UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA DEI SISTEMI AGRO FORESTALI
DISPENSA PER IL CORSO DI
MARKETING AGROALIMENTARE
Appunti dalle lezioni
della Prof.ssa Simona Bacarella
Sommario
1. Il MARKETING ..................................................................................................... 1
1.1 Introduzione ....................................................................................................... 1
1.2 Origine ed evoluzione del concetto e delle attività di marketing nell’impresa 2
1.3 Definizione di marketing .................................................................................. 8
1.4 Marketing Agroalimentare .............................................................................. 12
2 PIANO MARKETING .......................................................................................... 18
3. MERCATO AL CONSUMO E CONSUMATORE ............................................. 23
3.1 Introduzione .................................................................................................... 23
3.2 Il comportamento del consumatore................................................................. 25
3.2.1 Fattori culturali ........................................................................................ 31
3.2.2 Fattori sociali ........................................................................................... 32
3.2.3 Fattori personali ....................................................................................... 35
3.2.4 I fattori psicologici ................................................................................... 43
3.3 Il processo di acquisto..................................................................................... 47
3.4 I modelli interpretativi dell’agire di consumo ................................................ 56
3.5 Misurazione e previsione della domanda........................................................ 59
3.6 La stima della domanda attuale ...................................................................... 63
4 SEGMENTAZIONE DEL MERCATO ................................................................ 65
4.1 Definizione del mercato obiettivo................................................................... 71
4.2 Posizionamento del prodotto .......................................................................... 72
5 MARKETING MIX ............................................................................................... 76
5.1 Premessa .......................................................................................................... 76
5.2 Prodotto ........................................................................................................... 78
5.3 Prezzo.............................................................................................................. 80
5.4 Pubblicità e promozione ................................................................................. 82
5.5 Distribuzione................................................................................................... 83
6 IL PRODOTTO ..................................................................................................... 85
6.1 Concetto definizione e classificazione dei prodotti ........................................ 85
6.2 Classificazione dei beni di consumo ............................................................... 87
6.3 Le strategie di prodotto ................................................................................... 89
6.3.1 Decisioni relative alla combinazione (o assortimento) di prodotti. ......... 89
6.3.2 Decisioni relative al singolo prodotto ...................................................... 93
7 IL CICLO DELLA VITA DEL PRODOTTO ....................................................... 99
7.1 Il concetto ........................................................................................................ 99
7.2 Le stategie di marketing ................................................................................ 105
7.3 Ciclo di vita del prodotto e Portafoglio prodotti ........................................... 114
7.4 Evoluzione del mercato ................................................................................ 117
8 I PREZZI.............................................................................................................. 119
8.1 Rilevanza economica e competitiva ............................................................. 119
8.3 La determinazione del prezzo ....................................................................... 121
8.4 Obiettivi della determinazione del prezzo .................................................... 123
8.4.1 Analisi dei fattori ................................................................................... 124
8.4.2 La determinazione del prezzo base (o di listino) ................................... 126
8.4.3 Scelta del prezzo definitivo o prezzo finale ........................................... 138
8.4.4 Politiche di prezzo ................................................................................. 138
I
9 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE .......................................................... 142
9.1 Le funzioni di commercializzazione ............................................................. 142
9.2 Le forme distributive .................................................................................... 145
9.3 La distribuzione fisica (o logistica di marketing) ......................................... 156
9.4 I canali di distribuzione (o di marketing)...................................................... 158
10 PROMOZIONE E PUBBLICITÀ. .................................................................... 168
10.1 Comunicazione ........................................................................................... 168
10.2 Pubblicità e vendita personale .................................................................... 176
10.3 Promozione delle vendite e propaganda ..................................................... 185
II
1. Il MARKETING
Marketing è un concetto complesso e come tale difficile da
definirsi perché flessibile e dinamico.
1.1 Introduzione
Mercato: è il luogo economico di incontro fra chi possiede (ed offre) merci e chi richiede
(e compra, possedendo il denaro) tali merci. E' dunque il luogo economico di incontro fra
l'offerente (il produttore, l'impresa, la produzione, l'offerta) ed il richiedente (il consumatore, il
consumo, la domanda).
L'incontro fra offerente e richiedente non sempre avviene o comunque non sempre
avviene facilmente. Tanto più ampio è il mercato tanto più difficile diventa tale incontro, in
special modo quando trattasi di una merce (bene, prodotto) nuova, o comunque di una merce
poco o non conosciuta dal richiedente. Il Marketing serve a stimolare e realizzare l'incontro.
Marketing: dall'inglese to market (commercializzare, mettere sul mercato). E' l'insieme
dei processi (e/o delle funzioni) mediante i quali la domanda di beni e servizi (i bisogni dei
consumatori) viene prevista e valutata (con le ricerche), stimolata e soddisfatta con l'ideazione,
la distribuzione fisica e lo scambio degli stessi beni e servizi.
Il marketing dunque coordina le risorse della produzione e della distribuzione dei beni e
servizi, stabilisce ed impone il tipo e le dimensioni dell'impegno totale per vendere con profitto
all'utilizzatore finale (il consumatore).
Il marketing, in altri termini ancora, consiste nell'elaborare e realizzare una strategia che,
agendo sulle variabili che possono modificare la domanda, trasforma l'acquirente potenziale in
acquirente effettivo. E pertanto al centro dell'attenzione è l'acquirente potenziale, con i suoi
bisogni, le sue preferenze, le sue motivazioni, i suoi comportamenti.
In definitiva il marketing consiste nello scoprire che cosa desidera il consumatore (il
mercato) e fornirglielo (marketing oriented). Il marketing è la funzione creativa del management
(dirigenti che prendono decisioni sulle attività, coordinate nei modi e nei tempi, mirato al
conseguimento di determinati obiettivi).
L'incontro fra l'impresa (le risorse umane, finanziarie e fisiche organizzate) e le esigenze
del mercato (il consumo, i consumatori) avviene sempre in uno scenario ambientale dinamico
(ambiente esterno), i cui elementi (fattori esterni) sono: la concorrenza, la tecnologia, la
disponibilità di materie prime e di manodopera, l'ambiente finanziario ed economico, la
legislazione.
1
I consumatori esprimono esigenze derivanti dai bisogni. I bisogni del consumatore
generalmente restano costanti, ma cambiano i modi per soddisfarli. Ed ogni consumatore ha un
differente modo di soddisfare le proprie esigenze. Comunque sia il consumatore quando deve
soddisfare le proprie esigenze, avendo la possibilità di scegliere, decide per il prodotto che,
secondo il suo convincimento, offre i maggiori vantaggi al prezzo più interessante
(conveniente).
Per l'impresa dunque non vale produrre un bene che nessuno compra, né vale produrre al
più basso costo se nessuno è disposto a spendere per acquistare quel bene.
L'impresa per vendere deve produrre ciò che il consumatore desidera.
E' il mercato dunque a dettare all'impresa cosa produrre perché possa essere venduto.
1.2 Origine ed evoluzione del concetto e delle attività di marketing nell’impresa
Il marketing ha origine in U.S.A nella metà del 1800.
Un imprenditore1 (mietitrici meccaniche) individuò chiaramente il ruolo del marketing,
come funzione fondamentale dell’impresa, e la creazione del cliente e inventò gli strumenti del
marketing odierno: ricerca, analisi del mercato, politiche di prezzo, posizionamento nel mercato,
organizzazione dei servizi alla clientela, la vendita a rate.
Nel 1905, presso l’Università della Pennsylvania, si tenne per la prima volta un corso
intitolato: Il marketing dei prodotti (diventa così una disciplina accademica).
Nel 1910 presso l’Università del Wisconsin si tenne il corso: Metodi di marketing.
In Europa, nel dopoguerra, sono state le multinazionali ad applicare ed evolvere il
concetto di marketing: Unilever, Palmolive, Nestlè, Plasmon ecc..
In Italia successivamente Barilla, Ferrero, Star, Procter&Gamble, Gillette, ecc.
In Italia l’insegnamento del marketing viene introdotto dalla facoltà di Economia e
Commercio, e soprattutto nei corsi di specializzazione post-universitaria (come ad esempio la
Scuola di Direzione Aziendale della Bocconi di Milano) durante gli anni ’80.
1
Cyrus H. Mc Cormick (1809-1884)
2
Nelle Facoltà di Agraria in questi ultimi anni vi sono ricerche e lavori di marketing
agroalimentare, ma non vi sono ancora testi specifici.
In Europa l’evoluzione può essere distinta in tre periodi:
1° periodo (1940-1960), Marketing iniziale.
Con rilievo nel periodo postbellico, quando la ricostruzione provoca una forte espansione
della domanda, la disponibilità dei prodotti e dei servizi da limitata diventa sufficiente per
l’espansione dei volumi di vendita, ma vi è scarsità di servizi e di servizi sofisticati aggiuntivi.
Nel marketing iniziale si possono osservare due aspetti:
• il primo considera beni e servizi prodotti come dato di fatto e si occupa dell’aspetto
distributivo (vendita) [vendere ciò che si produce] [azienda orientata alle vendite];
• il secondo considera il consumatore ancora come “oggetto dell’attività di marketing”.
2° periodo (1960-1975), Marketing classico.
Il consumatore diventa il soggetto dell’attività commerciale, le imprese “ruotano” attorno
al consumatore e non viceversa.
Il nuovo concetto sostituisce il principio dell’azienda orientata alle vendite, con quello
dell’azienda orientata al mercato: riuscire a fabbricare ciò che si può vendere e non ciò che si
produce.
Diventa elemento centrale: l’analisi del consumatore.
Si diffonde ampiamente il sistema di meccanizzazione e di automazione.
Si sviluppa il concetto di marketing sociale, in un periodo di differenziamento
ambientale, di crescita della popolazione e di servizi sociali degradati.
Il cliente diventa il centro dell’attività aziendale.
La disponibilità di prodotti diventa da sufficiente ad abbondante e si perfeziona
l’organizzazione dei servizi.
3° periodo (1975 ad oggi), Marketing concorrenziale.
II sistema agroalimentare, qualunque possa essere l'ambito territoriale di riferimento, è
soggetto, determinato e modulato dagli effetti di grandi fenomeni, che solo apparentemente
possono essere interpretati agenti in modo autonomo, mentre nella realtà sono strettamente
3
interconnessi ed intercorrelati sia negli aspetti territoriali, che in quelli sociali, ed ancora, in
quelli politici.
Limitando il richiamo alla sola denominazione, tali grandi fenomeni possono così
indicarsi:
politiche internazionali che hanno liberalizzato i commerci globalizzando così i
mercati (Uruguay Round ed oggi Millennium Round);
ampliamento ulteriore della Unione Europea: con l'adesione dei paesi dell'Europa
centro orientale (PECO) e con la realizzazione dell'area di libero scambio entro il 2010 con i
paesi terzi mediterranei (PTM);
riforma della PAC e dei fondi strutturali;
intensificazione
del
progresso
tecnologico
e principalmente
biotecnologico,
nell'ambito del quale una forte spinta deriva dall'ingegneria genetica;
internazionalizzazione dell'industria alimentare;
internazionalizzazione della moderna distribuzione agroalimentare e sotto certi versi
della ristorazione alimentare;
emergenza della questione ambientale per effetto dei grandi cambiamenti climatici e
dell'uso urbano, industriale, agricolo del territorio;
modificazioni strutturali ed economico-sociali delle popolazioni, sia nei paesi
industrializzati che in quelli poveri ed in via di sviluppo, per effetto anche delle conseguenti
massicce correnti migratorie;
evoluzione della domanda alimentare, conseguente ai nuovi comportamenti dei
consumatori nei paesi industrializzati ed ai bisogni di una popolazione in forte crescita nei paesi
poveri ed in via di sviluppo.
I fenomeni indicati sollecitano la globalizzazione delle economie e dei mercati
evolvendosi in un crescente intreccio di legami ed interdipendenze tra imprese, tra territori, tra
paesi ed imponendo alle istituzioni, ai sistemi produttivi, alle imprese sempre nuove strategie e
continui riposizionamenti, al fine di adeguatamente fronteggiare la progressiva crescita della
competitività dei mercati.
Un altro aspetto da evidenziare riguarda la società civile, economica e sociale nel suo
assetto ormai post-industriale (old economy) e fortemente pervaso dalla new economy, che
inaspettatamente, ma con forte valenza di razionalità, è fortemente interessata all'agricoltura
avendo i suoi soggetti i seguenti interessi:
4
- il consumatore, per un'agricoltura e per un sistema agroalimentare impegnati nella
produzione di alimenti salutistici e di qualità;
- il cittadino, per una agricoltura impegnata a difendere, tutelare e valorizzare il
territorio e l'ambiente;
- il contribuente, per una agricoltura e per un sistema agroalimentare impegnati a
produrre reddito e ricchezza economica;
- il lavoratore, per una agricoltura e per un sistema agroalimentare impegnati nel
mantenimento, nella crescita, nella evoluzione professionale della occupazione.
Gli interessi della società moderna per l'agricoltura sono pertanto diffusi ed intercorrelati,
poiché essa è chiamata a svolgere ormai ruoli complessi, che così si possono indicare:
- produrre alimenti sani e con tecniche eticamente accettabili;
-
tutelare e valorizzare l'ambiente ed il territorio per l'attuale popolazione e per le future
generazioni;
- conservare e difendere la biodiversità quale patrimonio dell'umanità;
- fornire beni e servizi di ordine collettivo;
- integrarsi con l'industria agroalimentare e la distribuzione alimentare.
In questo contesto l'agricoltura oltre a continuare la sua funzione produttivistica, con
valenza specifica e irrinunciabile alla qualità ed alla salubrità dei prodotti e dei fattori della
produzione, ha assunto il ruolo della multifunzionalità, provocando così effetti indotti su altre
attività produttive (turismo, agriturismo, turismo rurale, artigianato, beni culturali, ecc.) o effetti
esterni alla produzione (valorizzazione e tutela ambientale e paesaggistica, riduzione del
degrado delle risorse naturali, mantenimento degli insediamenti rurali, ecc.). In definitiva
l'agricoltura ha così assunto ruoli, strutture, organizzazione multifunzionali ed approcci
multisettoriali ed integrati nella economia e nei sistemi territoriali: distretti rurali, distretti
agroalimentari di qualità.
Gli aspetti qui evidenziati hanno indotto e continuamente inducono i paesi avanzati,
europei ed extraeuropei, a reagire alla sfida della competitività nei mercati agroalimentari ed
alle crescenti richieste dei cittadini (come peraltro sta avvenendo nel tempo che stiamo vivendo
in ambito Unione Europea e Millenium Round) di salvaguardia e di tutela della salute umana e
dell'ambiente nel mondo globalizzato, con politiche mirate alla promozione di attività a maggior
valore aggiunto, al miglioramento qualitativo dei prodotti e dei processi, alla diversificazione
5
delle attività produttive, in modo tale che la competizione si sposti dal rapporto prezzo-quantità,
al rapporto prezzo-qualità.
Pur senza entrare nel merito dei documenti programmatori, delle riforme e dei
regolamenti prodotti dalla Unione Europea, con la politica di mercato, con la politica strutturale,
con la politica sullo sviluppo rurale, con la politica ambientale, ed adottati ed applicati dai paesi
membri e dalle regioni anche nei Piani di sviluppo e nei Programmi Operativi Regionali, le
linee di politica agraria mirano alla diminuzione dei sostegni di mercato ai prodotti agricoli, alla
eliminazione delle barriere alla concorrenza, alla affermazione della impresa o più
complessivamente del sistema produttivo territoriale marketing oriented.
Nel periodo che stiamo vivendo cresce smisuratamente la concorrenza (globalizzazione,
Wto, UE, area di libero scambio euromediterranea), per cui si hanno crisi economiche, rapidi
mutamenti dei mercati (prodotti fortemente in declino), disoccupazione, aumento della
produttività aziendale dovuta a spinta tecnologica.
Si rafforza ulteriormente il ruolo del consumatore, si afferma il principio della qualità
totale.
Nel passato la qualità costituiva strumento di successo per l'impresa, oggi è condizione
essenziale anche nel sistema agroalimentare.
Il concetto di qualità, può essere considerato sotto diversi aspetti:
per l'impresa è l'assenza di difetti e la rispondenza a norme e procedure di verifica
(Qualità totale);
per il consumatore è la soddisfazione dei bisogni e delle attese (Qualità percepita);
per la società sono i valori condivisi sul prodotto e sul processo produttivo (Qualità
integrale);
per le imprese concorrenti è il confronto con il prodotto delle e con le imprese rivali
(Qualità differenziale);
per il prodotto è il possesso di determinate caratteristiche (Qualità tecnologica).
Definizione univoca accettata a livello internazionale (Norma UNI EN 28402):
la qualità è l’insieme delle proprietà e delle caratteristiche di un prodotto o di un servizio
che conferiscono ad esso la capacità di soddisfare esigenze espresse o implicite.
Con riguardo alla qualità dei prodotti agroalimentari, oggi il consumatore ed il mercato
considerano tra le:
6
- esigenze implicite (sicurezza e salubrità), la sanità (assenza di sostanze nocive) e la
genuinità (mantenimento delle caratteristiche fìsicochimiche, organolettiche, nutrizionali);
- esigenze espresse (soddisfazione e servizio), la qualità biologica (caratteristiche
nutrizionali, organolettiche, edonistiche), la qualità di servizio (conservabilità, comodità d'uso,
diffusione), la qualità di sviluppo (differenziazione, innovazione, standardizzazione).
Ci si può chiedere, nei tempi in cui viviamo se il prodotto tipico è anche un prodotto di
qualità?
Se prodotto tipico è la risultanza di una concomitanza di fattori legati al contesto socioculturale ed ambientale dell’area geografica di origine che conferiscono al prodotto
caratteristiche di specificità elevata e diversificanti rispetto alle produzioni industriali ed a
produzioni locali similari.
Tipicità: è concetto relativo e complesso, con valori immateriali, legati alla memoria ed
agli odori, e con valori materiali, fattori che marcano la diversità, dimostrabili.
Le nuove tecnologie, derivanti dalla acquisizione di igienicità, attenuano la tipicità perché
determinano cambiamenti che portano il prodotto ad ottenere la variabilità delle componenti
fino all'appiattimento ed alla perdita della tipicità.
Ne deriva che non tutti i prodotti locali sono tipici e che un prodotto è tanto più tipico
quanto più conserva inalterati i caratteri originari.
La tipicità da sola dunque non garantisce la qualità.
Il concetto di prodotto tipico, come in precedenza espresso, però contiene gli aspetti
fondamentali della qualità, seppur una qualità specifica e diversa, percepiti (impliciti) e richiesti
(espressi) dal consumatore, che proprio per questo è disposto a pagare un plus rispetto al
prodotto di massa convenzionale o industriale.
Il prodotto tipico è dunque un prodotto di qualità in quanto soddisfa le "esigenze espresse
o implicite" del consumatore in fatto di aspetti edonistici, salutistici, dietetici, sanitari, ecologici.
La domanda alimentare differenziata e di qualità del consumatore ha sollecitato nel
tempo, orientativamente negli ultimi venti anni, e per alcuni aspetti fin dagli anni '50, normative
adeguate sul sistema qualità alle istituzioni pubbliche internazionali europee e nazionali.
7
Il mercato infatti richiede nei prodotti non solo qualità, ma anche l'assicurazione della
qualità.
Sistema Qualità Aziendale: viene certificato da organismi terzi (Organismi di
certificazione) sulla base di norme universalmente accettate ed elaborate da organismi
internazionale, europeo e nazionale.
Norme sul Sistema Qualità Aziendale Organismo
Internazionali: Norme ISO serie 9000 ISO (Organizzazione Internazionale
per la Standardizzazione)
Europee: Norme EN ISO serie 9000
CEN (Comitato Europeo di Normazione)
Italiane: Norme UNI EN ISO serie 9000
UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione)
Per le aziende agroalimentari le norme in Italia sono quelle indicate nella serie UNI EN
ISO 9001/9002/9003; l'Ente di certificazione è il CSQA (Certificazione di Sistemi di Qualità
delle Aziende Agroalimentari) che opera a mezzo di enti accreditati.
Le norme del Sistema Qualità Aziendale sono continuamente aggiornate.
La certificazione è un atto privatistico e volontario da parte delle imprese, ma rappresenta
un fattore strategico per l'effetto immagine dell'impresa sul mercato e per la facilitazione degli
scambi commerciali a livello europeo ed internazionale.
Nel contesto economico moderno, evoluto dei paesi ricchi del mondo industrializzato si
ha: alta concorrenza, efficienza e qualità dei prodotti, ricerca di eccellenza, programmazione
strategica nel perseguire la soddisfazione del consumatore, forte sviluppo dei servizi per creare
competitività con la concorrenza.
La disponibilità dei prodotti e servizi in questo contesto diventa da abbondante ad
eccedente: per cui si ha saturazione del mercato (paniere alimentare saturo) ed ampio sviluppo
dei servizi (vedi telefonini, e-commerce, ecc.).
1.3 Definizione di marketing
Le più significative definizioni:
• Il marketing è un processo sociale mediante il quale una persona o un gruppo di
persone ottiene ciò che costituisce oggetto dei propri bisogni e desideri creando e scambiando
prodotti e valori con altri (Ph. Kotler).
• Il marketing rappresenta la funzione di mercato e di interscambio tra l’azienda ed il
mercato (J. Santori, R. Varaldo).
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• Il marketing è l’intera impresa osservata dal punto di vista del suo risultato finale, cioè
dal punto di vista della clientela (P. Drucker).
• Il marketing consiste nel mettere a disposizione dei consumatori i prodotti giusti, nel
luogo e nel momento giusti, al giusto prezzo e con un adeguato supporto pubblicitario e
promozionale (C. A. Molzer).
Dunque il marketing può essere considerato: qualsiasi attività osservata con ottica
strategica per la soddisfazione dei bisogni, dei desideri, per effettuare scambi e transazioni,
attraverso l’analisi particolareggiata del mercato e di ciò che ci sta di fronte.
Domanda
di prodotti
e servizi
Bisogni e
desideri del
consumatore
Valore e
soddisfazione
Mercati e
imprese
Nell’ambito aziendale “fare marketing” significa far coincidere gli obiettivi aziendali con
i bisogni dei consumatori per realizzare da parte di entrambi il massimo risultato e
soddisfazione.
Marketing vuol dire comunque e soprattutto “comunicare ed interagire” con gli altri,
ancor prima di agire e sviluppare azioni, se pur concertate, in azienda e nel mercato.
Ogni definizione, seppur con terminologia diversa riconduce ai concetti fondamentali:
Bisogno – domanda, che comporta l’analisi della domanda e la comprensione dei
bisogni dei consumatori.
Prodotto, che significa fare un prodotto che soddisfi quella domanda, compresi tutti i
servizi aggiunti: prodotto confezionato; pubblicizzato; promosso (promozione).
Soddisfazione del consumatore per appagare il suo bisogno.
Scambio, ogni prodotto immesso sul mercato ha un valore di scambio (prezzo). Il
prezzo che il consumatore è disposto a pagare per soddisfare il suo bisogno.
Mercato, sono i concorrenti (competitors) con le loro strategie, le loro quote di
mercato (per prodotti e beni che soddisfano le stesse funzioni d’uso: es. pasta come
primo piatto, olio d’oliva per condimento, dadi per brodo per insaporire), le loro forze
e debolezze; sono altresì le altre forze in gioco: istituzioni, leggi, ambientalisti, gruppi
di opinione, ecc.
Azienda. Struttura organizzata (impresa artigianale, negozio, grande industria, ecc.).
L’azienda è un sistema aperto che riceve input, elabora e fa uscire output.
9
Questi elementi interagendo fra loro formano il marketing.
Dunque: “fare marketing” significa studiare i bisogni della domanda (del consumatore),
nel mercato di riferimento, in modo da realizzare prodotti soddisfacenti per il consumatore e
profittevoli per l’azienda.
In questo caso si ha: Azienda marketing oriented (Azienda orientata al marketing).
Vi sono ad operare nel processo produttivo e nel mercato altri tipi di orientamento, che
rappresentano diverse fasi evolutive fino ad arrivare all’azienda (impresa) marketing oriented.
- Azienda orientata al prodotto: la funzione produttiva è prevalente (cosa, come,
quando, quanto produrre); alla funzione commerciale non resta che vendere ciò che è
disponibile in magazzino (raccolta degli ordini e rapporti con clienti). Si vende ciò che si
produce.
Questo tipo di orientamento può essere giustificato solo in un mercato monopolistico,
dove mancando la concorrenza è possibile trascurare i bisogni della domanda.
- Azienda orientata alle vendite: obiettivo primario dell’impresa è la vendita delle
quantità prefissate per la realizzazione del profitto. Si produce ciò che si può vendere.
Si riscontra nelle piccole e medie imprese a conduzione familiare (es. panificio) dove il
profitto è il principale obiettivo e l’incremento delle vendite è lo strumento più idoneo per
raggiungere il risultato tangibile.
Si riscontra nelle grandi aziende nei momenti di crisi; lo strumento utilizzato è il prezzo
(sconti prezzo, sconti quantità, tecniche 3x2, ecc.)
Questa
politica
però
dura
poco
perché
porta
inevitabilmente
al
fenomeno
dell’overstocking (scorte di magazzino superiori al fisiologico) del cliente, il cui smaltimento
richiede campagne pubblicitarie e promozionali sul consumatore.
- Azienda orientata al mercato: concentra i suoi sforzi sull’adeguamento della
produzione alla evoluzione del mercato, è dunque ispirata a criteri di massima flessibilità. È
vicina al concetto di marketing, la differenza consiste nel fatto che l’azienda e le sue strutture
produttive vengono considerate poco, nel senso che: si produce ciò che si è già venduto con le
prenotazioni (con la raccolta degli ordini di acquisto). La struttura commerciale è al centro
dell’impresa, perché fornisce input alla produzione e costringe la struttura organizzativa ad
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adeguarsi al mutare delle richieste del mercato. Si verifica nel tessile, in pelletteria,
nell’arredamento della casa (mobilio), dove è prevalente la “moda”.
Benetton è il caso classico: fa la produzione dopo la raccolta degli ordini (dopo avere
destagionalizzato l’idea produttiva, presenta il campionario e raccoglie gli ordini) ed affida, con
il decentramento produttivo, ad imprese terze la produzione (così ha raggiunto la massima
flessibilità produttiva).
- Azienda marketing oriented: produce un prodotto soddisfacente per il mercato
(consumatore), profittevole per l’azienda e coerente con i mezzi, le strutture e l’organizzazione
dell’impresa in un’ottica di lungo periodo.
L’azienda marketing oriented ha una visione d’insieme dell’impresa e del mercato:
produttività e profittabilità dei prodotti, tendenze future (opera nel lungo periodo), cura del
presente con iniziative che portino ad aumentare le vendite e quindi gli introiti commerciali.
Riassumendo
L’azienda marketing oriented si differenzia dalle aziende orientate al prodotto, alle
vendite, al mercato per attitudine gestionale, in quanto ha una visione globale e a lungo termine
di tutto il business aziendale (non solo come affare, ma come area di interesse in termini di
soddisfazione delle esigenze del mercato e di profittabilità dell’impresa).
L’azienda marketing oriented migliora gli aspetti produttivi per meglio soddisfare le
esigenze del mercato e per aumentare le vendite compatibilmente con i vincoli strutturali
dell’azienda stessa.
11
1.4 Marketing Agroalimentare
L’evoluzione concettuale ed operativa del marketing è dovuta alla attività delle imprese
multinazionali nel settore dei beni di largo consumo e nel settore dei beni strumentali (in Italia
ad es. Unilever, Palmolive, Nestlè, Plasmon, IBM, ecc.); dagli anni settanta in poi, il marketing
è stato applicato anche da imprese italiane operanti specificamente nel settore dell’industria
alimentare (ad es. Barilla, Ferrero, Star, ecc.) ed in anni più recenti da imprese agro-alimentari a
medio e medio-grande dimensione operanti nei comparti delle carni lavorate, caseario,
enologico, ecc. Il marketing agroalimentare, occupandosi di prodotti cosiddetti “di massa o di
largo consumo”, deve tenere conto della realtà poliedrica del settore agroalimentare e quindi di
tutte le possibili interdipendenze collegate al settore stesso: l’agricoltura che produce, l’industria
che trasforma, la distribuzione commerciale ed il consumo. Inoltre, se Marketing significa
“collocare sul mercato”, il marketing agroalimentare rappresenta: l’insieme delle operazioni
che consentono ad una azienda agroalimentare di collocare il suo prodotto sul mercato
raggiungendo gli obiettivi prestabiliti ed avvalendosi di tutti i mezzi a sua disposizione
(Foglio, 1997), quali: ricerca di marketing, segmentazione di mercato, posizionamento del
prodotto, marketing mix, strategie e politiche di prodotto, prezzo, distribuzione, vendita,
comunicazione e promozione.
Il marketing agroalimentare deve tenere conto di tutto quello che l’individuo consuma in
funzione delle sue molteplici esigenze. Esso è dunque, studio, iniziativa, reazione agli stimoli
esterni, commercializzazione del giusto prodotto, nel giusto segmento di mercato, al giusto
momento e con redditività. La sua finalità è ,quindi, quella di aiutare l’azienda agroalimentare a
muoversi nel mercato agroalimentare in modo da operare, produrre e vendere rispondendo alle
richieste del mercato ed alle specifiche esigenze dei consumatori. Per quanto riguarda il mercato
agroalimentare, tenuto conto delle interdipendenze fra gli elementi che lo compongono, si
possono focalizzare tre momenti di intervento di marketing, e sono:
•
produzione: serve per ottimizzare l’uso dei fattori produttivi in modo da migliorarne
la redditività e rendere più efficace il suo collegamento con la distribuzione ed il
consumo;
•
mercato: serve ad ottimizzare la distribuzione dei prodotti ed il raggiungimento dei
consumatori;
•
consumo: serve per indirizzare i consumatori a soddisfare i loro bisogni nel rispetto
del giusto prodotto e del giusto prezzo.
In effetti, l’approccio, proposto da Foglio, è coincidente con quello del marketing
management (ricerca di marketing, segmentazione del mercato, posizionamento del prodotto,
marketing mix, …); da questo punto di vista, il marketing agroalimentare assume una funzione
di tipo informativo (conoscere), prima, e di tipo operativo dopo (agire); tutte le azioni di
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marketing sono conseguenza delle informazioni raccolte su mercato, prodotto, consumatore,
concorrenza, distribuzione, ecc. In quest’ottica, dunque, il marketing è conoscere per agire.
Un’altra funzione è legata alla valutazione obiettiva dei rischi connessi alle scelte
effettuate, la riduzione degli stessi e l’orientamento verso la scelta più efficace; per cui, la
ragione d’essere del marketing è la continua ricerca dell’adeguamento dell’azienda al mercato
tenendo conto delle priorità della domanda rispetto all’offerta aziendale.
Di fronte ad uno scenario di mercato sempre più complesso ed in continua evoluzione,
l’importanza del marketing agroalimentare e delle sue funzioni è essenzialmente quella di
gestire il cambiamento senza doverlo subire. Infatti, il marketing individua e realizza una serie
di funzioni che si possono definire come:
•
analisi e ricerca: tramite la ricerca e la segmentazione di mercato si individuano dati e
informazioni relative al mercato, ai segmenti di mercato, al consumatore, alla concorrenza, al
giusto prodotto, al giusto prezzo, alla domanda e all’offerta, alla possibilità di comunicazione e
di promozione, ecc.;
•
animazione e promozione: uso del marketing mix e delle relative 4P per creare e
stimolare la domanda;
•
pianificazione: sviluppo del marketing in un contesto di pianificazione che tiene conto
del piano globale aziendale oltre che di quello specifico di marketing;
• organizzazione: il marketing contribuisce ad organizzare e ad armonizzare tutti gli
interventi dell’azienda;
•
controllo: verifica per eventuali spostamenti dagli obiettivi pianificati ed eventuali
aggiustamenti.
La ragion d’essere del marketing agroalimentare è quella di soddisfare il consumatore,
quindi con le sue funzioni il marketing è in grado di rispondere all’evoluzione de gusti e delle
richieste del consumatore.
Il marketing tuttavia nel sistema agroalimentare, caratterizzato dalla prevalente presenza
di imprese di piccola, medio-piccola e media dimensione economica e strutturale nei settori che
lo compongono (agricoltura, industria di trasformazione, distribuzione) stenta ad essere
funzione creativa del management d’impresa, anche se l’adozione di strategie di marketing è
divenuta ormai essenziale sia nel caso di distribuzione di prodotti agro-alimentari di largo
consumo o di massa (con domanda a basso grado di elasticità: derivati dei cereali, carni fresche,
ecc.), sia nel caso della distribuzione di prodotti agroalimentari di qualità, tipici, a
denominazione di origine (con domanda ad elevato grado di elasticità: formaggi, vini, olio,
frutta, ecc.).
13
Le ragioni che limitano l’adozione del marketing anche nella piccola e media impresa
operante nel sistema agroalimentare, oltre che nella dimensione economica (ma non sempre),
sono da ricercare nella struttura tipologica del prodotto (riguardo alla selezione, alla qualità, alla
certificazione, al confezionamento, ecc.), nella organizzazione delle imprese (il modello più
diffuso è stato quello della organizzazione associativa delle imprese nei diversi stadi della
filiera, sia in orizzontale che in verticale, la quale spesso pur realizzando una dimensione
economica più o meno di rilievo, non è stata in grado di accompagnare l’evoluzione della
dimensione economica con l’evoluzione delle strategie d’impresa richieste dal mercato,
moderno ed ampio), nella cultura professionale del management d’impresa (spesso inadeguata a
comprendere il passaggio dalla struttura produttiva ed organizzativa product-oriented a quella
marketing-oriented), ed infine nelle istituzioni pubbliche sia amministrative che formative e
scientifiche (spesso non adeguatamente operanti nel dare supporto alla necessaria evoluzione
culturale, tecnologica, organizzativa delle imprese, in modo particolare nelle aree svantaggiate
e/o meno sviluppate: in Italia quelle del meridione).
La complessità e l’ampiezza del mercato, conseguenti alle politiche sul commercio
internazionale, alla stessa internazionalizzazione delle imprese, alla evoluzione tecnologica e
biotecnologica, alla evoluzione economica e demografica, alle continue mutazioni nel
comportamento del consumatore, alla sempre più spinta segmentazione della domanda
alimentare, richiedono ormai l’adozione da parte delle imprese operanti nel sistema
agroalimentare di politiche, di strategie, di operatività di marketing. Finora il marketing è stato
adottato da imprese dell’industria agroalimentare e della grande distribuzione aventi dimensioni
economiche di un certo rilievo, più raramente ha coinvolto l’impresa agricola o comunque e più
in generale la piccola e media impresa.
La situazione esistente oggi in Italia si può definire caratterizzata da dualismo in quanto,
in tutte le filiere di prodotto che compongono il sistema agroalimentare, si riscontra insieme una
elevata presenza di imprese definibili product-oriented (il cui processo d’impresa è basato
dapprima sulla realizzazione del prodotto e solo successivamente sulla sua vendita) ed un
numero piuttosto modesto di imprese marketing-oriented (il cui processo d’impresa è basato
dapprima sui desideri, sui bisogni, sulle preferenze del consumatore e successivamente sul
modo di soddisfare tali esigenze realizzando, logicamente, risultati economici: l’impresa per
vendere deve produrre ciò che il consumatore desidera).
Azienda agroalimentare marketing-oriented: è un’azienda che nell’attuazione della sua
strategia aziendale privilegia le richieste del mercato e del consumatore; ossia produce ciò che
può vendere sul mercato. Tuttavia, alcuni autori (Ritson, 1997) affermano che il marketing
agricolo non può essere considerato come un’applicazione del marketing management ai
14
prodotti agricoli, ma esso rappresenta una branca dell’economia agraria che abbraccia tutte
quelle tematiche riguardanti il mercato dei prodotti agricoli, l’andamento dei prezzi, il sistema
distributivo, ecc.
La particolarità dell’agro-alimentare risiede nel fatto che in questo contesto prodotto,
imprese e territorio sono fra loro interdipendenti; da qui la necessità di affrontare il marketing
agro-alimentare secondo un approccio multidimensionale. Infatti, le analisi di marketing nel
caso del sistema agroalimentare diventa il sistema stesso. Il SAA (Ghersi, Bencharif, 1995) è
l’insieme degli agenti in interazione dinamica che intervengono nella produzione e nel
trasferimento dei prodotti alimentari al fine di assicurare l’alimentazione di una determinata
popolazione; includendo in questa definizione tutte le attività a monte e a valle del processo
produttivo agricolo, oltre che le istituzioni, le leggi e l’ambiente socio-culturale.
E’ la peculiarità stessa del SAA a sollecitare la ricerca di un modello di marketing
rispondente alle caratteristiche del Sistema.
Tuttavia, è molto difficile analizzare il SAA nel suo insieme, si preferisce quindi
analizzarne una parte di esso caratterizzato da una serie di fattori comuni (prodotto, obiettivi,
fasi economiche, istituzioni, leggi, ambiente socio-culturale, …) nel passaggio dalla produzione
al consumo finale.
II sistema agroalimentare, qualunque possa essere l'ambito territoriale di riferimento, è
soggetto, determinato e modulato dagli effetti di grandi fenomeni, che solo apparentemente
possono essere interpretati agenti in modo autonomo, mentre nella realtà sono strettamente
interconnessi ed intercorrelati sia negli aspetti territoriali, che in quelli sociali, ed ancora, in
quelli politici.
I fenomeni indicati sollecitano la globalizzazione delle economie e dei mercati
evolvendosi in un crescente intreccio di legami ed interdipendenze tra imprese, tra territori, tra
paesi ed imponendo alle istituzioni, ai sistemi produttivi, alle imprese sempre nuove strategie e
continui riposizionamenti, al fine di adeguatamente fronteggiare la progressiva crescita della
competitività dei mercati.
Un altro aspetto da evidenziare riguarda la società civile, economica e sociale nel suo
assetto ormai post-industriale (old economy) e fortemente pervaso dalla new economy, che
inaspettatamente, ma con forte valenza di razionalità, è fortemente interessata all'agricoltura
avendo i suoi soggetti i seguenti interessi:
- il consumatore, per un'agricoltura e per un sistema agroalimentare impegnati nella
produzione di alimenti salutistici e di qualità;
- il cittadino, per una agricoltura impegnata a difendere, tutelare e valorizzare il
territorio e l'ambiente;
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- il contribuente, per una agricoltura e per un sistema agroalimentare impegnati a
produrre reddito e ricchezza economica;
- il lavoratore, per una agricoltura e per un sistema agroalimentare impegnati nel
mantenimento, nella crescita, nella evoluzione professionale della occupazione.
Gli interessi della società moderna per l’agricoltura sono pertanto diffusi ed intercorrelati,
poiché essa è chiamata a svolgere ormai ruoli complessi, che così si possono indicare:
- produrre alimenti sani e con tecniche eticamente accettabili;
- tutelare e valorizzare l'ambiente ed il territorio per l'attuale popolazione e per le future
generazioni;
- conservare e difendere la biodiversità quale patrimonio dell'umanità;
- fornire beni e servizi di ordine collettivo;
- integrarsi con l'industria agroalimentare e la distribuzione alimentare.
In questo contesto l’agricoltura oltre a continuare la sua funzione produttivistica, con
valenza specifica e irrinunciabile alla qualità ed alla salubrità dei prodotti e dei fattori della
produzione, ha assunto il ruolo della multifunzionalità, provocando così effetti indotti su altre
attività produttive (turismo, agriturismo, turismo rurale, artigianato, beni culturali, ecc.) o effetti
esterni alla produzione (valorizzazione e tutela ambientale e paesaggistica, riduzione del
degrado delle risorse naturali, mantenimento degli insediamenti rurali, ecc.). In definitiva
l'agricoltura ha così assunto ruoli, strutture, organizzazione multifunzionali ed approcci
multisettoriali ed integrati nella economia e nei sistemi territoriali: distretti rurali, distretti
agroalimentari di qualità.
Gli aspetti qui evidenziati hanno indotto e continuamente inducono i paesi avanzati,
europei ed extraeuropei, a reagire alla sfida della competitività nei mercati agroalimentari ed
alle crescenti richieste dei cittadini (come peraltro sta avvenendo nel tempo che stiamo vivendo
in ambito Unione Europea e Millenium Round) di salvaguardia e di tutela della salute umana e
dell'ambiente nel mondo globalizzato, con politiche mirate alla promozione di attività a maggior
valore aggiunto, al miglioramento qualitativo dei prodotti e dei processi, alla diversificazione
delle attività produttive, in modo tale che la competizione si sposti dal rapporto prezzo-quantità,
al rapporto prezzo-qualità.
Tutto ciò non significa, però, che per le imprese agro-alimentari di dimensione piccola o
medio-piccola non si possa pianificare un intervento di marketing; allora, il piano marketing per
le imprese agricole o alimentari (piccole o medio-piccole) sarà preparato in maniera più
semplice rispetto a quello delle grandi imprese industriali. Molte informazioni verranno raccolte
dall’impresa nell’ambito ed in relazione ai rapporti che questa ha con tutti gli “attori”
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partecipanti (direttamente e/o indirettamente) al processo produttivo. Lo sforzo di
pianificazione, in questo caso sarà maggiore e andrà valutata la sua fattibilità.
Dato che, l’offerta del sistema agroalimentare è quella di un bene complesso che
comprende: prodotto, marca, territorio, ambiente, alimentazione, sicurezza, ecc.; gli strumenti
utilizzati nel marketing agroalimentare, che coinvolge l’intero sistema agroalimentare, sono
quelli che vogliono rispondere al meglio alle nuove esigenze dei consumatori (che si presentano
più esigenti, critici, selettivi; mirano ad affermare la propria personalità e prestano sempre
maggiore attenzione alla qualità, alla genuinità, alla sanità, alla freschezza dei prodotti, ed infine
alla varietà e diversificazione dei tempi, modi, luoghi e beni di consumo) e richiedono una
gestione efficace del sistema stesso (gestione che garantisca ed assicuri fra le altre cose anche e
soprattutto la qualità del prodotto, la quale in passato costituiva uno strumento di successo per
l’impresa, mentre oggi è anche diventata condizione essenziale anche nel sistema
agroalimentare). Quindi, per la differenziazione dei prodotti (da cui si trae il vantaggio
competitivo) si ricorre all’uso dei marchi, delle denominazioni d’origine ( IGP, DOP, STG,
IGT, DOC, ecc.), alla certificazione di metodi di produzione rispettosi dell’ambiente e/o delle
caratteristiche del prodotto (es. biologico), ecc.
Il Marketing agro-alimentare è, in definitiva, volto a creare e gestire il valore del prodotto
per il cliente all’interno del sistema agroalimentare, cosicché tutti i soggetti coinvolti possano
essere soddisfatti fino al punto in cui il soggetto strategico del marketing diventa il sistema
stesso.
In questo contesto la risoluzione delle problematiche conseguenti all’adozione del
marketing nel sistema agroalimentare richiede impegno strutturale ed organizzativo non solo
all’impresa in quanto soggetto operante nel mercato, ma anche al complesso istituzionale
pubblico e politico, poiché dal grado di presenza e di efficienza concorrenziale delle imprese sul
mercato dipende in definitiva il tasso di sviluppo del sistema economico di un’area o di un
paese.
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2 PIANO MARKETING
Il marketing elabora e realizza strategie: che, agendo sulle variabili (determinanti) che
possono modificare la domanda, trasforma l’acquirente potenziale in acquirente effettivo. Per
fare ciò utilizza uno strumento, indispensabile per una efficace politica di marketing, che è il
Piano di marketing: “Strumento analitico attraverso il quale, con un lavoro di elaborazione e
realizzazione, l’impresa fissa i suoi obiettivi di sviluppo, predetermina il suo marketing mix e li
realizza con piani di produzione, vendita, informazione,ed ogni altro strumento operativo che
ritiene necessario” ossia uno schema di realizzazione a breve, medio e lungo termine degli
obiettivi di mercato che l’azienda vuole raggiungere. Sempre tenendo conto dei: Fattori esterni
all’impresa (concorrenza, tecnologia, disponibilità di materie prime e di manodopera, ambiente
finanziario ed economico, legislazione. I suddetti fattori rendono l’ambiente dinamico e sempre
in movimento); e del consumatore (che esprime esigenze derivanti dai suoi bisogni (costanti);
per soddisfare i quali, sceglie (potendo farlo) il prodotto più conveniente, cioè quello che a suo
avviso offre i maggiori vantaggi al prezzo più interessante. Il marketing tramite l’elaborazione e
la realizzazione di una strategia, agisce sulle variabili che possono modificare la domanda e
trasforma l’acquirente da potenziale in effettivo.
Le componenti del piano di marketing dunque coinvolgono tutte le risorse dell’impresa, i
segmenti di mercato, l’ambiente esterno, il marketing mix.
All’inizio del processo di pianificazione bisogna innanzi tutto evidenziare:
• Che cosa si sta vendendo?
• A chi?
• Che tipo di attività si sta svolgendo?
Prodotto, mercato e azienda (impresa), dunque, interagendo fra loro danno vita al
marketing.
La prima fase della
pianificazione delle azioni di marketing richiede la iniziale
puntualizzazione e scelta degli obiettivi da realizzare; segue la fase dell’applicazione e del
compimento da parte dell’organizzazione di marketing delle operazioni previste dal programma
di marketing; infine la fase della valutazione serve a dare continuità al processo amministrativo,
stabilendo un legame tra ciò che è stato fatto e ciò che dovrà essere fatto, ossia il management
valuterà quanto è stato fatto per avere un’idea della performance dell’azione di marketing
tenendo conto degli obiettivi fissati. I suggerimenti che emergono dalla valutazione dell’azione
compiuta vengono poi usati nel determinare i nuovi obiettivi e nella formulazione dei piani per
il futuro.
18
Schema del processo di pianificazione
La pianificazione delle azioni di marketing richiede: 1) la iniziale puntualizzazione e
scelta degli obiettivi da realizzare (NB: il Profitto). La realizzazione del profitto viene
perseguita con obiettivi aziendali espressi in termini finanziari (fatturato, utile netto, ROI –
return on investment: profitto d’investimento-, ecc.) che permettono una pianificazione
temporale diversa da impresa ad impresa. Nella realizzazione di un piano aziendale i fattori da
tenere in conto sono: Aspettative, Concorrenza, Punti di forza e di debolezza dell’azienda,
Risorse disponibili, ecc.
Spesso è importante che gli obiettivi siano fissati per iscritto, in modo da minimizzare a)
il rischio di essere fraintesi; b) il rischio che le decisioni e le attività amministrative non siano
coerenti con il raggiungimento di tali obiettivi. Per essere rispondenti gli obiettivi dovrebbero
essere anche fissati nella maniera più specifica possibile e non in termini vaghi. Un obiettivo è
ciò che vogliamo raggiungere, una strategia è come pianificare per raggiungerlo.
Definiti gli obiettivi occorre ideare le strategie, cioè le vie ed i mezzi per la realizzazione
degli obiettivi, che riguardano, le componenti del marketing mix: il prodotto, il prezzo, la
distribuzione e la promozione. L’ultimo passaggio del piano marketing è la definizione di un
programma (programmazione), che consiste nel suddividere i principali obiettivi e strategie del
marketing in sotto-obiettivi, ognuno con la sua singola (passaggi e costi).
Per la realizzazione degli obiettivi prefissati nei piani un’impresa mette in atto
determinate strategie che costituiscono le sue fondamentali vie di azione. Per quanto concerne il
marketing, la relazione tra obiettivi e strategie può essere così illustrata: (Figura).
19
Due aziende possono avere lo stesso obiettivo, ma usare differenti strategie per
raggiungerlo (Es. 1 A-1B, 2 A-2B). In generale, la strategia comporta scelte che hanno una
validità temporale di medio-lungo periodo.
Quando si parla di obiettivi, strategie e tattiche (strumento operativo attraverso cui una
strategia può essere attivata e messa in pratica – durata di breve periodo es. fare pubblicità
mirata al target prescelto) è importante identificare il livello organizzativo al quale ci si intende
riferire; infatti ciò che è un obiettivo per chi opera ad un certo livello può essere una strategia
per chi opera ad un livello organizzativo superiore: Obiettivo dell’azienda vs strategia
dell’azienda (e obiettivo del marketing) vs strategia di marketing (e obiettivo della forza
vendita).
Relazione tra obiettivi e strategie di un’impresa
Tutte le imprese ben gestite dispongono di qualche tipo di piano per indirizzare e
coordinare le attività che si svolgono al loro interno. Tuttavia il grado di formalizzazione del
processo di pianificazione tende a differire da un’impresa all’altra. Così, se nelle grandi e
grandissime imprese si fa riferimento a strutture e processi di pianificazione definiti e codificati
in particolari procedure, nelle piccole imprese spesso non si dispone di un piano scritto e
documentato. Il che non implica che anche in quest’ultimo tipo di imprese non sussista
l’esigenza che, almeno nella mente dell’imprenditore, esista un’idea di cosa fare e come farlo.
L’essenza della pianificazione consiste nello studio del passato per decidere oggi cosa
fare in futuro. Si può altresì dire che la pianificazione strategica coinvolge l’azienda nella sua
20
globalità e consiste nel processo manageriale con cui si realizza l’accoppiamento delle risorse
disponibili con le opportunità di marketing, in una prospettiva di lungo periodo.
Il processo di pianificazione strategica consiste in: a) definizione della missione
dell’azienda; b) fissazione di obiettivi organizzativi da raggiungere; c) selezione delle strategie
idonee per il raggiungimento di tali obiettivi.
Definire la missione significa identificare il ruolo dell’azienda nel mercato e
nell’ambiente in una prospettiva di sviluppo della sua attività. La missione non è riconducibile
semplicemente ai prodotti che l’azienda fabbrica ed alle tecnologie che impiega, ma è piuttosto
da collegare alle esigenze ed ai bisogni che tali prodotti soddisfano.
