale n. 132 del 10 giugno 2009 Decreto Legge 4 giugno 2013, n. 63 (in Gazzetta Ufficiale – serie generale – n. 130 del 5 Giugno 2013), coordinato con la legge di conversione 3 Agosto 2013, n. 90 (in questa stessa Gazzetta Ufficiale alla pag. 3), recante: “Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 Maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia per la definizione delle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale”, Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 181 del 3/8/2013. UHI e ambiente urbano: cause ed effetti 163 focus 2 Decreto Legislativo n. 28 del 28/3/2011, Attuazione della Direttiva 2009/28/CE sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle Direttive 2011/77/CE e 2003/30/CE, Gazzetta Ufficiale n. 71 del 28/3/2011, Suppl. Ord. n. 81. L’Approccio Ecosistemico: evoluzione dei principi per la gestione dei sistemi sociali ed ecologici Elena Gissi Decreto Legislativo n. 102 del 4/7/2014, Attuazione della Direttiva 2012/27/UE sull’efficienza energetica che modifica le direttive 2009/28/CE e 2010/31/UE e abroga le Direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE, Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 165 del 18/7/2014. Introduzione Direttiva 2009/28/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2009 sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE, Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 05/06/2009. 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Nel presente approfondimento viene proposta una breve sintesi riguardo all’evoluzione della teoria intorno all’Approccio Ecosistemico, che ha portato dall’elaborazione iniziale verso l’enunciazione nella cosiddeta “adaptive governance”, seguendo lo sviluppo del dibattito su principi, definizioni e implicazioni nell’ambito del policy making. Il principio chiave rispetto al quale ruota l’evoluzione dell’approccio riguarda non solo il discorso sulla gestione degli ecosistemi per il mantenimento della biodiversità, ma prende in considerazione anche la discussione sul ruolo dell’Uomo rispetto alla Natura, intesa come sistema vivente globale (Grumbine, 1994). Ecosystem management, i fondamenti L’Approccio Ecosistemico (AE), nella sua prima accezione di “Ecosystem Management”, trae origine dagli anni Trenta e Quaranta nell’ambito delle scienze naturalistiche e dell’ecologia, dove, in maniera separata, vengono proposti i primi concetti in maniera pionieristica negli Stati Uniti (Grumbine, 1994). Inizialmente, il ruolo dell’Uomo è interpretato secondo gli effetti delle attività antropiche sugli ecosistemi (Age - Johnson, 1988, in Grumbine, 1994); il concetto si evolve, quindi, grazie anche all’affermarsi della teoria generale dei sistemi1 e alla sua applicazione ai sistemi ecologici (Odum, 1966; Naveh, 2000; Slocombe, 1993). Il dibattito rispetto all’”Ecosystem Management” è spinto sull’onda dei movimenti ambientalisti degli anni Settanta e della discussione sulla perdita della biodiversità (Folke et al., 2005; Grumbine, 1994) nell’ambito del crescente interesse riguardo alla protezione e alla conservazione dell’ambiente a beneficio della collettività. Come riferimento generale, Grumbine (1994) definisce l’AE come l’approccio alla gestione delle risorse e degli ecosistemi che «integra la conoscenza scientifica delle relazioni ecologiche nell’ambito di un complesso quadro di aspetti sociali e politici e di valori, verso l’obiettivo generale della protezione dell’integrità degli ecosistemi in una prospettiva di lungo termine» (p. 31, trad. propria). L’autore si occupa inoltre di sistematizzare i temi chiave che caratterizzano l’Approccio Ecosistemico, sintetizzati nella tabella 1. 11300 - 2, Prestazioni energetiche degli edifici – Parte 2: Determinazione del fabbisogno di energia primaria e dei rendimenti per la climatizzazione invernale, per la produzione di acqua calda sanitaria, la ventilazione e l’illuminazione. UNI/TS UNI/TS 11300 - 3, Prestazioni energetiche degli edifici – Parte 3: Determinazione del fabbisogno di energia prima- ria e dei rendimenti per la climatizzazione estiva. UNI/TS 11300 - 4, Prestazioni energetiche degli edifici – Parte 4: Utilizzo di energie rinnovabili e di altri metodi di generazione per riscaldamento di ambienti e preparazione acqua calda sanitaria. Per il protocollo LEED consultare: www.gbcitalia.org Per il protocollo ITACA consultare: www.itaca.org 164 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Focus 2 165 Tab. 1. Analisi dei 10 temi chiave che caratterizzano l’Approccio Ecosistemico (sintesi dell’autrice da Grumbine, 1994) Tema Descrizione 1. Contesto gerarchico (Hierarchical Context) Nell’AE è necessario adottare una prospettiva sistemica rispetto all’analisi e alla gestione del problema in esame: si devono considerare più livelli gerarchici (geni, specie, popolazioni, ecosistemi, paesaggi) e le connessioni tra livelli 2. Confini Ecologici (Ecological Boundaries) Secondo l’AE è necessario definire i confini ecologici del problema in esame, alle scale (ecologiche) appropriate, lavorando oltre la definizione che ne darebbero i soli confini amministrativi 3. Integrità ecologica (Ecological Integrity) L’AE prende in considerazione la protezione della diversità biologica, tramite, ad esempio, il mantenimento di strutture e processi degli ecosistemi nell’ambito dei regimi di disturbo naturali, della protezione delle popolazioni animali e vegetali presenti nell’area-studio, e, se necessario, della reintroduzione di specie autoctone 4. Raccolta dati (Data collection) L’AE si basa sulla raccolta, gestione e uso dei dati relativi allo stato ecologico e sui regimi di disturbo di strutture e processi ecologici, di fondamentale importanza anche per identificare la baseline rispetto alla quale strutturare la gestione 5. Monitoraggio (Monitoring) È necessario organizzare un sistema di monitoraggio delle trasformazioni del sistema in modo da verificare avanzamenti e risultati dell’azione di gestione secondo l’AE 6. Gestione adattativa (Adaptive management) La gestione adattativa si basa sull’assunzione che la conoscenza scientifica che si ha è parziale e che l’azione di gestione secondo l’AE si configura come un processo di apprendimento (learning process) sperimentale in cui si incorporano i risultati delle azioni precedenti, secondo un processo flessibile e capace di adattarsi rispetto alle incertezze 7. Cooperazione tra agenzie ed enti di gestione (Interagency cooperation) La cooperazione tra agenzie ed enti di gestione a scale differenti (da nazionali a locali) e tra attori privati e pubblici è necessaria in quanto si lavora a cavallo di confini amministrativi, fra mandati differenti e diversi obiettivi di gestione 8. Cambiamenti nell’organizzazione (Organizational change) L’attuazione di un processo secondo AE implica necessariamente un cambiamento nella prassi organizzativa degli enti di gestione, cambiamenti che possono riguardare il modus operandi, oppure cambiamenti più complessi come quelli nei sistemi di norme o nelle relazioni di potere 9. Integrazione tra Uomo e Natura (Humans Embedded in Nature) Nell’AE la componente antropica non è separabile da quelle ambientali, dalle quali è indissolubilmente influenzata e dipendente e di cui influenza processi e strutture 10. Valori (Values) Indipendentemente dalla funzione svolta dalla conoscenza scientifica, i valori umani giocano un ruolo fondamentale nella definizione degli obiettivi della gestione secondo l’AE Tab. 2. I dodici principi dell’Approccio Ecosistemico (Ecosystem Approach) secondo la Convenzione sulla Biodiversità (CBD, 2000, traduzione da Padovani et al. 2003) Principi 1. Gli obiettivi della gestione del territorio, dell’acqua e delle risorse viventi sono materia di scelta da parte della società 2. La gestione dovrebbe essere decentralizzata al livello appropriato più basso 3. Coloro che gestiscono l’ecosistema dovrebbero considerare gli effetti (attuali o potenziali) delle loro attività su ecosistemi adiacenti e su altri ecosistemi 4. Riconoscendo i potenziali benefici derivanti dalla gestione, esiste in generale la necessità di comprendere e gestire l’ecosistema in un contesto economico. Ogni programma di gestione degli ecosistemi dovrebbe quindi: a) ridurre quelle distorsioni di mercato che hanno effetti negativi sulla diversità biologica; b) stabilire piani di incentivi per promuovere la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica; c) internalizzare il più possibile i costi e i benefici dell’ecosistema 5. La conservazione della struttura e del funzionamento dell’ecosistema, al fine di mantenere inalterati i servizi ambientali forniti, dovrebbe essere un obiettivo prioritario dell’Approccio Ecosistemico 6. Gli ecosistemi devono essere gestiti nei limiti del loro funzionamento 7. L’Approccio Ecosistemico dovrebbe essere intrapreso su scala spaziale e temporale appropriata 8. Riconoscendo il variare delle scale temporali e gli effetti ritardati che caratterizzano i processi ecosistemici, gli obiettivi per la gestione degli ecosistemi dovrebbero essere messi a punto su scala temporale di lungo termine 9. La gestione deve riconoscere che il cambiamento è inevitabile 10. L’Approccio Ecosistemico deve ricercare il giusto equilibri o e l’integrazione con la conservazione e l’uso della diversità biologica 11. L’Approccio Ecosistemico dovrebbe considerare tutte le forme di informazione rilevanti, incluse le conoscenze scientifiche, le innovazioni e le pratiche indigene e locali 12. L’Approccio Ecosistemico dovrebbe coinvolgere tutti i settori rilevanti della società e delle discipline scientifiche 166 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Rispetto al dibattito di fine anni Novanta, Slocombe (1998) traccia una distinzione tra “ecosystem management” (EM) e “ecosystem based management”2 (EBM). Nello specifico, “ecosystem management” pone l’accento sulla gestione degli ecosistemi, a una scala limitata all’ecosistema (di norma piccola) e alle attività che incidono su di essi, da una prospettiva prettamente ecologica. Al contrario, per “ecosystem based management” si intende un approccio alla gestione delle risorse e alla pianificazione territoriale che adotti una prospettiva di transdisciplinarità e secondo un approccio integrato. A esso si aggiunge il fatto che l’approccio “ecosystem-based” prende in considerazione aree ad una più vasta scala, territori e paesaggi intesi come sistemi complessi e dinamici, la cui gestione è incentrata sull’analisi e la comprensione delle interazioni e dei processi che caratterizzano diversi ecosistemi (Sample, 1994 in Folke et al., 2005). Nella traduzione italiana, la distinzione si ritrova tra “gestione degli ecosistemi”, afferibile al primo, e “Approccio Ecosistemico” per EBM, che come tale viene utilizzato nel presente testo. È interessante notare inoltre come l’Approccio Ecosistemico si configuri come una strategia integrata di gestione delle risorse orientata verso l’uso sostenibile delle risorse stesse, e non direttamente alla conservazione della natura di per sé (Slocombe, 1998). La protezione e la conservazione degli ecosistemi si configura come esito di un efficace processo “ecosystem based”, piuttosto che come obiettivo centrale della strategia di gestione. Questo aspetto è sottolineato anche dal fatto che nell’AE non si rifiuta la visione “antropocentrica” per una esclusivamente “biocentrica” (Christensen et al., 1996). Al contrario, i bisogni della società devono confrontarsi con il fatto che la reale capacità degli ecosistemi di fornire benefici abbia dei limiti, e che tali limiti dipendano dal funzionamento degli ecosistemi, che deve essere preso in considerazione nell’ambito della costruzione di processi di pianificazione e di gestione del territorio. L’Approccio Ecosistemico trova, quindi, un vasto riconoscimento internazionale non solo in ambito scientifico-disciplinare ma anche nella costruzione delle politiche territoriali. Un esempio ne è la definizione data nell’ambito della Convenzione sulla Biodiversità (CB, 2000), che riconosce come la conservazione della diversità biologica sia determinante per il mantenimento della fornitura di beni e servizi ecosistemici a beneficio dell’uomo. Nell’ambito della Convenzione, l’Approccio Ecosistemico è definito come «la strategia per la gestione integrata della terra, dell’acqua e di ogni risorsa vivente, a supporto della conservazione e dell’uso sostenibile ed equo» (CB, 2000). La definizione continua dicendo che l’AE si basa «sull’applicazione di appropriate metodologie scientifiche focalizzate rispetto ai livelli di organizzazione biologica che comprendono i processi, le funzioni e le interazioni tra organismi viventi ed il loro ambiente» (CB, 2000). La Convenzione riconosce infine che le popolazioni umane, con le loro diversità culturali, sono parte integrante degli ecosistemi, e come tali devono essere riconosciute e considerate nel processo di gestione. È importante notare che anche nell’accezione della CB l’Approccio Ecosistemico rappresenta una prospettiva di gestione “ecologica” per il raggiungimento di un equilibrio tra l’uso delle risorse e le priorità di conservazione della natura, integrando informazioni biologiche, sociali ed economiche secondo metodi scientifici appropriati (Padovani et al., 2013). La Convenzione esplicita gli aspetti caratterizzanti tale prospettiva attraverso 12 principi fondamentali dell’Approccio Ecosistemico (riportati in tabella 2), da applicare per la conservazione e l’uso sostenibile della diversità biologica3. Verso l’“adaptive governance” dei sistemi sociali-ecologici La teoria dell’Approccio Ecosistemico affonda quindi le proprie radici nella chiara integrazione tra aspetti sociali ed ecologici, che compongono un unico sistema. Per descrivere questa prospettiva in maniera più esplicita, gli scienziati adottano nuove formulazioni linguistiche per l’oggetto di studio dell’AE, come “coupled human and natural systems” (Liu et al., 2007), oppure “coupled human-environment systems” (Turner et al., 2003), “ecosocial systems” (Waltner-Toews et al., 2003) e “socioecological systems” (Gallopin et al., 2001). La definizione data da Berke e Folke (1998), adottata in questo scritto, stabilisce che l’oggetto dell’Approccio Ecosistemico riguarda i “sistemi sociali-ecologici” (“social ecological systems”), al fine di mettere in rilievo le relazioni e le interazioni tra le diverse componenti a livello multiscalare. A seguito dell’avanzamento delle sperimentazioni e dell’analisi teorica, l’“Ecosystem-Based Approach” si evolve verso quello che è stato definito da Dietz et al. (2003) e da Berke e Folke (1998) come “adaptive governance” (governance adattativa, AG). Per governance si intendono le strutture e i processi tramite i quali vengono elaborate e assunte le decisioni (Lebel et al., 2006), processi e strutture che nell’ambito di assetti istituzionali policentrici danno luogo ad azioni coordinate e collaborative (Lee et al., 2003, in Folke et al., 2005), in cui il decentramento (devolution) del potere fa posto a forme di partecipazione di soggetti che operano a scale e a livelli istituzionali differenti (Folke et al., 2005). Si parla di governance adattativa nel momento in cui tale assetto policentrico e il sistema di norme e di azioni a esso collegato è capace di apprendere dall’esperienza tramite feedback (Schultz e Lundholm, 2010), per rispondere e ri-organizzarsi in modo da adattarsi al meglio alle dinamiche e alle condizioni socio-ecologiche a cui fa riferimento (Armitage et al., 2008). Tramite l’accezione dell’AG si cerca di dare rilevanza e di rispondere nella sua complessità non solo alla dimensione ecologica, ma anche alla dimensione sociale dei sistemi socio-ecologici (Folke et al., 2005), mettendo in rilievo il fatto che la gestione degli ecosistemi non si basa soltanto sulla conoscenza scientifica, per quanto avanzata, degli stessi, ma che è necessario anche attivare e riflettere sugli aspetti sociali, istituzionali e organizzativi che li caratterizzano, al fine di comprenderne la capacità di adattarsi in maniera efficace ai cambiamenti. L’AG poggia pertanto sui due concetti chiave di conoscenza (knowledge) e apprendimento (learning), che vengono in questa fase rielaborati in termini di caratterizzazione sociale (Schultz e Lundholm, 2010). Se ogni attore è portatore di conoscenze4 (locale, tacita, tradizionale, pratica o scientifica), come fonti multiple e distribuite, spesso associate a modelli mentali e sistemi di valori differenti (Folke et al., 2005), è neccessario attivare e nutrire il processo di gestione dei sistemi sociali ecologici di tutti questi attori. Il processo di costruzione della conoscenza vede quindi la partecipazione di individui, manager e istituzioni, abbastanza flessibili da apprendere dal processo e da rispondere e adattarsi ai cambiamenti in corso, in un processo continuo definito come “imparare facendo” (learning by doing). Per dare attuazione alla AG la co-gestione adattativa di alcuni processi ecosistemici può supportare la fornitura di beni e servizi ecosistemici (Carpenter et al., 2009), a beneficio delle popolazioni umane (MA, 2005). La prospettiva dell’“ecosystem based adaptation” ai cambiamenti climatici Nel caso delle strategie di adattamento e mitigazione dei cambiamenti climatici (CC), è ormai riconosciuto che i sistemi sociali-ecologici che rispondono ai criteri dell’AG possono essere in grado di rispondere ai cambiamenti improvvisi e alle incertezze, perchè la loro capacità di assorbire le perturbazioni, di riorganizzarsi e di rispondere ai cambiamenti per il mantenimento delle proprie funzioni essenziali (cioè la loro resilienza, così definita da Walker et al., 2006; Lebel et al., 2006) è potenziata. In tale ottica sta prendendo campo una recente applicazione dell’AG nell’“Ecosystem-Based Adaptation” (Approccio Ecosistemico all’Adattamento ai CC, EbAd), che pone alla base di una più ampia strategia di adattamento ai CC l’utilizzo della biodiversità e dei servizi ecosistemici al fine di mantenere e supportare la resilienza e di ridurre la vulnerabilità5 degli ecosistemi e delle Focus 2 167 popolazioni umane (CB, 2009). Difatti, «ecosistemi sani forniscono servizi preziosi come cibo, acqua potabile, protezione dalle malattie, controllo delle inondazioni e dell’erosione (servizi di regolazione), […] e allo stesso tempo [permettono] la costruzione di resilienza contro gli impatti del cambiamento climatico» (UNEP, 2012). Le azioni “ecosystem-based” orientate alla gestione sostenibile, alla conservazione e al ripristino degli ecosistemi (CB, 2009) vanno di pari passo con azioni di educazione, formazione, sensibilizzazione, collegate alla dimensione sociale dell’apprendimento (social learning) già menzionate nell’ambito dell’AG, oltre allo sviluppo di sistemi di allerta e ad altre misure tecnologiche (Andrade Perez et al., 2010). Le sperimentazioni in corso6 stanno dimostrando che l’EbAd, oltre a supportare la fornitura di co-benefici, richiede investimenti economici di minor entità rispetto al raggiungimento di obiettivi sociali, economici e ambientali sul lungo periodo, rispetto ad approcci più strettamente connessi a misure di tipo ingegneristico (UNEP, 2012). Munang et al. (2013) riportano che un investimento annuo globale di 45 miliardi di dollari a tutela degli ecosistemi secondo EbAd potrebbe fornire una stima 5.000 miliardi di dollari all’anno di benefici, con un rapporto costi-benefici di oltre 100:1. 1 La Teoria generale dei sistemi fu teorizzata da Bertanlaffy, sistematizzata in Bertalanffy, L. von, 1968. Per una introduzione generale e sintesi sulla teoria dei sistemi, si veda Enciclopedia delle scienze sociali (1998) di Francesco Pardi, http://www.treccani.it/enciclopedia/teoria-dei-sistemi_%28Enciclopedia_delle_scienze_sociali%29/. 2 Nell’evoluzione del sistema di concetti e dei principi a esso associati, dagli anni Novanta in poi, l’Approccio Ecosistemico viene mutuato alternativamente in Ecosystem-Based Approach (EBA) o Ecosystem-Based Management (EBM), senza che ci siano fondamentali differenze di contenuto e significato (Farmer et al., 2012). 3 Per una discussione approfondita si veda Atkins et al., 2011, Padovani et al., 2013. 4 Per una trattazione riguardo al ruolo della conoscenza si veda Berkes, F. 2009. Evolution of co-management: Role of knowledge generation, bridging organizations and social learning. «Journal of Environmental Management» 90, 5: 1692–1702. 5 Per vulnerabilità si intende la propensione o la predisposizione a essere influenzati sfavorevolmente dagli effetti del cambiamento climatico (IPCC, 2007, trad. a cura di L. Caciagli, Italian Focal point per IPCC,CMCC, 2014). 6 UCN sta attuando 45 progetti secondo l’approccio dell’Ecosystem based Adaptation in 58 paesi nel mondo; per un quadro a riguardo si veda Raza Rizvi, 2014. 168 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Riferimenti bibliografici Andrade Pérez, A. - Herrera Fernandez, B. - Cazzolla Gatti, R., eds (2010), Building Resilience to Climate Change: Ecosystem-based Adaptation and Lessons from the Field. Gland, Switzerland: IUCN. Armitage, D. - Marschke, M. - Plummer, R. (2008), “Adaptive Co-management and the Paradox of Learning”. 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Energia, Ambiente e Innovazione, ENEA, 49: 23-32 Focus 2 169 L’approccio ecosistemico all’effetto isola di calore Linda Zardo, Davide Geneletti, Marta Pérez Soba ES e azioni ecosistemiche Nell’aprile 2013 l’Unione Europea ha lanciato con la nuova Strategia per l’adattamento ai cambiamenti climatici (EU, 2013) un forte richiamo ad applicare l’approccio ecosistemico. Le azioni ecosistemiche implicano la pianificazione e la gestione degli ecosistemi ai fini di garantire e regolare l’approvvigionamento dei servizi ecosistemici (ESs), ossia di tutti quei benefici che l’ambiente fornisce, permettendo così il benessere umano (MA, 2005). I tre problemi legati ai cambiamenti climatici che maggiormente affliggono le città sono: alluvioni (floods), isole di calore urbane (UHI) e scarsità d’acqua. Si possono mitigare attraverso varie strategie ed approcci, ma quello ecosistemico è stato riconosciuto dalla letteratura scientifica e dalle amministrazioni come “win-win, a basso costo e multifunzione” e per questo è fortemente richiesto e sostenuto. Costi e benefici delle azioni ecosistemiche Se consideriamo i costi che le città europee hanno dovuto sostenere a causa dei cambiamenti climatici, è possibile constatare che un’applicazione di azioni ecosistemiche preventive avrebbe avuto un costo pari alla metà del denaro speso per azioni di mitigazione o attenuazione (EEA, 2012). In termini di effetto isola di calore, la creazione di aree verdi non solo riduce le temperature in città (variazioni fino a 10 gradi secondo Gomez - Barton, 2013) e influisce sulle questioni correlate (costi minori per i sistemi di raffreddamento o condizionamento, maggior benessere e meno decessi dovuti ai picchi estivi), ma sfocia – in esternalità non richieste – un paesaggio più gradevole, spazi per lo sport e la ricreazione, maggior resilienza a esondazioni, conservazione della biodiversità. Attenendosi comunque allo stretto beneficio diretto, vari studi hanno individuato un risparmio nella spesa per l’aria condizionata di circa 15$ per ogni albero (McPherson et al., 1997). Identikit del perfetto ecosistema urbano Per definizione sono considerati ecosistemi urbani tutti gli spazi verdi e blu in aree urbane, inclusi parchi, cimiteri, viali, giardini, foreste urbane, fiumi e laghi (Gomez - Barton, 2013). Ogni ecosistema urbano può produrre beni e servizi ecosistemici di tipo (di tipi) e intensità (quanto per ogni tipo) diversi a seconda delle sue caratteristiche e della sua struttura biofisica. Un ecosistema opportunamente progettato può rappresentare un valido mezzo per la produzione di servizi ecosistemici (ESs) d’interesse per il benessere della città (ad esempio quelli chiave per l’adattamento ai cambiamenti climatici). Il modello a cascata (Braat - De Groot, 2012) permette di esplicitare i legami tra a) l’ES prodotto, b) le funzioni biofisiche dell’ecosistema da cui dipende la produzione dell’ES e c) la struttura dell’ecosistema che permette il funzionamento biofisico. Arrivare a identificare i caratteri della struttura che maggiormente sottendono l’ES d’interesse significa individuare le leve su cui decision-makers e pianificatori possono intervenire per massimizzare la risposta degli ecosistemi urbani alle loro necessità e valutarne le capacità di risposta allo stato di fatto. Valutazione e progettazione del perfetto ecosistema urbano Abbiamo applicato e rovesciato il modello a cascata (fig. 1) per individuare i tratti fisici di un ecosistema di maggior rilevanza per la produzione di un ES chiave per l’adattamento e la mitigazione dell’UHI: regolazione locale del clima. Il processo (o framework) consta di 5 fasi progressive. Individuato l’ES (a) da ottimizzare (fase 1), la fase 2 prevede l’identificazione delle funzioni biofisiche (b) che influiscono maggiormente sulla sua produzione. Tramite un’analisi della letteratura (Gomez-Baggethun - Barton, 2013; Larondelle - Haase, 2013; McPhearson - Kremer - Hamstead, 2013; Smith, 2013; Bolund - Hunhammar, 1999; Akbari, 1992; Taha et al.,1991; Oke, 1988) è stato possibile selezionarne tre: ombreggiamento, protezione dal vento ed evapotraspirazione. Proseguendo con la terza fase, abbiamo collegato ogni funzione biofisica ai tratti della struttura che la sottendono (c), sintetizzando i tratti in due indicatori chiave: 170 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione 1. Il modello a cascata. 2. Classificazione degli ecosistemi urbani per combinazione di caratteri fisici (20 tipi o assets). Focus 2 171 – ombreggiamento: presenza d’alberi; – protezione dal vento: presenza d’alberi; – evapotraspirazione: presenza d’alberi e land-cover. Anche questa fase è stata completata tramite un’analisi bibliografica (Gomez-Baggethun Barton, 2013; Larondelle - Haase, 2013; McPhearson, Kremer - Hamstead, 2013; Smith, 2013; Bolund - Hunhammar, 1999; Akbari, 1992; Taha et al.,1991; Oke, 1988). Il quarto passo vede la classificazione di tutti gli ecosistemi urbani per combinazione dei tratti fisici, arrivando a delineare 20 possibili asset (o combinazione di tratti fisici dell’ecosistema) (fig. 2). Il quinto step assegna a ogni asset un livello di performance per ognuna delle tre funzioni biofisiche. A questo stadio della ricerca ogni asset presenta tre valutazioni separate, una per ogni funzione. Non è ancora stato formulato un unico punteggio finale per ogni asset in termini di “local climate regulation performance” in quanto il grado d’influenza di ogni funzione sulla mitigazione e adattamento per l’UHI dipende dal contesto (per esempio, in climi caldi e umidi l’evapotraspirazione ha una rilevanza diversa che in climi caldi e secchi): quest’operazione verrà presa in considerazione nel futuro prossimo della ricerca. Allo stato attuale l’applicazione dei 5 step del processo rende possibile l’individuazione di classi di ecosistemi urbani in base al loro grado di risposta all’UHI fino alla mappatura delle aree verdi e blu di una stessa città che riporti il tipo di asset e il livello di performance rispetto al potenziale massimo raggiungibile. Oltre a una fotografia spazialmente esplicita dello stato di fatto offre inoltre veloci indicazioni per intervenire sull’esistente in modo da massimizzare la risposta degli ecosistemi urbani al problema. Riferimenti bibliografici Akbari, H. et al. (1992), Cooling our Communities. A Guidebook on Tree Planting and Light-Colored Surfacing. Washington DC: EPA. Bolund, P. - Hunhammar, S. (1999), ”Ecosystem Services in Urban Areas”. Ecological Economics, 29: 293-301. Braat, L.C. - De Groot, R.S. (2012), ”The Ecosystem Services Agenda: Bridging the Worlds of natural Science and Economics, Conservation and Development, and Public and Private Policy”. Ecosystem Services, 1, 1: 4-15. EEA - European Environmental Agency (2012), Urban Adaptation to Climate Change in Europe. Challenges and Opportunities for Cities Together with Supportive National and European Policies. EEA technical report 2/2012. EU (2013), Communication from the Commission to the European Parliament, the Council, the Eu- ropean Economic and Social Committee and the Committee of the Regions. An EU Strategy on Adaptation to Climate Change. Brussels, 16.4.2013 COM(2013) 216 final. Gomez-Baggethun, E. - Barton, D.N. (2013), ”Classifying and Valuing Ecosystem Services for Urban Planning”. Ecological Economics, 86: 235-245. Larondelle, N. - Haase, D. (2013), ”Urban Ecosystem Services Assessment along a Rural-urban Gradient: A Cross-analysis of European Cities”. Ecological Indicators, 29: 179-190. MA (2005), Millenium Ecosystem Assessment - Ecosystems and Human Wellbeing: Synthesis. Washington DC: Island Press. Prossimi passi nella ricerca La prossima fase di questo lavoro prevederà il completamento della framework estendendo l’analisi alle implicazioni del contesto (come sopra anticipato) al contributo della dimensione e della forma dell’ecosistema urbano e verificandone l’influenza sulla produzione dell’ES e sull’incidenza della posizione dell’area verde o blu (periferica o centrale all’interno dell’area urbana). Applicata la framework con questo grado di complessità all’analisi e ottimizzazione di un servizio ecosistemico, sarà interessante iniziare ad aggregare più servizi ecosistemici, così da individuare sinergie e trade-off per disegnare possibili alternative da mettere a servizio di pianificatori e decision-makers. Per ulteriori informazioni: www.davidegeneletti.wordpress.it o [email protected]. 172 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione McPhearson, T. - Kremer, P. - Hamstead, Z. (2013), ”Mapping Ecosystem Services in New York City: Applying a Social-ecological Approach in Urban Vacant Land”. Ecosystem Services, 2: 11-26. McPherson, E.G. - Nowak, D. - Heisler, G. - Grimmond, S. - Souch, C. - Grant, R. - Rowntree, R. (1997), ”Quantifying Urban Forest Structure, Function and Value: The Chicago Urban Forest Climate Project”. Urban Ecosystems, 1: 49-61. Oke, R.T. (1988), ”Street Design and Urban Canopy Layer Climate”. Energy and buildings, 11: 103-113. Smith, P. et al. (2013), ”The Role of Ecosystems and their Management in Regulating Climate, and soil, water and air quality”. Journal of Applied Ecology, 50: 812-829. Taha, H. et al. (1991), ”Heat Island and Oasis Effects of Vegetative Canopies: Micro-Meteorological Field-Measurements”. Theor. Appl. Climatol., 44:123-138. La caratterizzazione del metabolismo urbano per la valutazione della sostenibilità del sistema urbano. Il caso del Comune di Treviso. Maurizio Pioletti, Roberto Pastres, Giacomo Cireddu, Michele Masè, Daniele Brigolin La caratterizzazione del metabolismo urbano implica uno sviluppo di modelli, indicatori e scenari (Moore - Kissinger - Rees 2013) basati su un approccio ecologico. Questi strumenti possono integrarsi nelle politiche di governo del territorio e, quindi, nella pianificazione urbanistica e ambientale. Il caso studio portato ad esempio, riguardante il Comune di Treviso, è in corso di realizzazione e prevede lo svolgimento delle seguenti attività: 1) tracciamento e contabilità dei consumi di risorse, ovvero di materia ed energia (MEFA Material & Energy Flow Accounting; Barrett - Vallack Jones - Haq 2002) e relativa produzione di rifiuti come strumento per l’implementazione delle politiche smart city; 2) bilanciamento del sistema idrico come strumento per costruire scenari di ottimizzazione dello sfruttamento di acqua potabile; 3) calcolo della Carbon footprint a scala di comunità locale come impronta del complesso delle attività antropiche di un insediamento. L’approccio ecologico (Bodini - Bondavalli - Allesina 2012) nello studio di un sistema di cui sono noti i confini geografici e il periodo di funzionamento che si intende considerare si basa sul principio del bilancio di massa: IN – OUT (+ GEN) = ACC [IN: input; OUT: output; GEN: produzione di rifiuti residui/emissioni; ACC: accumulo]. In questo lavoro si è espressamente scelto di limitare l’indagine al territorio comunale di Treviso, essendo il comune l’unità amministrativa primaria nel processo di policy making. Questa scelta è stata operata pur riconoscendo che il tessuto urbano del Comune di Treviso si trovi in continuità con altri comuni e l’area urbanizzata complessiva sia caratterizzata da una dispersione del costruito (urban sprawl) che estende la città ben oltre i confini dei comuni principali. A sostegno della scelta di limitare il sistema ai confini amministrativi, si riscontra il fatto che il Comune di Treviso ha adottato il PAES (e si sta impegnando a implementarlo) autonomamente rispetto agli altri comuni limitrofi. Oltre che dal punto di vista politico-amministrativo il comune risulta anche un’unità organizzativa di per sé, in grado di operare scelte rilevanti già all’interno della propria struttura. Per garantire la qualità tecnico-scientifica dell’indagine, i dati raccolti per comporre il MEFA hanno risposto ai requisiti richiesti da standard internazionali come GHG protocol (www.ghgprotocol.org) e riportati di seguito: –Rilevanza. –Completezza. –Consistenza. – Trasparenza. – Accuratezza. – Misurabilità. Al fine di analizzare i flussi di materia ed energia si è reso necessario mappare la governance dell’informazione sulle risorse, ovvero chiarire i soggetti che detengono i dati sia qualitativi che quantitativi: i risultati di tale analisi sono sintetizzati nel diagramma seguente. Il MEFA può essere utilizzato per valutare l’efficienza nell’uso delle risorse, anche in termini di smaltimento e recupero dei rifiuti, e l’efficacia delle policies che lo determinano, e rappresenta un’ampia base di dati da cui è possibile scorporare singole risorse per cui stimare specifici bilanci di massa. Un esempio di particolare rilevanza è quello dell’acqua, il cui studio può fornire utili indicazioni ai fini della pianificazione del servizio idrico integrato. Dalla ricostruzione del rete idropotabile si delineano i comparti di utilizzo come illustrato in figura 3. Una volta caratterizzati i flussi all’interno della rete mediante il bilancio di massa è inoltre possibile derivare indicatori quantitativi del funzionamento di tale rete, mediante metodologie mutuate dall’analisi delle reti ecologiche (Bodini - Bondavalli - Allesina, 2012). Da un lato la mappatura dei comparti e dei flussi che compongono la rete idrica permette di identificare chiaramente i segmenti del sistema per i quali non vengono effettuate adeguate misurazioni in campo (come nel caso dei pozzi in concessione a soggetti privati) ed è possibile ipotizzare dei valori compresi entro determinati intervalli attraverso il bilanciamento della rete; dall’altro tale mappatura consente di stimare l’entità e la localizzazione, a livello sistemico, delle perdite (come nel caso delle perdite in fase di distribuzione) o l’insufficienza di alcuni comparti (come nel caso del depuratore). Il bilanciamento della rete idrica, permettendo di attribuire ai flussi valori reali o ipotetici, risulta di notevole utilità nella redazione di scenari di miglioramento dello sfruttamento della risorsa. Focus 2 173 Infine il MEFA, includendo il tracciamento dei rifiuti gassosi, permette di redigere un inventario delle emissioni, fondato sul Life cycle assessment (Browne - O’Regan - Moles 2007), con cui elaborare indicatori come l’impronta di carbonio, di grande utilità per la comprensione dell’impatto della tecnosfera sulla biosfera, in termini di capacità della biosfera di smaltire il carbonio prodotto dalla tecnosfera; utile anche per l’inserimento nella pianificazione del territorio di uno strumento di valutazione sia dello stato presente, sia dei successivi determinati dalle trasformazioni previste dai piani, definendo scenari di emissioni. Questi rappresentano la base per la costruzione delle strategie e dei piani per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici. Il Life cycle assessment, in genere, si calcola per un prodotto finito o un processo (ad esempio industriale), o una organizzazione, ovvero un insieme chiuso di processi decisionali. Per il territorio comunale di Treviso ci si è posti la sfida di considerare il sistema urbano come un unicum, ovvero un’unica organizzazione territoriale. Considerato il carattere strategico e di orientamento del Piano di Assetto del Territorio in Veneto, il calcolo dell’impronta di carbonio di un PUA o di un PI in fase di approvazione potrebbe rappresentare un’efficace valutazione di come la fase di implementazione dei piani risponda adeguatamente alle strategie, ovvero agli obiettivi di sviluppo posti a livello strategico. Riferimenti bibliografici Barrett, J. - Vallack, H. - Jones, A. - Haq, G., (2002), A Material Flow Analysis and Ecological Footprint of York - Technical Report. Stockholm: SEI Stockholm Environment Institute. Bodini, A. - Bondavalli, C.A - Allesina, S. (2012), ”Cities as Ecosystems: Growth, Development and Implications for Sustainability”. Ecological Modelling, 245: 185-198. Bettencourt, L.M.A. - Lobo, J. - Helbing, D. - Kühnert, C. - West, G.B. (2007), ”Growth, Innovation, Scaling, and the pace of Life in Cities”. Social Sciences - Sustainability Science PNAS, 104 (17): 7301-7306. Bettencourt, L.M.A. - West, G.B. (2010), ”A Unified Theory of Urban Living”. Nature, 467, 7318: 912-913. Browne, D. - O’Regan, B. - Moles, R. (2007), ”Comparison of Energy Flow Accounting, Energy Flow Metabolism Ratio Analysis and Ecological Footprinting as Tools for Measuring Urban Sustainability: A Case-study of an Irish City-region”. Ecological Economics, 83: 97-107; Moore, J. - Kissinger, M. - Rees, W.E. (2013), ”An Urban Metabolism and Ecological Footprint Assessment of Metro Vancouver”. Journal of Environmental Management, 124: 51-61. 1. La rappresentazione del MEFA del territorio comunale di Treviso è in corso di redazione e rappresenta l’inventario dei consumi di materia ed energia e dei relativi rifiuti (gassosi, liquidi e solidi). I dati raccolti riguardano l’anno 2013. 2. Mappa della governance dell’informazione. 3. Modello concettuale della risorsa acqua potabile. 174 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Focus 2 175 Qualità dello spazio urbano e comfort termico Alessandro Salvati Le qualità dello spazio fisico in grado di influenzare anche in minima parte il microclima urbano sono innumerevoli: tra queste l’orientamento, la forma, l’altezza e i materiali degli edifici, la minore o maggiore presenza di verde o di elementi di ostacolo alla ventilazione sono i fattori meglio noti e più studiati dalla letteratura scientifica. Questi fattori alternano in vario modo i normali processi di evapotraspirazione, ventilazione, assorbimento delle radiazioni solari ecc. che si avrebbero in assenza di elementi artefatti quali edifici e strade e contribuiscono in questo modo alla formazione di isole di calore urbane, acuendo il disagio termico delle persone e rendendo di fatto gli spazi urbani aperti (e non) meno vivibili durante i periodi più caldi dell’anno. Un buon disegno dello spazio urbano è senza dubbio in grado di limitare il fenomeno, sebbene – come si vedrà – non si tratti dell’unico fattore in gioco. Ali Toudert e Mayer considerano l’aspect ratio (o H/W, ovvero il rapporto tra altezza degli edifici e larghezza del piano strade) come uno dei fattori principali nel determinare il microclima urbano. Una considerazione di questo tipo può risultare molto utile nella progettazione di spazi ex novo, mentre lo è un po’ meno quando – come nella maggior parte dei casi – si intenda agire sul tessuto urbano già esistente. In quest’ultimo caso occorre considerare tutta una serie di micro-interventi e di soluzioni ad hoc in grado di contribuire positivamente al comfort termico di chi vive questi spazi. Ad esempio le strade molto ampie (con H/W < 1) – pur raffreddandosi più velocemente durante le ore notturne – sono generalmente assai poco confortevoli durante il giorno (sebbene tutte quelle che non abbiano orientamento strettamente O-E garantiscano un ombreggiamento ai lati). In questi casi la creazione di filari alberati, di porticati o di pergolati è l’unica soluzione di progetto capace di migliorare sostanzialmente le condizioni micro-climatiche diurne, aumentando l’area di superficie ombreggiata. In genere la presenza di facciate sporgenti o di elementi ombreggianti tanto degli edifici quanto delle strade è in tutti i casi una misura che riesce a garantire un buon livello di comfort termico: per di più, nel caso in cui essi siano strutture rimovibili, è possibile prevederne un uso flessibile negli scopi e nel tempo, massimizzando la quantità di calore e luce necessari durante i mesi invernali o utilizzandole anche in caso di pioggia. Qualsiasi opera di rinverdimento ha una duplice funzione, contribuendo tanto a ripristinare i naturali processi di evapotraspirazione precedentemente alterati, quanto a migliorare la piacevolezza e la qualità estetica dello spazio. Il comfort termico, infatti, non è solo ed esclusivamente influenzato dall’ambiente fisico o dal livello effettivo delle temperature: trattandosi di un indice tipicamente soggettivo (che va spesso sotto il nome di PET, Physiologically Equivalent Temperature, ovvero l’indice con cui gli studiosi provano a darne una misura), esso dipende in buona sostanza anche da variabili percettive o da quello che viene definito “adattamento psicologico” al clima, un fattore che al pari delle condizioni microclimatiche è possibile – sebbene in parte – controllare attraverso il disegno dello spazio fisico. La sensazione di comfort termico dipende infatti dall’esperienza immediata e di breve termine ed è normalmente acuita in presenza di situazioni contrastanti, motivo per cui la presenza di un elemento di differenziazione – ad esempio un’area verde in un ambiente che ne è generalmente sprovvisto – assume in questo senso un valore particolarmente alto. In quest’ottica potrebbe essere innovativo immaginare progetti che influenzino anche la percezione del calore e favoriscano l’adattamento termico: in letteratura una delle soluzioni sovente proposte è la creazione di spazi ed elementi transitori, discontinui e misti (outdoor/indoor e più o meno o verdi e ombreggiati) proprio in grado – se vogliamo – di giocare sul contrasto. In tutti i casi è comunque indispensabile basare qualsiasi intervento su un’analisi preventiva che consideri il tempo e il tipo di fruizione degli spazi urbani, in modo da intervenire laddove più necessario. Nondimeno, dal momento che una buona progettazione climatica degli spazi è in grado di aumentarne l’attrattività, è possibile farvi ricorso anche con scopi di rivitalizzazione di spazi degradati o anche semplicemente poco fruiti. 