Corporate Governance
S
1
La Corporate Governance
Con il termine Corporate Governance si fa riferimento
a tutte le norme che caratterizzano un particolare
assetto istituzionale aziendale, ovvero uno
specifico “modello di impresa”
È l’insieme delle regole e delle strutture organizzative
atte a garantire un bilanciamento degli interessi di
tutti coloro che sono coinvolti nel governo
dell’impresa (proprietari, manager, amministratori,
dipendenti, etc.)
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Principi di corporate Governance
S TRASPARENZA:
tracciabilità delle operazioni poste in essere;
S INTEGRITA’:
meccanismi di controllo delle informazioni atti a garantirne la non
manipolazione;
S ACCOUNTABILITY:
regole contabili adeguate e sicure.
MIGLIORE REPUTAZIONE PER
L’AZIENDA
3
Le funzioni d’impresa
L’impresa ha una molteplicità di funzioni da svolgere tra loro
interdipendenti. Come tale ha molti ruoli
a) funzione economica: come organizzazione economica l’impresa
risponde a finalità economiche generali di generazione di
valore e soddisfacimento della collettività;
b) funzione
sociale: come organizzazione sociale l’impresa
risponde al soddisfacimento di chi in essa opera ed alla
distribuzione del valore generato;
c) funzione reddituale: come organizzazione patrimoniale, ossia
come complesso di beni organizzato per la produzione di
reddito l’impresa deve generare un profitto di gestione.
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Gli attori coinvolti nel governo
L’impresa è un’istituzione sociale formata da una pluralità di
interlocutori a finalità plurime il cui compito è creare valore
economico e sociale.
Nello svolgere le sue attività l’impresa deve tenere conto di
tutti tali interlocutori denominati stakeholder.
L’impresa presenta una pluralità di stakeholder, ciascuno
portatore di uno specifico interesse.
L’impresa non può limitarsi all’interesse dello stakeholder
azionista.
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Tipologie di stakeholder
Gli stakeholder si distinguono tra primari e secondari.
Sono generalmente primari: i proprietari, i clienti, i fornitori, i
dipendenti ed i concorrenti
Sono secondari: i gruppi di opinione, gli ambientalisti, i sindacati, i
media etc.
La loro posizione di potere ed influenza dipende da:
Sla forza ovvero il potere detenuto per effetto del ruolo nella
società
Sla legittimazione, ossia dal grado di riconoscimento degli interessi
di cui sono portatori
Sl’attualità dell’interesse difeso ovvero l’urgenza e la criticità di
risposta da parte dell’impresa
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La gestione degli stakeholder
Occorre monitorare costantemente gli stakeholder e gestirli
secondo la loro natura:
1.Stakeholder amichevoli, disposti a sostenere l’attività
d’impresa: vanno continuamente coinvolti;
2.Stakeholder avversari, che generano difficoltà: politiche di
difesa;
3.Stakeholder non orientati, il cui orientamento è variabile:
occorre collaborare con loro
4.Stakeholder marginali, che non hanno influenza rilevante:
vanno monitorati.
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Funzione reddituale e
creazione del valore
S La teoria della massimizzazione del reddito
intesa come capacità di massimizzazione della capacità di
guadagno dell’impresa con continuità. Altri parlano di
reddito soddisfacente e di sopravvivenza dell’impresa.
S La teoria del valore
dove per “valore del capitale economico” indica non solo il
valore dei beni patrimoniali ma anche il potenziale evolutivo
e di generazione di nuove risorse.
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Value Based Management
VALUE BASED MANAGEMENT,
SHAREHOLDER VALUE e
STAKEHOLDER VALUE:
quale scenario per l’Italia?
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VBM alcune definizioni
"VBM è un approccio formale, sistematico, alla gestione delle imprese
mirante a raggiungere l'obiettivo di massimizzare la creazione di valore
per gli azionisti nel lungo termine" (Mc Taggart J., Kontes P.,
Mankins M., 1994).