Una volta che sia stata impostata la pianificazione strategica per l’azienda nel suo
complesso e, se il caso, per ogni singola unità strategica, la direzione deve impostare la
pianificazione per il marketing, per la produzione e per le altre principali aree funzionali
dell’azienda.
E’ ovvio che la pianificazione strategica di marketing deve essere integrata con quella che
si riferisce all’azienda nel suo complesso; come si è accennato, gli obiettivi e le strategie a
livello del marketing sono strettamente collegati con quelli a livello aziendale. Così una
strategia a livello aziendale si traduce spesso in un obiettivo a livello della direzione marketing.
Il processo di pianificazione strategica del marketing si svolge attraverso le seguenti fasi
successive:
1) Analisi della situazione, (SWOT Analysis) consiste nell’esaminare attentamente la
situazione in cui si trova attualmente l’azienda (i suoi mercati, la concorrenza, i prodotti, i
sistemi di distribuzione, i programmi promozionali, ecc.); si deve inoltre tener conto delle future
opportunità e dei rischi di mercato dell’azienda che sono influenzate dai fattori ambientali
esterni e da quelli interni che si riferiscono alle altre aree aziendali (extra- marketing).
2) Fissazione degli obiettivi dell’azione di marketing.
3) Scelta del mercato- obiettivo e sua analisi.
4) Progettazione e sviluppo del marketing mix di tipo strategico che consenta all’azienda
di soddisfare i propri mercati- obiettivo e di perseguire gli obiettivi fissati a livello di direzione
di marketing.
Alla definizione degli obiettivi seguono le analisi: informative preventive sulle singole
aree funzionali (produzione, finanza, personale, distribuzione, marketing) dell’impresa che
devono suggerire obiettivi e strategie per singola area e per verificare se con le risorse
disponibili ed i mercati attuali si possono realizzare gli obiettivi; analisi esterne, riguardanti
l’ambiente esterno (concorrenza, dimensioni del mercato, legislazione, disponibilità di materie
prime e di manodopera, ecc.). Le analisi esterne riguardano: la conoscenza dei fattori esterni,
che in qualche modo possono influenzare il raggiungimento di tali obiettivi (Ambiente esterno:
21
concorrenza, tecnologia, disponibilità di materie prime e di manodopera, ambiente finanziario
ed economico, legislazione). Le analisi interne, riguardano le caratteristiche interne
dell’impresa: forza lavoro o forza vendita, impianti e macchinari, prodotto, ecc..
Una volta che nel mercato si sono individuati i segmenti di mercato ed una volta
effettuate le analisi le cui procedure di valutazione devono essere standardizzate, occorre
mettere a punto obiettivi e strategie di marketing dell’impresa; quindi, utilizzando le
informazioni acquisite, le analisi servono ad evidenziare gli obiettivi e le strategie dell’impresa.
Per far ciò occorre procedere con l’analisi dei punti di forza (caratteristiche interne controllabili
dall’impresa) e di debolezza dell’impresa, delle opportunità e dei rischi (collegati a fattori
esterni, non controllabili dall’impresa) del mercato. Questa analisi prende il nome di: Analisi
SWOT.
Dopo l’analisi SWOT occorre formulare ipotesi su fattori esterni che influenzano
l’andamento dell’impresa ma sui cui essa non ha controllo. Le ipotesi devono essere il meno
possibile e pertinenti. Sulla base di tali ipotesi possono essere formulati gli obiettivi (il fine) di
marketing e le strategie (il mezzo) coerenti con questi obiettivi. Un obiettivo è ciò che vogliamo
raggiungere, una strategia è come pianificare per raggiungerlo. Obiettivi di marketing sono:
Prodotti (esistenti, nuovi); Mercati (esistenti, nuovi); 4 combinazioni dei primi due, diverse in
termini di volume, di valore e di quote di mercato.
P
R
O
D
O
T
T
I
esistenti
nuovi
esistenti
nuovi
MERCATI
Definiti gli obiettivi occorre ideare le strategie, cioè le vie ed i mezzi per la realizzazione
degli obiettivi, che riguardano, le componenti del marketing mix: il prodotto, il prezzo, la
distribuzione e la promozione. L’ultimo passaggio del piano marketing è la definizione di un
programma (programmazione), che consiste nel suddividere i principali obiettivi e strategie del
marketing in sotto-obiettivi, ognuno con la sua singola (passaggi e costi).
22
3. MERCATO AL CONSUMO E CONSUMATORE
3.1 Introduzione
Il marketing è comunicazione ed interazione tra Offerta (Impresa) e Domanda
(Consumatore). Il marketing concept sottolinea, infatti, il fatto che una profittevole attività di
marketing consiste innanzi tutto nell’individuazione e nella comprensione dei bisogni del
consumatore per poi sviluppare, su questa base, un marketing mix finalizzato al soddisfacimento di
tali bisogni.
Tra bisogno, consumo e domanda esiste infatti un legame logico inscindibile: come il
bisogno genera (nei limiti delle possibilità economiche dell’individuo o dell’azienda) il consumo,
così quest’ultimo genera la domanda. E’ evidente che consumo e domanda rappresentano momenti
distinti dell’azione svolta a soddisfare un bisogno. Mentre la domanda è costituita da una serie di
intenzioni e di azioni tese ad assicurare la disponibilità del bene o servizio (quindi comporta, e si
conclude con un rapporto di scambio), il consumo è espressione di utilità, ricerca di soddisfazione e
di piacere dal prodotto prima acquistato.
Il richiamo ai bisogni è dunque il punto di avvio tanto dell’analisi dei consumi quanto
dell’analisi della domanda. Dal punto di vista del marketing tale riferimento è fondamentale in
quanto il marketing è finalizzato, tra l’altro, all’ottenimento e al mantenimento della massima
soddisfazione possibile dei bisogni dei consumatori.
Pertanto una piena comprensione del consumatore, dei suoi bisogni e dei suoi comportamenti
di acquisto costituisce la condizione di partenza per un marketing di successo.
I bisogni vengono distinti in: bisogni innati, quali quelli fisiologici o primari (mangiare, bere,
vestirsi …), e bisogni acquisiti, sono tutti quelli che hanno origine dall’interazione con la cultura o
l’ambiente circostante (sicurezza, prestigio, affetto …), sono in genere psicologici e vengono
definiti come bisogni secondari.
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La maggior parte di questi bisogni restano latenti fino a quando non interviene uno stimolo
(fisiologico, psicologico, emotivo, ambientale, …) ad attivare lo stato di tensione che caratterizza il
bisogno insoddisfatto. Tale stato, tuttavia, si trasforma in comportamento di acquisto solo quando
la tensione così generata non raggiunge un determinato livello.
Numerosi studiosi a partire dai primi del 1900 hanno cercato di classificare i bisogni umani, i
più importanti sono ancora oggi Murray, Maslow e Mc Guire. I primi due hanno fatto un’analisi
strettamente psicologica che difficilmente permette di applicare le loro classificazioni ad un’analisi
del comportamento del consumatore, il terzo ha invece svolto un’analisi strettamente legata alla
materia in oggetto.
Intorno al 1943 il dottor Abraham Maslow, anch’egli psicologo, sviluppò una gerarchia dei
bisogni umani, il suo lavoro parte dalla domanda “perché una persona spende più tempo ed energia
per la sicurezza personale ed un’altra nel guadagnare la stima degli altri?”; e si basa su quattro
premesse:
• tutti gli esseri umani acquisiscono tutta una serie di bisogni simili attraverso l’ereditarietà
genetica e l’interazione sociale;
• alcuni bisogni sono più importanti di altri;
• i bisogni primari devono essere soddisfatti ad un certo livello (minimo) prima che gli altri
bisogni vengano attivati;
• una volta soddisfatti i bisogni primari, vengono soddisfatti anche gli altri bisogni
seguendo sempre un ordine gerarchico.
Secondo la teoria di Maslow, quindi, esistono cinque livelli di bisogni umani, classificati in
ordine d’importanza: da quelli primari (fisiologici e biologici) a quelli secondari (psicologici);
innanzi tutto vengono soddisfatti i bisogni primari per poi salire lungo la classifica, poiché una
volta soddisfatto un bisogno ne emerge un altro di livello superiore (Figura).
Il contributo di Maslow è importante per questo ordinamento gerarchico dei bisogni che fa
comprendere come il consumatore man mano che passa alla soddisfazione di bisogni superiori
compie anche uno sviluppo dal punto di vista psicologico; la carenza di questo contributo risiede,
invece, nel fatto che l’analisi del comportamento che si può effettuare a partire da tale
classificazione è piuttosto generica e non si adatta a comportamenti specifici, né è adatta ai fini
previsionali per la poca dinamicità da cui è caratterizzata tale struttura gerarchica.
24
3.2 Il comportamento del consumatore
Lo studio del comportamento del consumatore è relativamente recente. I primi approcci alla
teoria del consumatore compaiono negli USA intorno agli anni ’60 quando si inizia a parlare di
consumer behaviour; tale teoria, fin dalla sua origine si accompagna al marketing con il fine di
sviluppare teorie e modelli di gestione compatibili con i comportamenti e le attese dei consumatori.
Infatti, all’inizio degli anni ’60, con Howard (1963) ed altri a seguire, si comincia a guardare al
consumatore con una maggiore attenzione e matura così una diversa visione sul suo essere ed una
nuova disciplina che ben presto si rende autonoma dal marketing. E’ la teoria del consumer
behaviour che sviluppa modelli e teorie spesso di supporto al marketing stesso ma non
necessariamente ad esso diretti.
Inizialmente, gli studiosi di marketing volevano conoscere le specifiche cause del
comportamento del consumatore, sapere come gli individui recepivano, immagazzinavano ed
utilizzavano le informazioni riguardanti il consumo, per sviluppare a partire da queste conoscenze
strategie che potessero influenzare le relative decisioni.
Le strategie di marketing erano e sono strettamente rivolte alle imprese che hanno come
principale obiettivo quello di indurre il consumatore a comprare; lo scopo del marketing è quello di
25
capire perché il consumatore compra, quali bisogni cerca di soddisfare e quali sono i fattori che
possono influenzare la scelta del prodotto da acquistare, così da poter applicare un’appropriata
strategia. In questi studi vengono presi in considerazione le caratteristiche personali dell’individuo,
le caratteristiche del prodotto e la situazione (il contesto generale) presente al momento del
consumo (Fig.1). Dagli studi di marketing è subito emerso che il consumatore è un individuo
complesso con una propria fisionomia, un proprio carattere, propri valori e gusti, un individuo che
interagisce con l’ambiente e la società che lo circonda e da cui riceve stimoli di varia natura
(elemento dell’ambiente). Ogni individuo è unico, un universo a se stante e l’impresa attraverso gli
studi di marketing cerca di conoscerlo più in dettaglio per meglio comprendere tutti quei
meccanismi che lo portano fino alla decisione dell’acquisto (decisore).
Tuttavia, anche se il consumatore era considerato un elemento molto importante nella
elaborazione delle strategie di marketing ancora il suo ruolo era considerato in maniera piuttosto
generica.
In definitiva, l’importanza del marketing consiste nell’aver rappresentato il punto di avvio
alle ricerche riguardanti il comportamento del consumatore, infatti, nonostante la teoria del
consumer behaviour sia nata cinquant’anni dopo il marketing, quando quest’ultimo era al massimo
del suo sviluppo, le due discipline risultano strettamente collegate. Da quanto detto risulta, dunque,
evidente la stretta relazione che c’è tra il marketing e lo studio del comportamento del
consumatore.
Caratteristiche
personali
Caratteristiche
del prodotto
Consumer
behaviour
Strategie
di
marketing
Situazione
Figura - Il Consumer behaviour dal punto di vista del marketing
Esistono diverse definizioni di consumer behaviour forniteci dai diversi autori che si sono
occupati della materia. A titolo d’esempio possiamo citare alcune di queste definizioni:
il comportamento che i consumatori tengono nel cercare, nell’acquistare, nell’utilizzare, nel
valutare e nell’eliminare prodotti e servizi che essi suppongono possano soddisfare i loro bisogni;
26
il processo decisionale e le attività che gli individui mettono in atto quando valutano,
acquistano, utilizzano o eliminano beni e servizi.
Tuttavia, fra tutte le definizioni si tende a fare maggiormente riferimento a quella supportata
dall’American Marketing Association (AMA) secondo la quale il comportamento del consumatore
è visto come “l’interazione dinamica di affetto e cognizione, comportamento ed ambiente, da cui
gli esseri umani traggono le funzioni di scambio per le loro vite”.
Da un diverso punto di vista il consumer behaviour può essere considerato come una parte
dell’intero comportamento umano, infatti tutti quei fattori che quotidianamente influenzano gli
individui nei loro comportamenti, influenzano egualmente le loro attività di acquisto.
In effetti, spesso il comportamento del consumatore viene utilizzato per approfondire lo
studio di altri tipi di comportamento, tanto che a volte risulta difficile distinguere nettamente il
confine fra il comportamento del consumatore ed altri aspetti del comportamento umano. Diverse
discipline, dette “behavioural sciences”, hanno come oggetto del loro studio il comportamento
umano e possono essere utili per approfondire quello del consumatore. E’ per questo motivo che si
attribuisce al consumer behaviour una natura multidisciplinare.
Le scienze comportamentali che, insieme al marketing, hanno dato il loro contributo nello
studio del consumer behavoir sono: la psicologia, la sociologia e l’antropologia.
La psicologia, è – com’è noto - la scienza che studia l’individuo e quindi ne studia anche le
motivazioni, le percezioni, le attitudini, la personalità e l’apprendimento. Tutto ciò ci aiuta a capire
i differenti bisogni di consumo degli individui, le loro azioni e le loro reazioni di fronte a differenti
prodotti, ed infine il modo in cui la loro personalità e le esperienze precedenti possono influenzare
la scelta del prodotto.
La sociologia, è – com’è noto - la scienza che studia il comportamento dei gruppi. Descrive
le azioni degli individui all’interno del gruppo e spiega le differenze fra queste e le azioni
dell’individuo da solo. Spiega le influenze che i membri del gruppo, la famiglia e la classe sociale
di appartenenza possono avere sul singolo individuo.
L’antropologia, è la scienza che studia l’individuo nella società, in rapporto alla sua cultura.
Traccia lo sviluppo delle credenze, dei valori e dei costumi tramandati agli individui dai loro
parenti e dai loro antenati ed influenzanti il comportamento d’acquisto e di consumo dell’individuo
stesso. Inoltre fa le comparazioni fra culture diverse con diversi usi e costumi.
Ma è stata la scienza economica, insieme alle scienze comportamentali, a dare i maggiori
contributi alla teoria del comportamento del consumatore con lo studio della produzione, degli
scambi e del consumo di beni e servizi.
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Studiare il comportamento del consumatore può essere un’operazione molto complessa
poiché numerose variabili sono coinvolte nell’esplicazione di tale comportamento, le quali
oltretutto interagiscono fra di loro, si influenzano a vicenda e possono continuamente mutare.
Da qui, la difficoltà a sviluppare un unico modello di studio del consumer behaviour. Infatti,
nel tempo si sono affermati diversi tipi di approccio alla materia, diversi punti di vista, che spesso
hanno generato una certa confusione.
L’analisi del comportamento nelle sue parti costituenti (affetto e cognizione, comportamento
e ambiente) avviene, in genere, ponendo l’attenzione o alle scelte di acquisto o all’intero processo
di consumo; il consumatore è studiato come individuo, decisore ed elemento dell’ambiente. Gli
approcci tradizionali si occupano essenzialmente della fase di acquisto ed è’ solo a partire dagli
anni ’80 che si è spostata l’attenzione sull’intero processo di consumo.
L’approccio più diffuso è quello che si basa sul principio che l’individuo raccoglie tutti gli
stimoli provenienti dall’esterno per poi analizzarli ed elaborarli e quindi scegliere tra le diverse
alternative che gli si propongono (approccio cognitivista). L’individuo è quindi un soggetto attivo
che assume comportamenti diversi a seconda dell’interpretazione data alle informazioni raccolte. I
suoi comportamenti di acquisto sono una conseguenza di questo processo di elaborazione.
Diversi sono gli autori (Howard, Nicosia, Engel et al. …) che affrontando l’argomento hanno
dato origine a dei modelli di analisi basati sullo studio dei comportamenti di acquisto del
consumatore, detti modelli stimolo-risposta (S-R).
In generale, secondo i modelli stimolo-risposta (S-R) il consumatore riceve dall’esterno
stimoli che sono in effetti l’insieme di tutte le informazioni raccolte attraverso la pubblicità, le
opinioni dei conoscenti, ecc.; questi stimoli per dare luogo ad una risposta devono essere percepiti,
compresi (internalizzati) ed elaborati dall’individuo che in questo modo avvia un processo
decisionale fino ad arrivare alla “risposta” agli stimoli stessi: la scelta di acquisto o a volte la
necessità di acquisire ulteriori informazioni prima di arrivare alla scelta. Ogni individuo effettua
questo processo in maniera del tutto soggettiva, diversa da quella di tutti gli altri individui. Da qui
il motivo e la necessità di analizzare questi processi di scelta dal punto di vista del singolo
consumatore e non in maniera generalizzata.
In base a questi modelli il processo decisionale, processo cognitivo, è semplicemente il
tramite fra gli stimoli e la risposta; il consumatore è un soggetto attivo, diverso dagli altri individui,
che cambia nel tempo ed insieme a lui cambia anche il suo processo decisionale. Tutto questo
conduce alla soggettività del processo decisionale, il quale viene inoltre visto secondo un’ottica
evolutiva in cui l’individuo si trova ad assorbire sempre nuovi stimoli, a prendere sempre nuove
decisioni e ad acquisire sempre nuove informazioni. In base a ciò, si suppone che il consumatore
possieda una certa capacità di apprendimento e quindi nel tempo la capacità di gestire sempre
meglio i suoi processi decisionali e di migliorare le sue scelte d’acquisto.
28
Stimolo
esterno
Stimolo
internalizzato
Processo
decisionale
Risposta
(scelta)
Ricerca
Struttura di base dei modelli cognitivi di tipo S-R
Ci sono casi in cui il percorso decisionale seguito dall’individuo non è così lineare e
razionale come la teoria cognitivista afferma; a creare una distorsione nella elaborazione delle
informazioni e nel processo decisionale interviene la componente affettiva del consumatore, con
cui si intendono le emozioni o le sensazioni (sia positive che negative) del consumatore stesso di
fronte ad un oggetto.
Alla domanda “quali sono i fattori che influenzano le preferenze e le scelte al momento
dell’acquisto?” numerosi studi hanno cercato di rispondere. Tutti sono arrivati alla conclusione che
l’atto di acquisto è il risultato di una combinazione di fattori individuali e di stimoli esterni.
Comprendere il comportamento del consumatore significa comprendere come e perché il
consumatore acquista beni e servizi, ricordando però che il comportamento di acquisto e di
consumo possono variare da un bene all’altro o per lo stesso bene a seconda del momento o
dell’uso che se ne fa. Quali sono, allora, le variabili che influenzano tali comportamenti?
Distinguiamo: fattori interni, fattori esterni e processo decisionale. Queste variabili sono facilmente
ricollegabili ai tre aspetti che assume il consumatore secondo la teoria cognitivista. Egli viene,
infatti, visto come individuo, come decisore e come elemento dell’ambiente.
I principali fattori che determinano il comportamento del consumatore sono i seguenti:
Fattori culturali: Cultura; Subcultura; Classe sociale.
Fattori sociali: Gruppi di riferimento; Famiglia; Ruolo e status.
Fattori personali: Età e stato del ciclo di vita; Occupazione e condizioni economiche; Stile di
vita; Personalità e concetto di se.
Fattori psicologici: Motivazione; Percezione; Apprendimento; Credenze e abitudini.
Questi fattori possono anche essere suddivisi come: fattori esterni e fattori interni.
I fattori interni sono quelli che influiscono sul “come” il consumatore procede nel suo
processo decisionale per quanto riguarda beni e servizi. Tali fattori hanno una grande influenza sul
29
processo decisionale; il consumatore, infatti, subisce gli stimoli esterni che però non influiscono
direttamente sul suo comportamento, ma vengono modificati dai fattori interni come ad esempio la
personalità, l’apprendimento, l’atteggiamento o le motivazioni.
I principali fattori esterni che intervengono nell’influenzare il comportamento del
consumatore sono elementi economici, tecnologici, politici e culturali (demografici, situazione,
cultura, classe sociale, gruppo sociale di riferimento e famiglia); e, insieme a questi, gli elementi
che fanno parte del marketing mix (prodotto, prezzo, punto vendita, promozione).
Infine, i principali stimoli interni sono quelli legati alle caratteristiche del consumatore
(personalità e concetto di sé, motivazione e coinvolgimento, processo informativo, apprendimento
ed infine atteggiamento).
Il processo decisionale è il “mezzo” che il consumatore adotta per effettuare la scelta di un
bene o di un servizio, e si conclude con l’atto di acquisto.
Riassumendo il modello di analisi per conoscere il comportamento del consumatore è,
dunque, il modello “stimolo-risposta”:
Stimoli esterni
Marketing
(mix)
Prodotto
Prezzo
Punto vendita
Promozione
Scatola nera dell’acquirente
Reazioni
dell’acquirente
Processo di
decisione
dell’acquirente
Scelta del prodotto
Scelta della marca
Scelta del rivenditore
Tempo di acquisto
Ammontare
dell’acquisto
Altri
(principali)
Economici
Tecnologici
Politici
Culturali
Caratteristiche
dell’acquirente
Mentre i fattori fondamentali che determinano il comportamento del consumatore sono
numerosi, compresi nel seguente schema di massima:
Fattori culturali
Cultura
Subcultura
Classe sociale
Fattori sociali
Gruppi di
riferimento
Famiglia
Ruolo e status
Fattori personali
Età e stato del ciclo di vita
Occupazione
Condizioni economiche
Stile di vita
Personalità e concetto di se
stessi
30
Fattori psicologici
Motivazione
Percezione
Apprendimento
Credenze e abitudini
(opinioni ed
atteggiamenti)
3.2.1 Fattori culturali
Cultura
In un’ottica di comportamento del consumatore, la cultura viene definita come l’insieme
delle convinzioni, dei valori e dei costumi che servono a dare una guida al comportamento dei
consumatori come membri di una particolare società. Infatti, oltre ad influire sulla natura e
sull’intensità dei bisogni che si manifestano, la cultura influisce anche sul modo in cui tali bisogni
vengono soddisfatti.
Diversamente dalle caratteristiche biologiche la cultura non è né innata né istintiva, ma è una
caratteristica appresa dagli individui fin da piccoli tramite i contatti con il contesto sociale in cui
sono inseriti.2
Una volta appresa la cultura non resta inalterata ma si evolve continuamente, movendo da
vecchie idee verso nuove idee ed integrando le une con le altre, come in un sistema dinamico. Per
acquisire una cultura comune i membri di una società devono comunicare fra loro con un
linguaggio comune, senza il quale non può esistere la condivisione della cultura stessa.
I confini dettati dalla cultura a proposito dei vari tipi di comportamenti, leciti o illeciti, sono
le norme di una società; la violazione di una norma fa incorrere in una penalità, tuttavia in genere
gli individui tendono ad obbedire alle norme dettategli dalla loro cultura senza rifletterci sopra,
semplicemente perché in quanto membri di una data società con una data cultura, qualsiasi altro
modo gli sembrerebbe innaturale.
La cultura è, anche, il complesso di simboli e realizzazioni prodotte da una determinata
società. I simboli si suddividono in intangibili (abitudini, convinzione, valori, linguaggi, religioni) e
tangibili (strumenti, abitazioni, prodotti, …). I cambiamenti più significativi della cultura implicano
il marketing (qualità della vita, mutamenti del ruolo della donna, del modo di vivere, nel lavoro e
nel divertimento, time-saving, acquisti d’impulso e desideri di comodità).
Subcultura
Può riguardare un gruppo di individui all’interno di una società e si distingue per comuni
significati culturali. Rappresenta, cioè, un segmento all’interno di una più larga e complessa società
multiculturale. In genere, per distinguere i vari segmenti subculturali si utilizzano la religione, il
sesso, l’età ed anche l’identità etnica o razziale. Quest’ultima forma di distinzione, oggi nelle
società multietniche, assume un’importanza sempre più rilevante; infatti, anche nel nostro paese,
2 Perché una particolare convinzione o un valore possano essere considerati delle caratteristiche culturali è
necessario che siano condivisi da una significativa porzione della società; infatti, la cultura può anche essere
vista come un fenomeno di gruppo, dove l’unità più piccola è costituita dalla famiglia, che è il nucleo di
partenza da cui vengono trasmessi ad un nuovo membro della società i valori, le convinzioni e tutto ciò che
forma la cultura di quella data società.
31
con il crescente fenomeno dell’immigrazione, si cominciano a sentire gli effetti, dal punto di vista
sociale, dell’accostamento di diverse subculture legate all’etnia.
Questi fattori contribuiscono a definire gusti, preferenze, tendenze, valori, modi di vivere,
stili e atteggiamenti, modi di vestire, di divertirsi, aspirazioni, …
Classe sociale
In ogni società si distinguono più classi sociali, nelle quali vengono suddivisi gli individui
appartenenti a quella data società.
Per classe sociale si intende l’insieme di individui che occupano la stessa posizione in
relazione ai rapporti di potere che sottostanno alla divisione sociale del lavoro e alle connesse
disuguaglianze relazionali e distributive.3
Quindi la classe sociale è una forma di stratificazione della società in più gruppi omogenei di
individui che si distinguono per modi di comportamento e per stile di vita; viene, in genere,
utilizzata per misurare la situazione finanziaria degli individui.
Le classi sociali sono divise secondo un ordine gerarchico e, generalmente, gli individui
appartenenti ad una stessa classe mostrano comportamenti fra loro omogenei, con atteggiamenti,
attività e interessi fra loro simili. Inoltre, gli individui tendono a scegliere nelle loro relazioni
sociali soggetti appartenenti alla loro stessa classe.
Infine, bisogna sottolineare il fatto che questo sistema di stratificazione sociale è un sistema
aperto e dinamico poiché gli individui nel corso della loro vita possono avere l’opportunità di salire
nella gerarchia delle classi sociali, o al contrario può anche accadere che per vari motivi
regrediscano dalla loro posizione.
Si distinguono in: ricchissimi, nuovi ricchi, professionisti, colletti bianchi, operai, meno
abbienti.
Nel 1986, in Italia della popolazione attiva totale: borghesia 3,3%, classi medie 46,4%,
coltivatori diretti 7,6%, classe operaia 42,7% (Sylos Labini).
Sono stratificazioni sociali presenti in tutte le società; sono suddivisioni relativamente
omogenee e stabili, gerarchicamente ordinate i cui membri condividono valori, interessi,
comportamenti e preferenze. Con il processo di terziarizzazione le percentuali delle categorie
professionali si sono modificate.
3.2.2 Fattori sociali
• Gruppo di riferimento
Un gruppo può essere definito come l’insieme di due o più persone che interagiscono fra loro
per realizzare un obiettivo individuale o comune.
3
P. Ceri et al. Manuale di sociologia, 1997
32
Fra questi gruppi, ve ne sono alcuni che possono diventare gruppi di riferimento. Con gruppo
di riferimento si intende l’insieme di una o più persone che assumono importanza per l’individuo
nella formazione di valori generali o specifici, nella formazione degli atteggiamenti e per la scelta
del comportamento.
Questo concetto serve per aiutare a capire l’impatto che le altre persone possono avere sulle
convinzioni, gli atteggiamenti ed il comportamento di un individuo anche al momento del
consumo.
Si distinguono da un lato i gruppi primari o anche informali caratterizzati da una struttura
libera senza ruoli definiti. A questa categoria appartengono gruppi come la famiglia, gli amici, i
colleghi di lavoro, ecc., per i quali i rapporti interpersonali si svolgono faccia a faccia, con una
certa frequenza ed un certo livello di intimità; dall’altro lato ci sono invece i gruppi secondari, con
rapporti fra i diversi membri impersonali e formali e con strutture definite (es. un presidente, un
vicepresidente, ecc.). A questa seconda categoria appartengono i partiti politici, il circolo sportivo,
le associazioni personali, ecc..
I gruppi di riferimento hanno fondamentalmente due tipi di funzione, una è quella normativa
attraverso la quale influisce sui valori e sui comportamenti dell’individuo al pari della famiglia,
tramite le relazioni sociali l’individuo si costruisce una serie di valori di base a partire dai quali
affronta le sue scelte; l’altra funzione è quella comparativa, in base alla quale l’individuo si
identifica con un gruppo che diventa allora fonte di riferimento e di imitazione.
Ogni gruppo ha un opinion leader.
• Famiglia
La famiglia è l’elemento che più di ogni altro influisce sul comportamento dei suoi membri.
La famiglia è sia un gruppo primario, caratterizzato da rapporti informali, sia un gruppo di
riferimento, con i singoli membri che fanno riferimento ad alcuni valori, norme o atteggiamenti
della famiglia nei loro comportamenti.
Tradizionalmente la famiglia è definita come l’insieme di due o più persone che hanno
legami di sangue, di matrimonio o di adozione e che risiedono insieme.4
Il nucleo familiare è la più grossa unità di consumo, e viene dunque trattato come un
soggetto collettivo di acquisti e di consumi. Tuttavia, il processo decisionale all’interno della
famiglia non può essere considerato unico ed omogeneo poiché non sempre partecipano tutti i suoi
componenti e comunque ognuno di essi ha ruoli e scopi diversi.
Peter e Olson hanno identificato sei ruoli fondamentali all’interno della famiglia:
4 Tuttavia, nella società moderna il concetto tradizionale di famiglia è stato messo in crisi con la comparsa di
nuove forme di coabitazione (es. coppie non sposate), per cui è emersa la necessità di ampliare in qualche
modo il concetto e lo si è fatto tramite il termine di nucleo familiare (houseold) che comprende la famiglia
tradizionale e le nuove forme di famiglia. Pertanto, si definisce come nucleo familiare l’unità di abitazione
effettivamente occupata a prescindere dalle relazioni che intercorrono fra i soggetti che vi risiedono.
33
Influenzatore, è colui che mette a disposizione degli altri componenti tutte le
informazioni riguardanti un prodotto o un servizio;
gatekeeper (portiere, guardiano), è colui che controlla il flusso delle informazioni
all’interno della famiglia;
decisore, è colui che ha il potere di decidere se effettuare o meno un acquisto;
acquirente, è colui che effettua materialmente l’acquisto;
utilizzatore, è colui che utilizza effettivamente il bene acquistato;
eliminatore, è colui che si occupa dell’eliminazione fisica del prodotto una volta finito o
delle confezioni dello stesso.
Naturalmente, all’interno della famiglia una stessa persona si può ritrovare a ricoprire più
ruoli contemporaneamente, per cui per capire a fondo le caratteristiche del processo di consumo di
una famiglia, è necessario analizzarne la struttura e la divisione dei ruoli con specifico riferimento
ad un determinato bene.
• Ruolo
E’ esercitato dall’individuo nell’appartenenza ai diversi gruppi della società (famiglia, club,
organizzazione).
Ruolo: di figlio, di marito, di manager, ….
• Status
E’ il livello e le caratteristiche di stima che, in genere, si accorda al ruolo nella società. Es. di
status: il ruolo di prof. Universitario rappresenta uno status più elevato di quello di Prof. di scuola
media superiore. Giudice corte suprema/ manager di impresa, ……
34
Cultura
Subcultura
Classe Sociale
Istituzioni
Gruppi di
riferimento
Famiglia
Media
Consumatore
I condizionamenti dell’ambiente sociale (1996)
3.2.3 Fattori personali
Età e ciclo di vita: beni e servizi acquistati mutano nel corso della vita: nell’alimentazione
(es. prodotti dell’infanzia per bambini; prodotti vari per gli adulti; specialità dietetiche nella
vecchiaia), nell’abbigliamento, nel tempo libero, ecc.
Le caratterizzazioni dei consumi sono anche legate al ciclo di vita della famiglia; in funzione
della situazione finanziaria si sono individuate 9 fasi di comportamento d’acquisto (schema).
Nella popolazione età e ciclo della vita della famiglia individuano i tipi di mercato:
- mercato dei neonati (meno di 5 anni)
- mercato dei bambini (5-13 anni)
- mercato degli adolescenti (teen agers 13-20 anni)
- mercato dei giovani (20-39 anni)
- mercato degli adulti (40-65 anni)
- mercato degli anziani (oltre 65 anni)
35
Ciclo di vita della famiglia e comportamento d’acquisto
Stadio del ciclo di vita
I- Celibato: giovani
sposati che vivono fuori casa
Modelli di comportamento d’acquisto
non
II- Giovani coppie, senza figli
III- Nido pieno 1: giovani con
figlio minore di sei anni
IV- Nido pieno 2: giovani con
figlio superiore a sei anni
V- Nido pieno 3: coppie
mature con figli a carico
VI- Nido vuoto 1: coppie
mature senza figli
Pochi mezzi a disposizione. Seguono il leader
d’opinione nell’abbigliamento. Voglia di divertirsi.
Situazione finanziaria migliore: massimo livello
di acquisto di beni durevoli.
Acquisti per casa al massimo livello; bassa
disponibilità
finanziaria,
apprezzano
prodotti
reclamizzati, hanno interesse per le novità.
Posizione economica migliore, alcune mogli
lavorano. Meno influenzati dalla pubblicità.
Acquistano confezioni maggiori e offerte speciali
anche di alimenti.
Posizione economica ancora migliore, molte
mogli lavorano. Alti acquisti di beni durevoli;
difficilmente influenzabili dalla pubblicità.
Proprietà della casa (di norma), soddisfazione
economica, interesse per viaggi; divertimenti;
aggiornamenti; fanno doni e beneficenza, non
interessati alle novità.
Drastica riduzione delle entrate, tendenza a
stare a casa. Acquistano prodotti per la salute, per il
sonno , per la digestione.
VII- Nido vuoto 2: coppie
anziane senza figli e capofamiglia in
pensione
VIIISopravvissuti
soli,
Reddito ancora discreto.
ancora in condizione di lavorare
IX- Sopravissuti soli in
Reddito
drasticamente
ridotto.
Hanno
pensione
particolare bisogno d’attenzione, affetto, sicurezza.
Esistono oggi due mercati in rapida crescita che riflettono i mutati stili di vita:
1. mercato delle persone che vivono sole (single), perché cresce il numero di donne che
lavorano, le persone si sposano più tardi, tendenza a non vivere con parenti, crescente numero di
separazioni e divorzi;
2. mercato dei conviventi (coppie non sposate che vivono insieme: 18-34 anni): sono più
ricchi, più mutabili, meno convenzionali, danno importanza alla moda e all’aspetto estetico, attivi
negli svaghi, più sensibili allo stato sociale.
• Occupazione: i modelli di consumo sono influenzati dall’occupazione (es. operaio,
professionista, dirigente d’azienda, ecc.)
• Condizione economica: fa riferimento al reddito del consumatore ed alla sua
distribuzione (livello, stabilità, andamento nel tempo).
Si distingue:
36
-il reddito personale (totale): è l’insieme di tutti i proventi (salari, stipendi, dividendi, rendite
varie, interessi, profitti d’attività professionali o economiche) al lordo di imposte.
-il reddito disponibile: il primo meno imposte e tasse, che si destina agli acquisti (spese) ed
al risparmio.
-Il reddito discrezionale: il precedente meno le spese di prima necessità (generi alimentari
essenziali, vestiario, affitto casa, interessi per debiti e mutui, assicurazione sulla vita, ecc.)
Si distingue inoltre:
- il reddito monetario, somme di denaro ricevute a diverso titolo;
- il reddito reale, l’insieme di beni e servizi acquistati con il reddito monetario, cioè il
potere di acquisto;
- il reddito psichico, è intangibile ma molto importante nel determinare il comportamento
del consumatore. In esso sono inclusi elementi come ambiente accogliente, clima confortevole,
soddisfazione per il lavoro che si fa, ecc.
La situazione economica di un individuo influenza in modo determinante le scelte di
consumo.
• Stile di vita
Stile di vita (di una persona): è il modello secondo cui l’individuo si muove nel mondo e che
si manifesta nell’insieme di attività, interessi, opinioni espressi e scelti dallo stesso.
Oggi lo style of life (stile di vita) viene definito: il modo di vivere dell’individuo, come si
esprime nelle attività d’acquisto e consumo e nell’importanza che attribuisce a determinati aspetti
della propria esistenza (Harrell, 1986).
È un ritratto dell’individuo e della sua interazione con l’ambiente. È un modello di
interazione con il mondo.
Le persone, pur provenendo dalla stessa subcultura, classe sociale o occupazione possono
avere stili di vita differenti: tranquillo o di successo.
La classificazione degli stili di vita è basata su misurazioni (variabili) di tipo psicologico.
Nel prospetto che segue si indicano le dimensioni principali utilizzate per misurare le
variabili AIO (Attività, Interessi, Opinioni) insieme con le variabili demografiche.
La serie di tipologie di stili di vita omogenei si distinguono dalla combinazione delle
variabili, ottenuta dalla elaborazione di questionari appositamente approntati, rilevati ed elaborati
con computer.
37
Classificazione basata su variabili AIO (Attività, Interessi, Opinioni) e
variabili demografiche
Attività
Interessi
Opinioni
Variabili demografiche
-Lavoro
-Hobby
-Vita sociale
-Vacanze
-Divertimenti
-Appartenenza ad
associazioni
-Impegni
di
comunità
-Attività d’acquisto
Sport
-Famiglia
-Abitazione
-Lavoro
-Comunità
-Divertimenti
-Moda
-Alimentazione
-Media usati
-Fini perseguiti
-Opinione di se
-Interessi sociali
-Politica
-Affari
-Economia
-Istruzione
-Prodotti
-Futuro
-Cultura
-Età
-Istruzione
-Reddito
-Occupazione
-Dimensioni della famiglia
-Abitazione
-Area geografica di residenza
-Grandezza del centro di
residenza
-Stadio nel ciclo di vita
Altro tipo di classificazione è quella basata su variabili VALS (valori e stili di vita), basata
sull’ipotesi che gli individui attraversano diversi stadi di sviluppo. VALS: ogni stadio di sviluppo
influenza atteggiamenti e bisogni psicologici.
Il modello di classificazione VALS (Values and Lifestyles) della SRI Consulting, classifica
le persone in base la modo di investire il proprio tempo e denaro e divide i consumatori in otto
gruppi secondo due dimensioni principali: la motivazione primaria e le risorse disponibili. Nella
motivazione primaria rientrano gli ideali di un individuo, l’autorealizzazione e l’espressione di se. I
consumatori motivati principalmente da ideali sono guidati da conoscenza e principi; i consumatori
guidati principalmente dall’autorealizzazione invece ricercano prodotti e servizi che esprimano
successo agli occhi dei loro pari; infine, i consumatori motivati prevalentemente dall’espressione di
se aspirano ad attività sociale o fisica, alla varietà e al rischio.
Ciascuna tipologia di soggetti è ulteriormente divisa in base alle risorse di cui dispongono,
ossia in base al livello di reddito, istruzione, ricchezza, sicurezza di se, energia ed altri fattori. I
consumatori con un livello di risorse molto elevato o molto basso rientrano in una categoria unica,
rispettivamente quella degli Innovatori e dei Sopravvissuti indipendentemente dalle motivazioni
primarie. Gli innovatori sono consumatori che dispongono di un’abbondanza di risorse tale da
racchiudere tutte le motivazioni primarie, seppure in diversa misura. Per contro, i sopravvissuti
possiedono risorse così limitate da non consentire alcuna motivazione primaria forte. Questa
categoria deve concentrarsi sul soddisfacimento dei bisogni e non può permettersi la realizzazione
dei desideri.
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Classificazione degli Stili di vita VALS
La classificazione basata su variabili VALS (Valori e Stili di Vita) sul mercato americano,
con un questionario di oltre 800 domande, ha individuato sulla popolazione americana adulta i
seguenti 9 gruppi, con relativo peso percentuale:
1. i sopravvissuti 4%, persone in situazioni svantaggiate (poveri);
2. gli emergenti 7%, persone in situazioni svantaggiate che vogliono con determinazione
uscire dalla povertà;
3. i dipendenti 35%, persone convenzionali, conservatrici, nostalgiche, aliene da novità;
4. gli emulatori 10%, persone ambiziose, attenti ai problemi di status;
5. i realizzatori 21%, persone che operano come leader, innovatori, apprezzano i valori della
vita;
6. gli individualisti 5%, persone giovani, piene di se e di fantasia;
39
7. gli sperimentatori 7%, persone con ricca vita interiore e vogliose di sperimentare
direttamente ciò che la vita offre;
8. i socialmente impegnati 9%, persone con elevato senso di responsabilità e vogliono
migliorare la società;
9. gli integrati 2%, persone mature a livello psicologico, in cui richieste individuali ed
esigenze sociali sono perfettamente integrate.
La classificazione si basa sulla ipotesi che gli individui attraversino stati di sviluppo, ognuno
dei quali influenza atteggiamenti e bisogni psicologici.
• Personalità e concetto di se stessi
Personalità
Fra tutti gli elementi che guidano e determinano il comportamento dei consumatori la
personalità è uno di quelli che più influenza le decisioni dell’individuo.
In generale possiamo definire come personalità: l’insieme delle caratteristiche psicologiche
interne che determinano e riflettono come un individuo risponda all’ambiente circostante.
Ogni individuo possiede caratteristiche interne che differiscono a loro volta da persona a
persona. Infatti, la combinazione di tali caratteristiche è unica per ogni individuo per cui è
impossibile trovare due persone con la stessa identica personalità ma potremo invece trovare due o
più persone con personalità simili, cioè esistono alcuni individui che hanno in comune dei tratti
della loro personalità ed è proprio quest’aspetto che viene utilizzato nello studio del
comportamento del consumatore per suddividere i consumatori in gruppi a seconda della categoria
di appartenenza.
La personalità è una caratteristica dell’individuo stabile e duratura che non può essere
cambiata con delle strategie di marketing, al massimo è possibile studiare quali fra le sue
caratteristiche possano determinare un certo comportamento di consumo e tramite le strategie di
marketing evidenziare quegli aspetti del prodotto che soddisfino le caratteristiche studiate. Per uno
stesso individuo la personalità non rimane immutata nel tempo ma cambia in concomitanza con
tutti quegli eventi della vita che determinano la “crescita” della persona, il suo processo di
maturazione.
Le principali teorie che si occupano della personalità sono quella psicoanalitica (Freud),
quella sociale (style of life) e la teoria dei tratti5, le prime due tendono a spiegare la personalità
5 La teoria dei tratti può essere considerata come un importante punto di partenza nello studio della
personalità per poi approdare alle teorie sopra descritte, infatti mentre la teoria psicoanalitica e quella sociale
affrontano il problema da un punto di vista qualitativo, la teoria dei tratti lo affronta da un punto di vista
quantitativo poiché lo studio della personalità viene fatto misurando determinate caratteristiche psicologiche
interne degli individui. Secondo la teoria dei tratti gli individui in una stessa situazione si comportano
diversamente a seconda della combinazione di “tratti” in essi presente. Tale teoria non cerca di fornire un
40
studiandone lo sviluppo al di là della vita dell’individuo, mentre l’ultima pone l’attenzione sulle
caratteristiche psicologiche e fisiche correnti dell’individuo per spiegarne quindi la personalità.
Questi differenti approcci vengono comunque considerati complementari poiché insieme sono in
grado di dare una visione completa della personalità.
Mentre le prime due teorie studiano lo sviluppo della personalità al di là della vita
dell’individuo, la teoria dei tratti pone l’attenzione sulle caratteristiche psicologiche e fisiche
correnti dell’individuo per spiegarne la personalità, cioè gli individui in una stessa situazione si
comportano in modo diverso asseconda della combinazione di “tratti” in essi presente. Tratti della
personalità: autostima, dominanza, autonomia, deferenza, capacità di socializzare, capacità di
difesa, adattabilità, ….
Concetto di se
Concetto di se: è vicino a quello della personalità, ma è l’immagine di se, cioè come si vede
l’individuo stesso.
Lo studio del concetto di sé può essere considerato come una parte della personalità o come
una branca a sé stante. Molte teorie della personalità focalizzano l’attenzione sulla valutazione di
quello che siamo mentre il “concetto di sé” fornisce una visione molto più soggettiva della persona.
Il “concetto di sé” può essere definito come la percezione che una persona ha di se stesso,
sia dal punto di vista fisico che considerando altre caratteristiche come la forza, l’onestà o in
relazione con le altre persone.
Ad un osservatore esterno, a volte, il comportamento di un individuo può sembrare
irrazionale ed immotivato, ma non è più così se invece si conosce il punto di vista personale
dell’individuo. Infatti, ognuno di noi ha una specifica immagine di sé stesso che spesso influisce
sui comportamenti di consumo molto di più di quanto non faccia, a volte, la personalità stessa.
Infatti, dal concetto di sé dipende l’opinione dell’individuo sui prodotti o servizi presenti sul
mercato poiché egli li valuta in base all’immagine che ha di sé stesso, questi verranno valutati
positivamente se l’immagine che danno risulta coincidere con quella che il consumatore ha di sé e
che vuole comunicare agli altri, altrimenti la valutazione sarà negativa ed il prodotto verrà
considerato inaccettabile. A volte però, può capitare che il consumatore valuti alcuni beni e servizi
positivamente non perché coincidano con il loro concetto di sé, ma perché rappresentano piuttosto
l’immagine che di sé l’individuo vorrebbe dare all’esterno.
Per molto tempo si è pensato che il consumatore avesse un “singolo sé stesso” e che cercasse
prodotti e servizi per soddisfare questo “singolo se stesso”, tuttavia ci si è resi conto che
l’immagine che il consumatore ha di sé stesso cambia a seconda delle persone con cui interagisce
ed a seconda delle situazioni, tanto da poter considerare che egli pensa a sé stesso come ad una
singolo modello per ogni tipo di personalità, ma fornisce delle informazioni riguardo ad un certo numero di
tratti della personalità che combinati fra loro costituiscono la personalità dell’individuo.
41
“molteplicità di sé stesso”. Tutto ciò acquista importanza nella teoria del consumer behaviour
poiché se si pensa al consumatore come ad un individuo che ha una molteplicità di immagini di sé
stesso allora si possono immettere sul mercato determinati prodotti e servizi all’interno del contesto
di un data immagine di sé.
Si può dire che il “sé stesso” abbia due componenti generali, quella pubblica e quella privata.
La prima è il modo in cui gli altri ci percepiscono, la seconda è il modo in cui noi percepiamo noi
stessi. La componente privata del concetto di sé può essere suddivisa in cinque parti:
- sé reale: corrisponde al modo in cui il consumatore vede sé stesso;
- sé ideale: corrisponde al modo in cui il consumatore vorrebbe apparire agli altri,
l’immagine di sé che vorrebbe dare agli altri;
- sé sociale: corrisponde all’immagine di noi stessi che pensiamo abbiano gli altri;
- sé sociale ideale: corrisponde all’immagine di noi che vorremmo che gli altri
percepissero;
- sé espressivo: il sé ideale o sociale, a seconda delle situazioni o dei fattori sociali che
intervengono.
In diversi contesti, il consumatore può essere condizionato da diverse immagini di sé nei suoi
comportamenti. Quindi, lo studio del concetto di sé, così come quello della personalità, rappresenta
un elemento importante nello studio e nella comprensione del comportamento del consumatore.
Immagine
percepita del
prodotto
Concetto
di sé
Comparazione
Prodotto
Prodotto
scelto
scartato
La scelta del prodotto secondo il concetto di se
42
3.2.4 I fattori psicologici
• Motivazione
Motivazione : l’individuo ha molteplicità di bisogni:
- d’origine biologica, che nascono da stati di tensione fisiologica (fame, sete, disagi)
- d’origine psicologica, che nascono da stati di tensione psichica (bisogno di
riconoscimento, di stima, d’appartenenza).
Il bisogno diventa motivo quando ha raggiunto un certo livello d’intensità (tensione), e
spinge l’individuo al soddisfacimento del bisogno stesso. Le teorie più popolari delle motivazioni
sono tre, di: Sigmund Freud, Abraham Maslow, Frederick Herzberg, che naturalmente non
trattiamo.
La conoscenza delle motivazioni che stanno alla base delle scelte dell’individuo è molto
importante per i ricercatori che vogliono capire e prevedere il comportamento umano di fronte
all’acquisto. Infatti, secondo gli psicologi e gli studiosi del comportamento del consumatore la
maggior parte delle persone possiede gli stessi bisogni e motivazioni che però vengono espressi in
maniera diversa. La motivazione è alla base del consumo, è la forza che guida il consumo, ne è la
ragione. Può essere definita come la forza che attiva il consumo e fornisce lo scopo e la direzione
per questo consumo. Questa forza ha origine da uno stato di tensione (conscio o inconscio) interno
all’individuo che è il risultato di un bisogno insoddisfatto, l’individuo allora tende a ridurre la
tensione che avverte mettendo in pratica un processo decisionale fino ad arrivare al consumo.6 La
motivazione è la forza che guida il consumo, ne è la ragione. Può essere scomposta in due
componenti: da un lato l’energia che genera tensione per la spinta al comportamento, in questa
energia si possono riconoscere i bisogni insoddisfatti; e dall’altro lato una forza che fornisce la
direzione al consumo (il motivo) che viene appunto orientato verso precisi obiettivi. In pratica, la
motivazione ha origine dal bisogno ma ad esso aggiunge dei nuovi elementi quali lo stato fisico o
emotivo, l’intensità del bisogno, la situazione dell’ambiente circostante, ecc.. Attraverso essa
l’individuo cerca di trovare la giusta spinta per realizzare i propri obiettivi che normalmente si
trovano nell’ambiente circostante.