176 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione Riferimenti bibliografici Ali-Toudert, F. - Mayer, H. (2006), ”Numerical Study on the Effects of Aspect Ratio and Orientation of an Urban Street Canyon on Outdoor Thermal Comfort in Hot and Dry Climate”. Building and Environment, 41(2): 94-108. Nikolopoulou, M. - Steemers, K. (2003), ”Thermal Comfort and Psychological Adaptation as a Guide for Designing Urban Spaces”. Energy and Buildings, 35(1): 95-101. Focus 2 177 Ondate di calore e salute della popolazione Alessandro Messeri, Marco Morabito, Martina Petralli, Giada Brandani, Francesca Natali, Simone Orlandini L’Italia, così come gran parte dei paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, è una delle nazioni che maggiormente risente dei cambiamenti climatici che la rendono pertanto particolarmente vulnerabile agli eventi estremi come piogge intense, ondate di caldo durante la stagione estiva e repentine diminuzioni termiche durante quella invernale (IPCC, 2013). Particolarmente evidente è apparso, nel corso degli ultimi decenni, l’incremento termico nel periodo estivo, con importanti ripercussioni sulla salute della popolazione, soprattutto quella anziana, che ha visto un incremento dei decessi durante i periodi di caldo intenso e prolungato (Meehel - Tebaldi, 2004; Haines et al., 2006; Hajat, 2006; Luber et al., 2008). Ne è un esempio l’ondata di calore del 2003 che ha causato oltre 70.000 morti in Europa, con effetti maggiori sugli over 75 già con patologie croniche e residenti nei grandi centri abitati. Da ciò si intuisce come la “vulnerabilità della popolazione” agli effetti delle ondate di calore sia strettamente dipendente dalla “vulnerabilità individuale”, che a sua volta dipende dallo stato di salute dell’individuo, dalla sua capacità di adattamento e dal livello di esposizione. Esistono infatti numerose evidenze scientifiche che dimostrano una maggiore suscettibilità dei soggetti affetti da malattie cardiovascolari, malattie croniche quali per esempio la BPCO – Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva –, insufficienza renale, diabete, malattie neurologiche e disturbi psichici (Stafoggia et al., 2006; Morabito et al., 2012). Tali disturbi si riscontrano con maggiore frequenza nei soggetti anziani che presentano un’ulteriore aggravante in una profusa sudorazione compensativa come conseguenza di temperature elevate con perdita di liquidi e sali che, in un soggetto già di per sé disidratato come quello anziano, costituisce un’ulteriore aggravante. Ulteriori studi hanno evidenziato che gli effetti maggiori in termini di decessi si osservano per le ondate di calore che presentano una durata superiore ai 5 giorni, con un incremento della mortalità da 2 a 5 volte più alto rispetto alle ondate di calore di breve durata. Inoltre è stato osservato che le ondate di calore più precoci, cioè quelle che si verificano all’inizio della stagione estiva, hanno un impatto maggiore sulla salute della popolazione rispetto a episodi di uguale intensità ma che si verificano successivamente nel corso dell’estate: questo perché l’organismo non si è ancora abituato alle temperature più elevate della stagione calda. Da qui si intuisce l’importanza di prevenire le conseguenze delle ondate di calore sulla salute, in particolare attraverso l’attivazione di sistemi di previsione e di allerta in grado di informare in maniera tempestiva la popolazione e gli enti predisposti a tutelarne la salute. Studi recenti (Morabito et al., 2012; Schifano et al., 2012) hanno chiaramente dimostrato che misure preventive, come i flussi di informazione e previsione (HEWS: Heatwave Early Warning Systems) per prevenire gli effetti del caldo sulla popolazione anziana, sono in grado di ridurre l’eccesso di mortalità da caldo di soggetti molto anziani. L’Italia è stato uno dei primi paesi a livello europeo a rendere operativo un piano nazionale di interventi per la prevenzione degli effetti sulla salute delle ondate di calore, sulla base di indicazioni ministeriali, e a introdurre sistemi di allarme specifici nelle principali città. In particolare, dal 2004 è attivo il Sistema nazionale di sorveglianza, previsione ed allarme per la prevenzione degli effetti delle ondate di calore sulla salute della popolazione promosso dal Dipartimento nazionale della protezione civile che prevede, sulle principali aree urbane del paese, la realizzazione di sistemi di allarme per la previsione e per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute, denominati Heat Health Watch Warning Systems (HHWWS). Inoltre il Ministero della Salute coordina il Piano operativo nazionale per la prevenzione degli effetti del caldo sulla salute e ha predisposto linee guida nazionali per la definizione di piani operativi in ambito regionale e comunale. Durante i mesi estivi è quindi possibile informarsi giornalmente sulle condizioni meteorologiche locali e il relativo livello di rischio. Tale informazione è reperibile consultando via internet il sito web del Dipartimento della protezione civile, dove ogni mattina vengono pubblicati i bollettini città specifici. Inoltre i comuni hanno il compito di diffondere l’informazione a livello locale. Questa esigenza è nata dal fatto che il servizio di allerta nazionale è valido solo per alcune città italiane, in genere per i capoluoghi di regione. Tuttavia alcune regioni, come per esempio la Toscana, sono dotate di un proprio piano di previsione e prevenzione delle ondate di calore. Qui, il Centro Interdipartimentale di Bioclimatologia dell’Università di Firenze (CIBIC) si occupa da ormai oltre quindici anni dello studio di tematiche relative all’impatto meteo-climatico sulla salute, con particolare riguardo a specifiche categorie di soggetti definiti “a rischio” e concentrando l’attenzione su aree densamente urbanizzate e popolate e anche su zone geografiche con caratteristiche ambientali molto diverse. Per quanto riguarda la criticità da caldo, vengono utilizzati i 178 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione risultati di alcuni studi condotti sulle relazioni tra dati di mortalità e temperature medie giornaliere in varie zone della Toscana, che hanno portato all’individuazione di soglie di criticità da caldo decadali e specifiche per tre zone geografiche con caratteristiche meteo-climatiche differenti (pianura interna, collina e località costiere; fig. 1). In caso di superamento delle soglie di criticità, si procede alla segnalazione di rischio su tre livelli: Attenzione caldo (il primo giorno di criticità), Allarme caldo (il secondo giorno consecutivo di superamento dei valori di soglia), Emergenza caldo (per il terzo e i successivi giorni consecutivi di criticità da caldo). Riferimenti bibliografici Haines, A. - Kovats, R.S. - Campbell-Lendrum, D. - Corvalan, C. (2006), “Climate Change and Health: Impacts, Vulnerability and Mitigation”. Lancet, 367: 2101-2109. Hajat, S. - Armostrong, B. - Baccini, M. - Biggeri, A. - Bisanti, L. - Russo A. - Paldy, A. - Menne, B. Kosatsky, T. (2006), “Impact of High Temperatures on Mortality: is there an added Heat Wave Effect?”. Epidemiology, 17(6): 632-638. Luber, G. - Mc.Geehin, M. (2008), “Climate Change and Extreme Heat Events”. Am. J. Prev. Med., 35(5): 429-435. Meehl, G.A. - Tebaldi, C. (2004), “More Intense, More Frequent, and Longer Lasting Heat Waves in the 21st Century”. Science, 305: 994-997. Morabito, M. - Profili, F. - Crisci, A. - Francesconi, P. - Gensini, G.F. - Orlandini, S. (2012), “Heat Related Mortality in Florentine Area (Italy) before and after the Exceptional 2003 Heat Wave in Europe: an Improbe Public Health Response?”. Int. J. Biometeorology, 56(5): 801-810. Report IPCC (2013), “Intergovernmental Panel on Climate Change. Climate Change 2013. The Physical Science Basis”. Working group I contribution to the fifth assessment report of the intergovernmental panel on climate change. DOI:10.1017/CBO9781107415324. Schifano, P. - Leone, M. - Sario, M. - de’ Donato, F. - Bargagli, A.M. - D’Ippoliti, D. - Marino, C. Michelozzi, P. (2012), “Changes in the Effects of Heat on Mortality Namong the Elferly from 1998-2010: Results from a Multi Center Time Series Study in Italy”. Environ Health,11(1): 58. Stafoggia, M. - Forastiere, F. - Agostini, D. - Biggeri, A. - Bisanti, L. - Cadum, E. - Caranci, N. de’ Donato, F. - De Lisio, S. - De Maria, M. - Michelozzi, P. - Miglio, R. - Pandolfi, P. - Picciotto, S. Rognoni, M. - Russo, A. - Scarnato, C. - Perucci, C. (2006), “Vulnerability to Heat-Related Mortality: A Multicity, Population-Based, Case-Crossover Analysis”. Epidemiology, 13(3): 315-323. 1. Soglie di temperatura media giornaliera identificate per l’individuazione di criticità da caldo e utilizzate dal servizio di previsione degli effetti delle temperature sull’anziano in tre aree geografiche della Toscana (pianura, collina, costa). Focus 2 179 Spazi verdi da vivere: progetti di salute urbana Maria Rosa Vittadini, Domenico Bolla, Armando Barp, Liliana Padovani, Nico Cattapan, Leonardo Filesi, Annarita Lapenna, Giuseppe Caldarola La ricerca Spazi verdi da vivere – una risorsa per la salute urbana è un lavoro congiunto del Dipartimento di prevenzione della ULSS 20 di Verona e di un gruppo di docenti dell’Università Iuav di Venezia. La progettazione, la realizzazione e la manutenzione degli spazi verdi nell’ambito urbano hanno assunto in tempi relativamente recenti significati che vanno ben al di là delle questioni estetico-formali, pure rilevanti, che hanno caratterizzato la tematica del verde nella manualistica urbana. Le aree verdi e gli spazi aperti intesi come vera e propria infrastruttura urbana sono anzi al centro delle politiche di riqualificazione necessarie per mettere le città in grado di affrontare il profondo attuale cambiamento del contesto economico, sociale e ambientale. Su tema del verde urbano si intersecano infatti questioni connesse al governo delle acque e alla permeabilità dei suoli, all’inquinamento dell’aria, alla mitigazione e all’adattamento al cambiamento climatico, alla salute fisica e mentale, al consumo energetico attraverso il governo dell’isola di calore, compreso il tema, oggi in primissimo piano, del significato sociale e inclusivo della progettazione e manutenzione partecipata delle diverse tipologie di verde urbano: dai giardini fino agli orti urbani e al guerrilla gardening. L’insieme di tali questioni appartiene strutturalmente alle cosiddette “determinanti sociali” da cui dipendono le condizioni di salute delle collettività e in particolare le diseguaglianze in fatto di salute. Diseguaglianze che il Rapporto Marmott, elaborato per il governo inglese nel 2010, ha identificato come ingiustizie che è compito primario dei governi superare. Nel testo il tema del verde come risorsa per la salute urbana, intesa come insieme di salute degli individui e loro disponibilità alla collaborazione sociale, è organizzato in forma di linee guida. Le questioni rilevanti di carattere tecnico e ambientale sono presentate in forma sintetica e sono accompagnate da una rassegna di casi e buone pratiche capaci di fornire indicazioni circa il ruolo che il verde può giocare in ciascuna di esse. Il testo è strutturato in quattro grandi tematiche. La prima è la questione degli standard urbanistici in materia di verde, di cui si tracciano le principali criticità, e delle potenzialità insite in un’ampia gamma di strumenti programmatici, come i Piani del verde o i Regolamenti del verde. Al di là dei piani urbanistici una seconda tematica presenta le opportunità di “far verde” connesse a una vasta gamma di politiche differenti da quelle urbanistiche, come le regole per il risparmio energetico, la gestione dell’isola di calore, i piani per il clima, le regole per l’invarianza idraulica, fino alle esperienze di finanziamento del verde attraverso le pratiche di compensazione volontaria delle emissioni di CO2 e gli interventi per la forestazione urbana. A ciascun argomento si associa l’indicazione di casi interessanti, di realizzazioni esemplari, di fonti da consultare per materiale di approfondimento. Una terza importante tematica affronta i problemi della progettazione delle aree verdi nell’ottica del superamento delle categorie tradizionali provenienti dalla matrice urbanistica e della frammentazione che ne è conseguita. Un’importante rassegna di casi e di logiche progettuali accompagna gli schemi proposti. Le indicazioni sono tese a una più stretta integrazione tra verde e struttura urbana, con particolare cura degli elementi di connessione e di continuità della rete del verde, come i viali e gli spazi aperti necessari a realizzare concretamente la green infrastructure in grado di offrire al contesto urbano i molteplici servizi ecosistemici che le sono propri. La quarta componente riguarda invece la progettazione e l’uso del verde, nelle sue differenti forme, come elemento di coesione sociale. Le linee guida danno conto dell’esperienza di progettazione partecipata condotta a Verona, nell’ambito del Giarol grande, traendone indicazioni per lo sviluppo di processi di partecipazione che costituiscono oggi un elemento essenziale per la qualità urbana. In definitiva le Linee Guida affrontano la questione del verde urbano con un’impostazione d’intesa a suggerire logiche processuali piuttosto che schemi preordinati, possibili integrazioni della progettazione del verde con altri ambiti tematici come la salute o il benessere sociale piuttosto che soluzioni standardizzate. Si indicano invece criteri, strumenti e modelli di collocazione del verde nelle politiche strutturanti degli ambiti urbani piuttosto che schemi da replicare. Le linee 180 Parte Seconda. Il fenomeno delle isole di calore urbano e la sua identificazione guida, che derivano da un amplissimo studio di casi, non rinunciano a trarre dalle esperienze in atto coerenti criteri di progettazione delle diverse tipologie di aree verdi, in grado di condurre progressivamente gli spazi verdi a costituire quella green infrastructure a cui sembrano affidati, nel prossimo futuro, gli impegnativi compiti di far fronte al cambiamento climatico e ai suoi molti effetti fisici e sociali. Focus 2 181 I --U --A --V Pianificazione urbana e territoriale: politiche, tecniche e strumenti Sezione a cura dell’Università Iuav di Venezia Sezione cofinanziata nell’ambito delle attività del Dipartimento di Pianificazione e Progettazione in Ambienti Complessi (DPPAC) dell’Università Iuav di Venezia 1. quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a Uhi 1.1. Veget-azione urbana Antonio Musacchio Lo sviluppo urbano dell’ultimo secolo ha modificato radicalmente l’immagine della città, soprattutto per ciò che concerne l’ambiente metropolitano, in un approccio funzionalista legato a logiche di sviluppo economico che hanno cancellato dal contesto urbano buona parte del verde che ne punteggiava il tessuto. Ma in questi ultimi anni, in funzione di una pulsione socio-culturale legata ai temi della sostenibilità e dell’ambiente in genere, si assiste al proliferare di soluzioni architettoniche di vario tipo che integrano apparati vegetali con l’involucro dell’edificio. Non si tratta chiaramente di una rinnovata tensione verso la natura, quanto di una ritrovata consapevolezza dei benefici che l’uso della vegetazione può indurre. Nuove acquisizioni scientifiche ci permettono oggi di ascrivere ai vantaggi dell’impiego delle tecnologie green roof fattori esogeni oltre che endogeni: Le Corbusier aveva già evidenziato come la presenza del terreno comportasse benefici per l’edificio sul piano dell’isolamento, tanto termico quanto acustico; recenti ricerche attestano nuove potenzialità ai tetti verdi, permettendoci di considerarli a tutti gli effetti strumenti di mitigazione ambientale, grazie alla possibilità di agire sul contesto in cui vengono inseriti, sia dal punto di vista energetico che idrologico. La contaminazione tra organico e inorganico è quanto mai oggi fonte di interesse per i ricercatori e presagita, come spesso accade, nelle cinematografia da fantascientifiche rappresentazioni in cui forme biologiche ispirate alla natura divengono parti funzionali dei sistemi di rivestimento degli edifici; l’ibridazione tra architettura e natura è utilizzata a mero scopo difensivo ma apre concettualmente a nuove prospettive in cui l’organic building assume valore sul piano della sostenibilità degli edifici, nell’idea di una simbiotica integrazione con l’ambiente. Tale ibridazione rappresenta una tendenza che interessa trasversalmente il mondo del design: dalla progettazione di oggetti a quella di edifici, l’integrazione di apparati vegetali evoca e simboleggia un rinnovato approccio alla concezione materiale dei manufatti, nella direzione di una migliore integrazione con le dinamiche eco-logiche. L’utilizzo di materiali organici che mutuano codici e linguaggi propri della natura pone oggi una nuova sfida nella progettazione di artefatti laddove il trasferimento tecnologico non si riduce all’imitazione delle caratteristiche della natura ma cerca di proporne l’intima intelligenza. È in tal senso che sistemi tecnologici come i tetti verdi, la cui tradizione costruttiva è ormai consolidata, assumono oggi un rinnovato valore in termini di sostenibilità ambientale: se fino a qualche anno fa venivano impiegati per i noti benefici sul piano energetico (oltre che per il benessere psicologico che deriva dalla presenza della vegetazione), più recentemente hanno destato grande interesse per la capacità di ritenzione e detenzione idrica che offrono, soprattutto in corrispondenza di grandi agglomerati urbani. La presenza della vegetazione, infatti, mediante un meccanismo fisiologico delle piante chiamato evapotraspirazione, consente di abbassare sensibilmente la temperatura dell’aria immediatamente circostante. È un effetto che possiamo avvertire nel passaggio tra città e campagna e che si presenta particolarmente marcato in corrispondenza di agglomerati urbani densamente edificati. Il tema della cosiddetta rinaturalizzazione urbana è particolarmente sentito in Nordamerica e in alcuni paesi europei al punto che, negli ultimi dieci anni, numerose norme e protocolli sono stati emanati a incentivazione dell’uso di sistemi di rivestimento vegetali in relazione all’involucro edilizio. Tetti-giardino e facciate vegetali sono ivi considerati fattori di qualità capaci di generare benefici tanto alla scala dell’edificio quanto a quella dell’ambiente circostante. Studi sui meccanismi fisiologici delle piante evidenziano infatti l’influenza della vegetazione sui delicati equilibri che intercorrono tra ambienti densamente urbanizzati e aspetti climatici e non 185 a caso le più recenti sperimentazioni in materia sono state condotte presso istituti di ricerca statunitensi: le relazioni tra l’atmosfera e la distribuzione del costruito sulla superficie della terra pongono in evidenza la criticità del fenomeno che va sotto il nome di Urban Heat Island (UHI), ovvero la stretta correlazione tra la presenza di agglomerati urbani e il manifestarsi di flussi ascensionali di aria calda che determinano un incremento statisticamente rilevante di precipitazioni atmosferiche; in un’epoca dominata da fenomeni quali il surriscaldamento globale, l’impiego diffuso di strategie di mitigazione ambientale può costituire un ausilio verso l’inversione di tali tendenze. La cementificazione ha determinato il cosiddetto fenomeno “isola di calore urbano”, nonché impermeabilizzato vaste porzioni di territorio, finendo per intaccare delicati equilibri nell’ecosistema. Una possibile forma di riduzione dell’isola di calore urbana consiste appunto nell’impiego della vegetazione, in virtù di un fenomeno proprio della fisiologia delle piante: l’evapotraspirazione, per la quale l’acqua contenuta nel terreno, per effetto della traspirazione dell’apparato fogliare, viene riemessa nell’aria determinando un consistente abbassamento della temperatura. È su questa linea che da alcuni anni gli enti governativi degli Stati Uniti d’America, del Canada e di alcuni paesi del nord Europa si stanno muovendo nel tentativo di riqualificare il patrimonio urbano esistente, particolarmente in quei contesti altamente urbanizzati che presentano notevoli differenze di gradiente termico rispetto alle aree verdi circostanti. In Nord America, a partire dal 2005, le incentivazioni sotto forma di prestiti, crediti d’imposta e riduzione delle tasse sono progressivamente aumentate e a queste si sono aggiunti ulteriori incentivi quali bonus di densità edilizia e riduzione dei tempi per l’ottenimento dei permessi di costruzione. Effetti benefici nell’applicazione estesa di tetti-giardino sono attesi sia nella direzione di un abbassamento delle temperature percepite in estate, sia nel verso di una riduzione dei costi di manutenzione delle infrastrutture per la canalizzazione e il deflusso delle acque meteoriche. Le regolamentazioni alla base di tali incentivi differiscono ovviamente in relazione alle peculiarità del contesto su cui agiscono ma sono essenzialmente incentrate sulla gestione delle acque meteoriche; è in corrispondenza di aree come quella di New York, Chicago, Washington, Philadephia che assumono valore anche nel verso di una riduzione dell’“Urban Heat Island effect”. Gli strumenti di programmazione dello sviluppo delle città sono poi raccordati a una più ampia strategia che ha come fnalità la riduzione dell’80% delle emissioni di agenti inquinanti entro il 2050 e che introduce nella propria articolazione uno specifico programma di finanziamento che promuove l’uso dei tetti verdi, l’Eco roof program (figg. 1-4). L’antropizzazione ha effettivamente eliminato dallo sviluppo dell’ambiente urbano quei vantaggi generati dal suolo e dalla vegetazione: le città con le loro ampie superfici impermeabili (strade, marciapiedi, tetti ecc.) riversano completamente l’acqua captata nelle tubature del sistema fognario, cui si aggiunge il flusso d’acqua proveniente dagli scarichi domestici con conseguente sovraccarico delle infrastrutture (collettori, sifoni ecc.) e dei meccanismi di depurazione collocati a valle dell’intero sistema. A protezione di questi ultimi e per evitare il riflusso dell’acqua nelle strade in caso di piogge intense il volume in eccesso viene riversato in canalizzazioni che sversano direttamente in corsi d’acqua o in mare, con conseguenze immaginabili in termini di inquinamento. L’evidenza dei limiti di tale impostazione infrastrutturale è particolarmente marcata in aree caratterizzate da un’orografia scoscesa (molte zone dell’Italia ne sono un esempio) che rende ancora più veloci tali “travasi” e, sempre più spesso, devastanti. La soluzione più semplice è operare sul sistema di captazione per ri-esporre il suolo alle piogge, estendendo possibilmente il principio anche alle sedi stradali e alle aree pedonali. In tal senso nuovi materiali a elevato grado di porosità, permeabili, e i sistemi di stoccaggio dell’acqua nonché i bacini di bio-ritenzione e di infiltrazione costituiscono un sistema che può, in sinergia con i tetti pensili, rispondere efficacemente alle necessità di regimazione delle acque meteoriche. Il volume di terreno presente nelle stratigrafie dei green roof agisce sul piano della regimazione idrica come una spugna, assorbendo acqua fino al raggiungimento della saturazione, mentre le piante 186 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti ne reimmettono nell’atmosfera una consistente percentuale, operando la cosiddetta ritenzione idrica e contribuendo a sottrarre volume di acqua piovana al sistema di drenaggio e canalizzazione. I risultati relativi alla ritenzione idrica delle stratigrafie osservate indicano una percentuale media annua di circa il 30% con punte massime (in estate) del 37%, attribuibili al maggiore sviluppo della vegetazione. Piantumazioni diverse da quelle a sedum a oggi testate possono dar luogo a risultati differenti in virtù della forma dell’apparato fogliare della vegetazione: a una morfologia maggiormente frastagliata (e dunque a una più ampia superficie di scambio) corrisponderà in genere una più elevata capacità di traspirazione. Il terreno rilascia l’acqua lentamente riducendo i carichi idrici che, soprattutto in concomitanza di forti rovesci temporaleschi, incidono pesantemente sui sifoni e i collettori della rete fognaria e riducono i rischi connessi con tali criticità. I problemi legati alla cementificazione delle aree metropolitane si traducono dunque in un eccesso di impermeabilizzazione del suolo e nella cosiddetta “isola di calore”, con conseguenze a volte disastrose in presenza di copiose precipitazioni atmosferiche. I giardini pensili offrono da questo punto di vista notevoli vantaggi: grazie alla presenza della vegetazione e del relativo strato di coltura permettono, durante le piogge, di ridurre drasticamente la velocità con cui l’acqua piovana raggiunge la rete idrica. La limitazione del cosiddetto run-off dell’acqua avviene attraverso una duplice azione: da un lato l’evapotraspirazione della vegetazione reimmette nell’atmosfera una buona percentuale dell’umidità assorbita dalle piante, dall’altro la detenzione idrica del terreno permette di cedere alla rete idrica l’acqua assorbita con uno sfasamento che riduce i picchi dell’idrogramma caratteristico della precipitazione atmosferica. In pratica l’acqua captata viene trattenuta dal terreno e parzialmente riemessa nell’atmosfera; il 70% circa di quel volume viene ceduto, lentamente, alla rete idrica con un ritardo variabile da una a tre ore in ragione dello spessore e della densità dello strato di coltura. Studi sulla regimazione del deflusso delle acque meteoriche risultano quanto mai importanti sia in contesti come quello delle aree metropolitane densamente edificate, sia in territori come quello italiano, caratterizzato da un’orografia che favorisce i fenomeni alluvionali, anche in relazione a una certa incuria e miopia programmatica nel controllo dell’assetto idrogeologico dei corsi d’acqua; in questo senso i tetti-giardino assumono un nuovo valore in termini di sostenibilità, agendo, oltre che sulle già note qualità ambientali, anche sulla tutela di risorse come l’acqua. In quest’ottica ai tetti verdi vengono sempre più frequentemente associati i cosiddetti raingarden: vasche per la raccolta delle acque piovane che possono essere depurate grazie all’introduzione di piante acquatiche e riutilizzate per diversi scopi: da quelli sanitari, quali l’alimentazione di lavatrici opportunamente predisposte o degli scarichi dei WC, a quelli irrigui, tutti concorrenti alla salvaguardia delle risorse idriche; inseriti a monte di già collaudati sistemi di accumulo idrico sotterraneo nonché di bacini di infiltrazione, consentono un miglioramento della funzionalità degli impianti di depurazione e una riduzione degli investimenti per la rete fognaria, oltre che un miglioramento del microclima delle aree urbane. Tra le ricerche condotte sul tema degli involucri vegetali presso l’Università Iuav di Venezia di particolare interesse a tal proposito sono poi le simulazioni ottenibili mediante l’uso di software che permettono la visualizzazione delle emissioni termiche delle superfici di un modello e che, in riferimento alle facciate verdi, hanno concentrato l’attenzione sui cosiddetti “canyon urbani”, aree comprese tra fabbricati alti separati dalla viabilità, in corrispondenza dei quali l’applicazione di un sistema vegetale sulle pareti degli edifici ha mostrato un abbassamento di circa 1,5 °C. L’aumento delle superfici destinate a verde nell’ambiente urbano comporta infatti, oltre a un beneficio sul piano del benessere psicologico, una serie di vantaggi di tipo ambientale così sintetizzabili: controllo microclimatico, produzione di ossigeno, abbattimento delle polveri sottili, attenuazione dei rumori, azione antisettica, depurazione idrica. Il fenomeno del fototropismo, unito alla caducità delle foglie di alcune essenze “spoglianti”, rende inoltre quanto mai appropriato l’uso del Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 187 1-4. Tetti verdi a New York. 188 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 189 fogliame quale elemento di schermatura dalla radiazione solare, sia nell’uso di rampicanti su pergole o berceaux, sia nell’uso semplicemente ornamentale di opere murarie; la presenza delle foglie permette l’ombreggiamento, la ventilazione e il raffrescamento per evapotraspirazione della parete in estate. Le funzioni ambientali di protezione acustica e di protezione dall’inquinamento atmosferico sono invece da relazionare con la quantità di massa vegetale e la relativa densità. È possibile dunque considerare i tetti-giardino come parte di un complesso apparato impiantistico atto a mitigare gli impatti prodotti sulla natura dall’antropizzazione delle edificazioni. Il toit-jardin promosso da Le Corbusier torna in auge spinto da una rinnovata consapevolezza tecnica che vi attribuisce nuove potenzialità in linea con i dettami della sostenibilità ambientale e, grazie alle evoluzioni tecniche che hanno interessato le stratigrafie dei green roof, con l’introduzione dei sistemi estensivi leggeri moltiplica le possibilità di applicazione aprendo il campo anche a operazioni di retrofitting. Da questo punto di vista la ricerca ha consentito lo sviluppo di stratigrafie dallo spessore estremamente ridotto cui consegue un peso limitato che consente di contenere anche i costi di intervento per il rinforzo strutturale. Quanto detto tuttavia costituisce solo una parte dei benefici che un’azione strategica di impiego del verde può indurre e non considera un aspetto essenziale delle qualità organiche offerte dagli apparati vegetali: quello produttivo. La rivoluzione industriale ha modificato radicalmente l’assetto organizzativo delle città, incidendo profondamente sul comparto alimentare e finendo per elidere, anche in questo caso, il rapporto di integrazione tra città e campagna. In questi ultimi anni la crisi economica mondiale da un lato e una crescente tendenza a preferire cibo biologico dall’altro hanno reintrodotto le coltivazioni entro il territorio urbano grazie alle organizzazioni di consumatori che hanno visto nella possibilità di acquistare frutta e ortaggi a chilometro zero una risposta sostenibile a nuove richieste del mercato alimentare. In Italia la pratica degli orti urbani sta lentamente riaffermandosi, mentre nelle grandi metropoli statunitensi, dopo le esperienze degli anni Settanta dei guerrilla gardens, il fenomeno ha raggiunto un livello di diffusione tale da coinvolgere anche le coperture di intere aree suburbane: a New York nel 2010, grazie all’iniziativa della Brooklyn Garage, circa 5.000 mq di coperture sono state convertiti a tetto coltivabile, garantendo ortaggi a sostentamento di un intero quartiere del Queens. Il carattere pionieristico dell’iniziativa ha fatto sì che il lavoro eseguito per la produzione fosse affidato ad azioni volontarie, ma i primi riscontri economici e il fatto che tali pratiche stiano già volgendo nella direzione di uno sviluppo di coltivazioni intensive lasciano presagire una crescente diffusione di tale modello produttivo e commerciale. È ovvio che nel caso di verde coltivato il substrato di coltura assuma un’importanza maggiore, giacché anche da esso dipenderà la qualità dei vegetali prodotti, e si presenti composto in parti uguali di terreno non trattato, perlite e terra di campo vagliato; lo spessore minimo necessario alla coltivazione di ortaggi e piantine officinali è di circa 20 cm ma può crescere anche di molto nel caso di tuberi o ortaggi dalle radici profonde. Viceversa si stanno affermando e diffondendo nell’industria alimentare coltivazioni ortofrutticole che non impiegano terreno ma che si affidano alla coltura idroponica in serra, con risparmi notevoli anche nel consumo di risorse idriche: grazie a sistemi di recupero dell’umidità prodotta dalla vegetazione per evapotraspirazione è possibile ridurre a un decimo la quantità d’acqua necessaria al sostentamento di una pianta. Su questo principio un’azienda statunitense ha ideato una soluzione per la produzione di ortaggi freschi da distribuire nei supermercati, coltivandoli direttamente in serre collocate direttamente sulla copertura dei punti di vendita. Siamo probabilmente all’alba di una nuova industrializzazione che interesserà il settore agricolo e alimentare nel tentativo di integrare alcuni passaggi della filiera produttiva tagliando drasticamente il consumo di suolo e le risorse idriche; bisogna infatti considerare che l’acqua destinata alla colti- 190 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti vazione incide, a livello globale, per il 70% del fabbisogno complessivo; se si aggiunge a ciò quanto affermato da Dickson Despommier circa la saturazione delle aree coltivabili in ragione di un incremento demografico, al 2050, che porterà la popolazione mondiale ad aumentare di oltre 8 miliardi di individui, è facile comprendere come, al di là degli innegabili vantaggi ambientali, lo sviluppo delle tecnologie green roof porta con sé un germe costruttivo che ci permetterà di acquisire il necessario know-how con la pratica e arrivare preparati qualora si dovessero realizzare le prospettive di carenza di suolo descritte da Despommier. Coltivare “in verticale” appare dunque un passaggio necessario. Le Vertical farm, in virtù delle figurazioni proposte, sono state oggetto di stupore quanto di perplessità, ma in fondo non sono altro che un passaggio immediatamente successivo verso la coltivazione “in laboratorio”: i sistemi di illuminazione che sostituiscono l’apporto di luce solare per stimolare la fotosintesi clorofilliana nelle piante sono di tipo LED, già impiegati nelle coltivazioni in serra per migliorare l’illuminazione delle piante e controllarne il ritmo biologico, e consentono consumi energetici relativamente bassi; il fatto che la coltivazione avvenga in ambiente climatizzato consente teoricamente di eliminare l’uso di pesticidi e anticrittogamici, migliorando la qualità della produzione. In alcune metropoli sono state già avviate sperimentazioni in tale direzione: a Singapore un edificio di quattro piani produce cavoli cinesi e lattuga entro contenitori che vengono spostati meccanicamente a turno salendo per gruppi fino al tetto; a Shenzhen è in corso di realizzazione un edificio-torre che contiene al proprio interno un intero comparto agricolo, ivi compresi gli alloggi degli agricoltori; a Strenton, in Pennsylvania, è in procinto di essere inaugurata la più grande Vertical farm del mondo: distribuita su 6 livelli, produrrà lattuga, spinaci, pomodori, peperoni, basilico e fragole, gestendo individualmente 17 milioni di piante in contenitori rotanti per fornire a tutte lo stesso apporto di luce dai LED che faranno le veci del sole. Se le Vertical farm costituiscono, soprattutto nel nostro contesto nazionale, un modello ancora lontano dal trovare applicazione, quella degli orti pensili è forse una forma di produzione che più facilmente potrà trovare riscontro nelle pratiche urbane, soprattutto nel Mezzogiorno, dove tradizionalmente, e in alcuni casi ancora oggi, le terrazze venivano impiegate per piccoli allevamenti e coltivazioni in vaso. In una congiuntura politica, economica e sociale come quella che stiamo attraversando è certamente auspicabile intervenire sulle riforme agricole e forse tra i fattori che potrebbero restituire ossigeno all’industria edile sta proprio l’incentivazione dell’uso del verde in relazione all’involucro dell’edificio: il nostro patrimonio edilizio necessita fondamentalmente di riqualificazione e l’implementazione di apparati come tetti e/o facciate verdi potrebbe consentire una diminuzione delle dispersioni termiche e al contempo fornire una serie di vantaggi all’ambiente urbano, senza contare il ritorno economico possibile nel caso venissero coltivate le superfici a verde. L’idea di costruire un habitat per la produzione alimentare non va semplicisticamente intesa come una nuova declinazione del principio delle coltivazioni in serra o degli allevamenti di bestiame: le valenze simbiotiche indotte dal materiale organico impiegato e prodotto possono generare utili sinergie col contesto in cui la “fattoria del nuovo millennio” viene introdotta, aprendo un ventaglio di possibilità sia sul piano strategico, sia della progettazione urbana e architettonica. L’idea della organic farm trova significativi punti di forza nei vantaggi che conseguono sul piano economico e funzionale di un approccio globale ad alcune tematiche inerenti all’industria alimentare. Al di là degli impliciti spunti di natura organizzativa e logistica che accompagnano tali speculazioni, questo approccio trova motivo di interesse anche nelle possibilità di controllo dell’ambiente in cui vengono allevati gli animali e coltivate le piante, impedendo così la propagazione delle malattie che spesso trovano nei prodotti alimentari un veicolo di diffusione, come pure per il risparmio indotto di energia fossile o, ancora, restituendo alla natura grandi aree coltivate. Studi recenti sulla Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 191 possibilità di organizzare sistemi vegetativi su più livelli con finalità produttive (orti e allevamenti), integrandoli per un conveniente uso delle risorse in sistemi di recupero energetico, sono stati sviluppati innescando scambi organici e biologici tra ecosistemi. Oltre a ovviare a tutti i fattori di rischio che condizionano in genere il ciclo di crescita annuale, le Vertical farm consentirebbero di ridurre drasticamente o di eliminare il consumo di combustibili fossili mediante l’uso della materia organica di scarto per la produzione di biogas. A questo si aggiunge l’implementazione di dispositivi per lo sfruttamento dell’energia solare, eolica, geotermica e marina. I vantaggi del vertical farming si possono dunque tradurre in produzione uniforme di raccolti nell’anno, senza sprechi dovuti a siccità o epidemie, in cibi prodotti senza l’uso di erbicidi, pesticidi o fertilizzanti, nell’eliminazione dell’erosione del terreno, nella conversione delle acque grigie in acqua potabile, nella generazione di energia dalle biomasse, nonché in una drastica riduzione degli spazi destinati all’immagazzinamento e alla conservazione dei viveri. Il tutto porrà necessariamente il problema di una progressiva e inevitabile ri-localizzazione dei sistemi alimentari, con effetti che logicamente finirebbero col ripercuotersi sul disegno del suolo sottratto all’agricoltura. Le Vertical farm assumono dunque un interesse che va al di là dalle mere questioni relative all’ingegnerizzazione degli aspetti produttivi o delle soluzioni costruttive: il superamento del modello della grande distribuzione dei prodotti alimentari verso una rinnovata logica “local” del sistema di produzione e vendita al dettaglio comporta nuove complessità spaziali e funzionali che nell’ibridazione con il contesto urbano prima e con gli edifici poi offre nuove opportunità architettoniche. Ne è manifesto il padiglione del gruppo olandese MVRDV realizzato per l’Expo di Hannover e nel quale la componente vegetale diventa attore protagonista della configurazione spaziale che punta al concetto di densificazione sviluppato per le costruzioni in ambienti metropolitani trasferendolo agli apparati vegetali. Il verde “cresce” in verticale, dando luogo a inusitate spazialità, giocando ambiguamente con gli elementi strutturali dell’edificio. Nel nostro paese, a partire dal dopoguerra, dopo aver fagocitato con le costruzioni tutto il suolo disponibile nelle aree urbane al punto da dover fissare un limite con gli standard della prima legge urbanistica, le istanze della sostenibilità auspicano oggi una nuova regolamentazione che restituisca la presenza della vegetazione, con i suoi effetti benefici, all’ambiente urbano, in linea con un approccio alla costruzione più organico e sensibile al contesto, avvalorando così la massima secondo la quale l’architettura del terzo millennio sarà meno costruita e più... coltivata. 