"VBM è un approccio al management in base al quale gli obiettivi
dell'impresa, le tecniche e i processi di gestione sono coordinati allo scopo
di massimizzare il valore dell'impresa stessa. Gli obiettivi sono raggiungi
concentrando le decisioni del management sui ‘drivers’ del valore"
(Copeland T., Koller T., Murrin J., 1996).
"Value based management è un approccio manageriale il cui primo
obiettivo è la massimizzazione del valore per gli azionisti. Gli obiettivi di
un'impresa, i suoi sistemi, le strategie, i processi, le tecniche di gestione, la
misura delle performance e la cultura dell'organizzazione sono guidate
dall'obiettivo di massimizzare il valore per gli azionisti" (Arnold G.,
Davies M., 2000).
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Implementazione del VBM
1° stadio: Individuazione delle fonti della creazione di valore per ogni business, quali
sono i “value drivers”, dove viene creato valore e dove viene distrutto. Una volta che la
strategia è stata condivisa, è proprio attraverso tali “value drivers” che gli obiettivi
devono arrivare ai managers che esercitano il controllo giorno per giorno.
2° stadio: Definizione di un nuovo insieme di indicatori chiave della performance che
guidino i necessari cambiamenti nel comportamento del management. Non esistono
misure perfette di performance, molto dipende dall’obiettivo e dal periodo. Le misure
percentuali (ROCE, TSR, TBR) sono solitamente utili per effettuare confronti, le
misure quantitative di valore (come l’EVA) sono utili per stabilire gli obiettivi. Le
misure di breve termine sono appropriate per monitorare la performance operativa,
mentre quelle di lungo termine per sviluppare le strategie. Le misure della creazione del
valore per gli azionisti devono essere adattate sia a livello di corporate che a livello di
business unit, ma può risultare inappropriato valutare tutti i managers allo stesso modo.
Occorre, infatti, conoscere le persone e la cultura a fondo per poter programmare le
misure della creazione del valore. Alcuni managers possono essere motivati da obiettivi
relativi al volume, che possono essere ottenuti aumentando il rendimento e riducendo le
scorte.
3° stadio: programma di comunicazione che assicuri la diffusione dell’importanza del
value based management a tutto il personale dell’organizzazione permettendo così la
loro collaborazione alla realizzazione degli obiettivi. Questa fase accoglie ancora
troppa poca attenzione.
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Critiche al VBM
 Il VBM si avvale di una logica prettamente
finanziaria
 Si concentra sugli azionisti ignorando gli altri
stakeholder
Dallo SHAREHOLDER VALUE allo STAKEHOLDER
VALUE
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Le imprese italiane creano valore?
La creazione del valore è un indicatore che misura la
performance di un azienda in un determinato periodo
considerando gli aspetti reddituali, patrimoniali e finanziari.
Esistono diverse formule che misurano il Valore Creato; sono
tutte riconducibili alla formula base dell’EVA (Economic Value
Added) o EP (Economic Profit), per cui un’azienda crea
(distrugge) valore quando la differenza tra il ritorno sul capitale
investito e il suo costo è positiva (negativa).
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Una ricerca condotta dalla Venture Consulting su più di 11.000
aziende quotate europee e americane, facendo riferimento ai dati
del 2005, evidenzia che il differenziale tra il ritorno sul capitale
ed il suo costo è stato in media

del 9% per le aziende americane,
 del 4% per quelle europee e…
14
…dello 0% per quelle italiane, che
quindi non hanno sostanzialmente né
creato né distrutto valore!
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Perche le aziende italiane creano meno
valore?
 Debole sistema di Corporate Governance;
In numerose aziende italiane il rapporto tra azionisti e manager è spesso poco
bilanciato;nelle piccole e medie imprese il management esterno dispone raramente di
leve decisionali significative e la direzione strategica è definita dallo stesso
imprenditore. Appare, quindi, difficile instaurare un corretto sistema orientato alla
creazione di valore.

Funzionamento non ottimale del CdA;
Un CdA efficacace stimola un approccio corretto allo sviluppo della strategia aziendale e
al modello di gestione e incentivazione dei manager chiave, superando l’impostazione
puramente orientata alla compilance procedurale tipica dei CdA italiani.