Uno stesso bisogno può essere soddisfatto in diversi modi, cioè possono intervenire diverse
motivazioni a spingere l’individuo ad agire per la soddisfazione di quel bisogno. Quando ciò
6 La motivazione può, quindi, essere scomposta in due componenti: da un lato l’energia che genera tensione
per la spinta al comportamento, in questa energia si possono riconoscere i bisogni insoddisfatti; e dall’altro
lato una forza che fornisce la direzione al consumo (il motivo) che viene appunto orientato verso precisi
obiettivi.
43
avviene non è raro che sorga un conflitto motivazionale, il consumatore è spinto ad agire in
direzioni contrastanti e questo fa sorgere in lui un senso di frustrazione che fa perdere di efficacia
al processo decisionale. Il conflitto motivazionale può essere di tre tipi:
positivo-positivo: si ha quando il consumatore si trova a dover scegliere fra due
alternative egualmente attrattive. Ad esempio quando ci si trova a scegliere fra due diversi tipi di
vacanza. L’indecisione di solito è temporanea, difficilmente se ne presentano di permanenti, poiché
possono facilmente intervenire nuovi elementi (una promozione, una informazione più
approfondita, …) che aiutano a superare l’indecisione;
negativo-negativo: si ha quando il consumatore si trova costretto a scegliere fra due
alternative entrambe negative. Ad esempio quando non trovando il prodotto della marca preferita il
consumatore si vede costretto a scegliere fra l’acquisto di un’altra marca da lui considerata
inferiore ed il rimandare l’acquisto. In questo caso la frustrazione è dovuta al fatto che il
consumatore non sente soddisfatto il proprio bisogno;
positivo-negativo: si ha quando il consumatore nell’acquisto di un particolare prodotto si
trova di fronte ad entrambe le conseguenze (positiva e negativa). E’, ad esempio, il caso di un
consumatore a cui piace la birra ma che si trova in regime dietetico; oppure l’acquisto di
un’automobile di una marca importante presenta limitazioni per questioni di prezzo.
Come conseguenza alla possibilità dell’insorgenza di conflitti motivazionali gli studiosi di
marketing tendono ad elaborare strategie tali da incoraggiare il consumatore nel prendere la
decisione. Nonostante tutti gli studi effettuati sulle motivazioni oggi l’attenzione è stata spostata
maggiormente ad altri aspetti del processo cognitivo proprio per la difficoltà che si incontra nel
condizionare alcuni tipi di motivazioni la cui conoscenza, di conseguenza, non può essere sfruttata
dalle strategie di marketing.
• Coinvolgimento
Il coinvolgimento consiste nell’importanza che il consumatore attribuisce ad un prodotto. Di
fronte ai diversi tipi di prodotti i consumatori mostrano in genere un differente interesse.
Il coinvolgimento incorpora il grado di spinta e la direzione dell’influenza. Quanto più
“coinvolto” si senta il consumatore dal prodotto o dalla situazione verso cui è diretta la spinta, tanto
più elevata è la forza (motivazione) che genera tale spinta.
Numerose variabili o condizioni possono influenzare il coinvolgimento:
gli antecedenti: sono considerati come l’esperienza che diventa una fonte di
coinvolgimento e dell’intensità dello stesso;
la persona: intesa nel suo insieme con i bisogni, i valori, gli interessi e le esperienze;
stimolo/oggetto: i prodotti o gli stimoli che il consumatore percepisce possono essere
strettamente correlati con i suoi bisogni, valori o interessi e per questo possono
determinare un alto livello di coinvolgimento.
44
situazione: il tipo di situazione di consumo può influenzare il grado di coinvolgimento.
• Percezione
(influenza la modalità di azione dell’individuo): è il processo attraverso il quale un individuo
seleziona, organizza e interpreta le informazioni per ottenere una visione del mondo dotata di
senso.
• Apprendimento:
descrive i mutamenti che l’esperienza provoca nel comportamento dell’individuo. La
massima parte del comportamento umano è appresa. L’apprendimento è uno dei passaggi più
importanti nello studio del comportamento del consumatore, è un processo in continua evoluzione e
cambiamento come risultato delle conoscenze acquisite o grazie a nuove esperienze. In questo
modo la nuova conoscenza formatasi serve da base di partenza per comportamenti futuri in
situazioni simili. Il ruolo dell’esperienza è fondamentale ma questo non significa che tutte le forme
di apprendimento siano intenzionali, risultato di un’attenta ricerca di informazioni, ma una buona
parte di esse sono acquisite casualmente o con poco sforzo. In genere si parla di apprendimento
diretto da parte dei consumatori, legato cioè all’esperienza diretta e personale degli individui, ma
esiste anche una forma di apprendimento indiretto basata sull’osservazione ed in un certo senso
sull’imitazione degli altri. In quest’ultimo caso lo spunto per il cambiamento viene
dall’osservazione di modelli come gli amici, i colleghi o anche i personaggi dello spettacolo che il
consumatore può decidere di imitare.
• Credenze e abitudini: Rappresentano le opinioni e gli atteggiamenti.
Opinioni ed atteggiamenti: si acquisiscono attraverso l’azione e l’apprendimento, ed
influenzano il comportamento di acquisto.
a)
Opinione: è il pensiero che una persona ha in mente su qualcosa.
b)
Atteggiamento: è una valutazione cognitiva durevole, favorevole o sfavorevole,
delle sensazioni emotive e delle tendenze all’azione su un oggetto o su un’idea (religione, politica,
abbigliamento, musica, alimentazione, ecc.)
Quando si parla di atteggiamento, in termini di marketing, non si fa certamente riferimento al
modo di proporsi o di atteggiarsi nella vita, quanto piuttosto alla disposizione di una persona nei
confronti di un oggetto. Più esattamente, in un contesto di comportamento del consumatore un
atteggiamento è una disposizione, basata sull’esperienza, a comportarsi in un modo coerentemente
positivo o negativo in rapporto ad un determinato oggetto.
45
• Memoria
La memoria è la parte dell’individuo in cui viene immagazzinata tutta l’esperienza acquisita
nel tempo e rimangono lì pronte ad essere riprese ed utilizzate per nuove scelte d’acquisto e di
consumo.
Ripetizione di
mantenimento
Informazioni
Memoria
Memoria
sensoriale
a breve
termine
Memoria
Ripetizione
elaborativa
Inform azioni dimenticate
46
a lungo
termine
3.3 Il processo di acquisto
Riepilogando il comportamento del consumatore è determinato da:
Fattori (forze) sociali e
culturali (cultura,
subcultura, classe sociale;
gruppi di riferimento,
famiglia, ruolo e status)
Fattori (forze) personali e psicologici (età e stadio
del ciclo di vita, occupazione, condizioni
economiche, stile di vita, personalità e concetto di se
stessi; motivazioni, percezione, apprendimento,
credenze ed abitudini (opinioni ed atteggiamenti)
che portano alla
Formazione della percezione (selezione, organizzazione, interpretazione delle
informazioni per ottenere una visione del mondo dotata di senso)
che influenza
Comportamento d’acquisto del consumatore
nel
Processo decisionale d’acquisto
47
Processo decisionale
L’ultimo passaggio nella conoscenza del comportamento del consumatore è la comprensione
del processo decisionale. Quotidianamente gli individui si ritrovano a prendere delle decisioni per
l’acquisto di vari prodotti; per l’analisi del processo decisionale la letteratura ha, generalmente,
affrontato il tema considerando il consumatore come un individuo razionale che raccoglie le
informazioni per poi fare la sua scelta fra le diverse alternative secondo l’approccio del problem
solving, il più utilizzato in questo studio, inteso come una sequenza coerente e consapevole di
azioni volte a risolvere la tensione indotta dalla mancata soddisfazione di un bisogno.
Secondo il concetto del problem solving il consumatore, tramite l’apprendimento, riesce a
passare da decisioni più complesse, che richiedono molto tempo e l’influenza di numerosi fattori, a
decisioni più semplici e rapide. Le decisioni del consumatore sono, in genere, influenzate dal suo
grado di coinvolgimento nei confronti del prodotto, dall’esperienza accumulata (a cui è legata la
frequenza d’acquisto), dal rischio percepito nell’acquisto del prodotto e dal valore unitario del bene
(più elevato è il prezzo maggiore sarà il tempo impiegato per la presa di decisione). Tuttavia, non
tutti gli acquisti sono frutto di un processo razionale, ma una parte di essi è frutto delle emozioni,
delle sensazioni e delle immagini che i vari prodotti riescono ad evocare: è questo il caso in cui il
consumatore cerca la varietà anche all’interno di una data classe di prodotto, quello degli acquisti
d’impulso o anche quello degli acquisti abituali, già frutto di esperienza.
Il problema della scelta si presenta quando il consumatore percepisce uno stato di
insoddisfazione dovuto al fatto che un obiettivo non è stato raggiunto, in seguito al quale
l’individuo decide quale comportamento adottare per superarlo, cioè per risolvere il problema. Il
processo decisionale viene, dunque, visto come un processo di risoluzione dei problemi orientato in
termini di obiettivi e viene suddiviso in cinque fasi, fra le quali le ultime due vengono,
generalmente, trattate insieme:
• Percezione del problema;
• Ricerca delle informazioni;
• Valutazione e scelta delle alternative;
• Esperienza di consumo;
• Comportamento post-acquisto.
1.
Percezione del problema: Quello della ricognizione del problema è il primo stadio del
processo decisionale e consiste nella percezione, da parte del consumatore, di una differenza fra lo
stato attuale e quello desiderato ed è generata da cambiamenti nello stato attuale e/o in quello
desiderato; la sola percezione di una discrepanza basta per attivare il processo decisionale.
Tuttavia, condizione necessaria perché il processo decisionale venga attivato è che tale differenza
percepita sia di una entità rilevante e che il problema stesso sia percepito di una certa importanza.
La differenza può essere frutto di un grande numero di fattori che intervengono ad influenzare il
48
consumatore, spesso questi possono anche essere provocati dalle azioni di marketing delle stesse
aziende che vogliono vendere i propri prodotti. Per quanto riguarda lo stato attuale, le principali
cause di cambiamento sono:
l’esaurimento o l’inadeguatezza delle scorte di beni; più tecnicamente definito come
insufficienza di assortimento, è la situazione che si presenta più comunemente. E’ legato
al fatto che per effetto del consumo le scorte disponibili di beni si vanno esaurendo e
devono essere ricostituite perché l’individuo possa soddisfare i propri bisogni, è questo il
caso dei beni alimentari;
l’insoddisfazione causata dai prodotti posseduti. E’ legato al fatto che alcuni beni già
posseduti dal consumatore risultino insufficienti per la soddisfazione di un bisogno, per
cui questo conduce alla ricognizione del problema;
il cambiamento della situazione finanziaria. E’ legato al fatto che un cambiamento in
positivo o in negativo della situazione economica del consumatore può fare insorgere in
lui nuovi problemi.
Per quanto riguarda, invece, lo stato desiderato, le principali cause di cambiamento sono: il
cambiamento nei bisogni e nei desideri. E’ legato a cambiamenti nella vita degli individui che
possono comportare anche cambiamenti nello stato desiderato;
i gruppi di riferimento. Sono anch’essi causa di un cambiamento nello stato desiderato
poiché l’individuo può desiderare di mutare il proprio stato quando riceve segnali di
cambiamento dai propri gruppi di riferimento;
la disponibilità di nuove informazioni. Questa non sempre causa il cambiamento dello
stato desiderato ma rende il consumatore più consapevole dell’esistenza di nuove
alternative di scelta per la soddisfazione dei bisogni esistenti;
l’esistenza o l’acquisto di nuovi prodotti. Talvolta il consumatore può semplicemente
desiderare di provare un nuovo prodotto, o anche l’acquisto di un nuovo prodotto può
generare il desiderio di acquistare gli accessori legati a questo.
A cavallo fra il cambiamento dello stato attuale e di quello desiderato si ritrovano le azioni di
marketing, ma anche i cambiamenti nello stato della famiglia (es. matrimonio, nascita di figli …).
2.
La ricerca delle informazioni comprende un’attività sia fisica che mentale da parte del
consumatore, il quale spende tempo, energia ed anche denaro nello svolgimento di questa ricerca.
Inoltre, l’attività di ricerca può essere pre-acquisto, è quella normalmente associata alla
decisione di acquisto, o continuativa, che non è direttamente correlata con un bisogno o una
decisione ma viene effettuata dal consumatore semplicemente perché è interessato ad una
determinato tipo di prodotto. In questo contesto l’attenzione sarà rivolta alla sola ricerca preacquisto. La ricerca è volta essenzialmente a trovare le informazioni relative ai criteri di
49
valutazione appropriati così da poter individuare le caratteristiche che il bene dovrebbe possedere,
le alternative disponibili ed, infine, le informazioni riguardanti le caratteristiche di ogni alternativa.
L’attività di ricerca può essere interna o esterna. La prima si attiva immediatamente dopo la
ricognizione del problema ed è un processo mentale attraverso il quale si recuperano dalla memoria
a lungo termine tutte le informazioni relative al processo decisionale appena attivato. L’attività di
ricerca interna, in effetti, è semplicemente un primo gradino prima di attivare la più esaustiva
ricerca esterna. L’attività di ricerca esterna non è altro che l’acquisizione di ulteriori informazioni
dall’ambiente, in aggiunta a quelle recuperate dalla memoria.
Le fonti d’informazione alle quali il consumatore può attingere durante il processo di ricerca
esterna sono:
informazioni ottenute tramite i contatti interpersonali, sono quelle fornite dagli amici e
dai conoscenti;
informazioni fornite dal produttore (marketer-generated information), sono quelle
acquisite tramite brochure, pubblicità, etichette informative presenti sui prodotti o anche
articoli;
informazioni fornite dal rivenditore, sono generalmente indicazioni e consigli dati dal
personale di vendita;
informazioni ottenute tramite esperienza diretta, sono quelle conseguite con l’ispezione o
la prova del prodotto;
informazioni fornite da organizzazioni indipendenti, sono quelle diffuse solitamente da
agenzie specializzate o fonti pubbliche, riviste (Altroconsumo, Gambero Rosso, …) o
anche programmi televisivi e radiofonici.
3.
Valutazione e scelta delle alternative: Al terzo gradino del processo decisionale del
consumatore, quindi, ritroviamo la valutazione o giudizio delle alternative e la selezione o scelta di
una di esse.
In generale, gli economisti affrontano il problema della comprensione del processo di
valutazione del consumatore secondo la prospettiva dell’economia classica, cioè considerano il
consumatore come un individuo razionale che si aspetta di poter massimizzare la propria utilità
tramite le proprie scelte, mentre fra tutte le alternative il consumatore spesso si trova a scegliere
non quella ideale, ma quella che ottimizza la propria scelta. Nelle molteplici situazioni in cui il
consumatore si ritrova a dover esprimere un giudizio può: o seguire precise e complesse procedure
di soluzione che lo portano alla risposta corretta (approccio algoritmico), oppure seguire proprie
logiche decisionali per raggiungere la risposta ottimale (approccio euristico). Solitamente, gli
individui per una questione di semplicità tendono ad utilizzare l’approccio euristico.
I criteri di valutazione sono le varie caratteristiche o attributi di un prodotto che un
consumatore guarda per avere la risposta ad un particolare problema (es. prezzo, marca, garanzia,
50
…). Infatti, i consumatori utilizzano gli attributi di ogni alternativa ed i benefici associati ad ogni
attributo come criteri di valutazione fra le varie alternative di prodotti.
I criteri di valutazione possono differire per tipo, numero ed importanza; possono essere
oggettivi (es. il consumo di benzina in una macchina) o soggettivi (es. la percezione di un
particolare status, associata al possesso di una certa macchina), naturalmente, ogni consumatore
possiede il proprio set di criteri di valutazione per ogni particolare decisione. Il numero di criteri
utilizzati dal consumatore di volta in volta dipende dal prodotto, dal consumatore stesso e dalla
situazione; nel caso di un prodotto di uso comune (es. dentifricio) il numero di criteri di valutazione
utilizzato è basso, viceversa per prodotti più importanti. Si distinguono, infine, criteri di
valutazione salienti, cioè importanti, da quelli determinanti i quali sono talmente importanti per il
consumatore da essere percepiti come una differenza significativa fra le diverse alternative.
Una volta che il consumatore ha espresso la propria valutazione sugli attributi rilevanti di
varie alternative si ritrova a dover effettuare una scelta. Questa può avvenire o secondo l’approccio
classico, quando il consumatore sceglie l’alternativa che gli permette di massimizzare la sua utilità,
oppure secondo l’approccio descrittivo, per il quale il consumatore utilizza pratiche decisionali di
diversa natura e spesso strettamente legate alle caratteristiche del contesto in cui viene collocata la
scelta. In realtà, il consumatore si comporta a volte seguendo la teoria classica, a volte utilizzando
regole che egli stesso si è costruito ed ha conservato in memoria, regole che non gli permettono di
ottimizzare la sua situazione, ma che sono al contempo più flessibili e semplici da applicare (es.
regola della preferenza della marca).
4.
Esperienza di consumo e comportamento post-acquisto: acquisto e valutazione del
prodotto: soddisfazione (riacquisto), insoddisfazione (reclamo, non ritorno all’acquisto).
Una volta scelti il negozio e la marca del prodotto, il consumatore può completare
l’operazione attraverso l’acquisto dello stesso. In questo contesto, l’attenzione degli studiosi è stata
in particolare rivolta all’entità, alla frequenza ed alla varietà d’uso del prodotto.
L’entità di consumo sembra essere influenzata dalla quantità di prodotto a disposizione del
consumatore oltre che dalla dimensione stessa della confezione.
La frequenza di consumo è riferita al tempo d’uso (quanto spesso viene usato) del prodotto,
mentre la varietà d’uso è riferita al numero di situazioni diverse in cui il prodotto viene utilizzato.
La frequenza dipende dalle esigenze del consumatore, la varietà dipende dalle caratteristiche del
prodotto.
Il prodotto, in genere, viene scelto perché considerato la migliore alternativa fra tutte quelle
disponibili. Il consumatore sceglie, quindi, un determinato prodotto perché pensa che sia quello che
possa assicurare le migliori performance. In questo modo le aspettative che il consumatore ha verso
il prodotto, le quali possono essere sia basse che alte, possono influenzare enormemente il livello di
51
percezione delle performance stesse; di solito si tende, comunque, a percepire le performance del
prodotto in linea con le aspettative che erano state precedentemente poste su di esso.
Ma queste aspettative come si formano e da cosa sono influenzate? Innanzi tutto si formano
quotidianamente e sono influenzate sia da fattori esterni che da fattori interni. Fra i primi ricadono
le caratteristiche del prodotto (prezzo, marca, punto vendita, …), le promozioni e le informazioni
ricevute; fra i secondi, invece, ricadono le esperienze precedenti del consumatore e le informazioni
già presenti nella sua memoria. Tuttavia, è solo dopo l’uso che il consumatore si può rendere conto
se effettivamente le performance del prodotto rispecchiano le sue aspettative; in caso positivo, l’uso
genererà un sentimento di soddisfazione o in caso contrario di insoddisfazione.
La soddisfazione, nella valutazione del comportamento post-acquisto del consumatore, è un
elemento importante ed è definita come uno stato di benessere in una situazione d’acquisto per il
sacrificio affrontato o più semplicemente come uno stato di appagamento del consumatore (Oliver,
1997). La soddisfazione, naturalmente, induce a ripetere l’acquisto del prodotto. L’insoddisfazione
nelle aspettative durante l’esperienza d’acquisto è, in genere, alla base dei comportamenti di
reclamo. In questo caso la risposta del consumatore può essere di tre tipi: risposta vocale, risposta
nei confronti di terzi e risposta privata.
Nel caso della risposta vocale, il consumatore esprime il proprio disappunto ed è diretta ad
altri soggetti o istituzioni direttamente coinvolte nello scambio. La risposta nei confronti di terzi
comprende anch’essa soggetti esterni ma non direttamente coinvolti nello scambio (riviste,
istituzioni pubbliche a difesa del consumatore, …). La risposta privata è invece rivolta a soggetti
non direttamente coinvolti nello scambio ma vicini al consumatore (amici, familiari, …), i quali a
loro volta possono essere influenzati dal parere negativo espresso dal consumatore stesso (Fig.).
Insoddisfazione
Risposta
vocale
Risposta
verso terzi
Risposta
privata
Comportamento in caso di insoddisfazione
52
Alla valutazione post-acquisto, per completare tutte le tappe del processo decisionale, segue
l’eliminazione del prodotto; infatti, il consumatore dopo avere utilizzato il prodotto può tenerlo,
cederlo temporaneamente o cederlo definitivamente. La scelta del metodo di eliminazione del
prodotto dipende oltre che dai fattori intrinseci dello stesso (stile, valore, durata, …), anche dalle
caratteristiche psicologiche dell’individuo (personalità, atteggiamenti, classe sociale, …) ed, infine,
dai fattori situazionali intrinseci al prodotto (urgenza, possibili usi, spazio disponibile per
conservarlo, …).
Dissonanza
post-acquisto
Acquisto
Reclami del
consumatore
Valutazione
Uso
Riacquisto
Eliminazione
del prodotto
Comportamento post-acquisto
Riassumendo:
Stadi del processo d’acquisto sono:
1) Percezione (individuazione) del problema: esistenza di un bisogno
2) Ricerca di informazione; le fonti:
- personali (familiari, amici, vicini, conoscenti)
- commerciali (pubblicità, venditori, negozianti, confezioni, esposizioni, punti vendita)
- pubbliche (media, organizzazioni di consumatori)
- empiriche (osservazione e prova del prodotto)
3) Valutazioni alternative, riguardanti: le caratteristiche del prodotto
le opinioni sul prodotto
le opinioni sulla marca
53
le opinioni sulla funzione di utilità
4) Decisione d’acquisto
3)
3)
4) attraverso il seguente schema:
intenzione d’acquisto, che può essere influenzata da:
attitudini (atteggiamenti) degli altri
Decisione
d’acquisto
fattori imprevisti (rischio)
(perché non si può essere assolutamente certi
della scelta fatta)
5) Comportamento del dopo acquisto: le sensazioni (sperimentazioni) di soddisfazione o
insoddisfazione avranno conseguenza sul comportamento successivo.
Tipi di comportamento d’acquisto
Le caratteristiche del processo di acquisto variano notevolmente a seconda del tipo di
decisione che il consumatore assume; si possono indicare 4 tipi di comportamento d’acquisto
rispetto alle differenze del prodotto ed al coinvolgimento nel comportamento.
Coinvolgimento
Basso
Differenze fra prodotti
Alto
Comportamento
complesso
(bene costoso, acquisto di rado,
Signifi
significato
importante
per
cative
l’acquirente. Alto rischio) ,es.
computer
Comportamento volto alla
riduzione della dissonanza (bene
costoso, acquisto saltuario e
Poche difficile) es. tappeto: acquisto deciso
in base alla convenienza (prezzo), al
tempo
disponibile,
alla
localizzazione del negozio.
Comportament
o volto alla ricerca
della varietà, es.
biscotti
Comportament
o abituale, es. sale
Nuovi prodotti: diffusione ed adozione
La diffusione dell’innovazione è il processo mediante il quale l’innovazione è portata alla
conoscenza del sistema sociale nel corso del tempo.
54
Un nuovo prodotto è un bene, un servizio o un’idea percepito da alcuni potenziali clienti
come nuovo. Talvolta può essere sul mercato già da tempo ma ciò che interessa alle imprese è il
modo in cui i consumatori vengono a conoscenza del prodotto per la prima volta e come decidono
se adottarlo o meno. Per processo di adozione si intende il processo mentale attraverso il quale un
individuo passa dalla conoscenza di un innovazione alla sua adozione finale e l’adozione è la
decisione dell’individuo di diventare un utilizzatore del prodotto.
Il processo di decisione che porta alla adozione passa attraverso 6 stadi.
Stadio
Attività
Consapevo
Il soggetto è esposto all’innovazione, diviene un cliente potenziale.
lezza
Interesse
Valutazion
Il cliente potenziale è interessato e cura l’informazione (saperne di
più).
Il cliente potenziale valuta i meriti del prodotto.
e
Prova
Il soggetto adotta l’innovazione su base limitata (acquisto di un
campione).
Adozione
Il cliente potenziale decide di adottare (ed adotta) l’innovazione su
scala integrale.
Conferma
dopo l’adozione
L’innovazione e adottata e l’utilizzatore cerca l’assicurazione di
aver preso la giusta direzione.
I soggetti partecipi al processo di adozione si distinguono nel modo seguente:
55
Caratteristiche dei consumatori che adottano l’adozione
Adozione
Subito
Caratteristiche chiave
(vantaggi relativi, compatibilità
rispetto alle esigenze,
complessità, collaudabilità,
verifiche, osservabilità)
Altre caratteristiche
Età
Istruzione
Reddito
Relazioni sociali
Status sociale
Fonti informative
Innovatori, pionieri,
adottanti d’avanguardia,
prudenti.
più giovani
ben istruiti
più elevato
innovatori: cosmopolite
altri soggetti: ampie
più elevato
ampia varietà, numerosi
media
Più tardi
Adottanti successivi,
scettici-pigri,
tradizionalisti
più vecchi
meno istruiti
più basso
soltanto locali
più basso
limitata esposizione ai
media, riferimento a
gruppi locali di pari
livello
3.4 I modelli interpretativi dell’agire di consumo
I maggiori modelli in ordine sociologico sono 3:
• Modello di Veblen (strettamente sociologico) o della “classe agiata” (ceto
economicamente e politicamente egemone)
Lo sviluppo storico delle classi sociali per Veblen è il seguente:
- 1° fase, selvaggia: non esistono distinzioni di classe, perché non esiste la divisione del
lavoro. Le comunità sono piccole, altamente integrate, dai costumi pacifici e organizzate
sull’autoconsumo.
- 2° fase, barbarica: inizia la divisione delle occupazioni e quindi la differenziazione in
classi sociali; la classe dominante non è coinvolta nelle attività industriose e produttive, ad essa
competono impieghi onorifici (militari, religiosi, ecc.). L’economia è di tipo signorile, dove il
surplus è destinato al Signore ed alla sua corte: nel tempo così si affermano i valori tipicamente
predatori (per venire in possesso della ricchezza).
- 3° fase, economia borghese o emulazione finanziaria: caratterizzata dalla etica del
risparmio e dell’accumulazione. Non è più importante l’azione che si compie per venire in possesso
della ricchezza (gesta), ma la ricchezza in se, fino a considerare più onorifica la ricchezza ereditata
che non quella ottenuta con il lavoro (nobiltà rispetto agli imprenditori borghesi).
56
La ricchezza posseduta viene mostrata, per testimoniare il proprio status agli altri, in due
modi:
1.
agiatezza vistosa (spreco di tempo): può definirsi come consumo improduttivo del
tempo (attività non produttive, ma onorifiche); non si svolge sotto gli occhi di tutti (e questo è un
inconveniente) e dunque si provvede con le buone maniere e l’educazione raffinata, che richiede
per l’apprendimento larga disponibilità di tempo.
2.
consumo (sciupio) vistoso (spreco di beni): è lo spreco dimostrativo dei beni per
acquisire rispettabilità finanziaria, non solo ricorrendo al consumo di merci costose, ma soprattutto
nel consumarle in modo appariscente.
Il criterio che regola le spese è dunque altamente competitivo: ciascuno aspira ad un livello
di consumo che si colloca oltre la propria disponibilità di reddito.
La ragione di questo comportamento è appunto l’emulazione finanziaria.
Ciò significa che il criterio d’onorificità e di prestigio in fatto di spese è stabilito da coloro
che sono immediatamente superiori per rispettabilità (su questo assunto Duesenberry costruisce la
sua teoria dell’effetto dimostrazione).
L’emulazione riduce l’agire di consumo a strumento di confronto antagonistico e fa mutare il
concetto di utilità secondaria consistente nella capacità di spesa dell’individuo (rispetto alla utilità
del bene rappresentata dalla sua efficienza per uno sviluppo più intenso della vita umana).
Nasce così il principio che: il consumo dei beni costosi è meritorio, per cui “i beni che
contengono un elemento di costo notevolmente superiore a ciò che loro conferisce l’utilità per il
loro evidente scopo meccanico, sono onorifici (beni onorifici)”.
Per Veblen, nella civiltà industriale si sarebbe raggiunto un tale grado di convinzione delle
cose a buon mercato per cui si dà ormai per scontato l’abbinamento cheap and nastry (brutto e a
buon mercato). Le critiche di Veblen alla nuova civiltà finanziaria sono aspre.
L’emulazione finanziaria, la legge dello sciupio vistoso, il cheap and nastry sono appropriate
regole di non violenza in un sistema altamente competitivo (fra classi sociali) e dunque conflittuale.
Al vertice della scala dei valori c’è la ricchezza (non il successo, come nel modello
Duesenberry).
Veblen dice una cosa semplice: i poveri imitano i ricchi, e questi modificano continuamente i
loro simboli distintivi per non lasciarsi raggiungere.
• Modello Duesenberry
Sfruttando una intuizione di Veblen (il criterio di onorificità e di prestigio in fatto di spese è
stabilito da quelli che sono immediatamente superiori per rispettabilità) formula una teoria del
consumatore che si basa sul postulato della interdipendenza delle scelte del consumatore, cioè: la
57
soddisfazione che un individuo ricava dal consumo non dipende solo dall’atto del consumo in
quanto tale, ma anche dalla comparazione del suo consumo con quello degli altri, con i quali si
trova a contatto.
La soddisfazione aumenterà o diminuirà nella misura in cui aumenta o diminuisce il
consumo dei suoi vicini, cioè indipendentemente dalle variazioni del proprio consumo. Quando il
consumo degli altri aumenta – e quindi diminuisce la propria soddisfazione – l’individuo tenderà ad
aumentare le proprie spese di consumo, e tale aumento sarà indipendente dalle variazioni del
proprio reddito. La tendenza si esercita anche verso i beni di qualità superiore.
Duesenberry dunque parte da premesse strettamente economiche e perviene ad una
interpretazione sociologica del consumo.
Per Veblen le basi della buona reputazione, della rispettabilità e dell’onorificità sono il
consumo vistoso e l’agiatezza vistosa.
Per Duesenberry è il valore del successo individuale che garantisce l’integrità del
meccanismo consumistico.
• La teoria dei gruppi di riferimento
Il concetto di gruppo di riferimento è di natura psicologica: una persona orienta il suo
comportamento sulla base dei criteri di gruppi a cui non appartiene (schemi di riferimento per la
valutazione che l’individuo fa di se stesso e per la formazione dei suoi atteggiamenti).
Si distinguono due principali gruppi di riferimento:
- gruppo di tipo normativo, che stabilisce criteri standard;
- gruppo di tipo comparativo, che offre criteri di confronto per l’autovalutazione e per il
giudizio sugli altri.
Le spese sono influenzate da ciascun gruppo di riferimento, distinguendosi in 4 tipi
corrispondenti a diverse configurazioni dei ruoli familiari:
- spese per il pacco standard dei beni (per consumo normale e necessario per la famiglia,
che testimoniano l’appartenenza ad un determinato tipo di società): sono i beni di sempre, di tipo
primario (es. abitazione in città, abiti confezionati, feste, quotidiani, l’utilitaria, ecc.).
Il gruppo di riferimento per queste spese è la collettività, come gruppo di appartenenza
attuale.
- spese per la continuità fisica e culturale della famiglia (spese per l’educazione, per la cura
della persona, mediche, per l’assicurazione, il risparmio).
Il gruppo di riferimento per queste è il gruppo di appartenenza diretta (gruppo primario).
58
- spese di status: sono le spese effettuate prendendo a riferimento il gruppo sociale di
appartenenza o al quale si desidera appartenere o dal quale ci si vuole distinguere. Sono dunque le
spese influenzate da gruppi esterni.
Queste spese soddisfano due esigenze (bisogni) distinte:
testimoniare la propria posizione sociale (bisogno di relazione);
facilitare l’inserimento in strati sociali più elevati (bisogno di potere).
Questa distinzione corrisponde a quella di Veblen fra consumo vistoso (spreco di beni) e
agiatezza vistosa (spreco di tempo); la prevalenza dell’uno o dell’altro bisogno dipende dal livello
dello sviluppo economico.
- spese per l’integrazione interna della famiglia e per il controllo delle tensioni (regali,
vacanze e divertimenti e tutto ciò che è fuori dal pacco standard).
Il gruppo di riferimento considera il ruolo dei singoli componenti della famiglia e quindi sarà
la categoria sociale ad orientare le spese.
Riepilogando lo schema di riferimento è il seguente:
Spese
Spese per la
Spese per
Spe
per il pacco continuità fisica e
l’integrazione
se
di
standard
di culturale
della
interna
della
status
beni
famiglia
famiglia
Gruppo
di
appartenenza
attuale: collettività
Gruppo
di
appartenenza diretta
(gruppo primario)
X
X
Gruppo
esterno
X
Categorie
sociali
X
3.5 Misurazione e previsione della domanda
L’impresa deve definire con esattezza la sua domanda di mercato, perché vi possono essere
90 diversi tipi di domanda; la domanda infatti può essere misurata a:
59
6 livelli di prodotto
- singolo prodotto
- gruppo di prodotti
- linea di prodotti
- vendite aziendali
- vendite di settore
- vendite nazionali
5 livelli spaziali
- cliente
- zona
- regione
- stato
- mondo
3 livelli temporali
- breve periodo
- medio periodo
- lungo periodo
Inoltre deve definire il mercato (totale); cioè l’insieme di tutti gli acquirenti reali e potenziali
di un prodotto; la sua dimensione (mercato potenziale), cioè il numero di acquirenti che potrebbero
esistere per una particolare offerta del mercato; e l’acquirente: che deve presentare le caratteristiche
di interesse, reddito, accesso.
L’impresa ancora deve definire quale mercato misurare, per cui si distingue:
Mercato potenziale: insieme dei consumatori che hanno un qualche interesse ad una
offerta di mercato definita [es. la popolazione per l’università, esclusa la parte non interessata
(anziani), che insieme costituiscono la popolazione totale].
Mercato disponibile: insieme dei consumatori che hanno interesse, reddito ed accesso ad
una particolare offerta di mercato (es. la parte di popolazione con età, risorse economiche e
decisione culturale per accedere all’università).
Mercato disponibile qualificato: insieme dei consumatori che hanno interesse, reddito,
accesso e requisiti per una particolare offerta di mercato, (es. parte di popolazione anche con
adeguato titolo di studio per accedere all’università).
Mercato servito: parte del mercato disponibile per determinati gruppi di persone (o
segmenti) (es. quella parte di popolazione che può anche pagare elevate tasse per accedere
all’università oppure per corsi serali per lavoratori).
Mercato penetrato: insieme dei consumatori che effettivamente acquistano il prodotto
(es. parte della popolazione che si è iscritta all’università)
60
Rappresentazione dei diversi tipi di mercato
Mercato totale
Mercato potenziale
Popolazione totale 100
Mercato potenziale………….…100
Mercato potenziale 10
Mercato disponibile ……………40
Mercato disponibile qualificato...20
Mercato servito…………………10
Mercato penetrato ……………….5
Definito il mercato, l’impresa per valutare le opportunità di marketing deve stimare la
domanda totale di mercato.
La domanda totale del mercato di un prodotto: è il volume totale che verrebbe acquistato da
un determinato gruppo di acquirenti in un’area geografica ed in un periodo di tempo definiti, in un
determinato ambiente di marketing e nell’ambito di un determinato programma di marketing.
Non si tratta di un concetto semplice, in quanto nella definizione ricorrono 8 elementi che
devono essere determinati per la misurazione (stima) della domanda:
1) Prodotto: occorre definire la classe di prodotto (gruppo di prodotto con coerenza
funzionale) per definire il mercato;
2) Volume totale: in termini fisici, monetari, percentuali;
3) Acquistato: occorre definire se volume ordinato, spedito, pagato, ricevuto o consumato;
4) Gruppo di acquirenti: intero mercato o singoli segmenti;
5) Area geografia: definire i confini geografici;
6) Periodo di tempo: definire il periodo di tempo;
7) Ambiente di marketing: sono i fattori incontrollabili (ambiente demografico, economico,
tecnologico, politico, culturale);
8) Programma di marketing: sono i fattori controllabili (elasticità rispetto al prezzo,
promozione, miglioramento del prodotto, sforzo distributivo ed altri elementi che entrano
nei programmi marketing delle imprese).
Ricordarsi inoltre che la domanda totale del mercato non è un numero fisso, ma una
funzione: funzione di domanda del mercato, o funzione di risposta del mercato (D=f(p1,p2,----,
pn,P,R,G).
Per l’impresa, la sua domanda è la quota della domanda del mercato coperta dalle sue
vendite.
61
Funzione di domanda dell’impresa o funzione di risposta dell’impresa
Qi = Si Q
dove Qi = domanda dell’impresa
Si = quota di mercato dell’impresa
Q = domanda totale di mercato
Cosa influenza Si quota di mercato dell’impresa?
Teoria più diffusa: le quote di mercato dei vari concorrenti sono proporzionali alle quote del
loro sforzo di marketing, da cui il “teorema fondamentale per la determinazione della quota di
mercato”
Si = Mi
∑ Mi
dove Mi = sforzo di marketing dell’impresa (spese o investimenti)
ΣMi = sforzo di marketing di tutte le imprese
La previsione di vendita dell’impresa è il risultato atteso delle vendite aziendali in funzione
di un determinato piano di marketing e tenuto conto di una data situazione del mercato.
Domanda di mercato come funzione delle spese di marketing del settore
(presuppone una particolare situazione di marketing):
In questo ambito occorre fissare:
• La quota di vendita: è l’obiettivo di vendita per l’impresa, per una linea di prodotto o per
un agente di vendita. Si fissa principalmente per definire e stimolare gli sforzi di vendita.
62
• Il budget di vendita: è una stima del volume atteso delle vendite ed è utilizzato per
assumere decisioni riguardanti gli acquisti, la produzione, il cash flow.
• Il potenziale di vendita dell’impresa: è il limite a cui tende la domanda per l’impresa
all’aumentare del rapporto fra investimento di marketing dell’impresa e investimenti di marketing
delle imprese concorrenti.
Il limite assoluto della domanda per l’impresa è il potenziale di mercato (che viene raggiunto
solo in condizioni di monopolio d’impresa).
Domanda di mercato come funzione delle spese di marketing del settore
(presuppone due diverse situazioni ambientali)
3.6 La stima della domanda attuale
Il potenziale totale del mercato è il volume massimo delle vendite (in quantità o valore)
disponibile per tutte le imprese di un settore in un dato periodo di tempo, ad un dato livello dello
sforzo di marketing del settore sotto determinate condizioni ambientali. La stima si può fare nel
modo seguente:
Q=nqp
Dove Q = potenziale totale di mercato
n = numero di acquirenti
q = (consumo procapite) quantità acquistata da un acquirente medio
p = prezzo unitario medio
63
Si può stimare inoltre con metodi statistici da parte di istituti di ricerca di marketing (es. A.C.
Nielsen).
• Il potenziale di mercato di un’area (di maggiore interesse)
• Le vendite e le quote di mercato nel settore dei concorrenti
• La domanda futura
- analisi delle serie storiche
Qi = ni qi pi
Si = Mi ∑ Mi
Y = f(t, c, s, e)
dove Y = vendite passate del prodotto
t = trend della popolazione, del processo di accumulazione del capitale (reddito),
dell’evoluzione tecnologica
c = ciclo, movimento oscillatorio delle vendite
s = stagionalità, vendite durante l’anno
e = eventi accidentali (scioperi, maltempo, mode, tumulti, incendi, BSE, minacce di
guerra, ecc. )
-
analisi statistica della domanda
Q = f(x1, x2,…….., xn)
dove Q = quantità venduta o vendite
xi
=
variabili,
come
reddito,
64
popolazione,
attività
promozionali,
ecc.
4 SEGMENTAZIONE DEL MERCATO
Il rapporto tra impresa e mercato può assumere tre diverse tipologie:
o Marketing di massa o globale o indifferenziato: la produzione è di massa, la
promozione è rivolta a tutti gli acquirenti del mercato (es. Coca Cola con un solo prodotto).
[L’impresa opera in un mercato con un prodotto.]
o Marketing differenziato: l’impresa produce due o più tipologie del prodotto (o più
prodotti nello stesso settore), con caratteristiche, stile, qualità, dimensioni particolari (es. Coca
Cola con bibite diverse); la varietà è finalizzata ad offrire alternative di scelta alla clientela,
piuttosto che a distinguere segmenti di mercato. [L’impresa opera su diversi segmenti di
mercato con più tipologie di prodotti per soddisfare le scelte della clientela.]
o Marketing concentrato: si hanno numerosi segmenti di mercato distinti, l’impresa ne
sceglie uno o più e sviluppa prodotti e marketing mix corrispondenti alle caratteristiche dei
segmenti prescelti (es. Coca Cola che ha creato una bibita ipocalorica per i dietisti). [Più
mercati per più prodotti. L’impresa opera su un segmento con prodotto corrispondente]
Alcune premesse:
Mercato al consumo (o globale): tutte le persone e le famiglie che acquistano
direttamente beni e servizi per il proprio consumo.
Mercato obiettivo (o target, o segmento di mercato): è un gruppo di consumatori ai
quali l’impresa, in maniera specifica, indirizza le proprie strategie di marketing.
La pianificazione delle azioni di marketing richiede la iniziale puntualizzazione e scelta
degli obiettivi da realizzare, a tale scopo, poiché i consumatori variano notevolmente per età,
reddito, cultura, gusti, mobilità (es. consumatori anziani, giovani, donne, di razza latina,
asiatica, nera, ecc.) e quindi il mercato che ne deriva è troppo vario ed eterogeneo perché si
possa considerare come entità unica e uniforme, occorre suddividere il mercato globale di un
certo prodotto in segmenti (mercati obiettivo), ognuno dei quali comprendente consumatori
omogenei per taluni aspetti significativi, che indurranno a comportamenti omogenei nel
processo d’acquisto (ragioni per cui viene effettuato un acquisto).
Per definire i mercati obiettivi occorre effettuare ricerche in modo da conoscere per un
certo prodotto: chi acquista, quanto acquista, dove acquista, quando acquista, come acquista,
perché acquista; cioè occorre conoscere il comportamento del consumatore, le abitudini di
65
acquisto, affinché l’impresa possa prevedere come risponderanno i consumatori ai diversi
stimoli di marketing che metterà in atto.
Il mercato oggi è in continua evoluzione e sta subendo un processo di demassificazione
rispetto ai modelli di consumo tradizionali, (anche nel settore dell’agroalimentare).
I segmenti di consumo sono sempre più numerosi e diversi e pertanto richiedono un
particolare e preliminare esame al fine di ordinare e comprendere i diversi gruppi di
consumatori presenti nel mercato e di impostare da parte delle imprese valide ed efficaci
strategie di marketing.
In questo contesto le imprese adottano sempre più il criterio del mercato obiettivo, per
meglio identificare le opportunità di marketing: prodotti corrispondenti alle esigenze di ogni
gruppo di consumatori, coordinamento delle politiche di prezzo, commerciali, promozionali,
concentrazione dello sforzo di marketing sugli acquirenti che hanno il massimo interesse
all’acquisto.
Il criterio del mercato obiettivo si sviluppa in tre fasi principali:
• segmentazione del mercato (dal lato della domanda)
• definizione del mercato obiettivo (scelta del/i segmento/i)
• posizionamento del prodotto (dal lato dell’offerta)
Segmentazione del mercato
I consumatori sono diversi per molteplici aspetti: per desideri o bisogni che esprimono,
per le risorse economiche di cui dispongono, per la localizzazione geografica, per gli
atteggiamenti e le abitudini di acquisto, ecc.
La segmentazione dunque non si riferisce inizialmente alla identificazione delle
potenzialità di un prodotto nel mercato, ma alla identificazione delle diverse esigenze ed
interessi del consumatore, che possono essere raggruppati in insiemi di individui
commercialmente omogenei.
66
Segmentare il mercato, infatti, significa aggregare o suddividere i potenziali consumatori
in gruppi aventi medesime caratteristiche; il gruppo o segmento risultante è costituito dalla
somma di caratteristiche di tanti individui aventi elementi di omogeneità.
La segmentazione è dunque ricerca ed individuazione di bisogni, comparazione
d’opportunità, classificazione dei consumatori, omogeneità di obiettivi, sintesi, aspetti tutti
finalizzati a meglio adattare i prodotti per la soddisfazione del consumatore.
L’impresa per definire la sua domanda di mercato ha la necessità di valutare la
consistenza ed il tipo di segmento al fine di conoscere il comportamento d’acquisto e le
motivazioni di consumo dei consumatori.
Non esiste un unico modo di segmentare il mercato, ma bisogna provare diverse variabili
e combinarle al fine di individuare per l’impresa la prospettiva più significativa della struttura di
mercato.
La segmentazione pertanto può essere considerata una teoria di indagine (perché permette
di identificare e conoscere i consumatori attuali e potenziali del prodotto) ed una strategia di
marketing (perché consente di formulare le operazioni più consone per penetrare il segmento
prescelto).
Le principali variabili utilizzate nella segmentazione dei mercati di consumo sono le
seguenti:
-
Variabili geografiche: il mercato è suddiviso in diverse ripartizioni e concentrazioni
(aree) geografiche: nazione, stato, regione, provincia, città, quartieri, dimensione demografica,
densità urbanistica, assetto economico-culturale, ecc.
-
Variabili socio-economiche: il mercato è suddiviso in base a criteri demografici (età,
sesso, dimensione della famiglia, stadio del ciclo di vita della famiglia), economiche (livello di
reddito, professione, occupazione), sociali (cultura, istruzione, religione, razza, nazionalità,
ecc.). Le variabili socio-economiche sono la base maggiormente e diffusamente utilizzata per
effettuare distinzioni fra gruppi di consumatori sia perché bisogni, preferenze, abitudini di
consumo sono realmente correlate in modo stretto a queste variabili, sia perché sono facilmente
misurabili almeno rispetto ad altre variabili.
-
Variabili psicografiche: i consumatori sono suddivisi in base alla classe sociale di
appartenenza, allo stile di vita adottato, alle caratteristiche di personalità che presentano.
-
Variabile di comportamento: i consumatori sono suddivisi sulla base della
conoscenza del prodotto, del comportamento di consumo e di acquisto, dell’uso che ne fanno;
gli aspetti che si considerano sono:
le occasioni di consumo: in cui si manifestano i bisogni del bene, ne dettano l’acquisto
e l’utilizzo. Le occasioni di consumo sono regolari o saltuari. Es. colazione per succo di frutta,
67
festività per regali (della mamma, del papà, San Valentino,ecc.), per consumo di determinati
alimenti (Natale, Pasqua, sagre, ecc.), pasti principali, pasti fuori casa.
i vantaggi ricercati (qualità, servizio, economia): benefici o vantaggi che ci si aspetta di
ottenere dal consumo di un certo bene. In questo caso bisogna definire gli aspetti del bene
graditi dal consumatore, il tipo di persone interessate, le principali marche che sono in grado di
soddisfare le esigenze del consumatore (es. dentifrici).
status dell’utilizzatore (o situazione d’uso): individuare i non utilizzatori, gli ex
utilizzatori, utilizzatori potenziali, nuovi utilizzatori, utilizzatori abituali dei beni. Ognuno è
richiede approcci di marketing diversi.
intensità d’uso: il bene può avere consumo limitato, medio o forte utilizzazione
(segmentazione per volume), per cui i volumi di consumo sono elevati se c’è forte utilizzazione
anche da parte di poche persone (vino, olio, birra, ecc.).
la fedeltà di marca o al punto vendita: si distinguono i fedelissimi, fedeli tiepidi, fedeli
mutevoli, incostanti alla marca (grado qualitativo, confezione, formato, biologico, Dop, ecc.) e
al punto vendita ( luoghi di acquisto: supermercato, negozio, latteria , ecc.)
lo stadio di disponibilità (consapevolezza) all’acquisto: alcuni non sono a conoscenza
del prodotto, altri conoscono la sua esistenza ma: o sono semplicemente informati, o sono
effettivamente interessati, altri ancora pensano di acquistarlo. Ciò comporta differenti
programmi di marketing.
l’atteggiamento: cioè l’interesse che gli individui mostrano per il prodotto: entusiasti,
positivi, indifferenti, contrari e decisamente ostili.
Le variabili descritte sono importanti anche se difficili da valutare e quantificare, ma il
punto di riferimento per realizzare una efficace segmentazione è il comportamento del
consumatore.
Nel settore agroalimentare i criteri di segmentazione spaziano su più variabili in quanto
legati ad un consumatore dal comportamento meno razionale, sollecitato da fattori emotivi e
psicologici e quindi sfuggevoli a valutazioni standardizzate (es. BSE, metanolo, degrado
ambientale).
Metodologicamente la segmentazione distingue due fasi:
-
disaggregazione dei consumatori sulla base delle loro caratteristiche di natura
demografica, socioeconomica, psicologica, di reddito, di comportamento d’acquisto;
68
-
riaggregazione in segmenti stabili sulla base delle reazioni riguardanti gli attributi e le
caratteristiche del prodotto.
Per segmentare validamente il mercato è necessario che un segmento rispetti le seguenti
condizioni:
• quantificabilità, i segmenti devono essere espressi in termini quantitativi, anche se non
tutte le caratteristiche tipiche di un segmento sono quantificabili o facilmente
misurabili (es. caratteristiche tipiche della personalità dell’individuo, ecc.).
• raggiungibilità, il segmento deve essere accessibile ed ottimale alla penetrazione o al
consolidamento del mercato.
• redditività, le dimensioni economiche del segmento (disponibilità finanziaria, potere
di acquisto, ecc.) devono essere tali da rendere redditizio l’investimento in marketing.
• difendibilità, dagli attacchi della concorrenza con interventi di marketing.
• controllabilità, il segmento deve essere controllabile in modo che nel caso di
scostamenti o imprevisti si possono mettere in atto correttivi ed interventi di marketing
al momento e nel modo giusto.