192 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 1.2. Mitigazione e adattamento ai fenomeni di UHI: il caso studio di Padova Francesco Musco, Laura Fregolent, Davide Ferro, Filippo Magni, Denis Maragno, Davide Martinucci, Giuliana Fornaciari Introduzione La sperimentazione sviluppata dalla Regione Veneto e dal gruppo di lavoro dell’Università Iuav di Venezia all’interno del progetto europeo “UHI - Development and application of mitigation and adaptation strategies and measures for counteracting the global Urban Heat Islands phenomenon” parte da alcuni presupposti legati alle specificità territoriali della pianura veneta, per lo più caratterizzata da centri storici di piccole dimensioni e da un sistema insediativo diffuso sviluppatosi attorno a essi nell’arco degli ultimi quarant’anni. L’urbanizzazione, avvenuta prevalentemente attorno ai centri storici in assenza di strategie e regole, si è generalmente caratterizzata come somma di singoli interventi, che hanno amalgamato funzioni e forme residenziali con grandi arterie viarie, zone produttive e commerciali (Selicato e Rotondo, 2003). Questo processo ha in qualche modo rotto gli equilibri ecologici dei centri medievali (i quali presentavano invece attenzioni alla regolamentazione microclimatica locale nella loro progettazione), ponendosi spesso come barriera artificiale attorno a essi, soffocandoli e contribuendo a innalzare di molto la quantità di superfici impermeabili a discapito di quelle permeabili. In questi ultimi anni il rapporto tra urbanistica e architettura ha pagato la rigidità dettata dai PRG, attinenti a regole omogenee e ripetute, piuttosto che caratterizzarsi con le peculiarità dei diversi contesti territoriali (Samonà, 1980). Si tratta quindi di un territorio rigido, già intensamente antropizzato, contraddistinto da poche tipologie insediative caratterizzanti, per il quale nel prossimo futuro sono prevedibili sviluppi prevalentemente legati alla trasformazione dei tessuti esistenti. La sperimentazione ha colto il legame tra clima locale, struttura urbana e formazione dell’effetto isola di calore, con l’obiettivo di orientare nel prossimo futuro, mediante linee di indirizzo, gli interventi sul territorio (Musco et al., 2014). In questo quadro di riferimento è stata individuata una porzione dell’area metropolitana della città di Padova, come ambito di sperimentazione analitico-progettuale, con l’intenzione di applicare successivamente i risultati di tale sperimentazione al resto dell’area centrale veneta. Spesso le cause che generano le isole di calore urbane sono dei fattori puntuali (come ad esempio grandi superfici pavimentate) relazionati direttamente con fattori sistemici estesi (come la dispersione notturna del calore assorbito dai tessuti urbani periferici, o l’inquinamento prodotto dalle aree produttive sempre in periferia). Questa pluralità di cause obbliga a studiare l’isola di calore a diversi livelli, sia orizzontale che verticale. Il modello espresso da Oke (2006) suggerisce di approcciarsi al fenomeno analizzando il clima urbano a diverse scale, in quanto a tali livelli corrispondono disuguali eventi climatici, che si influenzano a vicenda. Oke infatti suddivide le scale in due categorie: – scala orizzontale: Micro-scale, Local scale e Meso-scale; – scala verticale (nelle diverse tipologie di UHI): Air UHI (Urban Canopy Layer UCL e Urban Boundary Layer UBL), Surface UHI e Sub-surface UHI. L’Urban Boundary Layer (UBL) comprende lo strato sopra l’altezza media degli edifici, mentre l’Urban Canopy Layer (UCL) include lo strato di copertura urbana, sotto il livello medio degli edifici. Considerati gli obiettivi del progetto, ovvero analizzate le cause del fenomeno al livello di miscroscala con lo scopo di poter individuare misure di mitigazione puntuali, si è proceduto considerando l’isola di calore nella scala verticale compresa tra il suolo e l’altezza media degli edifici, ovvero nell’Urban Cabopy Layer. Tale livello di microscala è utile per verificare la relazione tra for- 193 ma urbana, materiali di copertura e UHI, con particolare riferimento alla copertura vegetativa, alla permeabilità dei suoli e all’albedo dei materiali. All’interno di questo ambito acquistano particolare rilievo nell’influenzare il microclima alle varie scale urbane fattori come: orientamento degli edifici, copertura delle superfici, Sky View Factor (SVF), incidenza solare, materiali utilizzati, forma degli edifici; ad esempio, in contesti dove si trovano edifici con facciate troppo ravvicinate tra di loro, le temperature risentono dell’effetto generato dallo SVF, cioè di un maggiore surriscaldamento delle facciate, rispetto ad altre poste su strade più aperte e ventilate (magari a poche decine di metri di distanza). In un recente studio si dimostra come il microclima urbano influenzi le funzioni degli edifici in termini di prestazioni termiche, comprovando quanto la forma urbana influisca poi sul fenomeno UHI (Wong - Chen, 2009). L’isola di calore, in particolare nelle città italiane, non dipende tanto dalle attività umane, ovvero dal calore antropogenico prodotto, ma da quello immagazzinato dalle superfici urbane (edifici, strade, parcheggi) durante il giorno e poi rilasciato gradualmente durante la notte. Questo effetto genera un’isola di calore notturna, in quanto il calore rilasciato non permette alla città di raffreddarsi quanto gli ambienti rurali esterni a essa. La complessità del fenomeno UHI è direttamente connessa alla relazione città-atmosfera: così come il clima urbano risente di quello atmosferico e dei suoi impatti su popolazione e infrastrutture, così esso a sua volta si relaziona con l’atmosfera influenzandola (Oke, 2006b). Solitamente gli aspetti che sono in grado di influenzare il clima, generando un microclima urbano differente da quello atmosferico (Shahmohamadi, 2012), sono i seguenti: – quantità di erba, terreno permeabile e alberi, asfalto e cemento; – rilascio di calore artificiale da edifici, impianti di condizionamento, automobili e zone produttive; – laminazione e stoccaggio superficiale dell’acqua a favore di canali interrati e fognature; – inquinamento atmosferico; – ventilazione urbana. L’isola di calore urbana deriva quindi da una forte antropizzazione, o meglio, si può affermare che minore è la proprietà ecologica di una città, maggiore sarà l’isola di calore presente nella stessa. Non a caso l’effetto è stato osservato per la prima volta già nel 1818, a Londra, nel pieno della sua espansione speculativa, dal meteorologo Luke Howard. Al tempo non venne identificata come isola di calore1; il termine “isola” fu utilizzato a causa della sua rappresentazione su mappa attraverso le isoterme. Se le temperature dell’aria vengono mappate tramite le isoterme, la città appare come un’isola ben distinta rispetto alle zone rurali circostanti, differenziate da temperatura inferiore. Su queste logiche all’avvio del progetto si è ritenuto importante studiare i diversi comportamenti dell’isola di calore urbana in relazione ai vari contesti urbani che caratterizzano la città di Padova, considerata come città pilota di sperimentazione. La scelta dell’area ha tenuto conto anche della finalità di redigere un manuale di tecnica urbanistica per la Regione Veneto da consegnare alle amministrazioni comunali al fine di supportare le loro scelte strategiche future in termini di mitigazione del fenomeno UHI e di adattamento degli spazi urbani vulnerabili ai cambiamenti climatici. La preferenza di tale area di studio, pertanto, ha tenuto in considerazione anche la sua conformità a caratteristiche urbane e spaziali analoghe a quelle di altre città e territori presenti in Veneto. La prima fase di approfondimento ha preso avvio dalla scelta di cinque aree pilota nel territorio comunale di Padova, sulle quali compiere le analisi urbanistiche e le rilevazioni sulla presenza dell’effetto isola di calore urbano, aree identificate sulla base della loro localizzazione rispetto a un transetto di rilevamento che attraversa la città di Padova lungo l’asse nord-ovest, sud-est e rispetto a caratteristiche intrinseche legate alla loro struttura insediativa. Gli ambiti individuati presentano le seguenti caratteristiche (fig. 1): –Ambito 1, area urbana densa posta all’interno del centro storico di epoca medievale; –Ambito 2, area a uso misto, compresa tra un importante corso d’acqua e un grande parcheggio; 194 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Aree Pilota Legenda Ambiti di studio Nome Ambito 1 Ambito 2 Ambito 3 Ambito 4 Ambito 5 Tessuto viario Padova Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 195 –Ambito 3, area residenziale, definita ad “alta densità”, realizzata negli anni Sessanta-Settanta; –Ambito 4, area residenziale, definita a “bassa densità”, realizzata anch’essa negli anni SessantaSettanta, posta nel primo anello esterno alla città e composta da edifici isolati di 1-2 piani; –Ambito 5, area produttiva localizzata all’esterno del comune di Padova. Metodologie di analisi: rilievi tradizionali e remote sensing La prima parte del progetto è stata dedicata all’implementazione di una metodologia efficiente nello studio delle isole di calore urbane. L’attenzione posta sull’area pilota di Padova è stata sin da subito focalizzata al suo possibile utilizzo dalle amministrazioni comunali, mediante il manuale di tecnica urbanistica. In quest’ottica si è cercato di procedere adottando metodologie semplici ma efficaci. Un processo di analisi ideale richiederebbe la possibilità di disporre delle misurazioni della temperatura atmosferica rilevata in tutto l’ambiente urbano. Essa è un descrittore importante per individuare il comportamento dell’eventuale UHI; purtroppo, però, i rilevatori non sono sempre diffusi omogeneamente sull’ambiente urbano. Nelle città italiane la disposizione di centraline di rilevazione di temperatura e umidità sono spesso organizzate secondo logiche di monitoraggio ambientale legato all’inquinamento più che per monitoraggio del microclima. Questa mancanza di informazioni non ha reso possibile la costruzione di un quadro omogeneo capace di far emergere le cause del surriscaldamento urbano alle varie scale. Inoltre alcuni dati, normalmente a disposizione delle pubbliche amministrazioni nei processi di gestione del territorio, non considerano le variabili utili per identificare tale fenomeno. All’interno del progetto la misurazione del calore atmosferico in ambiente urbano è stato affidato all’unità di ricerca dell’Università di Padova2, che ha lavorato all’identificazione dell’isola di calore all’interno della città, facendo specifica attenzione alle cinque aree scelte e descritte in precedenza (fig. 2). Il quadro emerso da queste analisi ha posto in evidenza una differenza termica significativa durante le ore notturne tra l’area urbana e l’area rurale periferica alla città. La presenza di un’isola di calore, di tipo notturno, con una maggiore intensità verso l’alba, è già un forte indicatore delle cause del surriscaldamento urbano, dovuto principalmente alla sua morfologia e alla tipologia delle superfici. È noto infatti nella letteratura scientifica (Oke, 1982; Santamouris, 2005) che l’isola di calore viene descritta come un fenomeno causato da fattori antropogenici quando si sviluppa gradualmente dal tardo pomeriggio alla sera (derivante quindi da attività umane), mentre, se la rilevazione avviene a notte inoltrata, i fattori di formazione sono dipendenti dal rapporto tra superfici permeabili e impermeabili, materiali utilizzati e ventilazione urbana (Papadopoulos, 2001). È stato quindi evidente sin da subito che le analisi e le possibili strategie dovevano rivolgersi all’ambito costruito piuttosto che alle attività umane con cui esso si relaziona. Il lavoro di analisi sul tessuto urbano esistente è avvenuto tenendo in considerazione le linee guida dettate della Technische Universität di Vienna, che ha proposto una serie di indicatori utili a pesare e quantificare i differenti fattori di produzione dell’UHI (tab. 1). Il lavoro proposto prevedeva la quantificazione e l’inserimento di tali indici relazionandoli poi con le rilevazioni di temperatura per ottenere dei risultati coerenti e vicini alla realtà. Grazie a questa modalità è stato possibile valutare i differenti microclimi urbani delle aree scelte e individuare la maggiore incidenza di un fattore rispetto a un altro. Per esempio nella prima area analizzata i fattori di produzione dell’isola di calore sono maggiormente imputabili allo scarso rapporto tra superfici permeabili-impermeabili e Sky View Factor, mentre nella quarta area (scelta poi come area pilota finale) si è visto che la produzione di calore è prevalentemente da imputare alla tipologia dei materiali che compongono la parte edificata. Appare chiaro, quindi, che le strategie di mitigazione del fenomeno (e gli strumenti urbanistici per poter implementare le azioni di progetto) per le due aree in questione risultano essere differenti. 196 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 2. Il transetto di rilevazione attraverso la città. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 197 Tab. 1. Indici utilizzati nell’analisi urbana per determinare i fattori di produzione UHI. Gemetric properties Symbol Unit Range Definition Sky View Factor ψsky – 0-1 Mean value of the fraction of sky hemisphere visible form ground level Aspect ratio H/W – 0-3+ Mean height-to-width ratio of street canyons, consider length of streets as a weighting factor Ab/Atot Ab: building plan area (mq) Atot: total ground area (mq – 0-1 Ratio of building plan area to total ground area; fraction of ground surface with building cover 1-Ab/Atot – 0-1 Ratio of unbuilt plan area to total ground area; fraction of ground surface with building cover Ai – 0-1 Ap = (Ae + Ag + AH2O) – 0-1 Ratio of unbuilt impervious plan area (bare soil, green water) to total ground area Ae: earth – 0-1 Bare soil area Ag: green – 0-1 Green area AH2O: water – 0-1 Water bodies area Ic m – Ratio of built volume (above terrain) to tal building plan area As/Ab As: total built surface area [mq] – >1 Ratio of total built surface area (above terrain) of buildings (walls and roofs) to tal bult area Aw/Ab Aw: total wall area [mq] – ˜1 Walls AR/Ab AR = (AR,i+AR,p) – ˜1 Roofs AR,i/Ab AR,i: total impervious roof area [mq] – ˜1 Impervious roofs AR,p/Ab AR,p: total pervious roof area [mq] – ˜1 Pervious roofs hsi m – Average height above sea level Symbol Unit Range Definition Built area fraction Unbuilt area fraction Impervious surface fraction Pervious surface Mean building compactness Built surface fraction Ic=Vb/Ab [m3/mq] Vb: built volume [m3] AR: total roof area [mq] Mean sea level Surface /material properties Reflectance/albedo Thermal conductivity Specific heat capacity Densiti Anthtropogenic heat outpunt 198 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti ρsw – 0-1 Mean value of albedo (shortwave) λ = (λi+λp) Wm-1K-1 >0 The property of a material’s ability to conduct heat λi: impervious surface Wm-1K-1 >0 Thermal conductivity of impervious surfaces λp: pervious surface Wm-1K-1 >0 Thermal conductivity of pervious surfaces c = (ci+cp) Jkg-1K-1 >0 The amount of heat required to change a unit mass of a material by one degree of temperature ci: impervious surface Jkg-1K-1 >0 Specific heat capacity of impervious surfaces cp: pervious surface Jkg-1K-1 >0 Specific heat capacity of pervious surfaces ρ = (ρi+ρp) kgm-3 >0 The mass density of a material is its mass per unit volume ρi: impervious surface kgm-3 >0 The mass density of impervious surfaces ρp: pervious surface kgm-3 >0 The mass density of pervious surfaces QF Wm-2 >0 Mean annual heat flux density from fuel combustion and human activity (traffic, industry, heating and cooling of buildings ecc.) Al fine di garantire l’efficacia degli interventi proposti va sottolineata l’importanza di individuare con cura le cause di sovrapproduzione di calore nelle diverse aree, definendo così strategie specifiche alle problematiche dell’area. L’individuazione di strategie site-specific diventa essenziale per mantenere elevata l’efficacia delle soluzioni proposte. Le informazioni indispensabili per valutare (e successivamente monitorare) la resilienza di un’area urbana alle ondate di calore sono state le seguenti: – superficie aree pavimentate; – superficie aree permeabili; – superficie edificata; – Sky View Factor (SVF); – compattezza urbana; – incidenza solare; – riflettanza/albedo dei materiali; – conducibilità termica dei materiali. Il grande dettaglio richiesto per l’analisi di tutte queste informazioni ha richiesto una metodologia appropriata di raccolta dati. A questo scopo si è lavorato seguendo due metodi tra loro alternativi: uno, basato sul metodo tradizionale di analisi sul campo, classificando nello specifico le diverse tipologie di copertura del suolo oltre che di altezza e classe tipologica degli edifici e un secondo che si è affidato invece ai sistemi di remote sensing e di elaborazione tridimensionali di dati ricavabili da LiDAR e ortofoto ad altissima risoluzione. Il primo metodo ha permesso di mappare il tessuto urbano, identificando le tipologie di materiali di tutte le superfici, oltre alle loro proprietà termiche. Il lavoro è stato fortemente dispendioso in termini di tempo, soprattutto per le analisi sul campo, ma ha restituito uno stato di fatto completo dell’area. Il secondo metodo, basato sull’impiego di sistemi di remote sensing, ha richiesto un minor tempo di raccolta dei dati e ha permesso di reperire informazioni utili per descrivere e mappare il fenomeno. Volendo estendere questa metodologia a tutto il territorio veneto si potrebbe assicurare una facile e rapida replicabilità di processo, a seconda della dotazione informativa, informatica e tecnologica delle singole amministrazioni locali. Per eseguire le analisi mediante telerilevamento è importante disporre, per l’intera area amministrativa, di dati LiDAR e di ortofoto ad alta risoluzione (0,2-0,5 m per pixel) e preferibilmente contenenti la banda dell’infrarosso. Questa metodologia ha offerto la possibilità di conoscere, per ogni area selezionata, i mq di vegetazione (distinti per altezza), il rapporto tra superficie permeabile e impermeabile, l’irradiazione solare incidente e lo Sky View Factor (Berdahl - Bretz, 1997). Tecnicamente la fase di analisi è avvenuta mediante la creazione di modelli tridimensionali del terreno espressi in forma digitale, DSM (Digital Surface Model) e DTM (Digital Terrain Model), i quali hanno permesso di identificare e inventariare la composizione delle superfici urbane. Unendo i DEM (Digital Elevation Model) ottenuti attraverso l’elaborazione dei dati LiDAR con le ortofoto multispettrali, si ha avuto inoltre la possibilità di suddividere in forma automatica le superfici orizzontali della città per tipologia e altezza, ottenendo così un atlante delle superfici composto da spazi verdi, con relative altezze e spazi impermeabili (edifici, strade, parcheggi). Successivamente, mediante l’utilizzo di software come LAStools, Saga Gis e eCognition, si sono create le mappe dello Sky View Factor e quelle dell’irraggiamento solare, informazioni essenziali a individuare non solo le azioni rivolte alla mitigazione del fenomeno UHI e all’adattamento urbano ai cambiamenti climatici, ma soprattutto a determinare le specifiche zone di intervento. Il punto di forza di queste innovative tecniche di analisi risiede nella loro replicabilità in aree urbane molto estese, le quali richiederebbero mesi per raggiungere il dettaglio ottenuto con l’alternativo metodo di rilevazione topografica tradizionale. Bisogna sottolineare però che non tutti i territori sono dotati di rilevamenti LiDAR o affini, il che rende la metodologia, se pur innovativa ed efficiente, uno strumento ancora utilizzato in aree limitate (figg. 3-9). Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 199 3. Analisi delle superfici orizzontali urbane. La tecnica utilizzata ha permesso la suddivisione delle superfici dell’area selezionata attraverso una procedura automatica. La possibilità di scomporre e misurare le tipologie di copertura della città con un dettaglio di 0,5 mq ha permesso la creazione di un atlante delle superfici di grande dettaglio utile non solo agli studi concernenti l’isola di calore urbana, ma adatto anche a supportare le analisi riguardanti il rischio idrologico e valutare i servizi ecosistemici urbani. Ambito “3” Residenziale (anni’70) ad alta densità -Remote Sensing- 5. Atlante delle superfici “a terra”. La figura illustra il rapporto tra superfici verdi e pavimentate al nudo degli edifici. Le informazioni tradotte in forma vettoriale, contenenti le quote di ogni singolo elemento individuato, permettono di interrogare il dato e scomporre la città in tutte le tre dimensioni. 6. Atlante del verde urbano. Ambito “3” Residenziale (anni’70) ad alta densità Suolo permeabile/impermeabile -Remote Sensing- 4. Analisi degli edifici eseguita utilizzando la metodologia Remote Sensing descritta nella figura 5. I dati ricavati dall’analisi dei dati LiDAR e le ortofoto ad altissima risoluzione (0,2 m) possono essere elaborati da qualsiasi software GIS e trasformati in dati vettoriali. In questo modo è possibile sapere non solo il rapporto tra superficie permeabile e superficie impermeabile, ma anche l’altezza di ogni singolo oggetto riconosciuto dalle analisi di Remote Sensing come “permeabile” o “impermeabile”. 1: 1.000 1: 1.000 Ambito “3” Ambito “3” Residenziale (anni’70) ad alta densità Altezza edifici Residenziale (anni’70) ad alta densità Altezza alberi -Remote Sensing- -Remote Sensing- 1: 1.000 200 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 1: 1.000 Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 201 7. Analisi Sky View Factor. Lo SVF, o fattore vista cielo, misura l’apertura angolare della vista cielo dalla quota 0 dei Canyon urbani. Calcolare lo SVF senza avere un modello digitale della città espresso in forma tridimensionale è molto dispendioso in termini di tempo e risorse, impensabile poterlo eseguire su un’area urbana intera. Poter disporre del calcolo dello SVF, nello studio dell’isola di calore urbana, è molto importante in quanto permette di identificare le superfici verticali degli edifici maggiormente predisposte ad accumulare calore. Ambito “3” Residenziale (anni’70) ad alta densità Sky View Factor -Remote Sensing- 9. Rappresentazione dell’incidenza solare sul suolo eseguita utilizzando la metodologia Remote Sensing. Si noti la facilità con cui si distinguono le superfici prive di ombreggiature da quelle ombreggiate e conseguentemente meno calde. Ambito “3” Residenziale (anni’70) ad alta densità kW-h Giornalieri - Strade -Remote Sensing- 8. Analisi dell’irraggiamento solare compiuto sugli edifici all’interno dell’area di studio. Il vantaggio di disporre del modello digitale del terreno in tre dimensioni permette ai software GIS di calcolare l’irraggiamento solare di ogni superficie attraverso complessi algoritmi che simulano il percorso solare e la conseguente proiezione delle ombreggiature degli oggetti urbani. In questo modo l’analisi restituita, oltre a essere di grande dettaglio, permette di quantificare l’irraggiamento accumulato in un dato periodo di tempo di ogni elemento urbano in termini di ore e Kwh. 1: 1.000 1: 1.000 Ambito “3” Residenziale (anni’70) ad alta densità kW-h Giornalieri - Edifici -Remote Sensing- 1: 1.000 202 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 203 Le informazioni, raccolte e tradotte in forma vettoriale, permettono di essere interrogate grazie ai dati relativi alle quote e alla tipologia di copertura. Scomponendo la città in tutte le sue dimensioni, è quindi possibile sia identificare le aree maggiormente vulnerabili alle ondate di calore che adattare porzioni di città ai fenomeni atmosferici estremi, suggerendo alcune possibili strategie per il raggiungimento di tale obiettivo. Per testare e valutare l’efficienza delle azioni si è poi proceduto alla costruzione di quattro differenti scenari di trasformazione dell’area oggetto di studio. I quattro scenari, con i loro specifici interventi, risultanti dall’integrazione delle misurazioni puntuali della temperatura con la ricerca degli indicatori, sono stati poi elaborati mediante l’utilizzo del software ENVI-met, che permette di simulare la variazione della temperatura dell’aria a seguito delle modifiche fisiche proposte all’interno dell’area selezionata. È in grado quindi di verificare, e indirizzare, strategie di mitigazione al fenomeno UHI, restituendo i risultati delle azioni proposte. Ad esempio, se da un’area considerata nel suo stato di fatto si vogliono vedere i benefici apportati da un inserimento arboreo o dalla modifica dell’albedo di alcune superfici, con questo tipo di simulatore è possibile farlo. Avvalersi di software come ENVI-met permette non solo di verificare l’efficacia di un’azione rispetto a un’altra ma anche la sua ottimale localizzazione. Lo studio di fattibilità Successivamente all’elaborazione delle informazioni relative alle aree all’interno del transetto di rilevazione si è reso necessario comprendere quali “azioni” di mitigazione e adattamento potevano venire prese in considerazione sulla base degli aspetti morfologici di questo specifico quartiere della città di Padova: quali interventi per gli edifici, per gli spazi aperti pubblici e per quelli privati. Il risultato di questi diversi portfoli di “azioni” – integrati tra di loro – ha dato vita agli “scenari di trasformazione”, testati successivamente con l’utilizzo del software ENVI-met per verificarne l’efficacia. Attraverso questo processo è stato possibile dare una prima dimensione progettuale all’area pilota, adattandone specificatamente le misure di mitigazione che venivano genericamente proposte in altri contesti territoriali. Successivamente alla sperimentazione compiuta con il progetto preliminare all’interno dell’area pilota sono stati definiti quattro diversi scenari progettuali: – green ground: scenario in cui si ipotizza di aumentare la superficie permeabile dell’area (dal 18% al 23%) mediante conversione di un parcheggio asfaltato in superficie erbosa e piantumazione di alberi alti 10 m lungo le principali strade della zona; – cool pavements: sostituzione del tradizionale asfalto (albedo 0,2) e cemento (albedo 0,4) utilizzato su strade e marciapiedi con materiali “freddi”, cioè con elevata albedo (0,5); – cool roofs: sostituzione dei tradizionali tetti a tegola o piani rivestiti con materiali “freddi” (albedo da 0,3 a 0,6); – green ground + cool pavements: scenario dato dalla contemporanea adozione delle due azioni di mitigazione descritte. La precisione del modello digitale del terreno, ottenuto mediante l’utilizzo dei dati LiDAR e delle ortofoto, ha permesso di accrescere il dettaglio con il quale eseguire le simulazioni riguardanti la misura dell’efficacia, in termini di riduzione di temperatura, delle differenti azioni di mitigazione, ipotizzate per ciascuno dei quattro scenari. 204 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Le simulazioni successivamente eseguite hanno permesso di chiudere il ciclo di lavoro, consentendo di testare virtualmente le azioni ipotizzate e permettendo il riconoscimento delle strategie migliori per l’area pilota. Il quarto scenario, denominato green ground + cool pavements, testato con l’utilizzo del software ENVI-met, è quello che ha fornito i risultati più soddisfacenti dal punto di vista della riduzione di temperatura. Su questa base si è passati successivamente alla restituzione progettuale dello scenario prescelto. L’area pilota come ambito di sperimentazione per la Regione Veneto Lo scenario di riferimento scelto per l’area pilota è finalizzato all’incremento della resilienza alle esternalità negative causate dalla variabilità climatica. La progettazione di infrastrutture verdi urbane, così intesa, diventa un volano per adattare i sistemi urbani e territoriali ai cambiamenti climatici. Si attribuisce infatti a una rete di spazi naturali e seminaturali una buona capacità di rendere il territorio più resiliente: se ben progettate, le infrastrutture verdi possono mitigare gli effetti delle alluvioni e contenere i crescenti fenomeni di siccità, migliorare la qualità delle acque e dell’aria e favorire efficacemente la tutela del suolo e il contrasto del dissesto idrogeologico. Tutto questo garantendo la filtrazione dell’aria, la protezione dall’erosione, la regolazione dei flussi d’acqua, la tutela delle coste, il mantenimento della struttura del suolo, lo stoccaggio di carbonio. I molteplici vantaggi delle infrastrutture verdi sono stati evidenziati anche nella strategia europea per le infrastrutture verdi pubblicata lo scorso anno (EU, 2013). Ad esempio, nelle città gli alberi e le aree verdi possono impedire inondazioni, ridurre l’inquinamento atmosferico e limitare i livelli di rumore. Inoltre, l’utilizzo di sistemi naturali spesso può essere più economico e più resistente di una struttura hard artificiale. I risultati ottenuti dalle misurazioni di efficacia dei quattro scenari di trasformazione dell’area pilota hanno dato diverse risposte sulla modalità di raggiungimento di alcuni risultati di riduzione della temperatura. Risultano però ancora da comprendere le modalità di applicazione delle trasformazioni previste in un contesto territoriale reale. Il territorio del Veneto centrale infatti, essendo stato fortemente trasformato negli ultimi quarant’anni, necessita di un approccio progettuale fortemente legato a questa specificità territoriale. In questa stessa ottica, il progetto per la trasformazione dell’area pilota, risultato dallo studio di fattibilità, potrà trovare la sua attuazione attraverso piccoli interventi, che verranno compiuti presumibilmente in un arco temporale di circa vent’anni. In questo caso, il progetto esprime, anche attraverso una rappresentazione grafica, uno scenario potenziale di riferimento, al quale si potrà presumibilmente tendere. Le misure di mitigazione previste per attenuare l’effetto isola di calore potranno venire efficacemente utilizzate in primo luogo attraverso l’adozione di strumenti adeguati di gestione e pianificazione del territorio fino alla tecnica urbanistica, in grado di accogliere e interpretare al proprio interno le nuove priorità di adattamento ai cambiamenti climatici. Su queste basi, il gruppo di lavoro, per rendere il più possibile applicabili le misure di mitigazione, ha compiuto una ricognizione degli strumenti di gestione e pianificazione del territorio esistenti, connettendo a ciascuna misura il relativo strumento pianificatorio potenzialmente modificabile (tab. 2). Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 205 Tab. 2. Strumenti ordinari della pianificazione e gestione urbanistica. Azioni possibili di calmierazione delle UHI: superfici a terra, riflettanza ed emissività Superfici a terra Azione Soggetto regolatore prevalente Strumento (urbanistico o di gestione) Tab. 3. Strumenti ordinari della pianificazione e gestione urbanistica. Azioni possibili di calmierazione delle UHI: superfici a terra gestione delle superfici verdi non impermeabilizzate Tipo di indicazione Note Superfici a terra Azione Soggetto regolatore Piano urbanistico Indicazioni comunale (diverse sulle superfici di ciascuna ATO denominazioni a seconda della legislazione regionale di riferimento) Gestione della riflettanza ed emissività delle superfici impermeabili di spazi pubblici e privati 1) Tipologia di pigmentazione 2) Tipologia di materiale Piano di manutenzione ordinaria Amministrazioni e straordinaria comunali Piano delle infrastrutture Regolamento edilizio Parametri di riflettanza delle superfici esistenti Parametri di riflettanza delle superfici di nuove infrastrutture (Fonte: elaborazione Iuav, 2014) Ipotesi di trasformazione dell’area pilota Le azioni di trasformazione dell’area pilota di seguito ipotizzate fanno riferimento allo scenario green ground + cool pavements precedentemente analizzato. Lo schema, utilizzato come base di riferimento per la modellazione ENVI-met, è stato di seguito declinato in una serie di potenziali trasformazioni dell’area pilota. Gli interventi ipotizzati non fanno riferimento quindi a un eventuale programma unitario di progettazione urbana, ma sono strutturati come piccoli interventi, da eseguirsi attraverso l’applicazione degli strumenti urbanistici analizzati (tabb. 3-6). Vale la pena sottolineare come le azioni proposte possano da sole essere efficaci per mitigare l’effetto isola di calore, però necessitino di approfondimenti specifici legati al contesto territoriale in cui si vanno ad applicare, in modo da poter scegliere con oculatezza gli interventi più efficaci e meno costosi. Va altresì evidenziato che per ottenere la massima efficacia tutte le azioni andrebbero inserite all’interno di una strategia generale di adattamento al cambiamento climatico, in modo da poter combinare azioni che agiscano sui diversi effetti del cambio climatico e allo stesso tempo possano essere importanti per le priorità urbane o socioeconomiche di un particolare territorio. 206 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Gestione delle superfici verdi e non impermeabilizzate Private e pubbliche Indicazione sulle superfici impermeabilizzate di ciascuna ATO. Piano del verde Modalità tecniche di collocazione e realizzazione delle diverse tipologie di aiuole verdi Informazione/ comunicazione Informare i cittadini sull’importanza di togliere superficie impermeabile per la creazione di calore e per la gestione delle acque. 1) Massimizzare le superfici a verde 2) Ridurre le superfici impermeabilizzate non necessarie Tipo di norma Piano degli interventi Comune Per le pavimentazioni esistenti è conveniente modificare progressivamente la pigmentazione. Per le nuove superfici conviene impiegare materiali che combinino una maggiore riflettanza e un tasso di impermeabilizzazione basso Parametri di riflettanza delle superfici di nuovi edifici privati e pubblici Strumento Piano direttore Ente di gestione gestore del servizio del servizio idrico idrico Piano delle acque Note Gestisce la tariffa del servizio in base alla superficie impermeabilizzata Identifica ambiti di particolare vulnerabilità e detta parametri massimi di impermeabilizzazione Gestisce la tariffa di scolo delle acque in base alla superficie impermeabilizzata Consorzio di Bonifica Piano di bonifica Piano delle acque Identifica ambiti di particolare vulnerabilità e detta parametri massimi di impermeabilizzazione Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 207 Tab. 4. Strumenti ordinari della pianificazione e gestione urbanistica. Azioni possibili di calmierazione delle UHI: coperture degli edifici, gestione della colorazione (pigmentazione) Coperture degli edifici Azioni Dettare parametri Gestione di riflessività della ed emissività colorazione per membrane (pigmentazione) e materiali di copertura Soggetto regolatore Tipo di norma Strumento Piano degli interventi Note Indicazione sulle superfici di copertura di ciascuna ATO Comune Regolamento edilizio Azioni Massimizzazione delle superfici di copertura verde Dettare parametri per la realizzazione di tetti verdi Soggetto regolatore Comune Strumento Importante per aree produttive Dare dei parametri di riflessività minima per le superfici di copertura Tipo di norma Indicazione Piano sulle superfici degli interventi di copertura di ciascuna ATO Regolamento edilizio Alberature Azioni Soggetto regolatore Per ogni ATO verranno dettati parametri diversi. Tab. 5. Strumenti ordinari della pianificazione e gestione urbanistica. Azioni possibili di calmierazione delle UHI: massimizzazione delle superfici di copertura verde Coperture degli edifici Tab. 6. Strumenti ordinari della pianificazione e gestione urbanistica. Azioni possibili di calmierazione delle UHI: massimizzazione delle superfici ombreggiate da alberature Note Importante per aree produttive Strumento Tipo di norma Piano degli interventi Massimizzazione della superficie ombreggiata da alberature per spazi pubblici e privati Dettare parametri per la piantumazione di nuove alberature in ambiti già costruiti e in ambiti di nuova realizzazione Comune Indicazione sulle superfici coperte da alberature per ciascuna ATO Note Importante per aree produttive Fornire parametri di piantumazione minima per ogni lotto Regolamento edilizio o piano del verde Costruire parametri tecnici per le specie da utilizzare e per le tecniche di piantumazione Informazione/ comunicazione Informare i cittadini sull’importanza di aumentare per tutta la città la superficie a tree canopy Introdurre degli incentivi per gli interventi che prevedono i tetti verdi. Incentivare i tetti verdi negli edifici esistenti dotati di tetto piano. Informare i cittadini sulle possibilità d’uso, realizzazione Informazione/ e manutenzione comunicazione di tetti verdi nel contesto climatico dell’area centrale veneta 208 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Importante sensibilizzare sulla possibilità di usare i tetti verdi come giardini Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 209 MATERIALE RIFLETTENTE MATERIALE PERMEABILE MATERIALE IMPERMEABILE OPACO MANTO STRADALE RIFLETTENTE ALBERI TETTI VERDI TETTI BIANCHI VETRO COPPI IN LATERIZIO GUAINA BITUMINOSA TEGOLE MINERALI/ CEMENTO CEMENTO ARGILLA BLOCCHETTI CEMENTO VEGETAZIONE PORFIDO PIASTRELLE GHIAIA CEMENTO BLOCCHETTI CEMENTO E ERBA ASFALTO 11a. Azione 0 stato di fatto. 11b. Azione 0 stato di fatto, sintesi: superfici permeabili e non permeabili. 210 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 211 212 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 12a. Azione 1: modifica albedo delle strade. 13a. Azione 2: modifica albedo di marciapiedi e parcheggi. 12b. Azione 1, sintesi: caratteristiche dei materiali. 13b. Azione 2, sintesi: caratteristiche dei materiali. 12c. Azione 1, sintesi: modifica della riflettanza del manto stradale. 13c. Azione 2, sintesi: modifica della riflettanza di marciapiedi e parcheggi. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 213 14a. Azione 3: aggiunta di verde a terra su spazi pubblici oltre agli alberi. 14b. Azione 3, sintesi: caratteristiche dei materiali. 14c. Azione 3, sintesi: verde pubblico: apertura di nuove aiuole e piantumazione di nuove alberature. 214 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 15a. Azione 4: albedo su pavimentazione privata. 15b. Azione 4, sintesi: caratteristiche dei materiali. 15c. Azione 4, sintesi: modifica della riflettanza su superfici private. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 215 16a. Azione 5: inserimento di verde su superfici private. 16b. Azione 5, sintesi: caratteristiche dei materiali. 16c. Azione 5, sintesi: inserimento di verde su superfici private. 216 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 17a. Azione 6: tetti verdi, azione extra scenario. 17b. Azione 6, sintesi: caratteristiche dei materiali. 17c. Azione 6, sintesi: tetti verdi, azione extra scenario. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 217 Spazi aperti pubblici 18a. Sintesi delle azioni. 18b. Sintesi delle azioni: caratteristiche dei materiali. 