Eccessivo focus sulla patrimonializzazione
(sovradimensionamento del capitale investito rispetto alle esigenze del business)
La situazione italiana vede molti piccoli e medi imprenditori focalizzati a sviluppare
infrastrutture e asset “tangibili” e ad identificare il valore della propria azienda
principalmente in questi beni, piuttosto che nei flussi reddituali futuri.
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Le finalità imprenditoriali
Il rapporto tra proprietà e governo
Imprenditorialità
diretta
Imprenditorialità
delegata
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Imprenditorialità diretta
S La motivazione economica è massima e si ricerca il
profitto come: remunerazione del rischio, compenso
per il lavoro imprenditoriale, contropartita per
l’attività innovativa.
S Secondo taluni, alla ricerca del profitto segue quella
del potere e poi
l’autoaffermazione.
quella
del
prestigio
per
PRESTIGIO
POTERE
PROFITTO
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Imprenditorialità delegata
S Non vi è coincidenza tra fini imprenditoriali e fini
manageriali.
S Il manager ricerca prestigio, potere, remunerazione e
solidità del posto di lavoro.
S Ne consegue che prevale l’interesse per lo sviluppo
dimensionale d’impresa. Il reddito è funzionale alla
finalità di sviluppo dimensionale.
S Il profitto è funzione crescente del tasso di crescita fino
ad un certo punto oltre il quale decresce:
•
per la necessità di diversificazione dell’impresa
•
per le diseconomie interne legate ai limiti delle capacità
manageriali
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Imprenditorialità e managerialità come forme
di governo ossia come modelli di gestione
GESTIONE IMPRENDITORIALE:
•decisioni assunte in base a conoscenze di tipo empirico
•decisioni che si basano su poche selezionate informazioni,
sull’esperienza
•assenza di pianificazione
•struttura organizzativa “semplice” dove i ruoli girano attorno alle
persone
LIMITI: rigidità a forti cambiamenti anche se dipende dal tipo di
imprenditore (statico o dinamico)
VANTAGGI: flessibilità operativa e organizzativa ma bassa flessibilità
strategica
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GESTIONE MANAGERIALE
•decisioni basate su criteri razionali ed accesso ad ampie informazioni
• deleghe di potere decisionale
• pianificazione strategica
• struttura organizzativa più complessa e formalizzata
LIMITI: la pianificazione strategica non ha dato i risultati attesi;
eccessiva formalizzazione/burocratizzazione;
VANTAGGI: flessibilità strategica; capacità di fronteggiare la
complessità
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Imprenditorialità e managerialità non sono
modelli gestionali alternativi ma devono essere
visti come due componenti della gestione
d’impresa
Imprenditorialità manageriale
nelle piccole imprese
Managerialità imprenditoriale
nelle grandi imprese
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Imprenditorialità manageriale
S Consiste nel mantenere i benefici della gestione
imprenditoriale (creatività, flessibilità, adattabilità)
riducendo i limiti della stessa, ossia inserendo elementi
di maggiore professionalità:
• nella formulazione della strategia (non unicamente per vision)
• nell’organizzazione (deleghe e nuovi ruoli)
• nei sistemi di controllo
S Il livello e le capacità di adattamento a strumenti
manageriali più strutturati differiscono tra:
• imprese statiche: tese alla conservazione
• imprese dinamiche tese allo sviluppo ed all’innovazione
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Managerialità imprenditiva
S Consiste
nell’introdurre nell’attività di governo
manageriale elementi di creatività, innovatività e
flessibilità tipici delle gestioni imprenditoriali
attraverso:
1) Esternalizzazione di attività non core per focalizzarsi su
attività core
2) Creazione di divisioni, aziende, business units dotate di
autonomia gestionale e proprie finalità di competitività
3) Lo sviluppo di imprenditorialità
venturing), ossia avvio di iniziative
dipendenti e gestite dagli stessi
interna (internal
basate su idee di
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Internal venturing
E’ l’attività di imprenditorialità svolta dai dipendenti
ossia l’avvio di nuove attività basate su iniziative e
idee dei dipendenti stessi.