Qualunque mercato si consideri, vale la Legge di Pareto (legge empirica sulla
distribuzione dei redditi) (1897): la frequenza dei percettori di redditi di molto superiori alla
media non corrisponde a quella della distribuzione normale, ma è più elevata. Altrimenti detto:
qualunque mercato si consideri esiste un 20% di consumatori che rappresenta l’80% delle
vendite. I restanti 4/5 di consumatori non vanno trascurati perché rappresentano i potenziali
consumatori. I consumatori possono assumere diversi tipi di comportamenti: alcuni acquistano
più degli altri, alcuni vogliono la qualità, altri cercano il prezzo più basso, ecc.; MA tutti
obbediscono alla legge di Pareto e possono essere raggruppati in segmenti di mercato.
Individuato il segmento di mercato, si possono creare prodotti che soddisfino i bisogni dei
consumatori e venderli al prezzo adeguato (che non è necessariamente il più basso). Per cui,
l’impresa deve esaminare il mercato in termini di segmenti per potersi concentrare nella
produzione di ciò in cui è più valida.
69
PRINCIPALI VARIABILI DI SEGMENTAZIONE
DEL MERCATO DI CONSUMO NEGLI STATI UNITI
variabili
suddivisioni tipiche
Variabili geografiche
Regione
Regioni sul Pacifico, Regioni Montane, Centro Nord Occidentale, Centro
Sud Occidentale, Centro Nord Orientale; Sud Atlantico, Centro Atlantico;
New England
Dimensione della
A, B, C, D
Contea
Grandezza di centro
Fino a 5.000; 5.000-20.000; 20.000-50.000; 50.000-100.000; 100.000250.000; 250.000-500.000; 500.000-1.000.000; 1.000.000-4.000.000; sopra i
4.000.000
Densità
urbane; suburbana; rurale
Clima
settentrionale; meridionale
Variabili demografiche e socio economiche
Età (anni)
sotto i 6; 6-11; 12-19; 20-34; 34-59; 50-64; 65 o più
Sesso
maschile, femminile
Numero dei membri
1-2; 3-4; 5 o più
della famiglia
Ciclo di vita della
giovani, soli; coppie giovani senza figli; coppie giovani con figlio più
famiglia
piccolo sotto i 6 anni; coppie giovani con figlio più piccolo sopra i 6 anni;
coppie mature con figli; coppie mature senza figli sotto i 18 anni; anziani,
soli; altri.
Occupazione
imprenditori e liberi professionisti; dirigenti, funzionari e proprietari,
impiegati e commercianti; artigiani e operai specializzati; operai comuni e
agricoltori; pensionati; studenti; casalinghe; disoccupati.
Istruzione
scuola dell’obbligo; frequenza scuola media superiore; diploma di scuola
media superiore; frequenza università; laurea.
Religione
cattolica, protestante, ebrea o altro.
Razza
bianca, nera, orientale.
Nazionalità
americana, inglese, francese, tedesca, scandinava, italiana, latino-americana,
asiatica, giapponese.
Variabili psicografiche
Classe sociale
inferiore-inferiore; inferiore-superiore; media-inferiore; media –superiore;
superiore-inferiore; superiore-superiore.
Stile di vita
conservatore, liberale, radicale
Personalità
coercitiva, passiva, autoritaria, ambiziosa.
Variabili di comportamento
Occasioni d’uso
regolare, saltuario
Vantaggi ricercati
qualità, servizio, economia
non utilizzatore, ex utilizzatore, potenziale utilizzatore, nuovo utilizzatore,
Situazioni d’uso
utilizzatore abituale
Intensità d’uso
utilizzo scarso, medio, elevato
Fedeltà di marca
nessuna, debole, forte, assoluta
Stadio di
non a conoscenza del prodotto, a conoscenza, informato, interessato, attento,
consapevolezza
intenzionato all’acquisto
Atteggiamento
entusiastico, positivo, indifferente, negativo, ostile
verso il prodotto
Fonte: Ph. Kotler, Marketing management. ISEDI, 1991
70
4.1 Definizione del mercato obiettivo
La segmentazione del mercato individua le opportunità per l’impresa; questa deve però
procedere alla valutazione ed alla scelta dei segmenti da servire, attraverso:
la valutazione dei segmenti di mercato: cioè valutare il profitto che può derivare da ogni
segmento.
decisione delle possibili strategie di copertura del mercato, ossia il numero dei segmenti
da servire, attraverso tre strategie:
•
Marketing indifferenziato (o di massa o globale): l’impresa non tiene conto dei segmenti
e si presenta un'unica offerta sul mercato, con un certo tipo di prodotto e per attirare il
maggior numero possibile di consumatori; opera nei canali di distribuzione di massa e
con messaggi pubblicitari generali (es. Coca Cola all’inizio si presentò con una sola
bottiglia per formato e unico gusto). Obiettivo creare per il prodotto una immagine
elevata nella mente dei consumatori potenziali. I vantaggi sono le economie di costo (di
produzione, di gestione delle scorte, di trasporto, di promozione, di ricerca di mercato e di
pianificazione).
•
Marketing differenziato: l’impresa opera su diversi segmenti di mercato, ma con prodotti
particolari su ciascuno di essi (es. Coca Cola con bibite diverse). L’obiettivo è di avere un
volume di vendita totale maggiore rispetto al marketing indifferenziato.
Inconvenienti: aumento dei costi per modificare il prodotto (ricerca e sviluppo,
progettazione, modifica degli impianti e delle strutture), per diversificare la produzione
(ma con quantità per tipologia minore per ciascuno), per l’amministrazione (ricerche di
mercato, previsioni, analisi delle vendite, di promozione, di pianificazione e gestione dei
canali distributivi), per le scorte (gestione di numerosi magazzini), per promozione (per
campagne diverse).
•
Marketing concentrato: l’impresa con risorse limitate invece di orientarsi verso una quota
limitata di un grande mercato, mira ad ottenere una quota elevata di un piccolo mercato
(es. olio di qualità per le piccole imprese, o vino di qualità, o Coca Cola con bibita
ipocalorica). Vantaggi: economie di scala per specializzazione nella produzione, nella
promozione, nella distribuzione; l’impresa conosce bene le caratteristiche dei
consumatori e acquisisce una positiva e solida immagine. Si possono avere tassi elevati di
rendimento degli investimenti; però anche i rischi sono elevati, perché se il segmento si
dissolve l’impresa resta senza mercato.
71
la scelta della strategia di copertura del mercato: nella scelta delle tre strategie sopra
riportate si devono considerare i seguenti elementi:
le risorse dell’impresa (se limitate, marketing concentrato)
omogeneità del prodotto (marketing indifferenziato)
stadio del ciclo di vita del prodotto (marketing indifferenziato o concentrato)
omogeneità del mercato (marketing indifferenziato)
strategie di marketing della concorrenza; se la concorrenza pratica una attiva
segmentazione: marketing differenziato o concentrato, se la concorrenza fa strategia
indifferenziata: marketing differenziato o concentrato.
È possibile creare sinergie operando su segmenti diversi.
4.2 Posizionamento del prodotto
Per ogni segmento individuato e scelto l’impresa deve sviluppare una strategia di
posizionamento del prodotto. Posizionamento di prodotto e segmentazione di mercato sono due
strategie complementari determinanti per la formulazione di una valida ed efficace strategia di
marketing.
Posizionamento: insieme di iniziative volte a definire le caratteristiche del prodotto
dell’impresa e ad impostare il marketing mix più adatto per attribuire una certa posizione al
prodotto nella mente del consumatore.
Lo studio del posizionamento in genere e dei posizionamenti concorrenziali permette
all’impresa di verificare se esistono spazi di domanda non ancora soddisfatti e dunque nicchie
entro cui collocare il prodotto.
Il posizionamento del prodotto analizza il mercato dalla parte dell’offerta ed ha come
oggetto il prodotto, la segmentazione analizza il mercato dalla parte della domanda.
Il posizionamento è una ricerca ed un intervento di valorizzazione del prodotto, nel
confronto con i prodotti della concorrenza e nel rispetto delle necessità della clientela.
Con il posizionamento si abbandona la mera imitazione della concorrenza e si cerca quel
“plus” in grado di apportare al consumatore una vera e propria personalizzazione di un prodotto
e così differenziare lo spazio del prodotto sul mercato (segmento).
Il posizionamento del prodotto dipende dalle specifiche intrinseche caratteristiche del
prodotto (qualità, peso, formato, presentazione, nome, immagine, gamma, competenza tecnica),
e dalle caratteristiche esterne collegate con il prodotto (distribuzione, personal selling,
promozione, pubblicità, ecc.).
72
Il posizionamento del prodotto nel mercato è una metodologia di classificazione
dell’offerta secondo specifici caratteri del comportamento del consumatore o di taluni gruppi di
consumatori, basata sugli aspetti qualitativi, sui plus che il prodotto è in grado di offrire.
La metodologia di posizionamento per il prodotto alimentare implica la scelta di uno o
più segmenti di mercato e la evidenziazione degli aspetti che indicano: che cosa è il prodotto, a
che serve, chi sono i destinatari.
Le variabili di cui tenere conto sono:
►
il prodotto: è l’unico elemento che dipende dall’impresa alimentare e su cui è
possibile intervenire direttamente. È su di esso che si concentrano gli sforzi di
personalizzazione, di differenziazione per individuare lo spazio da occupare, di confrontarsi con
i prodotti della concorrenza e di formulare una politica rispondente alla posizione, al segmento,
al mercato.
►
la concorrenza: i concorrenti hanno propri posizionamenti, la cui conoscenza serve ad
evidenziare le caratteristiche più qualificanti per il prodotto, a valutare meglio le possibilità
operative, a formulare strategie di posizionamento alternativo; i dati da conoscere sono i punti
forti e vincenti della concorrenza, cioè: efficienza organizzativa, immagine del prodotto,
strategie in atto, ciclo di vita del prodotto, canali distributivi, politica di prezzo, quote di
mercato, marketing mix, promozione, mezzi di comunicazione impiegati, ecc.
►
il consumatore: l’identificazione e la valutazione delle attese del consumatore serve ad
identificare il suo grado di soddisfazione o insoddisfazione suscitato da un prodotto in uno o più
segmenti, e porvi rimedio.
I criteri che sono alla base della strategia di posizionamento da comunicare più o meno
direttamente al consumatore sono:
• posizionamento sulla base delle caratteristiche specifiche e differenziatrici del prodotto
(qualità, prezzo, competenza tecnologica, ecc.).
• posizionamento sulla capacità di soddisfare i bisogni, i benefici attesi, di risolvere i problemi
del consumatore (confezione, conservazione, sicurezza e semplicità di consumo, modernità,
ecc.).
• posizionamento su specifiche occasioni di consumo (dipendono dal mercato, dal tipo di
impresa, dal tipo di prodotto, dal ciclo di vita del prodotto, ecc.).
• posizionamento in contrapposizione ad un altro prodotto (rilevazione delle differenze con i
prodotti nella concorrenza).
73
La metodologia di impostazione del posizionamento si articola nei seguenti passaggi:
Consumatore
►
individuazione delle necessità e delle attese che il prodotto
alimentare vuole soddisfare.
Gruppi di
consumatori
►
definizione del segmento di mercato nel quale ci si vuole
posizionare.
Prodotto
►
formulazione delle caratteristiche e degli attributi del prodotto
che possono soddisfare le necessità e le attese individuate nel
segmento di mercato prescelto.
Concorrenza
►
definizione della mappa di posizionamento evidenziando le
marche presenti sul mercato correlate con le caratteristiche più
rappresentative del segmento prescelto.
Posizionamento
►
individuazione della zona di posizionamento nella mappa di
posizionamento, confronto tra posizionamento dell’azienda e
posizionamento del consumatore di quel segmento e
posizionamento dei prodotti concorrenti.
Verifica e
riposizionamento
►
verifica dei risultati ed eventualmente prendere azioni di
riposizionamento per rilanciare il prodotto.
La decisione fondamentale dell’impresa è la scelta dei segmenti di mercato; e dunque la
definizione dei consumatori e delle imprese concorrenti. La decisione di posizionamento del
prodotto contribuisce a precisare meglio le caratteristiche dei consumatori e della concorrenza
(dei concorrenti).
74
A questo punto l’impresa è pronta per procedere alla pianificazione del marketing mix.
IL CONCETTO DI POSIZIONAMENTO SECONDO RIES E TROUT
II termine posizionamento (positioning) è divenuto di uso comune dopo che due
pubblicitari, Al Ries e Jack Trout, lo utilizzarono in una serie di articoli comparsi su Advertising
Age con il titolo "The Positioning Era". Successivamente, gli stessi autori hanno pubblicato un
libro sull'argomento, Positioning: The Battle for Your Mind. Ries e Trout considerano il
posizionamento come un esercizio di creatività applicato ad un prodotto esistente. La
definizione che forniscono è:
II posizionamento nasce assieme al prodotto, sia esso un bene, un servizio,
un'impresa, un'istituzione o anche un individuo ... Ma il posizionamento non ha nulla a
che vedere con l'intervento sul prodotto, bensì riguarda l'intervento da effettuarsi sulla
mente del possibile acquirente. Il posizionamento, cioè, riguarda il modo in cui un
prodotto trova collocazione nella mente del potenziale consumatore.
Successivamente gli autori affermano che il processo di posizionamento può portare a
modificare il nome del prodotto, il prezzo e la confezione. Questi tuttavia: vanno visti come
«interventi di cosmesi finalizzati a consolidare l'immagine del prodotto .nella mente del
consumatore».
Per questo Ries e Trout sono interessati al posizionamento psicologico o
riposizionamento di un prodotto già esistente, piuttosto che al posizionamento di prodotti ancora
allo studio. In quest'ultima situazione, infatti, l'operatore di marketing deve sviluppare tutte le
variabili del marketing-mix, in modo che le caratteristiche del bene prodotto corrispondano
esattamente al mercato obiettivo prescelto.
Il problema del posizionamento, invece, riguarda sia gli interventi materiali da prevedere
sul prodotto, si agli interventi da provocare nella mente del consumatore. A proposito del
posizionamento psicologico Ries e Trout insistono utilmente su diversi aspetti. Prima di tutto
osservano che numerosi mercati sono formati da prodotti simili, senza alcuna differenza agli
occhi dei consumatori. In una società caratterizzata da eccesso di comunicazione, il problema
del marketing è proprio quello di creare la differenza tra i prodotti. L’idea chiave è che i
consumatori classificano mentalmente le caratteristiche dei prodotti sulla base di una o più
dimensioni. Così i consumatori mettono la Hertz al primo posto, la Avis al secondo e la
National al terzo quando pensano al parco macchine di cui le diverse organizzazioni di
autonoleggio dispongono. Compito dell'operatore di marketing è allora quello di fare in modo
che il prodotto venga ritenuto primo in relazione a una dimensione particolarmente importante,
dato che è proprio chi risulta essere al primo posto che ha la maggior probabilità di essere
ricordato. Tutti sanno che Lindbergh è stato il primo che ha sorvolato l'Atlantico, ma pochi
sanno chi è stato il secondo. Anche per le scelte di consumo avviene lo stesso.
Se in un mercato sono presenti molti prodotti con l’immagine di "numerò uno” è possibile
tentare qualcosa di diverso. Un alternativa può essere di affermare, per esempio, di essere
ancora più bravi del primo, come ha fatto l'Avis nella campagna ormai classica che diceva
«Siamo il numero due. Per questo ci impegnarne di più». Oppure è possibile individuare un'altra
caratteristica per la quale il prodotto possa risultare primo. L'operatore di marketing, in questo
caso, ricerca uno spazio vuoto nella mente del consumatore non ancora occupato da nessuno.
Quando la Seven-Up si fece pubblicità come la “non coca-cola”, puntò sul fatto che il suo nome
venisse per primo in mente al consumatore non appena decideva di bere qualcosa di diverso
dalla Coca.
Fonte: Si veda Al Ries e Jack Trout, Positioning: The Battle for Your Mimi, Warner
Books, New York1982 (trad. it.: Positioning. La. conquista della posizione vincente, McGrawHill, Amburgo 1984).
Fonte: Ph. Kotler, Marketing Management. ISEDI, 1991.
75
5 MARKETING MIX
5.1 Premessa
Il marketing mix è la strategia generale messa in atto per vendere un prodotto attraverso
le vie migliori per raggiungere gli obiettivi prefissati.
"Il marketing mix è la combinazione delle variabili controllabili di marketing che
l'impresa impiega al fine di conseguire gli obiettivi predefiniti nel mercato obiettivo" (P.
Kotler).
È strettamente collegato alla pianificazione globale dell’azienda ed in particolare al piano
marketing. "Un buon prodotto, dal giusto prezzo, ben pubblicizzato e distribuito capillarmente
sul territorio ha molte probabilità di incontrare le preferenze dell'acquirente“ (P. Kotler)
Attuare un programma (strategia) di marketing mix significa far agire positivamente e
coordinativamente sul mercato i suoi componenti, che sono: le 4P (ritenute le più importanti per
la gestione di un prodotto, P iniziali dall’inglese)
- Product (prodotto)
- Price (prezzo)
- Promotion – Pubblicity (promozione – pubblicità)
- Point of sale o place (distribuzione o punto vendita)
cioè, è necessario che:
- il prodotto con le sue caratteristiche corrisponda alle esigenze dei consumatori
- il prezzo sia giudicato accessibile
- la pubblicità susciti l’acquisto (comunicando il suo messaggio)
- la promozione faccia superare i pregiudizi all’acquisto
- la distribuzione sia efficiente e puntuale
Il marketing mix ha un obiettivo generale da realizzare e non obiettivi particolari di
settore, il programma è personalizzato per l’impresa e per il prodotto.
Il programma di marketing mix passa attraverso 4 fasi:
- analisi situazione attuale, su: mercato del prodotto, prodotto, prezzi dei prodotti della
concorrenza, distribuzione, pubblicità e promozione, vendita;
- definizione degli obiettivi a breve, medio, lungo termine, su: prodotto, equilibrio costiricavi, distribuzione, pubblicità e promozione, personal selling, marca, consegna;
- formulazione delle strategie e delle politiche, su: prodotto, prezzo, distribuzione,
pubblicità e promozione, varie ;
76
- scelta e combinazione degli obiettivi, su: prodotto, prezzo, distribuzione, pubblicità e
promozione, varie;
Alcuni osservatori ritengono che il modello delle 4P ometta o sopravvaluti alcune attività
importanti, quali ad esempio i servizi o la confezione. A queste obiezioni si può rispondere
dicendo che anche i servizi sono da ritenersi dei prodotti mentre il confezionamento è una delle
tante decisioni relative al prodotto. Il punto non è aumentare il numero delle categorie, ma
piuttosto avvalersi di uno schema utile ai fini della progettazione dei programmi di marketing.
Tuttavia può essere utile, ai fini della progettazione, accostare alle 4P anche le 2R:
Relazioni istituzionali, in grado di influenzare il mercato (es. tabacco o ambiente);
Relazioni pubbliche, atteggiamenti pubblici in caso di eventi eccezionali.
Esiste, inoltre, un’altra obiezione che presenta una sua validità. Il modello delle 4P
assume la prospettiva di mercato del venditore, non dell’acquirente. Dal punto di vista del
cliente, in questa era caratterizzata da forti relazioni e interazioni, le 4P potrebbero tramutarsi in
4C:
Cliente (bisogni e desideri del),
Costi per il cliente
Convenienza (del punto vendita)
Comunicazione (promozione del prodotto).
Pertanto, mentre le imprese si riconoscono quali venditori del prodotto, i clienti si
percepiscono come acquirenti di valore e soluzioni in grado di risolvere i loro problemi. I clienti
non sono interessati solo al prezzo, si preoccupano anche dei costi complessivi per l’acquisto,
dell’utilizzo e dell’eliminazione del prodotto; richiedono prodotti e servizi ottenibili nel modo
più semplice e comodo e aspirano ad una comunicazione bilaterale. Le imprese dovrebbero
quindi prima prendere in considerazione le 4C e su queste premesse costruire le 4P.
L’applicazione completa del mix trova attuazione nel piano marketing (risorse impresa,
marketing mix, segmento di mercato, ambiente esterno ), che è la concentrazione delle diverse
politiche di intervento che compongono il marketing mix: politiche di prodotto, politica di
prezzo, politica di distribuzione e vendita, politica di pubblicità e promozione, il cui insieme
viene integrato nella strategia di marketing. Il marketing mix del prodotto alimentare oltre alle 4
P ha altri fattori che lo possono perfezionare: immagine, marca, personal selling, trasporto,
servizio, ecc.
77
5.2 Prodotto
È il fulcro attorno al quale ruota l’attività di impresa.
Nel marketing mix è l’elemento sul quale si basano prezzo, distribuzione e pubblicità e
promozione, perché deve rispondere nel miglior dei modi alle esigenze del consumatore e del
mercato. Il prodotto deve essere elemento chiaro e preciso in modo che sia identificabile per il
nome, per le caratteristiche fisiche, tecniche, di prestazione, di qualità, di affidabilità, di
presentazione, di ruolo all’interno di una gamma di prodotti.
Esso riguarderà la domanda e l’offerta ed in particolare il consumatore, i canali di
distribuzione, la politica di prezzo, le tecniche promozionali e di comunicazione, le azioni di
vendita.
Il prodotto così non è statico, ma dinamico e come tale negli aspetti che lo formano e lo
caratterizzano coerente nei cambiamenti del mercato e dell’ambiente generale.
I requisiti o le caratteristiche del prodotto alimentare devono rispondere alle esigenze del
mercato, del consumatore, del prodotto in se stesso:
-
esigenze prodotto-mercato. Il prodotto deve rispettare le leggi ed i regolamenti e deve
corrispondere alle esigenze del mercato.
-
esigenze prodotto-consumatore. Il prodotto non è ciò che vende l’impresa, ma ciò che
desidera comprare il consumatore: deve essere considerato portatore di soddisfazione, di una
risposta, di una attesa, di un servizio al consumatore.
-
esigenze di prodotto. Comprende la progettazione, la scelta del prodotto da vendere
(qualità, confezione, destinatario: come, quando, dove, quanto consuma), il programma di
ricerca sul prodotto nel mercato.
Il prodotto deve avere una sua personalizzazione, deve cioè avere caratteristiche tipiche,
esclusive, non ripetibili dalla concorrenza e deve essere considerato in tutti gli aspetti che lo
compongono: interni (formato, peso, qualità, gusto, competenza tecnica) ed esterni (nome,
presentazione, politica di prodotto, rapporto-prezzo, rapporto-distribuzione, ecc.)
Le caratteristiche che definiscono un prodotto sono:
o
la funzione: a cosa serve? Fornisce una adeguata risposta ai bisogni dei consumatori?
o
la qualità, le cui componenti e aspetti sono:
• merceologica, valutata con analisi tecniche e di laboratorio
• commerciale, valutata in rapporto alle aspettative del mercato
• percepita dal mercato, misurata testando il prodotto direttamente sul consumatore
• il plus, qualcosa di più rispetto alla concorrenza: sono le caratteristiche che rendono
diverso il prodotto dagli altri, lo contraddistinguono e gli forniscono un’immagine
78
identificabile. Il plus può essere un servizio collegato al prodotto: garanzia,
conservabilità, funzionalità, logistica, ecc.. Il prodotto di successo ha un forte plus
competitivo che comprende :
la differenziazione del prodotto, a difesa della concorrenza e da potenziali
nuove entrate nel settore;
la possibilità di applicare prezzi più elevati;
la maggiore fedeltà dei consumatori;
il maggiore potere contrattuale anche nei confronti della distribuzione;
• il brand name (nome della marca, o marche). Spesso è definito con un nome proprio (es.
Nutella) e con un cognome (es. Ferrero). Nella scelta del nome di un prodotto è
importante che:
richiami e suggerisca al consumatore alcune peculiarità del prodotto (es.
Nutella cioccolato da spalmare);
sia di facile pronuncia, lettura, ricordo;
sia facilmente distinguibile dalle marche concorrenti;
sia facilmente estensibile ad altri prodotti da introdurre successivamente.
Nel campo alimentare qualità è sinonimo di buon prodotto (naturale, genuino, ben fatto,
affidabile, invitante) e di valorizzazione (naturalezza del prodotto, validità delle materie prime,
origine, processo di fabbricazione, disciplinare di produzione).
La qualità deve essere il perno su cui si fonda la strategia di marketing per divenire un
obiettivo della produzione (attraverso i fattori interni all’impresa che la realizzano: ideazione,
produzione, materie prime, ed i fattori esterni che la presentano: richiesta del mercato, dei
consumatori, della segmentazione, del posizionamento).
Il prodotto alimentare qualitativamente deve rispondere in maniera assoluta al gusto del
consumatore.
o
Il packaging, la confezione (package), la presentazione: il prodotto alimentare, anche nel
suo aspetto esteriore, deve riscontrare apprezzamento utilitaristico per il suo formato ed estetico
per la sua confezione: estetica associata alla praticità (utilitarismo), nel rispetto delle esigenze
del mercato e delle possibilità dell’impresa.
Considerando specialmente il fatto che nel supermercato nella vendita selfservice, non vi
è nessuna commessa che guidi l’acquisto.
Altro aspetto da non sottovalutare è la presentazione, che è il primo elemento che
differenzia il prodotto dalla concorrenza ed è il principale mezzo di contatto con il consumatore,
riuscendo a richiamare l’attenzione.
La presentazione di un prodotto è il cosiddetto venditore muto.
79
Il packaging, la confezione deve (essere):
accattivante, per invogliare il consumatore almeno a prendere in mano il
prodotto;
descrittiva, come fonte di notizie (es. calorie, conservanti, data di scadenza,
ecc.);
codice colore, deve rispondere ai canoni consolidati (es. per l’igiene e la
pulizia il colore blu);
facilitare l’uso del prodotto;
valorizzare il prodotto;
razionalizzare lo spazio;
essere riutilizzabile, per usi diversi se possibile;
essere veicolo promozionale per altri prodotti dell’impresa;
essere possibilmente in materiale non inquinante e riciclabile
o
il design: è lo stile particolare del prodotto, la sua personalizzazione che lo rende diverso
dagli altri prodotti delle altre imprese e lo rende immediatamente riconoscibile dal consumatore.
Sono soprattutto i beni cosiddetti di marca ad essere caratterizzati da un ben determinato
design.
o
la gamma: il prodotto può essere un elemento di linea, studiarlo può significare analizzare
le potenzialità in termini di extension line (estensione della linea, cioè possibilità di creare
prodotti con tutte le caratteristiche del prodotto iniziale, ma con particolarità che li rendono
idonei a soddisfare esigenze diverse).
o
il servizio: è dato da tutti gli accessori che si aggiungono alla prestazione di base (es.
consegna a domicilio, telefono verde.) La quantità e la qualità dei servizi diventano sempre più
un’arma di marketing.
5.3 Prezzo
Gli elementi del marketing mix devono essere strettamente collegati al prezzo. Il prezzo
caratterizza il prodotto e risponde alla domanda del consumatore, è in grado nello stesso tempo
di selezionare il segmento che più gli si addice (il prezzo è elemento di discriminazione
all’interno della domanda, in quanto per taluni beni alimentari evidenzia il livello di vita dei
consumatori). Il prezzo, contribuisce ad individuare un certo tipo di prodotto ed a favorire
l’immagine del prodotto.
80
Il prezzo è l’incontro della domanda e dell’offerta, ma deve rispondere al tipo di clientela
collocata nei segmenti prescelti, al posizionamento del prodotto, agli interventi di
comunicazione e di promozione.
Il prezzo è l’elemento meglio e immediatamente percepito dal consumatore, ma per
l’impresa è l’elemento più difficile da determinare, perché è fortemente condizionato da fattori
che sfuggono al suo controllo, quali l’andamento della domanda ed il comportamento delle
imprese concorrenti.
La variabile prezzo è decisiva per le imprese, perché:
- influenza il posizionamento competitivo del prodotto (il prezzo non solo ha rilevanza
economica per il consumatore, ma contribuisce ad attribuire al prodotto caratteristiche
qualitative: il prezzo fa la qualità del prodotto);
- influenza la quota di mercato in termini di fatturato;
- influenza il fatturato ed il profitto d’impresa.
Le caratteristiche fondamentali del prezzo sono:
- il prezzo è una variabile di facile manovra, ma di difficile gestione (può comportare facili
o insanabili squilibri);
- il prezzo è una variabile priva di connotati qualitativi, nel senso che tutte le aziende
possono usare tale leva senza avere particolari capacità gestionali o di marketing;
- il prezzo è una variabile facilmente imitabile dalla concorrenza ed è la manovra più
praticata (strategia price-competition: strategia basata esclusivamente sul prezzo; ha un
grosso potere destabilizzante per tutto il mercato perché abbassa i livelli di profitto delle
imprese e perché una volta innescata è difficile da abbandonare).
81
5.4 Pubblicità e promozione
Insieme concorrono a definire la strategia di comunicazione del prodotto, anche se spesso
sono erroneamente assimilati.
Pubblicità
La divulgazione di un messaggio che richiami l’attenzione dei
consumatori su un determinato prodotto attraverso l’uso dei
media (mezzi di comunicazione).
Promozione
Attività di breve periodo volta ad incentivare l’acquisto di un
prodotto o di un servizio.
Le componenti della pubblicità sono:
- messaggio pubblicitario: idea che si vuol fare arrivare al consumatore, cioè cosa deve
comunicare e su quale aspetto del prodotto far convergere l’attenzione del consumatore
(consumatore con determinate caratteristiche: target);
- (scelta dei) media, da cui dipende l’ammontare dell’investimento pubblicitario
(rapporto costo-contatto medio: costo che l’impresa spende per contattare un utente);
- marketing diretto (direct marketing): gli strumenti sono il mailing (invio per posta di
materiali, brochure-depliant, messaggi pubblicitari) e il tele marketing (contatto telefonico) con
il target di riferimento.
Le tipologie o gli strumenti della promozione sono:
- i collezionamenti (collecting): con l’acquisto di un prodotto si riceve un certo numero di
punti con premio quando si raggiunge un ammontare determinato di punti;
- minicollecting: forme di confezionamento brevi, per non stancare il consumatore;
- gift on/in pack (regalo sopra o dentro la confezione);
- cancella e vinci (scratch off), usata nelle vendite per corrispondenza
- concorsi ad estrazione (legata a qualche manifestazione);
- altre promozioni: puzzle (combaciamento di una scheda con la scheda madre), ricorrenze,
iniziative benefiche, ecc.
82
La pubblicità e la promozione devono sempre tenere in conto la tipologia di prodotto
alimentare, la situazione del mercato, la concorrenza, il comportamento del consumatore,
devono presentare il prodotto e sostenerlo presso il consumatore ed il mercato (trade, forza
vendita, consumatore).
La pubblicità e la promozione devono assolutamente complementarsi con la distribuzione
e la vendita del prodotto, perché solo in questo modo diventano validi strumenti per ottenere nel
breve e nel medio termine volumi di vendita.
La pubblicità dovrà pertanto identificare il prodotto, la marca, l’azienda e comunicarli al
consumatore.
La promozione dovrà informare, convincere e ricordare al consumatore l’utilità e
l’esigenza di un prodotto.
5.5 Distribuzione
La distribuzione trasferisce il prodotto dalla fonte della produzione fino al cliente finale,
attraverso percorsi definiti canali di distribuzione.
La scelta della distribuzione e della vendita più efficace è il momento concreto della
realizzazione di tutta la politica di marketing ed in particolare del programma del marketing
mix.
Canale di distribuzione è la modalità con cui il prodotto arriva al consumatore finale.
I principali canali di distribuzione sono:
- canale diretto: dal produttore al consumatore.
- canale corto: tra produttore e consumatore si interpone un rivenditore (negozio o catena
di supermercati), in questo caso l’azienda produttrice deve avere una rete di vendita.
- canale lungo: tra produttore e consumatore si interpongono almeno due operatori:
grossista e rivenditore.
Punto vendita struttura immobiliare aperta al pubblico, fissa e con libero accesso dal
piano stradale. Dunque non sono punti vendita i banchetti degli ambulanti o le abitazioni
private.
La giusta distribuzione dipenderà soprattutto dal prodotto, dal settore merceologico
alimentare, dalla dimensione dell’impresa, dagli obiettivi aziendali che sono alla base della
politica di marketing.
83
Gli obiettivi specifici della politica di distribuzione e vendita sono: volumi e quote di
vendita, tecniche di distribuzione, numero di punti vendita, personale di vendita con cui
intervenire, ecc.
TABELLA RIEPILOGATIVA
Cos’è il marketing
mix
Strategia generale legata alle politiche della qualità, del prezzo, dei canali
distributivi, dei servizi e della comunicazione pubblicitaria
La politica del
prodotto può
riguardare
il miglioramento dei prodotti
l’aggiunta di nuove linee di prodotti
l’eliminazione di prodotti in declino
l’offerta di nuovi servizi ecc.
il miglioramento dei rapporti di comunicazione
la riduzione di lamentele e reclami
lo sviluppo di nuovi servizi ecc.
il miglioramento della qualità della rete distributiva
l’aumento dei canali a cui far riferimento
il miglioramento della qualità e del numero dei servizi
la promozione
la pubblicità
la propaganda
la valutazione del comportamento dei clienti alla variazione del prezzo
la reazione alla concorrenza
la differenziazione dei prezzi fra segmenti di mercato
la differenziazione tra vecchi e nuovi prodotti
la preparazione professionale
la programmazione e organizzazione del proprio lavoro
la gestione diretta dei reclami e dei rapporti con la clientela ecc.
La politica per i
servizi alla clientela
prende in
considerazione
La politica dei
canali distributivi
riguarda
La politica della
comunicazione ha
come oggetto
La politica dei
prezzi riguarda
La politica di
vendita del
personale ha come
obiettivo
Fonte: M. Lepore, Ma cos’è il Marketing? E come usarlo?. Demetra, 1999.
84
6 IL PRODOTTO
6.1 Concetto definizione e classificazione dei prodotti
Prodotto, è un concetto complesso: può consistere in oggetti fisici e tangibili, servizi,
persone, località, istituzioni, idee, immagini, simboli.
È possibile scomporre il prodotto (totale) in concetti o livelli:
• Prodotto essenziale o atteso o prodotto utilità: è la base del prodotto ed esprime o
identifica il vantaggio che il consumatore ricava o si attende dal consumo del prodotto;
• Prodotto fisico, o tangibile, o sostanziale, o generico: è l’oggetto con le sue peculiarità, le
sue modalità costruttive, i suoi connotati, i suoi materiali incorporati, contraddistinti da:
qualità, design, colore, confezione, dimensione, specifiche caratteristiche;
• Prodotto ampliato: è costituito dalle opportunità, dai vantaggi, dai servizi che
accompagnano l’offerta (certificazione, garanzia, assistenza, servizi, tipo di punto
vendita, ecc.);
• Prodotto potenziale: ulteriori aspetti che potenzialmente possono interessare o attrarre i
consumatori (prestigio del produttore, del negozio, ecc.).
La scomposizione del prodotto (totale) consente ulteriormente di differenziare i suoi
connotati fisici e tangibili (differenziazione sostanziale) dai connotati immateriali ed
immaginifici (differenziazione simbolica); quest’ultima addirittura può indurre il consumatore a
ritenere che esistano anche differenze nel prodotto fisico o tangibile, come modifiche anche
poco rilevanti nelle connotazioni fisiche possono dar vita ad un prodotto nuovo da immettere in
nuovi mercati.
L’impresa dunque deve vendere benefici, capaci di soddisfare bisogni e desideri, più che
semplici prodotti, cioè deve vendere simboli più che prodotti, perché “la gente non compra cose
per quello che servono, ma per quello che significano” (Levy 1959).
Definizione: prodotto è tutto ciò che può essere offerto ad un mercato, a fini di attenzione,
acquisizione, uso o consumo, in grado di soddisfare un desiderio o bisogno.
85
Tre livelli di prodotto:
Fonte: Ph. Kotler, Marketing Management. ISEDI,1991.
Ogni aspetto del prodotto è legato gerarchicamente ad altri aspetti dello stesso, che dal
bisogno di base arriva allo specifico oggetto capace di soddisfare tale bisogno. Si distinguono:
1. Famiglia dei bisogni: il bisogno fondamentale o di base origina la
Fame
famiglia di prodotto;
2. Famiglia di prodotto: è costituita da tutte le classi di prodotto in grado di
Alimenti
soddisfare il bisogno fondamentale o di base;
3. Classe di prodotto: gruppo di prodotti che presentano coerenza
Ortofrutta,
cereali, carne.
funzionale;
4. Linea di prodotto: gruppo di prodotti strettamente correlati all’interno di
Pane, pasta, o
prodotti da
forno, o frutta
o ortaggi
una classe che presentano similarità o omogeneità tecnico-produttiva, ed
operano in modo simile, in quanto: soddisfano una medesima fascia di
bisogni, o sono complementari nell’uso, o sono offerti attraverso lo stesso
tipo di canali, o appartengono ad una stessa fascia di prezzo.
86
5. Tipo di prodotto: gli articoli di una stessa linea di prodotto, o categoria di
prodotto che hanno in comune una delle diverse forme che il prodotto
Mele, pane
può assumere;
6. Marca: il nome associato ad uno o più articoli di una linea, che serve per
Melinda
identificare l’impresa o le caratteristiche del prodotto;
7. Articolo: un’unità distinta nell’ambito di una marca o di una linea di
Varietà di
mele:
imperatore;
tipo di pane:
prodotto, riconoscibile per l’aspetto, la dimensione, il prezzo o altro.
L’insieme dei prodotti offerti sul mercato da un’impresa costituisce il suo portafoglio
prodotti (product mix), o anche assortimento, che può essere più o meno ampio in funzione del
numero di linee di prodotto offerte.
I prodotti si classificano in base alle caratteristiche in:
• Beni non durevoli, prodotti tangibili consumati in una sola volta o in poche volte. Si
consumano rapidamente e vengono acquistati frequentemente;
• Beni durevoli, prodotti tangibili utilizzati molte volte, acquistati in lunghi intervalli di
tempo;
• Servizi, sono prestazioni, vantaggi o soddisfazioni offerti in vendita. Sono intangibili,
inseparabili, variabili, deperibili.
6.2 Classificazione dei beni di consumo
I prodotti si suddividono in beni di consumo e beni industriali; di questi ultimi non ci
occupiamo perché fattori destinati all’impiego in attività economiche.
I beni di consumo sono prodotti destinati ad essere usati dai consumatori finali, nella loro
forma attuale.
I beni di consumo si possono suddividere sulla base delle abitudini d’acquisto dei
consumatori in tre classi:
1. convenience goods, sono prodotti
Vino
•
conosciuti perfettamente dai consumatori
•
facilmente reperibili ed acquistabili
Alimentari, detersivi,
articoli dell’igiene ecc.
Hanno normalmente basso prezzo, non sono voluminosi, non sono influenzati
dalla moda, non c’è presenza di marca particolare.
87
2. shopping goods, sono prodotti acquistati meno frequentemente dei primi,
ma su cui il consumatore effettua confronti di qualità, di peso, di stile, e sono
Vino di
qualità
disponibili in parecchi negozi. Costano di più dei convenience goods (vestiti da
donna, casalinghi, calzature, mobili, ecc.).
3. speciality goods, sono prodotti per i quali i consumatori hanno forte
Vino
Brunello di
Montalcino
preferenza di marca, impiegano tempo per acquistarli e sono disposti a pagare
prezzi alti. Il consumatore sa cosa vuole (es. abiti di alta moda, automobili, certi
tipi di elettrodomestici, ecc.).
Uno schema sulle caratteristiche delle diverse classi di beni di consumo e sulle
considerazioni di marketing è il seguente (Stanton):
Caratteristiche dei prodotti
Tempi e sforzi di acquisto
Tempo speso per pianificare l’acquisto
Confronto di prezzo e qualità
Frequenza di acquisto
Importanza del prodotto
Considerazioni di marketing
Lunghezza del canale
Importanza del dettagliante
Numeri di sbocchi di mercato
Tasso di rotazione delle scorte
Margine lordo
Responsabile della pubblicità
Importanza dell’esposizione del
prodotto nel punto vendita
Carattere della affezione alla marca o al
negozio
Importanza della confezione
Tipo di bene
Convenience
Molto ridotti
Molto ridotti
No
Frequente
Shopping
Considerevoli
Considerevoli
Si
Non frequente
Spesso
molto
importante
Speciality
Non si può generalizzare
Considerevoli
No
Non frequente
lungo
non importante
massimo
alto
basso
produttore
corto
importante
limitato
basso
alto
dettagliante
corto o diretto
molto importante
limitato, spesso uno soltanto
basso
alto
congiuntamente
molto importante
meno importante
meno importante
marca
negozio
entrambi
molto importante
meno importante
meno importante
Non importante
Non si può generalizzare
La classificazione dei beni di consumo è, inoltre, basata sulle abitudini di acquisto dei
consumatori. Si distinguono in:
•
beni di convenienza. Acquistati frequentemente con minimo sforzo di acquisto e di
comparazione. Possono suddividersi in:
-
beni ad acquisto corrente, o regolarmente (es. cibi);
88
-
beni ad acquisto d’impulso, acquistati senza sforzo di ricerca o di programmazione.
Normalmente non si cercano (es. fiori);
-
beni di emergenza. Si acquistano in caso di bisogno urgente (es. ombrelli in caso di
pioggia);
•
beni ad acquisto saltuario o ponderato. Beni che durante il processo di acquisto il
consumatore confronta abitualmente con altri su: qualità, rispondenza al bisogno, prezzo, stile
(es. abbigliamento). Si distinguono in:
•
omogenei, simili per qualità, ma con prezzi diversi (es. camicia di marca)
eterogenei, importanti per le caratteristiche, meno per i prezzi (es. orologi da polso);
beni speciali. Beni con caratteristiche uniche o identificazione di marca (es. certi beni
voluttuari o la Ferrari). Un certo consumatore è disposto a fare un particolare sforzo d’acquisto.
Per questi beni non si fa comparazione;
•
beni non previsti. Beni non conosciuti dal consumatore o che non gli sollecitano interesse
(sono i non prodotti, fino a che non vengono con la pubblicità portati alla conoscenza).
6.3 Le strategie di prodotto
Le strategie di prodotto comportano decisioni relative alla combinazione di prodotti e al
singolo prodotto.
6.3.1 Decisioni relative alla combinazione (o assortimento) di prodotti.
Combinazione o assortimento di prodotti è l’insieme dei prodotti offerti da un’impresa
(portafoglio prodotti o product mix).
La combinazione di prodotti di un’impresa è caratterizzata da 4 dimensioni:
1) ampiezza, numero di linee di prodotto (es. pasta, prodotti da forno, ecc.);
2) lunghezza, numero di prodotti di una linea, o di tutte le linee;
3) profondità, numero di varianti (articoli) di ogni prodotto della linea (diversi formati,
diversi colori, combinazione formato per colore, ecc.)
4) coerenza (fra tecnologie e strumenti di marketing), nesso logico-funzionale fra le
varie linee di produzione, cioè correlazione fra le varie linee di prodotto riguardo al loro uso
finale, alle caratteristiche del processo produttivo, ai canali di distribuzione, ad altri aspetti
ancora.
Si può avere:
• coincidenza per tutte le linee di tecnologia e di strumenti di marketing (es. industria
del mobile);
89
• coincidenza di tecnologie e diversità di strumenti di strumenti di marketing (es.
articoli per famiglie e articoli per comunità);
• coincidenza di strumenti di marketing e diversità di tecnologie (es. prodotti dolciari e
da forno);
• non coincidenza di entrambi gli aspetti (nel caso di sviluppo diversificato
dell’impresa).
Nelle decisioni sull’assortimento (combinazione, portafoglio), occorre tenere conto che la
numerosità dei prodotti reca vantaggi e svantaggi.
Vantaggi:
-
migliora lo sfruttamento dei costi fissi delle strutture produttive;
consente di soddisfare più segmenti di mercato;
razionalizza e migliora la capacità commerciale;
regolarizza gli andamenti periodici delle vendite;
consente di completare gli assortimenti;
migliora lo sfruttamento della pubblicità per le famiglie di marche;
comporta minore rischi d’obsolescenza dei prodotti;
Svantaggi:
-
comporta produzioni limitate per ogni tipo di prodotto e quindi costi unitari più
elevati;
-
produce difficoltà nell’organizzazione amministrativa;
riduce la velocità di rotazione delle scorte;
rende necessaria la conservazione degli assortimenti, anche di prodotti poco
convenienti;
-
disperde gli sforzi promozionali;
-
può produrre fenomeni di cannibalizzazione, cioè un prodotto sottrae fatturato
ad altro prodotto.
90
Le strategie connesse con le decisioni sull’assortimento possono essere:
1) Strategie di variazione del portafoglio prodotti: aumento o riduzione delle linee di
prodotto e/o la lunghezza e/o la profondità all’interno di una di esse.
2) Strategie di posizionamento del prodotto sul mercato. È una decisione chiave della
politica di prodotto.
Posizionamento: collocazione del prodotto nel sistema di percezione del consumatore,
fa riferimento all’immagine del prodotto rispetto ai prodotti concorrenti ed agli stessi prodotti
dell’impresa.
Il posizionamento può essere effettuato rispetto ad un prodotto concorrente (confronto,
scontro):
• in funzione degli attributi del prodotto (durata, confort, gusto, prestazioni,
convenienza, ecc..);
• in funzione del rapporto prezzo/qualità, utilizzato per prodotti che comportano elevate
implicazioni di status sociale (es. capi d’abbigliamento nelle diverse tipologie di punti vendita);
• in funzione delle modalità d’uso del prodotto, che consiste nell’associare al prodotto
uno specifico uso o consumo o applicazione (es. bevanda dietetica come sostitutivo del pasto o
come prodotto integrativo per atleti);
• in funzione del mercato obiettivo, segmento di mercato o tipo di consumatore che
utilizza il prodotto, (es. distinzione fra shampoo per adulti e per bambini determinata dalla
diminuzione delle nascite);
• in funzione del confronto con la concorrenza o rispetto ad una categoria di prodotti.
Identificazione delle caratteristiche di un prodotto (marca) per differenza rispetto ad un prodotto
concorrente (cioè dissociazione). Tale dissociazione può essere generica (es. “siamo i migliori”,
“il più venduto”) o specifica (es. “rispetto alla marca X la nostra ha tali caratteristiche”: Sevenup posizionata come unCola, bibita anti Cola, in maniera da distinguerla da altre bevande a base
di cola.
Il fenomeno del posizionamento è attivamente in essere nel mercato agroalimentare, con
il crescente numero di informazioni date sulla
confezione del prodotto e sulle capacità
nutrizionali.
3) Strategia di espansione dell’assortimento con prodotti appartenenti ad una diversa
fascia di prezzo: prodotti a fascia di prezzo più alta, per innalzare l’immagine (strategia del
trading-up), prodotti a fascia di prezzo più bassa, per abbassare l’immagine (strategia del
trading-down).
91
4) Strategie di differenziazione del prodotto e di segmentazione del mercato. Sono
collegate con politiche della “non price competition” in mercati caratterizzati da concorrenza
imperfetta o monopolistica.
a) La differenziazione ritiene che sul mercato esista una sola curva di domanda, per
cui la strategia è di penetrare in ampiezza per assicurarsi uno strato della torta di
mercato (in senso orizzontale). L’impresa in questo contesto cerca di rendere il
proprio prodotto differente (migliore) da quelli delle imprese concorrenti,
sottraendosi alla competizione di prezzo, modificando il design, la confezione,
creando una marca, ecc.
b) La segmentazione presuppone che il mercato globale sia eterogeneo, ma formato
da segmenti omogenei (per desideri, motivazioni e caratteristiche peculiari, cioè
non esiste una sola curva di domanda, ma una serie di curve di domanda a cui
offrire una pluralità di prodotti ognuno dei quali rivolto ad un particolare segmento
(con prezzi diversi). La strategia di segmentazione presuppone dunque la
penetrazione in profondità in mercati limitati, per assicurarsi una o più fette della
torta di mercato (in senso verticale).
5) Strategie riguardanti l’obsolescenza pianificata ed il fenomeno della moda. Si basa
sulla ricerca del nuovo (ma non troppo nuovo) del consumatore, cioè sulla novità (nei prodotti,
negli stili, nei colori, ecc.). Si distinguono le seguenti modalità strategiche:
a) obsolescenza tecnologica o funzionale (miglioramenti di natura tecnica);
b) obsolescenza ritardata (il miglioramento tecnologico viene ritardato fino a che non
si verifica una flessione per l’attuale prodotto sul mercato);
c) obsolescenza nello stile (è di tipo psicologico o dovuto alla moda: si ottiene
modificando alcune caratteristiche superficiali del prodotto).
Stile: è un modo specifico di costruire o presentare qualcosa nei campi dell’arte, dei
prodotti, del comportamento umano;
Moda (legata alla novità e all’eleganza): ogni stile accettato e acquistato da gruppi
successivi di consumatori in un periodo ragionevolmente lungo. Non tutti gli stili
diventano moda, perché non sempre sono largamente accettati, né hanno lunga
durata (in questo caso si parla di capriccio, es. gli orologi Swatch).
Gli stili fondamentali non cambiano mai, mentre la moda è in continua evoluzione.
92
6.3.2 Decisioni relative al singolo prodotto
Il consumatore quando sceglie i prodotti dà rilevanza sia alle caratteristiche intrinseche,
sia ad una serie di elementi che attengono al modo o alle modalità di identificazione,
confezionamento, presentazione e assistenza sul mercato (marca, colore, disegno, garanzia, tipo
di confezionamento ecc.). Il secondo aspetto è strettamente intercorrelato con le principali
funzioni aziendali, influenzandole fortemente.
Nelle decisioni (o nelle politiche) relative al singolo prodotto le variabili da considerare
sono: attributi del prodotto, marca, confezione, etichetta, servizio alla clientela.