218 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti La prima azione prevede un livello di intervento sulle superfici stradali, ipotizzando un aumento dell’indice di riflettanza del manto carrabile. Tale modifica potrà avvenire attraverso l’utilizzo di materiali di vario tipo, prendendo in considerazione due diverse opzioni tecniche: una prima più immediata, di intervento sulla colorazione/pigmentazione, e una seconda più strutturale, di intervento sulla tipologia di asfalto. Interventi di questo tipo possono venire programmati alla scala dell’intero territorio comunale e sono da compiersi in un periodo prestabilito di anni, per esempio nell’arco di tempo necessario per la riasfaltatura o per il rifacimento di alcuni tipi di segnaletica a terra. Per ragioni di sostenibilità economica, avrebbe senso identificare (con apposita cartografia) le aree comunali in cui risulti prioritario intervenire. La mappatura, nelle città più grandi, può essere legata a studi orientati all’individuazione del calore urbano, attraverso metodi diretti di misurazione o con metodi indiretti di elaborazione di dati fotogrammetrici. I comuni che non possono disporre di analisi complesse sui fenomeni di riscaldamento urbano possono dare priorità agli ambiti più densamente occupati del loro territorio, facendo anche riferimento agli indici suggeriti dall’Università di Vienna per questo specifico progetto. La seconda azione è da considerarsi all’interno dello stesso ambito della prima. Anch’essa prevede l’intervento sulla riflettanza delle superfici urbane impermeabilizzate, si orienta però sugli spazi non considerati di carreggiata automobilistica: marciapiedi, parcheggi e piazze. Anche per queste superfici, come per le carreggiate stradali, sarà importante dotarsi di una metodologia in grado di identificare gli ambiti, a livello cittadino, in cui è prioritario intervenire. Sarà possibile orientare la modifica di queste aree attraverso gli strumenti urbanistici che regolano l’arredo urbano, inserendo dei limiti di riflettanza alla realizzazione o al rifacimento della pavimentazione di piazze e marciapiedi. Per l’applicazione di questa azione all’interno dell’area pilota, sono stati presi in considerazione anche i parcheggi e le singole aree di sosta lungo le careggiate, aree normalmente asfaltate, per le quali si dovrà immaginare un trattamento diverso rispetto alla normale asfaltatura, tenendo in considerazione anche le potenzialità di assorbimento delle acque meteoriche, con l’utilizzo di materiali maggiormente permeabili. La terza azione è focalizzata sugli interventi di aumento della superficie verde all’interno dello spazio pubblico. Anche in questo caso non si tratta di nuovi grandi parchi o estese aree verdi, si fa riferimento a una serie di micro interventi, eseguibili all’interno della città consolidata e infrastrutturata. Concretamente si tratta di apertura di nuove aiuole urbane e piantumazione di nuove alberature. Interventi che per essere eseguiti necessitano di un approccio innovativo legato a una nuova visione della gestione dello spazio pubblico. Attualmente, per la maggior parte delle città italiane, inserire nuovi alberi e aprire nuove aiuole in contesti urbani già costruiti potrebbe comportare un aumento dei costi di manutenzione e una perdita di spazio urbano da dedicare ad altre esigenze (viabilità carrabile, ciclabile e pedonale, parcheggio ecc.): per queste ragioni, l’adozione di questo nuovo approccio dovrebbe avvenire all’interno di un cambio di paradigma a livello strategico nella gestione generale degli spazi della città. Dedicare nuovi spazi al verde all’interno della città già costruita significa uscire dalla percezione dello spazio della strada intesa principalmente come spazio di transito, parcheggio e manovra di autoveicoli. Un nuovo paradigma di uso del verde pubblico significa ripensare a livello strategico il verde urbano in un ambito di valorizzazione dei servizi ecosistemici che lo stesso può offrire in un nuovo contesto di adattamento ai cambiamenti climatici. Scegliere questa strada significa comprendere e valorizzare la varietà di servizi che il verde può offrire – sia per la mitigazione dell’effetto isola di calore, sia per la riduzione di altre esternalità negative dovute a fenomeni meteorologici –, quali: la laminazione per il contenimento delle acque durante i grandi fenomeni piovosi, la riduzione dell’inquinamento atmosferico, l’aiuto alla riduzione della velocità del traffico urbano e infine Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 219 anche l’incentivo verso un miglioramento generale della qualità estetica e ambientale dello spazio pubblico. All’interno dell’area pilota sono state inserite nuove aiuole lungo le strade in cui si poteva ipotizzare una riduzione dell’ampiezza della careggiata, o un passaggio da doppio senso a senso unico di circolazione. Si è inserito del verde anche su uno spazio adibito a piazza lungo via Guizza. isola di calore potrà avvenire soltanto attraverso un lavoro in grado di abbracciare diversi fronti: dagli approfondimenti sulle evoluzioni del clima a scala regionale e locale, all’uso della modellazione climatica, a un utilizzo delle nuove tecnologie come supporto dell’agire urbanistico, alla scoperta di nuovi materiali nel settore edilizio, alla revisione del sistema di governance urbana e soprattutto attraverso la creazione di una nuova strategia in grado di rivedere e coniugare tutti gli aspetti in gioco. Spazi aperti privati Anche la gestione degli spazi aperti privati gioca un ruolo determinante sulla presenza e sull’intensità dell’isola di calore urbana. Nelle nostre città, dipendendo dalla tipologia di insediamento, una porzione importante di territorio non coperto da edifici risponde a un regime di proprietà privata che nel caso dell’area pilota di Padova corrisponde a più di 1/3 della superficie totale. Risulta evidente che la gestione di queste superfici acquisisce particolare rilevanza nella mitigazione dell’effetto isola di calore. In questo caso, però, anche una semplice soluzione tecnica (aumento della superficie verde e aumento della riflettanza delle superfici impermeabili) deve trovare una valida giustificazione di tipo gestionale e legislativo, e la risposta deve necessariamente avere fondamento all’interno di una visione strategica generale in grado di coniugare le esigenze di gestione individuale degli spazi privati con la comprensione dell’importanza di adattarsi al cambiamento climatico. Gli spazi aperti privati possono essere più facilmente trattati nel caso di una nuova edificazione e attraverso un regolamento edilizio. Esigono invece magglior approfondimento gli ambiti urbani consolidati come l’area pilota, poiché è più difficile trovare delle soluzioni normative o forme di incentivo capaci di favorire reazioni di intervento sul patrimonio costruito. In questi casi, le modalità di implementazione potranno essere: – adottare programmi di formazione dei cittadini per stimolare processi autonomi di manutenzione ordinaria degli spazi privati da parte della popolazione più sensibile; – coordinare azioni comuni con l’ente gestore del servizio idrico integrato, per implementare politiche incentivanti in cui la quota di pagamento del servizio idrico dipende dalla porzione di proprietà impermeabilizzata. All’interno dell’area pilota, si propone nell’azione 4 di modificare solamente la riflessività delle superfici private attualmente impermeabilizzate da asfalto, cemento o simili, mentre nell’azione 5 di sostituirle con superfici a verde. Azione post-scenario L’ultima azione di progetto sull’area pilota fa compiere un passo in avanti rispetto agli interventi previsti dallo studio di fattibilità, spingendo verso una proposta di trasformazione più incisiva che non considera solo le superfici orizzontali a terra ma coinvolge anche gli edifici. Questa azione immagina una graduale trasformazione dei tetti degli edifici privati, prevedendo, in prima istanza, una modifica della riflettanza delle superfici piane e successivamente un utilizzo progressivo degli stessi per ospitare tetti verdi. Anche nel caso specifico dei tetti verdi, si potrà vederne una reale espansione soltanto se le nostre città saranno in grado di comprenderne e valutarne il valore, dal punto di vista dei servizi che possono offrire alla comunità, in termini di mitigazione dell’effetto isola di calore, di laminazione delle acque meteoriche, di miglioramento della qualità dell’aria e non ultimo di utilizzo per scopi ricreativi. Lo scenario conclusivo che deriva dalla sperimentazione sull’area pilota non intende offrire una nuova visione utopistica della città; tenta piuttosto di proporre l’applicazione di soluzioni per adattare lo stato attuale a una prospettiva, non più così remota, di un clima in rapido cambiamento. Il percorso per aumentare concretamente la resilienza del nostro sistema urbano al cambiamento climatico, in questo caso, come dimostra questo progetto, a una mitigazione dell’effetto 220 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 1 L’esperessione “urban heat island” compare per la prima volta nel 1958 in un saggio di Gordon Manley nel Quarterly Journal of the Royal Meteorology Society. 2 Marco Noro, Filippo Busato, Renato M. Lazzarin. 3 LiDAR (Laser Imaging Detection and Ranging) è una tecnica di telerilevamento che permette di determinare la distanza di un oggetto o di una superficie utilizzando un impulso laser da una piattaforma aerea. L’altissima frequenza di impulsi garantisce la rilevazione del territorio nelle sue tre dimensioni. L’output restituito si presenta mediante una fitta nuvola di punti quotati e georeferenziati. Riferimenti bibliografici Berdahl, P. - Bretz S.E. (1997), “Preliminary Survey of the Solar Reflectance of Cool Roofing Materials”. Energy and Buildings, 25: 149-158. Betsill, M. - Bulkeley, H. (2006), “Cities and Multilevel Governance of Global Climate Change”. Global Governance, 12, 2: 141-159. Bonafè, G. 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Quarterly Journal of the Royal Meteorological Society, 18(455): 1-24. —(2006a), “Initial Guidance to Obtain Representative Meteorological Observations at Urban Sities. Instruments and Observing Methods”. Whorld Meteorological Organization, Report n. 81. —(2006b), “Towards Better Scientific Communication in Urban Climate”. Theorical and Applied Climatology, 84: 179-190. Olgyay, V. (1998), Arquitectura y Clima. Manual de diseño bioclimático para arquitectos y urbanistas. Barcellona: Gustavo Gili. ONU-Habitat (2011a), Planning for Climate Change. A strategic Values Based Approach for Urban Planners. Nairobi: ONU-Habitat. — (2011b), Global Report on Human Settlements 2011: Cities and Climate Changes. Nairobi: ONU-Habitat. Papadopoulos, A. (2001), “The Influence of Street Canyons on the Cooling Loads of Buildings and the Performance of Air Conditioning Systems”. Energy and Buildings, 33(6): 601-607. Samonà, G. (1980), “Come ricominciare. 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Le soluzioni adottate possono essere applicate ai contesti urbani del Veneto centrale basandosi ovviamente sugli elementi di uniformità formale e climatica che il patrimonio urbano possiede. Le proposte non fanno riferimento a specificità microclimatiche di ogni territorio, ma operano delle semplificazioni, considerando l’area della pianura veneta un contesto mediamente omogeneo dal punto di vista climatico nel quale utilizzare alcune soluzioni di mitigazione del potenziale surriscaldamento, tramite la riqualificazione dello spazio urbano. Le soluzioni sono orientate principalmente a promuovere la trasformazione degli ambiti urbani esistenti e a tutto quel patrimonio edilizio e infrastrutturale che è attualmente possibile concausa dell’effetto isola di calore. Per le rappresentazioni – contenute nell’atlante – sono stati scelti dei contesti urbani tipo, sui quali vengono rappresentati degli scenari potenziali di riqualificazione. Gli scenari pongono l’accento sulle possibili soluzioni di adattamento, che partono dalle semplici modifiche delle pigmentazioni per arrivare a proporre ridefinizioni più profonde dei contesti spaziali. Le soluzioni di trasformazione più rilevanti riguardano principalmente un utilizzo funzionale ed esteso del verde urbano, in tutte le sue forme e declinazioni. Si tratta di un approccio che va a contrastare la diffusa percezione del verde come elemento non indispensabile, legato ad elevati costi di manutenzione, oppure utilizzato a soli fini estetici e decorativi. Le soluzioni sono da contestualizzare all’interno di una strategia climatica locale complessiva. Selicato, F. - Rotondo, F. (2010), Progettazione Urbanistica Teorie e Tecniche, Milano: McGraw-Hill. Seto, K. - Sánchez Rodriguez, R. - Fragkias, M. (2010), “The New Geography of Contemporary urbanization and the environment”. Annual Review of Environment and Resources, 35: 167-194. Shahmohamadi, P. - Cubasch, U. - Sodoudi, S. - Che-Ani, A.I. (2012), “Mitigating Urban Heat Island. Effects in Tehran Metropolitan Area”. Air Pollution - A Comprehensive Prospective, Intech, Chapter 11: 282-283. Svirejeva-Hopkins, A. - Schellnhuber, H.J. - Pomaz, V.L. (2004), “Urbanised Territories as a Specific Component of the Global Carbon Cycle”. Ecological Modelling, 173, 2-3: 295-312. UNDP (2005), Adaptation Policy Frameworks for Climate Change: Developing Strategies, Policies and Measure. New York: United Nations. —(2010), Designing Climate Change Adaptation Initiatives. A UNDP Toolkit for Practitioners. New York: Uni- ted Nations. Vitousek, P. - Mooney, H. et al. (1997), “Human Domination of Earth’s Ecosystems”. Science, n.s., 277, 5325: 494-499. Wong, N.H. - Chen, Y. (2009), Tropical Urban Heat Islands: Climate, Building and Greenery. London: Taylor and Francis. Trasformare una piazza Le piazze delle nostre città rappresentano i luoghi più importanti della vita civica all’aperto, spazi di aggregazione e incontro dei cittadini, tradizionalmente costruiti tenendo in considerazione i diversi aspetti di comfort rispetto alle condizioni climatiche locali. Una cura progettuale, molto spesso dimenticata, che ha lasciato spazio ad altre priorità. L’esercizio prefigura una serie di scenari progettuali descritti un questa sezione del manuale, con la finalità di offrire alcuni spunti di riflessione, per ripensare lo spazio pubblico e lo spazio costruito nel suo complesso. Non si è fatto riferimento, per la loro specificità, alle piazze storiche tutelate da vincolo monumentale, ma alla miriade di altri spazi pubblici a cui può essere riconosciuto un carattere di piazza. Per le piazze storiche, nella loro ristrutturazione periodica, si suggerisce di condurre approfondimenti sull’uso dei materiali lapidei, dove è possibile fare uso di quelli maggiormente riflettenti, e di riconsiderare l’uso del verde. World Bank (2011), Guide to Climate Change Adaptation in Cities. Washington DC. — (2012), Building Urban Resilience: Principles, Tools, and Practice. Washington DC. 222 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 223 1. Stato di fatto. Piazza pavimentata con asfalto o altri materiali poco riflettenti. 2. Esempio di intervento 1. Questo intervento riguarda la modifica dell’albedo della pavimentazione, ottenibile in questo caso lavorando su due diverse potenziali direzioni: modificandone la pigmentazione, quindi colorando la superficie con materiali più riflettenti, oppure intervenendo sul tipo di materiale, sostituendolo con materiali più riflettenti e permeabili. 224 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 3. Esempio di intervento 2. Questa soluzione dimostra come si possa intervenire sulla piazza togliendo superficie impermeabile, inserendo delle aiuole verdi e massimizzando l’ombreggiatura piantando nuove alberature. 4. Esempio di intervento 3. L’utilizzo dell’acqua per mitigare il microclima urbano viene da sempre proposto nelle piazze del nostro paese. Anche l’impiego di sistemi di ombreggiatura temporanei, come i velari, molto utilizzati storicamente nelle città mediterranee, possono aiutare a proteggere dalle ondate di calore. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 225 Trasformare una strada Una strada in ambito urbano denso Lo spazio stradale rappresenta per definizione un’area, più o meno lunga e di sezione sensibilmente costante, attrezzata per il transito di persone e di veicoli, uno spazio che può assumere un’ampia varietà di classificazioni, che dipendono dal tipo di lettura scelta. La strada vista esclusivamente come ambito della circolazione veicolare trova le sue distinzioni nel codice della strada; lo stesso concetto di strada può essere ampliato entrando nelle definizioni di tipo urbanistico/architettonico, in cui acquisisce significati e caratteri più ampi, contraddistinti anche dalla forma e dall’utilizzo degli spazi e degli edifici a essa prospicienti. Un progetto di riqualificazione di una strada coinvolge quindi un numero molto ampio di fattori e per giungere a concretizzazione deve essere in grado di farne convergere la quasi totalità. Le soluzioni progettuali di seguito adottate suggeriscono la trasformazione di spazi stradali tipici dei nostri centri urbani e delle periferie, utilizzando le tecniche a disposizione per mitigarne l’effetto l’isola di calore, abbinandole dove possibile con le altre tematiche della progettazione urbana. Questa sezione stradale vuole affrontare alcune tematiche tipiche di ambiti urbani densi, prendendo in considerazione anche parti di centro storico o aree a esso limitrofe. Si tratta di zone con un preponderante uso dello spazio per la circolazione e il parcheggio di automobili, un utilizzo che contrasta con la qualità estetica e l’uso a scopi ricreativi. Restituire spazio alla città, limitando l’accesso alla mobilità privata, può in questo contesto offrire delle soluzioni per adattare la città al cambiamento climatico, in particolare all’effetto isola di calore. Soluzioni adottabili con a monte una gestione appropriata del trasporto pubblico e del sistema dei parcheggi. Una strada urbana ad alto traffico La tipologia di strada presa in considerazione per questo esercizio progettuale si può incontrare diffusamente in molte delle nostre città venete, nelle direttrici più importanti di attraversamento o di uscita dall’area urbana. Una delle caratteristiche più importanti di questa sezione stradale è legata alla presenza di una fascia di proprietà privata, posta tra la careggiata e il limite degli edifici si tratta di fatto di due fasce spaziali che, pur essendo private, fanno fisicamente parte della strada. In queste aree si trovano normalmente i parcheggi o gli spazi d’ingresso a servizio delle attività commerciali: vaste superfici pavimentate ad asfalto, che rappresentano una fonte importante di accumulo di calore. Si tratta di spazi che andrebbero trasformati adottando le soluzioni tecniche più appropriate attraverso una progettazione mirata, cercando una convergenza tra le attuali funzioni e una chiara strategia di adattamento al cambiamento climatico. Per la parte di strada pubblica si possono trovare diverse forme di trasformazione, partendo dagli interventi più semplici di lavoro sulla riflettanza dei marciapiedi e negli ambiti in cui il traffico è meno intenso, arrivando a soluzioni di modifica dell’assetto della circolazione. 226 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Strada con traffico poco intenso o a fondo chiuso Si tratta di vicoli dove la superficie asfaltata della careggiata e dei marciapiedi non ha motivo di essere molto estesa per il bassissimo flusso di veicoli. Si tratta di strade che si prestano a una modifica della loro identità spaziale e a un utilizzo civico diverso. In esempi centroeuropei simili questi bracci di strada a fondo chiuso diventano spesso ambito di attività comuni degli abitanti. Una strada in ambito urbano a traffico poco intenso Questa tipologia di strada è tipica delle aree residenziali realizzate negli anni Sessanta e Settanta, normalmente caratterizzate da un traffico poco intenso. Lo spazio della careggiata è utilizzato in uno o in entrambi i lati per il parcheggio di automobili. Una strada di lottizzazione Si tratta di una strada presente all’interno delle aree residenziali normalmente urbanizzate attraverso i piani di lottizzazione, un esempio d’infrastruttura viaria progettata con standard dimensionali, non più attuali, orientati esclusivamente alla facilità di spostamento di veicoli e conflittuale con le esigenze odierne di riduzione al minimo delle superfici impermeabilizzate. La soluzione qui proposta dimostra come una comune strada di lottizzazione potrebbe venire trasformata, aumentando le superfici a verde per scopi di adattamento al cambiamento climatico e utilizzandole anche come elemento di limitazione della velocità veicolare. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 227 5. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature. 6. Esempio di intervento 1. Questa prima fase di intervento riguarda la modifica dell’albedo delle superfici meno utilizzate per la circolazione dei veicoli, come i marciapiedi e gli spazi a parcheggio. 7. Esempio di intervento 2. Questa soluzione prevede la massimizzazione delle possibilità di ombreggiatura e riduzione delle superfici impermeabili attraverso l’utilizzo del verde urbano. 8. Esempio di intervento 3. Il verde come limitatore della velocità veicolare. Questa proposta, con l’inserimento di un’aiuola centrale, dà una diversa identità spaziale alla carreggiata che, in alcuni casi, può acquisire la funzione di limitatore della velocità del traffico veicolare. 228 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 229 9. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature. 10. Esempio di intervento 1. Modificare l’albedo dei marciapiedi e degli spazi a parcheggio. 11. Esempio di intervento 2. Inserimento di nuovo verde urbano, lavorando sugli spazi interstiziali, senza togliere area agli utilizzi attuali. 12. Esempio di intervento 3. Inserimento di nuovo verde urbano in forma estesa, invadendo aree attualmente utilizzate per il parcheggio. 230 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 231 13. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature. 14. Esempio di intervento 1. Interventi di modifica dell’albedo di parcheggi e marciapiedi. 15. Esempio di intervento 2. Inserimento di verde urbano, con il posizionamento di alberature e aiuole verdi. 16. Esempio di intervento 3. Il verde è utilizzato per ridurre la superficie impermeabile e aumentare l’area ombreggiata, che diventa anche elemento di aiuto alla riduzione della velocità veicolare. 232 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 233 17. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature. 18. Esempio di intervento 1. Interventi di modifica dell’albedo di parcheggi e marciapiedi. 19. Esempio di intervento 2. Inserimento di verde urbano, con il posizionamento di alberature e aiuole verdi. 20. Esempio di intervento 3. Il verde è utilizzato per ridurre la superficie impermeabile e aumentare l’area ombreggiata, che diventa anche elemento di aiuto alla riduzione della velocità veicolare. 234 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 235 236 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 21. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature. Trasformare un’area produttiva: indicazioni 22. Esempio di intervento. Il verde è utilizzato per ridurre la superficie impermeabile e aumentare l’area ombreggiata, che diventa anche elemento di aiuto alla riduzione della velocità veicolare. Questa proposta prende in considerazione le trasformazioni applicabili all’interno di aree produttive tipo, realizzate senza dare priorità agli aspetti di sostenibilità ambientale. Si tratta di zone che per ovvie ragioni di utilizzo dello spazio (capannoni, depositi delle merci, spazio di circolo e manovra degli automezzi) sono state del tutto impermeabilizzate, diventando attrattori di calore urbano e di difficile gestione delle acque piovane. Le amministrazioni pubbliche potranno prendersi l’onere di guidare le riqualificazioni, lavorando sugli strumenti di governo del territorio, comprendendo le opportunità di adattamento al cambiamento climatico, aprendo iniziative di confronto con il mondo imprenditoriale e tentando iniziative sinergiche con altri potenziali attori di gestione del territorio, come i consorzi di bonifica o gli enti gestori del servizio idrico. La trasformazione degli spazi pubblici di queste aree (strade, marciapiedi, parcheggi ecc.) dovrà necessariamente garantire spazio di manovra e resistenza dei materiali a terra alla circolazione di mezzi pesanti. Il lavoro dovrà concentrarsi sulle aree interstiziali e sui marciapiedi, tentando, dove possibile, di ricavare spazio per aiuole a terra e nuove alberature. Gli spazi privati sono per la maggior parte composti da vasti piazzali per il deposito di materiali e transito di automezzi e da spazi meno estesi di ingresso e rappresentanza. Nei grandi piazzali si suggerisce di intervenire, in primo luogo, sulla pigmentazione delle superfici, mentre per gli spazi aperti non utilizzati per deposito e transito si suggerisce di limitare al minimo le impermeabilizzazioni a terra e di massimizzare la presenza di alberature. Gli edifici possono trovare riqualificazione nell’utilizzo dei tetti verdi e di facciate e schermature verdi. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 237 23. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature. 24. Esempio di intervento. Intervento sulla strada e sugli edifici privati. 238 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 25. Stato di fatto. Strada asfaltata senza alberature. Trasformare le aree a parcheggio Le aree a parcheggio che troviamo all’interno delle nostre aree urbane e nelle zone limitrofe a servizio di importanti centri del terziario rappresentano veri e propri nuclei di formazione dell’effetto isola di calore, portando con sé anche altre problematiche legate al cambiamento climatico. Questi spazi vengono progettati seguendo degli standard urbanistici che richiedono un numero prestabilito di posti auto, a volte dettando anche dei parametri sul numero minimo di alberature e sulla permeabilità delle pavimentazioni. Un approccio che ha condotto ad avere grandi superfici asfaltate abbandonate dal punto di vista della gestione del verde. Anche in questo caso, gli esempi di intervento proposti si orientano in primo luogo a una modifica dell’albedo delle pavimentazioni, realizzabile nel breve periodo, proponendo successivamente degli interventi strutturali con l’inserimento di aiuole e alberature. Per la gestione del verde si consiglia un approccio in grado di andare oltre la dettatura di parametri urbanistici, ma che si orienti a indicare standard di prestazione ai gestori degli spazi (superficie ombreggiata, quantità d’acqua piovana trattenuta ecc.). Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 239 26. Esempio di intervento. Intervento di modifica dell’albedo. 27. Esempio di intervento. Inserimento di alberi e aiuole. Proposte per le coperture All’interno delle nostre aree residenziali per mitigare l’effetto isola di calore è possibile intervenire anche sulle coperture. Le coperture rappresentano una delle componenti edili dell’edificio che periodicamente necessitano di manutenzione o sostituzione; per queste ragioni, le amministrazioni pubbliche, negli ambiti urbani più colpiti dall’isola di calore, potrebbero orientarne la trasformazione. Gli interventi possono avere ovviamente uno sviluppo diverso, poiché dipendono dal tipo di copertura. Per i tetti piani e anche per quelli inclinati, come già avviene con alcuni protocolli di sostenibilità1, è possibile dettare, tramite normativa, dei parametri minimi di riflettanza. Si tratta di un’operazione facilmente eseguibile, considerato che il mercato già offre diversi materiali ad alta riflessività. L’utilizzo dei tetti verdi non ha purtroppo trovato diffusione nel nostro paese; alcune ditte hanno anche sviluppato dei prodotti di un certo interesse, ma la diffusione è stata minima. La motivazione principale viene rivolta all’avversità delle condizioni climatiche, ma è chiaro che non può essere la motivazione principale, considerato che alcune città del Nord America in condizioni climatiche simili stanno avendo un forte sviluppo. Si immagina quindi che l’insuccesso sia dovuto a una mancata formazione della cittadinanza e a una scarsa incentivazione all’interno dei regolamenti edilizi comunali. Anche i tetti verdi, come altre tecnologie innovative, potranno trovare sviluppo se le nostre amministrazioni pubbliche saranno in grado di comprendere e valutare i numerosi servizi che possono offrire alla loro comunità, trovando di conseguenza i giusti percorsi legislativi e formativi per poterli implementare. 1 240 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 7.2 Credit. LEED Protocol NC 2009 Italy. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 241 28. Stato di fatto. 29. Esempio di intervento 1. Aumento della riflettanza per i tetti piani. Negli edifici esistenti, la sostituzione periodica delle coperture con materiali ad alta riflettanza può portare a risultati importanti di miglioramento del microclima urbano e delle prestazioni energetiche degli edifici stessi. 242 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 30. Esempio di intervento 3. L’inserimento di tetti verdi su edifici esistenti, dove il sistema strutturale lo permetta, può dare ottimi risultati di riduzione del calore urbano oltre a contribuire a limitare il volume delle acque di pioggia che giungono a terra. 32. Esempio di intervento 4. L’inserimento di tetti verdi sugli edifici che attualmente hanno copertura inclinata può avvenire attraverso modifiche volumetriche, incentivate da regolamenti edilizi e sgravi economici. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 243 1.4. MATERIALI INTELLIGENTI COOL COME CONTROMISURA ALL’ISOLA DI CALORE URBANA Alberto Muscio Il controllo degli apporti solari nella normativa energetica italiana Tetti e pavimentazioni stradali costituiscono oltre il 60% delle superfici urbane in molte città. In un pomeriggio estivo assolato queste superfici, tipicamente asciutte e scure, si surriscaldano al sole e, a loro volta, surriscaldano l’aria soprastante. Nelle vicine zone rurali l’aria tende invece a essere più fresca perché le superfici sono leggermente più riflettenti (cioè assorbono meno radiazione solare), ma soprattutto sono più umide (quindi dissipano gli apporti solari facendo evaporare acqua). Ulteriori contributi al surriscaldamento dell’aria nelle città derivano dal calore antropogenico rilasciato dagli impianti di condizionamento, dalle attività produttive, dai mezzi di trasporto. È questa in estrema sintesi la dinamica di formazione dell’isola di calore urbana, il surriscaldamento delle superfici edificate delle città e dell’atmosfera urbana rispetto alle zone non urbanizzate e rurali circostanti. Nella formazione dell’isola di calore urbana, il comportamento termico estivo degli edifici e delle superfici a terra, specialmente nelle loro interazioni con il ciclo solare, è evidentemente fondamentale, e ci si può quindi attendere che sia stato oggetto di normazione specifica in ambito urbanistico ed edilizio. Invece, come si vedrà nel seguito, le prescizioni normative circa gli edifici sono blande e poco incisive e, comunque, riguardano principalmente le problematiche della climatizzazione interna e dei fabbisogni energetici a essa correlati, mentre nulla si può reperire nella normativa comunitaria e nazionale per le superfici a terra. In generale, in tema di efficienza energetica degli edifici e degli impianti, la promulgazione dell’ormai celebre Decreto Legislativo n. 192 del 2005, attuazione della Direttiva Europea 2002/91/CE sull’effficienza energetica degli edifici (detta anche EPBD – Energy Performance of Buildings Directive), ha avviato in Italia una vera e propria rivoluzione, che a cascata ha comportato lo stravolgimento delle metodologie progettuali e costruttive. Il processo non è stato certamente né rapido né indolore, essendosi attuato attraverso numerose modificazioni, integrazioni e talora integrali riscritture del suddetto Decreto Legislativo. I tecnici, le imprese, gli artigiani e i fornitori di materiali hanno spesso arrancato nell’adeguarsi ai nuovi requisiti, dovendo quasi da un giorno all’altro abbandonare pratiche edilizie con radicamento pressoché secolare per familiarizzare in tempi forse troppo brevi con i moderni approcci di isolamento termico di parete, eliminazione dei ponti termici, limitazione del rischio di condensa superficiale e interstiziale, contenimento delle dispersioni invernali complessive. Si è così innescato un transitorio in cui le elevatissime prestazioni richieste dal legislatore sono risultate tali solo sulla carta, e molti edifici certificati in classe energetica A si sono in realtà dimostrati affetti da drammatici vizi progettuali e costruttivi, sovente al punto da non risultare conformi a requisiti minimi anche blandi, né confortevoli o salubri per gli occupanti. Per fortuna in questi ultimi tempi è stata finalmente maturata a tutti i livelli la consapevolezza che il cosidetto cappotto termico deve essere integrale, adeguatamente spesso e privo di ponti termici che lo interrompano, e si è inoltre presa coscienza dei rischi che la sigillatura assicurata dai moderni serramenti e dalla permeabilità nulla delle pareti cappottate pone in termini di insufficiente rinnovo dell’aria. L’edilizia nazionale sembrerebbe avere così raggiunto un’adeguata maturazione in tema di efficienza energetica del riscaldamento, tale da poter assorbire senza troppi patemi anche gli ulteriori impulsi prescrittivi e di mercato susseguiti ai recenti eventi sismici. 245 Nella realtà dei fatti, un importante vulnus, quello dell’inefficienza energetica e del discomfort nella stagione estiva con le sue ricadute sull’isola di calore urbana, è rimasto aperto e ha ricevuto minime attenzioni – anzi, è stato paradossalmente aggravato dal perfezionamento delle pratiche costruttive. Per meglio spiegare questo concetto possiamo ricorrere – e chi legge ci scusi della banalità – a una semplice metafora: agli edifici viene oggi applicato un cappotto invernale praticamente perfetto, che però, a differenza degli indumenti personali, non può essere svestito durante la stagione estiva. Ecco che allora i seppur ridotti apporti termici legati alle attività svolte negli ambienti e all’insolazione degli elementi vetrati non possono più essere smaltiti attraverso pareti non cappottate a elevata trasmittanza termica, e vanno quindi a intensificare e, soprattutto, a estendere temporalmente i periodi di surriscaldamento interno, tanto che in gran parte degli edifici di recente costruzione il fabbisogno energetico per condizionamento supera quello per riscaldamento. Tutto ciò è conseguenza del fatto che il legislatore ha finora concentrato la propria attenzione sul fabbisogno energetico per riscaldamento e su quello, meno importante ma non trascurabile, per produzione di acqua calda sanitaria. A oggi la classificazione energetica degli edifici non tiene in alcun conto il fabbisogno energetico per raffrescamento, complice il fatto che la norma tecnica armonizzata nazionale, la UNI/TS 11300-3 (parte terza), focalizzata sul calcolo delle prestazioni degli impianti di condizionamento a compressione di vapori e ad assorbimento, è risultata carente in molti aspetti e non potrà perciò essere applicata fintantoché non ne sarà stata svolta una completa revisione. Nel frattempo i requisiti da rispettare ai fini del contenimento dei surriscaldamenti sono pochi e relativamente blandi, tutti focalizzati sull’involucro e sul contenimento degli apporti solari, ovvero sulla limitazione dei loro effetti interni. Pressoché nulla è altresì specificato sull’impatto che gli edifici possono avere sul surriscaldamento delle aree urbane, cioè sul problema dell’isola di calore, tanto quello in via diretta, attraverso l’assorbimento della radiazione solare, quanto quello per via indiretta, per il calore scaricato in aria dalle unità esterne degli impianti di condizionamento. Entrando nel dettaglio, il DPR n. 59 del 2009, che ha introdotto una completa riscrittura del D.Lgs. n. 192/2005, all’art. 4, comma 3 ha stabilito in tema di fabbisogno energetico complessivo per raffrescamento che «Nel caso di edifici di nuova costruzione e nei casi di ristrutturazione di edifici esistenti [...] si procede in sede progettuale alla determinazione della prestazione energetica per il raffrescamento estivo dell’involucro edilizio (EPe,invol)». Il parametro EPe,invol tiene conto solo dell’energia da estrarre dall’involucro edilizio per mantenere gli ambienti interni a una temperatura prestabilita, ad es. 26 °C per abitazioni e uffici, ed è definito come il «rapporto tra il fabbisogno annuo di energia termica per il raffrescamento dell’edificio, calcolata tenendo conto della temperatura di progetto estiva secondo la norma UNI/TS 11300-1, e la superficie utile [calpestabile], per gli edifici residenziali, o il volume [lordo], per gli edifici con altre destinazioni d’uso». EPe,invol è quindi calcolato a prescindere dalla prestazione degli impianti di condizionamento eventuali, e si deve verificare in sede progettuale che esso non sia superiore: a) per gli edifici residenziali di cui alla classe E1 [abitazioni, n.d.r.], ai seguenti valori: 1. 40 kWh/mq all’anno nelle zone climatiche A e B [quelle a clima più mite, n.d.r.]; 2. 30 kWh/mq all’anno nelle zone climatiche C, D, E, e F [quelle a clima progressivamente più rigido, n.d.r.]; b) per tutti gli altri edifici ai seguenti valori: 1. 14 kWh/m3 all’anno nelle zone climatiche A e B; 2. 10 kWh/m3 all’anno nelle zone climatiche C, D, E, e F. Poiché gli apporti interni specifici sono legati alle attività svolte negli ambienti abitati e quindi sono convenzionalmente prefissati e costanti, gli interventi possibili per il soddisfacimento del requisito su EPe,invol sono limitati al controllo degli apporti solari. Nella pratica si tratta di limiti 246 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti assai blandi, specialmente ove si tengano in considerazione soltanto gli apporti solari attraverso gli elementi vetrati e non quelli attraverso gli elementi opachi (coperture, pareti verticali), più ridotti in termini specifici ma riguardanti una superficie molto ampia e, nei fatti, non trascurabili. Negli edifici ordinari non è spesso necessario prendere alcuna contromisura per rispettare il valore limite di EPe,invol . Al successivo comma 18 dell’art. 4, il D.P.R. n. 59/2009 introduce livelli di prestazione minima per gli elementi di parete, specificando che «Per tutte le categorie di edifici, [...] ad eccezione, esclusivamente per le disposizioni di cui alla lettera b), delle categorie E.5, E.6, E.7 ed E.8 [rispettivamente edifici commerciali, scuole, edifici per attività sportive e per attività industriali/artigianali, n.d.r.], il progettista, al fine di limitare i fabbisogni energetici per la climatizzazione estiva e di contenere la temperatura interna degli ambienti, nel caso di edifici di nuova costruzione e nel caso di ristrutturazioni [...]»: a) valuta puntualmente e documenta l’efficacia dei sistemi schermanti delle superfici vetrate, esterni o interni, tali da ridurre l’apporto di calore per irraggiamento solare; b) esegue, in tutte le zone climatiche ad esclusione della F, per le località nelle quali il valore medio mensile dell’irradianza sul piano orizzontale, nel mese di massima insolazione estiva, Im,s, sia maggiore o uguale a 290 W/mq: 1. relativamente a tutte le pareti verticali opache con l’eccezione di quelle comprese nel quadrante nord-ovest / nord / nord-est, almeno una delle seguenti verifiche: 1.1 che il valore della massa superficiale Ms, di cui al comma 22 dell’allegato A, sia superiore a 230 kg/mq; 1.2 che il valore del modulo della trasmittanza termica periodica (YIE), di cui al comma 4, dell’articolo 2, sia inferiore a 0,12 W/m2K; 2. relativamente a tutte le pareti opache orizzontali ed inclinate che il valore del modulo della trasmittanza termica periodica YIE, di cui al comma 4, dell’articolo 2, sia inferiore a 0,20 W/m2K. La prescrizione inerente agli elementi vetrati di cui al punto a), chiaramente generica e priva di requisiti prestazionali, è meglio specificata al successivo comma 19 (e, con contenuti analoghi, al comma 20), stabilendo che «Per tutte le categorie di edifici, [...] ad eccezione delle categorie E.6 ed E.8 [rispettivamente scuole ed edifici per attività industriali/artigianali, n.d.r.], al fine di limitare i fabbisogni energetici per la climatizzazione estiva e di contenere la temperatura interna degli ambienti, nel caso di edifici di nuova costruzione e nel caso di ristrutturazioni di edifici esistenti [...], è resa obbligatoria la presenza di sistemi schermanti esterni». Non è specificato cosa si intenda per sistemi schermanti esterni, anche se è facile pensare a frangisole, tendaggi, veneziane esterne ecc., né viene indicata una prestazione minima. Una scappatoia, sfruttabile nei casi in cui l’installazione in facciata di sistemi schermanti esterni sia particolarmente inestetica o onerosa, è che «Qualora se ne dimostri la non convenienza in termini tecnico-economici, detti sistemi possono essere omessi in presenza di superfici vetrate con fattore solare (UNI EN 410) minore o uguale a 0,5». Il fattore solare di una vetrata, solitamente indicato con la lettera g, è il rapporto tra l’energia termica globalmente trasmessa dalla vetrata e quella apportata su di essa dall’irradiazione solare. Vetrate a lastra singola non trattata presentano un fattore solare attorno a 0,85; moderne vetrate a lastra doppia con trattamento bassoemissivo hanno fattore solare attorno a 0,67. Valori conformi al limite normativo o anche molto più bassi, fino a 0,35 o meno, possono essere raggiunti mediante opportuni trattamenti in fabbrica delle lastre, volti a ottenere vetri cosiddetti “selettivi”, in quanto in grado di trasmettere fino al 65% e oltre della radiazione illuminante, quella che ricade nella banda del visibile (con lunghezza d’onda tra 0,4 e 0,7 mm, vedi fig. 1), ma di filtrare la maggior parte della radiazione infrarossa (tra 0,7 e 2,5 mm, oltre il 50% del totale) e di quella ultravioletta (tra 0,3 e 0,4 mm). Risultati analoghi e persino migliori possono essere ottenuti con pellicole adesive (vedi fig. 2) Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 247 Isol,λ / Isol,λmax (irradianza spettrale normalizzata) 1.00 UV 4.7% (<400 nm) 0.80 VIS 42.8 (400-700 nm) NR 52.5% (>700 nm) 0.60 CIE 1964 10° std. observer (y-curve) 0.40 0.20 0.00 300 500 700 9001100130015001700 190021002300 2500 λ (lunghezza d’onda) [nm] 1. Spettro standard dell’irradiazione solare normalizzato. 2. Vetrata con pellicola antisolare selettiva (Fonte: Serisolar). 