Tali iniziative possono riguardare l’innovazione di
prodotto, i processi produttivi, le tecnologie
dell’informazione e in generale quanto possa
accrescere la competitività aziendale
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L’internal venturing si concretizza in nuove business units e
richiede:
1)La volontà del vertice aziendale (commitment)
2)Un adatto contesto organizzativo, che consenta la condivisione
di valori e orientamenti, la disponibilità a valutare le idee
proposte
3)Idonei sistemi di gestione delle nuove attività che prevedano:
•
•
•
•
criteri di selezione delle iniziative/idee coerenti con la mission
aziendale
ricompense legate ai risultati
efficaci strumenti di controllo
strutture adeguate: nuove divisioni autonome ma efficacemente
coordinate oppure unità organizzative integrate dotate di sufficienti
margini di autonomia
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Modalità di controllo
proprietario
Nelle SPA il soggetto economico, ossia chi ha il potere di
determinare l’indirizzo di gestione, è la persona o il
gruppo di persone che hanno il potere di fare nominare
nelle assemblee degli azionisti gli organi amministrativi
della società e di tale potere effettivamente si avvalgono
Saraceno, 1978
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Cosa rende possibile il potere di nomina?
La detenzione della maggioranza delle azioni (essere
azionista di controllo)
Un singolo azionista/proprietario o famiglia
Un singolo/famiglia + creditori (banche) o altre
figure istituzionali (fondi) + altri
Al rischio possono partecipare, con più o meno potere
anche i lavoratori, lo stato o altri stakeholder
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NOTA BENE: spesso una persona o un gruppo possono avere il
controllo di una SPA senza avere la maggioranza!!
Per il disinteresse degli azionisti non di comando
Attraverso l’emissione di azioni privilegiate e di
risparmio (che hanno un limitato diritto di voto)
Con la costituzione di sindacati di azionisti, che
proprietari
di
minoranza,
vincolano
temporalmente la gestione dell’azienda alle
direttive di qualcuno legato al soggetto economico
Con la costituzione di una finanziaria
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Forme proprietarie tradizionali
•
proprietà totalitaria (100%) o maggioranza
assoluta (70%)
•
proprietà in parti eguali (50%) di due soggetti
“spartitori”
•
proprietà di maggioranza relativa (es. 25%) di un
socio che assieme ad altri soci (nucleo stabile)
controlla l’azionariato disperso
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Forme proprietarie innovative
• proprietà frazionata, laddove vi è un socio di
riferimento con una minoranza significativa (es con
il 10% controlla parte degli azionisti minori)
• proprietà concentrata, quando c’è un azionista con
una maggioranza relativa che deve tuttavia rendere
conto ad altri azionisti istituzionali (istituzioni
finanziarie- fondi di I; fondi pensione, banche
d’affari)
• proprietà dispersa: public company
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Public company
S Secondo taluni è la forma più naturale emergente
dalla dissociazione tra proprietà e controllo
Tuttavia ha molti limiti:
• il dislivello di immagine e di potere tra manager e proprietà e la
sempre minore governabilità dei primi;
• la perdita di trasparenza e flessibilità nelle decisioni per eccesso
di burocratizzazione
• il dirottamento da parte dei manager dei fondi verso
investimenti a ritorno breve (immagine soprattutto) piuttosto
che a ritorno differito
• focus sui dividendi da parte dei proprietari
• ingerenza di proprietari istituzionali
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Il governo dei manager
Non sempre chi detiene il capitale di comando governa
effettivamente l’azienda. Specie nelle imprese più
grandi il governo è in mano ai direttori (Top
management) i quali:
• assumono decisioni collegiali
• si auto-generano
Tanto più l’impresa è grande e deve essere flessibile tanto
più occorre delegare parte del potere imprenditoriale a
livello di middle management
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CG, CdA e Sistema di controllo
CORPORATE
GOVERNANCE
CONSIGLIO DI
AMMINISTRAZIONE
SISTEMA DI
CONTROLLO
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CG e Consiglio d’Amministrazione
La funzione di governo delle imprese è suddivisa tra una serie di
organi rappresentativi dei diversi portatori di interesse:
ASSEMBLEA
DEGLI
AZIONISTI
(nomina
degli
amministratori, approvazione bilancio, attribuzione deleghe al
CdA);
COLLEGIO SINDACALE (funzione di controllo sul CdA per
la tutela degli azionisti)
CONSIGLIO
DI
AMMINISTRAZIONE
dell’impresa e attuazione dell’oggetto sociale)
(gestione
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Consiglio d’Amministrazione
S E’ l’organo esecutivo della società a cui è affidato il
compito di realizzare le decisioni prese dall’assemblea
nel corso delle sue deliberazioni e lo svolgimento
dell’attività di impresa.