1 - Attributi del prodotto, cioè aspetti tangibili (qualità, caratteristiche, stile):
• qualità, rappresenta la capacità del prodotto a svolgere le sue funzioni e comprende:
durata, affidabilità, precisione, facilità d’uso e di riparazioni, ed altri, dei quali alcuni
misurabili.
Dagli anni ’80 il tema della qualità suscita un grande interesse fra i consumatori e per
conseguenza fra le imprese: crescente è l’interesse per i cibi freschi, e nutrienti, da
buongustai e naturali.
La qualità è uno dei più importanti strumenti di posizionamento.
• caratteristiche del prodotto, partendo da un modello base il prodotto può avere diverse
caratteristiche; servono a differenziare il prodotto dell’impresa da quelli delle imprese
concorrenti e pertanto sono un forte strumento competitivo.
• stile (o design), dà personalità al prodotto, lo differenzia, lo rende facilmente
identificabile, ne aumenta l’attrattiva, la funzionalità e il prestigio; può comunicare valore
al consumatore, rendere più semplice la scelta.
2 - Marca (politica di). Aggiunge valore ad un prodotto e pertanto costituisce un aspetto
intrinseco della strategia di prodotto.
Il termine “marca” è ampio, ma include anche significati circoscritti:
• Marca (in senso stretto) (brand) fa riferimento ad un nome, termine, simbolo, disegno (o
una combinazione) che ha lo scopo di identificare i prodotti o i servizi di un’impresa, un
gruppo di imprese, per differenziarli da quelli dei concorrenti;
• Nome di marca (brand name), sono le parole, lettere e/o numeri che possono essere
vocalizzati o pronunciati (letti);
• Marchio (brand mark), è l’effige di marca, che assume la forma di un simbolo, di un
disegno, di un colore o di un tipo di iscrizione o di rappresentazione caratteristico, non
pronunciabile, ma di immediato riconoscimento con lo sguardo;
93
• Marchio di fabbrica (trademark), è una marca (o una sua parte) protetta legalmente in
quanto ne afferma la proprietà esclusiva di un’impresa;
• Copyright, è il diritto legale esclusivo di riprodurre pubblicare e vendere la sostanza e la
forma di un’opera letteraria, musicale o artistica.
Le origini della marca risalgono alle corporazioni medievali. In campo artistico
praticamente è sempre esistito, con la firma dell’artista. In USA l’uso della marca risale alla
Guerra Civile per le produzioni medicinali e soprattutto a dopo questa guerra per il crescere del
mercato con l’ampliamento della nazione (Stati Uniti). Alcune di quelle esistono tutt’oggi: “latte
condensato Borden”, “Quaker Oats”, “Vaseline”, “Ivory Soap”.
Lo sviluppo della marca è tale che oggi non vi è prodotto che ne sia privo. La marca è
uno strumento di identificazione del prodotto che può essere reclamizzato con la pubblicità,
assicura il riconoscimento immediato del prodotto sul punto vendita, riduce la possibilità di fare
confronti di prezzo, può conferire un certo prestigio a prodotti comuni, che altrimenti
potrebbero apparire “banali” (es. banane Cichita, arance Riberella, pompelmi Jaffa, mele
Melinda, pasta Barilla o DeCecco), costituisce pertanto un mezzo per accrescere la vendibilità
dei prodotti.
Addirittura oggi sono ricomparsi prodotti di consumo fondamentali privi di marca, con
confezioni semplici ed inserzioni meno costose (es. spaghetti, tovaglioli di carta, pesche in
scatola, ecc.). Il minore prezzo è reso possibile da ingredienti di qualità inferiore, da minori
costi di confezionamento, da pubblicità ridotta al minimo (come per i prodotti alimentari
generici, che costituiscono minaccia per le marche di prezzo elevato).
Si distinguono le:
►
marche industriali, che si distinguono ulteriormente in:
o Marca del produttore, prodotti messi in vendita con il nome dell’impresa;
o Marca del licenziante, prodotti messi in vendita con il nome di un’altra impresa
(licenziante) sulla base di licenze ottenute (nella affiliazione o franchising);
o Marca terzista, prodotti messi in vendita da un’impresa manifatturiera, ma realizzati
da una o più imprese esterne non controllate, (pasta Barilla prodotta da Poiatti);
►
marche commerciali, le imprese commerciali pongono in vendita con il proprio nome
prodotti realizzati da imprese manifatturiere fornitrici.
94
La marca consente di conseguire molteplici vantaggi:
• all’impresa produttrice: esemplificazioni del processo di evasione degli ordini,
protezione per certe caratteristiche di unicità del prodotto, possibilità di attirare un fedele e
redditizio gruppo di clienti (fedeltà alla marca offre una certa protezione dalla concorrenza),
facilita la segmentazione del mercato, consolida e sviluppa la propria immagine complessiva.
• all’impresa commerciale: di aumentare il controllo del mercato (il consumatore trova
solo in quei punti vendita il prodotto con quella marca); di vendere i propri prodotti di marca a
prezzi inferiori a quelli dei corrispondenti prodotti industriali (per le quantità approvvigionate a
prezzi vantaggiosi, per minori costi di pubblicità e distribuzione, ecc.).
Nei confronti delle marche industriali l’impresa commerciale ha preferenza perché la
marca è un mezzo per accrescere la vendibilità dei prodotti, per identificare i fornitori, per
mantenere stabile il livello qualitativo della produzione, per sviluppare le preferenze dei
consumatori.
I consumatori preferiscono le marche perché consentono di identificare le differenze di
qualità e di acquistare in modo più efficiente.
Le aziende che vendono una pluralità di prodotti possono distinguere quattro strategie di
prodotto:
usare una stessa marca (denominazione dell’impresa, marca di famiglia) per tutti i
prodotti (es. Kodak);
usare marche differenti (marche individuali) per ciascun prodotto (es. la Procter e
Gamble per Dash e Aci);
usare marche separate (denominazioni diverse) per varie linee o gruppi di prodotti che
costituiscono il product-mix dell’impresa (es. Barilla, con Mulino bianco e Pasta Barilla);
usare insieme in combinazione la denominazione (nome) dell’impresa e la
denominazione individuale (nome specifico di marca) del prodotto (es. Ferrero: Nutella;
Ferrero: Mon chèri).
La denominazione deve costituire parte integrante del prodotto; serve per lanciare
prodotti modificati o nuovi e per introdurre nuove dimensioni, nuove confezioni, nuovi gusti o
modelli, ecc. (estensione della marca), riduce i costi della promozione, determina una risposta
immediata al prodotto.
Dopo un certo numero di anni alcune marche acquistano notorietà e diffusione tali che il
nome della marca viene usato in sostituzione del nome generico di quel particolare prodotto. I
consumatori così associano il nome al prodotto (es. Nutella e non cioccolata da spalmare) e non
al produttore che ha applicato la marca.
95
Vi sono molti esempi di nomi di marca che si sono trasformati in nomi generici e
vengono usati in senso merceologico (aspirina, linoleum, Kerosene, nylon, kleenex, hag, ecc.).
Tali nomi di marca in origine legalmente protetti, oggi hanno perso capacità di distinzione e
vengono usati da tutte le aziende, anche perché è scaduto il periodo di protezione.
La trasformazione in nome generico non è un fatto positivo per l’impresa, per cui per
evitare inconvenienti si usa il nome di marca con il nome dell’azienda (es. Nutella Ferrero, Bel
Paese Galbani) oppure il nome di marca con il nome generico (es. Bitter analcolico San
Pellegrino).
Per quanto una marca possa essere ben posizionata su un mercato, dopo un certo tempo
può rendersi necessario un riposizionamento (è il caso di Seven-Up).
3 - Confezione. La confezione
(Package) per l’importanza che riflette nella
commercializzazione è stata definita la quinta P del marketing mix, ma anche un “venditore
silenzioso”, in quanto sul punto di vendita nella tecnica di libero servizio è un fattore
convincente.
Il confezionamento (Packaging) è l’insieme delle attività di progettazione, di design e di
produzione dei contenitori (o degli involucri) per mettere in commercio i prodotti.
La confezione serve a proteggere il prodotto e la sua funzionalità dal momento che esce
dalla fabbrica fino all’acquisto del consumatore e oltre (cioè fino al suo utilizzo), ed inoltre
serve ad identificare il prodotto, a differenziarlo rispetto a quelli concorrenti, a ridurre i costi ed
aumentare le vendite al dettaglio.
La confezione (o contenitore) comprende tre livelli:
• confezione primaria per il prodotto posto in vendita, è il contenitore vero e proprio (es.
la bottiglia);
• confezione secondaria, è la scatola di cartone che contiene la bottiglia;
• imballaggio, comprende i materiali per il magazzinaggio, per l’identificazione e per il
trasporto.
Diverse ragioni hanno contribuito all’utilizzo della confezione come strumento di
marketing:
• libero servizio, dove la confezione deve svolgere molte funzioni di vendita: attirare
l’attenzione, descrivere le caratteristiche del prodotto, ispirare fiducia, dare
un’impressione favorevole;
• benessere (vantaggi) del consumatore, che richiede nella confezione comodità,
aspetto, affidabilità, prestigio;
96
• immagine di marca, serve a riconoscere immediatamente una marca o un’impresa;
• opportunità innovative, una confezione innovativa può portare vantaggi al
consumatore e profitti per il produttore (es. migliora la consumabilità del prodotto o il
suo uso: lattine con apertura a strappo, tetrabrik per il vino).
Le decisioni riguardanti la confezione sono:
• concetto di confezione, cioè cosa deve essere o fare per il prodotto (protezione,
distribuzione, suggerimenti per la qualità, ecc.);
• dimensioni;
• forma (design), che spesso costituisce l’unica differenziazione del prodotto ed è un
forte impulso promozionale di vendita;
• materiale;
• colore, rappresenta spesso l’elemento decisivo nel determinare l’accettazione o il
rifiuto del prodotto da parte del consumatore;
• testo e marchio di fabbrica: etichetta.
4 - Etichetta. L’etichetta, è quella parte della confezione che riporta scritte le
informazioni sull’articolo, sul prodotto e sul produttore; può essere costituita da un grafico che
fa parte della confezione o da un semplice cartellino applicato al prodotto (collarino, bollino,
ecc.).
Svolge diverse funzioni:
• identificazione del prodotto o della marca (fondamentale);
• classificazione per categoria;
• descrizione delle caratteristiche del prodotto (fonte, luogo ed epoca di produzione,
contenuto, destinazione, scadenza, norme di sicurezza ecc.);
• promozione del prodotto, con la grafica accattivante;
e pertanto si distinguono in:
• etichette di identificazione
• etichette di classificazione
• etichette descrittive
• etichette promozionali
Esiste una stretta relazione dunque fra confezione, etichetta, marca.
97
5 - Servizio alla clientela. L’offerta di un prodotto nel mercato include servizi, che
possono variare da prodotto a prodotto.
Le offerte si distinguono:
• puro bene tangibile (es. sapone, sale): nessun servizio;
• bene tangibile associato a servizi per aumentare l’attrattiva del prodotto. Quanto più il
prodotto è tecnologicamente sofisticato tanto più le vendite dipendono dalla
disponibilità dei servizi (servizi di assistenza, riparazione, ecc.);
• servizio fondamentale con associati beni (tangibili) e servizi di secondaria importanza
(es. volo aereo con assicurato cibo e bevande, riviste, ecc.);
• puro servizio (es. psicoterapia).
Servizio è un’attività o vantaggio la cui natura è essenzialmente intangibile e non implica
la proprietà di alcunché.
La sua produzione può essere legata più o meno ad un prodotto fisico. I servizi hanno
quattro caratteristiche:
• intangibilità
• inseparabilità
• variabilità
• deperibilità
Si classificano in:
• servizi basati sulle persone (es. portineria);
• servizi basati sulle attrezzature (es. autolavaggio);
• servizi che richiedono la presenza del cliente (es. visita medica);
• servizi che non richiedono la presenza del cliente (es. riparazione auto);
• servizi che soddisfano bisogni personali (es. visita medica privata);
• servizi che soddisfano bisogni professionali (es. convenzione medica fra imprese e
medici per i dipendenti).
98
7 IL CICLO DELLA VITA DEL PRODOTTO
7.1 Il concetto
Il ciclo di vita di un prodotto (o servizio) esprime l’andamento nel tempo delle vendite e
della redditività, ciò significa che:
i prodotti hanno vita limitata;
le vendite attraversano fasi distinte;
i profitti aumentano o diminuiscono durante queste fasi;
le strategie di marketing, finanziarie, di produzione, di acquisti e di personale variano
nelle diverse fasi.
L’esistenza e la durata del ciclo dipende da una serie di fattori:
settore merceologico (natura, categoria, tipo, ecc. del prodotto);
concorrenza;
progresso tecnologico;
comportamento del consumatore;
situazione del mercato.
La conoscenza delle diverse fasi del ciclo di vita consente di controllare l’andamento
delle vendite, assumere una determinata politica di vendita, individuare il momento in cui
intervenire per prolungare la durata del ciclo (creando nuovi canali di distribuzione, acquisendo
nuovi consumatori, modificando le caratteristiche del prodotto) o per estinguere il ciclo (del
prodotto).
Il ciclo di vita dei prodotti alimentari è variabile in relazione al successo conseguito: un
prodotto di successo ha un ciclo di vita non inferiore ai cinque anni, e può essere indefinito, non
di successo esaurisce il ciclo in due anni circa.
La storia delle vendite di un prodotto generalmente si presenta a forma di esse.
Il ciclo di vita del prodotto si sviluppa attraverso 4 fasi o stadi:
99
►
introduzione o lancio: periodo di crescita delle vendite lento. Il prodotto è nuovo ed
inizia i primi contatti con il mercato. I costi sono sostenuti perché il lancio richiede investimenti
nei settori distributivo e promozionale per far conoscere il prodotto ai potenziali consumatori.
Anche i costi di produzione sono elevati per le modeste quantità prodotte. Il fattore prezzo è
determinante nel caratterizzare l’andamento delle vendite, tenuto conto della concorrenza di altri
prodotti già sul mercato. La redditività è negativa per conseguenza.
►
crescita (o sviluppo, o espansione): periodo di rapida accettazione del prodotto da
parte del mercato. Le vendite sono in aumento progressivo per effetto della pubblicità e
dell’informazione, per le migliorate tecnologie di produzione, per la più ampia presenza nella
distribuzione. I costi unitari sono in diminuzione. I profitti sono in crescita. In questa fase sono
in piena azione tutte le attività di produzione, di marketing, di commercializzazione; è la fase
della conquista del segmento mercato o della nicchia prescelta. La concorrenza incomincia ad
ostacolare la crescita utilizzando lo strumento del prezzo, unico espediente che può frenarne
l’andamento.
►
maturità: il tasso di crescita rallenta, il prodotto è conosciuto e collocato sul mercato.
La redditività continua ad aumentare, ma a ritmi inferiori ai precedenti. I costi promozionali e
pubblicitari diminuiscono perché si è creata la domanda. I prezzi si sono stabilizzati. La
concorrenza si fa agguerrita ed inizia la guerra dei prezzi.
►
declino: le vendite diminuiscono per effetto della concorrenza, per obsolescenza del
prodotto, per il progresso tecnologico, per il variare del comportamento del consumatore. I
prezzi diminuiscono velocemente, i costi di produzione aumentano, i profitti diminuiscono fino
ad annullarsi. L’impresa esce dal mercato.
A queste fasi fondamentali si possono aggiungere altre due fasi distinte:
•
la pre-fase di studio o di sviluppo del prodotto: è la fase o stadio di ideazione, studio,
ricerca, creazione, sperimentazione, messa a punto di un prodotto innovativo o nuovo ed è la
fase dello studio del mercato, della concorrenza, del consumatore.
Comporta investimenti più o meno notevoli.
•
fase di saturazione: è la fase successiva alla maturità e precedente al declino. Le
vendite sono stazionarie, il prodotto incomincia ad essere superato. La redditività diminuisce
per i maggiori costi promozionali per mantenere viva la domanda e per difendersi dalla
concorrenza.
100
Il ciclo di vita del prodotto pertanto può così rappresentarsi:
101
Non tutti i prodotti evidenziano un ciclo di vita ad S; una forma è lo schema ciclo-riciclo,
dove il riciclo ha ampiezza e durata inferiore al ciclo primario, perché dovuto ad una spinta
promozionale durante la fase di declino:
Un altro schema è a balzi, dovuti a nuove caratteristiche di prodotto, nuovi usi, altri
utilizzatori:
Non è facile determinare l’inizio e la fine di una fase e comunque l’intensificarsi della
concorrenza contrae la lunghezza del ciclo.
Il concetto del ciclo di vita può essere utilizzato per analizzare una categoria di prodotti
(es. pane), una forma di prodotto (es. rosetta), una marca (es. Granpane, della Coop. Valle del
Dittanio).
Le categorie di prodotto alimentare hanno cicli di vita lunghi, specialmente nella fase di
maturità essendo correlati con la popolazione (es. pane)
102
La forma di prodotto tende ad assumere l’andamento standard, mentre le marche hanno
cicli più corti.
Si distinguono inoltre cicli di vita differenti in relazione a:
•
Stile, (design, modo specifico di costruire o presentare un prodotto), dopo che è
inventato può durare a lungo (per generazioni), tornando e uscendo di moda (vari periodi di
interesse); es. abbigliamento: formale, casuale, ecc.; es. yogurt: naturale, alla frutta.
•
Moda (legata alla novità ed alla eleganza), è uno stile comunemente accettato o
popolare, che attraversa 4 fasi:
distinzione [usato da pochi (personaggi leader), e da una impresa];
emulazione (molti imitano i personaggi leader, altre imprese iniziano a produrre);
massa (usato da molti, è diventato popolare, molte imprese lo producono);
declino (i consumatori abbandonano, perché attirati da altre mode),
esotica.
103
Es. jeans; frutta
•
Entusiasmo passeggero: sono mode rapidamente adottate, ma altrettanto rapidamente
abbandonate (capricci che non rispondono a bisogni).
Es. orologi swatch.
L’applicazione del concetto di ciclo di vita è utile per:
le previsioni di vendita di nuovi prodotti;
la determinazione di politiche distributive, promozionali, di prezzo;
la pianificazione a medio termine della politica dei prodotti.
Nel ciclo di vita dei prodotti alimentari la durata delle fasi varia in relazione al tipo
(categoria) di prodotto, al settore merceologico, alla reazione delle aziende alle nuove situazioni
di mercato.
I fattori che influenzano la lunghezza di ciascuna fase sono:
•
per il tempo di sviluppo o studio del prodotto: la tecnologia. È più breve e meno
costoso per prodotti a bassa tecnologia o di routine (es. nuove merendine), e viceversa per i
prodotti ad alta tecnologia;
•
per il tempo di introduzione e crescita: la distribuzione, i servizi, l’accettazione dei
consumatori. È breve se non si richiedono nuovi canali, servizi, trasporti e comunicazione, e se i
consumatori sono interessati;
104
•
per il tempo di maturità: tecnologia, gusti dei consumatori, leadership dell’impresa
sul mercato. È lungo se la tecnologia ed i gusti dei consumatori sono stabili e l’impresa
mantiene la leadership sul mercato.
•
per il tempo di declino: tecnologia, gusti dei consumatori, velocità di uscita delle
imprese dal mercato. È lungo se la tecnologia ed i gusti dei consumatori cambiano lentamente, e
le imprese escono difficilmente dal mercato [per gli investimenti fatti o per aiuti pubblici (es.
imprese vitivinicole (cantine sociali con il ripianamento delle passività onerose), agrumarie)].
7.2 Le stategie di marketing
Il prodotto alimentare non è statico, la sua dinamicità dipende dalla politica di prodotto e
dal marketing mix, per cui il suo ciclo di vita dipende dalla evoluzione del mercato e del
consumatore.
Le strategie di marketing nel ciclo di vita del prodotto devono avere riguardo alle diverse
fasi:
1
Introduzione o lancio. Inizia quando un nuovo prodotto entra nella distribuzione. La
crescita delle vendita è lenta (in specie per i prodotti alimentari) per:
•
ritardi nell’espansione della produzione;
•
problemi tecnici (eliminazione di difetti) nel prodotto e nella produzione;
•
ritardi nell’organizzazione della distribuzione al dettaglio;
•
riluttanza del consumatore a modificare i suoi schemi di comportamento;
•
per numero limitato di acquirenti (nel caso di alti prezzi).
In questa fase si ha un basso volume di vendite ed alti costi di distribuzione e di
promozione per fare conoscere il prodotto al consumatore e per indurlo a comprare e per
assicurarne la distribuzione al dettaglio.
I profitti sono negativi o comunque bassi, anche se i prezzi tendono ad essere molto alti
(per i costi di produzione alti : per la produzione limitata, per problemi tecnologici e per i costi
di promozione alti).
Un esempio è il vino per le cantine sociali: non fanno vino imbottigliato perché
dovrebbero imporre un prezzo elevato, ma così non fanno strategia di impresa (produzione) e di
marketing.
105
Le strategie di marketing devono avere riguardo al :
•
prodotto, è l’elemento fondamentale per le sue caratteristiche di qualità, affidabilità,
presentazione, igiene ecc. È da queste che dipende l’immagine di prodotto ed a questa è legato il
successo;
•
prezzo, la politica di prezzo deve essere aderente al mercato;
•
distribuzione, si tratta di scegliere i canali distributivi più attivi e più appropriati al
tipo di prodotto;
•
pubblicità e promozione, sono gli unici mezzi a disposizione per far conoscere il
prodotto al consumatore ed al sistema distributivo.
Ad esempio si considerino prezzo e promozione. Le strategie possibili sono 4:
PREZZO
PROMOZIONE
ALTA
BASSA
(prodotto non conosciuto)
(prodotto conosciuto)
ALTO
Scrematura rapida
Scrematura lenta
BASSO
Penetrazione rapida
Penetrazione lenta
•
 mercato con
dimensioni ridotte,
alto prezzo, poca
concorrenza
 mercato vasto,
basso
prezzo,
concorrenza alta
scrematura rapida (prezzo e promozione alti). Il prezzo alto serve a recuperare il
massimo profitto unitario lordo possibile e si può fissare quando chi è disposto all’acquisto è
ansioso di acquistarlo e può pagarlo.
Le spese di promozione elevate servono a convincere il mercato, accelerandone la
conoscenza (penetrazione), e per combattere la concorrenza costruendo una preferenza di marca
(politica di marca).
•
scrematura lenta (prezzo alto e promozione bassa). Si può adottare quando il
prodotto è conosciuto, il mercato ha dimensioni limitate, i consumatori sono disposti a pagare il
prezzo elevato, non vi è ancora concorrenza significativa. Lo scopo è di realizzare alti profitti.
•
penetrazione rapida (prezzo basso, promozione alta). Si segue quando il mercato è
vasto (medio-grande dimensione), il consumatore non conosce il prodotto ed è sensibile al
prezzo, esiste una forte concorrenza potenziale; all’aumentare delle quantità prodotte
diminuiscono i costi unitari (economie di scala) anche per effetto dell’esperienza accumulata. Si
attua per realizzare una rapida affermazione sul mercato e per acquisire una elevata quota di
mercato.
106
•
penetrazione lenta (prezzo e promozione bassi). Si può adottare quando il mercato è
vasto, il consumatore conosce il prodotto ed è sensibile al prezzo, esiste una forte concorrenza
potenziale. La domanda deve avere una elevata elasticità rispetto al prezzo ed una bassa
elasticità rispetto alla promozione. Lo scopo è di accelerare l’accettazione del prodotto da parte
del consumatore senza sviluppare il livello promozionale, realizzando così un controllo dei costi
ed un conseguente aumento del profitto.
2
Crescita ( o sviluppo, o espansione). È caratterizzata da un rapido aumento delle
vendite perché i primi consumatori apprezzano il prodotto e sono seguiti da molti altri, e perché
molte imprese commerciali entrano nel mercato attratte dalle opportunità di profitto. I punti
vendita per conseguenza aumentano. I prezzi rimangono stabili o diminuiscono perché la
domanda aumenta rapidamente, i costi della promozione rimangono stabili, ma il rapporto costi
promozione/vendite diminuisce. I profitti crescono poiché i costi unitari di produzione e di
promozione diminuiscono più velocemente dei prezzi, anche per l’effetto della curva di
esperienza.
Le strategie di marketing devono avere riguardo al:
prodotto, deve mantenere migliorate le caratteristiche iniziali;
prezzo,
deve
mantenere il livello iniziale o per politiche promozionali
momentaneamente diminuire;
distribuzione, deve essere massima;
pubblicità e promozione, devono sostenere il prodotto.
Per mantenere il più a lungo possibile la crescita del mercato le strategie devono:
o
migliorare le qualità del prodotto, aggiungere nuove caratteristiche e nuovi modelli
(innovazioni tecnologiche);
o
entrare in nuovi segmenti di mercato;
o
migliorare la rete distributiva ed entrare in nuovi canali;
o
esplicare nuove attività promozionali per convincere all’acquisto (e dunque non solo
per la diffusione della notorietà);
o
abbassare i prezzi per richiamare la clientela più sensibile ai prezzi.
107
Gli effetti possono essere i seguenti:
3
Maturità. Il tasso di crescita delle vendite diminuisce e la durata è più lunga delle fasi
precedenti. Questa fase si può scindere in 3 periodi:
•
maturità della crescita, il tasso di crescita diminuisce per la saturazione della
distribuzione;
•
maturità stabile, le vendite procapite sono stabili ed il mercato saturo. Le vendite
dipendono dall’aumento della popolazione e dalla domanda di sostituzione.
•
maturità di decadimento, le vendite diminuiscono perché i consumatori
diminuiscono gli acquisti; la concorrenza si inasprisce per sovrapproduzione delle imprese (con
sconti e prezzi fuori listino, aumento della pubblicità, offerte speciali, aumenti delle spese per
ricerche e sviluppo sul prodotto). I profitti diminuiscono e le imprese deboli incominciano ad
uscire dal mercato.
Le strategie di marketing devono avere riguardo a :
•
prodotto, il livello qualitativo è livellato per cui occorre caratterizzarne gli attributi
qualitativi; la concorrenza è ormai presente ed agguerrita;
108
•
prezzo, propensione a diminuirlo, salvaguardando però il livello qualitativo per
rafforzare l’immagine dell’impresa;
•
distribuzione,
qualificare i punti vendita profittevoli ed eliminare quelli non
economici;
•
pubblicità e promozione, fare campagne pubblicitarie ben mirate per differenziarsi
dalla concorrenza (interventi promozionali:sconti, premi, omaggi, concorsi, ecc.).
Le strategie di marketing che possono attuarsi riguardano:
•
le modifiche di mercato: sviluppare il mercato della marca operando sui due fattori
che determinano il volume di vendita:
volume = n q
n = numero dei consumatori
q = consumo medio procapite
n
si può aumentare conquistando nuovi consumatori nello stesso segmento
(sottraendoli alla concorrenza), entrando in nuovi segmenti di mercato.
q si può aumentare attraverso l’uso più frequente (es. bere succo di arancia durante il
giorno e non solo a colazione), maggiore uso nelle occasioni di consumo, usi nuovi e più vari
(in cucina, nella gastronomia, nelle ricette, con informazioni sulle etichette).
•
le modifiche di prodotto, per attrarre nuovi clienti o per aumentare le occasioni d’uso,
attraverso:
o miglioramento della qualità (durata, affidabilità, sapori, richiamo: come più grande,
più forte, migliore). È il cosiddetto lancio “plus” del prodotto alimentare;
o miglioramento delle caratteristiche (dimensioni, peso, materiali, additivi, accessori,
sicurezza), per render più confortevole e sicuro l’utilizzo;
o miglioramento di stile (linea, design, colore) per rendere più attraente l’aspetto
estetico del prodotto, come nel caso dei cibi confezionati.
•
le modifiche di marketing mix : riguardano le politiche di prezzo, l’espansione nei
punti vendita, le politiche promozionali e pubblicitarie, il personale di vendita, l’assistenza ai
clienti, ecc.
4
Declino. Tutti i prodotti declinano nei tipi, nelle marche; è più lento per i prodotti alimentari
e più rapido per i prodotti ad alta tecnologia. Le vendite diminuiscono per varie ragioni:
progressi tecnologici, mutamenti nei gusti dei consumatori, aumento della concorrenza.
109
Diminuiscono le vendite, i profitti e le imprese escono dal mercato.
Le strategie devono avere riguardo a :
• prodotto, che va sostenuto qualitativamente anche per assicurare il lancio di un nuovo
prodotto e conservare l’immagine dell’azienda;
• prezzo, evitare la svendita, anche se diminuisce;
• distribuzione, rifornisce i punti vendita dove la domanda continua ad essere
sostenuta;
• pubblicità e promozione, evitare interventi di pubblicità ed effettuare quelli
promozionali per smaltire gli stocks rimasti.
Le strategie di marketing devono identificare i prodotti (punti) deboli e poi decidere il da
farsi (interventi finanziari, aspettare cambiamenti del mercato, realizzare liquidità, eliminare il
prodotto).
La teoria del ciclo di vita ha molti critici perché gli schemi sono troppo variabili, le fasi
non hanno durata prevedibile, il ciclo di vita è il risultato non la causa delle strategie di
marketing dell’impresa.
LE DIVERSE STRATEGIE NELLE FASI DEL CICLO DI VITA DEL PRODOTTO
INTRODUZIONE
CRESCITA
MATURITA’
DECLINO
•
•
•
•
rapida scrematura
bassa scrematura
rapida penetrazione
lenta penetrazione
• migliorare la qualità
• sfruttare altri segmenti
di mercato
• sfruttare nuovi canali
distributivi
• ridurre il prezzo in
particolari momenti
• introdurre nuove
tecniche di
convincimento
all’acquisto
• modificare
il prodotto
• modificare
il mercato
• modificare
il marketing
mix
• identificare i punti
deboli per eventuali
interventi finanziari
• mantenere invariati gli
investimenti in attesa di
eventuali cambiamenti di
mercato
• sfruttare gli
investimenti per
realizzare liquidità
• eliminare il prodotto
Fonte: M. Lepore, Ma cos’è il marketing, Demetra, 1999.
Esistono delle Azioni correttive per prolungare il ciclo di vita di un prodotto: Poco prima
della saturazione, apportando delle modifiche, si può aumentare il raggio d’azione del prodotto
e quindi stimolare un nuovo periodo di crescita della curva.
Quando la curva comincia a scendere si può sviluppare un nuovo mercato per il prodotto
in modo da prolungare il suo ciclo di vita (fase di rivitalizzazzione).
Inoltre Attraverso il perfezionamento del prodotto, l’ampliamento delle versioni del
prodotto, lo sviluppo del mercato, ecc. si possono stimolare periodi di crescita (prolungano il
ciclo prima dello stadio di maturità) del prodotto stesso.
110
Interventi e politiche di marketing nel ciclo di vita del prodotto
Studio
Predisposizione
impianti
Lancio
Politica
di
distribuzione
Politica
di
Studio prodotto
prodotto
Ricerca
di Politica
di
marketing
prezzo
Politica
di
Test di mercato
comunicazione
Politica
di Politica
di
prodotto
promozione
Politica
di Piano
di
vendita
marketing
Piano
di
Controllo
marketing
Controllo
Espansione
Maturità
Saturazione/
declino
Piano
di Politica
marketing
prezzo
Potenziamento
Politica
di Politica
impianti produttivi
prezzo
promozione
Politica
di Politica
di
distribuzione
promozione
Politica
di Controllo
comunicazione
Politica
di
promozione
Piano di marketing
Controllo
Fonte: A. Foglio, Il marketing agroalimentare. Franco Angeli;1997.
Ciclo di vita di un prodotto e lancio del prodotto alternativo
Fonte: A. Foglio, Il marketing agroalimentare. Franco Angeli;1997.
111
di
di
Strategie di marketing nelle varie fasi del ciclo di vita dei prodotti alimentari
Fonte Ph. Kotler, Marketing Management. ISEDI
112
Ciclo di vita del prodotto
Caratteristiche
Introduzione
Vendite scarse
Vendite
Costi
Profitti
Clienti
Concorrenti
Alto
costo
cliente
Negativi
Innovatori
Pochi
Crescita
Vendite rapidamente
crescenti
per Costo medio per
cliente
Crescenti
Adottanti iniziali
In numero crescente
Maturità
Declino
Picco delle vendite
Vendite in declino
Basso costo per Basso costo
cliente
cliente
Alti
Declinanti
Maggioranza
Ritardatari
Numero stabile che In riduzione
inizia a ridursi
per
Obiettivi di marketing
Creare
la Massimizzare
conoscenza
del quota di mercato
prodotto
e
la
propensione
alla
prova dello stesso
la Massimizzare
il Ridurre le spese e
profitto, difendendo “mungere”
il
la quota di mercato prodotto
Strategie
Prodotto
Prezzo
Offrire estensioni del
Offrire un prodotto
prodotto,
servizi
base
garanzia
Prezzo determinato
Prezzo per penetrare
sulla base del “costnel mercato
plus”
Realizzare
Distribuzione distribuzione
selettiva
una Realizzare
distribuzione
intensiva
Eliminare i prodotti
deboli
Prezzo
per
pareggiare o battere Tagliare i prezzi
la concorrenza
Essere
una Realizzare
una
selettivi:eliminare i
distribuzione
più
punti di vendita non
intensiva
redditizi
Realizzare
la
Realizzare
conoscenza
del
consapevolezza
e
prodotto fra gli
Pubblicità
interesse nel mercato
adottanti iniziali e i
di massa
rivenditori
Usare
un’intensa
per
Promozione promozione vendite Ridurre
approfittare
per spingere alla
vendite
dell’elevata domanda
prova del prodotto
Fonte Ph. Kotler, Marketing Management. ISEDI
113
Diversificare
marche e modelli
Sottolineare
le
Ridurre al livello di
differenze
e
i
mantenimento dei
vantaggi
della
clienti ultra fedeli
marca
Aumentare
incoraggiare
conversione
marca
per
la Ridurre a un livello
di minimo
7.3 Ciclo di vita del prodotto e Portafoglio prodotti
Nel ciclo di vita di un portafoglio prodotti si evidenzia un momento (P), per ogni
impresa, in cui: un prodotto è in fase di declino, un altro è in fase di maturità, uno nella
fase di saturazione, uno nella fase d’introduzione.
Nel lungo periodo, un’impresa dovrebbe mirare ad un tasso di crescita degli utili
(profitti) continuo, introducendo nuovi prodotti con una giusta sequenza temporale.
Poiché : Scopo del portafoglio prodotti: bilanciare le fasi di crescita; il cash flow (flusso
di cassa) – usato per indicare la differenza tra incassi e pagamenti (flusso di cassa
netto); i rischi dell’impresa.
Al crescere o al contrarsi dei mercati i singoli prodotti attraverseranno una fase di
progresso o di declino, questo comporta il continuo cambiamento della composizione
del portafoglio prodotti. Revisione continua del portafoglio prodotti.
Le decisioni sulla strategia prodotto/mercato devono essere prese all’interno del
portafoglio prodotti, così da ottenere un equilibrio tra prodotti nella fase di crescita,
prodotti nella fase di maturità e prodotti in declino.
Il concetto del CVP può essere adottato dalle imprese come un utile strumento per
la descrizione del funzionamento dei prodotti e dei mercati. L’adozione di tale concetto
ai fini della previsione delle prestazioni del prodotto o per lo sviluppo delle strategie di
marketing presenta alcuni problemi di ordine pratico. Individuare lo stadio in cui si
trova un prodotto o localizzare con precisione il passaggio da uno stadio al successivo
può risultare tutt’altro che semplice.
Le decisioni sulla strategia prodotto/mercato devono essere prese all’interno del
portafoglio prodotti, così da ottenere un equilibrio tra prodotti nella fase di crescita,
prodotti nella fase di maturità e prodotti in declino.
In quest’ottica, nell’ambito della pianificazione strategica, l’attività principale è
l’analisi del portafoglio di attività, nella quale i dirigenti effettuano una valutazione dei
114
prodotti e delle attività attuali dell’impresa. L’obiettivo è di destinare risorse consistenti
alle attività più redditizie e ridimensionare o tagliare le attività più deboli.
Il primo passo è l’individuazione dei settori di attività principali, definiti strategic
business units (SBU) o aree strategiche d’affari.
Una SBU è un’unità operativa
dell’impresa con una missione e obiettivi specifici, la cui attività può essere pianificata
indipendentemente dagli altri settori. Le SBU possono essere divisioni aziendali, linee
di prodotto all’interno di una divisione o anche singole marche o prodotti. Lo stadio
successivo dell’analisi del portafoglio consiste nella valutazione delle potenzialità di
ciascuna SBU e nella ripartizione delle risorse. Lo scopo della pianificazione strategica
è scoprire come sfruttare al meglio i propri punti di forza per cogliere le opportunità
dell’ambiente esterno. La maggior parte dei metodi di analisi del portafoglio attengono
a due parametri fondamentali: l’attrattività del mercato o del settore della SBU e la
stabilità della sua posizione in quel mercato o settore. Il metodo più conosciuto per la
pianificazione del portafoglio di attività è stato elaborato dal Boston Consulting Group
(BCG).
Quota di mercato: è la fetta di mercato posseduta dall’impresa in rapporto all’area
geografica e/o al periodo temporale. Indica la percentuale delle vendite di un’impresa
sul totale delle vendite di un prodotto o settore.
Crescita di mercato: rappresenta l’incremento delle vendite di tutte le imprese
operanti sul mercato.
Matrice di Boston
C
R
E
S
C
I
T
A
alta
Star
Wildcat
bassa
Cash
Cow
Dog
alta
bassa
QUOTA
In particolare, La crescita di mercato di un’impresa misura il tasso medio annuale
di crescita di tutti i mercati in cui l’impresa è presente. Rappresenta l’incremento delle
vendite del suo prodotto.
115
I tassi di crescita possono essere differenti ed indicare la performance
dell’impresa. La “Matrice di Boston” (costruita dal Boston Consulting Group) misura la
performance dell’impresa, riflette la quota e la crescita relativa di un’impresa sul
mercato. L’asse della crescita di mercato rappresenta il tasso medio annuale di crescita
di tutti i mercati in cui l’impresa è presente. La quota di mercato rappresenta la misura
del dominio di una impresa rispetto a quelle concorrenti.
•
Prodotto “Star” (stella): ha raggiunto una quota di mercato alta e genera
grossi profitti. Mercato in forte crescita, forte impiego di risorse finanziarie.
•
Prodotto “Wildcat” (rischioso) o “question mark” (punto interrogativo): non
ha mai ottenuto o ha ormai perso una posizione dominante sul mercato. In
un mercato in forte crescita per mantenere la posizione di mercato l’impresa
deve sostenere forti investimenti finanziari.
•
Prodotto “Cash Cow” (mucca da soldi): è un leader nei mercati a lento
sviluppo, come i mercati maturi, genera notevoli risorse finanziarie e
rappresenta la più vantaggiosa fonte di entrate per un’impresa. Per
mantenere la posizione di mercato, l’imprese deve fare solo delle piccole
correzioni nelle strategie.
•
Prodotto “Dog” (cane): rappresenta una perdita finanziaria per l’impresa sia
perché la crescita del mercato è bassa o inesistente, sia perché i costi della
concorrenza sono più bassi. Sono prodotti con poche possibilità di futuro. E’
un prodotto destinato al ritiro, tranne nel caso in cui è essenziale per
sostenere la vendita di altre imprese.
Riguardo il Flusso finanziario: prodotti “star”: flusso finanziario zero, sono in
grado di autofinanziarsi; prodotti “wildcat”: non sono ancora in grado di generare utili,
rappresentano una perdita di cassa; prodotti “cash cow”: producono profitti per
l’impresa; prodotti “dog”: non generano flussi, non rappresentano né un utile, né una
perdita. I prodotti dovrebbero essere in grado di trasformarsi da wildcat in star per poi
diventare delle cash cow, rappresentando così la nuova fonte delle risorse finanziarie.
La Matrice di Boston può essere usata per un’intera gamma o per un portafoglio
di prodotti.
116
La Matrice di Boston può illustrare le previsioni dell’impresa sulla posizione
futura di un prodotto sul mercato, se le politiche dell’azienda non mutano nel tempo.
Da quanto detto si deduce che i due fattori chiave del marketing riguardanti
l’analisi del prodotto sono: la quota e la crescita di mercato.
C
R
E
S
C
I
T
A
alta
Star
bassa
Cash
Cow
Wildcat
o
Dog
o
+
alta
bassa
QUOTA
7.4 Evoluzione del mercato
Il ciclo di vita del prodotto fa riferimento alle vicende di un prodotto o di una marca,
mentre nessun riferimento dedica al mercato complessivo. Pertanto risulta più orientato al
prodotto che al mercato. Quindi anche per il mercato si può distinguere un andamento.
L’evoluzione del mercato attraversa cinque situazioni o fasi:
•
Fase di cristallizzazione del mercato. Si ha quando il mercato è latente, potenziale
(consumatori con bisogni o desideri latenti, ma non espressi e soddisfatti), e dunque non esiste
ancora.
L’impresa in quella situazione deve ideare e progettare il prodotto ottimale e
pertanto ha tre possibilità:
studio e sviluppo
o strategia di nicchia singola: un nuovo prodotto per soddisfare le
preferenze di un segmento limitato del mercato;
o strategia di nicchia multipla: due o più prodotti per soddisfare due o più
segmenti del mercato;
o strategia di mercato di massa: un nuovo prodotto medio per soddisfare
tutti i consumatori del mercato.
La scelta dipenderà dalle dimensioni dell’impresa: l’impresa piccola opererà sulla nicchia
di mercato, la grande impresa opererà sul mercato di massa.
117
Quando il prodotto è lanciato e le vendite dell’impresa incominciano a salire ha inizio la
fase di cristallizzazione.
• Fase di espansione del mercato. Si ha quando entra nel mercato una seconda impresa,
la quale ha tre possibili strategie da seguire:
strategia di nicchia singola: collocare la marca in uno specifico segmento del mercato
(diverso dalla prima);
strategia di nicchia multipla: collocare due o più prodotti in segmenti non occupati
dalla prima;
strategia di mercato di massa: collocare la marca vicino a quella della prima impresa
(ha inizio la concorrenza) su tutto il mercato.
• Fase di frammentazione del mercato. Si ha quando le imprese che entrano nel mercato
si collocano su posizioni vicine ai concorrenti o su segmenti ancora non coperti. Alla fine tutti i
segmenti del mercato saranno coperti e le imprese invaderanno segmenti già serviti; i profitti di
tutte le imprese, per la concorrenza, si riducono. Il mercato così si frammenta in segmenti
sempre più piccoli. Il mercato raggiunge la maturità anche perché pochi nuovi prodotti possono
essere ideati.
•
Fase di riconsolidamento del mercato. Si ha quando il prodotto emerge con una nuova
e forte caratteristica, tale da attirare il mercato. Tale caratteristica sarà copiata da altre imprese
ed il mercato si frammenta di nuovo, per cui i mercati oscillano fra frammentazione e
riconsolidamento. La frammentazione è dovuta alla concorrenza, il riconsolidamento
all’innovazione.
• Fase di estinzione del mercato. Si ha quando il mercato è distrutto da una innovazione
radicale, che forma un nuovo mercato, ricominciando il ciclo.
La concorrenza stimola continuamente l’innovazione di prodotto, poiché un attributo
innovativo crea un vantaggio differenziale per l’impresa (profitti e quote di mercato) rispetto
alla media. Nell’impresa leader il processo innovativo è sistemico.
I consumatori da altro canto sono spinti a valutare o rivalutare gli attributi del prodotto da
fenomeni come inflazione, scarsità, ecologia, consumismo, stili di vita, ecc.
118
8 I PREZZI
8.1 Rilevanza economica e competitiva
Oggi le imprese devono affrontare un ambiente di prezzo molto competitivo ed in rapida
evoluzione, e molte sono state messe alle strette. “Le imprese dovrebbero vendere valore e
convincere il pubblico che la propria marca vale un prezzo più alto perché offre un valore
maggiore” (P. Kotler). La sfida consiste nel trovare un prezzo che generi profitto riscuotendo il
valore creato per il cliente; la riduzione dei prezzi spesso non è la tattica migliore poiché porta a
inutili perdite di profitti e a guerre dannose, oltre a suggerire ai clienti che il prezzo conta più
della marca.
In senso stretto il prezzo è l’importo di denaro richiesto per un determinato prodotto o
servizio. In senso più ampio, è la somma di tutti i valori che i consumatori scambiano con i
benefici derivanti dal possesso o dall’utilizzo di un prodotto o servizio. In un quadro storico, il
prezzo è da sempre il principale fattore che influenza la scelta dell’acquirente. In tempi più
recenti però altri fattori hanno assunto una maggiore influenza sul comportamento di scelta
dell’acquirente.
In passato di solito i prezzi erano il risultato di una trattativa fra acquirenti e venditori. La
politica del prezzo fisso, ossia di un unico prezzo valido per tutti gli acquirenti è un’idea
relativamente moderna, nata con lo sviluppo della vendita al dettaglio su larga scala alla fine del
XIX secolo. Oggi i prezzi sono per la maggior parte fissi, ma alcune imprese stanno invertendo
questa regola ed adottano una strategia di determinazione dinamica del prezzo, in base alla
quale richiedono prezzi diversi a seconda del cliente e della situazione di acquisto. La diffusione
di internet ha inciso molto su questo cambiamento.
Fra le variabili del marketing mix il prezzo si distingue per il fatto che nella sua
determinazione i fattori esogeni (struttura del mercato, ovverosia situazione competitiva del
mercato, e condizioni della concorrenza, ovverosia comportamento delle altre imprese) pesano
in modo più rilevante rispetto alle politiche ed alle scelte riguardanti il prodotto, la distribuzione
e la promozione.
Nel sistema economico il prezzo svolge il ruolo fondamentale di elemento regolatore del
lavoro (livello dei salari), del capitale (tasso di interesse), della terra (rendita),
dell’imprenditoria (profitto), vale a dire dei fattori della produzione, ma è anche l’elemento
determinante delle scelte dei consumatori, in special modo nei sistemi economici poveri ed in
via di sviluppo, tra i gruppi socio-economici meno abbienti e per i prodotti altamente
differenziati.
119
La situazione del sistema economico, infatti, è molto rilevante nell’attribuzione della
importanza da parte delle imprese alle politiche commerciali: nelle situazioni di benessere il
prezzo riveste un rilievo minore per le imprese e per i consumatori rispetto ad altri fattori quali:
pianificazione e sviluppo di nuovi prodotti, attività promozionali per le imprese, qualità e servizi
per i consumatori; nelle situazioni di recessione ed inflazione i consumatori sono molto sensibili
ai prezzi, per cui per l’impresa diventano strumenti fondamentali le politiche di prezzo.
Durante la storia umana i prezzi sono stati determinati dalla negoziazione tra venditori ed
acquirenti, solamente nei tempi recenti (diciannovesimo secolo) e nei paesi sviluppati il prezzo
unico (fisso) è diventato l’elemento fondamentale, in special modo con la espansione della
Grande Distribuzione [elevato numero degli articoli trattati ed assenza del personale dipendente
(self service)].
Nonostante negli ultimi decenni, rispetto al prezzo, altri fattori siano determinanti del
comportamento dei consumatori, il prezzo resta comunque uno degli elementi più importanti per
la determinazione della quota di mercato e del livello di profitto dell’impresa, in specie nelle
condizioni di mutabilità delle condizioni ambientali e competitive.
Per l’impresa il problema della determinazione del prezzo è oggi maggiormente flessibile
ed è connesso alla struttura del mercato in cui si trova ad operare, con specifico riferimento a:
numero e dimensioni delle imprese concorrenti, grado di specializzazione produttiva delle
imprese, grado di integrazione verticale delle imprese concorrenti, facilità all’entrata nel
mercato di nuove imprese, ecc.
Nella realtà economica esiste una vasta varietà di tipi di mercato; ad esempio
considerando: natura del prodotto e numero di imprese, si ha la seguente classificazione:
Natura del
prodotto
Prodotto
differenziato
Monopolio
Prodotto
omogeneo
Numero di imprese
Una
Poche
Molte
Oligopolio omogeneo
Concorrenza pura o
perfetta
Oligopolio
differenziato
Concorrenza
monopolistica
Omogeneità i prodotti sono intercambiabili, sono identici
Differenziazione i prodotti non sono identici, sia nel loro contenuto intrinseco che
nelle tecniche di produzione e finissaggio (differenziazione intrinseca o oggettiva), o per altre
ragioni dell’acquirente (differenziazione estrinseca o soggettiva: es. immagine esterna,
reputazione dell’azienda, ubicazione del venditore, servizi pre e post vendita, ecc.) Elemento
120
caratteristico della differenziazione è la possibilità di aumentare il prezzo entro certi limiti senza
che ci sia perdita di clienti.
La differenziazione oggi costituisce una connotazione tipica di molti prodotti, anche se è
difficile definire il confine fra omogeneità e differenziazione per un prodotto.
Il prezzo serve a determinare per l’impresa l’offerta (quanto si dovrà produrre), per il
consumatore la domanda (quanto dovrà acquistare).
Nelle politiche di marketing il prezzo contribuisce a determinare il successo di mercato di
un prodotto e di un’impresa.
Il prezzo tra gli elementi del marketing mix è l’unico che produce ricavo, gli altri
comportano solo costi.
8.3 La determinazione del prezzo
La determinazione del prezzo diventa problema per un prodotto nuovo, per un prodotto
esistente da introdurre in un nuovo canale di distribuzione o in una nuova area geografica, nella
partecipazione ad una gara d’appalto.
La strategia di determinazione del prezzo comporta la definizione degli obiettivi, l’analisi
dei fattori, la determinazione del prezzo, la modifica del prezzo.