248 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti o anche vernici trasparenti applicate esternamente alle lastre, in alcuni casi ottenendo solo impercettibili viraggi della colorazione esterna della vetrata. È opportuno sottolineare come gli apporti solari attraverso le superfici vetrate, oltre che essere pregiudizievoli del comfort interno estivo negli edifici, forniscono un contributo significativo anche all’isola di calore urbana. Infatti, il calore captato viene rilasciato integralmente nell’aria esterna per ventilazione e/o per condizionamento, nel secondo caso incrementato dall’energia assorbita e convertita in calore dai motori elettrici degli impianti di condizionamento. In relazione alle pareti opache, la condizione circa l’irradianza (solare, media giornaliera) sul piano orizzontale nel mese di massima insolazione estiva di cui al punto b) del sopraccitato comma 18 dell’art. 4 è valida per tutto il Centro-sud Italia e per buona parte del Centro-nord, con l’esclusione delle località montane. Al verificarsi della condizione, per le pareti verticali viene specificato un limite minimo sulla massa superficiale Ms, definita come il rapporto tra massa della parete e superficie frontale, o in alternativa un limite massimo alla trasmittanza termica periodica, un parametro calcolato attraverso un procedimento matematico in campo complesso con cui si vuole rendere la capacità della parete di smorzare in ampiezza l’onda termica indotta dal ciclo dell’irradiazione solare esterna e trasmessa attraverso la parete stessa. Sia il primo che il secondo requisito sono automaticamente soddisfatti in presenza di comuni pareti a due teste intonacate, anche in mattoni forati. Per le pareti orizzontali si prescrive invece un limite massimo solo per la trasmittanza termica periodica, e tale limite è più blando di quello per le pareti opache (0,20 W/mq/K anziché 0,12<W/mq/K), inspiegabilmente, in quanto l’intensità dell’irradiazione sulle superfici orizzontali è in estate di gran lunga superiore a quella sulle superfici verticali. In coda al medesimo comma 18 dell’art. 4 viene altresì stabilito che «Gli effetti positivi che si ottengono con il rispetto dei valori di massa superficiale o trasmittanza termica periodica delle pareti opache previsti alla lettera b), possono essere raggiunti, in alternativa, con l’utilizzo di tecniche e materiali, anche innovativi, ovvero coperture a verde, che permettano di contenere le oscillazioni della temperatura degli ambienti in funzione dell’andamento dell’irraggiamento solare». L’alternativa è consentita a patto che sia «prodotta una adeguata documentazione e certificazione delle tecnologie e dei materiali che ne attesti l’equivalenza con le predette disposizioni», un requisito in realtà molto gravoso perché l’equivalenza può essere in generale dimostrata solo mediante metodi di simulazione dinamica che sono fuori portata per la maggior parte dei progettisti. La genericità della concessione all’utilizzo di tecniche e materiali, anche innovativi, lascia comunque ampio spazio di manovra al progettista, aprendo la strada a soluzioni anche notevomente avanzate come quelle che prevedono l’integrazione nella parete di materiali a cambiamento di fase (PCM – Phase change Materials), in grado di assorbire e rilasciare il calore sotto forma di calore latente, oppure l’utilizzo di tetti ventilati in cui, tra il manto di tegole delle falde e il piano di appoggio sottostante, sono ricavati canali ascendenti ove l’aria, aspirata attraverso opportune aperture in gronda, risale per effetto camino e viene rilasciata in atmosfera tramite altre aperture in colmo, portandosi così via durante la risalita parte del calore apportato dal sole alle tegole. L’efficacia dei tetti ventilati, seppur innegabile, è generalmente limitata e comunque di difficilissima stima. È altresì evidente come le coperture a verde presentino oneri e problematiche di installazione e di gestione notevoli e che il loro utilizzo vada più probabilmente motivato con ragioni di ordine architettonico-paesaggistico ancorché energetiche. Tirando le somme, la normativa energetica italiana (anche a livello regionale) sta portando a ottimi risultati in termini di contenimento dei consumi in regime invernale e per produzione di acqua calda sanitaria. Tuttavia l’assenza di analoghi sforzi mirati al contenimento dei consumi in regime estivo sta creando situazioni paradossali: un cittadino virtuoso, disposto a investire denaro in interventi non banali di efficientamento energetico della propria abitazione (isolamento a cappotto, sostituzione infissi, ammodernamento impianti ecc.), potrebbe trovarsi nella spiacevole situazione Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 249 di spendere d’estate, per il raffrescamento, ciò che ha risparmiato d’inverno con le soluzioni adottate. Inoltre – e soprattutto – poco o nulla viene previsto per limitare il surriscaldamento complessivo delle aree urbane, cosa che espone drammaticamente le città ai rischi posti dalle sempre più frequenti ondate di calore. In realtà, e contrariamente a ciò che molti pensano, gran parte delle lacune normative precedentemente evidenziate non richiede soluzioni di particolare complessità matematica o tecnologica, ma solo un’adeguata gestione del fenomeno dell’irraggiamento solare sulle superfici urbane, nell’ottica di limitarne l’assorbimento e di smaltire in qualche modo il calore comunque assorbito. I materiali cool: esperienze emiliane e riferimenti normativi regionali Tra «tecniche e materiali, anche innovativi» previsti dal D.P.R. n. 59/2009 «al fine di limitare i fabbisogni energetici per la climatizzazione estiva e di contenere la temperatura interna degli ambienti» possono essere con buona ragione iscritti i cosiddetti cool roofs. Sotto questa denominazione, raramente tradotta dall’inglese in quanto ormai consolidata nella nomenclatura tecnica, si comprende un’ampia varietà di prodotti e soluzioni di finitura superficiale (vernici, guaine a spruzzo e a stendere, lamiere verniciate e pannelli preisolati a sandwich, piastrelle ceramiche e pietre naturali ecc.) che permettono di prevenire il surriscaldamento sia di singoli edifici che di intere aree urbane in virtù di: – elevata capacità di riflettere la radiazione solare incidente, cioè elevata riflettanza solare, una proprietà superficiale che esprime il rapporto tra frazione riflessa della radiazione solare e radiazione totale incidente; – elevata capacità di restituire all’atmosfera, mediante irraggiamento nell’infrarosso, la frazione (comunque) assorbita della radiazione solare incidente, cioè elevata emissività termica, un’altra proprietà superficiale che esprime il rapporto tra radiazione termica emessa nell’infrarosso e massima emissione teorica alla medesima temperatura; – stabilità chimico-fisica delle proprietà superficiali, in particolare della riflettanza solare; – bassa tendenza allo sporcamento causato dall’inquinamento e, in località a clima umido, dalle formazioni biologiche. I cool roofs nascono a fine anni novanta del secolo scorso negli USA, grazie specialmente all’attività dell’Heat Island Group coordinato dal professor Hashem Akbari presso il Lawrence Berkeley National Laboratory (heatisland.lbl.gov), in risposta al problema dell’isola di calore urbana. In tempi recenti hanno trovato un buon interesse anche in Italia, in virtù delle attività di disseminazione svolte da vari gruppi di lavoro attivi a livello nazionale e internazionale. In Emilia-Romagna l’EELab - Energy Efficiency Laboratory (www.eelab.unimore.it) ha iniziato i suoi studi nel 2005, tra l’altro realizzando un cool roof sperimentale (fig. 3) che è probabilmente il primo cool roof italiano concepito in quanto tale. Proprio sulla scorta degli studi dell’EELab, la regione Emilia-Romagna ha apportato integrazioni specifiche alla delibera dell’Assemblea legislativa regionale in tema di efficienza energetica degli edifici (D.A.L. n. 156/2008 e successive modificazioni e integrazioni). In particolare, un recente aggiornamento promulgato mediante delibera della giunta regionale dell’Emilia-Romagna, la D.G.R. n. 1366 del 2011, recita quanto segue: «Gli effetti positivi che si ottengono con il rispetto dei valori di massa superficiale o di trasmittanza termica periodica delle pareti opache previsti alla lettera b), possono essere raggiunti, in alternativa, con l’utilizzo di tecniche e materiali, anche innovativi, ovvero coperture a verde, che permettano di contenere le oscillazioni della temperatura degli ambienti in funzione dell’andamento dell’irraggiamento solare Analogamente, possono essere adottate soluzioni idonee a ridurre il carico termico di pareti e coperture (cool roofs), mediante l’utilizzo di materiali (quali intonaci, vernici, guaine, lastricati solari) con riflettanza solare uguale o superiore a 0,65. In tali casi deve essere prodotta a corredo della 250 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 3. Cool roof sperimentale presso il campus di Ingegneria a Modena (Fonte: Energy Seal Italia). Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 251 relazione tecnica di cui al successivo punto 25 una adeguata documentazione e certificazione delle tecnologie e dei materiali che ne attesti l’equivalenza con le predette disposizioni». I materiali cool come contromisura all’isola di calore I cool roofs sono oggi considerati una soluzione cosiddetta win-win in quanto presentano tanto vantaggi diretti per l’utente finale (minore fabbisogno energetico per raffrescamento e, di conseguenza, minori costi per condizionamento dell’aria, maggiore comfort, minori stress strutturali e fatica delle coperture, minore degradazione chimico-fisica dei materiali di rivestimento) quanto vantaggi indiretti per la comunità (minore surriscaldamento delle aree urbane e rilascio di inquinanti dovuto a degradazione chimico-fisica, riduzione dello smog fotochimico, riduzione dei picchi di carico elettrico, minori consumi elettrici e correlato rilascio di CO2). In questa sede preme in particolare sottolineare il favorevole contributo che può derivare, in termini di contenimento del surriscaldamento delle aree urbane e, quindi, dell’isola di calore, dai materiali cool in genere, non solo cool roofs ma anche cool pavements (pavimentazioni per parcheggi, strade a ridotta frequentazione e velocità, piazzali e aree cortilive lastricate, ove contraddistinti da riflettanza solare più elevata rispetto ai materiali ordinari). Per ottenere materiali e soluzioni cool ad altissime prestazioni è necessario raggiungere un’elevata capacità di riflessione della radiazione solare su tutto lo spettro, di cui il visibile costituisce una parte importante ma non maggioritaria. L’elevata capacità di riflessione che si deve pertanto avere nel visibile corrisponde a una colorazione bianca delle superfici. Il colore non deve tuttavia trarre in inganno, in quanto il visibile include poco più del 40% dell’energia apportata dalla radiazione solare, che cade altrimenti nell’infrarosso e, in misura poco rilevante, nell’ultravioletto (fig. 1). L’innovazione tecnologica dei moderni materiali cool rispetto a quella che, in fondo, è una pratica invalsa da millenni – in area mediterranea, le pareti esterne e anche i tetti delle case presentano colorazioni bianche o molto chiare – risiede proprio nell’ottimizzazione della capacità di riflessione su tutto lo spettro della radiazione solare. A titolo esemplificativo, si riportano in fig. 4 gli spettri di riflessione misurati per alcuni materiali commerciali qualificati come cool. Tali materiali sono accomunati da una colorazione bianca brillante molto simile, conseguenza di uno spettro di riflessione nel visibile (lunghezza d’onda l tra 400 e 700 nm, ovvero tra 0,4 e 0,7 mm) per tutti elevato e uniforme, ma presentano comportamento molto diversificato nell’infrarosso (l > 700 nm). In fig. 5 si riportano altresì gli spettri di riflessione misurati per alcuni materiali commerciali ordinari, sbiancati o comunque molto chiari, che un osservatore non informato potrebbe assimilare, in quanto sostanzialmente bianchi, ai materiali cool di cui alla fig. 4. In generale, il colore delle superfici può essere fuorviante in quanto riguarda solo la radiazione visibile e non rende misura della capacità di riflessione nell’infrarosso, ove cade oltre metà dell’energia apportata dal sole. Un colore bianco è quindi necessario, ma non sufficiente, all’ottenimento di una prestazione elevata dei materiali cool commerciali. D’altra parte, vincoli architettonici e paesaggistici possono imporre il colore delle superfici edili nelle città (ad esempio, le coperture a falde vengono difficilmente ammesse di colore diverso dal classico rosso terracotta nelle sue sfumature), pertanto sono in avanzato stadio di sviluppo e non lontani dalla commercializzazione i cosiddetti cool colors, soluzioni che, a fronte di un colore e, quindi, di uno spettro di riflessione assegnato nel visibile, sono contraddistinte da elevatissima capacità di riflessione nell’infrarosso e, pertanto, da riflettanza solare inferiore ma vicina a quella di superfici bianche in virtù di appropriate pigmentazioni e stratificazioni del rivestimento superficiale (fig. 6). Per quanto sopra esposto, l’ottenimento di materiali cool richiede l’ottimizzazione della capacità di riflessione su sutto l’intervallo spettrale interessato dalla radiazione solare. Si può pertanto dire che i cool roofs siano una riscoperta tecnologica recente, basata su metodologie oggettive di 252 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti piastrella/tegola smaltata piastrella/tegola non smaltata guaina bituminosa guaina ardesiata metallo verniciato cemento bianco graniglia di basalto scaglio di ardesia (rivestimento trasparente pigmentato) (substrato a elevata riflettanza) 4. Spettri di riflessione di materiali cool commerciali. (superficie solida di base) 5. Spettri di riflessione di materiali ordinari sbiancati o chiari. 6. Tegola cool con rivestimento selettivo stratificato. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 253 determinazione e ottimizzazione delle prestazioni, di soluzioni in uso già da millenni: come già accennato, gli edifici nella parte meridionale del bacino del Mediterraneo presentano colorazione esterna bianca fin dall’antichità. Per l’attestazione e la confrontabilità delle prestazioni dei materiali sono oggi richieste metodologie di misura e certificazione delle proprietà superficiali unificate. Negli USA un programma di certificazione delle proprietà superficiali dei cool roofs, la riflettanza solare e l’emissività termica citate in precedenza, è stato promosso dal CRRC – Cool Roof Rating Council (www.coolroofs.org), ente senza fini di lucro nato nel 1998 e volto a determinare in modo obiettivo le prestazioni a nuovo e dopo invecchiamento almeno triennale in condizioni standard. Limiti minimi alle suddette proprietà superficiali, in particolare alla riflettanza solare, sono altresì imposti da svariate amministrazioni nordamericane. In Europa l’ECRC – European Cool Roof Council (www.coolroofcouncil.eu) sta lanciando un programma di certificazione ricalcato su quello del CRRC. Tale programma prevede al momento la caratterizzazione dei prodotti a nuovo, mentre per quelli invecchiati sarà necessario un periodo di condizionamento almeno triennale in siti ancora da identificare, europei in quanto le condizioni ambientali del nostro continente sono diverse da quelle degli USA. Si pone così il dubbio di come utilizzare le proprietà a nuovo quando siano le uniche disponibili, per prevedere le prestazioni a medio-lungo termine di un edificio (si noti che l’attestato di prestazione energetica di un edificio si assume valido per dieci anni). In proposito, la norma UNI/TS 11300-1, al paragrafo 14.2, stabilisce semplicisticamente che «Nel calcolo del fabbisogno di calore occorre tenere conto anche degli apporti termici dovuti alla radiazione solare incidente sulle chiusure opache. In assenza di dati di progetto attendibili o comunque di informazioni più precise, il fattore di assorbimento solare di un componente opaco può essere assunto pari a 0,3 per colore chiaro della superficie esterna, 0,6 per colore medio e 0,9 per colore scuro». I valori proposti dalla UNI/TS 11300-1 per il fattore di assorbimento solare, o assorbanza solare (complementare a 1 della riflettanza solare in caso di superfici opache) – si noti, utilizzabili solo in assenza di dati attendibili – sono, ancorché semplicistici, cautelativi nel calcolo invernale, in cui è meglio sottostimare gli apporti solari, ma non lo sono affatto nel calcolo estivo, in cui è vero il contrario. Né si può pensare di utilizzare i valori misurati a nuovo, seppur certificati dall’ECRC. In attesa di disporre, sul medio-lungo periodo, di dati certificati dopo invecchiamento naturale poliennale, oppure dopo invecchiamento accelerato in laboratorio (su entrambi i fronti stanno lavorando alcuni gruppi di lavoro da una parte e dall’altra dell’Atlantico), un’ipotesi plausibile può essere quella di assumere valida dopo invecchiamento una formula come quella proposta, con fondamenta scientifiche ragionevolmente solide, dal Dept. of Energy degli USA e dal Title 24 della California (vedi in proposito California Energy Commission, Building Energy Efficiency Standards for Residential and Non-residential Buildings, ver. 2013: www.energy.ca.gov/2008publications/CEC-400-2008001/CEC-400-2008-001-CMF.PDFS): rsol,aged = 0,20 + b × (rsol – 0,20) ove b vale 0,65 per rivestimenti superficiali applicati in opera, 0,70 per rivestimenti applicati in fabbrica. In conclusione, disponendo di un approccio affidabile per la stima della riflettanza solare, sarebbe utile che questa venisse esplicitamente limitata a livello normativo, introducendo così una terza alternativa alla massa superficiale e alla trasmittanza termica periodica. Limiti ragionevoli, utilizzati da molte amministrazioni pubbliche degli USA, prevedono valori della riflettanza solare >0,65+0,75 a nuovo, e >0,50 dopo invecchiamento triennale, con valori dell’emissività termica sempre >0,80. Con riferimento a quanto discusso nel primo paragrafo di questa appendice circa la situazione normativa in Italia, una riga da introdurre nell’art. 4, comma 18 del D.P.R. n. 59/2009, lettera a), punto 1), potrebbe in definitiva avere la seguente forma «1.3 che il valore della riflettanza 254 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti solare sia non inferiore a 0,65 (ovvero 0,75) a nuovo, e a 0,50 dopo invecchiamento, e che l’emissività termica sia sempre >0,80». Va altresì rilevato che, a prescindere dalle considerazioni inerenti al raffrescamento degli edifici e alla limitazione dell’effetto isola di calore urbana, l’adozione di un’elevata riflettanza solare delle superfici opache può essere raccomandata presso gli operatori del settore edile anche ai fini della limitazione del surriscaldamento delle superfici, a cui conseguono fenomeni di decadimento delle guaine di tenuta all’acqua e, in generale, un più rapido deperimento delle soluzioni di finitura. Il problema è oggi esacerbato dalle soluzioni di cappottatura esterna, che aumentano significativamente le temperature delle superfici più esterne quando queste sono irradiate dal sole. La diffusione dei materiali intelligenti cool è in crescita nell’area mediterranea e sub-mediterranea, ma è ancora relativamente scarsa in molte regioni dove il clima sarebbe favorevole all’utilizzo. Tuttavia i materiali cool spesso si basano su tecnologie consolidate e capitalizzano i risultati della ricerca e sviluppo nella forma di prodotti commerciali qualificati: materiali bianchi per coperture a bassa pendenza (cool roofs) sono commercialmente disponibili, come pure materiali di colore chiaro per pavimentazioni o altre superfici urbane contro terra (cool pavements). Soluzioni cool in commercio coprono oggi tutte le principali tipologie di finitura delle superfici orizzontali esterne degli edifici. – Vernici a spruzzo e a stendere, a base d’acqua e non, contraddistinte da: 1. riflettanza solare dipendente dal colore (valore iniziale >0,80 per colore bianco brillante); 2. emissività termica influenzata dal materiale di base (0,50+0,90). – Guaine bituminose e non per tenuta all’acqua, verniciate o colorate in massa, con: 1. riflettanza solare dipendente dal colore (valore iniziale >0,70+0,80 per colore bianco brillante); 2. emissività termica influenzata dal materiale di base ma generalmente elevata (>0,85+0,90). – Lastre con granulati sbiancati su base asfaltata tipo “tegola canadese”, con: 1. riflettanza solare dipendente dal colore (valore iniziale >0,40 per colore bianco) 2. emissività termica generalmente elevata (> 0,80+0,90). – Tetti metallici verniciati (eventualmente preisolati a sandwich in lamiera grecata) o in fibrocemento, con: 1. riflettanza solare dipendente dal colore (valore iniziale >0,70+0,80 per colore bianco brillante); 2. emissività termica influenzata dallo spessore della vernice (>0,70+0,80 per vernici applicate in fabbrica). – Piastrelle smaltate e pietre naturali per lastrichi solari, con: 1. riflettanza solare dipendente dal colore (valore iniziale >0,70+0,80 per colore bianco brillante); 2. emissività termica elevata (>0,80+0,90). A titolo comparativo, si consideri che tegole o mattoni in terracotta rossa hanno riflettanza <0,20+0,30, emissività circa 0,90. Un tetto con guaina nera presenta riflettanza <0,10, emissitivà circa 0,90. In generale, la maggior parte dei materiali cool sono sostitutivi di materiali ordinari dello stesso tipo e, quindi, solo il (relativamente basso) costo incrementale dovrebbe essere preso in considerazione per valutarne l’efficacia sotto il profilo dei costi. Prodotti colorati (cool colors) per pareti e tetti a falda, a volte con i colori dell’edilizia tradizionale, sono in fase di sviluppo ma non lontani dalla commercializzazione. Un prospetto con ambiti applicativi, soluzioni cool disponibili e principali cautele all’uso è riportato nealla tabella 1. In generale, ove compatibile con i vincoli urbanistici e architettonici e con la limitazione del riverbero, è preferibile l’utilizzo di soluzioni con colorazione bianca. In molti ambiti, soluzioni cool color non sono ancora commercializzate, oppure presentano riflettanza solare solo marginalmente superiore a prodotti standard. Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 255 Tab. 1. Quadro di sintesi dell’utilizzabilità di materiali cool Ambito applicativo Ambito applicativo Soluzioni più diffuse Principali cautele all’uso – Guaine bituminose e non per tenuta all’acqua, bianche in massa o verniciate bianche in fabbrica – guaine bianche a spruzzo o a stendere – vernici bianche applicate in situ piastrelle o lastre in pietra bianche – brecciolina bianca o smaltata bianca – Eliminare accuratamente i ristagni e il conseguente accumulo di particolato sui rivestimenti – ponderare l’installazione in presenza di riverbero su pareti finestrate nelle adiacenze – lavare annualmente i rivestimenti con acqua – verificare il rischio di condensa superficiale permanente in climi molto umidi (ai fini dello sviluppo di formazioni biologiche) – accedere con occhiali per protezione solare – Coperture piane orizzontali esistenti – Guaine bianche a spruzzo o a stendere – vernici bianche applicate in situ – piastrelle o lastre in pietra bianche flottanti (con drenaggio sottostante) – brecciolina bianca o smaltata bianca Come sopra, e inoltre, per guaine e vernici: – verificare la compatibilità del rivestimento con il materiale di fondo – pulire e lavare accuratamente le superfici prima dell’applicazione – lastrichi solari – Piastrelle o lastre in pietra di colore chiaro applicate a colla – piastrelle o lastre in pietra di colore chiaro flottanti (con drenaggio sottostante) – Verificare l’effettiva riflettanza solare (il colore non è necessariamente indicativo) – verificare il rischio di abbagliamento delle persone e, eventualmente prescrivere l’accesso con occhiali e altri dispositivi per protezione solare – verificare il rischio di condensa superficiale permanente (eventualmente adottando finiture antisdrucciolo) – lavare annualmente con acqua – Coperture piane orizzontali di nuova costruzione – coperture piane orizzontali rinnovate (isolate) – lastrichi solari non praticabili (segue) Soluzioni più diffuse Principali cautele all’uso – Tetti a falde con tegole o coppi – Tegole o coppi bianchi con rivestimento applicato in fabbrica – tegole o coppi colorati con rivestimento cool color applicato in fabbrica – verniciatura bianca in situ di tegole o coppi – verniciatura cool color in situ di tegole o coppi – Verificare i vincoli urbanistici e architettonici in termini di colore – verificare l’effettiva riflettanza solare (specie per superfici non bianche) in caso di superfici bianche, – ponderare l’installazione in presenza di riverbero su pareti finestrate nelle adiacenze – Tetti a falde o inclinati senza tegole o coppi – Guaine bituminose e non per tenuta all’acqua, bianche in massa o verniciate bianche in fabbrica – guaine bianche a spruzzo o a stendere – vernici bianche applicate in situ – lastre ondulate in fibrocemento verniciate bianche – lastre ondulate, grecate o stampate in metallo verniciate bianche – lastre ondulate, grecate o stampate in materiale plastico colorato bianco in massa o smaltato bianco – tetti preisolati a sandwich in lamiera grecata verniciata bianca – rivestimenti tipo tegola canadese con graniglia bianca o sbiancata su lastra asfaltata tutte le soluzioni sopracitate, con finitura colorata cool color Come sopra, e inoltre: – Evitare soluzioni a finitura metallica bassoemissiva (lastre metalliche non verniciate, vernici a finitura metallica) – Tetti a botte – Guaine bituminose e non per tenuta all’acqua, bianche in massa o verniciate bianche in fabbrica – guaine bianche a spruzzo o a stendere – vernici bianche applicate in situ – tutte le soluzioni sopracitate, con finitura colorata cool color Come sopra, incluso: – evitare soluzioni a finitura metallica bassoemissiva (lastre metalliche non verniciate, vernici a finitura metallica) (segue) 256 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 257 Ambito applicativo – Pareti verticali opache nuove – pareti verticali opache rinnovate Soluzioni più diffuse Principali cautele all’uso Ambito applicativo Soluzioni più diffuse Principali cautele all’uso Rivestimenti bianchi, chiari o cool color delle seguenti tipologie – vernici applicate su intonaco, cemento o mattoni – intonaci colorati in massa – piastrelle o lastre in pietra applicate a colla – lastre e pannelli metallici verniciati – pareti ventilate con rivestimento in lastra metallica verniciata o ceramica – Verificare i vincoli urbanistici e architettonici in termini di colore – verificare l’effettiva riflettanza solare (specie per superfici non bianche) – evitare soluzioni a finitura metallica bassoemissiva (lastre metalliche non verniciate, vernici a finitura metallica) – in caso di superfici bianche o molto chiare, ponderare l’installazione in presenza di riverbero sulle persone, su pareti finestrate nelle adiacenze, oppure verso i veicoli circolanti – ponderare l’installazione in vicoli, strade o piazze strette, cavedi (in quanto gli effetti positivi sono vanificati dalle riflessioni mutue delle superfici), verificando l’alternativa di pareti verdi o l’integrazione con alberature a schermo Superfici a terra a uso pubblico e privato: – piazze – strade a ridotta frequentazione di veicoli – parcheggi – aree cortilive – Lastre in pietra naturale o rigenerata, in aggregati cementati, di colore chiaro – piastrelle autobloccanti in pietra naturale, pietra rigenerata o materiali ceramici di colore chiaro – asfalti con legante pigmentato chiaro e/o con aggregati di colore chiaro – cementi pigmentati chiari e/o con aggregati di colore chiaro – vernici di colore chiaro applicate su asfalti, cementi e altri lastricati – brecciolina bianca o di colore chiaro – Evitare in generale colorazioni troppo chiare, onde limitare il rischio di abbagliamento dei conducenti di veicoli e dei passanti – evitare l’installazione su arterie stradali a elevato scorrimento o frequentazione di veicoli – verificare l’effettiva riflettanza solare (il colore non è necessariamente indicativo) e la sua tenuta nel tempo – in caso di superfici bianche o molto chiare, ponderare l’installazione in presenza di riverbero su pareti finestrate nelle adiacenze – ponderare l’installazione in vicoli, strade o piazze strette, cavedi (in quanto gli effetti positivi sono vanificati dalle riflessioni mutue delle superfici) – in generale, valutare l’alternativa di superfici a terra verdi, anche ai fini del drenaggio delle acque piovane, oppure l’integrazione di alberature a schermo (segue) Proprio perché cool roof e cool pavements sono ancora scarsamente utilizzati in Europa, è stato avviato nel 2013 il progetto MAIN – Materiaux Intelligents (www.med-main.eu), cofinanziato dal Programma MED dell’Unione Europea e in buona sostanza complementare al Progetto UHI. In particolare, il Progetto MAIN è finalizzato a promuovere i materiali “intelligenti” tipo cool roofs e cool pavements intervenendo su tutta la “filiera” del loro utilizzo, seguendo alcune linee di indirizzo: – i concetti di base vanno diffusi tra i diversi operatori professionali del settore edile: tecnici, costruttori, artigiani, fornitori di materiali, funzionari pubblici; – specifica formazione di alto livello deve essere fornita ai tecnici progettisti, in quanto questi sono il collegamento tra utenti finali da una parte, costruttori e fornitori di materiali dall’altra; – informazioni e supporto devono essere forniti ai rappresentanti elettivi e ai funzionari pubblici, al fine di contribuire alla valutazione dell’impatto socio-economico dei materiali cool e all’inserimento di indicazioni specifiche nella normativa edilizia; – un criterio unico di certificazione delle proprietà dei materiali cool deve essere applicato a livello europeo, al fine di verificare obiettivamente le prestazioni e consentire una concorrenza leale dei produttori di materiali. 258 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 259 Per conseguire gli obiettivi prefissati, il progetto MAIN propone un marchio di qualità, che può essere attribuito: – agli operatori professionali del settore edile qualificatisi attraverso un programma specifico; – ai materiali, previo raggiungimento di prestazioni minime certificate secondo i dettami dell’European Cool Roof Council; – a proposte commerciali, ove queste siano verificate da un operatore professionale qualificato e prevedano l’utilizzo di un materiale parimenti qualificato. Lo studio documentato in questa appendice è stato realizzato nell’ambito del progetto MAIN. 7. Ambito di attuazione del progetto MAIN (www.med-main.eu). 260 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Quali strumenti per la mitigazione e l’adattamento a UHI 261 focus 3 L’uso del verde in ambiente urbano Martina Petralli, Giada Brandani, Luciano Massetti, Simone Orlandini In un contesto di cambiamento climatico e di riscaldamento globale, le città svolgono un ruolo cardine: se da un lato risultano vulnerabili alle conseguenze di questi fenomeni, dall’altro contribuiscono a intensificarli. Inoltre, come conseguenza del continuo aumento della popolazione e della popolazione residente in ambiente urbano, tenderà a aumentare anche l’estensione della superficie urbanizzata con le relative problematiche legate all’uso del suolo e alla gestione dell’ampliamento delle città esistenti. Il forte contributo delle città al riscaldamento, sia a livello locale che globale, è riconosciuto da molti studi internazionali (Dirmeyer et al., 2010): la concentrazione della popolazione e degli edifici in una ristretta porzione di territorio ne altera le caratteristiche al punto da creare un clima locale significativamente diverso da quello delle aree rurali circostanti (Oke, 1978). Le alterazioni prodotte dalla presenza delle città sul clima derivano quindi in gran parte dalla struttura fisica delle città e dalle emissioni antropiche prodotte al loro interno. Sono soprattutto gli eventi estremi, come le alluvioni o le ondate di calore, che possono avere le conseguenze più rilevanti sia sull’ambiente urbano, sia sulla popolazione residente in città (Willems et al., 2012). In questo contesto si evidenzia il ruolo fondamentale del verde in ambiente urbano. Di seguito si riportano, per punti, i principali effetti del verde in ambiente urbano. Il verde urbano e gli eventi estremi di precipitazione. In ambiente urbano, a causa dell’elevata impermeabilizzazione delle superfici presenti e della fitta rete di fognature, i tempi di corrivazione (tempo che occorre alla generica goccia di pioggia caduta nel punto idraulicamente più lontano a raggiungere la sezione di chiusura del bacino considerato) sono molto ridotti e la quantità di acqua che viene immessa nella rete fognaria e che quindi arriva al fiume più vicino è molto elevata rispetto al totale della pioggia precipitata (coefficiente di deflusso – rapporto fra il volume d’acqua defluito e le precipitazioni). Questo fa sì che in concomitanza di eventi di pioggia intensa, sempre più frequenti negli ultimi anni anche a causa dei cambiamenti climatici in atto, nei fiumi e nelle reti fognarie si riversino in poco tempo quantità di acqua tali da provocare esondazioni dei fiumi e sversamenti delle reti fognarie. La presenza di un’adeguata vegetazione in ambiente urbano, se da una parte potrebbe contribuire a intasare la rete fognaria (con foglie e rametti) dall’altra consentirebbe un aumento dei tempi di corrivazione e una riduzione del coefficiente di deflusso che risulterebbe in una riduzione della quantità di pioggia defluita e un allungamento dei tempi in cui la pioggia precipitata si riversa nella rete fognaria e nei fiumi. Questa riduzione si potrebbe ottenere non solo aumentando le aree verdi all’interno delle città al fine di aumentare le superfici permeabili e semipermeabili, ma anche incrementando significativamente la realizzazione di tetti verdi (Lee et al., 2014). Inoltre è necessario che, al fine di limitare gli eventi di piena che possono poi risolversi in esondazioni e alluvioni, si progettino e si realizzino le opere necessarie all’allungamento dei tempi di corrivazione e alla riduzione dei tempi di deflusso su tutto il bacino del fiume, e non solo nell’ambiente urbano su cui si intende limitare il possibile danno. Infine, fondamentali per quanto riguarda gli eventi di esondazione dei fiumi, risultano essere le aree verdi sommergibili, da progettare in modo che le acque in esubero siano indirizzate verso tali aree piuttosto che nei centri abitati. Il verde urbano, le temperature in città e le ondate di calore. Alle nostre latitudini, oltre agli eventi estremi di precipitazione, uno dei problemi più importanti riguarda la frequenza e l’intensità delle ondate di calore: le città sono, infatti, caratterizzate dal fenomeno dell’isola di calore (Urban Heat Island – UHI), che fa sì che, soprattutto nel periodo serale e notturno, le temperature dell’aria si mantengano più elevate rispetto a quelle delle zone rurali circostanti. Questo rende i cittadini più vulnerabili agli effetti del caldo sulla salute (Gabriel Endlicher, 2011). Sono soprattutto le persone anziane a soffrire degli effetti del caldo a causa della minore efficienza del loro sistema di termoregolazione; inoltre, in un’epoca in cui la popolazione tende a invecchiare, aumenta di conseguenza anche il numero delle persone esposte potenzialmente a tale rischio. Caratteristiche urbanistiche differenti determinano un’elevata variabilità delle condizioni termiche sia tra città diverse che all’interno della stessa città (Petralli et al., 2014). Il fenomeno dell’isola di calore è particolarmente dannoso per la salute umana nella stagione estiva in corrispondenza Focus 3 263 delle ondate di calore, in quanto la temperatura dell’aria in città, oltre a raggiungere valori più elevati rispetto alle aree rurali circostanti nelle ore diurne, si mantiene elevata anche nelle ore notturne, riducendo la capacità di ripresa dell’organismo umano dalle condizioni di estremo calore a cui è stato sottoposto durante il giorno. Il verde urbano ha un ruolo fondamentale nella mitigazione dell’UHI: ha, infatti, un valore di albedo e di inerzia termica diversi dal materiale artificiale urbano, oltre a contenere un’elevata concentrazione di acqua. Per quanto riguarda l’albedo, nel caso di vegetazione spontanea o coltivata è dell’ordine del 20-30%, mentre nelle città è mediamente più basso, fino a valori inferiori al 5% nel caso di superfici asfaltate. L’albedo maggiore fa sì che le aree verdi immagazzinino meno energia rispetto al resto delle superfici urbane, le quali riemettono questo surplus di energia soprattutto sotto forma di calore latente. Inoltre gran parte dell’energia assorbita dalle piante viene utilizzata per i processi vitali, di fatto riducendo ulteriormente la radiazione riemessa. Inoltre la radiazione solare assorbita da parte dei materiali artificiali viene rilasciata sotto forma di calore molto lentamente causando così l’intensificarsi dell’isola di calore nelle ore serali e notturne. Al contrario la vegetazione, grazie anche ai fenomeni evapotraspirativi, contribuisce ad abbassare la temperatura dell’aria. Infine la presenza della vegetazione arborea in città ha una funzione ombreggiante che, impedendo alla radiazione solare di riversarsi direttamente sui materiali artificiali, consente a questi ultimi di riscaldarsi meno e di riemettere una quantità minore di energia sotto forma di calore. Studi condotti nella città di Firenze dal Centro di Bioclimatologia e dall’Ibimet - CNR hanno messo a confronto aree verdi contraddistinte da vegetazione erbacea con aree a verde caratterizzate da vegetazione con una copertura arborea variabile dal 20% al 90%: è emerso come entrambe queste tipologie di verde possano contribuire alla riduzione della temperatura in ambiente urbano. L’area a prato ha temperature minime (quindi generalmente notturne) più basse di circa 3 °C rispetto all’area forestata, mentre quest’ultima ha temperature massime (quindi generalmente diurne) più basse di circa 3 °C rispetto all’area a prato (Petralli et al., 2011). Questi effetti positivi determinano anche benefici in termini energetici, soprattutto quando la vegetazione arborea si trova in prossimità degli edifici. La presenza degli alberi, infatti, riduce la quantità di radiazione incidente sulle pareti degli edifici: a seconda dell’esposizione delle pareti ombreggiate, è possibile osservare una riduzione della temperatura delle pareti stesse variabile tra 5 °C e 20 °C. Tutto ciò suggerisce che una piantagione strategica di alberi in ambiente urbano potrebbe ridurre il consumo di energia dovuto al raffreddamento degli ambienti con l’aria condizionata durante il periodo estivo, che è stata quantificata mediamente nel 10-35%, ma con valori che possono raggiungere anche l’80% in particolari condizioni sinottiche o momenti della giornata (Raeissi Taheri, 1999). È possibile quindi affermare che la presenza della vegetazione in ambiente urbano risulta strategica per la mitigazione del fenomeno dell’isola di calore, ma, affinché l’informazione relativa alla vegetazione possa essere correttamente utilizzata dai pianificatori e dagli amministratori, sarebbe necessario conoscere più in dettaglio anche gli effetti della tipologia di verde da utilizzare e della disposizione che questo deve avere all’interno del tessuto urbano. Il verde urbano e la fissazione di CO2 . Tutte le piante fissano CO2 per il loro accrescimento, e sono quindi gli organismi adatti per limitare l’aumento del diossido di carbonio atmosferico in ambiente urbano (McPherson, 2007). La capacità di assimilare CO2 differisce nelle diverse specie vegetali, oltre a essere influenzata dalle condizioni ambientali del sito d’impianto e dallo stato di salute della pianta stessa (Ferrini Fini, 2011). La piantagione di alberi in ambiente urbano risulta particolarmente efficace per questo scopo poiché, oltre alla riduzione diretta dell’anidride carbonica, è in grado di innescare un feedback positivo che porta al miglioramento del microclima e a 264 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti una riduzione dell’uso dei combustibili fossili di circa 18 kg/anno per ciascun albero presente (Rosenfeld et al., 1998). Inoltre il carbonio allocato dalla pianta per fare legno (di fusti, rami e radici) non ritorna all’atmosfera fino alla morte della pianta (salvo interventi eccessivi di potatura) e anche oltre, qualora il materiale di risulta dell’abbattimento sia correttamente gestito (per esempio utilizzandolo come ammendante o pacciamante). In quest’ottica, la selezione e la messa a dimora di specie caratterizzate da alti tassi di assimilazione del carbonio, buona capacità di tollerare gli stress, elevata longevità e dimensioni a maturità è fondamentale per massimizzare il quantitativo di CO2 catturato dall’atmosfera (Nowak - Crane, 2002). Il verde urbano e l’inquinamento atmosferico. Le piante hanno anche una notevole capacità di sequestrare inquinanti solidi (es. particolato) e gassosi (in particolare ossidi di azoto e di zolfo). Il particolato atmosferico (PM) è formato da particelle solide di diverso diametro e costituisce un problema sempre più serio per la salute umana. L’efficacia del verde urbano contro il particolato è elevata, poiché quando le particelle, che fluiscono in modo turbolento nell’aria, incontrano una foglia, un ramo o un fusto, vi aderiscono, attraverso un meccanismo denominato deposizione secca. Ogni mq di superficie fogliare assorbe da 70 mg a 2,8 g di particolato all’anno (Beckett et al., 2000; Nowak et al., 2002). Questi valori dipendono dalla concentrazione degli inquinanti presenti in atmosfera, dalla velocità del vento e dalle caratteristiche fogliari, che insieme determinano il coefficiente di assorbimento (che esprime le percentuale di particelle effettivamente intrappolate rispetto a quelle che hanno impattato la foglia). Inoltre, grazie alla presenza degli stomi, le piante riescono a rimuovere anche gli inquinanti fitotossici dell’aria, che si distinguono in primari (emessi direttamente nell’aria, come SO2, F2, Cl2, ossidi di azoto) e secondari (prodotti di reazione di inquinanti primari, H2SO4, O3, PANs), facendoli dissolvere nel film acquoso presente sulla parete delle cellule all’interno delle foglie e formando acidi grassi o reagendo con le pareti cellulari (Nowak et al., 2002). Le piante contribuiscono, però, anche alla formazione dell’ozono (O3): questo si forma mediante una serie di reazioni fotochimiche, i cui principali reagenti sono gli ossidi di azoto (NOx), prodotti da attività antropica, e i composti organici volatili (VOCs) provenienti dalle piante, in condizioni di elevate temperature dell’aria e di forte radiazione solare. La presenza di vegetazione arborea può, comunque, contribuire anche a limitare la formazione: le specie arboree, infatti, assorbono direttamente una parte dell’ozono e indirettamente riducono la formazione di O3 abbassando la temperatura mediante l’ombreggiamento e filtrando la radiazione solare. Il verde urbano e la salute dei cittadini. Gli effetti del verde sulla salute dei cittadini sono quindi molteplici. Oltre a quelli sopra descritti (miglioramento del microclima e del comfort, miglioramento della qualità dell’aria), ci sono anche benefici dal punto di vista psicologico e dello stimolo allo svolgimento di attività all’aperto. D’altra parte, però, le piante producono polline, che può provocare allergie. 