S Gioca
un ruolo fondamentale nella corporate
governance, ha infatti la responsabilità primaria
determinare e perseguire gli obiettivi strategici della
società o del gruppo a cui fa capo, nonché di sviluppare
una politica direzionale, di assumere, supervisionare e
remunerare i manager e assicurare la responsabilità
giuridica dell'organizzazione di fronte alle autorità.
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Composizione del CdA
•
AMMINISTRATORI ESECUTIVI
•
AMMINISTRATORI NON ESECUTIVI
•
PRESIDENTE
•
AMMINISTRATORE INDIPENDENTE
•
AMMINISTRATORE DELEGATO
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Compiti del CdA
 esamina e approva i piani strategici, industriali e finanziari della società, il sistema di governo







societario della società stessa e la struttura del gruppo medesimo;
valuta l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile generale
dell’emittente e delle controllate aventi rilevanza strategica, con particolare riferimento al
sistema di controllo interno e alla gestione dei conflitti di interesse;
attribuisce e revoca le deleghe agli amministratori delegati ed al comitato esecutivo
definendone i limiti e le modalità di esercizio; stabilisce altresì la periodicità, con la quale gli
organi delegati devono riferire al consiglio circa l’attività svolta nell’esercizio delle deleghe loro
conferite;
determina, esaminate le proposte dell’apposito comitato e sentito il collegio sindacale, la
remunerazione degli amministratori delegati e degli altri amministratori che ricoprono
particolari cariche, nonché, qualora non vi abbia già provveduto l’assemblea, la suddivisione
del compenso globale spettante ai membri del consiglio;
valuta il generale andamento della gestione, confrontando periodicamente i risultati conseguiti
con quelli programmati;
esamina e approva preventivamente le operazioni della società e delle sue controllate, prestando
particolare attenzione alle situazioni in cui uno o più amministratori siano portatori di un
interesse per conto proprio o di terzi e, più in generale, alle operazioni con parti correlate;
effettua, almeno una volta all’anno, una valutazione sulla dimensione, sulla composizione e sul
funzionamento del consiglio stesso e dei suoi comitati, eventualmente esprimendo orientamenti
sulle figure professionali la cui presenza in consiglio sia ritenuta opportuna;
fornisce informativa, nella relazione sul governo societario, sulle modalità di applicazione
dell’art. 1 del D.Lgs. n. 262 e, in particolare, sul numero di riunioni del consiglio e del comitato
esecutivo, ove presente, tenutesi nel corso dell’esercizio e sulla relativa percentuale di
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partecipazione di ciascun amministratore.
C.G. e sistema di controllo
S Perché la necessità di controllo?
• Seguendo un approccio di tipo utilitaristico che condiziona il
comportamento di azionisti e managers, questi ultimi
sarebbero in una posizione tale da poter ottenere benefici
privati attraverso la gestione, che non sono necessariamente in
linea con l’ipotesi di massimizzazione del valore dell’impresa.