Fattori interni
Obiettivi di marketing
Strategia del marketing mix
Fattori esterni
Decisioni
di prezzo
Costi
Natura del mercato e della
domanda
Concorrenza
Altri fattori ambientali
Struttura organizzativa per la
definizione del prezzo
(economia, rivenditori, Stato)
Il prezzo del prodotto deve essere collegato al raggiungimento degli obiettivi aziendali e
di marketing.
Le decisioni di prezzo dell’impresa sono influenzate da fattori interni ed esterni. Fattori
interni: obiettivi di marketing, strategie di marketing mix, costi e struttura organizzativa. Fattori
esterni: Natura del mercato e della domanda, concorrenza, altri fattori ambientali (economia,
rivenditori, Stato).
Obiettivi di marketing: Prima di determinare il prezzo, l’impresa deve stabilire la strategia
per il prodotto. Se il mercato obiettivo ed il posizionamento desiderato sono stati accuratamente
individuati, la strategia relativa al marketing mix, compreso il prezzo, risulterà più semplice. La
strategia di prezzo dipende in buona misura dalle decisioni relative al posizionamento del
prodotto. Allo stesso tempo l’impresa può perseguire ulteriori obiettivi generali o specifici (es.
massimizzazione dei profitti, quota di mercato, …).
121
Il prezzo è solo una delle leve del marketing mix per il raggiungimento degli obiettivi di
marketing, perciò le decisioni relative al prezzo devono essere coordinate con quelle inerenti la
progettazione, la distribuzione, e la promozione del prodotto, allo scopo di creare un programma
di marketing coerente ed efficace. Anche le decisioni relative alle altre variabili del marketing
mix possono influenzare le decisioni di prezzo: la scelta di impostare il posizionamento su
un’elevata qualità delle prestazioni, per esempio, impone al venditore di fissare prezzi più alti,
che permettano di coprire costi più sostenuti; inoltre nel prezzo i produttori dovranno calcolare
anche maggiori margini di profitto per i rivenditori che sostengono e promuovono il prodotto.
I costi rappresentano la base per il prezzo del prodotto. Il prezzo deve coprire tutti i costi
di produzione, distribuzione e vendita e offrire un discreto tasso di rendimento per gli sforzi e i
rischi sostenuti dall’impresa.
I costi si distinguono in costi fissi (indipendenti dal volume di produzione o di vendite) e
costi variabili (direttamente correlati al volume di produzione). I costi totali sono il risultato
della somma dei costi fissi e variabili per ogni livello di produzione. Per ciascun prodotto, la
direzione dell’impresa deve fissare un prezzo che consenta almeno di coprire i costi totali per il
livello di produzione prefissato.
Inoltre, per poter elaborare una corretta strategia di prezzo l’impresa deve sapere in che
modo variano i costi al variare del volume di produzione (il costo unitario medio di produzione
si riduce all’aumentare delle unità prodotte e con l’aumento dell’esperienza).
Infine, la direzione deve stabilire a chi competa, all’interno dell’impresa la definizione
dei prezzi dei prodotti. Nelle piccole imprese spesso i prezzi sono fissati dall’alta direzione, non
dalle funzioni marketing o vendite.
La visone del pricing è differente a seconda che la si veda dal punto di vista dei
responsabili amministrativi o quelli di marketing. I responsabili amministrativi e quelli di
marketing hanno in genere una visione diversa nella politica di determinazione del prezzo.
Responsabili amministrativi:
tendono a fissare i prezzi su basi predeterminate, costo del prodotto più una certa
percentuale; operano nel breve periodo tenendo conto dei risultati finanziari dell’impresa; le
azioni intraprese si basano sulla struttura esistente e non su uno sviluppo pianificato.
Responsabili del marketing: tendono a fissare i prezzi avendo come fine la conquista di
una quota di mercato, così da stabilire un controllo di lungo periodo nel mercato. Sanno che c’è
domanda fino ad una certa soglia di prezzo, oltre no.
122
8.4 Obiettivi della determinazione del prezzo
Si possono avere:
►
obiettivi orientati al profitto
o realizzare un determinato tasso di ritorno degli investimenti (ROI) (imprese
industriali) o sulle vendite (imprese commerciali). Si stabilisce un carico percentuale
sulle vendite per coprire i costi fissi di gestione e per realizzare una certa percentuale
di profitto (in termini relativi e unitari rimane costante, varia in termini assoluti in
relazione alle unità vendute);
o massimizzare i profitti, nel lungo periodo: solo imprese efficienti (per massimizzare i
profitti nel breve periodo: vedere riquadro).
►
obiettivi orientati alle vendite
o incremento delle vendite, in un certo periodo di tempo, in %.
o mantenimento o incremento delle quote di mercato.
La quota di mercato viene considerata come indicatore dello “stato di salute”
dell’impresa, e pertanto assume importanza fondamentale rispetto alla concorrenza.
►
obiettivi orientati al mantenimento dello status quo o alla sopravvivenza.
o stabilizzazione dei prezzi, quando si hanno fluttuazioni nella domanda e si vuole
evitare guerre di prezzo con altre imprese;
o fronteggiamento della concorrenza, attenendosi ai prezzi di mercato.
Modello di: Determinazione del prezzo che massimizza i profitti correnti.
Funzione di domanda
Q = a – bP
(equazione della retta)
Funzione di costo
C = F + cQ
Ricavo totale
Profitto totale
R = PQ
Z=R–C
Q = quantità domandata
P = prezzo
C = costo totale
F = costo fisso totale
c = costo variabile unitario
R = ricavo totale
R = ricavo totale
allora
Z=R–C
Z = PQ – C
Z = PQ – (F + cQ)
Z = P(a – bP) – F – c(a – bP)
Z = aP – bP2 – F – ac + bcP
Z = – ac – F + (a + bc)P – bP2
Questa funzione di 2° grado del prezzo è una parabola che ha il prezzo massimo nel vertice.
123
8.4.1 Analisi dei fattori
Nella determinazione del prezzo occorre tenere conto di diversi elementi quali:
Tipo di prodotto
finale, intermedio
Tipo
di
perfetta, oligopolistica, monopolistica
concorrenza
Età del prodotto
nuovo, esistente
Natura
della
singola, congiunta, multipla, integrata
produzione
verticalmente
Variazione della
utilizzazione della capacità esistente,
capacità
ampliamento della capacità
I fattori che incidono direttamente sulla determinazione del prezzo sono:
-
La domanda di mercato prevista per il prodotto dell’impresa.
Si tratta di stimare la domanda dell’impresa a differenti livelli di prezzo e dunque stimare
il prezzo atteso (sottoponendo il prodotto all’esame dei distributori, osservando i prezzi dei
prodotti concorrenti, facendo ricerche sui potenziali consumatori).
Si hanno maggiori libertà per un prodotto nuovo, perché i consumatori non hanno termini
di confronto, e nel caso di mercato di tipo monopolistico perché la curva di domanda
dell’impresa coincide con la curva di domanda del mercato.
-
La quota di mercato che si vuole ottenere.
È influenzata dalla capacità produttiva (degli impianti) dell’impresa e dalla facilità di
entrata nel mercato da parte delle altre imprese. Il livello di prezzo si adegua a tali aspetti.
-
Le prevedibili reazioni delle imprese concorrenti.
La domanda del mercato determina il prezzo massimo, i costi determinano il prezzo
minimo per l’impresa; i prezzi e le possibili reazioni delle imprese concorrenti consentono
all’impresa di stabilire il livello del prezzo del prodotto. Pertanto l’impresa deve essere a
conoscenza dei prezzi e dell’offerta (prodotto) dei concorrenti, considerando che i prodotti
124
possono essere identici, o similari, o merceologicamente differenti (ma sostitutivi del prodotto),
o non collegati, ma in competizione.
-
Prezzi di penetrazione e prezzi di scrematura del mercato (scelta)
o Prezzi di scrematura. La politica consiste nel praticare un prezzo elevato; si attua
quando: si è nelle prime fasi del ciclo di vita; è possibile segmentare il mercato sulla
base del reddito dei consumatori; per creare una valvola di sicurezza contro gli errori
nella fissazione del prezzo (riducendolo); per mantenere la domanda entro i limiti di
capacità produttiva dell’impresa.
o Prezzi di penetrazione. La politica consiste nel praticare prezzi bassi per raggiungere
immediatamente volumi di vendita elevati fin dalle prime fasi del ciclo di vita o anche
per salvare l’impresa dalla morte o dal prematuro invecchiamento. Si adotta quando: il
prodotto è molto sensibile al prezzo (domanda elastica); il grande volume di vendita
consente economie di scala nella produzione (espansione della produzione per effetto
anche della curva di esperienza che aumenta la produttività dell’impianto)7 riducendo i
costi unitari e di marketing; per fronteggiare la concorrenza; il segmento di mercato ad
alto reddito non è sufficientemente ampio per giustificare la politica di scrematura.
-
Altre componenti del marketing mix:
o Prodotto. Per i prodotti alimentari di consumo corrente l’impresa praticherà prezzi più
bassi se venduti con marca commerciale, più alti se venduti con marca industriale (che
richiede maggiori costi per pubblicità e promozione, ecc.)
o Canali di distribuzione. Il prezzo praticato ai grossisti è più basso di quello praticato ai
dettaglianti per le minori attività e funzioni svolte dall’impresa (es. magazzinaggio,
consegne, credito, ecc.)
o Metodi promozionali. Dipende da chi effettua le campagne promozionali, se l’impresa
o i dettaglianti.
-
Costo di produzione e/o commercializzazione
È il fattore principale per la differenziazione del livello di prezzo
7
Con lo stesso impianto, l’esperienza
consente di rivedere i tempi di produzione ,
i costi di approvvigionamento ecc. per cui
aumentano le unità prodotte e si riducono i
costi unitari di produzione.
125
8.4.2 La determinazione del prezzo base (o di listino)
L’impresa può stabilire il prezzo se conosce la curva di domanda, la funzione del costo, i
prezzi dei concorrenti; esso sarà compreso tra un prezzo troppo basso per produrre profitti ed un
prezzo troppo alto per stimolare la domanda.
Prezzo
(troppo)
basso
Costo del
prodotto
Prezzi dei concorrenti
e dei prodotti
sostitutivi
Elementi di
unicità del
prodotto
Prezzo
(troppo) alto
Area di fissazione del prezzo
Non è
conseguibile
profitto
Non esiste la
domanda
Prezzo minimo
Prezzo massimo
Il costo del prodotto indica il prezzo minimo.
Le caratteristiche di unicità (differenziazione) del prodotto indicano il prezzo massimo.
I prezzi dei concorrenti e dei prodotti sostitutivi sono gli elementi da considerare per la
determinazione del prezzo.
I metodi per la determinazione del prezzo base (o di listino) (pricing) sono riferiti:
-
ai costi totali, aumentati di una percentuale di profitto;
al bilanciamento tra stima della domanda e stima della offerta;
alle condizioni della concorrenza del mercato o dei prezzi correnti;
al valore percepito dal consumatore;
nelle gare di appalto, alle offerte in busta chiusa;
A) Metodo del costo totale (cost-plus pricing)
Consiste nel determinare il prezzo del prodotto sommando al costo totale unitario (o
medio) una percentuale (o una quota) di profitto (sperato).
Questo metodo semplice e di facile applicazione non tiene però conto che esistono vari
tipi di costo (vedi riquadro), ovverosia che il costo totale unitario del prodotto è formato da
varie componenti di costo, che reagiscono in maniera diversa alle variazioni delle quantità
prodotte.
126
Cf Costo fisso; è rappresentato da spese, quali l’affitto dei locali, gli stipendi al personale
direttivo, le imposte sulla proprietà, che rimangono costanti indipendentemente dal numero di
articoli che vengono prodotti. Questo tipo di costo esiste anche se la produzione viene sospesa
completamente; si chiama costo fisso proprio perché è molto difficile da modificare nel breve
periodo (mentre può essere cambiato nel lungo periodo, nel corso di parecchi anni);
Cft=Σ Cfi Costo fisso totale; è la somma di tutti i costi fissi;
Cf Costo fisso medio; è rappresentato dal costo fisso totale diviso per il numero di
Cf m = t
Q
unità prodotte. Rappresenta quella parte del costo fisso totale che può essere imputata a ciascuna
delle unità prodotte;
Cv Costo variabile; è rappresentato da spese, come quelle per il pagamento della manodopera
o per l’acquisto delle materie prime, che sono in relazione diretta con le quantità prodotte. I
costi variabili possono essere controllati nel breve periodo semplicemente cambiando il livello
di produzione. Quando la produzione si ferma tutti i costi variabili si annullano;
Cvt=Σ Cvi Costo variabile totale; è la somma di tutti i costi variabili; questo costo è tanto più
elevato quanto maggiore è il numero delle unità prodotte;
C v t Costo variabile medio; è rappresentato dal costo variabile totale diviso per il
C vm =
Q
numero di unità prodotte. Il costo variabile medio è normalmente elevato per le prime unità
prodotte. Diminuisce poi all’aumentare della quantità prodotta a causa di elementi quali sconti
di quantità sulle materie prime acquistate ed un più efficiente uso del fattore lavoro. Al di là di
una certa quantità “ottima” di produzione, esso aumenta a causa della congestione che si viene a
creare nei processi produttivi, a causa del pagamento di salari per lavoro straordinario, ecc.
Ct=Cft+Cvt Costo totale; è la somma del costo fisso totale e del costo variabile totale (per una
determinata quantità prodotta);
C t Costo totale medio; è costituito dal costo totale diviso per il numero di unità
C tm =
Q
prodotte;
CM = Ctm(n) – Ctm(n-1) Costo marginale; è il costo necessario per produrre e vendere
un’unità addizionale di prodotto; rappresenta cioè il costo dell’ultima unità prodotta.
Normalmente il costo marginale coincide con il costo variabile.
I costi di una azienda (in euro)
(1)
(2)
Quantità
Costi
prodotta fissi totali
(n. unità)
(3)
Costi
variabili
totali
(4)
Costi
totali
(5)
Costo
marginale
unitario
(2)+(3)
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
132,00
132,00
132,00
132,00
132,00
132,00
132,00
132,00
132,00
132,00
0,00
33,00
43,00
51,00
57,00
64,00
74,00
90,00
115,00
153,00
132,00
165,00
175,00
183,00
189,00
196,00
206,00
222,00
247,00
285,00
132,00
206,00
338,00
127
33,00
10,00
8,00
6,00
7,00
10,00
16,00
25,00
38,00
53,00
(6)
Costo
fisso
medio
(2):(1)
(7)
Costo
variabile
medio
(3):(1)
(8)
costo
medio
unitario
(4):(1)
∞
132,00
66,00
44,00
33,00
26,40
22,00
18,86
16,50
14,67
0
33,00
21,50
17,00
14,25
12,80
12,33
12,86
14,38
17,00
∞
165,00
87,50
61,00
47,25
39,20
34,33
31,71
30,88
31,67
13,20
20,60
33,80
Curve dei costi totali per una impresa
Costing: componenti dei costi diretti (di un prodotto o di una impresa)
Produzione
Distribuzione
Materie prime
Personale di vendita
Materie da confezione
Oneri di vendita
Manodopera diretta
Trasporti
Servizi ausiliari
• Costi variabili
• Costi variabili
Magazzinaggio prodotti finiti
Pubblicità, concorsi, ricerche
Costi fissi del reparto
Costi di sedi e di filiali
Costi generali di produzione
• Costi fissi
• Costi fissi
• Costo industriale
• Costo di distribuzione
(costi variabili + costi fissi)
(costi variabili + costi fissi)
Costo totale = costo industriale + costo di distribuzione
Ricavo totale – costo totale = margine di contribuzione dell’impresa
Prezzo – costo unitario = margine unitario di contribuzione
128
Il margine di contribuzione di un prodotto indica la capacità che ha un prodotto di
contribuire all’assorbimento dei costi indiretti dell’impresa.
Il margine unitario di contribuzione indica quale sia per ogni unità venduta il contributo
alla copertura dei costi unitari indiretti dell’impresa.
Interrelazione tra i vari costi medi unitari
-
La curva del costo fisso medio diminuisce all’aumentare della quantità prodotta
La curva del costo variabile medio ha forma di U perché il costo dapprima diminuisce per
effetto di condizioni di produzione più efficienti (curva di esperienza) e poi aumenta per
effetto di inefficienza o congestionamento dovuto ad eccesso di attività produttiva (es.
costo dello straordinario)
-
La curva del costo totale medio si ottiene sommando le due curve precedenti
La curva del costo marginale ha forma di U.
La curva del costo totale medio diminuisce finché il costo marginale è inferiore al costo totale
medio, poi aumenta; la curva del costo marginale e curva del costo totale medio si incrociano in
corrispondenza del punto minimo di quest’ultima.
Curve dei costi unitari per un’impresa
129
Questo metodo è largamente impiegato dalle imprese distributive (ricarico, o mark-up, al
costo di acquisto per coprire le spese di gestione e lasciare un certo margine di profitto, in
genere espresso in percentuale), perché dispongono di dati di costo accurati e della relazione tra
costi e quantità acquistate e vendute.
B) Metodo dell’analisi del punto di equilibrio (o punto di pareggio)(break-even point)
Utilizza la domanda di mercato come base per determinare il prezzo tenendo conto dei
costi aziendali.
Il punto di equilibrio (o punto di pareggio) (break- even point) è individuato dalla
quantità di produzione in corrispondenza della quale i ricavi totali di vendita eguagliano i costi
totali, dato un certo prezzo di vendita.
Calcolo del punto di equilibrio:
(1)
Prezzo
unitario
(2)
Costi variabili
unitari
30,00 €
40,00
50,00
75,00
15,00
15,00
15,00
15,00
(3)
Margine di
contribuzione
(1) – (2)
15,00
25,00
35,00
60,00
(4)
Costi fissi
totali
125,00
125,00
125,00
125,00
Determinazione del punto di equilibrio con un prezzo di € 40,00
130
(5)
Punto di equilibrio
(Break-even point)
(4) / (3)
8,3 unità
5,0 unità
3,6 unità
2,1 unità
Grafico del punto di equilibrio in relazione a 4 differenti prezzi di vendita
Relazione tra analisi del punto di equilibrio, ricavi totali relativi alla domanda di mercato,
e profitto:
(1)
(2)
(3)
Prezzo
Domanda di mercato
unitario
ai vari prezzi,
totale
espressi in unità
(1) x
(4)
Ricavo Break-even
point
(5)
(6)
Costo totale
Profitto
delle unità
totale
vendute
(3) – (5)
(2)
30,00 €
7
210,00
8,3
230,00
-20,00
40,00
6
240,00
5,0
215,00
25,00
50,00
5
250,00
3,6
200,00
50,00
75,00
2
150,00
2,1
155,00
5,00
131
Relazione fra costo totale, ricavo totale e punti di equilibrio
Nell’analisi del break-even point si ipotizzano, per semplicità, costanti i costi variabili
unitari.
Il break-even point si calcola con la seguente formula
Break-even
point
costi fissi totali
margine unitario
di contribuzione
costi fissi totali
prezzo di vendita –
costo variabile unitario
È un’analisi di breve periodo, perché si ritengono costanti i costi fissi.
Questa analisi ignora la domanda di mercato in corrispondenza dei vari prezzi praticati, e
dunque per la determinazione del prezzo si basa sul costo aziendale.
Il grafico o la formula dicono quale deve essere la quantità venduta ad un dato prezzo per
raggiungere il break-even point, ma non dice se sia veramente possibile vendere quella quantità.
Questa limitazione del metodo si supera stimando la domanda che si manifesterà in
corrispondenza dei vari possibili prezzi di vendita e sovrapponendo la curva di domanda alle
curve dei costi e dei ricavi del break-even.
La curva DD rappresenta il ricavo totale (o anche la domanda) che l’impresa può
realizzare ai vari livelli di prezzo praticati sul mercato.
132
La massimizzazione del profitto si ha nel punto sulla domanda in cui è massima la
differenza verticale fra ricavo totale e costo totale (punto b nel grafico), cioè al prezzo di
vendita corrispondente alla curva dei ricavi totali che interseca la curva DD di domanda nel
punto di maggiore differenza tra quest’ultima e la curva dei costi totali.
C) Metodo del bilanciamento tra domanda ed offerta.
Viene utilizzato per massimizzare il profitto.
Si fa riferimento, non alla domanda dell’impresa, ma alla domanda del mercato. Nella
concorrenza perfetta la domanda dell’impresa è una linea parallela all’asse delle ascisse, in
quanto non può influenzare il prezzo di mercato, mentre nella realtà operando in condizioni di
concorrenza imperfetta o monopolistica (per prodotti differenziati e concorrenza operante su
elementi di marketing diversi dal prezzo) la curva di domanda dell’impresa è inclinata
negativamente, come la domanda di mercato.
La determinazione del prezzo individua la migliore combinazione prezzo-quantità in
funzione del livello e della variazione dei costi aziendali (al variare delle quantità).
Questo modello comporta la ricerca della combinazione prezzo-quantità che massimizza
il ricavo totale e la ricerca del prezzo ottimo, mettendo a confronto gli andamenti di costi e
ricavi al variare delle quantità prodotte e vendute.
Scheda di domanda per la singola impresa
Unità
Prezzo unitario Ricavo
Ricavo
vendute
(ricavo medio)
totale
marginale
1
40,00
40,00
2
37,50
75,00
35,00
3
36,00
108,00
33,00
4
34,00
136,00
28,00
5
32,50
162,50
26,50
6
30,00
180,00
17,50
7
25,00
175,00
-5,00
8
20,00
160,00
-15,00
133
Curva di domanda ad elasticità variabile
Curva dei ricavi totali
Rapporti tra ricavo totale (RT) ed elasticità della domanda
Variazione del
prezzo
Domanda
inelastica
Elasticità
eguale a uno
Domanda
elastica
riducendo il prezzo
RT
diminuisce
RT
immutato
RT
aumenta
aumentando il prezzo
RT
aumenta
RT
immutato
RT
diminuisce
134
Determinazione del prezzo e massimizzazione del profitto mediante l’analisi
marginalistica.
Gli elementi per la determinazione del prezzo sono:
(offerta)
costo medio e costo marginale
ricavo medio e ricavo marginale
(domanda)
In una curva lineare di domanda la funzione o l’equazione di domanda è
dove Q = quantità
P = prezzo
a, b = coefficienti
Q = a⋅ P + b
Il ricavo totale è dato da:
R = P⋅ Q = a⋅ P 2 + P⋅ b
R massimo si ha per un valore di P che annulla la derivata prima di R, cioè:
P=
−b
2a
in questo punto l’elasticità della domanda al prezzo è (in valore assoluto):
ε = a⋅
−b
2a
b
=1
2
135
La combinazione prezzo-quantità più conveniente per l’impresa non è quella che
massimizza il ricavo totale, ma quella che massimizza la differenza fra ricavo totale e costo
totale.
Il prezzo di vendita ottimo scaturisce dal confronto delle due relazioni prezzo-quantità e
costo-quantità. Cioè dal bilanciamento tra domanda e offerta, cioè nel punto in cui il ricavo
marginale è uguale al costo marginale.
Tale punto è individuato dalla quantità Q.
In questo punto si individua anche il prezzo unitario sulla curva del ricavo medio (curva
della domanda) (punto C) a cui corrisponde il prezzo B, ed il costo medio sulla curva del costo
medio (curva dell’offerta) (punto B) a cui corrisponde il costo A, [cioè considerando la curva
dei costi totali medi, la produzione Q ha un costo totale medio (o unitario) di A (nel punto B)].
Il profitto unitario è dato dal tratto AB (differenza fra prezzo e costo totale medio), il
profitto totale è dato dall’area ABCD ( cioè Q x AB).
Profitto unitario
Tu = P - Cm
Profitto Totale
Tt = R – C
R = Q⋅ P = OQ⋅ OB = area = BC⋅ CQ = area OBCQ
C = Q⋅ C m = OQ⋅ OA = AD⋅ DQ = area OADQ
Tt = area OBCQ – area OADQ
Determinazione del prezzo OB sulla curva di domanda (ricavo medio).
Determinazione del costo medio OA sulla curva di offerta (costo medio).
Max profitto unitario = OB – OA
Max profitto totale = OBCQ – OADQ
Questo metodo finora ha avuto applicazioni pratiche limitate per la difficoltà di costruire
(stimare) le curve di domanda ed offerta; le conoscenze tuttavia si vanno approfondendo e
perfezionando utilizzando per l’elaborazione gli strumenti informatici.
136
D) Metodo delle condizioni di mercato o dei prezzi correnti
Si basa sui prezzi praticati dai concorrenti, prestando attenzione ai suoi costi ed alla sua
domanda.
Il prezzo è corrispondente a quello delle imprese concorrenti nelle situazioni di
concorrenza perfetta o quasi (mercati dei prodotti agricoli).
Il prezzo è inferiore a quello delle imprese rivali: è diffuso nel commercio al dettaglio (es.
discount).
Il prezzo è superiore nel caso di politica di scrematura perché il prodotto è molto
caratterizzato e differenziato ed il produttore ha acquisito una certa immagine ed un certo
prestigio.
Questo metodo dei prezzi correnti è piuttosto diffuso, specialmente nelle situazioni in cui
i costi sono difficili da misurare e la risposta della concorrenza è molto incerta.
Il prezzo corrente rappresenta una operazione collettiva del mercato capace di realizzare
un giusto rendimento senza disturbare l’armonia dello stesso.
E) Metodo del valore percepito dal consumatore
Si determina usando i fattori del marketing mix non legati a prezzo. Il prezzo viene
fissato in modo da corrispondere al valore percepito dal consumatore. Questo metodo si adatta
bene alla politica di posizionamento del prodotto (un prodotto per un certo mercato obiettivo
con un dato prezzo ed un dato livello di qualità).
Si stima il volume di vendita a quel prezzo; il volume di vendita fornisce indicazioni sulla
capacità produttiva dell’impresa, sugli investimenti, sui costi di produzione, sui profitti.
Il fattore chiave dunque è di individuare il valore che il mercato attribuisce all’offerta di
quel prodotto, attraverso ricerche di mercato.
F) Metodo dell’offerta in busta chiusa
La concorrenza sui prezzi domina nelle gare per l’acquisizione degli appalti. L’impresa
basa la sua offerta sul prezzo che presume adottino i concorrenti, piuttosto che su una rigida
relazione tra costi e domanda.
L’impresa per vincere l’appalto deve offrire un prezzo più basso delle concorrenti, ma
non più basso dei suoi costi, né troppo al di sopra perché rischia di superare i prezzi dei
concorrenti.
Il criterio logico dovrebbe essere quello di proporre un prezzo capace di massimizzare il
profitto atteso sul lungo periodo.
137
8.4.3 Scelta del prezzo definitivo o prezzo finale
Nella scelta del prezzo definitivo (prezzo finale) l’impresa deve tenere conto di alcuni
aspetti che determinano e condizionano l’attuazione di una politica (strategia) di prezzo, cioè:
- Aspetti psicologici
o psicologia del prezzo.
Al prezzo sono legati oltre agli aspetti economici, anche gli aspetti psicologici. Molti
consumatori infatti considerano il prezzo come un indicatore di qualità (prestige pricing) o sono
psicologicamente formati a riconoscere in un prodotto un prezzo massimo e minimo, al di sotto
del quale (percezione di bassa qualità) ed al di sopra del quale (non glielo consente il reddito)
non sono disposti a pagare. Inoltre si ritiene (da parte dei venditori) che i prezzi debbano
terminare (prezzi psicologici – prezzi limite) con un numero dispari perché il consumatore
percepisce la fascia bassa e non quella alta del prezzo ( es. 1,99€ è percepito come 1,00€ e non
2,00€).
- Aspetti di immagine dell’impresa.
Vi deve essere armonia fra immagine (marca) che si vuole fornire attraverso il prezzo e la
politica degli sconti, riguarda la filosofia di comportamento dei commercianti nei confronti dei
prezzi.
- Aspetti degli effetti del prezzo sugli altri soggetti della filiera.
Occorre considerare il giudizio della forza vendita dell’impresa (distributori e venditori)
sul prezzo e la reazione dei concorrenti.
- Aspetti riguardanti le norme e le leggi in materia di prezzi.
Occorre rispettare le norme in materia di prezzi per evitare interventi delle autorità (ad es.
durante le campagne promozionali o di sconti).
- Aspetti
riguardanti la situazione economica congiunturale del mercato e lo stato
dell’economia.
8.4.4 Politiche di prezzo
Le imprese non determinano un unico prezzo, ma stabiliscono una struttura di prezzi
seguendo strategie di modifiche del prezzo:
- Politica di differenziazione geografica del prezzo
Si attua nei confronti dei clienti situati in zone geografiche diverse, rispetto alla
collocazione degli stabilimenti, per coprire le maggiori spese di spedizione o per la diversa
capacità competitiva dell’impresa nelle varie zone di mercato.
Gli strumenti:
138
•
Prezzi d’origine FOB (free on board); i prezzi si riferiscono ai prodotti sistemati
(caricati) a bordo di un veicolo (corriere) che deve trasportarli (clausola FOB). L’impresa non
sostiene costi di trasporto e di assicurazione, ma solo il costo del caricamento sul veicolo. La
proprietà e la responsabilità è del cliente appena la merce è caricata sul veicolo. In questo caso
si venderà meno nelle zone più lontane.
•
Prezzi di consegna uniformi (uniformità dei prezzi). È il prezzo CIF (cost insurance
freight) costo e rischio del trasporto e dell’assicurazione fino ad una determinata località. È il
contrario dei prezzi FOB. L’impresa fa pagare lo stesso sovrapprezzo di trasporto
indipendentemente dalla zona di destinazione e lo stesso prezzo d’origine. Il costo del trasporto
è quello medio. Questa politica si attua quando i costi sono parte minima rispetto al totale costi
del venditore. Questo metodo è detto anche “criterio della affrancatura postale”, perché come la
spedizione della lettera implica lo stesso prezzo in tutto il territorio nazionale. Questo metodo
presenta il vantaggio di reclamizzare un unico prezzo su scala nazionale e di facilitare
l’amministrazione.
•
Prezzi differenziati per zona. Si distingue il mercato in zone e si differenziano i
prezzi in relazione alla distanza, lasciando lo stesso prezzo nella zona. Questo metodo può
indicarsi anche come “criterio della tariffa telefonica”.
•
Prezzo del punto base. Si fa pagare il costo del trasporto rispetto ad un punto base o
di riferimento, e non dal luogo in cui ha origine la spedizione. Questo metodo però è
penalizzante (prezzo maggiore per un “onere fantasma”) per i clienti vicini alla fabbrica e
premiante per quelli più lontani.
•
Prezzo di assorbimento (di accollo) delle spese di trasporto.
Si tratta di non far pagare tutto o parte del trasporto alle zone più lontane per aumentare le
vendite, per una maggiore penetrazione nel mercato, per mantenere sul mercato posizioni
competitive.
-
Politica degli sconti o degli abbuoni
Si effettua per compensare i clienti per determinati comportamenti:
•
Sconti di quantità. Sono riduzioni di prezzo per quantità acquistate rilevanti, perché
consentono minori spese di vendita, di stoccaggio, di trasporto. Possono essere per singolo
ordine (non cumulativi) o per gli acquisti effettuati in un certo periodo di tempo (cumulativi) e
sono espressi in unità o peso o per fatturato. Questi sconti inducono i clienti ad acquisti regolari
e dallo stesso venditore.
•
Sconti di cassa. Sono riduzioni di prezzo per pagamenti delle fatture entro un breve
tempo (pagamento cash), perché aumenta la liquidità del venditore e riduce i costi della
riscossione dei crediti.
139
•
Sconti commerciali o funzionali. Sono riduzioni di prezzo agli intermediari
distributori per lo svolgimento di talune attività di commercializzazione (vendita, trasporto,
contabilità).
•
Sconti stagionali, per acquisti fuori stagione (prima e dopo). Permettono al
produttore di regolarizzare la produzione durante l’anno e di smaltire le scorte.
• Altri sconti: abbuoni di permuta (riduzioni di prezzo con la consegna del vecchio
prodotto all’acquisto del nuovo); sconti promozionali (pagamenti o riduzioni di prezzo ai
rivenditori che partecipano alle campagne pubblicitarie o ai programmi promozionali di
vendita); post-datazione delle fatture (pagamenti differenti, che però consentono di regolarizzare
la produzione nell’anno).
-
Politica di discriminazione dei prezzi.
Si attua applicando allo stesso prodotto prezzi differenti che non rispecchiano differenze
dei costi:
• In base alla clientela. Es. studenti ed anziani pagano prezzi ridotti nei musei.
• In base alla versione del prodotto, ma non giustificati da variazioni di costo della
diversità.
• In base alla ubicazione. Es. in teatro si pagano prezzi differenti.
• In base al tempo, prezzi modificati stagionalmente, per fasce orarie (mezzi pubblici di
trasposto), giornalmente (feriali e festivi).
-
Politica dei prezzi promozionali.
Sono prezzi fissati al di sotto del prezzo di listino e talvolta al di sotto del costo:
• Prezzi dei prodotti civetta (politica del loss-leader, loss = perdita, leader = marca
nota), per attirare clienti e vendere anche altri prodotti (si attua nella grande distribuzione).
• Prezzi speciali, in occasione di particolari avvenimenti per attirare maggiore clientela
stanca di spendere e per smaltire le scorte (es. fiera del bianco, dopo natale).
• Rimborsi ai clienti, che acquistano il prodotto entro un certo tempo. Consentono di
ridurre le scorte senza variare il prezzo di listino.
• Sconti psicologici, quando si segna un prezzo artificialmente alto per poi offrire uno
sconto elevato.
• Prezzi psicologici (o prezzi limite), quando si segna un prezzo con cifra dispari: 1999
invece 2000, 19.900 invece di 20.000.
• Prezzi promozionali: 3x2, 2x1
140
La politica di prezzo può avere obiettivi specifici diversi e si distingue in:
-
Politica di prezzo di attacco, quando è condotta contro la concorrenza, per penetrare il
mercato, che sarà costretta a difendersi; è realizzata anche con prezzi non remunerativi.
-
Politica di prezzo di difesa, se è un’altra impresa a fare la politica di prezzo di attacco.
Politica di prezzo orientata alla segmentazione del mercato, consiste nel posizionare il
prodotto su segmenti prescelti con prezzi alti. Si attua con una politica di qualità e di immagine
prestigiosa dell’impresa.
-
Politica di prezzo basso, quando si vuole raggiungere un elevato numero di
consumatori.
-
Politica di prezzo decrescente, quando si vuole conquistare segmenti di mercato
inferiori per allargare il numero dei consumatori.
Comunque il principale obiettivo della politica di prezzo è di massimizzare il profitto.
141
9 LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE
Il valore di un prodotto è funzione oltre che delle sue caratteristiche intrinseche ed
estrinseche anche dei tempi, dei luoghi e dei modi secondo cui viene reso disponibile ai
consumatori. Nelle società industriali tale compito viene assolto da una fitta rete di istituzioni e
di
imprese
specializzate
nelle
diverse
attività
(vendita
dettaglio,
distribuzione,
magazzinaggio,…) che sono necessarie per svolgere tale compito. Ogni impresa industriale ha
di fronte una serie di alternative (Canali di marketing o di distribuzione) e si trova di fronte al
problema di dover scegliere le vie distributive da seguire. Canale di marketing: è composto da
una serie di organizzazioni interdipendenti, coinvolte nel processo che consente di rendere il
prodotto o servizio disponibile e utilizzabile per il consumatore finale , sia esso un privato o
un’impresa.
I partner del canale di marketing (grossisti e dettaglianti) rappresentano un anello
fondamentale fra l’impresa ed i clienti.
Le decisioni relative al canale influenzano direttamente ogni altra decisione di marketing
dell’impresa: la determinazione del prezzo, la comunicazione ed anche lo sviluppo di nuovi
prodotti possono dipendere dalla capacità degli operatori del canale.
Spesso le imprese non prestano sufficiente attenzione ai canali di distribuzione e i risultati
possono nuocere all’attività. In molti casi invece si osservano sistemi di distribuzione creativi
che rappresentano un vantaggio competitivo per l’impresa.
9.1 Le funzioni di commercializzazione
La distribuzione commerciale si occupa del trasferimento fisico ed economico (del titolo
di proprietà) dei beni dalla produzione al consumo (o utilizzo) finale ed intermedio.
Nel processo di trasferimento vengono coinvolte le imprese commerciali (soggetti che a
diverso titolo svolgono attività di intermediazione commerciale), le imprese di produzione, i
consumatori o gli utilizzatori finali, che svolgono le funzioni di commercializzazione.
Le funzioni di commercializzazione possono essere raggruppate nelle seguenti classi:
1) Funzioni fisico merceologiche
- Trasporto, che rende i prodotti disponibili nello spazio;
- Raggruppamento o frazionamento di prodotti omogenei. Raggruppamento, consiste
nella costituzione di lotti economici (offerta più consistente) quando la produzione è
polverizzata (è funzione tipica del commercio all’ingrosso alla produzione: es. ortofrutta).
- Frazionamento, è funzione opposta, consiste nella costituzione di lotti inferiori, meglio
adatti alle richieste degli acquirenti (è funzione tipica del commercio all’ingrosso al consumo:
es. ortofrutta).
142
- Assortimento e gamma o separazione di beni eterogenei (merceologicamente o
commercialmente). Assortimento è la combinazione di prodotti merceologicamente differenti
(es. vino e olio, vino e formaggi, ecc.); viene fatto a livello ingrosso per soddisfare esigenze
diverse al dettaglio per i consumatori. Gamma è la combinazione di prodotti commercialmente
differenti (per marca, misure, prestazione, colori, capacità, ecc.) di prodotti di una stessa
categoria merceologica. Separazione è funzione inversa all’assortimento ed alla gamma, cioè
un assortimento (o gamma) più ristretto (es. grossista di alimentari che rifornisce un negozio di
bottiglieria).
- Condizionamento (selezione, dosaggio, confezionamento, imballaggio). È funzione
tipicamente commerciale svolta all’ingrosso, al dettaglio; e oggi tale funzione è sempre più
trasferita alla produzione.
- Deposito, è l’immagazzinamento (conservazione) commerciale (anche in frigoriferi),
che consente di essere presenti nel mercato con qualità tipo e quantità di prodotto nel momento
delle richieste del consumatore o del cliente. Riduce gli inconvenienti dell’approvvigionamento
che si verificano nei periodi di basso ed alto consumo ed è necessario per consentire il trasporto
di prodotti in lotti più economici.
2) Funzioni commerciali o di scambio
- Collegamento e intermediazione commerciale, vengono effettuati per collegare il
fornitore dei prodotti (dal produttore in poi) con il richiedente i prodotti (fino al consumatore o
utilizzatore finale, i quali non hanno possibilità o convenienza di incontrarsi direttamente per
effettuare lo scambio (es. produttore siciliano di agrumi e consumatore di Milano).
- Acquisto, insieme alla vendita è la funzione base della commercializzazione ed è
componente indispensabile per lo scambio. È la contropartita alla vendita. Questa funzione
identifica il bisogno o il desiderio da soddisfare (per se o per altri), seleziona la fonte di
approvvigionamento, negozia il prezzo e le altre condizioni e modalità di acquisto
(trasferimento di proprietà).
- Vendita, insieme all’acquisto è la funzione base della commercializzazione ed è
componente indispensabile per lo scambio. È la contropartita all’acquisto. Questa funzione
identifica il possibile acquirente, prende contatti con lui, negozia il prezzo e le altre condizioni e
modalità di vendita (trasferimento di proprietà).
- Assistenza e consulenza (merceologica e di marketing), viene effettuata dai fornitori
alla clientela. L’assistenza tecnico-merceologica riguarda il prodotto, l’assistenza e consulenza
aziendale riguarda la clientela (arredamento del negozio, allestimento della vetrina, azioni
promozionali, contabilità, ecc.).
- Assunzione del rischio commerciale; riguarda la senescenza fisica del prodotto,
l’invecchiamento tecnologico, economico, (obsolescenza), formale, psicologico (es. nella
143
moda), la rotazione degli stock, la perdita di prodotto (furti, incendi, ecc.), l’esazione di crediti, i
mutamenti (strutturali e congiunturali) nella domanda, ecc.
- Garanzia commerciale. È l’elemento fiduciario dell’impresa per la clientela. La
garanzia è sulla qualità; la garanzia industriale si dà con il marchio di fabbrica, la marca
industriale o la notorietà di provenienza (DOC, DOP, made in, ecc.), la garanzia commerciale è
data dall’impresa di intermediazione con attestazione formale di qualità (o di corrispondenza o
di mantenimento del prodotto nell’assortimento) ed oggi anche con la marca commerciale.
3) Funzioni economico-finanziarie
-
Determinazione del prezzo. Un tempo era l’operatore di mercato più vicino alla
domanda della clientela finale ad avere maggior potere contrattuale nella formazione del prezzo
(massimizzazione del divario tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita), oggi con il progresso
nella comunicazione, con le maggiori dimensioni economiche delle imprese, con la più facile
mobilità degli operatori, la manovrabilità sul prezzo da parte delle imprese commerciali è
diminuita, è diminuita dunque la sua funzione speculativa (massimizzazione del divario tra
prezzo di acquisto e prezzo di vendita) ed aumentata la funzione distributivo-commerciale
(remunerata dal margine commerciale), cioè l’adeguamento del flusso dei prodotti alle necessità
del produttore e del consumatore.
-
Finanziamento degli investimenti (depositi, mezzi di trasporto, ecc.), delle spese di
gestione corrente e delle spese commerciali (costi dell’immobilizzo di prodotti, cali, scarti ecc.).
Si distingue il finanziamento diretto alle imprese e il finanziamento commerciale o indiretto
(dilazioni di pagamento effettuate dai fornitori, anticipazioni dei pagamenti effettuati dalla
clientela).
4) Funzioni di comunicazione
-
Informazione, dai fornitori ai clienti e viceversa; è sempre più vasta ed importante
nella complessità e vastità del mercato (globalizzazione);
-
Promozione delle vendite (pubblicità, promozione vendite, vendita personale), che
interessa e coinvolge fornitori e clienti.
5) Funzioni psico-sociologiche
-
Ambiente commerciale; ha azione psicologica sulla clientela la gradevolezza, il
bello, il razionale, l’adeguato ambiente del locale, del negozio, ecc;
-
Rapporti umani; costituiscono punti di forza nel dettaglio tradizionale e sono in
contrapposizione alla tendenza alla spersonalizzazione dei rapporti sociali e commerciali (es.
internet);
144
-
Socializzazione; nelle aree o zone commerciali al dettaglio consistono in servizi,
attività di tempo libero, culturali, ecc.
-
Le funzioni richiamate non sempre sono ben definite, né sono uniche, né devono
essere sempre espletate; possono riscontrarsi a diversi livelli di commercializzazione, hanno
rilievo e intensità differenti, cambiano con le tipologie dei prodotti, con le situazioni ambientali
e di mercato, variano nel tempo e nella combinazioni.
9.2 Le forme distributive
Le funzioni di commercializzazione combinandosi danno luogo alle strutture di
commercializzazione; le attività che realizzano le funzioni di commercializzazione vengono
svolte dalle imprese commerciali, che così costituiscono le istituzioni delle strutture di
commercializzazione.
Le strutture di commercializzazione distinguono due grandi campi (o categorie) di attività
di distribuzione:
la distribuzione al dettaglio;
la distribuzione all’ingrosso.
-
La distribuzione al dettaglio
Il dettaglio svolge le attività relative alla vendita diretta al consumatore di prodotti per
suo uso personale.
Dettagliante o punto vendita al dettaglio individua una impresa commerciale (al dettaglio
o al minuto, cioè in vendita minuta di quantità) che acquista dal produttore o altra impresa
commerciale e che rivende al consumatore.
Le funzioni più rilevanti della distribuzione al dettaglio sono: frazionamento
di prodotti omogenei, assortimento e gamma di prodotti eterogenei, deposito,
assunzione del rischio commerciale, garanzia commerciale, determinazione
del prezzo, informazione, promozione delle vendite, ambiente commerciale,
rapporti umani, socializzazione.
Le imprese al dettaglio possono essere classificate:
Per tipo di impresa
1) Piccolo dettaglio
-
Dettaglio indipendente
Negozi tradizionali con vendita a banco e/o con self-service
Minimercati (superettes)
145
-
Negozi di comodità (convenience stores o di prossimità): negozi ad assortimento
Dettaglio associato
Gruppi di acquisto tra dettaglianti
Unioni volontarie tra grossisti e dettaglianti
Cooperative di consumo (aperte ai soli soci o anche al pubblico)
Franchising (o affiliazione commerciale)
Dettaglio associato
Secondo la definizione accolta nel nostro Paese, le unioni volontarie «sono costituite
dall'associazione di un grossista con un certo numero di dettaglianti i quali organizzano in
comune gli acquisti dei prodotti, allo scopo di realizzare la riduzione dei costi, impegnandosi
inoltre a seguire una politica comune di sviluppo delle vendite e di miglioramento dei servizi
resi al consumatore». I gruppi di acquisto «sono formati dall'associazione volontaria di un certo
numero di commercianti (al dettaglio, ambulanti, pubblici esercizi, mercati rionali, ecc.) i quali
concentrano, attraverso la società, le loro capacita di acquisto al fine di ottenere migliori
condizioni di prezzi nell'approvvigionamento delle merci ed altri vantaggi».
Si tratta di forme consortili che, pur mantenendo l'indipendenza dei punti di vendita, consentono
agli associati di presentarsi ai fornitori con una forza contrattuale ed una organizzazione
d'acquisto spesso per nulla inferiore rispetto a quelle proprie della grande distribuzione.
In seguito, i gruppi d'acquisto e le unioni volontarie possono svilupparsi con una ulteriore
associazione di più unioni o di più gruppi, dando così vita alle associazioni di II grado. Tali
consorzi espandono la loro attività a livello nazionale e non assistono i loro soci esclusivamente
nella funzione di acquisto, ma ampliano notevolmente i loro servizi. È infatti usuale la creazione
di un marchio comune, una pubblicità nazionale, la fornitura di servizi di assistenza tecnica e di
consulenza manageriale e finanziaria alle singole imprese.
Nell'ultimo stadio dello sviluppo l'associazione di II grado può addirittura comportarsi come la
singola impresa, aprendo cioè dei nuovi punti di vendita: in tale fase il consorzio non opera
più come semplice organismo di supporto agli
associati, ma diviene (sotto il profilo economico, non giuridico) istituzione distinta dai singoli
soci ed in grado, per certi versi, di perseguire proprie finalità.
Il franchising è un contratto tra un concedente (franchisor) ed un concessionario (franchisee),
mediante il quale il primo accorda al se-condo il diritto di utilizzare un insieme di tecniche
collaudate per lo svolgimento di un certo tipo di attività, con la sua assistenza
nell'organizzazione, nell'addestramento del personale, nei problemi commerciali e nella
direzione, in contropartita di determinati compensi. In pratica l'ipotesi più frequente riguarda un
piccolo commerciante che, grazie a questo tipo di accordi, può beneficiare del nome di una
grande azienda, dei prodotti e dei servizi che quest'ultima vende e dei suoi metodi organizzativi
e commerciali. A carico del piccolo negoziante è, oltre ad un certo investimento iniziale per
attrezzare il punto di vendita, un compenso in parte fisso e in parte variabile, da corrispondere al
concedente. La pratica in esame ha avuto già ampia diffusione negli U.S.A.; ma ha da qualche
tempo applicazioni significative in Europa, in Giappone ed altrove.
È stato sottolineato che elementi essenziali affinché un rapporto di franchising possa aver
successo sono:
— l'esistenza di un «prodotto» o «servizio» valido e ampiamente riconosciuto;
— una marca ed un'insegna dotate di vasta notorietà;
— un efficace e collaudato metodo di vendita del «prodotto» o «servizio » in questione.
Gli impegni del franchisee consistono:
a) nell'effettuazione degli investimenti necessari per costituire il punto di vendita, secondo le
indicazioni tecniche ricevute dal franchisor e nel luogo con lui concordato (questo anche allo
146
scopo di formare punti di vendita omogenei, atti ad originare una ben definita « immagine » del
prodotto; si hanno anche casi nel quale l'immobile è dato in locazione dal franchisor);
b) nell'accettare le direttive di gestione stabilite dal franchisor (orari di apertura, servizi resi ai
clienti, stile del personale, ecc.);
c) nell'accettare che l'assortimento posto in vendita sia stabilito dal franchisor, che ne è anche il
fornitore totale o più impor-tante;
d) nell'accettare che le vendite avvengano a prezzi prestabiliti o consigliati dal franchisor;
e) il franchisee è inoltre tenuto a redigere ed a trasmettere periodicamente al franchisor una certa
documentazione contabile, e se del caso deve sottoporsi a visite e controlli amministrativi.
A parte ciò, il franchisee è tenuto a versare al franchisor un diritto d'entrata fisso, sia pure di
dimensione assai variabile in funzione dell'attrattività del programma; ed una royalty
proporzionale al giro d'affari realizzato, versata su base periodica (mensile, o trimestrale, o
annuale, ecc.).
Un esempio interessante di franchising è stato, nel nostro Paese, l'af-filiazione Standa,
riguardante operatori commerciali che desiderano operare con impianti del tipo «grandi
magazzini »; o integrare propri supermercati, superettes o negozi alimentari qualificati con
l'assortimento non food. La Standa richiede all'affiliato la disponibilità di un locale di almeno
300 mq. destinato alla vendita ( oltre agli
accessori) ed un'autorizzazione di vendita che consenta di operare nella maggior
parte dei settori merceologici dei quali essa si occupa (abbigliamento, filato, teleria, merceria
tappezzeria, calzature, pelletteria, occhiali, profumeria e cosmetica, cancelleria, giocattoli,
articolo regalo, casalinghi e arredamento, dischi, ferramenta ed elettricità). Se questi requisiti
sussistono, la Standa analizza le caratteristiche di ubicazione del punto di vendita proposto,
stimandone la potenzialità di mercato, giungendo infine a stimare una presunta cifra d'affari e,
per confronto coi costi, una possibile dimensione di risultato economico.