1)Allergeni. Uno dei problemi legati alla presenza di piante erbacee e arboree in ambiente urbano è legato alla produzione di polline, in quanto negli ultimi anni stanno aumentando i casi di allergia. L’aumento della sensibilizzazione al polline della popolazione sembra sia associato anche all’aumento dell’inquinamento dell’aria e all’interazione tra i pollini e gli inquinanti, in quanto i granelli di polline in ambienti inquinati tendono a rompersi con più facilità, generando delle particelle anche inferiori a 2,5 micron, e quindi capaci di penetrare più a fondo nell’apparato respiratorio (D’Amato et al., 2007; Barta et al., 2007). Dal punto di vista della progettazione del verde, quindi, è necessario tenere in considerazione anche il grado di allergenicità dei pollini delle piante che si vogliono utilizzare in ambiente urbano, ricordandosi però di non usare solo un numero limitato di specie, al fine di non ridurre la biodiversità, che in ambiente urbano resta molto critica. 2)Psicologia. Gli effetti benefici del verde dal punto di vista psicologico sulla salute umana sono stati studiati già nei primi anni Ottanta, quando in un articolo di Ulrich (1984), diventato ormai un classico, si riporta che i pazienti post-chirurgici il cui ospedale aveva finestre che si affacciavano su alberi avevano un recupero più veloce e un minor bisogno di cure dal sollievo del dolore rispetto a quelli che si trovavano in stanze le cui finestre non si affacciano su aree a verde. Sulla base di studi come questo sono oggi progettati molti ospedali di nuova costruzione o in procinto di ristrutturazione. Altre ricerche hanno evidenziato che la presenza e la fruibilità del verde sono correlate positivamente con una serie di benefici per l’uomo, compresa la salute generale, il grado di interazione sociale e la fatica mentale. Un recente studio ha mostrato come, oltre alla presenza e alla fruibilità del verde, siano importanti caratteristiche delle aree verdi quali il disegno e la variabilità in termini di biodiversità: aumentare all’interno di queste zone la variabilità delle specie e il numero di habitat permetterebbe a chi usufruisce del parco di entrare in contatto con una molteplicità di specie vegetali e animali, attività legata al miglioramento del benessere psicofisico umano (Fuller et al., 2007). 3)Rumore. In letteratura si trovano studi che evidenziano come il rumore provocato dal traffico urbano, oltre a peggiorare la qualità della vita, determini alterazioni psicologiche e cognitive, disturbi del sonno, stress e altri disturbi psico-sociali (Ohrström, 2004). Grazie al corretto uso della vegetazione in ambiente urbano (dalla vegetazione stradale ai tetti e alle pareti verdi) è possibile ottenere un certo grado di riduzione del rumore (Fang - Ling, 2005; Van Renterghem - Botteldooren, 2009; Pudjowati et al., 2013). Ci sono tre modi principali per la vegetazione di ridurre l’inquinamento acustico: diffrazione e riflessione delle onde sonore da elementi vegetali; assorbimento delle onde sonore e trasformazione in vibrazioni meccaniche degli elementi vegetali; interferenza distruttiva delle onde sonore (Borthwick, 1977). Infine recenti studi relativi alla percezione del rumore hanno messo in evidenza che anche dal punto di vista psicologico la presenza di vegetazione può migliorare la percezione negativa del rumore (Dzhambov - Dimitrova, 2014). 4)Attività fisica. In letteratura si trovano numerosi studi che sottolineano la relazione tra presenza di aree verdi e svolgimento di attività fisica dei cittadini, sottolineando gli importanti benefici che essa apporta alla salute delle persone (Donaldson, 2010). La ridotta attività fisica, infatti, è legata all’aumento di malattie cardiovascolari, diabete ed obesità (Mytton et al., 2012). Tra le caratteristiche più importanti che devono avere le aree verdi per stimolare lo svolgimento di attività fisica da parte della popolazione è possibile identificare, in primo luogo, la vicinanza tra le abitazioni o i luoghi di lavoro e le aree verdi, oltre all’accessibilità in termini di orari di apertura al pubblico (Richardson et al., 2013). La possibilità di creare all’interno delle città delle linee ciclabili “verdi”, quindi ombreggiate e separate dal manto stradale, che colleghino gran parte del territorio urbano, sarebbe di particolare importanza per incentivare l’uso di mezzi alternativi alle auto, favorendo l’attività fisica in luoghi più sicuri, protetti dal rumore e dall’inquinamento e con un microclima migliore. sono di fondamentale importanza quelle strutture verdi che, oltre a svolgere in ambiente urbano le fondamentali funzioni di riduzione della temperatura estiva, fissazione di CO2 e inquinanti, riduzione del rumore, implementazione dell’attività fisica ecc., siano anche in grado di fungere, ad esempio, da corridoi biologici, e che abbiano le caratteristiche di ampiezza e variabilità specifica da poter svolgere la funzione di nicchia per lo sviluppo e il mantenimento della vita di specie vegetali e animali. La conoscenza delle esigenze della flora e della fauna autoctone è quindi di fondamentale importanza per una corretta gestione e manutenzione del verde urbano: alcune specie animali, ad esempio, necessitano della presenza di determinate specie vegetali per la loro sopravvivenza, o di particolari tipologie di suolo o soprassuolo, come per esempio raggruppamenti rocciosi o radure all’interno dei parchi urbani. In base a tutte le considerazioni sopra riportate e ai molteplici effetti che la vegetazione ha sull’ambiente urbano, si suggerisce, nell’ambito delle progettazioni e delle riqualificazioni delle aree verdi urbane di creare un team multidisciplinare in cui ci sia la possibilità di collaborazione tra più figure professionali, quali architetti, agronomi, forestali, pedologi e biologi. Tab. 1. Principali effetti positivi e negativi sull’uomo e sull’ambiente del verde in ambiente urbano effetti positivi aumento dei tempi di corrivazione fissazione di CO2 fissazione di inquinanti e PM riduzione del rumore aumento biodiversità – corridoio ecologico riduzione consumi energetici benessere psicofisico riduzione UHI e temperature estive aumento superfici permeabili effetti negativi aumento ostruzione fiumi, canali e fognature produzione di VOC produzione di ozono produzione di pollini costi di gestione/manutenzione Il verde urbano e la biodiversità. Le città sono caratterizzate da una bassa concentrazione di aree verdi, per cui anche la biodiversità che si ritrova in ambiente urbano è generalmente molto ridotta. Al fine di apportare benefici alla biodiversità urbana, è necessario progettare il verde affinché possa assolvere a funzioni tali da consentire alla flora e alla fauna urbana di svilupparsi al meglio. Per questo Focus 3 265 Bartra, J. - Mullol, J. - Del Cuvillo, A. - Davila, I. - Ferrer, M. - Jáuregui, I. et al. (2007), “Air Pollution and Allergens”. Journal of Investigational Allergology & Clinical Immunology, 17: 3-8. Mytton, O.T. - Townsend, N. - Rutter, H. - Foster, C. (2012), “Green Space and Physical Activity: An Observational Study Using Health Survey for England Data”. Health Place, 18 (5): 10341041. DOI: 10.1016/j.healthplace.2012.06.003. Le politiche urbane per il clima a Padova Daniela Luise Beckett, K.P. - Freer-Smith, P.H. - Taylor, G. (2000), “Particulate Pollution Capture by Urban Trees: Effect of Species and Windspeed”. Global Change Biology, 6: 995-1003. Nowak, D. J. - Civerolo, L. - Rao, S. - Sistla, T. - Luley, S. - Crane, J.D.E. (2000), “A Modelling Study of the Impact of Urban Trees on Ozone”. Atmospheric Environment, 34: 1601-1613. Borthwick, J.O. - Reethof, G. - McDaniel, O.H. - Carlson, D.E. (1977), “Attenuation of Highway Noise by Narrow Forest Belts”. J. Acoust. Soc. Am., 62: 42. Nowak, D.J. - Crane, D.E. (2002), “Carbon Storage and Sequestration by Urban Trees in the USA”. Environmental Pollution, 116: 381-389. D’Amato, G. - Cecchi, L. - Bonini, S. et al. (2007), “Allergenic Pollen and Pollen Allergy in Europe”. Allergy, 62: 976-990. Oke, T.R. (1978), Boundary Layer Climates. London: Methuen&Co ltd. Per rispondere efficacemente all’obiettivo di contribuire localmente agli impegni nazionali per la riduzione delle emissioni di CO2, il Comune di Padova si è dotato di strumenti di pianificazione che nel tempo hanno permesso di raggiungere i risultati attuali, agendo sia sull’organizzazione interna dell’ente che verso l’esterno rappresentato da aziende e cittadini. Si è inoltre lavorato per creare un’apertura nazionale ed europea che permettesse lo scambio di esperienze, il confronto con un ambito internazionale e il finanziamento di progetti ricorrendo alla presentazione di progetti europei. Il principale oggetto con il quale si è interagito a livello nazionale è il Coordinamento delle Agende 21 Locali Italiane, associazioni di enti locali che portano l’esperienza nelle politiche di sostenibilità. Nel 2004 l’amministrazione di Padova ha elaborato e dato attuazione al Piano di efficienza energetica comunale finalizzato a: – limitare l’impatto ambientale derivante dalle emissioni causate dalle attività dell’amministrazione comunale; – contenere i costi derivanti da un uso inefficiente dell’energia nel patrimonio pubblico; – diffondere buone pratiche attraverso la sensibilizzazione dei cittadini, fornendo strumenti per contenere i consumi. Riferimenti bibliografici Dirmeyer, P.A. - Niyogi, D. - De Noblet Ducoudré, N. - Dickinson, R.E. - Snyder, P.K. (2010), “Impacts of Land Use Change on Climate”. International Journal of Climatology, 30(13): 1905-1907. DOI: 10.1002/joc.2157. Donaldson, L. (2010), “On the State of Public Health”. Annual Report of the Chief Medical Officer 2009. London: Crown, 2-8. Ohrström, E. (2004), “Longitudinal Surveys on Effects of Changes in Road Traffic Noise-Annoyance, Activity Disturbances, and Psycho-social Well-being“. J. Acoust. Soc. Am., 115: 719-729. Petralli, M. - Massetti, L. - Orlandini, S. (2011), “Five Years of Thermal Intra-urban Monitoring in Florence (Italy) and Application of Climatological Indices”. Theoretical and Applied Climatology, 4/2012, 104(3): 349-356, DOI: 10.1007/s00704-010-0349-9. Dzhambov, A.M. - Dimitrova, D.D. (2014), “Urban Green Spaces’ Effectiveness as a Psychological Buffer for the Negative Health Impact of Noise Pollution: A Systematic Review”. Noise Health, 16: 157-165. Pudjowati, U.R. - Yanuwiyadi, B. - Sulistiono, R. - Suyadi, S. (2013), “Estimation of Noise Reduction by Different Vegetation Type as a Noise Barrier: A Survey in Highway Along Waru - Sidoarjo in East Java, Indonesia”. Research Inventy: International Journal Of Engineering And Science, 2: 20-25. Fang, C.F. - Ling, D.L. (2005), “Guidance for Noise Reduction Provided by Tree Belts”. Landscape Urban Plan, 71: 29-34. Raeissi, S. - Taheri, M. (1999), “Energy Saving by Proper Tree Plantation”. Building and Enviroment, 34: 565-570. Ferrini, F. - Fini, A. (2011), “Sustainable Management Techniques for Trees in the Urban Areas”. Journal of Biodiversity and Ecological Sciences, 1(1): 1-19. Richardson, E.A. - Pearce, J. - Mitchell, R. - Kingham, S. (2013), “Role of Physical Activity in the Relationship between Urban Green Space and Health”. Public Health, 127(4): 318-324. Fuller, R.A. - Irvine, K.N. - Devine-Wright, P. - Warren, P.H. - Gaston, K.J. (2007), “Psychological Benefits of Green Space Increase with Biodiversity”. Biol. Lett., 3: 390-394. DOI:10.1098/ rsbl.2007.0149. Rosenfeld, A.H. - Romm, J.J. - Akbari, H. - Pomerantz, M. 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Ridurre nel proprio territorio del 20% le emissioni di CO2 significa ridurre l’emissione di 390 mila tonnellate di anidride carbonica nell’arco di 10 anni realizzando azioni concrete per rendere più efficiente l’uso di energia negli edifici pubblici e privati, intervenire sull’illuminazione pubblica, nel comparto produttivo, potenziare la produzione di energia da fonti rinnovabili, promuovere la mobilità sostenibile. Il PAES, con 39 azioni suddivise in sei macroaree di intervento, prevede una riduzione corrispondente al 20,1% delle emissioni a partire dal 2005: 1. Nuove energie a zero CO2 – sviluppo e potenziamento della produzione di energia da fonti rinnovabili: riduzione delle emissioni di 70.335 ton di CO2 equivalenti a - 4%; 2. Una città più verde e più efficiente – diffusione dell’efficienza energetica negli edifici e aumento delle aree verdi: riduzione di 135.000 ton di CO2 equivalenti a - 7%; 3. Reti e servizi intelligenti – miglioramento dell’efficienza energetica delle reti idriche ed elettriche, potenziamento della raccolta differenziata dei rifiuti: riduzione di 70.824 ton di CO2 equivalenti a - 3,7%; 4. Una città che si muove meglio – potenziamento del trasporto pubblico, dell’intermodalità e della mobilità ciclopedonale: riduzione di 58.836 ton di CO2 equivalenti a - 3%; 5. Un’economia a basse emissioni – promozione di un’economia a basse emissioni attraverso lo sviluppo degli acquisti verdi, del telelavoro e dell’efficienza energetica della zona industriale: riduzione di 63.417 ton di CO2 equivalenti a - 3,3%; 6. Adattarsi al clima che cambia – rafforzamento delle conoscenze e degli strumenti per prevenire e limitare gli impatti negativi del cambiamento climatico sulla salute e sulla qualità della vita dei cittadini. Superare la mitigazione... la strategia climatica di Padova Contemporaneamente alla realizzazione delle attività previste nel PAES, Padova ha approfondito anche il tema dell’adattamento ai cambiamenti climatici, che è inserito nell’area 6 del PAES, in cui si indicava per tale tematica la necessità di svolgere, a monte della realizzazione di un piano, ulteriori studi e approfondimenti. Ancora una volta attraverso la partecipazione a un progetto europeo, EU Adapt (2012-2013), il Comune di Padova ha potuto usufruire della professionalità e delle esperienze di altre città europee più avanzate. Il personale interno ha partecipato alla formazione che ha 266 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Focus 3 267 permesso di redigere le linee guida della strategia di adattamento ai cambiamenti climatici della città di Padova. Inoltre, attraverso la sperimentazione del progetto UHI - Urban Heat Island che doterà il Comune di Padova di un masterplan che individua le zone nelle quali si concentrano le isole urbane di calore, sarà possibile individuare strategie e misure per l’adattamento e la mitigazione dei rischi connessi all’aumento delle temperature nei centri abitati. Strumenti finanziari per realizzare le azioni per il clima su scala locale Sempre nell’ottica di dare realizzazione al PAES utilizzando le opportunità offerte dai finanziamenti europei e dalle competenze acquisite attraverso il percorso fino a qui compiuto si pensa di incidere sull’ambito abitativo-residenziale presentando due progetti diversi su linee di finanziamento messe a disposizione dalla Comunità Europea: – Intelligent Energy Europe - MLEI (Mobilizing Local Energy Investments), che mette a disposizione fondi per promuovere interventi di risparmio ed efficienza energetica rivolti agli immobili residenziali privati; –Fondo ELENA (European Local Energy Assistance), che mette a disposizione fondi per interventi di risparmio ed efficienza energetica per gli edifici pubblici e sull’illuminazione pubblica. Il progetto PadovaFIT! (2013-2016) Il progetto – finanziato nell’ambito del Bando 2012 IEE MLEI PDA – si concentra sugli immobili urbani residenziali, in parte privati e in parte pubblici, proponendo un’azione in grado di determinare considerevoli risparmi energetici ed economici su questi edifici, ottenendo anche effetti di riqualificazione e riorganizzazione di isolati o di interi quartieri. L’azione si sviluppa a partire dal ruolo del Comune che, in quanto promotore, intende mettere in atto politiche di facilitazione e finanziamento degli interventi. Le diverse azioni prevedono il coinvolgimento a livello locale dei vari portatori di interesse e dei beneficiari diretti dell’iniziativa: proprietari e inquilini degli immobili, amministratori di condominio, le organizzazioni degli impresari edili, professionisti e tecnici del settore e le associazioni sensibili a tali tematiche. Il progetto offre ai proprietari la possibilità di riqualificare i propri edifici utilizzando i vantaggi tecnico-economici offerti dalle società di servizi energetici e le garanzie dell’ente pubblico, che gestirà l’affidamento attraverso una procedura a evidenza pubblica che prevede l’applicazione del “dialogo competitivo”. Il progetto agisce da un lato costituendo un aggregato di soggetti privati, dall’altro offrendo opportunità per le aziende locali di operare nel territorio ma in forma aggregata: solo unendosi le aziende riusciranno ad affrontare l’investimento, che richiede una grande capacità finanziaria e gestionale. L’intervento della politica pubblica, che si impegna a promuovere investimenti privati di alto livello, rappresenta un importante volano per l’economia locale, promuovendo contemporaneamente l’approccio delle politiche economiche e ambientali della Comunità Europea verso un’economia più attenta alla sostenibilità ambientale ed economica. Il progetto si pone come obiettivo di ridurre la povertà energetica a Padova e di supportare la riqualificazione degli edifici a uso abitativo in città. Tra i risultati si prevedono circa 15 milioni di euro di investimenti avviati (i lavori si potranno svolgere anche a progetto concluso). 268 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Il progetto 3L - Less energy, Less cost, Less impact (2013-2016) Aderendo alla proposta della Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo e della Provincia di Padova è stato possibile ottenere il finanziamento della Banca Europea, che permetterà al Comune di Padova e ad altri venti comuni della provincia di Padova, oltre al Comune di Rovigo e sei comuni della Provincia di Rovigo, di effettuare interventi di riqualificazione energetica degli edifici pubblici (scuole, uffici, palestre) oltre a interventi di efficientamento dell’illuminazione pubblica. Gli obiettivi prioritari sono: – ridurre i costi di gestione; – migliorare il comfort abitativo; – portare lavoro nel territorio. Aspetto rilevante di questo progetto è l’aggregazione di enti locali per effettuare interventi di efficientamento di edifici pubblici, di illuminazione pubblica e di mobilità sostenibile: comuni e province, che di solito operano distintamente, diventano massa critica per ottenere opportunità, offerte dal mercato e dalla normativa europea e nazionale, di agire attraverso le società di servizi energetici garantendo interventi che producono immediati risparmi economici nella gestione dei beni pubblici, operando contemporaneamente fuori dal bilancio comunale (bloccato dal Patto di stabilità) e favorendo investimenti e attività economiche nel territorio che in altro modo non sarebbero stati possibili. Il Progetto EPOurban - “Enabling Private Owners of Residential Buildings to Integrate them into Urban Restructuring Processes” Sara Verones, Carlo Battisti Consapevole dei reali ostacoli all’attuazione delle strategie di riduzione delle emissioni di gas serra nelle aree urbane e nel settore dell’edilizia privata, il progetto EPOurban si è posto l’obiettivo di sensibilizzare, attivare e mobilitare i proprietari privati mettendo in campo un sistema di consulenza tecnica, amministrativa e finanziaria che stimoli il mercato della riqualificazione urbana ed edilizia in termini energetici. Questo costituisce un “cantiere” di consulenza che comprende il comune, i consulenti tecnici incaricati, gli amministratori condominiali e attori locali come l’Agenzia CasaClima. Venti condomini completamente privati, selezionati dal Comune di Bolzano, sono coinvolti nel progetto e ricevono uno smart audit. Il progetto persegue le sue finalità attraverso diversi momenti formativi/informativi, con i privati proprietari, gli amministratori e la cittadinanza tutta, che presuppongono una reale condivisione delle finalità e delle modalità di attuazione del progetto, sostenendo una metodologia bottom-up. Le assemblee condominiali singole, il coinvolgimento in riunioni periodiche tra amministratori condominiali, associazioni di amministratori, la Tutela consumatori e l’amministrazione pubblica, oltre alla formazione dei consulenti e a incontri congiunti tra tutti gli attori coinvolti, sono i tools attraverso i quali il Comune di Bolzano si pone come facilitatore di processi e reale innovatore. Questi i principali aspetti innovativi, replicabili in altre realtà locali. – Multidisciplinarità. EPOurban non si concentra solo sugli aspetti tecnologici della riqualificazione, ma affronta anche quelli legali, finanziari e sociali. Proprietari privati e stakeholder sono coinvolti in un programma di smart audit condotto da un team multidisciplinare. – Centralità del proprietario. Efficienza energetica e sostenibilità del costruito si ottengono solo se il proprietario diventa partner consapevole, anche attraverso momenti collegiali di confronto, come la grande assemblea condominiale finale. – L’amministratore condominiale. Sollecitato dalle opportunità che il mercato offre e dai bisogni dei proprietari amministrati, l’amministratore condominiale dovrebbe evolvere in una nuova figura di “imprenditore del condominio” o property manager, in grado di gestire programmi d’azione a medio-lungo termine. – Lavoro di squadra. L’approccio multidisciplinare di EPOurban è anche multilivello, con azioni di sensibilizzazione, informazione, formazione, consulenza diretta e confronto tra buone pratiche. – Iniziare con l’esempio. Il merito di EPOurban è stato quello di aver avviato un’operazione su scala urbana, conquistando una partecipazione convinta dei proprietari residenziali. Il risanamento energetico può essere spiegato in modo semplice, con scenari di intervento dai risultati e tempi di ritorno a volte interessanti. – Il comfort. Oltre all’ambiente e all’efficienza energetica, è in gioco il comfort, quindi la qualità di vita all’interno degli edifici. EPOurban si è occupato anche di questi aspetti; l’eliminazione delle barriere architettoniche, ad esempio. Il risanamento energetico può essere integrato sinergicamente con altri interventi di miglioramento. Dopo l’esperienza svolta in due anni di attività di consulenza diretta su venti edifici all’interno del territorio comunale di Bolzano, ma con anche diverse possibilità di condivisione al di fuori dello stesso, le amministrazioni pubbliche intenzionate a replicare o prendere spunto da quest’esperienza tengano in estrema considerazione gli aspetti che seguono. –Popolarità. La tematica dell’efficienza energetica deve diventare “popolare”, diffondendosi dalla cerchia degli specialisti fino a divenire materia di discussione comune. È il modo per aumentare la consapevolezza dei proprietari e amplificare il coinvolgimento degli stakeholder. – Tecnici evangelisti. Il professionista dell’efficienza energetica deve essere in grado di diffondere il messaggio e confrontarsi con esigenze variegate: l’adulto attento al portafoglio, il giovane già educato a ottimizzare le risorse, l’anziano estraneo alle dinamiche finanziarie. Un linguaggio comune con soluzioni differenti. – Il portafoglio. L’efficienza energetica non è solo una questione ambientale, ma anche economica. Soprattutto in una fase di recessione come l’attuale, la scelta di rimandare gli interventi di retrofitting non è accettabile. Anche rispetto a questo aspetto le amministrazioni pubbliche dovrebbero facilitare esperienze innovative in termini di accesso al credito o sistemi di certificazione a garanzia per istituti finanziari e bancari. Focus 3 269 – Integrazione orizzontale all’interno dell’amministrazione pubblica locale. Gli uffici e i servizi con competenze nelle aree d’intervento delle politiche per il clima urbano richiedono un chiaro coordinamento che favorisca integrazione e sinergia, non solo nelle attività di gestione quotidiana, ma ancor più nell’attività pianificatoria, normativa e promulgativa. – Integrazione verticale tra enti e istituzioni. In un sistema di competenze complesso come quello italiano, gli enti locali, insieme agli attori del territorio, devono farsi portavoce delle esperienze e delle necessità nei preposti tavoli tra istituzioni con la finalità di integrare l’attività legislativa. 270 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Il progetto CABEE e l’iniziativa CESBA per una nuova cultura dell’ambiente costruito in Europa Vito Garramone, Franco Alberti, Claudio Chiapparini, Claudio Perin Il progetto CABEE e la Capitalizzazione delle esperienze di valutazione degli edifici alpini Il settore delle costruzioni è un settore molto influente non solo per la crescita e la competitività europea1 (influenza il 10% del PIL Europeo complessivo) ma anche per il mercato interno del lavoro (20 milioni di posti di lavoro). Si aggiunga, poi, il contributo che fornisce (o potrebbe fornire) alla lotta ai cambiamenti climatici e al consumo di energia. Esso, infatti, influisce direttamente su quote pari al 36% delle emissioni di CO2 dell’UE e all’80% delle emissioni dei gas serra, oltre che sul 42% dei consumi finali di energia, per non parlare di tutta la filiera del costruire con il suo consumo di materiali e semilavorati (materie prime, prodotti chimici, apparecchiature elettriche ed elettroniche etc.)2, che sempre nell’UE interessa il 50% di tutti i materiali estratti, il 30% dei consumi idrici e una cifra pari al 35% del totale dei rifiuti prodotti. Di queste tematiche energetico-ambientali si occupa il progetto CABEE - Capitalizing Alpine Building Evaluation Experiences3, che è un progetto transnazionale dalla durata triennale (1° luglio 2012 - 30 giugno 2015), finanziato dal Programma di Cooperazione territoriale europea “Spazio Alpino” 2007-2013 e che vede impegnati dodici partners4 provenienti da Unione Europea (Austria, Francia, Germania, Italia, Slovenia) e non (Svizzera). Il progetto, nel dettaglio, si occupa della cultura edilizia e della pianificazione urbanistica alpina, riconoscendo sia agli edifici che agli insediamenti un ruolo centrale per il perseguimento della sostenibilità dei territori, ancora di più in un ecosistema (territoriale) complesso dal punto di vista storico, economico e ambientale come quello montano dell’arco alpino. Il progetto CABEE fa tesoro della capitalizzazione di altri progetti europei precedenti e si mette in rete con i principali progetti in corso sul tema aderendo e sostenendo l’iniziativa CESBA - Common European Sustainable Building Assessment, di seguito descritta. Il principio da cui l’iniziativa prende le mosse è quello dell’armonizzazione dei protocolli di valutazione energetico-ambientale dell’edificato (nuovo o ristrutturato, pubblico o convenzionato, a scala edificio e a scala di quartiere) a partire da una revisione del legal framework europeo e dalla proposta e implementazione di linee guida, sempre a livello europeo, per la pianificazione, l’approvvigionamento, la produzione, la valutazione e la promozione dell’edificato a emissioni quasi zero (NZEB - Nearly Zero Emission Building) e dei relativi quartieri in cui tali edificati si organizzano. Pur non richiamandosi direttamente al climate change, il progetto CABEE e l’iniziativa CESBA mirano a dare il loro contributo in tal senso attraverso la definizione e il sostegno a strategie low-carbon e ad alta efficienza energetica. Punto di partenza è la “babele dei sistemi di certificazione”, che interessa non solo il livello transnazionale, ma anche quello nazionale. Se in UE esistono più di 80 sistemi di certificazione, nelle varie regioni italiane diversi sono i riferimenti e gli approcci alla valutazione della sostenibilità dell’edificato. Inoltre raramente la cultura del costruire, del progettare e dell’abitare prende in seria considerazione tutte le fasi del ciclo di vita degli edifici. Per tali ragioni il progetto CABEE propone una filosofia di “processo” che, a partire da un set di base di indicatori, possa consentire di strutturare servizi rivolti alle pubbliche amministrazioni (PA) e alle imprese (PMI), oltre che strumenti a supporto di tutte le fasi del ciclo di vita dell’edificato (edifici e quartieri), dal momento delle definizione degli obiettivi e delle strategie alle fasi di utilizzo e rigenerazione dei manufatti, passando anche per un’attenta progettazione, la dovuta cura nella redazione dei bandi d’appalto, la maestria e correttezza delle esecuzioni e dell’uso dei materiali (e delle tecniche costruttive), considerando anche un uso corretto dei manufatti da parte degli utenti (per maggiori dettagli si veda la fig. 2), dato che passiamo oltre l’80% della nostra vita all’interno di edifici. Il progetto CABEE si caratterizza anche per un altro aspetto, il ruolo di primo piano che assegna alle autorità pubbliche, che con il loro parco edifici sono chiamate a svolgere un ruolo di volano e di esempio per tutto il comparto dell’edilizia, un ruolo ribadito nella Direttiva 2010/31/UE del Parlamento Europeo5, datata 19 maggio 2010, e recepito anche dalla Repubblica Italiana con il Decreto legge n. 63 del 4/6/20136. E se il decreto italiano entrato in vigore il 6 giugno 2013 all’art. 5 stabilisce che «[...] a partire dal 31 dicembre 2018 gli edifici di nuova costruzione occupati dalle pubbliche amministrazioni e di proprietà di queste ultime, ivi compresi gli edifici scolastici, devono essere edifici a energia quasi zero», il progetto CABEE va anche oltre nel sostenere che tale obiettivo debba essere raggiunto anche nel caso della riqualificazione del patrimonio esistente, questione che costituisce il discrimine e la sfida sia in termini di effetto globale che in termini context-based in una situazione come quella italiana, attenta sia al consumo di suolo che al recupero, riFocus 3 271 qualificazione e valorizzazione di un tessuto esistente e/o storicizzato. Al momento il ruolo e la funzione di “modello” degli edifici pubblici sono stati sottolineati attraverso una raccolta di best practices arrivata a una trentina di progetti front runner. Un primo passo verso il trasferimento di esperienze e conoscenze che mira a una diffusione massiva. Riguardo alle azioni messe in campo possiamo ricondurre la strategia del progetto CABEE a quattro assi o pilastri. Innanzitutto, le sopra menzionate linee guida a livello europeo per la pianificazione, l’approvvigionamento, la produzione, la valutazione e la promozione dell’edificato NZEB e dei relativi quartieri. Linee guida che verranno testate sulla valutazione degli appalti pubblici e del Green Public Procurement (40 casi), sulla valutazione dei bisogni degli utenti per un uso corretto degli edifici a emissione quasi o vicino allo zero e sulla valutazione del totale “parco edifici pubblici” delle regioni aderenti al progetto. Alle linee guida si affiancano due sperimentazioni: una legata alla costruzione di microreti sinergiche e intelligenti (micro smart energy grids) in grado sia di analizzare il potenziale degli ambiti indicati (10 siti), sia di connettere a rete gli edifici presenti (10 casi studio), alla ricerca di un’integrazione a scala di quartieri (6 studi di fattibilità); un’altra legata alla definizione di best pratices di governance sulle questioni trattate, in grado di far emergere esperienze, modelli e strumenti utili alla definizione e al sostegno delle linee guida a livello alpino. Per quanto concerne il secondo asse, quello che riguarda le micro smart energy grids7, il progetto punta alla costruzione di reti integrate di edifici e quartieri per la valutazione delle emissioni e per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità indicati dal progetto e dalle direttive europee (Direttiva 2012/31/EU). La definizione dei clusters permette, così, di gestire le richieste di energia elettrica e di altri consumi in maniera più efficiente, oltre che rafforzare la consapevolezza degli utenti su un consumo energetico (e termico) responsabile e collettivo. Dimensione collettiva, volta sicuramente alla ricerca di economie di scala, oltre che di esternalità positive, ma anche attenta a un approccio olistico al problema e agli effetti e sinergie positive a livello ecologico, sociale ed economico. Il progetto propone, dunque, un cluster tool per la valutazione energetica ed ecologica dei “gruppi di edifici”. Il tool si compone di 40 indicatori (15 dei quali must indicators, come indicato in Fig. 3) e tiene conto di vari aspetti: qualità di processo (qualità della pianificazione e della gestione); qualità ambientale (qualità del sito, aspetti energetici, materiali costruttivi, uso della risorsa acqua e ciclo dei rifiuti); qualità sociale (attrezzature e servizi, mobilità, insiemi e catene di attività, livelli di comfort); qualità economica (aspetti e valori di mercato, livelli di accessibilità). Quanto al terzo pilastro (la governance), invece, un’azione strategica è la costruzione di un hub della conoscenza open source facilmente accessibile e consultabile (user friendly), oltre che implementabile, costruito attorno alla tecnologia wiki e che prende il nome dall’iniziativa congiunta CESBA8. Anche questa azione è pensata in risposta a uno dei principali problemi del settore delle costruzioni, ossia la mancanza di conoscenze strutturate sul problema, supportate da dati accessibili e comparabili (“Opportunità per migliorare l’efficienza delle risorse nell’edilizia”, COM (2014) 445 finale, e “Strategia per la competitività sostenibile del settore delle costruzioni e delle sue imprese”, COM/2012/0433 finale). La strategia si chiude, poi, con il quarto pilastro della “Formazione ed orientamento” delle PMI e delle PA, volto sia alla diffusione di una cultura del costruire sostenibile (soprattutto mediante l’uso di materiali e di tecniche costruttive sostenibili, e la progettazione integrata tra committenza, progettisti e operatori della filiera del costruire) che a una governance cooperativa tra autorità pubbliche, Camere di commercio, professionisti e PMI (anche reti di imprese come quella del settore edilizia sostenibile ed energia del NENA network9) intorno a un mercato smart dell’edificato a basse emissioni (NZEB), sempre più indirizzato verso un approccio di massa e 272 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti verso la configurazione dell’obiettivo “100% delle prestazioni ecosostenibili”. Governance che potrà disporre sia del supporto di una rete sostenibile transnazionale di esperti che di comitati operativi locali (ROC - Regional Operation Committees), per lo scambio di metodologie, competenze e conoscenze. La Regione del Veneto, il progetto CABEE e l’iniziativa CESBA CESBA - Common European Sustainable Building Assessment è un’iniziativa bottom up che pro- 1. Logo del progetto CABEE e del programma Spazio Alpino. muove l’armonizzazione della valutazione dell’edilizia sostenibile in tutta Europa. L’iniziativa è nata nel febbraio 2011, all’interno della conferenza internazionale di Lione “Dall’Europa i territori: quale possibile convergenza”, conferenza del progetto europeo ENERBUILD (“Fostering of SMEs in the sustainable building sector”), dove il problema del disorientamento prodotto dai diversi sistemi di valutazione era emerso con forza. L’idea dello sviluppo dell’iniziativa per la creazione di un quadro europeo armonizzato e condiviso si è sviluppata, poi, nell’Energy World Café, sempre a Lione, nel giugno 2012. In questa occasione le partnership di diversi progetti europei hanno collaborato e prodotto prima una dichiarazione (luglio 2012) e poi una conferenza a Bruxelles (10 ottobre 2012), al fine di strutturare questa visione in un rapporto destinato alla Commissione Europea. Contestualmente si è deciso di lanciare un sito web (CESBA wiki) per la raccolta e la gestione della conoscenza su questa problematica. Lo scopo non era quello di creare uno standard di qualità ambientale né un nuovo strumento di valutazione, ma semplificare e armonizzare gli strumenti esistenti al fine di creare e raggiungere un mercato di massa, sostenibile, adattabile alle varie realtà e a bassi costi. Il target dell’iniziativa CESBA è un target multi-attore e interessa una vasta gamma di destinatari: gli utilizzatori degli edifici, gli architetti e i progettisti, le Piccole e Medie Imprese, i costruttori e tutti gli operatori del comparto, le autorità regionali e nazionali, le amministrazioni pubbliche a livello locale, regionale e nazionale che si occupano di edilizia sostenibile, le agenzie energetiche regionali e locali, gli attori del settore energia, le università e gli istituti di ricerca. Finora l’iniziativa CESBA ha svolto numerosi incontri internazionali e coinvolto più di 30 organizzazioni pubbliche e private da tutta Europa. Degli incontri si segnala solo il CESBA Sprint Workshop, dell’ottobre 2013 tenutasi nel Vorarlberg (Austria), cui hanno partecipato oltre 100 persone provenienti da 11 nazioni europee. Sono stati svolti anche 22 laboratori locali con le PMI e le PA, che hanno interessato un bacino di partecipanti superiore alle 700 unità, di cui 4 in Veneto con oltre 80 partecipanti10, oltre a numerosi eventi pubblici e di diffusione (attraverso il progetto CABEE). Inoltre la piattaforma wiki in soli 2 anni di esistenza ha capitalizzato e diffuso conoscenze maturate nell’ambito di 21 progetti europei e riguardanti la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici11, il costruire sostenibile12, la mobilità low carbon13, l’efficienza energetica e le energie rinnovabili14, conoscenze raccolte in oltre 500 articoli, molti dei quali presenti in ben 8 lingue. L’iniziativa CESBA nell’ambito dell’implementazione della direttiva europea “Opportunità per migliorare l’efficienza delle risorse nell’edilizia” (COM (2014) 445) partecipa, con un suo rappresentante, ai gruppi di lavoro della DG Ambiente per lo sviluppo di un quadro di riferimento con indicatori-chiave, inclusi i relativi metodi, da utilizzare per valutare la prestazione ambientale degli edifici durante tutto il loro ciclo di vita. Il Veneto, come già specificato, dà il proprio contributo all’iniziativa CESBA attraverso il progetto CABEE, promosso dalla Sezione urbanistica della Regione del Veneto15, in collaborazione con la Sezione energia e la Sezione lavori pubblici e con il supporto del Consorzio per lo sviluppo della bioedilizia di Treviso. 2. Schema descrittivo-concettuale della filosofia del progetto CABEE. 3. I quindici must indicatore del CABEE cluster tool. Focus 3 273 1 Dati ufficiali della Commissione europea nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: “Strategia per la competitività sostenibile del settore delle costruzioni e delle sue imprese”, COM/2012/0433 finale. 2 Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio: “Strategia per la competitività sostenibile del settore delle costruzioni e delle sue imprese”, COM/2012/0433 finale. 3Per informazioni sul progetto europeo CABEE - Capitalizing Alpine Building Evaluation Experiences si vedano i seguenti siti: http://cabee.regio-v.at/ (sito di progetto); http://www.regione.veneto.it/web/ ambiente-e-territorio/cabee (sito del partner veneto); http://wiki.cesba.eu/wiki/CABEE (sito di diffusione e comunicazione delle conoscenze). 4 Il progetto CABEE ha come capofila l’Agenzia di sviluppo della regione del Voralberg (AT), mentre sono partner l’Accademia di architettura di Salisburgo (AT), l’Accademia europea di Bolzano - EURAC (IT), il Centro di sviluppo della Valle di Soca (SLO), la Regione del Veneto - Sezione urbanistica (IT), il Network Imprese Alpine - NENA (AT), la Provincia di Alessandria (IT), la Regione Piemonte - Direzione programmazione strategica, Politiche territoriali ed edilizia (IT), l’Agenzia Energia e ambiente della regione Rhôn-Alpes (FR), lo Studio di ingegneria ZRMK (SLO), l’Università di Scienze applicate di Rosenheim (DE) e il Centro per il trasferimento delle innovazioni ITZ (CH). Per maggiori dettagli si veda il sito ufficiale del progetto: http:// cabee.regio-v.at/project-partner. 