• L’asimmetria informativa che si genera tra principali e agenti
(manager e azionisti) è a scapito dei primi, i quali, a causa di
lacune informative, non possono giudicare agevolmente il
comportamento degli amministratori. Questo meccanismo di
“estorsione della ricchezza” da parte dei managers ai danni
degli azionisti, se non arginata, può comportare il fallimento
del mercato finanziario: chi investirebbe risorse proprie senza
un’ampia garanzia di poter monitorare in che modo e verso
quali obiettivi esse verranno utilizzate?
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S In effetti le principali critiche ai manager di imprese a
proprietà non organizzata sono:
- massimizzazione della crescita a scapito del profitto
- eccessiva diversificazione per diversificare i rischi
- espansione in base a proprie aree di interesse
- uso del reddito per proprie spese
- pratiche
di take-over (acquisizione della quota di
maggioranza) e di leverage buy out (acquisizione di quote
con indebitamento)
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Sistema di controllo: aree di intervento [1]

Legare i compensi del top management ai risultati aziendali in modo
che questi risultino più motivati al raggiungimento degli obiettivi

Interventi di carattere giuridico-legale: possibilità per gli azionisti di
esercitare class-action e di ottenere il controllo della società
attraverso takeover

Controllo del CdA: problema dell’indipendenza del CdA (qual è la
percentuale di amministratori indipendenti che deve essere presente
el suo interno per garantirne un indipendenza di giudizio?)
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Sistema di controllo: aree di intervento [2]
Esistono anche altri meccanismi di controllo interno nati seguendo una prospettiva esterna alla
governance.
 REVISORE ESTERNO: ha il compito di verificare la corretta applicazione delle
norme contabili, la veridicità e la significatività nella comunicazione economicofinanziaria d’impresa;
 COMITATO PER LE NOMINE: è il comitato preposto all’individuazione e alla
nomina dei nuovi consiglieri di amministrazione. Nella maggior parte dei casi deve
essere composto da amministratori esterni o indipendenti per garantire che il
processo di selezione e nomina sia gestito in maniera indipendente dal top
management;
 COMITATO PER I COMPENSI: ha il compito di stabilire il compenso per l’alta
direzione; anche in questo caso si vuole evitare che i compensi siano definiti dai
diretti interessati;
 COMITATO PER L’AUDIT: nasce con una funzione di interfaccia verso il revisore
esterno; se a quest’ultimo viene attribuito il compito di verifica sull’informativa
contabile, l’audit committee esercita un controllo di legittimità e di sostanza rispetto
alle scelte del management.
In tutti i comitati è auspicata la presenza maggioritaria di amministratori
indipendenti, che possano garantire un funzionamento efficiente dell’organo.
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Modelli di governance europei
S Modello tradizionale (latino): ruolo centrale assemblea soci, che
nomina e revoca organi di governo (cda) e di controllo (collegio
sindacale e revisori)
S Modello anglosassone (monistico): rispetto al modello
tradizionale manca il collegio sindacale e il controllo è affidato
tutto al comitato di controllo nominato in seno al cda. Il controllo
dei conti è assegnato a revisori esterni.
S Modello tedesco (dualistico): vi è un consiglio di sorveglianza,
nominato dall’assemblea, un consiglio di gestione, nominato dallo
stesso consiglio di sorveglianza ed il collegio dei revisori.
Il controllo dei comportamenti
manageriali
• modello anglosassone: a fronte di cattiva gestione si
vendono le azioni e l’impresa perde valore
• modello padronale: la proprietà gestisce direttamente
l’azienda o la supervisiona a mezzo della presenza in cda e
holding
• modello consociativo: partecipazione dei lavoratori e
manager negli organi di controllo; retribuzione dei manager
in base a performance; controllo di blocchi azionari da parte
di famiglia o banca
Corporate governance e CSR
S L’evoluzione dei modelli di governance sottolinea la
crescentre attenzione dell’impresa agli atotri sociali
S Il governo dell’impresa tende ad accrescere l’attenzione a
decisioni socialmente responsabili, che oltre a rispettare le
leggi ed i vincoli istituzionali, opera per creare valore per la
società nel suo complesso….innovazione strategica o moda
manageriale?....
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Lezione_Pencarelli_Goverrnance