Superata questa fase preliminare, si passa alla definizione del contratto. Questo, della durata di 9
anni, consente all'affiliato:
1) il godimento del marchio «Standa» e la presenza in esclusiva su una definita area di mercato;
2) la vendita esclusiva per il settore non food delle merci fornite dalla Standa;
3) la consulenza in fase di apertura, o di ristrutturazione, al fine di realizzare un allestimento, un
lay-out ed una cartellonistica simile a quella delle filiali Standa;
4) l'addestramento del titolare o del preposto e del personale in fase di apertura, con
aggiornamenti periodici;
5) l'accesso alle tecniche Standa;
6) assistenza amministrativa, legale e fiscale.
In contropartita la Standa richiede :
1) una percentuale sulle merci (variabile e calcolata in modo che per l'affiliato risultino
remunerativi anche gli articoli a basso ricarico);
2) il rispetto dei prezzi stabiliti dalla Standa;
3) l'adeguamento ad una comune politica di vendita;
4) il mantenimento dell'immagine Standa.
L'affiliato mantiene ovviamente la proprietà del punto di vendita, e conserva — nei limiti
segnalati — libertà d'iniziativa e di comportamento.
Fonte: L. Guatri S. Vicari, Il Marketing,Giuffrè
Si distinguono 3 forme:
- franchising al dettaglio, promosso dal produttore (es. Ford – concessionari);
- franchising all’ingrosso, promosso dal produttore (es. Coca Cola – imbottigliatori);
- franchising al dettaglio, promosso da una impresa di servizi (es. McDonald’s).
147
2) Grande dettaglio
-
Grandi punti vendita
Grandi magazzini a reparto (departement stores)
Magazzini popolari (magazzini a prezzo unico) (variety stores)
Supermercati
Magazzini sconto (discount houses, discount departement stores)
Maxi mercati (super stores)
Ipermercati
Centri commerciali (shopping centers)
Altri (garden centers, centri di arredamento, ecc.)
Grandi imprese
-
Catene di negozi
Cooperative di consumo a spacci multipli
Case di vendita per corrispondenza e su catalogo
Organizzazione di vendita automatiche
Imprese conglomerate di tipo commerciale8
Tipologia di alcune forme distributive:
GRANDE MAGAZZINO
Trattasi di un ampio esercizio al dettaglio di superficie superiore ai 400 mq., organizzato a
reparti (da cui la denominazione inglese di department store).
L'assortimento si caratterizza per l'offerta di un grandissimo numero di prodotti (quasi sempre
oltre le 100.000 referenze) appartenenti a settori merceologici diversi ed in massima parte di
consumo corrente, ad esclusione dei prodotti alimentari.
I prodotti offerti, che comprendono beni di consumo durevole, shopping goods e speciality
goods, sono di qualità prevalentemente medio-alta più adatti a segmenti di domanda di
condizione socioeconomica superiore.
I grandi magazzini sono ubicati nelle aree del centro cittadino in edifici di prestigio e sono
strutturati su più piani.
Tale forma distributiva si è inizialmente sviluppata in Francia, in Gran Bretagna e negli Stati
Uniti ed è stata introdotta in Italia dai fratelli Bocconi e dal Senatore Borletti, rispettivamente
con la RINASCENTE e la STANDA.
Attualmente i grandi magazzini si trovano nella fase di maturità e deten-gono, in quasi tutti i
paesi industrializzati, quote di mercato esigue e in lieve ma costante diminuzione.
MAGAZZINO A PREZZO UNICO
Si definisce magazzino a prezzo unico un esercizio al dettaglio operante nel comparto non
alimentare, che dispone di una superficie di vendita superiore a 400 mq. e di almeno cinque
distinti reparti. Spesso è presente un reparto destinato alla
vendita di prodotti alimentari organizzato a libero servizio con pagamento alle
casse in uscita. L'originale formula di vendita di tutti i prodotti ad un unico prezzo (dalla quale
deriva il nome) non è più utilizzata essendosi trasformata in vendita tramite categorie omogenee
8
Strutture di vendita diversificate in una molteplicità di attività al dettaglio comunque in grado di
utilizzare funzioni integrate di management e distribuzione.
148
di prezzi.
I magazzini a prezzo unico si distinguono dai grandi magazzini per l'ubicazione in aree ed
edifici meno prestigiosi e per rivolgersi ad una clientela più «popolare».
La tecnica di vendita utilizzata prevede la libera scelta con pagamento al personale di reparto
che svolge normalmente anche funzioni di cassa; tendenzialmente va sempre più diffondendosi,
anche per i reparti non alimentari, il libero servizio integrale con pagamento alle casse in uscita.
Questa forma distributiva presenta attualmente elementi di crescente obso-lescenza; all'estero,
particolarmente in Gran Bretagna, si è individuata una via di rivitalizzazione nella
trasformazione in discount.
SUPERMERCATO
II supermercato è un esercizio di vendita al dettaglio operante nel campo alimentare (autonomo
o reparto di grande magazzino) organizzato prevalentemente a libero servizio e con pagamento
all'uscita, che dispone di una superficie di vendita compresa fra i 400 e 2.500 mq. e di un vasto
assortimento di prodotti di largo consumo, in massima parte preconfezionati nonché,
eventualmente, di alcuni articoli non alimentari di uso domestico corrente. Il numero delle
referenze varia tra le 3.000 e le 4.000; per alcuni prodotti (prevalentemente alimentari freschi)
va sempre più diffondendosi l'introduzione della vendita assistita da personale specializzato.
I supermercati sono generalmente ubicati nelle zone periferiche dei centri urbani, o in
prossimità delle grandi arterie viarie interne, in costruzioni ad un solo piano e in aree dotate di
parcheggi.
IPERMERCATO
Si tratta di un esercizio di vendita al dettaglio, organizzato prevalentemente a libero servizio e
con pagamento all'uscita.
L'esercizio, concepito e realizzato in una struttura edilizia destinata esclusivamente ad uso
commerciale, offre, su una superficie di vendita di almeno 2.500 mq., disposta su un unico
piano, un vasto assortimento di prodotti alimen-tari e non alimentari.
L'esercizio è ubicato generalmente in zone periferiche o extra-urbane nei pressi di arterie
stradali di grande viabilità e dispone di ampie aree di parcheggio.
L'assortimento consta generalmente di 20/25.000 referenze.
Questa forma distributiva, ideata all'inizio degli anni '60 in Francia, dove operano attualmente
oltre 500 ipermercati, è stata introdotta in Italia circa dieci anni dopo.
SUPERETTE
Le superettes sono negozi con specifiche di vendita compresa fra i 200 ed i 400 mq. il cui
assortimento è costituito da prodotti di largo e generale consumo, prevalentemente alimentari,
venduti con la tecnica di libero servizio e, parzialmente (prodotti freschi), con il sistema della
vendita assistita.
Il numero delle referenze varia fra le 1.500 e le 1.700 unità.
La localizzazione va dai piccoli centri urbani ai quartieri centro/periferici dei grossi agglomerati
urbani.
Il personale è costituito da 3 addetti in media, il che consente una conduzione di tipo familiare.
L'area di attrazione della superette è quantificabile in un raggio di 500 mt. c/a da punto di
vendita o in un percorso (a piedi) di circa 5/10 minuti, che conferma la caratterizzazione della
superette quale punto di vendita di vicinato.
La superette svolge un'importante funzione di riconversione del negozio di alimentari
tradizionale nell'ambito dei processi di modernizzazione di tale comparto.
DISCOUNT
II termine discount non caratterizza una particolare forma distributiva, bensì una politica di
prezzo aggressiva.
Sono state definite alcune categorie di discount:
149
— il discount di servizio, che individua una sostanziale riduzione dei servizi commerciali
offerti;
— il discount di efficienza che individua un notevole aumento della forza di attrazione e quindi
una maggiore concentrazione degli acquisti rispetto alla «distribuzione normale»;
— il discount di qualità che riguarda una riduzione della qualità delle merci vendute.Mentre le
precedenti analizzano il lato dell'offerta, se si considera la do-manda è opportuno distinguere
tra:
— discount congiunturale che trova realizzazione nelle fasi di recessione nelle quali il
consumatore tende a ridurre l'acquisto di servizi commerciali per mantenere inalterato il
consumo di beni;
— discount interstiziale che si rivolge a segmenti di domanda con potere di acquisto limitato
(ad esempio: disoccupati, pensionati ecc.);
— e infine discount strutturale che rappresenta una componente stabile dell'offerta
commerciale.
Tuttavia, lo sviluppo ed il successo nel corso degli anni Sessanta di una particolare tipologia di
negozio (ideato in Germania dalla catena ALDI) ha trasformato tale modello in sinonimo di
forma distributiva.
Il discount tipo Aldi è un esercizio al dettaglio di superficie compresa tra i 100 e gli 800 mq. il
cui assortimento ristretto e poco profondo (dalle 400 alle 600 referenze) esclude i beni
alimentari deperibili. Nel discount tipo Aldi viene impiegato il libero servizio integrale e quindi
totalmente eliminato il servizio di assistenza del personale. I costi del personale risultano quindi
particolarmente ridotti anche in ragione della flessibilità nelle mansioni svolte.
La politica di prezzo particolarmente aggressiva è consentita dalla struttura dei costi,
dall'arredamento spartano, dalla ristrettezza dell'assorbimento e dall’elevato tasso di rotazione
delle scorte.
CASH & CARRY
II cash & carry è un punto di vendita all'ingrosso a libero servizio con superficie di vendita
superiore ai 400 mq. La clientela, costituita da commercianti al minuto ed utilizzatori
professionali provvede al pagamento in contanti ed al trasporto diretto della merce acquistata.
L'assortimento è particolarmente ampio e profondo (circa 7.000 referenze in media) e può
raggiungere le 30.000 referenze.
II cash & carry è una innovazione di prodotto nell’ ambito del commercio all'ingrosso tesa a
recuperare parte della clientela persa nell'ambito dei fenomeni di innovazione organizzative
(nascita delle Unioni Volontarie).
Secondo il LUGLI il cash & carry possiede degli elementi di impoverimento del prodotto
(riduzione del coefficiente di servizio, costi di trasporto sostenuti dal cliente, pagamento in
contanti) e degli elementi di arricchimento (maggiore ampiezza e profondità dell'assortimento,
azzeramento dei tempi fra conferimento degli ordini e ricevimento della merce, possibilità di
acquistare quantità limitate in una fascia orario estesa) rispetto al prodotto offerto dall'ingresso
tradizionale.
Fonte: L. Guatri S. Vicari, Il Marketing,Giuffrè
In funzione del servizio al cliente
150
CLASSIFICAZIONE DELLE IMPRESE AL DETTAGLIO IN FUNZIONE
DEL SERVIZIO AL CLIENTE
Meno servizio
Più servizio
Libero servizio
CARATTERISTICHE
Solo servizi
essenziali
Libera scelta
Servizio limitato
Numero ristretto Modesta varietà di
di servizi
servizi
Prezzi
convenienti
Punti vendita
discount
Magazzini a
prezzo unico
Supermercati
Ipermercati
Vendita per
corrispondenza
Vendita per
corrispondenza
ESEMPI
Ampia varietà di
servizi
Prezzi
convenienti
Prodotti di largo Prodotti di largo
Prodotti ad
e generale
e generale
acquisto ponderato
consumo
consumo
Punti vendita
discount
Servizio completo
Prodotti di lusso e
alla moda
Vendita a
domicilio
Punti di vendita
specializzati
Grandi magazzini
Grandi magazzini
Vendita telefonica
Magazzini a
prezzo unico
Vendita
automatica
Fonte Ph. Kotler, MARKETING MANAGEMENT. ISEDI
Schemi di classificazione dei tipi di dettaglianti
“disastro”
discount
Piccolo punto di vendita
supermercato
Negozio
specializzato
Mostra
d’arredamento
Bazar
Grande
magazzino
Margine basso
Linea ampia
(a) Rapporto
margine-rotazione
(b) Rapporto ampiezza
dell’assortimento-dimensioni del
punto vendita
Grande punto di vendita
gioielleria
LINEA DIRETTA
Alta Rotazione
Bassa Rotazione
MARGINE ELEVATO
Fonte Ph. Kotler, MARKETING MANAGEMENT. ISEDI
Secondo le linee di prodotto vendute.
Si basa sulla natura dei prodotti, sulla loro estensione e profondità dell’assortimento.
Secondo il ruolo determinante del prezzo
151
Secondo la struttura del servizio di vendita
Secondo la localizzazione dei punti vendita
Vari criteri di classificazione dei punti di vendita al dettaglio
Linee di prodotto
Ruolo
vendute
determinante
del prezzo
Punti di vendita
specializzati
Struttura del
servizio di
vendita
Tipologia delle
imprese al
dettaglio
Vendita
postale e
telefonica
Dettaglio
indipendente
Vendita
automatica
Catene di negozi
Magazzini di
sconto
(discount)
Grandi magazzini Maximagazzini
o magazzini
e ipermercati
Supermercati
Magazzini di
Magazzini di
esposizione
prossimità
(showrooms) e
di vendita su
Ipermercati e maxi
catalogo
magazzini
Localizzazione
dei punti di
vendita
Centro
commerciale
Centro
commerciale
regionale
Gruppi di acquisto
e cooperative di
Vendite
dettaglianti
convenzionate
Centro
commerciale di
quartiere
Cooperative di
consumo
Punti di vendita di
servizi (agenzie di
viaggio, sportelli
bancari,
lavanderie, ecc.)
Centro
commerciale di
comunità
Organizzazioni di
francising
Imprese
conglomerate di
tipo commerciale
Fonte Ph. Kotler, MARKETING MANAGEMENT. ISEDI
I principali punti di vendita nella distribuzione alimentare secondo l’assortimento di
prodotto e secondo il livello di prezzo sono:
Assortimento di
prodotto
Prezzo
Alto
Ristretto
Medio
Negozi
tradizionali
Basso
“Box”
stores
Grande
Supermercati
Discount
Vasto
Combination
stores
Ipermercati
Fonte Ph. Kotler, MARKETING MANAGEMENT. ISEDI
152
-
La distribuzione all’ingrosso
La distribuzione all’ingrosso svolge le attività relative alla vendita ai dettaglianti o ad
altre imprese intermediarie commerciali, ad imprese di produzione, alle collettività, ad enti,
istituti ecc.
Grossista o commerciante grossista individua una impresa commerciale (all’ingrosso,
cioè con transazioni di vendita di dimensioni consistenti), che acquista dal produttore o altra
impresa intermediaria per rivendere a imprese commerciali al dettaglio ed altri.
Le funzioni più rilevanti della distribuzione all’ingrosso sono: raggruppamento o
frazionamento di prodotti omogenei, assortimento e gamma o separazioni di prodotti eterogenei,
deposito, collegamento e intermediazione commerciale, finanziamento, trasposto, assunzione
del rischio, informazione di mercato, consulenza e servizi di management.
Le funzioni più rilevanti della distribuzione all’ingrosso sono:
- vendita e promozione o collegamento e intermediazione commerciale, i grossisti aiutano
i produttori a raggiungere molti piccoli clienti a costi contenuti. Il grossista intrattiene più
contatti e spesso gode di maggiore fiducia dell’acquirente in quanto è più vicino rispetto al
produttore;
- raggruppamento o frazionamento di prodotti omogenei, i grossisti offrono ai clienti la
possibilità di risparmiare acquistando le merci in grande quantità, successivamente divise in lotti
di dimensioni più contenute;
- assortimento e gamma o separazioni di prodotti eterogenei, i grossisti possono
selezionare gli articoli e creare gli assortimenti necessari ai clienti, sollevando i consumatori da
un compito oneroso;
- deposito, i grossisti si occupano della gestione delle scorte, riducendo i costi di
giacenza e i rischi rispetto ai produttori;
- finanziamento, i grossisti
finanziano sia i propri clienti, facendo loro credito
all’acquisto della merce, sia i fornitori, ordinando la merce in anticipo e pagando a consegna
avvenuta;
- trasposto, un grossista può offrire tempi di consegna più brevi in quanto risulta più
vicino rispetto ai produttori;
- assunzione del rischio, i grossisti si assumono il rischio in quanto acquisiscono il titolo
di proprietà per le merci trattate e si assumono quindi gli eventuali costi di furto, danno,
smarrimento e obsolescenza della merce;
- informazione di mercato, i grossisti procurano informazioni a fornitori e clienti sulla
concorrenza, sui nuovi prodotti e sull’andamento dei prezzi;
153
- consulenza e servizi di management, i grossisti spesso offrono assistenza ai dettaglianti
per quanto riguarda la formazione degli addetti alle vendite, lo stoccaggio delle merci e
l’esposizione nei punti vendita e, infine, l’adozione di sistemi di contabilità e controllo delle
scorte.
L’impresa commerciale all’ingrosso riduce il numero dei rapporti di scambio fra
produttore e dettagliante, come si evince dal seguente prospetto.
9 transazioni
18 transazioni
L’impresa commerciale all’ingrosso tradizionale attraversa un periodo di crisi di
imprenditorialità (ma non di funzioni, che si trasformano ed ammodernano: assistenza e
consulenza, garanzia commerciale, informazione, promozione delle vendite, ecc.) determinata:
dal lato dell’offerta, dalle maggiori dimensioni economiche delle imprese industriali ed agricole
e dalla loro organizzazione d’impresa che gradualmente passa dall’orientamento al prodotto,
all’orientamento alla vendita, al mercato, al marketing; dal lato della domanda, dalle maggiori
dimensioni economiche delle imprese commerciali al dettaglio, dalle più agevoli possibilità di
rapporti commerciali con le imprese di produzione in conseguenza dello sviluppo delle
comunicazioni
e
della
mobilità
degli
operatori
economici
ai
diversi
livelli
di
commercializzazione, dalla crisi delle imprese commerciali al dettaglio tradizionale.
Il commercio all’ingrosso pertanto attraversa una fase di rivitalizzazione con funzioni
nuove e con l’assunzione delle funzioni del grossista da parte del produttore o del dettagliante o
con l’assunzione delle funzioni del produttore o del dettagliante da parte del grossista.
Le condizioni fra la specializzazione funzionale dell’impresa grossista e l’integrazione
funzionale dell’impresa da monte a valle dipendono dalle situazioni di mercato e delle economie
realizzabili dalle imprese nella filiera.
154
Prima
Dopo
Oppure
Ancora
Inoltre
Infine
P
P
(P)
P
P
P
G
(G)
G
(G)
G
(G)
Produttore
Grossista
D
D
D
D
(D)
(D)
C
C
C
C
C
C
Dettagliante
Consumatore
Le imprese all’ingrosso possono classificarsi per tipologia in:
-
Imprese grossiste indipendenti: acquisiscono il titolo di proprietà dei prodotti e
possono essere distinte secondo le tipologie merceologiche. Si distinguono:
a) imprese grossiste a servizio completo (svolgono tutte le funzioni proprie
dell’ingrosso), si suddividono in:
• grossisti di beni di consumo (vendono ai dettaglianti), trattano una vasta gamma di
linee di prodotto (ingrosso despecializzato) o una o due linee di prodotto con rilevante
profondità di assortimento (ingrosso specializzato per settore), o specifici prodotti (ingrosso
specializzato per prodotto);
• distributori industriali, che trattano prodotti per imprese manifatturiere.
b) imprese grossiste a servizio limitato (svolgono alcune delle funzioni proprie
dell’ingrosso), si suddividono in:
• libero servizio all’ingrosso (cash and carry wholesale) trattano un numero ridotto di
prodotti standardizzati, ma ad alta vendibilità, con vendita ai dettaglianti;
• ingrosso con consegna al punto vendita (per merci deperibili: latte, carni, pane, ecc.),
sono attrezzate con parco automezzi;
• distributori di ordini (deop shipper), raccoglie ordini dai clienti e li trasmette ai
produttori assumendo il titolo di proprietà dei prodotti ed i rischi connessi;
• ingrosso senza deposito (rack jobber), nel campo non alimentare, rifornisce gli scaffali
dei dettaglianti e fattura i prodotti dopo la loro vendita;
• cooperative di produzione, fra imprese agricole che commercializzano;
• ingrosso per corrispondenza, vendono su catalogo ai dettaglianti, alle istituzioni ecc.
(prodotti della gastronomia, cosmetici, gioielli, ecc.)
155
-
Broker ed agenti: non assumono il titolo di proprietà dei prodotti e svolgono solo
alcune delle funzioni dell’ingrosso, la loro funzione principale è di facilitare le operazioni di
compravendita, con compenso della commissione percentuale sul prezzo di vendita. Sono
specializzati per linea di prodotto o per clientela servita.
a) broker: assiste venditori ed acquirenti sulla negoziazione; il compenso è a carico di chi
ne richiede il servizio. Non sostiene onere, né assume rischi. Sono presenti nei settori
alimentari, assicurativo, finanziario, immobiliare,ecc.
b) agenti: rappresentano il venditore o l’acquirente e si distinguono in:
• agenti del produttore (rappresentanti), rappresenta uno o più produttori di linee di
prodotti complementari. Le aree di attività possono essere: le politiche di prezzo, le procedure di
inoltro degli ordini, i servizi e le garanzie dei clienti. Sono rappresentanti generali quelli che
hanno l’incarico di vendere l’intera produzione dell’impresa;
• agenti di acquisto (buyer), organizzano gli acquisti di prodotti artigianali o di piccole
imprese di settori specifici, generalmente per conto di imprese estere della grande distribuzione;
• commissionari, acquisiscono il possesso fisico dei prodotti, ma non la proprietà, e
procedono alla negoziazione delle vendite. I settori di operatività sono quelli connessi
all’agricoltura.
- Operazioni all’ingrosso delle imprese manifatturiere e del dettaglio. Questa forma di
commercio all’ingrosso è svolta direttamente dalle imprese industriali e dai dettaglianti. Si
distinguono due tipi di modalità operative:
a) filiali ed uffici vendita da parte delle imprese industriali;
b) uffici acquisti da parte delle imprese al dettaglio.
- Imprese grossiste varie. Sono forme particolari:
a) distributori di prodotti petroliferi;
b) case d’asta (tabacco, bestiame ed altri numerosi prodotti fra cui anche alcuni prodotti
agricoli: vino)
c) grossisti di prodotti agricoli, raccolgono i prodotti presso le aziende agricole e
rivendono all’industria alimentare, alle catene di supermercati, alle istituzioni pubbliche ecc.
9.3 La distribuzione fisica (o logistica di marketing)
La distribuzione fisica comprende le funzioni di pianificazione, gestione e controllo del
movimento dei prodotti dai punti della produzione ai punti dell’impiego ed ha l’obiettivo di
mettere a disposizione i prodotti giusti nel posto giusto, al tempo giusto ed al minor costo
possibile, al fine di soddisfare con profitto le esigenze dei consumatori.
156
Nella gestione della distribuzione fisica le attività svolte comprendono: l’evasione degli
ordini di acquisto da parte del cliente, il magazzinaggio delle merci destinate alla vendita
(località di deposito), il livello delle scorte per consentire l’evasione immediata delle richieste
della clientela, il trasporto (la scelta dei vettori influenza il prezzo dei prodotti, i tempi di
consegna e lo stato dei prodotti).
Principali attività di distribuzione fisica
Fonte Ph. Kotler, MARKETING MANAGEMENT. ISEDI
Ogni possibile sistema di distribuzione fisica implica un costo totale così calcolabile:
D = T + FM + VM + S
D= costo totale della distribuzione fisica;
T= costo del trasporto;
FM= costo fisso totale del magazzino;
VM= costo variabile totale di magazzino, incluse le scorte;
S= costo totale delle mancate vendite in relazione al tempo medio di consegna.
157
9.4 I canali di distribuzione (o di marketing)
Nel sistema distributivo operano numerose figure di intermediari commerciali che
svolgono numerose funzioni; esse possono così essere distinte:
-
Commercianti, sono i grossisti ed i dettaglianti che assumono nell’acquisto e vendita il
diritto di proprietà sul prodotto;
-
Intermediari, sono i mediatori, i rappresentanti, gli agenti di vendita, buyer che
negoziano la compravendita del prodotto per conto dei produttori o degli acquirenti, ma non
acquisiscono il diritto di proprietà del prodotto;
-
Ausiliari, sono tutte le altre figure come imprese di trasporti, magazzini di deposito,
banche, agenzie pubblicitarie, ecc. che contribuiscono allo svolgersi della distribuzione, ma non
acquisiscono alcun diritto di proprietà sul prodotto, né interagiscono nella negoziazione di
compravendita dello stesso.
La maggior parte dei produttori per vendere i propri prodotti sul mercato al consumo si
servono degli intermediari commerciali; questi costituiscono un canale di distribuzione o
commerciale o di marketing.
Il canale di distribuzione, secondo la definizione di Bucklin9, è costituito da un insieme di
istituzioni che svolgono il complesso di attività (funzioni) necessarie per trasferire un prodotto
ed il relativo titolo di proprietà dal produttore al consumatore.
Per canale o circuito di distribuzione si può intendere anche il percorso – riferito ai
passaggi di proprietà del prodotto – seguito da un prodotto nel trasferimento dal produttore al
consumatore.
Le funzioni dei canale di distribuzione o di marketing sono:
• ricerca: raccolta d’informazione al fine di pianificare e facilitare lo scambio;
• promozione: realizzazione e diffusione di messaggi persuasivi sull’offerta;
• contatto: comunicazione con i potenziali acquirenti;
• adattamento commerciale del prodotto (alle richieste degli acquirenti): comprende le
attività di produzione, selezione, assemblaggio ed imballaggio del prodotto;
• negoziazione: formazione del prezzo e accordo su altri aspetti contrattuali;
• distribuzione fisica: trasporto e deposito dei prodotti;
• finanziamento: risorse finanziarie necessarie per sostenere i costi;
• rischio: assunzione del rischio nello svolgimento delle attività.
9
Louis P. Bucklin, A Theory of Distribution Channel Structure, Istitute of Business and Economic
Research University of California, Berkeley 1966.
158
Le prime 5 funzioni consentono lo svolgimento delle transazioni, le ultime 3 né
determinano la conclusione.
I principali tipi o stadi di canale sono:
-
Canale diretto: produttore – consumatore. Si riscontra nella distribuzione di beni
strumentali, mentre assume peso modesto nella distribuzione dei beni di consumo.
Si effettua da parte del produttore
• con negozi propri;
• con vendita a domicilio;
• con vendita su catalogo (o opuscoli o depliants);
• con macchine distributrici automatiche;
• con accordo di collaborazione (Joint-venture).
-
Canale corto o breve: fra produttore e consumatore si interpone come intermediario il
dettagliante.
-
Canale lungo: fra produttore e consumatore si interpongono due o più intermediari
commerciali.
Esempi dei diversi stadi nel canale
Canale diretto
(P-C)
Produttore
Canale con uno
stadio
Produttore
intermedio
(P-D-C)
Canale a due
stadi
Produttore
(P-G-D-C)
Canale a tre
stadi
Produttore
(P-G-A-D-C)
Consumatore
Grossista
Grossista
Agente
Dettagliante
Consumatore
Dettagliante
Consumatore
Dettagliante
Consumatore
Fonte Ph. Kotler, MARKETING MANAGEMENT. ISEDI
Nel canale si distinguono diverse tipologie di flussi:
• flusso fisico, riguarda il movimento fisico dei prodotti;
• flusso di titolo, riguarda i passaggi di proprietà;
• flusso di pagamenti, riguarda i passaggi dei pagamenti;
• flusso di informazioni, riguarda la trasmissione delle informazioni;
• flusso promozionale, riguarda le varie forme di comunicazione.
159
Cinque diversi flussi nel canale di marketing dei carrelli trasportatori
Fonte Ph. Kotler, MARKETING MANAGEMENT. ISEDI
I canali di distribuzione sono percorsi dinamici e recentemente sono sorti nuovi sistemi,
per cui né deriva la distinzione fra:
-
Canale distribuzione convenzionale, dove produttore, grossista, dettagliante sono
operatori (o imprese) indipendenti (o insieme separato di attività) con lo scopo di massimizzare
i propri profitti; nessun componente del canale ha il controllo sostanziale sugli altri;
-
Sistema verticale di marketing, costituito da produttore, uno o più grossisti, uno o più
dettaglianti che agiscono in modo unificato; uno di essi ottiene la cooperazione degli altri
membri mediante l’acquisizione del controllo, l’affiliazione o altre manifestazioni di gestione
del mercato. Tale sistema ha origine dalla necessità di controllare il canale di distribuzione e di
eliminare il conflitto fra gli operatori economici che pur avendo il medesimo obiettivo generale,
operano indipendentemente per il raggiungimento di obiettivi aziendali propri. Questo sistema
realizza economie di scala in relazione alla dimensione realizzata, ai maggiori poteri contrattuali
acquisiti, alla eliminazione di duplicazione di servizi.
Si riscontrano i seguenti tipi di sistema verticale di marketing:
o
aziendale, riunisce nella stessa impresa (proprietà) lo stadio produttivo e
distributivo;
160
o
amministrativo, considera gli stadi della produzione e distribuzione attraverso la
dimensione ed il potere di una delle parti (marca dominante) che si assicura la cooperazione
commerciale dei rivenditori;
o
contrattuale, imprese indipendenti di produzione e distribuzione integrano i loro
programmi con contratti al fine di realizzare maggiori economie e maggiori vendite. Tra questi
sistemi si hanno: le unioni volontarie (aggregazioni di dettaglianti promosse da grossisti), gruppi
di acquisto (cooperative) fra dettaglianti, organizzazioni di franchising (o affiliazione).
I sistemi verticali di marketing costituiscono la nuova concorrenza, che non si svolge più
fra singole imprese, ma fra interi sistemi centralmente programmati per conseguire elevate
economie di costo ed una maggiore risposta del consumatore.
Altri aspetti evolutivi nei canali di distribuzione sono rappresentati dalle combinazioni di
due o più imprese per sfruttare le opportunità emergenti, con accordi temporanei o permanenti
(es. le joint venture), o dalla distribuzione multicanale per raggiungere lo stesso o differenti
mercati (es. i conglomerati commerciali).
La scelta del canale (politica di canale) comporta l’analisi:
• delle caratteristiche del prodotto (deperibilità, valore unitario, grado di necessità,
voluminosità, ecc.);
• della struttura della produzione (dimensioni delle imprese concorrenti, grado di
concentrazione dell’industria, localizzazione della produzione, ampiezza delle gamme
qualitative e della produzione, ecc.);
• delle caratteristiche degli intermediari (agenti, rappresentanti, ecc.) al fine di motivarli
(con incentivi) e valutare il loro impegno e frequenza;
• delle caratteristiche della clientela (numerosità), abitudini di acquisto, concentrazione,
ecc.);
• della struttura del commercio al dettaglio (numero e tipologia dei negozi che vendono
il prodotto, dalle dimensioni delle imprese di dettaglio, ubicazione dei punti vendita rispetto alla
produzione ed ai consumatori, ecc.);
• delle caratteristiche ambientali (condizioni economiche, leggi e norme, piani
urbanistici e commerciali, ecc.).
e la determinazione degli obiettivi:
- determinazione volumi di vendita;
- stabilità delle quote di mercato;
161
- massimizzazione della differenza tra prezzi di vendita e costi unitari complessivi dei
prodotti;
- contenimento dei rischi e degli investimenti.
Il volume di vendita di un prodotto è legato al grado di penetrazione e al grado di
copertura nei negozi al dettaglio.
Il grado di penetrazione di un prodotto esprime il rapporto tra le vendite effettuate alla
clientela servita (negozi serviti) e gli acquisti totali di quest’ultima per il prodotto.
Il grado di copertura ponderata della clientela (negozi) esprime il rapporto tra gli acquisti
totali del prodotto da parte della clientela servita (negozi serviti) e le vendite totali del prodotto
nel settore (negozi totali).
La penetrazione esprime dunque la quota di mercato dell’impresa per un prodotto (o
gruppo di prodotti), considerando il mercato costituito dai clienti serviti (negozi serviti).
La copertura ponderata esprime dunque la quota di vendite potenziali che la clientela
servita (negozi serviti) rappresenta sulle vendite totali del prodotto (o gruppo di prodotti)
(negozi totali).
La quota di mercato esprime il peso delle vendite dell’azienda di un prodotto (o gruppo
di prodotti) sulle vendite totali, cioè:
poiché
e
QM= quota di mercato dell’azienda
VA= vendite dell’azienda
Vt= vendite totali del mercato (o dimensione del mercato)
QM =
VA
Vt
GP =
VA
ACS
dove
GP= grado di penetrazione dell’azienda (nei negozi serviti)
ACS= acquisti totali della clientela servita (negozi serviti)
GC =
ACS
Vt
dove
GC= grado di copertura ponderata della clientela (negozi
serviti sui negozi totali)
dove
la QM può esprimersi come:
VA ACS
QM =
⋅
ACS Vt
cioè la quota di mercato dell’azienda è il risultato della
moltiplicazione del grado di penetrazione del prodotto
per il grado di copertura della clientela.
162
Esempio:
QM = 16% ;
VA
ACS
VA
ACS
= 20% e
= 80% oppure
= 80% e
= 20% .
ACS
Vt
ACS
Vt
16 = 20 ⋅ 80
16 = 80 ⋅ 20
VA
20
= 20 =
ACS
100
VA
80
= 80 =
ACS
100
oppure
ACS
100
= 80 =
Vt
125
16 =
ACS
100
= 20 =
Vt
500
20
125
16 =
80
500
La copertura ponderata della clientela si può scomporre:
ACS
ACS
n =
GC=
=
Vt
Vt
N⋅
N
n⋅
dove:
n = numero di clienti serviti (negozi serviti);
N = numero di clienti totali (negozi totali);
ACS
n = acquisto medio della clientela servita (per negozio servito);
Vt
N = acquisto medio della clientela totale (per negozio totale);
svolgendo
dove:
GC =
n ACS N
⋅
⋅
N n Vt
n
= grado di copertura della clientela (negozi serviti su negozi totali);
N
ACS
= peso medio (o acquisto medio) della propria clientela;
n
N
= grado di dispersione della clientela totale (o potenziale) (totale
Vt
negozi), cioè
numerosità della clientela totale (negozi totali) in rapporto alla dimensione del
mercato;
163
n
ACS
e
sono l’effetto (delle scelte) della politica distributiva dell’impresa;
N
n
N
non è controllabile dall’impresa, riguarda l’ambiente esterno e dunque è un vincolo.
Vt
L’indice (o grado) di concentrazione delle vendite rispetto alla clientela indica la
percentuale delle vendite effettuata dalla percentuale delle imprese. Serve per la scelta dei
clienti (negozi) da servire in modo tale da aumentare il grado di copertura: se n aumenta, perché
aumenti ACS
n
deve aumentare anche ACS, per conseguenza l’aumento può avvenire se i
negozi di nuova acquisizione hanno un indice di concentrazione delle vendite elevato.
Indice di concentrazione
% cumulativa dei % cumulativa
negozi
delle vendite
10
33
20
51
30
65
40
75
50
84
60
89
70
93
80
97
90
99
100
100
Le politiche della distribuzione pertanto riguardano la scelta di aumentare il grado di
penetrazione, cioè le vendite medie per negozio servito, aumentando la fedeltà dei dettaglianti,
oppure aumentare il grado di copertura acquisendo altri negozi da servire, scelti fra quelli che
permettono aumenti nelle vendite del prodotto, o ancora contemporaneamente aumentare il
grado di penetrazione ed il grado di copertura al fine di ottenere l’aumento della quota di
mercato.
La stabilità ed il controllo della quota di mercato dipendono dalle scelte sulla rete
distributiva (intermediari o una propria rete di vendita) ed in contemporanea sugli altri strumenti
di marketing, in specie sulla pubblicità.
La massimizzazione dei divari fra prezzi di vendita e costi richiede il calcolo della
convenienza dei diversi canali fondandosi su: i prezzi medi del canale, i costi variabili per
canale, i costi fissi per canale, i costi non imputabili secondo il seguente schema:
164
CONTO ECONOMICO RELATIVO AI CANALI
Canale 1
P1
S1
Pn1
Canale 2
P2
S2
Pn2
a1
b1
c1
d1
e1
Cv1
a2
b2
c2
d2
e2
Cv2
M 1I = Pn1 − Cv1
M 2I = Pn 2 − Cv 2
Ricavo lordo
Sconti vari
Ricavo netto
Provvigioni
Promozioni
Costi variabili di scorta
Costi del trasporto
Altri costi di vendita
Costi variabili di canale
1° margine di contribuzione
Costi di magazzini periferici
Costi di pubblicità al canale
Ammortamento attrezzature di vendita
Costi fissi di canale
2° margine di contribuzione
f1
g1
h1
Cf1
f2
g2
h2
Cf2
M II = Pn − Cv − Cf
1
1
1
Costi della sede di controllo
Costi del personale annuo di vendita
Costi del magazzino centrale
Ammortamento attrezzature di trasporto
Costi comuni del personale di vendita
Costi comuni di vendita
Margine netto
M n1 = Pn1 − Cv1 − Cf1 − Cc
M 2II = Pn2 − Cv2 − Cf 2
1
i
l
m
n
o
Cc
M n 2 = Pn2 − Cv 2 − Cf 2 − Cc
Si sceglierà il canale con il maggiore margine netto.
Il contenimento degli investimenti e dei rischi deve tenere conto dei costi relativi a:
immobilizzazioni tecniche (per formazione di filiali, depositi, uffici periferici, potenziamento
uffici centrali, potenziamento delle attrezzature, ecc.), scorte di prodotti finiti (per formazione di
scorte centrali e periferiche, per fronteggiare le punte stagionali, ecc.), crediti concessi alla
clientela (pagamenti differiti), beni immateriali (costi per la ricerca, per l’addestramento dei
venditori, per la pubblicità alla marca, ecc.).
Si sceglierà il canale con costi di investimento e rischi più bassi.
Nella scelta dei canali però c’è una stretta relazione tra lunghezza del canale e dimensioni
aziendali: le maggiori dimensioni aziendali favoriscono l’adozione di canali corti.
165
L’impresa definito il suo mercato obiettivo ed il posizionamento del prodotto e scelto il
canale dovrà identificare i vari tipi di sbocchi (o sub-canali) o alternative di canale.
L’alternativa di canale è definita da tre elementi:
-
Tipi di intermediari
Numero di intermediari
Responsabilità dei membri partecipanti al canale
Tipi di intermediari, cioè identificazione dei tipi di intermediari disponibili a svolgere il
ruolo nel canale (es. forza vendita dell’impresa, agenti esclusivi e non esclusivi, rivenditori,
distributori, vendite per corrispondenza, ecc.).
Numero degli intermediari, riguarda le decisioni sul numero di intermediari da utilizzare
ad ogni stadio del canale distributivo. Le strategie sono tre:
• Distribuzione intensiva, basata sul mantenere costantemente rifornito il maggior
numero di punti vendita;
• Distribuzione esclusiva, basata su un numero di venditori che detiene i diritti di
distribuzione dei prodotti dell’impresa in diverse zone. Rafforza l’immagine del prodotto e
permette alti ricavi di ricarichi;
• Distribuzione selettiva, basata sull’impiego di più intermediari commerciali ma in
numero inferiore a quelli disposti a trattare il prodotto. Riesce a dare una buona copertura di
mercato, ma con costi inferiori alla distribuzione intensiva.
Responsabilità dei membri del canale, cioè determinare le condizioni operative e le
responsabilità dei vari componenti del canale: politiche di prezzo (listino e sconti), condizioni di
vendita (termini di pagamento e garanzia), diritti di zona (per l’esclusiva di vendita), specifici
servizi da svolgere (assistenza, promozionale amministrativa, formazione, ecc.).
La valutazione delle alternative di canale va fatta sulla base di criteri economici, poiché
ogni alternativa produrrà un differente livello di vendite e di costi, come mostrato dal grafico
seguente:
166
Il punto A è il punto di indifferenza: se le vendite sono inferiori ad A è conveniente
impiegare la rete di agenti, se superiori ad A la forza vendita dell’impresa.
167
10 PROMOZIONE E PUBBLICITÀ.
10.1 Comunicazione
Comunicazione è attività di informazione e persuasione che l’impresa rivolge ai
consumatori per fargli intravvedere l’entità dell’acquisto di un prodotto e la rispondenza alle sue
esigenze (o far conoscere l’esistenza del prodotto e le sue prerogative ai potenziali acquirenti).
L’informazione deve avere particolare riferimento a:
prodotto: caratteristiche, composizione, consumo, aspetti nutrizionali ed organolettici;
rapporto qualità-prezzo;
tecniche di produzione, conservazione, trasporto;
finalità del prodotto nell’alimentazione.
L’informazione orienta il consumatore nelle scelte che deve operare quotidianamente
nell’alimentazione; tali scelte, in una economia di abbondanza, non riguardano tanto la necessità
di soddisfare i bisogni fisiologici elementari, quanto il desiderio di soddisfare i bisogni più
complessi e sofisticati. I consumatori per conseguenza sono più selettivi nelle loro scelte, per
cui per le imprese diventa fondamentale informarli per orientare le loro scelte.
L’impresa con la (politica di) comunicazione stimola e spinge i consumatori verso il
prodotto pubblicizzato (o reso noto, divulgato con l’informazione).
Nell’ambiente economico attuale e moderno l’impresa si trova a gestire un sistema di
comunicazione di marketing complesso; infatti: la comunicazione deve essere rivolta agli
intermediari, ai consumatori, ai diversi tipi di pubblico (soggetti istituzionali e non). Gli
intermediari comunicano con i consumatori e con i diversi tipi di pubblico. I consumatori
sviluppano una fitta rete di comunicazioni orali ed informali fra loro e con altri gruppi. Ogni
gruppo a sua volta fornisce comunicazioni a tutti gli altri (passa parola).
L’impresa con la (politica di) comunicazione ha come obiettivo principale generale
l’incremento delle vendite sul mercato e come obiettivi collaterali o specifici: la ricerca di nuovi
segmenti di mercato, la crescita della domanda attuale, il recupero di parte della domanda
potenziale, il rafforzamento dell’immagine di una marca e di un prodotto, la conoscenza degli
elementi qualitativi del prodotto, la presentazione di un nuovo prodotto, il supporto nel lancio di
un nuovo prodotto, ecc.
La base della politica di comunicazione è la ricerca di marketing (dati, notizie, decisioni)
su: tipo di prodotto, situazione del mercato, concorrenza presente, comportamento del
168
consumatore, realtà aziendale, prodotto oggetto di comunicazione, destinatari del messaggio,
tipo di messaggio comunicativo, ecc.
Obiettivo della comunicazione è la conoscenza del consumatore sul prodotto e la sua
immagine e sull’impresa e la sua immagine, e dunque la determinazione del posizionamento del
prodotto sul mercato e del consumatore che deve raggiungere ed in quale modo raggiungerlo.
Gli obiettivi della comunicazione devono essere chiari, materialmente raggiungibili,
definiti nel tempo, nello spazio, nello specifico contenuto, affinché si possano individuare
metodi, strumenti, percorsi di comunicazione; in altre parole si tratta di individuare gli obiettivi
(affidabilità, qualità, prezzo) del prodotto, le vie distributive, i mezzi di comunicazione.
Le componenti fondamentali della comunicazione di marketing (communication mix, o
mix della comunicazione, o mix promozionale) sono:
•
Pubblicità: qualsiasi forma di presentazione e promozione (comunicazione di un
messaggio) non personale attraverso i media di un prodotto, un servizio,
un’organizzazione, un’idea, con lo scopo di promuovere le vendite e di creare
l’immagine dell’impresa e del prodotto.
•
Promozione delle vendite: Attività e tecniche volte ad incentivare nel breve periodo
gli acquisti o le vendite di prodotti e servizi.
•
Pubbliche relazioni: attività finalizzate a ottenere una propaganda favorevole, creare
un’immagine positiva dell’impresa e gestire o sviare voci, storie ed eventi
sfavorevoli al fine di instaurare rapporti positivi con i vari tipi di pubblico
dell’impresa.
•
Vendita (forza vendita) personale (personal selling): azione di vendita, costituita
dalla presentazione orale da parte di agenti o rappresentanti ad uno o più acquirenti
potenziali di un prodotto o servizio.
169
Strumenti promozionali: alcuni esempi.
Pubblicità
Promozione
vendite
Annunci stampa e Concorsi a premi,
radiotelevisivi
lotterie, gare di
vendita
Elementi esterni
della confezione
Offerte e vendite
speciali
Elementi interni
della confezione
Campioni gratuiti
Pubbliche
Relazioni
Vendita
personale
Rassegne
stampa
Presentazioni di Cataloghi
vendita
Contatti
Riunioni
e telefonici
convegni
di
vendita
Chioschi
informativi
Telemarketing
Siti web
Programmi
di
Posta
incentivi
elettronica
Campionari ed
altro
materiale
per i venditori
Conferenze
Seminari
convegni
e
Relazioni
di
Pubblicità postale Fiere, mostre ed bilancio
esposizioni
Cataloghi
Contributi per
Dimostrazioni
opere
Film pubblicitari
assistenziali e
Buoni sconto
di
pubblico
Riviste aziendali
interesse
Buoni premio
Opuscoli
e
Propaganda
pieghevoli
Liquidazioni
Manifesti
locandine
e Agevolazioni
pagamento
Annuari
Riproduzione
manifesti
pubblicitari
Marketing
diretto
di
Sopravvalutazione
dell’usato
di
Raccolta di punti e
figurine
Affissioni stradali Spettacoli
Materiale
espositivo
Audiovisivi
Simboli
immagini
e
Fonte: Ph. Kotler, Marketing management. ISEDI.
Il cambiamento delle comunicazioni di marketing è da imputare innanzitutto al fatto che,
con la frammentazione dei mercati di massa, gli operatori di marketing si stanno allontanando
dal marketing di massa e sempre più spesso sviluppano programmi di marketing focalizzati, allo
scopo di instaurare rapporti più profondi con una clientela che rientra in micro mercati più
specifici. In secondo luogo, i grandi progressi delle tecnologie dell’informazione accelerano la
tendenza al marketing segmentato. In questo nuovo ambiente di comunicazione le imprese
170
devono reimpostare il ruolo dei singoli media e strumenti del mix promozionale, ponendo
attenzione ad integrare bene i vari canali di comunicazione al fine di evitare un disordine
comunicativo che si riversa sul consumatore e che rischia di essere controproducente per
l’impresa stessa. Può succedere che la pubblicità diffusa dai mass media comunichi un
messaggio, la campagna di prezzi un altro e il materiale promozionale e di supporto alla vendita
e l’etichetta un altro ancora.
Il problema è che queste comunicazioni spesso vengono da fonti diverse all’interno
dell’impresa. Per superare questo problema, oggi molte imprese adottano il concetto di
comunicazione integrata di marketing (CIM) in base al quale ci si dedica a un’attenta
integrazione e coordinazione dei numerosi canali di comunicazione allo scopo di trasmettere un
messaggio chiaro, coerente e convincente sulla propria organizzazione e le relative marche. La
CIM genera maggiore coerenza comunicativa e incide maggiormente sulle vendite; il compito
viene affidato ad un unico responsabile che agisce con lo scopo di sviluppare una strategia di
comunicazione globale per l’azienda.
Mix di strumenti promozionali integrati
Messaggi coerenti, chiari e
convincenti sull’impresa e i
suoi prodotti
Elementi del processo di comunicazione:
Fondamentali:
-
comunicatore (o fonte, o emittente), chi emette il messaggio;
-
ricevente (o audience, o destinatario), chi riceve il messaggio.
171
Strumenti:
-
messaggio, insieme di simboli ed informazioni che il comunicatore
trasmette;
-
mezzo (o media), individua i mezzi di comunicazione di massa (canali di
comunicazione), attraverso i quali il messaggio viene diffuso.
Funzioni:
-
codifica, trasformazione del pensiero, dell’idea in forma simbolica (simboli)
in messaggio da parte del comunicatore;
-
decodifica, trasformazione del messaggio o simboli in significati da parte
del ricevente;
-
risposta, la reazione del ricevente dopo aver ricevuto e decodificato i
simboli o il messaggio;
retroazione (o feedback), è la risposta del ricevente al comunicatore .
Sistema (o ambiente):
-
rumore, distorsioni che si verificano nel processo di comunicazione, per cui
al ricevente può arrivare persino un messaggio diverso da quello inviato dal
comunicatore.
-
(Oggi, ogni persona è sottoposta a circa 1500 annunci pubblicitari al giorno,
oltre a dover dare attenzione ad altri aspetti della vita, per cui è facile che il
messaggio non arrivi se non espresso e comunicato nel modo corretto).
Il messaggio, perché sia efficace ad attirare l’attenzione, nell’ambiente di distrazione in
cui vive il ricevitore, deve rispettare le condizioni di:
-
comprensione, deve essere chiaro e semplice;
identificazione, identificare esattamente il prodotto;
interesse,per attirare l’attenzione del consumatore verso il prodotto, anche se non ancora
verso il suo acquisto;
-
suggestività, deve avere significati simbolici per provocare nel
consumatore
predisposizione verso il consumo e poi verso l’acquisto;
-
ripetitività, deve essere possibile la ripetizione più volte.
La composizione del mix (pubblicità, promozione delle vendite, propaganda e vendita
personale) della comunicazione deve tener conto o è condizionata da:
172
-
i fondi disponibili: le risorse finanziarie disponibili comportano attività diverse in
relazione al loro ammontare (dipendono sotto certi versi dalla dimensione d’impresa).
-
natura del mercato: ampiezza geografica, tipo di clienti (consumatori finali,
intermediari, industria), concentrazione del mercato (o numerosità degli acquirenti), ecc.
comportano attività di comunicazione diverse.
-
natura del prodotto: la tipologia di prodotto (convenience goods, shopping goods e
speciality goods) richiedono attività di comunicazione diverse.