5Per la Direttiva europea 2012/31/EU si vedano i seguenti link: http://wiki.cesba.eu/wiki/Nearly-Zero-Emission-Buildings e http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2010:153:0013:0035:EN:PDF. 6 Decreto legge 4 giugno 2013, n. 63, “Disposizioni urgenti per il recepimento della Direttiva 2010/31/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010, sulla prestazione energetica nell’edilizia per la definizione delle procedure d’infrazione avviate dalla Commissione europea, nonché altre disposizioni in materia di coesione sociale”, GU n. 130 del 5-6-2013. 7Per informazioni sulle synergy grids del progetto CABEE si veda: http://wiki.cesba.eu/wiki/Synergy_Grids_ CABEE; http://wiki.cesba.eu/w/images/9/91/CABEE_WP6_SynergyGrids_Guideline.pdf (linee guida). 8Per informazioni sulla CESBA wiki si vedano: http://wiki.cesba.eu/wiki/Main_Page (informazioni generali); http://wiki.cesba.eu/w/images/a/a1/CESBA_policy-paper_IT10-2014.pdf (documento programmatico). 9Per informazioni sul NENA network si veda: http://www.nena-network.euk. 274 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti 10Per informazioni sugli ultimi workshop del progetto CABEE si veda: http://it-wiki.cesba.eu/w/index. php?search=opportunità&title=Speciale%3ARicerca&go=Vai. 11 I progetti UE relativi alla mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici sono: ALPSTAR - Strategies and action plans towards a CO2 neutrality; SEAP Alps - Sustainable energy planning on municipal level; C3-Alps - Capitalization of EU project experiences on climate change; CLUE - Climate Neutral Urban Districts in Europe. 12 I progetti UE relativi al costruire sostenibile sono: AlpHouse - Traditional Alpine building culture and energy efficiency; ENERBUILD - Fostering of SMEs in the sustainable building sector; SuPerBuildings - Indicators and methods for sustainable building assessment; OpenHOUSE - Common European method for sustainable building assessment; IRH-med - Competitiveness of sustainable forms of housing; CONSTRUCTION21 - European platform on sustainable building; MARIE - Improvement of the energy efficiency of existing buildings; AlpBC - Conjunction of traditional Alpine Building Culture and Sustainability; CABEE - Capitalization of EU project experiences on sustainable building; CEC5 - Role model of public buildings; AIDA - Fostering the market entry for Nearly Zero Energy Buildings (NZEBs); ViSiBLE - Valorization of EU project experiences on low carbon economy and energy efficiency focusing on NZEB; CLUE - Climate Neutral Urban Districts in Europe. 13 I progetti UE relativi alla mobiltà low carbon sono: CO -NeuTrAlp - Renewable energies for mobility use; 2 AlpStore - Intelligent Storage Systems and Mobility; MORECO - Settlement development versus Public transport. 14 I progetti UE relativi all’efficienza energetica e alle energie rinnovabili sono: AlpEnergy - Virtual Power Stations; AlpStore - Intelligent Storage Systems and Mobility; recharge.green - Renewable energy use versus conservation of nature and biodiversity; ViSiBLE - Valorization of EU project experiences on low carbon economy and energy efficiency focusing on NZEB. 15 Lo staff della Sezione urbanistica della Regione del Veneto è coordinato dall’arch. Franco Alberti e comprende l’arch. Claudio Perin, l’arch. Fabio Mattiuzzo, il dott. Claudio Chiapparini, il PhD Vito Garramone, la dott.ssa Francesca Borga, il dott. Alessio Minto. Il Regolamento Edilizio Sostenibile di Bassano del Grappa Roberta Michelon L’amministrazione civica di Bassano del Grappa, consapevole dell’importanza che temi come sostenibilità e partecipazione rivestono per la cittadinanza e il territorio, ha promosso nel 2010 la stesura di un nuovo Regolamento Edilizio Sostenibile (RES). Tale strumento, inteso come “impegno comune” (l’acronimo RES richiama anche la “cosa comune” alla quale chi governa deve attendere con cura perché patrimonio di tutti), è stato condiviso fin dalla sua redazione con una pluralità di stakeholders presenti nel territorio. La sua stesura e la sua prima revisione nell’aprile 2014 sono infatti il risultato di un processo partecipativo che ha visto la fattiva collaborazione di progettisti, operatori del settore edile, associazioni e anche di cittadini, consapevoli che tale strumento può essere un importante momento di crescita per il nostro territorio. Esso ha come primo scopo favorire e disciplinare lo sviluppo edilizio sostenibile del territorio comunale, indirizzando tutti gli attori di tale filiera a un utilizzo di metodi, tecnologie e materiali finalizzati al minore uso di risorse naturali e a un ridotto impatto ambientale. Il regolamento non si presenta infatti come un consueto strumento normativo, ma assume anche il ruolo, molto più importante, di linea guida per i professionisti e i committenti che devono affrontare la scelta di una riqualificazione o una nuova costruzione. Gli interventi a cui si applica sono sia quelli di iniziativa pubblica che quelli di iniziativa privata, compatibilmente con l’esigenza di conservazione dei caratteri storico-architettonici-ambientali degli edifici vincolati e delle aree soggette a vincolo ambientale e paesaggistico. Inoltre le edificazioni e ristrutturazioni rispettose di tale regolamento, come l’efficienza energetica e il conseguente abbattimento delle emissioni nocive, potevano e possono tuttora attivare nuove dinamiche economiche in un importante settore, quello edile, che sta patendo più di altri gli effetti della crisi. Nello specifico, gli obiettivi che l’amministrazione comunale si prefigge con il RES sono: – perseguire uno sviluppo sostenibile del territorio che soddisfi i bisogni delle generazioni presenti, senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare le proprie necessità, e che salvaguardi il comfort abitativo e la salute dei cittadini; – incentivare una metodologia di sviluppo edilizio premiando gli interventi edilizi che adottano metodi, tecnologie e materiali sostenibili; – disincentivare interventi che presentano minore sensibilità in materia energetico-ambientale; – attribuire un riconoscimento ai fabbricati che conseguono una qualità ambientale. Il RES risulta strutturato con una serie di riferimenti normativi e requisiti minimi obbligatori da attuare e presenta una gamma di opzioni volontarie che danno accesso, a seconda della tipologia dell’intervento edilizio proposto e alla qualità della progettazione, a incentivi premianti o economici, attraverso la riduzione del contributo di costruzione o volumetrico, attraverso una percentuale di incremento della superficie utile. Le norme che definiscono i requisiti di qualità e sostenibilità in edilizia sono distinte in cinque settori specifici: – analisi del sito e dispositivi bioclimatici; – prestazioni energetiche degli edifici; – materiali e tecniche ecocompatibili; – efficienza energetica degli impianti. Un aspetto molto importante del Regolamento Edilizio Sostenibile è che non è strutturato unicamente dando evidenza all’aspetto normativo e prescrittivo, bensì quasi come una linea guida per un corretto approccio progettuale agli interventi edilizi. La progettazione dell’intervento risulta infatti guidata attraverso una griglia di articoli obbligatori e/o facoltativi che indirizzano di fatto gli operatori del settore nel prestare una particolare attenzione al rapporto dell’edificio con l’ambiente esterno (il sito, le condizioni climatiche locali ecc.) e con l’ambiente interno (inquinamento da gas radon ed elettrosmog, materiali ecc.). L’efficacia di tale strumento è dimostrata dalla sensibilizzazione ottenuta nel settore edile nel corso di questi ultimi anni, nonostante la forte crisi non consenta di stimare correttamente l’incidenza di tale strumento nelle richieste di accesso ai criteri facoltativi. Focus 3 275 Le infrastrutture verdi Nicola Boscolo Di fatto, però, tutti gli interventi edilizi dal gennaio 2011 a ora hanno rispettato i parametri obbligatori incrementando quindi in modo massivo la qualità dei nuovi interventi edili. A questo si aggiunge una percentuale ridotta di interventi a cui è stato riconosciuto l’accesso agli incentivi premianti e alla targa di qualità, percentuale che è andata aumentando nel corso degli anni. Oltre al riscontro numerico va però data evidenza agli effetti indiretti che la promozione e l’utilizzo di tale regolamento ha indotto nella collettività, primo fra tutti un incremento della conoscenza e della consapevolezza dell’importanza dell’utilizzo di tecniche costruttive innovative e biocompatibili. L’utilizzo inoltre del metodo partecipativo nella redazione e revisione del RES ha contribuito a riconoscere in tale strumento da parte della collettività più un’”opportunità” che un “vincolo”. Il RES, per le specificità che tratta, è da considerarsi un processo in itinere da integrare anche con contributi esterni, attraverso revisioni e aggiornamenti continui, in quanto materiali e tecniche costruttive e impiantistiche sono soggetti a innovazioni frequenti. La stessa fase di esame delle pratiche edilizie ha più un approccio indirizzato al dialogo e al raffronto che alla rigida ispezione, contribuendo essa stessa a correggere e reindirizzare i contenuti del regolamento. La variante al PTRC adottata nel 2013, con l’introduzione dello strumento della Pianificazione Paesaggistica Regionale d’Ambito (PPRA), è stata l’occasione per avviare diverse attività inerenti la pianificazione e la riqualificazione riguardante il territorio della Regione Veneto ai sensi del D.Lgs. 42/2004. Si è dato quindi avvio a numerosi studi a scala regionale, uno dei quali rivolto al tema delle infrastrutture, con attenzione alla sostenibilità e alla mitigazione attraverso interventi di ricucitura ambientale, riflettendo inoltre, con riferimento alla Convenzione Europea del Paesaggio (20 ottobre 2000, Firenze), su alcuni primi interrogativi: le persone come percepiscono le infrastrutture? Ci sono infrastrutture che dovrebbero essere salvaguardate e/o riqualificate? Si è pertanto provveduto all’elaborazione di un prototipo di studio e analisi applicabile al rapporto tra le infrastrutture e il paesaggio, il cui riferimento iniziale sono stati gli Obiettivi di qualità paesaggistica contenuti nel Documento per la Pianificazione Paesaggistica (PTRC, variante 2013) e preliminari ai PPRA, riletti attraverso un punto di vista infrastrutturale: per ciascuno degli obiettivi è stata individuata una serie di azioni e d’interventi che possono favorirne il raggiungimento. Infine sono stati definiti otto caratteri che contribuiscono a qualificare un’infrastruttura dal punto di vista paesaggistico, dall’infrastruttura in senso stretto fino al contesto territoriale in cui si colloca. Parallelamente a queste riflessioni di carattere metodologico è stata avviata anche una sperimentazione applicativa riguardante l’ambito “Arco costiero adriatico dal Po al Piave, laguna di Venezia e Delta del Po”, primo ambito oggetto di PPRA. Sono stati considerati tre casi d’infrastrutture viarie: il Terraglio, la Rovigo-Adria e la Riviera del Brenta, che hanno caratteristiche comuni; si tratta di sistemi lineari tutelati paesaggisticamente e caratterizzati dalla presenza di manufatti di interesse storico, giardini, ville, filari alberati ecc., ma anche di criticità simili tra loro, dovute a fenomeni di progressiva urbanizzazione lineare, alla presenza di traffico pesante e a un generale disordine visivo e funzionale. La prospettiva in cui ci si è posti non è stata solamente quella di puntuali interventi di conservazione dei valori, ma si è effettuata anche una valutazione di scenari alternativi di grande scala, nell’ottica di un progetto integrato tra l’infrastruttura e il territorio. La dimensione reticolare del sistema infrastrutturale ben si presta a ragionare in termini di scenario, perché gli interventi sulle infrastrutture hanno ricadute territoriali potenzialmente molto lontane dal luogo d’intervento, anche solo per la capacità di condizionare i flussi e i nodi della rete. Questa prospettiva ha portato a osservare che per ciascuno dei tre casi studio esiste almeno uno scenario alternativo che consentirebbe di spostare una parte significativa dei flussi di traffico, diminuendone la fruizione automobilistica e dando la possibilità di una riqualificazione non occasionale ma sistematica degli stessi. Nello specifico, la Nogara-Mare, il Terraglio Est e l’idrovia camionabile Padova-Venezia sono i tratti infrastrutturali di possibile contrappunto con i tre casi studio esaminati. L’attuazione di scenari alternativi permetterebbe così di ridurre i flussi nelle tre arterie storiche e riqualificarle. Le azioni possibili da applicare potrebbero riguardare l’aumento delle superfici permeabili, la scelta di materiali più congrui, l’incremento del verde e la riduzione della sezione stradale, utilizzando ad esempio le tecniche dei woonerf olandesi, dove pedoni e ciclisti hanno la precedenza, grazie a una serie di accorgimenti progettuali, tra cui l’aumento accorto della sinuosità, gli automobilisti non solo sono costretti ad adottare comportamenti di guida più prudenti, ma nel contempo possono rapportarsi con il paesaggio circostante in maniera più lenta e consapevole. Si tratta di interventi che contribuiscono a migliorare sia la qualità estetico-visiva, sia il livello di prestazione ambientale, ma anche la fruibilità e il benessere degli utenti delle varie tipologie (abitanti, turisti, automobilisti, ciclisti ecc.). Gli obiettivi di sostenibilità e di mitigazione vengono così conseguiti e non solo s’intrecciano ma diventano anche dipendenti tra loro, fino a costituire l’asse principale di tutto il progetto. Tutto ciò si potrebbe attuare anche attraverso specifici interventi di ricucitura ambientale ad hoc, creando un sistema-rete integrato che può essere potenziato tramite dei “progetti speciali” in termini di marketing territoriale, nei quali trovano la loro giusta diffusione non solo le specificità intese come caratteristiche architettoniche e naturalistiche, ma anche come peculiarità riferite ai prodotti e saperi locali. 1. Copertina del regolamento edilizio sostenibile di Bassano del Grappa. 276 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Focus 3 277 1. Tavole di analisi e progetto per il tratto Rovigo-Adria, dall’alto al basso: valori, criticità, Obiettivi di qualità paesaggistica e azioni, progetto-estratto. 2. Caratteri della qualificazione morfologica e paesaggistica di un’infrastruttura. L’educazione per lo sviluppo sostenibile: ondate di calore, verde ed energia Giovanna Pizzo, Selene Verzola L’Unione Europea, nella strategia 20-20-20, ha messo al centro dell’attenzione alcuni obiettivi: a partire dalla crescita intelligente, perché si sviluppino economie basate sulla conoscenza e l’innovazione, a una crescita inclusiva che promuova un’economia che favorisca la coesione sociale, fino a una crescita sostenibile, che promuova un’economia più efficiente, sotto il profilo delle risorse, più “verde” e più competitiva. Rispetto a quest’ultimo obiettivo si é dunque particolarmente investito nella realizzazione di campagne nazionali di sensibilizzazione sulle tematiche ambientali, anche nei paesi membri dove queste non erano ancora state attuate1. Lo sviluppo di strumenti come la comunicazione, attraverso messaggi pubblicitari, siti web, mostre, eventi, programmi scolastici e progettazioni specifiche2, è infatti ritenuto strategico anche per la protezione dell’ambiente e la gestione sostenibile delle risorse naturali. L’obiettivo di tali azioni, rivolte a policy makers, comunità, istituzioni scolastiche, è raggiungere significative trasformazioni nei comportamenti e in particolare, in questi ultimi anni, che possano contribuire alla gestione degli effetti dei cambiamenti climatici, a migliorare la capacità di adattamento, a ridurre la vulnerabilità complessiva delle comunità. Le campagne di sensibilizzazione costituiscono quindi un importante aspetto nelle politiche di adattamento, anche per il superamento di ostacoli come la negazione di problematiche legate a tali eventi o lo scetticismo che può derivare da una scarsità di informazioni relative a questi temi. Tra le tante, innumerevoli, emergenze ambientali che si è cercato di affrontare, anche il cambiamento climatico ha rappresentato una sfida importante per istituzioni, mondo civile e agenzie educative chiamati a intervenire e a costruire in sinergia percorsi e iniziative educative. Com’è noto, i cambiamenti climatici stanno coinvolgendo numerosi aspetti della società civile, non ultimo quello della salute umana, con seri rischi per la stessa. Negli anni i governi e i sistemi sanitari nazionali hanno sviluppato strategie per anticipare il rischio, tra cui lo studio di sistemi per eventi estremi, nell’ottica di prevenire e gestire gli impatti di tali cambiamenti sulla popolazione. Misure sono state predisposte, quindi, combinando efficienza dei sistemi sanitari, informazioni alla cittadinanza, assistenza, pianificazione urbana. è infatti necessario che tutti i settori, per quanto di propria competenza, preparino le comunità e i territori all’aumento dei rischi climatici e delle temperature. La diffusione di informazioni scientifiche e di conoscenze precise, accanto all’adeguata esperienza in condizioni di emergenza che ne deriva, sono infatti elementi importanti per creare consapevolezza. L’Unione Europea per questo si è impegnata anche nel ribadire come «L’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dovrebbe occupare un posto centrale nell’istruzione e la formazione lungo tutto il corso della vita e dovrebbe, se non già applicata, essere integrata a tutti i livelli e in tutti gli aspetti della formazione, per meglio armare i cittadini a far fronte a problemi imprevisti e imminenti e trovare soluzioni a lungo termine per questi problemi in molte situazioni diverse dalla vita»3. Questo tipo di educazione, infatti, «oltre ad assicurare un pieno sviluppo delle persone, le attrezza ad affrontare in modo critico e creativo le difficoltà e le sfide della vita e sostiene cambiamenti che portino ad una società migliore e ad un mondo più pacifico»4. Anche il contesto internazionale ha contribuito alla crescita dell’educazione ambientale, proclamando nella 78° Assemblea Generale delle Nazioni Unite, con la dichiarazione n. 27/257 del 20 Dicembre 2002, il DESS – Decennio dell’Educazione per lo Sviluppo Sostenibile 2005-2014, nell’ambito del quale in Italia si sono mosse le politiche promosse dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. In Italia da tempo un’intensa attività, promossa dalle regioni incaricate, ha consentito lo sviluppo di programmi a beneficio dei territori, che hanno portato anche le istituzioni centrali e locali a condividere nuove e più efficaci strategie. Lo scorso anno ricorreva il ventesimo anniversario (1994-2014) della costituzione del Sistema nazionale per l’Informazione, la Formazione e l’Educazione Ambientale – INFEA5, nato per diffondere sul territorio la crescita di iniziative e strutture, nell’ambito dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile, attraverso il coinvolgimento di enti locali, associazioni, istituzioni scolastiche. 278 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Focus 3 279 Il Sistema INFEA e l’Educazione alla sostenibilità possono rivestire un ruolo rilevante, così come evidenziato negli indirizzi del Sistema veneto dell’educazione ambientale6, costituitosi nel 2008, che mira a «stimolare il pensiero critico, la partecipazione, la responsabilità», e individua «nella comunicazione, l’educazione e la formazione gli strumenti essenziali per incidere sulla costruzione di competenze, anche nell’ambito del vasto e complesso tema dei Cambiamenti Climatici». Ondate di calore ed educazione alla sostenibilità Nelle aree urbane un particolare fenomeno che si sta evidenziando è quello delle ondate di calore, per fronteggiare le quali vari stati si sono attivati con misure, come la pianificazione di interventi di formazione e di scambio di conoscenze per la cittadinanza. L’aumento della frequenza e dell’intensità di questi eventi potrebbe portare a un incremento della mortalità e all’insorgere di malattie che si sviluppano con l’aumento delle temperature come patologie da vettori e tossinfezioni alimentari, allungamento del periodo medio di crescita di piante che causano allergie, variazioni della qualità dell’acqua. Tutto ciò avrà impatti sulla popolazione delle città, in particolare anziani e ammalati. Per questo è emersa la necessità di introdurre misure preventive ulteriori e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, da diversi anni, raccomanda a regioni e paesi europei di sviluppare e attuare piani d’azione per prevenire, reagire e contenere i rischi per la salute legati al calore. Il progetto EuroHEAT7, cofinanziato dalla Commissione Europea – Direzione generale salute e consumatori, e coordinato dall’OMS Europa dal 2005 al 2007, ha quantificato gli effetti sulla salute del calore nelle città, individuando azioni che migliorassero la preparazione dei sistemi sanitari e la risposta agli effetti delle ondate di calore. Misure specifiche per la salute pubblica sono state studiate, in particolare in Francia8, proprio dopo le temperature record registrate nell’estate del 2003. In quell’occasione, infatti, molti paesi, scoprendosi impreparati e non in grado di fronteggiare la crisi, iniziarono a lavorare a piani di azione per affrontare le ondate di calore. Tali piani prevedevano, oltre allo studio dei rischi associati a questo tipo di fenomeno, allo sviluppo di sistemi di sorveglianza ambientale e di allarme in caso di evento estremo, attraverso il coordinamento tra le agenzie deputate e gli organi di ricerca per fornire indicazioni chiare e tempestive, anche la redazione di piani di informazione alla cittadinanza per fornire linee guida su come proteggersi di fronte a tali eventi. All’interno dei piani i governi definirono ruoli, responsabilità e azioni che le varie organizzazioni pubbliche avevano il compito di attivare a ogni livello. In Inghilterra, il Piano delle ondate di calore (Heatwave plan for England)9, messo a punto dal Dipartimento di salute pubblica, si pone l’obiettivo di ridurre il numero della mortalità estiva e delle malattie, attraverso un aumento della consapevolezza pubblica e della prevenzione, l’impegno della società civile, a supporto di quanti possono essere più vulnerabili in condizioni di calore estivo. Il piano è frutto di molti anni di esperienza nello sviluppo e nell’incremento delle competenze del settore sanitario e dei suoi partner. Prevede comunicazioni specifiche alla comunità, a cui vengono forniti gli strumenti per allertare e prevenire gli effetti del calore sulle persone maggiormente vulnerabili durante i periodi più caldi, e ogni ente locale è invitato ad adottarlo all’interno dei propri piani di prevenzione. Anche in Italia il Ministero della Salute ha attivato da diversi anni un sistema di informazione, attraverso la divulgazione di opuscoli rivolti alla popolazione, e di monitoraggio, nell’ambito del programma di attività Estate sicura10. Il Sistema nazionale di previsione allarme ondate di calore permette di prevedere e prevenire gli effetti delle ondate di calore sulla salute della popolazione, consentendo una migliore programmazione degli interventi. 280 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Accanto all’azione di sorveglianza, prevenzione e informazione, promossa da soggetti come i sistemi sanitari nazionali, le regioni e gli enti locali, occorre però sottolineare quanto possa essere decisivo un processo di educazione della cittadinanza, che fornisca non solo strumenti per affrontare concretamente e in modo cosciente questo tipo di fenomeni, ma che coinvolga anche il più possibile i cittadini nello stesso processo decisionale per pianificare e prevenirne gli effetti. La formazione alla società sostenibile è l’asse centrale di percorsi educativi che si fondano su azioni orientate a conoscere e «imparare a valutare i problemi ambientali e ad effettuare delle scelte al fine di adempiere a responsabilità individuali e collettive verso il nostro ambiente di vita immediato, l’ambiente globale e le generazioni future»11. Di fronte ai cambiamenti che colpiscono il pianeta a livello locale e globale, forte può dunque essere il contributo del mondo della formazione a elevare le conoscenze e a fare evolvere i comportamenti individuali e collettivi, in quanto un’informazione generica o generale non è più sufficiente a educare o a modificare le abitudini, ma è necessaria un’azione mirata a target specifici, come veicolo di conoscenza e consapevolezza. Dal momento che quindi è evidente l’aumento dei cambiamenti climatici, diviene fondamentale insegnare con maggiore efficacia cosa sia il clima, come si manifesti e perché oggi si osservino fenomeni improvvisi e devastanti, e al tempo stesso comunicare le conseguenze degli effetti per i territori e le comunità. L’evoluzione che ha subito in questi anni l’Educazione alla sostenibilità, nella direzione di un approccio collegato anche alle incertezze individuali, chiarendo come nuovi comportamenti e stili di vita, più rispettosi dell’ambiente, possano incidere in maniera significativa su riduzione di emissioni climalteranti, risparmio energetico e salvaguardia dei sistemi naturali, ha significato iniziare a ragionare sulla prevenzione del rischio, intervenendo sul controllo del territorio, la pianificazione delle città, incluse le scelte energetiche e l’efficienza dei sistemi urbani, e mettendoci nella condizione di essere preparati in maniera adeguata a reagire agli impatti climatici. Particolarmente vulnerabili di fronte a eventi estremi sono infatti le città. Come confermato dalla relazione dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici, molti sono i rischi concentrati nelle aree urbane: stress da calore, precipitazioni estreme, inquinamento atmosferico, che hanno effetti su persone, economie ed ecosistemi. Gli enti locali diventano quindi soggetti strategici per promuovere piani a lungo termine che si muovano nella direzione dell’adattamento alle ripercussioni dei cambiamenti climatici, offrendo per primi un esempio di società sostenibile e promuovendone i valori. Per questo diviene sempre più stringente la necessità di avviare, oltre all’elaborazione di progetti, raccomandazioni, linee guida locali o attività di pianificazione di strategie come mitigazione ed adattamento, anche iniziative educative e comunicative efficaci. E molte delle soluzioni messe in atto, adatte a contrastare i cambiamenti climatici, hanno questa duplice valenza, perché possono essere utilizzate proprio come strumento educativo nei confronti di comunità e istituzioni scolastiche. Numerosi diventano allora i settori di intervento in ambito urbano, all’interno dei quali poter attivare percorsi di ecologia urbana, con il coinvolgimento delle persone, anche nei processi decisionali, facendoli passare da soggetti passivi a soggetti partecipativi e responsabilizzati: dalla gestione del verde pubblico, alle soluzioni urbanistiche fino alla mobilità. La costruzione di percorsi di questo tipo, in cui viene favorito un processo di crescita nei cittadini tramite la loro partecipazione a esperienze significative, può incidere notevolmente sull’adozione di modelli di programmazione territoriale sostenibili, con il risultato di trovare più facilmente soluzioni nell’ambito delle problematiche urbane. All’impegno delle comunità dovrebbe però corrispondere un cambiamento reale nella città, per dare concretezza e coerenza al percorso. Verde urbano: parchi, giardini e orti Le città generano calore durante tutto l’anno, con le proprie attività e il traffico, costituendo una vera e propria isola di calore, a cui si somma l’effetto di temperature maggiori che in questi anni nel periodo estivo si sono notevolmente intensificate. Di fronte a ciò la ricerca scientifica ha evidenziato il ruolo fondamentale di spazi verdi urbani e periurbani, innanzitutto nel modificare parametri ambientali come la temperatura o la qualità dell’aria, ma anche nel contribuire al mantenimento della biodiversità, fornendo un habitat a molte specie animali, e del paesaggio e nel promuovere comportamenti di vita più sani e sostenibili. In diverse città si è invece registrato un impoverimento, anche culturale, per quanto riguarda il ruolo delle zone verdi presenti in città, progressivamente ridotte, scomparse o non accessibili. Per aumentare la copertura del terreno possibili azioni da mettere in atto in ambito urbano potrebbero essere l’espansione di boschi, orti comunitari, parchi e coperti di vegetazione nativa, programmi di forestazione urbana basati sulla partecipazione dei cittadini. Le opportunità di cittadinanza attiva che si possono sviluppare nella realizzazione di aree verdi urbane sono innumerevoli, in primis la cura e la manutenzione, anche in considerazione del fatto che il problema del verde per le amministrazioni non si riduce all’installazione, ma comprende, in una fase successiva, anche la gestione e la tutela di tali spazi. «La loro attrattiva non è infatti direttamente legata alla loro naturalità, ma al fatto che siano accuratamente pianificati, progettati e gestiti»12. In tal senso, il coinvolgimento delle comunità è uno strumento per ampliare una cultura degli spazi verdi collettivi, che devono essere elementi integrati all’interno delle città e non separati dalle stesse. Altre possibilità legate alla coltivazione delle piante e alla realizzazione e alla manutenzione del verde riguardano l’intera popolazione e in particolare i giovani in età scolastica, con la progettazione di situazioni e attività che possano facilitare esperienze significative non solo dal punto di vista scientifico, ma anche da quello esperienziale ed emotivo, aspetti fondanti dell’educazione alla sostenibilità. Osservazione dei mutamenti stagionali, aspetti naturalistici, modificazioni apportate dall’uomo al paesaggio, biodiversità, sono solo alcune delle attività e dei temi che possono essere sviluppati, a partire da realtà maggiormente vicine al vissuto quotidiano dei ragazzi stessi. Ciò è fondamentale anche per favorire un atteggiamento partecipativo alle scelte di gestione dei territori e per assumere responsabilità per il controllo e la pianificazione di questi spazi. La valorizzazione del patrimonio naturale delle nostre città non può quindi considerarsi slegata da una reale educazione al rispetto dell’ambiente. Infine va menzionata la progettazione di orti, moltiplicatasi in molte città a livello mondiale in questi anni. Si tratta di un fenomeno in espansione, che si sviluppa oggi, rispetto al passato, all’interno delle città e non solo in zone periferiche, coinvolgendo tutte le fasce di età e dimostrando il successo di numerose iniziative nate, anche in Italia, per l’impulso e l’impegno dei cittadini. Questo tipo di progettazione, che riprende un elemento che è sempre stato di grande importanza nell’urbanistica italiana, permette alle amministrazioni di recuperare aree abbandonate e degradate, costituendo un momento di aggregazione e partecipazione alla vita sociale, con una decisa valenza didattica. ma tale accorgimento diventa anche un elemento di protezione, in quanto grazie alla vegetazione le precipitazioni vengono assorbite ritardando e diminuendo il deflusso dell’acqua. La presenza di tetti verdi, in particolare su istituti scolastici, ma anche più semplicemente la sistemazione di giardini e aree verdi scolastiche possono essere la spinta per sviluppare percorsi didattici anche nelle classi. I cortili sono vere e proprie aule all’aperto per gli studenti, in cui svolgere attività pratiche e sperimentali su argomenti complessi e infine integrare il percorso all’interno delle discipline previste dalle indicazioni per il curricolo. Ricreare un “giardino dei sensi” per le scuole dell’infanzia, costruire nidi artificiali e mangiatoie per uccelli, contribuendo ad approfondire la conoscenza della biodiversità animale che si può incontrare in ambiente urbano, anche attraverso piccoli biotopi, cioè mini-ecosistemi come lo stagno, sono attività che permettono di attivare percorsi che sviluppino le conoscenze dei bambini in questo campo. Anche queste aree sono ideali per realizzare spazi coltivabili che possono produrre alimenti biologici a supporto delle mense interne, a impatto quasi nullo. Gli orti didattici permettono agli studenti di sperimentare la preparazione del terreno, la messa a dimora delle piante, praticare il compostaggio e la raccolta dei prodotti. è possibile studiare schede identificative e informative di piante e animali che si incontrano durante le osservazioni, con l’obiettivo che questi spazi diventino luogo di aggregazione anche per le comunità. Per garantire la giusta incisività, una riqualificazione di questo tipo dovrebbe vedere la diretta partecipazione di studenti, ma anche di personale scolastico, famiglie ed esperti. Mobilità La moderazione del traffico e l’applicazione di norme per rendere le strade più sicure per la circolazione di pedoni e ciclisti può incentivare l’attivazione di progetti specifici anche per le scuole, come il Piedibus. Le esperienze di questo tipo, ormai più che consolidate in numerose città, hanno dimostrato come l’andare a scuola a piedi, meglio ancora da soli, possa aumentare l’autonomia dei bambini, ma soprattutto sia un modo per decongestionare il traffico, in particolare per gli spostamenti di vicinato e per le aree sensibili, come quelle nella prossimità delle scuole. è innegabile che il miglioramento delle condizioni di accessibilità agli istituti, la risistemazione e la protezione dei luoghi che si trovano intorno alle scuole, ma anche dei principali itinerari scolastici svolga un’azione educativa e di sensibilizzazione fondamentale, che può essere ulteriormente rafforzata da un’indagine svolta direttamente dalle classi, lungo le vie, allo scopo di localizzare con precisione i luoghi più pericolosi, rilevare i flussi di traffico, studiare le problematiche del percorso e proporre possibili alternative e soluzioni. Risparmio energetico Tra le principali voci del consumo urbano di energia va menzionato il settore residenziale, penalizzato, per citare alcune cause, da ritardi dei provvedimenti per il risparmio energetico negli edifici e dalla scarsa politica in favore dell’architettura bioclimatica in ambito urbano. A questo si deve aggiungere l’utilizzo massiccio, nelle abitazioni, di elettrodomestici che convertono gran parte dell’energia consumata in calore, l’illuminazione spesso irrazionale, gli usi impropri dell’elettricità. Cortili e tetti verdi nelle scuole La riconversione delle coperture degli edifici può ristabilire condizioni di benessere, dal momento che le superfici, non surriscaldandosi, si trasformano in fattori che migliorano il clima urbano, Focus 3 281 Nel settore dell’energia la chiave sta invece nel ridurre il consumo di elettricità utilizzata, nel periodo estivo, a scopo di refrigerazione con accorgimenti edili e tecnici o interventi di vegetalizzazione che accrescano l’efficienza energetica degli edifici e aumentino il raffrescamento naturale. Qualora non sia possibile provvedere a questo tipo di interventi, le famiglie possono contribuire comunque al risparmio energetico e ridurre così la propria richiesta di energia: – migliorando l’uso e le prestazioni degli elettrodomestici; – usando dispositivi a basso consumo energetico, che vanno scollegati se non utilizzati; – utilizzando razionalmente il climatizzatore per ridurre la temperatura interna della casa non più di 3-4 °C rispetto a quella esterna. Gli apparecchi di raffrescamento in abitazioni e uffici dovrebbero essere regolati per stabilizzare le temperature senza creare stanze troppo fredde, che possono comportare, in particolare per le persone anziane, rischi per la salute; – chiudendo o schermando sempre le finestre per impedire un inutile quanto costoso scambio di calore tra interno ed esterno; – favorendo la luce naturale e migliorando l’uso dell’illuminazione artificiale, con lampade a LED. Non va poi dimenticato che in generale incentivare l’aumento dell’utilizzo di fonti rinnovabili rimane strategico nel campo energetico. Priorità dovrebbe essere data anche alla riduzione della domanda di acqua. La diminuzione dei consumi domestici contribuisce alla riduzione dei prelievi quando emergono problematiche per diversi usi della risorsa. L’intervento sul ciclo dell’acqua riduce i fabbisogni e i consumi di acqua nelle abitazioni, attraverso il recupero, la depurazione, il riutilizzo per gli usi compatibili. Patto dei Sindaci e Patto dei Sindaci per l’adattamento Per aumentare e mantenere il profilo di adattamento e promuovere azioni per integrare la resilienza del clima in tutti i propri servizi gli enti locali e le amministrazioni hanno oggi un nuovo strumento, offerto dall’Unione Europea, all’interno del Patto dei Sindaci13. Il Patto dei Sindaci per l’adattamento14 è un’iniziativa istituita nel marzo 2014 per coinvolgere i comuni sul cambiamento climatico e aiutarli a intraprendere azioni concrete sui propri territori. Se il Patto dei Sindaci ritiene fondamentale, per raggiungere gli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti, interventi di mitigazione come l’efficientamento, il risparmio energetico e la promozione delle fonti energetiche rinnovabili, il Patto dei Sindaci per l’adattamento rafforza il percorso prevedendo anche la sperimentazione di alcune misure concrete da attuare a livello locale, per rendere le città meno vulnerabili e in grado di agire in caso di alluvioni, siccità e altre conseguenze del mutamento del clima. Non va dimenticato che le amministrazioni locali hanno un ruolo nel consumo di energia, ma anche nella pianificazione di strategie per la sua razionalizzazione e sono quindi chiamate a intervenire direttamente per provvedere a efficientamento e riduzione dei consumi in particolare per patrimonio edilizio e veicoli. Rispetto al fenomeno delle isole di calore urbane, il PAES – Piano di Azioni per l’Energia Sostenibile – può contemplare, tra le politiche per la riduzione di tale effetto, azioni per l‘integrazione e la qualificazione delle superfici a verde, finalizzate al contribuire al ribilanciamento delle quote di CO2 in atmosfera, incentivi per le famiglie per l’efficienza energetica delle abitazioni e l’utilizzo di fonti rinnovabili. Nella redazione del PAES, inoltre, l’inclusione di iniziative di informazione e sensibilizzazione rivolte alla popolazione su temi quali energia pulita, fonti rinnovabili, riduzione dei rifiuti, emissioni di CO2 e in generale per la diffusione di stili di vita sostenibili può rivelarsi un punto di forza. 282 Parte Terza. Politiche, tecniche e strumenti Queste iniziative potrebbero essere dedicate alle scuole, sviluppando attività che prevedano laboratori esperienziali, che possano coinvolgere le giovani generazioni impegnandole a comprendere le proprie responsabilità e coinvolgendole in un profondo cambiamento culturale. La comunità scolastica, per la sua funzione di presidio territoriale, è poi lo strumento adatto per estendere il messaggio a famiglie, docenti, amministratori, verso i quali è però fondamentale intervenire con azioni specifiche con cui mettere in mostra buone pratiche ed eccellenze locali in campo energetico, per promuovere coinvolgimento e adesione a quei comportamenti ecosostenibili che risultano essere oggi un contributo indispensabile al raggiungimento degli obiettivi che ci vengono richiesti. 1 http://climate-adapt.eea.europa.eu. You control the Climate Change, Coolplanet, World you like. With a climate you like, Connect4Climate, Unite for Climate, Kid4energy, Kids4future. 3 Conclusione del Consiglio del 19 novembre 2010 sull’educazione allo sviluppo sostenibile (2010/C 327/05). 4 Sterling, S. (2001), Sustainable Education: Re-Visioning Learning and Change. Devon: Green Book. 5 http://www.minambiente.it/pagina/il-sistema-nazionale-infea. 6 http://www.arpa.veneto.it/rete-ea/retedamb_home.php. 7 www.euroheat-project.org. 8 http://www.sante.gouv.fr/vague-de-chaleur-recommandations-pour-la-population.html. 9 https://www.gov.uk/government/publications/heatwave-plan-for-england. 10 www.salute.gov.it. 11 Dieci proposte in favore dell’Educazione Ambientale e lo sviluppo sostenibile in Europa. Memorandum sull’EASS, 2014. 12 Semenzato P., 2003. Un piano per il verde. Pianificare e gestire la foresta urbana. Padova: Signum Editrice. 13 http://www.pattodeisindaci.eu. 14 http://mayors-adapt.eu/. 2 appendice Rassegna di casi studio internazionali Alessandro Salvati I processi di pianificazione potrebbero essere immaginati come un’arena nella quale storie, idee, interessi o necessità di (maggiore/minore) cambiamento si incrociano nella produzione di una grande quantità di decisioni, azioni e progetti di territorio i cui esiti non sono controllabili a priori. A prescindere dalla loro natura e dalla loro evoluzione, i processi sono sempre stati caratterizzati dal gioco dell’interazione tra le parti: un meccanismo tanto complesso quanto decisivo, in cui – a dispetto dei numerosi tentativi di semplificazione – la prassi contempla ripetuti rimescolamenti di carte e richiama a una generale esigenza di flessibililtà nella produzione delle scelte. A mio avviso, tuttavia, questa esigenza sottostà a un prerequisito di ordine superiore che è la presenza tra le parti – e in primis a carico dell’azione pubblica – di una visione futura o di un’idea del cambiamento legata al proprio territorio: idealmente infatti, l’azione pubblica dovrebbe essere in grado di portare avanti una visione di territorio, di costruire consenso intorno a essa, di recepire e integrare ciò che già proviene dal territorio e di correggere il tiro delle proprie azioni se e quando necessario. Ma questo decalogo di buone condotte è tutt’altro che semplice e – nella pratica comune – è qualcosa di molto distante dalla realtà. Purtroppo – duole constatarlo – l’azione pubblica nella maggior parte dei casi non è un reale fautore di cambiamento. Il più delle volte le intenzionalità delle amministrazioni pubbliche sono povere, non si rifanno praticamente mai a visioni future del territorio, ma si riducono a scarne “agende dei sindaci”, elenchi confusi di faccende puntuali, sconnesse, di ordinaria gestione, business as usual o – nel caso peggiore – di recepimento delle uniche istanze di cambiamento sul tavolo: quelle degli interessi particolari. Comprenderne adeguatamente le ragioni non è semplice e richiederebbe una trattazione a parte, ben oltre gli obiettivi di questo capitolo. Qui interessa solo rimarcare un aspetto che sarà in seguito ribadito: l’importanza e la complessità della questione non può essere liquidata – né tantomeno risolta – facendo unicamente richiamo a buone pratiche o a condotte ideali. Le best practice così come l’informazione a riguardo abbondano e ciò nonostante – alla riprova dei fatti – ci accorgiamo che né la loro osservazione, né la loro emulazione (qualora fosse praticabile) possono ritenersi condizioni sufficienti o risolutive. Quanto appena detto ridimensiona ragionevolmente una parte delle pretese di un contributo – come questo – basato sui “casi” e intende invitare il lettore a una riflessione profonda riguardo la complessità delle condizioni in grado di portare un piano, una politica o un progetto ad avere successo. Nel piccolo di questo contributo, si vuole provare a offrire spunti, idee o anche solo pretesti per qualche “prova di cambiamento”, nell’auspicio di parlare agli amministratori e far loro ricordare che essere portatori di cambiamento è una missione che rientra tra le prerogative più nobili dell’azione pubblica. Parlare di pianificazione climatica del territorio perciò altro non è che un pretesto – nell’accezione positiva del termine – per evidenziare, con ancora più forza, la necessità di proporre piani, politiche, progetti migliori, giusti, sostenibili e innovativi (proprio nel senso di fautori di cambiamento). L’obiettivo di questo capitolo non vuole quindi essere la contemplazione entusiastica di casi studio estremamente avanzati e talvolta anche unici nel loro genere: l’intento è quello di provare a riflettere, a partire da ciò che è stato fatto prima e altrove, su quanto è possibile fare limitatamente al proprio contesto, alle proprie risorse, alle proprie capacità, ma soprattutto alle proprie necessità. Alcuni casi – non tutti – dimostrano essenzialmente questo, ovvero che è possibile includere gli aspetti climatici in piani, politiche e progetti anche quando questi sono ritagliati su altri scopi e obiettivi. I casi di Londra, Il Cairo o New York non includono il clima o le isole di calore tra i loro temi o obiettivi portanti, ma si riferiscono a aspetti quali (rispettivamente) la socialità, la lotta alla povertà e il lavoro. Da un’altra prospettiva ciò significa che destinare risorse e sforzi nella messa a punto di politiche locali per il clima urbano non è per forza una scelta da privilegiati o un vezzo da posporre a questioni ritenute socialmente più urgenti: nulla esclude la possibilità di perseguire 285 più obiettivi attraverso un’unica grande strategia di adattamento o mitigazione del cambiamento climatico in atto. La maggior parte dei casi presi in analisi è centrata su precisi obiettivi di mitigazione dell’effetto isola di calore urbana, sebbene siano inseriti all’interno di più ampie strategie di adattamento al cambiamento climatico. Occorre considerare i casi per ciò che rappresentano realmente, vale a dire delle nobili (e avanzate) sperimentazioni strettamente legate al loro contesto di appartenenza e che – in quanto tali – non si può pensare si possano estendere in modo automatico al contesto del Veneto (se non a costo di qualche forzatura). Dai casi è senz’altro possibile apprendere, trarre spunti e guide per l’azione, dopodiché rimane comunque necessario massimizzare i risultati a partire dal proprio contesto, dai limiti e dai vincoli che vi sussistono, ben sapendo che costruire piani e politiche di successo non è sempre e solo una questione di risorse a disposizione, ma anche di volontà, competenza, creatività e di un pizzico di coraggio. In quest’ottica è possibile ricavare dalla lettura dei casi differenti ordini di informazione: le informazioni contestuali, relative alle specifiche vicende del “processo” (ma non solo), che accompagnano i casi di politiche e pratiche riportati e che giocano un ruolo fondamentale nel determinarne il successo, sono generalmente le più difficili da estrarre (e tantomeno da riprodurre). Il retroterra normativo e culturale, il tipo di tradizione nel governo del territorio, il ruolo delle leadership da parte dei responsabili politici e amministrativi, l’incorporazione delle conoscenze particolari e il rapporto con università e centri di ricerca, le sinergie con gli altri enti di governo locale e sovra-locale, la disponibilità di risorse e le capacità di procurarsene, il capitale sociale e il grado di coinvolgimento e attivazione della cittadinanza ecc. sono infatti aspetti che richiedono una lettura profonda e articolata e in genere hanno finito per attrarre l’attenzione più degli studiosi che degli amministratori. Viceversa vi è un insieme di aspetti riconoscibili che anche una lettura veloce, qual è quella di carattere essenzialmente divulgativo che qui viene offerta, permette di identificare. Questi caratteri ricorrono in molti dei casi presentati e riguardano essenzialmente l’approccio adottato dai decisori pubblici che hanno scelto di incorporare alcune considerazioni climatiche all’interno di piani, politiche e progetti (non per forza riguardanti lo spazio fisico, come si vedrà più avanti). Se si volesse sommariamente riassumerli, si potrebbero stabilire – anche in accordo con i contributi di Mills (2010) e Erell (2010) – alcuni principi guida per il decisore che voglia intraprendere questo tipo di percorso. I punti sono: 1) una definizione puntuale degli obiettivi: come già accennato, l’integrazione degli aspetti climatici non dovrebbe essere vista come un fine in sé, bensì come un mezzo per il raggiungimento di benefici a tutto campo. Una visione ben chiara dei vantaggi derivabili dovrebbe perciò essere il punto di partenza, così come la loro valutazione dovrebbe considerare scenari possibilmente realistici, avvalendosi – quando necessario – di strumenti di misurazione quantitativa. In assenza di studi e analisi di questo tipo e di ben documentate evidenze dei benefici, i decisori politici finirebbero infatti per sottostimare l’importanza di considerare il clima come elemento cardine dei processi di pianificazione; 2) l’integrazione: gli studi climatici dovrebbero essere una parte importante del processo di design, da intraprendere a monte, per sciogliere ed evitare incongruenze con decisioni frutto di ragioni e istanze di altro tipo. Strategie climatiche realmente efficaci raramente possono essere intraprese in maniera retroattiva se non al costo di rettifiche gravose e difficilmente accettabili; 3) a complessità: con lo scopo di prendere in analisi un particolare fenomeno, spesso gli studiosi ne studiano le caratteristiche e gli effetti isolatamente, senza considerare la complessità dei fattori che potrebbero essere coinvolti nella sua produzione. Nella realtà, tuttavia, le soluzioni che derivano da questo tipo di analisi finiscono per produrre effetti imprevisti e spesso indesiderati: di conseguenza anche l’integrazione degli aspetti climatici nei processi di pianificazione non dovrebbe prescindere dall’adozione di un approccio ampio che consideri attivamente anche 286 Appendice altri fattori o obiettivi quali possono essere (a titolo d’esempio) quelli di un maggior comfort termico dei pedoni e un minor uso dell’energia negli edifici; 4) flessibilità: generalmente le soluzioni pensate a monte nel processo di pianificazione risultano essere quelle più efficaci ed efficienti. Tuttavia le soluzioni adottabili in corso d’opera hanno un maggior grado di flessibilità e si adattano meglio alle circostanze e al mutare degli eventi. Ciò per dire che è senza dubbio importante stabilire una strategia di fondo, ma è altrettanto importante darsi la possibilità, quando necessario, di correggere il tiro nel raggiungimento dell’obiettivo finale; 5) la sostenibilità: il successo di progetti e iniziative e la loro fattibilità economica sono ormai sempre più legati a obiettivi e logiche di breve periodo. Considerare gli aspetti climatici potrebbe perciò essere controproducente da questo punto di vista, incidendo profondamente sui costi di investimento dei progetti. Tuttavia – ferma restando la necessità dettata anche dalla sfavorevole congiuntura economica di privilegiare opzioni a bassa soglia di costo – occorrerebbe tenere presente nel computo dei benefici di lungo periodo anche i ritorni in termini sociali e ambientali degli investimenti. Una prospettiva di questo tipo giustificherebbe senza dubbio progetti più ambiziosi. I casi presentati includono, chi più, chi meno e a seconda della loro natura, gli aspetti sopra elencati. Alcuni grandi esempi di integrazione e definizione puntuale degli obiettivi sono rispettivamente i casi di Stoccarda (probabilmente città leader nel campo della pianificazione “climatica” del territorio) e Honk Kong. I casi più attenti agli aspetti relativi alla complessità sono quelli di Londra, New York o Il Cairo (gli ultimi due particolarmente attenti anche agli aspetti di sostenibilità economica e sociale delle azioni), mentre il caso del Seattle Green Factor dimostra come sia possibile generare benefici diffusi senza lo stretto ricorso a una progettazione fisica del territorio, ma ricorrendo a un meccanismo apparentemente semplice quale può essere una politica di incentivo. Il Chicago Green Alley è un progetto di riqualificazione degli spazi della mobilità che incorpora una grande quantità di considerazioni tanto dal lato dell’adattamento quanto da quello della mitigazione, risultando così comprensivo, complesso, flessibile e sostenibile. Tra i casi vengono riportati anche esempi di programmi di comunicazione e sensibilizzazione, come quello austrialiano, oppure di vera e propria formazione, come nel caso della BEST di New York. In definitiva l’obiettivo nella selezione dei casi è stato quello di offrire un quadro esaustivo in grado di coprire il più possibile lo spettro delle soluzioni adottabili nella calmierazione dell’effetto isola di calore e nell’adattamento al cambiamento climatico in atto. Ricapitolando, perciò, vale la pena ribadire che, in ragione dell’urgente necessità di far fronte al cambiamento climatico, i governi e le amministrazioni pubbliche dovrebbero rivestire un ruolo fondamentale nel proporre, avviare e guidare un processo di adattamento. In questa prospettiva esse dovrebbero: incrementare il loro impegno politico nella lotta ai cambiamenti climatici; progettare o incentivare azioni effettive di adattamento (a livello fisico, comportamentale e anche tecnologico); integrare queste azioni all’interno di altre misure di politica territoriale; destinare – qualora possibile – risorse per la loro attuazione e coinvolgere, ascoltare e – se necessario – coordinare la comunità e la rete degli attori locali già impegnata (o da attivare) in iniziative coerenti con una strategia di adattamento che sia di ampio respiro e che operi su più livelli. Proprio nella misura in cui le amministrazioni saranno capaci di coinvolgere le comunità in questa sfida e di formulare risposte appropriate, si determinerà la futura resilienza delle città al cambiamento climatico. Rassegna di casi studio internazionali 287 Schelmenäcker district - Feuerbach (Stuttgart) Sheung Wan - Hong Kong Stoccarda, capitale della regione del Baden-Württemberg, rappresenta uno degli esempi più avanzati di integrazione di misure di mitigazione dell’isola di calore urbana all’interno degli strumenti di pianificazione ordinaria. Diversamente da molti casi, l’attenzione qui è posta principalmente sui processi di pianificazione e sulla possibilità di integrare all’interno di questi considerazioni ed elementi di progetto “climatici” realizzabili unicamente attraverso una strategia urbana di ampio respiro e a partire da una conoscenza dettagliata delle caratteristiche microclimatiche del territorio1 (vedi anche Stuttgart VR, 2008). In questa scheda si riporta il caso di Schelmenäcker (Hebbert e Webb, 2011), zona residenziale di Feuerbach (sobborgo della periferia nord di Stoccarda), nel quale nel 2008 il Land use plan della città ha previsto un ampliamento della zona residenziale esistente da realizzarsi a ridosso delle colline che separano il bosco di Lemberg dal nucleo urbano principale. Il progetto iniziale prevedeva la realizzazione di un corridoio verde di attraversamento del nuovo nucleo abitato dell’ampiezza di soli 7 metri. Fortunatamente la collaborazione tra i dipartimenti di climatologia e pianificazione urbana della municipalità tedesca ha permesso di rivedere il progetto durante la fase istruttoria, includendo le importanti considerazioni dei climatologi volte a salvaguardare le funzioni di riequilibrio climatico ed ecologico dell’intera città garantite dal bosco di Lemberg. In particolare ciò ha comportato la creazione di un corridoio di 100 metri di ampiezza con la ricollocazione dei volumi da edificare, in modo così da salvaguardare l’esistenza di un corridoio di ventilazione tra il centro cittadino e le aree rurali circostanti (con evidenti benefici climatici a scala urbana), migliorare le condizioni microclimatiche ed estetiche del nuovo quartiere e garantire un nuovo spazio verde a scopi ricreativi e di mobilità da e verso il centro urbano. Un altro caso studio derivante di una strategia urbana attenta agli aspetti climatici è quello di Hong Kong. La città, a differenza di Stoccarda, ha avviato soltanto nell’ultimo decennio un percorso conoscitivo formale delle caratteristiche climatiche della città: ciò nonostante essa rappresenta la dimostrazione pratica di come si possano costruire percorsi virtuosi in poco tempo e in mancanza di una solida tradizione alle spalle. Diversamente da Stoccarda, la topografia del luogo e la morfologia densa del tessuto urbano consentono solo ed esclusivamente di operare in un’ottica non poco onerosa di retro-fitting progettuale e di contenimento della fortissima domanda immobiliare che caratterizza uno dei centri urbani “motore” della crescita globale. A supporto dell’apprezzabile strategia promossa dalla municipalità c’è tuttavia la presa d’atto del notevole peggioramento delle condizioni microclimatiche della città – rese già difficili per la persistenza di un clima subtropicale umido, ma senza dubbio attribuibili all’esponenziale crescita urbana registrata negli ultimi cinquant’anni. Il distretto di Sheung e la sua futura configurazione urbanistica rappresentano quindi il tentativo da parte della municipalità di dare concretezza e visibilità a una nuova strategia di mitigazione dell’isola di calore urbana, ridisegnando gli scenari di sviluppo previsti per il quartiere in maniera compatibile con le indicazioni provenienti dall’Atlante del clima e dalle Urban climatic planning recommendations2. La strategia adottata punta tutto sulla possibilità di migliorare il flusso dei venti dominanti (da est verso ovest e in misura minore quelli provenienti dal mare in direzione nordsud), rivedendo l’altezza e i volumi previsti (vd. figure), provvedendo ad ampliare la sezione di alcuni assi di comunicazione e aumentando la superficie a verde complessiva. 288 Appendice Rassegna di casi studio internazionali 289 100 pocket parks - Londra The Green Food from Green Roofs - Il Cairo La capitale inglese ha messo in atto a partire dal 2009 all’interno del programma “London Great Outdoors” un’ampia serie di azioni definite di “urban greening” con lo scopo di rispondere all’ambizioso obiettivo di incrementare la superficie a verde pubblico del 5% al 2030 e del 10% al 2050 (Nickson et al., 2011). Tra queste azioni è di estremo interesse il programma “100 pocket parks to 2015” (letteralmente, 100 piccoli parchi “tascabili” di meno di 0,4 ettari per il 2015), avviato nel 2012 e che ha per ora portato alla realizzazione/rivitalizzazione di circa 60 parchi nei 17 “Boroughs” della città. Le modalità con cui le opere sono state portate a compimento sono state finora piuttosto varie, con i borough nella maggior parte dei casi impegnati nel ruolo di proponenti e la Greater London Authority (GLA) nella veste di assistente alla progettazione. Tuttavia il bando pubblico avviato dalla municipalità londinese (una call for projects) è stato pensato per essere aperto a chiunque – associazioni o semplici cittadini – desiderasse riqualificare parti pubbliche della città (anche parchi) in stato di abbandono e degrado. La GLA ha messo a disposizione dei vincitori del bando finanziamenti variabili dalle 20 alle 50 mila sterline oltre alla supervisione tecnica alla progettazione da parte dei suoi uffici. Lo scopo di una politica rivelatasi in definitiva “di successo” (almeno per quanto riguarda il numero di progetti presentati, che è stato maggiore rispetto alle opere effettivamente finanziabili) è stato quello di dimostrare come fosse possibile attivare trasformazioni urbane diffuse e dal basso con esigue risorse e pochi finanziamenti a disposizione3. Questo caso studio rappresenta un esempio di progetto/politica alla cui modesta entità hanno corrisposto, in 10 anni, esiti positivi (e in parte inaspettati) più che proporzionali. Nel 2004, sulla scia di alcuni progetti pilota in Kenya, Senegal e Colombia, la FAO, il ministero dell’agricoltura egiziano e il Central Laboratory of Agricultural Climate del Cairo (CLAC) hanno intrapreso un progetto con lo scopo di garantire a 96 famiglie del Cairo nuove forme di approvvigionamento mediante l’uso a scopi orticoli dei tetti delle loro case4. I ricercatori del CLAC misero a punto alcune tecniche di produzione che richiedessero nel contempo poco spazio, scarsa manutenzione, minima irrigazione e accessibilità economica (26 $ / mq) anche per le famiglie più svantaggiate5. Gli esiti del progetto, durato appena 2 anni e tutt’altro che inserito in un quadro coerente di politiche pubbliche, possono essere riassunti nella successiva nascita (stimata) di migliaia di tetti-orto tra i densi e affollati quartieri delle città egiziane6. L’orticoltura urbana ha risposto – date le ridotte dimensioni dei tetti – quasi unicamente a scopi di auto-approvvigionamento delle famiglie, ma ha permesso al contempo di creare spazi (spesso condivisi) meglio curati, più salubri e meno caldi per via dell’ombreggiamento fornito dalle aiuole pop-up e dall’evapotraspirazione garantita dalla vegetazione7. Sebbene l’azione di raffrescamento non sia comparabile con le performance di tetti verdi pensati ad hoc, vale la pena rilevare come sia possibile, attraverso politiche a bassa soglia di costo oppure costruite su obiettivi differenti, produrre esiti interessanti di riqualificazione (anche climatica) degli spazi urbani. La significatività degli esiti climatici di questo fenomeno dipenderà dalla sua diffusione futura: il ricorso a tecniche meno costose di coltura idroponiche e la nascita di reti di intermediazione per la compravendita dei prodotti orticoli ne starebbero incrementando sensibilmente l’attrattività economica (si veda a tal proposito il progetto Shaduf al sito http://www.schaduf.com/ o il soilless colture info system http://www.fao.org/hortivar/scis/scis.htm?TRX=Redirect&TO=SCT). 290 Appendice Rassegna di casi studio internazionali 291 Seattle Green Factor - Seattle The Green Alley program - Chicago La città di Seattle ha introdotto nella sua normativa comunale dei requisiti paesaggistici minimi ai quali devono attenersi tutti i nuovi progetti ricadenti nei business district della città, ovvero le aree centrali della downtown. Il programma noto come “Seattle Green Factor” prevede dal 2007 che ogni nuovo progetto con più di 4 abitazioni, più di 370 mq a uso commerciale o più di 20 posti auto garantisca obbligatoriamente una copertura a verde del 30% sui mq totali della proprietà. L’aspetto particolarmente innovativo del programma – oltre alla caratteristica piuttosto rara di essere cogente – è la possibilità per privati e costruttori di valutare liberamente una serie molto ampia di opzioni costruttive pensate per rispondere all’obiettivo prefissato: attraverso un sito internet8, infatti, è possibile valutare gli interventi attuabili all’interno di una worksheet (nella forma di un file excel) che restituisce uno score (punteggio) calcolato a partire dalle differenti combinazioni di interventi scelte. Si possono piantare nuovi alberi, preservarne di già esistenti, creare tetti verdi o giardini verticali e – non meno importante – si può accedere a una serie di bonus nel caso in cui si decidesse – per fare un esempio – di installare sistemi di raccolta dell’acqua piovana, di impiantare orti urbani o di privilegiare la vegetazione endogena, a bassa manutenzione e/o meno bisognosa d’acqua. La municipalità ha creato a questo scopo una sorta di Task Force (La “Emerald city task force”) con il compito di sensibilizzare e assistere costruttori e privati cittadini nei loro progetti che – anche in ragione del rapido rinnovamento che caratterizza le aree urbane americane – stanno già cambiando il volto della città (Stenning, 2008). Il Chicago Department of Transport (CDOT) si è distinto nel corso degli ultimi anni per una serie di iniziative di particolare interesse in campo ambientale. Il Green Alley Program è un programma pilota partito nel 2006 e diventato – in virtù del suo successo – pratica ordinaria nella gestione delle public alley, vale a dire vicoli, strade pedonali, viali (di dimensioni ridotte) che arrivano a coprire una distanza di circa 3.000 km nella sola Chicago. Ciò comporta che ogniqualvolta siano richieste opere di rifacimento e manutenzione straordinaria delle alley, il CDOT adoperi soluzioni che prevedano: 1) l’uso di materiali permeabili e altamente riflettenti, 2) la corretta progettazione delle opere di scolo delle acque piovane e 3) il ricorso a sistemi di illuminazione più efficaci e meno energivori9. La permeabilità del manto stradale consente di ottenere un minor aggravio sul sistema fognario, convogliando meno acqua negli scoli, evitando gli allagamenti e favorendo allo stesso tempo l’assorbimento delle acque e il riequilibrio dei livelli di falda. Questa caratteristica, unitamente all’alta riflettività (albedo) dei materiali, permette poi un’attenuazione sensibile dell’isola di calore urbana sia di notte che di giorno, con effetti positivi sul microclima urbano; infine il ricorso a impianti di illuminazione intelligente riduce l’inquinamento luminoso, consente di risparmiare elettricità e migliora la visibilità delle strade e – come conseguenza – la loro sicurezza. Il Chicago Green Alley Program è stato un programma pioniere a cui ha fatto seguito negli Stati Uniti un numero molto alto di iniziative dello stesso tipo (Newell et al., 2013). 292 Appendice Rassegna di casi studio internazionali 293 NYC CoolRoofs - New York Bronx Environmental Stewardship Academy (BEST) - South Bronx - New York La città di New York ha avviato nel 2010 un ambizioso programma di riduzione dei consumi energetici e delle emissioni di CO2 da ottenere attraverso l’applicazione di rivestimenti bianchi e riflettenti (cosiddetti cool roof, letteralmente “tetti freddi”) sui tetti della città. L’obiettivo è di raggiungere, nel corso di 5 anni, 6 milioni di piedi quadri (l’equivalente di circa 560 mila mq) di tetti rivestiti, attraverso uno sforzo congiunto tra amministrazione e cittadini nell’implementazione del programma (il che significa – prima di tutto – che rappresentano oggetto di trasformazione sia le superfici orizzontali degli edifici pubblici sia quelle degli edifici privati). Naturalmente le modalità e i tempi di realizzazione tra iniziativa pubblica e privata differiscono nettamente, con l’amministrazione pubblica impegnata in un doppio ruolo: da un lato è parte attiva nella realizzazione delle opere di rivestimento dei tetti, dall’altro fornisce supporto tecnico, organizzativo e finanziario (quando necessario) alle opere dei privati. Il coinvolgimento della comunità è qui – come nel caso di Los Angeles – demandato a organizzazioni non profit (in questo caso il Community Environmental Center e la Bronx Environmental Stewardship Academy10) che si occupano della diffusione delle informazioni e del coinvolgimento di cittadini e imprese che intendano contribuire come volontari, committenti o donatori nei lavori da eseguire. Il NYC CoolRoofs è un programma pensato e incluso all’interno del PlaNYC (2011), ovvero il piano unico per la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici di New York che ha come obiettivo ridurre le emissioni di gas climalteranti del 30% al 2030. Al 2013 ha coperto più della metà della superficie di tetti posta come obiettivo, interessante 415 edifici e coinvolgendo nei lavori più di 4.000 tra volontari e tecnici. I materiali utilizzati per le speciali verniciature sono generalmente composti da pitture acriliche miste a materiale plastico posti a formare una sorta di membrana che oltre ad avere proprietà riflettenti, preserva le superfici dei tetti dalle infiltrazioni d’acqua e dal surriscaldamento, allungandone i tempi di degradazione. La Sustainable South Bronx è un organizzazione non profit che opera nel campo delle politiche pubbliche congiuntamente con gli uffici del borough di South Bronx a New York. Dalla sua istituzione nel 2001, questa organizzazione ha portato avanti molteplici progetti di natura sociale e ambientale ed è oggi più che mai protagonista delle politiche ambientali nella città americana, essendo una delle due organizzazioni scelte per implementare la NYC coolroofs initiative. L’aspetto estremamente innovativo nell’opera di questa organizzazione sta nel tentativo di includere e formare nuova manodopera da impiegare nei suoi progetti di ambientalizzazione del quartiere e della città, rivolgendosi in primo luogo alle fasce di popolazione in condizioni economiche e sociali più svantaggiate. A tale scopo ha fondato nel 2003 la BEST, ovvero una scuola di formazione per carpentieri specializzati con una formazione ad hoc per opere di rinverdimento di strade, tetti e superfici verticali. Così facendo, l’organizzazione e il borough hanno risposto a molteplici obiettivi, tra cui: 1) garantire un lavoro ai più bisognosi; 2) attenuare – per quanto possibile – l’emergenza sociale e lavorativa che storicamente connota questa parte di città; 3) supplire alla carenza di manodopera specializzata e 4) riqualificare parti del quartiere attraverso il lavoro dei suoi stessi abitanti. Tra il 2010 e il 2012 il team di lavoro della BEST ha realizzato 4 tetti verdi (alcuni di dimensioni notevoli), circa 25 mila mq di tetti freddi, oltre a varie opere di manutenzione e miglioramento della cintura verde urbana passante per South Bronx. Un’altra dimostrazione di una politica integrata e multi-scopo con significativi risvolti nel campo della riqualificazione (climatica) urbana. 294 Appendice Rassegna di casi studio internazionali 295 Beat the Heat: don’t forget your drink - New South Wales (Australia) Million Tree Program e City Plants - Los Angeles Il caso qui riportato differisce sostanzialmente da tutti gli altri, trattandosi specificamente di una campagna di sensibilizzazione realizzata allo scopo di portare a conoscenza e incentivare tra la popolazione i comportamenti necessari a contrastare l’eccessivo calore e le situazioni di discomfort termico. Il programma – che ha interessato la popolazione della regione del Riverina-Murray nel New South Wales (Adelaide – Australia) – è stato messo a punto dalla Greater Southern Area Health Service (GSAHS) a partire dai dati allarmanti registrati nell’estate del 2008 e riguardanti le temperature (fino a 2 gradi in più nelle massime) e il diffuso verificarsi di patologie e sintomi da stress termico (+65%)11 rispetto alle medie dei quattro anni precedenti. Pensato esclusivamente come un programma di educazione, il programma Beat the Heat si è dispiegato in tre fasi distinte di pianificazione, implementazione e valutazione: nella prima fase sono stati elaborati i messaggi chiave e stabilite le modalità di diffusione degli stessi, unitamente con l’avvio di una prima campagna pilota e la messa a punto degli strumenti di valutazione. Il processo di implementazione ha coinciso invece con lo svolgimento del programma, partito nel dicembre 2008 e consistito principalmente in un’opera di diffusione di annunci sulla stampa locale12 e di brevi spot informativi trasmessi via radio e televisione in concomitanza con i bollettini meteo. Infine il processo di valutazione è servito a comprendere quanto e in che modo i messaggi veicolati fossero stati recepiti e messi in pratica. Per far ciò si è ricorsi a un’indagine telefonica a campione, nella quale sono state sottoposte agli intervistate alcune domande riguardanti il loro grado di conoscenza circa la campagna informativa, le acquisizioni pregresse sui comportamenti da adottare in caso di calore estremo, le azioni effettivamente messe in pratica e alcuni dati demografici. L’indagine ha rilevato un buon livello di conoscenza del programma (63% degli intervistati), ottenuto principalmente grazie ai messaggi televisivi e all’utilizzo di uno slogan efficace, a cui avrebbero corrisposto una serie di comportamenti virtuosi, in primis una corretta idratazione e la non esposizione al sole nelle ore più calde del giorno. Altri dati interessanti riguardano la percentuale (54%) di persone che avrebbero modificato i propri comportamenti in caso di calore estremo, così come il grado di comprensione dei rischi per la salute legate al calore eccessivo, valutato in 7.9 punti su 10 (più dell’anno precedente)13. City Plants è una partnership pubblico-privata nata nel 2010 tra il comune di Los Angeles, i community groups della città e un insieme di organizzazioni operanti nel terzo settore. Si tratta del proseguimento di un programma capace di fare scuola14, avviato nel 2006 dal sindaco Villaraigosa con l’obiettivo di mettere a dimora 1 milione di nuovi alberi entro i confini della città15. Il Million Tree Program (MTLA) è stato un programma che oltre a raggiungere l’obiettivo prefissato ha ottenuto nel 2009 un importante riconoscimento – l’Environmental Award – conferito annualmente dalla US Environmental Agency Protection (EPA) a piani, progetti e politiche ambientali di particolare interesse pubblico. Nella fattispecie il MTLA si è distinto per aver coinvolto attivamente migliaia di persone, gruppi e imprese in un’opera realmente collettiva, che ha interessato tanto gli spazi privati quanto quelli pubblici della città e ha finito per apportare vantaggi sotto differenti punti di vista, dall’estetica e vivibilità degli spazi, al maggiore ombreggiamento, alla riduzione di energia per il raffrescamento degli ambienti interni, fino all’assorbimento della CO2 e di altri inquinanti (Pincetl, 2010). City Plants si è proposta di andare oltre gli obiettivi quantitativi e – ripercorrendo le modalità di funzionamento del MTLA – ha provato a integrare le azioni proposte diffusamente all’interno di progetti organici in grado di massimizzare i benefici garantiti dalle nuove piantumazioni. Questo tipo di programmi sono particolarmente interessanti dal momento che fanno leva sull’azione diffusa a livello locale di una molteplicità di agenti sociali (persone, organizzazioni, imprese) che, volontariamente, offrono lo spazio per la piantumazione di alberi, si impegnano nella manutenzione degli stessi e supportano il progetto anche attraverso donazioni. In questo modo, tali interventi non solo apportano benefici nel contenimento dell’isola di calore urbana ma, attraverso la partecipazione e l’attivazione, producono sensibilità e capitale sociale. In definitiva i fattori che ne fanno una strategia di successo riguardano: la capacità di coniugare azione pubblica e privata, la natura molteplice dei benefici prodotti e la semplicità estrema degli interventi. 296 Appendice Rassegna di casi studio internazionali 297 1 Stoccarda vanta infatti una lunghissima tradizione di studi nel campo della climatologia urbana, anche e soprattutto in ragione della complessa morfologia del suo territorio – la città è situata nella valle del Necker ed è circondata da una cintura di colline che non agevola il ricambio di aria – e della sua latitudine, che ne giustificano le temperature medie più alte rispetto ad altre città tedesche e, di conseguenza, una maggiore incidenza del fenomeno dell’isola di calore urbana. 2 Disponibili rispettivamente agli indirizzi: http://www.pland.gov.hk/pland_en/p_study/comp_s/avas/papers&reports/ executive_summary_english.pdf e http://www.pland.gov.hk/pland_en/tech_doc/hkpsg/full/ch11/ch11_text.htm. 3 Altre informazioni alla pagina: https://www.london.gov.uk/priorities/environment/greening-london/improvinglondons-parks-green-spaces/pocket-parks. 4 Altre informazioni sul progetto e sulla sua storia sono disponibili all’indirizzo http://thinkafricapress.com/egypt/ new-roof-top-revolution-emerges. 5 Si tratta di un sistema che utilizza cassette di legno di 1 mq rivestite internamente di materiale plastico drenante e di un sistema di raccolta delle acque di irrigazione. La composizione del suolo comprende materiali come perlite, torba di stagno, sabbia e lolla di riso, molto ricchi di nutrienti e resistenti agli agenti patogeni del suolo. Il costo di questo sistema è stato calcolato nel 2004 in 26 $ per mq, in massima parte dati dal costo del suolo. 6 A onor del vero, l’utilizzo dei tetti in ambito urbano per scopi produttivi (principalmente per l’allevamento del pollame) è ed era una pratica molto diffusa nelle aree urbane egiziane. Tuttavia, sebbene l’idea di “coltivare i tetti” non fosse nuova tra i tecnici, la pratica era pressoché inesistente in Egitto prima del 2004. A oggi non è possibile comunque avere un’idea precisa del numero di tetti-orto, dal momento che manca un monitoraggio dettagliato. 7 Non vengono forniti dati circa il raffrescamento degli ambienti coperti, mancando rilevazioni puntuali a questo scopo. Tra le informazioni raccolte si parla di differenze fino a 7 °C rispetto ad abitazioni sprovviste di una copertura a orto, ma l’indicazione non è completa e affidabile. Del resto, il raffrescamento degli ambienti è un esito indiretto di una politica nata per rispondere ad altri obiettivi. 8 http://www.seattle.gov/dpd/cityplanning/completeprojectslist/greenfactor/documents/default.htm. 9 Al 2010 sono circa 100 le nuove alley completate. Alla fine dei lavori il CDOT appone una targa per permettere un più facile riconoscimento dell’opera realizzata. 10 La CEC è dal 1994 il principale partner non profit del Comune di New York per quanto concerne le opere di weatherization (termine, che non ha equivalenti in italiano, che indica le opere di manutenzione e protezione degli edifici rispetto agli agenti atmosferici) e di efficientamento energetico degli stabili appartenenti a persone e famiglie con difficoltà economiche e in situazione di “povertà energetica”. 11 A cui va sommato un peggioramento anche qualitativo e piuttosto marcato dei quadri clinici dei pazienti ricoverati in occasione delle stesse ondate di calore estremo. 12 La campagna informativa si è dispiegata anche mediante volantinaggio (con particolare attenzione nei confronti delle categorie di persone più a rischio) e ha inoltre utilizzato alcuni eventi estivi molto popolari quali festival e concerti all’aperto come occasioni di informazione e sensibilizzazione. 13 Per maggiori informazioni si veda il lavoro di Oakman et al. (2010) e la pagina web http://www0.health.nsw.gov.au/ pubs/2011/beat_the_heat_booklet.html. 14 A partire da questa esperienza, le città di New York, Shanghai, Denver, Londra e Tokyo hanno avviato iniziative identiche. 15 Il programma era parte integrante della visione generale proposta dal LA Climate Action Plan (City of LA, 2007). 298 Appendice Riferimenti bibliografici City of Los Angeles (2007), An Action Plan to Lead the Nation in Fighting Global Warming. City of Los Angeles, Los Angeles, CA. Erell, E. (2008), “The Application of Urban Climate Research in the Design of Cities”. Advances in Building Energy Research, 2: 95-121. Hebbert, M. - Webb, B., eds (2011), City Weathers: Meteorology and Urban Design 1950-2010. Manchester: Manchester Architecture Research Centre, University of Manchester. Mayor of London (2012), 100 Pocket Park. London: GLA. Mills, G. - Cleugh, H. - Emmanuel, R. - Endlicher, W. - Erell, E. - McGranahan, G. - Ng, E. - Nickson, A. Rosenthal, J. - Steemer, K. 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Stenning, E. (2008), An Assessment of the Seattle Green Factor: Increasing and Improving the Quality of Urban Green Infrastructure. Doctoral dissertation, University of Washington. Stuttgart VR (2008), “Klimaatlas Region Stuttgart”. Schriftenreihe Verband Region Stuttgart, 26. The Hillside Development Outline Plan (2008). Stuttgart: Rahmenplan Halbhöhenlagen City of Stuttgart. Rassegna di casi studio internazionali 299 AUTORI Franco Alberti Regione del Veneto Federico Amato Università degli Studi della Basilicata Armando Barp Università Iuav di Venezia Carlo Battisti TIS innovation park, Cluster Edilizia Domenico Bolla Università Iuav di Venezia Giovanni Bonafè ARPA Emilia Romagna Nicola Boscolo Veneto Strade S.p.A. Lucio Botarelli ARPA Emilia Romagna Giada Brandani Università degli Studi di Firenze Giuseppe Caldarola Università Iuav di Venezia Francesca Cappelletti Università Iuav di Venezia Nico Cattapan Università Iuav di Venezia Claudio Chiapparini Regione del Veneto Giacomo Cireddu Studio SMA srl, Treviso Daniele Erigolin Università Ca’ Foscari di Venezia Davide Ferro Università Iuav di Venezia Leonardo Filesi Università Iuav di Venezia Andrea Filpa Università degli Studi di Roma Tre Giuliana Fornaciari Università Iuav di Venezia Laura Fregolent Università Iuav di Venezia Ciro Gardi Università degli Studi di Parma Vito Garramone Regione del Veneto Davide Geneletti Università degli Studi di Trento Elena Gissi Università Iuav di Venezia Annarita Lapenna Università Iuav di Venezia Paolo Lauriola ARPA Emilia Romagna Renato Lazzarin Università degli Studi di Padova Daniela Luise Comune di Padova Filippo Magni Università Iuav di Venezia Denis Maragno Università Iuav di Venezia Stefano Marchesi ARPA Emilia Romagna Federico Martellozzo Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Davide Martinucci Università Iuav di Venezia Michele MasèComune di Treviso Luciano Massetti CNR - Istituto di Biometeorologia, Firenze Ugo Mazzali Università Iuav di Venezia Alessandro Messeri Università degli Studi di Firenze Roberta Michelon Comune di Bassano Alberto Miotto Regione del Veneto Marco Morabito Università degli Studi di Firenze Beniamino Murgante Università degli Studi della Basilicata Antonio Musacchio Università Iuav di Venezia 301 Alberto Muscio Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Francesco Musco Università Iuav di Venezia Francesca Natali Università degli Studi di Firenze Silvio Nocera Università Iuav di Venezia Marco Noro Università degli Studi di Padova Simone Ombuen Università degli Studi di Roma Tre Simone Orlandini Università degli Studi di Firenze Liliana Padovani Università Iuav di Venezia Robero Pastres Università Ca’ Foscari di Venezia Marta Pérez SobaAlterra Research Centre, Netherlands Claudio Perin Regione del Veneto Luigi Perini Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura Unità di ricerca per la Climatologia e la Meteorologia applicate all’Agricoltura (CRA-CMA), Roma Fabio Peron Università Iuav di Venezia Martina Petralli Università degli Studi di Firenze Maurizio Pioletti Università Ca’ Foscari di Venezia Giovanni Pizzo Provincia di Rovigo - INFEA Alessandro Righi Università Iuav di Venezia Piercarlo Romagnon Università Iuav di Venezia Stefano Salata Politecnico di Milano Alessandro Salvati Università Iuav di Venezia Luca Salvati Consiglio per la Ricerca e la sperimentazione in Agricoltura - Centro per lo studio delle Relazioni tra Pianta e Suolo (CRA-RPS), Roma Rodica Tomozeiu ARPA Emilia Romagna Sara Verones Università degli Studi di Trento Selene Verzola Provincia di Rovigo - INFEA Maria Rosa Vittadini Università Iuav di Venezia Linda Zardo Università degli Studi di Trento Stefano Zauli Sajani ARPA Emilia Romagna 302 Copyright 2014 Regione del Veneto Stampato per conto della casa editrice Il Poligrafo srl presso le Graficche Tintoretto di Viillorba (Treviso)