-
stadio del ciclo di vita del prodotto: vedere scheda sui rapporti tra politica della
comunicazione e ciclo di vita del prodotto.
Fasi dello sviluppo del programma di comunicazione :
-
Identificazione dei destinatari (pubblico obiettivo, audience): il contenuto, il modo, il
momento, il luogo, lo strumento della comunicazione variano in relazione ai soggetti destinatari
(audience: acquirenti potenziali, utilizzatori e consumatori attuali, decisori e influenti
dell’acquisto, costituiti da individui, gruppi, pubblico particolare, pubblico di massa).
-
Determinazione degli obiettivi della comunicazione: determinare la risposta che ci si
aspetta dal pubblico obiettivo, che alla fine consiste nell’acquisto del prodotto.
-
Definizione del messaggio: il messaggio deve concentrarsi sui plus competitive del
prodotto e dunque deve essere tale da attirare l’Attenzione, mantenere Interesse, sollecitare
Desiderio, indurre all’Azione (modello AIDA) il consumatore. La formulazione del messaggio
comporta:
cosa dire (contenuto del messaggio) all’audience obiettivo cioè l’idea, il richiamo,
l’appeal, il tema;
come esprimerlo (cioè struttura del messaggio) in modo logico cioè l’argomentazione;
come confermarlo a livello simbolico (formato del messaggio): titolo, testo,
illustrazioni, colore, formato, dimensione, movimento;
chi dovrebbe dirlo (fonte del messaggio), cioè personaggi che abbiano competenza,
attendibilità, simpatia, ecc.
-
Scelta dei canali di comunicazione: vi sono due tipologie:
173
•
canali personali, con due o più persone che comunicano fra loro direttamente: faccia a
faccia (anche con il pubblico), per via telefonica, a mezzo televisione, per corrispondenza,
con personale di vendita (canale di parte), con esperti (canale degli esperti), con soggetti
sociali (vicini, amici, colleghi, familiari) (canale sociale, con influenza orale);
•
canali non personali, senza alcun contatto personale, con mezzi che trasmettono i messaggi:
mass media (mezzi di massa): stampa (quotidiani, riviste, direct mail), mezzi elettronici
(televisione, radio), mezzi espositivi (cartelloni stradali, insegne, manifesti) rivolti ad un
pubblico ampio e non differenziato; o mezzi selettivi rivolti a pubblico specialistico o
selezionato.
-
Definizione dello stanziamento promozionale totale: come somma da spendere in
totale o come percentuale sulle vendite o in altro modo in funzione degli obiettivi da conseguire
(fare concorrenza, quota di mercato da acquisire, percentuale dei soggetti da raggiungere, ecc.)
-
Definizione del mix promozionale: suddivisione dell’investimento totale fra i 4
strumenti principali (pubblicità, promozione vendite, propaganda, forza vendita o vendita
personale) tenendo conto della tipologia del mercato (es. mercato al consumo), della strategia di
vendita (di impulso o di attrazione), della disponibilità dell’acquirente, dello stadio del ciclo di
vita del prodotto.
-
Misurazione dei risultati della promozione, cioè dell’impatto sul pubblico obiettivo
(con indagini ed inchieste).
-
Gestione e coordinamento del processo di comunicazione di marketing, cioè i
messaggi vanno lanciati in contemporanea con la disponibilità del prodotto sul mercato,
altrimenti sono inutili o scarsamente remunerativi o addirittura negativi per perdita di
credibilità.
174
Scheda sui rapporti tra politica della comunicazione e ciclo di vita del prodotto.
Situazione del mercato
Politica della comunicazione
Fase di introduzione
I clienti non si rendono ancora conto di
desiderare il prodotto e non sanno quali
benefici ne potranno trarre
Informare ed educare i potenziali clienti.
Comunicare loro che il prodotto esiste, in che
modo può essere usato e quali tipi di esigenze
può soddisfare.
In questo stadio il venditore deve tendere a
stimolare la domanda primaria (cioè la
domanda per quel particolare tipo di prodotto)
e non ancora la domanda selettiva (cioè la
domanda per una particolare marca del
prodotto).
Normalmente è necessario puntare molto sulla
vendita personale; anche la partecipazione a
mostre o fiere rappresenta una componente
importante del mix della comunicazione
perché consente di entrare in contatto con un
gran numero di potenziali compratori senza
dover compiere uno sforzo personale di
vendita nei confronti di ognuno di essi.
I produttori rivolgono notevoli sforzi di vendita
personale anche nei confronti degli
intermediari commerciali, per indurli a tenere
il prodotto in assortimento.
Fase di crescita
I consumatori sono consapevoli dei benefici
che possono trarre dal prodotto. Il prodotto
vende bene ed i distributori lo vogliono avere
in assortimento.
Stimolare una domanda selettiva (di marca).
Aumentare l’importanza data alla pubblicità
nel mix. I distributori partecipano al
raggiungimento degli obiettivi promozionali
dell’azienda, spesso dividendo anche i costi
con il produttore.
Fase di maturità
La concorrenza aumenta e le vendite tendono a
stabilizzarsi
La pubblicità non viene più usata solo come
strumento di informazione, ma soprattutto
come
strumento
di persuasione.
La
concorrenza molto intensa costringe le imprese
a investire grosse somme di denaro in
pubblicità, e ciò contribuisce a far diminuire
sensibilmente i profitti.
Fase di declino delle vendite
Le vendite ed i profitti diminuiscono. Prodotti
nuovi e migliorati vengono introdotti sul
mercato e sostituiscono gli articoli precedenti.
Fonte: W.J. Stanton, R. Araldo: Marketing. Il Mulino
175
L’intero sforzo di comunicazione deve essere
considerevolmente ridimensionato, a meno che
questo non venga finalizzato ad una
rivitalizzazione e ad un rilancio del prodotto.
10.2 Pubblicità e vendita personale
La vendita personale (tramite dipendenti o agenti) e la pubblicità (tramite l’impiego di
mezzi di comunicazione di massa) sono due tra i principali mezzi per trasmettere comunicazioni
persuasive ai clienti ed ai diversi tipi di pubblico obiettivo.
La vendita personale (personal selling) realizza una comunicazione di tipo personale ed
individuale, concentrata sulla clientela attuale e potenziale.
La pubblicità consiste in forme non personali di comunicazione, si avvale di mezzi di
massa a pagamento, è rivolta in modo generale al mercato nel suo insieme ed è patrocinata da
un soggetto ben individuato. Altrimenti detto è la divulgazione di un messaggio che richiami
l’attenzione dei consumatori su un determinato prodotto attraverso l’uso dei media.
L’uno o l’altro mezzo di comunicazione, o entrambi, dipendono da diversi fattori
d’influenza.
Fattori d’influenza dell’impiego della vendita con personale o della pubblicità
Fattori di influenza
Vendita con personale
Pubblicità
Mezzi finanziari dell’impresa
limitati
elevati
Ampiezza geografica del mercato
limitata
elevata
pochi
molti
razionali
emotive
elevato
basso
limitata
elevata
Servizio assistenza pre e post vendita
essenziale
non essenziale
Tipo di prodotto
specifico
standardizzato
Numero clienti
Prevalenti motivazioni all’acquisto del
prodotto
Valore unitario prodotto
Possibilità
prodotto
di
differenziazione
del
Fonte: W.J. Stanton, R. Araldo: Marketing. Il Mulino
Le imprese che fanno ricorso maggiormente alla pubblicità sono quelle che operano su
mercati vasti di beni di consumo (alimentari e non alimentari) e che impiegano la politica di
marca.
Tipi di pubblicità in funzione degli obiettivi da raggiungere:
1. Pubblicità istituzionale: per lo sviluppo dell’immagine dell’impresa nel lungo periodo,
senza promuovere in via immediata e diretta la vendita del prodotto.
176
2.
Pubblicità al prodotto: per informare e stimolare il mercato al fine di favorire le
vendite del prodotto.
3. Pubblicità di marca: per sostenere una marca nel lungo periodo (Coca Cola).
4. Pubblicità classificata: per la diffusione di informazioni su una particolare offerta di
vendita (Frette, fiera del bianco).
5. Pubblicità di saldo: per l’annuncio di una vendita a saldo.
6. Pubblicità dei produttori: per sviluppare la domanda dei loro prodotti (birra).
7. Pubblicità dei distributori: per sviluppare le vendite dei negozi o gli acquisti nel
negozio, indipendentemente dai prodotti e dalle marche.
Tipi di pubblicità in funzione dei destinatari o del tipo di mercato obiettivo:
1. Pubblicità al consumatore.
2. Pubblicità al distributore.
3. Pubblicità all’utilizzatore industriale.
Pubblicità, Campagna pubblicitaria (o programma pubblicitario) consiste in una serie
coordinata di sforzi promozionali (insieme delle operazioni attuate dall’impresa) volta al
raggiungimento di un obiettivo specifico nell’ambito dell’attività di comunicazione
dell’impresa. Le fasi sono:
1. Determinazione degli obiettivi della pubblicità che può essere in funzione della
specificità:
pubblicità informativa, quando si deve creare una domanda primaria;
pubblicità persuasiva, quando la concorrenza è vivace e occorre creare una
domanda selettiva;
pubblicità comparativa, quando si deve affermare la superiorità di una marca su
altre concorrenti;
pubblicità di ricordo, per ricordare nella fase di maturità del ciclo di vita il
prodotto al mercato.
177
Obiettivi della pubblicità
Informare
Portare a conoscenza del mercato un nuovo Descrivere i servizi disponibili
prodotto
Suggerire nuovi usi per un prodotto
Correggere impressioni errate
Informare il mercato di una variazione di prezzo
Ridurre le ansie dei consumatori
Spiegare come funziona il prodotto
Sviluppare l’immagine di un’impresa
Persuadere
Creare la preferenza di marca
Persuadere il consumatore all’acquisto
immediato
Incoraggiare il cambiamento di marca
Predisporre il consumatore all’acquisto
immediato
Modificare la percezione dei consumatori su
determinate caratteristiche del prodotto (rispetto
ad altri)
Ricordare
Ricordare al consumatore che può aver bisogno Mantenere vivo il ricordo fuori stagione
del prodotto nell’immediato futuro
Ricordare dove è possibile acquistarlo
Mantenere la consapevolezza del
prodotto al massimo livello di intensità
Fonte: Ph. Kotler, Marketing management. ISEDI.
2.
Stanziamento pubblicitario, cioè stabilire l’investimento pubblicitario correlato agli
obiettivi di vendita previsti.
3.
Definizione e valutazione del messaggio, sulla base della desiderabilità, della esclusività,
della credibilità, della distinzione del prodotto.
4.
Selezione dei mezzi pubblicitari, sulla base del
grado di copertura o di penetrazione: numero di persone o famiglie esposte
all’annuncio in un certo periodo di tempo;
grado di frequenza: numero medio di volte in cui una persona o famiglia è esposta al
messaggio in un certo periodo di tempo;
grado di impatto o di ricezione: valore qualitativo della accettazione dell’intervento
da parte del consumatore (per i prodotti alimentari è l’appetizing appeal, grado di
apprezzamento culinario o gustativo);
grado di diffusione: misura la rapidità, la costanza, la profondità dell’annuncio;
grado di ripetizione: il messaggio ripetuto ha maggiore presa e induce più facilmente
alla convinzione rispetto al messaggio fatto una sola volta.
178
I mezzi di comunicazione
La scelta dei mezzi di comunicazione è in stretta relazione con gli obiettivi da
raggiungere e deve essere fatta in funzione del prodotto (politica di prezzo, di prodotto,
commerciale), del segmento di mercato (tipo di segmento, livello di reddito, potenzialità di
consumo), del consumatore (motivazioni e scelte di consumo di un determinato prodotto).
La scelta dei mezzi di comunicazione condiziona il livello dell’investimento
pubblicitario, cioè il rapporto costo-contatto medio (cioè il costo che l’impresa sostiene per
contattare ogni singolo cliente o consumatore: se il conto è 1000 ed i clienti sono 100, il costo
per contatto è 10).
•
I mezzi pubblicitari sono:
-
stampa: uno dei mezzi più efficaci per raggiungere il maggiore numero possibile di
consumatori e per dare notizie di richiamo sulla qualità di un prodotto o sul suo prezzo;
-
televisione, radio, cinema: sono mezzi che inviano il messaggio pubblicitario al
consumatore in un momento di distrazione;
-
pubblicità esterna, affissioni murali e manifesti: sono molto flessibili, se affidati a
mezzi di trasporto, in zone geografiche di specifico interesse;
-
catalogo: elemento di presentazione dell’azienda e della sua produzione.
Scheda sulle caratteristiche dei principali mezzi pubblicitari
I giornali quotidiani. Come strumento pubblicitario sono flessibili e tempestivi. Gli annunci
possono essere inseriti per alcuni giorni o in una sola edizione. I quotidiani possono essere usati
per coprire una città o una provincia, assicurando una intensa copertura del mercato, visto che la
loro lettura è in genere molto diffusa. Quando si tratta di un giornale locale o dell'edizione
locale di un quotidiano nazionale, è possibile anche adattare l'annuncio pubblicitario alle
condizioni socio-economiche della zona alla quale il messaggio e destinato. I costi di diffusione
del messaggio sono bassi in relazione al numero di potenziali acquirenti che vengono raggiunti.
D'altro lato, però, la “vita” di un annuncio pubblicato su un quotidiano è decisamente molto
breve.
Le riviste ed i periodici. Sono un eccellente mezzo pubblicitario quando si desidera che la
stampa dell'annuncio sia qualitativamente valida ed è importante che siano evidenziati i colori.
Le riviste ed i periodici si prestano a coprire il mercato nazionale ad un costo assai contenuto in
relazione al numero di potenziali compratori contattati. Quando vengono poi utilizzate riviste
specializzate o settoriali, chi fa la pubblicità ha la possibilità di raggiungere un gruppo di lettori
selezionato con una minima dispersione degli sforzi pubblicitari. Le riviste ed i periodici
presentano la caratteristica di essere in genere letti durante il tempo libero, al contrario dei
quotidiani, che vengono sovente sfogliati in fretta. Questa caratteristica è di particolare rilievo
per chi vuole fare pubblicità usando dei messaggi la cui lettura richiede un certo periodo di
tempo. Fra le caratteristiche meno favorevoli delle riviste e dei periodici possiamo ricordare la
loro scarsa flessibilità e il fatto che i messaggi in essi pubblicati raggiungono il mercato in
maniera discontinua, rispetto ad altri mezzi pubblicitari.
L'invio di materiale per posta. Fra tutti i mezzi pubblicitari, l'invio di materiale per posta (direct
mail) è probabilmente il più personale e selettivo. Visto che in questo caso si raggiunge solo il
179
segmento di popolazione (target group) potenzialmente interessato al prodotto o servizio
reclamizzato, si riduce al minimo la dispersione e la perdita di risorse di comunicazione. Il costo
per ogni potenziale acquirente contattato è relativamente più elevato rispetto ad altri tipi di
mezzi pubblicitari, si deve tener conto però che con il direct mail i costi “sciupati” risultano
mediamente inferiori. Un grosso limite alla possibilità di utilizzare il mezzo pubblicitario
postale è rappresentato dalla capacità di predisporre e mantenere aggiornata una valida lista di
nominativi e di indirizzi di potenziali acquirenti. Vi è pure il rischio che il materiale
pubblicitario spedito per posta venga considerato dal destinatario come “posta di scarto” e non
sia dunque nemmeno preso in considerazione.
La radio. La radio sta sperimentando oggi una fase di rinascita come mezzo culturale e
pubblicitario. Quando fu introdotta la televisione negli anni Sessanta, la radio ebbe un periodo
di grave declino e molti avevano previsto una sua imminente fine. Oggi invece l'interesse per la
radio è decisamente in ascesa e lo dimostra, tra l'altro, il numero molto cospicuo di emittenti
locali sorte in questi ultimi anni. Come mezzo pubblicitario, la radio presenta il vantaggio
fondamentale di avere un costo assai contenuto; con la radio è possibile raggiungere tutto il
mercato ed inoltre, inserendo gli annunci nel contesto di programmi di tipo particolare, è
possibile rivolgersi in maniera efficace anche a segmenti di mercato molto specifici. D'altro lato,
la radio può trasmettere solo suoni, per cui diventa un mezzo pubblicitario inutile quando è
necessario l’impatto visivo di un certo messaggio. Inoltre, la vita utile di un annuncio
pubblicitario radiofonico è estremamente breve; ancora, l’attenzione che gli ascoltatori prestano
a ciò che la radio dice è sovente piuttosto modesta, specie quando la radio viene utilizzata per
creare un sottofondo in un ambiente di lavoro, di studio, o dove si compie qualche altro tipo di
attività.
La televisione. Tra i principali mezzi pubblicitari, la televisione è quello che si è sviluppato più
rapidamente e che risulta maggiormente versatile. Gli appelli pubblicitari diffusi dalla
televisione si prestano sia ad essere visti che ad essere ascoltati, per cui i prodotti possono
insieme essere mostrati ed illustrati. Il recente forte sviluppo delle televisioni private e locali ha
esteso enormemente l'impiego di questo mezzo, in considerazione soprattutto del loro maggiore
livello di flessibilità (in termini di mercato geografico coperto, di tempi di diffusione e di costi)
rispetto alla televisione pubblica nazionale. Le reti televisive a diffusione locale hanno così
consentito l'accesso a questo mezzo di tutta una serie di nuovi utenti (piccole e medie imprese
industriali, grossisti, dettaglianti, ecc.) ed hanno allargato il suo impiego da parte di utenti
tradizionali per azioni pubblicitarie più articolate e territorialmente circoscritte. D’altro lato, la
televisione è un mezzo pubblicitario estremamente costoso. Esso non consente di diffondere
messaggi particolarmente lunghi od elaborati e non è in grado di mostrare i colori in maniera
altrettanto efficace di quanto accade per gli annunci stampati sulle riviste o sui periodici.
Affissioni. Si tratta di strumenti pubblicitari molto flessibili e di basso costo. Essendo in grado
virtualmente di raggiungere l'intera popolazione, questo tipo di strumento ben si adatta ai
prodotti di largo consumo, che per essere pubblicizzati non hanno bisogno di annunci
particolarmente elaborati o sofisticati. È uno strumento eccellente da utilizzare per la pubblicità
che tende a “ricordare” ai consumatori l’esistenza di un prodotto, e può fare affidamento
sull’impatto che deriva dal colore e dalle grandi dimensioni del cartellone o del manifesto. La
flessibilità è notevole, sia per quanto concerne la copertura geografica del mercato, sia per
quanto si riferisce all'intensità di copertura del mercato di una determinata area. Comunque, a
meno che non si tratti di reclamizzare un prodotto molto noto e di largo consumo, questo mezzo
comporta di solito una notevole dispersione degli sforzi. Anche se il costo per raggiungere un
singolo potenziale acquirente (costo contatto) è modesto, il costo complessivo di una campagna
pubblicitaria svolta con questo strumento è piuttosto rilevante.
Fonte: W.J. Stanton, R. Araldo: Marketing. Il Mulino
180
PROFILO DEI PRINCIPALI MEZZI
Mezzo
(1)
Volume
in
miliardi
di $
(1980)
(2)
Esempi di costi
%
(1981)
(1980)
(3)
(4)
Vantaggi
(5)
Limiti
(6)
Quotidiani 15,6
28,5
$ 11,728 per una
pagina
del
Chicago
Tribune, in un
giorno
infrasettimanale.
Television 11,3
e
20,7
$ 2.000 per 30 Unisce aspetti visivi,
e
di
secondi
di sonori
movimento; piacevole
trasmissione
sensi;
elevato
nelle ore di ai
punta
a livello di attenzione e
di copertura.
Chicago.
Costo assoluto molto
elevato;
eccessiva
concentrazione
di
messaggi; esposizione
transitoria;
scarsa
selettività dell’audience.
Direct mail 7,7
14,0
$ 1.190 per i
nomi
e gli
indirizzi
di
34.000
veterinari.
Selettività
dell’audience;
flessibilità; assenza di
concor-renza
nello
stesso mezzo.
Costo
relativamente
elevato; immagine di
“circolare inviata per
posta”
Radio
3,7
6,7
$ 400 per un Uso di massa; alta
minuto
di selettività geografica e
trasmissione
demografica;
costi
nelle ore di contenuti.
punta
a
Chicago.
Presentazione
esclusivamente audio;
minore
capacità
di
attirare
l’attenzione
rispetto
alla
TV;
strutture tariffarie non
standardizzate;
esposizione transitoria.
Riviste
3,2
5,9
$ 57.780 per una
pagina a quattro
colonne
su
Newsweek.
Elevato anticipo per
l’acquisto dello spazio;
un certo spreco nella
diffusione;
nessuna
garanzia per la posizione
del messaggio nella
rivista.
Pubblicità
esterna
0,6
1,1
$ 8.000 per
l'affitto di un
cartellone in una
strada centrale
di Chicago per
un mese.
Alta selettività geografica e demografica;
credibilità e prestigio;
elevato livello qualitativo
delle
riproduzioni;
vita
lunga; discreto numero di lettori per
copia.
Flessibilità; alto grado
di
ripetizione
dell’esposizione; bassi
costi;
scarsa
concorrenza.
---
---
Altri mezzi 12,6
TOTALI
$ 54,7
23,1
100,0
---
Flessibilità;
Vita brevissima; scarsa
tempestività;
buona qualità
della
copertura del mercato riproduzione;
basso
locale;
vasto numero di lettori per
consenso;
alta copia.
credibilità.
Nessuna flessibilità di
selezionare l’audience;
limiti alla creatività del
messaggio.
Fonte: Ph. Kotler, Marketing management. ISEDI.
181
•
Direct marketing (o marketing diretto, o pubblicità diretta) è una tecnica di
comunicazione (mezzo pubblicitario) molto usata dalle imprese di beni alimentari di largo
consumo. E’ un messaggio pubblicitario personalizzato diretto al consumatore già acquisito o
potenziale con determinate caratteristiche (target group: età, sesso, reddito, istruzione, ecc.),
localizzato (regione, città, quartiere), concreto. Gli strumenti o i mezzi (media) della pubblicità
diretta sono:
mailing o pubblicità epistolare (invio per posta di messaggi pubblicitari:
materiali, brochure)
•
telemarketing, contatto telefonico con i potenziali consumatori
pubblicità e vendita porta a porta
depliant illustrativo (distribuzione di opuscoli illustrati)
annuncio pubblicitario (attraverso giornali o periodici)
Sponsorizzazioni: attività indirizzate in prevalenza al sostegno di iniziative e
manifestazioni sportive (la televisione è lo strumento più importante perché da visibilità al
marchio dello sponsor)
•
La pubblicità sul punto vendita, comprende le azioni pubblicitarie svolte sul punto
vendita e rivolte al consumatore ed al negoziante per ottenere cooperazione. I messaggi possono
essere sonori, visivi (cartelli, immagini) o pubblicitari (slogan); i mezzi sono locandine,
pannelli, cartelli, insegne luminose, mobili sospesi, display (schermo televisivo o bacheca
pubblicitaria o un’inserzione stampa in posizione di evidenza; le azioni sono: ascolto di
messaggi sonori, distribuzione di materiale pubblicitario, ecc.).
Valutazione dell’efficacia della pubblicità, consiste nella verifica della recettività del
messaggio (se e come raggiunge il destinatario: conoscenza, comprensione, preferenza), del
grado di efficacia commerciale (penetrazione nel segmento di mercato e incremento delle
vendite), del grado di accettabilità (effetto psicologico relativo alla credibilità del prodotto e del
messaggio, alla sua capacità di convinzione per la predisposizione verso il prodotto), ecc.
La campagna pubblicitaria per l’impresa alimentare è essenzialmente un mezzo per
raggiungere nel breve e nel lungo termine i seguenti obiettivi: far conoscere e lanciare un
prodotto, influire sulle abitudini del consumatore, aumentare le vendite ed accelerare la
rotazione degli stock, rafforzare il prestigio di una marca, rilanciare il prodotto in determinati
periodi, rinforzare la collaborazione con la forza vendita e con tutto il sistema distributivo, ecc.
La campagna pubblicitaria per avere successo, oltre che studiata e programmata,
comporta il coordinamento nello spazio e nel tempo di tutti gli aspetti che il messaggio deve
raggiungere: il prodotto, il consumatore, la forza vendita, i canali distributivi, gli argomenti da
trattare, gli obiettivi da raggiungere, le esigenze, i limiti e le norme da rispettare.
182
Proposta per una campagna pubblicitaria per un prodotto da forno (panettone)
A. Mercato
1. Mercato totale: si stima ammonti a circa 30 milioni di kg per circa 240 miliardi di vecchie
lire (prezzo medio fra le vendite ai consumatori, a ditte o enti), abbia un incremento di circa 23% annuo, abbia circa 250 produttori.
2. Consumi: presentano una stagionalità fortissima (concentrazione massima nei giorni
immediatamente precedenti il Natale), una diffusione molto alta (80 delle famiglie lo
consumano), una leggera prevalenza dei consumatori al nord e al centro, nei comuni grandi, una
struttura d'acquisto anomala in quanto 2/5 del totale è acquistato dal privato per consumare, 1/5
del totale acquistato dal privato per regalare, 2/5 del totale è acquistato dalle aziende per i
dipendenti.
3. Distribuzione: si stima, nel periodo natalizio, di circa 150/200 mila punti di vendita.
4. Formati: vanno dal 1/2 kg, 1 kg, a 1,5 kg. 5. Prezzo: quello medio al consumo per kg è di
circa Lit. 8.000.
B. Prodotto
1. Aspetto merceologico: il panettone è una pasta lievitata a fermentazione naturale
particolarmente soffice; gli ingredienti del panettone sono: farina di frumento, uva
sultanina, burro, zucchero, tuorlo d'uovo, frutta candita;
il panettone Miramare ha un elevato standard qualitativo.
2. Immagine del panettone: è più di simbolo, di consumo rituale che di prodotto alimentare, ne
discende come conseguenza una forte importanza della marca come garante della tradizione.
3. Immagine del panettone Miramare: è strettamente legata all'immagine della società per cui
la caratterizza e ne viene caratterizzata; la società è vista come azienda che da sicurezza, fiducia,
serietà, prestigio; il panettone Miramare è visto positivamente dalle classi di età media che
ricordano il loro vecchio Natale, mentre per i giovani che tendono a disconoscere il significato
del rituale natalizio il panettone va perdendo significato.
C. Obiettivi e strategia di marketing
1. Obiettivo generale di marketing: consiste nel sostenere e incremen-tare la quota di mercato
del panettone Miramare in un mercato alquanto statico, nonostante l'aumento di prezzo e i
tentativi della concorrenza.
2. Strategia di marketing: prevedere di sollecitare l'acquisto per consumo diretto, l'acquisto per
regalo, battendo la concorrenza delle altre marche che operano con prezzi più vantaggiosi.
D. Ruolo della pubblicità
1. Pubblicità: deve contribuire a esaltare il differenziale di immagine del prodotto rispetto alle
altre marche allo scopo di rendere il panet-tone Miramare non fungibile anche a parità di prezzo
nominale, a superare l'ostacolo della diversità di prezzo reale, a diversificare la posizione del
prodotto Miramare rispetto alla concorrenza offrendo sul piano pubblicitario dei precisi plus.
E. Risultati della ricerca
Le informazioni ottenute hanno costituito la premessa per un lavoro di ricerca di tipo
squisitamente creativo. Il primo dato raggiunto è stato l'assoluta identificazione fra panettone e
Natale. Cioè si è verificato che il panettone non vive al di fuori del contesto natalizio e che
quindi alimentarmente parlando è pressoché impossibile trovarne occasioni di consumo che non
siano il periodo natalizio stesso. Ciò sottolinea il valore ampiamente simbolico del prodotto. A
questo punto il problema si sposta dal panettone al Natale: con la logica conseguenza che se si
fosse riusciti a riscoprire il Natale si sarebbe trovato il modo adatto di proporre il panettone.
Parlando della riscoperta del Natale ci si riferisce fondamentalmente alla ricerca delle esigenze
psicologiche individuali che il Natale soddisfa: evidentemente l'analisi di queste esigenze
183
permette di poter scindere gli aspetti formali della festività (e cioè che possono modificarsi) da
quelli sostanziali (che evidentemente rispondono a esigenze fondamentali e che sono
immutabili). Ne scaturisce la convinzione che la novità del Natale da proporre consista nel
ritrovamento della sua essenza che, appartenendo alla sfera
intima
e
profonda
dell'individuo, soddisfa istanze sempre attuali.
L'aspetto religioso-liturgico del Natale risulta fare parte degli aspetti formali della festività. Si è
deciso di prendere in esame il problema del Natale seguendo lo schema dell’analisi psicologica
di fondo e si è ricostruito l'approccio iniziale dell’individuo con il Natale: si è cioè partiti
dall'analisi del comportamento infantile. Ricostruendo la dinamica che del Natale si vive
nell'infanzia: il bambino
vive una situazione altamente gratificante, nella quale prende coscienza o viene riassicurato
della sua appartenenza al gruppo familiare, e nella quale ha la misura della benevolenza del
gruppo nei suoi riguardi. Tale dinamica è risultata ampiamente convalidata dall’esame delle
dichiarazioni delle persone intervistate, e quindi ha portato a trovare in questa esigenza che
vorremmo definire oltre che psicologica anche umana. Il Natale può essere definito come il
momento riassicurativo dell'individuo della propria accettazione da parte del gruppo e nel quale
si ha la misura della benevolenza del gruppo nei propri riguardi. A luce di questi fatti è evidente
che la parte del Natale che perde valore è legata alla perdita di valore a priori di alcuni elementi
che lo compongono: per esempio il Natale familiare è in crisi nella misura in cui è crisi un certo
tipo di struttura familiare. Quindi finisce il valore del Natale come momento celebrativo di una
società chiusa di tipo autoritario-paternalistico ma resta il valore del Natale come momento
celebrativo individuale, collegato al contesto più riassicurativo possibile di gruppo. Il momento
collettivo della celebrazione non può mancare comunque; la mancanza di tale momento
contrasta con l'essenza della festa, contrasta cioè con una istanza fondamentale di sicurezza
dalla quale l'individuo non può prescindere. In questo contesto il panettone si pone come
simbolo non ancora alternativo della celebrazione collettiva: non vi è senso per il prodotto in sé
(anche se non vanno sottovalutate le caratteristiche gratificanti del dolce), ma per la simbologia
premiante: è proprio da ciò che il prodotto può trarre la sua validità e la sua vitalità.
F. Piattaforma creativa
1. I prodotti della ricerca sono stati basilari, essi hanno fornito la piattaforma concettuale da
cui partire per la fase creativa. È stato possibile riscontrare quanto sia forte e vivo il filo che lega
Miramare al consumatore attraverso il binomio panettone-Natale. Per cui, è ben vero che il
briefing Miramare è tendenzialmente quello di dissociare l'immagine Miramare dal prodotto e
dall'istituto natalizio che perde sempre più significato, nel quadro di un rilancio globale
dell'immagine d'azienda in direzioni nuove. Questo rilancio deve iniziare proprio dal Natale e
dal panettone attraverso due diverse possibilità: o arrivare alla proposta di un Natale nuovo,
soprattutto in senso formale che costituisca un modello di riferimento per tutti i consumatori che
sentono maggiormente la perdita di significato del rituale natalizio di oggi, oppure arrivare
ancora più in fondo, e stimolare in questi stessi consumatori proprio l'esigenza stessa del Natale.
In altre parole: o prospettare un Natale di moda, che si allinei e
continui il Natale consumistico in un nuovo tentativo di surrogare il Natale patriarcareligioso che ha perso il suo significato oggi, oppure fare leva direttamente sulle necessità
psicologiche che portano alla celebrazione di questa festa.
2. Esame della prima possibilità: individuazione di un modello natalizio in grado di
interpretare le esigenze di fondo dei consumatori. Se Natale risponde al
bisogno dell'individuo di sentirsi riassicurato all'interno del suo gruppo; se è il gruppo
chiuso, la famiglia patriarcale, che vanno trasformandosi e fanno sentire vuota e fredda la
corrispondente interpretazione del Natale è ovvia la ricerca di un modello nuovo di riferimento
come un Natale legato a un gruppo al pieno del suo valore. Quindi un gruppo non già
imposto dalla struttura
della vecchia famiglia ma liberamente scelto e recuperato. Un gruppo che partendo anche
dalla famiglia stessa si apra e si allarghi fino a comprendere gli amici accettati attorno al tavolo
di Natale e al suo simbolo. Il Natale non più come festa da subire stancamente quasi fosse un
184
dovere ma da liberamente organizzare: cioè liberamente costruire attorno al panettone, come un
gioco, un gioco bello e aperto. Per questo la prima proposta creativa non vuole tanto proporre
un nuovo Natale come il Natale di gruppo. Ma vuole evidenziare proprio la meccanica di
costruzione del gruppo stesso. Esiste un gioco vero, il puzzle, ed è questo gioco il vero motivo
della campagna i quanto riesce a drammatizzare attraverso la progressività della costruzione il
libero graduale organizzarsi della festa come Natale aperto attorno al panettone.
3. Esame della seconda possibilità: stimolare nei destinatari del messaggio il bisogno
psicologico profondo del Natale. I destinatari naturalmente restano ancora quelli che sentono di
più il peso del Natale religioso-patriarcale e l'amarezza dell'inutile surrogato del Natale
consumistico. I consumatori cioè che più lamentano il Natale perduto e si aspettano il Natale più
bello, quello che gli adulti ricordano o raccontano di aver vissuto da bambini: il Natale nel quale
si proietta tutto ciò che si vorrebbe che il Natale fosse o fosse stato. Parlare del profondo del
Natale è evidentemente parlare dei momenti di approccio al Natale stesso, parlare del Natale
dell'infanzia perché gli stimoli psicologici ai quali il Natale risponde sono di tipo infantileregressivo. In pratica questa seconda campagna consiste nella ricerca di tutti i temi più tipici del
Natale dell'infanzia così come può utilizzarlo in privato l'adulto di oggi.
G. Scelta decisionale
II messaggio del nuovo Natale Miramare ha bisogno di spazio per non finire confuso nella
massa. E lo spazio glielo darà una giusta scelta dei tempi. La Miramare deve riprodurre, far
ritrovare il Natale perduto a cominciare subito quando l'autunno è finito, proprio quando il
Natale non è ancora nell'aria ma è già nei conti del ragazzo che aspetta il regalo, dello scolaro
che aspetta le vacanze, di tutti quelli che sentono il peso del lungo inverno. Bisogna che quando
gli altri Natali esplodono nei loro soliti modi, il Natale Miramare abbia già avuto la possibilità
di decollare, cogliendo di sorpresa, non solo la concorrenza, quanto piuttosto il consumatore
stesso. Al decollo di questo Natale Miramare un mezzo è indispensabile oltre a quelli di massa:
sono i negozi che la Miramare ha nei punti chiave di città grandi e medie. In sincronia con i
mezzi di massa questi negozi devono trasformarsi nei centri di diffusione del nuovo Natale: là
dove il Natale diventa cosa concreta, da toccare. La proposta è nuova e clamorosa proprio nella
rinuncia a proporre nuovi Natali e nel recupero del Natale così com'è dentro di noi: bello,
valido, caldo, immutabile. Non si tratta di inventare un nuovo modello di Natale, ma
perfezionare il linguaggio per arrivare al nuovo posizionamento del panettone Miramare
simbolo di Natale. Questo atteggiamento della Miramare di totale dedizione alla festa è cioè
totale partecipazione dell'azienda alle emozioni dei suoi consumatori potrebbe essere la filosofia
della nuova immagine di azienda: un'azienda disposta a muoversi con nuovi prodotti e con
nuovi approcci sui prodotti esistenti, per vivere tutte le stagioni emotive dei suoi consumatori.
Fonte: A. Foglio. Il marketing Agroalimentare; mercato e strategie di commercializzazione. FrancoAngeli
10.3 Promozione delle vendite e propaganda
Promozione delle vendite è l’insieme dei mezzi e delle tecniche messe in atto per
migliorare la comunicazione del prodotto sul mercato, per penetrare nuovi segmenti di mercato,
per creare nuovi sbocchi, per fare conoscere un prodotto o l’impresa, per mobilitare la forza
vendita, il trade (intermediari commerciali), il consumatore, per aumentare le vendite, per
raggiungere maggiore redditività (incremento della produzione conseguente all’incremento
delle vendite).
Le promozioni di vendita hanno avuto grande sviluppo, in particolare nelle iniziative
rivolte ai consumatori, perché l’impresa le considera sempre più strumenti di vendita a tutti gli
effetti (fattori interni), perché aumentano le marche presenti sul mercato, per le situazioni di
185
inflazione e di recessione, per il continuo lievitare dei costi della pubblicità, per le restrizioni
normative e legislative, ecc. (fattori esterni).
La promozione viene considerato uno strumento volto a superare la fedeltà delle marche
concorrenti, mentre la pubblicità mira ad aumentare la fedeltà alla propria marca.
Il mix ottimale di efficacia si ha quando promozione delle vendite e pubblicità sono
utilizzate contemporaneamente.
Le promozioni hanno obiettivi a breve termine rispetto alla pubblicità e consistono
essenzialmente nell’incremento delle vendite.
La campagna di promozione delle vendite prevede diverse fasi:
1. Definizione degli obiettivi promozionali, derivano dagli obiettivi più generali della
comunicazione, che a loro volta sono collegati agli obiettivi generali di marketing. Variano in
funzione del mercato obiettivo individuato:
a. consumatore, obiettivi: utilizzo maggiore del prodotto, acquisto di confezioni di
grande formato o multipack (confezioni di più pacchi del prodotto), invito alla
prova per chi non l’ha mai provato o che acquista prodotti di marche concorrenti;
b. dettagliante, obiettivi: trattare nuovi prodotti o maggiori quantità del prodotto
abituale, aumentare gli acquisti fuori stagione e le giacenze dei prodotti, contrastare
le iniziative promozionali di prodotti concorrenti, acquistare fedeltà, entrare in
nuovi punti vendita;
c. forza vendita, obiettivi: aumentare il supporto ad un nuovo prodotto o una sua
nuova versione, incoraggiare il primo acquisto, stimolare le vendite fuori stagione.
Possono essere usati sotto diversi aspetti:
•
obiettivi aziendali: volumi di vendita e quote di mercato maggiori, difendersi o
ostacolare la concorrenza, ottenere maggiore redditività, eliminare o ridurre gli
stock eccessivi, ecc.
•
obiettivi di mercato: aumentare il consumo del prodotto, introdurre nuovi
prodotti, recuperare segmenti di mercato, ecc.
•
obiettivi di distribuzione: supportare la forza vendita, diffondere la
distribuzione, coprire maggiormente il mercato, migliorare l’immagine
dell’impresa e la marca, essere presenti in più vendite, aumentare la rotazione
degli stock nei punti vendita, ecc.
2. Selezione degli strumenti, si distinguono in relazione ai mercati obiettivi:
186
a. promozione verso il consumatore: campioni per prova gratuita (mezzo costoso,
ma efficace), buoni sconto (diritto di sconto sul prezzo) prima o dopo l’acquisto,
confezioni speciali (o offerte scontate): confezioni a prezzo ridotto (2x1, 3x2) o
confezioni unite (2 prodotti diversi, fra loro connessi: dentifricio e spazzolino),
omaggi (anche diversi dal prodotto) offerti a prezzo ridotto o gratuiti, bollini
premio (o punti regalo) per ottenere articoli da scegliere o specificati, concorsi
all’acquisto, giochi, lotterie, esposizione e dimostrazione sul punto vendita,
iniziative benefiche, ecc;
b. promozione verso i rivenditori: sconti all’atto dell’acquisto in alcuni periodi,
confezioni gratuite, sconti in merci, contributi in pubblicità, in materiale
promozionale, premi di vendita, concorsi di vendita, viaggi, ecc;
c. promozioni verso la forza vendita: gratifiche e premi, concorsi e gare di vendita,
viaggi, ecc.
3. Realizzazione e controllo del programma promozionale, richiede decisioni su:
a. misura dell’incentivo (quanto offrire d’incentivo),
b. condizioni per la partecipazione (a tutti i gruppi di clienti),
c. veicoli promozionali da utilizzare (la stessa confezione o la spedizione per posta
o allegato all’inserto pubblicitario, ecc.),
d. durata della promozione,
e. periodo della promozione,
f. budget totale della promozione: costi amministrativi (stampa, spedizione,
promozione dell’offerta), costi di lancio (costo del premio, valore dello sconto, ecc.
4. Valutazione dei risultati del programma: il metodo più comune è quello di valutare i
risultati di vendita (quote di mercato) prima, durante e dopo la promozione.
Gli interventi promozionali e le tecniche promozionali conseguenti sono diversi in
relazione alle fasi del ciclo di vita di un prodotto sul mercato.
Interventi promozionali nel ciclo di vita:
a. Fase di lancio: diffusione di messaggi pubblicitari accompagnati con la
distribuzione di campioni, con le tecniche del merchandising (fornitura a
dettaglianti di materiale pubblicitario, campagne pubblicitarie e varie attività
promozionali, oltre che informare il dettagliante sui piani promozionali del
prodotto per indurlo ad ordinare ed immagazzinare quantità per far fronte alla
domanda che sarà creata con la pubblicità), con prezzi accessibili e di richiamo per
187
far conoscere, per attirare l’interesse, per far provare, per creare la disponibilità
all’acquisto.
b. Fase di espansione:
campagna pubblicitaria, sconti di prezzo, incentivi
(premi) al consumatore per una maggiore presa di contatto fra prodotto e
consumatore.
c. Fase di maturità:
offerte speciali, premi, concorsi speciali, vendite abbinate
con altri prodotti per mantenere le quote acquisite.
d. Fase di saturazione:
le
tecniche
promozionali
non
devono
essere
eccessivamente costose perché il prodotto è in fase di stanca o in calo.
e. Fase di declino:
interventi promozionali quasi inesistenti.
Tecniche promozionali, si distinguono in:
a) Tecniche informative: campagna di informazione
utilizzando i media, la
comunicazione diretta al consumatore, ecc.
b) Tecniche di prodotto: la promozione dovrà esaltare uno o più elementi caratteristici
del prodotto (qualità, packaging, composizione, formato, conservabilità, ecc.) per
orientare il consumatore, la distribuzione, la forza vendita.
c) Tecniche di stimolo: le azioni di stimolo a carattere formativo (seminari, conferenze,
colloqui) e informativo (pubblicazioni aziendali, note informative, presentazioni di
campagne), a sostegno della vendita (materiale di vendita, cataloghi, campioni,
sconti, regali, concorsi), sono dirette e coinvolgono il trade e la forza vendita.
d) Tecniche sul punto vendita: promozione sotto forma di presentazione, informazione,
prova, contatto con il prodotto e tecniche del merchandising.
e) Fiere e saloni specializzati: sono manifestazioni a cui si partecipa per farsi conoscere e
per verificare il comportamento dei concorrenti, dei clienti e dei consumatori. Ma di
contro si è anche sotto l’attenzione della concorrenza, dei clienti abituali, di quelli
potenziali, per cui la presenza, lo stand, il design, la esposizione dei prodotti deve
essere accurata ed inappuntabile.
La partecipazione deve essere programmata, preparata, comunicata alla stampa
generica e specializzata evidenziando le novità per suscitare interesse e curiosità nelle
persone destinatarie ed in quelle che visiteranno lo stand per stimolare contatti.
Gli Strumenti della promozione sono:
1.
Promozione sulla distribuzione (trade), per sostenere ed accelerare le vendite del
prodotto può assumere i seguenti ruoli:
188
-
ruolo formativo, colloqui, panel, stage, meeting, viaggi formativi, visite in azienda,
ecc.
-
ruolo informativo, a mezzo stampa, per via epistolare, fogli informativi, ecc.
ruolo di stimolo, a mezzo di pubbliche relazioni, condizioni di vendita interessanti,
premi, concorsi, supporti alla vendita con materiali vari, ecc.
gli obiettivi specifici sono :
-
incrementi nelle vendite,
aumento dei punti vendita,
maggiori ordini da parte della clientela,
fedeltà dei punti vendita all’azienda,
ricerca di nuovi canali di vendita.
Le tecniche promozionali sono:
-
incentivazioni agli acquisti proporzionali ai risultati raggiunti (in denaro, oggetti,
regali, viaggi, premi, ecc.),
-
condizioni speciali (prodotti a prezzi scontati in periodi particolari: di lancio,
campagne pubblicitarie, ecc.),
-
sconti (al raggiungimento di certo fatturato o all’atto dell’ordine di certi quantitativi:
sconti-fatturato, sconti-quantità),
-
concorsi (vincita di premi in denaro, in merce, o viaggi),
materiale promozionale (divulgativo, speciali contenitori, display, ecc.: monodosi di
prodotto, vetrofanie, poster murali, insegne luminose, oggetti di allestimento, ecc.),
-
manifestazioni (incontri con clientela e forza vendita per presentare la campagna
pubblicitaria o promozionale, per lancio di un nuovo prodotto, o visita all’azienda,
comunicare informazioni, ecc),
-
fiere e mostre esposizioni di prodotti (partecipazione per incontrare i responsabili del
trade alla ricerca di nuovi prodotti e nuovi fornitori).
2.
Promozione sulla forza vendita, per vivacizzare e stimolare l’organizzazione
operante sul mercato o su qualche specifica area per sostenere la vendita del prodotto
ruoli:
-
ruolo formativo: conferenze, seminari, colloqui, visite in azienda, animazione di
gruppo, ecc;
189
-
ruolo informativo: lettere personali, circolari, fogli informativi, presentazioni di
campagne pubblicitarie e promozionali, ecc;
-
ruolo di stimolo:
premi, incentivazioni, regali, concorsi, ecc;
ruolo di supporto alla vendita: materiale
promozionale,
materiale
di
vendita
(cataloghi, brochure, campioni, materiale, illustrativo, supporti audio-visivi, ecc).
Le tecniche promozionali al raggiungimento di taluni traguardi di vendita sono:
-
incentivazioni (premi in denaro o in oggetti),
concorsi (con estrazione di premi in denaro, oggetti, viaggi),
manifestazioni o convention (incontri in aziende o presso alberghi per presentare la
campagna pubblicitaria, un nuovo prodotto, informazioni su vari argomenti, sulla
politica di vendita, ecc.),
3.
meeting di studio (per affrontare argomenti di marketing, di vendita) con specialisti,
animazione di gruppo (conversazioni con psicologi specializzati nella formazione),
materiale informativo (cataloghi, manuali divulgativi, ecc).
Promozione al consumatore (consumer oriented). La più importante, la più costosa,
la più efficace. Deve stimolare il comportamento d’acquisto.
obiettivi:
-
attirare l’attenzione, creare simpatia verso il prodotto o la marca, capire e rispondere
al bisogno, suscitare il desiderio d’acquisto
tecniche:
-
invio di messaggi proposta (mail promotion);
sconti in speciali occasioni (campagna pubblicitaria o promozionale, lancio di un
nuovo prodotto, in particolari periodi dell’anno, ecc.);
-
buoni sconto (inviati per posta o riportati su giornali o periodici);
offerte speciali (possono riguardare il prezzo, essere collegate ad altro prodotto o
oggetto in regalo);
-
concorsi;
campioni omaggio (door to door, per posta, sul punto vendita);
materiale promozionale (depliant illustrativi del prodotto);
premi (all’acquisto o posticipati, premi fedeltà con raccolta di tagliandi);
190
-
azioni di merchandising;
settimane speciali;
fiere, mostre, esposizioni di prodotti (rassegne commerciali che rafforzano l’immagine
aziendale);
Merchandising (promozione sul punto vendita) promuove il consumo del prodotto
influenzando la scelta del consumatore attraverso una maggiore conoscenza del prodotto, una
dimostrazione diretta di consumo, una maggiore diffusione sul mercato. Rappresenta il
momento d’incontro tra prodotto e consumatore. E’ fatto con personale specializzato con lo
scopo di presentare, offrire in prova, distribuire campioni del prodotto.
Il successo dell’intervento di merchandising nel punto vendita per un prodotto alimentare
dipende:
-
dall’ambiente fisico in cui viene esposto il prodotto ed il consumatore l’acquista,
dallo spazio di vendita (scaffalature che attirano l’attenzione),
dall’assortimento (per attirare l’attenzione e presentare l’immagine dell’azienda),
dalla presentazione e dalla confezione (per essere facilmente identificato),
dall’animazione (con tecniche decorative, dimostrative con personale, spettacolari con
azioni di distribuzione).
Propaganda
Definisce le iniziative che l’impresa può prendere per assicurarsi gratuitamente spazio
editoriale (diverso da quello della pubblicità) allo scopo di contribuire al raggiungimento degli
obiettivi di vendita, affrontando problemi d’interesse generale e senza perseguire fini
strettamente commerciali o di lucro.
La propaganda è parte di un concetto più vasto: quello delle pubbliche relazioni (P.R.),
che ha come obiettivo di ottenere una propaganda favorevole, il creare un’immagine
socialmente avanzata, ostacolare opinioni tendenziose e poco favorevoli, far conoscere l’attività
e le nuove iniziative dell’impresa.
Pubbliche relazioni sono:
-
rapporti con la stampa e con le istituzioni,
relazioni industriali,
rapporti con le forze politiche,
propaganda di un prodotto,
191
-
comunicazioni aziendali,
lobbying (gruppi di pressione) che mirano a coinvolgere il settore legislativo e le
pubbliche autorità,
-
sensibilizzazione (attività di promozione e aggiornamento del management sulle
tematiche d’interesse pubblico o sulle posizioni dell’impresa e sulla sua immagine).
I mezzi della propaganda sono:
-
avvenimenti: convegni, conferenze, seminari su temi innovativi o con oratori di fama,
celebrazione di anniversari,
mostre ed esposizioni,
serate di beneficenza,
tombole,
vendite di libri,
gare sportive,
balli,
cene,
sfilate di moda,
gite,
articoli di giornale.
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